Eurocarni 4-2016

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EUROCARNI

Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXI N. 4 • Aprile 2016

€ 5,42

LA GRANDA: cultura e innovazione dall’allevamento al piatto

Pastrami, il panino che mancava Retail marketing in Spagna Carne di coniglio




Dal 1950, il meglio dal mondo La BERVINI PRIMO nasce nel 1950 da una tradizione famigliare come bottega per la lavorazione delle carni. Proseguendo nella propria crescita in termini di qualità e servizio alla clientela, crea le condizioni per estendere la propria offerta inserendosi nel mercato sia nazionale che internazionale come azienda di importazione, lavorazione e vendita di carni refrigerate e congelate di diverse specie animali consolidandosi negli anni. Da anni offriamo carni porzionate e confezionate skin pack e recentemente offriamo la linea gourmet di bistecche, macinati e “hamburger” con carni provenienti dal mondo. Importatrice e distributrice anche di altri prodotti congelati, quali articoli ittici e verdure surgelate, oggi l’azienda è in grado di fornire una ricca, diversificata e qualificata offerta di prodotti e un servizio accurato al mercato del catering e retail in Italia come all’estero.


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4/16 Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl

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EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali

EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.eurocarni-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985

Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi

Tariffe abbonamenti Annuale (12 numeri): Italia € 65,00 – Estero € 85,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Comitato di redazione Gianni Mozzoni (Legacoop) – Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Redazione Bruxelles Jean-Luc Meriaux: UECBV, rue de la Loi, 81/A Box 9 B 1040 Bruxelles, Belgio Tel. +32 2 230 4603 – Fax +32 2 230 9400 E-mail: uecbv@scarlet.be Redazione New York Stefano Spadoni 1732 1st Ave #27220 – New York, NY 10128 Tel. +1 212 956-8566 E-mail: Stefanony@stefanospadoni.com

Veniteci a trovare a iMEAT: 10-11 aprile 2016 Vi aspettiamo!

Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Prof. Fausto Cantarelli – Prof. Carlo Cantoni – Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini – Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi – Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata – Prof. Sergio Ventura Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.

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EUROCARNI La prima rivista veramente europea

In questo numero: Agenda

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Immagini

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Naturalmente carnivoro

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Slalom

Manovra correttiva in agguato

Cosimo Sorrentino

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L’assenza dell’Unione Europea nella politica internazionale

Sergio Ventura

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La carne in rete

Social meat

Elena Benedetti

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Aziende

Pastrami, l’ultima frontiera del panino con la carne

Gaia Borghi

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In Piemonte, dove agricoltura e zootecnia fanno rima con cultura

Elena Benedetti

30

Dire, fare, finanziare

Elena Benedetti

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Interviste

Compassion in World Farming, quando il benessere animale viene prima di tutto

Anna Mossini

40

Retail marketing

Metti un giorno a Madrid

Salvo Garipoli

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Rapporto Coop 2015, si vede la luce in fondo al tunnel

Sebastiano Corona

Indagini

Tendenze

Zootecnia

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50 58

Dop e Igp, un patrimonio da 13,4 miliardi Produzione di carne bovina in Toscana

A. Lombardo et al.

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Hamburger vegetariani: agropirateria o imbroglio commerciale?

Giovanni Ballarini

70

La migrazione dei Millennial e il panorama retail

Ombretta Capodaglio 76

Mangiare insetti: tanti i vantaggi, diversi gli aspetti da approfondire

Giulia Mauri

80

A tavola con le carni bianche

Valeria Salucci

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Le nuove tecnologie per l’allevamento dei suini

Giulia Mauri

85

Fattori e costi produttivi

Fortunato Tirelli

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Benessere animale

Il dolore negli animali: nuovi metodi di valutazione

Nutrizione

Consumare carne e salumi nel modo giusto

La carne in tavola

Il coniglio, una carne sana, tenera e gustosa

Clara Scaglioni

100

Quel “caratterino” della lepre

Giorgia Fieni

104

Macellerie d’Italia

Nico & Simo, la carne equina conquista il mercato di Asti

Riccardo Lagorio

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Meat blogger

Quote rosa in macelleria

Antonio Laganga

110

Fiere

Cibus 2016, Parma al centro dell’agroalimentare di qualità

114

Fiera Milano: come conquistare in 10 mosse il cliente di domani

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Giulia Mauri

92 96

Week-end

Le rane di San Ponso

Josette Baverez Blanco 122

La pagina scientifica

La “top ten” dei parassiti d’origine alimentare

Emanuele Guidi

Tecnologie

Con il CSB-System verso la Smart Meat Factory: incontriamoci a IFFA!

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Atlantis-Pak: budelli plastici permeabili

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Testo AG rivoluziona la gestione delle procedure HACCP

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Sicurezza alimentare

Relazione 2015 sul Sistema di allerta europeo RASFF

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Statistiche

Importazioni italiane di suini vivi

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In copertina: macinato di carne suina e bovina.

All articles are available in English in abstract format at our website www.eurocarni-online.com 8

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AGENDA Torino Vi segnaliamo Regine & Re di Cuochi, mostra tematica sull’eccellenza dell’alta cucina fra cibo e vino, un programma di iniziative multidisciplinari e di eventi per favorire il dialogo fra diversi mondi di creazione artistica. Dal 16 marzo al 5 giugno alla Palazzina di Caccia di Stupinigi (Nichelino-Torino) la prima e unica tappa italiana. Il progetto andrà successivamente all’estero, a Shanghai, Mosca, Dubai, San Paolo, Chicago e Seul. La mostra è organizzata in 4 sezioni e si sviluppa su circa 2.000 m2. Una sezione è dedicata alla cultura del cibo, alla varietà e qualità dei prodotti agroalimentari ed enogastronomici italiani e alla storia della cucina del nostro Paese, necessaria e indispensabile premessa per la filosofia dell’esposizione. Il corpus centrale della mostra è dedicato ad alcuni grandi cuochi moderni e contemporanei (indicativamente dal 1960 ad oggi), scelti fra i più significativi protagonisti dell’evoluzione da cucina di trattoria a cucina d’avanguardia. Gli obiettivi del progetto sono tanti: innanzitutto, promuovere la cultura della cucina italiana e del vino del nostro Paese attraverso un nutrito gruppo di grandi cuochi che ben rappresenta il meglio del made in Italy e sottolineare il valore e ruolo “sociale” del grande cuoco e delle sue responsabilità nel custodire la storia e la tradizione, valorizzare prodotti, filiere e territori, divulgare l’identità culturale e rappresentare l’avanguardia e l’innovazione del nostro Paese (in basso, il Big Max di Massimiliano Alajmo realizzato con pane, hamburger da 150 grammi di macinato di manzo e maiale, lattuga, scamorza, cipolla stufata all’aceto balsamico, patate fritte in olio extravergine di oliva e ketchup fatto in casa; photo © Bob Noto). www.regineredicuochi.com

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Modena Negli ultimi anni il negozio di macelleria ha subito una forte evoluzione che ha portato metodologie innovative sia da un punto di vista tecnico che propositivo. Da questa analisi nasce iMEAT, il progetto fieristico dedicato esclusivamente alle macellerie sviluppato da LUCA CODATO di Ecod, che quest’anno è giunto alla 4a edizione. La manifestazione sarà in calendario nei giorni 10 e 11 aprile, all’interno del quartiere di Modena Fiere, a pochi passi dal casello autostradale di Modena Nord. iMEAT mette in relazione i macellai italiani con i fornitori di tutte le merceologie dedicate in quanto unico evento nazionale business to business. Con i corsi formativi accessibili all’interno dell’evento questo appuntamento costituisce anche un momento di approfondimento di varie tematiche e di aggiornamento su una serie di problematiche che guardano alla macelleria del futuro. www.imeat.it

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Spinea (VE) Fondata da un poker di super macellai del calibro di DANIELE BIASSONI, GIORGIO PELLEGRINI, MORENO FAVARETTO e ROBERTO PAPOTTI, l’Accademia della Carne apre le porte del retrobottega e prende per mano i clienti della macelleria. L’obiettivo? Scoprire tagli diversi ed imparare a conoscere nuove cotture e preparazioni. Lunedì 18 aprile si svolgerà a Spinea (VE) un corso dell’Accademia presso l’area di formazione e catering Sale e Pepe Group. Nella Sala Master, dalle 19:30 alle 22:30 avrà luogo un corso che affronterà, in modo specifico e approfondito, le tecniche di scelta, taglio e lavorazione delle carni bovine, equine, suine e del pollame. Particolare attenzione verrà riservata alle tecniche di lavorazione dei singoli pezzi, ai metodi di disosso e porzionamento. Nelle tre ore di corso si impareranno a conoscere le carni, i tagli più adatti per le diverse preparazioni, la tecnica di lavorazione e il tipo di cottura per valorizzarli al meglio. Il costo è di 49 euro, comprensivo di tutto il materiale didattico e attestato di partecipazione finale. Per iscrizioni: corsi@saleepepe.it www.accademiadellacarne.it www.saleepepe.it

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Eindhoven, Olanda In Europa si stimano 50 milioni di consumatori di prodotti alimentari halal (fonte: HOGIAF). Per cogliere opportunità di business e seguire da vicino questo mercato c’è Halal Expo Europe, giunta alla sua seconda edizione. L’appuntamento è a Beursgebouw Eindhoven, il 17 e 18 aprile. Saranno un centinaio gli espositivo dei settori food, cosmetica e finanza. Sono previsti visitatori da una ventina di Paesi esteri, tra cui Turchia, Germania, Malesia, Belgio, Arabia Saudita, USA, Francia, Egitto, Marocco (a sinistra, pyta gyros con patate; © Terry Davis, www.photomining.com). www.halalexpoeurope.eu

Barcellona, Spagna Dal 25 al 28 aprile Alimentaria festeggerà il suo 40o compleanno presso il centro espositivo Gran Vía della fiera di Barcellona. La manifestazione sarà strutturata in 6 padiglioni tematici: l’area internazionale e dei cibi salutistici, il multiprodotto con lo spazio dedicato all’agroalimentare spagnolo, Intervin con vino, olio e una selezione di cibi del Mediterraneo, Interlact con la presenza de caseifici, Intercarn, l’area della carne e dei prodotti a base di proteine animale e Restaurama per i produttori del canale HORECA, dove si trova anche l’area dedicata alla cucina d’autore, Alimentaria Experience. Qui si succederanno ai fuochi chef del calibro di Joan Roca e Ángel León. Non mancheranno le nuove leve della cucina iberica, per un totale di oltre 40 chef che prenderanno parte a cooking show, workshop e dimostrazioni. www.alimentaria-bcn.com

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IMMAGINI

Raggiungere quasi DUE MILIONI di visualizzazioni su YouTube spiegando la filiera della carne in modo efficace e diretto, smontando al contempo le bufale che circolano sul web e che tanto danneggiano mercato, produttori e consumatori? SI PUÒ FARE!!! Ci è riuscito questo ragazzo di Londra di ventiquattro anni, il vlogger Doug Armstrong. Ce lo racconta Elena Benedetti a pagina 25 (photo © www.flipsidetalent.com).

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Il meglio della

C A R N E D I V I T EOLl a Ln d eO se La carne bianca di vitello è un alimento straordinario: ricca di proteine e amminoacidi, facilmente digeribile, povera di grassi e con un alto contenuto di ferro. Cosa volete di più? C’è di più!! La carne di vitello ha anche un gusto raffinato e duttilità nella cottura: questo la rende protagonista della storia gastronomica italiana. Non a caso il vitello è tra le carni più presenti nei Menu dei grandi Chef in Italia. Una cena in primavera con gli amici? Le polpettine di vitello sono perfette: lo street food all’italiana. Trovate la ricetta dello Chef Stefano De Gregorio insieme a tante altre su www.carnedivitello.it. La sicurezza al primo posto. Safety Guard è il sistema di qualità integrato del VanDrie Group che garantisce la sicurezza dell’alimento e il benessere degli animali lungo tutta la filiera produttiva.Safety Guard si occupa anche dell’utilizzo responsabile di antibiotici e della gestione ambientale. www.vandriegroup.com

La carne di vitello con una percentuale di grasso inferiore al 5% ha la seguente composizione media per 100 grammi: 104 kcal, 439 kJ, 22,1 g di proteine e 1,7 g di grassi. (fonte RIVM - NEVO).

“LE POLPETTE” interpretata da Chef Stefano De Gregorio

Ricetta

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Il filosofo greco Archelao era convinto che, nutrendosene per una settimana, si diventasse molto belli, ma Marziale conosceva una donna brutta che poteva testimoniare il contrario. I medici medievali la consideravano un rimedio contro l’insonnia mentre quelli rinascimentali contro la dissenteria e per guarire occhi e gengive. Giorgia Fieni ci svela i segreti della carne di lepre a pagina 104 (in alto, sella di lepre cotta al burro e brandy, cugnĂ e barbabietola presentata dallo chef Enrico Crippa a IdentitĂ Milano 2008; photo Š M. Tabozzi).

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NATURALMENTE CARNIVORO

Paolo Parisi, “allevatore eretico”, con il figlio Filippo e Gherardo “Barù” Gaetani: sono i nostri Naturalmente carnivori di aprile. Li abbiamo incontrati ad Identità Milano 2016, svoltasi al MiCo dal 6 all’8 marzo scorsi. Con loro abbiamo parlato di carne, quella buona, razze, ma sono davvero così importanti?, alimentazione degli animali, erba, marezzatura, dry-aging, allevamenti e libertà. Libertà di scegliere, di portare avanti con determinazione le proprie idee, i progetti, i sogni… Ma anche di grigliate in compagnia, cucina e vino. Un’edizione, quella del congresso ideato e curato dal giornalista Paolo Marchi, dedicata proprio alla “Forza della Libertà”, intesa come libera creatività e libera convivialità. L’articolo di Gaia Borghi lo leggerete sul prossimo numero di Eurocarni (photo © Elena Benedetti).

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SLALOM

Manovra correttiva in agguato di Cosimo Sorrentino

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rima dei nuovi dati aggiornati e resi noti nel mese di febbraio, anche se una moderata euforia era stata manifestata da quasi tutti gli osservatori, il Prodotto Interno Lordo italiano nel 2015 è tornato effettivamente a crescere, per la prima volta, dopo un periodo di tre anni. L’incremento del PIL, a conti fatti, è stato però pari solo allo 0,7%, se non addirittura allo 0,6%, se si considera che lo scorso anno le giornate lavorative sono state tre in più rispetto al 2014. Detto incremento, se pur da apprezzare, risulta dunque essere inferiore alla stima del nostro Governo (0,9%) inserita nel Documento di economia e fi-

nanza, nonché della Commissione UE che aveva indicato, in precedenza, lo 0,8%. Alla luce di tali risultati è ricominciato il pessimismo generalizzato, poiché si è nuovamente vaticinata incertezza sulle prospettive di ripresa per il corrente anno, anche tenendo presente la situazione nel resto della zona euro e dell’intera Unione Europea, dove il confronto non appare certamente positivo, poiché Eurolandia cresce oltre il doppio dell’Italia (1,5%) e l’intera UE a ventotto membri cresce dell’1,8%. Per avere maggiori elementi di valutazione della situazione che potrebbe verificarsi quest’anno,

è opportuno dettagliare le ragioni che hanno frenato la nostra crescita rispetto alle previsioni della vigilia: i dati, diffusi dalla nostra ISTAT, dimostrano che, nel periodo compreso tra ottobre e dicembre, il PIL è salito di uno stentato 0,1%, dopo il +0,2% del trimestre precedente, e del +1% nei confronti del quarto trimestre del 2014. Nello stesso quarto trimestre del 2015 il PIL è invece aumentato, in termini congiunturali, dello 0,2% negli Stati Uniti ed in Francia e dello 0,5% nel Regno Unito. Su base annua il progresso è stato dell’1,9% in Gran Bretagna, dell’1,8% negli Stati Uniti e dell’1,3% in Francia.

Nell’aggiornamento del World Economic Outlook, il Fondo Monetario Internazionale ha confermato le stime di crescita per l’Italia del +1,3% nel 2016 e del +1,2% nel 2017. Il PIL italiano è cresciuto dello 0,8% nel 2015 (photo © www.finanzaonline.com).

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Dai dati citati per il nostro Paese, in particolare quelli riguardanti l’ultima parte dello scorso anno, si potrebbe convenire che la situazione è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto nel comparto dell’industria e di aumenti in quelli dell’agricoltura e dei servizi. In aggiunta, va considerato il contributo negativo della domanda interna, compensato però, in parte, dalla componente estera. Nell’analisi finora effettuata abbiamo tenuto a parte la Germania, la quale rappresenta sempre l’elemento più importante e che merita maggiore approfondimento: la sua situazione è infatti diametralmente opposta poiché, nello stesso periodo sopra indicato, il Paese ha fatto registrare un aumento dello 0,3% e dell’1,3% su base annua. Una crescita positiva, anche se meno solida rispetto alle previsioni, e che rappresenta pur sempre un’attesa del 2% circa di quest’anno, dopo che la nazione si è dovuta confrontare nel 2015 con la diminuzione dell’export, rivelatosi non più il tradizionale motore di crescita, anche se contenuta, in parte, da una discreta domanda interna. Per l’Italia la stima ufficiale del governo è di una crescita dell’1,6% nel 2016, mentre più prudente è la Commissione europea, la quale, nelle previsioni invernali, ha ipotizzato un +1,4%. Secondo molti analisti queste attese risultano troppo ottimistiche e perciò appare più probabile una crescita dell’1,2% o anche qualcosa in meno e la frenata del PIL renderebbe ancora più arduo, per l’Italia, lo spazio di manovra sui conti pubblici. Il Governo ha finora puntato a ottenere sconti sul deficit, condensati nelle clausole su riforme, investimenti e migranti, pari allo 0,6%, cioè quasi dieci miliardi di euro, ma con un’economia ancora debole, in un panorama finanziario internazionale turbolento, pone una seria ipoteca sul via libera da parte della UE. La preoccupazione maggiore che può intervenire è che se al modesto incremento del nostro PIL si aggiungesse il dato sulla economia cinese in rallentamento, quello ne-

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gli USA, ultimamente in difficoltà, e le tempeste sui mercati finanziari, termometri sensibili delle aspettative non certo positive, il quadro si complicherebbe e potrebbe essere inevitabile una revisione degli obiettivi di bilancio, compresa la necessità di una manovra correttiva. Tanto più se, fra qualche mese, si dovesse verificare che anche la crescita programmata per il 2016 fosse inferiore alle aspettative del governo. Aggiungasi a quanto detto sopra che, negli ultimi giorni di febbraio, anche l’OCSE ha dato un taglio netto alla crescita del 2016 per l’Italia, per la quale viene ipotizzato che il nostro PIL salirà solo dell’1% e perciò l’aumento sarà inferiore dello 0,4% rispetto a quanto previsto a novembre 2015. Il che mette una pesante ipoteca sulla politica economica futura, tanto più perché, avendo il governo fatto ricorso alla filosofia della flessibilità, la ridotta crescita potrebbe comportare il rischio concreto di una manovra correttiva. Preoccupa anche l’incertezza della ripresa globale alla luce degli ultimi dati OCSE, secondo i quali si avrà una crescita solo del 3% e non del 3,3% e nella zona euro la Germania farà registrare un modesto +1,3% e non più l’1,8% ipotizzato in precedenza. Per tutti questi motivi l’Italia ha bisogno dell’aiuto del PIL, in mancanza del quale la manovra correttiva non si può escludere. Ci conforta il fatto che il governo ha finora sempre escluso interventi per un aumento delle tasse, mentre ha sottolineato che si potrebbe piuttosto accelerare il taglio della spesa pubblica. Purtroppo, finora tale politica ha avuto fasi alterne per le difficoltà incontrate e le resistenze mostrate a più livelli nel procedere su tale strada. Ci sarà un’inversione di tendenza in proposito? Non ci sentiamo di formulare risposte né in senso positivo né negativo alla luce delle esperienze passate e ci affidiamo alla saggezza dei nostri operatori economici e commerciali per una risposta. Cosimo Sorrentino

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L’assenza dell’Unione Europea nella politica internazionale Gli Stati Membri continuano a privilegiare la collaborazione inter-governativa a detrimento dell’azione comune e l’UE non riesce ad esprimere una visione coerente di politica estera di Sergio Ventura

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ell’ormai lontano 1992 il Trattato di Maastricht ha creato l’Unione Europea (UE) e gettato le basi della Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC), ma soltanto quindici anni dopo, nel 2007, con il Trattato di Lisbona, è stata creata la funzione di Alto rappresentante per gli affari esteri e

la politica di sicurezza, con il relativo Servizio europeo per l’azione esterna. Il periodo di tempo intercorso tra queste due tappe della costruzione europea è sintomatico delle difficoltà che l’UE incontra per affermarsi sulla scena internazionale. Essa non riesce ad esprimere una visione comune e coerente di politica estera.

Questa situazione, già presente prima del Trattato di Maastricht, si è ancora aggravata in seguito agli allargamenti successivi e segnatamente con l’adesione di dieci paesi dell’Europa centrale ed orientale. Oggi la composizione dell’UE presenta, con ventotto Stati Membri, una grande eterogeneità. Gli

La polizia slovena scorta i migranti al campo profughi di Brezice. A metà ottobre 2015 l’Ungheria ha deciso di chiudere tutti i suoi confini, di conseguenza la rotta più agevole per arrivare in Austria e Germania è diventata quella che passa per la Slovenia, creando una situazione nei campi ai limiti della sopportabilità (photo © Jeff J. Mitchell/Getty Images; www.theguardian.com).

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“Molte divergenze nel comportamento degli Stati Membri impediscono all’UE di affermarsi sulla scena internazionale. Esempi di questa assenza sono l’annessione della Crimea alla Russia, le guerre civili in Libia, Siria ed Iraq, la lotta contro il cosiddetto Stato Islamico e il terrorismo”

“La PESC ha raggiunto i suoi limiti: si deve quindi approvare l’iniziativa del Consiglio europeo che ha chiesto all’Alto rappresentante dell’UE per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza di proporre, entro giugno, una strategia globale relativa alla politica estera”

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Stati Membri continuano a privilegiare la collaborazione intergovernativa a detrimento dell’azione comune, sicché la PESC, legata alla regola dell’unanimità, è in pratica inesistente. In realtà una politica estera comune urta con numerose divergenze, interne ed esterne all’UE. Tra le divergenze interne ricordo in primo luogo quella esistente tra i “grandi” (segnatamente la Germania, la Francia e il Regno Unito) e gli altri Stati Membri. Non senza conseguenze è poi, all’interno dei tre “grandi”, l’atteggiamento dei due membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Francia e Regno Unito), gelosi delle loro prerogative, e della “coppia” Francia e Germania, spesso accusata di tendenze egemoniche. Due crisi recenti hanno inoltre messo in evidenza altre divergenze interne. Da un lato, la crisi greca ha diviso gli Stati del Nord e quelli del Sud dell’Europa sull’opportunità di una politica di austerità e di rigore. Dall’altro, la crisi dell’immigrazione di massa ha visto gli Stati dell’Europa centrale ed orientale chiaramente schierati contro la politica di asilo promossa dagli altri Stati Membri. Tutte queste divergenze ostacolano evidentemente una vera e propria politica estera comune e addirittura, nel caso delle crisi dell’immigrazione, mettono in pericolo la libera circolazione delle persone all’interno dello “spazio” Schengen1. A queste divergenze interne si aggiungono molte divergenze “esterne”, poiché numerose azioni sul piano internazionale sono state e sono tuttora condotte soltanto da taluni Stati Membri. Si può citare, in proposito, il c.d. “vertice di Minsk”, che nel febbraio 2015 ha riunito i dirigenti della Francia e della Germania con quelli della Russia, della Bielorussia e dell’Ucraina per raggiungere un accordo sulla cessazione delle ostilità nel Donbass. Parimenti, soltanto la Germania, la Francia e il Regno Unito hanno partecipato ai negoziati multilaterali che hanno permesso di concludere l’accordo nucleare iraniano del luglio 2015 2.

Un altro esempio di divergenze esterne è offerto dalla riunione convocata il 25 ottobre 2015 dal presidente della Commissione europea, JEAN-CLAUDE JUNKER, per tentare di disciplinare l’afflusso dei migranti che affrontano la strada dei Balcani per trovare rifugio nell’UE. A questo vertice “sui generis” hanno partecipato solo dieci Stati Membri e tre Paesi Terzi, oltre al presidente del Consiglio europeo, DONALD TUSK, e all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. Infine, come ulteriori esempi di assenza dell’UE in quanto tale sulla scena della politica internazionale, si possono citare l’annessione della Crimea alla Russia, le guerre civili in Libia, Siria ed Iraq, la lotta contro il c.d. Stato Islamico e contro il terrorismo. È evidente che la PESC abbia raggiunto i suoi limiti e sia ormai obsoleta. Si deve quindi approvare l’iniziativa del Consiglio europeo che ha chiesto a FEDERICA MOGHERINI di proporre entro il giugno di quest’anno una strategia globale relativa alla politica estera e di sicurezza. È forse questa l’occasione per appianare le divergenze che impediscono all’UE di essere presente nella politica internazionale. Sergio Ventura Note 1. L’accordo di Schengen, concluso nel 1995 tra cinque Stati Membri e istituzionalizzato nel 1997 con il Trattato di Amsterdam, assicura ai cittadini dei suoi Paesi Membri (attualmente ventiquattro Stati Membri dell’UE e quattro Paesi Terzi) la possibilità di circolare liberamente all’interno delle sue frontiere (il c.d. “spazio” Schengen) senza le formalità richieste normalmente per passare da un paese all’altro. 2. È vero, tuttavia, che in questo caso l’Alto rappresentante dell’UE per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza (Federica Mogherini) ha svolto un ruolo attivo nella fase applicativa dell’accordo, aprendo la strada alla soppressione progressiva delle sanzioni contro l’Iran.

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LA CARNE IN RETE

Social di Elena

2. Meat Suite, gli allevatori in rete 1. Dentro alle celle di maturazione Volete sbirciare dentro alle celle di frollatura del super macellaio e ristoratore belga HENDRIK DIERENDONCK? Basta agganciarsi al suo profilo “dierendonck” su www. instagram.com/dierendonck. Seguirete da vicino la sua attività fatta di lavoro, quotidianità, eventi e amicizie. Bello!

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L’idea di meatsuite.com, il portale che mette in rete gli allevatori e che consente ai visitatori di cercare una fattoria on-line, è venuta alla CORNELL COOPERATIVE EXTENSION. Si tratta di un progetto supportato dal Ministero dell’Agricoltura statunitense, che promuove la catena corta nella filiera delle carni. Al momento sono un centinaio le aziende zootecniche censite che si possono cercare per base geografica, raggio di distanza o tipologia di carne allevata (in basso, un bovino di Heritage Pastures a Tioga, NY, USA; photo © meatsuite.com).

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meat Benedetti

3. Video, per comunicare in modo valido Secondo la società di ricerche di mercato GfK entro il 2019 l’80% di tutto il traffico internet dei consumatori sarà costituito da contenuti video. Quello dei video rappresenta un mercato in grande evoluzione e un’opportunità da cogliere soprattutto per chi deve comunicare con le fasce più giovani dei consumatori. Un esempio? Il vlogger (video + blogger) londinese DOUG ARMSTRONG, classe 1992, si è chiesto da dove vengono gli hamburger di McDonald UK. Per scoprirlo è partito con la sua videocamera ed è andato a visitare prima un allevamento di bovini e poi uno stabilimento di macellazione. Il video ha già registrato 1.900.000 visualizzazioni su YouTube! Ecco il link: goo.gl/voDtlZ (in basso, Doug Armstrong in allevamento; photo © youtube.com).

4. Sicurezza Nutrizionale in cucina Segnaliamo con piacere il portale di ASSIC, l’Associazione per la Sicurezza Nutrizionale in Cucina, accessibile su sicurezzanutrizionale.org. Si tratta della prima associazione scientifica di ambito internazionale che unisce il mondo dei ricercatori del gusto con quello dei ricercatori della salute. Irresistibile è la sezione “Stupidometro” ovvero “il misuratore delle stupidaggini che circolano nell’ambito della sicurezza nutrizionale in cucina”. “Consigliamo il silenzio quando il dire non è sostenuto dalla scienza” scrivono saggiamente i redattori dell’associazione.

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AZIENDE

Pastrami, l’ultima frontiera del panino con la carne Con il pastrami sandwich sarà amore al primo morso. Specialità amatissima negli Stati Uniti, New York in particolare, e in Canada, in Italia è ancora semi sconosciuta. Ne abbiamo parlato con Fabio Bervini, della Bervini Primo di Salvaterra, Reggio Emilia, che lo produce da dieci anni di Gaia Borghi

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tufi del solito hamburger? Semplice, passate al pastrami! Mai sentito nominare? Non c’è molto da stupirsi. Nel nostro Paese, infatti, questa succulenta delizia carnivora è ancora pressoché

sconosciuta. Eppure, girovagando in rete, nell’universo del web, tra un sito e un blog dedicato al cibo e l’altro, da qualche tempo a questa parte si parla spesso di “lui”. Minimo comun denominatore dei com-

menti, il tono entusiastico, quasi si trattasse, dopo il primo assaggio, di una sorta di iniziazione al “panino che mancava”. Se siete nostri lettori, non vi sarà sfuggito l’articolo che gli ha dedicato recentemente NUNZIA

Il pastrami prodotto dalla Bervini (photo © Elena Benedetti).

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MANICARDI (“Il pastrami, perché no?”, in EUROCARNI n. 10/2015, pag. 68), nel quale potete leggerne l’origine — il pastrami nasce dalla necessità di conservare la carne e la lavorazione tradizionale del prodotto è quella tipica delle comunità ebree dell’Europa centrale, Romania soprattutto, anche se ne esistono versioni simili in Turchia, Israele e Siria — le caratteristiche, le modalità produttive e la diffusione. Amatissimo negli Stati Uniti, in particolare nella città di New York, è molto apprezzato anche in Canada, dove la viande fumée (questo è il nome con cui la specialità è nota e diffusa nel Paese) rappresenta addirittura il piatto simbolo del Québec. Tagliato sottile sottile e usato per imbottire una baguette proprio come se fosse un salume o semplicemente “impilato” tra due fette di pane (in America si usa principalmente quello di segale), il pastrami si può mangiare caldo o freddo, in insalata o come ricca guarnizione di un hamburger, ed è ottimo passato velocemente sulla griglia. Se volete provarlo, comunque, non dovrete per forza compiere un lungo viaggio oltreoceano. Da dieci anni lo produce infatti la Bervini Primo di Salvaterra di Casalgrande, Reggio Emilia, importante azienda di importazione e lavorazione di carne e altri prodotti provenienti da diversi Paesi nel mondo. «Il pastrami è un prodotto estremamente versatile» mi dice FABIO BERVINI. «Abbiamo iniziato a produrlo una decina di anni fa, dopo che mio padre lo assaggiò durante un viaggio a Montréal e volle ad ogni costo conoscere la ricetta». Esistono tante versioni del pastrami, molto diverse tra loro in virtù della tipologia di carne utilizzata (dal bovino al tacchino fino al montone e al cammello), del taglio, del mix di spezie usate per insaporire il prodotto. La chef CRISTINA BOWERMAN, ad esempio, ha scelto di ispirarsi alla tradizione romana del quinto quarto, realizzando un panino al pastrami di lingua con giardiniera, salsa al ciauscolo e gelato di senape che è stato

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Il giro del mondo con le carni e i prodotti Bervini La Bervini Primo Srl nasce nel 1950 come azienda di lavorazione sottoprodotti animali e materie prime per l’industria farmaceutica, a carattere familiare. A gestirla sono i coniugi Primo e Maria Bervini. Nel corso degli anni l’azienda cresce e arricchisce costantemente la propria offerta, consolidando il proprio operato in termini di qualità, professionalità e servizio alla clientela. A seguito dell’ingresso dell’attuale presidente, signor Renzo Bervini, si creano le condizioni per un ulteriore allargamento della gamma produttiva aziendale, con la ricerca di eccellenze provenienti dai vari paesi europei, l’America del Sud, l’Australia, il Canada, gli Stati Uniti, l’Asia. Attualmente la Bervini è protagonista sia nel mercato nazionale che in quello internazionale in veste di azienda di importazione, lavorazione e vendita di carni refrigerate e congelate di diverse specie animali, bovino, suino, ovicaprino, equino, selvaggina, ecc…, carni porzionate e confezionate skin pack, bistecche, macinati e hamburger (linea gourmet), prodotti ittici e verdure surgelate, provenienti da vari Paesi del mondo. Accuratezza, serietà e volontà di miglioramento contraddistinguono oggi un’offerta ricca ed estremamente diversificata per il mercato del retail e del catering, in Italia come all’estero. >> Link: www.bervini.com

“panino dell’anno” per la guida STREET FOOD 2013 del GAMBERO ROSSO. Solo punta di petto e la ricetta originale canadese «Noi lo prepariamo seguendo la ricetta originale che si fece dare mio padre in questo storico ristorante canadese» prosegue Fabio. «Utilizziamo cioè soltanto la punta di petto bovina, il brisket». Un taglio, questo, che richiede lunghe cotture e che deve essere necessariamente di qualità elevata affinché il risultato sia un prodotto succulento e gustoso. «Si tratta di carne di manzo selezionata, grain fed» puntualizza Fabio Bervini. «La lavorazione del pastrami avviene nel nostro stabilimento di Ala, vicino a Trento, nel quale produciamo, tra le altre cose, prodotti tipici come la carne salada, il roast beef all’inglese, il maiale affumicato, ecc…». Pink is the colour of passion La punta di petto viene messa in salamoia, aromatizzata con le spe-

zie, affumicata e cotta a vapore. Al termine di queste fasi la carne avrà assunto un colore rosa intenso, oltre ad una notevole morbidezza e ad un profumo e un gusto smoky che evocano terre lontane e stimolano l’appetito. «Prima di metterlo sottovuoto ripuliamo il pastrami dall’eccesso di spezie rimasto sulla superficie, così da renderne il sapore più dolce, delicato, maggiormente confacente ai gusti del consumatore italiano», conclude Fabio Bervini. Cosa state aspettando dunque? Questo nuovo ambito street food lo si può gustare in piedi, passeggiando o, meglio, comodamente seduti ai tavoli di un locale, magari accompagnato da senape e cetriolini, proprio come nella famosa scena del film Harry ti presento Sally in cui Meg Ryan dimostra l’abilità recitativa femminile ad un incredulo e imbarazzato Billy Crystal. E, credetemi, il panino al pastrami vi conquisterà, senza finzioni. Gaia Borghi

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C’è pastrami e pastrami Tra le due versioni più famose e accreditate del pastrami, quella di New York e quella di Montréal, ci sono somiglianze ma anche profonde differenze. Una sfida tra Stati Uniti e Canada che si gioca nelle cucine dei due locali simbolo di questo piatto: Schwartz’s, sul Saint-Laurent Boulevard di Montréal, e il newyorchese Katz’s Deli. PIER PAOLO BOZZANO, sul sito www.america24.com, ne fa una descrizione accurata che qui riportiamo. “La minuscola rosticceria di Montréal è stata aperta nel 1928 da Reuben Schwartz, un ebreo originario della Romania; Katz’s è invece nato per iniziativa di una famiglia di immigrati russi (ma con ricetta rumena) nel 1888, nel Lower East Side di Manhattan. (...) Nella seconda metà del diciannovesimo secolo il flusso di immigrati trapiantò la tradizione millenaria di conservare carne rossa con il fumo nelle due città ebraiche del Nord America, Montréal e New York, dove le ricette si sono evolute in maniera indipendente. Il fumo, con le sue proprietà antibatteriche, e la disidratazione che avviene con la cottura a bassa temperatura, non servono soltanto a conservare la carne ma le danno anche il gusto e la consistenza. Questo tipo di cottura non è una prerogativa dell’Europa centrale, ovviamente, ma va detto che la regione dei Carpazi, la Transilvania e la Bucovina, vantano una sorta di leggendaria supremazia in questo ambito. Anche il taglio della carne è lo stesso, per carne affumicata e pastrami, il “brisket”, cioè la punta di petto. (...) Da qui in poi smoked meat e pastrami prendono due strade diverse. La punta di petto di Schwartz’s viene ricoperta di spezie e sale, la carne trasuda e finisce per marinare in una sorta di salamoia. La punta di petto viene poi ricoperta di pepe macinato e altre spezie e affumicata per un periodo che va dai 10 ai 14 giorni. Almeno questa è la pretesa dei proprietari, che forse esagerano un pochino. La carne, rigorosamente affettata a mano, viene servita in tre varianti: magra, media o grassa, a seconda della parte della punta di petto. La carne ha un colore rubino intenso e un gusto intenso di fumo e spezie (aglio, coriandolo, pepe nero e zucchero, ma è un’ipotesi, la miscela è segretissima). Viene servita con pane di segale, senape e contorno di pickles, cetriolini in salamoia. La versione newyorchese della carne conserva il nome originale: pastrami deriva dall’Yiddish “pastrome” (a sua volta derivato dal turco “pastirma”, pressato, e dall’armeno “bastourma”). La pronuncia passò da pastrama a pastrami in assonanza con l’italiano “salami”. La carne utilizzata per il pastrami è il fiocco, il taglio che segue la punta di petto, ricco di venature di grasso. Gli immigrati rumeni adattarono una ricetta che prevedeva l’utilizzo di petti d’oca. La carne viene marinata in salamoia, ricoperta da una miscela di spezie che includono aglio, coriandolo, pepe nero, chiodi di garofano e semi di mostarda e affumicato per un periodo decisamente inferiore ai 10-14 giorni del fratello canadese. La cottura è completata a vapore, fino a quando il tessuto connettivo che vena la carne non assume una consistenza di gelatina. Ha un colore più chiaro rispetto alla smoked meat e il sapore — per quanto intenso — è più delicato, meno esplosivo e speziato” (photo © ladyandpups.com).

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In Piemonte, dove agricoltura e zootecnia fanno rima con cultura Alla scoperta della carne “buona e giusta” de La Granda, che mette in equilibrio un mondo di Elena Benedetti

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a filiera della carne bovina in Italia è tanto complessa quanto eterogenea per le grandi differenze di tipo produttivo e organizzativo oggi presenti nel nostro Paese. C’è il segmento del

vitello da latte, quello della vacca a fine carriera e poi l’allevamento del vitellone. Si va dalle realtà zootecniche regionali ai ristalli di vitelli francesi, dalle vacche da latte trasformate in carne, alle mezzene e

tagli sottovuoto in arrivo dai macelli esteri. E poi c’è La Granda. Lo scorso febbraio, all’alba di un sabato nebbioso, sono partita insieme all’amico ALDO ZIVIERI dell’omonima macelleria di Monzuno

Il veterinario cuneese Sergio Capaldo, fondatore del Consorzio La Granda, in un allevamento di Piemontese nei pressi di Genola, che conta circa 250 capi tra manze, castrati e riproduttori. A Capaldo va il grande merito di aver creato una filiera zootecnica all’avanguardia, fortemente connessa ai temi della biodiversità e della formazione di contadini e allevatori. «Partendo dalla cura del suolo, passando attraverso un uso ben ragionato della tecnologia e dell’innovazione, si arriva a produrre un cibo funzionale» ricorda Capaldo. «In questo modo siamo riusciti a dare cultura e valore al mondo dell’allevamento e dell’agricoltura».

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Giotto è l’anti-hamburger de La Granda, realizzato con sola carne di manzo Piemontese del presidio Slow Food. In foto una variante, il Ser-Giotto, super burger creato naturalmente in onore del suo super fondatore, Sergio Capaldo! (BO) con destinazione La Granda a Genola, in provincia di Cuneo. Obiettivo del viaggio, andare a trovare SERGIO CAPALDO, il veterinario cuneese artefice e presidente di questa realtà zootecnica che merita un’attenzione particolare. Non solo per i numeri che vanta l’associazione di allevatori che ha all’attivo 25.000 capi di (felici) bovini di razza autoctona Piemontese e un’ottantina di aziende agricole, quanto per la sua visione di un mondo agricolo che riporta al centro l’allevatore e il contadino. Le parole chiave che Capaldo mi ripete mentre visitiamo un allevamento, stivali di gomma ai piedi e bacchetta in mano, tra mansueti e curiosi castrati, riproduttori e manze di Piemontese, sono equili-

brio, biodiversità, tradizione, innovazione e formazione. Ma anche cultura, prati polifiti, erba micorrizata e batteri buoni. Ed empatia, aggiungerei io, quando mi racconta del comportano degli animali in stalla, del loro campo visivo più ridotto che ne condiziona l’approvvigionamento di acqua e mangime, del perché sono abitudinari nel ricercare il loro posto anche dopo lunghi periodi di spostamento e di cosa li rende nervosi, come la voce troppo alta. «Ho lavorato per cinque anni in stalla quando facevo il veterinario a tempo pieno e questo mi è servito per capire gli animali» mi racconta Capaldo, aggiungendo che anche il materiale scientifico della prof. ssa statunitense TEMPLE GRANDIN è stato importante per approfondire

“Oggi La Granda è una realtà che, con i piedi ben piantati in una terra pulita e la testa proiettata in mille progetti, rifornisce di carne tutti gli Eataly del mondo e parecchi ristoranti”

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i temi del benessere animale in allevamento. Sarà il suo marcato pragmatismo cuneese abbinato all’estro delle origini campane da parte di padre ad averlo portato a pensare a un sistema di filiera bovina diverso e innovativo? Forse sì. Di fatto oggi La Granda è una realtà che, con i piedi ben piantati in una terra pulita e la testa proiettata in mille progetti, rifornisce di carne tutti gli Eataly del mondo e parecchi ristoranti. Ripercorriamo insieme alcune di queste parole chiave per comprendere cos’è La Granda a 20 anni dalla sua creazione. Sette sono stati i soci fondatori, tra cui quel giovane Massimo Zivieri, fratello di Aldo, che già allora intravide il futuro della carne bovina nella qualità dell’allevamento autoctono. Prati polifiti e qualità del suolo Gli allevamenti de La Granda sono caratterizzati da vaste aree dedicate al pascolo degli animali. Qui i prati sono polifiti, caratterizzati cioè da un mix di colture foraggiere, gene-

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ralmente graminacee e leguminose, ideali per il ruminare. «La Granda ha sviluppato un progetto ecosimbiotico volto a migliorare la qualità del suolo — mi spiega Capaldo — perché il concetto di benessere

va inquadrato necessariamente in modo globale, abbracciando la salute dell’uomo, quella animale e l’ambiente in cui entrambi crescono». La nuova frontiera di questa carne Piemontese sta nella ricerca

La Piemontese, razza autoctona, vanto della tradizione Già presidio Slow Food, la Piemontese è una razza autoctona tra le più antiche in Italia. Se nel 1985 si contavano oltre 600.000 capi, oggi lo stock si è dimezzato. Secondo la Fondazione Slow Food “si contano attualmente circa 300.000 animali, distribuiti in 15.000 allevamenti: per lo più piccole stalle a conduzione familiare, assolutamente incapaci di reggere la concorrenza dei grandi allevamenti industriali. Eppure la carne di Piemontese è eccezionale, una delle migliori in Italia, unica, con il giusto tenore di grasso intramuscolare che la rende magra, ma particolarmente gustosa, e un tasso di colesterolo estremamente basso”.

La razza bovina Piemontese è un presidio Slow Food e in tal senso è considerata una produzione zootecnica di qualità da salvaguardare, seguendo pratiche tradizionali. Il disciplinare di produzione del presidio è rigoroso: esso esclude OGM, insilati, integratori, soia, tamponanti e prevede un’alimentazione totalmente naturale fatta di fieno, mais, orzo, crusca, favino e pisello proteico.

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effettuata sulle radici delle piante e sui batteri del terreno. «Imparando a concimare la terra senza l’impiego di prodotti chimici, che qua sono banditi da anni, abbiamo notato un miglioramento organolettico della carne» aggiunge il fondatore de La Granda, ricordando gli studi attualmente in corso presso la Facoltà di Agraria di Torino e di Scienze veterinarie a Milano. L’associazione acquista otto diverse varietà di sementi di erba per tutti gli allevatori iscritti, centralizzando la fornitura e garantendo sempre l’approvvigionamento. Linea vacca-vitello e benessere animale «Definendo una linea vacca-vitello abbiamo creato un ciclo nel quale il giovane bovino, vivendo insieme alla madre, non necessita di farmaci a uso umano» mi spiega Capaldo mentre visitiamo l’azienda agricola. Organizzando l’allevamento in questo modo, senza ristalli, gli allevatori hanno investito in una stalla per l’ingrasso. «Eliminando l’effetto asilo nido evitiamo terapie farmacologiche di massa e siamo ben orgogliosi di ricordare che da otto anni non somministriamo antibiotici ai nostri animali». «Il benessere dei nostri manzi è una priorità e tutto è oggetto di attenzione» prosegue il fondatore de La Granda. «Anche il personale che si occupa del trasporto del vivo al macello della Manzo Carni a Rocca De’ Baldi (CN) — distante una ventina di chilometri — è fatto da due ragazzi esperti che sanno come gestire gli animali, con attenzione nei gesti e perfino nei toni di voce, mai alta né concitata per evitare lo stress alle bestie». Prezzo fisso, il giusto equilibrio Gli allevatori associati a La Granda sono pagati un 30% fisso in più del mercato. «Questa è stata la vera rivoluzione dell’associazione» precisa Capaldo, sottolineando come il prezzo fisso abbia dato stabilità al mercato garantendo a La Granda il pieno diritto di monitorare l’allevamento dei capi. Come? «Attraverso più livelli, con un gruppo interno

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1/2) Il banco macelleria delle carni fresche di razza Piemontese all’interno di Eataly Genola. A novembre le macellerie di Eataly sono state votate tra le migliori macellerie d’Italia dal blog enogastronomico Scattidigusto.it. 3) Salumi misti de La Granda.

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di autocontrollo, attraverso uno staff tecnico presieduto dal PROF. SGOIFO ROSSI del Dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università di Milano e da me, insieme a un collega veterinario». Non ultimo, ricordiamo che tutti gli allevatori che siedono al tavolo del consiglio di amministrazione de La Granda hanno meno di 40 anni. «Un bel segnale di rinnovamento per un settore, quello della zootecnia piemontese, che qui sta dando ottimi frutti in termini di investimento nella terra e negli allevamenti». Formazione, sempre e comunque A Genola, proprio accanto allo stabilimento di lavorazione delle carni e dei salumi de La Granda, c’è un’area dedicata alla formazione permanente degli allevatori. Questo è un punto cruciale della visione di Capaldo. «Artefice della carne è il contadino e il contadino deve studiare, coltivare e cucinare!». Ecco quindi un’aula che ogni mese raccoglie gli allevatori per corsi formativi sull’agricoltura ecosimbiotica, la biodiversità, i foraggi, l’innovazione in stalla. A fianco della sala formativa è appena stata inaugurata una cucina attrezzata per lezioni e demo. Nell’area esterna non poteva mancare un piccolo orto nel quale crescono tutte le erbe che La Grande fornisce agli associati. Insomma, tutto torna. Elena Benedetti La Granda Srl Via Garetta 8/A 12040 Genola (CN) Telefono: 0172 726178 Web: lagranda.it facebook.com/lagrandasrl instagram.com/lagranda_s.r.l twitter.com/lagranda linkedin

Beppe Dho, il norcino de La Granda La Granda non è solo carne Piemontese. Nello stabilimento di Genola c’è anche la divisione dedicata alle produzioni salumiere. Quest’ultima è diretta da un norcino di lunga esperienza, Beppe Dho (in foto a lato), che dopo aver lavorato per trent’anni nel suo laboratorio artigianale di Centallo, ed essere stato insignito del titolo di “Eccellenza Artigiana della Regione Piemonte”, è stato chiamato da Sergio Capaldo a far parte del progetto de La Granda. Oggi Beppe lavora a tempo pieno a Genola. La materia prima proviene da maiali nati e allevati in Italia, suini maturi la cui carne lavorata richiede un minore uso di conservanti. «Tutti i nostri prodotti sono insaccati nel loro budello naturale. Glutine, lattosio, glutammato e polifosfati aggiunti qui non si sa che cosa siano!».

La trasformazione delle carni de La Granda A fianco dell’Eataly di Genola (CN), c’è lo stabilimento di taglio e lavorazione delle carni, organizzato in un reparto disosso, un’area dedicata ai macinati e hamburger e una zona separata per la produzione dei salumi. Non manca anche una divisione per le cotture, la preparazione dei sughi e le prove di cottura. L’area stoccaggio e magazzino spedizione completano la struttura che dà lavoro ad una cinquantina di dipendenti. La Granda impone il proprio sistema di qualità su un piano di autocontrollo HACCP che riguarda tutte le fasi di lavorazione, controlli igienico-sanitari previsti per legge e progettati in autocontrollo, gestione di eventuali allergeni, tracciabilità e rintracciabilità del prodotto. La società è anche certificata per la produzione bio e ha adottato un’etichettatura volontaria delle carni bovine con Asprocarne Piemonte (in basso, esterno di Eataly incontra La Granda a Genola, Cuneo; photo © visitfossano.it).

PUNTO VENDITA Eataly incontra La Granda Orario: lun.-dom. 7:00-23:00 Telefono: 0172 68706 E-mail: ordini@lagranda.it Nota Photo © Elena Benedetti.

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Dire, fare, finanziare Come accedere ai fondi dell’Unione Europea per consolidare i propri progetti di investimento, in modo efficace e con un partner affidabile come FABO S.I., la società romagnola che da 22 anni segue le piccole, medie e grandi aziende nella loro crescita ed espansione di Elena Benedetti

A

lzi la mano chi non ha mai sentito dire che le aziende italiane non sfruttano a pieno i fondi che l’Unione Europea, lo Stato o le Regioni mettono a disposizione per avviare o potenziare le attività imprenditoriali. Questa è sicuramente una grande verità. Per

far sì che la macchina che eroga fondi, primi fra tutti quelli europei, funzioni a pieno regime, servono bravi politici, una burocrazia che non soffochi i processi e, soprattutto, concreti progetti da finanziare. In questo contesto aggiungerei che serve anche l’operato di FABO S.I.

per riuscire ad orientarsi tra le tante carte che servono per arrivare al risultato. Il tema dei contributi in conto capitale e dei finanziamenti a fondo perduto è spesso sdoganato dagli imprenditori come un qualcosa di complesso che non vale la pena

Il gruppo di lavoro FABO S.I. Srl, diretto da Giacomo e Marco Fabbri, è composto da una decina di addetti tra consulenti esterni e dipendenti. Le aree di competenza sono molteplici: dall’ingegneria elettronica all’agraria, contabilità e bilanci, finanza.

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approfondire. Ecco, non c’è errore più grave del mostrare diffidenza e chiusura verso queste opportunità. A Massa Lombarda, a pochi chilometri da Ravenna, ho incontrato MARCO FABBRI, che lavora insieme al padre Giacomo e ad altri collaboratori interni, oltre a parecchi consulenti e tecnici esterni. Il loro obiettivo è proprio quello di interfacciarsi tra le aziende del settore agroalimentare, destinatarie delle risorse e le pubbliche amministrazioni, a livello sia regionale che ministeriale. La storia FABO S.I. Srl è la società di servizi nata sulla precedente FABO Srl, l’azienda fondata da Giacomo Fabbri che, dal 1987 al 1994, si è occupata della progettazione, vendita e installazione di impianti di refrigerazione industriale nel settore ortofrutticolo. In quegli anni Fabbri si rese conto delle difficoltà che il settore incontrava nell’accedere ai fondi pubblici per realizzare degli investimenti. Nel 1994 la società romagnola decise di focalizzare il proprio business proprio sull’attività di consulenza volta alla ricerca di finanziamenti a fondo perduto con un interesse specifico verso il comparto agroalimentare. L’azienda oggi: un approccio open e responsabile Con all’attivo più di vent’anni di esperienza, FABO S.I. è oggi una società di primo livello che opera su tutto il territorio nazionale. Oltre ad aiutare le aziende a superare la

diffidenza verso le opportunità che i fondi offrono, il team di Giacomo e Marco Fabbri, che ha all’attivo una decina di persone tra interni ed esterni, offre consulenze in ambito commerciale, tecnico, produttivo, amministrativo e finanziario. Ciò che mi è piaciuto in modo particolare della filosofia di questa realtà è stato l’approccio orientato a dare un supporto fattivo solo a quelle realtà che dimostrano di avere le capacità di gestire una crescita e uno sviluppo di business. «Noi offriamo la nostra esperienza e competenza solo verso chi utilizza gli investimenti con la consapevolezza e le capacità di poter gestire, a livello organizzativo e gestionale interno, una crescita di medio-lungo periodo» mi spiega Marco Fabbri. Questo punto non è affatto banale e, in tutta franchezza, mi fa piacere pensare che questa società di consulenza senta la responsabilità del proprio ruolo. Quel ruolo di promotore dello sviluppo di aziende che, accedendo ai finanziamenti pubblici, possono ad esempio consolidare il proprio sviluppo produttivo, incrementare il numero di dipendenti, espandere le quote di mercato. Il tutto in un’ottica di crescita consolidata e duratura. «Cerchiamo di seguire poche pratiche ma “come si deve”» precisa Marco, sempre tornando al concetto di responsabilità. Marco ci tiene inoltre a sottolineare che lavorano con le aziende agricole e con le imprese agroindustriali dei settori carne, salumi, ortofrutta, latticini e formaggi, olio, vino

ecc… solo su pochissime misure del Reg. UE 1305/13, riguardante la programmazione del Piano di Sviluppo Rurale (PSR) 2014/2020, ovvero quelle che sostengono gli investimenti strutturali, impiantistici e tecnologici delle aziende con percentuali di fondo perduto che vanno dal 30% al 50% del valore dell’investimento a seconda delle regioni. Con questi finanziamenti è possibile acquistare, costruire, ampliare o ristrutturare immobili, acquistare impianti, macchine ed attrezzature di lavorazione, conservazione, confezionamento e movimentazione dei prodotti. «La nostra convinzione è che l’Italia debba sfruttare bene ciò che ha di più importante, vale a dire l’esperienza di un know-how di prodotto agroalimentare che il mondo ci invidia, e tutto ciò per rendere più competitivo l’intero mercato», sottolinea Fabbri, ricordando che l’attività consulenziale di FABO è trasversale e indirizzata a tutte le tipologie aziendali, dalle più piccole alle medie e grandi imprese. Dopo 22 anni di intenso lavoro i numeri ci dicono che un po’ di strada l’abbiamo fatta e la cosa che ci rende più felici è di avere colmato qualche gap di conoscenza e diffidenza verso questo mondo, infatti nel periodo di programmazione 2007 - 2013 abbiamo gestito progetti finanziati in ambito agroalimentare ed ittico per circa 75 milioni di euro ed abbiamo all’attivo centinaia di clienti su tutto il territorio italiano. Siamo comunque consapevoli che

La missione di FABO S.I. È semplice e concreta: promuovere lo sviluppo delle imprese utilizzando anche i contributi pubblici per sostenere gli investimenti produttivi. I contributi della Comunità europea assegnati all’Italia spesso negli anni passati non sono stati spesi per le scarse informazioni veicolate alle imprese, per carenze interpretative delle normative comunitarie o per inadeguatezza dei servizi di consulenza. L’obiettivo di FABO S.I. è invece far sì che quei contributi restino in Italia e siano pienamente utilizzati da piccole, medie e grandi aziende. A tal fine la società romagnola dialoga con le imprese e con le istituzioni che gestiscono tali fondi. Essa si è strutturata per affiancare le aziende lungo tutto l’iter, dall’informazione delle opportunità di finanziamento, attraverso le varie fasi del progetto, consigliando i clienti sui molteplici aspetti tecnici e amministrativi riguardanti l’investimento, passando alla realizzazione fino alla conclusione dei lavori e all’incasso dei contributi nelle fasi iniziali, intermedie e finali.

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questo non è un punto di arrivo ma di partenza e chi ci stimola a fare sempre meglio ed a svilupparci sono prima di tutto i nostri clienti che continuano a crescere ad investire ed a darci fiducia. Abbiamo davanti la sfida della nuova programmazione PSR 2014/2020 di cui i primi

bandi stanno uscendo in questi mesi e per cui stiamo lavorando a livello informativo per fare in modo che le aziende conoscano queste opportunità e le utilizzino per essere sempre maggiormente competitive sul mercato. Elena Benedetti

FABO S.I. Srl Viale Risorgimento, 1 48024 Massa Lombarda (RA) Telefono: 0545 84488 Fax: 0545 84555 E-mail: info@fabosi.it Web: www.fabosi.it

La F.lli Marini Carni Srl da piccolo salumificio locale ad azienda nazionale «Abbiamo conosciuto Pietro Marini e Roberto Marini titolari della Fratelli Marini Carni Srl all’inizio del 2008. L’azienda in quel momento lavorava in un piccolissimo laboratorio in centro a Tagliacozzo (AQ) di poco più di 200 m2 compreso uno spaccio aziendale: per il 50% commercializzava carne fresca e per l’altro 50% produceva e commercializzava salumi con un giro d’affari complessivo di circa 2 milioni di euro con 10 dipendenti. In quel momento la società si trovava in una condizione di stallo operativo, in quanto, pur avendo richieste di prodotto, non era in grado di soddisfarle, essendo giunta al limite delle potenzialità consentite della struttura. Aveva in progetto un nuovo stabilimento da costruire nella zona industriale di Tagliacozzo di circa 1.800 m2 con uffici, spaccio aziendale e soprattutto con celle ed impianti di stagionatura adatti alle crescenti richieste dei clienti. Abbiamo iniziato subito un percorso di analisi dell’investimento e di partecipazione ai bandi regionali PSR 2007/2013, che hanno permesso alla F.lli Marini Carni Srl di iniziare la nuova costruzione che è stata ultimata nel corso del marzo 2010. Dal 2008 ad oggi la F.lli Marini Carni Srl ha ottenuto, sulla base degli investimenti fatti, che ammontano ad oltre 2,5 milioni di euro, due finanziamenti a fondo perduto dalla Regione Abruzzo per un totale di circa 700.000 euro. Oggi ha un giro di affari di circa 4 milioni di euro con 22 dipendenti ed ha in progetto ulteriori ampliamenti per soddisfare le sempre crescenti richieste di prodotto. Su tali investimenti stiamo già valutando l’accesso alla nuova programmazione PSR 2014/2020».

Marchi Spa il grande distributore alimentare diventa trasformatore «L’azienda Marchi si trova a Romano D’Ezzelino in provincia di Vicenza, a breve distanza da Bassano del Grappa. È un’azienda storica nella distribuzione di prodotti alimentari al canale Ho.re.ca., con un giro d’affari di oltre 30 milioni di euro. Abbiamo conosciuto la famiglia Marchi ad inizio 2013 e ci hanno presentato i loro progetti futuri legati in particolare alla volontà di iniziare a trasformare in proprio alcune tipologie di prodotti tra cui la carne. Mancava in quel momento una vera e propria progettazione dell’investimento e non c’erano bandi operativi di finanziamento che ci permettessero di presentare il progetto d’investimento. Abbiamo consigliato ai signori Marchi di progettare la nuova struttura e tutto l’impianto allo scopo di ottenere tutti i permessi necessari alla realizzazione del progetto. Questa importante fase preliminare ci ha permesso di presentare nella primavera del 2014 un progetto da circa 2 milioni di euro, su un bando relativo al Piano di Sviluppo Rurale della regione Veneto, per la realizzazione di un ampliamento strutturale ed una ristrutturazione di locali già esistenti allo scopo di creare un laboratorio di lavorazione carni con tutte le attrezzature di taglio, macinatura e confezionamento, ristrutturare celle di conservazione prodotto e creare apposite rampe di carico/scarico in ambiente condizionato. L’azienda sta realizzando l’investimento ed ha già ottenuto una anticipazione dalle regione Veneto di circa 200.000 euro. La restante parte del contributo, pari ad ulteriori 200.000 euro, a fine dell’investimento che dovrà concludersi entro luglio 2016».

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Ovunque voi siate, siamo soliti servirvi al meglio Da oltre 40 anni Cremonini opera nel settore alimentare con passione e competenza, anticipando i gusti e le esigenze dei consumatori che, oggi più che mai, sono in continua evoluzione. Innovazione, tracciabilità, sicurezza, tutela dell’ambiente, sono da sempre i principi ispiratori delle attività del Gruppo Cremonini. Con 12.300 dipendenti, Cremonini, è uno dei più importanti gruppi alimentari in Europa: forte di un network industriale di dieci stabilimenti all’avanguardia nella produzione di carni bovine e salumi, leader nella distribuzione di prodotti alimentari al foodservice e protagonista nella ristorazione “in movimento” per chi viaggia sui treni, nelle stazioni ferroviarie e in autostrada.

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Questo è Cremonini: un gruppo al vostro servizio.

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INTERVISTE

Compassion in World Farming, quando il benessere animale viene prima di tutto La Ong onlus sorta nel lontano 1967 in Inghilterra e diffusa in buona parte del mondo, dal 2013 ha un ufficio anche in Italia, a Bologna. Molti i progetti su cui sta lavorando per ridurre il numero di allevamenti intensivi e lo spreco alimentare con un unico obiettivo: garantire agli animali allevati le migliori condizioni di vita di Anna Mossini

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oluzioni realistiche in alternativa agli allevamenti intensivi. Possibilità che esistono e che sono percorribili per tracciare la strada del futuro. Una strada che

metta al centro di tutto il benessere animale. Parte da qui, in buona sostanza, l’attività di Compassion in World Farming (CIWF), l’Ong internazionale fondata nel Regno Unito nel

lontano 1967 da PETER ROBERTS, un allevatore di vacche da latte che proprio perché negativamente colpito dai sistemi di allevamento intensivi che popolavano il territorio in

Da sinistra: Anna Maria Pisapia, direttrice di CIWF Italia Onlus, e Elisa Bianco, responsabile del settore alimentare.

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cui abitava, decise di impegnarsi attivamente per un cambiamento radicale delle cose. Oggi Compassion in World Farming opera in varie parti del Globo: USA, Cina, Sudafrica, Europa, più precisamente in Germania, Francia, Olanda, Belgio, Polonia, Repubblica Ceca, Svezia e, dal 2013, in Italia, con un ufficio a Bologna, alla cui direzione siede ANNAMARIA PISAPIA. Proprio a lei facciamo alcune domande.

Nessun finanziamento pubblico: solo passione e raccolta fondi CIWF International non riceve nessuna sovvenzione governativa ed è sostenuta nella sua lotta contro l’allevamento intensivo solo dalla passione e dall’impegno dei propri sostenitori. CIWF Italia Onlus ha cominciato a raccogliere fondi da donatori italiani solo da ottobre 2015 e, al momento, è ancora prevalentemente sostenuta dalla generosità di CIWF International.

È corretto definire Compassion un’associazione animalista? «No, non nel senso in cui viene interpretato in Italia. Il nostro impegno è rivolto alla protezione e al benessere degli animali in allevamento e, rispetto a quelli intensivi, che per noi sono incompatibili con il benessere animale, lavoriamo per proporre soluzioni concrete in un’ottica di sostenibilità ambientale e contenimento degli sprechi alimentari. Per noi negli allevamenti gli animali non devono soffrire nella maniera più assoluta». Secondo quanto riporta il sito www.ciwf.it, infatti, “la promozione di pratiche di allevamento rispettose del benessere degli animali, dell’ambiente, delle persone è la vera e propria mission dell’associazione”, che rivendica “un approccio multidisciplinare mettendo in evidenza i legami esistenti tra benessere animale, salute pubblica, sicurezza alimentare e problematiche ambientali e proponendo alternative percorribili all’allevamento intensivo”. A sostegno di questa tesi alcuni numeri, anch’essi riportati sul sito di CIWF: 70 miliardi di animali allevati ogni anno nel mondo per la produzione alimentare, di questi ben 2/3 cresciuti in allevamenti intensivi, “tenuti in gabbie e in recinti dove vengono portati oltre i loro limiti naturali”. Non solo. “Circa 1/3 della produzione mondiale di cereali — riporta ancora il sito — è destinata all’alimentazione del bestiame. Se questa stessa quantità fosse utilizzata per l’alimentazione umana si potrebbero nutrire 3 miliardi di persone che attualmente soffrono la fame. Quindi, gli allevamenti intensivi sono insostenibili”. «Davanti a questi dati l’unica strada da percorrere è quella di una

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riduzione del numero di animali allevati, che ormai hanno raggiunto dimensioni folli: solo in Italia e solo in un anno vengono allevati qualcosa come mezzo miliardo di polli». La sostenibilità prima di tutto Com’è possibile ipotizzare una riduzione del numero di animali allevati quando, con l’aumento della popolazione mondiale, gli esperti sono concordi nel ritenere che la richiesta di cibo proteico aumenterà di pari passo? «In realtà l’allevamento intensivo è la soluzione più inefficiente per fronteggiare la crescente domanda globale di cibo, perché è basato sulla maggior causa di spreco e perdita di cibo: nutrire gli animali con cereali commestibili per l’uomo.

Il problema è che gli animali non convertono efficientemente queste risorse. Infatti, per ogni 100 calorie date agli animali sotto forma di cereali, riceviamo in media solo 1730 calorie come carne e latte. Un report del UNITED NATIONS ENVIRONMENT PROGRAMME-UNEP (The Environmental Food Crisis. The environment’s role in averting future food crises) afferma che se destinassimo i cereali usati come mangime per gli animali negli allevamenti al diretto consumo umano, potrebbe essere nutrito un numero aggiuntivo di 3,5 miliardi di persone». Quali sono i progetti più immediati sui quali state lavorando? «Pensiamo che il sistema di allevamento più sostenibile sia

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La filiera carni al Ministro Martina: urge un piano di rilancio e sostegno Con una nota congiunta dello scorso 16 febbraio, le associazioni di categoria della filiera carni, in riferimento ai continui attacchi mediatici al settore, hanno segnalato al ministro delle Politiche Agricole la recente iniziativa di CIWF Italia “finalizzata a disorientare ulteriormente il consumatore finale tramite proiezioni mirate nelle sale cinematografiche italiane”. Riportiamo di seguito il testo integrale della lettera inviata all’on. Martina. “Le scriventi Associazioni, in rappresentanza degli operatori della filiera carni, dalla produzione, alla trasformazione, alla distribuzione, in riferimento ai continui attacchi mediatici al settore, segnalano la recente iniziativa di CIWF Italia finalizzata a disorientare ulteriormente il consumatore finale tramite proiezioni mirate nelle sale cinematografiche italiane. Si tratta solo dell’ultimo episodio di una campagna continua ed incessante di discredito e disaffezione verso la carne, che ha registrato una contrazione del proprio fatturato interno di circa il 10%, dal 2010 al 2015. Nel solo periodo gennaio/settembre 2015 la contrazione della spesa che si registra per le carni è molto evidente, attestandosi al –5,6%. Per le carni, si potrebbe parlare di crisi strutturale cui contribuiscono, oltre alla crisi economica, stili di vita sollecitati e percezioni indotte: la forte spinta al calo dei consumi di carne rossa sembra essere legata infatti ad una errata percezione negativa dell’impatto su salute ed ambiente. Nell’ultimo decennio, il consumo pro capite di carne bovina è calato ad un tasso medio del –2,4% e il 2015 ha fatto registrare un’ulteriore pesante flessione. A fronte di prezzi sostanzialmente stabili, il calo della spesa per la carne bovina supera i 6 punti percentuali, dopo una performance già negativa del 2014 (–5,8% rispetto al 2013). A fronte di ciò, le scriventi chiedono con urgenza misure di sostegno al comparto che rappresenta poco meno di mezzo milione di imprese nel suo complesso e circa 700.000 addetti di filiera e rappresenta una delle principali voci del PIL agricolo, coprendone circa un quarto. La carne, come è noto, riveste un’importanza primaria nell’alimentazione umana e non può essere abbandonata alla furia polemica di un gruppo minoritario e ideologizzato di consumatori avversi ad un regime alimentare sano ed equilibrato, come raccomanda la generalità della comunità scientifica. In questo senso le scriventi organizzazioni chiedono che il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali intervenga, nell’ambito delle sue finalità istituzionali e delle proprie strumentazioni dedicate, con un piano comunicazionale mirato a sostenere la correttezza della filiera produttiva, operante in linea con le migliori pratiche igienico-sanitarie, in ossequio alla normativa vigente comunitaria e nazionale sui regimi allevatoriali e sul benessere animale. Tale intervento si rende necessario per sostenere il valore della filiera carni che vive in ragione della sua complessiva articolazione, così come si è venuta storicamente strutturando nel nostro Paese, costituendo un alto valore aggiunto per il sistema economico nazionale, coniugando ad altissimo livello i diversi profili: dall’allevamento alla trasformazione, dalla distribuzione alle attività agro-turistiche a quelle eno-gastronomiche ed agricole e rurali. Un insieme di attività che stanno insieme e hanno bisogno di politiche mirate, che garantiscano la corretta gestione del settore e l’equilibrio della sostenibilità economica delle diverse componenti e dei territori, che vivono in osmosi e in funzione l’una dell’altra. Le nostre Organizzazioni hanno già portato all’attenzione del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, in diversi momenti, lo stato di difficoltà del settore che richiede un indifferibile intervento di promozione dei consumi di carni e di prodotti a base di carni a sostegno delle diverse componenti della filiera coerentemente con gli indirizzi di strategia agro-alimentare perseguiti dal Governo. ASSALZOO, ASS.I.CA., ASSOCARNI, CIA, FIESA, CONFAGRICOLTURA, UNAITALIA, UNICEB

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quello che mette al centro il benessere animale e in questa direzione portiamo avanti la nostra attività di sensibilizzazione nei confronti dell’opinione pubblica, ma anche del mondo politico sia a livello nazionale che europeo. Stiamo infatti per consegnare a Bruxelles 600.000 firme, delle quali solo 84.000 raccolte in Italia, per arrivare alla messa al bando dell’allevamento in gabbia dei conigli. Sempre sui conigli, per il prossimo ottobre organizzeremo a Roma un forum a cui inviteremo esponenti della politica, delle aziende e della medicina veterinaria per discutere insieme delle alternative agli allevamenti in gabbia con una visione realistica della questione e con proposte fattibili. In questo contesto si inserisce anche il tema dell’etichettatura sul quale stiamo lavorando a livello europeo con la campagna “Questione di Etichetta” e che noi vorremmo venisse applicata a tutti i prodotti alimentari con una dicitura prima di tutto condivisa, ma anche semplice, chiara, trasparente per fornire un’informazione precisa, garantendo nel contempo al consumatore la possibilità di scegliere cosa acquistare e portare sulla sua tavola». Benessere animale e sostenibilità ambientale per arrivare ad un’alimentazione più povera di carne. Ne parliamo con ELISA BIANCO, responsabile del settore alimentare di CIWF. Cos’hanno in comune questi due aspetti con l’obiettivo che vi siete dati? «Riteniamo che la riduzione del consumo di prodotti di origine animale possa migliorare la qualità di vita degli animali e dell’ambiente. Il tema della sostenibilità è molto complesso e non può che partire dalle condizioni di vita dell’animale. I principali indicatori che noi abbiamo dato al benessere animale sono stati chiamati iceberg e sono quelli che visivamente ci permettono di stabilire nell’immediato in quali condizioni di salute vive l’animale: se osservandolo si vede che oggettivamente sta bene, e questa è quella che viene definita

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la punta dell’iceberg, possiamo realisticamente presupporre che tutti gli altri parametri legati al suo benessere, che ha una significativa ricaduta sulla sostenibilità ambientale, sono stati via via migliorati». No alle gabbie in allevamento La normativa sul benessere animale è ormai una realtà a cui la maggior parte degli allevamenti si sono adeguati: dalle gabbie delle galline ovaiole ai box per le scrofe in gestazione passando per le vitellaie e i box per i vitelli a carne bianca. Non crede sia un po’ esagerato dipingere il mondo degli allevamenti in maniera totalmente negativa? «Purtroppo la normativa non coinvolge tutte le specie — risponde Bianco — per conigli e vacche da latte non esiste una legislazione specifica e per loro è difficile parlare di benessere animale perché allo stato non esistono regole definite. Per polli e suini la normativa esiste, ma non vuol dire che il benessere sia comunque garantito. La situazione negli allevamenti cunicoli italiani è drammatica, il vuoto normativo è totale e nonostante l’Italia sia il secondo produttore al mondo, non esiste una legislazione che stabilisca regole certe sul benessere di questi animali allevati spesso in condizioni inimmaginabili, al contrario di quanto avviene in altri Paesi europei come la Germania, il Belgio, la Svizzera dove le gabbie sono state eliminate. Noi stiamo lavorando con molto impegno per cambiare questa situazione e stiamo portando avanti una campagna denominata “End the cage age” finalizzata ad abolire l’allevamento in gabbia dei conigli, a favore, sia per le fattrici che per i soggetti all’ingrasso, di una produzione in gruppo, che non preveda la copertura superiore dei ricoveri, dove per ogni soggetto venga a messa a disposizione un’area di almeno 800 cm2, sia garantita una lunghezza minima della recinzione di 1,8 metri che, dati alla mano, permette al coniglio di esprimere il suo naturale comportamento compiendo almeno 3 salti in fila e vi sia una pavimentazione confortevole


e la costante presenza di un arricchimento ambientale composto da materiale da mordere e fibre. Riguardo altre specie come i suini, riteniamo che la normativa, pur esistente, non sia correttamente implementata. Nel settore all’ingrasso non esiste spesso un’adeguata disponibilità per gli animali di materiale manipolabile, il che favorisce l’aggressione tra i soggetti all’interno dello stesso box, così come pensiamo non sia compatibile la presenza della lettiera con i pavimenti fessurati. Allo stesso modo vogliamo che si ponga fine alla pratica della limatura dei denti, del taglio della coda, della castrazione e, per le scrofe, pur condividendo pienamente l’introduzione dei box multipli per quelle in gestazione, pensiamo andrebbero eliminate le gabbie durante la fase dell’allattamento, introducendo al contempo più fibra nella dieta alimentare e garantendo materiale adatto alla costruzione del nido». Quale percorso devono seguire le aziende che intendono aderire ai vostri standard e quali vantaggi ne traggono? «La nostra attività si concentra prima di tutto in un’azione di sensibilizzazione e, come tale, vuole e deve essere capace di far passare un messaggio che possa tradursi in azioni concrete, realistiche e praticabili. Il nostro lavoro è indirizzato ai marchi commerciali e per ottenere il miglior risultato possibile dobbiamo ragionare su categorie di prodotto. Una volta condiviso un progetto con un’azienda, il nostro intervento si concentra sugli indici di miglioramento legati al benessere animale con un monitoraggio costante di indicatori specifici per ogni specie animale, attraverso i quali è possibile stabilire la reale situazione esistente. Al termine di un determinato percorso, e raggiunti gli standard previsti, riconosciamo all’azienda in questione un premio simbolico per le politiche volte al miglioramento delle condizioni del benessere animale già in essere o per l’impegno a realizzarle entro i prossimi 5 anni. Nel primo caso al premio, un

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trofeo, viene associato un logo che può essere applicato in etichetta o anche inserito nel sito web dell’azienda premiata. Tutto questo processo non può che partire dalla identificazione degli indicatori sul benessere animale che noi stabiliamo attraverso l’attività del nostro personale specializzato che può contribuire anche alla formazione di quello aziendale». Coinvolgere l’intera filiera Voi affermate che per poter sviluppare una politica alimentare che riconosca nel benessere animale il tassello necessario alla sostenibilità si dovrebbe ridurre il numero di animali allevati, rispettare i comportamenti naturali delle diverse specie, garantire l’accesso ad acqua fresca e a una dieta che li mantenga in piena salute, eliminare tutte le cause di sofferenza inutili come le mutilazioni. Si tratta di aspetti in gran parte già ampiamente previsti dalla normativa europea sul benessere animale e recepiti dalla maggioranza degli allevamenti. Non pensa che si stia combattendo la medesima battaglia anche se da fronti opposti? «Potrei rispondere di sì e sono sicura che gli allevatori italiani si impegnino al meglio per rispettare quanto la normativa prevede. Manca però un anello, perché la normativa deve essere correttamente implementata, e molto spesso questo non avviene. La soluzione per noi risiede nella capacità di coinvolgere l’intera filiera dalla produzione alla distribuzione, riconoscere gli aspetti che possono essere migliorati, definendo priorità e piani adeguati allo scopo. È su questo fronte che riteniamo si debba lavorare e sono convinta che da un costruttivo confronto anche con gli operatori che lavorano con allevamenti intensivi si possa riuscire a trovare una sintesi positiva». Ritiene inconciliabile la vostra visione con quella di chi alleva col modello intensivo? «Con chi non rispetta il benessere animale non ci può essere dialogo, ma con chi intende migliorarlo assolutamente sì. Oggi la sensibilità verso lo stato di salute e di vita degli

animali allevati è molto aumentata da parte dei consumatori e degli investitori, e questo ha generato un’attenzione maggiore anche da parte delle aziende produttrici, con le quali in precedenza i rapporti erano più complicati. L’Italia detiene un primato molto importante rispetto alla qualità del cibo, va detto però che questo non significa automaticamente che quel cibo arrivi da allevamenti dove gli standard sul benessere animale sono elevati». Etichettatura condivisa e chiara Quali sono i vostri progetti futuri? Pensate all’introduzione di un’etichetta ad hoc per quegli alimenti di origine animale prodotti secondo i vostri standard sul benessere animale? «Sull’etichettatura stiamo portando avanti una campagna affinché diventi obbligatoria e riporti chiaramente gli standard di produzione. È necessario però che la dicitura indicata sia condivisa, altrimenti si rischia di innescare un meccanismo confuso e per nulla costruttivo». Sarebbe secondo lei auspicabile un confronto, se ancora non si è verificato, tra il CIWF e gli esperti degli allevamenti intensivi? «Sì, nella maniera più assoluta. Noi siamo disponibili a qualsiasi confronto che peraltro è già avvenuto con importanti enti di ricerca, tant’è vero che stiamo lavorando molto sulla filiera del suino all’ingrasso per trovare una soluzione ai pavimenti fessurati e favorire il contrasto all’impiego diciamo pure indiscriminato di antibiotici; a questo riguardo pensiamo sia importante adottare un Piano di monitoraggio reale per capire quali sono gli effettivi consumi della filiera perché, è bene ricordarlo, prima di intervenire sugli animali con una profilassi, peraltro necessaria se si praticano quelle inutili mutilazioni cui accennavo prima, sarebbe indispensabile intervenire strutturalmente e adeguare l’allevamento affinché al suo interno vengano garantite le effettive condizioni di benessere animale». Anna Mossini

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RETAIL MARKETING

Trend e best practice

Metti un giorno a Madrid di Salvo Garipoli

È

quello degli elaborati il segmento che, anno dopo anno, consolida la propria quota all’interno del carrello del responsabile acquisto nazionale, il quale, manifestando una minor disaffezione sui prodotti-servizio anche in relazione alla carne bovina, ne fa un mercato di sicuro interesse strategico per gli operatori del settore. Se guardiamo ai dati di consumo domestico relativi al comparto carni fresche nel 2015 in rapporto al 2014 (fonte: ISMEA-NIELSEN panel consumer), infatti, notiamo: • una riduzione complessiva del totale carne consumato a livello nazionale pari a circa il 6% a

valore e a volume, un dato che aggrava i numeri relativi al 2014; • una meno che proporzionale riduzione dei volumi (–2,73%) e del valore generato dal segmento “elaborati” (–3,09%). In relazione a quest’ultimo segmento, un dato relativo alla carne bovina che sul fronte della gamma ad alto valore aggiunto registra una minor caduta rispetto al prodotto “naturale”, con un –4,48% a volume e –3,15% a valore vs –6,79% e –6,44%, ed una quota sulle vendite di categoria in ascesa, attualmente pari al 12,6%. Quanto qui descritto, al lordo degli allarmi lanciati dall’OMS, ci

mostra come il futuro per questo comparto passi necessariamente dalla volontà e dalla capacità di innovarsi a partire dal sostegno ad una modalità di consumo “semplificata”, in grado di dare risposte concrete ad esigenze emergenti sul fronte della domanda sin dal luogo di acquisto. ¿Te gusta la carne? A questo proposito, l’occasione è buona per condividere una mia personale esperienza maturata nel corso dell’ottobre 2015 e relativa ad un percorso di valorizzazione intercettato casualmente in occasione di un viaggio di lavoro. Siamo in

La linea “Hamburguesa Nostra” di un punto vendita “El Corte Ingles”. La linea prevede 30 soluzioni-pasto presentate come altrettante esperienze di consumo che mixano carne bovina a vegetali, formaggio e frutta.

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posizionato al centro del reparto, che di fatto fa da perno al murale frigorifero rigorosamente a fondo nero (almeno 10 metri) caricato in maniera certosina ed essenziale, in cui è il colore della carne l’elemento di attrattività. Centrale una scritta a lettere cubitali recita “¿Te gusta la carne?”.

Un chiosco di hamburger all’interno del reparto carne è l’innovativo concept di vendita “della catena di grandi magazzini spagnoli “El Corte Ingles”. Spagna, a Madrid, per la precisione, all’interno di un “El Corte Ingles”, nel corso di una visita-lavoro relativa ad un formato di vendita innovativo per l’insegna in oggetto, una grande superficie orientata alla valorizzazione dei comparti freschissimi (ortofrutta, carne e ittico) a libero servizio grazie ad un assortimento ampio e profondo e all’utilizzo della leva promozionale, quale elemento di attrattività. Superato il reparto ortofrutta, arrivo in macelleria e qui vengo sorpreso dalla presenza di un chiosco

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Hamburguesa Nostra Ho di fronte un vero e proprio chiosco di hamburger all’interno del punto vendita; sono davanti ad una proposta commerciale la cui storia incomincia nel mercato Chamartín a Madrid, da una macelleria tradizionale “Raza Nostra SL”, per diventare, nel 2007, un’esperienza di successo tutta spagnola grazie al lancio di un concept di vendita specializzato ed un brand, “Hamburguesa Nostra”. Il primo commento che mi viene spontaneo di fronte all’area di vendita è che, se è vero che ritornare ai consumi del passato è inverosimile, è tuttavia ancora necessario costruire linee di prodotti in grado di offrire un reale valore aggiunto al potenziale acquirente, approcciando segmenti di offerta apparentemente maturi in maniera efficace. In questo caso parliamo di carne bovina elaborata fresca, in specifico di hamburger, segmento che per le carni rosse, in Italia, rappresenta una frontiera da son-

dare compiutamente a beneficio, in particolare, delle fasce di consumo occasionale, dei target specifici (vedi per esempio i bambini) e a sostegno di segmenti di prodotto ad alto valore aggiunto quali l’easy to prepare. La linea “Hamburguesa Nostra”, è strutturata in maniera da invogliare e coinvolgere il clienteconsumatore in maniera completa ponendo il prodotto quale attore principale ed incontrastato protagonista. La struttura della linea Prevede ben 30 soluzioni-pasto (forse troppe?!) presentate come altrettante esperienze di consumo che mixano la carne bovina a vegetali, formaggi e persino frutta. Quattro le categorie di prodotto connotate in maniera consistente in hamburger basici, classici, gourmet e specialità. Tante ricette sfiziose ad alto valore proteico studiate per soddisfare in modo autenticamente accattivante le esigenze del clienteconsumatore, c’è anche un mix funzionale pensato per gli sportivi (?!). Tale profondità, se da un lato favorisce il sostegno al consumo grazie all’effetto “prova ogni gusto”, dall’altro garantisce una concreta rilevanza di linea all’interno del reparto macelleria, sia all’interno del chiosco di vendita assistita che nel frigo a libero servizio.

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Sul fronte della comunicazione È interessante notare come essa sia sempre veicolata in maniera prodotto-centrica. La comunicazione di reparto quasi scompare; sulle confezioni il messaggio e l’impianto grafico diventano efficaci perché fanno spazio all’hamburger ed alle esigenze informative del consumatore in modo da stimolare sia l’acquisto razionale che quello d’impulso. Ogni singola confezione ha un format essenziale, poco invasivo, che presenta il prodotto al clienteconsumatore in modo veloce ed efficace, declinando alcuni elementi fondamentali per sostenere il posizionamento in vendita, quali un naming semplice ed evocativo dell’ingrediente caratteristico (Parmigiano, 4 quesos, Cebolla pochada, ecc…), l’origine, la razza, la ricettazione, il peso per singolo hamburger, il contenuto di grasso e le suggestioni per la migliore modalità di gestione e di preparazione a casa. Si è lavorato per semplificare il processo di acquisto qualificandone la relazione. Per quanto riguarda il pricing Siamo di fronte ad una vera e propria “operazione trasparenza”, in questo caso il processo di qualificazione diventa non solo un percorso sensoriale ma sostanziale. Hamburguesa Nostra è costruita per comunicarsi in maniera efficiente anche su questo fronte. Il prezzo è proposto a pezzo,

in linea con gli standard del retail estero, ed è declinato in quattro fasce studiate in maniera coerente con il valore offerto dal prodotto al fine di evitare sorprese alle casse, a garanzia di un elevato risparmio di tempo (Basico € 2,25, Classico € 2,75, Gourmet € 3,25 e Specialità € 3.50 e 4.90). Un’esperienza di shopping rilevante, democratica e utile in rapporto al proprio vincolo di bilancio. Se guardiamo al livello di servizio Nel chiosco, assieme alla cortesia e al sorriso dell’addetta vendita che promuove il prodotto e vince le più ostiche resistenze offrendo infor-

SGMarketing è la società specializzata nella consulenza e servizi di marketing per l’agroalimentare. Leader in Italia con oltre 20 anni di esperienza nella valorizzazione dei freschissimi e del beverage, l’azienda è stata costituita con l’idea di mettere al servizio dell’agribusiness le competenze del suo team di analisti per valorizzare i prodotti agroalimentari nei luoghi di acquisto e di consumo e dare un futuro alle filiere produttive e distributive di eccellenza e ai territori vocati. SGMarketing supporta le imprese accompagnandole nello sviluppo del loro business e nella creazione di un’immagine aziendale riconoscibile e competitiva. Grazie ad un know-how consolidato negli anni e forte di un approccio al mercato moderno e dinamico, essa offre un servizio integrato: dalla consulenza strategica al presidio diretto dei canali distributivi, nell’ottica di un’innovazione continua del business. >> Link: sgmarketing.it

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mazioni, grazie a formule menù, è inoltre possibile acquistare in combinazione anche panini e le salse rigorosamente Hamburguesa Nostra create per soddisfare ogni gusto garantendo, almeno in potenza, un’esperienza di acquisto piena ed una di consumo appagante all’insegna del burger alla spagnola. Quanto visto, in definitiva, se da un lato mi ha posto di fronte alla necessità di approfondirne i principali elementi di connotazione dal punto di vista del marketing operativo, dall’altro mi ha lasciato un discreto desiderio, tuttora insoddisfatto, di gustarne a pieno la varietà in relazione alla resa in cottura. Se dovessi dunque ipotizzare un giudizio complessivo frutto di una sintesi ragionata in considerazione delle tre aree poste a presidio della piena soddisfazione del consumatore contemporaneo, in particolare, l’accessibilità (ossia la capacità del prodotto di rispondere al proprio chiaro vincolo di bilancio familiare), il ben-essere (ovvero l’importanza riservata all’impatto per la salute fisica e mentale), la garanzia (in pratica, tutti gli elementi che avallino la bontà del processo di scelta), al netto dell’esperienza di consumo, il voto non potrebbe che essere rappresentato da un più che positivo 8, seguito da un sentito e disinteressato “¡que viva España!”. Salvo Garipoli

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I primi marinati e panati

PEPERONCINO

LIME

I primi cubetti di suino marinati con panatura sfiziosa Lo stecco si può dividere in due mini porzioni ideali per l’apericena Nel piatto in soli in 9 minuti


INDAGINI

Rapporto Coop 2015, si vede la luce in fondo al tunnel Puntuale come sempre, Coop ci mostra la sua fotografia dell’anno appena concluso e una proiezione di quanto accadrà nel nostro Paese da qui ai prossimi mesi. L’attenzione è puntata sull’andamento economico, ma non solo. Si individuano abitudini, stili di vita, tendenze, per descrivere Italia ed Italiani nella loro evoluzione in termini economici, sociali e demografici. La crisi è forse alle spalle, ma nulla sarà più come prima di Sebastiano Corona

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I

l Rapporto Coop realizzato da l’UFFICIO STUDI ANCC-COOP (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) in collaborazione con REF RICERCHE e il supporto di NIELSEN, DEMOS, GFK, NOMISMA e R&S MEDIOBANCA, presenta uno spaccato di ciò che siamo e di ciò che stiamo diventando. Il 2016 sarà l’anno della speranza. La pensa così più di un terzo degli Italiani, mentre buona parte crede che questo sia il momento del cambiamento. La prudenza governa ancora gli stati d’animo ma, considerato lo scoraggiamento che ci ha caratterizzato nell’ultimo lustro, anche un timido ottimismo diventa significativo. Non mancano le aspettative negative: per il 14% del campione è e sarà, infatti, il timore il sentimento dominante del 2016. Timore però non significa crisi perché l’idea di ripresa finalmente schiaccia quella della rinuncia. Il bicchiere è quindi mezzo pieno e non mezzo vuoto e una seppur debole ripresa economica, guidata soprattutto dai consumi delle famiglie, inizia a fare capolino in Italia, grazie ad

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uno scenario internazionale ed un’economia globale favorevole che traina le esportazioni. Meno positiva l’attività produttiva interna dove gli investimenti, fatta eccezione per il settore auto, nel 2015 sono rimasti al palo e si mostrano ancora inferiori di trenta punti percentuali rispetto ai massimi del 2007. Continua a scendere la quota di famiglie senza disponibilità finanziarie dopo aver soddisfatto i bisogni essenziali: il 23% nell’ultimo trimestre rispetto al 27% del 2013. Ma per l’anno appena iniziato il 55% degli Italiani non prevede cambiamenti di rilievo nei propri consumi. Le intenzioni di spesa restano infatti negative per gli adulti (oltre i 35 anni d’età), per il Sud e per le famiglie in condizioni economiche più disagiate. Al contrario, si intravede già un netto incremento dei consumi da parte dei ceti più agiati. Tra i sogni nel cassetto vi è un sano edonismo a cui gli Italiani avevano dovuto rinunciare a causa della crisi. Così, quasi il 42% dichiara di volersi concedere viaggi e vacanze, il 32% tornerà a godersi spettacoli

e svaghi e al terzo posto tra i desiderata degli Italiani c’è il cibo, di cui il 20% ambisce ad incrementare la qualità. Seguono a pari merito la ristrutturazione della casa, la cura di sé, ma anche i pasti outdoor. Si osservano tuttavia molte “Italie” differenti con desideri ed esigenze diverse tra loro. Le intenzioni di spesa, il lieve miglioramento del mercato del lavoro e la favorevole congiuntura macroeconomica inducono a pensare che i consumi delle famiglie cresceranno nel 2016 dell’1,4%. Un dato apprezzabile, se si considera che per individuare una variazione dello stesso ammontare occorre tornare indietro di 10 anni e per osservare un dato superiore si deve invece fare riferimento addirittura al 2000. A dispetto di tale incremento, dopo la crisi, i consumi pro capite nel 2016 saranno ancora ai livelli degli anni ‘90, comunque più bassi di oltre 1700 euro rispetto al 2007. Osservando le singole voci, cresceranno nel 2016 in misura più netta i consumi a cui gli Italiani avevano rinunciato con più difficoltà e quelli imposti dal

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ai consumi registrati in media nel continente europeo (2,6 kg), segno della rilevanza che tradizionalmente i cibo e l’alimentazione ricoprono nella cultura nazionale, non facendo mancare mai ampie porzioni di frutta e verdura che, ovviamente, incidono in maniera importante.

Dal Rapporto Coop si evince che l’incidenza dei prodotti di origine animale è salita dal 24% dei primi anni ‘60 al 40% di oggi. Nell’ultimo cinquantennio sono quasi triplicati i consumi di carni in tutte le forme, passando da 85 a poco meno di 250 grammi giornalieri pro capite (photo © www.vocidicitta.it). digitale. Tra questi gli smartphone, ma anche servizi e prodotti ricreativi (cinema, intrattenimento, ristoranti, vacanze), le spese per il benessere (palestre, Spa, medicinali) e quelle per il miglioramento dell’ambiente domestico (ristrutturazioni edilizie, elettrodomestici, arredamento). L’Expo non sembra essere passato invano e ha reso la tavola sempre più luogo di sperimentazione. Se per il 30% cresce l’interesse verso i prodotti del territorio, consumerà più bio un Italiano su quattro, il 21% è invece orientato verso la rinuncia alla carne e starà più attento alla propria dieta. Qualità e benessere convivranno però a lungo con l’attenzione al risparmio e al superfluo: il 40% degli Italiani nel 2016 eviterà gli sprechi e il 27% si dedicherà maggiormente all’home made (pizza, dolci, marmellate e altre preparazioni domestiche).

Gli anni più recenti si sono caratterizzati per un’inversione di marcia delle quantità acquistate: le necessità di razionalizzazione imposte dalla recessione, la lotta agli sprechi, ma soprattutto la crescente attenzione al benessere ed alla salute hanno fatto tornare indietro le lancette dell’orologio della dieta degli Italiani di qualche decennio fa. Il fabbisogno calorico giornaliero è infatti passato da 3.150 chilocalorie degli anni ‘60 alle 3.460 degli anni ‘70, per poi crescere sino alle 3.600 negli anni Duemila e, infine, ripiegare su valori di 30 anni fa. Parallelamente, anche le quantità consumate sono cresciute: in media oggi in Italia in un anno si mangiano circa 1.020 chilogrammi di materie prime alimentari a testa, che equivalgono a 2,8 chili al giorno, oltre 300 grammi in più rispetto agli anni ‘60. Un volume più elevato anche rispetto

“Le intenzioni di spesa, il lieve miglioramento del mercato del lavoro e la favorevole congiuntura macro-economica inducono a pensare che i consumi delle famiglie cresceranno nel 2016 dell’1,4%. Un dato apprezzabile, se si considera che per individuare una variazione dello stesso ammontare occorre tornare indietro di 10 anni”

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Cosa c’è dentro il carrello In questo scenario l’incidenza dei prodotti di origine animale è salita dal 24% dei primi anni ‘60 al 40% di oggi. Nell’ultimo cinquantennio sono quasi triplicati i consumi di carni in tutte le forme, passando da 85 a poco meno di 250 grammi giornalieri pro capite. Buona la performance del pesce, anche in questo caso con consumi raddoppiati che passano da 33 a 70 grammi al giorno per persona. Di pasta, pane ed altri prodotti a base di cereali gli Italiani ne mangiano più di 400 grammi al giorno. Una quantità inferiore rispetto agli anni ‘60 (oltre mezzo chilo), ma pur sempre ragguardevole nelle abitudini alimentari del Belpaese. Di frutta e verdura ne mangiamo complessivamente circa 800 grammi al giorno, consapevoli di tutte le proprietà nutrizionali e dei benefici per la salute. Come siamo cambiati a tavola e al supermercato Superata la crisi, l’alimentare è dunque in timido recupero. Prima della recessione, le famiglie italiane non avevano mai mostrato significative fluttuazioni negative della spesa alimentare. La crisi ha invece generato profondi mutamenti, soprattutto attraverso un cambiamento del mix dei prodotti acquistati, in molti casi scendendo lungo la scala di prezzo, in altri limitando il consumo di alcuni beni e, talvolta, anche portando alla rinuncia completa. Il risultato è un vero e proprio cambiamento culturale, una frattura generazionale e un cambio importante di consuetudini. I nuovi stili di vita, compresa la riduzione dei consumi, appaiono destinati a protrarsi nel corso degli anni e a diventare strutturali. Questo concorre a spiegare

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Il banco frigo carni pronte per l’acquisto di un punto vendita Coop. Anche il raggruppamento che include i piatti pronti (+6,8%) cresce con ritmi che mancavano dal biennio 2010-2011. Una tendenza, questa, che vede uno spostamento verso prodotti a maggiore contenuto di servizio, che assicurano un risparmio di tempo e che meglio si coniugano con i ritmi dell’attività lavorativa odierna (photo © Elena Benedetti).

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il ritardo con cui i consumi alimentari stanno rispondendo ai timidi segnali di ripresa del reddito che invece muovono più rapidamente altre categorie di consumo. È probabile che ancora per qualche tempo le famiglie destineranno le maggiori risorse a soddisfare bisogni diversi dall’alimentazione. Il recupero dei consumi alimentari appare quindi ancora lento: per molti anni resteremo al di sotto dei massimi pre-crisi. Le tendenze salutiste contribuiscono inoltre ad incrementare le rinunce. La crescita della spesa sarà dunque essenzialmente legata ad un upgrading qualitativo della domanda. Tuttavia, mentre per le regioni del Mezzogiorno si vedranno prevalere comportamenti orientati alla ricerca degli acquisti più convenienti, nel Nord i segnali di rafforzamento risulteranno evidenti. La combinazione di una serie di comportamenti diretti alla parsimonia ha generato, nell’ultimo triennio, oltre 5 miliardi di euro di risparmio delle famiglie e questi comportamenti volti alla rinuncia non cesseranno nel breve termine. Le scelte sono guidate, oltre che dal prezzo, anche dalle qualità intrinseche del prodotto, soprattutto in termini di salubrità. Il carrello diventa multietnico e fonde gusti e sapori di culture lontane. Resta frugale ma con un’attenzione al benessere, alla qualità e al servizio. Si protrae l’affermazione dei prodotti biologici, mentre si riducono gli acquisti di prodotti a elevato contenuto calorico, come grassi e zuccheri, o comunque non coerenti con stili di vita più salutistici, come gli alcolici. Il cambiamento del mix dei prodotti vede ancora una crescita del cibo etnico, sia per il peso degli immigrati sulla popolazione, sia per la crescente commistione culturale. Tra le categorie presenti a scaffale, a marcare l’incremento più consistente di vendite sono i cibi e le bevande a base di soia,

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Hamburger vegetariani. Tra le categorie presenti a scaffale, a marcare l’incremento più consistente di vendite sono i cibi e le bevande a base di soia, insieme agli integratori dietetici e ai prodotti senza glutine (photo © www.seriouseats.com). insieme agli integratori dietetici e ai prodotti senza glutine: l’exploit in atto è certamente da ricondurre all’espansione dell’offerta in questo ambito ed al diffuso interesse per il benessere, la forma fisica e la salute, oltre che alla crescente diffusione di intolleranze alimentari. Ai primi dieci posti della classifica si collocano anche alcune delle referenze che negli anni recenti sono state oggetto di pesanti rinunce, come gli snack a base di cioccolato: un segnale positivo che suggerisce un qualche ritorno all’acquisto di impulso. Tra i prodotti che invece marcano i risultati più negativi, vi sono articoli che si adattano solo parzialmente ad uno stile di vita imperniato sul cibo che dà salute: cole, nettari e bevande zuccherate. Cresce ancora, peraltro in misura più sostenuta rispetto al passato, il carrello del lusso (+4,8%): l’attenzione alla qualità degli ingredienti, delle materie prime e delle produzioni certificate determina un incremento degli acquisti per i prodotti ad elevato valore unitario quali champagne, funghi, tartufi ed alcune delle principali specialità ittiche. All’insegna del progresso, anche il raggruppamento che include i piatti pronti (+6,8%), con ritmi di

crescita che mancavano dal biennio 2010-2011. Una tendenza, questa, che vede uno spostamento verso prodotti a maggiore contenuto di servizio, che assicurano un risparmio di tempo e che meglio si coniugano con i ritmi dell’attività lavorativa odierna. Nelle proiezioni future gli Italiani saranno orientati verso stili di consumo lontani dalla tradizione e dalla tipicità territoriale, mentre particolarmente ampie appaiono le attese di crescita per prodotti legati a stili alimentari emergenti come salute, prodotti “vegan”, per intolleranze, gluten free, ecc... Il biologico, diventato ormai di massa, trova anche in questo aspetto un suo vantaggio. Oltre a garantire pratiche ambientali più sostenibili, un elevato livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse, l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali, dà spesso risposta anche ad altri bisogni del consumatore, come quelli legati ad intolleranze ed allergie, esigenze dietetiche e scelte vegane, appunto. Altra grande protagonista è la dieta mediterranea, perché rispetta la biodiversità e gli ecosistemi, è culturalmente accettabile, economicamente accessibile ed adeguata dal punto di vista nutrizionale.

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Con lo scoppio della crisi la tendenza all’aumento dei pasti outdoor ha registrato una frenata, ma con l’affermarsi dei primi segnali di ripresa, i pasti fuori casa beneficeranno in misura maggiore del migliorato clima congiunturale (photo © www.mondoffc.it). Cresce il cibo della rinuncia In Italia una persona su dieci è vegetariana, mentre una su cinquanta è vegana. Siamo i primi in Europa in questa particolare classifica (dopo di noi la Germania dove l’8% della popolazione è vegetariano), seppur lontani da quanto si registra nei Paesi in cui il cibo ha una forte caratterizzazione religiosa. Le tendenze più recenti mostrano una progressiva estremizzazione delle pratiche alimentari legate al benessere ed al salutismo. All’esercito di vegetariani e vegani si sono infatti aggiunti nuovi fenomeni emergenti, quali fruttarismo, crudismo, reducetarismo (limitare il consumo di proteine animali ad un solo giorno la settimana), pescetariani e pollotariani (una variante della dieta vegetariana) ma anche regimi come l’alimentazione macrobiotica, il locavorismo (con il consumo esclusivo di cibi locali, prodotti e trasformati in un raggio di circa 200 chilometri dalla propria casa), la dieta paleolitica (che trae spunto dalle abitudini alimentari dei nostri antenati). La crisi nel supermercato A conferma dell’inversione di tendenza in atto, per la prima volta da circa un decennio cala la pressione promozionale. Si tratta di

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un arretramento marginale e quasi impercettibile, ma è comunque un segnale di discontinuità rispetto ad un trend che ha portato la pressione promozionale a passare dal 18% degli anni Duemila ad oltre il 30% nelle fasi più acute della recessione. Si è arrestata nel 2015 anche la crescita della quota della private label: l’incidenza sul fatturato complessivo della GDO è di poco superiore al 18%. Negli ultimi dieci anni il marchio commerciale ha guadagnato circa 6 punti percentuali di quota sul totale. Torna la voglia di outdoor Uno dei grandi trend degli anni ‘90 e dei primi anni Duemila è rappresentato dalla crescita dei pasti fuori casa. Una tendenza, questa (oltre il 7% sulla spesa delle famiglie), che nasce dall’aumento del reddito pro capite ma anche dai flussi turistici e dalla femminilizzazione del mercato del lavoro. Con lo scoppio della crisi la tendenza all’aumento di questa voce dei consumi ha registrato una frenata, pur senza mostrare una vera e propria caduta. Ma con l’affermarsi dei primi segnali di ripresa, i pasti fuori casa beneficeranno in misura maggiore del migliorato clima congiunturale.

Lotta allo spreco di cibo Tra le forme di risparmio, l’attenzione agli sprechi è stata perseguita negli ultimi anni e sembra destinata a rinnovarsi pur in presenza di maggiori disponibilità economiche. Nel nostro Paese si stima che il suo valore ammonti a 8,1 miliardi di euro, circa mezzo punto percentuale di PIL. Tra prodotti non raccolti e lasciati sul campo, perdite nella fase di lavorazione industriale e nella distribuzione, si disperdono per strada quasi 4 milioni di tonnellate di cibo. Ogni famiglia getta nella pattumiera senza aver consumato circa 30 euro di cibo ogni mese, più di 350 euro in un anno, con valori molto diversi lungo lo stivale. Questo fenomeno è ormai considerato universalmente inaccettabile anche per i risvolti sociali, pertanto le abitudini volte ad evitare gli sprechi permarranno anche dopo la ripresa. Made out Italy: crescono i prodotti di origine estera Il 2015 mostra buone performance per tutti i prodotti ad “origine certificata”: in volume si osserva un incremento pari allo 0,8% per i prodotti italiani e del 12,6% per quelli stranieri, anche se in termini di fatturato ad essere premiati sono proprio questi ultimi (+13,4%), complice una crescita del costo della spesa di quasi un punto percentuale. Gli incrementi più pronunciati si registrano per frutta e formaggi di origine straniera dove la differenza media di prezzo con quelli locali arriva fino al 5%. È evidente una polarizzazione del mercato, coerente con la specializzazione dell’offerta italiana in prodotti di qualità e di fascia di prezzo più elevato e con la speculare crescita dei prodotti di origine estera nelle fasce di prezzo inferiori. Sebastiano Corona Nota A pagina 50 illustrazione © wisesociety.it ed a pagina 51 hamburger di carne bovina (photo © www. spesalcentro.it). Il Rapporto Coop 2015 segnala che una seppur debole ripresa economica, guidata soprattutto dai consumi delle famiglie, inizia a fare capolino in Italia.

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Dop e Igp, un patrimonio da 13,4 miliardi È stato presentato il tredicesimo Rapporto Ismea–Qualivita sulle produzioni italiane agroalimentari e vitivinicole Dop, Igp e Stg. Un’occasione ideale per celebrare la Giornata nazionale della qualità agroalimentare. Le carni Dop e Igp sono una nicchia. Buona la performance delle carni ovine

L

e carni fresche sono una categoria formata da cinque denominazioni che raggiunge un valore alla produzione complessivo di 83 milioni di euro, per un’incidenza dell’1,3% sul totale del comparto food. La categoria registra un incremento del 4,7%, su base annua, delle quantità di

prodotto certificato. I dati in valore, al contrario, indicano una leggera flessione della produzione rispetto al 2013 (–0,9%). Nella fase al consumo, contemporaneamente, si ravvisa invece un importante aumento del valore delle carni fresche IG (+25,4%), trainato dai forti apprezzamenti registrati nel

2014. Le esportazioni assorbono una piccola fetta della produzione (4,6%), per un valore all’export di 4,7 milioni (+8,3%). Il Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP assorbe il 55% della quantità prodotta nella categoria, anche se mostra una flessione del –5% rispetto al 2013, compensato dagli

La categoria “carni fresche” è composta da cinque prodotti Dop e Igp che rappresentano l’1,8% del comparto food come numero di certificazioni e l’1,3% in termini di valore alla produzione (peso che sale all’1,9% per il valore al consumo; photo © Luca Pescucci).

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Il Rapporto Ismea–Qualivita sulle produzioni italiane agroalimentare e vitivinicole Dop, Igp e Stg ha registrato un calo della dinamica produttiva della Cinta senese Dop (–8% in quantità, su base annua). incrementi registrati dall’Agnello del Centro Italia IGP (produzione quintuplicata rispetto al 2013) e dall’Agnello di Sardegna IGP (+8%). In valore, la consistente crescita al consumo è stata determinata principalmente dal Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP (+28%) e dall’Agnello di Sardegna IGP (+29%). Quest’ultimo è anche l’unico prodotto che viene venduto sui mercati esteri (657 tonnellate, per 4,7 milioni di euro).

I prodotti a base di carne Rappresentano la seconda categoria delle DOP e IGP, con un valore alla produzione di 1,8 miliardi di euro e un’incidenza di oltre il 28% sul totale del comparto food. La categoria registra trend positivi rispetto al 2013 a livello di valore (+2,2%), a fronte di una sostanziale stabilità come produzione certificata (–0,3%). L’export, che copre una quota del 17,0% della produzione, mostra ottimi risultati

nel 2014: con 446 milioni di euro, le esportazioni crescono del +9,7% rispetto al 2013 e rappresentano il 16,3% del totale delle esportazioni del comparto food. Prosciutto di Parma DOP, Mortadella Bologna IGP e Prosciutto di San Daniele DOP rappresentano il 76% della categoria in volume e circa il 70% per valore alla produzione. Fra i prodotti con livelli di produzione più bassi, si registrano incrementi relativi su base annua soprattutto per Salame Felino

Tabella 1 — Produzione Certificata carni fresche Dop-Igp (tonnellate) Denominazione

2013

Var. 2014/13

Peso % 2014

Var. 2014

Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP

8.349

7.920

55,2%

–5,1%

Agnello di Sardegna IGP

3.037

3.287

22,9%

8,3%

Abbacchio romano IGP

1.616

1.635

11,4%

1,2%

Agnello del Centro Italia IGP

210

1.057

7,4%

402,1%

Cinta senese DOP

477

439

3,1%

–8,1%

13.690

14.338

100%

4,7%

Totale

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Tabella 2 — I numeri delle carni Dop e Igp

“L’incremento del numero delle richieste di protezione in Italia, in Europa e anche fuori dai confini comunitari, rappresenta un segnale importante dell’interesse verso un modello basato sulla qualità alimentare e sulla sua certificazione. Un modello in cui l’Italia eccelle, con i suoi 569 Dop e le sue 230 Igp, mantenendo saldo il suo primato in Europa e nel mondo”

“Il segno distintivo ‘The Extraordinary Italian taste’ persegue l’obiettivo di rendere immediatamente riconoscibili presso i punti vendita esteri i veri prodotti italiani per contrastare il fenomeno dell’Italian sounding che penalizza soprattutto le eccellenze quali i prodotti Dop e Igp”

Valore alla produzione

83 milioni di euro

Valore al consumo

246 milioni di euro

Quota export Produzione certificata IGP (+40,0% in volume) e Prosciutto Toscano DOP (+13,2% in volume e valore). Le esportazioni mostrano aumenti significativi per molte delle principali denominazioni, con incrementi particolarmente consistenti per Bresaola della Valtellina IGP (+85,0%) e Prosciutto Toscano DOP (+16,5%). La categoria dei “prodotti a base di carne” rappresenta il 14% del comparto food come numero di prodotti certificati, ma raddoppia la sua incidenza se si considera il valore alla produzione in cui copre un 28% del totale (e il 32,5% per il valore al consumo). I primi dieci prodotti rappresentano la quasi totalità della categoria in termini di volume e di valore (circa il 95%). L’export assorbe il 17% della quantità certificata complessiva e mostra ottimi risultati, con un valore di circa 450 milioni di euro (+9,7% sul 2013); il mercato che ha come destinazione i Paesi Extra UE passa dal 32% del 2013 al 34% nel 2014. Ma quali sono i cinque salumi più esportati all’estero per quanto concerne i volumi? Al primo posto troviamo il Prosciutto di Parma DOP,

4,6% 14.338 tonnellate con 16.317 tonnellate, seguito dalla Mortadella Bologna IGP (5.166 t), il Prosciutto di San Daniele DOP (3.544 t), lo Speck Alto Adige IGP (3.477 t) e la Bresaola della Valtellina IGP (2.429 t). Borriello (Ismea): dopo Expo serve una politica ancora più incisiva per tutelare e promuovere la qualità del food & wine made in Italy “L’Esposizione Universale di Milano si è conclusa da alcuni mesi e il suo successo si misura su almeno due fronti: l’aver affrontato un tema — quello della sfida alimentare — che richiederà nei prossimi anni uno sforzo condiviso da parte dell’intera comunità internazionale, e l’aver rappresentato un’importante vetrina per il modello agroalimentare italiano, affermando l’Italian way of fooding come patrimonio unico al mondo per ricchezza, varietà e valori. Sul primo tema, il contributo di Expo per la definizione di una global food policy è stato determinante, poiché ha posto all’attenzione della collettività,valori, diritti e responsabilità oggigiorno irrinun-

Agnello di Sardegna Igp (photo © www.nonsoloscatolette.it).

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ciabili, come il diritto al cibo, la lotta agli sprechi alimentari, la tutela del suolo agricolo, la salvaguardia della biodiversità e l’esigenza di un’efficace educazione alimentare e ambientale. Sulla valorizzazione del made in Italy, l’evento ha riservato un ricchissimo calendario di iniziative che hanno rappresentato un mo-

mento importante di visibilità per il nostro Paese e un’occasione per promuovere le nostre produzioni d’eccellenza. L’Assemblea Mondiale delle Indicazioni Geografiche — organizzata dal MIPAAF — che si è svolta nel corso del semestre espositivo, ha attirato l’attenzione di stakeholder e opinion

Tre razze per un Consorzio Il Consorzio di Tutela del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale ha come scopi principali la tutela del marchio “IGP – Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale” attraverso la protezione da abusi e contraffazioni, la promozione e la valorizzazione del prodotto, l’attività di informazione al consumatore sul marchio e sulle caratteristiche, i pregi del prodotto e la cura generale degli interessi relativi alla produzione IGP. La sua dicitura ha un significato ben preciso: • Vitellone, perché con questo termine venivano indicati i bovini da carne di età compresa fra i 12 e i 24 mesi. A questa età gli animali sono giovani e la carne di queste razze resta molto magra, con una composizione in acidi grassi molto favorevole all’alimentazione moderna; • Bianco, perché i bovini di queste razze hanno il mantello bianco che ben risalta sulla cute nero-ardesia, che permette loro di tollerare ottimamente le radiazioni solari dei tipici ambienti pascolativi; • dell’Appennino Centrale rappresenta l’indicazione di origine, perché questa è la zona dove, tradizionalmente, le tre razze bovine Chianina, Marchigiana e Romagnola sono allevate da oltre 1500 anni, alimentandosi con foraggi e mangimi tipici dell’area. >> Link: www.vitellonebianco.it

Il Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale Igp assorbe oltre la metà della produzione certificata della categoria “carni fresche”, anche se nel 2014 è cresciuto il peso coperto dagli altri prodotti, soprattutto nel settore ovino (in alto, alcuni capi di razza Marchigiana dell’allevamento zootecnico Morica a Pollenza; photo © cronachemaceratesi.it).

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leader di tutti i paesi sulla necessità di rafforzare la politica europea per la valorizzazione e la difesa delle Indicazioni Geografiche. Se non si vogliono disperdere le energie, le idee e gl’impegni assunti, l’Esposizione Universale non va considerata come un punto d’arrivo ma, piuttosto, un fondamentale punto di partenza per una più incisiva politica di promozione, tutela e valorizzazione a livello internazionale delle nostre tradizioni, della tipicità e della qualità del made in Italy. È in questo contesto di grande fermento e ritrovata fiducia del settore che si rinnova la proficua collaborazione con la Fondazione Qualivita con il XIII Rapporto sulle DOP e IGP che, per la prima volta, prova a fare il punto complessivo dello stato delle Indicazioni Geografiche, ampliando il suo raggio d’azione anche al mondo del vino. L’incremento del numero delle richieste di protezione in Italia, in Europa e anche fuori dai confini comunitari, rappresenta un segnale importante dell’interesse verso un modello basato sulla qualità alimentare e sulla sua certificazione. Un modello in cui l’Italia eccelle con i suoi 569 prodotti DOP e le sue 230 IGP, mantenendo saldo il suo primato in Europa e nel mondo. Nel 2015, nel nostro Paese ci sono stati ulteriori nove riconoscimenti, a riprova del fatto che produttori e territori continuano a credere nella qualità e a investire nel sistema di riconoscimento e certificazione comunitario. Il patrimonio italiano si è infatti arricchito di due formaggi DOP (il Pecorino delle Balze Volterrane e il Silter), di due prodotti IGP nel segmento della ‘panetteria’ (la Focaccia di Recco col formaggio e il Pampepato di Ferrara), accanto a tre prodotti ortofrutticoli (Patata Rossa di Colfiorito IGP, Patata novella di Galatina DOP e Cipolla bianca di Margherita IGP) e a due IGP ‘a base di carne’ (il Salame Piemonte e la Finocchiona). I numeri complessivi danno evidenza del definitivo sdoganamento, ove ce ne fosse stato bisogno, del settore delle Indicazioni Geografiche dal mondo delle ‘nicchie’. L’Italian food and wine delle Indica-

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zioni Geografiche sfiora un valore all’origine di 13 miliardi e mezzo, incidendo per il 10% sul fatturato dell’intera industria alimentare e delle bevande nazionale. Ancora più significativo il peso sul mercato estero, dove le IG alimentari e vinicole, con 7,1 miliardi di euro, rappresentano una quota del 21% dell’export italiano agroalimentare complessivo (2014, anno di riferimento). Anche dal punto di vista territoriale, il dato evidenzia un coinvolgimento di estrema rilevanza, se si stima che la SAU (Superficie Agraria Utile) coinvolta direttamente o indirettamente nella produzione di Indicazioni Geografiche è del 56% rispetto al totale. Se poi si focalizza l’attenzione sulle dinamiche in corso, vediamo che il segmento del food ha raggiunto un valore complessivo di 6,4 miliardi di euro alla produzione, con una crescita del +2,5% rispetto all’anno precedente, per raggiungere i 13,2 miliardi al consumo,

con un incremento di oltre 4 punti percentuali su base annua. Il valore dell’export, che copre una quota prossima al 40% del valore della produzione, ha mostrato risultati eccellenti: con 2,8 miliardi di euro, si è di fronte a una crescita a doppia cifra (+13%) rispetto all’anno precedente. Molto positiva la performance anche nel comparto dei vini a denominazione, che ha generato un fatturato all’origine di oltre 7 miliardi di euro, con un balzo in avanti del +5% sul 2013, in un momento di sprint anche oltre frontiera: +4% il giro d’affari generato all’estero (4,3 miliari di euro). Proprio sul fronte del mercato estero va ricordata un’importante novità che da qui ai prossimi anni potrebbe avere rilevanti ricadute positive sulle performance di esportazione dell’agroalimentare nazionale. Si hanno grandi attese dal piano straordinario — il più grande mai fatto in termini di risorse — sul made in Italy varato dal Governo che, tra le numerose azioni

messe in campo, ha già portato alla creazione di un segno unico distintivo del nostro food&beverage. Con il claim ‘The Extraordinary Italian taste’ il segno distintivo persegue l’obiettivo di rendere immediatamente riconoscibili presso i punti vendita esteri i veri prodotti italiani per contrastare il fenomeno dell’Italian sounding che penalizza soprattutto le eccellenze quali i prodotti a marchio DOP e IGP. Il presidio di ISMEA sul mondo delle IG, che ha avuto un particolare impulso negli ultimi anni, è destinato a un ulteriore consolidamento. Anche per il 2016 il MIPAAF ha affidato ad ISMEA alcuni progetti specifici, che si affiancano alla stretta collaborazione portata avanti con AICIG (Associazione Italiana dei Consorzi delle Indicazioni Geografiche) e alle attività sui prodotti a IG che saranno realizzate nell’ambito della Rete Rurale Nazionale”. Raffaele Borriello Direttore generale ISMEA (Fonte: Rapporto ISMEA-Qualivita 2015)


Studio preliminare della filiera per valorizzare il prodotto locale

Produzione di carne bovina in Toscana di A. Lombardo, A. Crovetti, R. Bozzi, M. Mari, M. Veronesi, C. Massaro e G. Brajon

I

prodotti agroalimentari tipici rappresentano da sempre un punto di forza per l’economia della Toscana; in particolare, la carne bovina e le sue preparazioni gastronomiche sono riconosciute a livello internazionale come prodotti di alto pregio. La qualità della carne è determinata da numerosi fattori che agiscono sia prima che dopo la macellazione. Tra i primi si annoverano: la genetica dei capi, la categoria produttiva, la corretta conduzione zootecnica e sanitaria, il rispetto delle condizioni di benessere in allevamento e durante il trasporto. In Italia, l’allevamento del bovino da carne è concentrato sull’ingrasso di razze precoci, spesso di provenienza estera, allevate

in maniera intensiva. In Toscana riveste importanza anche l’allevamento tradizionale, che prevede l’utilizzo di razze bovine autoctone, di sistemi semi-estensivi e di produzioni di nicchia a filiera corta. Dopo la macellazione, le tecniche e i tempi di frollatura condizionano la qualità del prodotto finale: la frollatura deve avvenire in tempi sufficientemente lunghi, spesso non conciliabili con le esigenze di mercato. L’indagine condotta si è concentrata sull’origine e la razza dei capi macellati, sulla caratteristica degli allevamenti e le distanze di questi ultimi dai mattatoi, sui canali di commercializzazione e sulla frollatura della carne in Toscana.

Metodo L’indagine riguarda il biennio 20132014, con particolare riguardo ai seguenti punti: • impianti di macellazione di bovini attivi in Toscana1; • razze e origine dei capi (nati e allevati in Toscana, introdotti per l’ingrasso o per la sola macellazione), numero, dimensione e distribuzione delle aziende di produzione, tempi di permanenza in azienda prima della macellazione2; • distanza che intercorre tra gli allevamenti e gli impianti di macellazione3; • tempi di stoccaggio delle carni negli impianti di macellazione, attraverso interviste dirette.

Toro di razza Chianina.

64

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Tabella 1 – Capi bovini macellati in Toscana nel biennio 2013-2014 2 Origine e permanenza

2013

2014

Totale

%

Nati e allevati in Toscana

13.444

13.317

26.761

36,95

Introdotti per l’ingrasso (> 30 gg)

15.668

16.530

32.198

44,46

Introdotti per la sola macellazione

7.039

6.423

13.462

18,59

36.151

36.270

72.421

Totale

Tabella 2 – Distribuzione per provincia dei capi nati e allevati in Toscana nel biennio 2013-2014 2 Provincia

Chianina

Limousine

Meticcio

Totali

Arezzo

2.032

(27,78%)

667

(14,05%)

643

(8,61%)

3.342

(17,12%)

Firenze

283

(3,87%)

1.333

(28,09%)

1.063

(14,24%)

2.679

(13,72%)

1.788

(24,45%)

1.006

(21,20%)

2.179

(29,19%)

4.973

(25,47%)

488

(6,67%)

63

(1,33%)

203

(2,72%)

754

(3,86%)

Lucca

12

(0,16%)

230

(4,85%)

783

(10,49%)

1.025

(5,25%)

Massa

6

(0,08%)

18

(0,38%)

797

(10,68%)

821

(4,20%)

735

(10,05%)

699

(14,73%)

870

(11,65%)

2.304

(11,80%)

Prato

0

(0%)

3

(0,06%)

47

(0,63%)

50

(0,26%)

Pistoia

64

(0,88%)

74

(1,56%)

269

(3,60%)

407

(2,08%)

Siena

1.906

(26,06%)

653

(13,76%)

611

(3,60%)

3.170

(16,24%)

Totali

7.314

Grosseto Livorno

Pisa

Risultati Impianti di macellazione Nel biennio considerato sono stati macellati complessivamente 72.421 capi in 31 impianti di macellazione. I capi sono stati suddivisi in

4.746

7.465

tre categorie in base all’origine e permanenza in allevamento, come descritto in Tabella 1. La percentuale dei capi nati e allevati in Toscana è pari a circa il 37%. Tralasciando i capi che sono introdotti per la sola macellazione (circa il 18,6%, quasi

Figura 1 – Attività degli impianti di macellazione oltre 500 capi/ anno (in giallo: tra 500 e 1.000 capi/anno; in blu: tra 1.000 e 2.000 capi/anno; in rosso: oltre 2.000 capi/anno) 4

19.525

tutti di provenienza francese), una percentuale rilevante (circa il 44%) è di capi macellati dopo essere stati ingrassati in aziende toscane. Oltre il 90% dei bovini viene macellato in 15 dei 31 impianti, distribuiti nelle province di Massa Carrara, Lucca, Pistoia, Pisa, Firenze, Grosseto, Siena e Arezzo. Di questi, 6 macellano tra 500 e 1.000 capi/anno, 4 tra 1.000 e 2.000 capi/anno e 5 oltre 2.000 capi/anno (Figura 1). Commercializzazione delle carni Nei 31 impianti di macellazione attivi in Toscana le carcasse sono destinate per circa il 57% a grossisti, macellerie o spacci aziendali; per il 40% alla grande distribuzione organizzata e per circa il 3% a privati. Permanenza delle carcasse negli impianti di macellazione e frollatura delle carni Il mattatoio esegue quasi sempre una lavorazione conto terzi e raramente è proprietario delle carcasse lavorate. Dopo la macellazione, il

66

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76% delle carcasse viene mantenuto nelle celle refrigeranti per meno di 48 ore. Solamente l’8% viene mantenuto per più di 15 giorni: sono carcasse gestite per privati o trattate in maniera differenziata per alcune razze (Chianina). Com’è noto, il tempo di frollatura è oggi influenzato delle esigenze commerciali: se i tempi si accorciano, la qualità della carne ne risente. La ridotta permanenza registrata presso gli impianti di macellazione può in alcuni casi essere considerata un inizio di frollatura che prosegue poi presso strutture di grossisti, dettaglianti o macellerie (Grafico 1). Le successive elaborazioni si sono concentrate sui vitelli e vitelloni toscani (56.112 bovini), che rappresentano il 77,5% dei capi totali. Abbiamo infatti escluso i capi introdotti per la sola macellazione e le vacche a fine carriera.

Grafico 1 – Permanenza delle carcasse negli impianti di macellazione

Grafico 2 – Paesi europei d’origine dei capi introdotti per l’ingrasso 2

Origine dei capi introdotti per l’ingrasso Nel Grafico 2 sono rappresentati i Paesi europei e nel Grafico 3 le Regioni italiane da cui provengono, rispettivamente, i 19.881 e 13.995 capi introdotti per l'ingrasso. Razza dei capi macellati La maggior parte dei capi nati e allevati in Toscana è formata da meticci; a seguire, le razze Chianina e Limousine (complessivamente l’88% dei capi nati e allevati in Toscana). La distribuzione della razza Chianina, seppure in espansione, segue una vocazione tradizionale dei territori; la razza Limousine è in forte aumento ovunque, perché ben adattata per rusticità e precocità. Le altre razze autoctone (Calvana, Maremmana, Pisana) sono presenti in numero decisamente inferiore e sarebbe necessario promuoverne un’adeguata valorizzazione (Tabella 2). Per quanto riguarda i capi bovini introdotti (Tabella 3), la maggior parte è di razza Limousine (oltre 15.000 nel biennio) e meticci (complessivamente l’80% dei capi introdotti). Altre razze (alla voce “Altri” in Tabella 3) quali Blonde d’Aquitaine/Garonnese, Aubrac e Charolais, sono in numero inferiore e distribuite nel territorio regionale. Quasi 5.000 capi (20,5%) sono nati in aziende toscane, allevati

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Grafico 3 – Regioni italiane di provenienza dei capi introdotti per l’ingrasso 2

fuori regione e successivamente introdotti per la macellazione. Caratteristica degli allevamenti Negli allevamenti toscani il numero di capi che vengono inviati al macello supera raramente i 100 capi/

anno: questo dato evidenzia che nella regione le dimensioni produttive aziendali sono di piccola/media entità, caratterizzate da un adeguato equilibrio di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, coerente con i principali orientamenti euro-

67


Tabella 3 – Distribuzione per provincia dei capi introdotti per ingrasso in Toscana nel biennio 2013-2014 2 Provincia

Limousine

Meticcio

Totali

Arezzo

74

(0,54%)

153

(1,74%)

227

(1,01%)

Firenze

402

(2,94%)

631

(7,18%)

1.033

(4,60%)

4.528

(33,11%)

159

(1,81%)

4.687

(20,86%)

25

(0,18%)

5

(0,06%)

30

(0,13%)

Lucca

996

(7,28%)

380

(4,32%)

1.376

(6,13%)

Massa

104

(0,76%)

337

(3,83%)

441

(1,96%)

2.362

(17,27%)

1.937

(22,04%)

4.299

(19,14%)

0

(0%)

17

(0,19%)

17

(0,08%)

3.841

(28,09%)

1.082

(12,31%)

4.923

(21,92%)

342

(2,50%)

181

(2,06%)

523

(2,33%)

1.002

(7,33%)

3.906

(44,45%)

4.908

(21,85%)

Grosseto Livorno

Pisa Prato Pistoia Siena Altri Totali

13.676

pei per produzioni di qualità. Le aziende che introducono i capi per ingrasso hanno invece dimensioni medio-grandi; una di queste, in provincia di Grosseto, arriva addirittura a fornire oltre 4.300 capi/anno di razza Limousine (anno 2014). Tempi di permanenza nelle aziende dei bovini macellati in Toscana I capi bovini nati e allevati in Toscana rimangono nelle aziende per un periodo di tempo in media pari a 504 giorni, con picco fino a 700 giorni per le razze autoctone (Chianina e Maremmana). I capi bovini introdotti per ingrasso permangono sul territorio toscano per un periodo in media pari a 263 giorni. Distanza tra gli allevamenti e gli impianti di macellazione Le distanze sono comprese tra 0,2 e 157,9 km. I capi di razza Chianina percorrono in media distanze più lunghe (33 km) rispetto ai capi di razza Limousine (20 km) e ai meticci (19 km). L’ubicazione degli allevamenti di razza Chianina si concentra infatti in zone montane o aree marginali. Tuttavia, la durata dei viaggi è sempre inferiore al limite di otto ore fissato dal Reg CE 1/2005 riguardo ai cosiddetti “viaggi lunghi”, per i quali sussistono requisiti più restrit-

68

8.788

22.464

tivi in merito all’autorizzazione al trasporto e alle caratteristiche dei mezzi. Gli impianti di macellazione sono dunque ben distribuiti sul territorio e la loro distanza dagli allevamenti garantisce condizioni ottimali per il mantenimento di adeguati livelli di benessere animale. La durata dei trasporti non costituisce un fattore di rischio per la qualità della carne toscana, anzi può rappresentare un elemento differenziale nei confronti dei capi che vengono introdotti da fuori regione per la sola macellazione. Discussione Dalla presente indagine emerge che l’allevamento del bovino da carne in Toscana è per lo più di tipo tradizionale, con allevamenti semi-estensivi di dimensioni medio/ piccole. Soltanto un terzo dei 72.421 capi macellati nel biennio 20132014 è nato e allevato sul territorio regionale e l’84% dei rimanenti bovini introdotti, sia per l’ingrasso che per la sola macellazione, è di origine francese. Tra i capi nati e allevati, la razza Chianina riveste sicuramente grande importanza sia per diffusione che per tipicità e qualità. La razza Limousine, tuttavia, si sta affermando come realtà emergente e sta sostituendo in parte

la Chianina: in provincia di Firenze è ormai la razza da carne più diffusa. La rete degli impianti di macellazione è ben distribuita sul territorio e consente tempi di trasporto brevi, contribuendo al mantenimento di adeguati livelli di benessere animale. Un aspetto che dovrebbe essere meglio curato riguarda la frollatura delle carni che spesso, a causa delle esigenze commerciali, risulta non essere adeguata per valorizzare la qualità della carne prodotta localmente. A tal proposito, potrebbero essere introdotte tecnologie innovative, come ad esempio la spettroscopia nel vicino infrarosso (NIR), che aiuterebbe gli operatori della filiera a monitorare i tempi di frollatura raggiungendo il miglior livello qualitativo e ottimizzando i costi legati alla permanenza delle carcasse nelle celle refrigeranti. Infine, accanto ai marchi di tutela storici legati a particolari razze, l’istituzione di un nuovo marchio “Toscana-Toscana” da parte dell’Associazione Regionale Allevatori per la valorizzazione di tutti i capi nati e allevati in Toscana potrà garantire e promuovere la qualità anche dei capi meticci, che rappresentano un’altra quota significativa del prodotto locale. A. Lombardo M. Mari G. Brajon Ist. Zoop. Sp. del Lazio e della Toscana “M. Aleandri” – Sezione di Firenze A. Crovetti R. Bozzi Università di Firenze – Dip. di Scienze delle Prod. Agr. e dell’Ambiente M. Veronesi C. Massaro Associazione Regionale Allevatori della Toscana Note 1. Servizi Veterinari Regione Toscana. 2. Banca Dati dell’Anagrafe Zootecnica Nazionale, presso Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale”, Sede di Teramo. 3. Geographical Information System (GIS). 4. Cartografia di Google Earth®.

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Hamburger vegetariani: agropirateria o imbroglio commerciale? di Giovanni Ballarini

S

econdo gli ultimi rilevamenti di EURISPES, il numero degli Italiani vegetariani e vegani nel 2015 risultava essere l’8% della popolazione, una percentuale in aumento, dato che, nel 2013, era il 6%. Parallelo è l’incremento del valore nelle vendite di alimenti per questa categoria di consumatori: nel 2015 le bevande sostitutive del latte sono cresciute del 17%, i formaggi di soia del 24%, le zuppe di verdura pronte del 38%. Il fatturato annuo

della vendita di prodotti a base vegetale e sostitutivi di quelli a base carnea, nei supermercati italiani, è stimato a 320 milioni di euro. Il fenomeno si riscontra anche in altri paesi. In Europa, la Germania ha una posizione simile all’Italia; in Svezia e Austria le percentuali dei vegetariani sul totale della popolazione oscillano tra il 7% e l’11%. In Russia, USA, Francia, Spagna, Giappone e Cina i vegetariani oscillano tra il 2% e il 4%, e in India si

arriva, per motivi religiosi, al 30%. Diversi i motivi di questa crescita, soprattutto etici e salutistici. In questo quadro non devono stupire alcuni fenomeni di agropirateria e di imbroglio commerciale che bisogna conoscere. False denominazioni e agropirateria negli alimenti per vegetariani e vegani In Italia si è continuamente e giustamente scandalizzati dal fenomeno

Il veganismo è un movimento filosofico basato su uno stile di vita fondato sul rifiuto — nei limiti del possibile e praticabile — di ogni forma di sfruttamento degli animali (per alimentazione, abbigliamento, spettacolo, ecc…). Il termine è un’italianizzazione di quello della lingua inglese “veganism”, derivante da “vegan”, neologismo ideato nel 1944 da Donald Watson.

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di età giovanile o giovanilistica dei consumatori vegetariani e vegani. Credo quindi sia venuto il momento di proteggere le denominazioni di latte, burro, formaggio, che devono essere riservate solo ai prodotti confezionati con latte, e di impedire l’uso di termini quali “latte di soia o di riso”, “burro vegetale”, “formaggio di soia” e simili. In modo analogo è venuto il tempo di esigere che la denominazione di “hamburger” sia riservata soltanto alle preparazioni di carne e non di miscele di vegetali con aggiunta di additivi quali i gelificanti e gli addensanti.

Nel 2014 Kale Walch, insieme alla sorella Aubry, ha aperto “The Herbivorous Butcher” all’interno del mercato agricolo di Minneapolis. Oggi l’attività va a gonfie vele e il business è stato ampliato con la vendita dei prodotti anche on-line. delle contraffazioni semantiche: è il caso del Parmesan o del Reggianito, termini usati per indicare un falso formaggio Parmigiano Reggiano, la cosiddetta “agropirateria”. Allo stesso modo, ci si oppone ai formaggi “senza latte”, preparati con latte in polvere (che è poi sempre latte…), mentre si accetta tranquillamente la denominazione di latte di soia o di latte di riso (questi sì sono senza latte!). Nonostante questo, si producono e si vendono il “formaggio di tofu” e i formaggi vegani, il “burro di soia” e diversi salumi, tra i quali

i würstel e gli hamburger “vegetariani”. I formaggi e il burro devono essere preparati esclusivamente con il latte e quindi l’uso di questi termini per prodotti “senza latte” è un imbroglio se non una truffa. Lo stesso vale per i würstel e gli hamburger senza carne! Abbastanza strano è che, per alimenti indirizzati ad una categoria di consumatori attenta a particolari valori, si utilizzino termini quali würstel e hamburger, spesso demonizzati come simboli di cibi spazzatura. Probabilmente si punta alla classe

Alimenti per vegetariani e vegani, nuovo affare economico Nel settembre 2014 la rivista di economia MILLIONAIRE pubblicò l’articolo Come fare un sacco di soldi con la rivoluzione vegana. In questo articolo, RICCARDO RICCI segnalava come paradossalmente le persone vegane, così felici e soddisfatte di trovare finalmente un’alternativa percorribile all’alimentazione carnea, siano inconsapevoli del fatto che stanno divenendo una nuova categoria di consumatori da soddisfare in una società sempre più multiforme, sfaccettata, obbediente sempre e solo alle medesime, ferree logiche di sempre. Con il veganismo — prosegue l’articolo — molte persone, gruppi e aziende faranno soldi a palate.

Composizione di alcuni hamburger vegetariani Hamburger 1 (11,56 €/kg) Ingredienti: vegetali 41% (mais dolce 26%, carote 25%, broccoli 24%, cipolle 14%, cavolfiori 11%), acqua, pangrattato 9,5%, riso cotto, olio vegetale di colza, farina di frumento, fiocchi di patate, mozzarella, amido di patate, uovo intero in polvere, cipolla in polvere, amido di riso, sale, senape in polvere, olio vegetale di oliva, pepe nero, lievito, olio vegetale di semi di girasole. Hamburger 2 (18,25 €/kg) Ingredienti: acqua, succo di soia 23%, proteine di soia 23%, cipolle, concentrato di pomodoro, olio di girasole, sale, zucchero, fibre di frumento (garantite senza glutine), succo concentrato di cipolle, gelificante: (metilcellulosa). Prodotto confezionato in atmosfera protettiva. Soia senza OGM. Hamburger 3, biologico (22,16 €/kg) Ingredienti: soia testurizzata idratata* 56,4%, acqua, cipolla*, farina di riso*, aromi naturali, fibra di avena*, glutine di frumento*, addensante (carragenina), olio di cocco, olio di semi di girasole*, addensante (gomma di guar), sale, estratto di lievito, aglio*, addensante (gomma di xanthan), spezie* [*da agricoltura biologica].

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Chi non starà meglio saranno come sempre gli animali, ammesso e non concesso che la loro sorte davvero interessi alle nuove moltitudini di vegan. Secondo Ricci gli animali, infatti, se non perderanno la vita in un macello, la perderanno in altri modi, o saranno costretti a vivere miseramente come prima, seppure (forse) in numero ridotto rispetto alle “ecatombi” attuali. Questo — afferma ancora Ricci, qualora effettivamente si avverasse — è davvero ciò per cui abbiamo lottato per tanto tempo? È realmente ciò che DONALD WATSON, pioniere del veganismo moderno (etico e non dietetico), sperava? Sicuramente no. Per sua fortuna, Watson è morto da tempo e si è risparmiato la pena di assistere alla deriva, che sa tanto di svendita al miglior offerente, di un’ideale e soprattutto — bisogna ribadire e aggiungiamo noi — al suo sfruttamento economico. Una dimostrazione di questo sfruttamento di massa è rappresentato dalle catene vegetariane e vegane presenti nei supermercati che si sono prontamente attrezzati nella nuova direzione. Senza considerare il settore lattiero-caseario, ma soltanto quello delle carni, Coop ha introdotto l’area vegana nel 2013 con la linea ViviVerde, Pam ha puntato su Veg&Veg, Esselunga ha scelto VeganOk, Despar la linea Veggie. Dietro a questi marchi ci sono aziende che producono per la Grande Distribuzione molti prodotti, dalle zuppe e verdure confezionate ai würstel e hamburger vegetariani. Alcuni settori dell’industria alimentare si sono specializzati nel produrre alimenti per vegetariani e vegani rielaborando ricette della tradizione della cucina orientale, altri hanno inventato preparazioni nuove. Come già denunciato, pur trattandosi di alimenti costituiti soltanto da vegetali e in qualche caso da uova, i prodotti per vegetariani e vegani sono messi in vendita con forme e spesso denominazioni che richiamano gli alimenti di origine animale. Sul mercato troviamo “straccetti”, “bistecche”, “hamburger” rigorosamente vegetariani e senza

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Vegan burger (photo © Eduardo Lopez, Fotolia). carne e non sempre il consumatore si rende conto che si tratta di surrogati il cui costo è spesso nettamente superiore agli originali fatti con carne, latte e/o uova. Non ultime, a entrare nelle vendite di alimenti per vegetariani e vegani — non paia un’eresia — vi sono le macellerie. Macellerie vegetariane Secondo il Dizionario della lingua italiana, la macelleria è un “luogo adibito alla vendita delle carni macellate”, ma — rileva AGOSTINO MACRÌ — nel corso degli anni questi esercizi hanno ampliato la gamma

dei generi in vendita con i salumi, le uova e anche con preparazioni gastronomiche pronte per essere cotte o semplicemente riscaldate prima di essere consumate. Lo hanno fatto per andare incontro alle esigenze dei consumatori, ma anche, e forse soprattutto, per arginare la spietata concorrenza della Grande Distribuzione. Anche per le macellerie una nuova nicchia di mercato è rappresentata dai vegetariani e dai vegani, che hanno a volte difficoltà a reperire alimenti che corrispondano alle loro esigenze e che le macellerie

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In foto, un vegan butcher statunitense al banco prodotti tra panature, crocchette, frittelle e pronti a cuocere, tutti rigorosamente senza carne. Anche in Italia il fenomeno è in espansione. A febbraio il portale scattidigusto.it ha segnalato l’apertura del locale Da Mimì, la prima macelleria vegetariana di Bari (fonte: goo.gl/kiGJJs). classiche non sono, appunto, in grado di offrire. Per questo, alcuni macellai hanno pensato bene di mettere in vendita alimenti per vegetariani e vegani, modificando le insegne dei propri negozi, al fine di attrarre una clientela più vasta e incrementare gli affari. L’evidente contraddizione di termini che esiste nella dizione macelleria vegetariana è però utile a vegetariani e vegani, che ritrovano con maggiore facilità i loro cibi, e ai macellai, che ampliano il numero di potenziali clienti. Agli onnivori però — afferma sempre il professor Macrì — deve essere spiegato che si tratta di cibi completamente differenti e che eventuali prezzi più elevati non dipendono da una migliore qualità o sicurezza, ma da fattori economici legati ai costi di produzione, al fatto che si tratta di prodotti di nicchia con minore diffusione e — aggiungiamo noi — anche da strategie commerciali.

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Hamburger vegetariani, una questione di prezzi Gli hamburger di carne hanno un costo variabile da 1,00 a 1,50 euro cadauno, con un prezzo medio per kg di € 12,39, compreso tra 11,48 €/kg e 13,30 €/kg. Il loro costo mediamente contenuto è dovuto al fatto che, nella preparazione, si usano tagli di carne caduti in disuso in cucina, ad esempio quelli che un tempo erano destinati ai lessi, ai bolliti e ai brodi. Si usano anche le carni di non alto valore gastronomico, come quelle delle bovine da latte a fine carriera. Da un’indagine riguardante sette hamburger vegetariani, è risultato un prezzo medio di 17,66 €/kg, con un minimo di € 11,56 e un massimo di € 22,16. Rispetto agli hamburger di carne, si tratta di un prezzo nettamente superiore, con una variabilità altrettanto maggiore, che non si può spiegare soltanto con i costi di produzione o la minore

diffusione perché in posizione di nicchia di mercato. Indubbiamente, il maggior prezzo degli hamburger vegetariani è usato come strumento di differenziazione e identificazione di un prodotto che, di per sé, ha una bassa qualità nutrizionale, ma un’alta qualificazione simbolica, indirizzato a una categoria di consumatori che non guarda tanto al prezzo quanto al soddisfacimento di valori extra-nutrizionali. Lo stesso avviene già per molti altri beni di consumo. Per esempio, il prezzo di un orologio non è più legato alla sua precisione (ottima anche per i modelli da poche decine di euro), ma al suo valore simbolico, iniziando dalla marca. A conferma che gli alimenti per vegetariani e vegani sono, forse, oggi, soprattutto un grande affare economico, per questo capace d’indurre in mistificazioni e imbrogli! Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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TENDENZE

La migrazione dei Millennial e il panorama retail Sono i nati tra gli anni ‘80 e il 2000, un target potenzialmente interessante dal punto di vista economico ma difficile da raggiungere per le aziende. Nielsen Italia propone un’analisi su questa fascia di consumatori negli Stati Uniti che può rilevarsi utile per capire trend emergenti nel mondo della distribuzione di Ombretta Capodaglio

I

l panorama retail è destinato a modificarsi molto nei prossimi cinque anni, ma nonostante le molte sfaccettature che gli scenari potranno avere una cosa è certa: i distributori dovranno prestare sempre più attenzione ai Millennial.

E questo non solo perché i Millennial rappresentano ad esempio circa un quarto della popolazione degli Stati Uniti (oltre 11 milioni della popolazione in Italia), ma anche perché il loro potere d’acquisto è destinato a crescere man

mano che questi consumatori “invecchiano”. Mentre i membri di questo gruppo maturano fino ad entrare nel gruppo principale dei consumatori, produttori e distributori dovranno tenere conto delle loro esigenze,

Secondo la società multinazionale americana General Mills, i Millennial sono più istruiti, eterogenei per provenienza e nazionalità, meno fedeli alle marche tradizionali. Essi prediligono negozi e supermarket di ridotte dimensioni nei quali sono facilmente disponibili tutti i prodotti freschi e freschissimi. Sempre secondo General Mills, essi hanno dei valori ben radicati in relazione ai prodotti agroalimentari che acquistano: sono più orientati al biologico, ai cibi più autentici e semplici e stanno tendenzialmente alla larga dai dolcificanti, dai conservanti e additivi (fonte: Paul Ebelling, Live Trading News; photo © Henrik Sorensen, www.gettyimages.it).

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delle loro preferenze di acquisto, dei loro spostamenti e della crescente capacità di spesa. Nielsen stima che negli Stati Uniti la spesa dei consumatori nella Grande Distribuzione e nella ristorazione (bar e ristoranti) raggiungerà 5,7 miliardi di dollari ($) entro il 2020. Questo è un dato su cui produttori e distributori devono focalizzarsi se sono interessati ad accaparrarsi una fetta di questa crescita. Il primo passo è individuare da dove arriverà questa crescita… ovvero, individuare i Millennial. Una generazione sempre in movimento Rintracciare i Millennial potrebbe essere più difficile di quanto si possa pensare, visto che molti sembrano pronti a trasferirsi nel breve termine. Infatti, solo il 25% dei Millennial intervistati da NIELSEN (survey condotta nel 2015) ha risposto che prevede di vivere nella stessa zona in cui vive ora nei prossimi cinque anni. Ciò significa che il 75% dei questi consumatori emergenti ha in programma di trasferirsi, soprattutto in grandi città e città universitarie. Secondo le previsioni dello studio “Tale of 2,000 Cities” del Demand Institute, i prezzi delle case nelle grandi aree metropolitane potrebbero aumentare fino al 33% in più rispetto ai prezzi del 2012 e l’aumento del valore delle case sarà probabilmente trainato dai Millennial che cercano di mettere radici. Per commercializzare in queste città in rapida espansione, produttori e distributori dovranno concentrarsi sulle future abitudini alimentari. Ad esempio, può sembrare che i ristoranti abbiano monopolizzato l’out-of-home, ma i negozi di generi alimentari hanno già iniziato a rispondere a questa tendenza con la propria offerta definita “grocerant”. Il grocerant copre tutte le esigenze di pasto con piatti pronti da consumare on-the-go oppure in-store, con una particolare predilezione per il cibo etnico. Secondo lo studio Grocery Shopper Trend del 2015 del Food Institute Marketing, il 34%

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Ma chi sono questi Millennial? Hanno tra i 15 e i 33 anni, li chiamano Millennial, Echo Boomer ma anche Y, Next o Net Generation: sono i ragazzi nati tra l’inizio degli anni ‘80 e i primi anni Duemila nel mondo occidentale. Una generazione caratterizzata da un maggiore utilizzo e una maggiore familiarità con la comunicazione, i media e le tecnologie digitali, ma anche segnata da un approccio educativo neo-liberale, derivato dalle profonde trasformazioni avvenute negli anni Sessanta. “I primi a non aver bisogno di un adulto per reperire informazioni (anzi, sono loro a ‘istruire’ genitori e insegnanti)” scrive Costanza Rizzacasa d’Orsogna sul blog del Corriere della Sera. “Gli sdraiati, i ‘me me me’. Che per strada sbattono contro i pali della luce perché hanno la testa infilata nello smartphone… Una generazione segnata da grandi conquiste sul fronte della parità, ma che ha sacrificato la famiglia (il 75% dei Millennial è single, il 62% ritiene che un figlio ritardi la carriera, il 42% non ne vuole)”. Il termine Generazione Y apparve per la prima volta nell’agosto del 1993, in un editoriale sulla rivista Ad Age che descriveva i teenager del momento definendoli come separati dalla Generazione X. L’autore Elwood Carlson chiama la generazione americana nata tra il 1983 e il 2001 dei “New Boomers”, in virtù della ripresa delle nascite dopo il 1983. Questa generazione presenta infatti forti aumenti di natalità simili all’aumento delle nascite che caratterizzò gli anni ‘50 e ‘60, la cosiddetta generazione dei baby boomer. L’Osservatorio Birra Moretti, presentato a Expo 2015, ha voluto puntare la lente di ingrandimento sul loro mondo, andando a verificarne la passione per la cultura alimentare in generale e quelle italiana e regionale. Ciò che emerso in modo inequivocabile è che la cultura gastronomica li appassiona moltissimo. Ai nostri Millennial piace mangiare bene, l’82% si considera addirittura un buongustaio, prendersi cura di sé anche attraverso l’alimentazione e, nonostante le limitazioni economiche, ben l’86% si dichiara disposto a spendere di più per acquistare cibi di qualità (photo © livetradingnews.com).

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degli intervistati preferisce il “prendi e vai” dei punti vendita piuttosto che il ristorante. I Millennial si muoveranno entro il 2020 in termini di localiz-

zazione della propria abitazione, di occupazione e di preferenze di acquisto. I produttori e distributori che vogliono catturare la generazione Y devono cercare di conseguenza

soluzioni che soddisfino il loro bisogno di praticità, economicità e localizzazione. Ombretta Capodaglio Nielsen Italia, www.nielsen.com

La guida ai Millennial carnivori USA L’organizzazione statunitense CBB, ovvero Cattlemen’s Beef Promotion And Research Board, che raccoglie un centinaio di produttori e importatori di carni bovine tra manzo, vitello, vacche da latte, lo scorso ottobre ha finanziato e pubblicato la Guide to Millennial Meat Eaters, ovvero la Guida ai consumatori di carne Millennial. Negli USA questa generazione consuma la carne? Che cosa sceglie al ristorante? Quanto è disposta a spendere? Grazie a questa indagine alcune risposte a queste ed altre domande sono state trovate. Riportiamo alcuni risultati dell’indagine sui Millennial carnivori, dei quali. • il 36 % mangia 3 o più porzioni di carne bovina alla settimana; • l’80% ritiene che i benefici della carne di manzo siamo superiori agli aspetti negativi; • l’80% afferma che il prezzo di una bistecca al ristorante è abbastanza giusto oppure “costoso ma ne vale la pena”; • il 18% ritiene invece che la carne bovina sia troppo onerosa e il suo prezzo elevato non giustificato dalla qualità del prodotto; • il 40% ha scelto della carne di manzo nell’ultima cena al ristorante; Generalmente disposti a spendere di più per una carne di qualità e fortemente attratti dalla possibilità di scelta e dalla varietà del menu (il 91% è attirato dalla carne di manzo proposta nel menu di un locale se disponibile in tagli e porzioni diverse), quando i Millennial scelgono di mangiare carne bovina al ristorante il loro conto medio è di circa 42$ a testa, un importo significativamente più alto rispetto alla media in quanto solitamente, se scelgono questa tipologia di carne rossa, essi tendono a ordinare anche altro (es. un dolce e il vino). Fonte: beefboard.org

Photo © workthatmatters.blogspot.com

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Mangiare insetti: tanti i vantaggi, diversi gli aspetti da approfondire Le varietà disponibili e la loro resa strabiliante sono aspetti positivi. Da definire, invece, le questioni microbiologiche, le possibili allergie e la corretta gestione di questi prodotti di Giulia Mauri

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urante l’interessante seminario “L’altro cibo, il cibo degli altri, Negozi, ristoranti etnici, insetti e…”, ha avuto occasione di intervenire con un’articolata

presentazione VALERIO GIACCONE del Dipartimento di Medicina Animale, Produzioni e Salute dell’Università di Padova. Il suo compito è stato quello di presentare gli insetti come

“alimento possibile” dal punto di vista normativo, di scoprire l’alimento insetto e gli aspetti di salute pubblica legati all’entomofagia. «Durante l’evoluzione l’uomo si è nutrito

Nel Future Food District a Expo 2015 erano esposte, in apposite “teche”, le confezioni di insetti che potremo acquistare e consumare nel prossimo futuro (photo © Fotogramma).

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regolarmente di insetti e tutt’ora in Africa, Asia e Americhe questi animali sono visti come integratori della dieta» ha esordito Giaccone. Anche gli antichi Romani li apprezzavano: è passato alla storia il cossus, un piatto a base di larve di Lucanus cervus allevate su farina e vino. Ancora oggi si mangiano formaggi coi vermi, ad esempio il Furmai nis e il Casu marzu. Infine, esistono formaggi con gli acari (si tratta dei Tyroglyphus). In un caso e nell’altro (vermi e acari), la loro presenza favorisce la maturazione del formaggio in quanto producono degli enzimi lipolitici. Dunque l’utilità alimentare degli insetti è riconosciuta e va ben oltre la produzione di miele e melata. Eppure noi continuiamo a vedere gli insetti come fonte di pericolo per la sicurezza alimentare, come elementi che distruggono le derrate e le contaminano. Sicuramente esistono anche insetti che svolgono queste azioni di deperimento del cibo. E sono tanti. Ma quanti sono invece gli insetti interessanti dal punto di vista alimentare? Oggi nel mondo si consumano regolarmente più di 1.700 specie differenti di insetti. Il numero di insetti edibili è molto differente nei diversi continenti. Nel 2010 JOHNSON ha registrato le specie mangerecce e ha raggiunto questi risultati: nelle Americhe addirittura il 39% degli insetti sono commestibili (pari a 679 specie), mentre in Europa solo il 2% (41 specie). In Africa è il 30% (524 specie), in Asia il 20% (349), mentre in Australia si arriva solo al 9% (152 specie). Quando parliamo di insetti parliamo in realtà di un mondo vastissimo in termini zoologici. È dunque indispensabile dividerli ulteriormente in gruppi, detti Ordini: ad esempio ci sono i salterini Ortotteri (grilli, cavallette e locuste), gli Isotteri (le termiti), i bei Lepidotteri (farfalle e bachi da seta), gli Emidotteri (insetti arboricoli), i fastidiosi Ditteri (mosche e zanzare), i molto più simpatici Coleotteri (maggiolini e coccinelle), gli strabilianti Imenotteri (formiche, api e vespe). In

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Francia: la vendita di alimenti a base di insetti è già realtà Dalla fine dell’anno 2013 in Francia i supermercati Auchan e Carrefour, sull’onda del successo di alcuni ristoranti di grido che hanno inserito nel loro menu gli insetti, stanno proponendo ai loro consumatori “snack salati a base di cavallette e crema di cipolle”, “vermi insaporiti con la soia” e “larve di bambù al curry”. Fra il disgusto e la sorpresa dei consumatori, l’iniziativa è stata giudicata di successo (a destra, una confezione di grilli croccanti; photo © insecteamanger.net).

tutti questi Ordini si individuano specie edibili. Sono ben 468 fra i Coleotteri e 351 fra gli Imenotteri. I Ditteri sono appena 34, ma tanto, piccoli come sono, sarebbe più la fatica che altro… In totale, sommando le specie di tutti gli Ordini si arriva a 1681 specie commestibili. Adesso, non potete dire che in tutto questo bendidio non trovate nemmeno un prodotto che vi piaccia! Inoltre, dovete ricordare che per molte specie è possibile mangiarle in vari stadi di crescita. Insomma, non è certo la varietà di gusto e forme ciò che manca nell’entomofagia! Appurato che gli insetti commestibili sono davvero parecchi, passiamo brevemente in rassegna alcuni vantaggi del loro allevamento (di cui abbiamo già parlato nell’articolo “Insetti: perché sì, perché no”, in EUROCARNI n. 3/2014, pag. 72): questi animali hanno uno straordinario indice di conversione alimentare perché sono pecilotermi, ovvero consumano meno energia e convertono meglio i vegetali rispetto alle specie zootecniche classiche. Sono molto prolifici e a rapido sviluppo, come ben sa chi non li apprezza in casa propria. Necessitano di pochissimo spazio vitale ed emettono poca CO2. Hanno una resa al macello in media pari addirittura all’80% del peso vivo. Per convincerci del fatto che non sono poi così male Giaccone gioca anche un’ultima carta: di in-

setti ne mangiamo già. E parecchi. Senza saperlo ognuno di noi mangia circa 500 g di insetti all’anno sotto forma di coloranti e frammenti. L’americana FDA ammette fino a 60 frammenti di insetti nella cioccolata e 5 uova e 1 o 2 larve di mosca nei succhi di frutta. Bene. Ma quali sono gli aspetti igienico-sanitari che dobbiamo prendere in considerazione per accettare il consumo umano di insetti? Anche per quel che riguarda questi animali, infatti, non è tutto oro quello che luccica. A volte possono contenere metaboliti tossici per loro stessa natura o che sequestrano dall’ambiente. Le sostanze difensive che producono potrebbero causare irritazioni da contatto e allergie per inalazione, ingestione o contatto. Ma questo non ci deve scoraggiare. Dobbiamo solo conoscere bene le specie adatte che possono essere destinate al consumo. Ci sono poi anche aspetti microbiologici da prendere in considerazione. Sono poco conosciuti e gli studi in merito sono pochissimi. Forse sono poco probabilmente vettori attivi di patogeni, ma possono essere veicoli passivi di patogeni e di alteranti che prendono dall’ambiente. E non è una scoperta. Ma anche qui basta attivarsi correttamente: bisogna sottoporre gli insetti a efficaci trattamenti di lavorazione, quali sicuramente la cottura e poi forse anche l’essiccazione, la disidratazione e la marinatura. Giulia Mauri

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A tavola con le carni bianche Il trend degli elaborati avicoli continua la sua incessante crescita, superando le 60.000 tonnellate di vendita in Distribuzione Moderna di Valeria Salucci

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e ricerche Nielsen sul comparto del fresco in Italia mostrano come il consumatore sia sempre più attento al tema del benessere: il 46% degli intervistati dichiara di voler essere costantemente informato sul rapporto tra alimentazione e salute e il 58% sostiene di essere convinto che all’origine della maggior parte delle malattie ci sia un’alimentazione sbagliata. Questo trend nazionale si riflette anche a livello globale: più di nove consumatori su dieci dichiarano di essere disposti a pagare di più per alimenti con attributi salutistici. Tale scenario non appare poi così inaspettato se si pensa all’elevata attenzione mediatica sul comparto dei salumi (spesso associati a concetti di grasso, sale e colesterolo) e sul comparto delle carni (di recente sotto attacco dell’Organizzazione Mondiale della Sanità). In questo scenario di allerta, a soffrire di più sono i segmenti tradizionalmente più “grassi” quali würstel, precotti e carni in scatola, mentre a beneficiare dei nuovi trend salutistici è sicuramente il comparto degli avicoli, percepito come più leggero, più magro e quindi più sano. Il trend degli elaborati avicoli continua infatti la sua incessante crescita superando le 60.000 tonnellate di vendite in Distribuzione Moderna (+3,4% sull’anno precedente). Il peso fisso, ad oggi, copre l’80% dei volumi generati in Distribuzione Moderna ed è in continua crescita (+13,8%), mentre il peso variabile, che copre il restante 20% dei volumi, cala del -20,1%, confermando la dinamica di travaso della 82

Percepito come più leggero e salutare, il comparto avicolo continua a registrare crescita di vendite nella moderna distribuzione. domanda e dell’offerta dal prodotto a peso variabile a quello venduto a peso fisso. Sul segmento degli elaborati crudi — che copre la metà dei volumi venduti dall’intero comparto — cresce del 2,9% con dinamiche differenti tra peso variabile (-17,6% a volume, incidendo per il 68% del comparto avicolo) e peso imposto (+17,8%, incidendo per il 45% dei volumi a peso fisso del comparto), mostrando anch’esso un continuo calo a favore del prodotto EAN. Gli elaborati panati cotti, invece, che rappresentano il 37% dei volumi del comparto avicolo, tengono a volume (+0,2%), ma perdono a valore a causa di un calo del prezzo medio sui prodotti a peso fisso del 4% rispetto all’anno precedente. Sebbene abbiano un alto contenuto di servizio (trend in forte

crescita a totale Grocery), sono considerati meno “sani” rispetto agli elaborati non panati cotti che infatti crescono a doppia cifra (+13,5% volume) anche grazie ad una battuta di cassa più contenuta, a fronte dei benefici legati al time saving per la preparazione. Il peso del mercato delle carni avicole sul totale dei consumi di carni in Italia è ancora basso rispetto alle medie europee e ricerche Nielsen mostrano che ad oggi c’è un grosso potenziale su questo comparto poiché l’abitudine al consumo è ancora poco diffusa. Questo, unito ad un prezzo al chilo (kg) sensibilmente più basso rispetto ad altre fonti proteiche come le carni rosse, sono buoni presupposti che ci portano ad avere aspettative positive sui trend del comparto anche nel 2016. Nielsen Italia, www.nielsen.com Eurocarni, 4/16



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Quando i big data sposano lo studio dei comportamenti animali

Le nuove tecnologie per l’allevamento dei suini di Giulia Mauri

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a prima conferenza sul Precision Livestock Farming (che potremmo tradurre come “l’allevamento di precisione degli animali da reddito”) che si è tenuta in Europa risale al 2003 e aveva lo scopo di riunire studiosi di diverse discipline per migliorare il benessere animale, la qualità di vita degli allevatori e la sicurezza alimentare. A settembre 2015 si è tenuta quella che ormai è la settima conferenza e gli obiettivi della riunione non sono cambiati. Si è però ormai passati

alla fase applicativa in campo e nei quattro giorni dell’incontro vi è stato tempo anche per ascoltare il giudizio degli allevatori che già oggi stanno sfruttando le invenzioni del Precision Livestock Farming (PLF). Giudizi entusiasti Il cosiddetto “allevamento di precisione” consiste nell’utilizzo di tecnologie avanzate per ottimizzare la resa di ciascun animale. Si basa sull’uso di strumenti di registrazione dei dati in continuo (grazie a microfoni,

telecamere, telecamere a infrarossi, bilance, rilevatori di parametri ambientali, ecc…) e sull’elaborazione — tramite software specifici, spesso già applicati nell’industria biomedica — di questa massa di dati enorme (big data). Grazie a questo processo (basato su algoritmi matematici che integrano i diversi dati in un’unica formula), si ottiene una visione di insieme e molto precisa delle condizioni del gruppo di animali; in certi casi, anche del singolo

In generale, con il PLF è possibile comprendere lo stato di salute e di benessere sociale degli animali raccogliendo quante più informazioni possibili sull’ambiente e sugli input nutrizionali e mettendoli in relazione alle risposte biometriche degli animali, come accrescimento, movimento e altri indicatori (photo © www.mnfarmliving.com).

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“In sostanza, l’allevamento di precisione permette di gestire grandi allevamenti con la cura che si potrebbe dedicare ad uno di piccole dimensioni, in cui ancora si può osservare il singolo soggetto”

Big data, algoritmi avanzati e tecniche innovative sono gli ingredienti principali per rendere il sistema alimentare tutto più intelligente e redditizio. È questo quanto è emerso dalla ricerca “Building a Smarter Food System” di Rabobank, istituto di credito olandese, presentata ad Expo 2015. Entro il 2025, infatti, è previsto un aumento del 30% della domanda mondiale di cibo, per cui l’intero sistema deve essere pronto a rispondere a questa esigenza. Serviranno le nuove tecnologie per ottenere risultati migliori. animale. In sostanza, l’allevamento di precisione permette di gestire grandi allevamenti con la cura che si potrebbe dedicare a un allevamento di piccole dimensioni, in cui è ancora possibile osservare il singolo soggetto. Con le soluzioni del PLF si può superare il concetto che la gestione deve essere basata sul gruppo di animali a scapito del singolo capo. Grazie alle informazioni che si possono ottenere e elaborare, è possibile ora applicare un allevamento quasi su misura per ciascun soggetto, ottimizzandone la resa e garantendogli un livello di benessere molto superiore. Oltre al monitoraggio della situazione aziendale, alcuni software permettono di prevedere l’evoluzione di alcuni fenomeni e quindi di anticipare gli interventi e di prevenire lo sviluppo di situazioni patologiche. Poiché queste previsioni sono basate sull’elabo-

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razione di numerosi e diversi dati sono altamente affidabili. Inoltre, possono avvisare l’allevatore con un sistema di allarme anticipato. In questo modo la salute degli animali è maggiormente tutelata e, di conseguenza, sale la qualità del prodotto alimentare e si riducono gli scarti al macello. Anche i costi di gestione possono essere ottimizzati e razionalizzati: si può tornare alla terapia su singolo capo (se necessaria) e alla razione costruita sui bisogni reali di ciascun animale. Così facendo, i costi sanitari possono calare, come quelli relativi all’alimentazione. Si possono annullare gli sprechi e si può ottenere il massimo da ciascun nutriente e farmaco. La zootecnia del futuro Senza dubbio, il PLF è la zootecnia del futuro: sarà la quadratura del cerchio fra tutela dell’ambiente e del benessere animale, garanzia di

qualità della vita e del reddito per gli allevatori e di salubrità degli alimenti per i consumatori. Le applicazioni nel settore suino sono già numerose, altre sono promettenti ipotesi in via di sviluppo, qui di seguito ne riporteremo alcune. L’ingegnere belga MARTIJN HEMERYCK, che lavora presso la SoundTalks di Leuven, ha presentato il progetto finanziato dalla UE chiamato Pig Cough Monitor, cioè monitoraggio della tosse nei suini. Microfoni e telecamere facilmente sanificabili e protetti dalla condensa e dalla polvere vengono posti in un capannone da ingrasso (ad un’altezza tale per cui risulti impossibile ai maiali masticare le sonde!). I suoni vengono acquisiti, selezionati e classificati in automatico; i colpi di tosse vengono riconosciuti e contati. In relazione al numero di colpi di tosse a al numero di suini nel gruppo, il computer elabora l’indice di stress respiratorio (Respiratory distress index) e una rappresentazione grafica giornaliera con colori indicativi delle condizioni respiratorie del gruppo. I test eseguiti in campo hanno permesso di dimostrare che il sistema funziona nell’individuare precocemente pneumonia e pleurite, prima che l’allevatore colga la presenza dell’infezione. Il sistema può essere usato in combinazione con la diagnostica per effettuare un’efficace sorveglianza e aiuta prendere le giuste decisioni gestionali. Il danese DAN BØRGEN JENSEN ha presentato uno studio finanziato dal Danish Council for Strategic Research denominato Pig IT Project, che mira a migliorare le condizioni di benessere nei suini da ingrasso. Quando gli animali hanno la

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diarrea, si bagna maggiormente la lettiera su cui sono allevati in questo Paese. Di conseguenza, le condizioni di salute e benessere degli animali calano e l’infezione si diffonde nel gruppo. Ciò è dovuto al fatto che i capi malati non usano più correttamente le aree del recinto, orinando e defecando nella zona di riposo oppure dormendo nella zona delle deiezioni. Il progetto mette in relazione tre fattori gestionali quantificabili: l’assunzione di cibo, il consumo di acqua di bevanda e la produzione di liquami per settimana. Il computer conosce i valori standard di consumo e produzione previsti in condizioni di salute degli animali, registra i valori effettivi del gruppo e li confronta con quelli standard, rilevando le anomalie e fornendo un’allerta anticipata all’allevatore. È anche in grado di prevedere l’andamento futuro sulla base della situazione attuale. Jensen ritiene che in un prossimo futuro sarà possibile utilizzare questo sistema di monitoraggio per sviluppare la capacità del PLF di rilevare allerte specifiche. Forse si riuscirà a renderlo tanto preciso da permettere di individuare il gruppo-problema all’interno del capannone. T HOMAS B ANHAZI , invece, ha presentato due progetti di PLF. Il primo è detto Enviro-Detect TM e lavorando su un capannone nel suo insieme permette di registrare nello stesso momento ventilazione, umidità relativa, temperatura dell’aria e concentrazione di anidride carbonica; di conseguenza, permette di assicurare l’ambiente più confortevole per gli animali senza spreco energetico, inutile usura dei

“Il PLF sarà la quadratura del cerchio fra tutela dell’ambiente e del benessere animale, garanzia di qualità della vita e del reddito per gli allevatori e di salubrità degli alimenti per i consumatori”

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macchinari e mantenendo sempre i suini in condizioni di comfort. Il secondo (Weight-Detect TM) è basato sull’utilizzo di telecamere che riescono a valutare il peso degli animali. Elaborando i dati, questo sistema è in grado di rilevare il ritmo di crescita del gruppo sia nel corso di un singolo mese, sia nel corso di un intero ciclo di produzione. È anche capace di comparare il ritmo di crescita di un gruppo con quello del ciclo precedente. In questo modo i ritardi di crescita vengono rilevati precocemente, allevatore e veterinario possono indagare sulle cause e trattarle in tempo utile. Le ricerche sulle scrofe sono state numerose. Come Martijn Hemeryck, anche la brasiliana IRENILZA DE ALENCAR NÄÄS ha presentato uno studio che consente di valutare il benessere utilizzando i suoni, in questo caso i vocalizzi delle scrofe in lattazione. Infatti, la misurazione acustica non è invasiva, è oggettiva e già applicata per lo studio dei suinetti. Il tutto si basa sul fatto che lo stress provoca un rilascio di adrenalina, che comporta un cambio nella frequenza, nell’energia o nella durata di emissione di alcuni vocalizzi. È possibile oggi riconoscere il suono di chiamata per la poppata delle scrofe: questo suono evolve sia con l’età dei suinetti, sia con l’esperienza della scrofa e infatti le primipare emettono un suono leggermente diverso dalle secondipare e dalle altre scrofe più anziane. Si conoscono i suoni di gioco e di lotta per il capezzolo dei suinetti. Si riconoscono i suoni indicativi di stati in cui gli animali provano aggressività oppure un discreto livello di fame o dolore. Queste conoscenze possono essere la base di nuovi sistemi di monitoraggio delle condizioni di benessere da remoto. Interessantissimo l’intervento di MACIEJ OCZAK sul monitoraggio delle scrofe gravide. Oczak ha condotto lo studio presso la modernissima azienda agricola sperimentale dell’Università di Vienna, una struttura in cui si contano numerosi capannoni per l’allevamento di suini, avicoli e anatidi. Dal 2033 in Austria entrerà in vigore la Direttiva

nazionale 3/2012 che prevede una superficie minima di 5,5 m2 per ciascuna scrofa al momento del parto. La norma prevede anche che le scrofe siano tenute nel recinto individuale il minor tempo possibile; di conseguenza gli animali vengono posti in sala parto quando l’evento è ormai imminente e vi rimangono solo per il periodo critico per la sopravvivenza dei suinetti. La direttiva si basa sul fatto che il confinamento della scrofa aumenta la sopravvivenza dei suinetti, ma è un elemento di grande stress per le scrofe e va utilizzato il minimo indispensabile. Oggi però gli allevatori non conoscono con precisione il momento in cui devono trasferire le scrofe nel recinto individuale, in quanto, al termine della gravidanza, il parto ha una variabilità fra scrofa e scrofa di circa 74 ore. Inoltre, nelle ore che anticipano la nascita, le scrofe sentono il bisogno innato di preparare il nido, ammassando e manipolando la paglia. Per tutelare il loro benessere la norma prevede che abbiano la possibilità di manifestare questo comportamento determinato geneticamente. Quindi l’allevatore deve fornire loro in tempo utile il materiale manipolabile. Studi comportamentali hanno rivelato che la scrofa comincia a costruire il nido in un intervallo di 12-6 ore prima del parto. In questo lasso di tempo esplora l’ambiente, raspa, raccoglie la lettiera e la ammassa, manipola gli elementi del recinto. Oczak ha ricercato un sistema di PLF per prevedere con maggior precisione il momento del parto. Ha deciso di sfruttare l’aumento dei movimenti, tipico della fase di costruzione del nido, come campanello di allarme e ha utilizzato una telecamera e un accelerometro Smartbow® applicato all’orecchio delle scrofe. Il sistema ha funzionato e ha colto il cambiamento comportamentale nella scrofa spesso anche 10 ore prima che cominciasse a costruire il nido. Nel 100% dei casi, il sistema ha individuato il cambiamento comportamentale prima che la costruzione del nido fosse terminata. Con

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Alimentazione di precisione per ridurre il tasso di azoto nei liquami Alla settima conferenza europea sul Precision Livestock Farming (Milano, 15-18 settembre), Nathalie Quiniou ha presentato un interessante progetto di precision feeding (“alimentazione di precisione”) nei suini all’ingrasso finanziato da INRA e IFIP. Si tratta di un sistema di per sé non innovativo: pensiamo ad esempio alla cosiddetta “lupa” per l’allattamento artificiale dei vitelli allevati in gruppo, presto abbandonata perché i vitelli ingordi riuscivano a alimentarsi fino all’eccesso, provocandosi indigestioni e dispepsie, mentre quelli più deboli non si alimentavano a sufficienza. Ma il sistema oggi è perfezionato e reso fruibile grazie all’innovazione tecnologica. Quando i suini nel gruppo assumono differenti quantità di alimento, raggiungono pesi differenti pur avendo la stessa età e soprattutto hanno a disposizione differenti quantità di amminoacidi. Proprio gli amminoacidi sono indispensabili per ottenere una buona resa, perché se il tenore dell’alimento è basso i suini non potranno sviluppare la loro massa muscolare al massimo delle potenzialità. Di conseguenza oggi vi è la tendenza a fornire razioni con alti livelli di amminoacidi, il che però comporta maggiori costi economici, maggiori quantità di azoto nei liquami e meno margini di guadagno. Non si può nemmeno fare affidamento sul comportamento degli animali perché se si fornisce loro un’integrazione di amminoacidi ad libitum si avranno grandi sprechi di prodotto, mentre se l’integrazione è razionata si va incontro a fenomeni di competizione fra i vari soggetti, con lotte, stress, ferite e lesioni. Da qui è nato il progetto presentato dalla Quiniou. I suini da ingrasso sono stati dotati di un RF-Id che ne permetteva il riconoscimento. In un recinto di discrete dimensioni sono state create aree con diverse funzioni: alimentazione, riposo e movimento. L’area di riposo era dotata di bilance, che registravano il peso dei singoli capi riconoscendoli grazie all’RF-Id. Nell’area di alimentazione, oltre alla vasca comune, è stato sistemato un alimentatore individuale, raggiungibile solo da un animale per volta e solo all’apertura di un cancello. L’alimentatore aveva un trogolo di raccolta del cibo e una bilancia, per garantire che nel trogolo ci fosse la giusta quantità di alimento per un pasto di un suino. La razione fornita nella vasca comune presentava basse dosi di amminoacidi, mentre l’integrazione era distribuita con l’alimentatore individuale ed era sempre accessibile nell’arco delle 24 ore. Il cancelli dell’alimentatore si apriva solo dopo aver riconosciuto (sempre con RF-Id il singolo capo) e permetteva solo il suo ingresso, dopo di che erogava la quantità di integrazione idonea per quell’animale, stabilita in base al suo peso. Se l’animale non consumava tutta l’integrazione a sua disposizione, il sistema era in grado di rispondere: conservava il prodotto non mangiato per il successivo suino e teneva conto del fatto che il primo animale “aveva diritto” a un secondo ingresso per consumare nell’arco delle 24 ore una quantità pari a quella avanzata. Lo studio ha permesso di ridurre notevolmente la presenza di azoto nei liquami e ha eliminato lo spreco di amminoacidi. Alcuni animali però non hanno mai ben capito il funzionamento dell’alimentatore.

Con il Precision Livestock Farming non solo è possibile valutare l’efficienza dell’accrescimento e le condizioni di salute, ma si possono ottenere anche informazioni sullo stato di benessere e sulle esperienze sociali dei soggetti (photo © www.feednavigator.com).

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questo sistema PLF l’allevatore è in grado di gestire meglio la scrofaia: ha un vantaggio di parecchie ore sull’inizio del parto e può spostare la femmina in procinto di partorire in tempo utile non solo per far nascere i suinetti in un ambiente protetto, ma anche per consentire alla madre di preparare il nido. Gli effetti positivi sono molteplici: aumentano il benessere della scrofa e la salute dei suinetti, mentre si riducono le morti per schiacciamento. Si risparmiano risorse perché il materiale manipolabile viene fornito solo al momento giusto e il riscaldamento per i suinetti neonati può essere acceso con miglior tempismo. Infine, l’allevatore può organizzare meglio il proprio tempo, il che si traduce in un aumento della soddisfazione. Giulia Mauri

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Fattori e costi produttivi di Fortunato Tirelli

L

a gestione di un allevamento zootecnico è composta da fattori e costi produttivi: un binomio inseparabile. Al tempo stesso, mentre i primi sono indispensabili, i secondi sono inevitabili. Tuttavia, entrambi possono subire variabili in relazione al modo di gestirli. I fattori produttivi, nella loro indispensabilità, possono variare in quantità e qualità, in relazione alle tecniche adottate dall’allevatore, influenzate dalla sua preparazione per quanto riguarda la qualità del prodotto acquistato o fornito dal distributore. Perciò, tutto ciò che attiene ai fattori produttivi, anche in relazione ai tempi di consegna, è relativo e deve fare i conti con la preparazione professionale dell’agricoltore. I costi produttivi sono inevitabili, ma possono subire variabili che dipendono dalla quantità e dalle caratteristiche della ditta fornitrice. Si sa che la quantità gioca al ribasso, che gli acquisti fatti fuori stagione aiutano ad avere sconti senza rinunciare alla qualità del prodotto. Un fattore al quale non si deve mai rinunciare e per garantirselo è preferibile acquistare da rivendi-

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tori specializzati e dotati di tecnici assistenti, come i Consorzi agrari. Le condizioni per giungere al reddito presuppongono un significativo impegno per l’allevatore nel gestire questi due fattori, cioè nella professionalità acquisita e continuamente acquisibile nel tempo. Il che significa, in parole povere, aggiornamento continuo per far proprie le conquiste della scienza e della tecnica applicabili all’esercizio della zootecnia. Senza perdere di vista il potenziale che gli allevatori possono e debbono dare a monte della produzione perché i fattori produttivi migliorino in quantità e qualità, compresa la disponibilità ad acquistarli attraverso forme associate, spendendo entro limiti compatibili con i potenziali ricavi. Certamente è importante, se non indispensabile, destinare una quota del credito all’innovazione sia colturale che gestionale, che può riguardare gli indirizzi allevatoriali (specie carne e latte) e la meccanizzazione del lavoro. Tra le strade percorribili, il mercato, la vendita diretta e la trasformazione auto-gestita. Il

mercato, come si va ripetendo, occorre affrontarlo con sufficiente forza contrattuale, raggiungibile soltanto con un ben organizzato associazionismo economico, di cui in Italia c’è tanto bisogno. La vendita diretta, ormai nota come “km zero”, può recare un prezioso contributo, ma presuppone risorse e personale famigliare, mentre la trasformazione autonoma, considerata la chiave di volta per ridimensionare il monopolio dell’industria alimentare e accorciare la filiera, richiede risorse e manager capaci. Il discorso della filiera richiama una realtà che merita di essere sottolineata, perché è un percorso che richiede alle componenti un dialogo risultato finora insufficiente, in quanto si è permesso ad alcune di esse di assumere comportamenti che sono andati a svantaggio di altre, con conseguenze di carattere economico che hanno alterato i risultati finali, cioè la ripartizione del valore aggiunto. Su questo passaggio si deve riflettere, perché un dialogo mirato a trovare soluzioni condivise è una condizione per guardare al futuro con la necessaria serenità.

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BENESSERE ANIMALE

Il dolore negli animali: nuovi metodi di valutazione Con il Progetto Awin la ricerca indaga su questa condizione che limita fortemente il benessere. Un campo ancora poco esplorato, tanto più nelle specie zootecniche minori di Giulia Mauri

I

l Progetto europeo Awin – Animal welfare indicators (www. animal-welfare-indicators.net) è uno dei primi ad occuparsi in maniera organica e approfondita del benessere di specie zootecniche considerate a vario titolo “minori”: cavalli, asini, capre, pecore e tacchini. Da decenni l’Europa

emana norme di benessere animale sulla base dei risultati degli studi condotti nelle università di tutto il mondo ed è possibile affermare che gran parte delle fasi di vita degli animali zootecnici sia sottoposta a vincoli normativi: l’abbattimento, il trasporto — compreso quello di animali a terra —, l’alimentazione,

le terapie, gli spazi di allevamento… Tuttavia, esistono specie che pur essendo di interesse zootecnico sfuggono spesso sia alla ricerca sia alla normativa. Ora, però, che il corpus giuridico relativo a bovini, suini e polli è abbastanza articolato, è possibile che i finanziamenti e l’attenzione della UE ricadano

Per quanto la relazione fra animale zootecnico e addetto sia stretta e prolungata, non è detto che essa abbia permesso all’uomo di sviluppare le conoscenze e la sensibilità per individuare i soggetti malati o che subiscono dolore. E questo problema è tanto più rilevante negli allevamenti industriali, in cui il numero di capi è elevato e può capitare che il lavoratore non abbia una lunga esperienza alle spalle (photo © www.animal-welfare-indicators.net). 92

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Fidatevi del Vostro Gusto e scoprirete la differenza. La bresaola e gli sfilacci di carne di cavallo di Giovanni Coppiello sono tutto il meglio e il buono che potete far provare ai vostri sensi. Scoprirete così un piatto unico dai pregi infiniti: ottimo antipasto, intingolo per condire paste bucate, oppure prelibato secondo. Nella foto una delle nostre Ricette Consigliate : Sfilaccetti di Cavallo con Julienne di Verdure. Esecuzione: bollire per qualche minuto le verdure tagliate julienne, guarnire il piatto e condire con un emulsione di olio d oliva e sale di sedano. Ingredienti per 4 persone 200 gr. di Sfilaccetti, 2 Carote, 6 Cucchiai di Olio d Oliva, 2 Zucchine, 200 gr. Cappuccio Bianco,

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La zoppia dei tacchini è una delle situazioni scelta dai ricercatori del Progetto Awin tra pratiche zootecniche, momenti biologici o situazioni ambientali che può provocare dolore in questa specie (photo © www.animal-welfare-indicators.net). sulle specie minori, quelle che sono tipiche di nicchie geografiche o culturali, che non sono rappresentate da un elevato numero di animali o non rivestono un ruolo da protagonisti nell’economia dell’Unione. Ma anche loro sono animali che devono essere tutelati. Non possono esistere animali di serie A e di serie B in Europa! Il Progetto Awin prevede che nel corso degli anni i ricercatori delle università coinvolte si incontrino periodicamente per riportare i risultati dei loro studi e definire i successivi sviluppi del programma. A Praga, fra il 13 e il 15 maggio 2014, si è tenuta la terza

conferenza annuale del progetto. Si è parlato soprattutto della formazione del personale coinvolto direttamente con gli animali e di alcuni sistemi di valutazione del benessere. Oggi parliamo di quest’ultimo aspetto. Tu chiamale se vuoi… emozioni Da tempo immemorabile si studia il livello di benessere ponendolo in relazione con le 5 libertà e con i parametri fisiologici e zootecnici. Il cosiddetto ormone dello stress — il cortisolo —, il calo delle produzioni e delle difese immunitarie, l’innalzamento dei costi di alimentazione e cura, lo scadere delle performance,

l’allungamento dei tempi di accrescimento e di inter-parto… Sono tutti aspetti, questi, quantificabili, in qualche modo standardizzabili per una specie e una razza animale e quindi misurabili in modo riconosciuto dalla comunità scientifica. Con il Progetto Awin si va oltre questi parametri — che sono confermati e, anzi, utilizzati come riferimento e come strumenti di validazione — e se ne introducono di nuovi. Che vengono sottoposti a prove per essere accettati e inseriti nella routine della valutazione del benessere. Questi nuovi parametri si basano su elementi completamente diversi da quelli zootecnici e fisiologici e devono avere il vantaggio di essere facilmente misurabili e percepibili dai soggetti che li utilizzano. Inoltre, devono essere utilizzabili senza far ricorso ad attrezzature specialistiche o costose. Si tratta di parametri che devono essere comprensibili a persone con professionalità varia: dall’allevatore allo studente di medicina veterinaria, dal trasportatore al custode, dal capo stalla al veterinario ASL. A loro modo, questi nuovi parametri e metodi di misurazione sono una rivoluzione, perché comportano l’abbandono degli aspetti più “freddi” della valutazione, per dare ampio spazio e riconoscere la valenza di quelle “sensazioni”, di quegli aspetti di comunicazione inter-specifica che prevedono una

Stati generali del Benessere Animale, la prima edizione a Roma Il Ministero della salute promuove la prima edizione degli “Stati generali del Benessere Animale”. L’evento, organizzato con il supporto del Centro di Referenza Nazionale per il Benessere Animale, si tiene a Roma dal 13 al 15 aprile presso l’Auditorium del Ministero della Salute in via Giorgio Ribotta. Animali d’affezione, animali da reddito e animali utilizzati per la sperimentazione sono i grandi temi della tre giorni formativa, improntata alla condivisione di esperienze dirette, alla presentazione di progetti innovativi, all’analisi di problemi pratici e alla formulazione di proposte operative. Il panel dei relatori comprende rappresentati delle istituzioni, del mondo scientifico, del settore produttivo e delle associazioni protezionistiche. (Fonte: www.salute.gov.it)

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vicinanza emotiva con l’animale. Sono un riconoscimento della sensibilità e dell’empatia a livello scientifico (ma di questo aspetto parleremo più approfonditamente in un prossimo articolo). Durante l’incontro di Praga sono stati presentati i risultati di numerosi studi in cui la valutazione del dolore si è svolta sia con metodi basati su elementi fisiologici, sia su elementi visivi ed emotivi. Si è scelto di utilizzare il dolore come banco di prova di questi nuovi metodi di valutazione perché quelli di analisi del dolore basati sui valori fisiologici, clinici e zootecnici hanno molti limiti che riducono fortemente la possibilità di un utilizzo nella vita di tutti i giorni. Certo, un animale che prova dolore tende spesso a ridurre al minimo i movimenti e appare irrigidito, come contratto. Ma altre volte il dolore provoca nervosismo, agitazione, movimenti a scatto, come ad esempio la colica nel cavallo. Altre volte ancora il dolore dà al movimento una particolarità: ad esempio il dolore cronico da laminite nei cavalli mal alimentati fa sì che questi camminino “come sulle uova”, con passetti piccoli e brevi; la testa poi compie continui movimenti, col fine di spostare il peso del corpo e non sforzare troppo l’arto che compie il passo. Ogni specie ha le sue caratteristiche ed esprime il dolore in modo differente, anche in base al tipo di dolore che deve affrontare. Inoltre, tutte le specie zootecniche hanno subito un’evoluzione che li ha portate a nascondere le manifestazioni del dolore, per evitare di attirare le attenzioni dei predatori. Questo fenomeno — molto marcato per ovini e caprini — era un vantaggio in epoca ancestrale, poiché permetteva all’animale di non rivelare la propria debolezza all’eventuale predatore. Ma dalla domesticazione in poi costituisce più che altro uno svantaggio, in quanto non consente all’uomo che si prende cura dell’animale di riconoscere con chiarezza e rapidità il malessere. E quindi non consente di curarlo efficacemente.

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Per quanto la relazione fra animale zootecnico e addetto sia stretta e prolungata, non è detto che essa abbia permesso all’uomo di sviluppare le conoscenze e la sensibilità per individuare i soggetti malati o che subiscono dolore. E questo problema è tanto più rilevante negli allevamenti industriali, in cui il numero di capi è elevato e può capitare che il lavoratore non abbia una lunga esperienza alle spalle. Ecco perché gli addetti che lavorano a stretto contatto con gli animali devono venire formati per essere in grado di riconoscere la presenza di dolore in un capo. Devono avere sensibilità e attenzione per individuare il soggetto, ma non possono certo basarsi solo sul loro intuito o sul loro “sentirsi vicini” agli animali. Questo la scienza non può accettarlo come presupposto valido. Ciononostante, l’intuizione data dall’empatia verso un animale può essere una buona base di partenza per trovare un sistema di individuazione del dolore che sia immediato e facile da applicare. L’assenza di dolore è un punto cardine della tutela del benessere negli animali. I ricercatori del Progetto Awin hanno individuato alcune situazioni (pratiche zootecniche, momenti biologici o situazioni ambientali) che vengono vissute dalle specie coinvolte nel progetto e che possono provocare loro dolore. Si tratta della castrazione nel cavallo, di diversi tipi di infezioni negli ovini e nei caprini, della decornazione e di interventi di mascalcia nelle capre, di densità animale e di manipolazioni da parte dell’uomo nei periodi pre e post-parto in ovini e caprini, di zoppie nei tacchini. Tutte queste situazioni potenzialmente dolorose sono state analizzate dai ricercatori del Progetto Awin utilizzando contemporaneamente sistemi consolidati e affidabili e sistemi di nuova introduzione. I risultati sono stati confrontati e molto spesso sono risultati sovrapponibili. Aspettiamoci dunque di poter valutare presto lo stato di dolore negli animali domestici con maggiore semplicità e immediatezza. Giulia Mauri


NUTRIZIONE

Consumare carne e salumi nel modo giusto Per un corretto consumo di carne e salumi è necessario non solo fare attenzione al metodo di cottura e alla loro trasformazione, ma anche seguire alcuni accorgimenti per sfruttarne al massimo le proprietà nutritive

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ffetto “sazietà”, connubio con alimenti ricchi di vitamina C e qualità del prodotto italiano: sono alcuni degli elementi più importanti da tenere a mente quando si parla di carne. Dopo il parere positivo su un consumo moderato di carne emesso, su richiesta del Ministero della Salute, dalla Sezione competente del Comitato Nazio-

nale per la Sicurezza Alimentare (CNSA)1 — che considera questo alimento “un’importante fonte di proteine ad alto valore biologico e di altri nutrienti essenziali per la vita, soprattutto in alcune fasce d’età e condizioni di salute” — la nutrizionista ELISABETTA BERNARDI, autrice del libro “Oggi cosa mangio”, fornisce 5 preziosi consigli per consumarla in

modo corretto. «Nella nostra dieta la carne è un alimento che, in quantità moderate, non deve mancare, in quanto sicuro e importante fonte di nutrienti essenziali per l’organismo» sottolinea la Bernardi. «Come affermato di recente dal CNSA, le carni rosse e trasformate non sono la causa principale dei tumori, la cui insorgenza deriva da più fattori

La cottura è un fattore importante per la salubrità e la valorizzazione dell’alimento carne. Particolarmente indicate e salutari sono la cottura al vapore o in una buona padella antiaderente. La prima conserva le qualità organolettiche della carne, la seconda evita la produzione di sostanze nocive per la salute solitamente dovuta alla cottura ad alte temperature (photo © Jacek Chabraszewski, alimentazione.pazienti.it).

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di natura individuale, comportamentale e ambientale, incluse le abitudini alimentari. Consumare carne in tutta tranquillità è quindi possibile, ancor più se si seguono alcuni piccoli accorgimenti». I magnifici 5 Ecco cinque consigli fondamentali per consumare al meglio carne e salumi: 1. è consigliabile consumare carni

“Oltre il 92% degli Italiani è onnivoro e continua a seguire un regime alimentare vario, ispirato al modello mediterraneo, consigliato per la presenza di alimenti sia di origine animale che di origine vegetale”

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rosse e salumi in combinazione con gli alimenti contenenti vitamina C. «L’aggiunta di succo di limone in un piatto a base di carne o il consumo di un frutto a fine pasto — anche di una spremuta d’arancia — grazie al contenuto in vitamina C, non solo facilita l’assorbimento del ferro libero presente nella carne rossa, come accade per i vegetali, ma neutralizza quasi completamente i rischi legati a sostanze potenzialmente dannose dovute alla non corretta cottura o a sostanze utilizzate in alcune trasformazione alimentari» afferma la nutrizionista. «Non è un caso che nella carne trasformata venga aggiunto acido ascorbico, ossia la vitamina C»; 2. la carne si può rivelare un’alleata preziosa della linea grazie al suo elevato effetto saziante e al basso contenuto calorico. «L’effetto anti-fame è dovuto alla soppres-

sione della grelina, l’ormone che stimola la fame, provocato dalla digestione delle proteine. Per stare attenti alla propria forma fi sica è importante preferire un taglio di carne magro (ad esempio il filetto per le carni rosse, il prosciutto per il suino e il petto di pollo per quelle bianche)» sottolinea Elisabetta Bernardi. «Una recente ricerca pubblicata su una prestigiosa rivista scientifica ha esaminato l’effetto delle proteine della carne suina o dei salumi consumate durante il pasto sulla sensazione successiva di fame. Lo studio ha chiaramente dimostrato che un pasto a medio o alto contenuto di proteine derivate dalla carne suina diminuisce la sensazione di fame fino a quello successivo»; 3. il modo migliore per preparare un buon piatto a base di carne può essere riscoprire la cottura al vapore o utilizzare una buona padella antiaderente. La dottoressa Bernardi ricorda che «grazie al vapore gli alimenti mantengono quasi inalterate le loro proprietà nutritive ovvero non perdono vitamine e minerali preziosi di cui tra l’altro la carne è molto ricca. La cottura a temperature elevate o con il cibo in diretto contatto con una fiamma, come il barbecue o la frittura, soprattutto se prolungata, produce invece diversi tipi di sostanze chimiche cancerogene (come gli idrocarburi policiclici aromatici e le ammine aromatiche eterocicliche), un rischio che non insorge con l’utilizzo di padelle antiaderenti di buona qualità»; 4. «c’è spesso molta confusione sulle quantità corrette per un consumo ideale di carne — prosegue la Bernardi — è bene quindi ricordare che, all’interno di una dieta varia ed equilibrata, si può consumare una porzione da 70-100 g di carni rosse e/o bianche 3-4 volte la settimana e 50 g di salumi 1-2 volte la settimana»; 5. infine, è importante acquistare prodotti di provenienza nazio-

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nale, la cui sicurezza è garantita da una rigorosa normativa e da un sistema sanitario tra i più strutturati a livello internazionale, grazie ai circa 4.500 veterinari ufficiali che ne fanno parte, con ispezioni e controlli quotidiani non solo sul prodotto finito ma su tutta la filiera produttiva. Un regime alimentare vario, ispirato al modello mediterraneo La sezione competente del Comitato Nazionale per la Sicurezza Alimentare, nel parere fornito al Ministero della Salute, raccomanda di seguire costantemente un regime alimentare vario, ispirato al modello mediterraneo, basato sul consumo diffuso ed equilibrato di cereali, frutta, verdura, legumi, frutta secca, olio di oliva, moderato consumo di vino nell’età adulta e alternanza delle diverse proteine animali (pesce, carni bianche e rosse, latte e formaggi, uova). Questo concetto è ben compreso dagli Italiani: infatti, come confermato dal “Rapporto Italia 2016” di EURISPES3, oltre il 92% della popolazione nazionale è onnivora e continua a seguire una dieta composta da alimenti di origine vegetale e di origine animale, assicurandosi un equilibrio alimentare che è uno dei segreti della qualità di vita e della longevità degli Italiani. Note 1. Per consultare il parere emesso dal CNSA: Sezione sicurezza Alimentare CNSA, Parere n. 15 del 4 febbraio 2016. 2. www.salute.gov.it/portale/ documentazione/p6_2_2_1. jsp?lingua=italiano&id=2473. 3. LEIDY H., HOERTEL H., DOUGLAS S., SHAFER R. (2013), Daily addition of a protein-rich breakfast for long-term improvements in energy intake regulation and body weight management in overweight & obese “Breakfast Skipping” young people, Experimental Biology. 4. eurispes.eu/content/sintesirapporto-italia-2015 (scheda 49).

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Il coniglio, una carne sana, tenera e gustosa di Clara Scaglioni

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el suo famoso libro La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, P ELLEGRINO A RTUSI esprime una interessante opinione, meglio sarebbe dire definizione, sulla carne di coniglio, che riassume in pratica la posizione dei gastronomi di quasi tutte le epoche, anche della presente: “quella del coniglio è una carne di non molta sostanza e di poco sapore al che si può supplire con i condimenti; ma è tutt’altro che cattiva e non ha odore disgustoso, anzi è sana e non è indigesta come quella dell’agnello. Si offre poi opportuna per chi, non avendo mezzi sufficienti a procurarsi carne di

manzo, è costretto a cibarsi di legumi ed erbaggi”. A parte la considerazione che oggi la carne di coniglio non è poi così economica come afferma l’Artusi, è bene osservare come, da parte di alcune persone, esista una certa prevenzione nei suoi confronti. In molti non amano mangiarla, nominarla o, peggio ancora, e lo dico per esperienza personale, trovarsela a propria insaputa nel piatto. Le prese di posizione nei confronti di tale carne hanno, in alcuni casi, un loro reale fondamento dovuto al fatto che precipua caratteristica dell’animale è trasferire il sapore di

ciò che mangia alla sua carne; così, se si è assaggiato un coniglio che ha ingerito fieno greco, questo lo ha reso disgustoso. Se invece è stato allevato con il mangime giusto, è molto buono; e questo è il motivo per cui in tutte le nostre regioni, sia del Nord che del Sud, è preparato con ottime ricette. Le differenze di sapore che si possono eventualmente riscontrare vanno attribuite anche ai diversi ingredienti tipici del territorio, come le tante e profumate erbe aromatiche utilizzate di volta in volta nelle preparazioni locali. Considerati soprattutto in

Un hamburger per palati indomiti con carne di coniglio, formaggio di latte di pecora tostato, misticanza, senape di Digione, cipolla rossa marinata, fichi e albicocca secchi, pera brasata al vermut (photo © imgur.com).

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CARN AMB IDEES - CALL SEBALLUT - CARNE & IDEE


Coniglio e melagrana (photo © Claudia Castaldi, www.vistochebuono.it). passato una fonte di reddito, più o meno cospicua, per chi li allevava, negli ultimi tempi, a livello nazionale, sta gonfiando una diatriba che coinvolge questa carne e prende spunto dal fatto che, essendo ormai molto comune tenere in casa come avviene normalmente per i gatti ed i cani dei conigli da compagnia, si è arrivati alla conclusione che, considerandoli a pieno titolo animali domestici, sia un vero e proprio “delitto” allevarli per ucciderli e metterli poi in pentola. Sono così nati una serie di comitati contro l’utilizzo della carne di coniglio in cucina, appoggiati in particolare dall’ex ministro Michela Vittoria Brambilla. Il coniglio in cucina Polemiche a parte, se si prende in mano un qualunque libro di ricette si nota, sfogliandolo, come siano numerose quelle regionali, antiche e recenti, nelle quali viene proposto il coniglio. La Liguria in particolare fa la parte del leone, essendo la sua carne uno dei punti di forza della

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cosiddetta “cucina ligure di terra”. Davvero speciale è quello cucinato attingendo al variato repertorio di erbe aromatiche della regione, in particolare quello con i pinoli e le pregiate olive taggiasche. Al ristorante, specie se di un certo livello, è raro trovare, proposto nel menù del giorno, un piatto con il coniglio, mentre è certamente più usuale nelle cosiddette “trattorie tipiche. La ricetta più semplice e gustosa è l’arrosto di coniglio condito con aglio e rosmarino, poi servito in tavola con le patate croccanti. Nelle osterie delle Langhe, è consuetudine trovare il coniglio con l’aggiunta del peperone: la loro ricetta più classica. Per non parlare del coniglio alla cacciatora, presente specialmente nella cucina emiliana, dove è molto apprezzato anche come gustoso intingolo della polenta e, specialmente nel modenese, come indispensabile accompagnamento delle crescentine. Sempre nel modenese troviamo il coniglio all’aceto balsamico, in cui la carne, cucinata con il “nettare nero” della

zona, risulta una vera squisitezza. C’è poi il coniglio all’ischitana; quello fritto dorato proposto soprattutto in Toscana; quello alla stimpirata tipico della zona di Siracusa (la parola “stimpirata” ricorda come il fondo di cottura del coniglio, mano a mano che cuoce, venga stemperato con l’acqua). Nelle Marche possiamo gustare il coniglio in porchetta e un detto locale (che suona più o meno così: “il coniglio in porchetta sta alle campagne marchigiane come il brodetto sta alla costa”) esprime quanto questa preparazione sia amata e corrisponda anche alle abitudini della gente del posto. Il rifreddo di coniglio è invece perfetto per un pranzo estivo perché comodo e gustoso, mentre, avvolto a mo’ di cotoletta nel formaggio parmigiano e poi messo in forno a dorare, diventa una portata squisita, degna di comparire al fianco delle specialità servite nei ristoranti più quotati, al pari delle tante carni considerate più nobili. Clara Scaglioni

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Fino al 10 aprile negli Hard Rock Cafe di Roma, Venezia e Firenze il burger aromatizzato Guinness® Irish Stout e Jameson® Irish Whiskey In Irlanda per fare un brindisi si dice sláinte. Per il St. Patrick’s day tutto il mondo diventa irlandese e si appropria di questo termine gaelico. Lo sa bene anche Hard Rock Cafe che ha lanciato un nuovo piatto dedicato alla festa nazionale del Paese verde smeraldo. Fino a domenica 10 aprile, infatti, nei Cafe italiani di Roma, Venezia e Firenze si può brindare con uno sláinte! gustando il Guinness® Irish Stout and Jameson® Irish Whiskey burger in abbinamento ad una classica Guinness. Il nuovo cheeseburger aromatizzato con Guinness® & Jameson® è realizzato con carne Angus certificata, Jameson® Irish Whiskey bacon jam, salsa al formaggio aromatizzata con Guinness® Stout, pomodori e rucola, per un’esperienza irlandese assoluta. Il burger viene servito con patatine aromatizzate. «Per il nostro quinto burger abbinato alla birra, ci siamo impegnati a creare un piatto in cui la carne fosse aromatizzata con ingredienti dalla forte personalità» ha commentato Darryl Mickler, senior director Ricerca & Sviluppo Hard Rock International. Il nuovo piatto va ad aggiungersi all’elenco di abbinamenti di burger e birre di cui fanno parte il Rebel Legendary™ Burger, il Goose Island Tropical Bacon Burger, il Samuel Adams Oktoberfest Schnitzel Burger e il Modelo Especial Bacon Cheeseburger. Ognuno di questi burger, a edizione limitata, è stato creato partendo da una specifica birra, facendole fare una evoluzione nel gusto e utilizzandola proprio nella ricetta del burger. >> Link: www.hardrock.com

Carni e salumi della Garfagnana

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Quel “caratterino” della lepre di Giorgia Fieni

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a lepre un giorno si vantava con gli altri animali: «Nessuno può battermi in velocità — diceva — sfido chiunque a correre con me». La tartaruga, con la sua solita calma, disse: «Accetto la sfida». Inizia così una delle favole più famose di ESOPO, con una lepre che è sì veloce, ma non abbastanza scaltra da vincere una gara contro uno degli animali più lenti al mondo… Quindi diciamo che non è un animale molto pratico. L’ANTICO TESTAMENTO pensava fosse impuro, visto che la sua stagione degli amori dura sette mesi. ARCHELAO DI MILETO (o, più probabilmente, d’Atene) era convinto che, nutrendosene per una settimana, si diventasse molto belli, ma MARZIALE conosceva una donna brutta che poteva testimoniare il contrario. PLINIO IL VECCHIO diceva alle donne sterili di mangiarne per diventare feconde. I medici medievali la consideravano un rimedio contro

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l’insonnia (perché pare che la lepre dorma ad occhi aperti), quelli rinascimentali contro la dissenteria e per guarire occhi e gengive. Nei secoli successivi le testimonianze virano invece verso il gastronomico: nel 1662 BARTOLOMEO STEFANI (“lepri cotte arrosto, tutte lardate di condito, e sopra furono servite con salsa reale, aceto di fior di rosmarino, ed adornati con uccelletti grassi cotti arrosto”) e nel 1883 CARLO COLLODI (“La Volpe avrebbe spelluzzicato volentieri qualche cosa anche lei: ma siccome il medico le aveva ordinato una grandissima dieta, così dovè contentarsi di una semplice lepre dolce e forte, con un leggerissimo contorno di pollastre ingrassate e di galletti di primo canto”). A me piace invece considerarla semplicemente una delle carni più particolari, che richiede attenzioni e cure (anche se alcuni non ricorrono più alla pratica della frollatura e magari la sfumano con un liquore forte, tipo whisky, oppure con rum

e panna). Perché renda al meglio tutti i ricettari consigliano il salmì/ civet o di trasformarla in ragù. Quest’ul timo, ricco e corposo, si abbina bene sia ai gnocchi di patate (anche come ripieno) che alla pasta all’uovo (condimento per i ravioli alle mele o per le pappardelle). Il salmì o civet è invece un procedimento che sottopone la lepre a una marinatura con le erbe aromatiche (è su questo che verte la diversità dell’appellativo, oltre che sulla presenza o meno di sangue e fegato) e vino rosso e poi ad una cottura sul fuoco. Certo, non dovete fare la stessa domanda sulla miglior resa gastronomica della lepre agli chef, perché otterrete le risposte più disparate. Per esempio. BRUNO BARBIERI: «ho inventato dei piatti straordinari con le noci acerbe. Mi piace utilizzarle soprattutto con la selvaggina: con la sella di lepre, giusto per fare un esempio, sono stratosferiche».

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E RRICO R ECANATI : «Lo scampo rincorre la lepre è un piatto in cui la lepre viene cotta sottovuoto e poi rivitalizzata e fatta caramellare in padella; si alterna un pezzo di scampo e uno di lepre… e si accompagna con del brodo di crostacei». MORENO CEDRONI: «Lepre e baccalà li servo su un brodo leggero di lampone e sedano: una deliziosa scoperta di quanto la selvaggina sia versatile e quanto il pesce abbia consistenze a volte carnose». MASSIMO BOTTURA: «nella Lepre nascosta nell’erba colgo il momento in cui il cacciatore spara nel bosco e uccide la lepre: un pane impastato con resine e funghi, a cottura ultimata, rappresenta l’impronta della lepre sulla terra; il profumo del bosco è dato dalle schiume di due caffè, foie gras marinato alla vaniglia, olio essenziale di nocciola, cristalli di sale, tartufo, clorofilla estratta dai vegetali, riduzione di melagrana e rape rosse, gel di funghi. Poi c’è lei: quenelle di lepre cruda e frollata con civet caldo servito in coppa». E ancora. GIANFRANCO VISSANI poggia rombi di polenta al forno e bocconcini di dorso di lepre (rosolati in olio e rosmarino) su una salsa di verdure e aromi (con uvetta e pinoli, un po’ sullo stile della Lepre alla trentina), completa con julienne di agrumi e un filo d’olio e decora con griglie di zucchero caramellato. Ad Identità Naturali 2012, ENRICO CRIPPA ha addirittura trasformato la lièvre à la royale in un bonbon.

“L’Antico Testamento pensava fosse un animale impuro, visto che la sua stagione degli amori dura sette mesi. Archelao di Mileto era convinto che, nutrendosene per una settimana, si diventasse molto belli, ma Marziale conosceva una donna brutta che poteva testimoniare il contrario”

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Pappardelle con sugo di lepre, un classico della tradizione gastronomica italiana (photo © www.aguywhocooks.vn). Spetta quindi a me e al mio fedele ricettario scovare qualche interpretazione che possa esaltare il “caratterino” della lepre, lo stesso che ha suscitato tante attenzioni nell’antichità, senza farcene sopraffare. La prima idea (che, a dir la verità, è di PACO RONCERO) è quella di un hamburger, tanto per dimostrare a chiunque che questo cibo non è solo il junk food di cui parlano i mass media colti. Saremo invece tutti d’accordo, direi, sul Lombo di lepre al fondente e arancia servito con mandorle tostate e porri stufati al burro: il binomio cioccolato e agrume abbinato alla selvaggina credo prolunghino decisamente la stagione dell’amore degli animali trasmigrandola su chi li assaggia! La classica cacciatora al pomodoro si può applicare anche a questo tipo di carne, così come la versione in gelatina… Che fa tanto buffet rinascimentale, però! A proposito: se si ha a disposizione uno spiedo (non dico d’epoca, anche elettrico va bene), la lepre vi cuoce ben bagnata con

crema di latte e poi la si copre con amaretti. Bella presentazione per la lepre rosolata al burro e cognac, disposta a ventaglio e impreziosita da pinoli, uvetta, melagrana e insalata mista alla vinaigrette balsamica. Vira altrettanto decisamente verso le stagioni fredde il bocconcino di lepre avvolto nella pancetta, cotto al forno e servito su crostoni di pancarré spalmati di pâté di fegato d’oca, emulsionando con burro. Il consiglio finale è dunque quello di sperimentare tutte queste varianti, magari per una settimana, e poi sappiatemi dire se avete curato qualche disturbo, ma, soprattutto, se siete diventati più belli. Giorgia Fieni Nota A pagina 104 illustrazione di una lepre. Abbastanza simili ai conigli, le lepri hanno alcuni caratteri morfologici e etologici che le distinguono nettamente dal resto della famiglia dei Leporidi. Nessuna specie di lepre è mai stata addomesticata (photo © www.uv.es).

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MACELLERIE D’ITALIA

Nico & Simo, la carne equina conquista il mercato di Asti Dalle costate alle costine, dal collo ai muscoli fino al cuore e alla nuova frontiera dei pronti a cuocere, la carne di cavallo è protagonista dal 2010 del negozio astigiano. Ma l’offerta è ampia e include anche la carne d’asino, molto apprezzata di Riccardo Lagorio

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a secoli centro di scambio di merci in arrivo dalla costa ligure, seta e spezie da Genova e Savona, in distribuzione verso la pianura per le fiere e le esposizioni a cadenza annuale, terreno fertile per lo sviluppo di un articolato tessuto di banchieri e cambiavalute, Asti ha giocato molto delle sue

attrattive turistiche sul richiamo che ha il Palio. Che, tutti sanno, si corre con cavalli. Curioso destino: il Piemonte è fra le prime tre regioni italiane per utilizzo di carne equina (dopo Puglia e Lombardia, con il 32,2 e il 14,3% rispettivamente) e in Asti si concentra buona parte del consumo, specie grazie alla

macelleria presente all’interno del mercato coperto. Costruzione in stile liberty affacciata su piazza Alfieri, proprio il palcoscenico del Palio, accoglie sotto le semplici volte Nico & Simo, il negozio che dal 2010 gli Astigiani hanno imparato ad associare alla carne equina. Il sodalizio di Nicola

Simona Salerno e Nicola Rabbione.

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Il banco macelleria di Nico & Simo al mercato coperto di Asti. Rabbione e Simona Salerno nasce con l’obiettivo di rispondere alle richieste di consumatori pugliesi, ma dopo qualche stagione si rivela un interessante punto di riferimento per clienti fidelizzati al prodotto non necessariamente con radici nella regione dei trulli. Simona Salerno non è nuova a imprese originali: in precedenza aveva gestito una macelleria equina e di carni di bufalo. «In un primo momento ha prevalso la diffidenza, ma una volta superata questa fase i clienti hanno ben accolto le tre caratteristiche che rendono unica la carne di cavallo: l’elevato contenuto di ferro, un basso contenuto di grassi utile a contenere le calorie, e un buon contenuto di zuccheri che la rendono vagamente dolce al palato. Così l’idea che la carne di cavallo è adatta a tutti, in breve ha conquistato il mercato di Asti», segnala Nicola Rabbione. «I clienti in verità continuano a comprare con l’occhio e la capacità di distinguere la bontà delle carni si è assai affinata negli ultimi anni».

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Ricchissimo di tagli il banco per mettere a disposizione della clientela un’offerta che va incontro a tutte le esigenze: un apposito cartello ne illustra i possibili utilizzi. Si va dalle costate («piacciono molto per la loro tenerezza») alle costine («perfette per l’arrosto: se ne fa un soffritto, poi vengono sfumate con vino e verso fine cottura si spolverano con farina che serve per rapprendere gli umori»), dal collo («poliedrico taglio che si presta per spezzatino, arrosto o carne da sugo, o ancora a fettina come pizzaiola») ai muscoli («da cucinare come bollito o anche arrosto»). Per non dire del cuore, che viene passato in pane grattugiato e uovo, infine fritto. Nei giorni lavorativi la

carne macinata, le fettine di carne utili per farne bistecche e le salsicce (di puro equino, aromatizzate con prezzemolo e finocchio) sono maggiormente richieste. E quando, nel fine settimana, le famiglie si possono permettere cotture più lunghe e complesse, sono i guanciotti a farla da padrone, con il loro tessuto connettivo che si trasforma in una scioglievole e deliziosa collosità. Per ottenere un buon piatto la cottura deve protrarsi per quasi due ore, periodo irrealistico dal lunedì al venerdì per coloro che sono impegnati fuori casa. Meno impegnative le rolate, ovvero arrotolati di lombo e pancia che, legati fra loro, necessitano di un periodo di preparazione di poco inferiore. Se ne possono acquistare

“È il pronto da cuocere la nuova frontiera della nostra macelleria: abbiamo sempre proposto il fresco, ma negli ultimi anni la richiesta dei clienti era divenuta tanto pressante che non si poteva far finta di nulla. Oggi il piatto pressoché pronto risulta di grande interesse commerciale”

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A sinistra: costate di cavallo. A destra: tortillas, tramezzini e svizzere di carne di cavallo. anche già cotti, pronti per essere consumati una volta riscaldati. «È il pronto da cuocere la nuova frontiera della nostra macelleria», continua Rabbione. «Abbiamo sempre proposto il fresco, ma negli ultimi anni la richiesta dei clienti era diventata tanto pressante che non potevamo far finta di nulla: oggi il piatto pressoché pronto risulta essere di grande interesse commerciale». Tanto che Nico & Simo hanno creato un laboratorio esterno al mercato coperto dove si preparano tortillas (sottili sfoglie di mais bianco, dalla apparenza di una piadina, avvolte intorno a carne macinata e spinaci bolliti), tramezzini (triangolari preparazioni di carne macinata con aggiunta di formaggio e rucola o speck e formaggio), polpette, svizzere (anche arricchite di prosciutto e formaggio) e cordon bleu. Ma anche stufati, specie d’asino, assai apprezzati: in breve si ravviva in forno e un secondo piatto gustoso è preparato con poco dispendio di tempo. La macelleria si contraddistingue del resto anche per un’ampia offerta

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di carne d’asino. Ma in assoluto, ci dicono, l’asino è il più apprezzato quando con le sue carni lungamente bollite con verdure e aromi si prepara il ripieno degli agnolotti, conditi a loro volta con sugo d’asino. Il territorio di Calliano, poco distante da Asti, con i suoi appuntamenti di spiccio folclore, ne è divenuto in verità una riconosciuta capitale. Sempre disponibili ad esempio sono le salsicce ed i salami d’asino. Sul versante dei salumi il prosciutto cotto e la bresaola di cavallo godono di una crescente richiesta. In particolare la bresaola si elabora con il lungo-coscia salato e messo in aromi (tra cui spicca il ginepro) per almeno 25 giorni. Una volta trascorso questo periodo di tempo il taglio passa un mese di asciugatura e si colloca in apposita rete. La salsiccia stagionata, con carne tritata con piastra da 4,5 mm, subisce anche una lieve affumicatura, che la rende maggiormente appetibile. Appaiono di certo molto peculiari della zona il cotechino (che vanta il 30% di carne equina) e, soprattut-

to, il salame cotto (preparato con il 50% di equino), mentre diffusi in tutte le aree dove la carne equina è apprezzata sono gli sfilacci (la carne essiccata e sfilacciata), eventualmente da condire con olio (e limone) e verdure. «La stringente tracciabilità attraverso una puntuale lettura del passaporto dell’animale, come richiesto dal Decreto Ministeriale di fine 2009, ha reso la carne di cavallo molto sicura e anche questo fatto ha giocato a favore della crescita di interesse intorno a questa categoria di prodotto. Spetta a noi ora saperla valorizzare assecondando le richieste del pubblico, sempre più dirette a ottenere gusti diversi e pietanze facili da comporre. Questa è la sfida che ci stiamo aggiudicando», ribadisce Simona Salerno. Corre, il cavallo, in Asti. Non solo al Palio. Riccardo Lagorio Macelleria Equina da Nico & Simo c/o Mercato coperto Piazza Libertà 10 14100 Asti Telefono: 331 9438012

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MEAT BLOGGER

Quote rosa in macelleria Amore, passione e tradizione… In viaggio alla scoperta delle macellaie d’Italia di Andrea Laganga

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ell’opinione comune l’arte del macellaio viene sempre descritta o raffigurata attraverso soggetti maschili, vuoi per il lavoro duro e di fatica, vuoi per l’utilizzo di coltelli ritenuti dalla collettività pericolosi e quindi non adatti ad una donna. Maremma che Ciccia ha deciso di dedicare un articolo alle nostre macellaie, per sfatare un mito e far luce sul mondo meat al femminile. In queste pagine, quindi, vi portiamo in giro per il Belpaese, da Nord a Sud, e bussiamo alla porta di alcune delle botteghe macellaie d’Italia. Abbiamo conosciuto maestri delle carni con al fianco le nuove generazioni, bambini cresciuti con la passione della ciccia e dipendenti che con sudore sono riusciti a conquistare l’imprenditoria della bottega. Spesso, però, la motivazione scatenante di una donna nell’avvicinarsi alla carne è ben differente e, a volte, è più particolare di quella di un uomo o anche soltanto più profonda. Chi ha detto che fare il macellaio è roba da uomini? Una donna può fare la macellaia? Personalmente vi rispondo di sì. Pensando ai ricordi della mia infanzia mi viene subito in mente mia mamma. Grande lavoratrice, come capitava spesso in passato, si recava nella bottega di famiglia per aiutare nostro babbo. La ricordo dietro al banco, con la ricetta giusta sempre pronta per ogni cliente, il consiglio deciso e il sorriso spontaneo. Era lei l’addetta alla preparazione dei fegatelli di maiale o degli spiedini, mentre noi figli giravamo intorno a giocare con gli stecchini. Ad

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oggi, se la nostra attività è ad un livello alto è sicuramente anche grazie a lei, ai sacrifici che ogni giorno faceva per la famiglia e per la bottega, come fanno tutte queste donne. Il “mondo della ciccia” è

molto cambiato da allora, come sono mutati i valori e le famiglie e anche le figure uomo/donna si sono rivoluzionate. Siamo andati quindi a intervistare quattro signore del banco carni per farci raccontare il

Adele Chiarenza, contitolare dell’Antica Macelleria Bonaccorso ad Aci Bonaccorsi, Catania, insieme al marito Mario.

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mondo meat visto attraverso i loro occhi. Alida e Maristella Gariglio: sorelle unite da una passione Partendo da Nord, bussiamo alla porta di ALIDA E MARISTELLA GARIGLIO, due sorelle che ogni mattina, grazie ad una incrollabile passione per questo mestiere, portano in giro per le piazze torinesi le loro inconfondibili creazioni a base di carne. Tutte e due vivono la realtà della macelleria fin da piccole e per entrambe, durante il proprio percorso di studi, il richiamo dello stare dietro ad un banco, tra la gente, è stato talmente forte da indurle a 1lasciare tutto e far diventare lavoro una grande passione. Come si fa a coniugare la vita lavorativa in macelleria con la vita privata? «Il tempo è poco — racconta Alida, la più piccola delle due — ma cerchiamo sempre di fare tutto. Non è semplice coniugare il lavoro con la vita privata, ma molto importante è il sostegno sia fisico e psicologico di chi ti sta accanto. Abbiamo sempre creduto che nella vita tutto si può realizzare, basta volerlo. Il segreto è sapersi organizzare al meglio e distribuire le forze». Come è cambiata la macelleria oggi? «Ho avuto il piacere di osservare come sia cambiata la visione della macelleria nel corso di quasi un trentennio. Oggi è necessario “stare dietro” ai tempi frenetici dei clienti, studiare e realizzare prodotti altamente invitanti ma allo stesso tempo veloci e pratici da preparare. Penso che il segreto sia riuscire a racchiudere in un unico prodotto gusto, impatto visivo, velocità e facilità nell’esecuzione». Qual è la marcia in più che una donna ha in macelleria? «Una donna in macelleria mette il cuore e l’anima, quella passione che ti porta a trasformare un pezzo di carne in “emozione”. A tutte le mie colleghe macellaie voglio dedicare il pensiero per cui “Dietro ad una grande macelleria… c’è sempre una grande donna!”».

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Alida e Maristella Gariglio, con i loro preparati a base di carne si spostano nei mercati della provincia di Torino tra Caluso, Rivalta, Gassino Torinese e San Mauro. Adele Chiarenza: amore, famiglia e lavoro Puntiamo verso Sud e arriviamo in Sicilia, dove l’attaccamento ai valori e alle tradizioni è forte. Entriamo nella Macelleria Bonaccorso, in provincia di Catania. A darci il benvenuto è Adele Chiarenza, contitolare del negozio con il marito Mario Bonaccorso. Il suo avvicinamento al mondo della ciccia è stato differente. Tutto nacque 12 anni fa, quando Adele si sposò con Mario, nato e cresciuto nella macelleria dei propri genitori. Per amore decise quindi di intraprendere questa strada insieme a lui. Da subito il suo ruolo in macelleria è divenuto molto importante, occupandosi in prima linea della lavorazione dei preparati, dell’organizzazione del lavoro, curando le pubbliche relazioni e servendo la clientela al banco. Come si fa a coniugare la vita lavorativa in macelleria con la vita privata? «Ovviamente il lavoro mi impegna moltissimo — risponde Adele — ciò nonostante, durante i ritagli di tempo riesco a dedicarmi ai miei tre figli, a mio marito, al mio cagnolino e alla mia casa. Certo, non dico sia semplice, ma in ogni cosa che faccio trovo il lato divertente e così tutto mi viene spontaneo, diventa più leggero».

Come è cambiata la macelleria oggi? «Sicuramente in meglio, perché il cliente è più informato e sa cosa scegliere. Qui ad Aci Bonaccorsi, la nostra attività rispecchia l’antica macelleria di paese. Ci piace rispettare le tradizioni, esaltare la qualità dei prodotti senza usare nessun tipo di conservante. Al naturale prepariamo i vari pronti a cuocere davanti al cliente, mostrando così la genuinità del prodotto finito e la serietà della nostra filosofia». Qual è la marcia in più che una donna ha in macelleria? «Essere donna è già di per sé un qualcosa in più; poi, un consiglio o una ricetta che possa aiutare un cliente nelle varie preparazioni culinarie accompagnati da un sorriso sono sempre graditi. Care colleghe, è dura, ma se si vuole ci si può divertire. Facciamoci forza e facciamo vedere che anche noi sappiamo tenere il coltello in mano!». Serena Laganga: passione per tradizione Non ci resta che esplorare il Centro Italia, la nostra terra, la nostra casa. Per parlare di donne macellaie non posso infatti non prendere in considerazione l’esperienza che nel quotidiano vivo in azienda, dove ogni giorno, assieme a mio fratello

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Serena Laganga, dell’omonima macelleria di Grosseto. Marco e a babbo Beppe, porto avanti la comune passione per la ciccia affiancato da mia sorella Serena. La sua è una passione che nasce per tradizione. Fin da piccoli abbiamo vissuto in questo mondo, fatto di sacrifici e tempo rubato alla famiglia ma anche di soddisfazioni e traguardi raggiunti. Gli studi hanno portato Serena a diventare geometra, ma nel tempo libero ha sempre sentito il bisogno di fare una capatina in macelleria, vuoi per stare con la famiglia, vuoi per il desiderio costante di imparare qualche cosa di nuovo. Dopo qualche anno, ha deciso che il lavoro che faceva per lei era un altro, la sua tradizione la portava a ciò che forse voleva fare meglio, ovvero la macellaia insieme alla sua famiglia. Come si fa a coniugare la vita lavorativa in macelleria con la vita privata? «Sicuramente non è facile, questo è un lavoro a cui devi dedicare molto tempo, specie se sei in una azienda familiare come la nostra. Bisogna dire però che lavorare in famiglia (anche se non è semplice) ti viene incontro nella gestione del

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tempo. Lavoro tutti i giorni, riuscendo però ad occuparmi dei miei 2 figli, della casa e il mio compagno mi sostiene e condivide il mio lavoro». Come è cambiata la macelleria oggi? «La macelleria moderna è in continua evoluzione. Ognuno ha il potere di decide la strada da percorrere, basta avere ambizione e voglia di fare, perché essere macellai oggi ti consente di non limitarti, nel senso che possiamo essere cuochi, artisti nelle preparazioni di prodotti stuzzicanti e bellissimi da vedere, organizzare feste o tutto ciò che vi viene in mente. A noi però piace lavorare su una base di tradizione, offrendo ai nostri clienti esigenti una qualità continua nelle forme tradizionali, naturalmente rivisitate con un pizzico di modernità ed un tocco di fantasia». Qual è la marcia in più che una donna ha in macelleria? «Sicuramente una donna può essere di grande aiuto proprio nell’aggiungere quel tocco di fantasia che può rendere un piatto unico».

Trovare un giusto equilibrio con la marcia in più della passione Alle signore del banco carni voglio dire di crederci, perché la clientela troverà in voi quel valore aggiunto, quella dedizione e cura tipici dei piatti preparati in casa. Andrea Laganga Macellaio e blogger www.maremmacheciccia.com Macelleria di Alida e Maristella Gariglio AMA Carni Srl Via Polesine, 20 – 10020 Cambiano (TO) Telefono:347 9476 806 Le trovate presso i seguenti mercati: Lunedì: Caluso (TO) Martedì: Rivalta di Torino Giovedì e sabato: Gassino Torinese Venerdì: San Mauro (TO) Antica Macelleria Bonaccorso Via Etna 66 – 95020 Aci Bonaccorsi (CT) Telefono: 095 7899813 Macelleria Laganga Via Inghilterra 33 – 58100 Grosseto Telefono: 0564 457539 Web: www.facebook.com/Macelleriasalumerialaganga

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FIERE

Cibus 2016, Parma al centro dell’agroalimentare di qualità Parte il 9 maggio la fiera alimentare italiana più conosciuta nel mondo. Esporranno tutte le maggiori aziende italiane di settore. Novità di prodotto nelle aree tradizionali e in quelle di tendenza del consumo. In arrivo top buyer da ogni continente

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a 18a edizione di Cibus si presenta con un’adesione senza precedenti da parte delle maggiori aziende alimentari italiane e con un’esposizione che copre tutti i settori tradizionali del comparto e tutte le nuove tendenze dell’offerta alimentare. Cibus 2016, Salone Internazionale dell’Alimentazione, organizzato da Fiere di Parma e FEDERALIMENTARE, si terrà a Parma dal 9 al 12 maggio prossimi. Saranno presidiati tutti i

settori: carni e salumi, formaggi e latticini, gastronomia ultra-fresco e surgelati, pasta conserve condimenti, prodotti dolciari e da forno, la quarta gamma, le bevande, prodotti tipici e regionali, ed altro ancora. Grande spazio avranno i prodotti vegetariani e vegani (per entrambi è stata creata la comune etichetta “VEG” che segnalerà gli stand di queste categorie), ma anche prodotti biologici e prodotti con meno grassi, meno sodio, senza glutine,

ecc…«Cibus 2016 si conferma la fiera alimentare più conosciuta e rilevante in Italia e nel mondo» ha dichiarato ELDA GHIRETTI, Cibus brand manager. «L’adesione delle aziende alimentari è fin qui numerosa ed entusiasta. Sanno di trovare una piattaforma che si modella in tempo reale alla domanda del mercato, sia in termini di innovazione che di tipicità. Gioca a nostro favore anche l’incredibile esperienza dei 6 mesi in Expo, col padiglione “Ci-

Il Salone Internazionale dell’Alimentazione si è confermato nel 2014 una grande vetrina di visibilità internazionale con convegni e tavole rotonde su temi di attualità in ambito food and retail.

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A Cibus saranno presidiati tutti i settori: carni e salumi, formaggi e latticini, gastronomia ultra-fresco e surgelati, pasta, conserve, condimenti, prodotti dolciari e da forno, quarta gamma, bevande, prodotti tipici e regionali e altro ancora. busèItalia” che ha ospitato centinaia di buyer esteri». Le novità del 2016 Per quanto riguarda le attività e le novità di Cibus 2016, sono quattro gli ambiti di interesse che verranno presidiati: 1. Sezioni Speciali; 2. Convegni & Workshop; 3. Incoming; 4. Eventi in Città. Il rinnovato padiglione 7 della fiera, valorizzato dal nuovo ingresso Ovest, creato ricostruendo a Parma il padiglione CibusèItalia presente ad Expo, ospiterà in questa edizione sezioni speciali e novità. Nelle sezioni speciali troviamo il nuovo spazio

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halal/kosher, uno showcase dedicato ai prodotti made in Italy certificati halal e kosher. Altra nuova area sarà lo spazio Seafood Expo, dedicato agli espositori del settore ittico dove i visitatori avranno la possibilità non solo di scoprire i prodotti ma anche di partecipare ad incontri ed approfondimenti sul tema, presso la specifica area workshop. Attenzione al retail La 18a edizione della manifestazione vedrà anche un particolare focus sul retail, con un convegno che si concentrerà sul ruolo della Marca del Distributore nello sviluppo dell’export italiano. Altro spazio dedicato all’approfondimento dei

temi legati al retail sarà un’area workshop all’interno del padiglione 7 dove verranno organizzati incontri pomeridiani dedicati all’analisi degli scaffali all’estero e a come vengono presentati i prodotti made in Italy nei principali mercati obiettivo. Risorse sull’incoming L’attività incoming realizzata in collaborazione con ICE/Italian Trade Agency, che svolge da sempre un ruolo chiave nella strategia di Cibus, quest’anno si rafforza con un investimento di oltre 2 milioni di euro, stanziati nell’ambito delle azioni di promozione a sostegno dell’agroalimentare italiano promosse sotto il segno distintivo “The Extraordinary

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Italian Taste”, per ospitare buyer e importatori internazionali. Il piano prevede un’offerta strutturata che aggiunge alla visita della fiera anche retail tour, gala dinner e post show tour presso alcuni stabilimenti produttivi sul territorio. L’attività di incoming è coadiuvata da un’intensa attività di roadshow internazionale, che ha portato gli organizzatori di Cibus ad incontrare professionisti del settore a San Francisco in gennaio per il Winter Fancy Food, al Gulfood a Dubai in febbraio e al Foodex di Tokyo in marzo. Cucina e fuori salone Confermati anche per questa edizione il coinvolgimento della Scuola Internazionale di Cucina Italiana ALMA con Alma Caseus, premio dedicato ai produttori e ai professionisti del settore lattiero caseario, e lo spazio MicroMalto organizzato in collaborazione con Birra Nostra, dove verranno presentate le migliori produzioni di birre artigianali italiane. Il tema dello sviluppo del segmento Fuori Casa sarà invece approfondito grazie ad un convegno dedicato alle tendenze dell’offerta organizzata, collettiva e commerciale. L’appuntamento vedrà coinvolti manager delle catene out-of home e la partecipazione di NPD Group, realtà leader nella fornitura di dati di scenario e comportamenti e trend di consumo nel fuori casa. Sempre per quanto riguarda i convegni, torna l’annuale appuntamento dedicato alle leve promozionali curato dall’Università degli Studi di Parma e Nielsen in

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collaborazione con Fiere di Parma. Al centro dell’incontro le nuove traiettorie della promozione delle vendite e le possibili vie d’uscita dalla saturazione promozionale di prezzo per industria e distribuzione. Torna anche l’edizione 2016 di Ecotrophelia, il concorso per l’innovazione e la sostenibilità dei prodotti alimentari organizzato da Federalimentare e rivolto agli studenti universitari italiani afferenti al settore alimentare. FEDERALIMENTARE presenterà anche un cartellone seminariale che riguarderà programmi di ricerca, innovazione e sviluppo e un workshop scuola e azienda. Per Cibus 2016 è stato rinnovato ed ampliato il fuori salone, il programma di attività nelle strade e nelle piazze di Parma, con “Cibus in fabula” che, forte dall’esperienza di Expo, avrà il suo fulcro nella cornice suggestiva della chiesa di San Tiburzio dove verrà collocata un’installazione di generative art realizzata da FELICE LIMOSANI, “Il piatto del giorno”, e attraverso l’allestimento scenografico dell’Ospedale Vecchio in centro a Parma. Inoltre, si conferma anche per questa edizione la collaborazione con “I Love Italian Food”, che si occuperà di promuovere le produzioni agroalimentari made in Italy al proprio network di food blogger internazionali coinvolgendoli direttamente e invitandoli a seguire le novità presentate in occasione della nuova edizione della manifestazione. >> Link: www.cibus.it

Who? When? Where? L’ingresso a cibus è aperto al solo pubblico dei professionisti del food, retail e HO.RE.CA nazionale ed estero. Nel 2014, oltre 67.000 visitatori qualificati, 12.000 esteri, di cui 1.000 top buyer esteri da 50 Paesi, hanno partecipato a Cibus. Dal 9 al 12 maggio 2016. Dalle ore 9:30 alle 18:00. Presso il Quartiere fieristico, Viale delle Esposizioni 393A – 43126 Parma.

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Fiera Milano: come conquistare in 10 mosse il cliente di domani

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ual è il profilo del consumatore di domani? Già da diverso tempo, ogni anno prova a rispondere a questa domanda Euromonitor International, tra i più autorevoli analisti internazionali nel largo consumo, con la ricerca Top 10 Global Consumer Trends. E tra le dieci tendenze individuate per il 2016 dagli esperti londinesi, molti sono gli spunti per il settore food & beverage. A cominciare dal comprare tempo. Che, si sa, nel mondo frenetico di oggi è il bene più prezioso. Non stupisce quindi che il 35% dei rispondenti affermi infatti di “non avere tempo per cucinare”: un segmento importante, dove però occorre un grande lavoro di educazione alla qualità. Se il 25% considera convenienti i cibi pronti, solo il 13% li trova più gustosi e appena il 5% più sani. In apparente contraddizione è il trend del consumatore agnostico, che “svolazza” da un prodotto all’altro con poca fedeltà al brand: è l’enorme quantità di dati

a disposizione oggi — web in primis — che gli consente di farlo in modo rapido. Paradossalmente, però, il consumatore iper-connesso comincia a risentirne in termini di salute. Cresce il desiderio di “disconettersi” di tanto in tanto e, in risposta, aumenta l’offerta fuori casa di locali con politiche leave your device, come le Spa. Per sfuggire al potere del web, comunque, non si può più contare nemmeno sul bacino di riserva degli anziani: il trend della sfida dell’età ci dice che gli over 60 comprano ormai on-line quasi il 15% dei cibi e bevande, la categoria di prodotti più comprata in rete da questa fascia d’età. Tra i Millennial le propensioni d’acquisto appaiono anche più influenzate da valori, scelte etiche e minore enfasi sul possesso mentre, in generale, sfumano le differenze di genere e i single si confermano big spender. Una conferma riguarda la ricerca di cibi più naturali. Quasi il 50% dei rispondenti mette la presenza

di soli ingredienti naturali in cima alla lista delle motivazioni di acquisto mentre, calcola l’analista, il valore del mercato mondiale dei prodotti bio confezionati supererà quest’anno i 32 miliardi di dollari e quello delle bevande bio sfiorerà i 4 miliardi. Il contraltare è la tendenza cosiddetta del comprare per controllare, dettata da ansie non solo salutistiche ma anche di sicurezza personale. Nel complesso, con qualche chiaroscuro, si conferma l’evoluzione dell’esperienza di acquisto, specie nel mondo food, verso un modello olistico che la vede integrata in un concetto di benessere della persona a tutto tondo. >> Link: www.tuttofood.it

Tuttofood, si lavora per il 2017 (8-11 maggio) Si apre all’insegna della straordinaria risposta degli espositori il 2016 di Tuttofood, la biennale di Fiera Milano dedicata al mondo dell’agroalimentare in tutte le sue declinazioni C’è già stata per il prossimo anno la riconferma di numerosi grandi nomi del settore, delle principali regioni produttive italiane, nonché di associazioni e di aziende e collettive internazionali. Ad oggi è già stato prenotato oltre un terzo della superficie espositiva occupata nel 2015, una situazione identica a quella raggiunta a pari data della passata edizione, pur non essendoci più la concomitanza con Expo 2015, il che evidenzia il ruolo centrale assunto nel panorama europeo dalla rassegna milanese. È inoltre in aumento la partecipazione di produttori internazionali, che — anche grazie all’Esposizione Universale — associano ormai il food a Milano. Una crescita costante che pone Tuttofood in prima linea nella strategia del Gruppo Fiera Milano, che punta in maniera sempre più decisa a rafforzare la leadership delle manifestazioni direttamente organizzate con elevato potenziale di crescita, aumentando la penetrazione dei settori presidiati e la crescita internazionale. «I primi riscontri di questo 2016 — ha dichiarato Corrado Peraboni, AD di Fiera Milano — ci confermano che Tuttofood ha saputo valorizzare al meglio il volano di Expo in un’ottica a lungo termine. Le nuove risorse provenienti dall’aumento di capitale ci permettono di rafforzare ulteriormente le azioni dirette alla crescita dell’internazionalizzazione del nostro business, valorizzando l’appeal del made in Italy. Nel nostro portafoglio spiccano appuntamenti leader in settori dove l’Italia è il riferimento mondiale. La crescente internazionalizzazione è per noi un passaggio indispensabile per contribuire anche nei prossimi decenni all’ulteriore sviluppo del sistema fieristico e dell’intera economia».

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WEEK-END

Le rane di San Ponso di Josette Baverez Blanco

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ornando dalla Francia, dove tante trattorie e ristoranti annunciavano per il mese di aprile la possibilità di mangiare rane locali, l’occhio ha colto con particolare interesse un manifesto pubblicitario riguardante un evento gastronomico ad hoc. Letto, fatto! Curiosi di scoprire, in un paesino a noi del tutto sconosciuto, questa Sagra delle Rane — che quest’anno si svolgerà dal 22 aprile al 1o maggio —, ci siamo inoltrati nell’Alto Canavese, tra Santhià e Torino. San Ponso, a 374 s.l.m., è situato in un territorio che, all’epoca preromana, era attraversato da fiumi e torrenti, costellato da numerosi specchi d’acqua in un ambiente paludoso. Quale miglior habitat per gli anfibi? I Romani fecero un’opera

di bonifica del territorio che rimase però sempre acquitrinoso, permettendo a rane e rospi di proliferare per la gioia degli abitanti del luogo che ne fecero una fonte di sostentamento. Tutt’ora, gli abitanti di San Ponso sono soprannominati “ranër” (in piemontese “quelli delle rane”) e sono fieri di quest’appellativo ormai diffuso largamente grazie alla sagra arrivata alla sua sedicesima edizione (www.sagradelleranesanponsocanavese.it). Ranai e granocchiai Dopo aver ammirato la celebre pieve e l’annesso complesso plebano, edifici religiosi tra i più antichi di tutto questo territorio, con a fianco uno splendido battistero romanico a forma ottagonale (sembra che San

Ponso sia stato addirittura sede di uffici amministrativi dipendenti da Augusta Taurinorun nel primo secolo dopo Cristo), abbiamo avuto la fortuna di imparare tante cose sulle rane e sui ranai, personaggi leggendari della provincia italiana, presenti in tutte le zone paludose e in particolare in Piemonte, in Emilia e nell’Agropontino. I granocchiai (“mangiatori di rane”) si vedevano regolarmente fino a 30 anni fa, nei fossi, lungo i canali e negli stagni. Raccolte le rane, le mettevano su bastoncini di vimini e andavano in giro a venderle “un tanto alla stecca”. Sin dal Medioevo, se non prima, le rane rappresentavano un ottimo approvvigionamento di proteine per i contadini poveri. Durante le due guerre mondiali e nel primo

Rane fritte (photo © armadillobar.blogspot.it).

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pescava con una “calza da donna” che legava ad un amo e che faceva sballonzolare nell’acqua. La rana, curiosa, saltava fuori e si pigliava al volo con il retino. Altri modi per catturarle erano con lo sburlone, rete attaccata a due bastoni trascinati sul fondo del canale, o con la lumaca senza guscio o la margherita senza gambo come esca. Di notte, invece, la rana si pescava con una lampada a carburo e con un panno rosso come esca. Purtroppo non ci sono più rane nei canali emiliani a causa dell’inquinamento e oggi la maggior parte delle rane in commercio proviene dai Paesi balcanici o dal Sud-Est asiatico, congelate in pacchi da 10 chili.

Venditore di rane degli anni ‘30 (photo © it.wikipedia.org). dopo-guerra, le rane erano considerate un piatto povero tradizionale, trasformandosi oggi in leccornia da buongustai o persino alimento dietetico. Il suo sapore, simile al pollo o al pesce di acqua dolce, non è gradito a tutti ma il suo attuale successo risiede nell’alta digeribilità per scarsità di grasso. Oltre alle proteine, contiene Omega-3, vitamina A e potassio. Da piatto contadino alla portata di tutti dato che la pesca era libera, eccolo quindi diventato piatto raffinato e costoso!

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Le rane si mangiano fritte, in risotto, marinate, in guazzetto, con patate o nel sugo. Ricordo ancora il mio grande stupore, appena arrivata in Emilia 35 anni fa, legato alla conoscenza di un pescatore che cucinava una volta all’anno un pranzo intero a base di rane: dieci piatti, oltre ai tradizionali, tra cui i tortellini ripieni, il ragù per le fettuccine, le rane all’aceto balsamico, con i funghi, con le erbe aromatiche... Solo il dessert ne era esente! Questo amico ci raccontava come

Misteri, amuleti e magia La rana è stata e rimane un animale misterioso e non a caso la si ritrova nelle fiabe, investito di poteri magici. Si dice che le rane sarebbero nate dalla terra fecondata dagli acquazzoni estivi o concepite dalla pioggia direttamente nel cielo. Il loro gracidare sarebbe una lode a Dio e interromperlo implicherebbe il ritardare la liberazione di qualche anima sofferente del Purgatorio. Nelle credenze popolari rappresentava un eccellente corroborante: un potere, questo, legato ad alcuni reperti iconografici preistorici nei quali la rana simboleggiava l’utero della grande Dea, capace di muoversi non solo all’interno del corpo della donna, ma anche di uscirne. E se la rana è simbolo di fecondità, il rospo lo è della morte. In certe regioni d’Italia, la ranocchiella è un amuleto simbolico efficace contro il Male e portatore quindi di abbondanza e di fortuna. Un ultima curiosità: come fanno i cugini francesi per le ostriche, la tradizione lombarda e piemontese sconsiglia di mangiare le rane nei mesi che non contengono la “R”! Infine, ricordiamo che sono tante le feste tradizionali dedicate alla celebrazione di questo piccolo anfibio in giro per il nostro paese. Tra le tante, segnaliamo l’ultima domenica di luglio la Festa della rana a Paroletta di Fontanellato, nel Parmense. Josette Baverez Blanco

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LA PAGINA SCIENTIFICA

Pubblicate le Linee Guida della FAO e dell’OMS

La “top ten” dei parassiti d’origine alimentare di Emanuele Guidi

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e malattie infettive causate da parassiti di origine alimentare non hanno ricevuto lo stesso livello di attenzione di altri rischi biologici e chimici presenti negli alimenti stessi. Tuttavia, essi causano un elevato numero di malattie negli esseri umani, tanto che la loro prognosi e decorso potrebbero essere prolungati, gravi, talvolta fatali, ed

esitare in notevoli difficoltà in termini di sicurezza alimentare, con impatti negativi sulle condizioni di vita. Le vie di trasmissione per i parassiti di origine alimentare sono diverse. Essi possono essere trasmessi per ingestione di alimenti freschi o trasformati che sono stati contaminati attraverso l’ambiente, gli animali o le persone. Inoltre,

la notifica alle autorità sanitarie pubbliche non è obbligatoria per la maggior parte delle malattie parassitarie, così relazioni ufficiali non colgono la reale prevalenza o l’incidenza di tali parassitosi, con un’inevitabile sottostima. Il recente rapporto “Multicriteria-based ranking for risk management of food-borne parasites”, oggetto di questa pubbli-

I parassiti influenzano la salute di milioni di persone. La FAO e l’OMS hanno pubblicato una lista dei dieci parassiti di origine alimentare più dannosi al mondo nel dossier “Multicriteria-based ranking for risk management of food-borne parasites”. In foto un particolare della copertina (www.fao.org).

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cazione, emesso e pubblicato dalla FAO e dall’OMS-Organizzazione Mondiale della Sanità (scaricabile al link www.who.int/foodsafety/ publications/mra_23/en), presenta i risultati di una classifica globale di parassiti di origine alimentare dal punto di vista della sicurezza alimentare. Fornisce inoltre una panoramica dello stato attuale delle conoscenze dei parassiti ordinati negli alimenti e del loro impatto sulla salute, e consulenza e orientamento sulle combinazioni parassita, materie prime di particolare interesse, sulle questioni che devono essere affrontate dai gestori del rischio e sulle opzioni di gestione del rischio a loro disposizione. Tale report esplica anche il processo e le modalità di classificazione utilizzate per facilitare la sua adozione a livello regionale, nazionale, o locale. La pubblicazione di questo dossier risulta fondamentale per la valutazione del rischio biologico e contiene informazioni utili sia ai valutatori e gestori del rischio, alla Commissione del Codex Alimentarius, ai Governi ed alle agenzie di regolamentazione, ai produttori alimentari e alle altre istituzioni o stakeholders (portatori di interesse). Fornisce, infine, una classificazione dei parassiti di origine alimentare, del loro impatto sulla sicurezza alimentare e sulla salute pubblica, e i mezzi di sussistenza. I dieci parassiti di origine alimentare più dannosi a livello globale I parassiti influenzano la salute di milioni di persone, causando infezioni nei tessuti muscolari e negli organi parenchimatosi, provocando epilessia, shock anafilattici, dissenteria amebica e altre patologie. Alcuni possono vivere nei nostri corpi per decenni. Nonostante il loro enorme costo sociale e l’impatto che hanno a livello mondiale, l’informazione è spesso carente riguardo a questi parassiti, a come vivono nel corpo, e soprattutto al perché ci fanno ammalare. Le classifiche contenute nel rapporto di FAO e OMS “Multicriteria-based ranking for risk management of food-borne parasites”

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(Classifica a criteri combinati per la gestione del rischio dei parassiti d’origine alimentare), che include anche informazioni su dove possono annidarsi, si basano sul danno che questi parassiti fanno alla salute umana. La lista comprende: 1. Taenia solium (o verme solitario): nella carne di maiale; 2. Echinococcus granulosus (tenia del cane): nei prodotti freschi; 3. Echinococcus multilocularis: nei prodotti freschi; 4. Toxoplasma gondii (protozoo): nelle carni dei piccoli ruminanti, di maiale, di manzo, nella selvaggina (sia nella carne rossa che negli organi); 5. Cryptosporidium spp (protozoo): nei prodotti freschi, nei succhi di frutta, nel latte; 6. Entamoeba histolytica (protozoo): nei prodotti freschi; 7. Trichinella spiralis: nella carne di maiale; 8. Opisthorchiidae (della famiglia dei vermi piatti): nei pesci d’acqua dolce; 9. Ascaris spp (piccole ascaridi intestinali): nei prodotti freschi; 10. Trypanosoma cruzi (protozoo): nei succhi di frutta. Taenia solium La Taenia solium è un parassita della famiglia dei tenidi-platelminti-vermi piatti cestodi. Come tutti i cestodi, T. solium ha quattro ventose sul suo scolice (“testa”). T. solium possiede anche due file di uncini e ha un ciclo biologico molto simile alla Taenia saginata, il “verme solitario del bue”, con alcune piccole differenze. Echinococcus granulosus L’Echinococcus granulosus, agente eziologico dell’echinococcosi cistica, è una tenia che svolge lo stadio di adulto nel cane (ospite definitivo) e lo stadio larvale in diversi mammiferi domestici (bovini, suini, ovini) nei quali si incista (formando appunto le famose cisti). Anche l’uomo può contrarre il parassita. Echinococcus multilocularis L’Echinococcus multilocularis è un parassita appartenente al genere Echinococcus, importante dal


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1) Taenia solium. 2) Echinococcus granulosus. 3) Echinococcus multilocularis (photo © Alan R. Walker). 4) Toxoplasma gondii. 5) Cryptosporidium spp. 6) Entamoeba histolytica. 7) Trichinella spiralis. 8) Opisthorchiidae (Clonorchis sinensis). 9) Ascaris spp. 10) Trypanosoma cruzi (photo © wikipedia.org; wikimedia.org).

punto di vista medico in quanto è causa scatenante, negli animali e nell’uomo, della echinococcosi, diffuso in diverse regioni del mondo. In Europa esso è maggiormente presente nella Francia orientale e centrale, in Svizzera, Austria e Germania. Nel continente asiatico si trova in tutte le regioni occupate dalla tundra, a partire dal mar Bianco fino allo stretto di Bering, oltre che in tutta la parte meridionale dell’Asia, specialmente in Turchia, Afghanistan e nelle regioni settentrionali del Giappone. Nel continente americano la sua diffusione va dalle

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regioni subartiche dell’Alaska fino agli stati centro-settentrionali e meridionali degli Stati Uniti. L’habitat naturale di questo parassita sono i mammiferi carnivori, in particolare canidi e felini. Toxoplasma gondii La toxoplasmosi è una zoonosi causata dal Toxoplasma gondii, un microrganismo che compie il suo ciclo vitale, estremamente complesso e diverso a seconda dell’ospite, solo all’interno delle cellule. Il parassita può infettare moltissimi animali (dai mammiferi agli uccelli, dai rettili ai molluschi) e può trasmettersi

da un animale all’altro attraverso l’alimentazione con carne infetta. Il Toxoplasma condii non si trova solo nella carne, ma anche nelle feci di gatto e nel terreno in cui abbia defecato un gatto o un altro animale infetto (la durata è però breve). Uno studio (presente il link su epicentro-Il portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica, a cura del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, che ha coinvolto diversi centri in Europa, tra i quali anche due centri italiani, uno a Napoli e uno a Milano), pubblicato nel 2000 sul British Medical Journal, indica, tra le principali fonti

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di infezione nelle donne gravide, il consumo di carne poco cotta. Dai risultati emerge infatti che i fattori di rischio principali sono legati all’alimentazione (dal 30 al 63% dei casi dovuti all’assunzione di carne poco cotta). È quindi necessario evitare di assaggiare la carne mentre la si prepara e lavarsi molto bene le mani sotto acqua corrente dopo averla toccata. Lo stesso studio evidenzia che un’altra importante fonte di contaminazione è rappresentata dalla manipolazione della terra degli orti e dei giardini, dove animali infetti possono aver defecato. È quindi necessario che chi svolge attività di giardinaggio si lavi molto bene le mani prima di toccarsi la bocca o la mucosa degli occhi. Lo stesso vale per il consumo di ortaggi e frutta fresca, che devono essere prima lavati accuratamente sotto acqua corrente. Infine, negli ultimi anni si è ridimensionata l’attenzione nei confronti del gatto come portatore della malattia, in particolare se si tratta di un gatto domestico, alimentato con prodotti in scatola, la cui lettiera è cambiata tutti i giorni (le cisti del parassita si schiudono dopo tre giorni a temperatura ambiente e alta umidità). Il vero serbatoio della toxoplasmosi è invece rappresentato dai gatti randagi, che si infettano

cacciando uccelli e topi contaminati e che possono defecare nel terreno rilasciando Toxoplasma anche per diverse settimane. Cryptosporidium spp Il Cryptosporidium è un genere di protozoo che infetta un’ampia varietà di vertebrati; alcune specie infettano l’uomo, provocando un’enterite acuta che si manifesta con diarrea simile a quella colerica e dolori addominali. Entamoeba histolytica L’Entamoeba histolytica è un’ameba parassita umana. Il nome fa riferimento al caratteristico trofozoite (forma vegetativa) mononucleato e alla sua spiccata attività necrotica. A tal proposito è importante ricordare che questa ameba, per i suoi caratteristici fattori di virulenza (lectine, perfluorine, proteasi), è tra le più potenti cellule killer esistenti e costituisce la seconda causa di morte per parassitosi a livello mondiale (40.000-50.000 morti su un totale di 40-50 milioni di infezioni annue). Trichinella spiralis La Trichinella spiralis è un parassita che si rinviene in tutto il mondo e su un gran numero di specie animali, tra cui i topi, i maiali e l’uomo. Può

Parassiti per continente Classificati biologicamente come protozoi ed elminti (ma meglio conosciuti come tenie, vermi piatti e ascaridi), è difficile conoscerne la diffusione a livello globale, perché in molti Paesi non è obbligatorio informare le autorità sanitarie della loro presenza. Alcuni dati importanti: • in Europa, ogni anno più di 2.500 persone sono colpite da infezioni parassitarie di origine alimentare. Nel 2011 si sono registrati nella UE 268 casi di trichinellosi e 781 casi di echinococcosi; • in Asia non ci sono dati precisi, ma si sa che le malattie parassitarie sono ampiamente diffuse e in molti paesi sono riconosciute come uno dei principali problemi per la salute pubblica; • nella maggior parte delle nazioni africane non esiste alcun dato sulla diffusione di parassiti di origine alimentare nell’uomo perché c'è una generale mancanza di sistemi di sorveglianza; • negli Stati Uniti, la neurocisticercosi, causata da Taenia solium, è in alcune aree la singola causa infettiva più comune di epilessia, con 2.000 persone diagnosticate ogni anno. La toxoplasmosi è una delle principali cause di malattie d’origine alimentare che può causare anche la morte.

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attaccare quasi tutte le specie di mammiferi e a volte anche specie di uccelli. È la causa della trichinellosi. Opisthorchiidae L’opistorchiasi è una zoonosi parassitaria emergente causata da trematodi della famiglia Opisorchidae. L’infestazione nell’uomo e negli animali avviene tramite ingestione di pesce d’acqua dolce, crudo o poco cotto, contenente la forma infestante del parassita (metacercarie); la localizzazione del parassita adulto è nei dotti biliari. L’opistorchiasi è una patologia fortemente sottostimata a livello mondiale: essa viene erroneamente ritenuta un problema limitato al Sud-Est asiatico (Tailandia, Laos), dove O. viverrini e C. sinensis sono endemici. O. felineus è invece endemico in Unione Sovietica, Kazakistan e Ucraina. Si stima che nel mondo 17 milioni di persone soffrano di opistorchiasi e che più di 350 milioni siano a rischio, soprattutto in Asia. La diffusione dell’acquacoltura, con scambi commerciali internazionali, il cambiamento delle abitudini alimentari e il turismo favoriscono l’emergenza di questa zoonosi in territori precedentemente indenni. Ascaris spp Ascaris è un genere di nematodi parassiti conosciuti come i “piccoli nematodi intestinali”, che sono un tipo di elminti. Una specie, Ascaris lumbricoides, colpisce l’uomo e causa la ascariasi. Un’altra specie, Ascaris suum, infetta tipicamente maiali, mentre Parascaris equorum infetta la specie equina. Le loro uova sono deposte nelle feci e nel suolo. Le piante con le uova infettano ogni organismo che le consuma. A. lumbricoides è il più grande ascaride intestinale ed è l’infezione da elminti più comune degli esseri umani in tutto il mondo. Tale infestazione può causare morbilità, compromettendo lo stato nutrizionale e i processi cognitivi, e provoca reazioni tissutali, come granuloma a stadi larvali, che in estrema evoluzione nefasta causa ostruzione intestinale, con conseguenze anche fatali. Il ciclo vitale degli ascaridi (Ascaris lumbricoides) si svolge per

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intero all’interno dell’ospite, a cominciare dalle vie orali. È attraverso tale accesso che il parassita si introduce nel corpo umano, per poi raggiungere il piccolo intestino, dove deposita le sue uova. Una volta schiuse, le larve fuoriuscite perforano le pareti intestinali inserendosi nel flusso sanguigno. Trypanosoma cruzi Il Trypanosoma cruzi è un protozoo parassita del genere Trypanosoma, portatore di infezioni e malattie, in particolare la malattia di Chagas (detta anche “tripanosomiasi americana”). T. cruzi viene trasmesso all’uomo dalla cimice Triatoma infestans, attraverso le sue feci. Tali emitteri, infatti, durante il nutrimento defecano, irritando la pelle dell’uomo e provocando prurito. L’uomo favorisce quindi il contagio grattandosi, lasciando entrare in circolo il tripanosoma; il parassita penetra così in diverse cellule, soprattutto nei macrofagi, nelle cellule dei muscoli e in quelle nervose, dove si moltiplica in forma amastigote trasformandosi successivamente in tripomastigote. Nuove linee guida La FAO e l’OMS hanno pubblicato tale lista in risposta alla richiesta della Commissione del Codex Alimentarius (l’organismo che stabilisce gli standard alimentari a livello mondiale) di prendere in esame lo stato attuale delle conoscenze sui parassiti negli alimenti e il loro impatto sulla salute pubblica e sul commercio. L’unità della FAO sulla sicurezza e qualità degli alimenti e l’OMS hanno lanciato un appello congiunto per raccogliere informazioni a livello nazionale. Ad esso hanno risposto 22 Paesi e un organismo regionale. Hanno fatto poi seguito l’analisi e la valutazione del materiale raccolto da parte di 21 esperti per stabilire l’impatto che essi hanno sulla salute umana. Da questo lavoro è stato sviluppato un primo elenco di 93 parassiti. La lista è stata poi ridotta a 24 sulla base dei seguenti criteri: 1) il numero di malattie provocate a livello mondiale;

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la distribuzione globale; la morbosità acuta; la morbosità cronica; l’impatto economico. Il Comitato del Codex sull’igiene alimentare sta ora sviluppando nuove linee guida per il controllo di questi parassiti. La FAO e l’OMS danno la propria assistenza fornendo informazioni scientifiche e tecniche. L’obiettivo è sviluppare nuovi standard per il commercio alimentare globale che aiuteranno i paesi a tenere sotto controllo la presenza di questi parassiti lungo la catena alimentare. «Ovviamente questa lista offre una prospettiva generale e non rispecchia necessariamente le classifiche dei parassiti a livello nazionale, dove ogni paese può avere informazioni più precise», ha fatto notare RENATA CLARKE, responsabile dell’Unità FAO Sicurezza e qualità degli alimenti. «Considerati i problemi che questi parassiti causano, va detto che non ricevono l’attenzione che meriterebbero. Ci auguriamo che, attraverso il rilascio di questa lista, si riesca a sensibilizzare responsabili politici, media e opinione pubblica su questa minaccia per la salute pubblica», ha aggiunto. Il rapporto FAO-OMS elenca una serie di modi per ridurre il rischio d’infezioni parassitarie. Per gli agricoltori, si consiglia l’uso di fertilizzanti organici, che devono essere strettamente monitorati per assicurare che il compostaggio sia corretto e che tutto il materiale fecale sia stato rimossa. Anche la qualità dell’acqua deve essere attentamente monitorata. Per i consumatori, si ricorda che tutta la carne deve essere ben cotta e che, per lavare e preparare le verdure, deve essere usata solo acqua potabile. Emanuele Guidi Bibliografia • FAO-OMS, Multicriteria-based ranking for risk management of food-borne parasites, www.who. int/foodsafety/publications/ mra_23/en • www.epicentro.iss.it • it.wikipedia.org


TECNOLOGIE

Il concetto di Internet of Things approda nel settore carne

Con il CSB-System verso la Smart Meat Factory: incontriamoci a IFFA!

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maggio, come di consueto ogni tre anni, si svolgerà a Francoforte, in Germania, IFFA, fiera internazionale tra le più attese da tutte le aziende che operano nel settore dell’industria delle carni, perché piattaforma ideale per conoscere e presentare nuovi prodotti ad un pubblico internazionale di addetti ai lavori. Anche il gruppo aziendale CSB-System, specializzato nel fornire soluzioni gestionali complete e modulari per l’intera filiera

delle carni, sarà presente tra gli espositori al padiglione 11.1, stand B-81, con il motto “Global IT Excellence for the Smart Meat Factory”. Nello specifico saranno presentate le più innovative soluzioni di elaborazione per immagini e di automazione per la produzione del futuro, verso una trasformazione digitale. «Il settore internazionale della carne attende con ansia IFFA 2016, perché qui si concentrano nuove idee, progetti e trend per i prossimi anni» spiega

SARAH VANESSA KRÖNER, membro del consiglio di amministrazione del gruppo CSB-System. «Coglieremo quest’opportunità per mostrare ai visitatori del nostro stand approcci concreti per la graduale realizzazione della Smart Meat Factory, vale a dire una fabbrica con sistemi di produzione intelligenti nella quale macchine, impianti e prodotti comunicheranno tra loro, laddove oggi gli impianti vengono ancora gestiti centralmente».

Grafico della Smart Meat Factory.

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dei dati lungo l’intera filiera: dal Customer Relationship Management alla pianificazione della produzione, dalla preparazione ordini al Business Intelligence. La transizione verso lo stabilimento che lavora autonomamente favorisce soprattutto l’integrazione del sistema ERP e del Manufacturing-Execution-System; fa in modo che si crei un legame tra gestione aziendale e gestione della produzione e che venga facilitato il collegamento in rete macchina verso macchina. Il CSB-System è disponibile anche tramite “Cloud” per tutti coloro che non vogliono occuparsi dell’infrastruttura tecnologica ma dedicarsi quasi esclusivamente al core business della propria azienda.

In alto: evasione ordini con sorter. In basso: CSB-Eyedentifier. Ruolo centrale invariato per il sistema ERP «Ma attenzione! Anche nell’epoca della Smart Meat Factory — precisa Kröner — il sistema ERP manterrà il suo ruolo di colonna portante tecnico-informatica dell’azienda».

Il gestionale ERP sviluppato dal gruppo CSB-System gestisce senza ridondanze non solo le anagrafiche e i dati relativi ai movimenti ma anche i dati su produzione, macchine e processi. In questo modo viene consentito un utilizzo coerente

“Il settore internazionale della carne attende con ansia IFFA 2016, perché qui si concentrano nuove idee, progetti e trend per i prossimi anni. Global IT Excellence for the Smart Meat Factory è il motto con cui il gruppo aziendale CSB-System, specializzato nel fornire soluzioni gestionali complete e modulari per l’intera filiera delle carni, sarà presente a Francoforte tra gli espositori al padiglione 11.1”

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Automazione completa con CSB-Vision I sistemi automatizzati per l’elaborazione di immagini saranno presentati allo stand D-70, padiglione 11.1 e giocano anch’essi un ruolo centrale nel contesto di Internet of Things. Le richieste di consumatori e catene commerciali su sicurezza e qualità dei prodotti di carne sono elevate. A tale proposito, la linea di produzione CSB-Vision fornisce un prezioso supporto perché è stata sviluppata proprio per ottimizzare l’utilizzo delle materie prime; funzione particolarmente importante nel settore carne, perché qui i costi dell’impiego di materie prime sono più elevati che in tutti gli altri settori. Inoltre, grazie al processo di analisi e valutazione totalmente automatizzato, aumenta la quantità dei prodotti finiti e viene incrementata la creazione di valore aggiunto. Un esempio di nuove possibilità di elaborazione per immagini è la classificazione visiva ed igienica della classe commerciale suina con automatizzazione completa del processo. Qui tutte le informazioni importanti vengono direttamente documentate nel gestionale ERP CSB-System. Avveniristici sono anche l’identificazione, lo smistamento e la destinazione automatizzata degli articoli tramite l’analisi per immagini, come in uscita sezionamento o in entrata produzione e nella classificazione

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Segaossa industriale

Tracciabilità con smartphone. della qualità delle materie prime. A differenza dei controlli manuali spesso errati, invasivi e a volte poco igienici, questa soluzione garantisce una misurazione regolare e costante della qualità. CSB-Linecontrol per produzione e imballaggio sempre sotto controllo «L’esperienza ci insegna che le combinazioni di macchine sono in crescita, le loro differenti prestazioni in ambiente eterogenei, tuttavia, risultano spesso poco trasparenti all’utente. I possibili punti deboli nei processi produttivi e di imballaggio si moltiplicano con conseguente produzione di scarti e quindi di costi» spiega il dott. ANDRÈ MUEHLBERGER, responsabile della filiale italiana del gruppo CSB-System. «È chiaro, dunque, perché abbiamo deciso che il terzo fulcro tematico ad IFFA 2016 saranno le nostre soluzioni integrate per l’automazione di produzione e intralogistica». Al centro vi sono soluzioni con un elevato grado di integrazione e automazione: dal nuovo tipo di gestione magazzini automatici, alla preparazione ordini flessibile e totalmente automatizzata nello spazio più ristretto, fino alla gestione efficiente di macchinari e impianti. Per collegare in rete in modo ottimale le macchine per la pro-

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duzione ed il confezionamento, secondo il concetto di Internet of Things, è a disposizione il cosiddetto CSB-Linecontrol. Con il cockpit è possibile monitorare in modo continuo macchine e impianti e sfruttarli al meglio, riducendo al minimo le sospensioni della produzione e i tempi di fermo. L’efficienza degli impianti rimane quindi ad un livello costante «come verrà mostrato allo stand IFFA della Robotik-Pack-Line» conclude Muehlberger, quasi per esortare i visitatori a visitare gli stand del gruppo CSB-System.

Referente Italia: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

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Atlantis-Pak: budelli plastici permeabili

F

ondata nel 1993, Atlantis-Pak è tra i primi tre produttori a livello mondiale di budelli plastici per l’insacco. La sede è a Rostov, tra le più grandi città della Russia europea. L’idea entusiasmante dell’azienda fu quella di offrire al mercato interno un budello in poliammide monostrato per l’insacco di würstel. Distribuito con il nome di Amipak, fu il primo budello artificiale al mondo per l’insacco di würstel. Il successo fu immediato e enorme: in meno di un anno un quarto di tutta la produzione russa veniva effettuata con Amipak. Il successo è proseguito con molte innovazioni e nuovi prodotti, principalmente per la produzione di salumi. Ai prodotti monostrato si sono infatti aggiunti nel tempo budelli plastici a 5 e a 7 strati, stampabili fino ad 8 colori con inchiostri e tecnologia UV. Oggi Atlantis-Pak ha circa 2.000 dipendenti e, oltre ad essere leader in Russia, è presente in più di 80 Paesi del mondo, tra Europa, America, Africa ed Asia. Per servire meglio i mercati europei, dal

2015 è attivo un centro di converting (stampa, arricciatura e stoccaggio) in Repubblica Ceca. Tra le più interessanti innovazioni degli ultimi anni, Atlantis-Pak ha sviluppato una gamma di budelli plastici permeabili che permette di affumicare i prodotti e avere buoni cali peso in cottura. Inutile dire che si tratta di una piccola rivoluzione: fino ad oggi infatti la plastica era stata utilizzata solo per la produzione di budelli per cottura a calo zero. Per quanto riguarda i salumi italiani, i budelli permeabili Atlantis-Pak sono utilizzabili per le seguenti applicazioni: • cottura di mortadelle IGP, con calo peso in cottura (budelli Amitan Pro-A e iCel M). Il prodotto ha ottima macchinabilità all’insacco ed una buona tenuta del calibro in cottura; è disponibile sia per ovaline (pezzatura da 350 g a 1 kg) che per cilindri da affettato (pezzatura fino a 20 kg) ed è utilizzato con successo da alcuni dei maggiori produttori italiani; • cottura ed affumicatura di würstel da pelare prima del confezionamento

(budello iPeel). Disponibile in vari calibri, particolarmente studiati per le porzioni da 100 g (4 pz/confezione, calibri da 17 a 19 mm) e da 250 g (3 pezzi per confezione, calibri da 24 a 27 mm); studiato per essere pelabile industrialmente con le più diffuse macchine pelatrici; • cottura ed affumicatura di arrosti (budello iCel F). Macchinabilità eccezionale ed alta permeabilità all’affumicatura, molto facile da pelare dopo la cottura. Oltre a ciò, Atlantis-Pak dispone di tradizionali budelli plastici a calo zero per cottura dentro e fuori stampo e per stecche da affettato, oltre a una linea di sacchi termoretraibili dalle eccezionali caratteristiche estetiche (brillantezza e trasparenza), ottima resistenza meccanica e buona termoretraibilità. Per avere più informazioni visitate il nostro sito alla sezione insacco. Non esitate a contattarci per ulteriori chiarimenti e campionature. >> Link: www.lazzaripackaging.com

2

1

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Budelli plastici permeabili. 1) Atlantis-Pak iPeel. 2) Atlantis-Pak Amitan Pro-A. 3) Atlantis-Pak iCel F.

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i budelli plastici che in cottura traspirano come una camicia di lino d’estate

I budelli permeabili Atlantis-Pak sono di plastica, ma in cottura traspirano permettendo di avere il calo peso necessario per ottenere le migliori Mortadelle IGP (anche per affettato). Certificata BRC, Atlantis-Pak produce in Russia con amore budelli plastici e sacchi termoretraibili appositamente sviluppati per i prodotti italiani: Mortadella, Mortadella IGP, Prosciutti cotti, Lyoner, affettati e salumi in genere.

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esto 250 permette di documentare i processi HACCP in modo completo, personalizzabile e senza carta, oltre a supportare l’impostazione guidata di un piano HACCP basato sul Codex Alimentarius. Al di là della sicurezza dei dati raccolti, questo si traduce in un risparmio di tempo e di costi di archiviazione dei dati cartacei. I processi HACCP possono essere analizzati e resi più efficienti con risparmio di tempo e denaro. La soluzione totalmente digitale riduce al minimo gli errori umani che possono verificarsi, ad esempio, quando si compila a mano una check-list. I manager responsabili della qualità possono inoltre tracciare tutti i dati rilevanti per la sicurezza e sono quindi sempre preparati per audit e reclami. Cockpit, unità di controllo e app: i componenti di testo 250 Con il cockpit HACCP testo 250 — il centro di controllo on-line del sistema — il manager della qualità definisce i processi HACCP e le misure correttive, così come tutti i tipi di misura e di controllo. Il cockpit offre anche la possibilità di analizzare i dati misurati in tempo reale e di visualizzare lo stato delle attività mentre vengono svolte. La compatta unità di controllo HACCP testo 250 è stata sviluppata per il personale sul posto impegnato in attività di misura e documentazione. È composta da un tablet ad alte prestazioni, con batteria a lunga durata e un robusto involucro protettivo lavabile in lavastoviglie, sviluppato appositamente per l’impiego in ambienti produttivi e per personale operativo. La app testo 250, preinstallata sul tablet, guida l’utente

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in modo sicuro e senza possibilità di errore attraverso tutte le singole fasi del processi HACCP. I valori misurati sono imputati direttamen-

te o acquisiti tramite Bluetooth. Se i risultati di misura sono critici o se vengono superati i valori limite, la app trasmette immediatamente

Con Testo 250 è finalmente possibile misurare, raccogliere dati ed eseguire controlli tramite check-list elettroniche con procedure e azioni correttive personalizzabili per utente, attività e aree di lavoro. I dati HACCP sono acquisiti elettronicamente e possono essere facilmente rintracciati o analizzati.

Eurocarni, 4/16


istruzioni sulle misure correttive. Sono inoltre possibili la documentazione con fotografie, la scansione dei codici a barre e l’identificazione degli utenti e delle locazioni, tramite targhette NFC associate ad aree di lavoro e relativi processi o alla persona. Il sistema di gestione HACCP può essere facilmente combinato con una rete wi-fi esistente. Non appena viene stabilita una connessione a Internet, tutti i processi, le prove e i valori misurati sono raccolti e archiviati in modo sicuro nel Cloud Testo. In questo modo, tutti i dati sono protetti in modo ottimale e non possono essere persi né manipolati. I dati sono accessibili da PC, tablet e altri dispositivi utilizzando un normale browser.

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SICUREZZA ALIMENTARE

Relazione 2015 sul Sistema di allerta europeo RASFF

I

l sistema di allerta rapido RASFF (Food and Feed Safety Alerts) consente di notificare, in tempo reale, i rischi diretti e indiretti per la salute pubblica connessi ad alimenti, mangimi e materiali a contatto, e quindi di adottare tempestivamente le opportune misure di salvaguardia e comunicarle a tutti i membri del network. Istituito sotto forma di rete, i cui punti di contatto sono la Commissione europea, gli Stati Membri dell’Unione e l’EFSA, si attiva quando un prodotto che presenta, o può presentare un pericolo, ha raggiunto il mercato comunitario. Le informazioni viaggiano attraverso il sistema sotto forma di notifiche che possono essere distinte in: • Allerta – Alert notification (massimo grado di pericolo): rischio grave per la salute, il prodotto è

in commercio e occorre adottare misure immediate; • Informazione – Information: il prodotto a rischio non ha raggiunto il mercato o risulta oramai scaduto; non occorre adottare misure urgenti; • Notizia – News: informazione a carattere generale, relativa ad una non conformità registrata in un Paese Membro o in un Paese Terzo, che può essere utile agli altri per orientare i controlli ufficiali; • Respingimento al confine – Border rejection: informazione relativa al respingimento alle frontiere di una partita non conforme alle norme comunitarie. Dà inizio alla serie dei controlli accresciuti su partite assimilabili per origine e matrice.

Nell’anno 2015 sono state trasmesse, attraverso il Sistema di allerta rapido europeo (RASFF), 2.967 notifiche contro le 3.097 del 2014 e le 3.136 del 2013. Si evidenzia, quindi, una diminuzione delle notifiche, come avvenuto negli ultimi anni, a partire dal 2012. La Commissione europea, a seguito di ulteriori valutazioni sul rischio da parte dei Paesi Membri, ha revocato 63 notifiche, che sono state escluse, successivamente, dal sistema e dal conteggio riportato in questa relazione. La raccolta dei dati per l’elaborazione di questo rapporto si è conclusa il giorno 13 gennaio 2016. La Commissione ha, altresì, trasmesso 39 News (41 nello scorso anno). Complessivamente 2.649 notifiche hanno riguardato l’alimentazione umana (2.604 lo

L’Italia continua ad essere il primo Paese Membro per numero di segnalazioni inviate attraverso il sistema di allerta RASFF, con un totale di 511 notifiche, pari al 17,2%. La Salmonella, ad esempio, è stata riscontrata in diverse tipologie di alimenti di origine nazionale, soprattutto in prodotti per l’alimentazione animale e in pollame (photo © www.globalmeatnews.com).

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state 137. Gli Uffici periferici del Ministero della Salute (USMAF, UVAC e PIF) hanno, invece, notificato 374 irregolarità (369 nel 2014). Numero di notifiche di allerta riguardanti l’origine dei prodotti Per quanto riguarda l’origine, i prodotti nazionali risultati irregolari sono stati 115 (89 nel 2014). Pertanto, l’Italia risulta il quinto Paese europeo per numero di notifiche ricevute. Nell’anno 2014 l’Italia era risultata il sesto Paese. Considerando, invece, anche i Paesi Terzi, l’Italia risulta ottava. Lo Stato che ha ricevuto il maggior numero di notifiche per prodotti non regolari è la Cina, seguita dalla Turchia e dall’India.

Lo Stato che ha ricevuto il maggior numero di notifiche per prodotti non regolari è la Cina, seguita dalla Turchia e dall’India (photo © www.foodstrade.com). scorso anno), 205 l’alimentazione animale (309 nell’anno 2014) e 153 la migrazione di materiali destinati a venire a contatto con gli alimenti (185 lo scorso anno). Tra le notifiche ricevute, 745 sono state Alert notification (pari al 25%), e riguardano prodotti distribuiti sul mercato, 1.370 si riferiscono ai respingimenti ai confini, mentre le restanti sono state Information notification. Tra le Information, 474 riguardano informazioni per attenzione, mentre 378 sono state informazioni per follow up. Oltre ai controlli ufficiali svolti sul mercato (1.053), le altre notifiche sono state attivate a seguito di lamentele dei consumatori, risultati sfavorevoli effettuati in autocontrollo dalle ditte, mentre 50 segnalazioni sono collegate ad intossicazioni alimentari.

142

Numero delle notifiche trasmesse dai diversi Paesi L’Italia è risultata essere il primo Paese Membro nel numero di segnalazioni inviate alla Commissione europea, dimostrando, come negli anni passati, una intensa attività di controllo sul territorio nazionale, con un totale di 511 notifiche (pari al 17,2%). Dopo l’Italia vi è il Regno Unito (329), la Germania (272), seguita da Olanda, Francia, Belgio e Spagna. Numero delle notifiche effettuate dall’Italia Nell’attività di controllo svolta in ambito nazionale, sono pervenute 131 segnalazioni da parte degli Assessorati alla Sanità, ASL, e 6 dal Comando Carabinieri per la tutela della Salute. Lo scorso anno sono

Notifiche di allerta riguardanti i prodotti nazionali Per quanto concerne le 115 notifiche riguardanti i prodotti nazionali, si precisa che 62 segnalazioni sono state trasmesse da altri Stati Membri, mentre le restanti sono pervenute attraverso la vigilanza nazionale, trattandosi di prodotti ridistribuiti in ambito europeo o extraeuropeo. La tipologia dei prodotti irregolari è eterogenea. Il maggior numero di notifiche ha riguardato i prodotti della pesca, seguiti dall’alimentazione animale e da frutta e vegetali. Anche la tipologia del rischio è risultata essere abbastanza eterogenea, con le maggiori irregolarità dovute a contaminazioni microbiologiche, tra le quali si segnalano le notifiche per presenza di Salmonella (13 segnalazioni), E. coli (10 segnalazioni) e Listeria monocytogenes (7 notifiche). Inoltre, sono state riscontrate irregolarità per allergeni non dichiarati in etichetta (14), micotossine (11 notifiche), presenza di DNA di ruminante in alimentazione animale (11) e residui di fitofarmaci (9). Tra le micotossine, le segnalazioni riguardano le aflatossine (9), zearalenone (1) e il DON (1). La Salmonella è stata riscontrata in diverse tipologie di alimenti di origine nazionale, soprattutto in prodotti per l’alimentazione animale e in pollame.

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Problematiche sanitarie per tipologia di alimenti Per quanto riguarda le categorie di prodotti, le principali non conformità sono state riscontrate nella frutta secca (principalmente per micotossine, attraverso respingimenti della merce ai porti), nei prodotti della pesca, erbe e spezie, e nell’alimentazione animale. Nel quadriennio 2012-2015, si evidenzia che il numero delle notifiche riguardanti frutta, e vegetali e prodotti della pesca è comunque risultato in diminuzione rispetto agli anni precedenti. Un aumento di irregolarità ha riguardato, invece, le erbe e spezie. Infine, un incremento di notifiche ha riguardato la categoria grassi ed oli, in particolare per riscontro del colorante non autorizzato Sudan IV/I in olio di palma di provenienza Ghana o Nigeria, per un totale di 10 segnalazioni. Attraverso il sistema di allerta RASFF è stato comunicato, nel mese di novembre 2015, il coinvolgimento dell’Italia nella distribuzione di olio di palma proveniente dal Ghana, via Olanda, contaminato con Sudan IV. Il Ministero ha immediatamente allertato gli assessorati alla sanità delle Regioni e Province autonome per effettuare gli accertamenti del caso presso le ditte interessate dalla distribuzione e adottare i provvedimenti di competenza (ritiro/richiamo). Considerando che, dalle notizie disponibili attraverso il RASFF, il Sudan IV è stato identificato in più lotti con origine del Ghana, è stato chiesto agli assessorati alla sanità di incrementare i controlli sul territorio nazionale e di effettuare campioni ufficiali per la ricerca del colorante non autorizzato in olio di palma anche in lotti diversi da quelli segnalati dalle Autorità olandesi. A seguito dei controlli rafforzati disposti dal Ministero, la ASL di Reggio Emilia ha comunicato il riscontro di Sudan IV in olio di palma “ZOMI olio di palma 100% olio vergine” in bottiglia di plastica trasparente da 1 litro, prodotto da CARGEF Ghana LTD di Accra. Successivamente, la ASL di Reggio Emilia, in data 16 dicembre 2015, ha comunicato una

144

nuova non conformità per presenza di Sudan IV in olio di palma “Ghana best olio di palma Zomi”, bottiglia di plastica trasparente da 1 litro, prodotto da ASANTA Enterprise di Accra. A seguito delle non conformità rilevate, la ASL ha provveduto al blocco del prodotto invenduto e ad attivare il richiamo al consumatore delle confezioni già vendute presso i dettaglianti. Prodotti della carne (escluso pollame) Le notifiche che hanno riguardato i prodotti della carne, escluso pollame, sono state 165. La maggior parte delle notifiche ha riguardato contaminazioni di natura microbiologica (102), principalmente Salmonella (50), E. coli (18) e Listeria monocytogenes (18). L’origine dei prodotti è varia, ma i Paesi col maggior numero di segnalazioni sono: Brasile (21), Germania (21), Polonia (18), Spagna (12), Belgio (12) e Francia (10). Pollame Nel corso del 2015, le notifiche che hanno riguardato il pollame sono state 170. La maggior parte delle segnalazioni sono pervenute per contaminazioni di natura microbiologica (154), con una netta prevalenza per Salmonella (137). L’origine dei prodotti è varia, ma il Paese col maggior numero di notifiche è la Polonia (33), seguito dal Brasile (30) e dalla Tailandia (23). Conclusioni Un dato che emerge dall’analisi delle notifiche è rappresentato dalla diminuzione delle segnalazioni trasmesse attraverso il sistema di allerta da parte degli Stati Membri. Infatti, dalle 3.434 notifiche nel 2012 si è passati alle 3.136 nel 2013, alle 3.097 nel 2014 e alle 2.967 di quest’anno. La diminuzione del numero di segnalazioni è, almeno in parte, dovuta al maggiore utilizzo dell’assistenza amministrativa tra Paesi Membri (ACA), con la comunicazione dei rischi rilevati in prodotti alimentari senza effettuare la notifica attraverso il sistema RASFF. Al momento, in sede europea, si sta

“Le principali non conformità sono state riscontrate nella frutta secca, nei prodotti della pesca, erbe e spezie, e nell’alimentazione animale. Un incremento di notifiche ha riguardato la categoria grassi ed oli”

discutendo sulle modalità di come differenziare i tre diversi sistemi per lo scambio delle informazioni. I tre sistemi di comunicazione sono: l’Assistenza amministrativa (ACA), il Sistema frodi e il Sistema di allerta RASFF. L’Assistenza amministrativa viene utilizzata per scambiare informazioni sulla corretta applicazione della normativa e per le non conformità di natura non sanitaria quando ristrette a pochi Paesi Membri. Il secondo sistema riguarda invece la comunicazione di frodi di natura commerciale, mentre le frodi di natura sanitaria sono, come negli anni passati, gestite attraverso il Sistema RASFF. L’Italia continua ad essere il primo Paese Membro per numero di segnalazioni inviate attraverso il sistema di allerta, con un totale di 511 notifiche, pari al 17,2%. Per quanto riguarda l’origine, invece, i prodotti nazionali irregolari sono stati 115 (89 nel 2014). Pertanto, l’Italia risulta il quinto Paese europeo per numero di notifiche ricevute. Nell’anno 2014 l’Italia era risultata il sesto Paese. Nel corso dello scorso anno è intervenuto un cambiamento nella modalità di trasmissione delle notifiche alla Commissione europea, con l’entrata in vigore della nuova piattaforma on-line denominata I-RASFF. A partire da giugno 2014, gli uffici periferici del Ministero della Salute stanno utilizzando la nuova piattaforma. Nel corso dell’anno 2015 sono stati organizzati 48 ulteriori corsi, dedicati ai punti di contatto regionali, per il loro ingresso nel sistema, che dovrebbe, come è auspicabile, andare a regime nel 2016. (Fonte: Ministero della Salute)

Eurocarni, 4/16



STATISTICHE

Dati ANAS sulla suinicoltura

Importazioni italiane di suini vivi 146

Eurocarni, 4/16


Eurocarni, 4/16

147

1.290

433

0

210

0

0

0

56.955

Germania

Spagna

Ungheria

Francia

Polonia

Rep. Ceca

Austria

Totale

6.752

3.085

904

800

0

0

0

35

52.569

Paesi Bassi

Germania

Spagna

Ungheria

Francia

Polonia

Rep. Ceca

Austria

Totale

27,1

–100,0

–100,0

– 65,2

559,9

19,9

–19,0

54,3

Diff. % 2015/14

71,1

Fonte: elaborazione ANAS su dati Istat.

40.993

Danimarca

2015

55,8

1,0

33,7

129,9

–100,0

Agosto

23.960

Paesi Bassi

Paese

31.062

2015

Diff. % 2015/14

Gennaio

Danimarca

Paese

67.092

50

0

0

0

1.597

1.299

1.495

19.569

43.082

2015

61,3

–100,0

–30,4

10,6

14,7

15,7

131,4

Diff. % 2015/14

6,1

20,0

–20,9

138,5

–27,8

–55,9

112,3

Settembre

62.804

50

0

0

240

1.550

582

1.770

14.874

43.738

2015

Diff. % 2015/14

Febbraio

51.043

0

0

0

0

1.600

845

0

14.858

33.740

2015

– 64,4

25,8

1,1

12,9

–100,0

–100,0

6,7

25,4

–100,0

25,6

33,2

Diff. % 2015/14

8,9

–100,0

200,0

1.142,6

Ottobre

65.898

464

0

646

210

0

2.187

636

17.906

43.849

2015

Diff. % 2015/14

Marzo

– 8,0

–100,0

14,4

278,3

–99,9

–32,2

– 0,7

53.491

588.945

1.178

0

1.446

1.008

9.696

16.522

13.759

143.434

401.902

2015

26,0

–100,0

–33,1

6,2

–5,9

370,4

–20,0

–10,3

50,6

Diff. % 2015/14

325

0

0

99

1.500

0

2.235

12.106

37.226

100,0

0,2

0,0

0,2

0,2

1,6

2,8

2,3

24,4

68,2

Quota %

58.617

138

0

0

86

0

1.100

1.426

10.182

45.685

2015

73,3

45,8

–100,0

55,0

–22,7

141,3

Diff. % 2015/14

Giugno

66.911

0

0

800

60

800

6.376

1.821

11.530

45.524

2015

Paesi Bassi 24,4%

Germania 2,3%

Spagna 2,8%

Ungheria 1,6%

Francia 0,2%

Danimarca 68,2%

Austria 0,2%

Polonia 0,2%

76,7

–7,7

– 46,7

264,2

4,1

84,1

Diff. % 2015/14

Luglio

Suini < 50 kg Quota % Paese di provenienza – 2015

–5,0

–100,0

10,0

–100,0

24,3

–21,2

–1,9

Diff. % 2015/14

Maggio 2015

Totale Gen-Ott 2015

53.565

116

0

0

103

1.849

2.796

1

11.697

37.003

2015

Diff. % 2015/14

Aprile

Importazioni italiane di suini vivi – Suini di peso inferiore a 50 kg – N. di capi


148

Eurocarni, 4/16

Febbraio Diff. % 2015 2015/14 7.798 12,3 4.941 1,6 3.350 0,3 75 –94,3 0 — 2.625 229,4 857 –21,7 65 — 0 — 170 – 83,0 0 — 0 — 0 — 0 — 19.881 2,8 Settembre Diff. % 2015 2015/14 4.099 – 62,6 4.197 81,9 1.886 – 40,7 1.838 –52,9 0 — 1.819 398,4 2.229 483,5 443 — 133 — 717 — 0 — 0 — 0 — 0 — 17.361 –17,9

Marzo Diff. % 2015 2015/14 6.547 –13,7 3.572 –9,5 2.845 2,7 4.129 144,8 5.205 — 660 – 45,0 1.553 186,5 16 –92,9 0 — 0 –100,0 0 — 160 — 0 — 0 — 24.687 36,5 Ottobre Diff. % 2015 2015/14 5.585 29,0 4.206 15,8 2.198 –25,4 3.093 163,2 0 — 291 – 66,6 736 –52,0 91 — 0 — 1.050 — 0 — 0 — 0 — 0 — 17.250 19,0

Aprile Maggio Giugno Luglio Diff. % Diff. % Diff. % Diff. % 2015 2015 2015 2015 2015/14 2015/14 2015/14 2015/14 9.717 26,1 4.696 – 45,2 6.605 51,9 3.352 –29,9 2.214 – 47,9 1.691 – 41,1 2.438 –11,7 2.398 22,6 4.453 73,7 5.053 126,9 2.996 51,8 2.643 –24,2 3.916 426,3 3.353 –35,7 686 –77,4 3.048 –32,9 3.220 — 1.965 — 4.639 — 550 — 0 –100,0 0 –100,0 1.418 2,1 743 –12,1 2.627 317,6 882 68,3 841 –54,7 455 – 80,3 71 1.320 991 — 88 – 81,3 336 — 0 — 133 — 0 — 0 — 82 — 0 –100,0 0 — 0 –100,0 0 — 0 — 0 — 175 — 0 — 0 — 0 — 0 — 150 — 0 — 0 — 0 — 0 — 0 — 0 –100,0 0 — 26.450 61,0 18.764 –12,7 19.711 23,9 13.700 –24,3 Totale Gen-Ott 2015 Suini > 50 kg Diff. % Quota 2015 Quota % Paese di provenienza – 2015 2015/14 % 58.245 –9,3 30,7 37.178 4,0 19,6 Rep. Ceca 0,1% Irlanda 0,2% 29.622 5,6 15,6 Belgio 0,1% 24.542 –15,5 13,0 Croazia 8,2% Polonia 1,1% Lussemburgo 0,1% 15.579 — 8,2 Austria 1,2% 8.112 – 4,1 4,3 Danimarca 5,8% Paesi Bassi 30,7% 10.968 5,0 5,8 2.298 201,2 1,2 Ungheria 4,3% 437 158,6 0,2 2.019 –59,4 1,1 Germania 13,0% 175 — 0,1 160 — 0,1 150 — 0,1 0 –100,0 0,0 Francia 15,6% Spagna 19,6% 189.485 4,1 100,0

Importazioni italiane di suini vivi – Suini di peso superiore o uguale a 50 kg – N. di capi

Gennaio Paese Diff. % 2015 2015/14 Paesi Bassi 5.909 14,6 Spagna 7.587 13,2 Francia 2.824 –2,0 Germania 1.158 – 42,2 Croazia 0 — Ungheria 175 –51,4 Danimarca 485 85,1 Austria 31 — Irlanda 171 — Polonia 0 –100,0 Lussemburgo 0 — Belgio 0 — Rep. Ceca 0 — Slovacchia 0 — Totale 18.340 –9,6 Agosto Paese Diff. % 2015 2015/14 Paesi Bassi 3.937 2,2 Spagna 3.934 58,2 Francia 1.374 – 48,6 Germania 3.246 – 40,4 Croazia 0 — Ungheria 381 95,4 Danimarca 303 –76,9 Austria 166 — Irlanda 0 –100,0 Polonia 0 –100,0 Lussemburgo 0 — Belgio 0 — Rep. Ceca 0 — Slovacchia 0 — Totale 13.341 –20,1 Fonte: elaborazione ANAS su dati Istat.


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