Eurocarni 2-2023

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EUROCARNI

Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali

Anno XXXVIII N. 2 • Febbraio 2023 € 5,42

Gruppo editoriale

Edizioni Pubblicità Italia Srl

EUROCARNI

Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali

EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE

EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA

US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD

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EURO ANNUARIO CARNE 2023

Prof. Giovanni Ballarini –Dr. Alfonso Piscopo

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Chiappini – Prof. Eugenio

Del Toma – Dr. Emanuele Guidi – Dr. Pierluigi Roncaglia –Prof. Andrea Strata

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Eurocarni, 1/21 5 EUROCARNI La prima rivista veramente europea In questo numero: La carne nel mondo UE: automazione al servizio del benessere dei suini e il futuro 12 della produzione di carni suine Agenda Firenze – Cremona 14 La frase del mese Robert Jacob Lerma, la gente del BBQ 16 Naturalmente carnivoro Vania Mozzato 18 Le storie di Beppe Romeo Sergio Motta 20 Immagini Speciale Trentino: macellerie, allevamenti, filiera corta e gastronomia 22 Meat pack Burger per innamorati 26 A pagina 102. 2/23
Eurocarni, 2/23 6 Attualità “Il Fatto Alimentare” che difende la carne sintetica? Poco giornalismo, 28 molta ideologia PSA: la Sardegna vince la scommessa dopo oltre 40 anni Sebastiano Corona 32 Le carni: un business in crescita, puntando sulle carte giuste 39 Benessere animale Benessere animale certificato Ermanno Comegna 42 La carne in rete Social meat Elena Benedetti 48 Anteprima Marca La carne a Marca 2023 50 Aziende Il Cuomo Method® e la filosofia gastronomica italiana si fondono 54 con la tradizione culinaria russa Consumi La nuova geografia dei consumi nell’Italia dei quattro territori 59 Sicurezza alimentare EFSA, Eurobarometro 2022 sulla sicurezza alimentare 62 Speciale Trentino Trentino in carne, tra macellerie, allevamenti e tavole gourmet Massimiliano Rella 64 Le Mandre, sapori veri! Massimiliano Rella 68 Avvicinare il consumatore alla qualità e al territorio Massimiliano Rella 75 Carne buona a “metro zero” Massimiliano Rella 78 Dal Massimo Goloso: mortandela & Co. Massimiliano Rella 82 Ristorazione trentina: la carne al centro della tavola Massimiliano Rella 86
Anno XXXVIII N. 2 • Febbraio 2023 € 5,42 Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali A pagina 46.
In copertina: splendido taglio di Grigio alpina della macelleria Dal Massimo Goloso di Coredo, TN (photo © Massimiliano Rella).
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Eurocarni, 2/23 8 Analisi del food Carni dimenticate e loro nuovi usi Giovanni Ballarini 90 La carne in tavola La “cacciatora” tra geografia e storia Giorgia Fieni 94 Il manzo di Zrazy e Bigos Nunzia Manicardi 96 Buona carne non mente Albano Beghin, la storia della macelleria padovana Elisa Guizzo 98 La parola gusta Gianluca Nana, passione genuina e continua sperimentazione Paolo A. Garofalo 102 Indagini Opinione dei consumatori su un Prosciutto di Parma con alti standard Serena Soffiantini 106 di benessere animale Alessandro Gastaldo www.eurocarni-online.com A pagina 75. A pagina 32. A pagina 48.

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LA CARNE NEL MONDO

UE: automazione al servizio del benessere dei suini

L’Unione Europea sostiene e finanzia progetti finalizzati all’eliminazione del taglio della coda dei suini e ad un sistema di allevamento a coda integra. Per il bando lanciato da HaDEA, sono a disposizione 1,5 milioni di euro fino al 15 febbraio 2023. L’invito dell’Agenzia europea per la salute e il digitale è di sviluppare un sistema per la misurazione automatizzata della lunghezza della coda e delle lesioni della coda dei suini alla linea di macellazione. L’obiettivo è duplice: da un lato acquisire competenze scientifiche tecniche, dall’altro contribuire alla graduale eliminazione del taglio di routine della coda nei suini. Il taglio è praticato per evitare la morsicatura della coda, ma la stessa morsicatura è considerata un comportamento anomalo dei suini correlato a stabulazione e/o gestione non ottimali. Per la legislazione europea il taglio di routine non è consentito. L’intervento di amputazione è ammesso solamente in particolari casi di derogabilità.

Con il bando prorogato al 15 febbraio, l’Agenzia europea per la salute e il digitale si rivolge tanto agli operatori economici che agli istituti accademici/di ricerca che operano nel settore del benessere dei suini. Possono presentare progetti anche i produttori di carne suina, mattatoi di suini, centri di ricerca sul benessere degli animali, fornitori di attrezzature per mattatoi, sviluppatori di software e IT (fonte: anmvioggi.it).

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EU: il futuro della produzione di carni suine Si prevede che il consumo apparente di carne suina nell’UE diminuirà dello 0,4% all’anno, passando da 32,4 kg pro capite nel 2022 a 31,1 kg nel 2032 (–4% nell’intero periodo). Beneficiando delle eccellenti possibilità di esportazione in Asia nonostante la Peste Suina Africana (PSA), il settore delle carni suine dell’UE ha aumentato la produzione a 23,7 milioni di tonnellate nel 2021, ma sta diminuendo nel 2022. Le esportazioni dovrebbero diminuire gradualmente, ma la PSA avrà un effetto duraturo sulla UE. Inoltre, è probabile che i sistemi di produzione intensiva debbano affrontare maggiori critiche da parte della società. In combinazione con leggi ambientali più severe in alcuni Paesi dell’UE, si avrà un effetto severo sulla produzione. Pertanto, si prevede che la produzione di carne suina dell’UE diminuirà dell’1% all’anno nel 2022-2032, pari a 2,2 milioni di tonnellate nell’intero periodo (fonte: 3tre3.it).

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AGENDA

Firenze

Coinvolgente, per assolo o big band, il jazz è il genere musicale che meglio rappresenta la voglia e la libertà di provare accostamenti inediti, lanciandosi nell’esplorazione di sound innovativi. Proprio come accade con i sapori. Clarinetto, sax, tromba e percussioni si fondono in un’armonia di gusti e diventano “Jazzy Taste”, il tema che darà ritmo alla prossima edizione di Taste, in programma dal 4 al 6 febbraio presso la Fortezza da Basso di Firenze. Scrive AGOSTINO POLETTO, direttore generale di Pitti

Immagine: “Gusti, profumi, sapori cercati, coltivati, inventati e ritrovati, in perenne comunicazione, in continua sperimentazione. Il cibo, quello talentuoso, è ritmo, cadenza, battito, accordi e disaccordi, assonanze e dissonanze, note alte e basse alla ricerca di nuove armonie. Esperienze coinvolgenti, immersive, totalizzanti non concentrate su un singolo senso, ma sulla coralità dei cinque sensi. Esibizioni soliste, come quella di un ingrediente straordinario, accostamenti in forte contrasto o in sintonia, come il dolce e il salato, alleati o duellanti, fino ad arrivare all’energia collettiva di un’orchestra, quella di Taste, che sale sul palco unita, non mancando di sottolineare sempre il valore unico di ciascuna individualità. La musica, come il cibo, inventa e sperimenta. Segue percorsi consolidati per poi divertirsi a rompere e a crearne di nuovi. Un ritmo irresistibile che è anche quello dei sapori e del gusto. Accordi e disaccordi, fratellanze e contrasti, armonie e ricercate disarmonie, gli ingredienti hanno la loro musicalità, la capacità di suonare corde interiori, evocano e scuotono, emozionano e rassicurano nella creatività dei sapori”. taste.pittimmagine.com

Cremona

Si svolgerà il 27 febbraio, presso Palazzo Trecchi, a Cremona, Suinicoltura Congress, un convegno che farà il punto sui temi della sanità, tecnologia, sostenibilità ed economia e sui driver della suinicoltura moderna. Nonostante le conseguenze della guerra russo-ucraina, coi rincari energetici e delle materie prime che stanno pesando enormemente sui bilanci delle aziende, il settore suinicolo guarda avanti e pianifica investimenti per mantenere alta la sua competitività a livello internazionale. Si tratta di un percorso che non può ignorare gli aspetti legati alla sanità animale, all’innovazione tecnologica, alla sostenibilità e all’economia. Grazie alla presenza dei più qualificati esperti, il convegno affronterà e approfondirà questi temi che mai come ora mettono in gioco la sopravvivenza di uno dei comparti agroalimentari più importanti dell’intero sistema economico nazionale. www.suinicolturacongress.it

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+ + 12 Amici, risate, allegria SEROTONINA Sport, gioco ENDORFINA 3 4 + Abbracci, amore OSSITOCINA Tartare, il piacere senza glutine DOPAMINA LA RICETTA DELLA FELICITA’ PER UNA RIPARTENZA CON POCHE CALORIE, TANTO GUSTO E PROTEINE 1 p 2 FIORANI&C. S.P.A. - VIA COPPALATI N. 52 - 29122 PIACENZA (PC) P.IVA 01410740334 - TEL. +39 (0)523-596111 - marketing.fiorani@fiorani.net seguici su: Scopri le nostre ricette sul sito www.fioraniec.com/le-ricette/ Tutti i prodotti a marchio FIORANI sono SENZA GLUTINE

Quello che ho imparato osservando la gente del BBQ è che non c’è una via di mezzo. O si ama questa vita o si trova qualcos’altro da fare. Perché altrimenti si trascorrerebbero molte ore, da soli, a volte tutta la notte, a cucinare per molte persone che non si sono mai incontrate? Posso dirvi che non è per i soldi ma per amore. La gioia che porta agli altri. La gente che fa BBQ è di un’altra pasta. Non sono migliori o peggiori. Solo diversi. E questo è un bene.

What I’ve learned about watching BBQ people, there’s really no in between. You either love the life or find something else to do. Why else would they spend long hours, alone, sometimes overnight, cooking for many people they’ve never met? I can tell you, it ain’t the money, but the love. The joy it brings others. BBQ folk are cut from a different cloth. Not better or worse. Just different. And that’s a good thing.

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LA FRASE DEL MESE

NATURALMENTE CARNIVORO

A MarcabyBolognaFiere 2023, importante vetrina per i prodotti dell’eccellenza italiana a marca del distributore, tanto business nel comparto delle carni e dei salumi. Tra i protagonisti anche la sales manager vicentina Vania Mozzato, professionista stimata che vanta una lunga esperienza nel settore: “Naturalmente carnivora” d’eccezione!

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LE STORIE DI BEPPE ROMEO

Uno dei pochi, pochissimi che inizia il lavoro in stalla. La sua è in Piemonte, a Serralunga d’Alba, nella provincia di Cuneo. Animali trasportati e sacrificati ad Inzago, le cui carni vengono lavorate con rispetto e dedizione, servite in bottega e cucinate nel suo ristorante» scrive Beppe Romeo, ricordando la sua grandezza, quella di essere sempre disponibile a spiegare e divulgare la sua arte, senza gelosie, per promuovere il consumo dell’animale intero. Con rispetto, dedizione e professionalità (photo © instagram.com/bepperomeoo).

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La carne non è soltanto gola e buona cucina, ma è anche territorio, è ambiente, paesaggio e cultura. Per questo motivo Massimiliano Rella ha fatto un viaggio tra macellerie, allevamenti e tavole gourmet del Trentino, seguendo, con qualche deviazione, l’itinerario della Strada del Vino e dei Sapori regionale. Lo speciale Trentino lo trovate a pagina 64 (in foto, taglio delle carni nel laboratorio dell’allevamento con macelleria Bertoldi a Riva del Garda).

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IMMAGINI

Burger per innamorati

Un burger gourmet a forma di cuore in limited edition per celebrare la festa degli innamorati: è questa l’idea di Centro Carni Company, produttrice del marchio You&Meat, che anche in questa particolare festività non perde l’occasione per celebrare il binomio tra gusto e convivialità. Amor di Burger è un prodotto speciale, realizzato con carne macinata di scottona, su ricetta tradizionale You&Meat. Perfetto da condividere con chi si ama durante la cena di San Valentino, sarà venduto in serie limitata le prime due settimane di febbraio 2023 e distribuito in alcune catene tra Nord, Sud e Centro Italia.

Nome: Amor di Burger , burger gourmet di scottona a forma di cuore.

Ingredienti: carne bovina (86%), acqua, fiocchi di patata, sale, fibra vegetale da agrumi, pisello e carota, aromi naturali; antiossidante: acido ascorbico; spezie. Senza glutine.

Peso al pezzo: 180 grammi, confezionato in skin pack, singolarmente.

Limited & Special Edition: Valentine’s day.

Prezzo consigliato: € 3,20/pz.

* You&Meat è il brand di Centro Carni Company nato nel 2015 per portare in tavola burger gourmet ricavati da pregiati tagli anatomici, comunemente utilizzati per la preparazione di altri piatti. L’unicità di You&Meat sta nella sua diversità: un ventaglio di proposte volte ad “educare” il palato del consumatore ai diversi gusti della vera carne. You&Meat propone, infatti, un vero e proprio viaggio nel mondo delle razze bovine: dalla Chianina all’Aberdeen Angus Sired alla Piemontese.

>> Link: www.youandmeat.com

www.centrocarnicompany.com

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MEAT PACK

“Il Fatto Alimentare” che difende la carne sintetica?

Poco giornalismo, molta ideologia

Eurocarni, 2/23 28 ATTUALITÀ

Qualche settimana fa IL FATTO ALIMENTARE ha scritto un articolo (ilfattoalimentare.it/coldiretti-carne-coltivatacarne-sintetica.html) in cui si tenta di smontare punto per punto quanto affermato da COLDIRETTI in un comunicato stampa contro la carne sintetica coltivata in laboratorio (coldiretti.it/consumi/consumi-le5-bugie-della-carne-frankenstein). ASSOSUINI – Associazione Suinicoltori Italiani ha inteso replicare con un comunicato, al fine di fornire un’informazione corretta e veritiera, che riportiamo integralmente.

Come definire la carne sintetica “Innanzitutto, la giornalista de IL FATTO ALIMENTARE mette in ridicolo l’appellativo carne Frankenstein con cui viene indicata la carne sintetica, sostenendo che si tratta di carne al 100% e che non ha niente a che fare con il famoso umanoide assemblato con parti diverse. Inoltre, viene dato per totalmente falso anche il fatto che possano svilupparsi cellule cancerose durante la proliferazione cellulare.

Che si possano generare cellule cancerogene è invece un’ipotesi reale, seppur remota, a causa della grande velocità di proliferazione delle cellule staminali totipotenti. Quindi sminuire questo concetto come una totale assurdità denota subito poca serietà nell’affrontare l’argomento, che necessita di approfondimenti scientifici.

Non è carne naturale al 100% Inoltre, non si tratta di carne naturale al 100% come affermato da IL FATTO ALIMENTARE, ma di semplici fasci muscolari che necessiteranno di essere insaporiti con altri ingredienti, come burro, pangrattato, sale ecc. per poter assomigliare ad una polpetta. La carne è tutt’altro: è fatta di ossa, grasso, cartilagini, nutrienti presenti naturalmente che è impossibile da riprodurre nella carne sintetica, se non addizionandoli in modo artificiale. La carne prodotta in laboratorio sarà infatti carente di vitamina B12, ferro e micronutrienti specifici della carne vera, in quanto non esiste nessuna

L’effetto del blocco per l’emergenza Coronavirus nelle città europee

La pandemia che ha investito tutto il mondo con il contagio da Covid-19 di milioni di persone ha determinato provvedimenti di blocco della mobilità e delle attività produttive in molti paesi. I dati rilevati dai satelliti del programma europeo Copernicus-Sentinel-5P, che permette di rilevare gli inquinanti, sono studiati dai ricercatori di vari istituti un po’ dappertutto in Europa. L’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha rilanciato lo studio del Royal Netherlands Meteorological Institute (knmi.nl). In particolare, i ricercatori olandesi hanno analizzato le immagini satellitari che mostrano le concentrazioni di biossido di azoto dal 13 marzo al 13 aprile 2020 rispetto alle concentrazioni medie dello stesso inquinante di marzo-aprile del 2019. Madrid, Milano e Roma hanno visto una riduzione di circa il 45%, mentre Parigi addirittura del 54%, coincidente con le severe misure di quarantena implementate in tutta Europa (photo © arpat.toscana.it).

tecnologia in grado di riprodurne fedelmente il contenuto nutrizionale. Insomma, di carne al 100%, come viene fatto credere, non c’è proprio niente.

Zootecnia e antibiotici

Nell’articolo de IL FATTO ALIMENTARE si afferma poi che ‘gli associati a Col-

diretti fanno un uso più che generoso di prodotti chimici nelle loro coltivazioni e nei loro allevamenti, compresi antibiotici e fitofarmaci’. Sull’uso ‘più che generoso’ di antibiotici ci sentiamo di dissentire, in quanto la zootecnia è stato il settore che ha fatto di più per ridurre l’impiego di antibiotici e combattere

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L’allevamento può essere positivo per l’ambiente e può essere parte della soluzione nel risolvere il cambiamento climatico, grazie a Carbon farming, agricoltura rigenerativa, digitale e di precisione, che rendono gli allevamenti sempre più efficienti e sostenibili.

la piaga dell’antibioticoresistenza, ottenendo percentuali di riduzione dal 47 all’82% (carnisostenibili. it/antibiotici-uso-in-calo-negliallevamenti-italiani). Gli sforzi per ridurli ulteriormente fino alla loro totale eliminazione portano miglioramenti costanti, mentre non si può dire altrettanto in medicina umana, dove l’abuso e l’utilizzo sbagliato di antibiotici è drammaticamente ancora troppo alto.

Utile inoltre sottolineare che, secondo la recente pubblicazione di ESVAC, la strategia Farm to Fork prevede una riduzione del 50% delle vendite di antimicrobici per animali d’allevamento e in acquacoltura entro il 2030 rispetto all’anno di riferimento 2018. Nel 2021, le vendite aggregate per i 27 Stati Membri dell’UE hanno già raggiunto circa un terzo dell’obiettivo di riduzione del 50% fissato per il 2030.

Nell’articolo in questione de Il Fatto Alimentare emerge una inspiegabile presa di posizione in forte difesa della produzione di cibo artificiale, su cui in realtà sappiamo ancora troppo poco: non sappiamo quale sarà il suo reale impatto sull’ambiente, né sulla nostra salute e questo fa sorgere parecchi dubbi e perplessità sulla sua buona fede

Impatto ambientale

IL FATTO ALIMENTARE sostiene con forza anche che il calcolo dell’impatto ambientale della produzione di carne sintetica sia più basso di quello della carne tradizionale negli allevamenti. Non è così, in quanto sono ancora pochi e poco accurati gli studi che possano mostrare senza dubbio che la carne sintetica sia davvero meno impattante. La questione è molto complessa e sono tanti i fattori da valutare. Indubbiamente, se la coltivazione di carne sintetica in laboratorio continuerà a basarsi su fonti fossili anziché rinnovabili, la sua produzione nel lungo periodo sarà più impattante in termini di emissioni di CO2, perché i bioreattori in cui proliferano le cellule sono molto energivori.

Inoltre, la frase sbandierata da IL FATTO ALIMENTARE che ‘non esistono

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deiezioni’, non è per nulla positiva, perché dalle deiezioni degli animali si ricava il fertilizzante naturale per i terreni. Quindi, l’assenza di deiezioni comporterà un più alto impiego di fertilizzanti chimici e fitofarmaci, con un maggior inquinamento e impatto ambientale. Ricordiamo anche che dalle deiezioni si ricava il biogas, una fonte di energia rinnovabile che permette non solo a tante aziende agricole di autoalimentarsi e produrre in perfetta economia circolare, ma è anche un’opportunità per poter ottenere la tanto desiderata indipendenza energetica.

Ultimamente si parla tanto anche di Carbon farming, cioè la possibilità delle aziende agricole di sequestrare il carbonio dall’atmosfera e di produrre in neutralità climatica, con un impatto ambientale pari a zero. Forse sarebbe meglio informarsi su tutti questi argomenti in modo approfondito, prima di avere la pretesa di scrivere un articolo per smontare quanto sostenuto da Coldiretti.

Meat sounding

Soprattutto quando si afferma che ‘Le battaglie fatte per impedire che anche i burger vegetali fossero chiamati così, come la campagna Ceci n’est pas une steak, sono state tutte perse’, si percepisce un sottile piacere nel definire persa la battaglia contro il Meat sounding, una presa in giro bella e buona ai danni del consumatore. Ci si sta battendo da anni per tutelare il consumatore da etichette ingannevoli ed è molto strano e triste che la giornalista de IL FATTO ALIMENTARE non lo capisca.

Il punto sulla sostenibilità

Alle domande ‘Coldiretti ha soluzioni per fornire proteine a 8 miliardi di esseri viventi o per annullare gli effetti della crisi climatica mantenendo gli allevamenti?’. Sì, la soluzione c’è. Ma sembra che si voglia invece continuare a demonizzare gli allevamenti, ignorando completamente che oggi è possibile produrre carne in modo sostenibile, in perfetto equilibrio e in armonia con la natura circostante. Non è una questione di ‘punti

di vista’, come sostenuto in conclusione dal sito diretto da Roberto La Pira, ma di realtà e sono tanti gli esempi di aziende virtuose.

L’allevamento può essere positivo per l’ambiente e può essere parte della soluzione nel risolvere il cambiamento climatico, grazie al Carbon farming, all’agricoltura rigenerativa, digitale e di precisione, che rendono gli allevamenti sempre più efficienti e sostenibili.

Cibo artificiale? No, grazie Emerge invece una inspiegabile presa di posizione in forte difesa della produzione di cibo artificiale, su cui in realtà sappiamo ancora troppo poco: non sappiamo quale sarà il suo reale impatto sull’ambiente, né sulla nostra salute, per cui l’articolo de IL FATTO ALIMENTARE fa sorgere parecchi dubbi e perplessità sulla sua buona fede. E tutto diventa subito più chiaro quando in chiusura vengono ringraziate le associazioni animaliste Animal Equality Italia, Animal Law Italia, CIWF Italia, Essere Animali, LAV e LNDC Animal Protection… A buon intenditor poche parole.

Le foto tratte dal sito di ARPAT TOSCANA (si veda box a pagina 29) mostrano la Pianura Padana prima e durante il lockdown 2020, quando erano attive solo le produzioni zootecniche e ferme quasi tutte quelle industriali (ed i trasporti). Così, giusto per dare un’idea di chi sono i veri ‘inquinatori’. E per ricordare a IL FATTO ALIMENTARE che in questo suo articolo c’è poco giornalismo, e molta ideologia”.

Fonte: Assosuini assosuini.it

Linkografia

• coldiretti.it/consumi/consumile-5-bugie-della-carne-frankenstein

• carnisostenibili.it/carne-coltivata-futuro-dellalimentazione

• carnisostenibili.it/antibioticiuso-in-calo-negli-allevamentiitaliani

• arpat.toscana.it/notizie/notizie-brevi/2020/lockdown-einquinamento-atmosferico-ineuropa

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PSA: la Sardegna vince la scommessa dopo oltre 40 anni

È l’alba di un nuovo giorno nell’Isola.

piaga sociale

Nella patria del maialetto allo spiedo, è finalmente venuto meno quell’embargo che rendeva la Sardegna ancora più distante e lontana dai mercati nazionali ed esteri. Il suino infatti non poteva varcare il mare

e questo fatto ha condizionato per decenni un settore e un’economia agricola che, da sempre, lo vedono protagonista a dispetto degli enormi problemi legati alla patologia. Nelle scorse settimane a Bruxelles il Comitato tecnico rappresen-

tato dagli Stati Membri ha deciso all’unanimità a favore della proposta della Commissione europea per la revisione delle restrizioni imposte alla Sardegna per il contrasto alla diffusione della PSA, in vigore dal 2011. Non tutti i comuni sardi

La Peste Suina Africana è una malattia contagiosa e infettiva che colpisce il maiale domestico e il cinghiale, ma non è trasmissibile all’uomo. In Europa è arrivata per la prima volta in Portogallo, si presume attraverso scarti alimentari provenienti dall’Africa, nella seconda metà degli anni ‘50, per espandersi poi in tutta la Penisola Iberica. Per quanto riguarda la Sardegna, il primo intervento per l’eradicazione del virus risale al 1982.

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Lo è per i sardi tutti, perché oggi si scrive la storia della zootecnia regionale da decenni afflitta da una vera e propria

Il punto di snodo nell’Isola erano gli allevamenti illegali e i cinghiali, completamente fuori controllo e capaci di trasmettere la malattia all’infinito, tanto più che si tratta di un virus con un’alta morbilità, cioè che non diminuisce la sua carica virale con il tempo.

potranno in realtà godere degli effetti delle nuove disposizioni, perché il 20% circa continuerà a sottostare alle regole suddette, ma il restante è stato liberato — e il termine non è casuale — e potrà così riprendere a commercializzare gli animali vivi e le carni verso tutto il mondo.

Nella metà dei comuni questa possibilità sarà percorribile senza vincoli, mentre negli altri casi la movimentazione extraregionale

sarà consentita secondo le deroghe previste dai regolamenti europei, ma, considerando i numeri dei capi censiti, l’84% della produzione suinicola sarda potrà riaffacciarsi finalmente al mercato globale

Il disappunto delle popolazioni escluse è forte, ma la prospettiva è che presto anche il resto delle zone possa godere delle stesse possibilità.

Le modifiche approvate a Bruxelles sono entrate formalmente

Le modifiche approvate a Bruxelles sono formalmente entrate in vigore a gennaio 2023, con l’aggiornamento al Regolamento comunitario. Nel frattempo Regione e Ministero della Salute sono impegnati nella definizione delle linee di indirizzo sulle deroghe alla movimentazione per le aree ancora soggette a restrizioni, in ragione delle sieropositività registrate nei cinghiali e nei suini domestici

in vigore a gennaio 2023, con l’aggiornamento al Regolamento comunitario, ma nel frattempo Regione e Ministero della Salute sono impegnati nella definizione delle linee di indirizzo sulle deroghe alla movimentazione per le aree ancora soggette a restrizioni, in ragione delle sieropositività registrate nei cinghiali e nei suini domestici. Tutti i comuni inclusi, oltre a poter usufruire delle deroghe per la movimentazione degli animali e dei derivati, saranno soggetti ad una rivalutazione periodica, con una progressiva revisione dei vincoli, fino alla loro completa cancellazione, qualora il quadro epidemiologico dovesse rimanere invariato. E per quelle comunità che rientrano nella cosiddetta zona rossa, dove al momento permangono limitazioni alla movimentazione degli animali vivi, la Regione sta per stanziare 5 milioni di euro per indennizzi

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alle aziende. “Quella contro la Peste Suina Africana è stata una lunga lotta che ha richiesto impegno e sacrificio, attraverso un percorso non sempre lineare. Ma dal 2021 abbiamo accolto le richieste di Bruxelles come un’opportunità irrinunciabile e siamo stati in grado di dare delle risposte concrete, anche avviando un dialogo con la Commissione europea e il Ministero della Salute. Mai prima d’ora la Regione, nella sua parte politica, si era seduta al tavolo della Commissione Europea per discutere la revisione delle restrizioni. A maggio scorso abbiamo raggiunto un accordo per stilare un preciso cronoprogramma e a cadenza mensile abbiamo portato sul tavolo della Commissione lo stato d’avanzamento sulle misure messe in campo, fino ad arrivare alla giornata di oggi. Un risultato di tutti i sardi, reso possibile grazie a un impegno corale, che ha visto in prima linea non solo l’Unità di progetto, l’Istituto zooprofilattico sperimentale della Sardegna, il Corpo Forestale, Forestas, Laore e i servizi veterinari delle ASL, ma anche i sindaci, i cacciatori e le associazioni di categoria che, in questi anni, hanno dato un contributo fondamentale”: è quanto riportato dall’ufficio stampa del presidente della Regione

CHRISTIAN SOLINAS.

Gli fa eco il neo Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste FRANCESCO LOLLOBRIGIDA, che non esita a definire il momento “storico” per gli allevatori sardi e per tutti gli imprenditori della filiera, che “meritano finalmente di ripartire, pienamente e in sicurezza, nelle loro attività economiche”

Di questo risultato è però doveroso ringraziare, oltre all’attuale Giunta regionale, anche l’ex presidente della Regione, FRANCESCO PIGLIARU, e l’ex assessore della Sanità, LUIGI ARRU, per aver avuto a suo tempo la lungimiranza di intraprendere un percorso tanto virtuoso quanto irto, che comprendeva il fatto di mettersi contro buona parte del mondo delle campagne. Fu infatti una scelta a suo tempo fortemente impopolare, che però non ha scoraggiato, nella convinzione che si dovesse fare ciò che era necessario e non ciò che era conveniente sul piano del consenso popolare.

La persistenza dell’infezione in Sardegna è stata infatti storicamente favorita dalla diffusione di allevamenti di tipo familiare e dal radicamento di pratiche tradizionali, presenti soprattutto nei comuni dell’interno, ma non solo. La scarsa o nulla collaborazione da parte degli allevatori e dei comuni cittadini, le difficoltà di applicazione del divieto di pascolo brado e la presenza, per un certo lasso di tempo, di contributi a favore di chi denunciava di essere detentore di bestie infette, hanno determinato decenni di insuccessi di piani di sorveglianza e di misure di controllo. Con conseguenze nefaste sul fronte economico, che per 44 anni sono state sotto gli occhi di tutti.

Solo nel 2016, l’Unità di Progetto, un gruppo di esperti in materia di PSA dedicato all’implementazione del piano di eradicazione, con particolare riferimento alle attività di sorveglianza negli allevamenti e alla verifica dell’applicazione delle misure di biosicurezza, è giunto a risultati concreti.

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La soddisfazione di ASS.I.CA.

«Accolgo con estrema soddisfazione che la Commissione europea abbia ufficialmente riconosciuto che le misure adottate nel corso degli ultimi anni hanno portato a un forte miglioramento della situazione della PSA nell’isola. Questo aspetto è tanto più importante se calato nella situazione epidemiologica nazionale ed europea. Mi auguro che i buoni risultati ottenuti in Sardegna siano replicabili quanto prima anche nell’Italia continentale ed invito le nostre Autorità sanitarie ma soprattutto politiche a proferire il massimo sforzo per raggiungere l’obiettivo di una completa eradicazione della PSA sul nostro territorio. Il Commissario straordinario alla PSA deve essere messo in condizioni di operare con la massima tempestività ed efficacia; diversamente, le conseguenze saranno disastrose: dall’inizio del 2022 il settore sta subendo un danno da mancate esportazioni di almeno 20 milioni di euro al mese e le trattative per la riapertura dei mercati dei Paesi Terzi sulla base del principio della regionalizzazione sono particolarmente difficili». Così il presidente di ASS.I.CA. – Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi, Ruggero Lenti, ha commentato la notizia dell’adozione del regolamento UE che pone fine all’embargo di circa la metà del territorio sardo, suddividendo l’altra metà in zone soggette a diverse restrizioni e deroghe.

«Quanto ottenuto fino ad oggi in Sardegna deriva anche e soprattutto dall’imprescindibile ruolo di coordinamento e vigilanza del Ministero della Salute in questi ultimi anni. Ricordiamo ancora la disastrosa situazione venutasi a determinare in Sardegna a seguito dell’esplosione di focolai nel biennio 2012-2013, salvo poi constatare, con estrema soddisfazione, che proprio da quel momento è partita la scelta di fare della battaglia contro la PSA una priorità. Partendo dall’analisi degli errori del passato è stato costruito un piano d’intervento che avesse un approccio innovativo, con l’aiuto dei maggiori esperti sul campo» ha continuato il presidente di ASS.I.CA.

Lenti ha poi concluso: «Ritengo — ed i fatti lo stanno dimostrando — che la nascita e la conferma dell’Unità di Progetto (UdP) per l’eradicazione della PSA in Sardegna abbia rappresentato senza dubbio il passaggio principale che ha determinato un cambio di rotta rispetto al passato. L’UdP è stata la vera novità sul piano organizzativo, che ha permesso per la prima volta uno stretto collegamento tra tutti i soggetti istituzionali, e non solo, coinvolti nella lotta al virus. Un coordinamento che ha reso possibile attivare un lavoro di squadra mai visto prima sul piano legislativo e quindi operativo nelle diverse azioni intraprese per debellare la malattia. Per questo voglio ringraziare la Giunta Pigliaru per aver intrapreso questo percorso virtuoso e l’attuale Giunta Solinas per aver portato a termine il lavoro raggiungendo un risultato storico».

Fonte: ASS.I.CA.

I metodi di allevamento si sono uniformati a rigidi requisiti di biosicurezza, innalzando così lo standard. Ma, soprattutto, si è avviata una severissima campagna di abbattimento dei capi detenuti illegalmente, una lotta all’allevamento illegale e alla pratica del pascolo brado, nonostante il malcontento di comunità che avevano usi e costumi in completa antitesi con questa linea.

Anche grazie ad un’ampia campagna di sensibilizzazione, è nata una nuova consapevolezza di allevatori, cacciatori e addetti del settore, che nel tempo ha fatto registrare un netto miglioramento della situazione epidemiologica, con una notevole riduzione del numero di focolai negli allevamenti domestici e tra i cinghiali. Era infatti evidente una correlazione tra il pascolo brado e la malattia e la task force è andata

ad intervenire soprattutto su quella. Ma non è stato facile.

In alcuni comuni dell’interno sono stati abbattuti migliaia di capi, portando il brado ai minimi storici. Un’azione tanto importante quanto difficile, messa in campo in un clima tesissimo, che ha richiesto il coinvolgimento puntuale delle forze dell’ordine. Le istituzioni regionali come la Regione Sardegna, l’ATS, l’Istituto Zooprofilattico, l’agenzia Forestas, il Corpo Forestale, i Carabinieri, la Polizia, i Prefetti, Laore e Agris, ma soprattutto i sindaci hanno dovuto operare in condizioni di grande tensione sociale. Non a caso molti operatori sono stati pesantemente minacciati di ritorsioni, anche sul piano personale e familiare.

Nonostante questo, e seppur dopo 44 anni, i Sardi sono riusciti nel loro intento. E come a suo tempo la Sardegna guardava con ammirazione al modello iberico, che aveva portato fuori dal tunnel gli Spagnoli, ora rappresenta essa stessa un esempio virtuoso, studiato e osservato dai territori che stanno facendo i conti con il problema

Il punto di snodo nell’Isola erano gli allevamenti illegali e i cinghiali, completamente fuori controllo e capaci di trasmettere la malattia all’infinito, tanto più che si tratta di un virus con un’alta morbilità, cioè che non diminuisce la sua carica virale con il tempo. Il maiale allo stato brado vanta una carne senza paragoni, ma ancora una volta si dimostra che sono gli allevamenti confinati e controllati, a garantire la maggior sicurezza.

Gli animali da allevamento sono sottoposti ad un tale monitoraggio che, in caso di ingresso della malattia negli impianti, si attivano immediatamente azioni di limitazione e confinamento del focolaio. In sostanza, gli allevamenti intensivi costituiscono una barriera protettiva alla diffusione della PSA e non il contrario I consumatori di carne di maiale non devono avere timori nell’acquistarla, perché proveniente da strutture fortemente controllate.

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Prezzo agnello. Confagricoltura Sardegna: aspettative deluse

A dicembre, in Sardegna, è stato siglato un accordo tra un’organizzazione di categoria agricola e una parte della Grande Distribuzione e del mondo della macellazione per un prezzo equo da corrispondere ai produttori primari. Intesa che non ha sortito gli effetti sperati. Insieme a migliaia di aziende del mondo delle campagne, CONFAGRICOLTURA SARDEGNA aveva accolto con grande interesse e aspettativa il decreto sulle Pratiche sleali, che attua la direttiva della UE destinata a garantire una maggiore tutela per gli operatori del settore agricolo e alimentare. La prima filiera ad applicare l’accordo è stata quella dell’Agnello di Sardegna IGP. Ismea, nel report pubblicato a dicembre 2022, ha stabilito che il costo di produzione dell’agnello è risultato mediamente di 5,62 €/kg (a peso vivo e IVA inclusa). Secondo le indicazioni del decreto sulle Pratiche sleali, il prezzo dell’agnello di Sardegna IGP non potrà essere pagato sotto i costi di produzione stabiliti da Ismea e quindi non meno di € 5,62 (€ 5,11 più IVA). L’intesa siglata a dicembre ha coinvolto, per il tramite dell’associazione agricola, anche i vertici del Consorzio di Tutela dell’Agnello di Sardegna IGP, proponendosi ad allevatori e consumatori come strumento innovativo attraverso cui mettere finalmente in sicurezza il lavoro dei pastori con un giusto compenso per le attività svolte. «Questa intesa, a campagna di vendite natalizie ormai chiusa, non ha avuto i risultati attesi» denunciano i vertici sardi di Confagricoltura. I motivi principali sono sostanzialmente due «Il primo riguarda il fatto che il protocollo interessava solo una piccolissima fetta delle aziende ovine sarde e il secondo, più determinante, che non erano state previste garanzie e forti contrappesi affinché gli impegni assunti dalle parti fossero rispettati per tutta la campagna produttiva, con un prezzo da corrispondere agli allevatori di non meno di € 5,62. Si stima che a dicembre, dei circa 300.000 agnelli macellati, solo poche migliaia siano stati pagati ai pastori secondo il protocollo d’intesa. Esempi simili arrivano inoltre dall’analisi di alcuni dati: dalla Sardegna stanno partendo da 2.500 a 3.000 agnelli a settimana con un prezzo che oscilla tra 2,8 e 3 €/kg». Confagricoltura Sardegna chiede al Consorzio di Tutela dell’Agnello di Sardegna IGP che le scelte consortili siano concertate e condivise con l’organo direttivo, rappresentante del mondo pastorale sardo, e con le diverse organizzazioni agricole (fonte: EFA News – European Food Agency).

Le carni: un business in crescita, puntando sulle carte giuste

Sostenibilità, benessere animale ma anche prodotti gourmet

Carne sì, carne no? Negli ultimi anni le carni sono state al centro di un duplice fenomeno: da un lato, una valorizzazione legata alla crescente diffusione delle diete proteiche; dall’altro, il boom del vegetariani-

smo e dei sostitutivi vegetali. I dati ci dicono però che per i consumatori la risposta è decisamente “carne sì”: secondo l’analisi di Statista , quest’anno il valore del mercato mondiale sfiorerà i 1.200 miliardi di dollari e nei prossimi anni crescerà

del 7,8% l’anno in media fino al 2027. In Europa il mercato vale oggi oltre 381 miliardi di dollari — quasi 1/3 del totale mondiale — e sarà prossimo ai 500 miliardi nel 2027. Per quanto riguarda l’Italia, Paese che vanta una plurisecolare

Le analisi confermano che la maggior parte dei consumatori a livello mondiale, al di là del boom delle diete vegetariane, non ha alcuna intenzione di rinunciare all’acquisto di carne e salumi, pur modulandone le quantità (photo © Kzenon).

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e rivisitazione dei tagli classici. Ecco come le carni rispondono alle nuove esigenze manifestate dai consumatori. E fanno boom!

tradizione in particolare nel comparto dei salumi, i numeri dell’associazione di categoria ASS.I.CA. segnalano che, per questi ultimi, nel 2021 i consumi nazionali sono aumentati del 5,4% in volume, mentre le esportazioni sono cresciute del 15,2% a volume e del 12% a valore. Nel periodo gennaio-giugno 2022, le esportazioni sono salite a quota 95.006 tonnellate (+4,1%), per un fatturato di 925,6 milioni di euro (+9,5%). Protagonisti della crescita sono stati i prosciutti crudi stagionati, ma buone sono state anche le performance di salami. Tra i Paesi che hanno incrementato di più l’import dall’Italia si segnalano Francia (+9,8% in quantità e +12,2% in valore), Svezia (+17,1% e +18,6%) e Polonia (+36,9% e +38,7%).

Il consumatore chiama, le aziende rispondono

Il merito va senz’altro anche alla capacità dei produttori di anticipare e interpretare le nuove tendenze di consumo. Sostenibilità e benessere animale, praticità e rapidità di preparazione, ma anche proposte sfiziose e rivisitazione dei tagli “meno pregiati” per nuovi utilizzi, come il

barbecue, sono solo alcune delle richieste che i consumatori fanno alle aziende. «Non c’è un “segreto”, ma i consumatori acquistano con buon senso», commenta Valeria Fiorani, responsabile marketing di Fiorani (Gruppo Inalca). «Vogliono più attenzione all’ambiente e alla sana alimentazione e dovrebbero ricevere più informazioni per valutare correttamente, ad esempio nell’etichettatura. Anche nelle alternative vegetali che, spesso, sono prodotti ultraprocessati.

Noi abbiamo lanciato un progetto di consumo consapevole, la Filiera Benessere Animale — prosegue Fiorani — solo suini italiani, allevati senza antibiotici negli ultimi 120 giorni, rispettando standard di biosicurezza. Il benessere è garantito sul 100% della filiera attraverso controlli e certificazioni DQA: minor densità, spazi adeguati e piani nutrizionali calibrati. Inoltre, da anni facciamo ingenti investimenti in Ricerca & Sviluppo per realizzare prodotti pratici e veloci da cucinare».

«In effetti, si assiste ad una rivisitazione della carne, con un boom sul BBQ dove tagli “meno nobili” sono ottimi anche per cotture più rapide», aggiungono i rappresentanti

dell’azienda di Tombolo (PD) Centro Carni Company. «Un altro boom caratterizza le proposte gourmet come burger, tartare o carni frollate in dry aged. Oggi, inoltre, la carne si presta sempre più anche a nuovi utilizzi, come gli antipasti o i piatti unici. In tema di qualità, già dal 2014 abbiamo attivato un approccio di filiera con l’Aberdeen Angus Sired, perfezionato nel 2021. La filiera permette più controllo sulla materia prima in tutte le fasi e una logistica più corta, con un impatto positivo sull’ambiente. Abbiamo inoltre rivisto i nostri pack, diminuendo peso e dimensioni per evitare sprechi di plastica e carta».

Molto simili le considerazioni dei produttori esteri. «Per rispondere alle esigenze dei consumatori puntiamo sempre più sulla qualità e in particolare il bio, ma mantenendo un rapporto qualità-prezzo competitivo con i sostituti vegetali. Abbiamo introdotto la tracciabilità completa di ogni taglio fino all’allevamento, privilegiando animali al pascolo — il cosiddetto grass-fed — e il km 0, con allevamenti vicini ai macelli. L’Italia è un mercato ricettivo per i prodotti di qualità e vogliamo introdurvi alcune nostre proposte, come i burger gourmet surgelati», conclude JAMES LUCEY, managing director di Food Kings (Germania).

Un mondo in grande fermento, dunque, che a Tuttofood 2023 troverà la sua naturale collocazione nell’area Tuttomeat, valorizzando al contempo le affinità di filiera con altri settori e gli affondi sulle tendenze nel ricco programma di eventi.

TUTTOFOOD 2023

fieramilano, 8-11 maggio

www.tuttofood.it

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In Europa il mercato della carne vale oggi oltre 381 miliardi di dollari, pari a quasi 1/3 del totale mondiale, e sarà prossimo ai 500 miliardi nel 2027.

La Virtual Meat Factory del Gruppo CSB-System è on-line!

Sviluppata sulla base delle best practice dei numerosi clienti del Gruppo CSB-System — specialista IT leader del settore alimenti e bevande — durante il tour nella Virtual Meat Factory potrete scoprire:

• in che modo le aziende leader del settore carne controllano e ottimizzano i loro processi;

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⇒ Scoprite la Virtual Meat Factory al link: www.csb.com/it/know-how/knowledge-hub/videos/processi-di-best-practice-nel-settore-carne

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Benessere animale certificato di

Ermanno Comegna

Dal 2023 sarà attivo in Italia un sistema unico ed armonizzato di certificazione volontaria del benessere degli animali secondo le regole stabilite nel Decreto Ministeriale del 2 agosto scorso, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 novembre 2022. Il Sistema di Qualità Nazionale per il Benessere degli Animali(SQNBA) è stato istituito con l’articolo 224

bis del Decreto Legge 19 maggio 2020 n. 34, successivamente convertito in legge e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 18 luglio 2020 (“Decreto rilancio” predisposto per introdurre misure urgenti a seguito del Covid).

Gli obiettivi politicamente rilevanti sono molteplici, ma due appaiono quelli principali. Il primo riguarda la necessità di

armonizzare a livello nazionale i requisiti e le regole applicabili per la certificazione degli allevamenti che ottengono prestazioni elevate in materia di salute e benessere degli animali. Attualmente sono attivi in Italia diversi modelli privati di certificazione, ognuno con sensibilità e caratteristiche proprie.

C’è, inoltre, come motivazione forse strategicamente più rilevante,

Eurocarni, 2/23 42 BENESSERE ANIMALE
Il SQNBA diventerà, a partire dal 2023, una delle componenti della PAC, in quanto è alla base di uno specifico ecoschema che premia gli allevatori certificati, i quali, come requisito supplementare, impiegano metodi estensivi di produzione, con il pascolamento degli animali secondo regole predefinite.

Scopri il Sapore... ...Scopri la Genuinità!

Fidatevi del Vostro Gusto e scoprirete la differenza. La bresaola e gli sfilacci di carne di cavallo di Giovanni Coppiello sono tutto il meglio e il buono che potete far provare ai vostri sensi. Scoprirete così un piatto unico dai pregi infiniti: ottimo antipasto, intingolo per condire paste bucate, oppure prelibato secondo.

Nella foto una delle nostre “Ricette Consigliate”: Bresaola di Cavallo con Perle di Verdure e Salsa Zafferano

Esecuzione: con lʼapposito scavino realizzare le perle di verdure e lessarle. Condire con unʼemulsione di succo di limone, olio, zafferano, pepe ed un pizzico di sale. Servire la bresaola di cavallo su un letto di rucola e guarnire il piatto.

Ingredienti per 4 persone

200 gr. di Bresaola, 2 Zucchine, 2 Carote, 1 Limone

1 Bustina di Zafferano, 6 Cucchiai di Olio dʼOliva, Pepe in Grano, 20 gr. Sale al Sedano.

COPPIELLO GIOVANNI Tel. 049 725 596 Fax 049 893 0525 www.coppiello.it - info@coppiello.it Studio Canaletto Associato . studiocanaletto.com
“Julienne” Di Bresaola di Equino Sfilacci di Equino Sfilacci di Manzo Sfilacci di Tacchino Bresaola di Equino Salame di Equino

Fondata a Firenze nel 1753 per iniziativa di Ubaldo Montelatici, allo scopo di “far continue e ben regolate sperienze, ed osservazioni, per condurre a perfezione l’Arte tanto giovevole della toscana coltivazione”, l’Accademia dei Georgofili ha accompagnato lo sviluppo delle scienze agrarie, nella loro accezione più ampia. Seguendo l’evolversi dei tempi, continua ad affrontare le nuove problematiche che investono l’agricoltura e tutti i rapporti dell’uomo con l’ambiente naturale. Conduce studi e ricerche, adottando le più moderne metodologie, al fine di promuovere concrete iniziative. I risultati vengono esposti e discussi pubblicamente in apposite “adunanze pubbliche”, poi riportate nell’annuale volume degli Atti.

Per affrontare lo studio di ogni singola problematica, l’Accademia liberamente si avvale della collaborazione dei più qualificati studiosi e tecnici, ovunque siano, anche se afferenti a diversi enti pubblici e privati. Per lo studio di specifici temi sono costituiti anche appositi Centri e Comitati consultivi. Inoltre, al fine di potenziare attività e collaborazioni sull’intero territorio nazionale, i Georgofili hanno realizzato Sezioni geografiche. L’attività editoriale oggi comprende anche la “Rivista di storia dell’agricoltura”, le “Informazioni dai Georgofili”, monografie su specifici argomenti, pubblicazioni commentate di antichi manoscritti, vari cataloghi. La Biblioteca, la Fototeca e l’Archivio offrono agli studiosi un patrimonio documentario tematico di ineguagliabile valore, oggetto continuo di indagini storiche da parte di studiosi di varie discipline. I pregi di tale patrimonio vengono messi in rilievo anche da numerosi momenti espositivi organizzati periodicamente su tematiche specifiche. Fra le attività dell’Accademia vi sono altre iniziative, quali corsi di formazione e aggiornamento. I Georgofili hanno rappresentato e rappresentano uno strumento per confrontare e far circolare le idee, collegandosi con il mondo e contribuendo a mantenere alto il prestigio della nostra cultura, sempre nel pieno rispetto del proprio motto Prosperitati Publicae Augendae.

>> Link: www.georgofili.info

la volontà di conferire alla filiera zootecnica italiana uno strumento per la valorizzazione delle produzioni, in particolare quando queste derivano da allevamenti nei quali si attuano requisiti di salute e benessere degli animali, superiori rispetto a quelli previsti dalle norme comunitarie e nazionali e comunque conformi a regole tecniche predefinite che contemplano anche la gestione delle emissioni nell’ambiente.

Ai fini della valorizzazione commerciale delle produzioni è previsto l’utilizzo di un marchio distintivo, ancora da definire, col quale identificare i prodotti conformi ai disciplinari che sono stati certificati da un organismo autorizzato.

Il SQNBA diventerà, a partire dal 2023, una delle componenti della PAC, in quanto è alla base di uno specifico eco-schema che premia gli allevatori certificati, i quali, come requisito supplemen-

tare, impiegano metodi estensivi di produzione, con il pascolamento degli animali secondo regole predefinite. L’operazione rientra nell’ambito del livello 2 dell’Ecoschema 1, dedicato alla zootecnia, con una dotazione finanziaria che ammonta a 65 milioni di euro per anno e premi di importo indicativo unitario di 240 euro per UBA nel caso di bovini da latte, da carne ed a duplice attitudine e 300 euro per UBA per i suini certificati ed allevati allo stato brado

Il funzionamento del sistema di certificazione volontario ad oggi non è ancora operativo, per almeno due ordini di motivi. In primo luogo perché è necessaria una preventiva autorizzazione della Commissione europea che approvi il progetto di regola tecnica in materia di SQNBA che le competenti autorità nazionali hanno trasmesso nel mese di giugno scorso. Inoltre, mancano i requisiti

produttivi (Disciplinari di produzione) che stabiliranno le regole da rispettare negli allevamenti e nelle altre fasi della filiera zootecnica per poter conseguire la certificazione di conformità in materia di benessere degli animali.

Le norme tecniche saranno distinte per specie, orientamento produttivo e metodo di allevamento e costituiranno il punto di riferimento sul quale gli allevatori e gli altri operatori dovranno basare i loro comportamenti per partecipare al modello gestionale virtuoso ed ottenere, così, il rilascio della conformità.

La regia che permette il funzionamento del SQNBA è affidata ad un organismo tecnico-scientifico con il compito di definire il regime e le modalità di gestione del Sistema Qualità, comprese le regole per il ricorso alla certificazione e all’accreditamento degli organismi abilitati.

Il Decreto Ministeriale pubblicato di recente definisce l’architettura ed il funzionamento del modello di certificazione e rimanda a successivi provvedimenti per le decisioni in materia di disciplinari di produzione, definiti nel testo come “requisiti di certificazione relativi all’allevamento delle specie di animali di interesse zootecnico”. In particolare, il provvedimento ministeriale istituisce il Comitato tecnico scientifico benessere animali (CTSBA), attribuendo ad esso anche il compito di individuare il segno distintivo col quale identificare i prodotti certificati.

Fanno parte del Comitato i rappresentanti dei Ministeri competenti (Agricoltura e Salute) e delle Regioni e delle Province autonome, gli esperti in materia di benessere animale ed un componente di Accredia (organismo nazionale di accreditamento).

Alla base del funzionamento del processo di certificazione c’è il sistema informativo di categorizzazione degli allevamenti in base al rischio (Classy Farm), istituito dal Ministero della Salute. I dati gestionali degli allevamenti saranno opportunamente raccolti ed elaborati e costituiranno la base per classificare gli

Eurocarni, 2/23 44

allevamenti e verificare la presenza dei requisiti necessari per l’accesso al SQNBA.

La certificazione volontaria può essere richiesta non solo dagli allevatori (operatori della produzione primaria), ma anche dalle imprese del settore alimentare (impianto di macellazione, operatore della trasformazione e del commercio).

La commercializzazione degli animali e dei prodotti derivati conformi al SQNBA può avvenire riportando alcune informazioni nei documenti di vendita e nelle etichette, tali da ottenere così la differenziazione commerciale ed una auspicabile valorizzazione della produzione.

In tale contesto è prevista anche la possibilità di utilizzare il logo identificativo che sarà successivamente individuato con un apposito decreto ministeriale.

Il testo del provvedimento contiene alcune disposizioni che riguardano l’organismo di certifica-

zione, con particolare riferimento ai requisiti di iscrizione e di funzionamento, di carattere generale e specifico relativo al personale, alla formazione ed alle procedure di certificazione.

Il nuovo sistema armonizzato di certificazione del benessere degli animali sembra aver considerato tutte le possibili variabili in gioco per sperare in una buona traduzione pratica dell’iniziativa, compresa la decisione di as sicurare un finanziamento pubblico che potrebbe suscitare un vivo interesse.

Ci sono però alcune questioni critiche da considerare. Intanto, si segnala la mancata stesura, ad oggi, delle regole da rispettare nella fase produttiva che sono necessarie per ottenere la conformità e rivestono una certa importanza per una compiuta valutazione dello strumento. Poi ci sarebbe da considerare la reazione degli operatori economici che non è scontato sia positiva. Un’analoga esperienza nel campo

delle produzioni vegetali (Sistema qualità nazionale produzione integrata –SNQPI) non è al momento decollata e si trascina avanti senza picchi di entusiasmo.

In tale contesto, non andrebbe dimenticato come la conformità a norme tecniche abbia un costo gestionale che un imprenditore decide di sostenere solo in caso di potenziale favorevole ritorno, almeno nel medio termine.

Infine, c’è il dubbio se iniziative del genere debbano essere governate dalla mano pubblica oppure sia meglio lasciare al mercato ed all’iniziativa privata.

L’Italia, ma pure l’Unione europea che, nell’ambito del Farm to Fork, pensa a regole comuni in materia di certificazione di sostenibilità e di benessere degli animali, la pensano diversamente. Ciò non di meno, qualche interrogativo resta sull’efficacia di tale soluzione.

Ermanno Comegna Accademia dei Georgofili

Le proteine fanno bene contro l’influenza

Le giuste scelte a tavola possono contribuire non poco ad aiutare il nostro organismo a combattere i malanni di stagione. Per difendersi dai primi freddi è infatti fondamentale seguire una dieta equilibrata, ricca di minerali e vitamine per attrezzare il sistema immunitario ad affrontare meglio i mesi più duri. E non devono mai mancare le proteine. Lo dicono i nutrizionisti, come Elisabetta Bernardi, specialista in Scienza dell’alimentazione, oltreché biologa e, appunto, nutrizionista. «Ci sono cibi particolarmente indicati nella stagione invernale: in generale le proteine forniscono i mattoni per costruire altre sostanze di natura proteica che intervengono nella nostra difesa, come gli anticorpi e le cellule del sistema immunitario e svolgono quindi un ruolo importante nella guarigione e nel recupero».

Esistono tanti tipi di proteine o, più precisamente, di fonti proteiche: possono essere animali, più ricche di amminoacidi essenziali o vegetali. Carne, pesce, uova, latte e derivati, yogurt e formaggi sono fonti proteiche di origine animale, poi ci sono quelle di origine vegetale, che forniscono comunque un certo apporto di proteine, benché di minore qualità, come legumi e frutta a guscio, quindi noci, mandorle, nocciole e pinoli. «La carne, in particolare — spiega la dottoressa Bernardi — assicura all’organismo un’ottima quantità di proteine di alto valore biologico, ma prove convincenti dimostrano inoltre che specifiche sostanze come la taurina e la creatina, abbondanti nella carne rossa, manzo, agnello e maiale ad esempio, svolgono un ruolo importante nell’inibire lo stress ossidativo e l’infiammazione, modulare la risposta immunitaria migliorando il metabolismo e le funzioni di monociti, macrofagi e altre cellule del sistema immunitario. In particolare, il ruolo della taurina nel sistema immunitario è legato alle sue proprietà antiossidanti: studi sia in vitro che in vivo, nonché diversi studi clinici, indicano che i derivati della taurina e la taurina stessa siano utili nella lotta alle malattie infiammatorie infettive e croniche. Attraverso l’aumento della disponibilità di arginina per la generazione di ossido nitrico, arma contro batteri patogeni, funghi, parassiti e virus, il completamento dietetico con la creatina svolge un ruolo importante nella protezione degli esseri umani dalle malattie infettive». I tre piatti “antinfluenzali”? Brodo, di carne o di pollo, zabaione e stracciatella in brodo (fonte: EFA News – European Food Agency).

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1. RJL e il Texas BBQ

Si chiama ROBERT JACOB LERMA, è californiano di nascita e texano d’adozione, con base ad Austin. Fotografo professionista, imprenditore di distillati e appassionato del Texas BBQ è, tra gli altri, brand ambassador per Snake River Farms, Go Ruck e Hedley and Bennett. Noi lo seguiamo su instagram.com/robertjacoblerma: tutto da scoprire su robertjacoblerma.com. In foto una picañha di @snakeriverfarms: quanta bellezza (photo © instagram.com/robertjacoblerma).

2. RPM Steak

Che spettacolo RPM Steak a Chicago, USA. Situata nel quartiere River North, RPM Steak (rpmrestaurants.com) è una rivisitazione aggiornata della classica steakhouse e propone quasi due dozzine di tagli di manzo diversi, provenienti dalle migliori macellerie e produttori di tutto il mondo. In foto il dettaglio di un taglio Château Uenae Snow Beef proveniente da Hokkaido, Giappone (photo © instagram.com/rpmsteak).

Eurocarni, 2/23 48 LA CARNE IN RETE
Social di Elena
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3. Maison Bello Megève

Nella località alpina francese di Megève, sul Monte Bianco, Maison Bello (@maisonbello) ha aperto una seconda boucherie e gastronomie in perfetto stile montanaro. Calda e accogliente, moderna e curatissima in ogni dettaglio, vale una visita. Anche soltanto su instagram. com/maisonbellomegeve (photo © instagram.com/ maisonbellomegeve).

4. Babaroga Steakhouse

A Belgrado c’è una steakhouse da visitare: è Babaroga, con carni super selezionate anche con lunghe frollature e un’ampia scelta tra tagli e cotture. In attesa di andare li seguiamo su instagram.com/babaroga_steakhouse e su facebook.com/babaroga2018. Maestri nella valorizzazione delle carni di qualità così come nella comunicazione (photo © instagram.com/babaroga_steakhouse).

Eurocarni, 2/23 49 meat Benedetti 3 4

A Bologna va in scena la 19a edizione dell’unica manifestazione

italiana dedicata alla marca commerciale

La carne a Marca 2023

Andiamo in stampa con questo numero di Febbraio alla chiusura dell’edizione 2023 di MarcabyBolognaFiere, la numero 19, che si è svolta Il 18 e 19 gennaio, organizzata in collaborazione con ADM – Associazione Distribuzione Moderna e con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna e della Camera di Commercio di Bologna. Una vetrina sempre più prestigiosa dove sono stati esposti prodotti food e non food dell’eccellenza italiana a marca del distributore, la due giorni rappresenta la prima strategica occasione dell’anno per fare business di qualità, stringere collaborazioni di valore e sviluppare sinergie con le principali insegne della Distribuzione Moderna che solo a MarcabyBolognaFiere , nel panorama internazionale, espongono i propri prodotti. La business community del comparto ha avuto modo di visitare i 6 padiglioni (uno in più rispetto all’edizione 2022) per un’offerta complessiva di circa 23.000 m2 di area espositiva netta, a riprova della crescita che la marca privata sta registrando nelle scelte dei consumatori in Italia e in Europa.

Sul prossimo numero di EUROCARNI di Marzo troverete un ampio reportage sui protagonisti di queste due intense giornate e sulle novità di settore, oltre a un feedback sui format tematici Marca Fresh e Marca Tech e sulla presentazione del XIX Rapporto MarcabyBolognaFiere a cura di IRI e del Position Paper 2023 a cura di THE EUROPEAN HOUSE-AMBROSETTI.

Erano

presenti a questa nuova edizione di MarcabyBolognaFiere e sono arrivate a quota 22 le più importanti insegne della Distribuzione Moderna riunite nel Comitato Tecnico Scientifico della manifestazione: Ard Discount, Brico Io, Bricofer, C3, Carrefour, Conad, Coop, Coralis, Cortilia, Crai, Decò, Despar, D.it-Distribuzione Italiana, Italy Discount, Lekkerland, Marr, Md, Risparmio Casa, S&C, Selex, Unes, VéGé.

Nelle pagine di seguito trovate una selezione di pack di carne protagonisti di questa edizione dell’evento.

>> Link: www.marca.bolognafiere.it

Eurocarni, 2/23 50 ANTEPRIMA MARCA
oltre 900 gli espositori
Eurocarni, 2/23 51
La prima volta di INDAL a MarcabyBolognaFiere, con uno stand affollato di buyer e operatori che hanno approfondito l’offerta di prodotti dell’azienda bresciana di Montichiari.
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Alcuni tagli delle linee “A Tavola con noi”, “Passione BBQ”, “Tagli Speciali” di Filiera Uno, il progetto di filiera integrata del Gruppo modenese Alcar Uno, leader in Italia nella lavorazione della carne suina. Il pack di ogni taglio riporta informazioni su razza, alimentazione, filiera e qualità.

Formento, il brand della storica MEC Spa – Industria Alimentare Carni, specializzato nella lavorazione e trasformazione di carne rossa bovina piemontese, ha presentato a Marca 2023 un’ampia offerta di prodotti certificati di altissima qualità.

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Il Cuomo Method® e la filosofia gastronomica italiana si fondono con la tradizione culinaria russa

Eurocarni, 2/23 54 AZIENDE

A destra: un collaboratore del Team Vishnevskiy. In basso: il salame calabrese del Club Gastronomico Vishnevskiy.

La passione per il buon cibo e la riscoperta dei sapori artigianali oggi fanno tappa a Mosca, nel recente e innovativo Club Gastronomico Vishnevskiy, una realtà imprenditoriale frutto di approfondita ricerca verso le moderne tecnologie e dell’amore per alimenti sani e genuini, scaturiti dalla mente fondatrice di ANDREJ VISHNEVSKIY

L’idea di creare un luogo che coniugasse qualità gastronomica e tecnologica nasce dall’ultradecennale esperienza dell’imprenditore nel mondo delle attrezzature professionali, che gli ha permesso una selezione continua tra differenti prodotti e un variegato confronto con professionisti del settore, individuando l’esigenza crescente di un pubblico alla ricerca di esperienze sensoriali dal sapore tradizionale. A ciò ha dato risposta mettendo in piedi una realtà basata su produzioni artigianali ispirate alla norcineria

Eurocarni, 2/23 55

italiana e, per metterlo in pratica, l’intero team ha individuato come partner coloro i quali credessero e perseguissero il medesimo obiettivo della genuinità: è grazie alla condivisione della vision che ha avuto inizio la collaborazione con la Stagionello® Factory

Questo ambizioso progetto ha avuto origine nel critico periodo pandemico, ma ha dato modo ad Andrej e alla sua squadra di comprendere l’importanza di un’alimentazione sana e sostenibile, basata sulle risorse locali: «Con l’arrivo del Covid, la crisi che ha investito il mercato ha favorito l’idea di dare vita ad un nuovo prodotto che puntasse sull’artigianalità e desse risalto alle potenzialità del territo-

rio. Abbiamo scelto e selezionato materie prime locali dai rilevanti parametri organolettici e biochimici, ulteriormente esaltati grazie al Cuomo Method®, la nuova era della trasformazione alimentare passa obbligatoriamente attraverso l’alta tecnologia, che quotidianamente ci permette di preservare sapori autentici attraverso la gestione di impianti moderni, intelligenti e sicuri». Questa la testimonianza di Andrej Vishnevskiy, promotore di prodotti che potremmo definire “nuovi nel gusto e certificati nella qualità”.

Tra i motivi che hanno avvicinato l’imprenditore russo alla realtà made in Italy di Stagionello® vi è il costante investimento nella formazione,

valore che Stagionello® Factory garantisce ad ogni collaboratore per acquisire piena competenza della tecnologia in uso e, soprattutto, la rassicurazione di un adeguato affiancamento nella realizzazione di prodotti studiati su specifiche esigenze: «il nostro Club Gastronomico ha una missione educativa, creare una comunità che sappia apprezzare prodotti e produttori della Russia, attraverso un continuo scambio di esperienze e idee. Un profondo rapporto umano è ciò che più abbiamo apprezzato lavorando al fianco del team Stagionello®, non semplici produttori di attrezzature innovative, ma cultori del valore etico che concerne le produzioni alimentari artigianali.

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Il Club Vishnevskiy propone sia carni pregiate locali che tenero salmone e pescato.

Sono anni ormai che lavoriamo fianco a fianco con grande rispetto, confrontandoci con passione e dedizione, per arricchire la gamma di prodotti e risolvere ogni nostra esigenza, sia tecnica che culinaria».

Una realtà in continua evoluzione, partita dal ruolo di rivenditore commerciale nel settore delle attrezzature, successivamente protagonista nell’alta ristorazione, per culminare nelle produzioni alimentari in sinergia col Cuomo Method®

Un business che si è espanso velocemente, avendo come finalità la creazione di raffinate proposte gastronomiche, di stampo tradizionale sul fronte dei pregiati salumi suini e dalle note innovative e pionieristiche nel settore in ascesa della charcuterie di mare.

È per questo motivo che all’interno del Club Gastronomico Vishnevskiy sono funzionanti tutti e tre gli impianti di trasformazione alimentare a marchio Stagionello®, per rispettare ed esaltare al meglio le caratteristiche di ogni materia prima: «Abbiamo scelto di puntare sia su carni pregiate locali che su teneri filetti di salmone, oltre ad altre svariate specie ittiche offerte dal pe-

scato. Il nostro obiettivo è codificare nuovi gusti, preservando la qualità, un progetto realizzabile solo grazie al Cuomo Method® che, attraverso il governo del pH, garantisce la salubrità dei prodotti, consentendoci il vanto dei nostri capisaldi, gusto, esclusività e sicurezza».

Nuovi prodotti dunque all’orizzonte, come bottarga, bresaola di carne e tonno, salame di pesce e mortadelle di mare, tutti da realizzare sempre ispirandosi alle collaudate e raffinate ricette del glorioso panorama gastronomico made in Italy. Tutto ciò va verso un più grande e nobile obiettivo, quello di diffondere la qualità delle produzioni artigianali in tutto il territorio circostante e oltre, così da poter consentire a chiunque di apprezzare l’autentico sapore della tradizione, valorizzando una cultura gastronomica salutare ed eticamente sostenibile, lontanissima da un mercato sempre più industrializzato.

>> Link: stagionellostore.com

Eurocarni, 2/23

International

Food Exhibition

La nuova geografia dei consumi nell’Italia dei quattro territori

Chi abita in città si approccia alla spesa in modo diverso rispetto a chi vive in campagna, così come chi abita in zone industriali rispetto a chi vive in aree turistiche. Ad individuare e mappare il rapporto tra le 4 aree territoriali e gli stili d’acquisto è il Nuovo Codice Consumi di GS1 Italy

La composizione del carrello della spesa? Dipende anche (e molto più di quello che si pensi) dal territorio in cui vive il consumatore. Ma non tanto in termini di regione o zona geografica, quanto di struttura socio-economica: a rivelarlo è il Nuovo Codice Consumi, realizzato da GS1 Italy in collaborazione con IPSOS e MCKINSEY & COMPANY, in cui si propone un modo nuovo, più attuale ed efficace, di leggere i comportamenti d’acquisto degli Italiani nel largo consumo. E così, analizzate con questa chiave di lettura innovativa, le scelte di spesa fatte in zone d’Italia distanti tra di loro si sono rivelate sorprendentemente simili, ad esempio tra le aree urbane di Milano e Roma, tra la Riviera romagnola e la Versilia, tra le Alpi piemontesi o gli Appennini calabresi, o tra le aree residenziali di Verona o Lecce. «Il nuovo modo di leggere i territori italiani, messo a punto dal Nuovo Codice Consumi, ha evidenziato che la classificazione tradizionale, in base alle aree geografiche, non basta più per cogliere le profonde differenze esistenti anche tra territori molto vicini tra loro, all’interno della stessa provincia o regione» spiega MARCO CUPPINI, Research & Communication director di GS1 Italy. «Invece, la suddivisione dell’Italia nelle quattro tipologie di territori che abbiamo individuato

in base al loro profilo economico ha rivelato profonde analogie nei fattori attitudinali che guidano le motivazioni di spesa e la scelta dei canali di acquisto lungo tutto il territorio nazionale».

Per arrivare a questa nuova mappatura dell’Italia, il team di ricerca del Nuovo Codice Consumi ha prima suddiviso la popolazione in nove “comunità di sentire”, accomunate da esigenze, affinità, attitudini e passioni simili, e ha poi classificato i comuni italiani in 4 aree basate sull’indicatore di prevalenza economica (Figura 1):

1. agricola;

2. manifatturiera;

3. turistica;

4. grandi città e zone residenziali. Infine, ha analizzato come le nove “comunità di sentire” siano distribuite in queste 4 tipologie di territori.

1. Aree a prevalenza agricola: 61% del territorio, 18% della popolazione

La vocazione agricola diventa spesso anche identità culturale condivisa, con un’alta sensibilità alla custodia del territorio e delle tradizioni, e ai prodotti locali, di cui si conoscono provenienza e lavorazione. A questo si contrappone il disinteresse verso la cucina, probabilmente come ribellione e come ispirazione a

Il Nuovo Codice Consumi, realizzato da GS1 Italy in collaborazione con Ipsos e McKinsey & Company, propone un modo nuovo, più attuale ed efficace, di leggere i comportamenti d’acquisto degli Italiani nel largo consumo.

uno stile di vita urbano. C’è una maggiore attenzione al prodotto e alle sue qualità rispetto ai brand Le attitudini di acquisto per i prodotti dal maggior coinvolgimento emotivo si dividono tra quelli per cui si amano le novità dettate dalle mode urbane (come frutta esotica

Eurocarni, 2/23 59 CONSUMI

Figura 1 – I quattro nuovi territori: diffusione geografica

e pane fresco con mix di farine) e quelli legati al passato (come carni, pesce e salumi). Per questi prodotti si preferiscono i canali specializzati (meno frequentati rispetto agli altri tre territori), ma il punto vendita di riferimento resta il supermercato, mentre ipermercati e discount sono associati alla spesa veloce e conveniente.

2. Aree a prevalenza industriale: 22% del territorio, 37% della popolazione

Piccole città o sobborghi di grandi città, dove prevalgono le PMI familiari, e dove gli stili di vita e di consumo sono in equilibrio tra il pragmatismo (inteso come attenzione alla moderazione nei consumi in nome della forma fisica e alla convenienza) e l’aspirazione allo stile di vita metropolitano (interesse per il delivery e i nuovi gusti).

Questi consumatori si approcciano ai prodotti ad elevato coinvolgimento emotivo muovendosi tra l’imitazione dei trend urbani (come nell’interesse per il vino, anche come indicatore di status) e la ricerca di tradizioni provenienti da un passato conosciuto e confortevole (ad esempio nel cibo per animali).

La vasta presenza della GDO ne fa il canale preferito e assimila i diversi format. Per ortofrutta, carni, pesce e salumi c’è interesse a fare acquisti nei canali specializzati, con una frequentazione allineata alla media nazionale (inferiore per i mercati).

3. Aree a prevalenza turistica: 14% del territorio, 25% della popolazione

Gli stili alimentari sono improntati all’efficienza e alla velocità, benché

la cucina resti prevalentemente mediterranea o tradizionale. Emerge un’alta attenzione alla forma fisica, che porta al consumo regolare di piatti più salutari e alla saltuarietà degli sfizi. La sperimentazione viene, invece, associata all’evoluzione della cucina tradizionale, nell’ottica di una filiera corta e affidabile.

In questo territorio l’acquisto tende alla ricerca di un equilibrio interiore ed esteriore, in chiave quasi etica. Pane fresco, pesce fresco e prodotti per la persona diventano così fondamentali in quanto fonte di benessere e vengono contrapposti all’area dei prodotti tradizionali (ortofrutta, salumi e carni).

Il supermercato viene frequentato in modo costante e si fanno tappe nei negozi specializzati, in linea con la media nazionale. Ipermercati e

A partire dall’introduzione rivoluzionaria del codice a barre nel 1973, l’organizzazione non profit GS1 sviluppa gli standard più utilizzati al mondo per la comunicazione tra imprese. In Italia, GS1 Italy riunisce 40.000 imprese dei settori largo consumo, sanitario, bancario, della pubblica amministrazione e della logistica. I sistemi standard GS1, i processi condivisi ECR, i servizi e gli osservatori di ricerca che GS1 Italy mette a disposizione semplificano e accelerano il processo della trasformazione digitale delle imprese e della supply chain, perché permettono alle aziende di creare esperienze gratificanti per il consumatore, aumentare la trasparenza, ridurre i costi e fare scelte sostenibili.

>> Link: gs1it.org – tendenzeonline.info

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Fonte: GS1 Italy “Nuovo Codice Consumi – La spesa e gli Italiani” 2022.

Oggi la classificazione tradizionale in base alle aree geografiche non basta più per cogliere le profonde differenze esistenti anche tra territori molto vicini tra loro. Il modo di leggere i territori italiani messo a punto dal Nuovo Codice Consumi in base al loro profilo economico ha invece rivelato profonde analogie nei fattori attitudinali che guidano le motivazioni di spesa e la scelta dei canali di acquisto lungo tutto il Paese

discount vengono preferiti per quei pochi prodotti su cui investire il meno tempo possibile.

4. Grandi città e aree residenziali: 3% del territorio, 20% della popolazione

In queste aree, ad alta densità abitativa e con una popolazione mediamente più scolarizzata e agiata, gli stili alimentari ambiscono ad una maggiore raffinatezza, con un’elevata incidenza di regimi alimentari alternativi, spesso sostenuti dall’effetto moda, e una forte attenzione alla sostenibilità ambientale. Gli acquisti tendono ad essere frutto di un consumo consapevole e impegnato, in particolare per il pesce, il pane, gli alimenti per neonati e il pet food. Ortofrutta, carni e salumi restano invece legati alla nostalgia, forse anche per le zone d’origine di questi cittadini.

A livello di canali frequentati, c’è un minor ricorso a discount e ipermercati e una forte predilezione per il mercato. Il ricorso al canale on-line risulta leggermente superiore agli altri territori, soprattutto per chi ne fa un uso settimanale.

Nota

Fonte: “Nuovo Codice Consumi – La spesa e gli italiani”, nuovocodiceconsumi.gs1it.org

Eurocarni, 2/23
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EFSA, Eurobarometro 2022 sulla sicurezza alimentare

Il costo e il sapore sono i driver delle scelte alimentari in UE

Le preoccupazioni della società riguardo al cibo, al modo in cui viene prodotto, distribuito e, in generale, alla sua sicurezza, si evolvono nel tempo: i cambiamenti nei sistemi alimentari, la diffusione di nuovi alimenti ed abitudini di consumo e una maggiore sensibilità per l’ambiente e il benessere animale modulano la percezione dei rischi alimentari e le modalità con cui il consumatore sceglie e si approccia al cibo. Per comprendere quali siano oggi le percezioni e gli atteggiamenti degli europei nei confronti della sicurezza alimentare, l’Autorità europea per

la sicurezza alimentare (EFSA) ha realizzato una nuova edizione, la quarta, dell’Eurobarometro – Speciale sicurezza alimentare

La sicurezza alimentare in Europa Basata su interviste a 27.000 consumatori in tutta l’Unione Europea, l’indagine dà un quadro in evoluzione del modo in cui gli Europei scelgono gli alimenti, della loro consapevolezza, delle loro preoccupazioni in materia di sicurezza alimentare e dei soggetti in cui ripongono la loro fiducia. I risultati mostrano come il costo degli alimenti (54%) sia attualmente il

principale fattore che influenza gli acquisti, seguito dal sapore (51%). Quasi la metà dei cittadini dell’UE considera importante anche la sicurezza alimentare (46%) e 4 persone su 10 (41%) danno per scontato che gli alimenti acquistati siano sicuri. Impatto ambientale e motivazioni etiche hanno invece un peso minore (rispettivamente 16% e 15%).

L’indagine evidenzia che:

• oltre un terzo degli Europei ha un livello di consapevolezza molto alto (21%) o alto (17%) sui temi della sicurezza alimentare, cioè ha sentito parlare di 10 o più dei 15 argomenti oggetto dell’in-

Eurocarni, 2/23 62 SICUREZZA ALIMENTARE

dagine. In maggior percentuale hanno sentito parlare di additivi negli alimenti o nelle bevande (70%), residui di pesticidi negli alimenti (65%), residui di antibiotici, ormoni o steroidi nella carne (63%) o malattie degli animali (60%);

• in testa alla lista delle preoccupazioni degli Europei legate alla sicurezza alimentare stanno i residui di pesticidi negli alimenti (40%) e i residui di antibiotici, ormoni o steroidi nella carne (39%). Un numero minore di persone teme le malattie delle piante (11%), l’uso delle nuove biotecnologie nella produzione alimentare (8%) e le nanotecnologie applicate ad essa (5%);

• circa 6 persone su 10 (61%) indicano la televisione, via etere o via internet, come una delle principali fonti di informazione sui rischi alimentari, seguita da famiglia, amici, vicini o colleghi (44%) e motori di ricerca Internet (37%), con rilevanti differenze tra le generazioni;

• più di 8 intervistati su 10 si fidano di medici (89%), scienziati universitari finanziati da enti pubblici (82%) e organizzazioni di consumatori (82%) per le informazioni sui rischi alimentari;

• solo una minoranza di Europei non cambierebbe il proprio comportamento in caso di allarme alimentare (21%). Le ragioni principali che vengono da essi addotte includono il fatto di preparare già gli alimenti nel modo raccomandato (45%) e la convinzione che tutti gli alimenti comportino qualche rischio e che sia impossibile evitarli tutti (25%).

La sicurezza alimentare in Italia

In riferimento al contesto specifico italiano, l’origine dei prodotti e la sicurezza degli alimenti sono, alla pari (59%), i fattori che guidano le scelte di consumo degli alimenti; seguono il sapore (46%) e il costo (40%), a pari merito con i valori nutrizionali (40%), evidenziando quindi una maggiore sensibilità degli Italiani nello scegliere alimenti

sicuri, non rischiosi per la salute. Il 75% degli Italiani si dichiara infatti personalmente interessato alla sicurezza alimentare rispetto al 70% della media UE.

Tra i rischi alimentari, gli Italiani hanno sentito maggiormente parlare di residui di antibiotici, ormoni o steroidi nella carne (57%), e di additivi come coloranti, conservanti o aromi utilizzati negli alimenti e nelle bevande (54%), seguiti dalla preoccupazione per le malattie zoonotiche (36%, +8% rispetto all’indagine precedente). In forte aumento anche la preoccupazione per i residui di antiparassitari negli alimenti (31%, pari al 6%). Minore invece è risultata l’attenzione per la presenza di microplastiche negli alimenti (16%) e il benessere degli animali in allevamento (11%).

Comunicare i rischi alimentari

Questa fotografia delle opinioni dei cittadini europei arriva nel momento in cui il sistema di sicurezza alimentare dell’UE, l’EFSA e le agenzie per la sicurezza alimentare di numerosi Stati Membri compiono 20 anni. Queste strutture vennero istituite nel 2002 per conferire alla sicurezza alimentare in Europa una base scientifica più solida, adottare regole armonizzate e promuovere la cooperazione in tutto il continente.

L’Eurobarometro speciale sulla sicurezza alimentare è uno degli strumenti che rende possibile “un’unica sicurezza alimentare” anche a livello di comunicazione del rischio: gestori e comunicatori del rischio possono utilizzarne i dati per una pianificazione strategica di lungo termine, e rispondere in modo efficace e puntuali alle reali preoccupazioni e necessità informative della popolazione, salvaguardando le prospettive e le peculiarità territoriali.

Fonti

• Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), www.izsvenezie.it

• EFSA, www.efsa.europa.eu, 2022 Eurobarometer on Food Safety in the EU, www.efsa.europa.eu/it/corporate/pub/eurobarometer22

Eurocarni, 2/23

Trentino in carne, tra macellerie, allevamenti e tavole gourmet

Eurocarni, 2/23 64 SPECIALE TRENTINO
Testi e foto di Massimiliano Rella

La carne non è ma soltanto gola e buona cucina, ma è anche territorio, è ambiente, paesaggio e cultura. Per questo motivo siamo andati a girovagare tra macellerie, allevamenti e tavole gourmet trentini, seguendo, con qualche deviazione, l’itinerario della Strada del Vino e dei Sapori regionale

Sulla Strada del Vino e dei Sapori del Trentino1 la carne occupa uno spazio primario e fondamentale, pur non trovando menzione e onori nei titoli di testa. Tuttavia, la “ciccia” è quasi sempre a tavola, dove si abbina spesso — escludendo gli astemi — ad un buon calice di vino, che sia un Teroldego, un Marzemino, in qualche caso ad una bollicina Metodo Classico Trento DOC. La carne non è soltanto gola e buona cucina, ma è territorio, è ambiente, paesaggio e cultura. Anche per questo siamo andati a girovagare tra macellerie, allevamenti e tavole gourmet, seguendo — con qualche deviazione — proprio l’itinerario della Strada del Vino e dei Sapori, un’associazione di 330 soci ben variegati: cantine, botteghe del gusto, comuni, APT, produttori d’ortaggi, di formaggi e confetture, ma anche macellerie storiche e premiate norcinerie, in rari casi con un proprio allevamento. Sono loro i protagonisti di questo viaggio tra le Alpi, nelle “viscere” del Trentino.

La prima tappa — d’obbligo — ha il valore di una cornice sul territorio: la Federazione Provinciale Allevatori Trento, una coop nata nel ‘57, che oggi rappresenta 1.100 soci, per la maggior parte allevatori di bovini da latte, ovicaprini, cavalli, conigli; tutti mediamente con 30 vacche da latte pro capite, per una produzione complessiva di 1,5 milioni di quintali di latte l’anno, circa l’1,4% della quota nazionale.

Eurocarni, 2/23 65

La Federazione Provinciale Allevatori rappresenta una quarantina di allevamenti, una decina dei quali grandi e specializzati. I capi maschi sono incroci con Blu belga, le femmine sono razze da latte (Frisona, Bruna alpina, Pezzata rossa, Grigio alpina e Rendena). Da notare, poi, che in Trentino c’è sempre stata una forte vocazione per il latte e una bassa produzione di carne dovuta alla mancanza di mais: infatti, le zone di maggior allevamento sono quelle più pianeggianti verso il Bresciano, a ovest, dove si coltiva il mais.

«Negli anni ‘80 avevamo 4.000 soci, poi c’è stato un abbandono nelle aree vocate a vantaggio della viticoltura e della mela, come in Val di Non, in collina o nel fondovalle» racconta il direttore Massimo Gentili. «Ma per fortuna non è calato il numero di animali: in totale 35.000 bovini».

La Federazione ha una filiera e una sua macelleria e, oltre a dare assistenza tecnica, a fornire servizi di controllo, a fare analisi del latte e a tenere i libri genealogici, garantisce il ritiro dei vitelli baliotti, a 30-40 giorni d’età, destinati allo svezzamento e all’ingrasso negli allevamenti di alcuni soci. Altri sono venduti a svezzatori e ingrassatori tra Veneto e Lombardia; rimangono un po’ di femmine per la rimonta, in media ne vengono ritirati 6.000 l’anno, 1.500 dei quali selezionati, in maggioranza scottone. «In tal modo si garantisce una corretta remunerazione» sottolinea il direttore Gentili. «Inoltre, è assicurato il ritiro delle vacche a fine carriera, tra i 5 e i 10 anni d’età, per il macello, con numeri di circa 2-3.000 l’anno».

La Federazione ha un polo d’uffici, laboratori d’analisi, stalle di movimentazione e una macelleria,

come detto, tutto alla periferia di Trento, dove vende carne suina e bovina esclusivamente del Trentino, capretti e agnelli della provincia, i polli però dal Veneto e i conigli da altre regioni. «Tuttavia, l’obiettivo — anticipa Gentili — è avere presto un prodotto esclusivamente trentino e referenze di altre cooperative del territorio». Nel 2022 sono stati concretizzati col marchio di qualità Carne Bovina Etichettata tutti i protocolli applicati nelle lavorazioni e dal 2018 la carne fresca e alcuni trasformati sono certificati Qualità Trentino2

Il progetto dell’ Associazione Macellerie di Montagna (MdM)3 nasce invece durante un viaggio in Belgio nel 2016, alla scoperta della Bianca-blu belga, la BBB, una razza ipertrofica. «Da un viaggio tra amici e colleghi prese corpo l’idea di fare cultura sulla carne fuori dalle grandi rotte commerciali, facendo rete e promozione. Oggi riuniamo 14 soci intenti a valorizzare sempre di più le tre razze autoctone trentine: la Bruna alpina, la Grigio alpina e la Rendena», ci dice il presidentemacellaio Nicola Cappelletti. Anche se qualcuno ha sperimentato incroci tra la BBB e la Rendena per renderla più produttiva e sta esplorando l’idea di un Angus trentino; insomma autoctoni is better, ma senza rigidi confini.

Il gruppo dei macellai virtuosi si serve da allevamenti del territorio che lavorano anche con razze francesi come Limousine, Garronese, Charolais e Blonde d’Aquitaine; perché, razze a parte, l’aria, l’ambiente e le erbe di montagna fanno pur sempre la differenza. Tra le iniziative, l’associazione promuove corsi di formazione su temi come l’igiene animale, l’alimentazione, le normative, la comunicazione, il marketing, la sicurezza e il barbecue. E qui, spesso, si finisce in allegria.

Note

1. www.tastetrentino.it

2. www.fpatrento.it

3. www.macelleriedimontagna.it

* Alle pagine 64-65, la macelleria della Federazione Provinciale Allevatori.

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Il direttore della Federazione Provinciale Allevatori Massimo Gentili.

NEL VALORIZZARE IL TUO SOTTOPRODOTTO

SOA Service

SOA Service opera in 4 settori:

•Farine e grasso colato

Farine e grasso colato

Stoccaggio e trasporto di materie animali destinate a diventare farine e grassi

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Recupero di scarti e contributo nella creazione del pet food per animali

Industria oleochimica

Recupero degli scarti animali

Fertilizzanti

Recupero di scarti di origine animale per partecipare alla realizzazione di fertilizzanti

Contatti

Via Carrara Arginiello, 1/4– 48022 Lugo (RA) Telefono: 0545 291283 – info@soaservice.it

soaservice@pec.it – www.soaservice.it

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DI ESPERIENZA ANNI

Le Mandre, sapori veri!

Sull’Altopiano

Altopiano di Piné, Bedollo, provincia autonoma di Trento, 1.250 metri sul livello del mare: il panorama visto dall’azienda agricola Le Mandre è a dir poco spettacolare, lo sguardo che naviga sui laghi alpini delle Piazze e di Serraia, coronati da cime innevate. È inverno, fa freddo. Davanti alle incantevoli vette imbiancate incontriamo

Marco Casagrande, 60 anni — un personaggio — allevatore, casaro e norcino; con l’aiuto del figlio MORENO e della moglie MIRELLA, che prepara piatti caldi e della tradizione per lo spazio agrituristico, dove vengono serviti anche taglieri di ottimi formaggi e deliziosi salumi “della casa”. Esempio idilliaco di una filiera chiusa, a suon di calorie e golosità: tosèla (tosella) grigliata,

lardo, tonco de pontesel (luganega fresca tagliata, infarinata e rosolata nel vino), spezzatino di Grigio alpina con crauti della Val di Gresta, fagioli en bronzon e luganega e polenta di mais Spin della Valsugana. Per chiudere, un gelato di fiordilatte nobile di vacca alpina da personalizzare con frutta fresca, frutti di bosco, nocciole del Piemonte IGP. Welcome to paradise!

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di Piné, nel comune trentino di Bedollo, Marco Casagrande, allevatore, casaro e norcino, con l’aiuto del figlio Moreno e della moglie Mirella produce formaggi e salumi, contribuendo al mantenimento dell’ambiente, della biodiversità e del paesaggio
Testi e foto di Massimilano Rella

La storia di Casagrande e della sua azienda Le Mandre è il sogno che diventa realtà. Dopo anni a gestire varie malghe, nel 2000 apre una piccola stalla, «con l’idea di riavvicinare il mondo esterno al mondo contadino», premette Marco, che oggi gestisce 4 ettari di proprietà e 30 in accomodato per il pascolo e lo sfalcio. A queste altezze alleva 25 capi di Grigio alpina, 100

pecore di Frisona in lattazione, 15 capre Pezzate mochene, più altre 150 in estate attraverso l’Associazione Allevatori Capra Pezzata Mochena, mettendo a disposizione dei piccoli allevatori il suo campo e il caseificio. La Mochena è una razza bianca e nera, rustica, che fa poco latte, adatta alla montagna, oggi recuperata attraverso l’associazione. Con il suo latte a Le Mandre si produce il

Casat de Caora, formaggio profumatissimo, delicatissimo, di carattere. Chiudono il cerchio zootecnico una trentina di suini, tra Neri delle Alpi e rosa nazionali, più gli animali da cortile.

Un discorso a parte merita l’alimentazione, fatta di erbe montane d’estate e fieno d’alta qualità d’inverno, «che sfalciamo a maggio, quando comincia la fioritura delle

Eurocarni, 2/23 69
In alto: la stalla dell’azienda agricola Le Mandre a Bedollo (TN). A sinistra: l’allevatore, norcino e casaro Marco Casagrande, proprietario dell’azienda agricola Le Mandre.

A Le Mandre Marco Casagrande alleva i capi bovini di razza Grigio alpina rigorosamente con le corna, perché, spiega, sotto le sue punte sono presenti vasi sanguigni importanti e, amputandole, proprio dove il sangue scarica tossine ed energie negative, queste ultime rimarrebbero in circolo nell’apparato mammario.

graminacee e che poi essicchiamo», sottolinea Casagrande. Sono erbe raccolte fino a 1.350 metri d’altitudine, molto floreali, concimate naturalmente, ricche di betacarotene (vitamina A), che dà il colore giallastro alla pasta dei formaggi. I suini, invece, sono alimentati con siero di latte, patate cotte e farinaccio.

«Per avere un latte nobile la vacca deve mangiare almeno sette tipi di erbe ed essere molto distante, chilometri in linea d’aria, dai centri urbani e industriali. Solo la montagna ti permette queste condizioni e di avere erbe particolari, per microclima, esposizioni, altitudini». Parola di allevatore.

Casagrande alleva la Grigio alpina rigorosamente con le corna, perché, ci spiega, sotto le sue punte sono presenti vasi sanguigni importanti e, amputandole, proprio dove il sangue scarica tossine ed energie negative, quest’ultime rimarrebbero in circolo nell’apparato mammario.

A Le Mandre si producono solo formaggi a latte crudo, ad esempio il Bedol, 100% vaccino, il misto Le Mandre (60% vaccino, 40% di capra) e lo yogurt da latte misto vaccino (80%) e pecora. Per la norcineria,

invece, si preparano la luganega fresca di suino, stagionata 70 giorni, lo speck per i taglieri, il lardo di suino Nero delle Alpi. Quest’animale merita un piccolo approfondimento. Il Nero delle Alpi rischiava l’estinzione ed è stato recuperato grazie all’associazione Pro Patrimonio Montano – PatriMont, rete per la conservazione del patrimonio delle montagne che copre le zone alpine di 5 Paesi (AT, CH, DE, FL e IT), cioè le Alpi centrali e orientali (www.patrimont.org). Oltre cent’anni fa le razze ad alta produttività presero il posto di quasi tutte le razze suine europee e nell’area alpina nel 100% dei casi. Nel 2013, però, i rappresentanti della Facoltà di Veterinaria dell’Università di Parma trovarono in una fattoria didattica un ultimo gruppo di maiali valtellinesi. La Pro Patrimonio Montano si è occupata dell’allevamento e ha trovato dopo una lunga ricerca altri gruppi superstiti, necessari per evitare la riproduzione consanguinea. I nuclei formano ora un pool genetico

Il Suino Nero delle Alpi ha dimensioni medio-piccole, zampe lunghe, robuste e tozze, adatte a muoversi in montagna, un mantello che vira dal nero al rosso e macu-

lato, insomma un animale ideale per allevamenti estensivi allo stato brado, con una produttività di 2 parti l’anno per 8-12 porcellini. Le scrofe pesano 130-160 kg, i verri 150180 kg. Grazie alla pigmentazione il Nero delle Alpi non corre il rischio di ustioni solari e, al contrario delle razze moderne, può trascorrere l’intera giornata all’aperto. Col suo grufolare combatte il Romice alpino (Rumex alpinus L.), dissoda i terreni compattati dai bovini e, poiché è sempre in movimento, il grasso è distribuito uniformemente nella muscolatura: quindi carne a fibra sottile e marmorizzata. «Rimane un problema di consanguineità, essendo partiti da 20 capi» conclude Casagrande. «Oggi a Le Mandre ne alleviamo 15. Sono animali a bassa resa giornaliera, crescono di 3-4 etti al giorno, al macello sono ricchi di lardo, però hanno il vantaggio di una carne asciutta. Vanno bene anche per salumi con bassa resa di produzione».

L’80% dei prodotti di Le Mandre è venduto in azienda, il resto nei mercatini di Campagna Amica e in alcuni ristoranti.

>> Link: lemandre.business.site

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Suini di razza Nero delle Alpi nell’azienda agricola Le Mandre.

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La mission delle macellerie Paolazzi e Cis Avvicinare il consumatore alla qualità e al territorio

Testi e foto di Massimiliano Rella

Dry aging, valorizzazione delle razze autoctone, ricerca sul würstel… Ci sono mille modi per avvicinare il consumatore alla qualità e al territorio trentini ed è questo in estrema sintesi il lavoro di due premiate macellerie che abbiamo visitato: Paolazzi, a Faver di Altavalle (TN), e Cis, a Bezzecca di Ledro (TN), entrambe inserite nella rete dell’Associazione Macellerie di Montagna del Trentino.

Macelleria Paolazzi

Tito Paolazzi e il padre Fernando guidano una bella macelleria aperta nel ‘46 per iniziativa del nonno Paolo. È la terza generazione di macellai della famiglia. «Prima del Covid facevamo un 60% di macelleria e un 40% di norcineria — premette Tito — mentre oggi la macelleria viaggia al 90% perché sono spariti i piccoli negozi e le botteghe che vendevano le specialità lavorate. Ma va bene così, puntiamo sempre di più su tagli e frollature di qualità. E il cliente è soddisfatto».

I Paolazzi acquistano suini dall’azienda Sommadossi Maurizio di Pietramurata (TN), che a sua volta li seleziona sui Monti Lessini, in Veneto. Mentre per il bovino si servono dall’azienda Agri Natura Carni di Pergine Valsugana (TN), che ha stalle nel Bleggio, verso la Val Rendena. «I principali allevatori di manzo si trovano qui e in Valsugana» spiega Tito. «Sono dei territori pianeggianti, adatti alla coltivazione di mais e foraggi». I Paolazzi lavorano 10 quintali a settimana tra suino e bovino. Producono norcineria artigianale: speck e speck

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Tito Paolazzi della Macelleria Paolazzi di Faver di Altavalle (TN).

dell’Imperatore (lonza, rosa nazionale, grasso e cotenna), fesa di maiale, coppa di maiale affumicata con legno di faggio dolce, prosciutto cotto, speck cotto alla brace, carne fumada e luganega fumada, più la “cugina” trentina del kaminwürst dell’Alto Adige, fatta con un morbido impasto di maialino più spezie e sale, che l’affumicatura di faggio rende conservabile a lungo.

In particolare lo speck dell’Imperatore si ottiene disossando e rifilando la schiena del maiale (un suino pesante di 160 kg), salato a secco con sale e aromi, adagiato in vasche d’acciaio e massaggiato e girato ogni due giorni per quasi un mese. Dopo la tolettatura la carne è affumicata con legno dolce di faggio e lasciata maturare e stagionare minimo 150 giorni. Queste le caratteristiche: forma cilindrica, lunghezza 60 cm, 10-12 cm di diametro, una parte magra rosso-rosata che rappresenta i 2/3 e il resto cotenna e grasso duro di schiena bianco marmoreo. Molto particolare anche il salame del Maso, con il lardellato dello Speck dell’Imperatore affumicato, tagliato a coltello e amalgamato al trito della luganega, insaccato e stagionato 40 giorni. Sul fronte della sperimentazione carnivora, invece, Tito Paolazzi da quattro anni si diletta con il dry aging utilizzando due Dry Ager a controllo costante di temperatura e umidità, al 90%. Frolla con questa tecnica Grigio alpina, Limousine, Manzetta prussiana, Red Hereford irlandese, Angus scozzese, Manzetta del Baltico, ecc… «Il dry aging è un processo per frollare la carne e ottenere straordinaria morbidezza e sapore intenso. Così — sottolinea Paolazzi — la carne raggiunge il massimo livello di morbidezza e digeribilità; gli enzimi, presenti naturalmente, fermentano, affinano e maturano in un ambiente controllato. Asciugandosi, i tessuti perdono liquidi costantemente, in cottura non buttano acqua e acquistano morbidezza e digeribilità. Il calo di peso è del 7-8%, con lo scarto la pezzatura si riduce del 10-12%. Fino a 30 giorni c’è poca differenza, a 60 giorni si raggiunge il miglior compromesso tra calo di

peso e maturazione, morbidezza e gusto», conclude Paolazzi.

L’altro aspetto interessante riguarda la comunicazione e l’ospitalità. Di tanto in tanto la macelleria partecipa a serate barbecue con il macellaio al ristorante per gestire la brace con le proprie carni. Organizza inoltre corsi di barbecue nel piazzale contiguo, di 4-5 ore con spiegazioni sulla cottura al sangue, media e bleu

>> Link: www.facebook.com/paolazzimacelleriasalumi

Macelleria Cis Massimo

Ci spostiamo a Bezzecca, in Val di Ledro, dove Massimo Cis, 50 anni,

quarta generazione di macellai, subentra nel ‘90 al papà Gualtiero nella gestione della Macelleria Cis. Massimo Cis lavora principalmente carni locali, su tutte il suino del Trentino per fare speck, würstel, salsicce e salami. Si tratta di un esemplare più piccolo e meno grasso, adatto per il banco e la salumeria, acquistato da uno dei due ultimi allevamenti rimasti, dotato di mulino interno per la macinatura delle granaglie, con cui vengono alimentati i maiali. Somiglia più a un suino del Nord Europa che ad un nazionale. Il rosa nazionale è invece utilizzato per la macelleria.

Per il bovino lavora con le razze Rendena e Piemontese per fare

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Il macellaio e norcino Massimo Cis con la carne salada affumicata presso l’omonima macelleria a Bezzecca di Ledro (TN).

carne salada e würstel misti di suino e bovino. «La Rendena è una razza autoctona — spiega Massimo Cis — ha una carne coriacea e gustosa ma, poiché l’alimentazione moderna cerca la tenerezza, la utilizziamo solo per la salumeria, senza bisogno di frollatura».

Per il bancone utilizza anche molte carni di allevamenti locali, in particolare dell’Azienda Agricola Dalponte Roberto di Vigo Lomaso di Comano Terme (TN). Complessivamente l’attività si divide equamente tra norcineria e macelleria: 250 quintali l’anno di würstel, 75 quintali di carne salada, anche con affumicatura con legno di faggio per 2 giorni; questa con la Piemontese del Consorzio La Granda, presidio Slow Food. «Il sale spacca le proteine della carne e la rende più tenera» sottolinea Cis. «Il controllo della filiera, l’alimentazione e il benessere animale sono importanti, pur se i costi in montagna sono più alti».

Premiata da importanti riviste e guide del settore, il successo della Macelleria Cis dipende anche dalla ricerca di prodotto. Lo speck, ad esempio, è fatto senza conservanti, dopo anni di prove. «All’inizio marciva — ricorda — poi ho visto che allungando la stagionatura ottenevo la stessa maturazione ed il prodotto è molto tenero». Nella carne salada c’è invece un minimo di nitrato in funzione antibatterica: «in uno stagionato sarebbe inutile», assicura Cis, che ha tolto conservanti e additivi, usando solo sale e spezie. Per anni Cis ha puntato sul würstel, facendo attenzione alla provenienza della materia prima, utilizzando presidi Slow Food di Piemontese e Rendena, eliminando gli additivi chimici, utilizzando acqua, sale, spezie e fibra di pisello per tener morbido l’impasto. Produce tre tipi di würstel: misto bovino-suino, suino e weisswurst, cioè il bianco non affumicato. E adesso sta per aprire un laboratorio di 600 m2 a Storo per la ricerca di nuovi prodotti, soprattutto würstel e cotti. La nuova sfida comincia a primavera 2023.

>> Link: www.cis1889.it

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Carne buona a “metro zero”

La macelleria Bertoldi, a Riva del Garda, e Zanotelli, in Val di Cembra, come poche gestiscono e controllano ogni passaggio di filiera. Corta, anzi, Cortissima

Testi e foto di Massimiliano Rella

Quando la macelleria ha un proprio allevamento il controllo della filiera dal campo alla tavola è molto più sicuro. Il cerchio si chiude e il cliente si sente garantito: operazione fiducia e rapporto diretto; della serie il “produttore che ci mette la faccia”. Non sono tante, però, le macellerie che allevano direttamente i loro

capi di bestiame, controllando a monte la crescita degli animali, dall’alimentazione al processo di frollatura delle carni. In Trentino ne abbiamo incontrate due: la Macelleria Bertoldi, a Riva del Garda, e la Macelleria Zanotelli, in val di Cembra, due consolidate attività di famiglia gestite con visione e professionalità.

Bertoldi Azienda Agricola

La prima macelleria è dei fratelli Albino e Claudio Bertoldi, 72 e 66 anni, e dei rispettivi figli Matteo e Thomas. I Bertoldi si inventano allevatori nel ‘77 per rifornire la macelleria di papà Nino, aperta dal ‘47. Tredici anni fa, però, Albino e Claudio spostano il negozio nello store di Agraria Riva del Garda

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(una coop di 350 produttori di uve e olive), ricco di specialità di territorio e di piccoli contadini, con area degustazione e ampio parcheggio. Gli stessi Bertoldi ne sono soci attraverso 8 ettari di vigna e ulivo.

L’attività primaria deriva dall’allevamento e dalla macellazione di 160 scottone l’anno, più una trentina di capi acquistati in Trentino da allevatori di fiducia. «Sono animali da stalla alimentati con mais, fieno e qualche integratore» ci spiega il signor Albino. «Prendiamo i vitelli piccoli da 60 kg da una cooperativa di allevatori di Bolzano, svezzati in stalla. Dopo 3-4 mesi li trasferiamo a Riva del Garda».

I capi sono macellati da un privato in località Roncone a 15-16 mesi e al raggiungimento di circa 500 kg di peso. Da dieci anni i Bertoldi usano solo carne di scottona. «La

migliore — assicura Albino — invece quella del maschio è più dura e fibrosa».

La frollatura viene fatta nelle celle aziendali: la parte anteriore dell’animale per una settimana, il tempo giusto per farne bolliti, spezzatino e macinato, la parte posteriore per 20-35 giorni, «perché più si frolla meglio è» per farne lombate, costata e bistecche. I Bertoldi producono solo per la vendita diretta al dettaglio e per qualche ristorante di territorio.

Fanno inoltre carne salada artigianale da oltre 50 anni, anche in estate, un prodotto che tradizionalmente nasceva tra ottobre e aprile per necessità di conservazione. Ne producono 8 quintali a settimana con carni di allevamenti italiani.

Link: www.facebook.com/MacelleriaBertoldi1947

Claudio, Thomas, Matteo e Albino Bertoldi: l’attività primaria della famiglia deriva dall’allevamento e dalla macellazione di 160 scottone l’anno, più una trentina di capi acquistati solo in regione da allevatori di loro fiducia. I Bertoldi si inventarono allevatori nel ‘77 per rifornire la macelleria di papà Nino, aperta dal ‘47.

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In alto: il banco macelleria firmato Bertoldi nello store dell’Agraria Riva del Garda. In basso: capi di scottona nell’allevamento Bertoldi. Da dieci anni a questa parte i Bertoldi usano solo carne di scottona. «La migliore — assicura Albino Bertoldi — invece quella del maschio è più dura e fibrosa».

Macelleria Zanotelli

La Macelleria Zanotelli nasce nel ‘49 per opera di Carlo e Pia. I figli Giuseppe e Silvano la sviluppano con una stalla più grande nel paese di Cembra e nel 2009 con una stalla in zona lago Santo, verso le cave di porfido. Oggi la famiglia al gran completo è una squadra di sette persone: Sara e Beppi e le tre figlie Federica, Miriana e Alessia, più Valentina, Eddi e Tiziano Zanotelli Se prima allevavano soltanto bovini, dal 2014 gli Zanotelli hanno una porcilaia per i suini e, dal 2020, un macello aziendale presso l’allevamento che gli permette di operare anche per terzi. «Grazie al nostro macello possiamo rispettare al massimo il benessere animale, assicurando spazi adeguati ed evitando alle bestie lo stress del trasporto su camion», sottolinea Sara Zanotelli. L’allevamento degli Zanotelli è a 1.000 metri slm, composto da 140 bovini di Grigio alpina, Bruna alpina, Pezzata rossa e Limousine. L’attività segue la linea vacca-vitello,

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il latte viene ceduto interamente al piccolo, in seguito con un’alimentazione composta da un pasto unico di fieno autoprodotto sulla piana di Fornace, insilato di mais autoprodotto a Borgo Valsugana, Levico, Novaledo e Zambana, più mangime vegetale. L’azienda sfalcia ogni anno 30 ettari di prato e mais. I suini sono invece alimentati con mangimi, soia, ecc… Gli animali sono lasciati in stalle aperte a stabulazione libera, chiusa su un lato d’inverno con tende, ma liberi in box aperti.

Gli Zanotelli lavorano soltanto la loro carne, puntando sul concetto di “metro zero” e di filiera corta. «La nostra carne è in maggioranza per il fresco e i preparati hanno lo scopo di invogliare chi si occupa di cucinare i pasti in casa a usare l’intera pezzatura dell’animale» spiega ancora Sara Zanotelli. «Si punta sui preparati e sulle offerte per vendere tutti i tagli». Producono anche 2 quintali a settimana di luganega, mezzo quintale di carne fumada, senza conservanti, unico antiossidante l’acido ascorbico.

Con la polpa del bovino adulto, tramite un processo di salamoia e/o affumicatura, fanno artigianalmente la carne fumada e la carne salada, affumicata con erbe aromatiche (alloro, rosmarino e ginepro) con due passaggi di fumo di legno di faggio in un affumicatoio storico; procedimento che aggiunge una nota speziata e allunga il ciclo di vita del prodotto. La luganega è fatta invece con pancettone, spalla senza nervi, spalla di manzo e carne suina (65%), macinata fine a macchina, più aggiunta di sale, pepe nero in polvere e aglio, insaccata in budello di bovino e stagionata 3 settimane, massimo 3 mesi; ma anche luganeghe fresche, da bollire in acqua per 10 minuti e da mangiare con crauti, verze e patate en bronzon, oppure grigliate o sbriciolate per risotti, orzotti e ragù o per i peperoni ripieni e altre verdure. Chiudono il cerchio la luganega di capriolo (minimo 51%), asino, cervo e di cavallo.

>> Link: www.macelleriazanotelli.it

Carne fresca e salumi in stagionatura alla Macelleria Zanotelli di Cembra. Gli Zanotelli lavorano soltanto la loro carne, puntando sul concetto di “metro zero”. Nel banco si trova soprattutto carne per il fresco: i preparati hanno lo scopo di invogliare chi cucina i pasti a usare l’intera pezzatura dell’animale.

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Dal Massimo Goloso: mortandela & Co.

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Testi e foto di Massimiliano Rella Massimo e Davide Corrà

Massimo Corrà gestisce l’impresa di famiglia con la moglie Orietta, il figlio Davide e i collaboratori Paolo, Carla e Stefano. Una squadra affiatata per una storica macelleria di quinta generazione

Premiata ogni anno dai giudici del Campionato Italiano del Salame, accreditata alla corte del GAMBERO ROSSO, la più premiata mortandela della Val di Non viene prodotta — anzi, fatta! — a Coredo, un piccolo paese a 831 metri d’altitudine che, grazie alla macellerianorcineria Dal Massimo Goloso, è diventata una tappa gourmet per buongustai a caccia di specialità. In laboratorio e dietro il bancone c’è un personaggio di primo piano della salumeria artigianale italiana, il norcino-macellaio MASSIMO CORRÀ, il quale gestisce l’impresa di famiglia con la moglie ORIETTA, il figlio DAVIDE e i collaboratori PAOLO, CARLA e STEFANO; una squadra al gran completo per una storica macelleria di quinta generazione, nata nell’Ottocento, quando il bisnonno, “norcino a domicilio”, aprì un’osteria con salumeria.

Incontriamo i Corrà anche per realizzare la foto di copertina di questo numero speciale di EUROCARNI, dove la protagonista della “pagina delle pagine” è un gioiello di Dolomitica, una gustosissima Grigio alpina.

e la Mortandela aromatica; nel primo caso è la farina di canapa a sostituire il retino del maiale, nel secondo sono le erbette di montagna.

Dal Massimo Goloso si rifornisce di bovini di razza Limousine allevati in Trentino dall’azienda agricola Dalponte Candido a Vigo Lomaso, carni frollate con cura 25-30 giorni, costate e fiorentine di varie frollature, minimo 30 giorni, che per i buongustai diventano 60-70 giorni. Su ordinazione i Corrà preparano anche tagli all’americana per cotture al barbecue (brisket, beef ribs, tomahawk steak, hanger steak, cuberoll, tri-tip) e propongono diverse selezioni estere, dal Black angus americano alla Galiziana spagnola, dal Wagyu giapponese all’Aberdeen angus inglese; un modo anche per fare cultura carnivora sui gusti nel mondo.

Un aiuto alla clientela arriva poi dai video pubblicati sul sito internet su come cucinare i prodotti, su tagli e tecniche di cottura per esaltarne sapore e tenerezza; un’utile guida on-line per stare al passo coi tempi.

I Corrà selezionano personalmente le carni che propongono nella loro macelleria di Coredo di Predaia (TN), seguendone tutta la filiera produttiva e privilegiando allevamenti della loro regione o italiani, garantendo salumi e carni con caratteristiche organolettiche eccellenti. Tra i prodotti più richiesti nel negozio due capisaldi della salumeria locale, la luganega e la super premiata mortandela della Val di Non, entrambe realizzate da carni di suino rosa del Trentino

Premiati negli anni ‘60, i Corrà (nonno e padre) decisero di aprire una nuova rivendita di carne a Coredo, da cui prese il via l’attività Dal Massimo Goloso. Oggi come allora i clienti trovano tagli di carne tradizionali di bovini e suini trentini lavorati direttamente, salumi e insaccati prodotti nel laboratorio retrostante e bontà anche affumicate e stagionate “in casa”.

Fanno parte del catalogo: speck al naturale e di maiale trentino, salami, pancette, schiena di maiale, lardo alle erbe e specialità anche di selvaggina di montagna (cervo, manzo, bue), tutto con varietà e un pizzico di fantasia, come quando Massimo, cercando d’accontentare alcuni clienti “preoccupati” per la presenza di grasso nello speck trentino, ideò uno speck di petto di pollo, una prelibatezza che ha la speziatura e le note affumicate dello speck, ma fatto di carne bianca e magra. Adesso è nella linea “creativa” del catalogo, insieme a mortandele rivisitate come la Canapela (alla canapa)

In estate, inoltre, i clienti trovano una pregiata carne di bue, cioè di bovino adulto castrato, ormai quasi introvabile, che l’allevatore fornisce in esclusiva e in modica quantità; una carne con più marezzatura e copertura di grasso rispetto ad un bovino tradizionale, molto gustosa, succulenta, splendidamente tenera.

Tra i prodotti più richiesti nel negozio troviamo però due capisaldi della salumeria locale: la luganega e la mortandela della Val di Non da carni di suino rosa del Trentino. La luganega è un salume storico e versatile, utilizzato dai risotti alla griglia, passando per la versione stagionata, un tempo una piccola merenda da portare al seguito quando si andava in montagna o a lavorare. Una volta, quando in casa si uccideva il maiale, si faceva una prima scelta per la stagionata e una seconda scelta per la versione cotta, da mangiare coi crauti o la polenta. Oggi Massimo produce in media 50 kg di luganega fresca a settimana, 80 di stagionata.

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La mortandela della Val di Non appartiene invece alla famiglia della carne pestata in mortaio (ne esistono diversi tipi in Nord Italia) ed è un salume a forma di “polpetta” nato per recuperare le parti povere del maiale, che negli anni ‘90 è stato nobilitato con la sostituzione di tagli “ricchi” come pancetta, spalla e fesa, in proporzioni pressoché uguali, impastati con un mix di sale, pepe spezzato, aglio, pimento, cannella e chiodi di garofano. Il tutto pressato fino a farne una “pallotta” che viene avvolta nell’omento, l’involucro della rete del maiale, affumicata con legno di faggio e ginepro e stagionata 30-40 giorni.

La mortandela è ormai un salume reperibile in tutta la regione, chi la fa col retino, chi senza, chi utilizza spezie surrogate e altro, il risultato è che nel tempo si sono persi principi e radici, anche se fare

una mortandela di qualità non è mai banale.

Partendo da queste considerazioni, a marzo 2021, durante una buona bevuta di vino rosso in compagnia dell’amico macellaio GIANNI FLAIM, ora in pensione, i due hanno avuto l’idea di recuperare la mortandela storica, andata persa con la nobilitazione del prodotto perché fatta con tagli molto poveri: lingua, cuore e diaframma. Un impasto che veniva appallottolato, avvolto in omento e riposto su asticelle di legno ad affumicare.

«Però — puntualizza Massimo Corrà — poiché queste carni rischiano di risultare mollicce, la facciamo bollire al vapore e la vendiamo cotta». Storica sì, ma per palati moderni.

Link: www.dalmassimogoloso.com

Mortandela della Val di Non e luganega della macelleria Dal Massimo Goloso. La prima appartiene alla famiglia della carne pestata in mortaio ed è un salume storico a forma di “polpetta” nato per recuperare le parti povere del maiale, del quale i Corrà propongono diverse versioni.

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Ristorazione trentina: la carne al centro della tavola

Testi e foto di Massimiliano Rella

Non poteva essere diversamente in una provincia alpina come quella di Trento dove l’unica alternativa ittica offerta dalla natura è il pesce d’acqua dolce: salmerini, trote, coregoni, praticamente una “nicchia” di mercato. Attorno alla carne, invece, si è sviluppata una proposta gastronomica che attinge ad un passato ricco di ricette e a percorsi ed interpretazioni d’autore; chef che spaziano fra tradizione e innovazione e sulle cui tavole la “ciccia” ha sempre il posto d’onore.

Alla Maggiorina (www.albergomaggiorina.it), il ristorante delle sorelle Spagnolli — Valeria è in cucina, Orietta in sala — la fantasia carnivora si esprime nel solco della tradizione e di un unicum che si può gustare soltanto qui, oppure in Repubblica Ceca. Sono gli gnocchi boemi, un piatto importato dopo la prima guerra mondiale che le sorelle Spagnolli propongono in tante versioni, dall’antipasto al dolce. Si tratta di grandi gnocchi di pasta lievitata fatti con un impasto di farina, uova, olio evo, zucchero,

sale e lievito, con lievitazione di 120 minuti.

La ricetta originaria li servirebbe con burro fuso e una spolverata di zucchero, cannella e semi di papavero, oppure riempiti con una susina viola di Dro, secca o fresca di stagione. Le sorelle Spagnolli li propongono invece anche “all’amatriciana” con sugo e guanciale croccante e con lo “spezzatino di manzo” al sugo di pomodoro.

La storia di questo piatto si intreccia con la Grande Guerra. Gli gnocchi boemi divennero una

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In alto: gli gnocchi boemi all’amatriciana con guanciale croccante del ristorante Maggiorina di Ledro (TN). In basso: le sorelle Orietta e Valeria Spagnolli. A pagina 86: bocconcini di manzo con crema di riso al Lagrein e fonduta affumicata al ristorante del Corona Dolomites Hotel di Andalo (TN).

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In alto: il bollito misto del ristorante La Cacciatora, composto da lingua di vitello, cappello del frate, gallina, testina di vitello, cotechino nostrano, cotechino mantovano, puntine di maiale affumicate, zampone, salsa verde e salsa peverada. In basso: guancette di maialino da latte glassato al miele con purea alla senape e cavolo cappuccio marinato. Piatto dell’osteria di Maso Carpenè, a Isera (TN).

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specialità del lago di Ledro quando gli Italiani strapparono le terre trentine agli Austro-ungarici, che prima avevano trasferito donne e bambini in Boemia per metterli al riparo dal conflitto.

Tornate a casa, ora nel Regno d’Italia, le signore di Ledro portarono con loro il ricordo della ricetta imparata in terra ceca. A casa Spagnolli fu introdotta da nonna Maggiorina, a cui è intitolato l’albergo con ristorante aperto nel ‘60, inizialmente come struttura estiva, oggi con 27 camere. «La nonna li cucinava — ricordano le sorelle — e la ricetta ci è stata tramandata così, però ad un certo punto abbiamo pensato di proporla ai nostri ospiti per farla uscire da casa».

Altro giro altra tavola. Se al Maso Carpenè (www.masocarpene.com), a 700 metri slm con affaccio su Rovereto, l’ex patron del Maso Franch, MASSIMO GEUSA, delizia gli ospiti con una proposta da osteria

gourmet di canederli, strangolapreti, carni e arrosti a lenta cottura — ad esempio delle tenerissime Guancette di maialino da latte, glassato al miele con purea alla senape e cavolo cappuccio marinato — al ristorante La Cacciatora (www.ristorantelacacciatora.com), a Mezzocorona, la carne e la selvaggina dominano la scena senza orpelli. A gestire questo tempietto della “ciccia” sono DANIELA e PAOLO BONETTI

La specialità della casa non è propriamente trentina ma rispetta una vocazione carnivora che dura da anni, il bollito misto: tagliato al coltello davanti ai commensali, nel carrello che fa la spola tra i tavoli, è sempre presente, anche d’estate. A comporre questo mosaico per il palato sono: lingua di vitello, cappello del frate, gallina, testina di vitello, cotechino nostrano, cotechino mantovano, puntine di maiale affumicate, zampone, salsa verde e salsa peverada.

Si sale di quota e anche d’interpretazione al Ristorante del Corona Dolomites Hotel (www.coronadolomiteshotel.com), in quel di Andalo, nota località sciistica che valorizza il territorio anche con la buona tavola. In questo 4 stelle superior a conduzione famigliare, dal design moderno e minimalista in stile alpino e con piscina esterna anche d’inverno, il giovane chef trentino MATTIA DALLAVALLE usa ingredienti della regione per piatti come i Bocconcini di manzo con crema di riso al Lagrein e fonduta affumicata o i Canederli al radicchio tardivo con salame ciuìga del Banale e Trentingrana.

Una ricetta dell’autunno, questa, dedicata a un salume di stagione, la ciuìga del Banale, fatta con impasto di carne di maiale e rape bollite, sale, pepe e aglio, insaccata in budello gentile. Come tanti prodotti ex poveri oggi è una nicchia di qualità.

Strada del Vino e dei Sapori del Trentino: natura, relax e buona tavola

Natura, relax e buona tavola. Se questo è quello che cercate, benvenuti in Trentino! La Strada del vino e dei sapori del Trentino è un'associazione composta da oltre 330 soci (200 lo sono fin dalla sua costituzione nel 2013) tra enti ed aziende, riuniti nel comune intento di valorizzare la propria terra attraverso la scoperta del territorio in tutte le sue sfaccettature. Ma la Strada è anche un percorso ideale, una raccolta di prodotti di eccellenza, un mondo di piaceri per il palato. In questo affascinante territorio troviamo infatti paesaggi molto diversi tra loro nell’arco di pochi chilometri, dalle acque del Lago di Garda alle viti della Piana Rotaliana, dalle cime dolomitiche di Madonna di Campiglio alla distesa della Valsugana, dalle strade rinascimentali di Trento alle piazze storiche di Rovereto. I prodotti da scoprire spaziano così dal vino ai formaggi, dai salumi alle trote, dalla frutta agli ortaggi, passando per l’olio, i piccoli frutti e il miele. Prodotti quali il Trento Doc, il Müller Thurgau, il Vino Santo, il Marzemino, il Teroldego Rotaliano e la Grappa trentina ne sono le punte di diamante.

Esperienze di gusto tagliate su misura

Nel sito dedicato alla Strada del vino e dei sapori del Trentino, è possibile trovare una selezione di luoghi dove gustare i sapori trentini e molte ricette tipiche della regione da provare a replicare a casa propria. Diversi indirizzi su dove dormire, con un occhio di riguardo al palato. Itinerari del gusto da percorrere tra laghi, vigneti e Dolomiti e proposte vacanza (con una ricca selezione di “esperienze” da provare). Infine, news e un calendario di eventi golosi per ogni stagione, come quelli legati all’alpeggio, al mondo del vino o alla raccolta della mele.

Strada del Vino e dei Sapori del Trentino

Via della Villa 6

38123 Trento

Telefono: 0461 921863

Web: www.tastetrentino.it

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Massimiliano Rella

Carni dimenticate e loro nuovi usi

Oggigiorno la comunicazione social sulle carni è focalizzata su tagli nobili, lunghe frollature, costose razze estere e carni in un certo senso “esasperate”. Dove sono andati a finire i cosiddetti tagli “poveri”? Già circa dieci anni fa ALDO FOCACCI su questa rivista (si veda in EUROCARNI n. 10/2013, Carni povere dimenticate, pagina 151), osservava come, nello spazio di pochi decenni, dalla tavola degli Italiani fosse praticamente scomparsa tutta una serie di cibi che permetteva, in periodi difficili, di sfamarsi, con piatti assai diversi per origine e preparazione, ugualmente gustosi, ma dal costo modesto. Che cosa è avvenuto in questo lasso di tempo?

Una successione di cambiamenti si collegano ad un passaggio dell’alimentazione da tradizionale a industriale. L’industrializzazione del cibo è al tempo stesso causa e conseguenza di un aumento e delle variazioni dei consumi che comportano altri cambiamenti relativi al rapporto tra gli individui e il cibo e, al tempo stesso, contribuiscono a determinarli.

Un primo cambiamento riguarda ad esempio una definitiva e irreversibile trasformazione dei cittadini in consumatori, che cancella le vestigia di un passato in cui la maggior parte della popolazione, vivendo in campagna, produceva gli elementi base della propria alimentazione.

Proiettati nel mercato, alla fine del secolo scorso gli Italiani sono entrati in un’alimentazione che ha assunto i caratteri di unico spazio di scambio tra produttori e consumatori. I primi sono quasi esclusivamente imprese, manifat-

turiere o commerciali di alimenti freschi e trasformati; i secondi sono individui/famiglie che considerano il cibo come ogni altra merce, del tutto simile ad una lavatrice, un’aspirapolvere, una rivista, un viaggio turistico, per cui diviene importante la marca commerciale o collettiva.

Nella nuova società in cui viviamo i bisogni alimentari sono soddisfatti da un processo nel quale il loro aumento, le loro variazioni e i loro usi sono governati non più dalle tradizioni ma dai nuovi stili di vita, venendo plasmati da suggestioni e emulazioni.

Alimentazione in una società in evoluzione

Gli effetti sui consumi del nuovo orizzonte culturale e nutrizionale sono difficili da misurare con precisione perché i cambiamenti in atto riguardano anche le aspettative e le propensioni dei consumatori, le informazioni continuamente mutanti provenienti dai mezzi di comunicazione, i messaggi delle industrie sui prodotti venduti in contrasto più o meno palese anche con i “mercati della terra”, dove piccole comunità di produttori entrano direttamente a contatto con gruppi di consumatori nel tentativo

di un ritorno al locale, non contro ma dentro il mondo globale, le cui dinamiche sono in piena evoluzione. Non da ultimo va ricordato che i consumi alimentari sono inscritti in un quadro generale e che quando si è raggiunto un certo, alto livello, questo è modificabile solo nella misura in cui un aumento di una derrata incide negativamente su altre derrate dello stesso genere. Per esempio, e considerando i grassi alimentari, se gli Italiani negli ultimi cinquant’anni hanno raggiunto un consumo di circa 13 kg di olio di oliva, senza contare altri oli, tutti di facile uso anche perché liquidi, inevitabile è la diminuzione dei grassi alimentari solidi quali il burro e la quasi scomparsa del lardo e dello strutto. In modo analogo è per il comparto degli alimenti proteici di origine animale, nel quale si può solo pensare a spostamenti tra carni, pesci e uova o tra carni delle diverse specie animali.

Consumi delle carni in continuo cambiamento

Un antico proverbio dice che “quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito” e anche nel caso dei consumi alimentari non bisogna fermarsi alla superficie delle cose e

“In passato, ogni paese, ogni frazione, aveva consuetudini proprie, con preparazioni gastronomiche molto diverse, come si evince scorrendo l’elenco dei numerosissimi prodotti tradizionali delle diverse regioni italiane, oggi difficilmente disponibili sul mercato per le trasformazioni di carattere sociale ed economico verificatesi a partire dal secondo dopoguerra che di fatto hanno cambiato l’Italia” Aldo Focacci, Carni povere dimenticate

Eurocarni, 2/23 90 ANALISI DEL FOOD

La tradizione nostrana della cucina con le frattaglie è ben rappresentata dal Fegato con le cipolle, noto anche come alla Veneziana, ricetta del Nord Italia le cui origini risalgono ai Romani, i quali lo abbinavano ai fichi, con la stessa volontà di smorzarne il sapore deciso.

Eurocarni, 2/23 91

A sinistra: nel passato nelle case dei contadini si faceva un largo uso del bollito, considerato un metodo più economico di cuocere le carni, poiché permetteva di mantenere nell’acqua i succhi nutritivi, oltre a risultare particolarmente utile con la carne di animali vecchi o conservata sotto sale. Il brodo che se ne ricavava serviva poi per altre preparazioni. Oggi il bollito di carne è tradizione locale soprattutto in Piemonte (photo © Valerio Pardi). A destra: simbolo del fast food, di un’alimentazione veloce ma succulenta e ricca di gusto, l’hamburger può diventare una risposta per valorizzare i tagli meno pregiati dei bovini da carne e, con i bovini da latte, raggiunge l’optimum nell’evitare sprechi mantenendo i massimi livelli di sicurezza.

degli eventi, ma cercarne la verità in profondità. Per la carne, e cioè la luna, l’origine dei cambiamenti è da indagare in quelli avvenuti nella struttura della società e nei mutamenti delle famiglie, dei loro stili di vita e di cucina.

La carne degli animali allevati è un cibo più costoso dei vegetali e quindi di limitato consumo dalla gran parte della popolazione italiana dei tempi passati. Fino a metà del secolo scorso in Italia, inoltre, la macellazione degli animali di grande taglia avveniva in macelli comunali e in particolari giorni della settimana e le carni e frattaglie erano consumate localmente secondo tradizioni e ricette tradizionali. Gli animali di piccola e media taglia subivano una macellazione di tipo familiare e anche le loro carni erano cucinate secondo ricette locali. In queste condizioni ogni parte dei diversi animali in cucina aveva una sua destinazione. Le frattaglie e altre

parti più o meno rapidamente deperibili, ad esempio, erano mangiate soprattutto in taluni giorni della settimana: le trippe il sabato, il fegato il giorno stesso della macellazione, i tagli di carne da brodo e i lessi la domenica.

Con la comparsa di grandi stabilimenti di macellazione e di impianti frigoriferi industriali e la diffusione dei supermercati la spesa familiare non è più giornaliera, mutano i costumi della famiglia e la cucina subisce grandi trasformazioni. Diminuisce il numero dei figli, molte famiglie sono formate solo da una coppia, aumenta il numero di persone che vivono da sole, crescono matrimoni e convivenze tra persone di diversa etnia e di conseguenza mutano stili alimentari e di vita. Chi lavora a mezzogiorno fa un breve pasto ad una mensa/tavola calda dove si mangiano carni di rapida cottura ma, soprattutto, nelle diverse regioni si allentano se non

scompaiono molti dei legami con le cucine tipiche locali. L’Italia si apre al turismo, gli Italiani stessi diventano turisti che imparano a conoscere le cucine degli altri Paesi, mentre nel nostro Paese vivono oltre cinque milioni di stranieri con le loro cucine, queste ultime sperimentate soprattutto dai giovani.

In tutti questi cambiamenti non deve stupire che il consumo della carne sia in diminuzione, le carni di molti animali soprattutto selvatici e semiselvatici sono quasi inesistenti e al tempo stesso cambiano i tradizionali metodi di cucina, con la forte diminuzione fin quasi totale scomparsa di lessi, stracotti lungamente cucinati, fritti.

Importante diviene il tempo di preparazione dei cibi e in particolare per le carni sempre più si ricorre a lavorati o semilavorati prima artigianali e poi sempre più industriali. Se una donna di due generazioni fa impiegava una

Eurocarni, 2/23 92

La CSM è un sottoprodotto della lavorazione della carne e ha proprietà nutrizionali diverse: è infatti presente una quantità maggiore di grassi; le proteine derivano in parte dal tessuto connettivo, ricco di “collagene” che le rende meno digeribili. I processi di separazione comportano anche la presenza di calcio derivato dalle ossa. Si tratta quindi da un prodotto diverso dalla carne che non è adatto al consumo alimentare diretto. Trova invece utilizzazione nell’industria alimentare come ingrediente nella produzione di altri alimenti, come alcuni insaccati cotti (würstel, salsicce tritate finemente e alcuni tipi di salami), alimenti precotti impanati (cotolette, crocchette, cordon bleu, ecc…), polpettoni e nel ripieno di alcune paste (photo © Joerg Mikus, twilight_art_pictures).

mattinata per preparare un ragù di carne e quella della generazione da poco trascorsa in mezz’ora cucinava un sugo, una coppia che lavora o un single oggi usano un buon ragù industriale preparato secondo una tradizione adeguata all’oggi. In questo quadro si comprende come nella cucina familiare vi sia la quasi scomparsa delle frattaglie e si prediligano carni bianche (vitello, pollame) che permettono cotture rapide. Nei ristoranti si preferiscono le carni bovine, i tagli più pregiati e costosi di razze da carne italiane e straniere e del quarto posteriore, col giusto equilibrio tra quantità di massa muscolare e contenuto di grassi, o taluni tagli del quarto anteriore, mentre meno usate sono le parti che derivano da collo, addome e sottospalla.

Nuova vita delle carni dimenticate

L’industria delle carni da tempo ha trovato il modo di usare i tagli

di carne cosiddetti “dimenticati” e talune frattaglie rendendole adatte agli stili alimentari moderni, come dimostrano tre esempi in particolare. A partire dalle carni di maiale, che oggi sono in gran parte consumate come salumi, alcuni ottenuti da tagli di carne pregiati come i prosciutti, ma molti altri ottenuti da parti meno pregiate che sono lavorate e trasformate in taluni tipi di cotti, salsicce, ecc…

Un tempo, e salvo pochi vitelli, la carne bovina proveniva da animali da lavoro e trovava posto in cucina in lunghe cotture con la produzione di lessi, bolliti, brodi, stracotti. In Italia è allevato circa un milione e mezzo di bovine da latte, la cui carne, a fine carriera, circa mezzo milione di animali, non troverebbe più un mercato alimentare se non fosse destinata all’industria per la produzione di hamburger. Carni sane e sicure, provenienti da una filiera controllata in ogni dettaglio.

Allo stesso modo dai polli e tacchini, una volta tolti petto e arti, resta una carcassa che l’industria trasforma in Carne Separata Meccanicamente (CSM), definita dal Reg. CE 853/04 come “prodotto ottenuto mediante la rimozione della carne da ossa carnose dopo il disosso o da carcasse di pollame, utilizzando mezzi meccanici che conducono alla perdita o modificazione della struttura muscolo-fibrosa”. La CSM è utilizzata per la produzione di insaccati cotti, impanati, prodotti a base di carne come polpettoni e arrotolati.

Infine, l’industria migliora la sua redditività attraverso l’utilizzo di frattaglie non comunemente accettate per il consumo alimentare come fegato, cuore, lingua, coda, reni, cervello, animelle (timo e/o pancreas secondo l’età dell’animale), trippe, milza, intestini e organi sessuali, carne della testa, labbra, grassi e altri ritagli, sangue.

Eurocarni, 2/23 93

La “cacciatora” tra geografia e storia

Avolte le denominazioni sviano le idee e spesso ne faccio menzione in questi articoli. Oggi ci occupiamo del termine “alla cacciatora”, che conosciamo tutti ma, se dovessimo darne una definizione precisa… ecco, saremmo forse in

imbarazzo. Innanzitutto, la maggior parte della carne usata per questa ricetta tradizionale non è stata catturata nei boschi usando un’arma: di solito è pollo, coniglio, agnello, faraona ovvero animali da cortile. Anche se BRUNO BARBIERI preferisce

la lepre e un coccio. Poi, la denominazione assume caratteristiche, o, meglio, ingredienti, diversi, a seconda di dove ci troviamo. In Italia settentrionale parliamo di un umido con cipolla, pomodoro, lardo o pancetta e, se piacciono,

Eurocarni, 2/23 94 LA CARNE IN TAVOLA
Pollo, coniglio, agnello, faraona ma anche selvaggina, per una “cacciatora” vera, e persino pesce: le carni che si prestano ad una cottura “alla cacciatora” si differenziano da regione a regione, da famiglia a famiglia.

funghi. In Italia centrale bastano aglio, rosmarino e aceto (ho letto però che l’abbacchio alla romana è una cacciatora con acciughe e peperoncino).

Come sempre avviene, insomma, la ricetta è soggetta a varianti, che non dipendono dalla geografia, ma dalla storia delle singole famiglie: negli anni Sessanta era quasi una ricetta “di moda”, simbolo di eleganza e benessere, un classico delle tavole della domenica.

Quindi, direi di accordarci in questo modo: se è una robusta e semplice preparazione di stile contadino applicata alla carne, è una cacciatora (tanto per creare ulteriore caos, sappiate che il nome si può riferire pure a quei salamini lunghi non più di 20 cm e tutto sapore).

G IOACCHINO B ONSIGNORE ci rivela un’astuzia: « Buono il pollo alla cacciatora che dalla Toscana ha conquistato l’Italia, diventando un grande piatto nazionale. Il segreto sono le erbe, come la salvia e il rosmarino». Anche GIANFRANCO VISSANI ha da dire la sua: «È una ricetta tipica che nasce sulla padella di ferro, che mantiene la croccantezza esterna della pelle e la rosolatura interna; gli aromi (aglio, rosmarino, salvia, peperoncino) vanno per primi, a far uscire il sapore di selvatico, mentre pomodoro e olive vanno per ultimi; l’intingolo si raccoglie col pane».

D ANA C ARPENDER aggiunge la mozzarella, NIGELLA LAWSON i fagioli cannellini in scatola («che, in effetti, rendono questa ricetta un veloce piatto unico. Detto questo io la adoro — e anche i miei figli — con del semplice riso al vapore. Comunque, quando lo cucino, so che posso contare di mettere comodamente in tavola qualcosa, partendo dal nulla, in meno di mezz’ora»), JAMIE OLIVER la zucca.

Per CSABA DALLA ZORZA è una ricetta di famiglia che prevede pomodoro, olive nere e coniglio (ed è l’unica ricetta con questa carne che trovate nei suoi libri, in quanto lo considera animale da compagnia e non da tavola).

ADOLFO TRIPPINI la arricchisce con gateau di peperoni e piselli e frappe di anice e borragine, RIC-

CARDO DI GIACINTO con cremoso di patate, asparagini croccanti, una terra di olive nere e foglie di cappero, CARLO CRACCO mette la cacciatora nel ripieno dei plin.

La variante più rivoluzionaria credo sia il cucinare il pesce alla cacciatora: A LBERTO F ACCANI usa rombo, olive, cipolle e patate, MARCO MARTINI rana pescatrice (e il pollo diventa chips croccanti preparate con la sua pelle), DOMENICO SCHINGARO seppia (ovviamente laccata col suo nero), GIULIO TERRINONI triglia (a crudo) e GIANFRANCO PASCUCCI muggine (grigliato e bagnato con acqua alle alghe), ma ho letto anche di un pesce spada con ceci e malva e che GIACOMO LEOPARDI apprezzava i cefali.

Infine, è da leggere la descrizione di MASSIMO BOTTURA della sua “Trota al pollo alla cacciatora”: “È entrato in carta alla Franceschetta 58, il nostro gastrobistrot. Parte dall’idea del Pollo alla cacciatora, una preparazione molto popolare sulle colline di Modena, con la tipica cottura lentissima, applicata sul pollo tagliato a pezzi. La parte migliore della ricetta non è tuttavia il volatile ma la salsa. Abbiamo lavorato attorno a questa, ottenendo dopo prove su prove un’acqua da una lunga estrazione della salsa; una disidratazione della stessa e infine un pesto, che andiamo a infilare in un filetto di trota, cotto velocemente in padella. Rifiniamo con una polvere e un brodo di pollo alla cacciatora”

Ma se volete una vera cacciatora con cacciagione (perdonate il gioco di parole, ma stavolta direi che è appropriato) vi consiglio la ricetta di ANDREA MAINARDI, a base di pernice, impiattata con gocce di senape in crema lavorata con miele di castagno, meringa (preparata con acqua di cipolla rossa essiccata), olive taggiasche e pomodori datterini (anch’essi essiccati).

Cosa vi avevo detto? È una ricetta che parte dalla geografia, attraversando in particolare alcune regioni, ma è capace di entrare nella nostra storia personale. Ricorda la famiglia, gli affetti, la tradizione… ed è per questo che non uscirà mai dai classici della cucina italiana.

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Il manzo di Zrazy e Bigos

Zrazy e bigos e sono preparazioni culinarie a base di carne tipiche dell’Europa dell’Est. Si trovano quindi in Ucraina, Bielorussia, Lituania, Lettonia, Estonia, Slovacchia, Ungheria, con qualche sconfinamento in Germania. Ma è in Polonia, soprattutto, che zrazy e bigos sono considerati piatti classici della tradizione più tipica, piatti in cui la cottura della carne — manzo specialmente — si accompagna ad ingredienti per noi tuttora po’ insoliti, ma non per questo meno gustosi, quali crauti, sottaceti e prugne.

Zrazy

Gli zrazy sono involtini che si preparano con sottili fettine di manzo condite con sale e pepe e farcite solitamente con verdure (tra cui cipolle verdi), funghi, uova, patate, sottaceti e pancetta. Con le patate si fa anche una sfoglia che li avvolge tutt’intorno. Ma le varietà di farcia sono innumerevoli, come ovunque succede nei piatti di tradizione. Si tratta però sempre di ingredienti locali quali crauti, erbe, pane aromatizzato con rafano, prosciutto sia crudo che affumicato…

Gli zrazy si fissano con filo da cucina o stuzzicadenti per impedire la fuoriuscita del ripieno, gli si dà una rapida frittura in olio e li si passa in casseruola con sedano, cipolla e spezie ricoprendoli di brodo caldo e facendoli stufare a bassa temperatura. Una volta pronti si tolgono i fili o gli stuzzicadenti, si scolano e si spolverano di farina o si ricoprono con kwaśna śmietana, la panna acida che in tutto l’Est europeo è molto amata. Si consumano con la salsa in cui sono stati stufati, guarnendoli con kasha sbriciolato. Quest’ultimo

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Diffusi in tutta l’Europa dell’Est, è soprattutto in Polonia che vengono considerati veri e propri piatti nazionali, da accompagnare con tè, birra o vodka

è una varietà di porridge comune anch’essa a tutta l’area europea orientale e composta da grano saraceno, che nel corso del tempo ha visto l’introduzione anche di altri tipi di cereali come avena, segale, orzo e semola di miglio. Essendo un piatto che può essere meglio apprezzato il giorno dopo quello della sua preparazione, gli zrazy di solito non vengono consumati subito ma conservati nel frigo o in un luogo fresco. Si mantengono per non più di cinque giorni.

La loro origine si fa risalire ai tempi della Confederazione polaccolituana, lo Stato federale composto da Polonia e Lituania e governato da un comune monarca che era sia re di Polonia che granduca di Lituania. La Confederazione, nata ufficialmente nel 1569 ma di fatto realizzatasi fin dal 1386, raggiunse il massimo della potenza all’inizio del XVII secolo.

Per quanto riguarda gli zrazy, non si sa esattamente a quando far risalire la loro invenzione che avvenne probabilmente già nel XIV secolo in ambito nobiliare vista la raffinatezza della preparazione. Sta di fatto, comunque, che una volta dissoltasi la Confederazione alla fine del secolo XVIII (con la successiva spartizione dei territori fra Austria,

Il carattere della cucina polacca è rustico e di sostanza, con sapori ricchi e vigorosi, adatti al clima invernale. Alimenti base sono le carni, soprattutto il maiale e la cacciagione. Il più antico piatto della tradizione è il bigos, uno stufato con crauti, mentre gli zrazy sono involtini di manzo e pancetta

Prussia e Russia), i due ex-alleati Polacchi e Lituani cominciarono a rivendicare la paternità degli zrazy e tuttora continuano a farlo.

Bigos

Diversa è la situazione del bigos, che può indiscutibilmente essere considerato il piatto nazionale polacco. Il bigos, che è un piatto unico, si serve caldo, anche perché viene cucinato nelle stagioni fredde; è talmente gradito, però, che lo si trova abbastanza di frequente pure durante la bella stagione. Anch’esso può essere meglio apprezzato il giorno dopo, per cui valgono le stesse indicazioni di conservazione fornite per gli zrazy Caratterizzato da carne di manzo, vitello e/o maiale, crauti e spezie (tra cui pimento, pepe e alloro), è uno stufato la cui preparazione, sia come preparazione che come tempi di cottura, varia a seconda degli ingredienti che vengono aggiunti

a quelli principali in base al gusto personale e alla disponibilità del momento. Per lo più si tratta di salsiccia (quella polacca, ovviamente, che si chiama kiełbasa), pancetta affumicata, patate, barbabietole, verza, funghi, prugne secche, passata di pomodoro e cipolla.

La preparazione classica vuole che i crauti vengano bolliti in casseruola mentre al contempo in un secondo tegame si fa rosolare la carne tagliata a pezzetti e condita con le spezie. A parte si fanno scottare la salsiccia e la pancetta affumicata. Si versano poi tutti gli ingredienti in una pentola insieme aggiungendo la passata di pomodoro. Si cuoce a lungo, anche per alcune ore, e a fuoco lento. Molto spesso i bigos vengono serviti all’interno di una formella di pane ben scavata e ricoperta dalla parte superiore, proprio come se fossero contenuti all’interno di un tegame.

Che cosa bere con questi piatti?

Forse non tutti sanno che in Polonia durante i pasti è d’uso bere il tè invece di acqua o vino. L’uso di alcolici nei posti pubblici è severamente vietato, tranne ovviamente che nei locali gastronomici o nei pub dove vi siano dei tavolini all’aperto. Sono vietati anche la vendita e l’uso di bevande alcoliche ai minori di 18 anni di età. Nel rispetto di queste norme la birra è tuttavia considerata da molti polacchi la bevanda nazionale, prova ne sia che la più antica birreria, che si trova a Lwówek Śląski, risale al lontano 1209. In Polonia troviamo anche le viti, la cui tradizione risale anch’essa al XIII secolo. E poi c’è la vodka… con la quale non di rado si innaffiano anche i pasti principali, specialmente durante feste e riunioni conviviali.

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In alto: bigos con funghi, crauti e prugne. A pagina 96: zrazy.

Albano Beghin, la storia della macelleria padovana

«Quando mi chiedono l’età rispondo cinquant’anni, cinquant’anni dal giorno in cui mio padre mi assunse nella sua macelleria, era il primo agosto del 1973, giorno del mio sedicesimo compleanno». Inizia così la mia intervista ad ALBANO BEGHIN, titolare dell’omonima macelleria di Teolo in provincia di Padova, ai piedi dei Colli Euganei, terra di meravigliosi vini rossi e di olive.

Albano Beghin è la storia della macelleria padovana ed esempio encomiabile di un passaggio generazionale senza eguali che comincia nel 1914 da GIOTTO BEGHIN, nonno di Albano che, al tempo, ebbe all’attivo ben quattro macellerie ereditate poi dai figli: ANTONIO e RINO. Ad Antonio, padre di Albano toccò la macelleria di Bresseo di Teolo e un piccolo punto vendita a Villa di Teolo aperto due giorni a settimana, «il sabato pomeriggio i miei amici andavano a giocare a pallone, io invece aiutavo mio padre fino a tardi» racconta Albano. I Beghin avevano inoltre un macello, che lavorava settimanalmente una decina di capi. «Sono immensamente grato a mio padre per tutto ciò che mi ha insegnato ma, soprattutto, per avermi dato la libertà e lo spirito d’iniziativa in macelleria» ricorda commosso.

Nel corso degli anni numerose persone hanno impreziosito il lavoro di Albano e della sua famiglia, come il signor GASTONE, norcino, che lo aiuta da oltre quarant’anni nella lavorazione dei salumi; c’è poi EGIDIO, che ha insegnato ad Albano come eseguire il disosso delle mezzene, la legatura degli arrosti, ma anche l’ordine e la

Albano Beghin è il titolare dell’omonima macelleria di Teolo in provincia di Padova, ai piedi dei Colli Euganei, terra di meravigliosi vini rossi e di olive. L’attività della macelleria si è evoluta nel tempo grazie soprattutto alle varie competenze dei diversi componenti della famiglia che hanno arricchito l’offerta del negozio spaziando dalla gastronomia ai vini ad altri generi alimentari selezionati a livello nazionale.

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pulizia nell’ambiente di lavoro. Ad affiancare quotidianamente Albano c’è il fratello GABRIELE: entrato nello staff nel 1990, è lo chef che realizza i cotti e i pronti a cuocere; la macelleria dispone infatti di una vera e propria cucina professionale, in cui per diversi anni ha padroneggiato una cuoca romagnola insegnando ai Beghin tutti i segreti della cucina italiana, dalla realizzazione dei sughi alla cottura degli arrosti. Nel retro banco, oltre alla cucina, c’è il laboratorio di sezionamento carni e due celle di frollatura in cui riposano maestosi lombi bovini che somigliano a dei trofei.

Albano Beghin coordina le stalle, precisamente tre, da cui si

approvvigiona dei bovini gestendone con cura le razioni alimentari, il tempo di permanenza in stalla e la scelta dei capi da macellare. Le stalle sono dislocate al Nord e al Centro Italia: la prima si trova a San Germano dei Berici, comune della Val Liona in provincia di Vicenza; qui sono allevati scottone di razza Limousine. I capi destinati alla macelleria Beghin sono una trentina e hanno un’età compresa tra i 20 e i 22 mesi. L’alimentazione delle scottone è una dieta a secco con base cerealicola e una percentuale fibrosa, quest’ultima seppur in minima quantità è necessaria al fine di garantire la motilità del rumine. Tra la macelleria Beghin e l’alleva-

tore, mi spiega Albano, si è creata un sinergia vincente, «i bovini sono allevati in funzione alle nostre esigenze in termini di alimentazione, grasso di copertura sino ai tempi di stabulazione».

La seconda stalla si trova a Badia Tedalda, un piccolissimo comune di solamente 900 anime in provincia di Arezzo, dove posizione geografica, acqua e fieno di alta qualità sono i fattori prominenti di questo allevamento che favoriscono una carne stupefacente. I Beghin acquistano annualmente una decina di bovini di razza

Chianina, rigorosamente scottone e di età pari a 20 mesi. La Chianina, così come la Marchigiana e

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Lo staff dell’Antica Macelleria F.lli Beghin.

la Romagnola, oltre a costituire il patrimonio italiano ancestrale bovino, vantano l’IGP “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale” , un’indicazione geografica di qualità approvata dalla Comunità europea che certifica e garantisce la carne di queste tre razze bovine italiane. L’Indicazione Geografica Protetta (IGP) rappresenta un sistema tramite il quale l’Unione Europea riconosce e protegge i prodotti agroalimentari di pregio destinati all’alimentazione umana. Il termine “Vitellone” fa riferimento all’età dei bovini, tra i 12 e 24 mesi; “Bianco” si riferisce al colore del loro mantello; infine, “dell’Appennino Centrale” ne rappresenta l’indicazione di origine, ovvero la zona dove Chianina, Marchigiana e Romagnola sono allevate da oltre 1500 anni. Il Consorzio di Tutela Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale, costituito il 13/02/2003 e ufficialmente riconosciuto con DM n. 62187 del 29/03/2004, svolge attività di tutela, vigilanza e salvaguardia del marchio lungo tutta la filiera di produzione e di commercializzazione.

Ci spostiamo a Fossano, in provincia di Cuneo, dove si trova l’Azienda Agricola Delsoglio da cui Albano acquista regolarmente una trentina di capi di Piemontese tra cui scottone, vacche e nel periodo dedicato anche il Bue Grasso di Carrù, portabandiera della razza.

Con la carne della Fassona, nota in tutto il mondo per la sua magrezza e tenerezza, Albano prepara una delicatissima battuta al coltello, circa 15 kg a settimana, mentre con il petto del bovino piemontese ci fa dell’ottimo roast beef.

In macelleria lavorano anche i figli di Albano: DANIELE e FRANCESCO

Daniele, dopo la laurea in statistica, ha frequentato il Master in Food Culture dell’Università di Scienze

Gastronomiche a Colorno, un percorso di studi che gli ha fornito un enorme bagaglio di conoscenze che riversa nell’azienda di famiglia. Daniele, infatti, ricerca le migliori referenze, a partire dalle produzioni casearie, passando per mieli e cioccolata, sino alle etichette di vino che impreziosiscono gli scaffali del

negozio. Anche Francesco ha studiato statistica, specializzandosi poi in ricerche di mercato all’Università di Bologna, ma prima di cominciare a lavorare in famiglia ha deciso di andare a Londra nella macelleria di Lidgates, Lidgates Butchers , a Holland Park per un anno intero. Successivamente ha collezionato diverse esperienze formative in campo enogastronomico: un master in Food and Wine Communication all’università IULM di Milano, il corso di pasta fresca di “ChefYouWant” tenuto fa DIMITRI BROETTO e ancora il corso di cotture a bassa temperatura e quello di sommelier. Un vero patrimonio di conoscenza per la famiglia Beghin.

Al banco della macelleria si nota una moltitudine di colori, a partire dalla carne che primeggia con il suo bel rosso brillante, ma c’è spazio anche per la gastronomia, con un’offerta di piatti pronti che ha dell’incredibile, come le classiche lasagne al ragù ma anche quelle con zucca e porcini, gustosissimi bigoli integrali e ravioli ripieni con il brasato di bovino piemontese o con la famosa Gallina padovana realizzati da Francesco; ci sono poi le polpette e gli hamburger e, tra i cotti, un’invitante insalata di pollo, trippe, nervetti, oltre a svariate tipologie di sughi.

Le carni sono frollate nell’apposita cella dedicata, «il posteriore lo frolliamo 20 giorni, la Chianina 40» osserva Albano. Il processo di frollatura dipende anche dalla quantità di grasso che ricopre la mezzena, per questo motivo la Piemontese non necessita di maturazioni importanti.

«Quello che facciamo è il più bel lavoro del mondo, il macellaio è un artigiano della qualità e rappresenta l’essenza carnivora» commenta. La curiosità e la passione sono le carte vincenti per trionfare nella vita e oggi Albano mi ha dato una gran lezione.

Antica Macelleria F.lli Beghin

Via Euganea Bresseo 48

35037 Teolo (PD)

Telefono: 049 9900008

Web: macelleriabeghin.it

Eurocarni, 2/23

Gianluca Nana, passione genuina e continua sperimentazione

Da questo numero inizia una collaborazione con Paolo Amedeo Garofalo, alla scoperta dei protagonisti del comparto carni e della loro visione innovativa di fare business in un contesto in continua evoluzione.

Abbiamo fissato per un lunedì sera di dicembre il nostro incontro, una di quelle serate in cui le luci in attesa del Natale aggiungono un’atmosfera magica. La saracinesca è semi abbassata ma, come ogni ristorante che da fuori sembra chiuso, dentro

ribolle di energia: infatti, trovo Gianluca Nana seduto in fondo al grosso tavolo conviviale di fronte alla griglia a discutere con fornitori e collaboratori. Ci sediamo davanti a quello che è il suo regno: il banco macelleria, come incastonato all’interno di Nana Meat &

Eurocarni, 2/23 102 LA PAROLA GUSTA

Wine, dove a ogni pranzo e cena Gianluca, rigorosamente a mano, ci tiene a sottolineare, prepara e taglia le sue bistecche, tra cui le sue bistecche Nana. Mi anticipa cosa assaggerò quella sera, iniziamo dai salumi di bovino di sua produzione e di sua sperimentazione. «È riduttivo chiamarla bresaola» mi dice, e in effetti l’esperienza gustativa supera di gran lunga i sapori di un prodotto tradizionale, affiancata poi all’equilibrata sapidità della picanha stagionata e alla dolcezza del lardo di Wagyu italiano, diventa travolgente.

Passiamo poi alla Nana , «la bistecca che vorrei sempre trovare nel mio piatto» la definisce; la lavorazione finale è il cuore delle cinque coste alle quali viene lasciata attaccata una corretta lunghezza dell’osso della costola. La bistecca

che porta il suo nome è sempre ricavata dalla lombata di una vacca o di una manzarda con le stesse caratteristiche costanti di marezzatura e di tenerezza.

Non vuole chiudersi dentro una provenienza, preferisce selezionare le sue Nana in base alle lombate che arrivano dai diversi fornitori italiani ed europei. Solo quelle che passano i suoi controlli maniacali posso fregiarsi della coccarda

Al Nana Meat & Wine l’Italia è rappresentata dalle razze Piemontese e Chianina e dal Wagyu italiano di Ca’ Negra, ma la cella delle lombate in frollatura che si affaccia sulla vetrina verso l’esterno del ristorante accoglie la miglior selezione di scottone, vacche, manzarde e vitelloni di provenienza polacca, galiziana, spagnole e irlandese.

Nana. Una chicca è poi l’etichetta che accompagnerà la carne al tavolo prima di essere cotta, dettaglio che non mi era mai capitato di vedere prima e che conferma al consumatore finale la provenienza della Nana selezionata grazie alla tracciabilità riportata e il peso.

Gianluca, travolgente nei suoi racconti, mi parla del suo diploma da perito elettrotecnico e di come molto presto capì che non era il suo

Nana Meat & Wine, a La Spezia, è la realizzazione del sogno di Gianluca Nana: «in circa 20 anni, lavorando come macellaio e servendo la ristorazione, è nata in me una grande dedizione per la cucina. Non sono uno chef, ma un amante delle carni che cucina con passione per l’ospite che sederà al tavolo del nostro locale»

Eurocarni, 2/23 103

Mi presento ai lettori di Eurocarni

Da sempre appassionato di food, la specializzazione alberghiera e la laurea in Scienze e tecnologie alimentari della ristorazione mi hanno fatto comprendere prima il fascino della trasformazione delle materie prime partendo dalle tradizioni culinarie e poi come tecnologie e innovazione al servizio dei produttori possano connettersi per creare risultati eccellenti. Le esperienze maturate negli anni trascorsi come buyer carni nella GDO retail in Dimar e il gigante, sommate a quelle sviluppate in Metro Cash & Carry come category manager, hanno consolidato la mia conoscenza delle dinamiche di mercato sia dal punto di vista dei distributori sia da quello delle aziende con cui ho avuto il piacere di collaborare. La continua analisi del mercato e le certificazioni come formatore mi portano ad affermare che oggi il mercato alimentare sta attraversando l’ennesimo cambiamento e che solo raccontando la propria storia e quella all’origine di ogni prodotto, formando le forze vendita e divulgando sempre più cultura verso il consumatore finale si potrà risultare innovativi e vincenti. Sono fondatore della Garofalo Good Consulting, nuova realtà di consulenza strategica nel mondo delle carni e del food in generale, partner di fiducia a cui rivolgersi per migliorare la crescita della propria azienda. Garofalo Good Consulting non è solo un fornitore di servizi ma offre una consulenza su misura e continua. Dialoga attivamente coi partner per comprendere i loro obiettivi, problemi e necessità. Le collaborazioni vertono su l’innovazione di prodotto, l’ottimizzazione dei processi, la formazione delle reti di vendita e la costruzione di piani di category management. Quella che mi piace definire la buona consulenza.

mondo. Prova a entrare nel corpo Vigili del Fuoco, ma non sorprende il fatto che proprio durante quel periodo, alla fine degli anni ‘90, inizia a occuparsi della cucina della caserma e come addetto agli acquisti spesso si trova a dover acquistare la carne. Il colpo di fulmine con fiamme e braci scatta così, in una caserma dei Vigili del Fuoco. Abbandonata questa carriera, la macelleria all’interno del piccolo supermercato che lo ha sempre visto come cliente gli propone di passare dall’altra parte del banco: inizia da qui il suo percorso professionale di macellaio. «Sono rimasto affascinato e da quando mi hanno messo il coltello in mano non ho più smesso» mi racconta Gianluca.

L’esperienza successiva in Conad lo vede diventare macellaio di riferimento nelle nuove aperture dell’insegna. L’approdo in Metro Cash & Carry nel 2003 a La Spezia consolida la sua capacità di creare un rapporto di fiducia col cliente, passando dal servizio al consumatore finale alla consulenza verso i professionisti. Siamo nel 2017 e la clientela professionale che si trova

a dover soddisfare fa nascere in Gianluca l’idea di creare qualcosa “di suo”, ma ancora non ha bene le idee chiare: una macelleria o forse un ristorante?

La grande occasione nasce quando un ristoratore, ora suo socio, capisce che su Gianluca bisogna puntare e che, soprattutto, lo si deve “liberare” per lasciar che le sue idee possano diventare realtà. Nasce così Nana Meat & Wine, un ristorante con macelleria che basa sulla selezione della carne e sulle capacità narrative di Gianluca la sua forza.

L’Italia è rappresentata dalle razze Piemontese e Chianina e dal nuovo progetto di Wagyu italiano di Ca’ Negra (www.canegra.com), il tutto certificato dalle diverse iscrizioni ai consorzi di categoria, ma la cella delle lombate in frollatura che si affaccia sulla vetrina verso l’esterno del ristorante accoglie la miglior selezione di scottone, vacche, manzarde e vitelloni di provenienza polacca, galiziana, spagnole e irlandese.

Oggi Gianluca seleziona, propone e racconta tutto quello che è la sua passione dietro a questo banco,

affiancato da ragazzi e ragazze straordinari, impeccabili tanto alla griglia quanto nel servizio al tavolo. «Cerco di formare il mio personale portandolo in giro a visitare aziende e produttori e anche io continuo a confrontarmi con quanto esiste sul mercato, non possiamo stare fermi e dobbiamo sapere sempre di essere sulla strada giusta» afferma soddisfatto.

I progetti non mancano, il format “Nana Burger” già aperto in centro a La Spezia è destinato a essere replicato in altre città con la stessa cura nei dettagli e la griglia degli hamburger a vista. Infine, qualcosa di nuovo nella testa di Gianluca sta già prendendo forma, al momento non vuole svelarmi troppo, ma sono certo che la figura del macellaio rimarrà sempre il cuore di ogni idea futura.

Nana Meat & Wine

Piazza Saint Bon 4/5

19122 La Spezia

Telefono: 0187 23270

E-mail: info@nanameatwine.it

Web: www.nanameatwine.it

Eurocarni, 2/23 104

Partnership tra Bord Bia e JRE all’insegna del gusto

Il nuovo anno inizia nel segno dell’alta cucina creativa grazie alla partnership siglata tra Bord Bia, ente governativo per la promozione dei prodotti Food & Beverage irlandesi e JRE – Jeunes Restaurateurs Italia, associazione che raccoglie i più giovani e rappresentativi chef dell’alta ristorazione, accomunati dall’amore per la cucina e dal desiderio di condividere esperienze e valori. La collaborazione, iniziata il 1o gennaio, è stata pensata per esaltare le qualità e il gusto dei prodotti irlandesi grazie all’estro di alcuni dei più talentuosi chef italiani che fanno parte dell’associazione. «Siamo molto orgogliosi di annunciare questa partnership: da anni seguiamo l’associazione, gli chef e l’incredibile lavoro che realizzano per implementare la creatività in cucina» dichiara Francesca Perfetto, Market Specialist di Bord Bia. «Con questa collaborazione speriamo anche di accrescere lo Chefs’ Irish Beef Club (CIBC) — la nostra iniziativa che raggruppa numerosi rinomati Chef provenienti da tutto il mondo — dando loro la possibilità di scoprire il manzo, l’agnello e i prodotti ittici irlandesi e di conoscere le prelibatezze dell’Isola di Smeraldo per valorizzarle portando in tavola, allo stesso tempo, le bellezze naturali di questo magnifico paese e i suoi importanti valori nell’ambito delle pratiche di sostenibilità e benessere animale». Questa collaborazione rientra all’interno di un piano più ampio di valorizzazione dei prodotti irlandesi, un percorso che Bord Bia sta portando avanti da diversi anni. La partnership, infatti, prevederà numerose attività di comunicazione congiunte che avranno, come interlocutori principali, il consumatore finale e gli operatori del settore. Proprio in questo senso, il coinvolgimento degli chef di JRE rappresenta un valore aggiunto per far conoscere e insegnare come trattare tali prodotti.

>> Link: www.irishbeef.it

Ci stai?
adapa-group.com

Opinione dei consumatori su un Prosciutto di Parma con alti standard di benessere animale

Parsutt è un GOI (Gruppo Operativo per l’Innovazione) finanziato su PSR (Programma di Sviluppo Rurale) della Regione Emilia-Romagna (Bando Misura 16.1.01 – Gruppi operativi del PEI-Partenariato Europeo per l’Innovazione per la produttività e la sostenibilità dell’agricoltura, sottomisura 16.1 Sostegno per la costituzione e la

gestione dei gruppi operativi del PEI in materia di produttività e sostenibilità dell’agricoltura – Focus Area 3A), che vede coinvolti il CRPA di Reggio Emilia, il Consorzio del Prosciutto di Parma, due produttori associati al Consorzio, due allevamenti e due macelli.

Lo scopo del progetto è quello di creare, per singole filiere suinicole,

un sistema di certificazione con un disciplinare di regolamentazione che faccia riferimento a protocolli con alti standard di benessere animale, biosicurezza e uso responsabile del farmaco, verificandone sostenibilità tecnico-economica e ambientale

Nell’ambito di questo progetto è stata condotta un’indagine

Come atteso, anche l’indagine oggetto dell’articolo evidenzia che la stragrande maggioranza degli intervistati vorrebbe avere maggiori informazioni circa il benessere degli animali e l’uso degli antibiotici durante le fasi d’allevamento e che queste informazioni venissero riportate in etichetta, anche per il Prosciutto di Parma.

Eurocarni, 2/23 106 INDAGINI

Tabella 1 – Luogo d’acquisto per classi d’età (anni)

conoscitiva presso i consumatori italiani, con l’obiettivo di valutare appunto la propensione all’acquisto di Prosciutto di Parma derivante da allevamenti che rispettino standard di benessere animale superiori ai minimi di legge e con uso responsabile del farmaco. I risultati sono relativi a più di 300 questionari, raccolti nell’ultimo trimestre del 2021. Il campione è composto per il 60% da donne e per il 40% da uomini. Poco più della metà degli intervistati ha fra i 31 ed i 50 anni, mentre circa il 35% supera i 50 anni e il 15% è sotto i 31 anni. Le suddette proporzioni fra le diverse classi di età sono sostanzialmente rispettate anche stratificando il campione fra uomini e donne. Di seguito, vengono riportati i principali risultati ottenuti.

Luogo d’acquisto

I dati evidenziano che quasi il 60% degli intervistati acquista Prosciutto di Parma presso la Grande Distribuzione, mentre il 26 % si

rivolge a negozi di quartiere. Circa il 7% utilizza mercatini locali e un altro 7% si rifornisce nei discount. Sporadico (sotto l’1%) è l’utilizzo di gruppi di acquisto solidale o di acquisti on-line. Le medesime proporzioni vengono pressoché rispettate considerando separatamente uomini e donne. In tutte le classi di età, i luoghi di acquisto prediletti risultano essere la Grande Distribuzione (al primo posto) e i negozi di quartiere.

Considerando singolarmente ogni classe di età e di genere (Tabella 1), emerge che i giovani uomini prediligono, nell’ordine, GDO, negozi di quartiere e discount. Non sono rappresentati altri luoghi di acquisto. Le giovani donne hanno abitudini più variegate. Comunque, anche in questo caso la GDO si colloca al primo posto.

Gli uomini e le donne fra i 31 e i 70 anni hanno abitudini di acquisto molto simili e scelgono, nell’ordine, GDO e negozi di quartiere, mercati locali e discount. Infine, gli uomini e

le donne oltre i 70 anni si rivolgono esclusivamente a GDO e negozi di quartiere, trascurando altre modalità di acquisto.

Decisori

Indagando i fattori che influenzano la scelta di acquisto, emerge che, rispetto ad altri prosciutti crudi, i consumatori riconoscono al Prosciutto di Parma una qualità superiore soprattutto per le sue caratteristiche organolettiche. In seconda posizione si colloca il fatto che il Prosciutto di Parma sia una DOP. Le posizioni successive della classifica dei “decisori” sono occupate in ordine decrescente dalla sicurezza alimentare riconosciuta al Prosciutto di Parma, dalla sua tracciabilità, dal numero di controlli e dalle sue caratteristiche nutrizionali. In ultima posizione troviamo invece gli aspetti relativi al benessere animale. Questo significa che il consumatore attualmente riconosce scarsa distintività al Prosciutto di Parma rispetto ad altri prosciutti crudi per quanto riguarda

Eurocarni, 2/23 107
Luogo di acquisto 18-30 M % 18-30 F % 31-50 M % 31-50 F % 51-70 M % 51-70 F % >70 M % >70 F % Catene tradizionali di distribuzione (COOP, Esselunga, Conad, Sigma, Despar, Unes) 64,2960,4751,1458,3360,3858,9041,6760 Catene di distribuzione di prodotti biologici (NaturaSì) 0 6,98 1,14 0,640 2,74020 Mercatini locali (biologici, filiere corte, ecc…) 0 2,3310,23 4,4913,21 9,590 0 Gruppi di acquisto solidale (GAS) 0 2,3300 1,8900 0 Discount (Dico, Lidl, Penny Market, Eurospin) 14,2920,93 4,55 5,13 1,89 5,480 0 Negozi di quartiere21,43 6,9830,6830,7722,6423,2958,3320 On-line00 2,27 0,640000

il benessere animale. Ciò suggerisce, da una parte, che ci sia spazio per migliorare questo aspetto e, dall’altra, che, se si andasse in questa direzione, sarebbe necessaria un’azione incisiva di informazione presso il consumatore.

Informazione in etichetta sul benessere animale

L’utilizzo dell’etichetta come fonte di informazioni circa il benessere animale non pare omogeneamente diffuso né risulta essere un’abitudine solida e sistematica. Infatti, solo un quarto degli intervistati dichiara di cercare sempre l’informazione in merito al benessere animale in etichetta, mentre quasi il 40% la cerca solo a volte. Il restante 35% o la cerca

raramente o non la cerca o non sa/ non è a conoscenza del fatto che questa informazione sia presente. Questo porta a pensare che anche su questa tematica potrebbe essere utile “formare” maggiormente il consumatore.

Considerando separatamente i generi, la percentuale di donne che cerca sempre in etichetta questa informazione è doppia rispetto a quella corrispondente fra gli uomini. Questo fa ipotizzare una potenziale maggiore sensibilità da parte delle donne relativamente al benessere animale.

Parallelamente, analizzando invece i dati per classi di età, emerge che sono i più giovani a cercarla in modo più costante in occasione

dell’acquisto. Inoltre, i giovani mostrano anche una maggiore consapevolezza circa la presenza sul mercato di prodotti di salumeria “ad alto contenuto di benessere”.

Informazioni circa modalità d’allevamento e uso di antibiotici Come atteso, la stragrande maggioranza degli intervistati vorrebbe avere maggiori informazioni circa il benessere degli animali e l’uso degli antibiotici durante le fasi d’allevamento. Solo il 6% dichiara di non essere interessato, mentre l’8% non si sbilancia. Le medesime percentuali si ottengono andando a considerare separatamente uomini e donne. Alla domanda specifica sul Prosciutto di Parma, la quasi

Eurocarni, 2/23 108
La produzione del Prosciutto di Parma segue un rigido disciplinare che il Consorzio ha imposto alle aziende produttrici per regolare tutte le fasi di lavorazione secondo una precisa metodologia nel pieno rispetto della tradizione.

Potenziale aumento di prezzo% su tutto il campione

totalità degli intervistati afferma che vorrebbe venisse indicato in etichetta se un prodotto derivasse da standard di benessere animale superiori ai minimi di legge.

Tracciabilità

In merito alla tracciabilità, più del 90% delle risposte si concentra fra “importante” (30% circa) e “molto importante” (64% circa). Quindi, volendo assecondare le aspettative dei consumatori, pare strategico lavorare sull’ulteriore miglioramento di questo aspetto che, anche grazie a nuove tecnologie, può potenzialmente diventare sempre più raffinato.

Certificazione

Anche al tema della certificazione viene riconosciuta molta rilevanza.

Più del 90% degli intervistati ritiene che sia “importante” (23% circa)

o “molto importante” (67% circa) che vi sia una garanzia da parte di un ente terzo. Simili le proporzioni reciproche considerando separatamente uomini e donne, anche se pare di vedere che le donne tendano ad attribuire un’importanza particolarmente grande a questo aspetto.

Infine, passando ad un altro aspetto ineludibile legato all’acquisto, i

consumatori sono stati interrogati sul prezzo (tabella 2). Considerando un prezzo medio di 30,0 €/ kg, più del 50% degli intervistati ritiene che, per garantire standard di benessere superiore ai minimi di legge, sarebbe accettabile un aumento compreso fra i 3,0 €/kg e i 5,0 €/kg.

Un 13% ritiene di poter sostenere un aumento di massimo 1,0 €/ kg, mentre il 9% accetterebbe un aumento di 10,0 €/kg e solo il 2% circa accetterebbe un aumento di 15,0 €/kg. Un 5% non è disposto a spendere nulla in più per Prosciutto di Parma “ad alto contenuto di benessere”.

Interessante segnalare che quasi il 17% degli intervistati non è in grado o non vuole fare questa valutazione, suggerendo potenzialmente una certa diffusione o di una scarsa consapevolezza economica negli acquisti o di una incapacità di attribuire un valore economico all’aspetto del benessere animale. Quest’ultima evenienza può almeno in parte essere dovuta al fatto che la tematica del benessere animale abbia una grande valenza etica e alla difficoltà di legare quest’ultima con l’aspetto economico.

Eurocarni, 2/23
Tabella 2 – Accettazione di un potenziale aumento di prezzo per un Prosciutto di Parma con alti standard di benessere animale
0,00 €/kg 5,13 1,00 €/kg13,46 3,00 €/kg29,17 5,00 €/kg24,36 10,00 €/kg 8,97 15,00 €/kg 2,24 Non so16,67
Prezzo
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Logistica come processo integrato

Più efficienza e meno spese con l’ERP CSB-System

Nel settore alimentare una logistica efficiente consente di raggiungere l’equilibrio ideale tra qualità dei prodotti, controllo dei costi e prestazioni perché aiuta a:

• controllare i processi di acquisto di materie prime e componenti;

• ottimizzare risorse e tempi di produzione;

• ridurre le giacenze di magazzino;

• assicurare la “catena del freddo” e quindi mantenere intatta la qualità del prodotto;

• migliorare il servizio al cliente.

In quest’area si nascondono quindi potenziali di ottimizzazione che vale la pena sfruttare. È indispensabile però poter disporre di un ERP con dati aggiornati in ogni momento, indici, analisi dei percorsi critici e procedure di simulazione. Integrazione è la parola d’ordine

Copertura completa di tutti i processi logistici con l’ERP CSB-System L’ERP CSB-System, gestionale specifico per il settore alimentare, modulare, completo e integrato, copre totalmente tutti i processi

logistici dell’azienda, inclusa la gestione puntuale dei movimenti di magazzino e la preparazione ordini. Non importa se in azienda si preferisce la gestione di magazzino caotica o a posti fissi, oppure se la preparazione ordini avviene per cliente o per articolo: il CSB-System verifica costantemente la portata delle scorte degli articoli con proposte automatiche per il carico e lo scarico sulla base delle disponibilità aggiornate. Sono inoltre generati in automatico ordini di trasferimento e controlli delle date di scadenza. Grazie al suo alto grado di integra-

Eurocarni, 2/23 110 TECNOLOGIE
L’ERP CSB-System gestisce l’intero flusso di materiali, inclusi nastri trasportatori, deviatoi, trasloelevatori, scaffalatori.

zione, l’ERP CSB-System è in grado di gestire l’intero flusso di materiali, inclusi nastri trasportatori, deviatoi, trasloelevatori, scaffalatori.

Sistemi di etichettatura secondo gli standard internazionali Per essere inserita tra i fornitori di una DO o GDO, l’azienda alimentare deve garantire etichette personalizzate per cliente nel rispetto degli standard nazionali ed internazionali. La buona gestione dei dati di componenti e processi ha un impatto diretto sulla qualità dei prodotti e sulla loro etichettatura. Grazie al CSB-System sia l’etichettatura esterna per la comunicazione con grossisti, discounter, spedizionieri e distributori, sia l’etichettatura interna per velocizzare le procedure di identificazione in azienda, sono gestite automaticamente dal sistema. È possibile ottimizzare etichette per pallet (SSCC) oppure etichette per prodotti su ogni unità di confezione a seconda delle esigenze specifiche della catena commerciale con cui so collabora.

Gestione giri, loro ottimizzazione e controllo dei costi di trasporto

La pianificazione dei giri è uno strumento efficace per l’evasione veloce degli ordini dei clienti e per un controllo dettagliato sui costi dei trasporti. Il CSB-System mette a disposizione dei suoi clienti, oltre ai moduli per la gestione del parco macchine, una soluzione integrata per la pianificazione dei giri sfruttando potenziali di ottimizzazione per quanto riguarda itinerari, ripartizione, peso e volume di carico nonché impiego di personale e mezzi, con lo scopo di ridurre i costi e di aumentare l’affidabilità di consegna. L’idea di fondo della gestione giri è di definire tutti gli avvenimenti necessari per ottenere la perfetta gestione dell’ordine e di controllarli in sequenza; per esempio, in quale finestra temporale deve essere consegnata la merce al cliente, in quale ordine deve essere caricato il camion, quali mezzi sono disponibili, quanti conducenti sono necessari e così via. Non importa

che si tratti della consegna a clienti, filiali o magazzini terzi di prodotti finiti o materie prime.

Per realizzare il controllo dei dati, il CSB-System segnala i “tempi teorici” per la consegna dell’ordine. Per la determinazione dei “tempi effettivi”, gli utenti hanno poi a disposizione diverse possibilità: possono essere definiti avvenimenti come “Avvio” o “Fine” della preparazione ordini e i “tempi effettivi” sono determinati automaticamente dal sistema; oppure, il computer di bordo, equipaggiato con un terminalino per la Presa Mobile Dati e con una stampante, documenta tutte le particolarità del giro, come, ad esempio, scarico, resi, vuoti, itinerari, l’apertura delle porte come anche la temperatura delle superfici di carico dell’autocarro.

Il mantenimento della catena del freddo e della chiusura delle porte viene documentato integralmente, ottemperando agli obblighi HACCP. Al termine del giro ha luogo la trasmissione diretta dei dati al CSB-System. Se richiesto, i dati possono essere trasmessi in tempo reale, così da poter visualizzare online in ogni momento la posizione dei camion e di volta in volta lo stato del parco mezzi. Sempre al termine del giro, un’analisi fondata e supportata dal software può fornire

informazioni su quali scostamenti dai valori preventivati si siano verificati e per quali motivi, misurando così l’efficienza del giro. A completamento, la possibilità di inserire tutti gli accordi contrattuali con gli spedizionieri (tariffe per tratte, stop, volumi, chilometri, ecc…) permette un controllo preciso non solo dei propri costi di trasporto ma anche delle fatture degli spedizionieri.

Logistica efficiente come strumento concorrenziale Per concludere, la scelta del giusto ERP per la gestione della logistica contribuisce in maniera decisiva alla soddisfazione del cliente e quindi al successo duraturo di un’azienda.

Referente:

• Dott. A. MUEHLBERGER

CSB-System Srl

Via del Commercio 3-5

37012 Bussolengo (VR)

Telefono: 045 8905593

Fax: 045 8905586

E-mail: info.it@csb.com

Web: www.csb.com

Eurocarni, 2/23 111
La pianificazione giri del CSB-System assicura la “catena del freddo” ed un controllo dettagliato sui costi dei trasporti.

Gli “steccati dei tori” nelle Marche

Nei secoli precedenti i combattimenti contro i tori hanno incontrato grande successo in varie città italiane, come descritto su EUROCARNI, con articoli riferiti a Roma (n. 2/2018, pag. 122), Venezia (n. 12/2018, pag. 132), Napoli (n. 11/2019 pag. 154), Siena (n. 7/2020 pag. 126) e alle corride del ‘900 (n. 1/2021 pag. 130). Le tauromachie avevano una diffusione particolarmente capillare nello Stato Pontificio, soprattutto nelle Marche, che fecero parte dello Stato della Chiesa dalla metà del ‘500 fino al 1860.

Caratteri generali

SERGIO ANSELMI cita almeno una cinquantina di comuni delle Marche nei quali, soprattutto tra ‘700 e ‘800, si tenevano le cacce dei tori, chiamate steccati, dal nome delle strutture provvisorie di legno che venivano montate nelle piazze, a volte dotate di palchi per le persone di maggior riguardo (FIORANI C.), ma dette anche corse o giostre dei tori o venagioni, organizzati in occasione di feste locali o della visita in città di personaggi illustri (ANSELMI S., 1966). Per MATTIOLI e colleghi c’era una differenza tra steccati,

cacce e giostre: gli steccati, i più diffusi, erano battaglie tra bovini e cani addestrati ad “orecchiarli”, ossia ad afferrarli alla base dell’orecchio, fino ad immobilizzarli, il che determinava la fine del combattimento (MANONI C.). I cani erano manovrati dagli staccatori, pronti a lanciarli e a separarli dai tori una volta vinta la lotta, quando le autorità lo ordinavano (MATTIOLI O. et al.).

Le cacce o corse vedevano invece i più ardimentosi accompagnare i bovini al macello correndo per le vie del paese ed erano quindi simili al Encierro di Pamplona, mentre le

Eurocarni, 2/23 112 STORIA E CULTURA
Aristide Naccari, sferisterio di Macerata in costruzione (fonte: Catalogo generale dei Beni Culturali).

giostre, comparse intorno al 1820, vedevano l’intervento di professionisti, i giostratori, che si esibivano in acrobazie e in atti di coraggio, come quello di staccare una moneta o una coccarda incollata sulla fronte del bovino. A volte le giostre seguivano direttamente gli steccati.

In una circolare del 1796, emessa a Tolentino in occasione di un’epizoozia bovina, si proibiva lo steccato, che comportava l’introduzione di bestiame dai paesi vicini, mentre si consentiva la caccia, in quanto eseguita con bestiame locale (MATTIOLI O. et al.).

I comuni invitavano a seguire lo steccato gli abitanti dei paesi vicini, che ricambiavano l’invito quando organizzavano un evento analogo (VANNICOLA M.), specie se lo spettacolo prevedeva la partecipazione di cani particolarmente bravi (ANSELMI S., 1966). Si verificavano però scontri con armi da taglio e bastoni tra sostenitori di diverse fazioni, di solito provenienti da paesi diversi, anche con esiti drammatici. Spesso anche gli spettatori scendevano nell’arena per esibirsi e dimostrare il proprio coraggio.

I premi erano in denaro, per i buoi e i cani vincitori, mentre a Tolentino veniva anche assegnato un “quadro”, detto anche “pallio”, uno stendardo di stoffa dipinta montato su un’asta munita di pomelli di legno assegnato anche al vincitore della “carriera dei berberi”, la corsa dei cavalli senza fantino.

Nel periodo della restaurazione post napoleonica ad Ancona i premi erano di sei scudi per i cani, diecidodici per i buoi o i tori, con punte di trenta scudi per i cani che avessero fermato tori particolarmente combattivi.

I cani erano squalificati se mordevano il bovino in punti diversi dall’orecchio, ed erano previste pene pecuniarie e anche l’arresto per chi avesse aizzato i cani “per assaggio” contro i bovini prima della giostra, per chi avesse infastidito i bovini condotti al macello dopo la giostra, per chi fosse entrato nell’arena durante lo spettacolo e per chi avesse cercato di manipolare il

Lo Sferisterio di Macerata è un teatro all’aperto situato nel centro storico della città. Un’arena semicircolare originariamente destinata al gioco del pallone a bracciale, sede di diversi festival culturali. Ha una capienza massima di circa 2.500 posti (fino a 3.000, includendo la balconata) e dal 1967 è noto per la stagione lirica estiva.

sorteggio con cui si accoppiavano i contendenti.

Spesso i proprietari dei bovini appuntivano illecitamente le corna degli animali per renderle più letali. La responsabilità del buon esito dello steccato era affidata ad uno specialista, munito di patente dell’autorità, al cui servizio si poneva la polizia (ANSELMI S., 1966, MATTIOLI O. et al.). Erano frequenti le liti tra i compratori degli animali destinati al mercato delle carni, costretti a prestarli per gli steccati, e i falegnami che costruivano gli steccati e riscuotevano il prezzo del biglietto (ANSELMI S., 1966).

Divieti (o tentati divieti)

Le autorità napoleoniche, che ebbero il controllo delle Marche dal 1797 e il 1815, sostituendo l’autorità pontificia con la repubblica, cercarono invano di opporsi al fenomeno, non tollerabile da “una legislazione amica della naturale”, ma anche per le frequenti turbative dell’ordine pubblico.

Il 15 giugno 1811 il Prefetto del dipartimento del Metauro, con capoluogo Ancona, nel concedere malvolentieri l’autorizzazione a un maggior numero di cacce, e revocando un divieto del 1809, si

lamentava in una circolare del fatto che gli venivano opposti statuti tradizionali locali, che prevedevano da tempo le cacce, con relative cariche “di Custodi e Giudici”, anche se era persuaso “che nulla ha a che fare col buon spirito del secolo la morsicatura de’ cani e de’ bovi in una specie di palestra per gli abitanti giocondissima” (FIORANI C.). Inoltre, “in due Comuni molta gioventù, e molti vecchi del bassopopolo mi hanno esposto con leale mossa di espressioni che si amerebbe piuttosto l’aumento delle tasse personali, anziché rinunciare all’allegrezza delle ripetute cacce”, e la limitazione delle giostre “duole persino a coltissime persone, a leggiadre signore ed a vivaci fanciulli” (FIORANI C.).

Il 18 febbraio 1814 che “Quantunque li steccati sieno un avanzo di quel remoto barbarismo a cui i cuori Italici poco volentieri si adattano, pure quando ella creda, che possa assolutamente recare disgusto lo vietarne il permesso, ne assecondi le istanze” e in seguito le autorizzava “per una sol volta nel corrente carnevale” (VANNICOLA M.).

La restaurazione del governo pontificio, nel 1815, riportò alla legalità le tauromachie. Secondo ANSELMI S. (1966) nelle Marche le cacce proseguirono fino al settembre 1860, dopo di che cessarono in quanto

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In alto: raffigurazione di una “caccia al bove”, dipinto del ‘600 (fonte: unduetreserra.wordpress.com). In basso: medaglia destinata come premio al vincitore nella giostra dell’11 giugno 1811 di Osimo (fonte: Catalogo generale dei Beni Culturali).

inadeguate alla nuova aria di unità nazionale, o anche soffrendo la concorrenza dello sport del pallone a bracciale. Vediamo alcune notizie relative agli steccati nei centri più importanti della regione.

Ancona e provincia

Ad Ancona, nel rendiconto del Carnevale del 1819, figurano tra l’altro gli indennizzi pagati ai rivenditori di carne per la fornitura dei tori, che si deprezzavano nel prendere parte agli steccati, e c’è la documentazione del pagamento a un falegname per la costruzione di un anfiteatro di legno a più ordini di palchi, per la giostra del carnevale del 1812 e l’organizzazione di cacce settimanali “di molti buoi”. All’epoca

dei divieti napoleonici in città si tenevano steccati clandestini (ANSELMI S., 1966). Nel 1812 fu diffuso ad Ancona un sonetto in lode del bove, per convincere i cittadini ad abbandonare la passione per gli steccati, visti come crudeli profanazioni dell’animale che tirava l’aratro (ANSELMI S., 1966).

A Senigallia nel 1593 si riporta il riconoscimento della carica di Capocaccia; nel 1620 è raccontata l’organizzazione di una “caccia dei doi tori” nel Foro Annonario per divertire il quindicenne Federico Ubaldo della Rovere, futuro duca di Urbino, in visita nel suo Ducato, e nel 1734 e 1735 si sa che si svolgevano cacce, seguite anche dalle autorità locali affacciate alle finestre.

Nella città, secondo un regolamento del 1823, le cacce si svolgevano dal 10 ottobre all’ultimo giorno di Carnevale, fatta eccezione per feste particolari. Lo steccato era chiuso alle 12:00 e la caccia iniziava alle 13:30, i tori erano numerati ed immessi nell’arena in base al numero d’ordine (FIORANI A.).

Per ordine delle autorità i macellai non potevano abbattere i propri bovini durante i periodi delle cacce ed erano obbligati a fornirli per gli steccati, cosa che secondo loro deprezzava l’animale per il calo di peso e il deterioramento della carcassa (FIORANI A.).

Nel 1821-22 una controversia oppose i macellai, il recettore dello scorticatoio (pubblico macello) che doveva applicare il divieto di macellazione, imposto dalla Delegazione Apostolica di Pesaro e il capocaccia, che doveva organizzare spettacoli, e aveva quindi bisogno di molti animali. Fu proprio il capocaccia a soccombere, perdendo il posto (FIORANI A.). Le ultime cacce a Senigallia si tennero tra il 29 aprile e il 6 maggio 1839, in occasione della visita del cardinale Riario Sforza, in un anfiteatro di legno costituito nel Foro annonario della città (FIORANI A.).

A Jesi (AN) la Festa del patrono San Settimio, il 22 settembre, era l’occasione per steccati anche imponenti. La prima festa dopo la fine della repubblica e il ritorno del potere papale vide “un grandioso steccato straordinario con un numero assicurato di più di 30 Buoi da orecchiarsi”, in un anfiteatro ottagonale costruito sulla piazza del teatro (oggi piazza della Repubblica). Al bue più forte erano pagate 25 piastre romane, al cane più valoroso 15 piastre (CINTI V.), mentre per la festa del Patrono del 1832 ci furono “Otto buoi, tre vacche da masseria e un toro” e sei scudi per quel cane “che fermerà il Toro, o vi sosterrà tre stratti come di pratica” (CINTI V.). Comunque anche durante il periodo repubblicano a Jesi si tennero una ventina di cacce tra il 1810 e il 1815 (ANSELMI S., 1966).

L’anno successivo, sempre per San Settimio, nell’anfiteatro costruito per l’occasione nel cortile del

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grande Palazzo Ducale di Leuchtenberg “oltre un sufficiente numero di scelti buoi da orecchiarsi, si esporranno delle Vacche, giovenchi, un Maglione, e delle Bufale delle Masserie di Roma e Viterbo di sperimentata ferocia, che dovranno lottare alternativamente con i rinomati Giostratori di Terni” (CINTI V.). Che Terni fosse la patria dei migliori giostratori risulta da varie fonti, tra le quali il poeta romanesco GIUSEPPE GIOACHINO BELLI, che ne parlò in un sonetto.

La partecipazione agli steccati a Jesi non era limitata al popolo. Molinelli cita un documento anonimo intitolato “Il pellegrino in pellegrinaggio per il contado” databile alla metà del ‘700, che nel suo “Discorso quarto” racconta: “quando il Sabbato si fa la Caccia del Bove, molti Gentiluomini scordandosi del Sangue Nobile, e della Cavalleria, che non hanno mai havuta, corrono e giostrano à piedi intorno al bove, mesticati fra due cento o trè cento Birbi, co’ quali fanno a spinte, e qualche volta anche à capelli. Chi fischia Urrò, Urrò, chi lascia il Cane, chi tiene la fune del bove; Quest’ultimo si chiama il Capocaccia, e come si trattasse di qualche dignità, ben spesso vi è contrasto, se la corda si debba alle Sbirro, al Birbante ò al Gentiluomo. Se il bove è forzuto assai, allora si veggono tutti trè questi Personaggi attaccati insieme alla detta fune”.

Esisteva anche una variante notturna: “Quando poi la caccia si fa di notte a lume di ciancie, e fascine, ch’allora è un più bel vedere li nostri Cavallieri Esini vestiti col Guazzarone di Pulcinella con la sua ciancia accesa in mano, e nell’altra col Campanaccio, far baccano, e unione strettissima colli Garzoni de Macellari, e con altri Lazzari della razza più abbietta della Città; (...)”. E anche il clero era coinvolto: “ho veduto correre dietro al bove, e cascare per terra come stracci nel fangaccio, non solamente li Gentiluomini Secolari, ma anche taluni di essi col Collarino, e col Canonicato”. Contraddicendo l’opinione popolare, a Jesi le autorità sanitarie ritenevano che la carne “riscaldata” dei bovini coinvolti negli steccati fosse dannosa per la salute (CINTI V.).

A Osimo i divieti delle autorità repubblicane furono aggirati prendendo come scusa i festeggiamenti

per la nascita, il 20 marzo 1811, del “Re di Roma”, il figlio di Napoleone. Nell’occasione fu persino coniata una medaglia, destinata come premio al vincitore nella giostra dell’11 giugno 1811, recante da un lato una scritta celebrativa dell’augusta nascita, e dall’altro un toro nell’arena.

A Fabriano fino al 1849 si tenevano giostre e cacce. Le giostre si svolgevano in uno steccato chiuso nella piazza alta (Piazza del Comune), e vedevano uno o più giostratori, vestiti di bianco con berretto e larga fascia rossa in vita e una banderuola rossa in mano, aiutati da mastini, contro un toro o un bue, aizzato dai cani e dalle urla e dai fischi degli spettatori.

I giostratori si esibivano in atti di destrezza, saltando oltre l’animale che caricava, con il mettergli un piede tra le corna e sfruttando la spinta verso l’alto della testa per l’incornata (MARCOALDI O.).

Le cacce invece si tenevano ogni venerdì, cominciando dal giorno di San Tommaso, il 21 dicembre, e fino al giovedì grasso, e vedevano il bovino legato con una fune tra le corna e con un morso, incitato a correre per le vie cittadine dalla folla, che terminava la corsa in piazza bassa (la piazza del mercato, oggi piazza Garibaldi) dove veniva abbattuto. Le bestie erano scelte tra quelle destinate alla macellazione, ed erano esposte accanto alle

macellerie, dato che “nella plebe era opinione esser più salubre la carne di bestia strapazzata”. Comunque, per ragioni igieniche, in tutti i mesi dell’anno c’era l’abitudine di esporre gli animali da abbattere alla vista del pubblico, accanto alle macellerie, dal mattino alle prime ore pomeridiane (MARCOALDI O.).

A Cupramontana , all’epoca chiamata Massaccio, il 20 agosto 1777 si tenne una fiera a Sant’Angelo alla Badia con “uno Steccato con il Toro, ed altre 16 bestie tra buoi e vacche” C’è anche traccia di un pagamento di 15 baiocchi fatto il 31 ottobre 1800 a una tale “per aver alloggiato i Birri in occasione, che sono venuti in questa Terra per il buon ordine dello steccato” (CECCARELLI R.).

A Ostra Vetere, all’epoca chiamata Montenovo, nel ‘700 si organizzavano le cacce in Piazza Grande, oggi Piazza della Libertà, chiusa da uno steccato, dietro il quale il popolo assisteva allo spettacolo, mentre nobili e borghesi se lo godevano dalle finestre dei palazzi circostanti. Una perizia del 1747 sullo stato dei “beni della Comunità”, a seguito di un forte terremoto, evidenzia la necessità di riparare la torre dell’orologio, rovinata dal sisma e dagli agenti atmosferici, ma soprattutto dall’uso di arrampicarvisi sopra, per poi raggiungere il tetto del palazzo comunale adiacente, per vedere lo steccato da posizio-

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Antonio Tempesta, Caccia al toro, acquaforte,1598 (fonte: www.venetostoria.com).

ne dominante. Per questo furono anche murati due dei tre finestroni più bassi, che venivano usati come aiuto per arrampicarsi (MARIANI M., FIORANI A.).

A Montenovo gli steccati si svolgevano anche al Borgo Santa Croce, come il 25 ottobre 1822, con la “caccia con una vacca” in occasione delle nozze di maggiorenti locali, o come il 28 gennaio 1830 con quattordici buoi “tre dei quali sono stati fieri”, ma anche per il Carnevale. Il 28 gennaio 1833 al Teatro comunale Concordia si tenne “La caccia con il bue, e cane” che era però uno spettacolo di burattini, il che testimonia comunque la popolarità dello steccato.

A Serra San Quirico nel 1785 fu proibita la caccia dei tori nelle strade, dove accadevano gravi disgrazie, e fu permessa solo in certe piazze e con apposite norme. È poi riportata la voce che i suoi abitanti, nel ‘700 e ad inizio ‘800: “eran tenuti

in rispetto da tutti i popoli vicini per la riputazione di potenza e prepotenza, che s’eran generalmente acquistata. E questo riguardoso rispetto giungeva fino al punto che, quando nei vicini paesi e città si tenevano caccie di tori, allora in gran credito, si facevano appositi palchi pe’ serrani” (GASPARI D.).

A Barbara, nel giorno di San Martino, l’11 novembre 1824, si festeggiò l’inizio dell’annata agraria con uno spettacolo teatrale, di scarso successo, e con uno steccato, molto più apprezzato dai locali e dai forestieri venuti per l’occasione, con otto bovi, un toro e una vacca di masseria (FIORANI A.).

Provincia di Pesaro e Urbino

A Fano esiste la testimonianza di una caccia ai tori descritta dal grande poeta e scrittore VINCENZO MONTI (1754-1828) in una lettera del 12 gennaio 1822 alla moglie TERESA PICHLER. Monti parla di una giostra

con un toro tanto feroce da sventrare diversi cani che gli erano stati lanciati contro, e tale che nessuno degli spettatori, che di solito scendevano nell’arena per affrontare i tori, ebbe il coraggio di osare. Infine, entrò nell’arena un “villano” che si pose indisturbato davanti all’animale che si lasciò accarezzare, leccando la mano dell’uomo. La folla scoppiò in applausi fragorosi, che si convertirono però in grida minacciose quando qualcuno accusò l’uomo di essere “un mago”, in pratica di avere commercio con il diavolo. Il presidente della giostra ordinò che il poveretto fosse portato via da quattro gendarmi, che lo rinchiusero in carcere, nonostante avesse dato la spiegazione più logica del fatto: era il proprietario del toro, che lo aveva riconosciuto. Secondo Monti il povero contadino era ancora in carcere nonostante le spiegazioni.

A Fano alcuni steccati del 1764 e 1765 innescarono addirittura una disputa teologica sulle distinzioni tra toro e bue, con citazioni dei Padri della Chiesa, tra monsignor Airoldi, governatore della città, e il marchese Gabuccini (ANSELMI S., 1966).

A Fossombrone il 27 maggio 1618, il futuro duca di Urbino Federico Ubaldo della Rovere, allora tredicenne, come già menzionato per Senigallia, era in visita nel suo Ducato, e in suo onore “innanzi al convento di S. Agostino è allestito lo steccato per la caccia del toro e del bue. Segue questa la caccia del tasso” (VERNARECCI A.).

A Sant’Angelo in Vado si tennero steccati fino al settembre 1860 (ANSELMI S., 1966). Un cronista, citato da MATTIOLI O. et al., descrive così una caccia: “quasi ogni sabato, prima di condurre la vaccina al mattatoio, la si legava per le corna a due lunghi canapi, l’estremità dei quali restavano affidate alle braccia di robusti popolani. La bestia veniva quindi spinta alla corsa, lungo le vie più larghe della città, tra i fischi della folla, ma, ad onta delle maggiori precauzioni, le disgrazie anche in questo divertimento non difettavano; vuoi per la inabilità di coloro che regolavano le funi, vuoi per lo spavento di qualche passeggiero”

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Fabriano, Piazza del Comune.

Provincia di Macerata

A Macerata il combattimento si svolgeva in una sede propria, e non in una struttura provvisoria: infatti le giostre erano organizzate nello Sferisterio, stadio nato nel 1829 per il gioco del pallone al bracciale, cantato da GIACOMO LEOPARDI, e che oggi ospita opere liriche e teatrali, ma che fu subito utilizzato per le cacce al toro. Infatti le gradinate erano state progettate con un’elevazione sul piano dell’arena sufficiente a proteggere gli spettatori dai tori, grazie a un muro, nel quale si aprivano (e si aprono tuttora) sedici aperture, che all’epoca servivano a far entrare gli animali, comunicanti con altrettante stalle denominate “carceri del bestiame”. Il toro era aizzato con un bastone con punta di ferro, sul quale era avvolto un drappo rosso, e il giostratore schivava le cariche per rifugiarsi, se necessario, oltre lo steccato dell’arena.

Un gesto molto apprezzato dal pubblico, quando l’animale era sfinito, era quello di attaccare sulla fronte del toro una coccarda e di atterrarlo prendendolo per le corna. Come protezione per i giostratori, invece della botte che si usava nelle Giostre delle Vaccine di Roma, si impiegava una lunga cesta di vimini ricoperta da un drappo rosso, imbottita all’interno in modo che il toro potesse caricarla e farla rotolare senza danno per chi si trovava all’interno. Al termine dello spettacolo l’animale era ucciso e le sue carni erano distribuite al popolo.

Le giostre terminarono con la fine dello Stato pontificio e il passaggio al Regno d’Italia, nel 1860. Le cacce si svolgevano anche per le feste patronali, nei giorni di mercato e in varie festività. Il 7 settembre 1759 in città erano in programma nello stesso giorno uno steccato, seguito soprattutto dal popolo, e una partita di pallone al bracciale, preferito dai nobili. Il Luogotenente generale diede la priorità allo steccato, provocando il ritiro della nobiltà, che assisteva dalla loggia del Comune. Va notato che lo Sferisterio non era ancora stato costruito.

MATTIOLI O. et al. riporta quanto pubblicato dal Diario Maceratese

del 9 settembre 1829. “Giostra come alla notificazione furono dispensati biglietti n. 1209 pari circa a scudi 130. Furono n. 13 bovi, 4 vacche, e due tori, uno da Fabriano, che fu fermato da un cane di Monte Lupone, dopo averne rimandati molti (come suol dirsi) a casa, e questo cane ebbe il premio, quello della Pergola non fu potuto fermare. Quello che levò lo Scudo alla Testa della Vacca fu un tal Zaccagnino, il quale però fu ferito dalla Vacca nella Faccia. Sedici furono i Staccatori de’ cani, tutti vestiti di rosso, quattro de’ quali avevano una bandiera rossa in mano per giostrare con i bovi, e tori, avevano una fascia torchina; i premi per i cani, e bovi furono divisi tra più cani, e bovi, riuscì lo steccato brillante ed i bovi furono di qualità quasi tutti bravi”

Nel Novecento ci furono due “ritorni di fiamma” allo Sferisterio, nel 1913 con la giovane ALBA TIBERIO, figlia dell’impresario ETTORE, come giostratrice, e nel 1923, nel pomeriggio del 2 settembre, festa di san Giuliano, con un pubblico assai numeroso che apprezzò molto lo spettacolo, e in particolare l’ultimo toro, più irrequieto degli altri.

A Tolentino, la documentazione prova che già nel 1575 si organizzavano steccati e il 17 ottobre 1669 un bando del Governatore comandava che nessuno ardisse “caminare, an-

dare ò passeggiare, né fare alcun atto vicino, ò lontano dalle Bestie, delle quali si farà caccia in questa pubblica Piazza, né impedire, ò perturbare quelli, à quali tocca simile attione, per rimuovere ogni accidente, che potesse succedere sotto pena di scudi cento, e di tre tratti di corda da darseli in publico, et altre pene a nostro arbitrio”.

In una delle sale del palazzo Parisani-Bezzi, esiste una rappresentazione pittorica della metà del ‘700, su tela dipinta, a mo’ di arazzo, di una lotta tra tori e cani, con l’intervento di uomini. Il palazzo è noto perché nel 1797 vi fu firmato il trattato di pace fra la Francia di Napoleone e lo Stato Pontificio (MATTIOLI O. et al.).

Gli steccati si svolgevano in occasione delle festività dei due copatroni, San Nicola da Tolentino, il 10 settembre e San Catervo, il 17 ottobre, in piazza Grande (oggi piazza della Libertà), fino al terzo decennio dell’800, e si svolgevano nel pomeriggio, e per un periodo anche di notte, orario poi abolito per motivi di ordine pubblico (MATTIOLI O. et al.).

Anche a Tolentino si organizzarono steccati per festeggiare la nascita del Re di Roma, il 23, 24 e 25 aprile 1811 (MATTIOLI O. et al.). Entro la mattina i proprietari dei

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Il “Bove Finto”, una delle iniziative del Carnevale di Offida che si ripete ciclicamente ogni Venerdì grasso.

cani e dei buoi dovevano iscriverli presso il Comune, dove si creavano gli abbinamenti mediante sorteggio e si iscrivevano anche gli staccatori (MATTIOLI O. et al.). I cani erano presenti in numero doppio rispetto ai tori, per tenere conto delle possibili messe fuori combattimento (MATTIOLI O. et al.).

Nel luglio del 1820 il podestà di Tolentino chiese a un tal Gazzoli di Terni di inviare “un toro bufalino, 3 bufale, 4 giovenchi di natura ferocissima” in quanto aveva saputo che a Terni c’era “un bravo Giostratore, soprannominato Cinicella, col suo compagno” che, insieme ad altri due “giostratori” avrebbe potuto offrire ai tolentinati uno spettacolo diverso. L’introduzione dei bufali, più feroci e difficili da combattere, tendeva infatti ad aumentare il rischio e quindi la spettacolarità del combattimento (MATTIOLI O. et al.).

Provincia di Ascoli Piceno

Per Ascoli Piceno si riporta una caccia fatta nell’ottobre del 1589 in onore di CAMILLA PERETTI, sorella di papa Sisto V, di passaggio in città per

recarsi in pellegrinaggio a Loreto. In seguito il venerdì, in occasione della festa di San Tommaso, si svolgeva per le strade cittadine una corsa dei bovini avviati al macello, contenuti da funi, e circondati da ardimentosi disposti a rischiare una cornata. La carne degli animali così agitati era considerata migliore, in quanto strapazzata, ed era all’origine del proverbio: “San Tomasso al boe dà lo spasso” (MATTIOLI O. et al.).

A Offida le prime testimonianze scritte risalgono all’ultimo ventennio del ‘700. Gli steccati si svolgevano nella Piazza del Popolo e seguivano la cadenza delle macellazioni di una “bestia grossa” a settimana, per evitare sprechi di carne, in un’epoca in cui non esisteva la refrigerazione (VANNICOLA M.).

L’appaltatore del macello pubblico di Offida, o macellaio, aveva anche il compito di organizzare uno steccato a Carnevale, e di “pagare” 60 libbre di sego a beneficio del teatro del Maggi, oggi Teatro del Serpente Aureo, allora in costruzione, in occasione della prima rappresentazione.

Il sego bovino serviva per l’illuminazione, come materia prima per le candele. Al macellaio si assicurava di “venir ben trattato”, con un premio di uno scudo per il bue e di uno scudo e 50 baiocchi per il cane, e nelle autorizzazioni per gli steccati del 1821 e 1827 si parla di palchi per gli spettatori che il “delegato, direttore e capoccia” avrebbe dovuto far costruire e collaudare (VANNICOLA M.).

Per la Repubblica era difficile limitare un “divertimento quasi sempre in uso in questo comune”, e quindi si autorizzò “per una sol volta nel corrente carnevale” il 24 gennaio 1818, e se per lo stesso anno si rifiutò l’autorizzazione a uno steccato “ogni venerdì”, per il 1819 lo si concesse, dal 28 novembre a tutto il carnevale, esclusi i venerdì di avvento, chiarendo che “si eseguirà o nei giorni di Venerdì circa le 22 o nelle mattine dei giorni di Sabato dopo terminate le Sagre Funzioni” con l’obbligo di macellare il bue subito dopo (VANNICOLA M.).

Una nota del 22 gennaio 1819, indirizzata dalla Direzione di Polizia della Delegazione Apostolica

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“Steccato dei tori”, tela dipinta, nel palazzo Parisani Bezzi (dalla mostra “Il volto di una città”, Tolentino tra ‘700 e ‘800)

di Ascoli Piceno al Gonfaloniere di Offida si concedeva una caccia al bue per un solo giorno, il 22 o 23 gennaio, a condizione che l’animale fosse macellato entro due ore dalla caccia e che i carabinieri sorvegliassero l’ordine pubblico (FIORANI C.). L’ultima caccia a Offida si tenne il 14 novembre 1849; il macellaio spiegò al Gonfaloniere: che gli era stato “ordinato di porre a pubblica vista, ed in piazza la bestia da mattarsi, ma che esso non si credeva chiamarsi responsabile, se si verificava, come l’anno scorso, che taluni pigliando la Bestia Bovina abusivamente si faceva la Caccia” (VANNICOLA M.). L’autorità quindi ordinò che le bestie si tenessero solo nel macello, ma questo determinò la fine degli steccati, che anni dopo furono sostituiti con la caccia al “Bove Finto” (“lu bov’ fint”), in voga già dal Carnevale del 1887 e tuttora disputata. Il bove era fatto con una scala a pioli, una coperta (bianca, che richiama il mantello della razza Marchigiana) e una testa di bue dipinta, con tanto di corna. Il bove finto nascondeva persone che lo guidavano a caricare la folla, e in particolare le donne di campagna. Una decina di persone vestite di rosso (oggi in completo bianco, con fascia rossa, detto “guazzarò”), armati di canne con fazzoletto rosso, davano la caccia al bove finto tra urla e fischi, e percuotendo la schiena dell’animale con vesciche gonfie legate a un filo, che emettevano un forte rumore (VANNICOLA M., MATTIOLI O. et al.). Oggi il bove finto viene simbolicamente ucciso all’imbrunire facendogli toccare con le corna sulla colonna del Municipio, che ancora reca l’anello a cui in passato veniva legato il bue vero. Poi viene portato in processione per il paese al suono dell’inno ufficiale del carnevale offidano.

A Ripatransone i Francesi riuscirono ad approfittare di una caccia al toro per riconquistare la città in mano ai briganti di Sciabolone e ad altri insorgenti contro il governo giacobino. I transalpini seppero che il 1o giugno 1799 in paese si organizzava uno steccato, così alle 21:00 fecero irruzione in città (EMILIANI A.), e approfittando dei postumi

dei festeggiamenti, uccisero venti dei ribelli, e presero undici prigionieri, subito fucilati (CRIVELLUCCI A., ANSELMI S., 1967).

Ad Acquaviva Picena il 28 febbraio 1796 un tale CIPRIANO SPAGNOLINI presentò un’offerta “con l’obbligo di fare lo steccato, ad arbitrio del Sig. Capocaccia e che non abbia ad avere alcun pensiere nel chiudere detto steccato”, ossia si offriva di organizzare lo steccato, senza impegnarsi a costruire la palizzata (CRIVELLUCCI A.).

Provincia di Fermo

Nel capoluogo il giorno di Ferragosto si svolgeva, e si svolge tuttora, il Palio delle contrade, con la giostra dell’anello e, in passato, il gioco dei tori.

Bibliografia

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NEGRO R. (2012), Occhio alle corna! (Storia di tori e marchigiani d’altri tempi). Un, due, tre… Serra!!!

PONTICELLI G. (1997), La tradition tauromachique en Italie: du 12o siècle a nos jours , Union des bibliophiles taurins de France, imprimerie Barnier, Nîmes.

VANNICOLA M. (2003), La caccia al bue, Ophis, periodico del Centro Studi “Guglielmo Allevi” di Offida, n. 6, anno 2: 12-13.

VERDONE M. (1980), Lo spettacolo taurino in Italia, in “Storia dell’arte”, diretta da GIULIO CARLO ARGAN, n. 38/40: 457-469 pp.

VERNARECCI A. (1903), Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri, Forni, Bologna, vol. 2.1, pag. 412 (ristampa anastatica 1969).

Siti visitati

• www.larucola.org/2013/06/17/ la-corrida-nello-sferisterio

• catalogo.beniculturali.it/detail/ArchaeologicalProperty/1200569811

Altre fonti

Mostra “Il volto di una città”, Tolentino tra ‘700 e ‘800, Tolentino (MC), 6 aprile – 31 dicembre 2022.

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Mule Variations, Tom Waits Mulo

Chissà a cosa alludeva TOM WAITS intitolando il suo tredicesimo album “Mule Variations”. Probabilmente si riferiva a sé stesso, mentre noi possiamo intendere le “variazioni del mulo” come le differenze tra animali che si assomigliano per quanto diversi. Se l’asino, infatti, è il figlio di altri asini, il mulo nasce dall’incrocio tra un asino stallone e una cavalla e, viceversa, il bardotto nasce da un cavallo e da un’asina.

Fin dall’antichità il consumo della loro carne trova radici lungo tutta l’area mediterranea. ARISTOFANE narra la bontà della pancetta che si poteva trovare nei mercati di Atene, mentre ERODOTO racconta di somari preparati al forno protagonisti dei banchetti più ricchi. Pietanze che uscivano anche dalle cucine di Alessandria d’Egitto come testimoniato da GALENO, critico nei confronti dell’utilizzo della carne

di animali vecchi nella cucina latina, una consuetudine che però si è protratta fino agli anni ‘70 del secolo scorso.

Prima della diffusione di mezzi a motore, gli equidi erano adibiti al tiro, alla sella e al carico, motivo per cui la loro macellazione non avveniva prima dell’esaurimento della loro funzione di mezzo di trasporto o di lavoro, ottenendo così carni con caratteristiche organolettiche e nutrizionali non eccezionali. Il fatto che fossero vendute a prezzi bassi le rendeva però di fatto una delle poche alternative proteiche alla portata delle classi più povere. Oggi vengono macellati animali allevati a questo scopo, le cui carni hanno un contenuto proteico pari o superiore alle bovine, abbinato ad una minore quantità di grassi e una buona digeribilità.

Discretamente fornita di glucidi, la carne ha sapore dolciastro ed è

ricca di tessuto connettivo. Poco calorica, ha colore rosso scuro, quasi violaceo, mentre il grasso, presente in scarse percentuali, tende al giallo. Dal punto di vista nutritivo si avvicina al fegato bovino, contenendo ferro e fosforo. Ad esempio, una porzione di 100 grammi di carne d’asino fornisce 116 kcal e contiene il 3,1% di grassi, il 20,7% di proteine ed è priva di carboidrati. Eccellente se si usano puledri di 13/14 mesi, in quanto la carne rimane più tenera; i tagli che si ricavano sono simili a quelli del bovino. In bistecche con l’osso, fettine, sfilacci, è perfetta per lo spezzatino come alla brace e numerosi sono i salumi che vengono preparati.

I maggiori Paesi produttori di carne d’asino sono Cina, Senegal, Burkina Faso, Mauritania e Spagna, mentre quelli dove è più apprezzata sono la Cina (anche maggiore importatore), l’Italia e parte del

Eurocarni, 2/23 120 SONO 180 GR AMMI LASCIO?

Sudamerica, particolarmente il Messico. Nell’Africa occidentale la carne viene tradizionalmente seccata e affumicata. Oltralpe il consumo è decisamente diminuito dopo il secondo dopoguerra, a parte in Provenza dove è preferita per la confezione di salumi e insaccati tra cui la tipica Salsiccia di Arles

Questo utilizzo della carne lo possiamo trovare nell’Est europeo, dal polacco Salceson all’ungherese Eselwurst fino ad arrivare in Russia. In Italia, oltre al salame, troviamo ricette tipiche come il Tapulon di Borgomanero, il cui nome deriva da una variante locale del verbo piemontese “ciapulè”, che significa tritare, affettare finemente, tagliuzzare. È infatti uno spezzatino finemente tagliato la cui ricetta sarebbe stata creata da tredici pellegrini affamati che, di ritorno da una visita al santuario di San Giulio D’Orta, si sarebbero fermati proprio nel

luogo dell’attuale paese del Novarese. Prossimi ad aver terminato le provviste, avrebbero cucinato il loro asino. Per stemperare la durezza della carne, l’avrebbero sminuzzata finemente e poi cotta a lungo nel vino. Il piacere dato da questo piatto li avrebbe portati a stabilirsi in quel luogo, fondando un villaggio che oggi è, per popolazione in provincia, seconda solo al capoluogo.

Più storicamente questo piatto, in linea con la cucina italiana e come indicavamo sopra, è legato all’utilizzo dell’asino come mezzo di lavoro che, al termine del suo percorso, poteva rappresentare una importante fonte di sostentamento per i propri padroni. Invece nei Paesi anglosassoni risente dello stesso tabù culturale che riguarda la carne di cavallo ed è vietata dalla religione ebraica così come dall’Islam che la proibisce considerando l’asino una risorsa per la comunità.

È da sempre, in ogni epoca e cultura, un simbolo di aiuto e sostegno. Il mulo è stato animale simbolo degli Alpini che lo caricavano di artiglieria, feriti ed equipaggiamento attraversando insieme pianure e salendo montagne. Per questo nel corso degli anni poesie e canzoni gli sono state dedicate.

Ne troviamo anche attraversando l’oceano, fino ad arrivare in California, dove anche uno dei più grandi autori e interpreti della musica del secolo scorso e del presente lo sceglie per dare forma ad uno degli album più importanti che abbia mai realizzato.

È nel titolo, definendo così il mondo che si muove al suo interno, ma è anche protagonista di un brano in particolare. In copertina una foto in bianco e nero di ANTON CORBIJN, dove Waits ha un cappello in mano, non è chiaro se lo abbia appena tolto o se lo stia per mettere… È guardingo mentre si volta verso l’obiettivo, anzi no, è uno spaventapasseri che sembra un uomo e alle sue spalle non si capisce se stia albeggiando o stia arrivando una tempesta.

All’interno di questo sogno che mischia fotografia a pittura, confusi da un artificio così affascinante, ci si desta al sopraggiungere di una percussione industriale, un loop di voce filtrata e poi la batteria, il basso, la chitarra, che entrano nella voce e non si staccano più. È una registrazione di anni prima fatta su nastro da Waits, che sbraita in una stanza d’albergo messicana come un animale selvatico che vuole suonare come una band.

Il bassista dei Primus LES CLAYPOOL e il chitarrista LARRY LALONDE contribuiscono allo scopo scontrandosi tra loro e alzando il mento di Tom che si pavoneggia spavaldo montando una pantomima chiassosa.

In scena l’espressione anglosassone che identifica chi ha successo in un luogo chiuso e lontano, da qui il Giappone, mentre vorrebbe fama vera e universale, specificamente occidentale. La frustrazione di chi si sente importante, ma lo è eventualmente solo per un pubblico lontano, che

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non può far cambiare idea a chi accanto invece lo considera un truffatore.

Finisce il clamore e comincia il blues claudicante di Lowside Of The Road, dove si scende rotolando in un momento di inesorabile disfacimento, uno scenario surreale dove un cavallo frusta il suo fantino, i dadi deridono chi li ha lanciati, Jezebel è nuda con un’ascia.

Proprio mentre il disco minaccia di precipitare nell’oscurità arriva la luce di Hold On, una delle canzoni più empatiche mai scritte da Waits, che nasce da un episodio vissuto durante un viaggio in autobus con la figlia più piccola, Kellesimone, quando videro un uomo ballare senza musica all’angolo di una strada durante un rigido inverno. “Ma è così difficile ballare in quel modo quando fa freddo e non c’è musica”. La frase di Kellesimone diventa metafora di come perseveranza e reciproco aiuto siano necessarie in un rapporto di coppia. Le parole si muovono su un’acustica crepuscolare in cui ogni volta che le cose si fanno davvero buie il ritornello arriva per offrire incoraggiamento e conforto. “Devi resistere”, insiste Waits. “Prendi la mia mano, sono proprio qui”.

Get Behind the Mule è una canzone di istruzioni che mischia storie di personaggi esistiti, lavorare, clapping hands, chitarre affilate come coltelli, armonica e una voce fatta di mille sigarette.

Ci sono diverse ballads dentro queste Variazioni del Mulo, minimali, mosse da un pianoforte e che commuovono come in House Where Nobody Lives, un domicilio abbandonato da tempo dove ci si chiede se avesse contenuto risate, sogni o dolori che uccidevano. Le esperienze all’interno di una casa gli aggiungono significato una volta terminate? Barcollante e felice il protagonista ubriaco e senza fissa dimora di Cold Water è narrato da un blues atavico ed elettrico, che si anima di spiritual, tra corse tra i binari, bibbie lette sotto lampadine da 40 watt, bottiglie di vino comprate con i pochi spiccioli e dormite serene nei campi. Canzoni che vengono dal passato come Pony,

che odora dei sedili dell’auto in cui ha vissuto Waits prima di trovare la sua casa fatta di famiglia e stabilità.

Continua un immaginario di personaggi e situazioni fuori dall’ordinario tra realtà e trasfigurazione, dove alla domanda sull’integrità della sua essenza risponde la chitarra slide di SMOKEY HORMEL.

Il grottesco sospetto di qualcuno che spia, come un vicino cospirazionista che trasforma ordinario bricolage in qualcosa di sinistro e pericoloso è inscenato in What the hell is he building in there?, rumoristico e ansiogeno psicodramma.

La spy story in stile noir di Black Market Baby è una danza lenta e fumosa di hotel in cui la chitarra di MARC RIBOT e il falsetto di Waits sembrano assecondare un epilogo in cui nel tradimento c’è sempre qualcuno che soffre meno.

Sempre nel segno di un blues che declama mentre racconta, ecco la storia di un freak, non attraverso il compatimento ma visto come un viaggio avventuroso nello show business. Picture in a Frame è una storia d’amore in meno di 40 parole, una anomalia del verboso Tom che qui usa dettagli sospesi in un crescendo emotivo che sboccia nei fiati gospel ammuffiti di RALPH CARNEY: è come ritrovarsi in un passato dai toni seppia in cui ci si può sorprendere nel restare uniti nonostante le probabilità.

Registrata en plein air, lo certifica il gallo che canta lungo tutto il brano, Chocolate Jesus canta acustica e armonica, il tempo accennato di tangibili religioni personali. Un saliscendi narrativo che tocca corde intime ma insieme condivise nella commovente Georgia Lee, composta in omaggio ad una tragica storia accaduta due anni prima e fatta di domande senza risposta, seguita da una delirante festa in cui viene cotto un maiale sopra un materasso in Filipino Box Spring Hog. Waits ruggisce mentre sbatte su percussioni metalliche e grida, tra le altre cose, di schiacciare le mosche e incatenare i cani mentre si prepara un improbabile piccata con serpente a sonagli, filigrana di carne tritata, stufato di collo di tacchino.

Un vecchio detto americano dice che non si può portare qualcosa con sé alla fine di tutto e You Can Take It With Me si illude di poterlo contraddire. Ma che importa, in fondo lo si fa vivendo tutto ciò che si è amato e si ama, persone cose e momenti che sono da celebrare, trattando il dolore e il piacere per quello che sono. Lo dice lentamente, accompagnandosi con note di pianoforte che sembrano guidarlo.

Sarebbe perfetta per chiudere il disco, se non fosse che Come On Up To The House si prende giustamente questo diritto. Perché è esortazione per chiunque ad abbandonare l’autocommiserazione e fare quel passo che ti porta fuori ed avere fiducia che qualcuno ti possa accogliere. Uno spiritual dal ritmo pesante e marziale: “Scendi dalla croce / Possiamo usare il legno” È il segno di un cambiamento già espresso nei dischi precedenti, ma qui ribadito.

L’empatia dei suoi primi dischi era diretta tra afflitti e cani sciolti, ora è un custode tanto atipico quanto premuroso. Così il segno di “Mule Variations” è la sintesi inedita fra il Waits scapigliato del periodo chiuso con “Heartattack and Wine” e quello sperimentale iniziato con “Swordfish Trombone”, coinciso con il cambio di etichetta dalla ASYLUM alla ISLAND.

Convivono, in questo disco che inaugura la collaborazione con la ANTI-RECORDS, le due anime di un autore che cammina tra le radici della tradizione americana e quella mitteleuropea, con una voce che è strumento tra gli strumenti ordinari e quelli che ha costruito con materiale da recupero e trovato in discarica.

Certamente elemento distintivo di ogni interprete, in Waits è espressione intensa di cambiamenti viscerali e capacità inimitabile di raccontare cose profondamente concrete, ma affabulando. Una voce che sembra venire dal passato, maltrattata dall’esperienza, artificio tra l’inconsapevole e il destino voluto, arcana e primordiale, concreta che sembra di toccarla.

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ISSN

0394-2910

Periodicità

ensile (12 numeri/anno)

Tiratura

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Data uscita

ntorno al giorno 20-25 del mese precedente

Testi

n lingua Italiana (occasionali estratti in lingua Inglese)

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I Maccheroni di Casanova, ovvero interviste impossibili a uomini illustri

Quando G IACOMO C ASANOVA giunge a Parma, città di suo padre, nel 1749, al locandiere che lo ospita ordina burro, uova, maccheroni, prosciutto e formaggio Parmigiano. Questa storia, soprattutto la citazione dei maccheroni accanto al formaggio e prosciutto, spinge GIOVANNI BALLARINI ad indagare fra libri e documenti, ponendo idealmente delle domande al protagonista. Sarebbe bello poter chiedere direttamente ai protagonisti ciò che la nostra curiosità ci suggerisce... E perché non farlo “realmente ”?

Se l’intervista è una finzione, la storia non è mai approssimativa e i documenti conservano informazioni preziose e ce le restituiscono, se solo sappiamo interrogarli in maniera corretta, dice GIANCARLO GONIZZI nella Premessa del libro I Maccheroni di Casanova. L’intervista, inoltre — reale o immaginata che sia — alla fine è un mezzo per raccontare e far raccontare storie.

L’uomo è capace di inventare, ricordare e raccontare storie e questa capacità, unica nel mondo

animale, connota in maniera specifica la nostra natura.

La narrazione rivela il significato e il senso più profondo di ciò che, altrimenti, resterebbe una sequenza di informazioni disorganiche. Attraverso racconti su alimenti, dialoghi con figure popolari, artigiani capaci, scienziati curiosi e cuochi innovatori, questo libro traccia la mappa di un patrimonio di tradizioni enogastronomiche che può essere giustamente considerato un monumento della nostra civiltà.

Qui la storia cede il passo alla geografia. L’orizzonte è ampio e tocca quasi tutte le regioni d’Italia con le loro carni e salumi e permette di conoscere la preistorica bresaola di Ötzi, l’etrusco Haltva commerciante di prosciutti, il pretoriano Crastino con il suo prosciutto di Parma, Calidio e Fannia con la ventricina, Romulus che vende il prosciutto cotto a Pompei, Filodemo epicureo e la meridiana a forma di prosciutto, il veneto Galla e i porcinari che etichettano i salumi, Benedetto d’Aniane e il lardo che diventa olio, il capitano di ventura Nicolò Piccinino e le sallamine, Napoleone

GIOVANNI BALLARINI

I Maccheroni di Casanova

Interviste impossibili a uomini illustri

Prefazione: GIANCARLO GONIZZI

Collana: Cibo e cucina

Edizioni: Tarka, 2022

224 pp. – € 17,00

Bonaparte che ama il prosciutto, il conte Alessandro Vezzani che produce salami e fegato grasso d’oca, dimostrando che... non esistono interviste impossibili.

Giovanni Ballarini, studioso di scienze gastronomiche e antropologia alimentare, dal 1953 al 2003 ha insegnato presso l’Università degli Studi di Parma della quale è Professore Emerito. Dottore Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Ordre du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi al Bancarella della Cucina 2014. Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie. Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati. Nella sua ricerca scientifica si è interessato di storia, di zooantropologia e di alimentazione dell’uomo, con particolare attenzione agli aspetti antropologici. In quest’ultimo settore, anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, negli ultimi decenni, ha pubblicato articoli e oltre cinquanta libri di antropologia alimentare. Ha svolto e mantiene un’intensa attività di divulgazione, collaborando con quotidiani a livello nazionale e partecipando a trasmissioni televisive.

Eurocarni, 2/23 126 LIBRI

Massimo Spigaroli, una mia idea di cucina gastrofluviale

Editore: Multiverso, 2022

224 pp. – € 52,00

Il racconto del salame dalle grotte lucane e le capanne longobarde agli ambienti climatizzati

Editore: Bellavite

ISBN: 8875114072

416 pp. – € 28,00

RICHARD

Il dizionario dei sapori giapponesi Ingredienti, piatti, cultura

Editore: Gribaudo, 2022

Collana: Sapori e fantasia

224 pp. – € 22,00

Una storia iniziata più di cent’anni fa, il recupero di un vecchio castello e tante ricette sono solo alcuni dei temi affrontati nel volume che racconta vita e cucina di MASSIMO SPIGAROLI, noto in tutto il mondo per i suoi culatelli. Lo scritto è diviso in due parti. La prima racconta la storia della famiglia Spigaroli, la nascita dell’Antica Corte Pallavicina, dei prodotti della Bassa, di come Massimo, assieme ad altri, abbia creato il Consorzio di tutela del Culatello di Zibello DOP, della stella Michelin, degli allievi formatisi presso la sua cucina… La seconda parte riporta invece le ricette che hanno reso grande Massimo Spigaroli, quelle che si rifanno agli insegnamenti ricevuti da ragazzo, quando, tornato a casa da scuola, aiutava zia Emilia in cucina, fino a quelle che raccontano l’amore di un cuoco/produttore per il proprio territorio unito all’esperienza proveniente dai viaggi in giro per l’Europa, presso le cucine dei migliori chef. Massimo Spigaroli spiega esaurientemente questo percorso, inserendo in ogni pagina qualche curiosità riferita a questo o quel piatto.

Dopo 15 anni di Campionato Italiano del Salame, per anni con il patrocinio del MIPAAF, l’Accademia delle 5T ha deciso di pubblicare tutto ciò che giurati, produttori, studenti e consumatori hanno imparato e costruito golosamente insieme: è nato così Fette di Bontà, 416 pagine di racconto del salame, non solo una guida. Ecco 100+1 produttori, la loro storia e i loro salami — ne sono descritti e mostrati più di 300 —, ognuno nato da un territorio con la sua storia, da maiali (o pecore o oche…) che hanno vissuto bene, dall’abilità atavica di artigiani che hanno un profondo rispetto per il loro territorio, per gli equilibri e soprattutto i tempi della natura. Al suo interno c’è tutto quello che è utile e soprattutto divertente sapere sulla storia, la tecnologia, il mito, la gastronomia del salame e di “pane e salame”, il binomio della memoria. Per ordini: info@accademia5t.it

Così lontana e così vicina. La cucina nipponica, coi suoi sapori che ci ricordano qualcosa di familiare e di insolito allo stesso tempo, per molti resta un punto di domanda, nonostante sia sempre più presente nei menu dei ristoranti, sugli scaffali dei supermercati, perfino nei bar o nei fast food. Questo dizionario costituisce un vero e proprio tesoro culturale e gastronomico, dedicato a chiunque sia interessato alla cucina giapponese, da quelli che l’avvicinano per la prima volta a quelli che l’hanno fraintesa per anni o che vogliono approfondire le loro conoscenze. Finalmente un libro che ne chiarisce i misteri, ne spiega le sfumature, rivelando finalmente tutta la bellezza e la complessità del cibo giapponese

Eurocarni, 2/23 127
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