Eurocarni 2-2019

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EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXIV N. 2 • Febbraio 2019

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Il TAGLIO delle carni bovine




WEST COUNTRY PGI BEEF & LAMB È la pregiata carne bovina e ovina a marchio IGP inglese. L’area geograÅca di produzione di queste carni è costituita da sei contee nel sud ovest del paese: Cornovaglia, Devon, Dorset, Gloucestershire, Somerset e Wiltshire, che insieme formano la cosiddetta regione West Country dell’Inghilterra. I pascoli verdi e rigogliosi, il clima mite e l’alimentazione a base di erba fanno di queste carni un prodotto di qualità superiore.

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BUONI MOTIVI PER SCEGLIERCI

QSM TENEREZZA GARANTITA QSM, Quality Standard Mark, è il marchio istituito da AHDB per garantire al consumatore la sicurezza e la provenienza della carne acquistata. Il sistema di allevamento naturale (al pascolo) garantisce una qualità superiore delle carni, sia in termini di proprietà nutrizionali che di caratteristiche organolettiche. Fra tutte, la tenerezza risulta essere la più apprezzata: questo è possibile grazie all’alimentazione a erba, che conferisce all’animale una certa struttura che garantirà, in fase di maturazione (frollatura), una tenerezza altrimenti non possibile.

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EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali

Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl

EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi

Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Prof. Fausto Cantarelli Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata Prof. Sergio Ventura

Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Lorenzo Fiorentin

EURO ANNUARIO CARNE 2019

Fotografia Luigi Credi

Euro Annuario Carne La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2019 Copia cartacea: € 95,00

Abbonamenti Fioretta Fiorentin Amministrazione Andrea Tomassone

Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2018. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2018.

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.eurocarni-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985

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Tariffe abbonamenti Annuale (12 numeri): Italia € 65,00 – Estero € 85,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Ufficio stampa e Media Partner

Stampa

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EUROCARNI La prima rivista veramente europea

In questo numero:

La carne nel mondo

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Agenda

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Diamo i numeri

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Immagini

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Naturalmente carnivoro

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Slalom

Legge di bilancio 2019, tra previsioni e incertezze dell’economia mondiale Cosimo Sorrentino

Commissione europea

Lo smantellamento annunciato della PAC

Sergio Ventura

Ribadito il no all’uso del termine “carne” per i prodotti vegani

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Osservatorio internazionale Prospettive della produzione di suini nell’UE: 2018-2030

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Attualità

Peste suina africana: giocare d’anticipo è l’unica chance

Giulia Mauri

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La carne in rete

Social meat

Elena Benedetti

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A pagina 84.

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Aziende

Il “ritorno” del maiale Omega-3 nella filiera certificata

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Amor di Burger: un burger per gli innamorati

44 Gaia Borghi

Comunicare la carne

Marchio di filiera della selvaggina emiliano-romagnola: si parte!

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Meat franchising

100Montaditos e KFC: cresce il numero di locali in Italia

Carne e consumi

Consumo di carne tra salute e ambiente

Giovanni Ballarini 52

Interviste

CRAI, la parola a Giangiacomo Ibba

Sebastiano Corona

Mercati

Suini e prosciutti Dop: la moneta cattiva non scacci quella buona

58

Eventi carnivori

La Maialata: tutto il buono delle tradizioni

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Macellerie del mondo

Carnicería Ordóñez, macelleria di confine

Riccardo Lagorio

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Retail news

Due passi nel reparto carni di Whole Foods Market

Elena Benedetti

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Consorzi

Bovinmarche, i primi 30 anni

Razze

Laura e il suo pollo Valdarnese

Veronica Fumarola

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Benessere animale

Servono più biosicurezza e più benessere

Giulia Mauri

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Ristoranti carnivori

Il Libertino, osteria tipica trentina

Riccardo Lagorio

84

Street food carnivoro

Brambù, un amore (g)astronomico

Federica Cornia

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Rassegne

Fiera del Bue Grasso di Moncalvo: la 381 edizione

Andrea Gaddini

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a

Fiera del Bue Grasso di Carrù: Virgilio è il re, Ragù il più pesante

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L’eccellenza a tutela della biodiversità

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A pagina 92.

EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXIV N. 2 • Febbraio 2019

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In copertina: we

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Il TAGLIO delle carni bovine

meat (photo © Vicuschka – stock.adobe.com).

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Fiere

La rivoluzione del packaging a ALL4PACK Paris 2018

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Sempre più MarcabyBolognaFiere

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Carni esotiche

Il dromedario

Giovanni Ballarini 104

La carne in tavola

Il ragù, lo “sveglia appetito”

Giorgia Fieni

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Saltimbocca Roma-Napoli

Nunzia Manicardi

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Tecnologie

CSB BASIC ERP: la soluzione chiavi in mano per il settore Alimenti & Bevande

114

Sicurezza alimentare

Rischio piombo nella cucina della cacciagione

Giovanni Ballarini 118

Week-end

In agriturismo tra Pordenone e le Dolomiti: il Friuli a tavola

Massimiliano Rella 120

Sono 180 grammi, lascio?

Watch the butcher shine his knives

Giovanni Papalato 122

Storia e cultura

Il taglio delle carni bovine

Giovanni Ballarini 124

Statistiche

Bilancio comunitario carni suine, bovine, avicole e ovicaprine…

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A pagina 74.

A pagina 120. A pagina 38.

www.eurocarni-online.com 8

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Il meglio della

C A R N E D I V I T EOLl a Ln d eO se La carne bianca di vitello è un alimento straordinario: ricca di proteine e amminoacidi, facilmente digeribile, povera di grassi e con un alto contenuto di ferro. Cosa volete di più? C’è di più!! La carne di vitello ha anche un gusto raffinato e duttilità nella cottura: questo la rende protagonista della storia gastronomica italiana. Non a caso il vitello è tra le carni più presenti nei Menu dei grandi Chef in Italia. Abbiamo chiesto allo Chef Stefano De Gregorio di reinterpretare il Vitello Tonnato, una storica ricetta italiana conosciuta in tutto il mondo. Trovate questa ricetta insieme a tante altre su www.carnedivitello.it. L’organizzazione olandese VanDrie Group è leader di mercato per la carne bianca di vitello, ma non solo. Il VanDrie Group è anche un’organizzazione fondata sulle migliori tradizioni familiari. Il gruppo, con le sue oltre 25 aziende, costituisce la più grande azienda integrata di carne di vitello al mondo ed è pertanto leader mondiale nel settore della carne di vitello, nonché il più grande produttore di latte in polvere per vitelli. www.vandriegroup.com

La carne di vitello con una percentuale di grasso inferiore al 5% ha la seguente composizione media per 100 grammi: 104 kcal, 439 kJ, 22,1 g di proteine e 1,7 g di grassi. (fonte RIVM - NEVO).

“IL VITELLO TONNATO” interpretata da Chef Stefano De Gregorio

Ricetta

Giraudi International Trading S.A.M. Tel: +377 931 042 42 E-mail: giraudi@giraudi.com

Intraco S.r.l. di Niclas e Simona Herzum Tel: +39 010 374 277 8 E-mail: herzum@ekro.nl

Tel: +31 055 549 82 22 E-mail: info@esafoods.com


LA CARNE NEL MONDO Europa, leggero aumento dell’export di carni suine Durante i primi nove mesi del 2018, le esportazioni di carne suina europea hanno subito un lieve aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+0,8%), raggiungendo 2.804.726 tonnellate esportate. La destinazione principale, con il 34,6% del contingente totale, è la Cina, dove sono state inviate un totale di 1.001.337 tonnellate, seguita dal Giappone (342.000 t), dalla Corea del Sud (246.444 t), dalle Filippine (217.163 t) e Hong Kong (178,204 t). Con 5.883 tonnellate (+66%), si sottolinea l’aumento delle esportazioni in Vietnam rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (fonti: ec.europa.eu/ agriculture – www.3tre3.it).

Germania, produzione di suini in calo Durante i primi nove mesi del 2018 in Germania sono stati macellati 42,36 milioni di suini, circa 1,08 milioni in meno (–2,5%) rispetto allo stesso periodo del 2017, secondo dati DESTATIS del Ministero dell’Agricoltura spagnolo. La produzione di carni suine è diminuita nel periodo indicato di circa 99.400 tonnellate (–2,4%), attestandosi a 3,9 milioni di tonnellate, a causa del calo delle importazioni di suini per la macellazione dall’estero. D’altra parte, anche il numero di suini consegnati ai macelli dagli stessi allevatori tedeschi è stato ridotto, passando da 556.800 (–1,4%) a 39,84 milioni di capi. Durante i primi nove mesi del 2018, circa 2,49 milioni di suini provenienti da altri Stati Membri della UE sono stati macellati in macelli tedeschi, ovvero 521.000 animali in meno (–17,3%) rispetto allo stesso periodo del 2017 (fonti: mapa.gob.es – www.3tre3.it).

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Canada, Stati Uniti e Messico firmano il NAFTA Il nuovo accordo sul NAFTA (North American Free Trade Agreement) mantiene gli elementi chiave di questa relazione commerciale incorporando disposizioni nuove e aggiornate che cercano di affrontare i problemi di business del XXI secolo e di promuovere nuove opportunità. Nel 1994, Stati Uniti, Messico e Canada crearono la più grande regione di libero scambio al mondo con l’accordo di libero scambio nordamericano, generando crescita economica e contribuendo ad elevare il tenore di vita della popolazione dei tre Paesi Membri. Il nuovo accordo Canada – Stati Uniti – Messico servirà a rafforzare i loro legami economici (fonte: international.gc.ca).

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UE-Giappone, con JEFTA accordo positivo per export agroalimentare: via dazi sull’85% dei prodotti, tra cui anche le carni suine L’accordo di libero scambio tra l’Unione Europea e il Giappone, denominato JEFTA Japan-EU Free Trade Agreement, è positivo per l’export agroalimentare. Per questo il coordinamento di AGRINSIEME, che riunisce CIA-Agricoltori italiani, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle Cooperative Agroalimentari, auspica un voto favorevole da parte della plenaria del Parlamento europeo, dopo l’OK a larga maggioranza della Commissione Commercio Internazionale. “Grazie a questo accordo, siglato a luglio 2018 dal premier giapponese SHINZO ABE, dal presidente del Consiglio UE DONALD TUSK e dal presidente della Commissione europea JEAN-CLAUDE JUNKER, le esportazioni agroalimentari comunitarie verso il Paese del Sol levante potrebbero, infatti, aumentare sensibilmente per i cibi trasformati”, ha dichiarato il coordinamento, ricordando che questa intesa bilaterale, a differenza del CETA, non dovrà essere ratificata dai Parlamenti degli Stati Membri, ma solo dal Parlamento europeo e dalla Dieta nazionale, l’organo legislativo del Giappone. “Per dimensione economica, si tratta del più grande accordo commerciale della UE, che consentirà l’eliminazione dei dazi sull’85% dei prodotti agroalimentari comunitari destinati al mercato nipponico, tra i quali figurano vino, formaggi, carni suine, pasta, dolci e prodotti a base di pomodoro”, ha aggiunto Agrinsieme. “Il Giappone è il quarto mercato in ordine di grandezza per le esportazioni agricole comunitarie, che hanno un valore venti volte superiore a quello delle esportazioni nipponiche nell’UE. Il Paese si presenta come un mercato ‘ricco’, caratterizzato da consumatori molto esigenti, continuamente alla ricerca di prodotti di nicchia e di assoluta qualità, oltre che molto interessati all’eccellenza del made in Italy agroalimentare. Il Giappone, inoltre, è il sesto maggior partner commerciale dell’Italia al di fuori dell’Unione Europea, con un surplus commerciale di 2,4 miliardi di euro; il nostro Paese, infatti, a fronte di importazioni per 4,2 miliardi, esporta verso il Paese del Sol levante beni per circa 6,6 miliardi di euro, cifra che secondo l’esecutivo comunitario potrebbe addirittura raddoppiare grazie all’accordo di partenariato”, ha concluso Agrinsieme, che torna così a rinnovare il sostegno ad accordi di libero scambio fondati su regole chiare e favorite da oggettive potenzialità per il mercato agroalimentare italiano (fonte: Copagri Nazionale Confederazione Produttori Agricoli; photo © andershusa.com).

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AGENDA Polesine Parmense (PR) A Polesine Parmense (PR), così come in molti luoghi che conservano e diffondono la tradizione dell’arte culinaria dei territori sulle rive del Po, quella del maiale è una vera e propria cultura. Per comprenderla a fondo è necessaria un’immersione totale nei rituali che compongono la lavorazione e la preparazione, secondo procedimenti antichi che godono delle innovazioni ma mantengono il loro carattere sacrale. Solo vivendo davvero a contatto con chi ogni giorno alleva e conosce i suini è possibile apprendere, prima ancora delle tecniche, il senso e il significato di un’attività radicata e inscindibilmente legata al territorio. L’Hosteria del Maiale dell’Antica Corte Pallavicina — nelle cui storiche cantine, le più antiche del mondo attive, viene stagionato il Culatello di Zibello, a cui è dedicato anche un museo — è uno dei punti nevralgici di questa storia. E per 6 giorni, dal 18 al 23 febbraio, il laboratorio enogastronomico dei fratelli LUCIANO e MASSIMO SPIGAROLI diventa il teatro di Pig Full Immersion, un viaggio nel mondo della salumeria nel luogo in cui la razza Nera parmigiana viene allevata con i cereali coltivati sul posto, tra bovini di razza Bianca, anatre e faraone, vigneti di uva Fortana, pioppi, frutta e verdure di stagione. Con l’obiettivo di favorire una visione olistica e integrata per una maggiore consapevolezza di gestione del prodotto, il corso si rivolge a professionisti e curiosi e intende approfondire alcuni aspetti relativi alla lavorazione del maiale senza trascurare l’importanza della conoscenza di molte altre variabili, tra cui la storia dell’agricoltura, con un focus particolare sulla zootecnica suina, le diverse razze suine e il comportamento delle loro carni una volta macellate, la produzione dei salumi, la loro conservazione e le tecniche di servizio. Le attività della settimana — che costituiscono il programma di un corso volto all’ottenimento di uno specifico diploma — prevedono la visita completa all’azienda agricola dell’Antica Corte Pallavicina, la lavorazione delle carni di maiale (sezionamento e salatura), la preparazione di salami, cotechini, ciccioli, cicciolata e mariole, la legatura dei culatelli, delle coppe, dei preti, delle spalle, dei lombi, dei fiocchetti e delle pancette e un corso di cucina dal tema. Il costo del corso è di 2.200 euro a persona comprensivo di pernottamento e colazione per 5 notti, cene, visite, pranzi e pranzi leggeri. www.anticacortepallavicinarelais.it

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DIAMO I NUMERI

0,9 Il fabbisogno proteico giornaliero, ovvero la quantità di proteine necessarie per individuo, è di 0,9 grammi per peso corporeo. Cosa significa? Per fare un esempio, un uomo che pesa 70 kg necessita di un apporto di 63 grammi di proteine. Ricordiamo che 100 grammi di carne bovina forniscono 22-25 grammi di proteine, poco più di 1/3 del fabbisogno giornaliero (fonte: Assocarni).

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IMMAGINI

Due giorni di relazioni, business, workshop e dibattiti per una manifestazione che si è accreditata in questi anni come l’appuntamento d’eccellenza per la business community del settore MDD. Marca è il grande Salone internazionale sui prodotti a Marca del Distributore, organizzato da BolognaFiere in collaborazione con l’Associazione della Distribuzione Moderna (ADM). Il servizio dell’evento, svoltosi gli scorsi 16 e 17 gennaio, è a pagina 100 (photo © marca.bolognafiere.it). 18

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NATURALMENTE CARNIVORO

Guido Mongiorgi è il titolare della Bottega del Macellaio di Savigno, indirizzo sicuro per carnivori e buongustai in visita nel territorio della Valsamoggia che lo scorso anno ha celebrato i suoi “primi” 120 anni. Un’attività, quella della famiglia Mongiorgi, che è cresciuta e si è arricchita nel tempo grazie all’intraprendenza e alla passione di Guido, affiancato da sempre dalla moglie Anna e oggi anche dal figlio Amedeo, allargando la tradizionale offerta della macelleria-salumeria con un ricco reparto di gastronomia, una proposta enologica importante e un’attività saltuaria di ristorazione. Guido e Amedeo, “naturalmente carnivori” per antonomasia, ogni inizio d’anno perpetuano il rito beneaugurante della Maialata, la festa che in passato accompagnava la macellazione invernale del maiale, con relativa preparazione dei salumi, e che in tanti appassionati continuano ad organizzare. Eurocarni non poteva certo mancare: le foto dell’evento le trovate a pagina 60.

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SLALOM

Legge di bilancio 2019, tra previsioni e incertezze dell’economia mondiale di Cosimo Sorrentino

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oraggiosi e responsabili: sono i due aggettivi che il nostro capo di governo ha pronunciato all’atto della definizione dei contrasti, sorti con l’Unione Europea, per avviare a definire la Legge di bilancio per il 2019. La manovra economica, prima bocciata dalla UE, poi oggetto di febbrili discussioni, è stata finalmente condotta in porto, ma con un’evidente riduzione di alcuni parametri, originariamente fissati dall’Italia come l’1,5% di crescita nel 2019 e l’1,6% nel 2020, ad un più realistico 1% per detto biennio e un deficit nominale al 2,04% del PIL. L’argomento può, perciò, ritenersi chiuso anche se, al momento in cui scriviamo, l’accordo non è stato completamente formalizzato sul piano parlamentare. La questio-

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ne, pur avendo superato lo scoglio della procedura per violazione delle regole di riduzione del debito, non evita però il controllo, sempre in atto da parte della UE, sulle mosse del nostro governo, poiché è stato affermato che la Commissione “continuerà a seguire l’andamento del bilancio 2019 e, se le cose non dovessero andare per il verso giusto, possiamo riaprire il dossier Italia a gennaio”, mostrando così un’evidente preoccupazione sulle reali capacità di rispetto per gli impegni sottoscritti; il che, ovviamente, non viene particolarmente gradito, intravedendo una chiara libertà condizionata nell’attuazione del programma stabilito. È comunque vero che alcuni aspetti non vanno sottovalutati. Ad esempio, non si deve ritenere completamente scongiurata la

procedura di infrazione, poiché gli impegni dovranno essere effettivamente onorati; anzi, sarebbe auspicabile cogliere l’occasione per ripensare e rivedere in modo più efficace e realistico la nostra politica economica relativa ai prossimi anni, per non incorrere in spiacevoli situazioni future. E qui si potrebbero prendere in considerazione altre soluzioni, sulle quali peraltro si è già discusso in passato, anche da parte UE, diverse da quelle dell’austerity, che significa sempre taglio della spesa pubblica, aumento delle tasse e riduzione del deficit. È la ricetta tedesca, rivelatasi, nel lungo periodo, sbagliata perché non ha consentito la crescita, a differenza di quanto avvenuto negli Stati Uniti, che, pur in presenza di un ammorbidimento

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della loro economia, hanno deciso ora un nuovo aumento del tasso di sconto, il quinto consecutivo negli ultimi cinque trimestri. Secondo accreditati osservatori, l’Europa, con la sua politica, è entrata in recessione, e l’Italia in particolare ne ha già subite due negli ultimi sette anni; avrebbe pertanto bisogno di politiche espansive, perché solo crescendo ad un ritmo sostenuto si può abbattere il debito esistente. Il fine della politica dovrebbe essere migliorare la qualità della vita delle persone e dare loro opportunità di lavoro e dignità. Va segnalato che ora, nel nostro Paese, è subentrato un allarme da parte di alcune importanti istituzioni, quali l’ISTAT e la Banca d’Italia, che profetizzano una nuova frenata del PIL e più disoccupazione. Secondo l’ISTAT si registra un regresso dell’economia italiana e, per la prima volta dal secondo trimestre del 2004, la crescita è in calo; inoltre, nell’ultimo bollettino diffuso, si parla anche di disoccupazione in crescita (l’andamento peggiore nella UE) e di occupazione al palo. L’economia risulta in affanno e questo fa dubitare che si possano raggiungere le originarie stime del governo sul PIL 2018, dato che la crescita è stata già rivista e ridotta allo 0,9%. Gli analisti spiegano che la flessione è dovuta, oltre che al rallentamento del PIL tedesco, alla contrazione della domanda interna. Infatti, su base congiunturale, diminuiscono i consumi finali nazionali e gli investimenti fissi lordi, mentre aumentano importazioni ed esportazioni. In questo quadro si sono aggiunte anche le valutazioni di CONFINDUSTRIA, che stima un calo della produzione dello 0,5% su ottobre scorso e dello 0,7% sull’anno; segno negativo anche per gli ordini e attesa di peggioramento per la situazione economica, in coerenza con l’andamento negativo del clima di fiducia degli imprenditori manifatturieri. Cresce in modo consistente il tasso di disoccupazione (arrivato al 10,6%, l’aumento maggiore nella UE), che invece è rimasto stabile

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all’8,1% nell’area euro e attestato al 6,7% nell’intera UE. Da parte sua, la nostra Banca centrale, nel diffondere, da ultimo, i dati del debito pubblico aggiornati a ottobre, afferma che il valore nominale è cresciuto di 3,2 miliardi, toccando quota 2.334,4 miliardi, e vede l’economia attestarsi intorno all’1% nel 2018 e nei prossimi tre anni, sia per il rallentamento della domanda estera, indotto dalla situazione internazionale, sia per le tensioni dei tassi d’interesse che si sono creati in Italia. Per quanto si riferisce alla politica monetaria in senso stretto, la lunga operazione espansiva del Quantitative Easing, che ha salvato l’Eurozona dalla deflazione, si è interrotta al 31 dicembre 2018. Non si tratta, però, come annunciato dal presidente M ARIO DRAGHI, della fine della politica monetaria espansiva, ma di uno dei passaggi per alleggerirla, con la conferma che i tassi di interesse resteranno a zero almeno fino all’estate. Draghi ha poi aggiunto che il quadro economico non è preoccupante: «continua la fiducia, ma con crescente cautela». L’economia della zona euro continua la fase di espansione, ma il ritmo si indebolisce, anche a causa dei rallentamenti di alcuni fattori temporanei (problemi auto per fattori inquinanti, rischi del protezionismo, volatilità dei mercati finanziari e debolezza dei mercati emergenti). Per quanto riguarda l’Italia, ci sembra necessario sostenere che, tenuto conto anche del citato rallentamento dei ritmi di crescita, non si potrà continuare a curare, nel futuro, un male con sole iniezioni di spese correnti; occorre un serio programma di investimenti pubblici e privati, fatto non solo di regole contabili e promesse elettorali, ma di saggezza e lungimiranza, che spesse volte vediamo latitanti. Cosimo Sorrentino Nota In foto, a pagina 24, Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Matteo Salvini (photo © Ansa; www.nanopress.it).


COMMISSIONE EUROPEA

Lo smantellamento annunciato della PAC di Sergio Ventura

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ue documenti della Commissione europea emanati nel 2018 (la comunicazione relativa al bilancio dell’Unione per il periodo 2021-20271 e la proposta di regolamento recante norme sul sostegno ai piani strategici che gli Stati Membri devono redigere nell’ambito della politica agricola comune2) annunciano lo smantellamento definitivo della sola politica europea veramente integrata: la PAC. Istituita negli anni Sessanta sulla base degli articoli 3 e 43 del Trattato di Roma, la PAC doveva incrementare la produttività dell’agricoltura per garantire un tenore di vita equo alla popolazione agricola, stabilizzare i mercati, assicurare gli approvvigionamenti e mantenere

prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori. Ma, già a partire dalla fine degli anni Settanta, iniziò ad essere criticata: l’aumento delle eccedenze, la difficoltà a smaltire gli stock, l’incremento sempre più importante delle spese agricole, imposero le prime riforme. Esse furono realizzate progressivamente dal 1977 al 1988 con l’adozione di misure destinate sia a limitare la produzione (prelievo di corresponsabilità, regime delle soglie di garanzia, prelievo supplementare, quantità massime garantite, limite massimo per le spese agricole) sia a riorganizzare la politica strutturale al fine di accelerare lo sviluppo delle regioni in ritardo rispetto a quelle

più sviluppate (riforma dei fondi strutturali). Poiché i provvedimenti presi si rivelarono poco efficaci, nel 1992 venne adottata un’ulteriore radicale riforma (in vigore dal 1o gennaio 1993) che alla politica di sostegno dei prezzi sostituiva una politica di sostegno dei redditi agricoli e, contemporaneamente, rafforzava il legame tra la politica d’intervento sui mercati e la politica strutturale. Per la prima volta la flessibilità delle norme permetteva al legislatore comunitario di allontanarsi da taluni obiettivi attribuiti alla PAC dal Trattato di Roma. Alla fine degli anni Novanta l’allargamento della UE ai nuovi paesi candidati e il nuovo ciclo di

La Politica Agricola Comune (PAC) è stata la prima politica europea: essa rappresenta l’insieme delle politiche che la Comunità economica europea prima, l’Unione Europea poi, hanno inteso adottare nel settore agricolo ritenendo tale comparto strategico, ieri come oggi, per uno sviluppo equo e stabile dei Paesi Membri.

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Tra l finalità della PAC c’è quella di assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola, grazie soprattutto al miglioramento del reddito individuale di coloro che lavorano nell’agricoltura (photo © shironosov). negoziati nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) sulla liberalizzazione degli scambi nel settore agricolo motivarono un ennesimo adattamento della PAC. Le organizzazioni comuni dei mercati furono semplificate; agli Stati Membri venne riconosciuta la facoltà di vincolare gli aiuti concessi al rispetto dell’ambiente e di ridurli per finanziare misure di sviluppo rurale; venne previsto un ribasso progressivo dei prezzi d’intervento per la carne bovina (20%), per i cereali e i prodotti lattiero-caseari (15%); per sei anni venne stabilito un quadro finanziario (40,5 miliardi di euro in media all’anno) che teneva conto dell’incidenza dell’allargamento; infine, una riserva di 14 miliardi di euro venne destinata al finanziamento dello sviluppo rurale e all’esecuzione di misure veterinarie e fitosanitarie (un’altra riserva di 250 milioni di euro ebbe come scopo il finanziamento di misure strutturali nei nuovi paesi aderenti). In occasione di quest’ultima riforma, votata nel 1999, il Consiglio invitò la Commissione a presentare nel 2002 un primo documento sul funzionamento di taluni mercati

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(seminativi, semi oleosi, carne bovina), un secondo documento sull’evoluzione delle spese agricole ed infine, nel 2003, un terzo sul futuro del sistema delle quote nel settore del latte. La comunicazione della Commissione presentata nel 2002 suscitò una certa sorpresa. Infatti, quella che doveva essere una semplice revisione costituiva in realtà una vera rivoluzione. Veniva proposto il cosiddetto “disaccoppiamento” degli aiuti diretti per creare un sistema di sostegno del reddito calcolato per azienda e non legato alla produzione. Inoltre, la concessione degli aiuti era condizionata al rispetto di diversi criteri, come la preservazione dell’ambiente, il benessere animale, le buone pratiche agricole. Infine veniva proposto un regolamento orizzontale riguardante le disposizioni comuni applicabili ai pagamenti diretti. Adottate nel 2003, le proposte della Commissione provocarono un processo di revisione in tutti i settori della PAC, rafforzando la posizione della Commissione nelle negoziazioni in seno all’OMC grazie al disaccoppiamento degli aiuti. Ma questa misura, che permetteva di attribuire gli aiuti senza tener

conto né dei prezzi né dei redditi e di versarli all’ettaro e non per addetto, non sosteneva l’impiego e incitava ad aumentare la superficie delle aziende agricole3. Malgrado le buone intenzioni della Commissione, del Consiglio e del Parlamento europeo, è giocoforza constatare che, dopo la crisi alimentare del 2008, le scelte effettuate dai Paesi Terzi sono state in perfetta contraddizione con quelle della UE. In India e in Cina, diritti doganali, prezzi minimi garantiti e stock pubblici hanno permesso di portare i prezzi agricoli interni a livelli superiori di quelli mondiali. Negli USA, gli aiuti ai produttori sono variati in funzione dell’evoluzione dei mercati. Si deve anche ammettere che, nella UE, le grandi imprese di trasformazione e di distribuzione dei prodotti agricoli si sono aggiudicate la porzione più importante del valore aggiunto, a scapito degli agricoltori. Dal 1975 in poi, i prezzi pagati ai produttori sono diminuiti del 50%, mentre quelli pagati dai consumatori sono diminuiti in media appena del 7% (in euro costanti). In questo contesto, che cosa ha proposto la Commissione europea?

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Con un primo documento del maggio 2018, relativo al quadro finanziario per gli anni 2021-2027, prendendo a pretesto le conseguenze finanziarie dell’uscita del Regno Unito dalla UE, la Commissione ha proposto di ridurre il bilancio della PAC del 5%, ma in realtà, secondo i calcoli del Parlamento europeo, la riduzione sarebbe del 15%, facendolo passare dal 43% al 30%. Come se questa riduzione non bastasse, con un secondo documento del giugno 2018, recante norme sul sostegno ai piani strategici che gli Stati Membri devono redigere nell’ambito della PAC, la Commissione ha proposto di ricorrere ad una “maggiore sussidiarietà”, che consentirebbe di “tenere conto più specificamente delle condizioni ed esigenze locali”. Gli Stati Membri “saranno responsabili di adattare gli interventi della PAC in modo da sfruttarne al massimo il contributo agli obiettivi della UE”. Inoltre, la Commissione ha proposto di “rimuovere i criteri di ammissibilità al sostegno a livello di UE,

consentendo agli Stati Membri di definire condizioni di ammissibilità più adatte alle loro circostanze particolari”, che permetterebbero loro di beneficiare di “un certo livello di flessibilità per i trasferimenti tra le dotazioni”. Il testo della Commissione prevede anche che gli Stati Membri presentino “le proprie proposte di interventi per raggiungere gli obiettivi specifici della UE in un piano strategico della PAC”, nel quale siano definiti “i target finali per ciò che intendono conseguire nel periodo di programmazione utilizzando indicatori di risultato definiti in comune”. Si tratta in sostanza di una vera e propria “rinazionalizzazione” della PAC. È vero che la Commissione ha proposto un “nuovo quadro per il monitoraggio e la valutazione dell’efficacia di attuazione di tutti gli strumenti della PAC”, in vista del quale gli Stati Membri dovranno presentare “relazioni annuali sugli output realizzati e sulle spese nonché sulla divergenza dai target finali per l’intero periodo” nei piani strategici, ma ciò non toglie che la responsabilità dell’attuazione

e, sia pure entro certi limiti, anche della concezione della politica agricola sarebbe trasferita dalla UE agli Stati Membri. In conclusione, se le proposte della Commissione saranno adottate dal Consiglio e dal Parlamento europeo, la PAC sarà “comune” solo di nome. È paradossale che la Commissione proponga di consacrare definitivamente lo smantellamento della PAC — che è stato uno dei principali obiettivi del Regno Unito — proprio nel momento in cui questo Stato sta per uscire dalla UE. Sergio Ventura Note 1. COM(2018)321 final del 2 maggio 2018. 2. COM(2018) 392 final del 1o giugno 2018. 3. Malgrado questi inconvenienti, l’attribuzione degli aiuti “disaccoppiati” è mantenuta nella proposta della Commissione del giugno 2018 sotto la terminologia di “sostegno di base al reddito”.


Spetta però ai singoli Stati vigilare sull’applicazione del Regolamento

Ribadito il no all’uso del termine “carne” per i prodotti vegani

A

seguito dell’interrogazione parlamentare sull’uso inappropriato del termine “carne” per i prodotti vegetariani dell’on. T OM V ANDENKENDELAERE (PPE), del 10/11/2018 (si veda box), riportiamo la risposta scritta di VYTENIS ANDRIUKAITIS a nome della Commissione europea del 20/12/2018. La risposta del Commissario Laddove nessuna legislazione specifica preveda indicazioni particolari per gli alimenti a base di carne, sono da applicare le disposizioni del Regolamento (UE) n. 1169/20111, che stabilisce le regole generali di etichettatura. Il regolamento contiene una serie di disposizioni che consentono agli Stati Membri di agire quando considerano determinati termini come fuorviante o disinformazione per i consumatori. A tale riguardo, l’articolo 7, paragrafo 1, lettera a) del regolamento chiede che le informazioni sugli alimenti non siano fuorvianti per quanto riguarda le caratteristiche dell’alimento e, in particolare, per

Preparazione a base di fagioli rossi. quanto riguarda la sua natura e composizione. Gli Stati Membri hanno la responsabilità primaria dell’applicazione e della corretta attuazione di tale legislazione. La Commissione ritiene che le disposizioni di cui sopra forniscano agli Stati Membri elementi e criteri utili per agire in caso di uso di termini ingannevoli sui prodotti alimentari. L’articolo 36, paragrafo 3, lettera

b) del regolamento prevede che la Commissione adotti un atto di esecuzione in data la fornitura volontaria di informazioni relative all’idoneità degli alimenti per vegetariani o vegani. In questa fase la Commissione non è in grado di impegnarsi in una data specifica per l’adozione di questo misura o sul suo contenuto. Fonte: © World Food Press Agency

Interrogazione dell’on. Tom Vandenkendelaere (PPE) Oggetto: uso inappropriato del termine “carne” per prodotti vegetariani (10/11/2018) Con l’aumento delle alternative di “carne vegetariana” o “vegana”, c’è anche un numero crescente di denominazioni alternative per questi sostituti della carne. Nel marketing, i termini sono spesso utilizzati in modo creativo per presentare il prodotto ai consumatori in modo attraente. Tali informazioni possono tuttavia essere interpretate in modo fuorviante. Le parole “burger”, “filetto” o “schnitzel”, ad esempio, implicano che si tratti di prodotti a base di carne, mentre in realtà sono vegetariani. Alla luce di quanto precede, può la Commissione rispondere alle seguenti domande: • ritiene infatti che tali nomi possano essere fuorvianti per il consumatore e che determinati termini come “burger”, “schnitzel” o “filetto” debbano essere utilizzati solo in relazione a prodotti di origine animale?; • ritiene opportuno stabilire norme europee inequivocabili sulla denominazione dei prodotti sostitutivi della carne, in modo da rafforzare il mercato interno a tale riguardo, considerando il fatto che norme diverse in materia si applicano attualmente in diversi Stati Membri?

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Prospettive della produzione di suini nell’UE: 2018-2030 Il consumo di carni suine nell’UE diminuirà, ma questa diminuzione sarà compensata da maggiori esportazioni e da una domanda globale di importazioni che continuerà a crescere

S

Produzione i prevede che la produzione complessiva di suini continuerà ad aumentare grazie al miglioramento dei tassi di fertilità e di conversione dei mangimi, legati al miglioramento della genetica e dei sistemi di produzione. Alla fine del periodo di previsione, in un contesto di calo della domanda interna, la produzione di carni suine dell’UE

dovrebbe diminuire leggermente (–0,2% all’anno). Commercio Si prevede che la domanda globale di importazioni di carne suina crescerà, ma più lentamente rispetto al decennio precedente. È previsto un tasso annuo dello 0,7% nel periodo di previsione (+724 000 t in totale), col raggiungimento di 8,7 milioni di

tonnellate entro il 2030. È probabile che vi sarà una crescita significativa in due importanti partner commerciali del UE in Asia: Filippine (+155.000 t) e Vietnam (+112.000 t). Se la domanda cinese di carne suina proveniente dall’UE aumenterà considerevolmente a causa dell’impatto della PSA in Cina, le prospettive per il 2019 cambieranno con l’aumento dei prezzi dell’UE.

Allevamento suino a Madeira. I consumi pro capite di carne suina nell’UE diminuirono considerevolmente nel 20122013, quando i prezzi elevati indebolirono la competitività della carne suina rispetto alle altre carni. Da allora, il consumo si è ristabilito ed è rimasto sopra i 32 kg pro capite all’anno (photo © Marcelo de Breyne).

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D’altro canto, se vi saranno nuovi focolai di PSA nell’UE, in particolare se uno dei principali paesi esportatori sarà interessato, i flussi commerciali dell’Unione Europea potrebbero essere notevolmente interrotti. La Russia dovrebbe continuare a vietare le importazioni di prodotti a base di carni suine dell’UE fino alla fine del 2019. Tuttavia, anche se il divieto venisse abolito, gli ambiziosi obiettivi di autosufficienza del paese e il minore potere d’acquisto porteranno ad una diminuzione delle importazioni dalla UE. L’indice di autosufficienza della Russia è già aumentato dal 79% del 2013 al 91% del 2018. Inoltre, da dicembre 2017, la Russia ha anche vietato l’importazione di carni suine brasiliane per timore che la sua carne contenga il promotore di crescita ractopamina. Ciò è accaduto nonostante il Brasile avesse una quota del 90% delle importazioni di carni russe nel 2017. Pertanto, la Russia nel 2018 è risultata praticamente autosufficiente.

Tuttavia, lo scorso novembre, la Russia ha parzialmente sospeso questo divieto, consentendo a cinque fornitori brasiliani di riprendere le spedizioni, anche se esclude ancora le grandi aziende. La produzione di carni suine negli Stati Uniti sta aumentando rapidamente e, quindi, la sua disponibilità per l’esportazione. Dati i prezzi competitivi degli Stati Uniti, si prevede che aumenterà la sua quota nelle esportazioni mondiali, mentre l’UE diminuirà leggermente. Si prevede poi che la produzione del Brasile crescerà ancora più velocemente che negli Stati Uniti, ma la crescita alimenterà principalmente il suo mercato interno e la sua partecipazione al commercio internazionale rimarrà ai livelli attuali. Si prevede che le esportazioni dell’UE cresceranno lentamente, raggiungendo quasi 2,7 milioni di tonnellate alla fine del periodo di previsione. Ciò rappresenterebbe circa il 30% del commercio mondiale di

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celle di maturazione

carni suine, mentre gli Stati Uniti rappresenteranno fino a un terzo. Consumo Il consumo dell’UE dovrebbe rallentare lentamente. Il consumo pro capite di carne suina nell’UE diminuì considerevolmente nel 2012-2013, quando i prezzi elevati indebolirono la competitività della carne suina rispetto alle altre carni. Da allora, il consumo si è ristabilito ed è rimasto sopra i 32 kg pro capite all’anno, con alcune fluttuazioni in base ai livelli di disponibilità. Nel 2018, con disponibilità elevata, il consumo dovrebbe aumentare fino a 32,5 kg. A più lungo termine, il consumo pro capite dovrebbe iniziare a diminuire lentamente fino a 31,6 kg entro il 2030. Si prevede che le differenze tra il consumo pro capite nell’UE 15 e nell’UE-N13 continueranno a 30,5 kg e 36,4 kg, rispettivamente, nel 2030. Fonti: DG Agri/Unione Europea www.3tre3.it

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Peste suina africana: giocare d’anticipo è l’unica chance Il punto sull’avanzamento geografico della malattia e sulle strategie di riduzione del rischio per il nostro Paese di Giulia Mauri

I

l Servizio Sanitario Regionale dell’Emilia-Romagna ha organizzato un’intera giornata di corso sulla peste suina africana (PSA o, in inglese, ASF-African Swine Fever). L’incontro dal titolo “Peste suina africana: aggiornamenti sulla malattia, misure di prevenzione e possibili conseguenze sulla filiera del comparto suinicolo” si è tenuto nella prestigiosa sede bolognese di FICO Eataly World e aveva appunto lo sco-

po di formare veterinari, allevatori e tecnici faunistici su questa malattia, che da alcuni anni presenta un crescendo di pericolosità per i territori europei e italiani: «è un problema incombente sull’Europa continentale» ha commentato il sempre misurato GIUSEPPE DIEGOLI. La malattia La malattia è stata presentata da GIAN MARIO DE MIA dell’IZS-UM di

Perugia, presso il quale ha sede il Centro di Referenza Nazionale per le pesti suine. Responsabile dell’infezione è un virus molto resistente, che sopravvive in un range di pH compreso fra 4 e 10, contesto efficace per eliminare molti altri virus. Nelle carni non cotte sopravvive per mesi, in quanto l’acidificazione di queste non è efficace ad inattivarlo. Anche l’affumicatura e la stagionatura delle carni non sono sempre risolutive,

In allevamento gli animali vanno controllati frequentemente e sui capi morti è necessario svolgere la sorveglianza passiva eseguendo esami di laboratorio per ricercare il virus.

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proprio come molti altri processi di lavorazione alimentare, soprattutto quelli eseguiti a livello casalingo. Nei prosciutti sopravvive 3-6 mesi, 15 settimane nelle carni refrigerate e per anni in quelle congelate. Nell’ambiente esterno, il virus resiste per mesi e mesi, tanto più a basse temperature e in particolar modo nelle carcasse di animali morti per la malattia. Questa colpisce sia i suini domestici sia i selvatici, provocando tassi di mortalità elevatissimi, anche del 90-100%. I pochi capi che sopravvivono all’infezione non producono una difesa immunitaria efficace e possono riacutizzare in un secondo momento, oltre a costituire un potenziale rischio di infezione per i conspecifici indenni. L’incubazione — secondo stime dell’OIE — è di 4-19 giorni; la via di infezione è quella oro-nasale e i sintomi delle infezioni acute sono legati a febbre molto alta, macchie rosse e bluastre di varie dimensioni e conformazioni del grugno, delle orecchie e di altre parti del corpo, debolezza estrema, diarrea anche emorragica, sintomi respiratori, aborti spontanei e prole nata morta e debole. La morte sopraggiunge in circa 10 giorni dal contagio. Non esiste alcun vaccino. La diffusione FRANCESCO FELIZIANI, sempre in forze all’IZS-UM ha presentato la situazione epidemiologica attuale della malattia. La PSA che ci preoccupa oggi (in Sardegna è presente da circa 40 anni, ma con un genotipo differente) ha abbandonato l’Est Africa nel 2007 ed è approdata nel Caucaso. Da qui — anche grazie all’instabilità politica della regione e agli scontri bellici presenti — si è diffusa nella Russia occidentale e Nord occidentale e pian piano — ad una velocità anche di 70 km all’anno — si è spostata verso Ovest e Est. Ha raggiunto l’Ucraina, i Paesi baltici, le frontiere della Polonia e della Repubblica Ceca, l’intera Romania e, nell’autunno del 2018, ha fatto una comparsa a sorpresa in Belgio, in una zona di confine fra Lussemburgo e Francia. Verso Est si è diffusa tanto da penetrare in Cina,

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La trasmissione della PSA può avvenire tra domestico e selvatico e viceversa, per esempio tra suini domestici infetti che pascolano all’aperto e cinghiali selvatici, o nel caso in cui questi ultimi possano avere accesso ad alimenti infetti (photo © Wojciech Nowak – stock.adobe.com). dove in appena 3 mesi ha raggiunto una copertura quasi totale della nazione e ora preme al confine con Vietnam, Laos e Myanmar. «Gli scenari che possiamo studiare sono molto diversi, ciascuno di questi Paesi ha realtà differenti, con infezioni in percentuali molto variabili fra suini e cinghiali», ma in tutti i casi la malattia è riuscita a diffondersi con efficacia. Nella zona dell’ex blocco sovietico siamo forse di fronte ad una sottostima delle segnalazioni (l’OIE, la UE e l’Italia prevedono l’obbligo di notifica per questa malattia), ma i suini malati sono risultati circa il doppio dei cinghiali colpiti. Nei confini a Est dell’Europa appena il 5% dei casi interessano i suini. Nel Delta del Danubio si è registrata un’esplosione di focolai domestici, i colpiti sono quasi tutti suini. In Belgio, una volta individuati cinghiali morti, i suini della zona sono stati abbattuti e ora si combatte per cercare di arginare l’area interessata dall’infezione fra i cinghiali. «La conclusione che possiamo trarre è che la PSA è una malattia complessa e poco conosciuta, si diffonde in contesti differenti per cui è difficile standardizzare e concordare misure efficaci. Porta ad una situazione epidemiologica articolata e le norme UE ora in vigo-

re in generale sono più efficaci per fronteggiare nuove epidemie, meno per contrastare le endemie, in cui una malattia è presente e emerge sporadicamente. E la PSA ha la tendenza a divenire una malattia endemica su un territorio». Il ciclo della peste suina africana in contesti domestici e di allevamento è complesso perché — data l’alta resistenza del virus — questo può essere trasportato con vettori inanimati di vario tipo. Carni refrigerate o lavorate trasportate lontano dal luogo di lavorazione costituiscono un vettore molto efficace se non vengono smaltite in modo adeguato. Sicuramente infatti un elemento fondamentale alla sua capacità di diffusione è dato dal fattore umano: data la grande connessione dell’Italia verso i Paesi dell’Est Europa — scambio di merci anche a livello informale di ridotte quantità, movimento di veicoli e, soprattutto, movimento di persone — il rischio di un contagio dei nostri territori è piuttosto elevato. Per questo al Ministero della Salute stanno preparando volantini informativi che riportano indicazioni di comportamento per i viaggiatori. Un altro fattore del ciclo domestico della PSA è costituito dall’alimentazione degli animali con scarti di cucina: questo significa esporli

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Il ciclo della peste suina africana in contesti domestici e di allevamento è complesso perché, data l’alta resistenza del virus, questo può essere trasportato con vettori inanimati di vario tipo. ad un rischio elevatissimo. Eppure è una prassi molto consolidata negli ambienti rurali e negli allevamenti famigliari, soprattutto in quei Paesi in cui si è avuta e si ha la circolazione della malattia. Come dimostrato nella diffusione galoppante registrata nell’Est, nel Caucaso e in Cina. Infine, il contatto anche sporadico con cinghiali — tipico degli allevamenti bradi, semibradi o con aree all’aperto definiti backyard — è un altro elevato fattore di rischio: anche questo è un fenomeno tipico dei Paesi dell’ex blocco sovietico. Della questione dei cinghiali, però, ci occuperemo in un successivo articolo. La prevenzione in allevamento Le misure di prevenzione e controllo per minimizzare il rischio di diffusione dell’infezione negli allevamenti di suini sono state illustrate da SILVIA BELLINI dell’IZS-LER: «dobbiamo muoverci sul fronte della prevenzione» ha esordito. Questo significa che, a livello di Ministero della Salute, si procede redigendo Piani di Emergenza, svolgendo simulazioni e rinverdendo la formazione degli addetti. Tutte le figure del settore (servizi veterinari, allevatori, cacciatori, ecc…) devono essere coinvolte nel riconoscimento

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tempestivo di eventuali focolai. E, a livello di allevamenti, bisogna implementare fortemente la biosicurezza: evitare che la malattia entri nel capannone, perché, se accade, tutti i suini muoiono o vengono abbattuti ed eliminati. Ad esempio, il documento pubblicato dall’OIE nel 2010 Good Practices for Biosecurity in Pig Sector può essere di aiuto. Innanzitutto gli imprenditori devono puntare sulla biosicurezza esterna: bisogna separare efficacemente gli animali dell’allevamento dal territorio circostante con recinzioni e controlli degli accessi. La pulizia e disinfezione degli edifici, delle persone, di abiti e calzature di lavoro, dei veicoli deve essere svolta. In allevamento devono essere disponibili i disinfettanti adatti, nelle quantità necessarie e vanno usati in modo corretto. L’acquisto di prodotti (mangimi, ecc…) e animali dall’esterno deve essere vagliato: i fornitori vanno selezionati per le garanzie di biosicurezza e sanità del loro prodotto e delle loro pratiche. Ed è opportuno ridurre il numero di fornitori. I trasporti per e dall’allevamento devono essere compiuti con camion preferibilmente di proprietà e comunque lavati e disinfettati in maniera adeguata. Inoltre,

devono essere eseguiti monocarichi ovvero per ogni trasporto il camion deve caricare solo gli animali di un unico allevamento. L’area di carico e scarico all’interno della struttura deve essere pulita e disinfettata. Gli animali introdotti devono essere sottoposti a quarantena di 30 giorni e mantenuti in isolamento fisico dal resto dell’allevamento. La zona di quarantena deve essere gestita con il sistema tutto pieno / tutto vuoto oppure, ad ogni introduzione di nuovi capi, l’intero gruppo deve ricominciare il periodo di quarantena di 30 giorni. Il personale che li segue dovrebbe essere diverso da quello del resto della struttura oppure dovrebbe gestire i capi neointrodotti dopo quelli presenti nell’azienda da più tempo. Gli animali vanno controllati frequentemente e, sui capi morti, è necessario svolgere la sorveglianza passiva eseguendo esami di laboratorio per ricercare il virus. In caso di focolaio Gli eventuali focolai vanno segnalati immediatamente perché più è ridotta l’area interessata e più efficace è l’eradicazione della malattia. Tanto tempestivo deve essere il riconoscimento, tanto rapida l’azione di eradicazione. I capi malati e potenzialmente infetti vanno abbattuti e smaltiti in sicurezza, le procedure di pulizia e disinfezione vanno portate avanti con estrema cura. La movimentazione all’interno e verso l’esterno dell’area del focolaio va ristretta, vengono istituite le zone di protezione e di sorveglianza — rispettivamente di 3 km e 10 km di raggio dal focolaio — e la regionalizzazione di tutti i prodotti a rischio: animali, embrioni, seme, prodotti e sottoprodotti oltre che scarti di produzione. Lo sforzo è notevole, ma è l’unico sistema per evitare che la malattia si diffonda nel territorio divenendo endemica, cosa che avrebbe conseguenze catastrofiche e di lungo periodo a livello economico, commerciale, produttivo e sociale, come ha illustrato DAVIDE CALDERONE, presidente di ASS.I.CA. Giulia Mauri

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Intervento realizzato con il cofinanziamento FEASR del Piano di Sviluppo rurale 2014-2020 della Regione Toscana sottomisura 3.2


LA CARNE IN RETE

Social di Elena

2. Animale intero e frollatura da Whole Beast Butchery 1. BomBeef, qualità, varietà e comunicazione Brasiliani di Ponta da Praia, Santos, NETÃO SIMÕES e famiglia gestiscono BomBeef, una realtà attiva dal 1986. Lavorano carni e tagli selezionati e comunicano veramente bene attraverso il loro sito, bombeefsantos.com.br, un canale Youtube che vanta 160.000 iscritti e una serie di workshop a pagamento sulla preparazione del churrasco e dei burger. Bravissimi (photo © bombeefsantos.com.br).

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Lui si chiama MARCUS PAPADOPOULO ed è titolare a Potts Point, Sydney, Australia, di Whole Beast Butchery. La sua filosofia si basa su due capisaldi: lavorare l’animale intero e i lunghi tempi di maturazione delle sue carni selezionate. C’è il racconto delle materie prime, dell’origine delle carni offerte in questa macelleria, che ogni giorno offre tagli nuovi per avvicinare il cliente al consumo di tutto l’animale. Bella la pagina Instagram di Marcus, instagram.com/wholebeastbutchery, che attraverso scatti spartani ai vari tagli, racconta le lunghe frollature e la marezzatura della carne (photo © instagram.com/ wholebeastbutchery).

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meat Benedetti

3. Holy Beef Andate a dare un’occhiata a holybeef.de, la macelleria tedesca Wenisch Metzger & Gastro GmbH di STEFAN WENISCH a Straubing, Baviera. C’è tutto: carni bovine provenienti da allevamenti locali, tagli della razza suina Bäuerlichen Erzeugergemeinschaft Schwäbisch Hall, pastrami e lavorazione di insaccati, servizio al cliente. E, non ultima, una comunicazione a 360° tra sito e canali social che racconta lo stile di Holy Beef (photo © instagram.com/Holy.Beef).

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4. Meatteria, blogger con foto Ne sappiamo poco sul conto di Meatteria, blogger con la passione delle carni, che su Instagram ha l’account instagram.com/meatteria. Certo è che gli scatti sono spesso originali e mettono in risalto marezzature, tagli, cotture, con una predilezione per il BBQ. Come questo bacon roll da passeggio (photo © instagram.com/ meatteria).

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Acquisti on-line: in aumento alimenti confezionati e food delivery Gli acquisti on-line dei prodotti di largo consumo confezionati e freschi nel mondo sono cresciuti del 15% negli ultimi due anni (2018 vs 2016), a dimostrazione di un effettivo aumento della sicurezza dei consumatori nel fare la spesa on-line. Il primo segnale di questo aumento è l’ampliamento della gamma delle categorie acquistate ed emerge dal Nielsen Connected Commerce Report. Il Report 2018, che mette a fuoco le abitudini di consumo on-line, ha riportato che il 95% dei consumatori globali connessi a internet ha compiuto almeno un acquisto on-line, in crescita dell’1% rispetto al 2017 e del 2% rispetto al 2016. La ricerca evidenzia anche che il 26% dei consumatori multicanale ha acquistato prodotti freschi on-line, con un incremento del 15% rispetto al 2016. Ciò contribuisce alla crescita complessiva del settore eGrocery (largo consumo on-line), stimata intorno ai +70 miliardi di dollari americani negli ultimi due anni. Le categorie merceologiche che maggiormente sostengono l’e-commerce in Italia sono viaggi, libri e musica, e moda (abbigliamento/accessori), che continuano a occupare la quota più ampia delle transazioni on-line (rispettivamente il 61%, 56% e 56% dei consumatori ha acquistato queste tipologie di beni almeno una volta nell’ultimo anno). Al contempo, le classi di prodotto che hanno fatto segnare la crescita più significativa appartengono al largo consumo e riguardano il mondo del cura persona (+12%). Di seguito le percentuali di consumatori italiani che hanno acquistato le seguenti categorie di prodotto on-line e incrementi 2018 vs 2017: viaggi 61% (+9%); libri e musica 56% (+5%); moda 56% (+11%); biglietti per eventi 46% (+9%); bellezza e cura persona 40% (+12%); elettronica di consumo 40% (+7%); smartphone e PC 37% (+6%); videogame 27% (+7%); arredamento 26% (+11%); pet food 21% (+5%); cura della casa 21% (+7%); medicinali e dispositivi medici 20% (+5%); alimenti confezionati 18% (+7%); bevande alcoliche 16% (+6%); ordini a ristoranti 16% (+7%); prodotti per l’infanzia 12% (+2%); fiori o set regalo 8% (+1%); alimenti freschi 7%. «Con la diffusione dei consumi on-line, la costante evoluzione degli spazi occupati dall’e-commerce ha assottigliato i confini tra il canale di vendita fisico e quello virtuale» sottolinea Christian Centonze, FMCG Solutions Leader di Nielsen in Italia. «Alcuni anni fa l’e-commerce era incentrato sull’acquisto di servizi e beni non deperibili, come i viaggi, la moda e i libri. Oggi stiamo assistendo all’aumento degli acquisti in nuove categorie merceologiche. In prospettiva, i comportamenti di acquisto on-line saranno guidati da innovazioni digitali come l’assortimento sempre più personalizzato sulla base di spese pianificate e customer journey» (fonte: © World Food Press Agency).

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AZIENDE

Il “ritorno” del maiale Omega-3 nella filiera certificata Il progetto dell’azienda modenese Cura Natura delle carni suine con un maggior contenuto di grassi insaturi ha ottenuto il certificato di tracciabilità per tutte le fasi di produzione, dalla formula mangimistica al prodotto finale

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l GRUPPO FERRI di Castelvetro (MO), che con il marchio Cura Natura alleva suini con carni ad alto contenuto di Omega-3, ha recentemente ottenuto la certificazione di rintracciabilità di filiera. L’attestato rilasciato da CERTIQUALITY garantisce il controllo dell’intero ciclo di produzione della carne Omega-3, a partire dalla produzione dei mangimi studiati dal Gruppo, alle metodiche di allevamento, per passare alle fasi successive di macellazione, trasformazione, confezionamento e vendita. Un circuito virtuoso che parte dalla carne fresca ma potrà vedere coinvolti nella Filiera Omega-3 — prima in Italia ad essere certificata —, tutti i partner che vorranno condividerne il protocollo. Ricordiamo che il progetto Omega-3

si basa sullo studio dell’alimentazione suina a livello storico, quando il maiale si nutriva di erbe e ghiande nelle selve e le sue carni erano per questo più dotate dei preziosi grassi insaturi. Quegli stessi valori nutrizionali oggi ritornano nelle carni Cura Natura grazie ad una formula mangimistica a base di elementi vegetali ricchi di Omega 3 che richiama i nutrimenti dell’animale in natura. La recente certificazione si aggiunge infine a quelle già ottenute riguardanti la “ricetta mangimistica con contenuto garantito di Omega-3” e l’allevamento di “suini con carni ad alto contenuto di acidi grassi polinsaturi Omega-3”. Si completa così un percorso che ha impegnato il Gruppo Ferri in questi anni a studiare il rapporto causa/effetto nelle

diete somministrate ai suoi suini per ottenere e portare sul mercato una carne “nuova” dal sapore antico con contenuti nutrizionali costanti, garantiti e tracciabili. Obiettivo della certificazione è infatti garantire i valori di Omega-3 nella carne suina in tutti i suoi passaggi fino alla tavola, con la possibilità anche per il consumatore di rintracciare sempre le informazioni fin dall’origine.

La filiera Cura Natura per le carni suine Omega-3 Nella Filiera Omega-3 Cura Natura tutti i soggetti aderenti al progetto — il produttore di mangimi Ferri Group, Azienda Agricola Cura Natura e allevatori partner, macelli, trasformatori, trasportatori — sono protagonisti di un percorso di qualità innovativo, rintracciabile e garantito, dall’allevamento alla tavola. Cura Natura Società Agricola by Ferri Group Via Rio Scuro 5 41014 Castelvetro di Modena (MO) Telefono: 059 702260 Web: www.curanatura.mo.it

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Amor di Burger: un burger per gli innamorati In occasione di San Valentino You&Meat torna con l’edizione limitata di uno dei suoi burger gourmet: Amor di Burger

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n burger a forma di cuore per celebrare la festa degli innamorati: questa l’idea di CENTRO CARNI COMPANY, produttrice del marchio You&Meat. Amor di Burger è realizzato con carne di scottona, rispettando la ricetta tradizionale di You&Meat. Perfetto

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per preparare un piatto originale da condividere durante la cena di San Valentino, sarà venduto in serie limitata solo nel mese di febbraio. Il brand di Centro Carni Company You&Meat nasce nel 2015 per portare in tavola un burger gourmet,

ricavato da pregiati tagli anatomici, comunemente utilizzati per la preparazione di altri piatti. Un’ambiziosa scommessa, una ricerca e una ricetta frutto di un anno di studio e di test organolettici, che hanno visto in azione tutte le aree di competenza dell’azienda.

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La sua unicità sta nella sua diversità: un ventaglio di proposte volte ad “educare” il palato del consumatore ai diversi gusti della carne. You&Meat propone, infatti, un vero e proprio viaggio nel mondo delle razze bovine: dalla Chianina IGP “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale”, conosciuta per la sua succulenza, all’Aberdeen Angus Sired, dal gusto deciso, per arrivare alla Piemontese, caratterizzata da un gusto delicato. La mission di You&Meat è, quindi, quella di offrire un prodotto in linea con i trend del momento, valorizzando gusti unici e tradizionali, stimolando la cultura del buon cibo.

Scheda tecnica • • •

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• >> Link: www.youandmeat.com www.centrocarnicompany.com

Nome: Amor di Burger. Brand: You & Meat. Burger gourmet di scottona a forma di cuore realizzato con i tagli anatomici dell’anteriore e del posteriore. Peso al pezzo: 180 g. Confezione: in skin, singola Ingredienti: carne bovina (85%), acqua, fiocchi di patata, sale, fibra vegetale da agrumi, pisello e carota, aromi naturali, antiossidante: acido ascorbico; spezie. Limited & Special Edition: Valentine’s day.

La carne in provetta non piace a 3 Italiani su 4 Lo ha dichiarato Coldiretti in base ai dati dell’indagine Ixè relativamente al via dato dalla Federal Drug Administration degli Stati Uniti alla vendita della cosiddetta “carne sintetica”, realizzata attraverso colture cellulari. Secondo quanto sottolineato da Coldiretti, il 75% degli intervistati ha espresso un’opinione negativa sull’arrivo della carne ottenuta in laboratorio in particolare perché “preoccupato delle ripercussioni dell’applicazione di queste nuove tecnologie ai prodotti alimentari per le quali alle forti perplessità di natura salutistica si aggiungono quelle di carattere etico“. Secondo il presidente di Coldiretti Ettore Prandini, i dati confermano il fatto che «dietro i ripetuti e infondati allarmismi sulla carne rossa c’è una precisa strategia delle multinazionali», e che «si tratta di un’abile operazione di marketing che punta a modificare stili alimentari naturali fondati sulla qualità e la tradizione». È inoltre recente la notizia dell’inversione di tendenza dei consumi di carne che ricominciano a salire: nel 2018 la spesa delle famiglie italiane per la carne è infatti aumentata di oltre il 3%, la percentuale più alta degli ultimi sei anni, durante i quali, invece, si era assistito ad un brusco calo dei consumi (dati Ismea relativi al primo semestre). E, sempre secondo l’indagine Coldiretti/Ixè, come per molti altri alimenti, il 45% degli Italiani privilegia la carne proveniente da allevamenti italiani, il 29% sceglie carni locali e il 20% quella con marchio Dop, Igp o altre certificazioni di origine. Vola, infatti, il consumo di bistecca “Doc”, con un balzo del 20% nel numero di animali di razze storiche italiane allevati negli ultimi 20 anni sulla base delle iscrizioni al libro genealogico. Coldiretti conclude ricordando che l’attività di allevamento ha un ruolo fondamentale nel preservare paesaggi, territori, tradizioni e culture poiché quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere lo spopolamento e il degrado spesso da intere generazioni. (Fonte: Coldiretti – UNAItalia)

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COMUNICARE LA CARNE

La presentazione durante la seconda edizione di Selvatica

Marchio di filiera della selvaggina emilianoromagnola: si parte! di Gaia Borghi

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uello di oggi deve essere considerato solo il punto di partenza di un percorso che potrebbe portarci, perché no, alla realizzazione di un marchio nazionale della selvaggina italiana. Guardiamo alla Francia per esempio: i nostri vicini di casa da diversi anni hanno un marchio nazionale che identifica la provenienza venatoria della loro carne (Gibier de chasse-Chasseurs de France). Per farlo si sono messe d’accordo

circa 200 associazioni di cacciatori: questo significa che, volendolo davvero, anche noi possiamo riuscirci». A parlare è MICHELE MILANI, editore, pubblicitario, consigliere del GAL del Ducato delle due province di Parma e Piacenza e organizzatore di Selvatica, appuntamento giunto alla sua seconda edizione dedicato alla selvaggina e ai profumati prodotti del bosco. Sede dell’evento, come per la prima edizione, una delle splendide sale di Palazzo Albergati

di Zola Predosa, nella campagna bolognese. Michele è stato uno dei relatori intervenuti al convegno svoltosi durante Selvatica e dedicato alla presentazione del marchio che identificherà la carne di Selvaggina di filiera dell’Emilia-Romagna. Animali selvatici abbattuti da cacciatori formati e informati la cui carne è in possesso di particolari requisiti, quelli che rendono tale una filiera per intenderci, ovvero tracciabilità, sicurezza e trasparenza della

Michele Milani a Palazzo Alberagti durante la presentazione del marchio“Selvaggina di filiera dell’Emilia-Romagna”. 46

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provenienza, a tutto vantaggio di consumatori, ristoratori e “conferitori-cacciatori”. Selvaggina, scelta etica e salutare A dirigere l’incontro il giornalista MAURIZIO DONELLI, caporedattore del CORRIERE DELLA SERA. «Ci sono tante ragioni per scegliere la carne di selvaggina» ha ricordato Donelli. «Proviene da animali che vivono liberi, cibandosi di alimenti che non subiscono sofisticazioni ma che trovano naturalmente nel loro ambiente. È una carne con eccezionali caratteristiche organolettiche e nutrizionali, ricca di vitamina B12 e B3 e di amminoacidi essenziali per il nostro benessere. Vanta un buon rapporto tra acidi grassi saturi e polinsaturi e un rapporto ottimale tra acidi Omega-6 e Omega-3, oltre ad essere ricchissima di ferro e proteine, e quindi ideale per combattere anemia e affaticamento, e davvero povera di calorie. Infine, è naturalmente priva di residui farmacologici e decisamente sostenibile, in quanto garantisce una minor produzione di CO2 rispetto agli animali allevati». Risorsa del territorio e garanzia per il consumatore L’Emilia-Romagna, dal canto suo, è una regione “pilota” per quello che concerne la selvaggina. A confermarlo, in videoconferenza, è l’assessore regionale all’agricoltura, caccia e pesca SIMONA CASELLI. «Da tempo come regione abbiamo riconosciuto il ruolo sociale che ha il cacciatore nella tutela dell’ambiente e nel controllo della fauna selvatica, negli ultimi anni cresciuta in maniera esponenziale e diventata una vera e propria calamità per agricoltori, imprenditori e cittadini. Solo con la creazione di una filiera controllata e certificata delle carni di selvaggina, per la quale in Emilia-Romagna già da dieci anni abbiamo a disposizione una legislazione ad hoc, è possibile trasformare un problema anche di sicurezza del territorio in una risorsa economica e alimentare». Da l’anno scorso la valorizzazione delle carni di selvaggina attraverso la creazione di una filiera,

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Una delle locandine in cui alcuni chef emiliano-romagnoli, in questo caso Igles Corelli, sono testimoni della bontà delle carni di selvaggina di filiera dell’Emilia-Romagna. e quindi di un marchio collegato, è approdata, soprattutto grazie alla presenza di Michele Milani all’interno del consiglio, negli uffici del GAL del Ducato, società pubblico-privata costituita allo scopo di gestire la realizzazione di progetti indirizzati allo sviluppo economico del territorio delle province di Parma e Piacenza, in particolare al sostegno delle aree rurali e dei territori montani. «Il progetto di una filiera controllata della carne da selvaggina emilianoromagnola coinvolge i diversi soggetti che a vari livelli intervengono nel processo di “produzione” di

questa carne venduta e consumata sul territorio regionale» spiega MARCO CROTTI, presidente del GAL del Ducato. «Il nostro obiettivo è valorizzare quella che è a tutti gli effetti un’importante risorsa oggi vissuta per lo più come un problema, creare un’opportunità di impresa e tutelare al contempo il consumatore con un marchio che certifichi e garantisca qualità e provenienza della carne: rendere trasparente un mondo in cui oggi sono presenti ancora tanto sommerso e il bracconaggio, creando al contrario una vera cultura del selvatico».

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Solo con la creazione di una filiera controllata e certificata delle carni di selvaggina è possibile trasformare un problema anche di sicurezza del territorio in una risorsa economica e alimentare

I requisiti di accesso alla filiera La filiera è anche un mezzo per salvaguardare il benessere dei selvatici. «La modalità di abbattimento di un animale è il primo requisito perché la carne di quell’animale rientri all’interno di una filiera controllata» prosegue ROBERTO BARBANI, veterinario dell’Azienda USL di Bologna. «Un animale non deve accorgersi di essere cacciato né deve essere braccato, pena, oltre a tanta sofferenza inutile, lo svilimento delle carni, che ne risentono immediatamente». Altrettanto importanti sono un’eviscerazione del capo abbattuto effettuata nel più breve tempo possibile, il trasporto veloce e corretto dal luogo dell’abbattimento fino al primo centro di sosta disponibile in cui la selvaggina possa entrare nella catena del freddo e il successivo spostamento nei centri di raccolta — una quindicina quelli sparsi nella provincia di Bologna —,

momento in cui inizia la frollatura delle carni. «Si tratta di un processo fondamentale grazie al quale la carne perde acqua acquisendo tutti quegli elementi a livello di sapore e consistenza che la rendono un prodotto straordinario in cucina» sottolinea Barbani. «Non esiste il sapore di selvatico: quello che viene così comunemente definito, e che si cerca di eliminare con marinature lunghissime e altrettanto lunghissime cotture — che invece di valorizzare il prodotto, lo sviliscono ulteriormente — è semplicemente il risultato di una non corretta conservazione della carne». Valorizzare un prodotto nostrano Il momento dell’ispezione veterinaria su ogni singolo animale, la scuoiatura, il sezionamento e il disosso con attrezzature e materiali idonei, il congelamento e l’etichettatura finale delle carni: ogni “fase” della filiera deve essere eseguita correttamente, al fine di preservare le proprietà organolettiche della carne e assicurarne la qualità dal punto di vista sanitario. «Il consumatore cerca sempre più spesso carni a km 0 ma questo non vale per la selvaggina: oltre l’80% delle carni selvatiche servite oggi nei nostri ristoranti proviene dall’estero, se non una percentuale ancora maggiore» prosegue Barbani. Fortunatamente, nella provincia di Bologna, questa filiera si è evoluta anche grazie al

Questo marchio identifica gli operatori (macellerie, negozi e ristoranti) che aderiscono al progetto nato per valorizzare la carne di selvaggina da filiera controllata dell’Emilia-Romagna. Garantisce che il prodotto acquistato all’interno di questo circuito è di qualità eccellente, è sicuro da un punto di vista sanitario e proviene esclusivamente da territorio gestito. Una filiera corta, controllata e certificata di carni di selvaggina locale è un mezzo importante per tutelare l’ambiente, salvaguardare il benessere degli animali selvatici e ridurre il bracconaggio. Consumare la carne di selvaggina cacciata rispettando regole, ambiente e territorio è una scelta di valore, che contribuisce alla conservazione, alla promozione e allo sviluppo dell’Appennino e della montagna.

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lavoro di due imprenditori che si sono presi a carico un problema spinoso come quello della selvaggina cacciata in selezione o controllo (ossia di quegli animali, ungulati soprattutto, destinati all’abbattimento a causa di una presenza eccessiva sul territorio): la FAMIGLIA ZIVIERI, proprietaria dell’omonima macelleria di Zola Predosa e del macello dedicato alla selvaggina situato a Castel di Casio (BO), e la FAMIGLIA ALEOTTI, dell’Azienda Agricola Sant’Uberto di Monterenzio (BO). ROBERTO e LUCIA ALEOTTI, presenti al convegno, hanno confermato la crescita dell’interesse da parte di consumatori e ristoratori per la loro carne e per i salumi di selvaggina italiana e la conseguente crescita dell’azienda, i cui prodotti sono oggi presenti anche nella Grande Distribuzione (Coop, Metro) oltre che in diverse macellerie, della provincia e non, trovando acquirenti persino in Austria, una nazione con una lunga tradizione di consumo di questa carne. Degli intenditori insomma. Il valore di un marchio Tutti gli operatori, dai cacciatori, alle macellerie, ai ristoranti che aderiscono alla filiera della carne da selvaggina dell’Emilia-Romagna, saranno riconoscibili dal marchio creato da un’agenzia selezionata attraverso un bando del GAL del Ducato. «Abbiamo pensato ad un progetto di comunicazione a 360 gradi» conclude Milani. «Gli studi e le analisi effettuate a sostegno del progetto di valorizzazione di queste carni all’interno di una filiera controllata hanno fatto emergere numeri davvero importanti in termini di valore e di ricaduta economica sul territorio. Anche a livello grafico, quindi, con i diversi animali nella parte bassa del marchio, sotto l’immagine stilizzata dell’EmiliaRomagna, si è voluto far passare il messaggio che la selvaggina, se valorizzata nel modo giusto, può contribuire a sostenere economicamente la nostra regione». E forse il maiale, re incontrastato della tavola dell’Emilia-Romagna, dovrà far spazio al “cugino di bosco”. Gaia Borghi

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Il benessere animale per gli animalisti del CIWF è un pretesto per esistere «È ora di finirla di subire da parte di sigle che per campare devono inventarsi di volta in volta nemici e carnefici da perseguire»: è questo il commento di FABIANO BARBISAN, presidente dell’A.O.P. Italia Zootecnica, a fronte della petizione lanciata da CIWF per non ingannare — a loro detta —, i consumatori con le etichette del “benessere animale”. «Queste persone, che vivono sulle loro barricate, senza mai entrare di giorno in un allevamento, alimentano timori e paure, confidando che tutti stiano zitti a fronte delle loro crociate. Noi non ci stiamo e li sfidiamo a dimostrare che le etichette sul benessere animale sono, come dicono loro “fantasiose e fuorvianti”. Mentono sapendo di mentire, solo per fare clamore poiché, in Italia, dal 2000, esiste l’etichettatura facoltativa delle carni bovine, regolata da un Decreto ministeriale che oggi fa riferimento al Reg. EU 653 del 2014 e nessuno può dare informazioni “fantasiose” poiché le etichette e ciò che in esse viene scritto sono controllate da organismi di controllo accreditati al Ministero delle Politiche Agricole e da un nugolo di ispettori che vanno dall’ICQRF (Istituto Controllo Qualità Repressione Frodi) ai Carabinieri del NAS, ai vigili urbani, ai carabinieri forestali, ai veterinari ufficiali, ispettori, fino ai gestori dei Disciplinari di etichettatura, che sono i primi a controllare che le etichette e le informazioni siano veritiere. E siamo stati noi produttori ad evitare lo scempio in Europa, sostenuto “dall’Industria dell’anonimato”, che voleva nel 2014 abolire l’etichettatura facoltativa delle carni bovine, per lasciare campo libero a ciò che oggi il CIWF, sbagliando tempistica, adombra. Dov’era in quel periodo il CIWF? Non certo a preoccuparsi di quanto stava succedendo in Europa e delle manovre delle lobby che, tra l’altro, sono riuscite ad abolire l’obbligo di scrivere in etichetta la “sede dello stabilimento di produzione”, ripristinato in Italia con un maldestro tentativo nel 2017 degli ex Ministri Martina e Calenda, che hanno fatto un Decreto, recentemente bocciato dal Tribunale di Roma, perché “non è stato debitamente notificato alla Commissione europea sulla base delle Direttive esistenti”. E veniamo al “benessere animale” tanto a cuore del CIWF. Prima che questa associazione di animalisti nascesse, siamo stati noi imprenditori agricoli, allevatori, a garantire il benessere animale nei nostri allevamenti: solo un deficiente può pensare a trattare male gli animali che rappresentano il reddito aziendale ed il sostentamento della famiglia. E continuiamo a farlo a prescindere da ciò che pensano “animalisti da salotto” che, solo a sentire la “puzza di meda” degli allevamenti, inorridiscono, dimenticando che quella umana puzza di più. Ovvio che l’oste dirà sempre che il suo vino è buono, quindi, per farlo dire a terzi, i nostri allevamenti sono sottoposti a valutazioni fatte da esperti veterinari, appositamente formati dalla sanità pubblica, i quali, muniti di check-list fornite dal Centro di referenza nazionale sul benessere animale, hanno radiografato le nostre stalle, fissando dei parametri, controllati da organismi terzi di controllo, che consentono legalmente di poter scrivere in etichetta che il benessere animale è rispettato. Se ciò non bastasse a tranquillizzare gli “esagitati delle petizioni contro”, li informiamo che al Ministero della Salute hanno fatto altri passi avanti, sempre sul campo delle certificazioni, mettendo a punto un sistema denominato “ClassyFarm”, evoluzione degli attuali sistemi di controllo, che metterà assieme tutte le banche dati dei controlli sanitari pubblici (che sono tante), per farne un sistema di classificazione e certificazione delle aziende che sarà pienamente operativo dal 2021 e, a quanto ci risulta, attualmente è unico a livello europeo. Italia sempre prima! Anche su questo fronte noi allevatori siamo pronti a collaborare e stiamo lavorando con il Ministero delle politiche agricole, per mettere a punto un sistema di comunicazione univoco, che partirà con l’avvio di “ClassyFarm” ed affiancherà il Sistema di Qualità Nazionale Zootecnia, riconosciuto dalla Commissione europea, che utilizzerà il marchio del “Consorzio Sigillo Italiano” per fornire ulteriori informazioni ai consumatori. Per ultimo — conclude Barbisan — aspettiamo che i “guerrieri del CIWF” si degnino a darci la loro disponibilità a visitare i nostri allevamenti, per farli toccare con mano quanto ogni giorno noi allevatori facciamo. Ovviamente la visita non può durare il tempo di fare il giro della stalla: dovrà iniziare la mattina presto, quando entriamo in stalla per accudire gli animali, e terminare quando spegniamo la luce». (Fonte e photo: A.O.P. Italia Zootecnica www.italiazootecnica.it)

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MEAT FRANCHISING

100Montaditos e KFC: cresce il numero di locali in Italia

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a catena spagnola 100Montaditos continua a crescere nel nostro Paese, puntando anche a nuovi mercati, mentre salgono a 30 i locali KFC in Italia.

100Montaditos: raggiunti i 55 locali, ora si punta sugli hamburger In Italia 100Montaditos ha spento nel 2018 le sue prime cinque candeline. L’etichetta spagnola del Gruppo RESTALIA, realtà leader nel franchising della ristorazione, continua con successo a raggiungere importanti traguardi. «In 5 anni abbiamo aperto 55 punti venditi vendita, al ritmo di un locale al mese» ha commentato ANDREA CUTISPOTO, Country Manager Italia. «Un numero elevatissimo, considerando che tutti i nostri locali sono in franchising. Il nostro obiettivo per il 2019 è rafforzare la nostra presenza in città come Roma, Milano, Torino e Napoli, oltre alle regioni dove non siamo ancora presenti. Le location che privilegiamo sono in centri storici e commerciali, anche se stiamo esplorando le potenzialità del settore travel. A livello internazionale siamo invece presenti in 12 Paesi e nel 2019 apriremo il nostro primo locale in Francia, a Lione. Un mercato, quello francese, da cui ci aspettiamo un grande sviluppo». Oltre al brand specializzato in panini, il gruppo ha lanciato una linea di hamburgerie chiamata The Good Burger. La catena del pollo fritto ha raggiunto quota 30 locali Kentucky Fried Chicken chiude il 2018 con tre nuovi ristoranti: a Moncalieri (TO), a Cesano Boscone (MI) e a Catania. Salgono così a 30 i locali KFC distribuiti in Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Toscana e Veneto (fonte: © World Food Press Agency).

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In alto: dal 2013 la particolare gastronomia spagnola ha iniziato ad inserirsi a pieno ritmo nelle abitudini degli Italiani. Le 100 varietà di ingredienti rimangono, senza dubbio, un altro dei segreti della popolarità del marchio (photo © www.facebook.com). In basso: la più famosa catena di ristorazione statunitense specializzata in pollo fritto oggi è presente in oltre 116 paesi in tutto il mondo, con più di 19.000 ristoranti (photo © www.eater.com).

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CARNE E CONSUMI

Consumo di carne tra salute e ambiente di Giovanni Ballarini

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a carne è una buona fonte di energia e di alcuni nutrienti essenziali, comprese le proteine e i micronutrienti come ferro, zinco e vitamina B12, elementi che è possibile assumere in quantità sufficiente anche senza mangiare carne, a patto che vi sia un’ampia varietà di altri alimenti. I futuri cambiamenti nel consumo globale di carne avranno importanti effetti sull’ambiente e sulla salute umana, nonché sull’economia del sistema alimentare, perché è difficile immaginare come il mondo possa fornire

ad una popolazione di dieci o più miliardi di persone la quantità di carne attualmente consumata nella maggior parte dei paesi ad alto reddito senza sostanziali effetti negativi sulla sostenibilità ambientale. Quanto ora conosciamo suggerisce che in alcuni paesi ad alto reddito, con elevati consumi di carni rosse e lavorate (non è il caso dell’Italia), non vi sarà un loro ulteriore aumento. Il consumo di carni sta invece aumentando in molti altri paesi, compresi quelli ad alta densità di popolazione, come la Cina e l’India.

Carne e ambiente La produzione di carne per unità di energia fornita è causa di maggiori emissioni gassose rispetto a quella degli alimenti a base vegetale. Considerando poi i diversi tipi di carne, quella proveniente da animali ruminanti (soprattutto bovini) di solito comporta emissioni maggiori di quella dei mammiferi non ruminanti; a sua volta, la produzione di carne avicola porta a meno emissioni gassose di quella dei mammiferi come i maiali. Per controllare queste emissioni

Mentre nei paesi ad alto reddito il consumo di carne è pressoché fermo o addirittura in calo e in quelli a medio reddito è in forte aumento (soprattutto per scelta e/o ragioni etiche), nei paesi con reddito basso rimane basso (e stabile) anche il consumo di carne. In generale, tra le diverse carni l’aumento maggiore riguarda quelle avicole e quelle suine.

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La crescita dei consumi di carne non è equamente distribuita nel mondo: in molte nazioni ad alto reddito, ad esempio, è statica o persino in calo. Nei Paesi ancora poveri il consumo di carne è rimasto basso e stabile, ma è in quelli emergenti e a reddito medio, come la Cina e altre nazioni asiatiche, che il fenomeno è in forte aumento

gassose, un’attenta gestione dei sistemi di pascolo può contribuire alla cattura del carbonio prodotto dagli allevamenti, ma i benefici netti sembrano relativamente modesti. L’agricoltura utilizza più acqua dolce di qualsiasi altra attività umana e quasi un terzo di quest’acqua è usata negli allevamenti di bestiame, quindi nella produzione della carne. Nelle aree soggette a scarsità o irregolarità di approvvigionamento idrico, l’allevamento del bestiame è un importante concorrente con altri usi dell’acqua, compreso quello necessario per mantenere ecosistemi naturali. La produzione di carne, con le sue deiezioni, può essere un’importante sorgente di azoto, fosforo e altri contaminanti e inquinanti. Inoltre, con diversi meccanismi, influisce sulla biodiversità, in particolare attraverso la deforestazione e la conversione dei territori in pascoli e in colture arabili. Futuro dei consumi di carne Organizzazioni internazionali e sovranazionali e singoli governi effettuano interventi per modificare i consumi e i modelli alimentari per motivi economici e per proteggere la salute dei consumatori da alimenti pericolosi o contaminati. Non vi sono invece sostanziali e chiari accordi su come gli Stati dovrebbero intervenire in concreto, e con quali mezzi efficaci in relazione alla salute nutrizionale dei consumatori, sull’ambiente e sul benessere degli animali che producono carne. Molto delicati e di non provata efficacia, anche con probabili risultati contraddittori, sono i possibili interventi volti a modificare, nei consumatori, i consumi di carne

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attraverso azioni che riguardano la produzione, la vendita, la trasformazione e la distribuzione di carne e di prodotti a base di carne, iniziando dal loro prezzo. Per modificare la domanda di carne da parte dei consumatori sono necessarie maggiori prove sull’efficacia dei diversi interventi volti a influenzare le loro scelte alimentari, comprendendo sia i sistemi decisionali riflessivi che quelli non riflessivi ma inconsci e automatici. I potenziali interventi all’interno di un paradigma di scelta razionale includono i sistemi di etichettatura (basati su criteri sanitari o ambientali), i programmi di certificazione (basati su considerazioni di benessere o ambientali) o fiscali (come le cosiddette tasse sui grassi). In alternativa, le risposte di tipo inconscio o automatico ai segnali ambientali che influenzano i comportamenti di acquisto e consumo possono essere manipolate attraverso modifiche dell’ambiente alimentare, nelle presentazioni di vendita al dettaglio e di consumo. La storia e l’esperienza insegnano che i cambiamenti nei comportamenti alimentari sono lenti e, quando le norme sociali si devono modificare, può essere utile un coordinamento degli sforzi della società civile, delle organizzazioni sanitarie e del governo. Tuttavia, è probabile che gli interventi per migliorare gli obiettivi sanitari e ambientali richiedano una migliore comprensione dell’impatto che i consumi di carne hanno sull’economia, sulla salute dei consumatori e dell’ambiente, e sul benessere degli animali. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma


INTERVISTE

CRAI, la parola a Giangiacomo Ibba Presenza in 19 regioni e 1.000 comuni, 17 poli, 3.600 punti vendita: si tratta di una vera catena nazionale, diffusa capillarmente in tutto il Paese. Nata a Desenzano del Garda nel 1973, oggi CRAI è un marchio affermato, sinonimo di negozio di prossimità basato su un rapporto di conoscenza e di fiducia tra il dettagliante e la clientela di Sebastiano Corona

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rima di ogni altra cosa io sono presidente della FRATELLI IBBA SRL». Ci tiene a precisarlo GIANGIACOMO IBBA mentre ci accoglie nel suo quartier generale, nella zona industriale di Oristano, cittadina sarda che non ha mai voluto abbandonare nonostante la vita professionale oltre il Tirreno. I suoi incarichi sono infatti diversi e prestigiosi a dispetto della giovane età. Classe 1976, una laurea a Parma in Economia

aziendale, Ibba non è attualmente solo alla guida dello storico gruppo di famiglia fondato nel 1940, ma è anche presidente della COOPERATIVA CRAI e di LEADER PRICE DISCOUNT e, tra gli ulteriori e impegnativi incarichi, annovera altresì quello di componente del direttivo ADM, un organismo che racchiude il 99% dei nomi della Grande Distribuzione Organizzata nazionale, e di ACI, che raggruppa 4 insegne del mondo della cooperazione. A Ibba

chiediamo dunque quale sia lo stato di salute della distribuzione in Italia, quali le tendenze e come si stiano evolvendo i rapporti con i fornitori, anche alla luce degli orientamenti dell’Unione Europea sul tema. Nel nostro Paese sono presenti diverse insegne straniere. Negli ultimi decenni l’Italia è stata terra di conquista, da questo punto di vista. Continuiamo a subire una presenza ingombrante dei cugini d’Oltralpe o non è più così?

Supermercato CRAI di San Piero a Sieve, Firenze (photo © www.crai-supermercati.it).

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«Come prima cosa tenderei a non demonizzare la presenza della concorrenza straniera nel nostro Paese, soprattutto ora che i mercati sono così aperti, con soddisfazione di tutti coloro che operano in quest’ambito. In seconda battuta posso dire che negli ultimi anni non solo è diminuito molto l’interesse della distribuzione internazionale verso i nostri territori, ma c’è stato addirittura un arretramento. Ci sono delle insegne che hanno completamente cancellato la propria presenza in certe zone. Il mercato italiano è infatti molto complesso, soprattutto per quanto riguarda l’alimentare, dove ci sono 20 regioni e altrettante tendenze, forse anche di più, con rispettive preferenze nel mercato. Questo significa che per i grandi gruppi, come lo sono per antonomasia le multinazionali della distribuzione, la nostra diversità implica uno sforzo importante ed ulteriore in termini di offerta. Sforzo che si traduce in costi, risorse, difficoltà a rapportarsi con la clientela e con i fornitori. A questo si aggiunge la burocrazia locale, anch’essa paradossalmente diversa da zona a zona (cosa inconcepibile per gli stranieri!), prassi di lavoro, consumi, cultura e consuetudini differenti. Una tale diversità scoraggia i grandi gruppi, soprattutto esteri, poco avvezzi a situazioni così complesse e si confà maggiormente a piccoli distributori, più vicini per loro natura, al territorio in cui si muovono. I più grandi distributori italiani sono i più piccoli distributori europei, ma paradossalmente nel nostro Paese, è questa la vera forza: la dimensione ridotta che consente un adattamento maggiore al territorio. Lo è certamente ora, più che in passato».

Un tempo la GDO era molto poco attenta al prodotto locale, che tendeva a veicolare il meno possibile. Solo più di recente si è mostrato un certo interesse per il territorio. Come si è verificata questa metamorfosi e perché? «È il consumatore che ci ha costretto a cambiare. Nel tempo ha ritenuto infatti il prodotto locale sempre più importante e ha così condizionato il mercato. Maggiore è la proposta regionale, più si è vicini al consumatore. La dimensione delle superfici di vendita non è quindi l’elemento più rilevante. Ora ciò che conta è la capacità dell’insegna o del punto vendita, nello specifico, di adattarsi alle richieste del territorio. Il consumatore è sempre più attento e nella scelta del cibo guarda soprattutto a tre elementi fondamentali. Il primo è la salute. Vengono subito dopo qualità e prezzo. Si può rinunciare alla qualità, forse, ma non alla salute e per farlo si è disposti a valutare un prezzo meno conveniente. Gli scandali alimentari di questi decenni hanno portato gli acquirenti a considerare con maggior attenzione gli effetti del cibo sul benessere della persona. E le maggiori garanzie, agli occhi del consumatore, sono date dalla vicinanza della produzione. Un concetto da molti punti di vista discutibile, ma altrettanto diffuso. Conoscere anche personalmente il produttore, sapere dove opera, dove ha luogo la trasformazione, sono elementi che danno grande sicurezza a chi acquista, anche in assenza di qualunque elemento certo in termini di igiene e genuinità. Il prodotto tipico, più di quello regionale, è per l’acquirente di grande rassicurazione, perché normalmente, oltre ad essere realizzato nella propria zona di riferimento,

Gli scandali alimentari di questi decenni hanno portato il consumatore a considerare con maggior attenzione gli effetti del cibo sul benessere della persona. E le maggiori garanzie, agli occhi del consumatore, sono date dalla vicinanza della produzione. Un concetto da molti punti di vista discutibile, ma altrettanto diffuso

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Giangiacomo Ibba. è per sua natura semplice, poco elaborato, privo di sofisticazioni e difficilmente trattato. In sostanza, il prodotto del vicino è — per noi tutti — sempre meglio di quello che viene da lontano, anche se non ne sono verificate le reali condizioni igieniche e di sicurezza e qualità, nel senso generico del termine. Questo accade nell’immaginario collettivo. Anche se sappiamo che la realtà è spesso diversa. C’è poi la volontà di sostenere il territorio dal punto di vista economico, l’idea che le imprese locali diano lavoro a persone del posto, che generino indotto, che quei soldi contribuiscano direttamente o indirettamente a sostenere l’economia regionale e quindi anche il proprio ménage domestico. Quest’ultimo aspetto è ugualmente importante di fronte allo scaffale, pur restando un fattore secondario». Molte volte regionale fa rima con piccolo e non sempre piccolo fa rima con bello. Cosa significa per una grande insegna rapportarsi con produttori di modeste dimensioni, spesso privi di una struttura forte alle spalle e non sempre capaci di garantire, oltre ad un prodotto valido, un servizio altrettanto efficiente? «È senza dubbio una fatica. Fatica che si traduce in costi, energie, tempo, risorse di ogni genere. È forse anche il motivo per cui sino a qualche anno fa le piccole imprese vedevano precluso il loro ingresso nella GDO. Ma sono cambiate

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Spiedini di suino CRAI Filiera Carni (photo © www.craispesaonline.it). molte cose anche su questo fronte. La visione non può e non deve più essere di antagonismo tra fornitore e GDO, ma di collaborazione. L’insegna — pur con tutti i problemi del caso — diventa dunque alleata e si sforza non solo di rapportarsi coi piccoli, ma anche di aiutarli a crescere, ad unirsi tra loro e diventare così più forti da ogni punto di vista, negoziazione compresa. Si parte dal prezzo, è vero, ma viene instaurato un rapporto a 360 gradi perché la GDO non deve firmare un patto solo col mercato, ma anche col fornitore, sempre più partner e sempre meno antagonista. Le strade sono diverse e sono tutte obbligate. Il private label, inizialmente respinto proprio dai fornitori, è oggi una delle voci più importanti dei bilanci di molte aziende, comprese le più piccole. Lì la GDO “ci mette la faccia” e può farlo solo se crede fermamente nell’operato del produttore. Non può dunque che nascere una collaborazione, la firma di un patto che prevede molti aspetti di cooperazione. Le altre vie sono quelle di rapportarsi con le OP — nel caso dei prodotti agricoli — ma anche con i consorzi e le cooperative. Il rapporto con la GDO implica spesso che le imprese fornitrici si strutturino, che si uniscano tra loro e questo che è un fatto importante per l’insegna, in termini di rapporti e di garanzia di fornitura, rafforza la posizione del fornitore riequilibrando le posizioni. Con soddisfazione di ognuno».

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Nella GDO è sempre più presente un’offerta importante e qualificata di carne e pesce. Cosa comporta per voi e cosa chiede il mercato da questo punto di vista? «Si tratta di due prodotti molto delicati e che hanno delle similitudini, ma anche molte differenze. In entrambi il legame con il territorio assume un’importanza determinante, più che per altri prodotti. Entrambi hanno tempi di vita ridotti e richiedono un’attenzione particolare all’interno delle superfici di vendita. Per la carne il consumatore chiede una vicinanza fisica più stretta possibile tra punto vendita e territorio di provenienza dell’animale e chiede anche di poter risalire al produttore attraverso una tracciabilità dimostrabile e garantita. Si cercano rassicurazioni in termini di nascita, allevamento e alimentazione del capo, oltre che di lavorazione e porzionamento. Da questo punto di vista c’è molto da fare, soprattutto operando sui progetti di filiera. È su questo che si sta giocando la battaglia tra distributori. Battaglia che può essere vinta solo da chi riduce ai minimi termini le distanze tra allevamento e superficie di vendita appunto. Nel pesce la situazione è diversa. Il banco nei supermercati è sempre più ricco ma sconta le conseguenze di un problema che, in apparenza irrilevante, ne limita fortemente le vendite: molti consumatori ritengono infatti il pesce difficile da preparare e cucinare e, anche

se interessati all’acquisto, spesso rinunciano. Da questo punto di vista dobbiamo fare uno sforzo preparando maggiormente il personale a guidare e consigliare il cliente, oltre a garantire un prodotto perfettamente pulito dagli scarti naturali. C’è inoltre un aspetto di sostenibilità della pesca di cui noi distributori dobbiamo, a mio parere, farci carico nella comunicazione al mercato. I mari stanno subendo un sovrasfruttamento che alla lunga metterà a repentaglio gli ecosistemi. Ci sono già enormi problemi che stiamo in un certo qual modo ignorando. Come venditori abbiamo la grande responsabilità di trasferire il concetto di filiera sostenibile e di consumo consapevole. Un esempio è quello dei ricci di mare che stanno scomparendo, compromettendo in maniera irreversibile i nostri fondali. La distribuzione si vede costretta, per un dovere prima di tutto morale, a rinunciare alla vendita nella speranza di poterne godere in futuro. Facciamo dunque noi una politica di responsabilità e sostenibilità, inducendo il consumatore a fare altrettanto, sposando a pieno la linea del rispetto dell’ambiente, da ogni punto di vista. Anche a costo di rimetterci sul breve periodo. Nel pesce un’alternativa valida è quella dell’allevamento, ma in quest’ambito si scontano ancora — e ingiustamente, a parer mio — le conseguenze di una visione miope e parziale di quel mondo. Purtroppo alcuni scandali alimentari degli ultimi decenni hanno generato irreparabili danni di immagine al comparto, con cui tuttora facciamo i conti. Va fatta un’azione forte che riabiliti il settore agli occhi del consumatore e faccia comprendere che l’allevamento è un’eccellente alternativa, visto anche il depauperamento dei fondali a livello globale e una richiesta di prodotti ittici sempre più pressante che il nostro pianeta non è più in grado di soddisfare. Su questo dobbiamo lavorare noi della distribuzione, oltre che associazioni, istituzioni e il consumatore». Sebastiano Corona

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Scopri il Sapore... ...Scopri la Genuinità!

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Fidatevi del Vostro Gusto e scoprirete la differenza. La bresaola e gli sfilacci di carne di cavallo di Giovanni Coppiello sono tutto il meglio e il buono che potete far provare ai vostri sensi. Scoprirete così un piatto unico dai pregi infiniti: ottimo antipasto, intingolo per condire paste bucate, oppure prelibato secondo. Ingredienti per 4 persone 200 gr. di Bresaola, 2 Zucchine, 2 Carote, 1 Limone 1 Bustina di Zafferano, 6 Cucchiai di Olio d Oliva, Pepe in Grano, 20 gr. Sale al Sedano.

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Nella foto una delle nostre Ricette Consigliate : Bresaola di Cavallo con Perle di Verdure e Salsa Zafferano Esecuzione: con l apposito scavino realizzare le perle di verdure e lessarle. Condire con un emulsione di succo di limone, olio, zafferano, pepe ed un pizzico di sale. Servire la bresaola di cavallo su un letto di rucola e guarnire il piatto.

Bresaola di Equino

Salame di Equino

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Sfilacci di Manzo

Sfilacci di Equino


MERCATI

Suini e prosciutti Dop: la moneta cattiva non scacci quella buona

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a produzione dei prosciutti DOP si basa su un insieme di regole che hanno come fine l’ottenimento di prosciutti con caratteristiche qualitative costanti e ben distinguibili, la valorizzazione del lavoro di allevatori e prosciuttai, la fidelizzazione del consumatore. Purtroppo, una parte degli operatori della filiera, noncurante del fatto che l’adesione alla filiera DOP sia una libera scelta imprenditoriale, ha cercato di aggirare il rispetto delle norme o di sfruttare qualche incertezza del sistema di controllo per realizzare con minori costi un prodotto qualitativamente inferiore. Questo comportamento è

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particolarmente dannoso per la filiera perché è responsabile della così detta “selezione avversa”, che è la riformulazione in chiave moderna dell’antica legge di Gresham “la moneta cattiva scaccia la moneta buona”. L’economista americano GEORGE AKERLOF che negli anni ‘70 studiò questo fenomeno fu insignito del premio Nobel. Secondo questa teoria economica, la presenza nello stesso segmento di mercato di prodotti di buona qualità e di altri la cui qualità non è distinguibile dai prosciutti generici “smarchiati” mette a rischio fallimento l’intero mercato dei prosciutti DOP.

La ragione sta nel fatto che in mancanza di informazioni certe circa la qualità del prodotto, il consumatore e/o l’operatore della distribuzione sono solo disposti a pagare un prezzo pari alla qualità media attesa. Purtroppo, in questo modo non si remunerano i maggiori oneri sostenuti per realizzare nel rispetto delle regole un prodotto di alto profilo qualitativo, e quindi gli allevatori e/o stagionatori più seri non possono resistere a lungo sul mercato. Le conseguenze sono infauste: la qualità media dei prosciutti immessi sul mercato viene spinta sempre più in basso ed il prezzo che il consumatore/distribu-

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Le produzioni Dop sono l’architrave della suinicoltura italiana e sono il modello produttivo più efficace per salvaguardare il reddito degli allevatori ed assicurare la sostenibilità del settore nel lungo periodo (photo © francescodemarco – stock.adobe.com). tore è disposto a pagare diminuisce, schiacciando i margini di allevatori e prosciuttai. Questa “selezione avversa” si è purtroppo avverata e ha rischiato di minare le fondamenta della filiera del prosciutto DOP, come si è visto dall’andamento dei prezzi delle cosce prima e dopo l’indagine del 2017 di ICQRF e di alcune procure. Per contrastare nuove possibili circolazioni di “moneta cattiva” ed impedire nuove crisi di mercato, è importante mettere in atto contromisure adeguate. Le produzioni DOP sono l’architrave della suinicoltura italiana, interessano circa il 75% della produzione domestica e sono il modello produttivo più efficace per salvaguardare il reddito degli allevatori ed assicurare la sostenibilità del settore nel lungo periodo. Il mutamento dei comportamenti dei consumatori, la diversa percezione dei cittadini verso l’attività di allevamento, i vincoli ambientali e strutturali del nostro Paese non sono compatibili con modelli d’allevamento orientati a produzioni indifferenziate e di massa. Pertanto, il modello delle produzioni di “nicchia” con marchio DOP è la risposta oggi più adeguata e sostenibile.

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Le misure che si devono adottare per rimuovere le inefficienze di funzionamento della filiera e del mercato di suini e prosciutti DOP (ossia la diffusione della “moneta cattiva” e lo schiacciamento dei prezzi) devono essere coerenti con lo spirito e la lettera delle norme europee in materia (Regolamento UE 2012/1151). In particolare, bisogna far leva sul valore della tradizione e della differenziazione qualitativa, tenendo conto del patrimonio aggiornato di conoscenze che vanno dalla selezione delle razze suine alle modalità di allevamento fino alle modalità di salagione e stagionatura delle cosce stesse. Infine, vanno innovate le modalità di verifica di requisiti e processi ed applicata una tracciabilità efficace e completa (DNA, informatizzazione dati, ecc…) dall’inseminazione della scrofa alla sigillatura del prosciutto, condizione indispensabile per garantire il nesso tra origine e qualità. Fonte: ANAS – Associazione Nazionale Allevatori Suini www.anas.it


EVENTI CARNIVORI

La Maialata: tutto il buono delle tradizioni

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scriversi in palestra, meditare 15 minuti al giorno, mangiare più frutta e verdura, risparmiare, smettere di procrastinare e non arrabbiarsi mentre si è alla guida… Il 2019 è appena iniziato e voi avrete sicuramente già segnato sulle vostre agende appena acquistate i buoni propositi da mettere in pratica nel nuovo anno vero? Ma per iniziare l’anno “come si deve” non si può certo perdere la Maialata, la tradizionale festa che accompagna fin dal passato l’uccisione del maiale

effettuata a gennaio e durante la quale si preparano i salumi da consumare nei mesi successivi. A perpetuare questo rito ancestrale a base di salsicce fresche alla griglia e paioli fumanti in cui soffriggono i ciccioli ci pensano GUIDO e AMEDEO MONGIORGI, padre e figlio, punto di riferimento per carnivori e golosi della zona dei colli bolognesi con la loro Bottega del Macellaio (labottegadelmacellaio.com), 120 anni di storia in quel di Savigno. Martedì 15 gennaio, presso l’Agriturismo Mastro-

sasso, sempre a Savigno, già alle 8:00 del mattino era tutto pronto per la lavorazione della carne di quattro maiali da cui hanno preso vita salsicce, costine, ciccioli e coppa di testa, pancette, il coppone, i fegatelli e ben 280 chili di salami! Le offerte dei partecipanti all’evento sono state raccolte a fine giornata e andranno a sostegno di ASEOP, associazione di volontariato che sostiene la ricerca e la cura per patologie oncoematologiche in età pediatrica. Perché le buone tradizioni fanno anche bene.

I partecipanti alla Maialata 2019. L’evento si è svolto a Savigno presso l’Agriturismo Mastrosasso.

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MGA GROUP

Vicentini Carni. Qualità garantita dalla A agli Zoccoli.

Vicentini Carni è un nome storico a forte tradizione familiare nel panorama delle aziende specializzate nell’allevamento e macellazione di carni bovine di Alta Qualità. Grazie al progetto Filiera, Vicentini garantisce qualità e controllo in ogni fase, portando le carni bovine più prelibate direttamente sul banco delle migliori macellerie italiane. Vicentini Carni, oltre 50 anni di passione, per offrirvi solo il meglio!

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MACELLERIE DEL MONDO

La bontà non ha frontiere

Carnicería Ordóñez, macelleria di confine La famiglia di Jesús Ordóñez Jaquet gestisce questo laboratorio carnivoro nella Valle di Arán dal 1951. Da non perdere la olla aranesa, minestra tipica con carne, verdure, salsiccia fresca e sanguinaccio, proposta in vasocottura, e i pâté, preparati in tantissime versioni, anche monoporzione di Riccardo Lagorio

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Pirenei, la catena montuosa che divide Francia e Spagna, sono da noi poco noti ma, una volta scoperti, è difficile resistere al loro fascino ricco di bellezze naturali, paesaggistiche e culturali.

Ne fa parte la Valle di Arán, lembo di terra catalana che per secoli ha avuto come unico tramite di contatto verso l’esterno il corso della Garonna, ovvero, ancora, la Francia. Se a livello linguistico ciò si manife-

sta con la diffusione dell’occitano, in gastronomia le somiglianze con il versante orientale dei Pirenei appare abbastanza evidente. Uno dei luoghi più adatti per entrare in relazione con questo aspetto della

Il bel banco carni della bottega, con i salumi di produzione propria.

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1) Tra i salumi preparati da Jesús Ordóñez Jaquet troviamo i sanguinacci, la chistorra, diversi salsicciotti, venduti per lo più bolliti, e la salsiccia longaniza, venduta sia fresca che stagionata. 2) I pies de cerdos, piedini di maiale già bolliti e insaporiti con aromi, sono una delle specialità più apprezzate dalla clientela della Carnicería. cultura materiale della valle è il laboratorio di carni di JESÚS ORDÓÑEZ JAQUET. La sua famiglia lo gestisce dal 1951, quando il nonno Francisco iniziò a frequentare queste valli ed instaurare con gli allevatori locali quel rapporto di fiducia che è andato avanti per decenni macellando nelle stesse case dei clienti e ha garantito l’approvvigionamento della rivendita con carni locali. «Ciò che oggi è reso pressoché impossibile dai prezzi che alcuni Paesi come Danimarca, Olanda e Germania riescono a proporre sui nostri mercati per quanto riguarda la carne bovina. I vitelli invece sono locali, incroci di razza Bruna dei Pirenei

con Limousine. Mentre i suini, che lavoriamo anche come salumi, sono locali e provengono dalla provincia di Lérida». Un banco di carne di tagli ben rifilati e ordinati. Segno che il consumo di carne prevale sui pronto a cuocere? «I nostri clienti desiderano mettersi ai fornelli e quindi le preparazioni gastronomiche sono ancora poco richieste. Ma crescono, anno dopo anno» spiega Jesús. In particolare, i clienti sembrano molto interessati all’acquisto dei piedini di maiale già bolliti e insaporiti con aromi. «L’importante è che la carne suina non perda acqua nel momento della cottura: questo è

La comodità di contare su monoporzioni ha reso i nostri paté un punto di forza del negozio, racconta Jesús Ordóñez Jaquet. La scelta è pressoché infinita: con carne di cinghiale, anatra, suino, cervo, di fegato, con tartufo, funghi, paprica. E la lunga conservazione permette anche ai turisti di portarsi a casa un ghiotto souvenir

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un elemento fondamentale perché possa entrare nel nostro negozio. La carne destinata a diventare salume da stagionare deve inoltre essere ben matura, da animali formati, soda e possibilmente magra». Ma vale la pena entrare nel piccolo salumificio familiare per scovare quelle peculiarità frutto dell’isolamento di questa valle, come la olla aranesa e i paté. La olla aranesa è una minestra composta di verdure, tra cui il fagiolo bianco di Bossòst, carni varie, salsiccia fresca, sanguinaccio. «Richiede una lunga preparazione, le famiglie la consumano volentieri e per comodità la prepariamo in vasocottura», chiarisce Ordóñez. Così i paté sono caratteristici della Valle di Arán, preparati secondo ricette tramandate dagli anni Cinquanta. Anche in questo caso la preparazione richiede tempi e passaggi complessi che le famiglie rinunciano a eseguire. «Servono tagli ben precisi di carne, ingredienti non sempre disponibili nelle case, esperienza. E non sempre si è

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1) La secallona, simile alla sopressata, preparata nelle due versioni con o senza paprica, è solo uno dei tanti salumi preparati alla Carnicería Ordóñez. 2) La Carnicería Ordóñez si trova a Vielha, piccola cittadina della Val di Arán. Grazie al suo isolamento, la valle ha conservato la propria lingua, l’aranese, una particolare variante del guascone, a sua volta un dialetto della lingua occitana. 3) Selezione di paté. disponibili a seguire un piatto per 3 o più ore. La comodità di contare su monoporzioni che si possono consumare facilmente in famiglia ha reso i nostri paté un punto di forza del negozio» continua. La scelta è pressoché infinita: con carne di cinghiale, anatra, suino, cervo, di fegato, con tartufo, funghi, paprica. E la lunga conservazione permette anche ai turisti di portarsi a casa un ghiotto souvenir gastronomico. La preparazione di salumi risente della particolare posizione della valle. Tra gli insaccati a breve

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periodo di stagionatura vi sono i sanguinacci (morcilla) e la chistorra, di derivazione navarra. «Possiede un diametro di 4 cm, pelle sottile, dritto o più comunemente a forma di U ed è preparata con carne di suino, paprica, aglio e sale. La consumiamo lessa o alla piastra». Salsicciotti che prendono nome di vengono venduti per lo più bolliti (butifarra blanca), anche con la presenza di sangue nell’impasto (butifarra negra). La salsiccia (longaniza) si vende fresca o stagionata 20 giorni per essere affettata. Mentre

la secallona (simile alla sopressata) presenta solo carni scelte magre e pancetta. Le due versioni, con o senza paprica, stagionate da 60 giorni in avanti lasciano letteralmente senza respiro: una fetta ne tira un’altra. Perché, alla fine, la bontà non ha frontiere. Riccardo Lagorio Carnicería Ordóñez Ctra. del Túnel 5 25530 Vielha – Val d’Arán (Lérida) Telefono: +34 973640038 Web: www.carniceriaordoñez.es

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RETAIL NEWS

Due passi nel reparto carni di Whole Foods Market di Elena Benedetti

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cquisita nel 2017 da AMAZON per 13,7 miliardi di dollari, WHOLE FOODS MARKET conta oltre 470 supermercati tra USA, Canada e Regno Unito. I suoi punti di forza sono sempre stati l’offerta

di un range selezionato di prodotti biologici e un comodo servizio di take-away tra insalate, zuppe e piatti pronti. Oggi la proprietà Amazon ha iniziato un processo di integrazione tra questo modello di GDO

tradizionale focalizzato sul bio e i benefici dell’essere la più grande internet company del mondo. In che modo? Il processo è in atto ed è oggetto di interesse da parte di molti. Oggi girando tra gli scaffali

Le foto in queste pagine sono state scattate presso il Whole Foods Market di Palo Alto, cittadina di 60.000 abitanti situata nella San Francisco Bay Area, California. Palo Alto rientra nella cosiddetta Silicon Valley, centro di innovazione mondiale con la più alta concentrazione di aziende tech, start-up, centri di ricerca, incubatori di business digitale. Per i clienti iscritti ad Amazon Prime sono disponibili sconti aggiuntivi segnalati con display di colore blu (sconti dedicati) e giallo (extra sconto del 10% su prodotti già in promozione). Come funziona lo sconto? Basta scaricare l’applicazione Whole Foods Market, inserire i codici di accesso di Prime, scansionare il QR-code del prodotto e ottenere il prezzo scontato, terminando l’acquisto e il pagamento con lo smartphone.

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Alcuni dettagli del banco carni che presenta diversi pronti a cuocere. Una novità per il mercato statunitense, che predilige tagli di carne e non elaborati. E i clienti Amazon Prime possono beneficiare di uno sconto del 10% su un’ampia varietà di prodotti (alcolici esclusi). di un Whole Foods Market — in questo caso quello di Palo Alto, California, visitato durante le feste di fine anno — troviamo sconti del 10% riservati ai clienti che sono registrati su Amazon Prime, oltre ad extra sconti dedicati sempre a loro e decisi su base settimanale a rotazione nei vari punti vendita. La strategia del retailer biologico statunitense è chiara: puntare sempre più su prodotti locali, tendenzialmente vegan, anche se alle proteine animali, tra carne e

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ittico, oggi è dedicato parecchio spazio e rigorosamente bio. In una recente intervista rilasciata al portale web Well + Good, il CEO di Whole Foods Market JOHN MACKEY ha dichiarato che i clienti dell’insegna possono accedere ai prodotti che desiderano, quando vogliono e al prezzo che sono disposti a spendere. «Dato che il modello della distribuzione alimentare è soggetto a continui cambiamenti dettati da mercato, economia, stile

ed esperienze di acquisto condizionate dalla tecnologia e dal digitale, io sono convinto che sia sempre il consumatore a condurre il gioco» ha detto Mackey. Seguendo il business model di Amazon, Whole Foods Market si focalizzerà sempre più sul customer service, potenziando la app Whole Foods Market e sviluppando i risultati dei numerosi focus group attivi nei vari punti vendita degli USA. Elena Benedetti

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1/2) Il banco di libero servizio con numerosi tagli in skin. 3) Un dettaglio sulla comunicazione dell’origine della carne d’agnello, grass-fed e senza antibiotici.

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ABF s.r.l. Commercio Carni Via del Moscia, 1cde - 50060 Londa (Firenze) Italy Tel. ( +39) 055 835 1550 / (+39) 055 835 1557 — Fax (+39) 055 835 1600 / (+39) 055 835 2700 E-mail: info@abf-londa.it — Web: www.abfcarni.com


CONSORZI

Bovinmarche, i primi 30 anni La cooperativa marchigiana con sede ad Ancona è nata nel 1988, diventando un punto di riferimento importante nel panorama zootecnico italiano. Oggi conta circa 500 soci, per la gran parte allevatori di bovini di razza Marchigiana

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OVINMARCHE ha celebrato i suoi primi 30 anni lo scorso 4 dicembre a Mare di Senigallia, con un evento a cui hanno partecipato circa 150 ospiti. Presente il team della cooperativa, i suoi soci, gli allevatori, le macellerie storiche, le figure istituzionali che negli anni si sono susseguite dando costanza e sostegno ad un progetto per l’epoca quasi “visionario” e che oggi segna un fatturato in crescita (8 milioni di euro, +14% sul 2017) e circa 500 soci. La serata, condotta da FEDERICO QUARANTA, volto di Linea Verde– RAI1 e voce di Decanter-Radio2, ha raccontato attraverso video, momenti

di spettacolo, gadget e un particolare menù ideato per rendere onore al suo sapore unico, un’eccellenza del territorio: la carne di razza Marchigiana, la stessa che 30 anni fa Bovinmarche decise di salvaguardare. «È meraviglioso condividere e festeggiare questo anniversario» ha detto DOMENICO ROMANINI, presidente Bovinmarche. «Devo dire grazie al consiglio di amministrazione di Bovinmarche e ai 500 soci, colonna fondante di questa realtà, nata con l’intento di tutelare una razza che stava per scomparire. La caparbietà e la lungimiranza di chi mi ha preceduto, insieme al lavoro condotto

negli anni dagli attori coinvolti in questo grande progetto, ci permette oggi di parlare di tutti i traguardi raggiunti, come il primo sistema di tracciabilità da noi ideato e la scelta di credere, con anticipo, nel NO OGM e nel Benessere animale. Abbiamo superato momenti difficili grazie ad una grande squadra, ad allevatori, macellerie, alla grande distribuzione, alle associazioni di categoria e alle istituzioni, anello forte di questa rete, che non ha mai dimenticato un’eccellenza del territorio». «Bovinmarche è nata in un piccolo ufficio — ha ricordato PAOLO LAUDISIO, direttore dal 1988

Domenico Romanini e Paolo Laudisio, rispettivamente presidente e direttore di Bonvimarche. 70

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La Marchigiana è una razza da carne, la più diffusa nel territorio della Regione Marche. La maggiore attenzione del consumatore ad un’alimentazione genuina e garantita ha prodotto un aumento del consumo di carni certificate. Una scelta che ha portato anche ad una rivalutazione delle razze rustiche che, grazie all’allevamento estensivo e all’alimentazione al pascolo, presentano una carne di qualità. È una razza di ceppo podolico, derivante da bovini di origine asiatica, giunti in Italia nel IV secolo d.C. con le invasioni barbariche. Nasce come razza da lavoro e così è stata utilizzata nelle campagne fino al dopoguerra. Per migliorarla, venne incrociata con la razza Chianina e poi con quella Romagnola, finché nel 1928 si sospese ogni forma d’incrocio per fissarne i caratteri e si avviò la selezione che diede origine all’attuale Marchigiana. La Marchigiana è una delle 5 razze bianche italiane, insieme a Podolica, Maremmana, Chianina e Romagnola. Con le ultime due ha avuto il riconoscimento Igp per la carne bovina in Italia (uniche 3 in Italia) con la denominazione “Vitellone Bianco dell’Appennino centrale”. È la terza razza da carne in Italia dopo la Piemontese e la Chianina e quella dotata della migliore struttura morfologica di tutto il ceppo podolico. Ricoperto da un pelo corto, bianco e liscio, con sfumature grigie sulle spalle, l’avambraccio e le occhiature, il bovino Marchigiano si riconosce per la cute pigmentata, la testa possente ma leggera, il collo corto, con giogaia ridotta e lo sviluppo armonico delle varie regioni somatiche. La razza è caratterizzata dall’adattabilità al pascolo in diverse condizioni perché ottima utilizzatrice dei foraggi e resistente alle malattie. Eccellente produttrice di carne, sia in termini di resa al macello che di qualità delle carni (giusta marezzatura e tenera), colore rosato, grana fine e giusto grado di infiltrazione di grasso. Gli allevamenti, concentrati principalmente nella regione Marche, sono presenti anche in Abruzzo, Lazio e Campania. Il loro numero ha registrato una leggera, ma costante flessione negli ultimi 10 anni, passando dai 2.784 allevamenti del 2006, ai 2.129 del 2016. Nello stesso periodo il numero di animali è leggermente aumentato, passando da 50.077 capi agli attuali 51.078 (fonte: ANABIC). Ciò sta a significare che i piccolissimi allevamenti sono progressivamente scomparsi per fare posto ad aziende un po’ più strutturate e professionali. Rimane il dato di fatto che la polverizzazione degli allevamenti di Marchigiana è caratterizzante per questa razza, che ancora oggi ha una media di stalla di 24 capi e un sistema di allevamento quasi esclusivamente a ciclo chiuso.

— per difendere un prodotto che rischiava di scomparire dal mercato. Decidemmo di distribuire una carne riconoscibile, allevata con metodi tradizionali, di altissima qualità, arricchita da servizi e da una certificazione trasversale che ne valorizzasse le peculiarità. La richiesta del mercato (che si aspettava un prodotto standard, uniforme) era in contrasto con la nostra proposta. Nonostante i dinieghi andammo avanti mettendoci nelle mani del consumatore: proporremo la nostra Marchigiana — ci dicevamo — e aiuteremo il consumatore a riconoscerla! Cominciammo a farlo e il mercato si

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accorse, dopo pochissimo, di noi». Bovinmarche ha premiato i suoi tre presidenti storici “in rappresentanza di tutti gli allevatori che hanno creato e dato vita alla cooperativa”: GIANNALBERTO LUZI («Bovinmarche rappresenta per me una grande storia di vita, come uomo e come allevatore» ha dichiarato Luzi. «Ricordo i primi successi che premiarono l’intuizione di dover certificare la nostra carne, 14 anni prima che l’Europa la prevedesse come obbligo»), PAOLO MINUTELLI («Grazie a Bovinmarche e soprattutto agli allevatori che hanno sempre creduto nella razza Marchigiana») e DOMENICO ROMANINI. Un ricono-

scimento è stato poi assegnato alla Macelleria Pino Rosa, “a nome delle macellerie Bovinmarche che hanno fatto conoscere la carne di qualità regionale ai consumatori con la loro professionalità e fedeltà al circuito”, e a ROBERTO CECCONI di Coop Alleanza 3.0, la prima catena della GDO — dal 2000 — a credere nel progetto Razze tipiche locali permettendo alla cooperativa di fare un balzo non solo nei volumi e nella qualità”. «La valorizzazione dei prodotti locali è uno dei capisaldi in cui investiamo» ha detto Cecconi. «Siamo orgogliosi di poter promuovere, nel nostro piccolo, le eccellenze che nascono in questi

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Perché mangiare Marchigiana? La carne che si ottiene dalla Marchigiana è tenera, di ottimo sapore, dall’elevato contenuto proteico e dai bassi livelli di colesterolo. È molto magra e, rispetto alle altre carni in commercio, contiene una minore percentuale di acidi grassi saturi, pericolosi per la salute (acido miristico e palmitico), e una maggiore quantità di acidi grassi monoinsaturi (acido oleico), capaci di abbassare i livelli di colesterolo cattivo (LDL) nel sangue e lasciare invariati i livelli del colesterolo buono (HDL). Anche gli acidi grassi polinsaturi (acido linoleico e linolenico), particolarmente importanti per la prevenzione delle malattie cardiovascolari, sono presenti in maggiore quantità nella carne di razza Marchigiana rispetto alle altre carni in commercio. Per quanto riguarda il contenuto di molecole “bioattive” (sostanze che possono influenzare positivamente la salute), la carne di razza Marchigiana è ricca di dipeptidi istidinici (anserina e carnosina) che hanno azione antiossidante, neuro-protettiva, antinfiammatoria e antitumorale e di coenzima Q10 con azione antiossidante e protettiva nei confronti dei radicali liberi (in foto: straccetti di bovino adulto di razza Marchigiana; photo © www.soalca.it).

meravigliosi luoghi». Targa anche per STEFANO MENGOLI, presidente del Consorzio di tutela IGP “Vitellone Bianco dell’Appennino centrale”, “per avere valorizzato e tutelato la razza autoctona Marchigiana, punto di forza dei nostri allevamenti”, e per LUCA CERISCIOLI, presidente della Regione Marche, “per aver accompagnato e sostenuto la cooperativa nei suoi progetti di crescita; senza il contributo della Regione, Bovinmarche e la zootecnia marchigiana non avrebbero potuto sviluppare progetti commerciali e produttivi adeguati al mercato”. Oggi Bovinmarche è punto di riferimento nazionale del comparto,

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una realtà solida che riunisce 500 piccoli allevatori. Tra i suoi progetti più rilevanti annovera il primo sistema di tracciabilità elettronica realizzato con un proprio disciplinare di etichettatura che anticipò la normativa europea. La cooperativa ha introdotto la certificazione NO OGM per l’alimentazione dei bovini, la CReNBA, che garantisce il rispetto del benessere animale e la “NO ANTIBIOTIC”. I suoi prodotti IGP sono presenti nelle principali catene della GDO, nella ristorazione collettiva e commerciale, e nel circuito delle macellerie tradizionali italiane. >> Link: www.bovinmarche.it


RAZZE

Laura e il suo pollo Valdarnese Sulle colline di Montevarchi, in provincia di Arezzo, Laura Peri alleva ormai da quattordici anni il pollo Valdarnese, razza autoctona del Valdarno. Nella sua azienda segue tutta la filiera di produzione, dalla nascita alla macellazione, per preservare il benessere animale di Veronica Fumarola

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iamo nel cuore della Toscana, precisamente a Montevarchi, nel Valdarno superiore, in provincia di Arezzo. È qui che dal 2004 LAURA PERI alleva polli di razza Valdarnese bianca. Tutto nasce da un sogno: recuperare una razza di pollo locale in via di estinzione, allevata da suo nonno. Racconta

Laura: «Prima di dedicarmi a questa attività, lavoravo nel reparto marketing di un’azienda metalmeccanica. Ad un certo punto, però, ho pensato che fosse più giusto per me seguire una mia passione. Così ho rilevato parte dell’azienda di mio nonno e ho acquistato altri terreni». In quattordici anni, infatti, Laura di

strada ne ha fatta: partendo da un gallo e sette galline, ha costruito un’azienda in cui non solo ci sono tutte le attrezzature necessarie per occuparsi dei polli dalla nascita fino alla macellazione, ma c’è anche spazio per altri tipi di allevamento come quello della faraona, dell’anatra e del piccione.

Pollo Valdarnese bianco dell’allevamento di Laura Peri a Montevarchi, in provincia di Arezzo. Questa razza è conosciuta per la sua rusticità, l’essere ribelle alla clausura e il suo lento accrescimento, dai 4 ai 6 mesi e oltre.

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Ma l’imprenditrice toscana sembra quasi minimizzare. «Ho semplicemente unito quello che ho imparato nella vecchia azienda in cui lavoravo con tutto il bello che la natura mi ha dato: un territorio, un bosco fantastico e una razza in via di estinzione». Il pollo Valdarnese bianco, in realtà, è una specie molto particolare e rientra anche nel progetto di recupero della biodiversità. Il Valdarnese È una razza avicola autoctona del Valdarno, la prima per cui è stato redatto in Italia un registro anagrafico. Questo tipo di pollo è conosciuto per la sua rusticità, l’essere ribelle e il suo lento accrescimento, che va dai quattro ai sei mesi e oltre. Ne esistono due tipi: bianco e nero. Il secondo ha una carne leggermente più delicata come sapore. «Ma i polli mangiano e vivono allo stesso modo, quindi le differenze non sono così marcate» precisa Laura. In ogni caso, le carni hanno sicuramente un gusto più simile alla selvaggina e anche il loro colore è più intenso. Inoltre, la carne di questi volatili è di colore più marcato del normale, il petto è rosa e non bianco, quello della coscia e dell’anca è più scuro, quasi marrone. La pelle è di colore giallo, per la razza Valdarnese bianca ma la tonalità varia in base al tipo e alla quantità di granaglia di cui si nutrono. I polli, infatti, sono allevati nel bosco e l’alimentazione è a base di granturco e granaglie, accuratamente selezionate da Laura, ma i polli mangiano anche tutto quello che trovano nel bosco. Questa razza, poi, ha una corporatura asciutta: la femmina ha un peso che varia dai 900 grammi a 1,3 kg; il maschio pesa intorno da 1,4 kg a 1,8 kg.

Laura Peri nella sua azienda a Montevarchi (AR). Un altro dettaglio fondamentale è che bevono esclusivamente acqua del pozzo, senza l’utilizzo di serbatoi. A questo aspetto Laura tiene molto perché i suoi animali, non entrando in contatto con il cloro, possono considerarsi davvero genuini. L’allevamento «Ho dedicato particolare attenzione a tutte le fasi dell’allevamento, strutturando una filiera all’interno dell’azienda che parte dalla riproduzione, prosegue con l’incubazione, l’accrescimento, l’alimentazione e arriva fino alla macellazione e alla commercializzazione. Tutto avviene sotto la mia gestione». I polli hanno a disposizione ampi spazi (circa otto ettari di terreno) in cui crescere e muoversi, anche se gli animali, per via della rintracciabilità, sono tutti suddivisi in base al lotto. «Infatti — precisa Laura —, dal momento della nascita tutte le fasi sono tracciate». A partire dalle uova, che sono incubate all’interno

Il benessere animale è rispettato in tutte le fasi e gli animali sono lavorati a mano. Laura utilizza solo una spennatrice con i dischi. Inoltre, gli animali non prendono nessun mezzo di trasporto così da non essere sottoposti ad alcuno stress. La produzione di volatili comprende le anatre e le faraone e si completa col piccione, allevato presso un’azienda affiliata

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delle incubatrici poste in un’apposita stanza, passando per la pulcinaia, locale a temperatura controllata dove i pulcini vengono accuditi dal primo giorno di vita, fino a quando non sono portati nelle recinzioni nel bosco, che si trova a 450 metri di altezza. Il benessere animale è rispettato in tutte le fasi e gli animali sono lavorati a mano. Laura utilizza solo una spennatrice con i dischi: il pollo non viene gettato nell’acqua calda come accade, invece, per gli esemplari da allevamento massivo, ma accuratamente spennato. Inoltre, gli animali non prendono nessun mezzo di trasporto così da non essere sottoposti ad alcuno stress. Anche il confezionamento avviene nell’azienda a Montevarchi. «Facciamo anche spedizioni con corriere refrigerato o corriere espresso — racconta Laura — ma macelliamo solo su prenotazione perché il mio obiettivo non è quello di vendere il più possibile, ma quello di fare la carne di una volta». Altri animali La produzione di volatili comprende le anatre e le faraone. La faraona grigia viene allevata nel bosco, l’anatra mura femmina, che predilige un ambiente più domestico, invece, cresce nell’oliveto, seguendo un’alimentazione bilanciata tra pascolo e granaglie. La linea di prodotti è completata dal piccione, accurata-

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In alto: allevati nel bosco, i polli di razza Valdarnese bianchi valorizzano le proprie qualità anche grazie ad una alimentazione basata su granturco e granaglie intere altamente selezionate, esaltando in questo modo il sapore genuino, la piccola taglia e la corporatura asciutta. In basso: pulcini in incubatoio. mente selezionato e allevato presso un’azienda direttamente affiliata a quella di Laura seguendo un disciplinare da lei stessa curato. La fattoria didattica L’iniziativa è dedicata ai bambini ed è pensata per avvicinarli alla

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natura sin dalla tenera età, in modo da stabilire un primo contatto con il mondo agricolo. «Tra le aziende che serviamo c’è anche una mensa che prepara il cibo per i piccoli che frequentano l’asilo» confida Laura. «I bambini mangiano i miei polli, ma non ne conoscono la storia e il

valore. Così ho pensato di portarli direttamente nell’azienda agricola e ho organizzato per loro percorsi alla scoperta della natura, degli olivi, dei boschi, dei polli e di tutti gli altri animali che allevo». Le visite non seguono schemi fissi, ma trattano temi fondamentali: benessere animale e rispetto delle norme sanitarie, sana e corretta alimentazione, rispetto dell’ambiente, importanza del lavoro agricolo e della biodiversità. Come? Attraverso visite alle recinzioni per capire come sono allevati, alla storia del pollo Valdarnese bianco per scoprire le caratteristiche di una razza autoctona così particolare e attraverso schede in cui sono spiegati lo sviluppo del pulcino nell’uovo, la morfologia del pollo e tantissime altre curiosità. Veronica Fumarola Laura Peri Azienda Agricola Via di Picille, 51 52025 Montevarchi (AR) Telefono: 333 6606279 E-mail: info@lauraperi.com Web: www.lauraperi.com Nota Photo © www.lauraperi.com

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BENESSERE ANIMALE

Servono più biosicurezza e più benessere Questi fattori consentono di ridurre l’utilizzo di antibiotici e di gestire l’allevamento in maniera più efficiente di Giulia Mauri

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ella giornata di presentazione delle Linee guida sull’uso prudente dell’antibiotico nell’allevamento del suino e del bovino da latte (organizzata a Bologna, 13 giugno da Regione Emilia-Romagna e Dipartimento di Scienze e Tecnologie agroalimentari), GIUSEPPE MERIALDI, della Sezione di Bologna dell’IZSLER, ha spiegato le criticità tipiche dell’Italia suinicola. Si tratta di criticità che incidono negativamente sul ricorso

all’antibiotico negli allevamenti. Ricorso che, spesso, non è in realtà giustificato e comunque non è eseguito in modo da garantirne la massima efficacia e funzionalità: aspetti che devono invece essere modificati, sia per questioni etiche nei confronti della salute umana, sia per motivi economici nella gestione dell’allevamento. Rispetto ad esempio alla Danimarca, in cui gli operatori possono effettuare controlli sulle fasi prece-

denti — ad esempio sul trasporto — la filiera suina italiana è poco organizzata. Inoltre, l’incertezza dei mercati rende difficile prevedere investimenti a lungo termine e di rilevante entità. Infine, nel nostro Paese sono ancora endemiche diverse infezioni e permangono problemi sanitari non risolti con maggior frequenza rispetto ai Paesi nostri competitori. Questi sono gli aspetti critici dell’allevamento suino in Italia, che

Intervenendo sulla gestione della biosicurezza e del benessere animale, è possibile ridurre l’utilizzo degli antibiotici. Da questo punto di vista, la Danimarca svetta sulla classifica UE con ben 75 punti di biosicurezza grazie all’adozione di politiche adeguate da lungo tempo.

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Le criticità dell’allevamento bovino da latte Anche nella ricerca sui consumi di antibiotico destinata agli allevamenti di bovini da latte (sia a stabulazione libera, sia a stabulazione fissa) si è avuta la preliminare raccolta di dati sul livello di biosicurezza e di benessere degli allevamenti coinvolti nello studio (anche questo sviluppato dai GOI e finanziato dal PSR regionale). Il metodo utilizzato è stato, anche in questo caso, la compilazione e l’elaborazione con algoritmo delle check list pubblicate dal CReNBA dell’IZS di Brescia. Marcello Cannistrà della Sezione di Piacenza dell’IZS ha riportato i risultati relativi al welfare: in tutto il campione solo un allevamento ha conseguito il punteggio ottimale, mentre il 75,6% ha superato il livello della sufficienza e il 25% è risultato insufficiente. Fra le stalle a stabulazione fissa, nessuna ha raggiunto livelli ottimali, ma l’86% è risultata avere un punteggio di sufficienza. Per la biosicurezza: su 76 aziende coinvolte, appena una ha raggiunto i livelli di punteggio delle condizioni ottimali e poco più del 65% degli allevamenti è stato giudicato in condizioni di sufficienza. Il 24% delle stalle a stabulazione libera e il 14% di quelle a posta fissa sono risultate insufficienti. Quindi, con l’ottimismo del ricercatore, Cannistrà ha commentato che «significa che nel bovino da latte c’è un margine di miglioramento delle condizioni sanitarie molto buono. E, senza arrivare a stravolgere gli allevamenti, è possibile migliorarli». Il che è indispensabile per poter ridurre la spesa in antibiotici. Alcune criticità sono state elencate: gli automezzi che entrano in azienda (per la raccolta del latte, la consegna del mangime o l’avvio al macello) tengono una distanza inferiore ai 20 metri dagli animali nel 90% delle aziende. E le precauzioni all’accesso da parte di estranei sono assenti nell’87% dei casi. L’acquisto di nuovi capi non è frequente, ma la necessaria quarantena è una pratica in sostanza sconosciuta. La pulizia rimane un punto critico: le vacche sono eccessivamente sporche nel 20% dei casi, sia nell’asciutta, sia durante la lattazione. Infine, nel 41% delle aziende permane la non conformità legislativa perché i vitelli non hanno alcun contatto visivo tra loro. La formazione degli addetti rimane centrale e deve essere sempre implementata. In allevamento, la patologia in cui si fa maggior ricorso agli antibiotici è la mastite. Statisticamente, ogni anno oltre il 40% dei capi viene trattato per mastite: questo dato mostra come il ricorso ai trattamenti antibiotici sia eccessivo. Per contro, spesso manca l’analisi periodica del latte di massa, che invece è un’informazione molto importante sulle condizioni della mandria e su quali patogeni circolino nell’allevamento. Norma Arrigoni, della Sezione di Piacenza dell’IZS, ha citato dati dell’IZS — in linea con la letteratura di riferimento — che dimostrano che, in realtà, solo nel 20% dei campioni di mastiti cliniche la terapia antibiotica si rivela efficace. Adottando protocolli che indicano quando e se trattare la mastite e con quale molecola, l’utilizzo degli antibiotici si riduce notevolissimamente. Secondo i risultati addirittura si va dal –44% al –71% di consumi annui. Tenendo conto del costo economico delle piastre e dell’intervento mirato, il risparmio per ciascuna vacca in lattazione oscilla — ogni anno — dai 20 ai 109 euro, quindi è consistente. G.M.

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insieme al ciclo di allevamento più lungo e a livelli di biosicurezza aziendale molto variegati contribuiscono ad un utilizzo di antibiotici elevato. Si fa, ad esempio, ancora diffusamente uso degli antimicrobici per via profilattica nella fase sotto scrofa (soprattutto per via iniettoria), nello svezzamento e nel ristallo. Altrettanto diffusa è la prassi di trattare tutti i capi, e non solo quelli malati (metafilassi), spesso grazie a mangimi medicati che hanno di per sé un rischio di sotto dosaggio. Infine, anche l’utilizzo di quegli antibiotici indispensabili e insostituibili per la cura di alcune infezioni umane — i cosiddetti CIA (colistina e macrolidi in primis) — è elevato, per di più spesso erogati per via orale. GIOVANNI PANGALLO della Sezione di Bologna dell’IZS ha riportato i risultati del monitoraggio delle condizioni di biosicurezza e benessere svolto fino ad oggi dal CReNBA dell’IZS di Brescia. Dai risultati è emerso che gli allevatori italiani pongono più attenzione alla biosicurezza interna piuttosto che a quella esterna. In sostanza, tendono a concentrarsi sull’evitamento della diffusione dei patogeni da una struttura o fase di allevamento all’altra, piuttosto che a contrastare l’ingresso in azienda dei patogeni. Il dato è in controtendenza rispetto a quello rilevato a livello europeo. Eppure bisogna adottare tutte le misure necessarie per prevenire e non solo a limitare la diffusione di patologie in azienda, siano esse di origine parassitaria, batterica, virale o ancora micotossicologica. E per fare biosicurezza serve un approccio per cui «si scruta tutto quel che viene introdotto in azienda come sicuramente contaminato» ha spiegato Pangallo. I punti critici della biosicurezza sono dati dalla gestione degli alimenti acquistati, dell’acqua e delle strutture (solo il 16% delle aziende soddisfa appieno questi aspetti). La gestione del personale e dei visitatori e il controllo del flusso di personale e attrezzature sono un altro punto dolente: circa il 26% degli allevamenti ha adottato misure soddisfacenti. Complessivamente, il

punteggio attribuito in media agli allevamenti italiani valutati con la check list del CReNBA è di 64, a fronte di valori europei oscillanti fra 61 e 68. Dunque l’Italia è nella media continentale. La Danimarca, invece, svetta sulla classifica UE con ben 75 punti di biosicurezza grazie all’adozione di politiche adeguate da lungo tempo. Per quanto riguarda il benessere, i punti critici rilevati sono legati alla formazione dimostrata degli addetti, alla presenza di procedure scritte di svolgimento delle eutanasie, alla presenza di pavimentazioni fessurati e di materiale manipolabile. Il ruolo del benessere animale è noto da tempo sulla produttività e redditività degli allevamenti, ma non verrà mai ripetuta abbastanza l’importanza della riduzione dello stress in allevamento suino. Dunque riprendiamo le parole di Pangallo, che ha spiegato che stimoli stressanti di natura sociale, ambientale, metabolica, immunologica e da manipolazione da parte degli addetti provocano un innalzamento del cortisolo, un ormone catabolico i cui effetti si associano a quelli avversi provocati da caldo, sporcizia, affollamento e che portano — ad esempio in condizioni di caldo eccessivo — ad una riduzione dell’incremento ponderale giornaliero pari addirittura al 47%. In conclusione, intervenendo sulla gestione della biosicurezza e del benessere animale, è possibile aspettarsi una riduzione di utilizzo degli antibiotici. Si tratta di fare investimenti che consentono di ridurre i costi sanitari, ridurre l’emorragia continua di animali e soldi provocata da una situazione non ottimale dell’allevamento. Il futuro che già si intravede prevede che ciascun allevamento disponga del proprio modello di analisi aziendale: un documento in cui sono evidenziati i punti deboli, le strategie di contrasto e la popolazione microbica presente e che permette di individuare, quando necessario, l’antibiotico più efficace. «Questa è la suinicoltura che bisogna portare avanti, moderna e al passo con le norme» ha concluso Pangallo. Giulia Mauri

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Il Libertino, osteria tipica trentina di Riccardo Lagorio

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l Libertino. Siete stati depistati se pensate che dietro all’insegna di questo ristorante aggrappato alla sponda destra dell’Adige, in una zona antica di Trento ma dall’edilizia deturpante, esistano accezioni di qualche natura legate al lemma. Niente riferimenti alla liberazione dalla schiavitù né a particolari tendenze lussuriose. L’interpretazione autentica (e altrettanto inebriante) la dà LUCA MAURINA, che gestisce insieme ad ASSUNTA MARTIGNONI il locale. «Liber è il termine latino per libro, mentre il tino è dove avviene la fermentazione del mosto d’uva». Ed ecco spiegata anche la voluminosa

carta dei vini, specie trentini, che distingue Il Libertino. Ristorante che, va chiarito subito, non è solo destinato ai carnivori, ma può soddisfare chi desidera portare in tavola pesce d’acqua dolce. I salumi illuminano gli antipasti e le prime portate. Speck, salame o mortandela (quella sorta di polpetta avvolta nell’omento di suino e fatta affumicare) si servono di diritto con il tortel di patate, la frittella a base di un impasto di patate crude grattugiate e fritta in olio. Croccante, da consumare bollente in accompagnamento anche a cavolo cappuccio e cumino.

Tra le specialità della casa figura la Selezione di formaggi e salumi: non soltanto per il clamoroso giacimento autoctono cui attingono, ma per la cura spasmodica messa nella scelta. La carnosa luganega, la saporita mortandela, la madida carne salada: salumi che non lesinano gusti forti, alta sapidità e uno spiccato profumo. Anche la carne salada rientra infatti nella grande famiglia dei salumi, benché anomala: priva di insacco, non si mangia mai da sola, ma suole essere scortata da cipolla, olio e aceto. Qui se ne fa tartare, condita da vinaigrette all’aceto di mele

Tartare di carne salada.

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1) La carta dei vini è un plus distintivo di questo locale, la cui proposta è molto attenta al territorio. 2) I tagliolini con ragù d’anatra al vino rosso. 3) Lo spezzatino di cervo al Teroldego. e porro, carote, zucchine e sedano spadellati. Soluzione personale e ben riuscita. Nel bel locale dalle candide tovaglie la tartare, in stagione, è proposta anche di cervo salmistrato, condita con salsa di lamponi. Ritorna lo speck con la sua croccantezza (poco) affumicata sullo sformato di finferli e la crema di formaggio nostrano. E, nei primi piatti, come condimento per gli gnocchi impastati con le biete, assieme a cacio d’alpeggio. Croccante e filante si permeano a vicenda in un sussulto di delizia. Ma se si vuole una storia da raccontare, bisogna chiamare qualche giorno prima Assunta Martignoni,

classe ai fornelli costruita di poche parole e fatti concreti, e prenotare i tagliolini con ragù d’anatra al vino rosso. Il petto del volatile è cucinato con lentezza sobbollendo carote, cipolle, sedano e Teroldego; la pasta, ricca d’uova, è tenace e saporita. Nei secondi da ricordare vi è lo spezzatino di cervo al Teroldego. Squisito il muscolo del selvatico, presentato con canederli e cavoli viola, e dalle lunghe preparazioni in cui le spezie (chiodi di garofano, ginepro, alloro) fanno fiorire aromi esclusivi. Il ristorante di Assunta e Luca possiede anche fama per gli Osei scampadi, involtini di carne di maiale con salvia e una gustosa farcia di

Tra le specialità della casa figura la selezione di formaggi e salumi: luganega, mortandela, carne salada, quest’ultima proposta anche in tartare. Assolutamente da prenotare, i tagliolini con ragù d’anatra al vino rosso, da ricordare lo spezzatino di cervo al Teroldego e il coniglio in porchetta

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pasta di salsiccia. Ironica l’attribuzione del nome, che fa riferimento, secondo la leggenda popolare, ad una battuta di caccia infruttuosa e quindi priva di volatili: gli uccelli scappati. Da non farsi scappare invece una succulenta porzione di guanciale di vitello brasato al vino bianco con polenta, se si amano i gusti intensi e compiacenti. Sino a inizio marzo bovini, manze soprattutto, anche nella versione lessa e ammennicoli con salse. Mentre tra le carni bianche spicca il coniglio in porchetta: con polenta e funghi in autunno e con polenta ed erbe selvatiche nel periodo primaverile. Il conto non vi toglierà la felicità e alla fine vi sentirete pronti a guardare con fiducia alla vita. Riccardo Lagorio Il Libertino Vicolo di Piedicastello, 4 38122 Trento Telefono: 0461260085 Web: ristoranteillibertino.com

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STREET FOOD CARNIVORO

Brambù, un amore (g)astronomico È quello di Massimo e Irene per i prodotti tipici, in particolare per la Salsiccia di Bra e il Pastin bellunese. Di origini piemontesi lui, veneta lei, dal 2015 la loro missione è sostenere e diffondere le ragioni e le regioni del buon cibo su quattro ruote di Federica Cornia

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aleotto fu l’amore per il buon cibo: potrebbe iniziare così la storia di MASSIMO D’AMBROSIO e IRENE VIANELLO. Piemontese lui, veneta lei, si sono conosciuti quando entrambi lavoravano per Slow Food e nel 2015, dopo una gestazione di circa un anno, si sono messi letteralmente alla guida di Brambù, un food truck — si legge sul loro sito, www.brambu.it —, “nato per portare sulle strade italiane la maggior qualità possibile rintracciabile su

ruote”. In particolare quella di due prodotti tipici ma poco diffusi come la Salsiccia di Bra e il Pastin bellunese. È facile retorica ma si può ben dire che dagli inizi ad oggi Brambù di strada ne ha fatta, in tutti i sensi: dagli 8 eventi del primo anno, oggi sono una quarantina quelli a cui partecipano Massimo e Irene. È stato un matrimonio inatteso, ci spiega Massimo, quello tra questi due prodotti. «Il progetto di Brambù era nato con l’idea di puntare sul Piemonte e i suoi prodotti, poi

nel 2016 la decisione di dedicarci unicamente al truck food insieme al trasferimento a Treviso. Da qui l’idea di abbinare alla salsiccia di Bra il Pastin, tipico del Parco delle Dolomiti Bellunesi. Neanche in Veneto lo conoscono dappertutto». Il Pastin è un insaccato di carne, principalmente maiale, macinata fresca e speziata che si mangia tradizionalmente nei rifugi in montagna, dove si serve spesso con la polenta. «Noi abbiamo cercato di dargli nuovo valore: il complimento più bello

Salsiccia di Bra e Pastin bellunese sono i protagonisti degli hamburger preparati a bordo del food truck Brambù.

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è stato sentirci dire, da gente del posto, che siamo riusciti a renderlo un panino gourmet». Per chi, come Irene e Massimo, ha lavorato per Slow Food e ha seguito eventi come Cheese, il Salone del Gusto e Slow Fish, è inevitabile scegliere con estrema i cura le materie prime. La salsiccia di Bra allora non può che provenire da una delle macellerie del Consorzio di Tutela e Valorizzazione della Salsiccia di Bra. Il loro fornitore è DINO TIBALDI, che nella sua azienda a conduzione famigliare le Fassone le alleva, le ingrassa, le seleziona e le macella. Il Pastin arriva, invece, da una macelleria di Feltre, in provincia di Belluno, quella da cui si serviva la famiglia di Irene quando lei era piccola. «Da Valerio — ci tiene a precisare — lui i capi suini li seleziona, li acquista e li lavora in macelleria. Valerio ne fa anche una versione con una piccola percentuale di carne di pecora di Lamon, razza che da due anni a questa parte si sta valorizzando. Il nostro hamburger col Pastin si chiama Happy Pig». Un altro tipo di carne che Massimo e Irene utilizzano nelle loro preparazioni è il bufalo. «Ci riforniamo dall’allevamento della società agricola Borgoluce di Susegana (TV). È carne magra, con poco colesterolo, che si presta alla macinatura e va cotta al sangue, perché non avendo praticamente marezzatura si può seccare molto. Noi ci facciamo l’hamburger Buffalo Soldier». Nel menu di Brambù non manca il classico Bramburger, hamburger di salsiccia di Bra cotto alla piastra con formaggio fresco di pecora bio del Caseificio toscano Busti, julienne di cavolo, pomodori e salse a scelta. «Il menu è sia stagionale che territoriale per noi: il Brado (ciabattina croccante farcita con pasta di salsiccia di Bra cruda, crema di formaggio Monte Veronese di malga, valeriana, olio e limone) e la tartare, ad esempio, in Veneto non li proponiamo perché non li mangiano. In Toscana e in EmiliaRomagna sì invece. Il Pastin fuori dal Veneto non è molto richiesto, ma ci stiamo lavorando: per noi è

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Massimo D’Ambrosio e Irene Vianello (photo © Carlo Gaia). un po’ una missione quella di promuovere sulle piazze e sulla strada questi prodotti, educare al loro gusto. Con la salsiccia di Bra, che proponiamo ormai da quattro anni, siamo più avanti in questo senso». E di come le regioni abbiano le loro ragioni del gusto Irene ce ne dà subito un’idea. «Il Buffalo Soldier piace moltissimo ed è un po’ il nostro jolly. Le zizzole (bignè salati farciti con pasta di salsiccia di Bra cruda e serviti con crema tiepida di formaggio), invece, le facciamo solo a Bra durante Cheese. Le polpette di Fassona le abbiamo spesso perché anche in Veneto si vendono bene. Sulla stagionalità quello che influenza di più la proposta gastronomica sono le verdure, che entrano anche nel pane: in autunno ci facciamo fare il pane alla zucca e in inverno col radicchio di Treviso. Il pane che usiamo, fatto col lievito madre, è di MIRKO VISENTIN, grande artigiano di Selva del Montello (TV). Per Brado ci fa un pane al mais che sta piacendo molto». Nei panini di Massimo e Irene finiscono anche i formaggi dell’affinatore toscano ANDREA MAGI, della De Magi di Castiglion Fiorentino (AR). «Sono almeno 400 i formaggi che affina. Il Superbia, erborinato di solo latte bufalino, finisce nel Buffalo Soldier, e l’Antani, formaggio simil fontina, ben si abbina al Pastin. In occasione dei catering l’offerta di

formaggi naturalmente si amplia». Dopo un anno ricco di soddisfazioni, tanto lavoro, viaggi e nuove esperienze, Massimo e Irene non sono affatto stanchi, anzi. #2019nontitemo: si chiude così il post del 30 dicembre 2018 sulla pagina Facebook di Brambù. E infatti il 2019 è per lo più programmato: il Flip Market di Bologna, il Grill Contest a Rivergaro (PC) dal 24 al 28 aprile e Gourmandia, evento organizzato da DAVIDE PAOLINI a Treviso dal 13 al 15 aprile, sono solo alcuni degli appuntamenti che Brambù alternerà alle molte richieste di catering, partecipazione a matrimoni ed eventi aziendali. Pochi gli eventi di street food a cui invece parteciperanno. «È un fenomeno arrivato all’esasperazione, troppe date e sovrapposte. Tantissimi eventi ma è calato il livello qualitativo» sottolinea Massimo. «Saremo invece naturalmente a Cheese, che rimane irrinunciabile» dice. La voglia di crescere li ha però già portati a sdoppiarsi con la Brambulotte, una nuova roulotte che sarà su strada, col suo primo evento, in occasione del Carnevale di Treviso, dal 2 al 5 marzo. E nell’aria, per questo 2019, c’è anche il restyling dell’immagine di Brambù. A breve li troveremo dunque vestiti di nuovo, a zonzo tra Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna. Federica Cornia

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RASSEGNE

Fiera del Bue Grasso di Moncalvo: la 381a edizione di Andrea Gaddini

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al 2 al 9 dicembre il paese di Moncalvo, a 20 km circa da Asti, ha ospitato la 381a edizione della Fiera Nazionale di sua Maestà il Bue Grasso, nel cui ambito mercoledì 5 sono stati esposti e premiati i migliori capi della razza Piemontese o di suoi incroci. La mostra era articolata in quattordici sezioni di buoi, manzi, vitelloni, vitelli e vacche, tutti muniti della qualifica di “grasso”, e quindi già ingrassati, e obbligatoriamente avviati alla macellazione direttamente all’uscita dalla fiera.

La fiera-mercato Gli animali, circa ottanta, sono stati esposti sotto gli antichi portici del castello Gonzaga, nella panoramica piazza Carlo Alberto, situata alla sommità del paese, che sorge su uno sperone delle colline del Monferrato. Le categorie erano relative alla razza (Piemontese, Piemontese della coscia, Piemontese tendente alla coscia, incroci Piemontesi) e al genere: buoi, manzi, manze, vitelle, vitelloni (castrati, interi, femmina) e vacche. I primi classificati di ogni categoria hanno ricevuto una coppa

e una gualdrappa, e tutti i partecipanti hanno ottenuto un diploma e un drappo o un premio in denaro; nel caso in cui il bovino fosse già venduto, anche al macellaio è stato assegnato il premio. I capi sono stati esaminati da una giuria tecnica di allevatori e veterinari, che ha valutato gli animali prima sotto i portici e in seguito in un ring creato in mezzo alla piazza, davanti a un folto pubblico, disposto anche su una gradinata. Lo stesso ring ha visto la sfilata finale dei vincitori, muniti della gualdrappa bianca e

La fiera di Moncalvo è, insieme a quelle di Carrù (CN), Nizza Monferrato (AT) e Montechiaro d’Acqui (AL), la continuazione di una tradizione secolare basata sul commercio dei buoi da lavoro a fine carriera, sottoposti a ingrasso al termine della stagione dell’aratura e macellati per fornire carne, soprattutto per piatti a cottura prolungata e di intenso sapore come il bollito o il brasato.

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Un centinaio di addetti ai lavori e migliaia di visitatori affollano ogni anno gli antichi portici del Castello Gonzaga per rendere omaggio ad una tradizione secolare. rossa recante la menzione della categoria e del premio ottenuto. La giuria, oltre al peso e alla qualità, ha preso in considerazione la bellezza, il perfetto stato di ingrassamento e il rispetto del benessere animale. Sono stati anche attribuiti premi speciali al migliore bue di razza Piemontese allevato nella provincia di Asti e al macellaio del gruppo di buoi e manzi di razza Piemontese, mentre il Gran Premio, assegnato al miglior bue grasso di razza Piemontese, è sta-

to vinto dall’allevatore GIAN PAOLO GUASTAVIGNA di Bergamasco (AL). Le premiazioni sono state eseguite dalle autorità presenti: il presidente della Regione Piemonte SERGIO CHIAMPARINO, la vicepresidente del Consiglio regionale ANGELA MOTTA, l’assessore regionale all’agricoltura GIORGIO FERRERO, il sindaco di Moncalvo ALDO FARA, la presidente della fiera LUISELLA BRAGHERO, il presidente della Fondazione CR Asti MARIO SACCO, autorità locali di

Cia, Coldiretti e Confagricoltura, oltre che dei Vigili del Fuoco e dei Carabinieri. Si è anche tenuta una gara di peso, che quest’anno ha visto la vittoria di un bue di circa 1.250 kg, ma diversi altri animali hanno superato i dieci quintali di peso. Per coinvolgere i visitatori è stata anche organizzata una gara per indovinare il peso di un bue, il cui premio era costituito da prodotti gastronomici locali.

La Fiera del Bue Grasso di Moncalvo è un momento molto sentito nella comunità di questa cittadina in provincia di Asti. Dai vitelloni della coscia con gobba (i “fassoni”) ai manzi, fino ai buoi grassi, i famosi “giganti bianchi” di oltre 10 quintali, si celebra l’eccellenza della razza bovina Piemontese. Lo spettacolo nello spettacolo è la sfilata nell’anello centrale di piazza Carlo Alberto, dove i buoi si contendono l’ambito Gran Premio Città di Moncalvo, sotto l’occhio critico di una giuria specializzata Alla fine il campionissimo sfila con gualdrappa in groppa verso il centro della piazza tra gli applausi di una folla festante. La rassegna si assapora a livello gastronomico sotto il palatenda e nei migliori ristoranti della zona, dove vengono serviti i pregiati tagli di bollito misto (info: www.prolocomoncalvo.it).

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Accanto alle varie interpretazioni che si portano in tavola, esiste una ricetta “ufficiale” del bollito misto piemontese, quasi una formula magica da recitare sottovoce mentre si preparano i vari ingredienti previsti: sette tagli di polpa, sette ammennicoli e sette “bagnetti” o salse (photo © Valerio Pardi, www.valeriopardi.com). La fiera di Moncalvo è, insieme a quelle di Carrù (CN), Nizza Monferrato (AT) e Montechiaro d’Acqui (AL), la continuazione di una tradizione secolare, basata sul commercio dei buoi da lavoro a fine carriera, sottoposti a ingrasso al termine della stagione dell’aratura e macellati per fornire carne, soprattutto per piatti a cottura prolungata e di intenso sapore, come il bollito o il brasato. Oggi i buoi grassi sono ingrassati per lunghi periodi, anche di diversi anni, e sono venduti a prezzi molto alti, anche nel corso di aste, come quella che avviene in occasione della fiera di Carrù. La fine dell’uso agricolo del bue non ne ha quindi determinato la scomparsa in Piemonte, grazie a questo uso gastronomico, sicuramente di nicchia (sono censiti solo 500 buoi, mentre la razza Piemontese conta 330.000 capi, 271.000 dei quali iscritti al Libro genealogico), ma che richiama un numero crescente di visitatori, visto l’afflusso di pubblico alle fiere del bue grasso e

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alle manifestazioni gastronomiche collaterali, che quest’anno a Moncalvo è stato di oltre 3.000 persone. La manifestazione gastronomica di Moncalvo è stata ovviamente focalizzata sulla carne della razza Piemontese e in particolare sul bollito alla piemontese (buji tut al dì, ossia “bollito tutto il giorno”), servito nel Palabue, un grande palatenda riscaldato situato sulla stessa piazza in cui si svolge la mostra dei bovini, inserito in un menù a prezzo ridotto, comprendente anche agnolottini in brodo di bue e carne bovina cruda. Il bollito presentato comprendeva cinque tagli (testina, cotechino, punta, lingua, gallina) ed era accompagnato dalle salse tipiche (bagnet, salsa rossa, cugnà). Per l’accesso al Palabue, per diverse ore, e già da prima dell’apertura alle 11:00, si è formata una lunga coda. Il bollito alla piemontese è una delle eccellenze gastronomiche tipiche del Piemonte. La tradizione ottocentesca prevedeva il gran bollito, costituito da sette tagli di carne

e sette ammennicoli. I tagli sono: tenerone, scaramella, muscolo di coscia (pesce), geretto (stinco), scamone, punta di petto e arrosto della vena. Gli ammennicoli sono: testina, coda, gallina, cotechino, lingua, zampino e lonza, da arrostire a parte e servire insieme al resto. Il gran bollito si serve con sette salse e sette contorni. Le salse sono la verde ricca (prezzemolo, acciughe, tuorlo d’uovo sodo, mollica di pane in aceto, olio e aglio), verde rustica (senza tuorlo), rossa (pomodoro, peperone e cipolla), al cren (rafano, aceto, olio), cognà (alla mostarda d'uva), al miele (miele, noci, senape, aceto e brodo) e mostarda d’uva. Andrea Gaddini Bibliografia • COALVI, Consorzio di Tutela della Razza Piemontese, Buoi dei Paesi tuoi. Le fiere di Carrù, Moncalvo, Nizza e Montechiaro. • GADDINI ANDREA (2011), La fiera del bue grasso a Carrù: cent’anni di zootecnia, Taurus, 1:33-36.

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Fiera del Bue Grasso di Carrù: Virgilio è il re, Ragù il più pesante Un’edizione record: 146 esemplari in concorso, di cui 55 buoi. E con Roberto Costa il bue se ne va alla conquista di Londra

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l ritorno alla “tradizione” porta bene alla storica Fiera del Bue Grasso di Carrù, giunta orgogliosamente alla sua 108a edizione e svoltasi quest’anno nuovamente il secondo giovedì antecedente il Natale (il 13 dicembre 2018, NdR). I capi di bestiame iscritti erano 184, di cui 146 ammessi al concorso: 55 i buoi, 15 in più rispetto allo scorso anno. «Siamo orgogliosi di una manifestazione che diventa ogni anno sempre più internazionale» è stato il commento del sindaco della cittadina in provincia di Cuneo STEFANIA

IERITI. «Quest’anno infatti uno dei buoi andrà a Londra acquistato da ROBERTO COSTA, noto imprenditore genovese che in città gestisce sette ristoranti». «Londra non è solo fast food: il nostro obiettivo è offrire una vetrina per l’eccellenza della razza Piemontese» ha dichiarato Costa. Zootecnica e cucina tipica Alla Fiera del Bue Grasso di Carrù il sole non ha il tempo di sorgere: bolliti, cotechini, trippe e brodo sono serviti caldi ancora prima che l’alba illumini il cielo. Anima della

kermesse è però la sua mostra, dove sono esposti i capi di Piemontese in gara. Sono 11 le categorie a cui gli allevatori possono iscriversi per presentare i propri capi: 3 quelle dedicate ai buoi e ai manzi, 2 per i castrati e una per le vacche, le manze e i tori. Solo ai migliori verrà consegnata la gualdrappa di seta dipinta a mano insieme a buscarola, coppa, medaglia e diploma. E la competizione non si limita al mondo agricolo: ci sono infatti i macellai che gareggiano per aggiudicarsi il capo migliore da vendere in bottega.

Da 108 anni il folklore e la tradizione piemontese all’inizio del mese di dicembre invadono il piccolo borgo cuneese ai piedi delle Langhe, raccogliendo l’entusiasmo di appassionati gastronomi e curiosi turisti. In foto Amleto, allevato da Lorenzo Costamagna di Trinità, vincitore del 1o premio “Buoi Grassi Nostrani”.

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1) A Poli il primo premio “Buoi Grassi Migliorati”. 2) Per Virgilio l’ambito 1o premio nella categoria “Buoi Grassi della Coscia”. 3) Il primo arrivato dei “Manzi Grassi Migliorati”. 4) Il primo dei “Manzi Grassi Nostrani”. 5) Il 1o premio dei “Manzi Grassi della Coscia” all’allevatore Gianfranco Allione Cardone di Carrù. 6) Ragù, il bue più pesante. I premi Virgilio, allevato dai fratelli DEL SOGLIO di Fossano, ha conquistato la vittoria della categoria principe della rassegna, quella dei “Buoi Grassi della Coscia”, oltre al trofeo “Banca Alpi marittime”, mentre l’esemplare più pesante è stato Ragù, bue dal peso di 1440 kg allevato da GIOVANNI BATTISTA LISA. Poli, allevato da LUIGI CARLO VALLINO, è il primo tra i “Buoi Grassi Migliorati” e Amleto,

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allevato da LORENZO COSTAMAGNA, è salito sul gradino più alto del podio nella categoria “Buoi Grassi Nostrani”. Il Consorzio del Bue Grasso di Carrù, presente con una ventina di animali, tutti allevati sul territorio del comizio agrario di Mondovì e con una filiera garantita dal proprio disciplinare, si è portato a casa ben 10 premi nella categoria Buoi e 5 nella categoria Manzi. Grande successo anche per l’associazione

di allevatori di razza Piemontese La Granda che, grazie ai consorziati, ha ricevuto ben 4 riconoscimenti tra i quali quello ad ANDREA MIGLIORE, 2o classificato nei “Buoi Grassi della Coscia”, e PAOLO SOLAVAGGIONE, arrivato 2o nella categoria “Buoi Grassi Migliorati” e terzo in quella dei “Buoi Grassi Nostrani”. Nota Photo © Artefoto Carrù.

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La Granda protagonista alla Fiera del Bue Grasso di Carrù, con gli allevatori Andrea Migliore, Paolo Solavaggione e Sergio Capaldo (photo © www.lagranda.it).

Tutti a far l’aperitivo dai Chiapella! Anche per quest’ultima edizione della Fiera Nazionale del Bue Grasso, la famiglia Chiapella, proprietaria della storica macelleria-salumeria situata nel centro di Carrù e dell’omonimo Salumificio di Clavesana, ha invitato clienti ed amici, oltre ai visitatori di passaggio, al tradizionale aperitivo in bottega, per gustare insieme le specialità salumiere che i Chiapella esportano con successo da anni in Italia e nel mondo insieme ad un bicchiere di vino. Il plus dell’evento? Il contorno musicale dei simpaticissimi Trelilu, gruppo comico che si esibisce in dialetto piemontese (in foto, Alessandro e la sorella Elisabetta Chiapella e l’allestimento della bottega in occasione della fiera). >> Link: www.chiapellasalumi.it

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Campionato Italiano di Coniglicoltura a Reggio Emilia

L’eccellenza a tutela della biodiversità

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nche nel 2018 D ANIELE BARRALE, allevatore di Veduggio (MB) e proprietario del coniglio di razza Pezzata tricolore, si è aggiudicato il massimo riconoscimento al Campionato italiano di Coniglicoltura svoltosi il 15 e 16 dicembre presso i padiglioni della Fiera di Reggio Emilia. La rassegna è arrivata alla sua quarta edizione ed è stata organizzata dall’Associazione regionale allevatori dell’Emilia-Romagna (A RAER ) in collaborazione con l’ANCI (Associazione nazionale coniglicoltori italiani). I 699 soggetti in esposizione, tutti appartenenti alle 43 razze di conigli iscritte al Registro anagrafico, sono stati valutati da una giuria di esperti che ha espresso il proprio giudizio sulla base dei parametri previsti: il tipo e la forma del corpo, il peso, la pelliccia e la presentazione per tutte le razze, mentre la conformazione della testa e la pelliccia, il sovracolore, il sottocolore e la lucentezza così come le

orecchie, il disegno e il colore sono stati considerati a seconda della razza da valutare. Nonostante le giornate particolarmente fredde, molti visitatori, esperti e semplici appassionati, hanno popolato il padiglione espositivo ammirando le peculiarità di ogni esemplare in mostra. «Registriamo ancora una volta un successo che premia gli sforzi organizzativi richiesti per una manifestazione di questo genere» sottolinea CLAUDIO BOVO, direttore di Araer. «Non solo i conigli in gara appartengono alle più belle razze allevate da produttori che con sacrifici e passione svolgono un’attività non priva di difficoltà, ma l’affluenza del pubblico dimostra che questo appuntamento annuale sta diventando per gli appassionati ormai irrinunciabile». Oltre all’esposizione e alla gara per aggiudicarsi il titolo di campione, la rassegna di quest’anno ha introdotto una novità che ha riscosso un notevole successo. Si

è trattato del concorso “Indovina il peso del coniglio” che ha messo in palio due buoni spesa Coop del valore di 100 e 50 euro. Il soggetto scelto dalla giuria è stato pesato al termine della raccolta delle schede che si è svolta nella mattinata di domenica: 7,340 kg era il suo peso e i concorrenti che più si sono avvicinati alla quotazione sono stati ancora DANIELE BARRALE e EMANUELE MANFREDINI, allevatore di Caselle Lurani in provincia di Lodi. Gli altri riconoscimenti sono andati a MARCO ROMANI, col suo coniglio di razza Gigante nella categoria Campioni di razza adulti; a LUCIANO DE CECCO, col coniglio di razza Blu di Vienna grigio è andato il premio per la Colorazione adulti. Nella categoria Eccellenti extra (campioni giovani) si è distinto il Gigante di GHEORGHE PRELIPCEAN e per la sezione Collezioni il massimo riconoscimento è andato alla Fulva di Borgogna di BIGNAMINI e MARCHESI. L’appuntamento si rinnova nel 2019.

A sinistra: Daniele Barrale premiato da Claudio Bovo. A destra: l’area del concorso “Indovina il peso del coniglio”.

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FIERE

Appuntamento all’anno prossimo, dal 23 al 26 novembre 2020

La rivoluzione del packaging a ALL4PACK Paris 2018

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mutamenti del mercato dettati dalle esigenze normative ed ambientali, i nuovi bisogni del commercio omnicanale BtoC e BtoB, le opportunità offerte dall’industria 4.0: tutti argomenti di grande attualità che sono stati affrontati durante ALL4PACK Paris, svoltosi dal 26 al 29 novembre scorsi. Per l’edizione 2018, il salone ha proposto un ricco programma che ha contribuito al buon dinamismo degli incontri tra espositori e visitatori. I 1.100 business meeting organizzati tra committenti ed espositori (erano stati 500 gli appuntamenti nel 2016) hanno favorito scambi commerciali concreti.

L’evento in cifre ALL4PACK Paris 2018 ha riunito un totale di 79.000 operatori del settore; ragguardevole la presenza internazionale durante le prime due giornate: circa il 35% dei visitatori di cui il 21% dall’Africa. Più di 60 i paesi rappresentati ed alcune delegazioni estere, tra cui Cuba, Germania, Giappone, Israele, Taiwan e Turchia. I contenuti di ALL4PACK Paris Il programma delle conferenze, volutamente più selettivo rispetto alla scorsa edizione, con 25 conferenze e più di 80 speaker, ha trattato le grandi sfide attuali e future del packaging in alcu-

ne sessioni che hanno riunito un’audience importante. Da segnalare: • la conferenza sul doppio sondaggio europeo condotto da ALL4PACK ed il suo libro bianco, “L’imballaggio all’alba della sua rivoluzione”; • la consegna dei premi Pack The Future, Sustainable Plastic Packaging Award 2018, coordinato da Elipso, l’associazione francese delle imprese dell’imballaggio plastico e flessibile e dal suo omologo tedesco Industrievereinigung Kunststoffverpackungen e.V. (IK); • le ultime innovazioni dell’imballaggio plastico e flessibile (con-

In chiusura di salone, più di 200 espositori hanno già prenotato il loro stand per la prossima edizione, in programma sempre a Parigi dal 23 al 26 novembre 2020, segno dell’alta qualità dell’evento (photo © Faust Favart).

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ALL4PACK Paris 2018 ha riunito un totale di 79.000 operatori del settore, tra cui 1.350 espositori con le loro équipe (photo © Faust Favart). corso europeo Pack The Future); • l’imballaggio del futuro: l’odissea del pack, il riciclo degli imballaggi di domani, le sfide specifiche delle plastiche; • il sustainable packaging risponde alle attese dei consumatori. La visione allargata dell’innovazione proposta nell’ambito della Creative lounge ha aiutato a decodificare le tendenze e a trarre ispirazione grazie alle diverse selezioni proposte — ALL4PACK Innovation Awards, la selezione SIAL Innovation,

quella di De Gouden Noot, i premiati di Pack the Future — e ai video di CREAPILLS, partner creativo del salone. Uno spazio inedito che ha dato senso allo slogan di ALL4PACK Paris 2018 “Share your creativity!”. Tanta energia è arrivata dal nuovo Startups Lab, a cui hanno partecipato 16 start up, che hanno approfittato degli incontri con i decision maker dell’ecosistema dell’imballaggio e dell’intralogistica. Altra anteprima per ALLPACK Paris 2018: il Summit internazionale del polietilene tereftalato

Il gruppo Comexposium (www.comexposium.com) organizza più di 132 saloni BtoC e BtoB, coprendo numerosi settori d’attività, in particolar modo l’agroalimentare, l’agricoltura, il commercio, la distribuzione, l’ecommerce, la moda, la sicurezza, il digitale, la costruzione, l’high-tech, l’ottica, l’educazione, la salute ed i trasporti. Presente in più di 30 Paesi, Comexposium accoglie ogni anno più di 3,5 milioni di visitatori e 48.000 espositori. Comexposium, la cui sede è in Francia, si avvale oggi di circa 880 dipendenti ed è presente in 17 paesi: Australia, Canada, Cina, Danimarca, Emirati Arabi, Germania,Giappone, Hong Kong, India, Indonesia, Messico, Regno Unito, Singapore, Spagna, Stati Uniti, Svezia.

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(PET), la cui 22a edizione si è svolta per la prima volta a Parigi. Il summit si è concentrato sull’economia circolare e solidale, l’ecodesign e gli sviluppi tecnici relativi alla termoformatura e pre-stiro. Dai fornitori di materie prime alle società di riciclo passando per i fabbricanti di imballaggi ed i committenti: l’appuntamento PETnology European Conference ha riunito tutte le parti in causa della filiera. Molto soddisfatti gli organizzatori BARBARA e OTTO APPEL e chi ha partecipato all’evento. Un altro indicatore della qualità del salone: più di 200 espositori hanno già prenotato il loro stand per la prossima edizione, in calendario dal 23 al 26 novembre 2020.

>> Link: www.all4pack.fr • www.youtube.com/user/SalonEmballageTV/playlists • www.facebook.com/ALL4PACK • twitter.com/ALL4PACK

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Sempre più MarcabyBolognaFiere Bologna si conferma occasione di networking internazionale coinvolgendo l’intera filiera produttiva e distributiva, strategica per analizzare i trend di mercato, anche attraverso gli strumenti messi a disposizione degli operatori per pianificare il business e attivare nuovi contatti commerciali

È

da poco iniziato il nuovo anno e puntualmente gli operatori si sono ritrovati a Bologna, il 16 e 17 gennaio scorsi, per due lunghe e intense giornate di incontri nel quartiere espositivo della città. MarcabyBolognaFiere è l’unica manifestazione italiana dedicata ai prodotti a Marca del Distributore. Giunta alla quindicesima edizione, MarcabyBolognaFiere

si è accreditata in questi anni come l’appuntamento d’eccellenza per la business community del settore, dove l’industria di marca ha l’opportunità di sviluppare relazioni con le principali insegne della DMO che in fiera espongono e promuovono annualmente le loro politiche di MDD. L’evento, organizzata da BolognaFiere, è patrocinato da ADM, Associazione Distribuzione

Moderna. Questa edizione ha visto la presenza di 750 espositori su 38.000 m2 di superficie suddivisa su quattro padiglioni (+8% rispetto al 2018). Il programma convegnistico era focalizzato sui temi di maggior interesse per gli operatori, con l’analisi dei trend di mercato, fondamentali per lo sviluppo delle strategie di business sui mercati nazionali e internazionali.

Kioene, Gruppo Tonazzo, è leader nella produzione di burger, cotolette, cordon bleu e altre specialità a base di verdure, legumi e cereali non OGM. 100

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1) Alcar Uno di Castelnuovo Rangone (MO). 2) L’Organizzazione di Produttori Azove di Ospedaletto Euganeo (PD) a Bologna con Qualità Verificata. 3) Bresaole Pini di Grosotto (SO). Eurocarni, 2/19

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Esseoquattro di Carmignano di Brenta (PD) propone numerose linee di packaging alimentare per alimenti freschi.

Marr di Rimini, società leader in Italia nella distribuzione specializzata di prodotti alimentari alla ristorazione extra-domestica (foodservice), in fiera con i tagli di carne American Angus beef certificata. La business community È un segmento di mercato in grande sviluppo, pesa ormai per 1 acquisto su 5 nella distribuzione moderna, fidelizza i consumatori, cresce in assortimento, linee e referenze e rappresenta la vera novità, rispetto ai prodotti di marca industriale, in un panorama dei consumi di beni alimentari e non alimentari a crescita zero. L’interesse per MarcabyBolognaFiere ha varcato i confini italiani accogliendo le delegazioni di buyer internazionali provenienti da 14 Paesi, grazie al programma di incoming sviluppato in collaborazione con ITA – Italian Trade Agency. I prodotti MDD I prodotti a Marca del Distributore

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sono ormai prossimi al 20% del mercato, sviluppano un giro d’affari di circa 10,3 miliardi di euro, cifra che si prevede raggiungerà gli 11 miliardi entro il 2020, e sono trainanti per l’industria alimentare italiana, come hanno evidenziato le anticipazioni emerse in due momenti centrali della manifestazione: il convegno inaugurale “Sicurezza, tracciabilità e qualità della Marca del distributore per la tutela del consumatore. Quale ruolo della Distribuzione Moderna e quali evoluzioni nel rapporto con i copacker”, organizzato da ADM in collaborazione con The European House – Ambrosetti, e la presentazione del XV Rapporto Marca sull’evoluzione dei prodotti a marca del distributore in Italia. Garanzie e valori della marca del

distributore, organizzato da BolognaFiere in collaborazione con ADM, a cura di IRI e NOMISMA. Il balzo in avanti segnato dalla MDD vale circa il 30% della crescita totale dell’industria alimentare, sulla quale negli ultimi 14 anni ha più che raddoppiato la sua incidenza, oggi al 7,3%. Diversificazione e aumento delle referenze, personalizzazione delle linee produttive, innovazione nelle confezioni, chiarezza nella tracciabilità e garanzia nella sicurezza dei prodotti sono le caratteristiche che hanno dato slancio alla MDD nel guadagnare terreno, reputazione e fiducia dei consumatori. Lo scorso anno, per la prima volta, la quota di prodotti MDD premium ha superato quelli con primo prezzo. Ormai, per 1 consumatore su 2, la MDD è la prima scelta e non un prodotto sostitutivo della marca industriale, comportamento che si verifica soprattutto nel fresco, categoria Carne e Salumi e Ortofrutta. Packaging strategico Il packaging è stato protagonista in fiera attraverso due iniziative: il convegno “Packaging design e innovazione: processi, comunicazione, mercati”, organizzato da IED Milano, Scuola Postgraduate in collaborazione con BolognaFiere e la terza

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CLAI (Cooperativa Lavoratori Agricoli Imolesi)di Imola (BO). edizione del premio ADI Packaging Design Award, che ha valorizzato le soluzioni più innovative esposte negli stand, selezionate nel corso della prima giornata di fiera da una commissione di esperti. Sempre più bio La crescita dei prodotti biologici ha completato il quadro degli incontri, con l’appuntamento a cura di ASSOBIO nella seconda giornata di MarcabyBolognaFiere: il tema è stato al centro del convegno “Tutti assieme appassionatamente (come gestire una linea biologica e vivere felici)”. Secondo le analisi presentate, le linee bio con Marca del Distributore stanno riscuotendo un grande successo di pubblico, riverberando una delle tendenze più apprezzate sul mercato alimentare a livello globale, letteralmente esploso nell’ultimo decennio. Le rilevazioni di NOMISMA incrociano i dati delle vendite realizzate nella grande distribuzione e nel canale specializzato (di cui si conferma l’assoluto rilievo, anche se lo studio è prevalentemente dedicato alla GDO) in tutta Italia e forniscono un quadro esaustivo della costante crescita del settore biologico (profilo degli acquirenti, ripartizione geografica, peso delle aree merceologiche, prodotti più venduti e in più forte sviluppo), evidenziando come i trend di acquisto riflettono un cambiamento delle

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In alto: lo stand di Centro Carni Company di Tombolo (PD). In basso: ProSus, Cooperativa Produttori Suini di Vescovato (CR). abitudini dei consumatori. «I nuovi dati confermano una volta di più che non si tratta di una moda, ma che la scelta bio si sta consolidando in maniera consapevole a livello internazionale. Un fenomeno che sta prendendo piede sempre di più in Italia, in tutta Europa, ma anche ovunque nel mondo, basti pensare alle performance delle nostre aziende in paesi come gli USA, la Cina e il Giappone» dichiara ROBERTO ZANONI, presidente di AssoBio. La fiducia sempre maggiore per il biologico da parte degli Italiani è sottolineata dal continuo incremento degli acquisiti; quelli nella Grande Distribuzione rappresentano circa il 45% del totale, con un tasso di crescita del 14%. A rimanere trainanti sono supermercati e iper-

mercati, dove chi acquista bio lo fa per comodità (33%), convenienza (13%) e assortimento (12%). Dai dati si evince inoltre una progressiva attenzione nei confronti di un’alimentazione non solo sana ma anche ecosostenibile: il 52% acquista biologico alla ricerca di maggiori benefici sulla salute o per consiglio del medico, il 47% ritiene che il marchio bio sia garanzia di maggiore sicurezza e qualità dei prodotti, il 26% motiva l’acquisto con l’attenzione alla salvaguardia dell’ambiente. Contano poi l’origine italiana delle materie prime (58%), la qualità degli ingredienti (54%) e il metodo di produzione (46%) nel suo complesso. >> Link: www.marca.bolognafiere.it

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CARNI ESOTICHE

Il dromedario Tra le carni esotiche si sta affacciando sul mercato la carne di dromedario, che inizia ad essere allevato anche in Italia di Giovanni Ballarini

N

ella tenuta reale di San Rossore vicino a Pisa molti dromedari furono ospiti ben accetti per oltre tre secoli: il primo vi giunse nel 1622 e nel XVIII e nel IX secolo divennero circa 200, per poi calare progressivamente ed estinguersi verso la metà del XX (i resti ossei di alcuni esemplari sono ancora conservati presso il Museo di anatomia veterinaria del Dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università di Pisa). Qualche anno fa, in Sicilia, è stato avviato un

allevamento di dromedari alle falde dell’Etna per produrre latte dal quale ricavare prodotti cosmetici e alimentari; è il secondo allevamento del genere in Europa, come riporta il quotidiano dell’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani (ANMVI), ed è sorto per un’idea di SANTO FRAGALÀ veterinario siciliano, docente di fisiologia equina a Messina. Un allevamento, questo, che potrebbe avere un seguito, perché in Europa è possibile commercializzare il latte e la carne di un animale

ruminante ben adattato ai climi caldi e che in un quadro di cambiamento climatico potrebbe, almeno in parte, sostituire i bovini, ruminanti dei climi temperati e freddi, come ha preconizzato il prof. DARIO CIANCI, convinto che il futuro del dromedario esista allontanandolo di poco dalle forme di allevamento tradizionale, anzi ampliandone gli orizzonti e le opzioni nonché migliorando e validando ancor più le caratteristiche fisiologiche della specie. Senza dimenticare che la carne

La fattoria “Gjmàla” è la prima azienda agricola in Italia, e la seconda in Europa, che si occupa della produzione e della distribuzione del latte di dromedario. L’azienda è nata qualche anno fa a Trecastagni, nel Catanese, dall’idea di Santo Fragalà, giovane veterinario siciliano (photo © archivio.blogsicilia.it).

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di questi animali è considerata lecita dai musulmani, diversamente dagli israeliti che la considerano impura. Dromedario e cammello Come risulta anche dalla pubblicazione Il Cammello di DOMENICO SCARAMELLA, DARIO CIANCI e GUIDO MACCHIONI (Bologna, 1989), esiste il dromedario o cammello ad una gobba e il battriano o cammello a due gobbe con diversa area di diffusione: il primo vive in Nord Africa, Asia Minore e India, il secondo in Asia centrale. Il dromedario è stato addomesticato in Arabia tra il 3.000 e il 3.500 a.C., i cammelli invece sono stati addomesticati intorno ai 2.500 a.C. Entrambi hanno una grandissima resistenza alla fatica e una straordinaria capacità di sopravvivere in ambienti difficili, caldi e con un minimo consumo di acqua e di nutrienti grazie ai meccanismi di tolleranza termica

Parametri nutrizionali della carne di cammello (mg/100 g) Colesterolo

61

Calcio

0.62

Fosforo

0.56

Magnesio

23.6

Potassio

293

Sodio

70

Zinco

3,9

Ferro

7,1

Vitamina B1

0,12

Vitamina B2

0,18

Vitamina B6

0,25

Vitamina E

0,70

Parametri nutrizionali: comparazione tra carne di cammello e manzo Cammello

Manzo

Umidità %

78,7

71,02

Proteine %

21,83

20,64

Grassi %

1,15

7,8

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Venditore di salsicce preparate con carne di cammello a Selçuk. Sono una trentina i tornei di lotta tra cammelli in Turchia: il più atteso si svolge a gennaio in questa cittadina vicino ad Efeso. La vigilia della “battaglia” è una grande festa popolare celebrata con banchetti e danze (photo © metro.co.uk). e all’efficienza dei cicli metabolici dell’energia, dell’acqua e dell’azoto. La riduzione delle attività metaboliche di questi animali è dovuta ad efficaci meccanismi biochimici che consentono un ottimo utilizzo dell’energia contenuta negli alimenti con un minore consumo di cibo e, soprattutto, di acqua. Le ghiandole sudoripare consentono un’evaporazione dell’acqua direttamente dalla pelle, mentre il pelo rimane asciutto riducendo l’ulteriore assorbimento di calore. Il consumo di acqua e nutrienti azotati è ridotto anche per la scarsa eliminazione di urina. L’antica credenza, di cui parla anche PLINIO IL VECCHIO, che questi animali avessero la capacità di conservare acqua in speciali tasche del rumine, le sacche acquifere, non è più accettata da quando è stata scoperta la loro modesta capacità, non oltre otto litri. Le scarse riserve di acqua sono compensate dalla grande capacità di cederne da tutti i tessuti così che ciascuno di essi diventa una potenziale riserva idrica. Il dromedario tollera senza rischi per la salute anche la perdita del 25% del proprio

peso, che ricupera con una singola abbeverata di oltre cento litri. Carne di dromedario Secondo non recenti statistiche della FAO, si stima che la produzione mondiale di carne di cammello (in prevalenza dromedari) sia di oltre 350.000 tonnellate e Africa (249.206 t/anno, con Sudan 49.882 t/anno, Egitto 45.000 t/anno, Somalia 44.200 t/anno e Mauritania 22.500 t/anno) e Asia (102.253 t/anno, con Emirati Arabi Uniti 19.853 t/ anno) rappresentano il 99% del totale. Dromedari selvatici, pur non essendo originari del Paese, sono presenti con più di un milione di esemplari in Australia, dove vivono sparsi su una superficie di oltre tre milioni di chilometri quadrati. Si concentrano nel deserto centrale di Simpson e nel Gran Deserto sabbioso, a nord ovest, dove ci sono fino a due dromedari per chilometro quadrato. La carne di cammello è di colore che va dal rosso lampone al marrone scuro, il grasso è bianco e per gusto e consistenza simile al manzo. La percentuale di grasso delle carni di dromedario oscilla

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Insaccati e salsicce Di recente la carne di cammello viene trasformata in hamburger, polpette, salsicce e kebab e gli insaccati potrebbero rappresentare un’interessante alternativa in particolare nei Paesi asiatici e africani.

Carne di cammello e riso. Chiamato “Mandi”, è un piatto tipico di Oman, Yemen e dei paesi del Golfo in generale (photo © imgur.com). tra l’1,2 e l’1,8%, mentre la carne bovina ha una percentuale variabile tra il 4 e l’8%. La percentuale di acqua è intorno al 20%. Anche la percentuale di proteine di buona qualità è particolarmente alta, più di bovino, agnello, capra e pollo, probabilmente a causa della diminuzione dei livelli di grasso intramuscolare. La carne di cammello è anche fonte di vitamina B e minerali come ferro, calcio e fosforo, oltre ad essere caratterizzata da un basso livello di colesterolo (61 mg) se comparata col bovino (75-86 mg), rendendola così particolarmente salutare. L’analisi della composizione di carne cruda in animali giovani (1-3 anni di età) dimostra che gli acidi grassi saturi rappresentano il 51,5% degli acidi grassi totali, mentre i monoinsaturi e polinsaturi costituiscono rispettivamente il 29,9 e il 18,6%.

La carne del camelide ha un basso tenore di grassi e colesterolo e una consistente presenza di acidi grassi polinsaturi. È quindi una carne molto salutare

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I principali acidi grassi nella carne sono i palmitici, gli oleici e linoleici. L’acido grasso principale del grasso della gobba è il palmitico (34,4%) seguito da oleico (28,2%), miristico (10,3%) e stearico (10,0%). Qualità La qualità della carne di dromedario è influenzata dell’età dell’animale, dal taglio, dal metodo di congelamento e da quello di cottura. L’età ha un’influenza significativa sulla perdita di acqua in cottura ma senza grandi diversità sulle proprietà organolettiche a livello di tenerezza, succosità e sapore, anche se le bistecche degli animali più giovani sono migliori. Il taglio della carne influisce in modo significativo sulla perdita di peso in cottura, sulla tenerezza, succosità e sapore e, in generale, la costata ha il minor valore di perdita in cottura e i migliori punteggi organolettici. Negli hamburger l’aggiunta di grasso comporta una maggiore perdita di peso con la cottura, ma i valori sensoriali non sono significativamente influenzati. In sintesi si può concludere che non vi sono sostanziali differenze culinarie tra la carne di un giovane dromedario o di un manzo.

Allevamento dei dromedari Dei camelidi si utilizza pressoché tutto. La carne è molto digeribile, il grasso della gobba è molto apprezzato, la pelle è elastica e morbida, il pelo serve per la produzione di tessuti pregiati e lo sterco disseccato al sole è impiegato come combustibile. Le femmine hanno ha una produzione di 2-14 litri di latte al giorno. Il dromedario è una buona fonte di carne soprattutto nelle zone in cui il clima influisce negativamente sulle prestazioni degli altri animali da carne e questo per le sue caratteristiche fisiologiche uniche, tra cui una grande tolleranza alle alte temperature, radiazione solare, scarsità d’acqua, di vegetazione e di alimentazione. Il peso alla nascita medio è di circa 35 kg, ma varia ampiamente tra regioni, razze e all’interno della stessa razza. La capacità di produrre carne è limitata da una modesta velocità di crescita che non supera i cinquecento grammi per giorno. La gran parte di dromedari e cammelli viene allevata con sistemi estensivi tradizionali, con livelli di nutrizione poveri. I capi sono per lo più macellati in età avanzata dopo una carriera nel lavoro, nelle corse o nella produzione di latte. I dromedari di 7-8 anni di età hanno un peso vivo di circa 650 chilogrammi e un peso morto di carcassa che va da 125 a 400 chilogrammi, con una composizione di circa il 57% di muscolo, 26% ossa e 17% di grasso. I futuri sforzi di ricerca devono concentrarsi sullo sfruttamento del potenziale del cammello come fonte di carne attraverso una ricerca multidisciplinare sui sistemi di produzione efficienti, miglioramento delle tecnologie della carne e del marketing. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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LA CARNE IN TAVOLA

Il ragù, lo “sveglia appetito” di Giorgia Fieni

E

DE FILIPPO e SOFIA LOREN hanno una cosa in comune: ci hanno aiutato a conoscere meglio il vero significato della parola “ragù”, ovvero risvegliare l’appetito! Sentendone parlare da loro ci ricordiamo infatti immediatamente il profumo di casa e di famiglia grazie ai suoi ingredienti semplici ed alla particolare cura impiegata nel prepararlo. Si inizia da un soffritto, spesso demonizzato perché, nonostante la presenza di verdure (sedano, carota, cipolla), prevede una buona dose di grasso (olio o burro o strutto). Poi si aggiunge la carne, rossa (manzo, vitello, maiale, agnello, capretto, ma anche anatra, cinghiale, piccione, quaglia, oca, coda di bue, salamelle, cotenne, ventresca, castrato, DUARDO

animelle, fegatini di pollo… pure coccodrillo o rane o procione!) a bocconcini, i quali in 3-4 ore, senza rimestare troppo, diventano morbidi e golosi. Quindi arriva il pomodoro, che dà il suo tocco dolce e acido (un pizzichino di concentrato sottolinea meglio questa accoppiata di sapori). Infine le erbe aromatiche, che profumano di fresco. Non vi è altro condimento classico per noi emiliani, con Bologna che ne ha fatto il tratto distintivo, abbinandolo soprattutto a lasagne e tagliatelle (“Vivevo per il ragù alla bolognese”, ha commentato GWYNETH PALTROW nel 2011). Ma siamo disposti a condividerlo coi napoletani, che lo preparano in una versione non dissimile dalla nostra anche per farcire gli arancini e come fondo per

gli involtini all’aglio e prezzemolo e pinoli. Ve lo faccio raccontare da GIUSEPPE MAROTTA (L’oro di Napoli, 1947): “Il ragù non si cuoce, ma si consegue, non è una salsa, ma la storia e il romanzo e il poema di una salsa. Dal momento in cui il tegame viene posto sul fornello e la cucchiaiata di strutto dubita, si commuove e slitta cominciando a fondersi, fino al momento in cui il ragù è veramente pronto, tutto può succedere e può non succedere a danno o a vantaggio di questa laboriosissima salsa che impegna chi la prepara come un quadro impegna il pittore”. Ovunque abitiate, ormai lo avete capito che il ragù è una ricetta tramandata da generazioni, capace di mettere in crisi le giovani spose per il confronto con la suocera. Ecco perché ultimamente si preferisce

Tagliatelle alla bolognese. La ricetta ufficiale del ragù alla bolognese è stata depositata dalla delegazione regionale dell’Accademia Italiana della Cucina presso la Camera di Commercio di Bologna (photo © Mi.Ti. – stock.adobe.com).

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rispettare il passato ma guardare verso il futuro elaborandone una versione propria. Iniziando da quella bianca (pollo, tacchino, coniglio – insaporito da curcuma o zafferano), per approdare al pesce (frutti di mare, baccalà, totani, palamita, scorfano, ricci di mare, cannolicchi, triglie, orata, pesce spada, rana pescatrice, ricciola, spigola, tinca, anguilla, scampi, vongole) e terminando con quella vegan (soia, legumi, seitan o sole verdure). Poi aggiungendo ingredienti: fiori di garofano, girasole e rosa per un gusto più aromatico, spezie per dare piccantezza, tè verde per la leggerezza, Campari (specie in abbinamento con gamberi, capesante, cerfoglio, scorza di lime, succo di carota e di pompelmo rosa) per l’originalità, tartufo per il sentore di bosco, cannella (o cioccolato fondente) per un tocco di dolcezza, scorza d’arancia per quello agre, latticini (mascarpone o ricotta o panna) per la morbidezza. Infine, togliendo il ragù dalla pastasciutta per trasformarlo in altre ricette golose: mettendolo all’interno di uno strudel o di un toast o di una crêpe o di un panzerotto o della mozzarella in carrozza, usandolo come piatto unico (“Con grande disappunto di mio marito — ha scritto NIGELLA LAWSOn — quando mi sento debole e in cerca di comodità e conforto, la mia cena preferita è una porzione di carne macinata con Leicester rosso — o Cheddar — grattugiato, mangiata a cucchiaiate ingorde e piene di riconoscenza da una ciotola per i cereali. Evito molto del solito, indispensabile, tagliare utilizzando cubetti di pancetta e cipolla caramellata in barattolo. Questo è tutto quello che puoi desiderare, così dolcemente tranquillizzante e poco faticoso da preparare da renderlo una ricompensa da mangiare”), coprendovi

Ragù di vitello con lasagne di azoto e riso dello chef Andrea Berton (photo © www.identitagolose.com). una bruschetta (anche di polenta), trasformando la carne in polpette, mettendolo come ripieno nelle verdure, usandolo come strato per la parmigiana o condimento per il risotto. La tradizione rimane però il luogo dove questo particolare condimento trova la propria dimensione ideale quindi vale la pena fare un “giro d’Italia”: dal Lazio, con la Coda alla vaccinara stufata in un ragù di odori, uva sultanina, pinoli e cioccolato amaro alla Toscana con la Pasta fresca con ragù di Chianina, finferli e pecorino di fossa; dalla Sicilia con gli Anelletti al forno alla Lombardia con la Polenta pasticciata; dal Piemonte col Ragù alla Cavour (rigaglie di pollo, brandy,

Il ragù è una ricetta tramandata da generazioni, capace di mettere in crisi le giovani spose per il confronto con la suocera. Ecco perché ultimamente si preferisce rispettare il passato ma guardare verso il futuro elaborandone una versione propria

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Marsala) con le tagliatelle alle Marche col Ragù di maiale e ossobuco di vitello con spaghetti alla chitarra. In opposizione a tutto ciò, le idee degli esperti di settore, che lo utilizzano in ricette che colpiscono gli occhi e il palato: GUALTIERO MARCHESI con il Ragù di rognone e animelle con salsa al foie gras e nocciole; BRUNO BARBIERI con le Tagliatelle gratinate con ragù di rigaglie, salsa di saba e uova bazzotte; ANDREA BERTON con le Palline al ragù all’azoto liquido; FABRIZIO FERRARI con i Fusilloni al ragù bianco di ostriche, siero di yogurt e crescione d’acqua; YOTAM OTTOLENGHI col Ragù di funghi con uova di anatra affogate; DAVIDE OLDANI con un Raviolo di pasta bianca arrostita con ragù di carne e provola affumicata. Infine, c’è MASSIMO BOTTURA, che nel Refettorio Ambrosiano ci ha colpiti al cuore col suo Ragù solidale preparato con gli hamburger in scadenza e i prodotti avanzati da Expo: ci ha fatto capire l’importanza, nella nostra cucina quotidiana, del riciclo e del gusto, in un piatto simbolo. Giorgia Fieni

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Saltimbocca Roma-Napoli Si tratta di due preparazioni tipiche differenti e con ingredienti di diverso genere, ma la remota origine comune fu probabilmente bresciana di Nunzia Manicardi

“S

altimbocca” è un nome così evocativo che, quando ci si siede a tavola, non ha certo bisogno di spiegazioni. Ma… che cos’è che “salta in bocca”? La risposta non è così ovvia e cambia a seconda della posizione geografica da cui la si intende. A Roma, infatti, significa una cosa e a Napoli un’altra (anche in questo caso la nostra così varia e composita Italia non si smentisce…). Il saltimbocca alla romana è un senz’altro più conosciuto poiché è approdato all’interno dei ristoranti anche di fama extra locale mentre

il saltimbocca alla napoletana è rimasto relegato nei ranghi della cucina più tipica e territorialmente circoscritta. Però, se dovessimo scegliere, non sapremmo proprio a quale dare la preferenza: entrambi sono squisiti! Le differenze degli ingredienti, tra l’altro, non li rendono confrontabili perché quello alla romana è a base di carne mentre in quello alla napoletana predominano mozzarella, salsiccia e verdure. Perciò non resta che gustarseli tutti e due se ne capita l’occasione oppure provare a prepararseli a casa propria, limitandosi

a sognare sullo sfondo il panorama meraviglioso di Roma e di Napoli come condimento ideale. In ogni caso, a godere fra i due litiganti, sarebbe un’altra città ancora: Brescia, la lombarda leonessa d’Italia a cui probabilmente, e forse per i più inaspettatamente, si dovrebbe il diritto di primogenitura dei saltimbocca. Comunque essi sono presenti anche nella cucina tradizionale della Svizzera meridionale, della Spagna e della Grecia, a riprova di passaggi e contaminazioni di popoli e culture e, di conseguenza, anche

Saltimbocca alla romana (photo © Studio Gi – Fotolia). 110

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di cibi. E, tanto per restare in Italia, non possiamo dimenticare i saltimbocca all’abruzzese e i saltimbocca alla pugliese. L’involtino di carne, d’altra parte, che è il nucleo fondante di questo piatto, è diffusissimo in varie parti del mondo, anche se le preparazioni e le denominazioni possono differire. Saltimbocca alla romana PELLEGRINO ARTUSI, nel suo fondamentale trattato “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” scritto alla fine dell’Ottocento, dopo aver gustato i saltimbocca in un famoso ristorante romano del tempo così li descrisse: “Bracioline di vitella di latte, condite leggermente con sale e pepe, sopra ognuna delle quali si pone mezza foglia di salvia (una intera sarebbe di troppo) e sulla salvia una fettina di prosciutto grasso e magro. Per tenere unite insieme queste tre cose s’infilzano con uno stecchino da denti e si cuociono col burro alla sauté; vanno lasciate poco sul fuoco dalla parte del prosciutto perché questo non indurisca. Come vedete è un piatto semplice e sano. Con 300 grammi di magro ne otterrete 11 o 12 e potranno bastare per tre o quattro persone. Le bracioline tenetele alla grossezza di mezzo dito, e prima di prepararle bagnatele e spianatele. Potete servirle con un contorno qualunque”. Quindi: carne di vitello, prosciutto crudo, salvia, stecchino per infilzare. La preparazione è semplice e il risultato garantito (consigliamo

Ma i saltimbocca alla romana sono veramente romani? Pellegrino Artusi dice di sì, raccontando di averli mangiati a “Le Venete”, un ristorante romano molto in voga alla fine dell’Ottocento. L’origine del piatto è, comunque, controversa: probabilmente bresciana la ricetta si sarebbe poi “acclimatata” a Roma, divenendone un piatto tipico

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comunque, per quanto le fettine possano essere sottili, di batterle prima di arrotolarle per assicurarsi una cottura perfetta, ma molto leggermente per non distruggere le fibre). Poi, come sempre, si sono avute elaborazioni e modifiche: prima fra tutte, la sfumatura con il vino bianco secco. Inoltre, talvolta si utilizza carne di manzo al posto del vitello (purché sia tenera, perché i saltimbocca devono quasi sciogliersi sul palato e per questo, come raccomandava Artusi, bisogna fare attenzione al prosciutto che sia morbido di grasso e non indurisca in cottura). C’è anche chi sostituisce il crudo col cotto o perfino con lo speck. Si sa, tutti i gusti son gusti… e chi sfuma col brandy o la birra anziché col bianco, chi all’olio aggiunge il burro, chi infarina le fettine (espediente utile per addensare e far meglio assorbire il sugo), chi le arricchisce anche con sottilette di formaggio di vario tipo, chi utilizza carne di coniglio o di tacchino, chi completa con sugo di pomodoro con altre foglie di salvia o c altre erbe aromatiche, chi cuoce in forno invece che in padella… Certo, niente è vietato in cucina purché piaccia e nutra. Noi però consigliamo di attenersi alla ricetta classica, che è già molto ricca e perfettamente bilanciata nei gusti e nei colori. Si ottiene un piatto di grande risultato che può costituire la portata principale di un pasto elegante e importante ma anche un veloce e gustoso diversivo alla cucina un po’ ripetitiva della quotidianità. E come contorno? Qui sì che ci si può sbizzarrire: verdure sia crude che cotte o grigliate, gratinate o perfino passate in purè (per esempio, di piselli) ma anche patate al forno o in tegame. I saltimbocca, infatti, si accompagnano bene praticamente con tutto. Saltimbocca alla napoletana I saltimbocca alla napoletana sono invece dei panini farciti. Panini preparati con pasta di pizza, ovviamente! Schiacciati e di forma allungata, quasi delle rustiche baguettes dai bordi irregolari (più corte, però), perfette da imbottire con la fantasia più sfrenata che solo la ricchezza di

ingredienti e di idee dei napoletani può scatenare in infinite varianti. Noi amiamo moltissimo salsiccia e friarielli, un abbinamento classico e gettonatissimo da chi di questo eccezionale panino mediterraneo se ne intende davvero. I friarielli: così si chiamano a Napoli (con la “e” chiusa!) quelli che a Roma hanno il nome di broccoletti e in Puglia cime di rapa, inconfondibili per il sapore amarognolo perfetto per equilibrare quello altrettanto forte ma a suo modo dolce della salsiccia che a Napoli viene considerata la compagna ideale di questa verdura. Qui, per altro, si cucinano solo le foglie perché i gambi sono considerati troppo duri. Si sbollentano e poi si fanno saltare in padella con olio e aglio. Poi… via a ruota libera con altri ingredienti! Mozzarella e pomodorini sono anch’essi dei classici, naturalmente, ma pure mozzarella, prosciutto e verdure grigliate (melanzane soprattutto). Attenzione però: una volta farcito, il panino deve tornare in forno per essere servito rigorosamente caldo! Cibo da strada, dunque, ma anche cibo da tavola. Un’idea originale per rallegrare i commensali e accontentare tutti i gusti al posto della “solita” pizza. E per finire, saltimbocca all’abruzzese e alla pugliese Per concludere, ricordiamo brevemente che i saltimbocca all’abruzzese prevedono un ripieno con frittata tagliata a striscioline in aggiunta al prosciutto e al formaggio e il prezzemolo al posto della salvia, oltre al sugo a base di cipolla, mentre i saltimbocca alla pugliese (meglio conosciuti come bombette per via della forma che vengono ad assumere) sono avvolti nella pancetta oltre ad avere anch’essi il prosciutto all’interno e un “cuore” di caciocavallo. Ma con quest’ultima preparazione si entra decisamente in una ricetta che può essere considerata autonoma rispetto a quella dei saltimbocca veri e propri, sia per la forma dell’involtino sia per la cottura, che in questo caso è tradizionalmente alla brace. Nunzia Manicardi

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CSB BASIC ERP: la soluzione chiavi in mano per il settore Alimenti & Bevande I consulenti del gruppo CSB-System sono i partner giusti per accompagnare le aziende del settore verso le trasformazioni organizzative e tecnologiche richieste dal mercato

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e piccole e medie imprese rappresentano la spina dorsale dell’economia e della società italiane. Sono amministrate da imprenditori che, con molta passione e grande ricchezza di idee, creano delle eccellenze. L’imprenditoria media determina, infatti, il maggior numero di posti di lavoro ed è da sempre un motore di crescita e di innovazione. Queste aziende si differenziano dai grandi

gruppi perché si lavora seguendo meno formalità. Tuttavia, i principi fondamentali che governano la gestione d’impresa, quali ad esempio l’ottimizzazione dei costi, l’adeguamento alle normative in tema di rintracciabilità e l’adempimento di tutte le richieste legislative in tema di etichettatura, sicurezza e trasparenza lungo l’intera filiera, sono in realtà gli stessi sia per le grandi che per le piccole industrie.

La necessità di reagire velocemente alle nuove richieste, provenienti sia dal mercato sia dal legislatore, è un dovere per chiunque voglia operare nel settore alimentare. In questo contesto un sistema ERP può essere di grosso aiuto. Per portare vantaggi reali, però, è necessario che sia tagliato perfettamente su misura per questo settore e possa coprire già nello standard tutti i processi più importanti.

Grazie al CSB BASIC ERP anche le piccole aziende potranno produrre in modo economicamente vantaggioso, tanto quanto multinazionali e gruppi aziendali.

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Perché scegliere il CSB BASIC ERP Il CSB BASIC ERP è pensato proprio per le piccole imprese del settore Alimenti & Bevande, che potranno così sfruttare la competenza del gestionale CSB-System in una soluzione di settore chiavi in mano. In

questo modo si avvantaggeranno dei 40 anni di know-how del gruppo CSB-System, acquisito grazie a oltre mille installazioni e modernissime tecnologie software. La possibilità di accedere comodamente a processi di Best Practice, che includono tutte le richieste del

settore e del mercato, consentirà maggiore efficienza e qualità nei processi aziendali. Grazie al CSB BASIC ERP anche le piccole aziende potranno produrre in modo economicamente vantaggioso, tanto quanto multinazionali e gruppi aziendali.

Grafico 1 – CSB BASIC ERP contiene le specifiche di tutti i settori alimentari

Grafico 2 – Interfacce standard per CSB BASIC ERP

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Anche nell’era dell’Industria 4.0 il sistema ERP mantiene il ruolo di colonna portante tecnico-informatica dell’azienda. Il gruppo CSB-System offre soluzioni ERP per aziende di ogni grandezza e tipo. Oltre al CSB BASIC ERP vi sono: • CSB Industry ERP, consigliato alle aziende del settore Alimenti & Bevande alla ricerca di una soluzione completa per l’azienda, che contempli quindi anche controllo Qualità, contabilità generale e industriale, cespiti, archiviazione documentale, rilevazione presenze, business intelligence e molto altro; • CSB Factory ERP, tagliato su misura per l’ottimizzazione dei processi produttivi; è quindi perfetto per la gestione degli stabilimenti produttivi di multinazionali e gruppi aziendali che impiegano già un ERP di gruppo.

Tutti i più importanti processi e specifiche di settore nello standard Ottimizzazione dell’acquisto di materie prime, efficientissimi processi produttivi e di stoccaggio, scambio dati elettronico con clienti e partner commerciali, elevato servizio ai clienti, adempimento di tutte le richieste legislative e garanzia di qualità e trasparenza dei prodotti: con il CSB BASIC ERP è possibile. In un’unica soluzione, attraverso semplici soluzioni modulari (Grafico 1). Integrazione del CSB BASIC ERP facile e sicura Il CSB BASIC ERP interagisce senza soluzione di continuità con l’hardware presente in azienda, con il software di contabilità, con il mercato e con i clienti. Questa soluzione si integra completamente con il minor numero possibile di interfacce standard. Si ottiene così trasparenza e un’ottimizzazione costante dei processi. I punti deboli sono rapidamente riconosciuti, l’efficienza dei processi incrementata e i costi significativamente ridotti (Grafico 2). Il collegamento di flusso di informazioni e materiali nei processi di produzione consente così di sfruttare potenziali di efficienza rimasti inutilizzati e di porre le basi per una crescita futura. Maggiore trasparenza ed efficienza Tutte le aree e tutti i processi aziendali, l’intera logistica e le periferiche vengono integrate in un unico sistema con una base dati unitaria che, evitando sovrapposizioni, punta alla gestione dell’intera azienda

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e non a singole funzioni isolate. Il CSB BASIC ERP si implementa rapidamente e con una spesa minima. Può essere comodamente utilizzato in cloud, riducendo così sprechi e spese per l’infrastruttura IT. Saranno i consulenti CSB ad occuparsi di tutti gli aspetti tecnici, come backup dei dati, manutenzione e update dei sistemi. Non ci saranno più costose programmazioni ad hoc e difficoltosi adeguamenti del vecchio sistema. CSB BASIC ERP conviene CSB BASIC ERP, con la sua costruzione modulare, è estremamente flessibile e cresce insieme all’azienda, secondo modalità e tempi liberamente definiti dalla direzione, fino a passare al CSB INDUSTRY ERP. I consulenti del gruppo CSBSystem sono i partner giusti per accompagnare le aziende del settore alimentare verso le trasformazioni organizzative e tecnologiche richieste dal mercato.

Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com


SICUREZZA ALIMENTARE

Rischio piombo nella cucina della cacciagione La selvaggina cacciata con munizioni di piombo diviene tossica durante procedimenti di cucina di Giovanni Ballarini

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l piombo avrebbero favorito la caduta dell’Impero romano, avendone intossicato la classe dirigente. Gli antichi Romani avevano infatti l’abitudine di dolcificare il vino con sali di piombo, pratica che provocava comportamenti anomali e schizofrenici come quelli passati alla storia di alcuni imperatori. Anche la conservazione del vino avveniva in recipienti di piombo, nei quali l’acidità del liquido provocava la formazione di sali solubili molto tossici. Metallo pericoloso Per la sua tossicità, il piombo è stato bandito sia come edulcorante che come componente materiale nella realizzazione degli utensili di cucina, che oggi non contengono più questo metallo. Fino a circa trent’anni fa, l’avvelenamento cronico da piombo era definito dalla presenza di una quantità superiore a 80 µg/dl nel sangue, mentre attualmente è considerata alta una quantità di piombo di 30 µg/dl, e potenzialmente nocive, specie nello sviluppo dei bambini e dei giovani, sono quantità uguali o superiori a 10 µg/dl (0,1 ppm). Piombo e fauna selvatica Il piombo è un pericoloso inquinante ambientale. Secondo stime non recentissime, nelle zone umide dei Paesi dell’Unione Europea, ogni anno, con la caccia, erano immesse da 2.400 a 3.000 tonnellate di piombo, di cui 148 tonnellate in Italia, dove a seguito dell’attività

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venatoria erano disperse nell’ambiente 25.000 tonnellate di pallini di piombo, pari a circa 700 milioni di cartucce. Per questo la legge ha imposto di sostituire il piombo, nelle munizioni usate per la caccia di piccoli e grandi animali, con altri metalli o leghe di altri metalli. Gli uccelli sono molto sensibili al piombo e in animali delle dimensioni di un cigno reale l’ingestione di 4-10 pallini di piombo provoca la morte per avvelenamento acuto in 36-72 giorni (con 25 pallini ingeriti i giorni si riducono a 10). Sono invece sufficienti solo 4 pallini e 6 giorni per determinare la morte nel 60% delle anatre e, in determinate condizioni (ad esempio una dieta carente di proteine), già un’assunzione di 1-2 pallini può uccidere un’anatra

in pochi giorni. Nel ventriglio degli uccelli i pallini ingeriti, in seguito allo sfregamento con altre particelle solide e a causa dell’acidità gastrica (pH 2,5), subiscono un processo di erosione e una trasformazione del piombo metallico in sali che sono assorbiti dall’intestino. Un pallino di piombo rimane nell’ingluvie per 18-21 giorni fino ad un massimo di 6 settimane ed entro questi tempi si ha la sua completa erosione. L’avvelenamento da piombo non interessa però solo gli animali che ingeriscono per primi i pallini da caccia, ma anche i loro predatori. In particolare, sono esposti a rischio elevato i rapaci diurni e notturni (albanelle, nibbi, poiane, ecc…) che si alimentano di uccelli acquatici.

Battuta di caccia al fagiano (photo © www.cacciapassione.com).

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Piombo in cucina Il piombo è stato bandito dalla cucina, ma può ancora entrarvi attraverso la cacciagione, seguendo due strade. Una prima via è il consumo di animali intossicati da piombo, le cui carni contengono significative quantità di piombo in forma assorbibile (da alcuni studi risulta che il 15% degli uccelli acquatici ha carni con livelli di piombo, nei tessuti superiori, al limite di sicurezza indicato per l’alimentazione umana). Una seconda via è la selvaggina abbattuta con proiettili di piombo. Di solito, nell’uomo, i pallini eventualmente ingeriti non si fermano nello stomaco e vengono espulsi con le feci, senza determinare significativa assunzione di piombo. Può tuttavia succedere (per fortuna raramente) che qualche munizione o suoi frammenti si fermino nell’appendice e vi stazionino a lungo, provocando fenomeni di erosione anche importanti. In diverse regioni mediterranee vi è la tradizione di mettere la selvaggina, prima della cottura, in salmì o in una marinatura costituita da diversi ingredienti acidi (ad esempio vino e aceto), oppure di cuocere la carne con aceto (escabeche), vino e pomodoro, che con la loro acidità trasformano il piombo metallico nel tossico piombo solubile. Ovviamente, importante è la quantità di metallo presente nella carne, ma è certo che i metodi di cottura con condimenti acidi portino alla formazione di piombo solubile che si diffonde nella carne contaminandola, rendendo inutile togliere il pallino o i frammenti di piombo dalla carne cotta. Piombo rischio alimentare Secondo l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, gli alimenti che

Petto d’anatra con ciliegie e salsa al Porto. comportano maggiore esposizione al piombo per la popolazione sono quelli consumati più frequentemente, come cereali, latticini, verdura e acqua potabile, ma non bisogna trascurare la selvaggina che ha mangiato piombo o è stata abbattuta con munizioni contenenti tale metallo. Non volendo creare allarmismi inutili, diciamo che attualmente un rischio da piombo significativo

In diverse regioni mediterranee vi è la tradizione di mettere la selvaggina, prima della cottura, in salmì o in una marinatura costituita da diversi ingredienti acidi come vino e aceto, oppure di cuocere la carne con aceto, vino e pomodoro, che con la loro acidità trasformano il piombo metallico nel tossico piombo solubile

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esiste per chi consuma carne di selvaggina in abbondanza e più volte la settimana; non corre pericolo chi ne assaggia una porzione ogni tanto. A scopo precauzionale è comunque bene che dalle carni di selvatici si astengano le persone più sensibili e vulnerabili, come le donne gravide e i bambini, mentre gli anziani ne dovrebbero fare un consumo limitato. Inoltre, è necessario evitare lunghe marinature e cotture con ingredienti acidi, perché non sempre la tradizione è sicura. La soluzione definitiva e ottimale è comunque una completa sostituzione, nelle munizioni da caccia, del piombo con altri metalli, come l’acciaio, il rame e lo zinco, per i quali si hanno già dati di sicurezza. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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WEEK-END

In agriturismo tra Pordenone e le Dolomiti: il Friuli a tavola di Massimiliano Rella

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arne, salumi, verdure, frutta. L’azienda agrituristica si serve di più prodotti per integrare il reddito con l’accoglienza di chi ama visitare, mangiare, dormire o direttamente far la spesa dal produttore. Sono tante ormai le realtà di questo tipo. Noi ne abbiamo visitate due in Friuli Venezia Giulia, tra la pianura e la montagna. La prima A fare da sfondo al centro turistico rurale Gelindo dei Magredi, a Vivaro (PN), è il territorio dei Magredi, sassoso e desolato: con sentieri ghiaiosi, vegetazione bassa e interessanti specie autoctone. Un ambiente formatosi in prossimità

dei torrenti Cellina e Meduna, che ad un certo punto scompaiono nella falda acquifera, singolare fenomeno geologico, per riapparire in superficie nella zona delle risorgive, a Cordenons. Una Zona a Protezione Speciale. L’agriturismo Gelindo dei Magredi (www.gelindo.it), creato nel 1970, è una grande fattoria di proprietà della FAMIGLIA TREVISANUTTO, terza generazione, discendenti di Gelindo, nobile cavaliere ungherese. Forse da quest’origine nasce la passione per i cavalli? L’agriturismo, oltre a frutteti, vigneti, orti e laboratori di trasformazione dei prodotti, include un attrezzato centro d’equitazione completo di stalle, maneggio e corsi di vario

livello. Può anche ospitarli ma, per esplorare il territorio, offre i suoi cavalli e organizza escursioni in carrozza, oltre a 25 biciclette a disposizione. E non manca la piscina per rilassarsi. Si può pernottare in 40 camere site in varie costruzioni e in un agri-campeggio di 18 piazzole. Molto interessanti sono la produzione agroalimentare e il ristorante, che conta su una genuina varietà di prodotti aziendali che per propone in una cucina friulana. La ristorazione cominciò con la trattoria del nonno Gelindo, aperta nel 1962, nucleo originario dell’attuale complesso turistico, ma in cucina oggi ci sono i fratelli TIZIANO ed ELENA. L’azienda, nei suoi

Filetto di maiale lardellato ai frutti di bosco e mele al ristorante Gelindo dei Magredi (photo © Massimiliano Rella).

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15 ettari, produce ortaggi e frutta trasformati in passate di pomodoro, giardiniere, sottoli, salse, succhi e confetture, in vendita nel buteghin, il negozio annesso al ristorante. Un piccolo allevamento di bovini e suini garantisce invece carni, salumi e prosciutti lavorati in proprio e stagionati almeno 24 mesi. Infine i vigneti di Chardonnay, Pinot bianco, Cabernet franc, Sauvignon, Merlot e Refosco dal peduncolo rosso producono le uve per diverse etichette. «La nostra cucina — ci dice Tiziano Trevisanutto — vuole far conoscere i prodotti e le ricette del territorio e dell’azienda. Usiamo prodotti nostri e di altri produttori locali di fiducia, tutto comunque secondo le stagioni, la freschezza e la qualità». La tradizione gastronomica locale, sia pure alleggerita, si esprime in piatti come lo Gnocco verde, senza patate ma di sole erbe (sclopit, cioè silene, tarassaco e spinacina), servito in un cestino di frico, il formaggio friulano fatto con gli scarti della lavorazione casearia; oppure nel Filetto di maiale lardellato ai frutti di bosco e mele. La cantina offre vini da tutta Italia, con qualche rarità straniera e molti friulani (conto € 28,00). La seconda L’agriturismo Pian dei Tass (www. piandeitass.it) della FAMIGLIA TINOR sorge in un territorio incontaminato sulle montagne della Valcellina, in Val Pentina, a 490 metri di altitudine, non lontano dal lago di Barcis, zona delle Dolomiti friulane patrimonio UNESCO. L’azienda agricola, interamente condotta con agricoltura biologica, possiede 4 ettari tra prati fioriti, boschi e frutteto biologico, nel quale sono coltivate 6 varietà di mele — Idared, Pinova, Topaz, Mairac, Braeburn e Sirius — usate in cucina e per produrre succhi e marmellate. Presto potrebbe aggiungersi una piccola produzione di sidro. La coltivazione, di 250 quintali, è cominciata solo cinque anni fa e da poco si avvale di un nuovo laboratorio di trasformazione. L’azienda offre ospitalità in una casa rurale in pietra con camere e in una seconda costruzione con taverna e camere, caldi ambienti

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In alto: la carrozza dell’agriturismo Gelindo dei Magredi. Al centro: il crostino di frico su polenta alla taverna dell’agriturismo Pian dei Tass. In basso: Mario e Olga Tinor (photo © Massimiliano Rella). con pareti interne e scale di legno e arredi country style di montagna. In totale 5 camere e 3 appartamenti. Lo chef MARIO TINOR e sua moglie OLGA propongono una cucina tradizionale e casalinga tutta gnocchi, ravioli, frico e mele, dai primi ai dolci.

Tra le ricette da provare suggeriamo i Ravioli ripieni di erbe su letto di erbe di montagna e fonduta e il Crostino di frico su polenta con ripieno di formaggio, cipolle, patate e verdure (conto € 24,00). Massimiliano Rella

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SONO 180 GRAMMI, LASCIO?

16 Lovers Lane, The Go-Betweens

Watch the butcher shine his knives di Giovanni Papalato

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i sono band che commercialmente ce l’hanno fatta e tante altre che riempiono comunque la vita di fedeli ascoltatori. Non è per forza una questione di qualità o, almeno, non sempre. Insomma, non è detto che se qualcuno vende poco non offra qualcosa di eccellente e non necessariamente che chi vende tanto debba in altro modo proporre qualcosa di scadente. Ma le dinamiche per cui certe cose arrivino o

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meno ad un grande pubblico sono argomento di discussione in molti ambiti, sia che si tratti di cibo sia che si parli di musica. Da una parte, mai abbastanza hype per il pubblico inglese e, dall’altra, troppo diversi per la natia Australia, i GO-BETWEENS hanno vissuto questo insoddisfacente contrasto come in una sorta di limbo, citati ad ogni ascesa e ad ogni fallimento di essere i più o meno effimeri fenomeni indie-pop di entrambi i Paesi. Questa normalità

non ha impedito loro di scrivere e pubblicare sottovalutate, per lo più, ignorate, eccellenze. Esordiscono nel 1982 con Send Me A Lullaby e si sciolgono (temporaneamente, si scoprirà poi) nel 1988 con un disco che rimane il loro capolavoro: “16 Lovers Lane”. E quale collegamento c’è per questa rubrica direte voi? Proprio da questo album il primo singolo estratto è l’unico brano ad aver ottenuto un piccolo successo commerciale.

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Si chiama Street Of Your Town e comincia così: “Round and round up and down Through the streets of your town Everyday I make my way Through the streets of your town Don’t the sun look good today? But the rain on its way Watch the butcher shine his knives And this town is full of battered wives” È una scena in cui si racconta il girovagare senza una destinazione precisa, ma nella familiarità delle proprie strade, in quel miscuglio di insoddisfazione e rassicurazione che tutti abbiamo vissuto almeno una volta. L’instabilità, la mutevolezza come sotto un cielo che da terso sia pronto a riempirsi di nuvole e pioggia. In una città piena di mogli malconce dalla routine, mentre il macellaio lucida i suoi coltelli. Ecco il collegamento, in uno dei brani più rappresentativi del disco, sicuramente il più conosciuto. Ma in “16 Lovers Lane” c’è tanto altro. C’è più di quanto si possa pensare in un album di soli 37 minuti uscito alla fine degli anni Ottanta da una band australiana, non proprio il centro nevralgico della produzione musicale, con tutto il rispetto del caso. C’è lo spettacolo struggente di violini che si sollevano e scendono come in un volo, grancasse che pulsano, chitarre che illuminano e voci che non raccontano soltanto. Oboi, tastiere, crescendo schiantati, diminutivi, tuoni, fulmini, le stelle, frivolezze e sovrappensieri, dichiarazioni d’amore sfacciate e inconfessate, i desideri, i rimpianti e i rimorsi, l’eccezionale e l’ordinario, tutti i grandi e piccoli gesti drammatici e le manifestazioni irrazionali dell’emotività che rendono le canzoni d’amore indie e pop una sorta di affermazione indiscutibile della nostra goffa e meravigliosa identità. Ecco perché si conficcano tra petto e gola e salgono fino a non poter andare più via. Ed ecco perché la “normalità” dei The Go-Betweens, stavolta davvero in bilico tra gli estremi, è così importante. Perché le tensioni interpersonali e la fine di un percorso artistico in cui due amici fraterni,

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ROBERT FORSTER e GRANT MCLENNAN, non riescono a divincolarsi l’uno dall’altro, è uno scambio così ricco da commuovere. Sono cambiati tanto nel corso degli anni e dei dischi, ma qui sembrano raccogliere tutto con la freschezza dei primi anni e, allo stesso tempo, con la consapevolezza dell’esperienza. Il risultato tra le trame strumentali di FORSTER e i testi di McLennan è un album liricamente più complesso dei lavori precedenti e brutalmente sincero. E mentre batteria di Lindy Morrison è concreta e tiene tutti a terra sani e salvi, i due autori hanno smania ed eludendo ogni tipo di sicurezza si emancipano. La produzione rigorosa, senza orpelli inutili, rende le loro dichiarazioni d’amore ancora più irriverenti. In un perfetto incastro le canzoni si susseguono come in una ricerca, rispettando le idealizzazioni: così l’amore è un ideale eterno (Love Goes On), un conforto (Quiet Heart), un simbolo (Love Is A Sign), un’inevitabilità (You Can’t Say No Forever) e, infine, la salvifica traccia di bellezza in un mondo desolato (The Devil’s Eye). Riportati alla realtà (rifiuto, tradimento e violenza domestica), apprendono che l’amore può essere accecante come cieco. Scegliendo come epilogo, assecondando la loro natura romantica, idealmente di tuffarsi nel ricordo dell’amore (Dive For Love). “16 Lovers Lane” è un capolavoro spesso trascurato. The Go-Betweens non si sciolsero per sempre con questo disco, visto che 12 anni dopo, era il 2000, si ritrovarono per poi pubblicare tre dischi molto belli prima della prematura scomparsa di McLennan, evento che irrimediabilmente chiuse la loro storia. Ma non potevano certo saperlo quando nel 1988, in preparazione di quella che doveva essere la fine, scrissero un disco che vale la carriera di tanti altri e che ancora suona in maniera incredibile. Giovanni Papalato Nota A pag. 122 photo © Lucio Pellacani.

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STORIA E CULTURA

Il taglio delle carni bovine Per avere un’eccellente gastronomia delle carni è indispensabile conoscere il taglio più adatto ad ogni preparazione di cucina di Giovanni Ballarini

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i narra che i grandi liutai cremonesi del passato, da A NDREA A MATI ad A NDREA GUARNERI, ad ANTONIO STRADIVARI e loro seguaci, non fossero solo abili nello scegliere i legni e nel saperli stagionare, ma fossero soprattutto maestri nel saper dare al legno un taglio che lo trasformava in uno strumento dal suono equilibrato e perfetto. In modo analogo è il taglio, di cui sono maestri gli artigiani di Anversa, che trasforma un rozzo cristallo di carbonio in un

prezioso diamante che brilla con le sue 57 facce. È sempre il taglio che converte un drappo di seta in un abito alla moda, ed è ancora il taglio della chioma di un esperto coiffeur che fa risaltare il viso di una signora. Lo stesso avviene in cucina, dove l’arte del tagliare le carni è indispensabile per valorizzare le diverse parti dell’animale. Il taglio delle carni nell’antichità Quella del macellaio è un’arte antichissima; il nome deriva da ma-

gheirus, termine la cui radice mag dà anche origine a magister o maestro, con un’etimologia che si collega al sacrificio degli animali nel quale sono invitati a partecipare gli dei. Un’arte descritta da OMERO nell’Odissea (XIV canto), quando racconta di Eumeo che, in modo giusto e retto, dopo aver ucciso e sgozzato il maiale, lo suddivide in sette parti e ne offre una alle Ninfe, una a Ermes, figlio di Maia, e destina le altre parti ai commensali, riservando ad Ulisse il taglio della schiena, la parte più

Tagli di carne bovina.

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Les Très Riches Heures du duc de Berry, Musée Condé, Chantilly. Si tratta di un codice miniato del 1412 circa, capolavoro dei fratelli Limbourg. Il manoscritto, come ogni libro d’ore, consta di una parte destinata ai salmi e alle preghiere e di un’altra, quella a cui i Limbourg devono gran parte della loro celebrità, contenente la serie dei mesi: dodici miniature a tutta pagina accompagnate dal relativo calendario. Il mese di gennaio, che qui riportiamo, raffigura il giorno in cui era consuetudine scambiarsi doni. Come si può ben vedere, il trinciante, incaricato del taglio delle carni, svolge pubblicamente la sua mansione, centrale in un banchetto tardo-medioevale essendo la carne il piatto forte della tavola aristocratica. pregiata, l’attuale lombo, carré o arista. Uno stretto rapporto tra chi alleva gli animali, chi li macella e ne taglia le carni e chi le cuoce è sempre esistito. Già nell’antica Roma le botteghe dei macellai erano raffigurate

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su bassorilievi, col macellaio che dialoga col cliente, come avviene tuttora nelle botteghe della carne dove il compratore riceve ogni tipo di informazione sui tagli e sul loro migliore uso in cucina.

Scalco e trinciante È nel banchetto dell’età rinascimentale e barocca che il taglio delle carni arriva al più alto livello artistico, quando per le carni operavano lo scalco e il bottigliere (che si occupava delle bevande, l’attuale sommelier). Lo scalco, dal longobardo skalk (servo), nei banchetti e conviti serviva le carni tagliate dal trinciante, divenendo in seguito il direttore delle mense (da non confondere con il cuoco). Lo scalco era il soprintendente alle cucine, selezionava e dirigeva i cuochi e la servitù, provvedeva alla mensa quotidiana del suo signore, riforniva la dispensa, organizzava i banchetti nei minimi dettagli. Da semplice servitore, anche se di rango elevato, lo scalco era un cortigiano, un gentiluomo per nascita o, più raramente, per meriti culinari e, a differenza dei cuochi, vestiva in modo ricercato (poteva avere barba, baffi e parrucca). Abbondante la bibliografia sullo scalco: dopo l’Opera nova (1526) di EUSTACHIO CELEBRINO comparvero i trattati di cucina del MESSISBUGO e del ROMOLI. GIOVAN BATTISTA ROSSETTI pubblicò il monumentale Dello scalco (1584), CESARE EVITASCANDALO Il Libro dello scalco (1609), OTTAVIANO RABASCO diede alle stampe Il Convito (1615), V ITTORIO L ANCELLOTTI Lo scalco prattico (1627), ANTONIO FRUGOLI Pratica e scalcaria (1631), GIOVAN FRANCESCO VASSELLI L’Apicio, ouero il Maestro de’ conviti (1647), GIACOMO CALORSI Brevità di scalcaria (1658), FRANCESCO LIBERATI Il perfetto maestro di casa (1658) e VENANZIO MATTEI Il Teatro nobilissimo di scalcheria (1669). Il trinciante esercitava l’arte del trinciare (cioè tagliare le carni) e la sua presenza nei banchetti manifestava la ricchezza e lo stato sociale del principe o del signore. In principio l’incarico di tagliare le vivande durante i banchetti era affidato a un semplice servitore, ma in seguito il ruolo venne ricoperto da personaggi di provenienza aristocratica, perché il taglio della carne, da operazione manuale, divenne una prova di forza, destrezza ed eleganza. Di fronte al signore il trinciante tagliava, sezionava e

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Pancetta

Costata della lunga

Paliciata e copertura di spalla

Ovo di spalla

Manuzza

Piccione

Culatta

Fetta

Filetto

Roastbeef Lombo Fallata di lombo

Finta cartella

Bigolo Pancia

Costa

Costa di sottospalla

Polpa di spalla

Polpa di spalla

Polpa di spalla

Gamba anteriore

Punta di petto

Guido

Coscio di lombo

Dietrocoscia

Colarda

Filetto

Scorzette Costate rigate

Pancettone

Pancettone Pancetta

Appiccatura

Rosciale

Spalla

Lacertino di spalla

Gamboncello

Gamboncello

Punta di petto

Rosciale

Mozzicone

Spalla

Costata della trinca Costata della lunga

Girello

Lacerto

Piscione

Rosciale

Filetto

Gommosa di coscia

Rociale Gallinella

Muscolo appendituri

Polpa di petto

Gamboncella

Triglia

Lacertino di spalla

Appiccatura

Pancettone Appiccatura

Pancettone

Scorzette Costate rigate

Filetto

Colarda

Dietrocoscia

Dattero di colarda

Lacerto

Bavosa Pezza a cannello

Collo

Punta di petto

Osso di spalla

Bottoniera Pancetta

Mastrocosta

Osso piatto

Dietrocoscia

Judisco

Lacerto

Vausa

Appendituri

Nervetto

Collo

Punta di petto

Tronco di petto Sapura

Geretto anteriore

Brione

Fusello

Fesone di spalla Cappello da prete

Manuzza

Ovo di spalla

Vrazzulieddu

Spallone

Costa della croce o reale

Piscione

Locena

Punta di petto

Gamboncello

Spalla

Lacertiello

Spalla

Sottospalla

Costata

Costato bianco di pancia, di reale, della croce

Piatto di costa Sfilatura di costa

Pancia

Pancettone

Scorza filetto Costa

Filetto

Colarda

Dietrocoscia

Colarda

Lacerto

Bavosa Pezza a cannello

Bamborino

Scalfo

Roastbeef

Filetto

Scamone

Fetta di mezzo

Pesce

Magatello

Noce

Natica

Gamboncello

Geretto posteriore Rosa

Napoli

Milano

Pancetta

Pancetta

Trinca Costata

Filetto

Codata

Controlacerto

Judisco

Lacerto

Tanno

Sfasciatura

Pezza a cannello

Sfasciatura

Gallina Sfasciatura

Scannello

Pisciuni

Messina

Gamboncello

Sfasciatura

Piscione

Lanterna

Foggia

Gamboncello

Catania

Bologna

Bari

Tabella 1 – Denominazione dei tagli di carne bovina in alcune città italiane

Imperatore

Spinello

Bruschetto

Manuzza

Ovo di spalla

Sfasciatura

Piano di spalla

Spinello

Gabbia

Pancia Bruschetto

Pancia

Trinca Costata

Filetto

Sottocoda

Dietrocoscia

Tedesco

Lacerto

Bausa

Natica Sfasciatura

Piscione

Palermo

Pisciuni

Spezzato

Fetta con osso bianco

Manuzza

Ovo di spalla

Osso di lingua

Scorza di spalla

Lattughello

Gabbia

Mastrocosta Bollito

Mastrocosta

Trinca

Filetto

A codata

Dietro codata

Tudisco

Lacerto

Bausa

Entrocoscia

Pisciuni

Reggio C.

Campanello

Collo, Gioara

Petto grosso

Muscolo anteriore

Pulcio

Sbordone

Polpa di spalla

Fracosta

Spuntature

Boccia piccola

Collo

Punta di petto

Muscolo anteriore

Nocetta di spalla

Rollino

Spalla

Sottospalla

Spezzato

Pancia Punta di petto

Spezzato

Spuntatura di lombo Pancetta Petto sottile

Sottofiletto Costata

Filetto

Sottofiletto spesso

Infuori

Pesce

Coscia rotonda

Boccia grande

Fesa

Muscolo posteriore

Torino

Lombo Costa

Filetto

Pezza

Controgirello

Piccione

Girello

Rosa

Scannello

Muscolo posteriore

Roma


Denominazioni italiane dei tagli dei bovini da carne Tagli del Quarto Posteriore 1) Lombata – Può essere suddivisa in due tagli: lombata e costata. La lombata vera e propria si trova nella parte posteriore del taglio e ha come base ossea le sei vertebre lombari. Al suo interno è posizionato il filetto. Può essere commercializzata con o senza osso. Altre denominazioni: lombo, roastbeef, sottofiletto. 2) Costata – Costituisce la parte anteriore della lombata ed ha come base le vertebre toraciche. Altre denominazioni: lombo, roastbeef. Viene commercializzata con o senza osso. 3) Filetto – È posto per la maggior parte della sua lunghezza sotto le vertebre lombari. Può essere staccato intero o lasciato unito alla lombata (bistecca con il filetto). 4) Fesa – Si ricava dalla parte interna della coscia. Altre denominazioni: scannello, natica, rosa. 5) Noce – È ricavata dalla parte anteriore della coscia (lato esterno) attaccata al femore. Può venire commercializzata con accorpato il fianchetto. Altre denominazioni: rosetta, tracoscio, soccoscio, boccia grande, bordone. 6) Scamone – Rappresenta il pezzo di congiunzione tra la lombata a la coscia. Altre denominazioni: melino, groppa pezza, sottofiletto spesso. 7) Sottofesa – È la parte laterale posteriore della coscia. Altre denominazioni: lucertolo, controgirello, culatta, dietro coscia, fetta di mezzo. 8) Girello – Si ricava dal margine posteriore della coscia. Altre denominazioni: magatello, lacerto, coscia rotonda. 9) Campanello – Taglio della gamba posteriore corrispondente al polpaccio umano. Altre denominazioni: collo del campanello, muscolo posteriore, pesce, piccione. 10) Muscolo posteriore – Ricavato dalla gamba posteriore. Altre denominazioni: geretto posteriore, gamboncello, pulcio. Tagli del Quarto Anteriore 11) Muscolo anteriore – Ricavato dalla gamba anteriore. Altre denominazioni: gamba anteriore, geretto anteriore, gamboncello. 12) Copertina di sotto – Occupa la superficie interna della scapola. 13) Fesone di spalla – Taglio a forma triangolare. Altre denominazioni: polpa di spalla, cotennotto. 14) Copertina – Appoggia sulla scapola fra il fesone e il girello di spalla. Altre denominazioni: sorra, cappello del prete, polpa di spalla. 15) Girello di spalla – A forma di tronco di cono. Altre denominazioni: rotondino di spalla, fusello, rollino, polpa di spalla. 16) Polpa di spalla – Necessita di cotture lente. Altre denominazioni: pulcio, nocetta di spalla, muscolo di spalla. 17) Collo – Taglio costituito da abbondanti lamine connettivali. Altre denominazioni: giogo, giudo. 18) Costate – Si trova tra il collo e la costata. Altre denominazioni: braciole, polso, costola. 19) Pancia – Comprende la regione dell’addome e parte del costato Altre denominazioni: falda, spezzato, spuntatura di lombo. 20) Sottospalla – Taglio a forma rettangolare. Altre denominazioni: fracosta, polso. 21) Petto e reale – Il pezzo accorpato a petto, pancia e sottospalla. Altre denominazioni: bianco costato, taglio reale, restringitore.

128

Eurocarni, 2/19


Il taglio delle carni è tecnica, arte e cultura: del macellaio, durante il sezionamento dell’animale, del cuoco, che cucina la carne, e del maître, il maestro di sala che la serve. Ognuna delle tre fasi condiziona la bontà del risultato finale e per questo un errore della prima fase non può essere rimediato dalle successive

assaggiava ogni pietanza garantendone la sicurezza. Per questo al trinciante, come allo scalco, era permesso di farsi un piatto con le vivande avanzate. Durante le sue prestazioni, se necessario, poteva trasgredire gli ordini del maestro di casa. La trinciatura avveniva in aria: con un rito quasi teatrale, il trinciante, con la forcina nella mano sinistra, infilzava la vivanda, la sollevava in alto, poi con la destra la tagliava secondo regole ben precise. Esisteva anche una trinciatura sul piatto. I pezzi tagliati, senza essere toccati, erano lasciati

cadere sul piatto, salati e presentati al signore e ai suoi commensali secondo ordini gerarchicamente prestabiliti, con assegnazione delle parti in virtù del loro prestigio. Il primo trattato italiano sull’arte del trinciare è Il Refugio del povero gentilhuomo di GIOVANNI FRANCESCO COLLE; seguono Il trinciante di VINCENZO CERVIO (1581), il Dialogo del trinciante di CESARE EVITASCANDALO (1609), Il trinciante di MATTIA GIEGHER e Il Discorso del trinciante di ANTONIO FRUGOLI (1638). Tecnica, arte e cultura Il taglio delle carni è tecnica, arte e

cultura: del macellaio, durante il sezionamento dell’animale, del cuoco, che cucina la carne, e del maître, il maestro di sala che la serve. Ognuna delle tre fasi condiziona la bontà del risultato finale e per questo un errore della prima fase, che non può essere rimediato dalle successive, ha un’importanza primaria. Il macellaio segue una tecnica che tiene conto della razza, conformazione ed età dell’animale; soltanto l’esperienza consente di arrivare ad un taglio di carne che rispetti e soddisfi il consumatore. Da qui la grande varietà di tagli regionali, con le rispettive molteplici denominazioni, che, anche se non sono di primo valore gastronomico, possono diventare ingredienti di ricette di pregio: è il caso della cartella, base del celebre ragù bolognese. In questa prospettiva i tagli di carne possono assumere valori culturali da proteggere e valorizzare. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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STATISTICHE

Dati ANAS

Bilancio comunitario carni suine, bovine, avicole e ovicaprine: previsioni 2018/2019 132

Eurocarni, 2/19


Eurocarni, 2/19

133

14

1.948

Import carni

Export carni

109

Grado autoapprovvig. (%)

110

32,5

21.236

2.218

11

21

0

23.464

2015

113

32,2

21.073

2.814

12

10

0

23.884

2016

112

32,2

21.118

2.567

14

13

0

23.684

2017

112

32,5

21.418

2.631

16

17

308

208

Import carni

Export carni

100

Grado autoapprovvig. (%)

101

10,6

7.746

211

300

178

0

7.835

2015

102

10,9

7.926

249

304

219

0

8.089

2016

103

10,8

7.889

271

285

238

0

8.113

2017

102

10,9

7.964

255

308

246

0

8.156

2018 *

Peso al consumo (coefficiente di trasformazione da peso carcassa a peso al consumo 0,70). * Previsione. Fonte: elaborazione ANAS su dati Short-term Outlook for EU agricultural markets – Estate 2018.

1

10,5

Consumo pro-capite1 (kg)

7.641

114

Export animali vivi

Consumi

0

7.656

Produzione

Import animali vivi

2014

Carni bovine UE (.000 t peso carcassa)

0

24.049

2018 *

Peso al consumo (coefficiente di trasformazione da peso carcassa a peso al consumo 0,78). * Previsione. Fonte: elaborazione ANAS su dati Short-term Outlook for EU agricultural markets – Estate 2018.

1

32,0

Consumo pro-capite1 (kg)

20.803

35

Export animali vivi

Consumi

0

22.772

Produzione

Import animali vivi

2014

Carni suine UE (.000 t peso carcassa)

102

10,8

7.931

250

314

248

0

8.115

2019 *

112

32,4

21.362

2.552

22

20

0

23.912

2019 *

Carni bovine (.000 t peso carcassa)

Carni suine (.000 t peso carcassa)


134

Eurocarni, 2/19

104

Grado autoapprovvig. (%)

104

22,9

13.254

1.388

855

10

1

13.797

2015

105

23,8

13.829

1.548

882

10

2

14.503

2016

105

23,8

13.869

1.542

789

8

2

14.628

2017

106

24,1

14.052

1.580

789

88

Grado autoapprovvig. (%)

86

1,8

1.052

20

202

38

0

907

2015

87

1,8

1.046

19

203

52

0

914

2016

91

1,8

1.029

34

173

50

0

941

2017

90

1,8

1.031

32

172

40

0

931

2018 *

Peso al consumo (coefficiente di trasformazione da peso carcassa a peso al consumo 0,88). * Previsione. Fonte: elaborazione ANAS su dati Short-term Outlook for EU agricultural markets – Estate 2018.

1

1,8

Consumo pro-capite1 (kg)

1.019

32

Export carni

Consumi

189

36

Export animali vivi

Import carni

0

899

2014

Import animali vivi

Produzione

Carni ovicaprine UE (.000 t peso carcassa)

8

2

14.850

2018 *

Peso al consumo (coefficiente di trasformazione da peso carcassa a peso al consumo 0,88). * Previsione. Fonte: elaborazione ANAS su dati Short-term Outlook for EU agricultural markets – Estate 2018.

1

22,0

Consumo pro-capite1 (kg)

12.719

1.365

Export carni

Consumi

821

11

Export animali vivi

Import carni

1

13.273

Produzione

Import animali vivi

2014

Carni avicole UE (.000 t peso carcassa)

90

1,8

1.045

31

177

39

0

939

2019 *

105

24,3

14.181

1.596

844

8

2

14.939

2019 *

Carni ovicaprine (.000 t peso carcassa)

Carni avicole (.000 t peso carcassa)


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