EUROCARNI
Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXIV N. 4 • Aprile 2019
€ 5,42
SPECIALE OVINI CARNI Un MACELLAIO italiano e leggende metropolitane a Chef’s Table
La Natura non é mai stata così Buona.
Battuta di Fassone
Battuta al coltello di carne 100% RAZZA PIEMONTESE con leggero condimento di olio extravergine d’oliva, sale e pepe
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EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali
Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl
EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD
Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi
Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Prof. Fausto Cantarelli– Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini– Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi– Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata– Prof. Sergio Ventura
Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Lorenzo Fiorentin
EURO ANNUARIO CARNE 2019
Fotografia Luigi Credi
Euro Annuario Carne La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2019 Copia cartacea: € 95,00
Abbonamenti Fioretta Fiorentin Amministrazione Andrea Tomassone
Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2018. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2018.
Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.eurocarni-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985
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Tariffe abbonamenti Annuale (12 numeri): Italia € 65,00 – Estero € 85,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910
Ufficio stampa e Media Partner
Stampa
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Intervento realizzato con il cofinanziamento FEASR del Piano di Sviluppo rurale 2014-2020 della Regione Toscana sottomisura 3.2
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EUROCARNI La prima rivista veramente europea
In questo numero:
La carne nel mondo
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Agenda
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Diamo i numeri
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Immagini
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Naturalmente carnivoro
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Tendenze
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AttualitĂ
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La guerra del Pecorino
Sebastiano Corona
Imbroglio delle carni vegetali
Giovanni Ballarini 32
Slalom
Le previsioni delle agenzie di rating
Cosimo Sorrentino
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La carne in rete
Social meat
Elena Benedetti
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A pagina 50.
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Comunicare la carne
Alimentazione e ciarlatani in rete
La qualità
Carne bovina West Country Igp: con erba e foraggio si ottengono gusto e succulenza
Indagini
XVI Rapporto Ismea-Qualivita: i numeri che ci rendono fieri
Speciale ovini
La competitività della filiera ovina in Italia
Macellerie d’Italia
Un macellaio italiano a Chef’s Table
Giovanni Ballarini 44 50
Sebastiano Corona
54 60 70
L’avventura di Giuseppe e Margherita De Falco
Elena Benedetti
72
Carni e salumi di Carnia
Riccardo Lagorio
78
Meat blogger
Pasqua di passione… per il butcher
Andrea Laganga
80
La carne in tavola
Il pollo o le sue parti?
Giorgia Fieni
84
Tradizioni
La minestra maritata
Nunzia Manicardi
88
Non è una guerra… è un’amatriciana!
Giorgia Fieni
92
Meat franchising
Roadhouse Restaurant compie 18 anni, festeggiando con nuove aperture
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Ristoranti carnivori
Euthalia, cucina preistorica dal sapore di eternità
Riccardo Lagorio
96
Hamburger tour
Torta burger, un panino umbro al 100%
Gaia Borghi
98
Week-end
Cisternino, le bombette e u furnidd di zio Pietro
Federica Cornia
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Convegni
L’esempio virtuoso del Mugello
Elena Benedetti
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A pagina 84.
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Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXIV N. 4 • Aprile 2019
€ 5,42
SPECIALE OVINI CARNI Un MACELLAIO italiano e leggende metropolitane a Chef’s Table
In copertina: costolette di agnello speziate con sale, pepe e cumino (photo © Lisovskaya Natalia).
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Fiere
Tecnologie
La pagina scientifica
Milano si prepara ad accogliere il food business
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IFFA 2019, ottimizzazione della produzione grazie alla digitalizzazione
110
CSB-System a IFFA e Tuttofood: t utto ciò di cui ha bisogno un’azienda del settore carne
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I nuovi Quantum Flex Trimmer e Quantum Skinner di Bettcher stabiliscono nuovi standard
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La certezza di fornire carni e salumi esenti da contaminazioni
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Peste suina africana: le possibili ricadute sulla filiera
Giulia Mauri
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Suini a coda lunga: con un buon benessere si può
Giulia Mauri
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Sono 180 grammi, lascio?
BBQ modenese
Giovanni Papalato 134
Libri
Confesso, sono carnivoro
Curiosità
Carni e leggende metropolitane
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A pagina 70.
A pagina 136.
A pagina 72.
www.eurocarni-online.com 8
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Il meglio della
C A R N E D I V I T EOLl a Ln d eO se La carne bianca di vitello è un alimento straordinario: ricca di proteine e amminoacidi, facilmente digeribile, povera di grassi e con un alto contenuto di ferro. Cosa volete di più? C’è di più!! La carne di vitello ha anche un gusto raffinato e duttilità nella cottura: questo la rende protagonista della storia gastronomica italiana. Non a caso il vitello è tra le carni più presenti nei Menu dei grandi Chef in Italia. Una cena in primavera con gli amici? Le polpettine di vitello sono perfette: lo street food all’italiana. Trovate la ricetta dello Chef Stefano De Gregorio insieme a tante altre su www.carnedivitello.it. La sicurezza al primo posto. Safety Guard è il sistema di qualità integrato del VanDrie Group che garantisce la sicurezza dell’alimento e il benessere degli animali lungo tutta la filiera produttiva.Safety Guard si occupa anche dell’utilizzo responsabile di antibiotici e della gestione ambientale. www.vandriegroup.com
La carne di vitello con una percentuale di grasso inferiore al 5% ha la seguente composizione media per 100 grammi: 104 kcal, 439 kJ, 22,1 g di proteine e 1,7 g di grassi. (fonte RIVM - NEVO).
“LE POLPETTE” interpretata da Chef Stefano De Gregorio
Ricetta
Giraudi International Trading S.A.M. Tel: +377 931 042 42 E-mail: giraudi@giraudi.com
Intraco S.r.l. di Niclas e Simona Herzum Tel: +39 010 374 277 8 E-mail: herzum@ekro.nl
Tel: +31 055 549 82 22 E-mail: info@esafoods.com
LA CARNE NEL MONDO
Italia Fino agli anni ‘60 in Italia l’allevamento del coniglio era del tutto marginale, di tipo rurale, e l’utilizzo della carne degli animali era per lo più destinato al soddisfacimento dei bisogni primari della famiglia. Dopo un forte sviluppo intorno agli anni ‘80, l’allevamento è diventato di tipo manageriale ed oggi l’Italia è il primo Paese al mondo per la produzione di carne di coniglio. La ragione di tale sviluppo è da ricercare nell’ottima qualità di questa carne, ricca di proteine e povera di grassi, soprattutto di colesterolo. Attualmente la produzione di carne di coniglio in Italia raggiunge le 55.000 t (peso macellato), con un consumo che ora sembra essersi stabilizzato intorno al chilo. Il settore gode di una sostanziale autosufficienza produttiva. La coniglicoltura italiana si caratterizza, rispetto a quella europea, anche per l’efficienza produttiva espressa sia in termini di produttività del lavoro che di incidenza del costo dell’alimentazione sul costo totale di produzione (fonte: UNAItalia; photo © san_ta – stock.adobe.com).
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AGENDA
Polesine Zibello (PR) Torna anche quest’anno più in forma che mai Salumi da Re, l’evento organizzato dal GAMBERO ROSSO in partnership con Antica Corte Pallavicina a Polesine Zibello, dal 30 marzo al 1 aprile. Salumi da Re riunisce allevatori, norcini e salumieri mettendo in bella mostra la migliore produzione salumiera italiana. La corte cinquecentesca dei fratelli Spigaroli fa da cornice all’evento, aperto a tutti nelle tre giornate di manifestazione, tra degustazioni guidate, convegni, il “Concorso del Panino d’Autore” e la “Gara di taglio a mano del prosciutto”, oltre a momenti di intrattenimento e approfondimenti (photo © menatti.com). www.salumidare.it
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Parma Forte del successo di due anni fa, la seconda edizione di Cibus Connect si svolgerà i prossimi mercoledì 10 e giovedì 11 aprile. Vincente la sua formula smart: due giornate di fiera professionali, stand e cooking station chiavi in mano per esporre e degustare al meglio i prodotti, azzeramento dei problemi logistici tipici dei grandi eventi in Italia, supporto al sourcing e opportunità di business su misura dei buyer. Prosegue anche la relazione positiva con SLOW FOOD, grazie alla quale sarà possibile trovare prodotti regionali e di nicchia in un’area dedicata. Sono attesi migliaia di operatori dall’Italia e dall’Europa e top buyer dai Paesi d’oltremare, che potranno sfruttare la coincidenza di date con Vinitaly (Cibus Connect apre nella giornata di chiusura di Vinitaly). Funzionale sarà anche la convegnistica: il palinsesto si aprirà col convegno inaugurale durante il quale Cibus e FEDERALIMENTARE presenteranno uno studio di settore realizzato in collaborazione con ISMEA incentrato sui fattori critici di successo delle aziende agroalimentari del Mezzogiorno che stanno, in questo momento, performando benissimo a livello internazionale. Nel pomeriggio della prima giornata si analizzeranno, in collaborazione con la società di consulenza PRICEWATERHOUSECOOPERS PWC, i rapporti proficui che si possono instaurare tra aziende alimentari e grandi catene di distribuzione, con la testimonianza di retailer internazionali ed italiani. Nel corso della seconda giornata si terrà un evento in cui top player del settore presenteranno case history dal mondo del retail e dell’industria incentrando la propria analisi sui prodotti premium brand e premium store brand come driver di sviluppo del punto vendita food anche attraverso il contributo di DELOITTE e dei dati della XXII edizione del loro Power of Retailing. www.cibus.it
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DIAMO I NUMERI
1O %
Fatta base 100 la spesa domestica dell’agroalimentare (carni, salumi, latte e derivati, vino e bevande, uova, pesce, ortaggi e frutta, ecc…), le carni rappresentano il 10%. Di questo 10% quasi la metà, il 45%, è rappresentato dal bovino, il 27% dall’avicolo, il 17% dal suino e il restante da ovicaprino, cunicolo, equino e altro (fonte: Ismea). 16
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I fornitori di carne belgi sono tra i precursori in termini di competenze professionali: in base alle specifiche del cliente, offrono un servizio personalizzato, su misura e con il massimo rendimento. Inoltre, la carne fresca viene fornita con estrema rapidità , come solo da un partner affidabile e di fiducia ci si può aspettare.
I fornitori di carne belgi. Una scelta aďŹ&#x192;dabile.
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IMMAGINI
La richiesta di carne ovina è in continuo calo. Servono azioni concrete, idee e una comunicazione più efficace. Anche nel canale tradizionale. A pagina 80 un approfondimento di Andrea Laganga (photo © kaninstudio – stock.adobe.com)
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NATURALMENTE CARNIVORO
Chi si nasconde sotto l’abbigliamento di protezione in questo stabilimento di macellazione del Sol Levante? È il giovane chef vicentino Matteo Villani, cresciuto dietro al banco macelleria di famiglia, oggi cuoco a domicilio e titolare di un progetto di box con ingredienti pronti da cucinare a casa (mailanifood.com) che è recentemente andato in Giappone alla scoperta del cibo giapponese e della filiera Wagyu. A breve ci racconterà tutto sulle pagine di Eurocarni.
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TENDENZE Consumo di carne: la domanda è di qualità
È fresco di pubblicazione il Rapporto sui consumi di carni di qualità in Italia elaborato da ISMEA e reso noto anche dall’Osservatorio Permanente sul Consumo Carni, promosso da Agriumbria, la fiera nazionale dell’agricoltura, della zootecnia e dell’alimentazione che si è svolta presso Umbriafiere dal 29 al 31 marzo scorsi. Come emerge dal report, nel 2018 si è registrata una storica inversione di tendenza, con l’aumento di oltre il 5% della spesa delle famiglie italiane per la carne, il valore più alto degli ultimi sei anni, che avevano fatto registrare un brusco calo dei consumi. L’aumento dei consumi riguarda tutte le diverse tipologie di carne, da quella di pollame (+4%) a quella di maiale (+4%) fino a quella bovina (+5%), che fa registrare il maggior incremento nel primo trimestre rispetto all’anno precedente, in un quadro di sostanziale stagnazione della spesa alimentare (+1,4%). Il consumo medio annuo in Italia di carne (pollo, suino, bovino, ovino) è sceso ai livelli di 79 kg pro capite, tra i più bassi in Europa, ma il dato sensibile è che il 45% dei consumatori privilegia la carne proveniente da allevamenti italiani, il 29% sceglie carni locali e il 20% quella con le indicazioni geografiche DOP, IGP o con altre certificazioni di origine. Vola, infatti, il consumo di carni IGP, con un balzo del 20% nel numero di animali di razze storiche italiane allevate negli ultimi vent’anni sulla base delle iscrizioni al Libro Genealogico. La domanda di qualità e di garanzia dell’origine ha portato ad un vero boom nell’allevamento delle razze storiche italiane da carne che, dopo aver rischiato l’estinzione, sono tornate a ripopolare le campagne dagli Appennini alle Alpi (fonte: Agriumbria).
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Alimentazione e ciarlatani in rete
Sull’alimentazione, usando terminologie anglofone, oggi imperversano blog e siti dai quali i cosiddetti influencer (“influenzatori”) comunicano a migliaia o persino milioni di followers (seguaci più o meno fanatici). I mezzi d’informazione, inoltre, iniziando dai giornali, ogni giorno elencano i cibi che non dovremmo mangiare, quelli che fanno bene il cuore o sviluppano l’intelligenza, quelli che ci proteggono dal cancro… in una ridda di notizie mutevoli e, non di rado, contrastanti, per cui quello che fino a ieri era veleno oggi è salvifico o viceversa. Tutto ciò va ad incrementare una sorta di “cucina di Babele” nella quale la gente, senza più le sicurezze della tradizione, diviene ansiosa, se non timorosa, di fronte al cibo. Ne scrive con cognizione di causa il prof. Giovanni Ballarini sul portale dell’Accademia dei Georgofili e qui a pagina 44 (photo © Daria – stock.adobe.com).
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ATTUALITÀ
La guerra del Pecorino Da settimane gli allevatori sardi sono protagonisti di una protesta spontanea e nata dal basso. Lottano per avere una giusta remunerazione del proprio lavoro. La solidarietà è tanta, come forse non si era mai vista, ma le questioni sono complesse di Sebastiano Corona
U
n mare di latte. Nelle piazze, giù dai cavalcavia, dentro gli stessi ovili. Ne abbiamo viste a migliaia di immagini di pastori che versavano brocche intere, come fosse acqua sporca. Dalla Sardegna, quella protesta che più di qualunque altra rappresenta il malessere delle nostre campagne, si è in parte estesa, anche se non con la stessa enfasi, ad altri territori a vocazione agricola nel resto del Paese. Come non essere solidali
con una categoria che conduce una vita faticosissima, in balia di fattori completamente estranei al proprio controllo e che in più non vede remunerato il lavoro e gli innumerevoli sacrifici quotidiani? Impossibile restare inermi di fronte al grido di dolore di chi chiede di poter dignitosamente vivere dal frutto del proprio impegno quotidiano. In Sardegna, la zootecnia è alla base del tessuto produttivo, ma non solo. Rappresenta il fulcro della
cultura locale, del quotidiano vivere, di un’economia in cui il mondo agropastorale condiziona ambiente, società, artigianato e molto altro ancora. La lotta dei pastori sardi è la lotta di ognuno e piomba come un macigno in un contesto sociale già provato per più ragioni. Non è un caso se il mondo zootecnico isolano — complici internet e soprattutto i social network — abbia, in pochissimo tempo, raccolto il consenso unanime e trasversale di
Pecorino romano. Tra i primi 15 prodotti ad indicazione geografica in Italia, il Romano è l’unico ad aver subito una perdita del 38%, passando da 251 milioni di valore del 2016 a 155 milioni nel 2017.
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La protesta dei pastori sardi, con il latte gettato sulle strade. La stragrande maggioranza delle comunità dell’interno della regione poggiano le basi della propria economia e della propria cultura sulla produzione di latte e formaggio. Per questo i problemi dei pastori in Sardegna sono i problemi di tutto il territorio. gente comune, istituzioni, addetti ai lavori, commercianti, scuole, ristoratori. E persino di molte insegne della Grande Distribuzione Organizzata. I pastori sardi sono artefici di una protesta partita dal basso, in maniera spontanea e per la prima volta lontana da organizzazioni e sindacati di categoria. Una ribellione dovuta al fatto che il prezzo del latte ovino, già basso, a gennaio del 2019 ha toccato i 60 centesimi a litro. Una cifra irrisoria, se si considera che il costo di produzione è stato da più parti considerato non inferiore a 70 centesimi. Corre tuttavia l’obbligo di raccontare di questa vicenda tutti gli aspetti, compresi quelli che hanno generato una condizione affatto nuova. Una condizione che, al contrario di quanto si immagini, si perpetua da decenni e solo oggi ha dato vita ad una protesta così eclatante. Una protesta che viene da lontano Il prezzo del latte ovino in Sardegna è fortemente legato alla produzione
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di pecorini, tre dei quali a denominazione. Da uno in particolare: il Pecorino Romano DOP, che trova prevalentemente negli Stati Uniti d’America, come formaggio da grattugia, il suo sbocco principale. Potrà sembrare paradossale, ma i sardi non lo consumano, non è quasi presente nei banchi del fresco nei supermercati. Il Romano, però, non vive un buon momento. Tutt’altro. Il suo prezzo al chilo, negli ultimi 4 anni, è precipitato, dimezzandosi e passando da oltre 10 euro a 5 circa. La Fondazione Qualivita, nel suo ultimo rapporto realizzato in collaborazione con ISMEA, gli attribuisce la maglia nera, sottolineando la perdita di 100 milioni di euro di valore sul venduto, in un contesto — quello delle denominazioni — dove invece tutto sembra andare a gonfie vele. Tra i primi 15 prodotti ad indicazione geografica in Italia, infatti, il Pecorino Romano è l’unico ad aver subito una perdita del 38%, passando da 251 milioni di
valore del 2016 a 155 milioni nel 2017. Questo è l’elemento che, più di qualunque altro, ha inciso sull’abbassamento del prezzo del latte, perché la stragrande maggioranza del latte prodotto in Sardegna è destinato alla trasformazione in Romano. Va da sé che quando il Romano “tira”, tutto va bene. Quando il Romano “crolla”, diventa un dramma. Negli anni scorsi abbiamo assistito anche al riconoscimento di 1,20 euro al litro. Ma quando l’offerta di formaggio diventa eccessiva, ecco che cala il prezzo del prodotto finito e, conseguentemente, precipita quello della materia prima. Questo porta le oltre 12.000 aziende ovine isolane a registrare clamorose perdite, con problemi seri per l’intera filiera e per tutto ciò che al mondo agropastorale sardo, è legato. La stragrande maggioranza delle comunità dell’interno poggia le basi della propria economia e della propria cultura sulla produzione di latte e formaggio. Per questo i
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problemi dei pastori in Sardegna sono i problemi di tutta la regione. Ma quello che, nel momento in cui scriviamo, è una tragedia ancora in atto, non è che il reiterarsi di un problema che ciclicamente si presenta. Un problema annoso che i soggetti coinvolti e le istituzioni hanno solo provato in passato ad affrontare, ma sempre senza successo. La trasformazione casearia, infatti, è affidata, per la maggior parte (il 60% circa) alle cooperative di allevatori e meno del 40% ai meri trasformatori, per lo più imprese industriali. La maggior parte di queste aziende sono altresì socie del Consorzio di tutela del Pecorino Romano DOP. È pertanto evidente che le responsabilità di un prezzo del latte così basso siano da attribuire equamente tra i vari anelli della filiera. Non si può pensare che le colpe di una simile condizione siano da ricondurre solo e soltanto alle industrie di trasformazione. Quelle che vengono impropriamente definite “quote latte”, a indicare le quantità massime di latte che devono essere prodotte per evitare anche una sovrapproduzione di formaggio, sono puntualmente superate. In questo meccanismo, già di per sé perverso, si aggiunge il fatto che cooperative di allevatori e industriali corrono alla svendita, nel vano tentativo di salvare la propria posizione. Generando così ulteriori danni a tutto il comparto. In molti chiamano in causa anche la Grande Distribuzione Organizzata, complice nell’abbassamento ulteriore del prezzo del prodotto finito. E, a voler essere davvero puntuali nell’analisi, non si può trascurare il ruolo del consumatore, spesso considerato secondario, ma artefice dell’andamento dei consumi. Quello stesso consumatore che — a torto o a ragione — del prodotto che acquista guarda sì a molti elementi, ma prima di tutto al prezzo. Il problema per eccellenza della pastorizia sarda, che nel tempo si è cercato di mitigare in ambito pubblico e privato, è stato sinora quasi sempre tamponato con sussidi pubblici che integrano il prezzo a favore degli allevatori e/o dei trasformatori e col ritiro, sempre per mano pubblica, del prodotto in eccesso, in modo che il prezzo possa tornare a salire. Questo è accaduto più e più volte negli anni e anche oggi, nel momento in cui scriviamo, si sta ragionando su un’ipotesi del genere. Intanto la protesta continua. Di questa manifestazione, che si protrae ormai da qualche settimana e che non sappiamo quanto durerà, non resteranno però solo le impattanti immagini di adulti e bambini che buttano il latte per strada. In un mondo che non ha ancora sconfitto la fame, vedere colare negli scoli fognari quello che si può considerare l’elemento più prezioso nella nutrizione della razza umana, appare come un sacrilegio vero e proprio, che colpisce tutti e non solo i più sensibili all’abominio dello spreco alimentare. Questa è anche la manifestazione in cui decine di autotrasportatori indipendenti e completamente
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autonomi rispetto alle imprese di cui trasportavano il prodotto si sono visti bloccare in strada e minacciare, in maniera del tutto insensata e ingiustificata. Molti furgoni sono stati inseguiti, bloccati, privati delle merci, perché venissero buttate. Molti di loro, anche con carichi alimentari che, col latte, avevano poco a che vedere. In più di un’occasione gli autisti dei tir sono stati fermati da individui incappucciati e armati. Si è creato in molti momenti un problema di ordine pubblico, con anche il blocco di strade importanti per la viabilità isolana. Nel frattempo i social impazzano di bufale tra le più incredibili: dall’ipotesi che per realizzare pecorini in Sardegna si importi latte di vacca che, grazie ad un ipotetico enzima, si “trasformi” in latte ovino, a quella che ci sia un’importazione di formaggi esteri che fa aumentare le scorte di Pecorino Romano e, conseguentemente, ne abbassa il prezzo. Dal fatto che l’Unione Europea impedisca con rigide norme ai nostri agricoltori di vendere il proprio prodotto per favorire quello extracomunitario, al divieto, sempre da parte dell’UE, per gli allevatori, di produrre il formaggio in azienda. Una carrellata di oscenità che in un Paese civile non dovrebbe essere ammessa, perché l’informazione corretta è un bene prezioso, soprattutto quando riguarda il cibo e tutto ciò che gli ruota intorno. Sebastiano Corona
Primario e trasformazione: il dovere di fare finalmente pace, per amore del made in Italy La protesta dei pastori sardi ha messo in evidenza una convinzione ormai piuttosto diffusa nell’opinione pubblica, legata alla provenienza di ciò che consumiamo. Non che la tendenza all’integralismo alimentare fosse una novità, ma forse mai come oggi si era espressa in maniera così aggressiva. C’era stato in realtà un precedente, quello del presidio Coldiretti al Brennero nel settembre del 2015. In quell’occasione molti tir provenienti dall’estero, presenti stampa e TV, vennero fermati da gruppi di agricoltori per verificare e mostrare al mondo la consistente importazione di prodotti alimentari d’Oltralpe. Un momento di forte tensione, certamente, ma niente a che vedere con i metodi usati di recente in Sardegna. Ciò che forse è passato in secondo piano, nei giorni scorsi, sono i ripetuti assalti a danno di tir e furgoni che trasportavano alimenti. Al netto delle numerose azioni criminali vere e proprie di persone incappucciate e in certi casi anche armate, che non riteniamo corretto attribuire agli allevatori, sono stati molti i blocchi di mezzi carichi di cibo proveniente da oltre Tirreno che sono stati bloccati e saccheggiati, rei di favorire la commercializzazione in Sardegna di alimenti non isolani e talvolta nemmeno nazionali. Colpiscono le immagini dei protestanti che, nella rabbia evidente, passeggiano sopra mezzene di maiale buttate sull’asfalto, solo perché di allevamenti francesi. E ancora, formaggi, salumi, yogurt, brick di latte distrutti sotto gli occhi dei presenti che incitano a svuotare i camion frigo lanciandone fuori il contenuto, rei di essere d’importazione extraregionale, appunto. Il concetto urlato e continuamente ribadito è che non si riesce a vendere la merce locale perché ne arriva dell’altra da fuori. E presto un capro espiatorio viene identificato: se in Italia e in Sardegna abbiamo un problema di mercato non è colpa nostra, ma dei nostri concorrenti. Siano essi di un’altra regione o di un altro Stato. L’ulteriore elemento di supporto a questa tesi, ormai sempre più diffusa, sarebbe che il cibo che proviene da fuori è di qualità scadente e trattato in condizioni igieniche discutibili. Si parte dunque da questo ulteriore concetto, che in tanti danno per scontato, sebbene scontato non lo è affatto: se non è sardo, se non è italiano, non vale e mina alla salute umana. Non è quindi solo una questione economica e territoriale, dovuta al fatto di voler contribuire a mantenere la ricchezza nel proprio territorio. C’è un diffuso preconcetto sulla superiorità del nostro cibo, rispetto a tutto il resto.
Agricoltori colpiti dal maltempo, col dimezzamento del raccolto nazionale di olio d’oliva, e pastori sardi uniti nella protesta per difendere il lavoro e il territorio davanti al Parlamento in piazza Montecitorio lo scorso febbraio.
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È evidente che anni di campagna denigratoria di una certa parte del comparto primario hanno avuto i loro effetti. Si tratterebbe nel complesso di una filosofia sostenibile, non fosse che è completamente slegata da logiche di altra natura e affatto trascurabili. Chi riduce la questione dell’importazione ad una mera faccenda di amor di patria dimentica che viviamo e operiamo in un mercato comune, dove la libera circolazione delle merci è uno dei concetti cardine su cui si basa tutto sistema economico europeo e non solo. E per fortuna! Se non fosse ammessa in Italia l’importazione di prodotto estero, nemmeno noi Italiani potremmo pensare di esportare i nostri alimenti. E per un Paese che grazie all’export agroalimentare salva le sorti del suo traballante bilancio, questa non sarebbe forse una gran trovata. Se davvero ci fosse un giorno la chiusura delle frontiere per le merci ne usciremmo veramente avvantaggiati? Saper fare versus capacità produttiva reale Resta poi un problema tutt’altro che marginale. Piaccia o no, il nostro è un Paese in cui la trasformazione ha un peso enorme rispetto al primario. Non siamo tanto o solo buoni produttori di materie prime, non potendo comunque contare su tantissime risorse dal punto di vista agricolo. Siamo soprattutto validissimi trasformatori, anche di prodotti che poco hanno a che fare con le nostre campagne. Non si spiegherebbe altrimenti il nostro successo in alimenti che non dovrebbero far parte del nostro patrimonio alimentare come cioccolato, caffè, birra, solo per fare alcuni esempi di produzioni dove ci siamo specializzati in maniera ammirevole, pur in totale assenza di materie prime. Vanno inoltre fatte considerazioni sulla capacità produttiva reale. Valutazioni rispetto alle quali il Paese si divide in due parti. Se il Nord ha potenzialità importanti in termini di quantità di merce prodotta e può quindi affrontare mercati esteri, pur importando in grandi quantità le materie prime, il Sud non sembra ancora del tutto pronto a certe sfide e mostra un tessuto produttivo a macchie di leopardo. Lì regna la paura di avere produzioni extraregionali negli scaffali, ma allo stesso tempo c’è da chiedersi: ci sono davvero le potenzialità per coprire gli spazi ora occupati da merce extraregionale? In un’isola come la Sardegna — per stare sul tema iniziale — dove si importano il 98% dei prodotti alimentari (basta farsi un giro nei supermercati e nelle supérette per vederlo), si può pensare che davvero con un colpo di mano tutto il prodotto non locale possa scomparire per essere sostituito da quello isolano? La miopia dell’integralismo Quello che vuole un consumo e un impiego di sole materie prime del territorio, oltre ad essere un concetto miope, è anche pericoloso. L’integralismo sulla provenienza del cibo, portato alle estreme conseguenze, è una chiusura che restringe sempre di più il campo, in un circolo perverso. Ci sarà infatti sempre una linea più rigida da seguire nel ragionamento. Ci sarà sempre un prodotto che più di quello impiegato meritava per vicinanza della produzione di essere acquistato. Ma il mercato non segue queste logiche. E coloro che sostengono certe teorie, pur non avendo la minima conoscenza delle esigenze produttive delle imprese, al punto da pretendere etichette lunghe come bugiardini con l’indicazione della provenienza di ogni singola sostanza impiegata, sono davvero certi che l’acquisto del prodotto locale, sia solo un problema di trasparenza? Non ci sono forse altri elementi che incidono sulla scelta d’acquisto? Il diritto del consumatore di sapere ogni cosa di ciò che acquista e mangia è sacrosanto, sia chiaro. Ma siamo certi che una volta svelato ogni dubbio i problemi del nostro mondo agricolo saranno risolti? Una battaglia che va combattuta con la competizione sull’eccellenza In questo contesto, a leggere i commenti sui social, sentire i pareri dei non addetti ai lavori, si comprende quanto l’opinione pubblica sia spesso staccata dalla realtà. E questo Paese che solo grazie alla manifattura è stato e tuttora rimane uno dei più importanti delle economie occidentali, sembra odiare l’industria e la ricchezza che può generare. Ogni giorno in Italia qualcuno si sveglia e inizia a buttare fango sul mondo produttivo nel tentativo di esasperare una già dannosissima contrapposizione tra primario e trasformazione. Ogni giorno qualcuno muove accuse che alla fine dei giochi non fanno che colpire al cuore l’agroalimentare del Paese nel suo complesso, generando confusione nei consumatori. Quegli stessi consumatori che spessissimo, avulsi e ignari da qualunque logica di mercato, non sanno più in cosa credere e finiscono per acquistare proprio il prodotto sbagliato. Eppure tutti unanimemente e a proprio modo pensano al made in Italy come una delle poche ancore di salvezza di questo Paese. Si può però pensare di raggiungere l’obiettivo con quantità minime di prodotto? La nostra forza è il saper fare, è la straordinaria capacità innata di trasformare qualunque materia prima in un prodotto di pregio. Come si può dunque credere che la battaglia del prodotto locale si possa combattere infangando tutto il resto, piuttosto che avviando una sana competizione sulla qualità, avendo sempre come riferimento l’eccellenza? Sebastiano Corona
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Imbroglio delle carni vegetali Carne vegetale: più che un ossimoro un imbroglio che non tiene conto della sostanziale differenza che esiste tra un alimento d’origine animale e un alimento vegetale e che non può essere colmata dall’aggiunta di integratori o additivi di Giovanni Ballarini
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nche in Italia vi sono persone che per diversi motivi, in modo permanente, per periodi più o meno lunghi o saltuariamente, rifiutano di mangiare carne (vegetariani) o ogni cibo d’origine animale (vegani). Senza voler stare a discutere delle motivazioni di questi comportamenti e, in particolare, dell’eticità e la sicurezza delle carni e di altri alimenti d’origine animale, è necessario richiamare l’attenzione sull’usanza odierna di chiamare con
nome di alimenti di origine animale prodotti completamente vegetali. Quasi come cercare un alibi ma, soprattutto, considerare alcuni aspetti degli alimenti sostitutivi di carne, pesce, latte e uova e il loro uso protratto nell’alimentazione umana. Carni e bevande vegetali tradizionali Alimenti vegetali che sostituiscono altri d’origine animale possono essere di tipo tradizionale, come tofu,
seitan e bevande alla soia, o frutto di tecnologie innovative. Il tofu o caglio di semi (di polenta o di soia) ha origini cinesi e in Occidente è noto col suo nome giapponese. Si ottiene dalla coagulazione del succo estratto dalla soia con la successiva pressatura in blocchi, generalmente in forma di parallelepipedo, e la sua fabbricazione è simile a quella del formaggio ottenuto dal latte. La coagulazione è ottenuta con l’ausilio di sali minerali (solfato
Ramen vegano con tofu (photo © Tesco Real Food).
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di calcio o cloruro di magnesio) o acidi organici. Il solfato di calcio o il cloruro di calcio sono utilizzati per produrre il tipico tofu cinese, di consistenza morbida e tenera, con un sapore neutro. Il cloruro di magnesio è il caglio usato nella produzione del tofu giapponese, di consistenza liscia e delicata. Il glucono delta-lactone (GDL) è un acido organico utilizzato per ottenere un tofu vellutato, soffice e gelatinoso, con un sapore leggermente acido. Si usa anche il succo di limone. Esiste una grande varietà di tofu: dal tofu fresco a quello conservato, fermentato e aromatizzato, oltre a quello congelato, panato e prefritto e a diversi sottoprodotti. I valori nutrizionali dipendono dal processo e dal produttore, per cui bisogna sempre controllare le tabelle nutrizionali sulla confezione, quando esistono. Il tofu ha generalmente un elevato contenuto proteico, un moderato contenuto di carboidrati e moderato o elevato contenuto di grassi polinsaturi. In linea orientativa, un etto di tofu possiede circa 150 chilocalorie, con una composizione media di acqua (70%), proteine (15%), grassi (9%), carboidrati (4%), fibra (2%); sul secco si parla di 55% di proteine, 30% di grassi e 15% di carboidrati. In Oriente il tofu è usato in moltissimi modi: crudo, stufato, fritto, viene messo nelle minestre, cotto con salse o farcito. In Occidente il tofu è usato per preparare dolci, minestre, frappè e salse, come sostituto della carne e per diete a basso contenuto calorico. La bevanda alla soia, impropriamente chiamata “latte” di soia (secondo la legge dell’Unione Europea il termine “latte” è riservato esclusivamente alla commercializzazione del prodotto della secrezione mammaria, ottenuto mediante una o più mungiture, senza aggiunta o sottrazione), è una bevanda alimentare vegetale a base di soia tipica delle popolazioni asiatiche, che la considerano un vero e proprio pasto. In Occidente è usata come sostituto del latte nelle diete vegane e per gli intolleranti alle proteine del latte vaccino e al lattosio. Consiste
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In alto: gli hamburger “impossibili” dell’impresa americana Impossible foods. In basso: i prodotti della californiana Beyond Meat (photo © www. onegreenplanet.org). in un’emulsione contenente circa il 3% di proteine, il 2% di grassi e carboidrati e lo 0,3% di minerali. È un alimento che fornisce circa la metà delle calorie apportate dal latte di vacca.
Molte varietà commerciali di bevanda alla soia sono arricchite con vitamine quali la B12 e addizionate di carbonato di calcio, perché piccola è la quantità di calcio naturale assimilabile. La bevanda
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Seitan ribs (photo © Avant Garde Vegan). di soia è priva di colesterolo, le sue proteine e gli isoflavoni abbassano il livello totale di colesterolo, contiene lecitina e vitamina E, grassi poli- e monoinsaturi utili per l’apparato cardiovascolare. Tuttavia, ha l’inconveniente di contenere acido fitico che impedisce l’assorbimento di minerali, fitoestrogeni che potrebbero recare un calo del desiderio sessuale maschile e della fertilità e allergeni. Il seitan è un impasto altamente proteico ricavato dal glutine del grano tenero o del farro; contiene pochi grassi (1,5%), l’acqua rappresenta il 58,2%, i carboidrati sono il 5,2% e le proteine vegetali ammontano al 36,1%. La composizione in amminoacidi delle sue proteine è a basso valore biologico perché il glutine è una proteina sbilanciata che contiene una scarsa quantità di
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lisina, un amminoacido essenziale. L’elevata presenza di glutine è una controindicazione assoluta per persone con celiachia e sconsigliato per chi ha intolleranza al glutine. Il seitan si cucina in moltissimi modi, col vantaggio della velocità nella preparazione finale poiché si tratta di un alimento già cotto alla fonte. In commercio si trova il seitan al naturale oppure cotto alla piastra, a cubetti, affettato, affumicato, aromatizzato, usato anche per produrre prodotti simili a würstel nell’aspetto e utilizzati nelle diete vegetariane. È una fonte proteica parziale e il suo consumo esclusivo non può essere considerato come fonte proteica alternativa: deve essere infatti abbinato ad altri alimenti come i legumi (piselli, fagioli e ceci) che completano gli amminoacidi mancanti del glutine.
Falsi alimenti per vegetariani e vegani Nei paesi orientali tofu e seitan entrano in un’alimentazione diversa da quella occidentale, con condimenti differenti e, soprattutto, insieme ad alimenti d’origine animale d’ogni tipo. Le carenze nutrizionali sono compensate dalla contemporanea assunzione di pesce o altri alimenti d’origine animale, che non sono presenti in un’alimentazione soprattutto vegana. Tofu e seitan, inoltre, in Oriente hanno prezzi popolari e non come quelli in Occidente dove, ad esempio, gli hamburger vegetariani hanno un prezzo diverse volte superiore a quelli di carne. Questi alti prezzi si ritiene siano dovuti ad un mercato ristretto che non è in grado di assorbire quantità tali da compensare i costi di produzione, ma che può essere anche dovuto ad una precisa strategia di vendita diretta tesa a valorizzare prodotti destinati a una fascia di compratori che sono terrorizzati da presunti danni delle carni e del latte e latticini o sensibilizzati da campagne mediatiche che tendono a criminalizzare gli allevamenti, con motivazioni che vanno dal mancato rispetto del benessere animale all’impatto sugli equilibri ambientali. Se per gli alimenti vegetali si mettono in forte evidenza alcuni aspetti come “senza colesterolo”, “senza lattosio”, ecc…, non si menzionano i difetti, quali le carenze di amminoacidi e di vitamine del complesso B, di ferro biodisponibile e assorbibile, o le criticità dovute ai fitosteroli della soia o di principi antinutrizionali. In modo analogo, sono sottaciuti gli additivi (emulsionanti, aromatizzanti, coloranti, ecc…) ben poco naturali e usati per trasformare i legumi e i cereali in surrogati di carni o formaggi presentati in forma di hamburger, polpette, cotolette, ecc… Carni vegetali innovative Molte sono le innovazioni per produrre alternative alla carne: si va dalle fettine di pasta di ceci che sembrano petti di pollo all’utilizzo del succo di barbabietola per far
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“sanguinare” gli hamburger vegani. Tra le imprese specializzate, la IMPOSSIBLE FOODS (IF), fondata nel 2011 da PATRICK BROWN, ex professore di biochimica a Stanford, ha lo scopo di produrre hamburger “impossibili” che hanno l’aspetto della carne e sono destinati all’ampio mercato degli onnivori. Per ottenere questo effetto (il “sanguinamento” e lo sfrigolio in padella) è utilizzato l’eme presente anche in alcuni vegetali, ossia il complesso chimico che trasporta l’ossigeno nel sangue e che rende rossa l’emoglobina. I tecnici di Impossible Foods estraggono l’eme dalle piante, lo fanno fermentare e l’aggiungono nella composizione di hamburger vegetali che si presentano umidi e rossastri. I prodotti di IF si possono trovare già in alcune catene di fast food americane (come WHITE CASTLE) e sono arrivati anche in Asia. Un’altra impresa, la californiana BEYOND MEAT (“Oltre la carne”), ha l’obiettivo di rendere la “non carne” simile a quelle di diversi animali
con ricette a base di proteine di soia e piselli, oli vari e succo di barbabietola, che dà appunto l’idea del “sangue”: dopo le Chicken-Free Strips, troviamo oggi in commercio il Beyond Beef, il The Beast, il Beyond Burger e le Beyond Sausages. Da non dimenticare il fronte delle aziende e start-up della Silicon Valley che dal 2013 studiano la produzione di carne sintetica ottenuta da culture di cellule muscolari e che ora hanno l’obiettivo di rendere il costo della carne in vitro competitiva con quella vera. La MEMPHIS MEAT ha annunciato di esserci riuscita, ricordando che la produzione degli hamburger da laboratorio prevede l’uso dell’1% del suolo e dell’1% di acqua rispetto ai normali allevamenti: da qui il nome di clean meat. Meat sounding, nuovo imbroglio Ad eccezione della futuribile carne sintetica, i prodotti vegetali che simulano la carne hanno composizioni molto diverse dalla
“vera carne” e se questo non ha importanti effetti per chi mangia questi alimenti occasionalmente o per brevi periodi, diverse sono le conseguenze per diete prolungate soprattutto in bambini, giovani, anziani e donne gravide, a meno di non attuare opportune integrazioni in diete appositamente studiate. Anche per questo le legislazioni mondiali stanno vietando l’uso del termine carne per alimenti che non la contengono con l’obiettivo di fare chiarezza e differenziare la carne vera da quella non vera, proibendo definizioni carnivore per i prodotti vegetali come quelle di bistecca di soia, salsiccia vegana o gamberoni vegani. Come è già avvenuto per la bevanda alla soia che non può essere chiamata latte, e per il tofu che non è un formaggio, in analogia alle azioni di contrasto all’Italian sounding, si sta operando per gli imbrogli delle false carni, il cosiddetto Meat sounding. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma
SLALOM
Le previsioni delle agenzie di rating di Cosimo Sorrentino
L’
ansia, manifestata già a gennaio, da parte di tutta la stampa, televisioni, governo e osservatori economici in merito alle previsioni che avrebbero dovuto essere fornite dalle agenzie di rating, non si è placata nemmeno a pubblicazione avvenuta. Da molte parti non sono mancati, nell’attesa, pronostici negativi, molte volte apparsi prevenuti, con l’indicazione di fosche prospettive per il nostro Paese, sul quale, già in precedenza, si erano pronunciati sia la Banca d’Italia, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale Europea. In effetti, possiamo affermare che le citate agenzie sono state relativamente benevoli, soprattutto FITCH, la terza tra le grandi agenzie
di rating, la quale ha deciso, come è noto, di confermare il giudizio sul nostro debito pubblico, pur indicando, nella scala di giudizio, il penultimo gradino (BBB) prima della soglia del non investment grade, che è la parte bassa della classifica e che non permetterebbe a molti investitori istituzionali di acquistare i titoli di Stato italiani. Permangono comunque gli elementi di incertezza, già registrati ad agosto 2018, e anzi, rispetto a quelle stime, peggiora la previsione sulla crescita del PIL, che la citata agenzia vede allo 0,3% quest’anno, in linea con le recenti valutazioni fatte da altre organizzazioni internazionali. Inoltre, per il 2019, viene proiettato un rapporto deficit-PIL al 2,3%,
quale effetto della minore crescita economica, ma, quello che ci pare più importante sottolineare, è che non sarebbe attesa una manovra correttiva in corso d’anno. Quanto al debito pubblico, la sua incidenza sul PIL aumenterebbe quest’anno al 132,3%, restando sostanzialmente invariato in seguito. La stessa agenzia sottolinea che, accanto ai fattori economici, inciderebbero anche quelli politici ed eventuali tensioni nel governo che potrebbero comportare la fine anticipata della legislatura, ma, per ora, viene ritenuto non probabile una marcia indietro rispetto ad alcune delle riforme degli anni passati (e questo, dal punto di vista dell’agenzia di rating, rappresenta un elemento positivo).
Se è vero che è tutta l’Europa a rallentare, solo l’Italia si conferma l’unico segno meno della UE (photo © 2017 Bloomberg Finance LP).
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MOODY’S ha rivisto la sua stima di crescita dell’1,3%, riducendola ben al di sotto dell’1%, con un probabile assestamento tra lo 0 e lo 0,5%. Una previsione che conferma quanto era stato già indicato da Banca d’Italia, FMI e dalla Commissione UE, concordi nel non ritenere probabile un progresso nel corso di quest’anno. Per quanto riguarda il rating, Moody’s non ha effettuato variazioni rispetto all’abbassamento annunciato in ottobre, mentre per il deficit, che dovrebbe fermarsi al 2,5% sia quest’anno che nel 2020, ha sottolineato che l’Italia ha bisogno di riforme, a partire dalla pubblica amministrazione al mercato del lavoro, dalla competitività al sistema giudiziario, e “ne ha bisogno da molto tempo”. Viene altresì adombrata una certa preoccupazione per l’evoluzione del quadro politico ed in particolare un “significativo rischio” di elezioni anticipate dopo le europee. In ogni caso, sempre secondo Moody’s, “la recessione tecnica che ha colpito l’Italia è fonte di preoccupazione ma non rischia
di contagiare l’area euro”. Le stime sull’Europa saranno infatti riviste leggermente al ribasso, ma non c’è rischio di contagio dall’Italia e neppure da altri Paesi “che hanno fatto progressi”, laddove si aggiunge che i costi di finanziamento rimangono bassi nell’Eurozona, ma sono saliti in Italia “a causa del rischio politico interno”. Quest’ultimo elemento, a giudizio dell’agenzia, ha già inciso negativamente sui nostri conti pubblici. Nel frattempo, i dati diffusi da EUROSTAT fotografano una situazione già nota per l’Italia per il quarto trimestre dello scorso anno. Da parte sua, la Germania è riuscita ad evitare il calo di crescita, con segno meno, che resta comunque invariata nel trimestre precedente all’ultimo del 2018. È però tutta l’Europa che rallenta, anche se l’Italia si conferma l’unico segno meno della UE. Dopo tutte le aspettative riposte nelle decisioni che avrebbero dovuto adottare le predette agenzie, ci sembra di poter dire che non si è verificato il cataclisma vaticinato da
ogni parte. La situazione, insomma, è già nota da tempo, soprattutto per il nostro Paese, e perciò, anche se condividiamo il fatto che queste agenzie sono state alquanto benevoli, al di là di prospettive non sempre indovinate, insistiamo sulla necessità che l’Italia debba attuare una forte azione progressiva per un effettivo rilancio della sua economia con forti investimenti pubblici e privati, rendendo più semplice la loro realizzazione, con l’incentivazione del lavoro attraverso lo sviluppo di politiche attive, sgravi fiscali per le aziende, fondi a disposizione dei giovani che intendono fare impresa, rilancio del Mezzogiorno, in termini di sviluppo economico ma, soprattutto, di sicurezza sociale, che è il vero grande problema dei nostri giorni. Occorre affrontare a viso aperto dette questioni, altrimenti potremo pure crescere di qualche decimale ma saremo sempre un Paese che arranca agli ultimi posti tra i nostri partners europei. Cosimo Sorrentino
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LA CARNE IN RETE
Social di Elena
1. I disossatori youtuber dell’Ohio Hanno 63.000 iscritti su YouTube e i loro video sul disosso sono seguitissimi (goo.gl/GmNBnq). The Bearded Brothers, ovvero gli statunitensi AVID OUTDOORSMEN, SETH e SCOTT PERKINS, sono esperti in taglio e lavorazione delle carni, soprattutto selvaggina. E nel loro e-shop su beardedbutchers.com vendono salse barbecue, coltelli, magliette e caffè. Con i loro tutorial i tagli di bisonti e daini non saranno più un problema (photo © instagram. com/beardedbutcherblend).
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2. Instagram vince su tutti Non rallenta l’ascesa vertiginosa di INSTAGRAM, a discapito di FACEBOOK, in termini di social branding. Gli utenti preferiscono sempre più le foto ai post e il coinvolgimento è assicurato. Tra i tantissimi profili che seguiamo c’è #HardcoreCarnivore, creato dalla griller australiana JESS PRYLES, ora di base a Austin, Texas. Della sua passione per il BBQ Jess ne ha fatto una professione e il suo shop on-line è un punto di riferimento per tutti gli appassionati: www.hardcorecarnivore.com (in basso, una meravigliosa bistecca di cervo; photo © instagram.com/ hardcorecarnivore).
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3. Il giro del mondo con Bervini Primo Volete fare un giro del mondo alla ricerca delle carni migliori? Con www.bervini.com si può fare! La BERVINI PRIMO di Salvaterra di Casalgrande (RE) è on-line con un restyling grafico che partendo dal logotipo ha attualizzato anche la comunicazione web. L’azienda emiliana offre un’ampia gamma di prodotti e un livello di servizio al mercato del catering e retail in Italia e sui mercati esteri. Nuova Zelanda, Nord America, e ancora Giappone, America Latina ed Europa sono i mercati d’origine presso i quali i Bervini selezionano direttamente le carni. Perché “ogni razza ha una propria identità ed una propria qualità, dovuta principalmente all’alimentazione ed allo stile di vita condotto dagli animali” (photo © bervini.com).
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4. Tuttodigital, eccellenze digitali Manca poco all’edizione 2019 di Tuttofood, la fiera italiana dedicata all’agroalimentare che si terrà a Milano dal 6 al 9 maggio (www.tuttofood.it). Per questa edizione, che si preannuncia da record, gli organizzatori offrono un palcoscenico di importanza internazionale al mercato delle start-up e alle aziende innovative che operano nel settore food & beverage. Ci sarà infatti Tuttodigital a dare visibilità alle innovazioni che stanno trasformando la filiera agroalimentare, partendo dalle materie prime fino ad arrivare alla consegna del prodotto al consumatore finale.
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Filiera della carne bovina: esempio virtuoso di economia circolare La recente giornata mondiale dedicata alla lotta contro lo spreco alimentare ha evidenziato l’urgenza di intervenire per arginare questo fenomeno a livello mondiale. E se c’è ancora molto da fare per sensibilizzare in termini di sprechi alimentari — nel mondo finisce nella spazzatura circa un terzo della produzione totale per un valore di 2.000 miliardi di euro — per la carne il discorso è diverso. Infatti, secondo i dati pubblicati su www.lastellinadellacarnebovina.it, questa filiera è fra le più virtuose, incidendo solo per il 5% sugli sprechi complessivi. Ciò si deve essenzialmente alla struttura e all’organizzazione della produzione ed al valore economico, culturale e sociale attribuito dai consumatori alla carne bovina e ai suoi derivati. Durante l’allevamento e la prima trasformazione, gli scarti di carne sono ridotti in quanto le eventuali sovrapproduzioni degli impianti di macellazione vengono facilmente conservate grazie ai sistemi di surgelazione. Nelle fasi di distribuzione, invece, la maggiore causa di spreco è il raggiungimento della data di scadenza; cosa che può essere controllata con un’attenta gestione degli ordini nei confronti dei produttori. Per quanto riguarda il consumo domestico, gli sprechi si riducono perché il consumatore dichiara di congelare l’alimento per evitare gli sprechi (51%) e di fare la spesa frequentemente senza creare troppe riserve (49%). «In più — spiega FRANÇOIS TOMEI, direttore di Assocarni — la possibilità di recupero e valorizzazione di coprodotti e sottoprodotti derivanti dalla lavorazione del bovino è molto ampia ed articolata. Tanto da porre questa filiera come un esempio virtuoso di economia circolare».
Compriamo alimenti on-line in sicurezza La vendita di alimenti a distanza attraverso piattaforme web e app è sempre più diffusa. Per fare acquisti in maniera sicura e consapevole Alimenti & Salute, il sito tematico della Regione EmiliaRomagna dedicato alla sicurezza alimentare e alla nutrizione, propone un'infografica per focalizzare le principali attenzioni da avere. Prima fra tutte, come per qualsiasi informazione on-line, assicuriamoci di rivolgerci a siti web affidabili di soggetti riconosciuti. Alla base del loro lavoro di vendita on-line c’è infatti il tema della responsabilità. Ciò significa che il proprietario dello store on-line è responsabile delle informazioni inerenti gli alimenti in vendita. In secondo luogo, è sempre bene verificare che il sito utilizzato riporti tutte le indicazioni obbligatorie presenti sull’etichetta del prodotto scelto. Ad esempio allergeni, peso, conservazione, etichettatura, informazioni nutrizionali. In caso di certificazioni i loghi inerenti devono essere ben evidenziati e riconoscibili, per evitare fraintendimenti o errata comunicazione. Infine, nel caso di prodotti non preimballati, è obbligatorio segnalare le sostanze presenti che possono provocare allergie o intolleranze.
>> Link: www.alimenti-salute.it
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Ismea, 100 milioni per investimenti nel settore agroalimentare: bando aperto per la presentazione dei progetti Fino al 20 maggio 2019 è aperto il bando per il finanziamento di investimenti nel settore agroalimentare. I progetti di investimento possono riguardare la produzione, la trasformazione e la commercializzazione di prodotti agricoli e alimentari, e devono essere presentati sulla base dei criteri, delle modalità e delle procedure definiti dal DM 12 ottobre 2017 del MIPAAFT. L’intervento di ISMEA consiste nell’erogazione di finanziamenti a tasso agevolato (pari al 30% del tasso di mercato) per investimenti compresi tra i 2 e i 20 milioni di euro. I finanziamenti possono essere richiesti da società di capitali, anche in forma cooperativa, che operano nella produzione, nella trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli e alimentari, nella distribuzione e nella logistica. L’obiettivo è quello di rafforzare la competitività del settore agroalimentare favorendo la modernizzazione delle imprese attraverso l’innovazione tecnologica, lo sviluppo e la creazione di nuove strutture produttive, l’internazionalizzazione e la crescita delle esportazioni con lo sviluppo di piattaforme logistiche e distributive. «Si tratta di un intervento pubblico particolarmente importante per il rilancio degli investimenti nel settore agricolo e agroalimentare — ha dichiarato il direttore generale dell’ISMEA, RAFFAELE BORRIELLO — che si colloca in un momento cruciale per l’economia del nostro Paese, dove i soggetti pubblici sono chiamati al massimo sforzo nel convogliare risorse in investimenti per favorire la crescita del PIL». Per accedere ai finanziamenti è necessario presentare sul portale dedicato ISMEA la domanda di ammissione, corredata dallo studio di fattibilità, dal programma degli investimenti e le relative previsioni economiche-finanziarie. >> Link: strumenti.ismea.it
BBQ4All, oggi anche magazine Perfetta evoluzione del suo processo di crescita, il magazine mensile di BBQ4All, partito col numero zero a dicembre, è la rivista dedicata agli appassionati della cottura sul fuoco vivo. «Il nostro magazine è una rivista. Un giornale. È didattica in forma di intrattenimento» scrive GIANFRANCO LO CASCIO, fondatore di BBQ4All e mentore del movimento barbecue italiano www.bbq4all.it. Ogni mese, per 12 mesi all’anno, a tutti coloro che si abboneranno arriverà direttamente a casa un giornale sempre nuovo, mai banale, ricco di contenuti e informazioni. BBQ4All Magazine è anche un posto dove trovare una risposta semplice, veloce, immediata alle domande più ricorrenti e interessanti. È una novità nel panorama editoriale enogastronomico italiano, con interviste ai macellai più famosi, italiani e internazionali, approfondimenti sulle realtà gastronomiche di tutto il mondo, nozioni sulla cultura barbecue, consigli su dispositivi e cotture (per i principianti e per gli esperti), ricette nuove e tradizionali, abbinamenti con vini e birre, rubriche, approfondimenti scientifici e molto altro (costo: € 19,98 per 3 numeri). •
Per info su abbonamenti: diventaregrillmaster.store – magazine@bbq4all.it
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COMUNICARE LA CARNE
Alimentazione e ciarlatani in rete di Giovanni Ballarini
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el passato l’alimentazione degli Italiani era regolata dalla tradizione che stabiliva cosa, come e quando mangiare durante il giorno (colazione, pranzo e cena), nel corso della settimana (giovedì gnocchi, sabato trippa, ecc…), nel susseguirsi delle feste (Natale e Capodanno, Pasqua, ecc…) e nel volvere delle stagioni (tempo delle mele, delle castagne, del vino nuovo, ecc…). Tutto questo è praticamente scomparso e allora sono spuntati prima i fisiologi, poi i nutrizionisti e i dietologi, che con camice bianco e “piramidi” hanno tentato e continuano a cercare di regolare l’alimentazione della popolazione, ma con scarsi risultati. Sull’alimentazione oggi, usando terminologie anglofone,
imperversano i blog (o siti), dove gli influencer (letteralmente, influenzatori) hanno migliaia e finanche milioni di followers (seguaci più o meno fanatici). Inoltre, i mezzi d’informazione, iniziando dai giornali, ogni giorno elencano i cibi che non dovremmo mangiare, quelli che proteggerebbero il cuore o svilupperebbero l’intelligenza e quelli utili per prevenire i tumori, in una ridda di notizie mutevoli e non di rado contrastanti, per cui quello che ieri era veleno oggi è salvifico o viceversa. Tutto ciò va ad incrementare una sorta di “cucina di Babele”, nella quale la gente, senza più le sicurezze derivanti dalla tradizione, diviene ansiosa se non timorosa nei confronti di ciò che deve mangiare.
Marketing di influenza più o meno trasparente Di particolare attenzione per la sua diffusione è il fenomeno degli influencer-blog-blogger-followers in cui rientrano anche i ciarlatani della rete. Influencer è chi influenza qualcuno attraverso un blog, un sito internet predisposto ad accogliere confronti e scambio di opinioni. Proposto un tema, si avvia una discussione alla quale via via si uniscono altri navigatori che con i loro più disparati pareri, e non di rado divagazioni, ingrossano il flusso dei messaggi, delle risposte e controrisposte, arrivando non di rado ad insulti più o meno velati. Alcuni blogger col tempo acquisiscono notorietà, i followers, più o meno abituali, che li seguono, diventano sempre
La carne è da anni oggetto di teorie complottistiche e allarmismi che oggi vengono combattuti da canali d’informazione scientifica quali carnisostenibili.it e carnerossa.info (photo © vectorfusionart – stock.adobe.com).
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Vanlommel fornisce carne di vitello su misura: tagliata e confezionata come pi vi piace. In quanto regista di una Þliera chiusa, Vanlommel si occupa in proprio dellÕintero processo, dallÕacquisto e dallÕevoluzione dei vitelli da ingrassare, Þno alla tracciabilit completa a livello del singolo pezzo porzionato. Professionalit con totale Þducia.
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Chiara Ferragni, qui alle prese con i burger della catena californiana In-NOut Burger, conta 17 milioni di followers su Instagram (photo © instagram. com/chiaraferragni). più numerosi e i loro siti finiscono per destare l’interesse di chi opera sul mercato. Su di essi compaiono, con frequenza crescente, messaggi pubblicitari che portano un utile economico ai blogger proprietari dei siti e quello che probabilmente è nato come un gioco si trasforma in un lavoro remunerativo. Come in tutte le attività, vi sono i blogger trasparenti e quelli che non lo sono, divenendo influencer poco seri, superficiali, incompetenti degli argomenti che trattano e che, quel che è più grave, danno avvio a discussioni nelle quali è difficile distinguere tra verità e falsità, tra competenti e imbroglioni. Ampio è oggi il fenomeno dell’influencer marketing, esercitato da persone che, in base al proprio
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prestigio, con i loro interventi, mostrando sostegno o approvazione (endorsement) per determinati prodotti o marchi, generano un effetto pubblicitario, senza però palesare la finalità commerciale della comunicazione. Agli occhi dei consumatori queste persone presentano una grande credibilità e la loro azione può facilmente sconfinare in una pubblicità occulta o ingannevole. Per evitare ogni tipo di ambiguità, il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, all’art. 7 impone che la comunicazione commerciale debba essere sempre riconoscibile come tale. Diffidate gente, diffidate… e controllate L’influencer non è una figura nuova, anzi è antichissima, se si pensa a
quanto avveniva nei secoli passati, come documenta PIERO CAMPORESI (Il libro dei vagabondi, prefazione di FRANCO CARDINI, Garzanti, Milano 2003). Spesso, nelle piazze dei mercati, i venditori ambulanti attiravano, con la loro oratoria, le persone per vendere merce in molti casi “falsa” (chi non ricorda il filtro magico spacciato da Dulcamara nell’Elisir d’amore di GAETANO DONIZETTI: si tratta in realtà di un buon vino). Ora però il fenomeno, da limitato e locale, si è allargato a livello mondiale, divenendo addirittura pericoloso quando riguarda argomenti relativi alla nostra salute, che spaziano dalla cucina all’alimentazione, alla dietologia. Ci si chiede allora: esiste un metodo, uno schema, un percorso logico per individuare le informazioni vere da quelle false, inesatte, enfatizzate e distorte, o almeno per avere un sospetto? Assolutamente improponibile è un controllo pubblico dei siti, mentre importanti sono alcune precauzioni. Certamente si deve diffidare di quei siti che accolgono argomenti disparati, con propensione a rilanciare notizie per catturare l’attenzione, sollevare dubbi, sospetti e paure nascoste. Poi bisogna cercare di risalire alle fonti dell’informazione che interessa, così come si fa con gli alimenti, per i quali si esige la tracciabilità della loro origine, di chi produce la materia prima, la trasforma e la commercializza, e come si dovrebbe fare per ogni merce non acquistata in negozi di accertata fiducia. La stessa procedura deve essere applicata alle notizie: bisogna controllare da dove sono nate, dove sono state pubblicate, risalendo alle banche dati, consultabili gratuitamente, che nella maggior parte dei casi ci dicono se una notizia origina da una ricerca scientifica, da chi e in quale istituzione è stata effettuata e da quale rivista è stata pubblicata. Tutti criteri di credibilità, anche se è sempre necessaria una corretta interpretazione dell’informazione. Prof. Giovanni Ballarini Accademia dei Georgofili www.georgofili.info
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UNA STORIA DI CARNE Noi del Consorzio Carni Piemonte la produciamo nei nostri allevamenti. Più di 120 allevatori si sono consorziati sin dal 2001. Oggi attraverso il nostro Macello Piemonte Nord , siamo in grado di fornire agli operatori del settore un prodotto sano, controllato e di origine certa.
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LA QUALITÀ
Grass and forage fed beef
Carne bovina West Country Igp: con erba e foraggio si ottengono gusto e succulenza
N
el gennaio 2014 sono state riconosciute dalla Commissione europea, e pubblicate sulla sua Gazzetta Ufficiale, le Indicazioni Geografiche Protette (PGl’S) per la carne bovina e per l’agnello del West Country (Contea dell’Ovest). L’Inghilterra ha una tradizione secolare nell’allevamento di carne sia bovina che ovina. Le tradizionali tecniche di allevamento tramandate di padre in figlio si affiancano oggi ad un’industria all’avanguardia, che garantisce controlli su tutta la filiera per offrire
una carne sicura e dalle indiscusse qualità organolettiche tanto amata dai buongustai di tutto il mondo. L’area geografica di produzione di questa carne è costituita da sei contee nel Sud-Ovest del paese: Cornovaglia, Devon, Dorset, Gloucestershire (dove è situata la Fattoria di Sua Maestà il Principe di Galles), Somerset e Wiltshire, che insieme formano il cosiddetto West Country. Per essere marchiato IGP il bestiame deve nascere ed essere allevato interamente nelle aziende agricole all’interno di questa regione.
Razza, ambiente, macellazione e maturazione Sono queste le quattro componenti fondamentali che influiscono sulla qualità finale della carne. Una qualità eccellente, pertanto, non dipende solo dalla razza, ma anche dall’ambiente sano in cui cresce l’animale, dai metodi di macellazione e dal processo di maturazione che garantisce la tenerezza, la qualità organolettica più apprezzata dai consumatori. Gli allevatori inglesi fanno un costante lavoro di incrocio fra razze, alla ricerca di una sempre
I pascoli rigogliosi della Contea dell’Ovest in Inghilterra.
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Tenerezza, gusto superiore e succulenza sono le caratteristiche principali della carne bovina del West Country inglese. maggiore qualità. In Gran Bretagna si allevano molte razze, quali Aberdeen Angus, Hereford, Shorthorn, Charolais, Simmental e Romagnola, solo per citarne alcune. Questi animali crescono in un paesaggio verde e pulito, ricco di dolci colline e di prati, con il plus di un clima favorevole alla crescita e al mantenimento di pascoli sempre rigogliosi. Un erba ricca di Omega-3 La dieta di bovini e ovini West Country è prevalentemente a base di erba, con alimentazione supplementare di provenienza locale quando necessario. Non viene utilizzato un sistema di alimentazione intensivo e gli animali non vengono alimentati con prodotti di scarto: il bestiame è lasciato libero al pascolo durante l’estate, tradizionalmente da aprile fino a novembre.
questo periodo gli enzimi naturali all’interno della carne abbattono i tessuti connettivi, il che ne migliora tenerezza e qualità al palato. Essenziale in questo senso si rivela
l’applicazione della stimolazione elettrica ad alta tensione, che riduce il rischio di accorciamento dovuto al freddo o sospensione dell’anca, migliorando ancora la tenerezza.
La dieta specifica a base di erba migliora la composizione chimica del muscolo bovino. Ciò si traduce in una carne sempre più gustosa, che regala un’esperienza culinaria eccellente. La marmorizzazione naturale della carne con i suoi tessuti grassi intramuscolari aggiunge gusto e succulenza. Il colore del grasso varia da una nuance che va dal bianco al giallo ad un color crema incoraggiato proprio da questa dieta specifica. Il colore della carne varia dal rosa al rosso scuro.
Voglia di tenerezza A partire dalla data di abbattimento, la carne riceverà un condizionamento minimo di 10 giorni a temperatura refrigerata, un processo conosciuto come maturazione. Durante
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I bovini del West Country crescono in un paesaggio verde e pulito, ricco di dolci colline e di prati, con il plus di un clima favorevole alla crescita e al mantenimento di pascoli sempre rigogliosi.
AHDB Beef & Lamb è una divisione di Agriculture and Horticulture Development Board (AHDB), ente britannico non governativo per il sostegno e lo sviluppo dell’industria agroalimentare. Il ruolo di questo ente è sostenere l’industria inglese delle carni bovine e ovine in tutta la filiera, dall’allevamento all’esportazione. I suoi obiettivi sono molteplici e consistono nella promozione dell’industria delle carni, contribuendo in modo diretto al miglioramento dell’efficienza nei settori bovino e ovino, stimolando la domanda in Inghilterra e all’estero attraverso attività di comunicazione e marketing. >> Link: www.carneperfetta.it – www.westcountrybeefandlamb.org.uk
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INDAGINI
XVI Rapporto Ismea-Qualivita: i numeri che ci rendono fieri L’agroalimentare è una delle poche voci positive del bilancio nazionale, con ragguardevoli valori dell’export che lasciano ben sperare anche per il futuro. E che sul comparto abbiano un’importanza fondamentale e sempre maggiore i prodotti a denominazione geografica sono i dati del documento a dirlo di Sebastiano Corona
L’
andamento è positivo da tempo, ma sono le stime del 2017, riportate nella sedicesima edizione del prestigioso resoconto annuale, a darci elementi di ulteriore evidenza. Food & Wine DOP e IGP mostrano una produzione
che vale oggi 15,2 miliardi di euro (+2,6% sul 2016) e un contributo pari al 18% sul fatturato complessivo del comparto. Nelle esportazioni le denominazioni hanno un valore pari a 8,8 miliardi di euro, il 21% dell’export agroalimentare na-
zionale. E a conferma che quella delle indicazioni geografiche sia una strada vincente, dentro e fuori dai confini nazionali, nel 2017 si è registrata, come accennato, una crescita del 2,6%, mentre il comparto nel suo complesso si è fermato al
Tagliata di bovino di razza Marchigiana. L’Indicazione Geografica Protetta“Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale” comprende le tre razze da carne Chianina, Marchigiana e Romagnola (photo © www.countryhouselalocanda.com).
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+2,1%. Non poteva essere diversamente, considerato che il sistema delle DOP e delle IGP in Italia, Food & Wine compresi, nel corso degli ultimi 10 anni ha consolidato il proprio peso economico sul comparto, con performance a doppia cifra per valore alla produzione e a tripla cifra sul fronte export, in costanza, tra l’altro, della peggiore crisi finanziaria internazionale della storia recente. Quest’anno il Rapporto IsmeaQualivita, presentato in dicembre a Roma, si arricchisce con ulteriori dati sul comparto DOP-IGP (operatori Food & Wine, valore alla produzione complessivo per regioni e province), ma soprattutto di una nuova ed interessantissima sezione dedicata all’analisi dei cosiddetti big data web e social, che offre uno spaccato importante sulla presenza e diffusione delle DOP E IGP italiane nel mondo digitale e sulla reale percezione dei consumatori rispetto ai prodotti a denominazione. La fotografia di questo mondo è un quadro roseo che mostra numeri di cui andare fieri: sono infatti quasi 7 i miliardi di euro di valore alla produzione, il +46% nell’ultimo decennio. Il 2017 per il food è un nuovo record, considerato l’aumento del 3,3% alla produzione su base annua, rispetto al già positivo 2016. L’export vale invece 3,5 miliardi, un +234% in due lustri. Su base percentuale, la crescita è del +3,5% sul 2016. Oltre un terzo delle esportazioni in valore è verso Paesi extra-UE (36%), ma tra le principali destinazioni si confermano Germania (20%) e Francia (15%). A seguire gli USA con il 18%. Nel wine la situazione è differente, ma permane una performance positiva. Nel 2017, infatti, il valore della produzione di vino sfuso IG, secondo stime ISMEA, è salito a 3,4 miliardi di euro (+2,9%), mentre l’imbottigliato ex fabrica ha raggiunto gli 8,3 miliardi (+2%) sul 2016. Nonostante le potenzialità, va rilevato che, al contrario del food — dove la quasi totalità dei 299 cibi registra produzione certificata —, per il comparto wine a denominazione si riscontra un numero consistente di
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Fonte infografica: Rapporto 2018 Ismea-Qualivita.
filiere “improduttive” (23%) o inutilizzate, che, pur avendo acquisito il riconoscimento, non vede l’impiego del prestigioso logo da parte dei produttori. Anche l’export mostra numeri interessanti e una dinamicità forte degli spumanti. Sono 15 i milioni di ettolitri di vino IG esportati nel 2017, di cui 8,2 di vini DOP. Il valore all’export appannaggio dei vini IG è di 5,26 miliardi di euro (+5,8%), su un totale di oltre 6 miliardi incassati dal vino italiano nel suo complesso (6,7%). Formaggi Andando per settori ed esaminando il comparto per produzioni, i formaggi registrano tutti dati in crescita, con una performance positiva soprattutto per il valore al consumo. La categoria, che rappresenta il
57% del valore e il 51% dell’export del food DOP-IGP, registra in EmiliaRomagna e in Lombardia la gran parte delle ricadute economiche. Trend positivi per le prime 4 DOP (Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Mozzarella di Bufala campana e Gorgonzola) che trainano il settore. Frena il Pecorino romano. Carni fresche Nelle carni fresche aumenta nel 2017 il valore all’origine, malgrado i minori volumi in aumento dell’export di carni ovine certificate. Si sfiorano gli 88 milioni di euro di valore all’origine nel totale, per un +1,4% rispetto all’anno precedente. L’aumento dei prezzi medi alla produzione ha permesso ai fatturati di migliorare, malgrado la contrazione complessiva del volume di
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quantità certificate. Apprezzabili anche le performance dell’Arancia Rossa di Sicilia IGP e del Limone di Siracusa IGP. Aceti balsamici Ragguardevoli i numeri degli Aceti balsamici, il cui distretto vanta 650 operatori per 400 milioni di euro all’origine. È del +2,5% la crescita della IGP, mentre è a doppia cifra (+16% e +10%) quella degli Aceti DOP. In questo scenario il 92% del prodotto è destinato all’estero, per un valore che supera i 900 milioni di euro. Territorialmente la ricaduta, come è noto, si concentra nelle due province di Modena e Reggio Emilia, per un valore all’origine di quasi 400 milioni e di un miliardo circa al consumo.
Fonte infografica: Rapporto 2018 Ismea-Qualivita.
prodotto certificato. Straordinaria la performance dell’export, con un +184%. Sono state infatti determinanti alcune tecniche innovative di packaging del prodotto, che ne hanno facilitato conservabilità e preparazione. Prodotti a base di carne I prodotti a base di carne, pur mostrando un lieve calo produttivo, registrano valori dell’export in aumento con un +3,1%. Fra i prodotti di punta, bene il Prosciutto di San Daniele, la Bresaola e lo Speck. La categoria rappresenta il 29% del valore alla produzione e il 17% di quello all’export a denominazione, ma la ricaduta non è equamente distribuita, considerato che l’EmiliaRomagna da sola concentra oltre la metà del valore economico. Sono
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il Prosciutto di San Daniele DOP, la Bresaola della Valtellina IGP e i Salamini Italiani alla Cacciatora DOP a segnare crescite sull’export a doppia cifra percentuale. Ortofrutticoli È un 2017 in calo, invece, quello degli ortofrutticoli, dove vanno comunque bene la frutta in guscio e gli agrumi. In leggera difficoltà la Mela Alto Adige IGP e della Mela Val di Non DOP, ma in controtendenza nel settore c’è la Melannurca Campana IGP, che arriva al settimo posto della Top 10. A mostrare dati interessanti sono anche la Nocciola del Piemonte IGP e il Pistacchio Verde di Bronte DOP, rispettivamente in terza e quarta posizione per valore, che mostrano incrementi importanti sia del fatturato sia delle
Oli d’oliva È positivo anche il bilancio dell’olio d’oliva, dove la produzione certificata e il valore alla produzione sono in crescita. Le quantità proposte col logo dell’UE sono infatti tornate sopra le 10.000 tonnellate, con un +1,3% rispetto al 2016. Il 2017 ha visto una crescita piuttosto significativa del Terre di Bari DOP, tornata prima, davanti al Toscano IGP. Quest’ultimo detiene tuttavia il primato fuori dai confini nazionali. I volumi esportati rappresentano infatti la metà circa della produzione. Nel complesso, comunque, l’export delle IG per l’olio d’oliva è in lieve flessione. Dinamiche interessanti su alcuni specifici prodotti Sono in crescita pane, pasta e zafferano. La Piadina Romagnola IGP appare inarrestabile, con un incremento di 14.000 tonnellate marchiate e un ragguardevole +13%. Discrete anche le performance di pani e prodotti dolciari della Toscana, come Pane Toscano DOP, Cantuccini Toscani IGP, Ricciarelli di Siena IGP e Panforte di Siena IGP. La Pasta di Gragnano IGP segna un +7% di valore all’origine. Cresce considerevolmente lo Zafferano dell’Aquila DOP (+70% valore alla produzione), ma anche lo Zafferano di Sardegna DOP, che registra un
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Instagram si conferma il canale privilegiato per le conversazioni on-line sul tema Food & Wine, ma hanno un peso tutt’altro che marginale anche News e Blog per la quasi totalità dei prodotti (fonte infografica: Rapporto 2018 Ismea-Qualivita).
aumento del +22% sia nelle quantità che nel fatturato, sebbene siano ancora considerevoli le ulteriori possibilità di crescita. Vino Una trattazione a sé merita il vino, che nel 2017 accusa un lieve calo, con un –0,6%. Resta comunque una domanda estera dinamica, soprattutto per gli spumanti. La produzione a denominazione è prossima ai 25 milioni di ettolitri. È infatti un –0,6% frutto di tendenze opposte: le DOP hanno superato i 15 milioni di ettolitri (+5,8%) mentre e le IGP si sono fermate a 9,4 (-9,6%). Per le IGP sono calati gli imbottigliamenti (–11,5%), mentre le esportazioni sfuse sono salite a 1,2 milioni di ettolitri (+6,3%). Secondo ISMEA, nel 2017 il valore della produzione di vino sfuso IG è salito a 3,4 miliardi di euro (+2,9%), mentre l’imbottigliato ex fabrica ha raggiunto gli 8,3 miliardi (+2%) sul 2016. Sono 15 i milioni di ettolitri di vino a denominazione esportati nel 2017. Di questi, 8,2 sono DOP. Il valore all’export, nel complesso, è di 5,26 miliardi di euro (+5,8%), su un totale di oltre 6 miliardi in-
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cassati dal vino italiano (6,7%). In questo scenario è il Prosecco a fare da traino: l’asse Veneto-Friuli ha registrato 3,2 milioni di ettolitri di prodotto certificato (+5,5%). Ricaduta positiva di tutte le filiere Lo straordinario impatto delle IG in Italia non è però da ricondurre ai meri valori economici delle singole produzioni. Si tratta di un sistema ampio e complesso che porta enormi benefici a tutto il Belpaese. Non c’è provincia in Italia che non ne sia beneficiata, dove più, dove meno, dai positivi effetti delle denominazioni, tanto in ambito strettamente economico quanto sociale. Non c’è zona in Italia che non registri una ricaduta positiva da queste filiere: è un patrimonio immateriale che coinvolge capillarmente operatori e non. Corre però, allo stesso tempo, l’obbligo di sottolineare che alcune regioni, riescono, molto più di altre, a giovarsi degli innumerevoli effetti positivi di uno strumento che ha dimostrato negli anni di essere fortemente vincente, in Italia e all’estero, oggi più di un tempo. Le prime 4 regioni nella produzione di prodotti a denominazione generano infatti
da sole, i 2/3 del valore complessivo IG e si trovano nel Nord Italia. È in Veneto, in Emilia-Romagna, in Lombardia e in Piemonte che si fa il 65% del comparto nazionale a denominazione. Merita una riflessione anche il canale di vendita, rappresentato per oltre il 56% del mercato dalla GDO, mentre si mostrano in forte calo i grossisti. Si ritaglia invece un suo ruolo il dettaglio specializzato e crescono in contemporanea l’HO. RE.CA., la vendita diretta e l’industria di trasformazione. Nella distribuzione, i prodotti a denominazione aumentano dello 0,9% le vendite a peso fisso e variabile e si incrementano del 5,8% quelle nella GDO. In questo contesto i formaggi mostrano comportamenti contrastanti. Con oltre 2,2 miliardi di euro di vendite a peso fisso e variabile cedono, nel complesso, il 3,4% in volume e il 1,6% in valore rispetto al 2016. Mentre il formaggio a peso fisso aumenta del 3,9% in volume e del 6,4%, in valore. Il Grana Padano DOP e il Parmigiano Reggiano DOP, insieme, incidono per il 58% sul volume e per il 65% sul valore delle vendite
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complessive di formaggi a denominazione. Si registra una flessione delle vendite a peso variabile, nonostante la crescita delle vendite a peso fisso. Il prezzo medio delle IG a peso variabile è risultato comunque del 20% più alto rispetto a quello dei formaggi generici. L’aumento del prezzo medio delle IG a peso fisso è doppio rispetto a quello dei formaggi generici (in uno scenario che vede il prezzo dei prodotti IG su una fascia più alta del 70% rispetto ai generici). Ad ulteriore conferma — se mai ce ne fosse bisogno — di quanto valga la presenza del logo dell’Unione Europea sul prodotto. Nelle vendite, in generale, sono in crescita il Grano Padano DOP, il Parmigiano Reggiano DOP, il Gorgonzola DOP e la Mozzarella di Bufala Campana DOP. In rialzo anche quelle del Quartirolo Lombardo DOP e del Taleggio DOP. Le vendite dei prodotti a base di carne sono diminuite del 2,2% in volume, ma sono aumentate dello 0,6% in valore. Prosciutto di Parma DOP, Mortadella Bologna IGP e Prosciutto di San Daniele DOP confermano un livello complessivo di oltre 50.000 tonnellate di prodotto certificato, con un valore che oltrepassa il miliardo di euro. Quelle dell’olio di oliva a denominazione sono ugualmente cresciute, nella misura di un +8,3% in volume e un +12,9% in valore. Aumentano le vendite di Terra di Bari DOP, Toscano IGP, Val di Mazara DOP, Umbria DOP e Garda DOP. È invece di 1,4 miliardi di euro il giro d’affari del vino a denominazione, con un modesto +2,0% di incremento in volume e un discreto +4,9% in valore, mentre i vini comuni sono andati diversamente (–2,2% in volume e –1,9% in valore). Particolarmente significativo l’incremento delle vendite di vini DOP rispetto a quelli IGP. L’impatto sul web e sui social Quest’anno il Rapporto Ismea-Qualivita include un interessantissimo capitolo dedicato all’impatto dei prodotti a denominazione sul web e sui social. In due anni è infatti cresciuto del 60% il numero di
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prodotti a denominazione con social ufficiali. Il 52% dei prodotti IG ha almeno un profilo (420 contro i 268 del 2016 pari al +60%), mentre il 61% dei prodotti ha un sito ufficiale (501 contro i 412 del 2016 pari al +22%). Ma tra le cose più interessanti vi è il fatto che 64 milioni di utenti web sono stati raggiunti, in un anno, dalle conversazioni sulle denominazioni. L’analisi sulle prime 100 IG italiane Food & Wine mostra 2,4 milioni di menzioni generate in un anno da oltre 1 milione di autori in tutto il mondo. Per il food, Facebook si conferma driver, ma il cibo si comunica tramite immagine ed è infatti un successo straordinario per Instagram negli ultimi due anni. Anche da quest’ultima analisi è evidente quanto il comparto delle indicazioni geografiche contribuisca al consolidamento della reputazione del made in Italy. È poi più difficile da quantificare lo specifico valore economico che l’identità territoriale dei prodotti certificati può rendere, ma è sempre più evidente la richiesta e la disponibilità a pagare per trasparenza, origine, modalità di produzione, tracciabilità. Senza dimenticare l’enorme valore aggiunto che, per il nostro Paese, può derivare dal legame tra il turismo e l’enogastronomia, anche nei suoi aspetti culturali e ambientali. «Di certo non va tutto bene» dichiara RAFFAELE BORRIELLO, presidente ISMEA che aggiunge «anche il comparto delle IG è fragile e bisognoso di attenzione: le aziende sono mediamente piccole, poco strutturate e ancor meno aggregate; in molti casi non esistono i consorzi di tutela o sono comunque poco organizzati ed efficaci nelle attività di promozione e gestione per le quali si sono costituiti». La vera sfida, come spesso accade in Italia, è dunque soprattutto interna e passa per l’effettiva capacità di aggregare, organizzare e fare sistema: questo deve essere un impegno di ognuno, produttori, stakeholders, istituzioni, associazioni, territori. Nessuno escluso. Sebastiano Corona
SPECIALE OVINI
La competitività della filiera ovina in Italia
L
e produzioni ovine e caprine rivestono un ruolo marginale nell’economia agricola nazionale, rappresentando poco più dell’1% del valore della produzione agricola complessivamente considerata. Tuttavia, la sopravvivenza degli allevamenti si conferma determinante per la sua funzione sociale e ambientale di mantenimento e presidio del territorio in aree in cui altrimenti non sarebbero possibili altre attività produttive. Da diversi anni il settore versa in una situazione di criticità e la sopravvivenza degli allevamenti ovini nelle aree di maggiore concentrazione è messa a rischio da una serie di fattori che attengono principalmente ad aspetti strut-
turali e organizzativi della filiera. Nell’ambito del Programma Rete Rurale Nazionale 2014-2020 è stata realizzata un’approfondita analisi dei processi evolutivi che stanno segnando il comparto e le tendenze recenti che stanno caratterizzando il panorama produttivo e quello degli scambi. In particolare, è stato affrontato il tema della competitività in termini criticità e opportunità sul fronte della commercializzazione dei formaggi pecorini, le cui dinamiche di mercato si ripercuotono sull’andamento della redditività degli allevamenti, con la duplice finalità di incrementare la consapevolezza degli operatori nelle scelte aziendali da adottare per competere sul mercato e di supportare gli ope-
ratori nell’attività di programmazione e gestione delle risorse che interessano il settore ovino. Le caratteristiche della filiera ovicaprina Con un patrimonio di oltre 8,2 milioni di capi, le produzioni ovine e caprine incidono per l’1,2% sul valore della produzione ai prezzi di base dell’agricoltura complessivamente considerata e per circa il 3,5% sul valore del comparto zootecnico, attestandosi su un totale di circa 600 milioni di euro di cui 438 milioni generati dal segmento latte e 163 milioni da quella della carne. Gli allevamenti ovini e caprini sono caratterizzati da una prevalente concentrazione dei capi al Centro-
Le carni ovicaprine rappresentano un segmento residuale della domanda di carni fresche, mostrando una progressiva disaffezione dei consumatori italiani con un calo ormai strutturale degli acquisti e occasioni di consumo concentrate quasi esclusivamente nei periodi legati alle festività natalizie e pasquali (photo © nazarovsergey – stock.adobe.com).
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Come evidenziato da un tasso di autoapprovvigionamento pari al 126% per il segmento dei formaggi, le esportazioni di pecorini costituiscono una variabile strategica per l’equilibrio e la performance economica dell’intera filiera. Circa il 38% — di cui il 95% Pecorino Romano — dei formaggi pecorini prodotti in Italia è, infatti, inviato all’estero, con una destinazione prevalente costituita dal mercato USA, che assorbe circa il 70% dei quantitativi esportati. Sud e, in particolare, in Sardegna, dove è presente quasi la metà del patrimonio ovino e il 25% circa di quello caprino nazionale. Proprio in virtù di questa concentrazione territoriale l’allevamento ovicaprino assume un ruolo rilevante sull’economia agricola di alcune regioni, in particolare in Sardegna con un’incidenza pari a oltre il 18% e, seppure in misura minore, in Toscana e Lazio, rispettivamente con una quota del 3% e del 2% sul valore totale dell’agricoltura regionale. Il trend strutturale mostra una costante diminuzione del numero di aziende operanti nel settore, a causa del progressivo abbandono
dell’attività da parte di aziende di ridotte dimensioni e, quindi, meno competitive sul mercato. Dall’analisi dei bilanci di approvvigionamento si evidenzia che per quanto concerne i formaggi, le produzioni nazionali superano il fabbisogno interno, determinando l’autosufficienza e individuando nelle vendite all’estero una fondamentale strategia di collocamento del prodotto. Il settore è, infatti, strettamente dipendente dall’andamento delle esportazioni, come evidenziato dal tasso di autoapprovvigionamento che si attesta intorno al 126%. Per quanto riguarda le carni, la produzione nazionale
Il ruolo assunto dal settore ovicaprino nell’ambito degli scambi commerciali dell’agroalimentare risulta poco significativo, poiché i flussi sia in entrata che in uscita incidono per lo 0,5% circa sugli scambi totali, mentre il deficit totale della bilancia commerciale, quasi esclusivamente imputabile al segmento delle carni, ammonta a 27 milioni di euro circa
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rappresenta circa 1/3 della disponibilità totale, considerando i flussi di importazione di capi vivi provenienti dall’Est Europa (che rappresentano circa il 43% dei capi avviati ai macelli) e gli acquisti dall’estero di carni fresche e congelate (pari a circa i 2/3 dei consumi totali). L’autoapprovvigionamento a livello nazionale è, tuttavia, sottostimato a causa della difficoltà connessa a una valutazione delle macellazioni domestiche — molto frequenti nelle microrealtà di allevamento — che contribuiscono a soddisfare una parte della domanda a livello locale soprattutto nei periodi di maggiore richiesta. Per quanto riguarda l’articolazione della filiera, la fase di allevamento si caratterizza per l’alto numero di operatori: le aziende con capi ovini raggiungono le 50.000 unità, mentre quelle con caprini superano di poco le 25.000 unità, anche se spesso può verificarsi la coesistenza di entrambe le specie all’interno dello stesso allevamento. Le aziende agricole conferiscono il prodotto primario alle
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strutture di trasformazione oppure effettuano la lavorazione direttamente in azienda. Il transito verso le strutture di trasformazione può essere coadiuvato da intermediari, che ne agevolano la commercializzazione; per il latte la maggior parte di prodotto confluisce in caseifici o stabilimenti appartenenti a cooperative, mentre per quanto riguarda la carne, vengono utilizzati macelli pubblici o privati (raramente specializzati solo per capi ovini e caprini) oppure impianti autorizzati aziendali (Grafico 1). Nel caso di formaggi a lunga stagionatura, è possibile che nella filiera operino anche stagionatori, ma più frequentemente, la stagionatura (almeno 4 mesi) è realizzata direttamente dal caseificio o dall’azienda agricola di produzione. Possono esistere anche ulteriori figure che svolgono le operazioni di porzionatura e di confezionamento, che nel caso di produzioni a indicazione geografica può anche essere realizzato fuori dalla zona di origine. L’ultimo anello della filiera è rappresentato dalla distribuzione, nella quale il canale retail ha la maggiore incidenza, lasciando uno spazio marginale alla ristorazione (HO.RE.CA.). Per il segmento dei formaggi, particolarmente orientato alle esportazioni, assume una certa rilevanza la figura del grossista che è in grado di offrire una gamma ampia e profonda di prodotti e, oltre ad avere conoscenza dei clienti, competenza relativa al mercato di destinazione, assicura una serie di servizi grazie alla sua presenza in loco o ad un’eventuale rete di collaboratori con punti di rifornimento sul territorio. I flussi quantitativi che caratterizzano la filiera ovicaprina hanno origine, quindi, nelle aziende di allevamento, principalmente destinate alla produzione di latte e, in misura secondaria, di carne. Le consistenze di ovini e caprini, pari a circa 8 milioni di capi nel 2017, hanno permesso di produrre circa 540.000 tonnellate di latte e 35.000 tonnellate di carni. Riguardo in particolare le carni, alla disponibilità citata si aggiunge
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Graf. 1 – I principali attori della filiera ovicaprina in Italia
Fonte: RRN-Ismea.
Graf. 2 – I flussi di latte e carne ovicaprina (000 t)
Fonte: elaborazioni RRN-Ismea su dati Istat, Eurostat (2017). l’acquisto dall’estero di oltre 1 milione di animali vivi destinati all’allevamento e/o al macello. Di questi, si stima un’alta incidenza, tra il 20 e il 30%, di animali macellati direttamente in azienda (Grafico 2).
Valutando il consumo aziendale di latte per reimpieghi e trasformazione diretta attraverso i caseifici annessi all’azienda pari a una quota del 14% del latte disponibile, si calcola una disponibilità di materia
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Gli allevamenti ovini sono prevalentemente ubicati al Centro-Sud e, in virtù della concentrazione territoriale, assumono un ruolo rilevante sulla performance economica di alcune regioni, Sardegna soprattutto (photo © Rafael Ben-Ari – stock.adobe.com). prima per l’industria interna pari a 464.000 tonnellate. Il latte raccolto dall’industria di trasformazione è quasi esclusivamente destinato alla produzione di formaggi (circa 93.000 tonnellate), di cui il 10% costituito da formaggi misti con latte vaccino, il 7% da prodotti a base di solo latte di capra e il restante 83% da pecorini. Per quanto riguarda la carne, le 35.000 tonnellate equivalente carcassa prodotte, rappresentate per il 95% da ovini (soprattutto agnelli) e solo per il 5% da caprini (sia capretti e caprettoni che capre e becchi), provengono da capi nazionali solo per il 57% considerando che annualmente vengono importati oltre 1 milioni di capi. Il settore ovicaprino si caratterizza per un’elevata incidenza delle produzioni certificate e tutelate, in particolare per il segmento dei formaggi dove circa il 42% della produzione è rappresentato da pecorini a marchio DOP. Al netto della quota destinata alle esportazioni, che assume una rilevanza strategica per il segmento dei formaggi pecorini (circa il 38% della produzione industriale), i prodotti della filiera ovicaprina immessi sul mercato interno coprono un consumo nazionale annuo pro capite pari a 0,9 kg sia per i formaggi che per le carni.
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La fase agricola L’allevamento ovicaprino in Italia ha generalmente un indirizzo produttivo misto: la produzione principale è rappresentata dal latte, mentre la carne viene considerata un prodotto secondario. Prevalentemente si tratta di allevamenti semintensivi, grazie al pascolamento dei capi, che solo nei periodi più freddi vengono ricoverati nelle stalle durante la notte. Ne consegue che l’aspetto legato all’alimentazione del bestiame sia gestita principalmente attraverso l’attività al pascolo, con eventuali integrazioni di mangimi nei periodi in cui non è possibile il libero accesso ai terreni adibiti ai pascoli oppure nel caso in cui condizioni climatiche avverse ne abbiano inficiato la disponibilità (per esempio, siccità). Poco diffusi, infine, risultano gli allevamenti di tipo stanziale, con alimentazione basata esclusivamente su fieno, insilati e concentrati; questo tipo di allevamento, pur avendo riscontro positivo in termini di costi di gestione, risente della stagionalità della produzione di latte, generalmente concentrata nella prima metà dell’anno, con un picco nei mesi primaverili. L’allevamento nazionale è caratterizzato dalla presenza prevalente della razza Sarda, che si è diffusa progressivamente dalla Sardegna in tutte le regioni centrali
(Lazio, Toscana Umbria, Marche, Abruzzo) e meridionali (Puglia, Campania, Basilicata, Molise), ma anche in quelle settentrionali (Liguria ed Emilia) della penisola. Per la sua spiccata capacità di adattamento, la razza Sarda è allevata in aziende di collina e di montagna, in condizioni di allevamento estensivo ed anche in zone irrigue, in allevamenti di carattere intensivo. Partendo dai modelli di allevamento esistenti e in conseguenza del sistema di alimentazione, della localizzazione geografica e delle razze allevate, possono essere individuati almeno tre differenti sistemi aziendali di riferimento (Tabella 1): 1. la prima tipologia è rappresentata dall’allevamento semintensivo ubicato in Sardegna, caratterizzato da consistenze mediamente elevate di bestiame (circa 250 capi/ azienda), elevata produttività e disponibilità di ampie superfici investite a foraggere, anche se in determinati periodi dell’anno o in particolari condizioni-non manca il ricorso a mangimi conservati. La valorizzazione della produzione è soggetta a forti oscillazioni da un anno all’altro legate essenzialmente al mercato del Pecorino Romano, che costituisce la destinazione prevalente del latte; 2. la seconda tipologia è rappresentata dall’allevamento semintensivo dell’Appennino Centrale, principalmente ubicato nelle aree di media e bassa collina di Toscana e Lazio. Grazie a una buona organizzazione dell’offerta e a politiche della qualità, le aziende appartenenti a questa tipologia riescono a mantenere livelli elevati di remunerazione, anche grazie alla realizzazione di attività di multifunzionalità (soprattutto in Toscana) e/o di ampliamento e diversificazione della gamma produttiva da parte dei caseifici a cui conferiscono (soprattutto nel Lazio). Alcune aziende sono, infatti, integrate a valle e dispongono di un piccolo caseificio aziendale, spesso associato a forme di vendita diretta (spaccio aziendale, punto
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Tabella 1 – Principali sistemi di allevamento di riferimento in Italia Caratteristiche
Semintensivo sardo
Semintensivo Appennino Centrale
Semintensivo meridionale
Isole
Centro Italia
Sud-Isole
Sardegna
Toscana, Lazio
Calabria, Sicilia
250 capi/azienda
150-200 capi/azienda
<100 capi/azienda
Localizzazione Area Regione Tecniche aziendali Dimensioni Alimentazione animali
Rotazione pascoli e ricovero Rotazione pascoli e ricovero notturno notturno
Razza
Pascolo e transumanza
Sarda
Sarda, Comisana, Massese
Leccese, Siciliana, Meticce
250-300 litri/pecora
120-150 litri/pecora
80-100 litri/pecora
Orientamento produttivo prevalente
Latte
Latte
Latte
Destinazione materia prima
Formaggi duri (Dop e non Dop)
Formaggi duri e semiduri (Dop e non Dop)
Formaggi duri e semiduri (non Dop)
60-98 euro/100 litri
83-101 euro/100 litri
68-87 euro/100 litri
Produttive Produttività
Commerciali Remunerazione del latte (ultimi 5 anni) Fonte: RRN-Ismea vendita specializzato) e attività agrituristica; 3. la terza categoria è rappresentata dall’allevamento estensivo, diffuso soprattutto nelle regioni meridionali, dove è ancora frequente la pratica della transumanza; qui la trasformazione del latte avviene direttamente nelle aziende agricole, solitamente di ridotte dimensioni e con bassa produttività. La sopravvivenza di queste realtà è molto spesso legata a produzioni con un’elevata connotazione di tipicità e territoriale, in grado di garantire una buona remunerazione del latte prodotto.
L’offerta nazionale di prodotti ovicaprini si caratterizza per una forte concentrazione territoriale nel Centro Sud del Paese, dove sono presenti anche il maggior numero di aziende di grandi dimensioni: in particolare, Sardegna, Sicilia, Lazio e Toscana rappresentano i 3/4 del patrimonio ovino nazionale, mentre per i caprini, la diffusione territoriale è leggermente più ampia, considerando che le prime quattro regioni (Sardegna, Sicilia, Calabria e Piemonte) rappresentano il 62% dei capi totali. In base ai dati dell’ultima indagine strutturale dell’ISTAT (SPA 2016), in Italia sono
Da diversi anni il settore ovicaprino versa in una situazione di criticità. In particolare, la forte specializzazione di prodotto e la notevole concentrazione delle esportazioni in alcuni mercati di sbocco fa sì che le fluttuazioni della domanda internazionale (richiesta di Pecorino Romano in particolare dagli Stati Uniti d’America) siano in grado di influenzare l’intera filiera ovina italiana
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presenti circa 51.000 aziende che allevano oltre 7 milioni di ovini e quasi 22.000 aziende con un patrimonio di circa 1 milione di capre. In particolare, la dimensione media degli allevamenti nazionali è di circa 139 capi/azienda per gli ovini, e di circa 45 capi/azienda per i capri. Sebbene nel caso dei caprini, l’incidenza delle regioni del Nord (23% sul totale dei capi) sia più significativa rispetto a quanto registrato per gli ovini (solo il 6%), in considerazione della capacità di adattamento di questo tipo di allevamento alle aree alpine e subalpine, gli allevamenti di presenti nelle regioni settentrionali (pari al 42% del totale nazionale), sono mediamente caratterizzate da dimensioni piuttosto esigue, più che dimezzate rispetto alla media registrata nel Centro-Sud. La fase di trasformazione industriale L’industria di trasformazione della filiera ovicaprina viene distinta in strutture per la lavorazione delle
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carni e del latte. Per quanto riguarda il segmento della lavorazione delle carni, la maggior parte delle macellazioni di capi ovini e caprini viene effettuata nelle strutture a bollo CE autorizzate alla lavorazione di carni rosse in generale; sebbene esistano alcune strutture specializzate nella sola macellazione di carni ovicaprine. Le dinamiche produttive sono strettamente legate a quelle del latte e dei derivati, che rappresentano in Italia la produzione principale. L’offerta risente, indirettamente, anche dell’andamento di mercato delle altre tipologie di carne per l’effetto di sostituzione esistente nella domanda al consumo e di eventuali problematiche sanitarie legate alla diffusione di talune patologie (per esempio, blue tongue). Nel periodo 2013-2017 le macellazioni di capi ovicaprini sono aumentate, con un incremento nell’ultimo anno pari al 6,2% per gli ovini e del +9,8% per i caprini. Le categorie maggiormente interessate sono gli agnelli e le capre e becchi (Tabella 2). Latte, formaggi e carni Per quanto riguarda l’attività di trasformazione, nonostante la buona disponibilità di latte, nel 2017 si è arrestato il trend di crescita della produzione di formaggi ovicaprini (–1% rispetto al 2016, con circa 78.000 tonnellate escluso i misti), come conseguenza di andamenti di mercato poco entusiasmanti e di un eccesso di offerta registrato
nell’anno precedente. Nel contempo, si è registrato un incremento della produzione di carni (+6,4% rispetto al 2016), con le macellazioni di ovini e caprini superiori alle 35.000 tonnellate, nonostante la contrazione della domanda interna. La domanda di prodotti ovicaprini presenta, infatti, un trend positivo solo per i formaggi (+3,5% in volume nel 2017), soprattutto grazie ad un consolidamento dell’interesse da parte dei consumatori per il cibo caratterizzato da un forte legame con il territorio di origine (tipici e prodotti IG) ed evocativi di usi e ricette tradizionali. Le carni ovicaprine continuano a rappresentare un segmento residuale della domanda di carni fresche (circa il 2%) e mostrano una progressiva disaffezione dei consumatori italiani con un calo ormai strutturale degli acquisti e occasioni di consumo concentrate quasi esclusivamente nei periodi legati alle festività natalizie e pasquali. La domanda interna Dopo anni di difficoltà per le famiglie italiane e la conseguente diminuzione della spesa che ha riguardato anche i prodotti agroalimentari, il 2017 si è caratterizzato per una ripresa significativa degli acquisti del settore (+3,2% in valore rispetto al 2016). Per quanto riguarda i prodotti della filiera ovicaprina l’ultimo quinquennio è stato caratterizzato da andamenti contrastanti. Per le carni si evidenzia un persistente calo
dei consumi consolidatosi anche nel 2017 (–5,8% in volume e –3,7% in valore rispetto al 2016). I canali distribuitivi maggiormente utilizzati per l’acquisto delle carni ovicaprine sono rappresentati dai super e ipermercati, che insieme registrano oltre la metà degli acquisti domestici, seguiti dai canali tradizionali, che rappresentano poco meno di 1/4 degli acquisti totali. Il trend negativo degli acquisti ha interessato tutti i canali di vendita, a eccezione del discount (che in particolare nel 2017 ha registrato +2% in volume). Dal punto di vista territoriali i consumi sia di carni ovicaprine sia di formaggi pecorini restano molto ancorati alle aree di produzione: nel Centro-Sud si realizzano, infatti, oltre i 3/4 degli acquisti di carni ovicaprine e oltre i 2/3 per i pecorini. Se al Centro-Sud gli acquisti appaiono relativamente stabili, nelle aree settentrionali sembra esserci un rinnovato interesse verso i formaggi da latte ovino, che nel 2017 mostrano un incremento degli acquisti in quantità (+15,1% Nord Ovest, +6,2% Nord Est). Lo scenario comunitario e gli scambi commerciali dell’Italia Grazie alla capacità di adattarsi a condizioni climatiche e territoriali difficili e l’attitudine a essere sfruttati per l’ottenimento di prodotti atti a soddisfare esigenze primarie (carne, latte e lana), gli ovicaprini vengono allevati soprattutto nelle
Tabella 2 – Macellazioni di ovini e caprini (.000 tonnellate eq. carcassa) 2013
2014
2015
2016
2017
34.154
25.316
33.632
31.308
33.250
20.233
14.746
18.721
18.618
20.591
Agnelloni e castrati
2.737
2.280
4.430
3.350
3.482
Pecore e montoni
11.184
8.290
10.481
9.340
9.231
Caprini, di cui:
1.312
1.322
1.808
1.616
1.774
Capretti e caprettoni
878
939
1.356
993
965
Capre e becchi
434
383
453
623
808
Ovini e caprini
35.466
26.638
35.440
32.924
35.024
Ovini, di cui: Agnelli
Fonte: elaborazione RRN-Ismea su dati Istat.
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Per quel che riguarda gli animali vivi, l’Europa dell’Est gioca un ruolo fondamentale nel soddisfare l’import italiano. Attualmente Ungheria e Romania sono i principali fornitori (photo © Ocskay Mark – stock.adobe.com). aree caratterizzate da un’agricoltura di sussistenza, come alcune vaste regioni del continente africano, in Medio oriente e in Cina. In altre aree come Oceania, in alcuni paesi mediterranei e nel Regno Unito, l’allevamento ovino è tradizionalmente praticato nelle zone svantaggiate, dove spesso costituisce l’unica possibilità di sfruttamento redditizio, ed è proprio in questi sistemi produttivi — generalmente estensivi o semi-estensivi — che si realizza la quota prevalente del valore economico legato alle produzioni ovicaprine. In particolare, a livello europeo, la Grecia e la Spagna e rappresentano i paesi più importanti per la produzione di carni ovine, rispettivamente con il 41% e il 22% del totale UE, mentre per le carni di capra la leadership spetta al Regno Unito con oltre il 37% sul totale delle macellazioni UE. In questo contesto, l’Italia si colloca in posizione secondaria, con una quota prossima al 4% in entrambi i segmenti, proprio in considerazione del fatto che la maggior parte degli allevamenti
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italiani è orientata alla produzione di latte e la carne è sostanzialmente una produzione secondaria e legata ad occasioni di consumo specifiche. La dinamica delle macellazioni nei principali Paesi produttori è caratterizzata da una pressoché costante flessione, che negli ultimi anni ha visto diminuire drasticamente le disponibilità a causa della progressiva contrazione della redditività, riconducibile ad elementi congiunturali (crescita dei prezzi degli input, crisi economica, condizioni climatiche) e strutturali (senilizzazione degli allevatori, riduzione del sostegno PAC), che ha costretto gli allevatori a ridimensionare o cessare l’attività. Il futuro del settore ovicaprino a lungo termine per l’Unione europea, secondo le previsioni della Commissione europea, viene valutato positivamente dopo anni di continuo declino. In particolare, la produzione interna lorda del settore ovicaprino da carne è andata riducendosi costantemente nel corso degli anni fino al 2015; successivamente la tendenza si è invertita, pur continuando ad esistere difformità
significative tra gli Stati Membri, grazie all’aumento della redditività degli allevamenti ovini e al conseguente aumento della domanda di capi da riproduzione. Inoltre, la maggior parte degli Stati Membri ha deciso di attuare il pagamento volontario accoppiato per l’allevamento ovino, introducendo così un sostegno al reddito fondamentale per la vitalità delle aziende agricole. Nella prima metà del 2017, la produzione di carne ovicaprina ha registrato un aumento del 4,3%, in parte dovuto alle macellazioni ovine nel Regno Unito. Tuttavia, tenendo conto della pressione sui prezzi esercitata a livello mondiale da parte di Nuova Zelanda e Australia, e del lieve aumento della domanda interna, la produzione UE di carne ovicaprina dovrebbe stabilizzarsi nel 2030 intorno a 1 milione di tonnellate (+40.000 t, con una crescita media annua dello 0,3%). Per quanto riguarda il commercio, le importazioni UE per il settore ovicaprino sono diminuite del 18% nella prima parte del 2017 (gennaioluglio), a causa della siccità che ha
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colpito Australia e Nuova Zelanda. Le previsioni al 2030 mostrano un lieve incremento degli scambi commerciali, grazie al recupero dell’Australia, che si confermerebbe il principale produttore a livello mondiale. Le esportazioni dell’UE di carne e animali vivi hanno continuato a crescere nel 2017, sebbene i quantitativi esportati rimangano relativamente bassi. In particolare, gli invii di carne, prevalentemente congelata, hanno avuto come principale destinazione Hong Kong, mentre gli animali vivi sono stati esportati soprattutto in Medio oriente (Libia, Giordania, Israele e Libano). Nonostante la richiesta in aumento, la forte concorrenza esercitata da Australia e Nuova Zelanda, che da sole rappresentano l’85% del commercio internazionale, limita il potenziale di esportazione dei paesi comunitari. Pertanto, sono attese esportazioni dell’UE di circa 50.000 tonnellate di carne entro il 2030, limitatamente ai paesi del Mediterraneo. Sul fronte dei prezzi, la tendenza all’interno dell’UE segue il corso delle quotazioni dei principali esportatori, che dovrebbero mostrare un calo nel 2018 e stabilizzarsi negli anni successivi. Continuerà ad essere significativo il divario tra i prezzi comunitari e quelli mondiali, a seguito dei dazi ai prodotti in ingresso applicati dall’UE. Infine, sul fronte dei consumi, le previsioni al 2030 vedono la carne di ovicaprina come la carne meno consumata all’interno dell’UE rispetto alle altre tipologie (3% del consumo totale di carne e circa 2,0 kg pro capite). Il consumo totale è previsto in lieve aumento, fino a circa 1,2 milioni di tonnellate entro il 2030, soprattutto come conseguenza di flussi migratori dall’Africa e dall’Asia. Gli scambi commerciali dell’Italia Per quanto riguarda le importazioni di carni e animali vivi, si registrano due dinamiche differenti: infatti, se i quantitativi per le carni sono rimasti pressoché stabili nell’ultimo quinquennio, il numero di capi vivi importati ha subito un’impennata nel 2014, a cui è seguito un ridimen-
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La competitività della filiera ovina in Italia, Documento realizzato dall’Ismea nell’ambito del Programma Rete Rurale Nazionale. sionamento per i successivi 3 anni che ha visto nel 2017 il numero di animali acquistati a livelli inferiori al quinquennio precedente. Per gli animali vivi, l’Europa dell’Est gioca un ruolo fondamentale nel soddisfare l’import italiano, con l’Ungheria che, pur mostrando una certa flessione dei volumi diretti verso l’Italia (–9,8% nel periodo 2013-2017), rappresenta il principale Paese fornitore grazie ad una notevole competitività di prezzo. Altro importante fornitore è rappresentato dalla Romania, che negli ultimi cinque anni ha mostrato un incremento, raddoppiando le forniture di ovicaprini all’Italia. Per le carni il ruolo principale è svolto da Spagna, Regno Unito e Francia, che da sole rappresentano circa la metà delle forniture, sebbene per tutti si sia evidenziato un calo della quota di riferimento, in particolare nell’ultimo anno, a vantaggio della Romania che ha significativamente ribassato i prezzi esercitando una forte pressione competitiva anche sulle carni ovine di origine nazionale. Fonte: Rete Rurale Nazionale 2014-2020 Autorità di gestione Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo www.reterurale.it www.facebook.com/reterurale
MACELLERIE D’ITALIA
Un macellaio italiano a Chef’s Table Dario Cecchini è il primo maestro delle carni a comparire su Chef’s Table, la serie TV prodotta da Netflix che racconta la cucina e la vita dei grandi chef e ristoratori in giro per il mondo. Un orgoglio per l’Italia e per tutto il mondo della carne
È
stata lanciata lo scorso 28 febbraio ed è già un successo: stiamo parlando della sesta stagione di Chef’s Table che ha tra i sui protagonisti non solo un italiano, ma anche un macellaio. In quel di Panzano in Chianti DARIO CECCHINI ha infatti accolto con calore e passione nella sua Antica Macelleria Cecchini la troupe di questa serie sviluppata da DAVID GELB per NETFLIX per raccontare la sua esperienza di vita dietro a un banco carni e la sua visione di ristorazione con l’Officina della carne, Solociccia e Dariodoc. Discendente da generazioni di macellai, Dario da tempo si è fatto portabandiera dei valori e della cultura della carne in
giro per il mondo. Già presente in No Reservations di ANTHONY BOURDAIN fino al recentissimo Date da mangiare a Phil, Dario aprì nel 2013 a Copenaghen il MAD Symposium, convegno di chef, scrittori ed esperti enogastronomici organizzato dallo chef RENÉ REDZEPI, con una lezione magistrale sulle interiora che rimarrà nella storia dei grandi protagonisti della carne nel mondo (“Guts” era infatti il titolo dell’edizione; qui il video integrale: www.youtube. com/watch?v=Hcn1TOYxLuE). In ogni puntata di Chef’s table ci si addentra nelle vite, nelle carriere e nelle cucine di uno chef di fama per mettere in luce la visione, il talento e la passione di chi ha fatto della
cucina un’arte. E così, dopo i grandi MASSIMO BOTTURA e CORRADO ASSENZA, in questa stagione è la volta di Dario Cecchini, che con i suoi ristoranti celebra la carne, promuove l’utilizzo dell’intero animale, parla di benessere animale e di allevamento. E lo fa con uno sguardo unico e appassionato, travolgente nell’accogliere con il medesimo calore amici, clienti famosi e perfetti sconosciuti nella sua macelleria, con un bicchiere di vino, salame e bruschetta. Una bella rivincita per la carne, tanto oscurata negli anni passati, oggi portavoce di una cultura che ci rimanda al nostro territorio. >> Link: www.netflix.it
Un fotogramma dell’episodio su Dario Cecchini e la sua Antica Macelleria diretto da Jimmy Goldblum per la sesta serie di Chef’s Table.
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Quando il pronto cuoci diventa un piccolo capolavoro
L’avventura di Giuseppe e Margherita De Falco di Elena Benedetti
S
iamo all’interno della città metropolitana di Napoli, più precisamente nel comune di Melito. Qui da quattordici anni è attiva la Macelleria O’ Sistimato di GIUSEPPE e MARGHERITA DE FALCO. Lui è figlio d’arte, col padre macellaio che gli ha trasmesso la passione per
Margherita e Giuseppe De Falco.
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questo lavoro antico. «Da bambino, dopo la scuola, mi piaceva andare in bottega da mio padre». Una sorta di contaminazione che negli anni si è trasformata in una professione a cui Giuseppe, affiancato da sua moglie Margherita, ha saputo dare un’impronta molto personale.
«A 23 anni abbiamo aperto la macelleria qui a Melito, un progetto tutto nostro che oggi ci gratifica ed emoziona, ripagandoci per le tante ore di lavoro e fatica». Il negozio è in una zona alla periferia di Napoli densamente abitata e con la presenza sul territorio di parecchia concorrenza, tra piccoli e grandi supermercati. «Abbiamo lavorato per distinguerci e creare una clientela selezionata, che apprezza il nostro lavoro di ricerca delle materie prime, tra razze, frollature e lavorazione della carne per realizzare comodi pronti a cuocere» mi dice Giuseppe. L’offerta è ampia e per il bovino comprende la scottona nazionale, i tagli di Chianina IGP e la manzetta prussiana. L’agnello, indiscusso protagonista della tavola pasquale, è sempre presente nel banco carni insieme ad un pollo locale, la “Cresta del borgo”, allevato ad Agnano, un’area originariamente vulcanica con il cratere degli Astroni, oggi oasi del WWF. «Sul discorso frollatura abbiamo lavorato molto con i nostri clienti per spiegare il processo di maturazione della carne, quei processi biochimici che ne cambiano la struttura» mi dice Giuseppe. Passo dopo passo, dopo qualche diffidenza nel vedere le carni scurirsi nell’armadio a vista in negozio, e assaggiandone poi il risultato in termini di sapore e tenerezza, le bistecche frollate della Macelleria O’ Sistimato sono diventate merce ricercata. «Maturiamo un minimo di 40 giorni, per arrivare ad un massimo di 90 ed oggi è una soddisfazione vedere come la gente
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La nostra grande passione sono i pronto cuoci, amati dai clienti per la comodità che offrono nella preparazione veloce dei pasti. Il nostro impegno è quello di presentare sempre idee nuove, capaci di stuzzicare la loro curiosità
apprezzi questa lavorazione e, soprattutto, percepisca la qualità del prodotto che offriamo». Eh sì, perché in questa bottega di Melito di Napoli tutto gira intorno alla qualità: dalla pulizia maniacale del locale alla scelta delle materie prime, al servizio di vendita. «Ciò che ci contraddistingue e differenzia dagli altri è l’attenzione che prestiamo davvero a tutto ciò che viene lavorato e che è alla base della nostra professione» sottolinea Margherita. «La nostra grande passione sono i pronto cuoci, che qui sono molto ricercati per la praticità e comodità che offrono nella preparazione veloce dei pasti. Il nostro impegno è quello di presentare sempre idee nuove, capaci di stuzzicare la curiosità e appagare il palato». «Anche nella realizzazione dei preparati scegliamo solo il meglio, senza lesinare sulle materie prime di qualità» aggiunge Giuseppe. Ho avuto il piacere di conoscere Giuseppe e Margherita lo scorso dicembre, in occasione del primo #contestEurocarni su Facebook con il gruppo “Corso gratuito per i macellai” di ALE ELALOUI. Vinsero loro con una tavola imbandita di preparati, tagli, piatti ispirati al Natale e alla tradizione. «Fummo ripescati in corso di gara e in due giorni realizzammo tutto» mi confida oggi Giuseppe, ancora emozionato per quella vincita inaspettata. Giuseppe e Margherita realizzarono un ricchissimo banco natalizio: da un polpettone stellato, fegatini di maiale, pacchetti natalizi, una torta di pasta sfoglia, un brasato
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Il banco della Macelleria O’ Sistimato, con la ricca offerta di pronto cuoci, molto apprezzati dalla clientela di Giuseppe e Margherita De Falco. di maialino nero, delle salsicce di maialino, un alberello natalizio ai quattro formaggi, una bombetta di pollo ripieno, una bella costata di
Marchigiana IGP, carré d’agnello, tartare a forma di stella realizzata con battuta di Chianina IGP e Taleggio DOP, una sfera di battuta di
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Tutta la fantasia e la creativitĂ dei pronti a cuocere della Macelleria Oâ&#x20AC;&#x2122; Sistimato. 74
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MEATY. store
Orgoglio Carnivoro e T-shirts
Fassona accompagnata da ricotta di Bagnoli Irpino, una costoletta di maialino nero aromatizzato in strati e, infine, un filetto di scottona aromatizzato al pepe rosa e granella di pistacchio. Ogni bottega della carne è caratterizzata da una propria visione del lavoro, alla luce della tipologia di clientela che gravita intorno al locale, alla formazione personale, attitudine e personalità. Non c’è una soluzione valida per tutti: il successo di una macelleria è qualcosa di molto personale che non prescinde dalle tante ore di lavoro dietro al banco carni e a quella professionalità che sta alla base del lavorare bene per se stessi e della propria clientela. Giuseppe e Margherita hanno trovato la loro ricetta di felicità e successo, tra la creatività che esprimono nei loro preparati, la voglia di far bene usando solo il meglio e una professionalità che condividono con i colleghi sulle piattaforme social. Un bell’esempio per tutti! Elena Benedetti
L’armadio per la frollatura delle carni.
Macelleria O’ Sistimato di Giuseppe e Margherita De Falco Corso Europa 352 80017 Melito di Napoli (NA) Telefono: 081 07101170 FB: facebook.com/macelleria.giuseppeosistimat
Il gruppo Facebook “Corso gratuito per macellai” Fondato nel 2017 da ALE ELALOUI, questo gruppo chiuso di Facebook conta quasi 3.000 macellai, che si confrontano quotidianamente mettendo a disposizione della community le proprie competenze, i successi, i prodotti che funzionano nell’attività, «vivendo insieme il cambiamento e l’innovazione del settore» come ha raccontato Ale ad ANDREA LAGANGA di MaremmacheCiccia in un’intervista pubblicata su EUROCARNI (Laganga A., La formazione si fa social, in EUROCARNI n. 9/2018, pag. 118). Questo gruppo è un bell’esempio di comunità on-line che fa della condivisione il vero punto di forza. Si tratta di un luogo d’incontro virtuale nel quale gli iscritti possono postare immagini di tagli e preparati, chiedere aiuto o consigli, partecipare a contest per mettersi in gioco e trovare nuovi stimoli. Inoltre gli algoritmi di Facebook privilegiano la visibilità dei post dei gruppi, promuovendone la diffusione (in foto, un omaggio di Giuseppe De Falco, moderatore del gruppo).
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Con la battuta al coltello di Bruno Bassetto si festeggia l’apertura di un nuovo punto vendita di carne bovina a Treviso Sabato 9 marzo il maestro macellaio Bruno Bassetto ha tenuto a battesimo l’inaugurazione della nuova macelleria all’interno del Mercato Campagna Amica di Treviso con la sua famosa battuta al coltello: carne di fesone di spalla condita con sale marino, olio extravergine di oliva Dop del Garda e servita su crostini artigianali. La carne era quella di una Scottona ai cereali dell’Azienda agricola Bernardi di Istrana (TV), che gestirà il nuovo punto vendita all’interno del Farmers Market di Coldiretti nei giorni di apertura del Mercato Campagna Amica, al martedì, giovedì e sabato, dalle ore 8:00 alle ore 13:30. Bernardi aderisce tramite l’Organizzazione Produttori UNICARVE al Consorzio Sigillo Italiano, marchio collettivo che identifica le produzioni certificate dal Sistema di Qualità Nazionale Zootecnia del Vitellone e/o Scottona ai cereali approvato dal Ministero delle Politiche Agricole e dalla Commissione europea. Il marchio Consorzio Sigillo Italiano e Campagna Amica sono la migliore garanzia per assicurare la qualità della carne prodotta dagli allevatori italiani. E di questi tempi conoscere l’origine del prodotto, ossia, chi ha allevato il bovino, come, con quali alimenti ed il livello di benessere animale certificato, sono informazioni indispensabili poiché “noi siamo ciò che mangiamo” e lo stesso vale anche per il bovino. Campagna Amica e Consorzio Sigillo Italiano sono da sempre dalla parte del consumatore, non solo per la qualità ma anche per il prezzo equo dei prodotti agricoli venduti direttamente dagli agricoltori, con la formula della filiera corta (fonte: UNICARVE).
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Carni e salumi di Carnia A Luincis di Ovaro, il “balcone della Val Degano” in provincia di Udine, Renato Beorchia prosegue la tradizione famigliare della macelleria selezionando le migliori carni per la propria clientela e dedicandosi alla produzione di salumi artigianali tipici di Riccardo Lagorio
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00% macelleria e 100% produzione di salumi. Un 200% che solo la passione di RENATO BEORCHIA può giustificare e fare la differenza. La villetta bassa si sdraia isolata su uno spicchio di piano accanto al torrente Degano. Da qui celebra l’evoluzione della tradizione malgara e norcina di famiglia, confluita in uno spaccio in stile nordico: vasi di geranio e tende bianche e rosse alle finestre, interni in legno, sobrietà. «Nel banco frigo — dice — il ricambio dei tagli risente della stagione. In primavera e in estate i clienti preferiscono cucinare alla griglia, in autunno e inverno vanno alla grande bolliti e spezzatino. Il dato costante è l’utilizzo di soggetti femmina, dalle carni ben mature. Da anni ci riforniamo dagli allevatori di Cavazzo Carnico, assicurando così carni locali ai nostri». Tuttavia, sino al 2016 provvedevano l’allevamento e il macello in proprio a rifornire di carne il banco della macelleria, ma ostacoli di carattere burocratico hanno indotto il giovane a mettere fine all’esperienza. Nel contempo, ha forse inciso questa vicenda a convincerlo di realizzare un progetto che rappresentasse una forma di riscatto: concentrare tutte le forze intorno a una proposta innovativa nel consumo di carne e nella produzione di salumi. «Ho cercato con tutto l’impegno possibile di convincere i clienti verso un consumo consapevole, che fosse in grado di riconoscere la carne che noi macellai consideriamo migliore,
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Renato Beorchia.
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La pindula, prodotto caratteristico della Carnia, si ottiene dal filetto salato, speziato e affumicato con legna di faggio e ginepro. di animali che hanno almeno 40 mesi, marezzata, frollata». Braceria e salumi homemade All’esterno è nata una braceria, che consente di farsi cucinare tagli e carni: uno spazio aperto durante la bella stagione che si può sfruttare ammirando il monte Arvenis. Un’idea per avvicinare anche i giovani al mondo delle carni allevate in maniera naturale e dei salumi prodotti con criteri che strizzano l’occhio alla tradizione. «In particolare il salume locale è la pindula. Si ottiene dal filetto salato, speziato e affumicato con legna naturale di faggio e ginepro. L’affumicatura dura 48 ore, la stagionatura almeno 60 giorni. Il nome del prodotto deriva chiaramente dal fatto che penzolasse dalle pertiche» spiega Renato. Assaggiato, in mezzo ai monti, con un bicchiere di Ribolla gialla offre il meglio di sé. Da un’altra parte anatomica intera, la lombata, si ottiene il fillet, ben ricoperto di grasso nella parte superiore. Lavorazione semplice anche per il salame Carnia, con affumicatura a freddo di legno di faggio come conservante e temperatura massima di 25 gradi. «Accadeva per necessità che si affumicasse. I salami, i prosciutti, le pancette venivano appese vicino al caminetto perché gli altri luoghi
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della casa erano troppo umidi e l’affumicatura avveniva in modo naturale. Ora quegli stessi prodotti sono diventati il patrimonio gastronomico della Carnia, anzi, di questa fetta di Carnia» illustra con orgoglio indicando i numerosi salumi che si trovano sottovuoto sugli scaffali o a taglio nel bancone. «Non affettiamo mai il prosciutto crudo prima che abbia compiuto almeno 24 mesi di età, di modo che la carne risulti consistente e saporita. Questo avviene per tutti i salumi. Anche per il salame preferiamo stagionature lunghe, perché la compattezza della fetta e il profumo di carne matura devono essere gli elementi che lo caratterizzano». Anche il salame subisce un leggera affumicatura, al pari di coppe, pancette e stinchi cotti. «Un filo di fumo che in questi salumi dal gusto più marcato richiede vini rossi come il Refosco dal peduncolo rosso. Numerosi clienti chiedevano come abbinare i salumi al vino». Ora se ne vanno soddisfatti da una buona scelta di vini, esclusivamente friulani. Riccardo Lagorio I Salumi di Carnia Via Guart di Luincis 34 33025 Ovaro (UD) Telefono: 0433619043 Web: www.isalumidicarnia.it
MEAT BLOGGER
Solo rimanendo uniti si vince!
Pasqua di passione… per il butcher di Andrea Laganga
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a Pasqua si avvicina e, come ogni anno, il macellaio si trova di fronte al solito dilemma: quanti agnelli venderemo? È sempre più difficile stimare il commercio di carne ovina durante il periodo pasquale. Perché, si sa, la carne d’agnello detiene il posto
d’onore sulla tavola degli Italiani nei giorni di questa ricorrenza e, chi più chi meno, anche solo per abitudine, non resiste alla tentazione di aggiungerne un pezzetto al classico arrosto misto. Quella dell’agnello pasquale è una tradizione che affonda le radici
nelle origini stesse della cristianità: simbolo per eccellenza della religione cristiana, l’agnello rappresenta Gesù Cristo, sacrificio e salvezza. Dietro a questa allegoria si cela l’intreccio tra le due più antiche religioni monoteiste, Cristianesimo e Ebraismo.
Adam Danforth, butcher & educator statunitense, affianca alla sua professione di lavorazione delle carni quella di promotore di un’informazione corretta, con visite ad allevamenti, corsi di taglio, degustazioni e consulenze. Sua anche l’idea di vendere poster con i vari tagli di ovino, suino, bovino e ovicaprino: per imparare ad usare tutto l’animale e non scartare niente. Li trovate in vendita on-line sul suo sito adamdanforth.com (photo © Keller + Keller).
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Arrosto, in umido, al forno o fritto, ma agnello deve essere: a Pasqua per tradizione la portata principale del pranzo domenicale ha come protagonista questa carne molto saporita e succulenta che si adatta a tantissime preparazioni.
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Da una parte, quindi, abbiamo un importante collegamento nella tradizione religiosa a sostegno del consumo d’agnello, mentre, dall’altra, notiamo una tendenza di mercato contrastante. Non possiamo restare indifferenti di fronte a dati statistici che segnalano la vendita di carne ovina come in netto calo. Dal 2002, quando si macellavano quasi 734.000 agnelli, la cifra più alta tra tutte le tipologie di bestiame a carni rosse (secondi in classifica i vitelloni maschi e manzi con 173.000 capi), si è passati nel 2017 a 380.000: una diminuzione dei consumi quasi della metà, che in soli quindici anni ha messo in crisi il mondo della pastorizia e non solo! L’anno scorso, secondo il CODACONS, si è registrato un ulteriore calo netto del 10% sull’acquisto d’agnello nel periodo pasquale da parte degli Italiani, sostituito da pollame e suino. Questi sono dati che fanno male a tutta la filiera animale, partendo dagli allevatori ai produttori di mangimi, fino a chi la carne la lavora e la vende. Sicuramente un mea culpa di fronte a questi numeri dovremmo proprio farlo. Una situazione difficile, mai presa sul serio da chi di dovere. Le categorie sono rimaste inermi di fronte a chi, invece, non è mai stato fermo, raccontando la propria filosofia di pensiero del NO LAMB con campagne di sensibilizzazione negative nei confronti della nostra categoria, dissuadendo i consumatori dall’acquisto di questa “carne”. Cause animaliste accolte da politici e persone dello spettacolo fino ad atti vandalici a discapito di lavoratori comuni e onesti, con l’unico difetto di vederla in maniera differente. La categoria dei butchers, ultimo anello di congiunzione della filiera prima che la carne arrivi in tavola, non è mai riuscita ad unire la propria voce. Un urlo di rabbia soffocato da Nord a Sud a sostegno della tradizione e della corretta alimentazione dovrebbe invece sollevarsi spontaneo. È arrivato il momento di cominciare: dobbiamo prendere coscienza del nostro ruolo
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Negli ultimi anni si è registrata una disaffezione nei consumatori tradizionali verso le carni ovine, spesso relegate alle sole festività. Una tendenza che i macellai possono aiutare a limitare comunicando in bottega il valore aggiunto, in termini di benefici nutrizionali, benessere animale e filiera (photo © photographyfirm – stock.adobe.com). di “attori protagonisti” nella cultura alimentare, ricca di sane tradizioni di benessere da tutelare per il bene e il sostentamento dell’equilibrio economico e sociale. Come fare? Per prima cosa trasmettere una voce unita di disagio ai nostri politici. Come categoria importante e presente su tutto il territorio, abbiamo il diritto di poter essere rappresentati e tutelati in quei tavoli dove si decidono le sorti del mondo. Naturalmente, tutto ciò attraverso la nostra rappresentanza di categoria, che ha il compito di manifestare i nostri disagi e tutelarci. Se poi amiamo davvero la nostra professione, e non abbiamo voglia di aspettare inermi sulla soglia del negozio che le istituzioni e la burocrazia facciano il proprio corso, affinché qualcuno difenda per noi le nostre tradizioni, dovremmo pensarci noi, in prima persona, col nostro “fare” quotidiano. Abbiamo la fortuna di poter parlare ogni giorno con persone differenti, che per di più ci stimano accordandoci la loro fiducia. Un pubblico certamente sensibile agli attacchi mediatici che fanno leva sulla sensibilità e la tenerezza. Chi meglio di un macellaio dal proprio banco carni è in grado di comunicare efficacemente la nor-
malità nell’acquistare e cucinare l’agnello? Prendetelo come un impegno ma, soprattutto, fatelo con onestà ed intelletto. Senza ricorrere ad azioni kamikaze alla CRUCIANI che, se vi ricordate, nel 2017 si presentò in radio/web con una testa d’agnello mozzata. Noi non siamo così brutali e non vogliamo passare da qualunquisti che provocano per perseguire un fine personale. Per noi è qualcosa di più: è passione per quello che ogni giorno con tanta solerzia portiamo avanti. Coinvolgiamo medici, esperti nell’alimentazione che spieghino dal punto scientifico gli aspetti positivi del consumare carne d’agnello e di tutto ciò che dovrebbe far parte della nostra dieta nel corso dell’anno, non solo a Pasqua. Potremmo sorprenderci a sapere ad esempio come la carne di agnello sia una valida alternativa alle altre carni bianche, come pollo o tacchino, ideale per lo svezzamento dei neonati, per gli sportivi e per chi segue una dieta ipocalorica. Ripartiamo da qui e riprendiamoci quello che fino ad oggi ci è stato tolto. La nostra controffensiva finora è stata fatta solo di silenzio. Iniziamo a far sentire la nostra voce: solo uniti si vince! Andrea Laganga
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LA CARNE IN TAVOLA
Il pollo o le sue parti? di Giorgia Fieni
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era una volta il pollo, che in tavola non mancava mai. Qualunque pasto, formale o no, lo aveva “in carta”, preferibilmente arrosto, con peperoni o funghi, alla grappa o alle noci, alla giardiniera o con senape. Il cuoco lavorava ore per controllare le proporzioni tra carne e ossa, metterlo in concia, cuocerlo prima sul fuoco poi al forno, assicurandosi fosse sempre ben bagnato, e portarlo in tavola fumante, tagliato alla perfezione, accompagnato da un adeguato numero di salse e insalate. Sono in molti a ricordare cosa si prova davanti a quell’abbondanza: per esempio ALAIN DUCASSE («Da bambino, mia nonna preparava spesso il pollo arrosto per il pranzo della domenica. Ho ancora in mente il ricordo e il profumo di quel piatto!») e SOPHIE DAHL 84
(«C’è qualcosa in quel profumo che si diffonde per la casa, nei bambini cullati in grembo e nel rassicurante fruscio dei giornali che segna silenziosamente una giornata di riposo e famiglia. Mangia e poi fai un pisolino»). A colpirmi particolarmente però è stata la testimonianza di SIMONETTA AGNELLO HORNBY, che ha voluto far provare una tale specialità anche ai suoi invitati: «Per i miei ospiti giapponesi preparai un pollo arrosto magnifico, lardellato, coperto di fette di bacon e con un ripieno di noci e fegatini preso dal ricettario di Mrs Beeton, la famosa cuoca dell’Ottocento che ha scritto “il” trattato di cucina britannica», ha raccontato, salvo poi riportare che «Masafuki ci spiegò che in Giappone la carne e il pesce si vendono già tagliati e che la sola vista di un pollo arrosto può portare la gente al vomito».
Può sembrare strano, ma la celebre scrittrice non ha tutti i torti: quante volte, oggi, mettiamo in tavola un pollo intero? Quasi mai. Preferiamo le alette fritte e speziate, all’americana. O l’insalata di pollo. Men che meno lo troviamo al ristorante. Abbiamo quasi dimenticato il sapore di una crosticina di pelle fatta come si deve e il piacere di poterlo “spiluccare” con le mani in luogo pubblico senza paura di essere giudicati. Ma se volete riprovare l’esperienza del pollo arrosto perfetto eccovi alcuni consigli, suggeritimi da esperti. Scegliete un animale giovane e non troppo grosso, allevato all’aperto, dove si è nutrito con ciò che ha trovato (o con alimentazione controllata a base di mais, frumento, Eurocarni, 4/19
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Fidatevi del Vostro Gusto e scoprirete la differenza. La bresaola e gli sfilacci di carne di cavallo di Giovanni Coppiello sono tutto il meglio e il buono che potete far provare ai vostri sensi. Scoprirete così un piatto unico dai pregi infiniti: ottimo antipasto, intingolo per condire paste bucate, oppure prelibato secondo. Nella foto una delle nostre Ricette Consigliate : Sfilaccetti di Cavallo con Julienne di Verdure. Esecuzione: bollire per qualche minuto le verdure tagliate julienne, guarnire il piatto e condire con un emulsione di olio d oliva e sale di sedano. Ingredienti per 4 persone 200 gr. di Sfilaccetti, 2 Carote, 6 Cucchiai di Olio d Oliva, 2 Zucchine, 200 gr. Cappuccio Bianco,
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Sfilacci di Tacchino
Sfilacci di Manzo
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Pollo alla cacciatora su cremoso di patate, asparagini croccanti, olive nere e foglie di cappero dello chef Riccardo Di Giacinto (photo © reportergourmet.com). latte e legumi). Fiammeggiatelo; tagliate (in ordine) testa, collo, zampe (tenendo l’osso scoperto) e polmoni (le carcasse le potrete utilizzare per preparare un ottimo brodo); massaggiatelo internamente con sale e pepe (alcuni vi inseriscono un limone intero); legatelo (in modo che si crei una sorta di camera d’aria); ungetelo (olio o burro o strutto, ma anche burro di cacao) e infornatelo su una griglia forata (5 minuti a 210 °C, poi 40 minuti a 180 °C, senza mai bucarlo con la forchetta: è cotto quando emette un liquido rosa pallido). Oppure, procuratevi sempre un animale biologico, spennatelo, salatelo, mettete le punte delle ali sotto il corpo (per non bruciarle), spalmate aglio ed erbette sotto la pelle, infornatelo a 200 °C per circa un’ora (dipende dal peso: «Sarà pronto — suggerisce ALICE WATERS — quando le zampe e le cosce non sono più rosa e il petto è ancora succoso all’interno. Io mi baso sugli indizi visivi: so che quando la pelle ha iniziato a separarsi dalla carne della coscia il pollo è cotto»), fatelo riposare (per
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permettere ai succhi di distribuirsi e alla temperatura interna di stabilizzarsi), porzionatelo e mettete da parte la carcassa. Quanto al taglio adatto per il servizio, lascio a voi la scelta: conoscete i vostri commensali e saprete di certo se preferiscono ali o cosce, o, come si racconta ne Il favoloso mondo di Amelie: “In genere Dominique Bretodeau il pollo ruspante lo fa al forno con le patate saltate. Dopo aver tagliato le cosce, il petto e le ali, il suo piacere più grande è scarnificare la carcassa ancora bollente con le dita, cominciando dal boccone del prete”. E per renderlo più goloso? Farcitelo di bacon e cuocetelo nel brandy (“Portano gusto e aiutano il volatile a dorarsi meravigliosamente — scrive NIGELLA LAWSON — non è velocissimo in quanto a tempo di cottura ma è di fantastico aiuto quando hai gente a cena, dato che richiede solo dieci minuti di preparazione, e poi puoi preparare la tavola, farti un drink, metterti il rossetto mentre tutto cuoce felicemente da solo nel forno caldo”). Preparate una marinata con sambuca o yogurt (o latticello). Ungetelo con
maionese, pepe, paprika e cipolla in polvere. Riempitelo con chorizo, cipolla, fagioli e pomodori secchi sottolio. Accostategli abbinamenti innovativi: funghi e melagrana; limone e formaggio di capra; agrumi, zenzero e miele; sciroppo d’acero, senape e fichi; parmigiano e cavolfiore. Avvolgetelo nella pasta sfoglia, aggiungendo o no prosciutto cotto e lattuga. Servite il pollo alla cacciatora su cremoso di patate, asparagini croccanti, olive nere e foglie di cappero (RICCARDO DI GIACINTO). Il pollo arrosto intero è una scelta, indubbiamente: richiede tempo e cura. E una giornata grigia o piovosa. Anche fredda, così accendere il forno sarà un piacere. Ma è una scelta di cuore, per quando vogliamo che i nostri commensali siano ben nutriti e si sentano a casa. Dovremmo decisamente compierla più spesso. Giorgia Fieni Nota A pagina 84, un classico intramontabile: il pollo arrosto con le patate (photo © www.byphoto.by).
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TRADIZIONI
Napoli e le sue più antiche tradizioni gastronomiche festive
La minestra maritata Quando sono carne e verdure a sposarsi. Insieme a casatiello e pastiera è una delle preparazioni tipiche pasquali di Nunzia Manicardi
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a definizione di minestra maritata è assai suggestiva e fa immediatamente capire che dentro questo piatto c’è molto di più che non l’insieme di alcuni singoli ingredienti. Ci sono significati, valori, vissuti di un intero popolo. La minestra maritata è infatti un piatto antichissimo, uno di quelli destinati soltanto ai momenti più importanti dell’anno e, di riflesso, della riunione dell’intera famiglia. Vanto di Napoli (anche se oggi soltanto
i napoletani veraci la ricordano e ancora la mettono in tavola), questa minestra marita, cioè sposa, la carne con la verdura. Lo fa, secondo una strettissima tradizione, in occasione del pranzo soprattutto di Pasqua (insieme con il tortano o casatiello e la pastiera), ma può essere presente anche per Natale o Santo Stefano o, nell’ottica del recupero e conservazione delle usanze locali, pure in occasione di matrimoni o altre analoghe cerimonie. Non va
confusa, come ricorda LUCIANO PIGNATARO, con la “menestella ‘e natale”,
che viene anch’essa preparata pure in occasione della Pasqua, come portata d’ingresso, ma con l’aggiunta di altre verdure quali pomodori, sedano, carote e cipolle che la rendono più vivacemente “colorata”. Va inoltre ricordato che con il termine “minestra”, a Napoli, si indica una zuppa di verdure in brodo e non, come nel resto d’Italia, un generico primo piatto cotto in acqua o in
Minestra maritata (photo © Sergio Di Giovanni – Fotolia).
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brodo, con o senza verdure. Carne e verdura si maritano e da questo matrimonio nasce una minestra che, nel corso degli anni, è andata però sempre più modificandosi, eliminando o sostituendo alcuni ingredienti che sono più rari da reperire in commercio. Una ricetta della “fame” dal sapore antico Gli ingredienti tradizionali sono anche ormai lontani dal gusto della tavola di oggi. La minestra maritata è infatti una minestra scura, amarognola, poco attraente dal punto di vista visivo. Le verdure tipiche sono cicoria, piccole scarole (scarulelle), verza e quella borragine che le conferisce la nota amarognola. In qualche variante si usa anche la catalogna (puntarelle) e perfino, ma è davvero difficile oggi trovarla, la torzella, uno dei più antichi tipi di cavolo chiamato anche “cavolo greco”, dalle foglie carnose, ricce e pur esse di colore verde scuro. Verdure, in ogni caso, pressoché spontanee, un tempo quasi senza costo. La carne di uso tipico è quella di maiale di minor pregio, con tracchie (spuntature), salsicce (tipica era la cosiddetta nnoglia o salame pezzente) e altri tagli di risulta quali cotiche e osso di prosciutto. Si tratta, lo ripetiamo, di carni e verdure molto economiche, anche se — quando possibile — non mancava una mezza gallina. Il piatto, pure in mancanza di quest’ultima, era ugualmente considerato importante e come tale preparato solo nelle occasioni calendariali più significative perché un tempo, non poi così lontano, mettere in tavola anche soltanto gli scarti della carne era un lusso. È una ricetta “della fame”. Tuttavia, le verdure, almeno quelle, si potevano facilmente coltivare in qualsiasi fazzolettino di terra. Se oggi si fatica a trovarle è perché, come già evidenziato, il gusto è cambiato e quelle necessarie a preparare questo piatto non incontrano più, in genere, il favore degli acquirenti. Inoltre, la preparazione è lunga e laboriosa, altre caratteristiche che mal si conciliano con i ritmi odierni. Se siete fortunati, potete
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ancora trovare la minestra maritata in qualche trattoria tradizionale, per la gioia di chi non vuol rinunciare al passato o il piacere di chi quel passato vuole conoscerlo. La minestra maritata veniva accompagnata con il pane abbrustolito che, nella tradizione più antica, era sostituito dagli scagliuozzi, tipiche frittelle di farina di mais dalla forma arrotondata o triangolare che venivano anch’esse adagiate sul fondo del piatto. Preparazione ad arte Preparare la minestra maritata richiede infine un’arte particolare che consiste nella proporzione delle verdure, da scegliere e mescolare in modo tale che le rispettive caratteristiche si sposino a loro volta perfettamente. Il dolce delle bietole, per esempio, con il già ricordato amaro della borragine (tipica di Campania e Liguria, quest’erba verde scuro dalla peluria biancastra si consuma soltanto cotta perché ha foglie dure e ispide troppo sgradevoli. In cucina ha la stessa funzione di spinaci e bietole, ma si consuma anche fritta in pastella croccante). Lo stesso discorso di rispetto di equilibri gustativi vale anche per le carni. Ci vuole molta abilità nel comporre una minestra maritata e ogni famiglia aveva il suo segreto. È, lo ripetiamo, uno dei piatti napoletani di più antica origine, come scrisse anche lo storico e giornalista VITTORIO GLEIJESES nel suo “A Napoli si mangia così”. Una ricetta che si avvicina molto a questa particolare minestra è rintracciabile nel “De re coquinaria” di APICIO, la raccolta di ricette in 10 libri che, apparsa nel III-IV secolo d.C., costituisce la principale fonte superstite sulla cucina dell’antica Roma. Secondo quanto ricostruito da vari cultori e storici di gastronomia, sarebbero stati però gli Spagnoli nel XIV secolo, importando a Napoli la loro “olla podrida”, un sostanzioso minestrone con legumi, pezzi di carne e spezie varie, a dar vita alla minestra maritata, detta anche “pignato grasso”, che traduce quasi letteralmente il nome spagnolo. Qualche secolo dopo, nel XVIII,
dalla stessa “olla podrida” sarebbe poi nata in Lombardia la “cassoeula”, che in effetti tanta somiglianza ha con la minestra maritata benché la presenza delle verdure si riduca alla sola verza. E passiamo alla ricetta, non senza aver prima rammentato che, come riporta MARINA ALAIMO, nella versione cinquecentesca del marchese G.B. DEL TUFO, prevedeva la mescolanza di salsicce di vario tipo, sopressate, pancetta, prosciutto, muso di vitello, piede di porco, carne secca, un orecchio, formaggio, finocchi e anice, spezie e foglie scelte nelle più tenere cime; mentre in una ricetta del 1800 (di IPPOLITO CAVALCANTI, duca di Buonvicino) l’elenco degli ingredienti comprende “un pezzo di carne di giovenca grassa, un cappone imbottito, una gallina paesana, un salsiccione, una fetta della parte genitale della scrofa (verrinia), 4 capi di salsicce cervellate, un pezzo di cacio nostrano, ossa mastre, spezie e verdure scelte a piacere”. Varianti regionali Abbiamo parlato finora di Napoli, ma questo piatto è tipico anche di tutta l’Irpinia, dove è famoso soprattutto con il nome di “minestra maritata arianese” (dalla località di Ariano Irpino, in provincia di Avellino). È presente inoltre in molti ricettari della Ciociaria, la parte meridionale del Lazio. Esistono anche delle versioni caratteristiche di altre regioni: • la minestra maritata calabrese, con brodo di carne, guanciale, cicoria, scarola, sedano, pecorino, olio evo e pepe; • la minestra maritata pugliese, in cui si fa rosolare nell’olio la pancetta a striscioline che poi si dispone in una teglia da cuocere in forno insieme con le verdure lessate. Poi ci sono le tante varianti proposte e imposte dalle odierne necessità di solleticare gusti e portafogli: con fave e piselli, di mare, con riso, solo con pollo, addirittura vegetariana e perfino vegan… Ma, in questi ultimi casi, con chi vanno a maritarsi le povere verdure se restano da sole? Nunzia Manicardi
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Non è una guerra… è un’amatriciana! di Giorgia Fieni
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i rendo conto di addentrarmi in un campo minato, ma devo farlo. Perché non è proprio possibile ignorare il fatto che quattro elementi semplici come guanciale, pomodoro, pecorino e pasta possano creare un mix talmente perfetto da farti pensare dopo ogni porzione: Ancora! La storia dell’amatriciana non è però tanto antica come sembra. Certo, i pastori indubbiamente già conoscevano una pasta al formaggio (la gricia) a cui a volte aggiungevano carne, ma è solo con l’arrivo del pomodoro e l’inizio del suo uso come alimento (e non come pianta ornamentale; perciò intorno al XVII-XVIII secolo)
che questa ricetta acquista le sue vere caratteristiche: “spaghetti all’amatriciana — scrive PAOLO MONELLI nel 1935 ne Il ghiottone errante — impregnati dell’odor dell’armento che scende dai monti in polverosa migrazione, conditi con aglio, pepe, pomodoro fresco, ma soprattutto guanciale di maiale e pecorino grattugiato”. State torcendo il naso per l’aglio? Non siete i soli. Lo hanno fatto anche quelli di Amatrice quando qualche anno fa, in diretta TV, CARLO CRACCO ammise che lo metteva in camicia e si sono scatenate le polemiche. Quindi, direi di iniziare immediatamente dai dubbi per addentrarci poi sul certo. Ovvero
dall’amatriciana di pesce (di solito si tratta di spada o gamberetti o vongole o capesante, ma DOMENICA VIGNARELLI usa crostacei e aggiunge pure lardo di Arnad, per sostituire il guanciale), da quella di verdure e da quella vegana (tofu o affettato vegetale di muscolo di grano al posto della carne, credo sia decisamente chiedere troppo… PIETRO LEEMANN lo sa e preferisce metterci cipolla rossa, mandorle e crema di cavolfiore affumicato, chiamandola Omaggio): tutte ricette buonissime, ma, sinceramente, credo che dovrebbero essere battezzate in tutt’altro modo, perché il sapore principale è cambiato.
I classici bucatini all’amatriciana (photo © Ryba Sisters – stock.adobe.com).
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“Ci vogliono solo tre ingredienti: pomodoro, guanciale e pecorino. E la pasta. Eppure, ognuno ha la sua ricetta”, scrive Virginia Di Falco sul blog Luciano Pignataro. “Poi c’è la diatriba sulla cipolla: ci vuole o non ci vuole? E il formato? Corta o lunga? Spaghetti, bucatini, rigatoni, gnocchi o mezze maniche? Insomma, non se ne esce. Neppure se chiedete al romano de Roma: ognuno ha la sua versione, la sua classifica del cuore”
Il cornetto di amatriciana dello chef Marco Martini (photo © www.facebook. com/MarcoMartiniRestaurantCocktailbar). Poi passiamo al sugo, che non accompagna più la pasta ma la bruschetta o le mozzarelline fritte (nel 2014 MARCO MARTINI l’ha addirittura servita nei coni come amuse-bouche): ottima idea. Non male neanche quella della frittata all’amatriciana, dei supplì, della pizza e dei bicchierini in cui intingere cappelletti allo spiedo: sono sempre valorizzazioni del sapore tipico della ricetta. Infine, excursus sui “mitici” ingredienti. Pomodori, dicevamo: ciliegino o perino o San Marzano o vesuviano del Piennolo… appena colti se in stagione, ovvio, ma non disdegnerei nemmeno quelli grigliati o in scatola (a volte la comodità ha la meglio). Pasta: con bucatini o spaghetti non si sbaglia mai (a meno che decidiate di spez-
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zarli, e allora sì che commetterete un errore imperdonabile), ma in mancanza vanno bene anche i tortiglioni, le orecchiette e perfino gli gnocchi (e credo sia superbo mettere un’amatriciana in un raviolo aperto). Anche il pecorino lascia adito a pochi dubbi: che sia romano, manco a dirlo proprio, ma meglio se di bestia dell’alto Lazio e stagionato. Il guanciale, invece, può scatenare guerre fratricide quanto a provenienza e percentuale di massa grassa e magra… e, soprattutto, è guanciale e non pancetta (né dolce né affumicata)! CLAUDIO DORDEI usa addirittura Pata negra, mentre altri (come DAVIDE DEL DUCA o NIKO ROMITO o CRISTINA BOWERMANN) si affidano
all’originale, ma sfumato con aceto balsamico. Una volta prese tutte le decisioni sugli ingredienti (ripeto: a vostro rischio e pericolo) siate però almeno decisi su tempi e modalità di cottura (pure se usate, come DAVIDE SCABIN, la pentola a pressione) e ricordatevi che tanto accanimento nasce soltanto perché vi state cimentando con una ricetta che HEINZ BECK avrebbe voluto inventare «perché è perfetta. C’è equilibrio tra gli ingredienti, c’è il cuore di chi la pensò, c’è una regione intera come il Lazio, c’è Roma» e che SAPO MATTEUCCI definisce come «un archetipo dorsale, che riempie ogni solitudine e governa le moltitudini, pasce, seduce, fa rifulgere l’artefice di un’aureola eroica e ferina». E scusate se è poco! Giorgia Fieni
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MEAT FRANCHISING
Roadhouse Restaurant compie 18 anni, festeggiando con nuove aperture
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OADHOUSE RESTAURANT (Gruppo Cremonini) festeggia i suoi primi 18 anni con un piano importante di nuove aperture, confermandosi il brand di ristoranti di carne più amato dai consumatori italiani. L’ultimo arrivato è stato inaugurato a Roma in C.so Vittorio Emanuele 254, a due passi da Piazza Navona e lungo uno dei principali itinerari turistici della Capitale. Il ristorante romano si va ad aggiungere a quelli aperti ad inizio 2019 ad Aosta (il primo nella regione Val d’Aosta) e Belluno (l’unica provincia veneta che ancora mancava all’appello), mentre nelle prossime settimane sarà la volta di Vimercate (MI) e di nuovo Roma (il 15o nell’Urbe), portando in numero complessivo di locali a quota 135. «Diciotto anni rappresentano un bel
traguardo» spiega NICOLAS BIGARD, AD di Roadhouse. «Ma per noi rappresentano soprattutto la base esperienziale per guardare avanti: abbiamo un piano di sviluppo per coprire tutte le regioni italiane e arrivare entro il 2020 ai 200 locali. Il format, pur mantenendo le caratteristiche di un ristorante di carne, con la migliore offerta value for money del settore, ha saputo evolversi seguendo i gusti e gli orientamenti dei consumatori. Ai quali, per celebrare questo 18o compleanno, offriamo una serie di promozioni e menù speciali. Siamo solo agli inizi e il bello deve ancora venire». I ristoranti Roadhouse sono aperti al pubblico 7 giorni su 7, a pranzo indicativamente dalle 12:00 alle 14:30 ed a cena dalle 19:00 alle 23.30. Il menu prevede un vasto
assortimento di piatti unici a base di carne alla griglia (Ribeye, New York Strip, Filet Mignon, T-Bone Steak, hamburger, ecc…), accompagnati da un'ampia scelta di contorni e seguiti da una ricca varietà di dessert. Il prezzo medio a persona è compreso tra i 17 e 19 euro. Tutti i locali hanno il wi-fi gratuito e offrono la possibilità, tramite l’APP Roadhouse, di utilizzare la fidelity card per ottenere sconti e promozioni esclusive, oltre a pagare tramite smartphone evitando la fila in cassa. Inoltre per tutti i bambini sono a disposizione le innovative aree kids, con giochi interattivi dove divertirsi in tutta sicurezza. Nel 2018 Roadhouse, con oltre 3.600 dipendenti, ha realizzato un fatturato di 175 milioni di euro. >> Link: www.roadhouse.it
Il nuovo locale romano nelle vicinanze di piazza Navona.
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Gli interni del locale Roadhouse.
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RISTORANTI CARNIVORI
Euthalia, cucina preistorica dal sapore di eternità di Riccardo Lagorio
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un viaggio nel tempo quello che si fa raggiungendo Vicoforte, nel Cuneese, noto agli amanti dell’arte per il Santuario della Natività di Maria Santissima e la sua cupola ellittica, la più grande del mondo. Un viaggio nel tempo, spulciando, se mai fosse possibile, tra i ricettari e le casseruole della preistoria. Un periodo, quello, in cui l’alimentazione variava di certo in base alla stagione, declinandosi in base alla raccolta di erbe spontanee e alla caccia di selvatici. Fruttuosa una e l’altra, è quella di GIAN MICHELE GALLIANO. La serve, appunto, a Vicoforte, senza doversi imbrattare le pelli (volevo scrivere: giacca e cravatta), andando per valli e boschi, architettando espedienti e
trappole per animali. La scelta del Galliano (e della moglie VERONICA VERRA, in apparenza acqua e sapone, distaccata, ma concreta e onnipresente) appartiene alla cultura della filologia alimentare, pratica dettata da esperienza ormai tanto rara quanto preziosa. Questo cuoco diplomato all’Accademia delle Belle Arti la attua senza concedere sconti al gusto acceso, marcato, prepotente. «Propongo la cucina che mi sento di fare, legata alla montagna. Una cucina che nasce dal cuore, altrimenti non avrebbe neppure senso. Talvolta, oggi, qualcuno sopperisce alla mancanza di cuore con la tecnica, ma questo non è sufficiente». Verità inoppugnabile.
Nasce quindi sotto una buona stella il piatto più esaltante in cui ci si può imbattere a Vicoforte, Il Bosco. Mutano col trascorrere del tempo i colori, i suoi profumi, perfino gli abitanti. E di conseguenza gli ingredienti. Per l’intero inverno si è evocato il viaggio della lumaca nel bosco, dalle nuance nocciola: una portata servita in una corteccia dove castagne, funghi e lumache (anche le loro opalescenti uova) stanno alla base della preparazione, arricchita da licheni e schiuma di terra. Sì, schiuma ottenuta dalla lavorazione del terriccio che i funghi portano con sé. Strabiliante il risultato che glorifica il gusto amaro, lo dilata all’infinito accoppiandolo a quello di geosmina e polipodio.
Battuta al coltello, Raschera Dop, mosto cotto.
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Si vuole ottenere lo stesso obiettivo nella versione primaverile, in uscita proprio ad aprile con funghi di stagione e dalle tonalità verdi grazie a germogli di achillea, ruta e tarassaco. Sul podio sale anche il Capriolo e le polente. «I tranci di carne non rilasciano succhi, spesso imbarazzanti, perché riposati». La sella si presenta tenera quanto basta, densa di gusto, a tratti esplosivo, specie quando si ripassa nel patè del suo stesso fegato. Galliano la propone con la polenta di tre diverse consistenze (semiliquida, a fette e a sfoglie croccanti), come se si prefigurasse un rito di iniziazione che vuole interpretare le stagioni della vita, dalle forme liquide a quelle avvizzite, rapprese, scabre. Persino alla battuta al coltello, pietanza di consuetudine in Piemonte, il cuoco spedisce dalla preistoria un’interpretazione fuori dagli schemi. Ecco come accompagnamento alla carne cruda schegge croccanti di navone, pastinaca e barbabietola, e una delicata salsa alla senape. La cultura del raccoglitore, grazie a tuberi e radici, e del cacciatore, di nuovo, si fondono in una porzione carica di colori ma soprattutto traboccante di gusto. «Mi piace fare conoscere i prodotti locali e visioni non ricorrenti nella cucina di oggi». Se servisse un’altra prova a questo desiderio già manifestato, si può scegliere una non ordinaria Trippa d’agnello Roaschino, lumache e peperoncino dolce. Gli spinaci croccanti e i rapanelli fermentati articolano il piatto sotto il profilo tattile, ne accrescono l’attrattività cromatica e completano il gusto piacevolmente terragno degli altri ingredienti. In bilico tra il ruolo di raccoglitore e di cacciatore, l’essere umano si rese conto che le stoppie di grano bruciate dagli eventi naturali garantivano al cereale un gradevole retrogusto di tostato. Accadeva ben prima che i latifondisti foggiani concedessero ai contadini il privilegio di raccogliere i chicchi combusti rimasti sul terreno. Oggi che il grano arso fa tendenza, ec-
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In alto: riso, erbe e quaglia. In basso: agnello, menta, piselli. colo comparire nelle tagliatelle per un’insolita fiabesca preparazione con coscette di rana disossate su crema di porri di Cervere. Le vie del latte perfezionano il comportamento alimentare dell’homo sapiens. Dal piccolo aperitivo fatto d’un cracker d’erbe di prato, pane con acciughe e burro d’alpeggio, servito con un infuso al rapanello con pompelmo candito, fino al gelato alla corteccia di abete rosso, passando per i formaggi delle valli monregalesi, si conclude il viaggio nel tempo. Non
rimane altro che sognare il ritorno, in fretta, verso questo luogo, dal sapore di eternità. Riccardo Lagorio Ristorante Euthalia Strada Statale 28 8/E 12080 Vicoforte (CN) Telefono: 0174 563732 Web: www.euthaliaristorante.it facebook.com/euthaliaristorante Nota Photo © euthaliaristorante.it
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HAMBURGER TOUR
Torta burger, un panino umbro al 100% di Gaia Borghi
S
i scrive PreTesto (seguito dall’hashtag #Umbriafoodlovers), si legge bistrot & bottega 100% umbro, che già da qualche tempo a Milano (l’inaugurazione del locale, in viale Montenero, angolo via F.lli Campi, risale a fine 2015), e dalla scorsa estate anche a Como (via Albertolli 5), offre una proposta di ristorazione originale legata ad un prodotto tipico della tradizione della regione più verde d’Italia, la torta al testo. Dall’aspetto simile ad una piadina romagnola, ben più nota e comune dalle mie parti, l’EmiliaRomagna, e in generale nel Nord Italia, la torta al testo è una specialità antica ma poco conosciuta al di fuori dei confini regionali, la cui ricetta risale addirittura alla popolazione degli Umbri. L’impasto di questa focaccia bassa, che in Umbria viene
venduta proprio nelle Focaccerie, è semplicissimo: farina, olio extra vergine di oliva, acqua,sale e un pizzico di lievito. Servendosi di un mattarello, lo si stende dandogli la forma di un disco rotondo alto circa un centimetro e lo si cuoce su un piano di ghisa, il testo* appunto, fino a doratura. Tagliata a spicchi, la torta al testo viene per lo più gustata farcendola con il meglio della norcineria locale, dal saporito prosciutto crudo al morbido ciauscolo, dalla porchetta al capocollo, dal salame al guanciale. E non poteva essere altrimenti visto che il termine stesso di “norcineria” deriva dal nome degli abitanti di Norcia, i norcini, macellai divenuti abilissimi nella lavorazione della carne animale, maiale in primis, grazie agli insegnamenti della scuola chirurgica di Preci, sorta del
XIII secolo proprio in Valnerina. Insomma, nella formula moderna e smart di PreTesto si respira storia e tradizione regionale ad ogni boccone. La loro proposta più particolare? Sicuramente il torta burger, con la torta al testo al posto del classico bun, il panino leggermente dolce con i semi di sesamo che identifica universalmente l’hamburger americano, “farcita” con carne di manzo o di pollo, entrambi di provenienza umbra. «I torta burger sono tra le nostre proposte più apprezzate, sia per la bontà della carne, che per il bovino è la razza Chianina, che per le varie e diverse “versioni” in menu» mi racconta FRANCO MARENZI, uno dei titolari della società proprietaria di PreTesto. Nella variante Perugia, ad esempio, il torta burger di Chianina si arricchisce con uovo all’occhio
Il torta burger “Cannara”, manzo di razza Chianina con cipolla caramellata, pecorino semistagionato e salse.
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CARRELLO RIBALTATORE
La “torta” su di un antico testo. Nella versione classica del testo, le farciture più gettonate sono sia quella con erba campagnola e salsiccia umbra sia quella più classica con prosciutto crudo e pecorino. di bue, pancetta e senape in grani, nell’Assisi di caciotta, guanciale, lattuga e pomodoro, nel Trevi di patè di olive nere e ciauscolo grigliato, nel Cannara di cipolla caramellata e pecorino semistagionato. Col pollo, invece, vanno d’amore e d’accordo pesto di basilico e fior di latte (Spoleto), peperoni grigliati e pecorino semistagionato (Orvieto), salvia e maionese al limone quando il burger è panato (Passignano). Molto apprezzato dalla clientela è anche l’impiattamento, mi dice Franco. «L’idea del torta burger è venuta, ancor prima di aprire il primo locale, ai nostri cuochi insieme a MAURIZIO CIARAPICA, il socio perugino che, tra le altre cose, sovrintende tutta la parte approvvigionamenti e selezione dei fornitori della zona» prosegue. «Per controllare al meglio la filiera di provenienza dall’origine a PreTesto non disperdiamo energie ed acquisti tra un numero elevato di produttori. Per quanto riguarda carne salumi, ad esempio, collaboriamo sin dall’inizio della nostra attività col Salumificio-Azienda agricola Gaggioli di Solfagnano (PG)».
ambiente di carattere e personalità, ma, soprattutto, dove la qualità delle materie prime e la genuinità delle ricette, garantita dalla presenza di giovani cuochi umbri, la fanno da padrone» conclude Franco. «Il target della clientela quindi è molto vario, sia per la posizione dei locali che per il menù proposto, spaziando dai pranzi di lavoro “mordi e fuggi” agli aperitivi, fino a cene più “strutturate” in cui la carne, il tartufo e una bottiglia di Sagrantino ci permettono di soddisfare anche palati più esigenti». Per quanto riguarda i vini, infatti, PreTesto propone una selezione di cantine rigorosamente umbre che rappresentano al meglio i capisaldi dell’enologia regionale, dal Sagrantino al Rosso di Montefalco, al Grechetto, col plus delle birre artigianali di Fabbrica della Birra Perugia. Infine, come anticipato il bistrot è anche bottega: acquisti e consumi comodamente a casa salumi, vini, birre, formaggi, legumi e altri prodotti made in Umbria. Gaia Borghi
CARRELLO MULTILIFT
SCOTENNATRICE/PELATRICE CARNI FRESCHE E STAGIONATE
CONFEZIONATRICE SOTTOVUOTO A NASTRO
Link: www.pretesto.eu I sapori dell’Umbria in Lombardia «I nostri sono bistrot informali, nei quali i dettagli creativi degli arredi e dello stile sottolineano la volontà di evidenziare il contrasto tra vecchio e nuovo, creando un
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Nota * In epoca romana era prassi cuocere pani e focacce su delle tegole di terracotta: testum in latino, infatti, vuol dire proprio tegola.
Tel. (+39) 0521 836670 info@cavallimpm.it www.cavallimpm.it
WEEK-END
Mangiare in macelleria secondo la tradizione pugliese delle Murgie
Cisternino, le bombette e u furnidd di zio Pietro di Federica Cornia
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acellerie che sul calar della sera si trasformano in osterie e macellai che si trasformano in osti: quest’usanza di abbassare le serrande, allestire spartane tavolate davanti alla bottega e servire carne braciata, cotta sul momento, in Puglia è un’antica tradizione. Alla faccia della moda odierna delle ristomacellerie. Stiamo parlando del tipico fornello pronto pugliese, U furnidd, il cui nome nasce proprio dai forni utilizzati per cuocere la carne. Si tratta di forni a
legna in cui la carne non viene grigliata ma braciata a forno indiretto. Ricorda un po’ la cottura turca del döner kebab: gli spiedi sono disposti in verticale rispetto alla brace, così che il grasso, cadendo sui carboni, non va ad influire sul profumo e sul sapore della carne. Metodo di cottura antico a quanto pare. C’è chi dice che i macellai della Murgia lo utilizzassero soprattutto in occasione di feste patronali per elaborare appetitosi bocconi da asporto con frattaglie, interiora
e parti meno nobili di agnello, capretto e maiale. In pratica una forma antesignana del moderno street food. Ma c’è anche chi sostiene che il fornello esista grazie ai contadini pagati a giornata che un tempo, rincasando, si fermavano in macelleria per comprare la carne coi soldi guadagnati facendosene cuocere una parte sul momento. Quel che è certo è che negli ultimi anni il loro numero è cresciuto e il loro stile un po’ cambiato: una volta protagoniste dei fornelli erano
Da Zio Pietro nasce come macelleria e fornello d’asporto. Oggi è una macelleria-rosticceria-fornello pronto dove gustare carni e salumi di provenienza locale di eccezionale qualità (photo © www.facebook.com/daziopietro).
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le frattaglie, oggi sono in pochi a richiederle, si preferiscono tagli di carne più pregiati. Ce lo conferma VINCENZO DE MOLA, quarta generazione alla guida del fornello più antico di Cisternino, Da Zio Pietro (ziopietro.it). Nel cuore del paese titolato tra i “Borghi più belli d’Italia”, l’attività è presente dal 1927, inizialmente come macelleria e fornello da asporto, poi soprattutto come macelleria e costretta infine a reinventarsi intorno ai primi anni ‘90. Fino ad allora da zio Pietro capitava sporadicamente di accendere il fornello, lo si faceva soprattutto in occasione di sagre e feste paesane. Poi è arrivata la crisi della “mucca pazza” e, in un momento in cui anche la GDO diventava sempre più competitiva e distoglieva la clientela dall’avventurarsi tra le viuzze del centro storico per andare a fare spesa in macelleria, PIETRO DE MOLA, il padre di Vincenzo, di quel limite ha fatto virtù. Pare strano, ma è così che spesso succede: che i limiti si rivelino potenti stimoli per intraprendere vie alternative e riaccendono fuochi o, come in questo caso, fornelli. È infatti di quegli anni la decisione di puntare soprattutto sul servizio di cottura in loco della carne scelta al banco macelleria. Formula che ancora oggi funziona, complice lo sviluppo del turismo: «si viene a banco, si scelgono i tagli di carne e noi li cuociamo» dice Vincenzo. Dagli iniziali venti posti a sedere l’attività è cresciuta, i locali si sono allargati e i tavoli hanno preso posto anche nella caratteristica piazza Vittorio Emanuele, che in estate si trasforma in un vero salotto all’aperto, riunendo nel suo abbraccio, al cospetto della Torretta dell’Orologio, turisti, nazionali e non, e gente del posto. Diventate oggi tipica specialità da fornello, segno del passo dei tempi e dei gusti che mutano, da zio Pietro vanno alla grande le bombette: fettine di carne tagliata sottile, impanate, farcite di formaggio fresco e arrotolate su se stesse. Da qui il loro nome. Nessun turista, a quanto pare, se ne va via da Cisternino senza averle mangiate. Oltre la bombetta classica, fatta
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Tra le specialità da provare Da Zio Pietro, le celeberrime bombette e le salsicce di produzione propria (photo © www.facebook.com/daziopietro). con carne di maiale da allevamenti nostrani, ci sono le variazioni sul tema: bombette piccanti e bombette preparate con carne di vitello, arricchite di pancetta e scamorza, oppure con speck e fontina. Al banco macelleria tagli di carne fresca di maiale, manzo e vitello la fanno da padrone e non manca naturalmente l’agnello. Tolto il cartellino bilingue a tagli e preparazioni, salsicce — quelle arrotolate, chiamate zampine — bistecche, pancetta e interiora sono pronte da cuocere arrosto nel fornello, così come i fegatini di vitello e gli involtini a base di interiora di agnello, gli gnummareddi. Di contorno la classica patata cotta con la buccia con l’aggiunta di sale, pepe e olio e verdure
varie. E nonostante il turismo, come sottolineato da Vincenzo, disegni sempre più nuove geografie del gusto, le interiora vengono comunque ancora consumate, soprattutto dagli stranieri che si lasciano consigliare volentieri e nel cui piatto finiscono soprattutto fegatini. Il momento buono per andare a Cisternino è ovviamente nei mesi caldi, quando Zio Pietro apparecchia tavoli sotto il cielo. Si inizia a cuocere alla sera alle 19:00 e si può ordinare fino alle 23:00. D’estate il locale è sempre aperto, di giorno solo macelleria, la sera con il servizio ai tavoli. D’inverno invece si pranza solo il venerdì, il sabato e la domenica. Federica Cornia
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CONVEGNI
L’esempio virtuoso del Mugello Il ruolo dell’allevatore nel preservare il territorio e produrre proteine animali per un consumatore attento a salubrità e sostenibilità. Se ne è discusso a Borgo San Lorenzo con la CAF Coop. Agricola Firenzuola e accademici e relatori di alta caratura di Elena Benedetti
L
o scorso 7 marzo si è svolto a Borgo San Lorenzo (FI) un interessante convegno dal titolo “La buona carne. L’allevamento oggi, fra sostenibilità, benessere e innovazione”, organizzato dalla COOPERATIVA AGRICOLA FIRENZUOLA CAF e da ARA TOSCANA. Siamo nel Mugello, un territorio collinare a nord di Firenze che rappresenta il 5% della superficie della Toscana, ma che, in termini di zootecnia da carne, rappresenta il 20% degli animali
nati, allevati e macellati in regione. Una realtà che funziona e che lavora costantemente per assicurare al consumatore una carne buona, come rimanda il titolo dell’incontro. L’impegno della Cooperativa Agricola Firenzuola si registra dal 1972, anno di fondazione grazie all’allora lungimiranza di un gruppo di allevatori del comune di Firenzuola. Oggi la CAF conta oltre 130 aziende agricole associate, delle quali 20 sono vantano la
certificazione biologica. Si tratta di allevatori ubicati in tutto il Mugello e Alto Mugello, la maggior parte dei quali è rappresentata da aziende a conduzione famigliare, quelle, per intenderci, dove il mestiere viene tramandato di padre in figlio. La cooperativa, oltre a seguire l’attività di allevamento, gestisce l’unica struttura pubblica di macellazione della Città Metropolitana di Firenze con annesso centro di lavorazione e confezionamento carni.
Bovini nei pascoli del Mugello.
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Da sinistra, Riccardo Negrini, Alessio Serra, Roberto Nocentini, Luca Avoledo e Angelo Carlo Sgoifo Rossi. Nel dare il benvenuto ai presenti, il presidente della CAF, ROBERTO NOCENTINI, ha sottolineato i 47 anni di storia della filiera zootecnica di questo territorio. «Vantiamo un sistema allevatoriale che in Toscana funziona ed è in crescita» ha sottolineato. «Anche in questo settore siamo riusciti a trasmettere una bella immagine della carne del Mugello, realizzata con tanto lavoro sulla ricerca genetica e valorizzando la biodiversità del nostro territorio. Ciò nonostante, vogliamo fare molto di più, abbiamo avviato progetti nuovi per dare soluzioni concrete alle nostre imprese» ha rimarcato il presidente della CAF. «Il mondo sta cambiando velocemente e noi ci dobbiamo innovare,
confrontandoci e comunicando in modo efficace». Hanno fatto seguito tre interventi che hanno portato a riflettere sul settore della carne bovine dal punto di vista dell’evoluzione dei trend, con la lezione magistrale del PROF. ANGELO CARLO SGOIFO ROSSI dell’Università di Milano, con l’intervento interessante sui Big Data in relazione alla carne (a cui dedicheremo un approfondimento su EUROCARNI n. 5/2019), del PROF. RICCARDO NEGRINI dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e, non ultimo, di LUCA AVOLEDO, biologo nutrizionista autore del libro No Vegan, che ha ripercorso il consumo delle carni bovine tra mode, irrazionalità ed etica.
Il mercato presidiato dalla Cooperativa Agricola Firenzuola ha un legame molto forte col proprio territorio di produzione. Negli ultimi anni, in particolare, la CAF ha assunto un peso sempre più rilevante in questa area, grazie ad un impegno costante rivolto al controllo della qualità dei prodotti
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Sgoifo Rossi: qualità, sostenibilità e sicurezza, i trend della carne bovina Il mondo della carne è cambiato radicalmente nel corso degli ultimi anni: è questo l’incipit dell’intervento di quasi un’ora che il professore del Dipartimento di Scienze Veterinarie ha presentato ai partecipanti, tra i quali anche parecchi giovani iscritti al Polo Tecnico Professionale “Agribusiness Mugello”. Sono tre, secondo Sgoifo Rossi, i trend che emergono nel mutato scenario allevatoriale e della trasformazione delle carni bovine. Il primo è la qualità. «Con la rintracciabilità nel settore bovino la qualità oggi è riferita alla nazionalità e alla percezione sensoriale della carne e questa, ricordiamolo, è stata un’enorme evoluzione! Il prodotto italiano ha oggi una forma e una valenza incredibili ma, attenzione, dobbiamo sempre lavorare affinché sia anche buona». Il secondo trend è legato alla sostenibilità, che rimanda ai temi oggi ampiamente diffusi del benessere e dell’ambiente. Come terzo punto, il prof. Sgoifo Rossi ha citato quello
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Il convegno “La buona carne” è stato ospitato all’interno di Villa Pecori Giraldi a Borgo San Lorenzo e partecipato anche da numerosi studenti del Polo Tecnico Professionale “Agribusiness Mugello”. della sicurezza del prodotto (citando il problema della somministrazione di antibiotici). Sul tema della qualità/origine italiana della carne, Sgoifo Rossi ha sottolineato che «il ristallo di qualità è un fattore limitato dal processo produttivo in tutto il mondo. Il ristallo italiano è poco reperibile e lo sarà almeno per i prossimi vent’anni. Oggi la richiesta di ristallo italiano è violentemente superiore alla disponibilità di capi. In Italia siamo ancora deficitari nel comparto bovino per circa il 40%» ha ricordato il professore di Scienze Veterinarie. Che fare allora? Quali strumenti adottare per ridurre questo gap? «Occorre lavorare in due direzioni: attraverso la formazione di un management aziendale e migliorando la genetica. E su questo secondo punto ricordiamoci che i Francesi fanno scuola». Negrini: carne e Big Data Il professore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza si è soffermato sull’utilità dei Big
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Data nell’interpretazione di database largamente utilizzati anche in zootecnia per una miglior lettura ed elaborazione dei “numeri” rilevati nelle aziende. I Big Data, in un mondo sempre più informatizzato, possono essere strategici anche per gestire l’informazione all’opinione pubblica ed incanalarla su binari di correttezza e scientificità. «È molto importante — ha affermato tra l’altro Riccardo Negrini — saper leggere i dati, sia per interpretare le tendenze del mercato, anche per gli sviluppi della selezione genomica, sia per gli orientamenti dei consumatori verso il prodotto carne». Avoledo: il consumo di carni bovine e il consumatore Lo speech conclusivo, affidato a Luca Avoledo, partendo dai più recenti dati EURISPES (2019), ha fornito la reale dimensione delle scelte dei consumatori italiani nei confronti della carne. Molto è cambiato negli ultimi anni nella percezione dei prodotti di origine animale, anche a
causa del sensazionalismo dei media e di una non buona comunicazione sia istituzionale che di altro genere. Ma, ha concluso Avoledo, si può affermare senza ombra di dubbio che la carne bovina non fa assolutamente male, a patto che sia nelle giuste dosi (e in Italia i consumi pro capite non sono così elevati come si vuol far credere) e sia associata a stili di vita alimentare completi. Conclusioni Tra i vari interventi ricordiamo anche il saluto di ALESSIO SERRA, direttore del CAF, che ha ripercorso l’esperienza e i risultati della Cooperativa Agricola Firenzuola, e quelli di CLAUDIO MASSARO, direttore di ARA Toscana, GENNARO GILIBERTI, in rappresentanza della Regione Toscana, e dell’assessore all’Agricoltura MARCO REMASCHI, che ha aggiornato la platea sulle linee programmatiche regionali in relazione anche ai futuri sviluppi della programmazione comunitaria in zootecnia. Elena Benedetti
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Allevamento CAF, linea vacca-vitello e macellazione La procedura di allevamento è affidata operativamente al singolo allevatore aderente alla Cooperativa, il quale è registrato in un “elenco di allevatori”, ed è così strutturata: 1. anagrafica (marcatura auricolare e passaporto); 2. accettazione dei controlli (CAF, organismo terzo); 3. conservazione della documentazione relativa alla rintracciabilità dei bovini; 4. rispetto degli obblighi previsti dal DPR 317/96 e successive modifiche ed integrazioni e del Disciplinare di etichettatura carni bovine CAF in merito a ristalli, nascite, morti, registro di stalla e avviamento dei bovini al macello. Entrano a far parte del circuito di etichettatura facoltativa della CAF solo i capi bovini nati esclusivamente in Italia. Nel caso di arrivo di nuovi capi di bestiame in azienda, di nascita o di morte di animali, l’allevatore ha un tempo massimo di 29 giorni per avvertire la CAF e fornire tutti i dati: numero matricola, sesso, paese di nascita, data di nascita dei singoli capi, data di ingresso in stalla, tipo genetico. Tali dati saranno registrati dalla CAF nel proprio sistema informativo direttamente collegato al sistema centrale. In tal modo ha inizio il percorso di tracciabilità del bovino. Ogni allevatore potrà far registrare la razza del proprio animale nel sistema informativo solo se produrrà copia del certificato di Libro Genealogico alla CAF. Lo scopo principale delle aziende socie è quello di valorizzare le produzioni di montagna. Le aziende sono ubicate, infatti, in collina e in montagna dove non è possibile praticare l’agricoltura intensiva. Gli allevamenti seguono il sistema della “linea vacca-vitello”, nel quale il vitello nasce libero e resta con la madre fino allo svezzamento. Un sistema di allevamento sviluppato per la valorizzazione zootecnica della collina e, in particolare, della montagna mugellana. Le mandrie vengono allevate dalla primavera all’autunno nei pascoli (alpeggi montani), mentre i vitelli destinati a produrre carni vengono svezzati a sei mesi e portati nel centro aziendale dove vengono allevati liberi in box ed alimentati prevalentemente con prodotti aziendali, quali cereali e foraggi essiccati, alimenti per l’apporto di sali minerali e proteine esclusivamente di natura vegetale e non OGM. La fase di ingrasso è eseguita nei centri aziendali nel rispetto delle attuali normative comunitarie e regionali e sul benessere animale. Le procedure di macellazione/sezionamento/trasformazione e commercializzazione sono affidate operativamente alle strutture gestite direttamente dalla CAF o aderenti alla Cooperativa. La macellazione dei bovini avviene nel Centro Carni Mugello gestito dalla stessa Cooperativa e provvisto di un moderno mattatoio per bovini, suini, ovini e grossa selvaggina cacciata e di un laboratorio di Sezionamento e Preparazioni di prodotti a base di carne, con il riconoscimento comunitario CE 2417 M. La struttura, di circa 3.000 m2, è localizzata a Vicchio di Mugello in località Mattagnano (FI) ed è riconosciuta idonea alla macellazione e lavorazione anche della carne biologica e Igp prodotta dagli allevatori associati. Il Centro Carni è iscritto dal 31 dicembre del 2000 all’Elenco Regionale (Regione Toscana) degli “operatori biologici” ai sensi della legge regionale della Toscana n. 49/97. >> Link: www.centrocarnimugello.it
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FIERE
Appuntamento con Tuttofood a Fieramilano dal 6 al 9 maggio
Milano si prepara ad accogliere il food business
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l 2018 è stato un anno record per il digital food in Italia. Per la prima volta è stata infatti superata la soglia psicologica del miliardo di euro — quota 1,1 miliardi —, con un
incremento del 34% in valore rispetto agli 849 milioni del 2017. Una crescita qualitativa che accomuna tanto l’e-commerce agroalimentare quanto il food delivery nel portare on-line le
tendenze all’opera nel retail fisico: dalla divaricazione tra primo prezzo e prodotti premium alla crescente attenzione per la tracciabilità, che trova nel digitale uno scenario di
Photo © instagram.com/tuttofoodmilano
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applicazione ideale. Questi sono solo alcuni dei dati dell’ultimo Osservatorio B2C di NETCOMM e Politecnico di Milano presentati al Netcomm Focus Food: per Tuttofood l’evento, di cui la manifestazione è partner, ha dato agli organizzatori l’opportunità di presentare il work in progress verso la prossima edizione, in programma a Fieramilano dal 6 al 9 maggio. Debutta il vino, cresce il retail Grande novità dell’edizione 2019 sarà Tuttowine, una formula originale e innovativa che presenta in un’area dedicata, organizzata in partnership con UIV – Unione Italiana Vini, le opportunità di business specifiche del comparto ai target professionali italiani e internazionali, nel contesto più ampio di una manifestazione che fa della compresenza dei diversi settori del food & beverage una delle sue principali carte vincenti. Crescita e rafforzamento anche per la rinnovata Retail Plaza. L’arena del retail innovativo si ripropone in una formula più articolata, che dà voce al mercato espositivo insieme a quello dei retailer, sia italiani sia internazionali, col data partner Nielsen e i vari partner della GDO che si sono succeduti fino ad oggi come Amazon, Carrefour, Gruppo Végé, Eataly, Easy Coop, Iper, Unes con Il Viaggiator Goloso, Metro. Declinato in workshop, convegni, eventi in-store e tavole rotonde, il nuovo progetto 2018-2019 si rivolge anche ai consumatori oltre che alla comunità business grazie a uno storytelling che rende protagonista il trade in modo accattivante per un pubblico diversificato. Riconoscimento ufficiale dagli USA Nella prossima edizione la collettiva degli Stati Uniti USA Pavillion riceverà per la prima volta l’endorsement ufficiale dello US Department of Agriculture (USDA). Rilasciato secondo severi requisiti nel creare opportunità di business, il riconoscimento è un’autorevole conferma del crescente ruolo di Tuttofood quale hub internazionale grazie all’efficacia nel far incontrare domanda e offerta mirate e nell’anticipare scenari di
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Dal “nuovo” naturale ai cibi funzionali, dal novel food all’agrifood 4.0 alla riscoperta delle territorialità, Tuttofood ha rafforzato edizione dopo edizione il proprio ruolo di trendsetter ed è diventato un appuntamento imperdibile per gli operatori di tutto il mondo. mercato e tendenze di consumo. Tuttofood diventa così la prima, e ad oggi unica, manifestazione agroalimentare certificata USDA in Italia. In tema di internazionalità, ad oggi sono già oltre 1.100 le aziende già registrate, delle quali circa una su 12 proveniente dall’estero, in rappresentanza di molti tra i Paesi più dinamici per l’interscambio agroalimentare, quali Austria, Belgio, Danimarca, Egitto, Francia, Germania, Grecia, Hong Kong, Irlanda, Iran Paesi Bassi, Perù, Portogallo, Regno Unito, Romania, Spagna, Svizzera, Taiwan, Turchia. Saranno inoltre presenti espositori provenienti da Argentina, Brasile, Canada, Cina, Croazia, Ecuador, Giappone, India, Kosovo, Marocco, Messico, Polonia, Russia, Slovenia, Sri Lanka, Sud Corea, Tunisia, Vietnam e Stati Uniti. L’evento in contemporanea dedicato al fresco, Fruit Innovation, vedrà la partecipazione di aziende e collettive da Camerun, Canada, Cina, Francia, Germania e Spagna oltre che dall’Italia. Digital transformation protagonista Riguardo ai contenuti, sempre più sotto i riflettori il ruolo centrale, anche nel settore agroalimentare, della trasformazione digitale, che potrà contare sull’area dedicata Tuttodigital. Posizionato nel conte-
sto del padiglione 10, questo vero e proprio “villaggio digitale” sarà il palcoscenico ideale, in particolare per le start-up, per presentare le proposte tecnologiche food & beverage più innovative in termini di piattaforme e-commerce, app innovative e fornitura di servizi avanzati. Fieramilano e Tuttofood hanno inoltre rinnovato fino al 2021 anche l’alleanza con il Consorzio Netcomm, per approfondire i temi dell’innovazione tecnologica e del social eating al servizio del business. La panoramica sulle soluzioni tecnologiche più innovative sarà completata da Seeds&Chips – The Global Food Innovation Summit, che tornerà in contemporanea con Tuttofood nei padiglioni di Fieramilano ospitando, come di consueto, relatori istituzionali, esperti e giovani talenti tutti di altissimo profilo, chiamati a trattare temi che spazieranno dalla nutrizione intelligente all’agricoltura di precisione, dalle soluzioni per l’economia circolare e la sostenibilità fino al ruolo delle tecnologie nella cucina gourmet. Oltre la piattaforma di business, un trendsetter da non mancare Dal “nuovo” naturale ai cibi funzionali, dal novel food all’agrifood 4.0 alla riscoperta delle territorialità, Tuttofood ha rafforzato edizione
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La mappa dell’area espositiva di Tuttofood 2019
Photo © tuttofood.it
dopo edizione il proprio ruolo di trendsetter ed è diventato un appuntamento imperdibile per gli operatori di tutto il mondo. Tra le molte novità del 2019 anche un layout espositivo ancora più efficace e coinvolgente. Per una crescita condivisa all’insegna della qualità, espositori italiani ed esteri saranno presenti nei settori merceologici, rafforzati e integrati da affondi sulle territorialità nelle due nuove aree Tuttoregional e Tuttoworld. Previsti anche focus di approfondimento direttamente nell’area per
settori quali Tuttodrink, Tuttoseafood, Tuttofrozen, Tuttopasta, Tuttobakery, Tuttogreen. Un’attenzione particolare sarà inoltre rivolta in tutti i settori all’autenticità e alla protezione dei marchi e delle denominazioni di origine. Tra i settori più vivaci si segnalano Tuttogrocery, Tuttosweet e Tuttodairy. Come sempre, grande focus anche sulla formazione, l’informazione e la crescita professionale, con delle vere e proprie Academy tematiche per settori quali Multiprodotto, HO.RE.CA., Carne & Salumi, Lattiero-Caseario. Va inoltre
segnalato che, anche nel 2019, Tuttofood sarà primario partner di Milano Food City (dal 2 al 9 maggio), la settimana del cibo di qualità che si svolgerà in contemporanea con la manifestazione, coinvolgendo operatori, appassionati, turisti e semplici cittadini con una serie di eventi in alcune delle location più affascinanti della città e ai quali Tuttofood contribuirà come di consueto con un palinsesto pensato in modo particolare per avvicinare in modo accattivante l’utente finale all’offerta più originale e innovativa dei propri espositori.
Informazioni utili •
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I saloni tematici di Tuttofood 2019 sono i seguenti: • Tuttodairy • Tuttomeat • Tuttofrozen • Tuttosweet • Tuttopasta • Tuttobakery • Tuttogrocery • Tuttodeli • Tuttooil • Tuttogreen • Tuttoregional • Tuttowine • Tuttoworld • Tuttoseafood • Tuttodrink • Tuttodigital. In contemporanea si svolgeranno le manifestazioni Fruit Innovation e Seeds&Chips – The Global Food Innovation Summit. L’ingresso è riservato ai soli operatori. Dal 6 all’8 maggio gli orari di apertura ai visitatori sono dalle 9:30 alle 18:00, con anticipo chiusura alle ore 16:00 per la giornata del 9 maggio.
Tuttofood 2019 6-9 maggio – Fieramilano Web: www.tuttofood.it @TuttoFoodMilano
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IFFA 2019, ottimizzazione della produzione grazie alla digitalizzazione L’ottimizzazione dei processi produttivi si basa sempre più sulla digitalizzazione e il networking. L’obiettivo è incrementare la sicurezza della produzione e il grado di sfruttamento dei macchinari, lavorare riducendo i consumi energetici e riuscire a reagire ai cambiamenti del mercato con più flessibilità
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n occasione della prossima edizione di IFFA (4-9 maggio), le aziende leader a livello internazionale presenteranno le ultime tecnologie e informeranno sui principali trend e sviluppi nell’in-
dustria della carne. Ampio spazio sarà dedicato all’ottimizzazione dei processi di produzione. Gli esempi di best practice in fiera offriranno ai visitatori preziosi spunti e un valido supporto decisionale.
Sensori smart, macchine dotate di sensi Nella smart factory, i prodotti e i macchinari decentralizzati devono comunicare tra loro, organizzarsi, gestirsi e controllarsi autonoma-
IFFA aprirà nuovamente i suoi cancelli d’ingresso dal 4 al 9 maggio prossimi a Francoforte sul Meno. La manifestazione occuperà uno spazio espositivo di 120.000 m2 lordi, pari ad un incremento dell’8% rispetto alla passata edizione (photo © Jochen Günther).
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perdono capitali e risorse preziose. Le macchine non si danneggiano di punto in bianco, ma manifestano malfunzionamenti con largo anticipo, ad esempio, attraverso rumori insoliti, vibrazioni improvvise e aumenti di temperatura, nonché un maggiore consumo di energia ed eventi simili. Grazie all’impiego di sensori intelligenti, queste alterazioni possono essere rilevate in tempo reale, monitorate on-line e valutate con un CMS-Condition Monitoring Software. Ciò consente una manutenzione mirata e fornisce informazioni preziose per l’ulteriore ottimizzazione di macchinari e impianti.
Per questa edizione la fiera si concentrerà per la prima volta nell’area ovest del quartiere fieristico, offrendo così una panoramica completa dell’offerta merceologica e un’esperienza orientata al futuro (photo © GmbH/Petra Welzel e Jochen Günther). mente. Per garantire tutto ciò è fondamentale avere sempre a disposizione i dati che forniscono indicazioni sullo stato dei prodotti, delle macchine, degli azionamenti, dei cuscinetti, ecc… Questo compito è svolto dai cosiddetti sensori smart. Oltre che del sensore vero e proprio che registra i valori, questi dispositivi sono dotati di microprocessori integrati che preparano ed elaborano i segnali. Essi non si limitano a misurare grandezze classiche come la temperatura, la
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corrente assorbita, la torsione e la pressione, ma anche i gas emessi e le impurità microbiche. Cambiamento paradigmatico nel “Condition Monitoring” Per motivi di sicurezza il classico intervento di manutenzione effettuato a intervalli fissi o dopo un numero prestabilito di ore di esercizio viene eseguito, in genere, troppo presto, abbreviando inutilmente il ciclo di vita di componenti ancora intatti, come azionamenti, alberi o cuscinetti. In questo modo le aziende
I chip RFID persuadono come job ticket elettronici La tecnologia RFID (Radio Frequency Identification) garantisce la trasmissione di dati in tempo reale creando un collegamento via radio tra i transponder e le testine di scritturalettura. I transponder integrati nei ganci da macello così come nelle casse, nelle palette, nelle confezioni o nelle parti delle macchine, comunicano in modo bidirezionale con le testine di scrittura-lettura installate nelle stazioni di lavorazione e confezionamento. I chip RFID integrati di fabbrica nelle lame delle affettatrici contengono oltre ai dati geometrici dei tagli anche i relativi programmi di affilatura, nonché i relativi numeri di articolo e di serie criptati. La testina di scrittura e lettura RFID installata nel modulo di affilatura legge i dati della lama, la identifica, esegue il relativo programma di affilatura e aggiorna poi i dati dei transponder, specificando anche le rimanenze di prodotti in corso di lavorazione. Lo stesso principio si può applicare a tante altre fasi della trasformazione e della lavorazione lungo la catena del valore. I vision system garantiscono efficienza, trasparenza e qualità Le videocamere digitali abbinate ai software di valutazione delle immagini consentono ai macchinari di “vedere” i cambiamenti nell’ambiente circostante, di reagire a questi in modo mirato e di prendere
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decisioni. In questo modo, sono in grado di riconoscere la collocazione, la posizione, l’orientamento, la forma, le dimensioni e il colore di qualsiasi oggetto presente sui nastri trasportatori. I dati così acquisiti servono, per esempio, a comandare i robot e le unità di scarico o a valutare le percentuali di grasso e di magro nella classificazione in-line della pancetta affettata come merce A, B o C. Altre applicazioni includono il controllo della completezza e integrità degli imballaggi, nonché la correttezza del posizionamento e della stampa delle etichette di accompagnamento e spedizione. Programmazione efficace grazie al digital twin Il digital twin, ovvero il gemello digitale, è molto più dell’esatta
copia digitale del suo omologo fisico. Possiede, anche se solo virtualmente, gli stessi sensori, comportamenti, caratteristiche e software, ed è persino collegato in rete con altri sistemi. E questo lo rende lo strumento di sviluppo ideale per progettisti di impianti e costruttori. Applicazioni caratteristiche sono le simulazioni virtuali dei processi, così come i test funzionali di componenti, unità, macchine o impianti completi, compresi i software di comando e di applicazione. In questo modo si possono individuare e correggere eventuali errori già nella fase antecedente alla produzione reale, risparmiando così costi, tempo, risorse ed energia. I professionisti dei settori distribuzione, progettazione, produzione e
manutenzione, sia sul fronte delle aziende produttrici che dei clienti, possono simulare, rivedere e ottimizzare in modo realistico tutte le opzioni a disposizione utilizzando il gemello digitale. Altre opzioni del digital twin sono la formazione dei futuri operatori di macchine e impianti per gestire il sistema, così come la messa in servizio virtuale. Infine, l’impianto reale può essere utilizzato e sottoposto a manutenzione tramite il suo gemello digitale, oltre i confini nazionali.
>> Link: www.iffa.com
IFFA 2019: nuova posizione e nuove soluzioni per Risco (Hall 8.0, stand B60) Ad IFFA 2019 Risco è pronta a presentare le sue ultime novità studiate per la preparazione e la trasformazione di prodotti a base di carne, ma non solo. All’interno dell’ampio stand Risco saranno disponibili due diverse linee di attorcigliatura per produzione industriale di salsiccia fresca, cotta o stagionata. Le linee della serie RS 26x assicurano porzioni uniformi in peso e lunghezza con una significativa riduzione dei tempi improduttivi. Sarà inoltre possibile conoscere in dettaglio il nuovo sistema RS 920 Flex, la soluzione ideale per la produzione sia di carne macinata depositata in vaschetta che di hamburger di tipo gourmet. Il team Risco vi aspetta presso lo stand B60 – Hall 8.0 per discutere le vostre esigenze e trovare insieme le soluzioni più idonee alla vostra produzione. Per maggiori informazioni, fissare un appuntamento o richiedere un biglietto di ingresso omaggio, vi invitiamo a scrivere a: iffa@risco.it
Il sistema RS 260.
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La nuova IFFA: un nuovo padiglione e un orientamento facilitato grazie ad un percorso di visita circolare Il nuovo padiglione 12 è pronto e cambierà definitivamente il volto di IFFA. Per questa edizione, infatti, la fiera si trasferirà interamente nella parte occidentale del polo espositivo di Francoforte, offrendo così un’infrastruttura ottimale con percorsi di visita brevi per visitatori ed espositori. Il risultato sarà un circuito di visita circolare che collega tutti i padiglioni: 8, 9, 11 e 12. Inoltre, la Via Mobile, il sistema di trasporto con tapis roulant e scale mobili e copertura in vetro, consentirà ai visitatori di spostarsi rapidamente all’interno del quartiere fieristico. «Dall’ultima edizione di IFFA siamo riusciti a realizzare numerosi cambiamenti e a introdurre tante novità. I visitatori lo sperimenteranno nei modi più diversi: per esempio, visitando la fiera attraverso padiglioni moderni e luminosi, godendosi il pranzo in uno dei nuovi ristoranti, apprezzando le brevi distanze da percorrere tra un appuntamento e l’altro oppure quando utilizzeranno la veloce connessione WLAN» ha dichiarato JOHANNES SCHMID-WIEDERSHEIM, direttore di IFFA. «Molti espositori hanno approfittato del nuovo layout del quartiere fieristico per ingrandire i propri stand e ampliare la loro offerta in fiera». Chi espone e dove? La struttura generale dei padiglioni seguirà le fasi principali del processo di lavorazione della carne, poiché a IFFA tutto ruota attorno al più pregiato degli alimenti. Il percorso di visita circolare inizia nei due piani del padiglione 9 con i settori macellazione, trinciatura e lavorazione, che includono anche sistemi di trasporto e immagazzinaggio, refrigerazione e impianti di approvvigionamento, igiene aziendale e sicurezza sul lavoro, soluzioni IT. Per la prima volta l’area principale dedicata alla “lavorazione”sarà ampliata e si trasferirà dal padiglione 8 al padiglione 12.0. Qui esporranno i produttori, provenienti da tutto il mondo, di macchine e impianti dei principali processi per la produzione della carne e degli insaccati. Nei due piani del padiglione 11 presenteranno le loro novità aziende leader a livello internazionale nei settori: confezionamento, imballaggio, taglio, sistemi di misurazione e pesatura. Nel padiglione 12.1 i visitatori troveranno l’intera gamma di prodotti nei segmenti ingredienti, aromi, spezie, additivi e budelli. Infine al tema “Vendita – Tutto per le macellerie” sarà dedicato uno speciale spazio espositivo all’interno del nuovo padiglione 12.0. Qui sarà presente anche la Deutscher Fleischer-Verband (Associazione dei macellai tedeschi) con un’area riservata ai concorsi e un marketplace. Il nuovo padiglione 12 offre 33.600 m2 di spazio espositivo su due piani e dispone di quattro ristoranti, un accesso diretto agli ingressi Portalhaus e Torhaus, così come di un parcheggio con 800 posti auto. I nuovi servizi per i visitatori I visitatori potranno accedere alla manifestazione attraverso quattro ingressi: Torhaus (fermata della metropolitana di superficie) e Ludwig-Erhard-Anlage (LEA) nell’area est; Portalhaus, nell’area ovest, e Galleria nell’area nord. Nuova è l’imponente costruzione che ospita l’ingresso del padiglione 8 (in foto), il quale è collegato al Torhaus da un sistema di scale mobili interamente ricostruite. Ad attendere i visitatori nel padiglione 9 il ristorante “Centro”, riaperto dopo una totale ristrutturazione, il quale ha ricevuto il premio di design “Iconic Award 2018 Innovative Architecture“ e offre un’atmosfera tranquilla anche nei momenti di maggior afflusso. Meritano una visita anche due ristoranti e due bistrot nel padiglione 12, che grazie alla loro architettura trasparente offrono scorci imperdibili sullo skyline di Francoforte. Dal 2018 Messe Frankfurt ha potenziato la propria rete WLAN; fino a 30.000 dispositivi possono connettersi a internet contemporaneamente ogni giorno durante una manifestazione fieristica. Informazioni per l’utilizzo della connessione WLAN in fiera sono disponibili al www.iffa.com/wifi. •
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Informazioni per il viaggio e consigli per il soggiorno a Francoforte sono disponibili all’indirizzo: www.iffa.com/arrival
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CSB-System a IFFA e Tuttofood: t utto ciò di cui ha bisogno un’azienda del settore carne
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i può descrivere così la partecipazione del gruppo CSB-System alle due fiere di riferimento per il settore che si svolgeranno in contemporanea a maggio: IFFA (4-9) e Tuttofood (6-9). CSBSystem sarà presente a Francoforte e a Milano con le sue soluzioni per la digitalizzazione e l’automazione.
A IFFA (Pad. 11.1 Stand B81) Al Pad. 11.1 Stand B81 gli esperti CSB saranno a disposizione dei visitatori per mostrare soluzioni IT all’avanguardia relative a: Smart ERP; Smart Meat Factory; Smart Greenfield; Smart Optimization.
per gli stabilimenti di produzione di gruppi o multinazionali; infine, la soluzione completa Industry ERP. I tre sistemi differiscono in termini di complessità e funzionalità ma tutti e tre svolgono un ruolo centrale all’interno dell’azienda. Oltre all’aspetto commerciale e della gestione magazzino il CSB consente il controllo in tempo reale degli impianti, pianifica i complessi processi di produzione, controlla e automatizza interi magazzini. Durante la fiera, in appositi angoli a tema dello stand, i visitatori potranno scoprire di più sulle singole soluzioni e confrontarsi con gli esperti CSB.
Smart ERP Solutions Il software ERP è il cuore pulsante di un’azienda. CSB presenta il suo ERP in tre varianti diverse: il Basic ERP, soluzione nuova, pensata per realtà aziendali e/o laboratori di piccole dimensioni; il Factory ERP
Smart Meat Factory Le soluzioni software e di automazione CSB hanno l’obiettivo di rendere produzione e logistica degli stabilimenti più intelligente ed efficiente. Tra queste si annovera il quadro di controllo per la linea
di peso-prezzatura, grazie al quale è possibile monitorare meglio gli impianti di produzione e confezionamento, aumentando l’efficienza complessiva degli impianti (OEE). Un grosso potenziale per l’automazione e la digitalizzazione degli stabilimenti è offerto anche dal riconoscimento automatico delle immagini: la CSB Unit Recognition può rilevare contenitori a rendere e codici a barre in modo rapido ed efficace; il CSB Image Meater, invece, rende possibile la classificazione commerciale delle mezzene in modo automatico e non invasivo. Smart Greenfield Sarebbe opportuno riflettere su come proiettare uno stabilimento verso il futuro digitale, già nella sua fase progettuale. Non fa alcuna differenza che si tratti di una fabbrica per la lavorazione di manzo, maiale o pollame; in ogni caso, diventa
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sempre più importante monitorare e gestire il flusso delle informazioni lungo l’intera filiera. Allo stand CSB i visitatori potranno ricevere informazioni utili su questo tema. D’altronde, tutti i dati riguardanti le materie prime, la lavorazione ed il prodotto finito devono essere registrati costantemente durante il ciclo produttivo per essere poi trasmessi in modo efficiente ai fini, per esempio, di una rintracciabilità senza lacune. «Noi accompagniamo i nostri clienti verso la digitalizzazione — afferma in proposito ANDRÈ MUEHLBERGER — dalla progettazione di nuovi stabilimenti allo sviluppo digitale di fabbriche già esistenti, fino al raggiungimento di una produzione di carne completamente digitalizzata». Smart Optimization Un altro tema che i visitatori potranno approfondire sono le soluzioni con le quali ottimizzare i processi, ridurre il consumo di materie prime e controllare i costi. Ad esempio, clienti CSB riportano che con l’ottimizzazione degli acquisti, raggiunta grazie all’utilizzo del gestionale CSB, sono riusciti a risparmiare fino al 5% sugli acquisti di materie prime e componenti. Anche la gestione ricette può dare in tal senso un grosso contributo, perché ottimizza le quantità dei componenti presenti nella distinta base tramite un algoritmo particolare. Per quanto riguarda i costi di trasporto, invece, l’ottimizzazione dei giri consente di risparmiare, realisticamente, fino al 15%. Uno sguardo alle imprese intelligenti A quanti abbiano il desiderio di combinare la visita in fiera con uno sguardo alla realtà di altre aziende del settore carne che adoperano già da anni con successo le tecnologie del gruppo CSB, viene offerta la possibilità di iscriversi ai Smart Meat Factory Tours. Durante la visita ai più moderni produttori di carne in Europa, i partecipanti avranno l’occasione di conoscere dal vivo soluzioni di automazione innovative, tecnologie per l’elaborazione di immagini e supply chain costantemente ottimizzate (per maggiori
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In alto: ad IFFA il Gruppo CSB ha organizzato per il 9 maggio il Meat Business Day, durante il quale esperti del settore esporranno delle relazioni sulle best practice del settore carne. In basso: Tuttofood è la fiera dedicata al food & beverage che da anni ormai richiama a Milano visitatori da tutto il mondo. informazioni inviare una e-mail a info. it@csb.com o telefonare al numero: 045 8905593). Oltre ai tour aziendali il gruppo CSB ha organizzato per il 9 maggio il Meat Business Day, durante il quale esperti del settore esporranno delle relazioni sulle best practice del settore carne. A Tuttofood (Pad. 6 Stand L05 M08) Milano è un palcoscenico ideale per presentare e conoscere idee e prodotti innovativi, analizzare i trend di mercato e scambiare esperienze. In quest’occasione la CSB-System Srl, filiale italiana del gruppo con sede a Verona, sarà presente al Pad. 6 Stand L05 M08. Ai visitatori interessati saranno mostrati gli ultimi sviluppi del software ERP, nelle tre varianti precedentemente menzio-
nate; sarà anche un’occasione per riflettere sui vantaggi che derivano dall’implementazione in azienda di un gestionale totalmente integrato e modulare quale è il CSB-System.
Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com
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TECNOLOGIE
I nuovi Quantum Flex Trimmer e Quantum Skinner di Bettcher stabiliscono nuovi standard Utensili da taglio ad alte prestazioni per l’industria della lavorazione della carne accompagnati da un servizio di vendita e assistenza unico: questa è la ricetta del successo dell’americana Bettcher Industries Inc. La sua vetrina di innovazioni sarà sotto i riflettori ad IFFA 2019
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on 75 anni di esperienza nel settore, Bettcher promette di aumentare la resa produttiva e la redditività dei propri clienti con una rinnovata gamma di trimmer e skinner. Per raggiungere questo obiettivo, l’azienda ha svilup-
pato strumenti che consentono un lavoro semplice, pulito ed ergonomico sulle linee di produzione della carne. Questo aumenta la resa di prodotto, portando di conseguenza a maggiori profitti in un mercato altamente competitivo. Ad IFFA
2019 (Messe Frankfurt, 4-9 maggio), fiera di riferimento per l'industria mondiale della carne, Bettcher presenterà il suo portafoglio di nuovi e migliorati prodotti con tutti i suoi strumenti di taglio e le scotennatrici in un nuovo grande stand.
Quantum Flex (photo © Bettcher GmbH).
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La società, con sede in Ohio, in Europa è rappresentata da Bettcher GmbH, con sede a Dierikon, Svizzera, ed è direttamente responsabile per un numero crescente di mercati. I nuovi strumenti consentono ai clienti dell’azienda dell’industria della carne di ottimizzare ulteriormente la resa di produzione, aumentando quindi rendimento e profitto
Trimmer Quantum Flex: si adatta ad ogni motore Bettcher Il nuovo Trimmer Quantum Flex offre oggi la massima flessibilità: è infatti compatibile con tutti i motori Bettcher, estremamente resistenti, già utilizzati dai clienti della società. Anche un peso inferiore e proprietà ergonomiche ottimizzate sono fra le caratteristiche principali del nuovo trimmer. Il suo blocco lama brevettato assicura che la lama rimanga nella stessa posizione e quindi favorisce una facilità d’uso. Una minore vibrazione porta ad un maggiore comfort durante il lavoro, riducendo al contempo l’usura della lama e dell’alloggiamento. Ulteriori regolazioni tecniche forniscono una maggiore velocità della lama e una maggiore efficienza di taglio. Ciò si traduce in un aumento significativo della resa in carne e in un rapido ritorno sull’investimento. Quantum Skinner: alimentato elettricamente L’ultima generazione di Quantum Skinner di Bettcher è stata lanciata in Europa nel 2018. Essendo la prima scotennatrice portatile alimentata elettricamente, si distingue nettamente da altri dispositivi che normalmente richiedono l’utilizzo di aria compressa. Il suo motore Quantum non solo fornisce potenza e prestazioni ad alta velocità, ma è anche eccezionalmente silenzioso. Un altro vantaggio è il peso significativamente ridotto dello skinner,
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Il Quantum Flex, unico portalama a cambio rapido con meccanismo a camme, si adatta a qualunque motore Bettcher; non è necessario sostituire il motore esistente (photo © Bettcher GmbH).
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Gregor Thomalla, managing director Bettcher GmbH (photo © Bettcher GmbH). che lo rende facile da maneggiare. A IFFA 2019 Bettcher presenterà un aggiornamento con ottimizzazioni tecniche che includono più coppia e quindi più potenza per facilitare il processo di taglio della carne. Infine, per offrire ai propri clienti ancor più flessibilità, sia il Quantum Skinner che il Trimmer Quantum Flex possono essere utilizzati col nuovo motore, in modo che solo l’impugnatura debba essere cambiata per poter passare alle diverse applicazioni. Questo non solo consente di risparmiare tempo in produzione, ma offre anche un risparmio energetico fino al 90% rispetto ai dispositivi pneumatici.
Sviluppo attento del prodotto, strumenti avanzati, servizio completo Le unità di sviluppo, produzione e acquisto di Bettcher hanno sede a Birmingham, Ohio. Il Bettcher Innovation Center (BIC) è un innovativo centro di ricerca in cui vengono sviluppati i prodotti di ultima generazione. Comprende una struttura di collaudo all’avanguardia in cui i nuovi prodotti sono sottoposti a rigorosi test in condizioni reali. Bettcher garantisce che solo strumenti sofisticati siano immessi sul marcato. Oltre alla sede principale europea in Svizzera, la società ha uffici anche in Cina e Brasile. Queste sedi servono mercati in Europa, Medio Oriente, Africa e Asia. In parte ciò avviene attraverso distributori locali, alcuni dei quali vantano decenni di partnership. Tuttavia, quando uno di questi partner lascia la rete Bettcher, si opta ora sempre più per la vendita diretta. Al centro del concetto di vendita Bettcher ci sono i suoi esperti, consulenti che sono professionisti (ad esempio, macellai) e che hanno quindi esperienza locale dei loro mercati. Ciò include la conoscenza delle applicazioni specifiche per paese e dei differenti processi di taglio della carne. Grazie alla loro vicinanza ai clienti, gli esperti Bettcher offrono supporto mirato sul posto, come la formazione gratuita per i nuovi dipendenti che gestiscono gli strumenti Bettcher sulle linee di produzione. Per Bettcher, la spesa iniziale è ricompensata da alti livelli di soddisfazione del cliente.
Bettcher Industries Inc. è un’azienda di produzione integrata verticalmente, certificata ISO 9001:2015, con una base clienti globale e distribuzione diretta e assistenza in oltre 70 paesi in tutto il mondo. L’impresa è uno sviluppatore e produttore leader di attrezzature innovative per l’industria alimentare, lavorazione degli alimenti, ristorazione, industria medica e altre applicazioni. Fondata nel 1944, Bettcher porta sul mercato più di sette decenni di innovazioni di successo, tra cui detiene circa 100 brevetti attivi. >> Link: www.bettcher.com
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Grazie alla loro vicinanza ai clienti, gli esperti Bettcher offrono supporto mirato sul posto, come la formazione gratuita per i nuovi dipendenti che gestiscono gli strumenti Bettcher sulle linee di produzione. Per Bettcher, la spesa iniziale è ricompensata da alti livelli di soddisfazione del cliente
Un altro punto di forza dell’azienda sono i brevi tempi di risposta. A tale scopo la capacità esistente è stata notevolmente ampliata per garantire, tra l’altro, tempi di consegna brevi per i pezzi di ricambio. Bettcher: crescita futura ed espansione del portafoglio La decisione di fornire vendite dirette in varie regioni del mondo ha portato la società ad una forte crescita. Negli ultimi tempi Bettcher ha celebrato il lancio di successo di nuovi prodotti innovativi. Anche l’alto livello di investimenti in servizi e supporto migliorati sta dando i suoi frutti. L’azienda si sta espandendo e intende ampliare la propria gamma di servizi e prodotti con aggiunte ad alte prestazioni. La filiale statunitense Gainco di Gainesville, Georgia, ha per esempio lanciato YieldScan, uno scanner innovativo che offre un monitoraggio preciso della produzione nel settore avicolo. Durante il processo di produzione, lo YieldScan esegue un monitoraggio in tempo reale che analizza la quantità di carne rimasta sulle ossa. Se rimane troppa carne, le correzioni possono essere intraprese immediatamente. Lo scanner integra quindi perfettamente il portafoglio Bettcher per l’industria del pollame che utilizza anche le innovative lame della gamma di utensili da taglio Bettcher. L’ultima aggiunta al portafoglio Bettcher è Exsurco Medical di Wakeman, Ohio, situata vicino alla casa madre di Bettcher. Exsurco sviluppa e produce lame per applicazioni sanitarie e chirurgiche.
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Sistemi di lavaggio e sanificazione per l’industria alimentare Mimasa
La certezza di fornire carni e salumi esenti da contaminazioni
L
avorare con attrezzature perfettamente lavate, disinfettate e asciutte non è solamente un piacere, è anche garanzia di una produzione esente da contaminazioni derivanti dalla scarsa pulizia. Ma abbiamo la certezza che nella nostra azienda, con le attuali procedure di lavaggio, sia proprio così? Oppure sarebbe meglio pensare di mettersi nelle condizioni di assoluta igienicità?
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esperienza, sicurezza, tecnologia e alta qualità costruttiva. Mimasa, nel suo attrezzatissimo laboratorio sperimentale, in stretta collaborazione con CENTA-IRTA, istituto statale spagnolo per l’alimentazione e tecnologia, ha studiato e testato a lungo gli effetti della combinazione tra meccanica, temperatura, azione chimica e tempo, accumulando moltissime preziose esperienze, tra le quali come eliminare totalmente i batteri E. Coli, Listeria e Salmonella. Basandosi su questa raccolta di elementi, Mimasa ha progettato e messo a punto le sue lavatrici, dotandole di diversi sistemi a scelta per riscaldamento, ventilazione e asciugamento con il doppio obiettivo della massima pulizia ed igiene
finale unito al minimo consumo di energia, acqua e detergenti: ad esempio lavaggio e sanificazione si effettuano abbinati, in meno di 9 minuti. Uno dei punti di forza di Mimasa è la costruzione delle macchine che non viene fatta in serie, bensì singolarmente, seguendo scrupolosamente le richieste dell’utilizzatore, tenendo presenti quantità, dimensioni dei pezzi da trattare e spazio per l’installazione. Con questo metodo si possono così avere lavatrici su una o due file, orizzontali, verticali, con caricamento sia manuale che a nastro o catenaria, a pavimento o in buca, in una gamma di prestazioni da 100 a 600 pezzi per ciclo.
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Linea di lavaggio Eurobox. Nelle aziende di macellazione, disosso e, in generale, nelle sale di lavorazione, esistono veicoli di inquinamento come coltelli, affilatori, guanti metallici, corpetti, grembiuli, solitamente sottovalutati ma che, se non disinfettati con cura, possono divenire propagatori di pericolosi batteri dei quali si dovrà poi andare a cercare la provenienza proprio per averli ignorati: pensate che nei coltelli e nelle seghe i batteri si annidano tra la lama e la parte interna dei manici! Per la soluzione di questo problema Mimasa propone la serie di lavatrici “K” con varie capienze: da 24 sino a 100 coltelli e possibilità
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di unirvi altri accessori. Tutto sarà lavato, sanificato ed asciugato in tempi brevissimi. Tutte le macchine Mimasa sono dotate di registrazione dati di processo su chiavetta USB, utilissima per le certificazioni USDA, ISO 22000, BRC ed IFS, oltre che per eventuali audit. L’ampia dotazione in accessori risolve ogni possibile problematica: dosatori regolabili per detergente, ventilatori, aspiratori di vapore, speciali filtri rotativi auto-pulenti, disimpilatori ed impilatori per cassette. È prevista persino l’eliminazione di etichette.
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LA PAGINA SCIENTIFICA
Peste suina africana: le possibili ricadute sulla filiera La malattia potrebbe avere un impatto rilevantissimo sui commerci mondiali. Per questo bisogna muoversi d’anticipo, giocando su ricerca, innovazione e comunicazione di Giulia Mauri
A
lla giornata di corso “Peste suina africana: aggiornamenti sulla malattia, misure di prevenzione e possibili conseguenze sulla filiera del comparto suinicolo” (FICO, Bologna 10 gennaio) hanno partecipato anche rappresentanti del settore produttivo, compreso il direttore di ASS.I.CA., l’Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi aderente a CONFINDUSTRIA, DAVIDE
CALDERONE, il quale ha snocciolato alcuni dati economici e produttivi. Lo scenario mondiale La domanda di carne suina è in crescita a livello globale, soprattutto in Asia e Sud America. Il maggior produttore è la Cina, che produce il doppio delle tonnellate di carne dell’intera UE e il quintuplo di quelle degli USA. Insieme, questi tre
attori — Cina, UE e USA — coprono l’80% della produzione mondiale. «La PSA è però un’incognita che pesa molto sulle prospettive di mercato e va ad aggiungersi alle tensioni commerciali già presenti sullo scenario mondiale» ha detto Davide Calderone. La Cina infatti è anche il primo consumatore di carne suina del globo ed è un forte importatore, mentre non effettua
La peste suina africana nel 2017 è stata segnalata in Repubblica Ceca e nel 2018 in Ungheria, Romania, Bulgaria e Belgio e questo è sicuramente un fattore di alto rischio per il nostro Paese (photo © Pinterest). 126
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export. È la UE, invece, ad essere un grande esportatore, perché produce in eccedenza rispetto ai consumi interni. Per l’Unione Europea la Cina costituisce più del 35% del mercato dell’export, seguita da altri Paesi soprattutto di area asiatica come il Giappone (11%), Hong Kong (10%), la Corea del Sud (7,2%), le Filippine, che si aggirano sul 6,5%, e — unico Paese di un’altra area geografica — gli USA con il 4%. Con l’eventuale ingresso della peste suina africana nelle zone ad alto export della UE, la Cina sarebbe costretta a chiudere le frontiere ai nostri prodotti e Canada, Brasile e USA potrebbero approfittare dell’apertura di questo nuovo immenso mercato. «Un rischio che, se si verificasse, comporterebbe un danno enorme e molto duraturo nel tempo». UE forte esportatrice L’export della UE nel suo complesso è in crescita da molti anni. La sola Germania produce il 23,3% delle carni suine, seguita da altri Paesi che coprono il 21,3% del settore, la Spagna (in forte riduzione) che si attesta al 18,4%, la Francia al 9,3%, la Polonia all’8,5%, la Danimarca al 6,5%, l’Italia al 6,3% e i Paesi Bassi al 6,2%. La PSA sta ora imperversando in Romania: questo è sicuramente un fattore di alto rischio per il nostro Paese — come abbiamo visto negli articoli precedenti —, ma, secondo Calderone, non è rilevante a livello internazionale, in quanto la produzione della Romania è destinata all’autoconsumo e al consumo interno. «Ben diverso sarebbe se il virus raggiungesse i Paesi forti esportatori, come la Germania, appunto». In questo caso, al blocco commerciale imposto dalla Cina e dagli altri Stati extraeuropei importatori conseguirebbe un esagerato innalzamento dell’offerta di carne suina all’interno del mercato della UE, con grave danno per i produttori. Già oggi l’Italia importa il 40% delle carni suine, sia per la vendita come fresche sia per la lavorazione. L’Italia nei mercati extraeuropei Continuiamo ora a parlare del nostro Paese: nel 2017 sono stati
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Per l’Unione Europea la Cina costituisce più del 35% del mercato dell’export, seguita da altri Paesi soprattutto di area asiatica. Fanno eccezione gli USA, col 4% (photo © www.gettyimages.com). macellati più di 11 milioni di capi: un dato stabile, con un aumento del peso totale ottenuto in crescita del +0,3%, una produzione di salumi che segna un +1,3%. Il tutto è pari ad un valore economico di 7,977 miliardi di euro. Sempre nel 2017 l’export dei salumi italiani ha segnato il +3,3%, con una crescita in termini economici del 6,9%. L’Italia detiene di gran lunga il primato mondiale su questo settore ed esporta verso gli altri Paesi UE l’81% della produzione e il rimanente 19% verso i Paesi extra europei. Le ripercussioni dell’ingresso della peste suina nello scenario si manifesterebbero in quel 19%. «Esportare verso i Paesi terzi è un grande sforzo per lo stabilimento, per i servizi veterinari della Sanità pubblica territoriale, per lo Stato che costruisce la rete commerciale» ha spiegato Calderone. «Con la
perdita improvvisa di un mercato tutta la fatica compiuta verrebbe vanificata: quando il mercato si riapre bisogna infatti ricominciare tutto daccapo. E nel frattempo, col nostro prodotto escluso dal Paese terzo, il mercato è stato occupato da altri fornitori e magari anche da prodotti contraffatti». Insomma, costruirsi una rete commerciale non è affatto semplice, spesso è frutto di negoziati decennali e più (vedasi il caso ventennale di Taiwan), preservarla è un obiettivo primario del comparto e dell’intero Paese. In più, alcuni Paesi riconoscono il principio di regionalizzazione, per cui valutano la regione di provenienza del prodotto all’interno del Paese, mentre altri non riconoscono questo principio e applicherebbero tout court la chiusura dei mercati a tutta la carne suina lavorata made in Italy.
I consumatori nostrani sono volubili, poco e male informati dalla stampa, hanno una scarsa preparazione scientifica e sono molto sensibili alle crisi mediatiche, comprese quelle ingiustificate. Per tutelare la filiera bisogna perciò muoversi su due fronti: mettere in atto la giusta comunicazione per il mercato interno e per l’estero occorre rimanere indenni dalla PSA e investire nella ricerca
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Nel 2017 l’export dei salumi italiani ha segnato il +3,3%, con una crescita in termini economici del 6,9%. L’Italia esporta verso gli altri Paesi UE l’81% della produzione e il rimanente 19% verso i Paesi extra europei. Le ripercussioni dell’ingresso della peste suina nello scenario si manifesterebbero in quel 19% (photo © Antonio Truzzi). Il mercato interno L’estero è vitale per questa filiera italiana. Sebbene il mercato interno copra l’80% del giro d’affari, la posizione dei produttori è sempre precaria perché i consumatori nostrani sono volubili, poco e male informati dalla stampa, hanno una scarsa preparazione scientifica e sono molto sensibili alle crisi mediatiche, comprese quelle ingiustificate. Come anche altri in Paesi del Sud Europa, le vendite di prodotti alimentari crollano al minimo titolo scandalistico, nel Nord invece i consumatori sono più compassati. Ad esempio, il recente caso dell’influenza aviaria ha fatto crollare le vendite di carni di pollame del 70% in Italia, mentre nei Paesi del Nord Europa contemporaneamente si è registrato solo una riduzione del 10%. Calderone ha dato un’interessante spiegazione al fenomeno: certamente in Italia il sensazionalismo della stampa fa danni e l’opinione pubblica è molto influenzabile. Ma c’è un altro fattore in gioco: nei Paesi mediterranei la varietà alimentare è maggiore e la
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fantasia in cucina è un elemento diffuso. Quindi i consumatori italiani sono più ondivaghi perché possono permetterselo, hanno una maggiore elasticità e culturalmente possono contare su una varietà di materie prime più ampia. La cosa in sé è positiva. Un po’ meno per i produttori. Comunicare bene Per tutelare la filiera bisogna perciò muoversi su due fronti ben distinti: per il mercato interno bisogna riuscire a mettere in atto la giusta comunicazione, per l’estero invece è indispensabile rimanere indenni da PSA e al tempo stesso muoversi d’anticipo investendo nella ricerca. È in atto, ad esempio, una sperimentazione in collaborazione con l’IZS-UM sull’impatto dell’alta pressione sulle carni: il trattamento HPP che è già dimostrato essere efficace verso Lysteria e Salmonella potrebbe dare le necessarie garanzie ai Paesi importatori anche nel caso del virus della peste suina africana. E questo sarebbe davvero
un buon risultato. Anche per GIUDIEGOLI, del Servizio Regionale Prevenzione Collettiva e Sanità Pubblica dell’Emilia-Romagna, quello della comunicazione è un problema grandissimo e quindi dobbiamo subito cominciare a lavorare spiegando ai cittadini che la peste suina africana (e purtroppo il nome certo non aiuta a calmare gli animi né ad approcciare la malattia in maniera sensata) è un problema economico, che colpisce la filiera e gli animali. Non è assolutamente una zoonosi! Bisogna riuscire a raggiungere le tantissime persone che si spostano in autonomia dall’Est Europa all’Italia e che non sono consapevoli del rischio che le loro azioni e leggerezze comportano. Presto si costituirà un gruppo interdisciplinare tra Regione Emilia-Romagna e Ministero della Salute per definire i termini da comunicare e sono già pronte alcune bozze di volantini che pongono l’attenzione sul rischio per la vita di suini e cinghiali italiani. La posta in gioco è altissima. Giulia Mauri SEPPE
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Suini a coda lunga: con un buon benessere si può La check-list del sistema Classyfarm permette di valutare il rischio di lesioni cui andrebbero incontro i suini dell’allevamento e di individuare soluzioni di miglioramenti. Fra le quali c’è l’arricchimento ambientale di Giulia Mauri
I
l taglio della coda dei suini è una pratica destinata a sparire prestissimo. Entro il 2020 è previsto che si chiuda definitivamente la deroga alla Direttiva 2008/120/ CE, recepita con il DL 122/2011 in vigore dal 2013. Già da oggi è necessario mettere mano al proprio allevamento per trovare soluzioni che migliorino le condizioni di
benessere dei suini e permettano di allevarli a coda lunga. Infatti, le lesioni alla coda provocate dai compagni sono un indice importante del livello di benessere degli animali. Riuscendo a ridurre la manifestazione di questo comportamento, avremo sicuramente migliorato le condizioni di benessere. In sostanza, se riduciamo un fenomeno-spia di
scarso benessere significa che siamo riusciti a creare una condizione più favorevole agli animali. Fino ad oggi si è tagliata la coda ai suini in modo da ridurre la possibilità di avere lesioni e morsicature, che possono avere gravi e gravissime conseguenze sulle condizioni di salute e di benessere del suino. Si è intervenuti riducendo la
Maialini d’allevamento su un letto di paglia e fieno (photo © Kalinovsky Dmitry).
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2017 EC Type-examination Certificate issued by PTB Braunschwieg / D
Alla ricerca del morsicatore seriale Sono veramente molti i fattori che influenzano la tendenza dei suini a mordere la coda dei compagni di box fino a farla sanguinare, andare in necrosi e provocare dolore, infezioni, calo di accrescimento e scadimento del benessere, della salute e della qualità dell’animale. Alla giornata di corso per divenire veterinari auditor qualificati per la valutazione del rischio e del miglioramento delle condizioni di allevamento suino per la prevenzione del taglio della coda (Bologna, 10 settembre 2018) ha tenuto un intervento anche ANNALISA SCOLLO. Medico veterinario con un ruolo in Swivet Research Snc e presso l’Università di Padova, ha pubblicato un articolo sull’individuazione dei fattori utili a prevedere il manifestarsi di questo comportamento deleterio negli allevamenti di suini pesanti assieme a FLAVIANA GOTTARDO, BARBARA CONTIERO e SANDRA A. EDWARDS (le prime due colleghe del Dipartimento di medicina animale, produzione e salute di Padova, la terza dell’Università inglese di Newcastle): “A cross-sectional study for predicting tail biting risk in pig farms using classification and regression tree analysis”, pubblicato nel 2017 su PREVENTIVE VETERINARY MEDICINE, Elsevier. I fattori presi in esame come possibili indicatori sono stati in tutto 24 e tutti avevano ricadute dirette sulle condizioni di benessere dei suini. Dai risultati condotti su oltre 60 aziende nel Nord-Est dell’Italia ne sono emersi cinque per rilevanza: densità animale, livelli di ammoniaca nell’aria, numero di capi per ciascun operatore, puntualità nell’erogazione del pasto e elementi di arricchimento ambientali. Rispettare le norme riguardo alla densità animale anche a fine ciclo nei suini pesanti consente oggettivamente di ridurre il rischio di morsicatura. La qualità dell’aria deve essere tale da non superare mai i livelli di 2,7 ppm di ammoniaca. Anche la composizione del gruppo di animali ha un suo peso: i gruppi misti di maschi e femmine dovrebbero essere più esposti al problema. La presenza di un numero adeguato di addetti, soprattutto in relazione alla meccanizzazione dell’allevamento, è molto importante. Lo stockman deve avere il tempo di osservare i suini, le loro code e il loro comportamento. Per questo il numero di capi da supervisionare non dovrebbe essere eccessivo. Oppure, l’elevata automazione dell’allevamento dovrebbe consentirgli di dedicare il tempo adeguato a questa attività. La Scollo ha anche spiegato che non è infrequente che in un gruppo i suini morsicatori siano appena uno o due e che manifestino questa tendenza già sotto scrofa. Gestire adeguatamente questi soggetti — in casi estremi anche separandoli dal gruppo — consente di ottenere ottimi risultati. Non è altrettanto opportuno separare i suini con code danneggiate. Certamente questi possono avere il tempo di guarire nel loro nuovo box, ma i morsicatori seriali finirebbero semplicemente per accanirsi su una nuova vittima. È il morsicatore invece che va allontanato dal gruppo, perché è lui la causa del problema. Infine in molte aziende oggi gli allevatori forniscono materiale manipolabile solo nei gruppi-problema: questo è un intervento che mira a tamponare la situazione e può anche dare buoni risultati; ma ormai il materiale di arricchimento deve divenire una routine.
manifestazione di questo spiacevole comportamento non lavorando sulle cause, bensì solo sull’effetto finale: una coda corta è meno morsicata di una lunga. Ma poiché questo comportamento è il risultato di condizioni di scarso benessere, se riusciremo a migliorare queste ultime, anche il fenomeno delle morsicature si ridurrà. Auditor e check list La morsicatura della coda dei compagni è indotta da moltissimi fattori di origine gestionale e strutturale dell’allevamento, è influenzata dalla genetica degli animali, dall’alimentazione, dall’affollamento nel box, dalle condizioni di microclima, dalla pavimentazione completamente fessurata, ecc… Un elemento primario nella manifestazione di questo fenomeno, però, è dato dall’assenza
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di materiale manipolabile e dalla sua scarsa idoneità. Ecco perché da oggi in poi sarà indispensabile dedicare maggior attenzione al tipo di materiale manipolabile messo a disposizione degli animali. Le due giornate di settembre 2018 — quella teorica tenutasi a Bologna e quella pratica in alcuni allevamenti — e i successivi appuntamenti organizzati dal Servizio Sanitario Regionale della Regione Emilia-Romagna, hanno permesso ai veterinari che vi hanno partecipato di formarsi come auditor qualificato per la valutazione del rischio e il miglioramento delle condizioni di allevamento proprio al fine di mettere in atto la prevenzione del taglio della coda. Sono questi professionisti, incaricati dall’allevatore, le figure che possono compilare un questiona-
rio standardizzato e validato dal CReNBA (Centro di Referenza Nazionale per il Benessere Animale) dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna — la cosiddetta check list — e inserirlo nel sistema informatico Classyfarm (www.classyfarm.it). Compilando la check list è possibile ottenere un risultato dato dall’elaborazione dell’algoritmo di proprietà del CReNBA. Leggendo il risultato si individuano i punti di forza e quelli di debolezza dell’allevamento ed è possibile programmare interventi di miglioramento. Bisogna — se necessario — mettere subito mano alla realizzazione graduale di quanto programmato, perché già da gennaio 2019 è necessario cominciare a sperimentare l’allevamento dei primi svezzati e magroni con coda lunga.
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Da quest’anno non è possibile allevare suini senza coda, se in allevamento non è stata compilata la check list e non si è iniziato a valutare come intervenire per rendere le condizioni aziendali compatibili con la coda lunga. La check list consente quasi sempre di dare tre tipi di risposta alla soddisfazione di un parametro: insufficiente, migliorabile e ottimale. Le risposte insufficienti rivelano una mancata adesione alle norme: costituiscono quindi le criticità da sanare nel più breve tempo possibile. Quelle migliorabili invece sono le condizioni di rispetto della normativa, mentre le risposte ottimali individuano i contesti in cui, rispetto al minimo stabilito dalla legge, l’allevamento riesce a dare qualcosa in più. La discussione su come intervenire per migliorare le condizioni di benessere dei suini e ridurre il conseguente rischio di morsicature della coda deve essere affrontata dall’allevatore, meglio se assistito dal suo veterinario aziendale, sulla base dei risultati della check list. Ogni allevamento troverà le sue soluzioni e sperimenterà l’efficacia dei miglioramenti messi in atto. Inoltre, andrà preparato un Piano delle Emergenze, ovvero una procedura che dia indicazioni su come gestire eventuali recrudescenze del problema della morsicatura della coda. L’arricchimento ambientale Gli interventi migliorativi che consentono di ridurre il rischio di morsicatura della coda non sono del tutto scontati. Ad esempio, ridurre la densità animale è un intervento con un rilevante impatto economico, ma non necessariamente risolutivo del problema. Mettere a disposizione materiale manipolabile adeguato è invece un intervento dai costi più ridotti che permette di ridurre molto l’incidenza del fenomeno. «Per anni abbiamo avuto dubbi e incertezze sul materiale manipolabile» hanno ammesso GIOVANNA TRAMBAJOLO del Servizio di Prevenzione collettiva e Sanità Pubblica della Regione Emilia-Romagna e PIERLUIGI CORRADI dell’Azienda USL di Reggio Emilia nella giornata di formazione. «Ma
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è tempo di rompere gli indugi e da ora in poi nei controlli ufficiali si darà la giusta attenzione a questo elemento». Non tutti gli arricchimenti ambientali hanno la stessa efficacia: l’ideale è che siano commestibili, masticabili, esplorabili e manipolabili con la bocca. Naturalmente devono essere presenti in quantità adeguate e puliti. Quando il materiale proposto non presenta contemporaneamente tutte queste caratteristiche deve essere presentato in associazione con altri materiali che siano complementari. Gli arricchimenti commestibili sono quelli che possono essere mangiati dai suini senza arrecare loro alcun danno e anzi fornendo loro fibre e nutrienti. La gomma, per esempio, non presenta la caratteristica di commestibilità. Devono essere masticabili, quindi per esempio i grossi ciocchi di legno o i mattoni non sono adeguati. L’esplorabilità è una caratteristica presente in quegli arricchimenti che possono essere effettivamente raggiunti dai suini, perché posti all’altezza adeguata. Le corde in materiale organico e le catene di metallo sono esplorabili solo nella loro parte più bassa, raggiungibile realmente dagli animali. Infine, la manipolabilità è presente quando con la bocca i suini spezzettano, smuovono e tastano il materiale. Ad esempio, piccoli tronchi impilati e solo parzialmente fissati alla parete. La paglia presenta tutte le caratteristiche richieste ad un materiale di arricchimento. Dopotutto, passa anche l’esame dei costi e della facilità di fornitura da parte dell’operatore. Secondo alcuni relatori della giornata è semplicemente giunto il momento di mettere mano agli scarichi dei capannoni e renderli adatti alla presenza di paglia: un intervento che a conti fatti vale la pena compiere. In ogni caso, un tappetino posto sotto la rastrelliera della paglia permetterà ai suini di recuperare quella caduta a terra prima che raggiunga gli scarichi. Giulia Mauri
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BBQ modenese di Giovanni Papalato
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ra tutti sappiamo che il barbecue (abbreviato BBQ) è un metodo di cottura secondo il quale il cibo, specialmente carne, è posto su una griglia sospesa su fiamma libera o carboni ardenti. Se proprio vogliamo dirla tutta, non è solo così perché con lo stesso termine ci si può riferire ai cibi cotti in questa maniera, allo strumento usato per la cottura, all’evento in sé e, quindi, alla cottura e degustazione degli alimenti cotti tramite questa tecnica. Inoltre, si può intendere anche un piatto tipico della Carolina del Sud, le costolette alla griglia. Ecco, oltre a tutto questo Barbecue è anche un brano tratto da “Arto”, il secondo disco di SETTI. Modenese, classe 1985, NICOLA SETTI è lontano anni luce dall’egemonia Trap e dalle repliche in serie di modelli cantautoriali uguali a se stessi, perché ha un identità precisa. La sua. È la prima volta che in questa rubrica si parla di un artista italiano, in quanto essere credibili e validi quando ci si esprime nella nostra lingua, soprattutto in ambito musicale, non è affatto scontato. “Arto” è un disco breve ed eterogeneo, ma allo stesso tempo di senso pieno e compiuto e non una disorganica raccolta di brani. È il suo secondo disco, a quattro anni dall’esordio sulla lunga distanza e quindi carico di aspettative e cam-
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biamenti. In questo senso il titolo e la copertina dell’album sono ad esorcizzare certe dinamiche, con il ritratto ironicamente serioso dell’autore. La produzione di LUCA MAZZIERI (già “A Classic Education”, “Wolther Goes Stranger”) e il contributo di compagni di etichetta come BASEBALL GREGG e SMASH incidono in maniera decisa sul risultato, senza andare a scapito dell’identità di Setti, arricchendo e non coprendo la sua scrittura. Una dinamica dal risultato non scontato e prezioso. Si comincia entrando letteralmente nella Stanza assieme al protagonista. Ai tempi del liceo, tra chitarre dream pop, ci si immerge nel disagio adolescenziale delle relazioni interpersonali e degli amori non corrisposti. Un flashback che si muove tra tastiere lontane ed una batteria cadenzata ad accompagnare. Ci troviamo in una condizione che l’autore padroneggia: un apparente disarmonia tra testi e musica che dapprima rimane sotto traccia e poi si rivela una volta ottenuta confidenza. E lì aderisce tra petto e cervello per rimanere. “Tra me e lui era ovvio che scegliesse lui. Infatti è così che andò”. È un attacco della sezione ritmica e del synth che ridesta quello di Iowa. Le strofe hanno una seconda voce femminile che si inserisce nella struttura del brano donando spessore. È solo invece Setti quando nel ritornel-
lo, quasi in sospensione, canta: “Mai stato quello che tu hai amato di più va bene così, anche se tu invece sì”. Mentre il brano scema prima di fermarsi di scatto, certe parole sedimentano assieme alla suggestione sonora di certi Devo con chitarre meno acide. Da uno stato ad un altro, con Wisconsin l’autore prosegue a partire dai primi EP autoprodotti fino al disco di debutto, “Ahilui”, in cui era presente Kentucky, con un gioco che è un omaggio a SUFJAN STEVENS, un autore a cui è legato e che aveva iniziato il progetto di pubblicare un album dedicato ad ognuno degli Stati Uniti. Per entrambi non è dato sapere se e come procederanno nei loro intenti, ma sicuramente in questo album si concretizzano e si inseriscono in una poetica che indaga una specie di mappa intima e che allo stesso tempo interpreta gli animi di una generazione. Anche perché Setti non è (ancora?) mai stato nei posti che danno titolo ai suoi brani, ci tiene a sottolineare. Nello specifico, il brano appartiene al suo repertorio; era comparso in uno dei primi EP e spesso veniva suonato nei live. Qui viene completamente riarrangiato, andandosi ad inserire nel contesto di “Arto” in assoluta armonia grazie ad una più definita vocazione pop, ovviamente non convenzionalmente inteso. È una canzone astratta e si
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muove agilmente in una dimensione distorta come se un gruppo post punk suonasse country. “Certi pranzi coi parenti sono proprio devastanti” è un verso liberatorio, intercetta una verità che è stata, sarà di tutti. In un testo di suggestioni e immaginari personali dà il senso dell’intimità che Setti riesce a creare. È in grado di donare a chi ascolta un senso di domesticità anche utilizzando luoghi e situazione lontani dall’ordinario. È strutturalmente folk Barbecue, il duetto con AVOCADOZ (VALENTINA GALLINI). Banjo e chitarra a 12 corde, un sintetico mix tra theremin e sega sanno di tradizione americana, uno xilofono emerge e pulisce prima che una elettrica bruci l’epilogo: “Preparerò un barbecue Che bruci tutto quel che so di te Farò un falò Ritorneremo A quando ero più scemo E tu non eri me”. Il lato A si chiude con Woods, un brano atipico nella scrittura dell’autore perché il testo è per la prima volta lineare. È il racconto di un concerto mancato (la band è quella del titolo) a causa di un imprevisto, situazione da cui letteralmente si evade col ritornello. La batteria senza piatti, chitarre prima desertiche poi sognanti, il finale con fiati che sanno di Motown e del primo Battisti, in un gioco di rimandi in cui ognuno può trovare la sua memoria: “Sono là sono là Sono al concerto Sono là sono là Nello stesso punto in cui ti ho perso”. Al termine di questo lato rimane a tratti la percezione salgariana di avere memoria di qualcosa, di poterlo raccontare anche senza averlo concretamente provato. Cambiare lato del disco, abbandonando in un certo senso un mood eterogeneo ma decisamente legato a certi USA musicali e culturali per ritrovarsi in Sudamerica con Bestia riesce a non essere spiazzante. È un brano scritto in terza persona, una bossa confidenziale per un testo che racconta disillusioni e confessioni fatte al protagonista. Un analista? Una persona su un treno che ascolta inconsapevo-
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le conversazioni al telefono di sconosciuti nello stesso compartimento? “Le persone diventano tempo Sono cose di qualche anno fa ‘se dentro ci fossi anche tu’ Mmmmh come fa? Quella persona che sa mi attraversa la testa”. Simmetrico, come Iowa dopo Stanza sul primo lato, irrompe Presente, un gioiello post punk che entra senza chiedere permesso, per restare. Drum Machine, basso, chitarra elettrica, batteria, tutto si inserisce in un crescendo denso e nervoso. Perfetto, necessario. Ci sono i primi JOY DIVISION di Digital e i nostri CCCP. C’è Setti. La sua voce ha trasporto, parte dallo stomaco passando per il cervello e un po’ trema di consapevolezza quando parte dai social per parlare di se stessi: “Quando tu sei con me Sei lontano da te Non è il passato Non è il futuro Non ho presente Quel che succede Durante il giorno
E non si vede Ci giro intorno”. La sequenza di questo brano e la successiva Orizzonte è per chi scrive uno dei punti più intensi del disco. I suoni ambientali di una sera d’estate, la chitarra acustica e la voce di Nicola. Ti fermi, smetti quel che stai facendo, ascolti. Commuove e lascia sospesi. La bellezza tende a fare così: “L’orizzonte non esiste Io lo vedo, non esiste Sono sempre molto triste Quando te ne vai Perché in fondo resti Ma il peggio è che lo sai”. Ci si desta con gli accordi iniziali di Mi Mancavi che muove nostalgie e cori. La forza di certi brani sta in melodie e parole che in pochi minuti riescono a rivelare meccanismi atavici e necessari. Anche quando si parla di persone che ci hanno fatto del male, ma ci mancano. Tra metafore ed elementi mitologici troviamo alcuni riferimenti a ciò che consapevolmente abbiamo ascoltato fino ad ora, come mappe e stanze. Un omaggio a BATTIATO nell’inciso,
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le tastiere circensi nel ritornello completano un affresco surreale ma estremamente credibile: “La tua voce come un coro da stadio mi spaventa Ci si accontenta Mi mancavi Mi lanciavi coltelli e mi mancavi Mi mancavi”. Sono passati solo 20 minuti dall’inizio del disco e si giunge al termine di un viaggio tanto breve quanto intenso. E lo si fa con una canzone nata in fase di missaggio, con Nicola che chiede se procedere, attacca poi si ferma e ridendo riprende stavolta deciso. L’incipit è uno scambio che disorienta e il protagonista
giunto al termine del suo percorso arriva alla conclusione che vuole un cuore di legno, non prezioso e resistente in sé, ma con qualcuno tutto intorno. Un cerchio. Quello in copertina, quello del vinile che gira sul piatto, le canzoni di un album che compiono il giro offrendo così all’ascoltatore il compito di dare un senso a ciò che ascolta: “Ci siamo detti tutto Avete fatto bene Ci siamo fatti tutto Dicendoci ‘succede’ E ora io voglio un cuore di legno Col cristallo se cade poi non ci fai molto Allora io cerco un cuore di legno Sì però
Con te Tutto attorno”. Solo voce e chitarra, alla fine e per l’unica volta, riprendendo il giro del primo brano, Stanza. Quello che rimane di “Arto” è la sensazione un disco importante, necessario. Una rielaborazione personale dell’autore e dell’ascoltare, di ciò che ci rende unici ma anche uguali. Un disco postmoderno all’interno del panorama cantautoriale italiano, fermo al moderno. Giovanni Papalato Nota A pagina 135, photo © Alessia Morabito.
Carne prodotta in laboratorio e gas serra L’agricoltura costituisce circa un quarto di tutte le emissioni di gas serra che determinano l’innalzamento delle temperature globali. I bovini, che producono significative quantità di metano e di protossido di azoto, sono tra i maggiori contributori. Inoltre, la domanda di manzo ha visto vasti tratti di terra trasformati in pascoli, molti dei quali devono essere trattati con fertilizzanti a base di azoto, che sono un’altra grande fonte di gas serra. Una delle soluzioni che vengono promosse per ridurre gli impatti alla produzione di manzo è la produzione di carne sintetica. Diverse aziende stanno sviluppando manzo, maiale, pollame e pesce prodotti in laboratorio. Ma anche se il passaggio a questi mezzi di produzione potrebbe determinare una rapida riduzione dei livelli di metano prodotti dalle mandrie di bovini, una ricerca, pubblicata sul giornale Frontiers in Sustainable Food Systems, mette in evidenza che, la produzione di carne sintetica potrebbe generare maggiori concentrazioni di anidride carbonica. Secondo lo studio, i benefici ambientali associati alla produzione su larga scala di carne artificiale dipendono dai mezzi di produzione dell’energia utilizzata per realizzare il prodotto artificiale negli stabilimenti. Gli scienziati dell’Oxford Martin School sostengono di aver scoperto che la carne coltivata può non essere migliore di quella del bestiame, dal punto di vista climatico, e aggiungono che il suo impatto relativo dipende, invece, dalla possibilità di generare energia decarbonizzata e dagli specifici sistemi di produzione che vengono utilizzati. I ricercatori hanno, inoltre, utilizzato tre possibili “percorsi di consumo” di carne per prevedere in che modo la domanda di manzo potrà oscillare, utilizzando modelli climatici per valutare come la diversa produzione di ciascuno dei tre gas serra (anidride carbonica, metano e protossido di azoto) possa incidere, anno dopo anno, sulle temperature globali, se aumentano o diminuiscono, in base al consumo di carne e ai metodi di produzione. La domanda di manzo cresce in tutto il mondo, in particolare in Asia, dove le sempre più numerose economie emergenti e l’aumento dei redditi delle famiglie ha portato la domanda a rappresentare quasi il 50% di tutte le importazioni globali di carni bovine (fonti: “Independent” UK in Agrapress; Accademia dei Georgofili).
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LIBRI
Confesso, sono carnivoro Il mondo degli allevatori e dei produttori di carne raccontati da un reporter controcorrente nel libro “In difesa della carne”
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a carne, da sempre un alimento presente nella Dieta Mediterranea e in tutte le culture del pianeta, negli ultimi anni è oggetto di critiche continue che riguardano l’impatto ambientale della sua produzione e i presunti problemi per la salute umana le-
gati ad un suo consumo. Per fare chiarezza su questi temi e combattere stereotipi e luoghi comuni, il giornalista ANDREA BERTAGLIO ha raccolto nel libro In difesa della carne (Edizioni Lindau) il punto di vista di allevatori, produttori e di chi segue una dieta onnivora. Il volu-
me vuol dare voce a coloro i quali non trovano spazio per esprimere la propria opinione a causa di un dilagante veg-sensazionalismo che ha stigmatizzato la carne e il suo consumo e ha annacquato nella polemica il dibattito informativo. «C’è troppa disinformazione sul
Alla presentazione milanese del volume, con cena a seguire (onnivora), insieme all’autore, primo da destra, sono intervenuti Ettore Capri e Francesca Romana Barberini (photo © World Food Press Agency).
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L’animalismo da salotto a cui ci siamo ormai adeguati non serve proprio a niente, ha dichiarato Andrea Bertaglio. E senza un’informazione equilibrata non si può scegliere cosa è meglio per noi, per gli animali e per l’ambiente
tema carne e proteine animali, e gli effetti si iniziano a vedere. Dai bambini rachitici di genitori vegani ad intere comunità basate da secoli su allevamento e pastorizia che si spopolano, gli esiti delle bufale sulla produzione di carne diffuse da chi ha interessi economici o ideologici nel diffonderle si stanno manifestando ormai da alcuni anni» ha spiegato Andrea Bertaglio. «La bolla vegan-animalista è ormai scoppiata, per questo col mio libro ho deciso di prendere posizione. Trovo ad esempio assurdo che qualcuno si opponga ad una nutrizione completa per i bambini o che l’amore degli animali si sia trasformato in una umanizzazione degli stessi. L’animalismo da salotto a cui ci siamo ormai adeguati non serve a niente. E senza un’informazione equilibrata non si può scegliere davvero cosa è meglio per noi, per gli animali e per l’ambiente in cui viviamo». Immancabile il riferimento all’ambiente e all’eco-sostenibilità degli allevamenti e in particolare alle emissioni di gas serra, al consumo di acqua e all’utilizzo del suolo. «Paradossale addossare tutte le colpe del Climate Change alla zootecnia» ha commentato il prof. ETTORE CAPRI, ordinario di Chimica Agraria all’Università Cattolica di Piacenza, intervenuto alla presentazione milanese del volume. «Secondo la FAO, il 65% della produzione di CO2 deriva
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dall’utilizzo dei combustibili fossili per produrre energia per l’industria e i trasporti (auto, navi, aerei), mentre le emissioni di gas serra relative alle produzioni zootecniche (carne, latte e uova) pesano per il 14,5% di tutte le emissioni, solo il 6-7% delle quali è attribuibile alle carni bovine. Inoltre, per produrre 1 chilogrammo di carne in Italia servono 920 litri di acqua, ben lontano dai famigerati 15.000 litri noti all’opinione pubblica. Così come l’86% degli alimenti destinati agli animali (foraggi, erba medica, residui colturali, ecc…) non è adatto all’alimentazione umana: pertanto non vengono sottratti alimenti all’uomo, anzi i ruminanti, animali erbivori, trasformano la cellulosa delle piante in proteine ad alto valore biologico» ha concluso Capri. «Quella di Andrea Bertaglio è una voce fuori dal coro, competente ed incisiva, e fa luce su uno dei temi più bistrattati e “abusati” del momento: la carne. Un alimento molto amato nel nostro Paese e da sempre parte della tradizione culinaria» ha dichiarato la conduttrice televisiva FRANCESCA ROMANA BARBERINI, anche lei presente a Milano. «Dopo anni passati accanto a chef e produttori, so che per essere sicuri di ciò che mangiamo dobbiamo conoscerne l’origine e il “mondo della carne” viene raccontato davvero con chiarezza ed autorevolezza nelle pagine di questo libro».
CURIOSITÀ
Carni e leggende metropolitane La carne è oggetto di miti che variano secondo i tempi, comprese le odierne leggende metropolitane di Giovanni Ballarini
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n amico mi ha raccontato… «Un mio conoscente è andato in un ristorante di Milano con il suo cane e durante la cena gli ha dato un pezzetto della carne che gli era stata servita. Il cane, dopo averla fiutata, non ha voluto mangiarla. Il padrone, insospettito, ha raccolto il pezzo rifiutato, l’ha fatto analizzare e ha scoperto che era carne di cane. Il ristorante è stato chiuso». Questa è una leggenda metropolitana tra le più diffuse, la cui falsità è facilmente
individuabile, perché costruita su una serie di improbabilità: innanzitutto quella di un cane capace di conoscere l’origine di una carne, peraltro cotta e condita; poi quella di un proprietario che trova un analista del genoma per stabilire la natura della carne; infine, quella di un ristoratore che serve la carne di cane col rischio di dover chiudere l’attività. Il racconto riportato costituisce una delle tante fake news (in
italiano notizie false) redatte con informazioni inventate, ingannevoli o distorte, rese pubbliche col deliberato intento di divertire, talvolta, ma soprattutto di disinformare e diffondere le cosiddette bufale, riguardanti argomenti d’interesse generale o sensibili, attraverso i mezzi d’informazione tradizionali o attraverso i social. Uno di questi argomenti è appunto la carne, attorno alla quale si sono sviluppate delle paure, a
Sono molte le paure di oggi legate agli effetti del consumo della carne. Causate dalla circolazione di notizie deformate, nate per lo più da fraintendimenti, esemplificazioni eccessive o fake news, possono essere sfatate facilmente con una corretta informazione (photo © miunicaneurona – stock.adobe.com).
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volte inconsce, il più delle volte favorite dalla diffusa ignoranza circa le pratiche agricole e l’allevamento degli animali. Si tratta di timori che oggi possono essere tranquillamente ridimensionati e in gran parte sfatati, derivanti da fraintendimenti o da notizie imprecise diffuse con l’intento di criminalizzare un alimento a vantaggio di altri, per motivi ideologici e interessi di mercato. Bistecche agli antibiotici Si sente parlare di carni prodotte da animali, soprattutto vitelli, che sarebbero ingrassati a furia di antibiotici o con l’uso di farmaci in genere, e che per questo sarebbero acquose, senza nutrimento e per di più piene di preparati medici nocivi alla salute umana. Schematicamente è vero quanto segue. La carne magra, soprattutto quella di animali giovani, contiene una maggiore quantità di acqua rispetto alla carne grassa o a quella di animali più o meno anziani. Comunque la quantità di proteine — che è la parte nutritiva che ci interessa — si aggira sempre sul 20%. Antibiotici e altri farmaci vengono usati per curare gli animali ammalati, ma avendo un costo sensibile e non essendo rimborsati da nessun ente statale, si cerca di usarli in quantità minima indispensabile. Inoltre, quando un animale è stato curato con antibiotici o farmaci, non può essere macellato subito; si deve lasciare passare un certo periodo di tempo (noto come tempo di sospensione) durante il quale l’animale elimina completamente il farmaco ed ogni suo residuo, finché le carni tornano ad essere pulite. I tempi di sospensione sono indicati su ciascuna confezione di farmaco, vengono controllati dalle autorità sanitarie e sono sottoposti a precise normative, tra le quali autodichiarazioni degli allevatori che, in caso di inadempienza, rischiano pesanti pene. Da circa cinquant’anni si è riscontrato che piccole quantità di particolari antibiotici aggiunti alla dieta degli animali permettono di prevenire infezioni ed al tempo stesso migliorano le proprietà degli
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alimenti. Questi effetti sono completamente naturali e ampiamente sfruttati dall’uomo che, a tale fine, utilizza molti vegetali freschi, soprattutto piante aromatiche e spezie (ad esempio l’aglio, la cipolla, il prezzemolo hanno sostenute attività antibiotiche). Oggi l’aggiunta di antibiotici negli alimenti degli animali, al fine di migliorarne l’efficacia nutrizionale, non è più ammessa negli allevamenti dell’Unione Europea (e quindi anche in quelli italiani); in questo senso, le autorità pubbliche svolgono accurati controlli. Inoltre, le carni prodotte da grandi complessi agro-industriali (carni di marca o vendute con un marchio) sono autocontrollate dagli stessi produttori, fortemente interessati a non incorrere in incidenti o, peggio, scandali che potrebbero ledere la loro immagine. Bistecca piena di additivi Altra leggenda metropolitana è quella delle carni tritate piene di additivi, un’opinione derivante dal fatto che la carne, esposta all’ossigeno dell’aria, cambia di colore virando verso il marrone. Per questo, nel passato, è avvenuto che alcuni dettaglianti con pochi scrupoli, per mantenere il colore rosso, abbiano aggiunto alle carni tritate degli antiossidanti, compiendo una frode commerciale. L’uso di ogni additivo è vietato nelle carni fresche e in proposito vi sono precisi controlli. Bistecca con i pori Si sente dire spesso che la carne debba essere cotta prima ad alte temperature, per chiudere i pori e preservarne i succhi, poi a temperature più basse; esporre la superficie di una bistecca ad alte temperature, prima di completare la cottura, la sigilla e la mantiene più succosa. Per questo si usa anche il termine inglese searing (più o meno “cauterizzazione”), dimenticando che la bistecca non ha pori e che ricerche sperimentali dimostrano che, dopo la cottura, la bistecca cauterizzata ha perso il 19% del suo peso, quella non cauterizzata il 13%.
Hamburger immortale Che vi sia ognun lo dice / dove sia nessun lo sa, così si affermava per l’araba fenice, il mitico uccello che avrebbe vissuto cinquecento anni e dopo la morte sarebbe risorto dalle proprie ceneri. Lo stesso si potrebbe dire per l’hamburger, che, secondo una leggenda metropolitana, una volta acquistato presso McDonald’s o altre catene di fast food, non “marcisce”, ma “si mummifica” perché di carne talmente sintetica che nemmeno batteri e muffe la possono intaccare. La fantasia aggiunge che esisterebbero hamburger intatti da ormai dodici, quattordici e più anni, ma non si sa dove, dimenticando inoltre che pane e carne cotti e poi conservati in un ambiente secco non offrono alle muffe un ambiente praticabile. E non è per la presenza o meno di conservanti che la carne non si corrompe; è solo che, se è cotta, salata e disidratata, rimane mummificata, che sia di McDonald’s o no. Carni agli estrogeni e la leggenda metropolitana del cuoco svizzero Negli anni Settanta del secolo scorso comparve la notizia di un cuoco svizzero che mangiava i colli dei polli serviti nel suo locale. Colli che, contenendo residui dell’iniezione di DES (dietilstilbestrolo), avrebbero ingrassato e reso sterile l’incauto chef. Fino a un non lontano passato, per ottenere carni grasse vi era l’abitudine di intervenire sull’assetto ormonale degli animali tramite la castrazione. Con la scoperta di farmaci ad azione estrogena, ottenuti per sintesi a basso prezzo, come il dietilstilbestrolo, vi fu la loro applicazione agli animali, anche per la capponatura dei galli. Il possibile rischio di questo composto per la salute pubblica ha portato al suo totale divieto. In modo analogo, e in tutto il mondo, soprattutto per motivi sanitari, non sono mai stati autorizzati altri composti (come i tireostatici e i beta-agonisti, ecc…), mentre negli USA e in molti altri paesi industrializzati sono autorizzati gli ormoni naturali, come il 17-beta-estradiolo, il testosterone e il progesterone, anche
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le carni prodotte negli allevamenti specializzati non sono sostanzialmente diverse, ma “migliori”, cioè più adatte al consumatore, di quelle di una volta, perché meno grasse. Lo stesso dicasi per gli aspetti sanitari. Per quanto riguarda l’aspetto gastronomico, ogni tipo di carne è adatto a un certo tipo di cucina e per la preparazione di una determinata ricetta. Oggi molti, ad esempio il carpaccio, sono possibili o favoriti dalle nuove carni, adeguatamente valorizzate.
Carne cruda macinata (photo © DENIO109). in associazione. Il non uso, e quindi anche la completa assenza di composti vietati o comunque non autorizzati nelle carni, è accuratamente controllata dalle autorità pubbliche. Il fatto che su centinaia di migliaia di indagini, di tanto in tanto, vi sia qualche caso, anche soltanto sospetto, è la migliore prova dell’efficacia dei controlli. Omogeneizzati agli ormoni Un’altra notizia che ogni tanto capita di ascoltare da più parti è quella che agli alimenti per bambini, una fascia di popolazione estremamente sensibile che deve essere protetta, verrebbero aggiunti ormoni per farli crescere, ingrassare e renderli più belli. Gli alimenti per bambini sono costantemente sottoposti a controlli accurati e sensibilissimi. Non vi è quindi da stupirsi sia stato rilevato, nel passato, qualche caso di contaminazioni da ormoni e, più recentemente, da fitofarmaci, soprattutto negli omogeneizzati misti carne-vegetali. Le quantità rivelate dai sensibilissimi metodi di analisi sono risultate infinitesime, ma pur sempre lesive dell’immagine di un’assoluta purezza che deve avere un alimento per bambini. Ricordiamo che questi alimenti sono accuratamente controllati
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dalle autorità pubbliche e dai produttori e si può quindi affermare che questi alimenti sono in assoluto i più sicuri. Carne degli allevamenti intensivi che non vale niente Nel passato gli allevamenti erano vere e proprie arche di Noè, dove un contadino-allevatore teneva mucche da latte e vitelli, oltre a qualche maiale, mentre la moglie curava galline da uova e polli da carne, conigli e qualche faraona, anatre e oche, senza dimenticare i colombi. Oggi vige il concetto della specializzazione, come in ogni altro settore. Per esempio, parlando di automobili, chi si meraviglia dell’esistenza dell’opera del carrozziere, di quella dell’elettrauto, del gommista, del meccanico, senza dimenticare le sottospecializzazioni del carburatorista, del tappezziere, ecc…? Chi alleva deve essere specializzato nella produzione di alimenti con le caratteristiche richieste dal mercato. L’elevata efficienza degli allevamenti intensivi deriva da un’adeguata genetica degli animali, da una corretta alimentazione e da un buon sistema di allevamento, che comprende anche un elevato livello del benessere e della salute animale. Da un punto di vista nutrizionale,
Bistecca biotecnologica e transgenica Persistente è la leggenda metropolitana della cosiddetta bistecca transgenica. Talune neobiotecnologie sono usate nell’allevamento degli animali fin dal 1935, quando si iniziò ad applicare l’inseminazione strumentale, seguita dal trasferimento degli embrioni, dalla fecondazione in provetta, dalla duplicazione degli embrioni, oltre ad una lunga serie di metodologie di diagnosi genetica. Recentemente si è diffusa la paura di animali, o meglio mostri, ottenuti attraverso trapianti di geni, e che quanto ottenuto in qualche animale da laboratorio venga trasferito agli animali d’allevamento. La notizia di maiali e mucche transgeniche non ha una base reale, e se domani questo potrà avvenire, sarà per gli animali allevati appositamente per la produzione di siero di sangue o di latte con determinate caratteristiche terapeutiche, o di organi per trapianti compatibili col corpo umano. Mangiamo troppa carne Esiste la convinzione sempre viva che ogni Italiano mangi troppa carne: ben oltre 80 kg/anno, ma ciò non corrisponde al vero! Secondo i più recenti studi (Consumo reale di carne e di pesce in Italia, a cura di V. RUSSO, A. DE ANGELIS, P.P. DANIELI, Ed. Franco Angeli, 2017) e distinguendo fra consumo reale e consumo apparente, in media un Italiano consuma annualmente 237 g/giorno di carne in generale, ma il consumo reale pro capite corrisponde a meno della metà, ovvero
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104 g/giorno, pari a 38 kg/anno. Gli Italiani quindi non mangiano troppa carne, anzi vi è il rischio che almeno una parte di coloro che oggi abitano in Italia ne mangi poca. Tossine della paura Gli animali, quando sono portati al macello, hanno paura, per cui le loro carni conterrebbero non meglio precisate tossine della paura. A parte il fatto che oggi le pratiche della macellazione sono regolate da precise norme che prescrivono l’eliminazione di ogni inutile sofferenza, se per tossine ci si riferisce ad ormoni quali l’adrenalina o i glicocorticoidi, che aumentano nello stress, si deve precisare che possono essere presenti, ma in quantità talmente basse da essere assolutamente trascurabili. Veleni della morte Fin dalla più lontana antichità si sa che non è bene mangiare animali morti. Molti riti religiosi, al termine dei quali le carni degli animali sacrificati e offerti alle divinità erano regolarmente mangiati, prevedevano non solo la macellazione, ma anche il controllo della sanità degli animali e il loro completo dissanguamento. Ancora oggi talune religioni, come quella israelita e quella musulmana, vietano persino lo stordimento prima della macellazione, che deve avvenire attraverso il dissanguamento (un metodo questo indolore, anche se impressionante appunto per l’effusione di sangue). Le carni degli animali macellati oggi sono quindi vive e non morte; inoltre, i processi di frollatura, ai quali sono sottoposte per intenerirle e migliorarne le caratteristiche organolettiche, sono di tipo asettico, cioè avvengono senza l’intervento di batteri che potrebbero produrre composti tossici, in particolare ammine biogene. Intossicazione da carne A più riprese si è letto che la carne intossica, producendo nell’intestino non meglio precisati veleni e portando come prova la stitichezza che può comparire mangiando troppa carne. I supposti veleni
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della carne sarebbero particolarmente dannosi per reni e fegato. La situazione vera è che la carne, soprattutto quella molto magra, non è un alimento “completo” e deve essere inserita in un’alimentazione equilibrata, accanto a grassi (che possono benissimo essere presenti nella carne), idrati di carbonio (soprattutto amidi complessi) e, soprattutto, fibra alimentare, che nell’alimentazione umana dovrebbe essere presente nella quantità di almeno 25-35 grammi giornalieri. Una dieta squilibrata e soprattutto carente di fibra alimentare (più che l’abbondanza di carne di per sé) può causare stitichezza con sfavorevoli conseguenze su fegato e reni. In una dieta equilibrata, in giusta quantità, la carne apporta amminoacidi e principi nutrizionali (ad iniziare da vitamina B12, ferro altamente biodisponibile, cromo, ecc…) non solo favorevoli, ma necessari. Carne cancerogena La strana idea che la carne (e cioè i muscoli degli animali usati nell’alimentazione) possa essere cancerogena nasce dall’osservazione che alcune popolazioni, che hanno un’alimentazione squilibrata e molto abbondante di carne, hanno una maggiore incidenza di certi tipi di tumori, soprattutto al grosso intestino. Innanzitutto si tratta di popoli con consumi di carne 2-3 volte maggiori di quelli italiani (o addirittura in quantità superiori); inoltre, non si considera la dieta nel suo insieme e, soprattutto, non si tiene presente che la maggiore incidenza dei tumori intestinali si correla con un’anomala scarsità di fibra alimentare e col tipo di fibra. Una prevenzione dei tumori intestinali, indipendentemente dalla quantità di carne che si assume, si ha con una dieta comprendente una fibra grezza ricca di fitina ed altri componenti che chelano, ossia legano e bloccano minerali (ferro, ecc…) che altrimenti servono come alimenti ai batteri intestinali ai quali, in ultima analisi, è attribuita la produzione di sostanze potenzialmente cancerogene. Un’alimentazione contenente carne in dose equili-
brata, con sufficienti quantità di vegetali freschi apportatori di vitamine anticancerogene (come la A, la C e la E) e di fibra alimentare, soprattutto di cereali (pane integrale), non causa tumori, ma ha un’azione protettiva. Bistecca di petrolio Maggiormente nel passato, ma anche oggi, di tanto in tanto si sente parlare di bistecche ottenute dal petrolio. Quando il petrolio era a basso costo e vi era un’eccedenza di paraffine, furono sviluppate coltivazioni di lieviti (funghi microscopici) che come alimento utilizzavano appunto le paraffine. Questi lieviti, in opportune dosi, furono utilizzati come alimenti per gli animali, a volte tal quali, altre volte dopo opportune purificazioni. Le carni di questi animali furono impropriamente definite bistecche al petrolio, nonostante fossero perfettamente uguali a quelle degli animali nutriti con alimenti tradizionali. Oggi non vi è alcuna convenienza a utilizzare il petrolio come un terreno di coltura per i lieviti, dato che abbiamo a disposizione semi proteici (ad esempio la soia) molto meno costosi. Bistecca incollata A diverse riprese riemerge la leggenda dell’esistenza fantomatiche bistecche incollate. In parole povere, si tratterebbe di pezzi di carne, soprattutto di pollo, ai quali verrebbero aggiunte proteine (come quelle del siero di sangue) che coagulano e saldano tra loro le diverse particelle, dando alla fine un prodotto con l’aspetto di una carne intera. Le carni utilizzate sono quelle di tagli poco pregiati (ma sempre di completo valore nutrizionale); con opportune mescolanze si possono anche avere le quantità di grasso più gradite. Così facendo si ha la possibilità di mantenere un prezzo basso a carni che hanno una composizione prefissata (specialmente riguardo alla quantità di grasso) e buone caratteristiche gastronomiche di tenerezza e succulenza. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma
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