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Il Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP supera la prova Covid-19

Il Consorzio di tutela presenta i numeri del 2020: confermati un andamento positivo e la sostanziale tenuta per il settore

La zona di produzione del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale Igp è un viaggio che attraversa il cuore dell’Italia. Il Disciplinare di produzione comprende infatti l’intero territorio di Umbria, Marche, Molise e Abruzzo e le province di Bologna, Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini per l’Emilia-Romagna, le province di Arezzo, Firenze, Grosseto, Livorno, Pisa, Pistoia e Siena per la Toscana, le province di Frosinone, Rieti, Viterbo e parte delle province di Roma, Latina per il Lazio. Benevento, Avellino e parte della provincia di Caserta per la Campania (in foto un capo di razza Chianina; photo © Consorzio di Tutela del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale).

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Ecco i numeri: 17.621 capi bovini certifi cati, 3.180 allevatori, 1.079 macellerie, 119 laboratori di lavorazione e 80 operatori commerciali attivi sul territorio. Sono questi i numeri più signifi cativi della fi liera del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP presentati nel corso del primo Consiglio direttivo del Consorzio relativo all’attività svolta nel corso del 2020.

Nel 1998 il Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP ha ottenuto l’Indicazione Geografi ca Protetta, primo marchio di qualità per le carni bovine fresche approvato dall’Unione Europea per l’Italia. Una IGP che certifi ca la carne prodotta dalle razze tipiche dei territori dell’Appennino centrale, Chianina, Marchigiana e Romagnola. Capi nati e allevati nelle aziende rientranti nell’area tipica, sottoposti ai controlli per le verifi che del rispetto del Disciplinare di produzione e venduti nei punti vendita autorizzati.

Col termine “Vitellone” nei territori del Centro Italia vengono da sempre indicati i bovini da carne di età compresa fra i 12 e i 24 mesi. Si tratta di animali giovani, la cui carne è molto magra, di un colore rosso intenso con basso contenuto di grasso e colesterolo. L’aggettivo “Bianco” si riferisce al mantello costituito da peli bianchi che ben risaltano sulla cute nero-ardesia, caratteristica che consente a questi bovini di tollerare le radiazioni solari tipiche dei pascoli appenninici. Con “Appennino Centrale” si indica invece la zona di origine dove i bovini Chianini, Marchigiani e Romagnoli sono allevati e alimentati con foraggi e concentrati sul territorio.

La certifi cazione IGP non si riferisce al bovino ma alla carne prodotta dalle razze previste dal Disciplinare

di produzione. Non esistono quindi la Chianina, la Romagnola o la Marchigiana IGP. La razza è solo uno dei requisiti necessari per ottenere la certifi cazione fi nale del prodotto. Per poter certifi care la carne, infatti, devono essere rispettati tutti i requisiti applicati sia alla fase di allevamento (razze, area di nascita e allevamento, alimentazione, tipologia di allevamento) che alle fasi successive (macellazione, frollatura della carne, colore, caratteristiche chimico fi siche, modalità di vendita e lavorazione).

È per questo che la sola razza, senza la certifi cazione IGP “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale”, non è garanzia di qualità, tipicità e tradizionalità. Le razze Chianina, Romagnola e Marchigiana sono allevate in Italia e nel mondo, ma solo l’Indicazione Geografi ca Protetta “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale” permette di tutelare, valorizzare e difendere, oltre alle razze, anche il loro legame con il territorio tipico di origine e di produzione.

L’impatto della pandemia

L’annus horribilis 2020 ha interessato anche il Vitellone Bianco IGP senza, però, incidere in maniera particolarmente grave. Un calo fi siologico c’è stato, venendo meno il mercato relativo al consumo fuori casa e alla ristorazione scolastica e collettiva. Nel 2020, infatti, i capi bovini certifi cati IGP Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale sono stati 17.621, contro i 18.194 del 2019, con una fl essione del 3,1%. È addirittura in controtendenza il dato degli allevamenti, con 4 nuovi ingressi nella fi liera in controllo del Consorzio, mentre si mantengono stabili il numero di laboratori e di

Splendido esemplare di razza Marchigiana. Gli allevamenti del Consorzio sono molto piccoli (mediamente 35 capi per azienda) e spesso sono dislocati in zone montane e in aree marginali e l’alimentazione è caratterizzata da foraggi e concentrati locali. Queste razze più tardive comportano, per l’intera fi liera, alti costi di produzione non concorrenziali con quelli della carne proveniente dall’estero e dai grandi allevamenti intensivi del Nord Italia (photo © Consorzio di Tutela del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale).

«L’Indicazione Geografi ca Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale è un valore aggiunto che ci ha consentito, anche nel 2020, di mantenere numeri importanti» sottolinea il direttore Andrea Petrini. «Il valore crescente del sistema di produzione tradizionale sviluppato all’interno dell’area tipica e i sistemi di controllo su tutta la fi liera hanno consentito di affermare il nostro marchio come sinonimo di sicurezza, qualità e trasparenza, oltre a rappresentare un’importante fonte di reddito e di tutela per molti territori»

operatori commerciali e si registra un lieve calo (–6) sulle macellerie.

Vent’anni di crescita costante

La “tenuta” del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP anche in questo anno diffi cile è frutto di un lavoro costruito negli anni. Un lavoro che ha permesso di sviluppare le potenzialità della fi liera zootecnica legata alle razze bovine tipiche dell’Italia centrale. Dal 2000 al 2020 il numero di allevamenti che hanno deciso di aderire ai controlli è cresciuto del 92%, passando da 250 a 3.180. Nello stesso periodo si è registrato un boom di adesioni anche dei punti vendita, passati da 58 a 1.079, con un +94%.

Dal punto di vista delle certifi cazioni siamo passati dalle 12.808 del 2007 alle 17.621 del 2020, con un +27% nell’arco dei 13 anni. Rispetto alle razze, sempre in questa fi nestra temporale (2007-2013) si registrano un +39% per la Marchigiana, passata dai 3.840 capi del 2007 ai 6.274 del 2020, un +32% della Chianina, con un salto da 6.344 a 9.317, e una fl essione del 10% della Romagnola, che passa dai 2.624 capi del 2007 ai 2.030 del 2020.

L’importanza dell’IGP

«L’Indicazione Geografi ca Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP — sottolinea il direttore Andrea Petrini — è un elemento di forza e una garanzia di qualità. Un valore aggiunto che ci ha consentito, anche nel 2020, di mantenere numeri importanti con un lieve calo dovuto alla pandemia.

Il valore crescente del sistema di produzione tradizionale sviluppato all’interno dell’area tipica e i sistemi di controllo costanti e sistematici su tutta la fi liera hanno consentito di affermare il nostro marchio come un sinonimo di fi ducia, garanzia di sicurezza, di qualità e di trasparenza in tutte le fasi della produzione e della commercializzazione oltre a rappresentare un’importante fonte di reddito e di tutela per molti territori, anche marginali, del Centro Italia».

La qualità tracciata in tempo reale

Negli anni è cresciuta la domanda di carni certifi cate e sono aumentate le frodi a carico dei consumatori e dei produttori. Per contrastare il fenomeno il Consorzio di tutela del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP ha messo a disposizione la possibilità di conoscere, in tempo reale, l’origine e il percorso della carne certifi cata: dall’allevamento alla tavola.

Sul sito internet maps.vitellonebianco.it/#/ristoranti-macellerie è possibile verifi care la tracciabilità della carne in vendita e avere la mappatura delle macellerie e dei

Il riconoscimento dell’Indicazione Geografi ca Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale ha rappresentato e rappresenta tutt’ora l’unica possibilità di rilancio e valorizzazione per le nostre razze tipiche, creando un mercato diversifi cato per qualità e tipicità dal resto del mercato della carne bovina (in foto, capi di razza Romagnola; photo © Consorzio di Tutela del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale).

La grande attenzione legata all’alimentazione e al rapporto naturale con il territorio e con i pascoli si rifl ettono sull’aspetto e sul sapore delle carni del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale Igp. La grana è fi ne e il colore rosso vivo. Anche la consistenza è soda ed elastica, con piccole infi ltrazioni di grasso nella massa muscolare. L’alto pregio della carne di Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale Igp è frutto di un mix vincente che ha tra i suoi ingredienti principali la predisposizione genetica, i sistemi naturali di allevamento e un’alimentazione di qualità. I profumi dei prati e le essenze tipiche dei pascoli dell’Appennino distinguono la carne di Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale Igp da tutte le altre.

Occhio alla Fiorentina

In alcune zone d’Italia dire “Fiorentina” equivale a dire “Chianina”. Niente di più sbagliato: la “Fiorentina” è un taglio di carne e non una razza bovina. Da questo equivoco nasce il malinteso che gran parte delle macellerie e dei ristoranti off rano carne di razza chianina o di “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale Igp”. I numeri svelano una realtà diversa. Ogni anno, infatti, vengono certifi cati come Igp Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale circa 18.000 capi bovini; considerando che da ogni capo si ottengono circa 40 Fiorentine, possiamo stimare al massimo 725.000 Fiorentine certifi cate a marchio Igp. Sicuramente troppo poche per trovarle in ogni ristorante o macelleria italiana… (photo © vitellonebianco.it).

Dire “carne di Chianina”, “carne di Marchigiana” o “carne di Romagnola” sottintende la qualifi cazione della razza del bovino che, da un punto di vista legislativo, identifi ca l’iscrizione dell’animale al Libro Genealogico Nazionale, garantendone la “purezza genetica”. Solamente la carne derivante dai bovini di razza potrà avvalersi della certifi cazione Igp “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale”. Il fattore genetico insieme alle peculiarità ambientali infl uiscono, infatti, sulla qualità di queste carni che presentano un basso contenuto di grasso, minore del 3%, di colesterolo, minore di 500 ppm), e un alto valore proteico, maggiore del 20% (photo © www.facebook. com/VitelloneBiancoAppenninoCentrale). ristoranti, iscritti al circuito “Ristorante Amico”, che hanno in carico il prodotto.

Cresce l’impegno sul fronte della promozione e della comunicazione

«Il Consorzio — continua Petrini — ha intrapreso importanti interventi di promozione e di tutela anche per affrontare la leggera fl essione avvenuta a causa degli effetti sul mercato della pandemia. Abbiamo incrementato l’attività informativa sui canali tradizionali come su quelli social e abbiamo implementato i contenuti del sito istituzionale sempre più un punto di riferimento per appassionati, soci e professionisti del settore». Anche gli agenti vigilatori del Consorzio hanno continuato, nel 2020, la loro importante azione di tutela e vigilanza sul territorio. Sono state 104 le visite ispettive svolte in particolare sulle macellerie, sui laboratori di prodotti trasformati e sulle mense scolastiche con 379 analisi di tracciabilità della carne tramite DNA svolte.

Il Consorzio di tutela Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale Igp

Il Consorzio, costituito nel 2003, è stato uffi cialmente riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali nel 2004. Formato da 1.827 soci tra allevatori, macellatori e porzionatori, il Consorzio punta a promuovere e valorizzare il prodotto, informando anche il consumatore. L’attività principale è quella di vigilanza, tutela e salvaguardia dell’Igp da abusi, atti di concorrenza sleale, contraff azioni ed uso improprio della certifi cazione. L’attività di controllo, annualmente concordata con l’Ispettorato Centrale per il Controllo della Qualità, è svolta dagli agenti vigilatori qualifi cati del Consorzio, su tutta la fi liera e in particolare nei centri di macellazione e lavorazione. Nel 2020 sono state 104 le visite ispettive svolte in particolare sulle macellerie, sui laboratori di prodotti trasformati e sulle mense scolastiche con 379 analisi di tracciabilità della carne tramite DNA svolte.

Compito principale del Consorzio è controllare e vigilare sull’intera fi liera della carne certifi cata Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale Igp. Sono ormai 15 anni che il Consorzio svolge anche attività di contrasto alle imitazioni e alle contraff azioni. Per questo è stato messo a disposizione degli utenti una sezione del sito, dedicata alla raccolta delle segnalazioni sul prodotto: www.vitellonebianco.it/inviaci-le-tue-segnalazioni. In tempo reale è possibile segnalare irregolarità, pubblicità ingannevole, falsifi cazione del prodotto o del marchio, o semplicemente per comunicare ristoranti o macellerie in cui questa carne viene venduta può, attraverso la compilazione di un semplice modulo (anche in forma anonima) inviare la segnalazione all’uffi cio vigilanza del Consorzio che provvederà, attraverso i propri agenti vigilatori, ad intervenire con gli opportuni controlli o a coinvolgere gli organi uffi ciali di vigilanza.

>> Link: www.vitellonebianco.it

Retail carne, canale fi sico

verso canale digitale

Anche nel mondo delle carni il canale e-commerce rappresenta una fonte di crescita per le aziende commerciali, per la GDO e per le macellerie. Marketing, piattaforme IT, customer experience, pagamenti, logistica e integrazione omnicanale sono gli elementi che, opportunamente gestiti e combinati, concorrono al successo delle iniziative on-line. Qui una prima indagine per comprendere la realtà di oggi e le potenzialità di domani con analisi, interviste e qualche numero

di Elena Benedetti

Realtà e futuro delle vendite di carne on-line, accelerate dalla pandemia.

Secondo gli ultimi dati pubblicati da Ismea, la crescita dei canali digitali supera di 18 volte quella dei negozi fi sici. Garantendo maggior comodità e sicurezza ai consumatori, il canale e-commerce ha registrato un incremento esponenziale nel 2020: +117% rispetto all’anno precedente, vale a dire 28 volte superiore alla crescita dei canali fi sici, con un contributo alla crescita del 13% nelle categorie alimentari, carne compresa

Il futuro della vendita di carne on-line è già adesso, con società commerciali che ne hanno fatto (anche) il proprio principale modello di business. Quello che vi proponiamo è un giro alla scoperta di alcune delle realtà emerse da una prima ricerca. L’elenco non è certo esaustivo, ma lo si può considerare un punto di partenza per rifl ettere su un’attività che cambierà probabilmente qualche equilibrio, nella GDO come nelle botteghe tradizionali, da cogliere assolutamente

Partiamo da una premessa e da alcuni dati: nel 2020 gli acquisti on-line in Italia hanno raggiunto 30,6 miliardi di euro in valore (–3% rispetto al 2019; dati del Politecnico di Milano). Nell’anno del lockdown gli acquisti di prodotto hanno segnato l’incremento annuo più alto di sempre (+5,5 miliardi di euro), raggiungendo quota 23,4 miliardi di euro.

In valore assoluto i tre comparti che hanno contribuito maggiormente alla crescita sono stati Food & Grocery (+1,1 miliardi di euro),

Informatica ed elettronica di consu-

mo (+1 miliardo) e Abbigliamento (+700 milioni). «La dinamica complessiva dell’e-commerce, a livello globale, nasconde andamenti profondamente differenti nelle sue principali macro-categorie» ha dichiarato ALESSANDRO PEREGO, responsabile scientifi co degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano. «Da un lato la chiusura delle frontiere, le forti limitazioni alla mobilità e il divieto di assembramento hanno colpito pesantemente l’ambito dei servizi e ne hanno penalizzato fortemente le vendite, indipendentemente dal canale. Dall’altro lato, la pandemia ha avvicinato agli acquisti on-line tanti nuovi utenti e ha agito positivamente sulla frequenza di spesa dei web shopper già acquisiti».

Secondo gli ultimi dati pubblicati da ISMEA, la crescita dei canali digitali supera di 18 volte quella dei negozi fi sici. Garantendo maggiore comodità e sicurezza ai consumatori, il canale e-commerce ha registrato un incremento esponenziale nel 2020: +117% rispetto all’anno precedente (28 volte superiore alla crescita dei canali fi sici), con un contributo alla crescita del 13% nelle categorie alimentari.

Banco carni, da fi sico a digitale?

Anche nel settore delle carni è in corso una trasformazione digitale che sta coinvolgendo i modelli di business tradizionali e i negozi fi sici ed è fondamentale che sia la GDO che il canale tradizionale delle macellerie perseguano una strategia competitiva anche nel canale digitale. Ovviamente, se l’obiettivo di questo articolo è approfondire il tema della scelta delle modalità di acquisto, non si può non tener conto di quanto sottolinea ISMEA, ovvero che “nell’analisi dei mutamenti nei processi d’acquisto dei prodotti agroalimentari durante la diffusione del Covid-19, è rilevante la categoria socioeconomica di appartenenza degli acquirenti”. Ciò signifi ca che dobbiamo aver ben chiaro di che tipologia di consumatore stiamo considerando e non solo dal punto di vista prettamente anagrafi co, perché è ovvio che i consumatori in età più avanzata siano poco avvezzi al web e indifferenti alla possibilità di fare la spesa on-line.

Secondo l’Osservatorio Multicanalità, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da NIELSEN, gli Italiani usano sempre

più il web e gli strumenti digitali per comprare e trovare informazioni sui

prodotti. Si creano così percorsi di acquisto ibridi basati sull’alternanza di strumenti e punti di contatto online e offl ine e questa cosa si chiama appunto multicanalità. “Emergono inoltre nuovi profi li di utenti internet che utilizzano la rete con modalità diverse sia nella quotidianità sia nel loro approccio con i brand. Nel 2020 erano 46,5 milioni i consumatori italiani multicanale — gli utenti che usufruiscono di servizi di e-commerce o per i quali il digitale ha un ruolo nel proprio percorso di acquisto —, pari all’88% della popolazione italiana sopra i 14 anni (52,7 milioni totali) e in crescita di 2,6 milioni rispetto all’anno precedente (+6%). Nell’ultimo anno ben 30 milioni di utenti hanno effettuato almeno un acquisto on-line” (fonte: primaonline.it).

Secondo l’analisi del Politecnico di Milano e NIELSEN, più di un Italiano su quattro (28%) è un consumatore multicanale evoluto, che passa con disinvoltura dai canali off-line a quelli on-line e usa internet in tutte le fasi del processo d’acquisto.

Sempre tornando alla nostra amata carne, ciò che emerge quindi è che tendenzialmente possono emergere varie opportunità: modelli di business di vendita esclusiva-

Promo della società Haceinda Sur attiva in Costa Rica con punto vendita, allevamenti ed e-shop (photo © haciendasur.com).

mente on-line, GDO con una strategia mirata per potenziare la vendita anche nella propria piattaforma digitale, macellerie multicanale che accolgono i clienti fi sici in negozio e quelli digitali nel web.

In realtà, non si tratta proprio di una prospettiva di mercato bensì di realtà e lo si evince digitando banalmente “vendita carne on-line” in Google/Shopping per trovare un’offerta — tra sponsorizzate e link a pagine web — davvero impressionante.

Il futuro della vendita di carne

on-line è già adesso, con società commerciali che ne hanno fatto (anche) il proprio principale modello di business. Facciamo un giro alla scoperta di alcune delle realtà che emergono più velocemente dalla ricerca. Ovviamente, questo elenco non è esaustivo, però è un punto di partenza per rifl ettere su un’attività che sta sempre più prendendo forma e che con buona probabilità cambierà qualche equilibrio, nella GDO così come nelle botteghe tradizionali, rafforzando e indebolendo a seconda di chi prenderà o mancherà quest’onda di futuro (fonti: ISMEA, Osservatori Digital Innovation Politecnico di Milano).

MACELLERIE

Antica Macelleria Cecchini

Panzano in Chianti (FI) DARIO CECCHINI è “multicanale” praticamente per defi nizione, parecchi passi sempre avanti nell’anticipare le tendenze. Sicuramente questa è una descrizione che non gli garberà, ma che raccoglie la sua visione a 360° tra macelleria, ristoranti, eventi, esperienze, food truck e visioni varie. Ovviamente anche il suo shop online non è “tradizionale” nell’offerta di prodotti. Come ci racconta lui stesso. “Quello che vado ad offrirvi è il mio lavoro di 45 anni sulla qualità delle carni e sul mio mestiere di macellaio. Mi sono sempre mosso con lo spirito del Rinascimento toscano, dove, per chi lavorava nelle botteghe degli artigiani, il maggior complimento, lo scopo stesso della vita, non era diventare ricco, ma bravo nella propria arte. Godetevi quindi, come io li ho goduti nel pensarli e nel farli, questi barattoli, e pensate a quanta gioia può darvi un buon cibo da condividere. W la Ciccia!”. • SHOP: dalla sua bottega di Panzano in Chianti — attraverso lo shop on-line — è possibile acquistare i pacchi (qui non si chiamano “box”). C’è quello della supermacinata, il pacco ricco, quello del porco maiale, il grigliatore e il pacco cuoco. Ovviamente non mancano i vasetti di Profumo del Chianti, Mostarda Mediterranea e Senape dell’Antica Macelleria

Cecchini.

• dariocecchini.it

Macelleria Callegari dal 1961

Piacenza CLAUDIO CALLEGARI, terza generazione di macellaio, grazie alla passione per carni continentali e intercontinentali si è guadagnato il titolo di ”The Butcher” ed è uno dei pionieri della vendita di tagli pregiati di Wagyu, Black Angus, Galiziana, ecc… sia in negozio che on-line. L’account @thebutcher_lacarnefasangue su Instagram conta 30.000 follower. • SHOP: 4 macro linee di prodotto (bovino, suino, agnello, carni frollate), 20 tagli, box, accessori.

• macelleriacallegari.it

Macelleria da Carlo

Genova Lui è CARLO FERRANDO, butcher molto conosciuto e stimato in Italia e all’estero. È stato tra i primi a cogliere le opportunità delle piattaforme

La pubblicità a pagina intera sul Corriere della Sera dello scorso 12 febbraio della Macelleria Callegari di Piacenza, molto attiva anche on-line (photo © haciendasur.com).

social e a dedicare tempo e risorse ad un negozio non solo fi sico ma digitale. • SHOP: 4 macro-linee di prodotto: dry aged (fi orentine, costate, tomahawk), origine (Finlandia,

Baviera, Galizia, Masuria-Polonia, Australia, USA, Giappone e Italia), brands (Sashi, Gutrei

Galizia, Mazurya Luxury Beef,

Sierra Norte, Meat Gust, Itasteak,

Red Queen, Old Glory), e tagli

BBQ (“Macelleria da Carlo offre una speciale selezione di Angus e Wagyu americani e australiani già

porzionati e confezionati per creare il perfetto BBQ in stile americano”).

• macelleriadacarlo.it/shop

Macelleria Falaschi

San Miniato (PI) I FALASCHI sono arrivati alla quarta generazione di Maestri Macellai sanminiatesi con una visione ampia e moderna sul mondo della fi liera corta delle carni — grazie alla collaborazione con aziende agricole locali —, della norcineria (con la produzione di salumi artigianali) e della ristorazione all’insegna del “mangia & bevi felice” nel loro magico Retrobottega. • SHOP: sono 9 le categorie di prodotto con carni fresche, carni di Chianina IGP, carni di suino grigio, Cinta senese DOP, gastronomia, grigliate, libri, salumi e sughi.

• sergiofalaschi.com/web/shop

Marco & Elisa Store

Torino Ecco lo shop della macelleria che, dalla sede fi sica in zona Santa Rita, a Torino, è oggi anche nel web con un’ampia offerta di tagli di carne grass fed, Rubia Gallega, Black Angus e Fassona piemontese. • SHOP: 16 macro-linee di prodotto (costate, BBQ, grass fed, Fassone, pollame e simili, Rubia Gallega,

Wagyu-Lem Italia, agnello grass fed, coniglio, burger, maiale semi-brado, pollo, pollo allevato all’aperto senza antibiotici, prontocuoci, tacchino) e possibilità di ordini personalizzati.

• marcoelisastore.it

Meatery

Valdaora (BZ)

MEATERY OHG DI THOMAS MAIR & CO. è un perfetto esempio di macelleria moderna multicanale con punto vendita, attività di ristorazione, fi liera di allevatori con carni locali, social, shop on-line e servizio carne H24. • SHOP: carni fresche, salumi, accessori e spezie.

• meatery.eu

Macelleria Punto Carni

Costigliole d’Asti (AT) Questa è una macelleria con allevamento di razze Fassona piemontese e Garonnese (Blonde d’Aquitaine) situato tra i vigneti delle Langhe e del Monferrato. Nella bottega di vendita al minuto è possibile acquistare, oltre ai tagli di carni pregiate, piatti pronti tipici delle Langhe, del Monferrato e del Roero. • SHOP: 3 macro-linee di prodotto con carni fresche (manzo, pollame, suino, ovino pronti a cuocere), BBQ e griglia, gastronomia, pacchi famiglia.

• borellocarni.it

AZIENDE

BBQ4All Megastore

Terni È la prima e più grande community italiana sul barbecue, con oltre 65.000 appassionati delle griglie, creata da GIANFRANCO LO CASCIO.“La missione è quella di scardinare i luoghi comuni sulla carne e dare una nuova direzione al consumo consapevole, a partire da un approccio scientifi co alla cottura”. • SHOP: 10 macro-categorie di prodotto con bovino, suino, cooked, salumi, ittico, salse, vino, formaggi, panifi cati e dolci e libri.

• megastore.bbq4all.it

Centro Carne

Sant’Omero (TE) La società abruzzese, con 50 anni di storia alle spalle, alleva animali di razza Marchigiana, Romagnola e Chianina rispettando tutti i principi previsti dal disciplinare di produzione del “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP” e lavora le carni offrendo un’ampia varietà di prodotti che sono acquistabili anche on-line. • SHOP: i prodotti dello store on-line comprendono i brand di CENTRO CARNE, i Dry Aged, i Salumi, il Barbecue (costate, tartare, hamburger, fi orentine), le Razze (Chianina, Romagnola,

Irlandese, Manzetta abruzzese,

Sashi finlandese, Galiziana,

Fassona piemontese, Black Angus e Marchigiana) e i Tipici (arrosticini, olive all’ascolana e porchetta abruzzese).

• centrocarneshop.com

Chebbona

Roma Nel 2018 CARLO e VINCENZO GRANIERI hanno intrapreso il progetto digitale di Chebbona con vendita on-line di carne a Roma, Ostia, Fiumicino e zone adiacenti il GRA. “Consegniamo solo prodotti freschi: ogni taglio di carne viene preparato, immediatamente confezionato e consegnato in sottovuoto per garantirne la freschezza e la durata”. • SHOP: 7 linee di prodotto con top selection (tra cui Angus baltico, Frisona, Frisona baltica, manzo

Holstein danese, burger Angus di manzo danese, ecc…), manzo danese, preparati, mini porzioni, vitella, pollame nazionale, maiale nazionale.

• chebbona.it

De Matteo alla Brace

Maddaloni (CE) Dal 6 giugno 2019, esattamente 40 anni dopo l’apertura della prima macelleria, è nato DE MATTEO ALLA BRACE, “un’evoluzione, un luogo dove la conoscenza della carne è ciò che ci distingue, grazie all’esperienza tramandata di generazione in generazione”. Lo shop on-line si rivolge ad estimatori delle carni di élite. • SHOP: 5 macro-categorie con carne (10 tagli con Frisona, Rubia

Gallega, Sashi Beef, Scottona prussiana, Simmenthal, Swami beef, Aberdeen Angus, Black

Angus USA, American Wagyu, ecc…), salumi, filetti esotici (canguro, cervo, struzzo, zebra), lavorati, salse e confetture, box.

• dematteoallabrace.it/shop

Dispensa Pantano

Arre (PD) PANTANO CARNI lavora ad Arre, una piccola comunità in provincia di Padova, nel cuore della campagna veneta. “Un luogo in cui siamo riusciti a creare una rete di collaborazioni con eccellenze del territorio, fondamentale per garantire costantemente la massima qualità delle nostre carni”. La loro visione è quella di una fi liera totale che arriva al consumatore fi nale, anche attraverso la vendita on-line. • SHOP: sono disponibili una trentina di tagli (tra cui tagliata, brisket, costate, macinato, burger, würstel, brasato, ecc…) e le Pantano Box (Family, Gourmet e la Grill in 3 misure).

• dispensapantano.it

Gruppo Galli

Roma Con alle spalle 70 anni di storia di famiglia e di attività, il GRUPPO GALLI seleziona e rifornisce in tutta Italia carni di qualità, disponibili anche attraverso lo shop on-line. • SHOP: 3 selezioni (Sakura, Yoza

e Hanami), 3 frollature (30, 60 e 90 giorni), tagli di American

BBQ, Burger, New York Strip,

Picanha, Porter House, Ribeye,

T-Bone e Tomahawk.

• gruppogalli.it/shop

Fiorentineria

Vicenza Ecco lo shop di carni pregiate ita liane ed europee realizzato da LB GEST SRL, società operante nel settore e-commerce e web marketing. • SHOP: sono disponibili oltre 30 tagli di carni di manzo selezionate di diverse provenienze (Fiorentina, Jack’s Creek Tomahawk,

Chianina Toscana IGP, Omega-3,

Veneta km 0, Kagoshima Japan,

Fiorentina Sashi Freygaard,

Highlander UK, costata El Capricho, Black Chopin Polonia, ecc…) e salumi.

• fi orentineria.com La Casa di Carne

Baronissi (SA) La società che gestisce questo shop super rifornito per appassionati carnivori e grigliatori è MEAT GROUP SRLS. Il payoff del sito parla chiaro: “Ogni bistecca ha la sua storia. Casa di carne, bistecche dal mondo”. • SHOP: 3 linee di prodotto con carne, vini e accessori. Sono una dozzina i tagli disponibili, per una selezione di razze e provenienze che va dal Giappone all’Australia, passando per gli

USA, Sud America ed Europa.

Sono disponibili box e anche articoli di merchandising.

• lacasadicarne.it

Lem Carni

Toscanella di Dozza (BO) Da oltre 50 anni produce, seleziona e lavora carni per i più prestigiosi ristoranti italiani. Oggi, grazie allo shop on-line, l’eccellenza LEM CARNI arriva sulle tavole di tutti gli Italiani. • SHOP: 18 tagli, box, salumi, cotti, preparati, dispensa.

• lemcarni.shop

Mandriani

Nocera Superiore (SA) MANDRIANI è l’evoluzione della fa miglia VILLANI, sinonimo di tradizione & qualità, oggi disponibile anche per acquisti on-line. Lo shop comprende carni gourmet, salumi artigianali e formaggi selezionati. • SHOP: 3 linee di prodotto con carni (manzo, hamburger, ovino e suino), salumi e formaggi.

Ampia varietà di tagli per razze: dall’americana, australiana, austriaca e brasiliana, alla danese, fi nlandese, francese, giapponese, irlandese, italiana, spagnola, tedesca, ecc…

• mandriani.it

Nell’off erta di carni on-line ci sono spesso i pacchi (“box”) con selezioni di tagli soprattutto nel formato per famiglia e per grigliatori (photo © karandaev – stock.adobe.com).

L’azienda inglese The Devon Meat Box Co. vende box di tagli di carni selezionate tra manzo, pollo, maiale e agnello. Questa è la “Meat for the Month Box” (photo © food-mag.co.uk).

Meat Premium

Casavatore (NA) PIETRO UZZAUTO, fondatore di MEAT PREMIUM, seleziona con il proprio team le carni migliori provenienti da razze come la Rubia Gallega, Simmental, Cachena, Barrosa, Frisona e Angus e le commercializza anche on-line attraverso il proprio e-shop. • SHOP: 5 macro-categorie di prodotto (bistecche, box, fi letto, hamburger e salumi). Le bistecche sono di Rubia Gallega,

Bue Galiziano, Nera del Baltico,

Black Angus, Kagoshima Japan,

Simmental, Frisona, Black Angus

Spagna, Wagyu Spagna e Sayaguesa. Tre categorie di box:

Premium, Lux e Super Lux.

• meatpremium.com

Pascol

Sondrio Allevamento estensivo o semiestensivo con ricorso obbligatorio al pascolo e/o all’alpeggio. Alimentazione ad erba e fi eno con integrazione limitata di cereali italiani certifi cati NO OGM. Certifi cazione di benessere animale anche per i periodi in stalla. Allevatori prevalentemente lombardi, ma è già iniziata la selezione anche in altre regioni italiane. • SHOP: 14 tagli, salumi, sughi, box.

• pascol.it/collections

Podere La Chianina

Cesa di Marciano (AR) Nel cuore della Valdichiana ha sede l’azienda agricola PODE-

RE LA CHIANINA, dove UMBERTO e MASSIMO curano personalmente l’al levamento e la macellazione delle carni poi esposte nel punto vendita di Cesa della Chiana, in pro vincia di Arezzo, e anche on-line. • SHOP: 4 linee di prodotto (Chianina IGP, formaggi, pollame, suino), oltre 30 tagli, salumi,

Tuscan box.

• lachianina.com/shoponline Sandri 1750

Montescudaio (PI) Il SALUMIFICIO SANDRI è un’azienda a conduzione familiare attiva dal 1982 nel settore della lavorazione e della commercializzazione delle carni certifi cate e selezionate provenienti dalla Toscana o da zone limitrofe come quelle di Chianina IGP e di Suino toscano. • SHOP: 7 linee di prodotto (carne di Chianina IGP, carne di Maremma, cotti, novità, pacchi grigliata, preparati-hamburger, tranci).

• sandri1750.it/macelleria

Timanzo

Grosseto Dall’azienda agricola PODERE DEI FIORI, specializzata nell’allevamento di razze francesi e incroci Maremmani, direttamente a casa vostra, con la disponibilità di un’ampia scelta di tagli, oltre al Grill Pack, una combo ideale per grigliatori professionisti. Tutto questo è TIMANZO, una piattaforma di e-commerce carnivoro

IL VOSTRO PARTNER PER IL VITELLO

E-commerce, la parola ai macellai

Abbiamo recentemente sollecitato le macellerie che seguono la pagina Facebook di EUROCARNI (sono oltre 11.000) a partecipare ad un breve sondaggio on-line (ancora aperto, per chi fosse interessato a partecipare). L’obiettivo? Sondare il terreno e capire se la vendita on-line è già una realtà nella loro attività di business o una semplice opportunità da valutare. L’adesione è stata numerosa, oltre ogni aspettativa. Cosa si evince? • Che il 12% ha già aperto un canale di vendita on-line, mentre il 39% ci sta pensando (il restante o non è interessato oppure non ha le idee ben chiare sull’argomento). • Molto interessante la risposta alla domanda “I tuoi clienti hanno chiesto un servizio di e-shop?”: con il 50% delle risposte positive, si conferma la tendenza del mercato verso la multicanalità, ovvero la richiesta di alternative nell’acquisto con spesa nel negozio fi sico, ordini telefonici e nel canale digitale. • Dal sondaggio emerge chiaro anche che il processo di convergenza verso l’e-commerce è, per i più, ad uno stadio ancora iniziale, dato che solo il 4% si è dotato di un e-shop dedicato con sistemi di pagamento elettronici su piattaforme specializzate (es. Shopify o PrestaShop). Si utilizzano infatti gli shop dei canali social maggiormente utilizzati come Facebook e Whatsapp. • Signifi cativa anche la risposta alla domanda “Quanto in % sono cresciute le tue vendite on-line negli ultimi 12 mesi?”, con la metà degli intervistati che ha registrato oltre il 10% di incremento. • Concludendo, il 55% dei butcher italiani che hanno aderito al sondaggio si ritengono soddisfatti dei risultati raggiunti attraverso il canale e-shop, contro un 25% che non ha avuto riscontri e un 20% che non ha le idee chiare. Torneremo presto sull’argomento, soprattutto sugli strumenti oggi esistenti che il web mette a disposizione per accelerare la convergenza verso le vendite on-line, a supporto e sostegno del negozio fi sico (photo © Mizkit – stock.adobe.com).

• Link sondaggio: urly.it/3c5wj – facebook.com/EurocarniMagazine

realizzata da FILIPPO AVIDANO col supporto della sua famiglia di allevatori da ben quatto generazioni. • SHOP: 2 linee di prodotti di manzo, 16 tagli, olio evo bio

Toscano IGP.

• timanzo.it

Turano

Tarsia (CS) TURANO è un’azienda di nuova generazione costituita nel 2012 e divenuta in breve tempo un punto di riferimento in tutta la regione Calabria. È suddivisa in diverse tipologie di attività, che comprendono lo stoccaggio e la lavorazione di carni fresche, il canale dettaglio e il canale ingrosso, la logistica e anche la vendita on-line. • SHOP: 5 linee di prodotto con confezioni speciali, bovino adulto, vitello, suino e salumi;

Box grigliate. • turanocarni.it

Wilfred

Cadrezzate con Osmate (VA) Wilfred è come un maggiordomo a tua disposizione, una sorta di Personal Butcher. La sua missione è portare in tavola le carni più buone del mondo, selezionate da razze nobili come l’Angus, l’Hereford e il Wagyu. Wilfred è un marchio registrato di GM SRL, azienda italiana con esperienza pluriennale nell’importazione e distribuzione sul territorio italiano delle migliori carni al mondo. • SHOP: 3 linee di prodotto (manzo, suino, agnello), oltre 30 tagli, burger, salumi, porzionati.

• wilfred.shop

Elena Benedetti

Macelleria da Carlo, da Genova Marassi al web

di Elena Benedetti

Carlo Ferrando è un po’ una forza della natura. Lo chiamo per capire meglio questo mondo dell’e-commerce carnivoro. Lui in questo business parallelo alla macelleria ha già acquisito una certa maturità, avendo iniziato le vendite on-line quasi 4 anni fa. «Il nostro sito uffi ciale c’è da circa 3 anni ed è gestito con la piattaforma di Shopify. Siamo partiti però con i canali Facebook e Whatsapp, veloci e perfetti per iniziare a farsi un poco le ossa» mi racconta. «Oggi ovviamente è tutto diverso, dato che l’attività è letteralmente esplosa: spediamo oltre 6.000 pezzi all’anno, solo a marzo abbiamo fatturato più di 110.000 euro, con mia moglie in uffi cio, le ragazze che lavorano coi corrieri, due persone fi sse in magazzino che nei giorni di punta arrivano a quattro o cinque.

Le criticità sono tante, la gestione dell’ordine, lo stoccaggio della merce, il trasporto, la scelta giusta del packaging e dei corrieri — aggiunge — ecco perché noi abbiamo investito in un’interfaccia automatizzata che, attraverso la lettura dei codici a barre, carica automaticamente lo stock del negozio on-line, dando visibilità dei prodotti e delle quantità disponibili.

Solo le costate e le fi orentine sono tagliate sul momento, a fronte dell’ordine, porzionate ad hoc in base al peso richiesto, facendo in

Carlo Ferrando, titolare della Macelleria da Carlo di Genova Marassi e dell’e-shop macelleriadacarlo.it (photo © instagram.com/macelleriadacarlo).

modo di abbondare un po’ per dare un segnale di attenzione al cliente» sottolinea Carlo.

Le spese di trasporto dei prodotti acquistati sono sempre a carico del consumatore e per questo motivo c’è una chiara scelta di gestione del cliente con qualche nice touch, gadget o taglio più ricco che fi delizza. «La gestione del cliente io la intendo come una forma di profondo rispetto: mi piace leggere i commenti sui social, rispondere, chiamare direttamente in caso di problematiche, creare quel contatto diretto e trasparente che fa capire che dietro ad un negozio virtuale ci sono sempre io coi miei collaboratori» precisa Ferrando.

Qual è il vostro cliente tipo?

«È molto variegato e trasversale: si va dall’appassionato di carni e di cotture alla griglia a tantissime donne che comprano tagli di carne anche per un regalo speciale al loro compagno. Poi ci sono i clienti fi ssi, che ordinano con regolarità, che mi seguono sul web e che si fi dano del mio lavoro di selezionatore. Questo mestiere mi ha dato l’opportunità di viaggiare, di visitare aziende, allevamenti e realtà uniche nel panorama del mercato internazionale delle carni da Gutrei a Sashi, fi no ai miei marchi».

Quali sono i prossimi passi nella tua attività?

«Stiamo lavorando allo sviluppo del merchandising, con nuovi articoli in arrivo, fondamentali per migliorare la fi delizzazione del cliente, che si lega più al brand che al prodotto. L’altro punto fermo è migliorare ogni giorno il servizio: facciamo sottovuoto termico, abbiamo rivoluzionato l’etichettatura e gli imballi, siamo passati ai corrieri refrigerati, abbiamo studiato un software che riduce gli errori e, se proprio inciampiamo in un problema, prendiamo il telefono e chiamiamo il cliente e insieme troviamo la soluzione e… sai una cosa? Il legame è più forte di prima! È tutto un ingranaggio e il postvendita a mio parere è la parte più delicata del processo».

Carlo Ferrando è un esempio vincente di butcher che ha aperto e consolidato un canale di vendita online in piena espansione e con numeri importanti. Ma, attenzione, perché non basta aprire uno shop per raccogliere subito dei risultati. A mio parere la case history di Macelleria da Carlo è interessante perché racconta un percorso complicato, lungo e di tantissimo lavoro: sulle piattaforme social a interagire con la community (nello stile ovviamente di Carlo, empatico e mai aggressivo), nel lavoro fatto sul mercato alla ricerca di carni premium da raccontare al cliente fi nale o da proporre con un proprio brand, nella gestione, giorno dopo giorno, dei tanti problemi che un e-commerce genera, fi guriamoci poi se ha come prodotto principe un alimento altamente sensibile e deperibile come la carne.

Chapeau a Carlo Ferrando, che ha probabilmente azzeccato i tempi, anticipandoli e proponendosi oggi ancora più forte e maturo in un mondo nel quale tanti colleghi giustamente iniziano ad affacciarsi.

«Ciascuno deve fare le proprie valutazioni, di mercato, di prodotto e di clientela che può approcciare: il mio consiglio è cercare la propria strada — che non deve essere necessariamente un e-commerce — per differenziarsi dagli altri e offrire un prodotto e servizio con un valore aggiunto».

Un taglio di Roxa d’Ouro Gutrei Galicia, Gold medal 2018 e 2019 al World Steak Challenge (photo © instagram.com/macelleriadacarlo).

Elena Benedetti

>> Link: www.macelleriadacarlo.it instagram.com/macelleriadacarlo

Strumenti digitali e aziende agricole, il matrimonio che “s’ha da fare”

Durante un recente incontro on-line organizzato da Unioncamere e Regione Emilia-Romagna, sono stati illustrati i risultati di un’indagine condotta a fi ne 2020 sull’importanza della digitalizzazione del settore ai tempi del Covid. Tante le opportunità emerse, a patto di saperle gestire correttamente

di Anna Mossini

«S arebbe un errore vivere il digitale come una parentesi. È necessario invece capire che la digitalizzazione condizionerà sempre più l’attività delle imprese». Così CLAUDIO PASINI, segretario generale UNIONCAMERE EMILIA-ROMAGNA, intervenendo al recente webinar organizzato dalla Regione Emilia-Romagna sulla trasformazione digitale delle imprese agroalimentari ai tempi del Covid.

L’incontro è stato introdotto da un breve intervento di ALESSIO MAMMI, assessore regionale all’Agricoltura, che ha ricordato lo «straordinario valore del nostro sistema agricolo in grado di garantire futuro, con imprese che rappresentano da sempre un’eccellenza e che durante la pandemia hanno saputo riadattarsi e in alcuni casi addirittura investire. Questo testimonia che il comparto ha davanti a sé un futuro denso di grandi opportunità, in cui il rapporto con il consumatore sarà cruciale riguardo i temi della sicurezza e della tracciabilità dei prodotti. Ci aspetta una grande sfi da: le imprese agricole emilianoromagnole vogliono investire nel digitale perché ne comprendono il valore e l’opportunità. A questo riguardo — ha concluso — la Regione vuole fare la sua parte e con il Piano Data Valley Bene Comune metterà in campo delle iniziative mirate al miglioramento delle competenze digitali per i settori economici che vogliono investire in questo segmento, ma che scontano un gap nello sviluppo tecnologico-informatico».

L’evento ha poi dato ampio spazio all’illustrazione dei risultati di un’indagine condotta alla fi ne dello scorso anno da Unioncamere Emilia-Romagna sul futuro del digitale nel comparto agricolo, la cui fi nalità è stata quella di contribuire «a prepararci al meglio del dopo che sarà molto diverso dal prima del Covid» ha sottolineato Claudio Pasini.

Sviluppo della digitalizzazione

L’indagine è partita spacchettando il tema della trasformazione digitale in tre processi trasversali: semplifi cazione, legalità, partecipazione. «Abbiamo voluto monitorare l’utilizzo degli strumenti commerciali off-line e on-line — ha spiegato MATTEO BEGHELLI del Centro studi, monitoraggio dell’economia e statistica di Unioncamere Emilia-Romagna — alla luce delle evoluzioni imposte dall’emergenza sanitaria.

Il nostro obiettivo è stato quello di individuare gli elementi più consoni allo sviluppo del settore agroalimentare dell’Emilia-Romagna e per far questo abbiamo intervistato 150 aziende con un questionario che prevedeva risposte sulla struttura dell’impresa, sui canali di distribuzione impiegati all’estero, sugli strumenti di comunicazione, promozione e vendita digitale, sull’utilizzo dei fi nanziamenti regionali, nazionali e/o comunitari, su quanto ha impattato l’emergenza sanitaria sull’attività aziendale con uno sguardo particolare agli approfondimenti legati all’e-commerce. In questo contesto, l’elemento che è emerso con forza riguarda la formazione degli operatori, snodo cruciale per un’autentica evoluzione delle aziende agricole verso il digitale».

Boom dell’e-commerce

Lo studio ha messo in luce che, se durante il 2020 il crollo della produzione dell’industria agroalimentare in Emilia-Romagna ha conosciuto un andamento sempre negativo, ha comunque evidenziato notevoli differenze tra i diversi trimestri. «Infatti, nel primo trimestre la contrazione è stata del 2,6%, precipitata a un –8% nel secondo, ma risalita a –1,1% e –0,6% nei rispettivi terzo e quarto trimestre dell’anno. Dati negativi ben lontani da quelli registrati dalla produzione industriale complessiva, sempre regionale, che nel secondo trimestre 2020 ha toccato addirittura un –19,4%, per poi risalire a –6,7% e –5% nel terzo e quarto trimestre.

Differenze vistose, che marcano anche un altro aspetto: il comparto agroalimentare emiliano-romagnolo non solo non ha recuperato quel –8% perso nel secondo trimestre,

ma attualmente non alimenta grandi aspettative per l’immediato futuro.

Seguendo la scia delle conseguenze legate all’emergenza sanitaria, l’indagine ha voluto sondare gli effetti della pandemia sull’attività aziendale ed è emerso che per il 57% delle aziende intervistate i problemi maggiori hanno riguardato l’occupazione; il 17% ha avuto problemi fi nanziari mentre il 25% ha dovuto fare i conti con la sospensione dei pagamenti. Con percentuali più basse si sono verifi cati cali della domanda, disordini dovuti a blocchi o a forti rallentamenti delle consegne. Di contro — ha proseguito Beghelli — le imprese agricole hanno registrato un forte aumento dell’e-commerce, pur con signifi cative differenze. Partiamo intanto col dire che l’incremento è stato pari al 55%: un’impresa su due ha dichiarato di aver registrato variazioni contenute, mentre per 4 su 10 l’aumento è stato notevole. Due terzi delle aziende però non fa ricorso in alcun modo all’e-commerce che, in ogni caso, grazie al suo incremento, ha permesso al fatturato aziendale di raggiungere in media la percentuale del 4% (prima era del 2%). Un’impresa su due ha gestito e gestisce questo canale di vendita in maniera totalmente interna, mentre una su quattro si appoggia a un’agenzia esterna.

Poche, in base ai risultati emersi, le aziende che per il presidio dei mercati esteri guardano all’ecommerce come a una via fruttuosa da intraprendere, altro segnale evidente di quanto sia importante la formazione degli operatori, che al contrario devono essere aiutati a comprendere l’importanza strategica di questo canale commerciale. Diverso il discorso riferito al mercato interno, che invece ha goduto e gode di grande attenzione da parte degli imprenditori comprendendone tutte le potenzialità».

L’importanza dei social

«Riguardo il marketing e la comunicazione aziendale sfruttati attraverso strumenti digitali, le imprese agricole intervistate hanno dimostrato di essere pienamente consapevoli dell’importanza di vantare un sito web, non solo in lingua italiana, coerentemente alla richiesta di incentivi fi nalizzati alla realizzazione dei portali. In crescita anche la presenza delle aziende sui social, mentre il CRM e le newsletter dimostrano di segnare il passo.

Diverso il discorso per il cosiddetto mobile marketing che risulta ancora poco diffuso; al contrario, particolare rilevanza viene riconosciuta a quegli strumenti come la distribuzione di materiale promozionale capace di comunicare il valore del prodotto fi delizzando il cliente, mentre le affi ssioni e gli spot televisivi registrano un calo.

Formazione, investimenti, analisi dei dati. Su questi aspetti ruota l’adozione di strumenti digitali nelle imprese agricole emilianoromagnole che — ha concluso Beghelli — devono contribuire a promuovere il territorio più che le singole aziende, generando un circuito virtuoso che può coinvolgere l’intero territorio nazionale in vista del rilancio di tutta l’economia e del turismo in particolare. È questo l’obiettivo che ci si deve porre e che, a nostro giudizio, farà davvero la differenza nel mondo nuovo che ci aspetta dopo la drammatica esperienza del Covid».

Anna Mossini

Consumo di carne e UE, un questionario tendenzioso che “suggerisce” le risposte

«Una vigliaccata, un questionario sbagliato perché nella presentazione del documento vengono di fatto suggerite risposte a domande sul ruolo della carne e della sua salubrità ancora oggetto di dibattito in sede UE». Giuseppe Pulina, presidente di Carni Sostenibili e docente di Zootecnica speciale all’Università di Sassari, non frena il suo aff ondo sul questionario che dal 31 marzo scorso la Commissione ha messo on-line (ec.europa.eu/eusurvey/runner/review_agrifood-promotion-policy?surveylanguage=EN) per raccogliere le opinioni dei cittadini sulle possibili opzioni da adottare per consolidare le politiche di promozione dell’agricoltura europea raff orzandone, si legge, “la competitività attraverso una maggiore consapevolezza degli elevati standard qualitativi che caratterizzano i prodotti agroalimentari”. Fin qui nulla da eccepire. Ma più avanti si legge che: “la revisione della politica nel 2021 dovrebbe migliorare il suo contributo alla produzione e al consumo sostenibile in linea con il passaggio ad una dieta più vegetale, con meno carne rossa e/o lavorata insieme ad altri alimenti legati al rischio di cancro”. «Un conto è informare il cittadino in maniera obiettiva per raccogliere il suo parere su quel determinato argomento, un altro è chiedergli se il suo pensiero è in linea con chi gli pone le domande» controbatte Pulina. «Attraverso i canali uffi ciali mi sono già mosso presso le sedi competenti per denunciare questo metodo». «È evidente che dietro questo tipo di iniziative esistono lobby il cui unico interesse è quello di aff ossare il comparto della carne bovina» incalza il presidente della OI IntercarneItalia Alessandro De Rocco. «Come organizzazione di produttori ci stiamo muovendo coi colleghi europei per far sentire la nostra voce, consapevoli che davanti a noi abbiamo Ong molto ben strutturate e dotate di ingenti risorse economiche che stanno portando avanti una campagna basata su convinzioni ideologiche. Non credo infatti che le associazioni animaliste sappiano che i primi a voler assicurare al proprio bestiame le migliori condizioni di benessere sono proprio gli allevatori, che negli ultimi 100 anni l’effi cienza della produzione di carne bovina è migliorata del 65% con indubbio benefi cio sanitario e ambientale e che proprio grazie alla ruminazione dei bovini l’80% di produzioni vegetali non edibili si trasforma in proteine nobili che ritroviamo nel piatto quando mangiamo carne. Chiediamo equilibrio e crediamo che la politica dovrebbe intervenire per evitare una deriva che proprio per i motivi espressi prima rischia di vedere perdenti non solo gli allevatori, ma l’intero ecosistema e soprattutto il consumatore».

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L’innovazione digitale piace al mondo agrifood: investimenti a +20%

Nonostante la pandemia, nel 2020 il mondo agricolo ha registrato un incremento che lascia ben sperare anche per l’anno in corso. Lo stesso vale per il settore della trasformazione. Ma il buon andamento non nasconde alcune criticità che vanno superate

di Anna Mossini

L’ imperativo è «investire sulle competenze, perché sono quelle che ci guidano verso il futuro». È stato questo l’invito rivolto da FILIPPO RENGA, cofondatore di Osservatori Digital Innovation, alle oltre 1.500 persone collegate in streaming al termine della quarta edizione dello Smart Agrifood, svoltosi il 5 marzo scorso e durante il quale sono stati presentati i risultati della ricerca sull’innovazione digitale in agricoltura. Un appuntamento annuale molto atteso per i risultati che vengono ogni volta illustrati e che in questa occasione, riferendosi al 2020, ha messo in luce quanto l’innovazione digitale, per il settore primario, rappresenti una leva strategica capace di garantire resilienza e maggiore competitività all’interno dello scenario internazionale.

Voglia di investimenti

«La nostra mission — ha sottolineato nel suo intervento introduttivo MARCO PERONA, direttore scientifi co dell’Osservatorio Smart Agrifood dell’Università di Brescia — è innanzitutto quello di comprendere in profondità le innovazioni digitali che stanno trasformando la fi liera agricola e agroalimentare. È pertanto importante unifi care e incrociare le principali competenze per essere poi in grado di veicolare i risultati della ricerca ai decisori al fi ne di creare cultura e occasioni di incontro e confronto per promuovere il dialogo e l’innovazione di valore».

Con un occhio orientato verso l’industria alimentare, l’indagine di Smart Agrifood 2020 non poteva prescindere dalle conseguenze della pandemia e dell’emergenza che ha determinato anche in termini di investimenti. Eppure, alla domanda su quale impatto questa situazione emergenziale ha avuto rispetto alla pianifi cazione di investimenti in tecnologie digitali, ben il 53% delle

aziende intervistate ha dichiarato che ha vissuto l’emergenza come un’ulteriore spinta a investire anche

nel 2021; il 28% non modifi cherà la pianifi cazione prevista e solo il 13% ridurrà gli investimenti. Non ha saputo rispondere il residuale 8%.

«L’evoluzione dell’agricoltura di precisione, realizzata attraverso la raccolta automatica, l’integrazione e l’analisi dei dati provenienti da qualsiasi fonte — ha dichiarato nel suo intervento ANDREA BACCHETTI, direttore dell’Osservatorio Smart Agrifood — ci fa capire che l’utilizzo di tecnologie 4.0 può creare conoscenza e supportare l’agricoltore nei processi decisionali. Lo scopo è quello di aumentare la profi ttabilità e la sostenibilità economica, ambientale e sociale dell’agricoltura».

Un mercato in evoluzione

L’indagine condotta dall’Osservatorio si è concentrata su 5 domande fondamentali: 1. come sta evolvendo il mercato dell’agricoltura 4.0 in Italia; 2. qual è lo stato di conoscenza e adozione delle tecnologie digitali da parte delle aziende agricole italiane; 3. quali sono i fabbisogni che spingono la digitalizzazione; 4. quali sono i benefi ci ottenuti e le criticità affrontate; 5. come i dati stanno cambiando l’offerta di soluzioni di agricoltura 4.0.

«Da quando abbiamo avviato la nostra ricerca, nel 2017 — ha sottolineato Bacchetti — gli investimenti tecnologici legati all’agricoltura 4.0 nel nostro Paese hanno conosciuto una crescita costante e soprattutto molto signifi cativa, passando dagli iniziali 100 milioni di euro ai 540 milioni dello scorso anno, che nel 2018 erano arrivati a 370 milioni (+270% sull’anno precedente) e a 450 milioni nel 2019 (+22%), con un +20% nell’anno che ci siamo lasciati alle spalle.

Un mercato in crescita esponenziale quindi, anche se la strada da fare è ancora lunga se rispetto alle indicazioni fornite nel 2016 dal MIPAAF, che auspicava l’obiettivo del 10% della SAU (Superfi cie Agricola Utile, NdR) gestita dall’agricoltura di precisione, oggi non superiamo il 4%».

Bisogna però guardare il bicchiere mezzo pieno e rilevare che, parallelamente ai cosiddetti “attori tradizionali” impegnati a trainare il mercato dell’innovazione digitale in agricoltura, nel 2020 l’aumento di quelli emergenti ha toccato il 20%.

Nel complesso, come ha mostrato nella sua presentazione Bacchetti, «ai sistemi di monitoraggio e controllo di mezzi e attrezzature e ai macchinari connessi è andato il 36%, seguiti a ruota dai software gestionali aziendali, dai sistemi di monitoraggio da remoto di coltivazioni e terreni, di supporto alle decisioni, di mappatura di coltivazioni e terreni e dai robot per le attività in campo. Nel concreto, l’agricoltura di precisione fa la parte del leone nelle attività di coltivazione (79%), di semina e piantamento (45%), di raccolta (35%), ma per la pianifi cazione, la logistica in e out e la gestione di scorte, rispettivamente 16%, 5% e 4%, nel 2020 l’incremento rispetto all’anno prima non ha superato il 6%.

Il campione che abbiamo analizzato comprendeva 986 aziende agricole — ha continuato Bacchetti — il 60% ha dichiarato di utilizzare almeno una soluzione di agricoltura 4.0, registrando un +5% rispetto

«Il mercato legato all’innovazione digitale dell’Agricoltura 4.0 è in crescita anche se deve ancora esprimere larga parte del suo potenziale», ha affermato nel suo intervento Filippo Renga, cofondatore di Osservatori Digital Innovation. «I dati sono il fulcro dell’innovazione agricola, ma per utilizzarli al meglio è necessario lavorare sull’interoperabilità delle soluzioni e su standard specifi ci. Occorre valorizzare i benefi ci derivanti dalla condivisione dei dati di fi liera per garantire vera tracciabilità»

Oltre il 40% delle 815 aziende agricole interpellate dalla ricerca sull’innovazione digitale in agricoltura investirà entro i prossimi tre anni in almeno una soluzione 4.0, quasi il 20% intende farlo entro quest’anno e circa il 5% lo farà per la prima volta (photo © Satawat – stock.adobe.com).

alla rilevazione che abbiamo fatto nel 2018 con quasi il 40% del totale che utilizza più di una soluzione.

Interessanti i risultati sul grado di soddisfazione rilevati rispetto ai fabbisogni, che vedono al primo posto l’ottimizzazione dei fertilizzanti, degli agrofarmaci, dell’impiego idrico e via via a scendere fi no al tracciamento del prodotto lungo la fi liera per arrivare al miglior utilizzo del parco macchine. L’ottimizzazione degli input è dunque la principale necessità delle aziende agricole, mentre è minore la fi ducia sul ruolo dell’innovazione digitale per snellire la burocrazia connessa agli obblighi normativi e per ridurre il numero dei lavoratori, che fortunatamente non rappresenta un obiettivo».

Le aspettative per il futuro

Riguardo le prospettive di investimento futuro, oltre il 40% delle 815 aziende agricole interpellate investirà entro i prossimi tre anni in almeno una soluzione 4.0, quasi il 20% intende farlo entro quest’anno e circa il 5% lo farà per la prima volta. In un mondo al centro di questo notevole fermento tecnologicamente innovativo i dati e le piattaforme

destinate all’integrazione delle informazioni raccolte sono fonda-

mentali e indispensabili, perché sono proprio i dati a impattare su un sistema che va dalla produzione alla tavola. Ed è qui che il ruolo delle aziende agroalimentari trova una sua collocazione ben precisa. «La nostra ricerca ha coinvolto 127 imprese» ha affermato nel suo intervento CHIARA CORBO, direttrice dell’Osservatorio Smart Agrifood del Politecnico di Milano. «Ben l’87% di loro utilizza almeno una soluzione digitale 4.0, mentre il 62% ne utilizza almeno due con una preminenza per i software di gestione dei fornitori e del magazzino. Seguono i dispositivi portatili, i big data analytics, il Cloud, lo IoT, i robot, i co-bot e la blockchain, che però raccoglie solamente un modesto 2%. Interessanti le percentuali legate ai fabbisogni che spingono le aziende di trasformazione agroalimentare verso la digitalizzazione: il 52% lo fa per migliorare i processi produttivi, il 47% i rapporti con i clienti e i consumatori, il 45% la logistica e la tracciabilità di fi liera, il 32% la sostenibilità ambientale e/o sociale, il 30% il rapporto con gli enti di certifi cazione e la pubblica amministrazione, il 28% la qualità e la food safety, il 19% lo sviluppo e il miglioramento del prodotto. Il rovescio della medaglia è rappresentato dai costi elevati, dalle scarse competenze e dalla limitata versatilità, tutti elementi che frenano il digitale. Infatti, ben il 60% delle aziende individua nei costi la maggiore criticità, il 38% la mancanza di competenze e il 37% ritiene che la tecnologia non si adatta al contesto aziendale. È quindi essenziale che i fornitori di tecnologia conoscano bene i processi industriali e possano sviluppare soluzioni interoperabili e integrate ai sistemi esistenti. E se riguardo la blockchain l’offerta sta conoscendo una fase di crescita — +59% nel 2020 rispetto al 2019 —, la domanda è ancora contenuta mentre il 39% delle aziende addirittura non la conosce ancora. Nel mondo attualmente sono 93 i progetti legati allo sviluppo della blockchain — ha concluso Corbo — il 32% riguarda prodotti di origine animale, l’8% il settore cerealicolo, il 7% la frutta e la verdura il 7% il vino, l’8% il caffè e il cacao, il 3% l’olivicolo e il 29% le altre fi liere alimentari e le bevande».

Un potenziale da scoprire

«I messaggi chiave della ricerca Smart Agrifood 2020 sono sostanzialmente quattro» ha affermato nel suo intervento conclusivo Filippo Renga. «Il mercato legato all’innovazione digitale dell’Agricoltura 4.0 è in crescita anche se deve ancora esprimere larga parte del suo potenziale; i dati sono il fulcro dell’innovazione agricola, ma per utilizzarli al meglio è necessario lavorare molto sull’interoperabilità delle soluzioni e su standard specifi ci. Le aziende impegnate nella trasformazione sono aperte all’innovazione e il contesto è positivo per la sperimentazione di nuove tecnologie, ma è necessario lavorare sulla collaborazione domanda/ offerta per lo sviluppo di soluzioni davvero ad hoc.

Infi ne, è fondamentale lavorare

sulla valorizzazione dei benefi ci derivanti dalla condivisione dei dati di fi liera per garantire vera

tracciabilità: parlare di tecnologie senza considerare il reale valore dei dati adottando una prospettiva di fi liera rischia di essere un esercizio fi ne a se stesso».

Anna Mossini

Vendite al dettaglio, la pandemia accelera la svolta tech ed eco

Informatizzazione dei sistemi, commercio elettronico, nuove proposte culinarie, salute e benessere, sostenibilità ambientale. Queste le tendenze per il 2021

di Roberto Villa

La pandemia Covid-19 ha mutato le abitudini di tutti, tanto nella vita personale quanto in quella lavorativa. È stato un ciclone inaspettato che ha rivoluzionato lo scandire delle scelte e delle attività quotidiane di miliardi di persone. Il mercato delle vendite al dettaglio ha, da un lato, subito questa situazione e, dall’altro, si è reso protagonista del cambiamento. Secondo il rapporto elaborato da TOBY PICKARD – Head of Insight, Innovation and Futures presso l’associazione IGD, un’organizzazione con sede in Inghilterra derivante dall’unione di due comunità, Commercial Insight e Social Impact, attive nella consulenza di mercato – il 2021 si caratterizzerà per cinque fondamentali tendenze, alcune totalmente nuove altre in fase di consolidamento, destinate a ristrutturare l’offerta della grande distribuzione nei prossimi anni1 .

Informatizzazione e tecnologie digitali

Secondo una ricerca della società di consulenza strategica Zinnov la Grande Distribuzione a livello globale ha investito in sei mesi nella trasformazione digitale un valore che avrebbe normalmente ripartito su tre anni. Nel 2020 la digitalizzazione ha riguardato sia le fi liere logistiche sia l’esperienza della vendita al consumatore fi nale;

Quello del commercio elettronico è stato il canale di crescita più signifi cativo nel 2020 per il settore della distribuzione organizzata, sospinto dalle restrizioni al movimento legate alla pandemia (photo © www.nonsolofi sco.net).

Carrelli nel punto vendita Amazon Fresh di recente apertura ad Irvine, California (photo © Paul Bersebach / Orange County Register / Getty Images).

riguardo quest’ultima sono diventate pratica diffusa o comunque sperimentale innovazioni che hanno interessato l’igiene e la sicurezza nei negozi, i pagamenti automatici senza operatore, i pagamenti senza contatto (carte, applicazioni per cellulari), la gestione multicanale degli inventari, l’utilizzo dei negozi come centri di rifornimento per le consegne degli ordini eseguiti on-line, le consegne autonome dell’ultimo miglio (robot via terra, droni), le tecnologie che consentono di elaborare in forma virtuale le preferenze dei consumatori (virtual test) e quindi di predire gli spazi ottimali a scaffale da dedicare alle varie referenze, l’acquisto tecnologicamente assistito.

Il rapporto IGD cita alcuni esempi, come la catena russa Lenta, il maggiore soggetto operante nella fascia ipermercati nel Paese, la quale ha gradualmente sostituito gli scanner mobili basati su tecnologia Zebra con dispositivi per la navigazione interattiva dei negozi.

Giant Eagle, proprietaria della catena statunitense GetGo Cafè + Market, ha implementato la tecnologia di pagamento automatico senza operatore prodotta da Grabango. Sainsbury’s, la nota catena britannica, ha introdotto la tecnologia antitaccheggio di ThirdEye, che consente di individuare e registrare grazie all’apprendimento automatico gli episodi di occultamento delle merci da parte di consumatori dentro tasche e borse.

Molte sono infi ne le insegne che hanno introdotto dei sistemi automatici di conteggio degli ingressi al fi ne di evitare sovraffollamento all’interno dei negozi o per il monitoraggio rapido della temperatura corporea all’entrata nel punto vendita.

Per il 2021 si prevedono ulteriori investimenti, soprattutto in tecnologie caratterizzate da basso costo e facili da aggiornare. Altresì molte catene punteranno sull’intelligenza artificiale e sull’apprendimento automatico al fi ne di incrementare i profi tti ed aumentare la soddisfazione dei consumatori: più di tre quarti dei soggetti della Grande Distribuzione mondiale hanno sistemi di intelligenza artifi ciale o hanno pianifi cato di introdurli entro la fi ne dell’anno corrente; ciò presuppone una relazione sempre più stretta e dinamica tra produttori e insegne per la gestione di iniziative centrate sul consumatore.

Walmart ha sperimentato in Cina, nell’ipermercato di Shenzhen, metropoli di oltre dodici milioni di abitanti nel distretto di Nanshan nella Cina costiera meridionale, la piattaforma Omega 8, la quale si basa su carrelli della spesa intelligenti, bilance governate dall’intelligenza artifi ciale, armadi e scaffali apribili con QR-Code. In questo modo Walmart riesce a studiare le preferenze dei consumatori, vedere le loro scelte e indirizzare loro offerte mirate.

Il primo negozio Amazon Fresh, ubicato a Los Angeles, ha introdotto ordini via app che possono essere fatti comodamente da casa e ritirati in giornata, un modello presto estendibile ad altri negozi della neonata catena del colosso americano.

Commercio elettronico sempre più protagonista

È stato il canale di crescita più signifi cativo nel 2020 per il settore della Distribuzione Organizzata, sospinto dalle restrizioni al movimento dei cittadini intraprese dalle autorità in varie parti del mondo. Poiché molti consumatori si sono rivolti a questo canale per il grosso della spesa settimanale, gli operatori del settore hanno rafforzato il cosiddetto “clicca e ritira”, mantenendo o incrementando la profi ttabilità, attraverso ad esempio l’espansione degli orari e delle aree per il ritiro (parcheggi, punti di ritiro della merce), garantendo ai clienti un’esperienza senza contatti, sicura dal punto di vista sanitario.

Tesco, catena della GDO britannica, è stata la prima nel Regno Unito a superare 1 milione di spese on-line alla settimana; per raggiungere questo obiettivo sono stati ingaggiati 4.000 autisti e 12.000 addetti al servizio di preparazione degli ordini.

Woolworths, catena australiana, durante la prima ondata ha trasformato temporaneamente cinque negozi nello stato di Victoria in

Ad ottobre 2020 la catena di supermercati DIA ha lanciato il suo nuovo marchio di preparati gastronomici “Al Punto”, 30 nuove ricette pronte che ha reso disponibili sui propri scaff ali per rispondere alle esigenze dei propri clienti.

centri di evasione degli ordini online, aumentati del 180%.

Walmart ha un servizio di consegna che fa uso dell’intelligenza artifi ciale per ottimizzare i percorsi dei trasporti alla clientela.

L’insegna FairPrice di Singapore ha aumentato del 30% la sua capacità di vendite on-line nella prima ondata della pandemia e di un altro 30% nella seconda, convertito due siti in centri di rifornimento per le consegne e realizzato alcuni siti dove è possibile ritirare la spesa senza scendere dall’automobile.

Nel 2021 è prevedibile che gli operatori commerciali vogliano mantenere i consumatori che continueranno a preferire la spesa on-line, tanto nella forma “clicca e ritira” piuttosto che con consegna a domicilio, allo scopo di garantirsi profi ttabilità. Relativamente alla consegna presso il cliente fi nale la valutazione che faranno riguarderà la delega a società terze oppure l’esecuzione in proprio del servizio. Per migliorare le entrate saranno in crescita gli annunci pubblicitari sui loro siti e la consegna potrà essere soggetta ad un pagamento dipendente dalla sottoscrizione di diversi livelli di servizio; potranno anche essere adottati livelli di prezzo variabili in funzione dell’area o del momento della consegna.

Nuove proposte culinarie per sostituire o affi ancare i consumi fuoricasa

L’evento pandemico ha di fatto impedito a centinaia di milioni di cittadini l’esperienza di un pasto fuoricasa, veloce o tradizionale che fosse, ma non ha fi accato la voglia che di quell’esperienza stava alla base. È così che il canale distributivo si è riscoperto attento alle peculiarità dei gusti sino ad allora ricercati recandosi presso un ristorante, una trattoria, un Fast food, e sono nate proposte capaci di soddisfare le molteplici esigenze dei consumatori, da quelle più semplici a quelle più raffi nate.

La catena spagnola DIA ha espanso il marchio Al Punto fi no ad includere oltre trenta referenze di gastronomia pronte al consumo: dalle costine di maiale al barbecue alla tortilla di patate fresche, dalle crocchette di pollo o di prosciutto alla paella ai cannelloni ai frutti di mare, tutto disponibile anche on-line e con consegna entro poche ore dall’ordine.

Nelle Filippine FamilyMart ha reso disponibili sotto forma da asporto i piatti che precedentemente venivano consumati nei suoi negozi, oggi confezionati e pronti da riscaldare a casa.

L’australiana Coles ha creato “What’s for dinner”, menù con varie idee di cibi pronti ad un costo inferiore ai 4 dollari australiani per porzione.

Secondo la società di consulenza Accenture, la pandemia Covid-19 è destinata a ridefi nire il modello dei

consumi per l’intero decennio. Per

La svolta tecnologica e digitale scaturita dalla pandemia da Covid-19 è innegabile e sotto gli occhi di tutti, in particolare per quanto riguarda il mercato delle vendite al dettaglio. Secondo una ricerca della società di consulenza Zinnov, a livello globale la Grande Distribuzione avrebbe investito in sei mesi nella trasformazione digitale un valore che sarebbe stato normalmente ripartito su 3 anni

il 2021 i soggetti della Distribuzione Organizzata intensifi cheranno l’offerta per soddisfare occasioni di consumo durante tutto l’arco della giornata, laddove il lavoro da casa ha modifi cato anche la fruizione di prodotti alimentari e di bevande; nuove idee e ispirazioni saranno la chiave attorno alla quale aiutare i clienti a variare la propria dieta quotidiana e soddisfare la ricerca di gusto senza spostarsi da casa.

Salute e benessere trovano nuove strade

Impossibilitati a frequentare palestre, piscine e centri fi tness, i cittadini di ogni latitudine si sono rivolti ad altre attività e prodotti in grado di compensare la voglia di volere bene al proprio corpo.

Walmart ha diffuso piani che prevedono l’espansione dei punti vendita Walmart Health; nei negozi Caring Pharmacy i prodotti dedicati alla salute e al benessere stanno prendendo la scena rispetto ai prodotti per la bellezza; Holland & Barrett offre nei suoi punti vendita oppure in modalità virtuale sessioni con nutrizionisti e consulenti di fi tness, che vanno a completare la gamma ricca di prodotti senza glutine, vegani, alimenti proteici, integratori vitaminici; CVS ha introdotto ottanta nuovi prodotti al proprio marchio Live Better.

Sul fronte dell’offerta vedremo sempre più le insegne puntare sulle aspettative dei propri clienti di vivere una vita sana e si muoveranno in questo senso anche sollecitando i fornitori a sviluppare nuove proposte che strizzino l’occhio anche alla sostenibilità ambientale, concetto spesso nello stesso orizzonte di valori dei consumatori attenti alla propria salute.

Ambiente e riduzione degli sprechi

I modelli di consumo, pur in un’economia diventata globale, sono sempre più orientati alla conservazione delle risorse naturali e alla salvaguardia del pianeta. Riduzione della plastica e dei consumi energetici sono temi sui quali produttori e distributori devono lavorare, accanto alla riduzione degli sprechi alimentari nelle filiere. Molte sono state le inizia tive intraprese e in corso, dall’utilizzo di energie sostenibili per alimentare le reti elettriche dei punti vendita o i mezzi di trasporto dedicati alle consegne, alle donazioni di cibi invenduti ma ancora consumabili, alla riduzione in peso o al cambio di tipologia degli imballaggi con una maggiore quota di riciclabilità.

L’essere virtuosi diventa per gli operatori della distribuzione un fattore di attrazione di clienti sempre più consapevoli che dalle scelte quotidiane dipende molta parte del futuro dell’umanità.

Roberto Villa

Note

1. Sintesi del rapporto in lingua inglese: www.igd.com/ articles/article-viewer/t/thefive-retail-trends-to-watch-in2021/i/27490

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RS360, la certifi cazione che valorizza i ristoratori

La sostenibilità non può prescindere da chi utilizza le materie prime nella preparazione dei menu. Ettore Capri, dell’Università Cattolica di Piacenza, ci illustra da cosa è nata un’iniziativa, al momento unica, che da un paio d’anni gode del patrocinio della Regione Emilia-Romagna

di Anna Mossini

Chi è il “ristoratore sostenibile”? Qual è il suo ruolo all’interno della filiera agroalimentare? Perché è importante coinvolgerlo nell’ampio concetto della sostenibilità? Ma, soprattutto, cosa fa un ristoratore “sostenibile”? Nonostante l’indubbio legame che unisce il ristoratore alle materie prime che utilizza nella preparazione dei piatti, del binomio, possiamo dire inscindibile, che lo unisce al produttore non si è praticamente mai sentito parlare. «Ed è un grossolano errore». A sottolinearlo è ETTORE CAPRI, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e direttore di Opera, l’Osservatorio europeo per lo sviluppo sostenibile in agricoltura, think tank dedicato a ricerca, formazione, informazione, comunicazione sociale e politiche utili ai portatori di interesse europei.

Un progetto innovativo

Per rispondere allora ai quesiti con cui abbiamo iniziato questo articolo e capire perché è così importante oggi che anche il ristoratore assuma un ruolo tanto importante, dobbiamo partire da un progetto nato nel 2012 su iniziativa di Ettore Capri e della collega MIRIAM BISAGNI, presidente dell’Associazione Piacecibosano Aps: si tratta di Ristorazione Sostenibile 360, «un programma volontario di certifi cazione per la ristorazioEttore Capri, docente all’Università del Sacro Cuore di Piacenza e direttore di Opera, Osservatorio europeo per lo sviluppo sostenibile in agricoltura.

ne che dal 2019 ha come partner la Regione Emilia-Romagna e che, attraverso la conoscenza degli aspetti ambientali, economici e sociali, è in grado di offrire una visione ampia e olistica della sostenibilità».

Un percorso che ha già coinvolto un centinaio di ristoratori in un iter formativo che quest’anno, causa la pandemia, si è svolto rigorosamente on-line, ma che appena le condizioni lo consentiranno potrà svolgersi in presenza. «Oggi il termine sostenibilità è molto gettonato, ma spesso non se ne conosce l’effettivo signifi cato» puntualizza Ettore Capri. «Ristorazione Sostenibile 360 (RS360) ha l’ambizione di trasmettere quelle conoscenze indispensabili a favorire da parte del ristoratore un approccio integrato al tema alimentare. Prendiamo ad esempio lo spreco, che non riguarda solamente i rifi uti prodotti in cucina durante la preparazione dei piatti o quello che viene scartato in sala; lo spreco alimentare investe prima di tutto la capacità del ristoratore di fare la spesa. Su questo fronte abbiamo riscontrato che l’impreparazione dei ristoratori è molto diffusa e a cascata si ripercuote

sulla loro incapacità di essere realmente sostenibili. Partendo da questo aspetto, possiamo parlare di un’autentica innovazione culturale che deve affrancarsi da una visione in cui la fi gura del ristoratore non è coinvolta nell’interezza della fi liera; al contrario, egli va considerato come un importante interlocutore che interpreta la sostenibilità nel suo signifi cato più autentico: un contenitore pieno di contenuti e non una moda del momento».

Professor Capri, chi è il ristoratore sostenibile?

«È quell’imprenditore che rispetta la terra e il cibo gestendo le risorse che utilizza con consapevolezza e responsabilità; è colui che prendendosi cura del personale alle sue dipendenze e della clientela che serve, sostiene le aziende impegnate nel sociale aprendo il suo ristorante alla collettività, ma è anche una persona che sa creare opportunità sul territorio dove opera investendo in tecnologie e formazione per ridurre l’impatto ambientale, migliorando e rendendo più sicuri i processi lavorativi».

Sostenibilità integrata

Come si sviluppa il programma RS 360?

«Il programma si snoda attraverso la partecipazione a sette moduli in cui il tema della sostenibilità viene affrontato nei diversi ambiti che interessano la gestione del ristorante. Si va dall’acquisto delle materie prime destinate alla preparazione dei menu alla loro formulazione, senza tralasciare la formazione del personale, la valorizzazione del territorio, la gestione responsabile del team di lavoro nel pieno rispetto della parità di genere, includendo al contempo la gestione responsabile delle fonti energetiche, idriche, dei rifi uti e quindi dello spreco alimentare attraverso un costante monitoraggio: in buona sostanza, il ristoratore deve raggiungere obbiettivi specifi ci in ogni modulo tracciato mediante l’uso di indicatori rendicontabili in un bilancio di ecosostenibilità». Quanto interesse avete raccolto per un’iniziativa così innovativa?

«Molto, soprattutto perché chi ha partecipato l’ha fatto motivato da una grande consapevolezza e dalla sincera intenzione di approfondire il tema della sostenibilità intercettando le grandi opportunità che ne possono derivare per la propria attività, soprattutto ora in una prospettiva di riapertura post-pandemia, un periodo che si rivelerà sicuramente diffi cile ma che grazie alla straordinarietà del momento potrà riservare ampi spazi di miglioramento in un territorio qual è quello italiano, dove il patrimonio agroalimentare ed enogastronomico, unito alle bellezze naturali e architettoniche, può davvero rappresentare un importante trampolino per il rilancio del settore».

Al termine del programma cosa viene rilasciato ai partecipanti?

«La certifi cazione di Ristorante Sostenibile 360, valida per un biennio, grazie al patrocinio della Regione Emilia-Romagna».

Certifi care e verifi care

Corso e certifi cazione sono automatici o occorre fare una richiesta specifi ca?

«No, non lo sono. Il ristoratore che intende ottenere la certifi cazione deve innanzitutto sottoscrivere l’accordo di adesione che va poi trasmesso a RS 360, la quale, a sua volta, verifi ca il materiale e predispone il manifesto che dopo la ratifi ca da parte della Regione potrà essere esposto all’interno del ristorante o visualizzabile con un QR-code riprodotto nel menu, permettendo al cliente di accedervi con il suo smartphone. Nel corso dei due anni di durata della certifi cazione e a garanzia della serietà del progetto, Ristorazione Sostenibile 360 effettuerà delle valutazioni a campione per verifi care il rispetto delle regole previste dal Disciplinare».

Non abbiamo parlato del consumatore, un altro importante tassello della sostenibilità. È così?

«Senza dubbio, il rapporto tra produttore di materie prime, ristoratore e consumatore va amplifi cato anche se su questo fronte prevedo tempi molto lunghi ma ineludibili. Il corso previsto da RS360, validato da un comitato scientifi co di prim’ordine, contempla anche questo aspetto. Prendiamo ad esempio il concetto di produzioni agroalimentari a km 0. La comunicazione non può fermarsi alla dichiarazione che un prodotto è buono perché è a km 0: deve invece spiegare che la buona agricoltura è tale perché produce nel rispetto di quella sostenibilità integrata a cui il progetto RS360 si richiama. Solo così si innesca realmente quel circuito virtuoso a cui, come dicevo prima, tutto si deve ricondurre per il rispetto ambientale, sociale, economico e per la promozione e la valorizzazione del territorio e delle nostre produzioni. Il ristoratore sarà sempre più chiamato a vestire i panni del grande comunicatore che con competenza dovrà essere in grado di illustrare e spiegare il vero concetto di sostenibilità, magari abbandonando quell’atteggiamento un po’ troppo autoreferenziale che soprattutto in questi ultimi anni lo ha contraddistinto».

Un’ultima domanda: quali sono gli obiettivi di RS360?

«Siamo partiti rivolgendoci al mondo dei singoli ristoranti, ma grazie a RS360 stiamo allargando il nostro raggio d’azione alla ristorazione collettiva, a quella commerciale, all’educazione e alla formazione. Ne è esempio il Master universitario di primo livello in Food and Beverage: gestione e sostenibilità dei servizi di ristorazione dell’Università Cattolica di Piacenza e i progetti che si stanno moltiplicando negli istituti scolastici, presso le catene alberghiere e nel turismo di territorio. Non sarà un percorso veloce e magari semplice, ma i presupposti perché gli obiettivi vengano centrati ci sono tutti».

Anna Mossini

Nota

Per info: vimeo.com/529706289

Sotto il castello di Ferrere, carni e salumi che vi faranno innamorare

Da U’Citu, un viaggio tra tecnica e cuore

di Riccardo Lagorio

C’ è una macelleria accoccolata sotto il castello di Ferrere, fuori dalle rotte, dalle insegne minime. I muri impreziositi da giganti piastre di marmo rosa venato di nero, a formare delle cime. Appesi qua e là alle pareti salami e salumi, il banco stipato di carni disposte in maniera ordinata una dietro l’altra quasi in fi la indiana. Così com’è pare che nulla sia cambiato da quando fu aperta, nel 1929, uscita dalle pagine di BEPPE FENOGLIO, che conosceva bene questo mestiere.

SILVANO ACCOSSATO avrebbe fatto il medico, ma i doveri di famiglia imposero di entrare in macelleria presto presto. «Ma non ho mai perso la passione e ho sempre studiato la materia. Tanto che mi è stata utile anche in negozio», ci scherza su. Forse che questa è la ragione che i suoi racconti sono un viaggio a metà strada tra la tecnica e il cuore? Mentre la moglie TIZIANA BERGADANO spiega alle clienti l’uso di certi tagli in cucina, Accossato narra delle quattro stalle locali che lavorano per la macelleria dove crescono gli animali di razza Piemontese, femmine. «Da parecchi anni abbiamo rapporti con questi allevamenti e, quando bisogna fare il prezzo di un capo, li rendo sempre soddisfatti perché il loro impegno rende più facile anche il mio lavoro».

Una macelleria aperta tutto l’anno, sette giorni alla settimana: «Non siamo mai andati in vacanza e la nostra vita è stata barattata interamente con il negozio». Altri tempi che sembrano lontanissimi.

Chi entra ha chiesto hamburger: Tiziana li prepara al momento. Sotto

Silvano Accossato e la moglie Tiziana Bergadano

In alto: il salume di trippa. In basso: salami appesi alle pareti del locale.

gli occhi dell’acquirente, che possa valutare la carne utilizzata.

Un’altra persona è venuta qui per un arrosto. Ecco allora che l’esperienza permette di esibire più varietà di tagli in base all’esigenza del consumatore: dal cappello del prete alla sogliola, ovvero una parte della copertina di spalla, al tenerone, al centro del collo del bovino. Ogni pacchetto viene identifi cato con una scritta indelebile perché si possa riconoscere a prima vista quando si sarà arrivati a casa. Questo servizio è ancora più utile quando si acquistano diverse tipologie di tagli. Come nel caso del bollito. In queste terre il bollito è infatti la preparazione principale dall’autunno alla primavera e questo gesto di cortesia risulta essere utile alla clientela per individuare a prima vista le varie componenti. «Il giorno successivo, quando il bollito è freddo, si può fare a piccoli dadi e si condisce con olio, pomodorini e cipolla» suggerisce Tiziana.

Se è vero che le carni vi faranno innamorare, preparatevi a un’indimenticabile cavalcata tra i salumi. Deliziosi il salame crudo nel budello cucito e il salame cotto. «I salami vengono legati a mano e non contengono conservanti» spiegano. «Il calo del peso trascorsi 2 mesi si aggira intorno al 40%» dice Accossato mostrando quanto lo spago abbia gioco. Nell’impasto si trovano pepe, noce moscata, chiodi di garofano e aglio pestato. Nel periodo invernale si possono trovare cotechini e zamponi composti dal 30% di cotenne, 45% di gola e 25% di carne magra.

«Uno dei prodotti di cui andiamo più fi eri è il salume di trippa. La trippa e l’esofago, che chiamiamo arbelle, vengono cotti nei vecchi stampi del prosciutto cotto». Il lardo viene salato a secco su assi di legno e massaggiato spesso a mano. Il sale penetra opportunamente nel tessuto, lo ammorbidisce e lo nobilita.

Un altro salume simbolo della zona è il salame cotto, che fa bella mostra di sé nel bancone. «Si utilizzano le stesse carni dei salami crudi e si sta riqualifi cando. Una volta preparato il salame, riposa per 12 ore e si cuoce a 90 °C per 2 ore. Si raffredda nel proprio brodo e si lava con acqua tiepida prima di essere messo sottovuoto. È un ottimo prodotto primaverile».

Tra le vigne che cingono Ferrere inizia a spirare la brezza di primavera. Possa essere Primavera di bellezza.

Riccardo Lagorio

Antica Macelleria Salumeria Da U’Citu

Via Emanuele Montalcini 32 14012 Ferrere (AT) Telefono: 0141 934122

I cinghiali di Manuele

La linea di carni, salumi e insaccati di cinghiale dal Parco Nazionale del Circeo e dal Parco della Riviera di Ulisse della Macelleria e Norcineria Avagliano di Sabaudia

di Massimiliano Rella

Salsicce, carni e prosciutti di cinghiale del Parco Nazionale del Circeo e da qualche mese anche del Parco della Riviera di Ulisse, una quarantina di chilometri a sud, verso Formia, in odore di Campania, ma siamo ancora nel Basso Lazio. La parabola della

Macelleria e Norcineria Avagliano,

di Sabaudia, provincia di Latina, si arricchisce così di un nuovo tassello, l’unica impresa autorizzata alla cattura dei cinghiali nei due Parchi. «La sera facciamo pasturazione con granoturco per avvicinare gli animali ai chiusini, che sono delle gabbie di cattura triangolari di 7 metri per lato. In questo modo il cinghiale rimane vivo, non subisce choc e la mattina viene trasportato in mattatoio in casse di legno e non metalliche (per il benessere animale). Qui è macellato come avviene coi maiali, cioè muore per choc elettrico, poi dissanguato, per evitare il sapore forte dovuto all’adrenalina in circolazione nel sangue e ottenere una carne più delicata, proprio per il processo di macellazione. Una carne che può andare in cottura senza bisogno di marinature», ci spiega MANUELE AVAGLIANO, 37 anni, titolare col padre VINCENZO e la sorella FRANCESCA del negozio con laboratorio su Corso Vittorio Emanuele II, aperto dal lontano ‘66 per volere dello stesso Vincenzo, ex pugile professionista di Cava dei Tirreni, Caserta.

Manuele e il papà Vincenzo Avagliano davanti al banco della loro macelleria a Sabaudia (LT).

Prosciutto (in alto) e guanciale (in basso) di cinghiale Maremmano del Circeo.

L’idea di sviluppare una linea di carni, salumi e insaccati con i cinghiali del Parco del Circeo nasce sei anni fa in seguito ad un progetto di contenimento della popolazione, voluto dall’Ente Parco, che ha permesso di “abbattere” fi nora oltre 200 capi. La partecipazione alla gara voluta invece dal Parco della Riviera di Ulisse, con sede a Gianola, avrà validità di tre anni e permetterà di ampliare numero e quantità di prodotti trasformati.

Gli animali, una volta catturati con la tecnica della pasturazione come detto, sono appunto trasportati in gabbie di legno (materiale che attutisce gli urti meglio del metallo) direttamente al mattatoio di Torrice (Frosinone), l’unico autorizzato sul territorio per la macellazione dei selvatici.

«Si tratta di cinghiali di razza Maremmana, con pezzatura massima di 150 kg da vivi» continua Manuele. «I piccoli sono portati nel nostro allevamento vicino Sabaudia, dove abbiamo una cinquantina di capi allo stato semibrado».

Nel laboratorio sul retro del negozio la carne di cinghiale è lavorata per farne gustosi prodotti: coppa di

testa, ragù per condimenti, bistecche, salsicce fresche e stagionate,

guanciale, corallina e prosciutto. Quest’ultimo arriva a costare tre volte il “normale” prosciutto di coscio suino poiché, asciugandosi, cala di peso di almeno il 55-60%. La stagionatura delle pezzature più piccole, compresi i salami, viene fatta direttamente nei locali della macelleria, mentre i cosci più grandi sono portati in stagionatura a Bassiano (LT), il paese dei Monti Lepini che dà il nome a un rinomato prosciutto laziale.

Gli Avagliano, c’è da aggiungere, avevano sperato in un’operazione analoga anche con i daini del Circeo, ma il costo proibitivo di 60.000 euro solo per partecipare al bando ha fatto arenare ogni speranza. Eppure, secondo stime di pochi anni fa si contava una popolazione di ben 1.300 daini.

Il cinghiale rimane una nicchia per questa azienda familiare che ha in realtà un business principale (del 70%) nei prodotti norcini fatti in casa. I suini sono in parte allevati dagli stessi Avagliano a ridosso del Parco Nazionale del Circeo con incroci di Cinta senese e Nero casertano: una trentina di capi allo stato semibrado alimentati di ghiande e fi occato (cereali essiccati e pressati); solo cibo asciutto.

L’approvvigionamento si completa coi suini di un allevamento di Pomezia (Roma) e per la carne vaccina, in preferenza Frisone, da vari allevatori dell’Agro Pontino.

Massimiliano Rella

Macelleria Avagliano dal 1966

Corso Vittorio Emanuele II 26 04016 Sabaudia (LT) Telefono: 0773 515254 E-mail: info@avaglianocarni.it Web: www.avaglianocarni.it

Nota

Photo © Massimiliano Rella.

La Cabannina: una storia di amore e resistenza

di Federica Cornia

Dominato dalle maggiori cime dell’Appennino ligure, tra i 1600 e 1800 metri di altitudine, il paesaggio, ricorda, anche per i pascoli, aree alpine centroeuropee. Siamo nella zona del Parco Naturale Regionale dell’Aveto. Territorio protetto in provincia di Genova, poco più di 3.000 ettari, comprende tre valli: la Val d’Aveto, la Val Graveglia e la Valle Sturla. A noi interessa La Val d’Aveto. Circondata com’è da cime montuose che la proteggono da infl uenze esterne e la isolano dai territori circostanti, è grazie a questo luogo, enclave appartata rispetto “al mondo”, che è giunta a noi la Cabannina, unica razza bovina autoctona ligure e oggi presidio Slow Food.

È grazie a questo naturale incubatore e alla tenacia degli allevatori locali se ancora oggi la troviamo al pascolo, testimonianza vivente dell’attaccamento della gente ligure alla propria terra e alla ricchezza che rappresenta. Restituita a noi col suo patrimonio genetico più antico che ne delinea chiaramente la parentela diretta con l’antenato di tutti i bovini moderni, il Bos primigenius, caratteristica fi nora mai riscontrata per altre razze bovine, la Cabannina però ha rischiato grosso. Soprattutto negli anni ‘60 del Novecento, quando si avvicinò alla cosiddetta erosione genetica, anche a causa della Legge n. 126 del 1963 che disciplinava la riproduzione bovina obbligando a sostituire molte razze autoctone con altre più produttive. È così che la Cabannina fu sostituita con la Bruna alpina e dai circa quarantamila capi agli inizi del Novecento si passò ai numeri esigui degli anni ‘80: il censimento del 1985 contava meno di 150 capi di razza pura.

Alla miopia della legge fa da contraltare la forza del legame che l’uomo può stringere col proprio territorio: negli anni ‘70, infatti, il Cavalier ARTURO CELLA, sindaco di Rezzoaglio (GE), con pochi altri pionieri diede vita alla Comunità Montana Valli Aveto-Graveglia-Sturla, senza la quale il dialogo con l’Associazione degli Allevatori e la Regione Liguria per il recupero della Cabannina, iniziato nel 1982, non sarebbe stato possibile.

Le Cabannine sono è eccellenti pascolatrici, capaci di sfruttare gli ambienti più impervi (photo © www.dolcefi orita.it).

Come non sarebbe stato possibile il folgorante incontro di un esponente di Slow Food con U cabannin, il Cabannino, formaggio a latte crudo di sola Cabannina, che ha portato la razza a far parte dei Presidi dell’associazione della chiocciola. Questo nel 2010.

Così oggi di questa razza rustica di stazza medio piccola gli allevatori possono veder pascolare con orgoglio i capi tirando un sospiro di sollievo: “fi nalmente è tornata la piccola vacchetta che mangia come una capra, che trasforma le spine in latte” si legge sul sito dell’APARC-Associazione Produttori Allevatori Razza Cabannina (www.cabannina.it).

La Cabannina deriva il suo nome dalla piana di Cabanne, nel Comune di Rezzoaglio, dove sono stati conservati alcuni capi in purezza consentendo l’avvio del lavoro di recupero della razza e, considerato che Cabanne in genovese è sinonimo anche di alpeggio, nome migliore per questa razza dagli arti corti, adatta a pascoli anche in pendenza, non c’era.

Mantello castano scuro, a volte bruno chiaro, con la caratteristica striscia color crema sulla linea dorsolombare, chiamata riga mulina, che degrada in sfumature rossicce, la Cabannina non ha bisogno di particolari cure, partorisce da sola sui monti ed è resistente agli agenti patogeni.

Pur avendo una duplice attitudine, da carne e da latte, la produzione si è indirizzata per lo più sui prodotti caseari, latte in primis, comprendono formaggi come U cabannin, le formaggette, la Prescinsêua (chiamata anche quagliata o cagliata) e il Sarazzu, ricotta salata e stagionata dalla storia antichissima.

Negli ultimi anni, incoraggiati dai risultati di uno studio scientifi co sulla qualità nutritiva della carne di Cabannina, alcuni allevatori hanno deciso di dedicarsi a questa linea. Si è iniziato a pensare a come migliorare la qualità delle sue carni, anche se si tratta sempre di piccole aziende per lo più familiari, con pochi capi. Così, a dispetto di quello che potrebbe sembrare un paradosso, ecco che l’aspetto del consumo delle carni di Cabannina diventa una bella opportunità per la sopravvivenza della razza stessa. Anche se, per via del numero esiguo di capi, non è facile la commercializzazione.

Ma siccome preservare e tramandare la Cabannina signifi ca preservare non solo una mucca ma anche un patrimonio gastronomico tipico del Genovese, è su questa leva, più romantica che economica, che macellai e ristoratori si sono mossi e sono entrati in gioco recuperandone e promuovendone l’utilizzo per piatti tipici della tradizione e non solo.

Il problema del giusto riscontro economico agli allevatori della Val d’Aveto impegnati ad allevare questi bovini “montagnini” c’è ed è la causa sposata dalla Macelleria Fratelli Basso di Gattorna (GE) che si è impegnata a defi nire un giusto prezzo di fi liera per battuta, bistecca e i bolliti che si acquistano a banco.

Sulle tracce dell’utilizzo della carne di Cabannina in cucina, nel capoluogo ligure ci si imbatte nel ristorante “Il Genovese”, che dei piatti tradizionali della cucina regionale preparati seguendo le antiche ricette popolari ha fatto il proprio cavallo di battaglia.

Così a menu la carne di Cabannina è sia nei ripieni che nel Tuccu, tipico sugo rosso preparato con un pezzo di carne che si sfalda in cottura insieme a pinoli, cipolla e chiodi garofano, e nelle polpette tra i secondi piatti.

Lombate alla brace, interiora, ma anche tartare e salumi (salame e bresaola) e carne di Cabannina frollata, oltre naturalmente a piatti tipici come il Tuccu, sono la proposta di MAURO TEDONE del ristorante Rosso Carne di Genova, che pensa anche alla versione più popolare di divulgazione gastronomica della Cabannina quale l’hamburger.

Federica Cornia

Fonti

• www.fondazioneslowfood.com • www.cabannina.it • www.ilgenovese.com • www.macelleriafratellibasso.it

La Bistecca alla fi orentina

nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali

di Giovanni Brajon e Andrea Giuntini

La “Bistecca alla fi orentina” o “Fiorentina” o “Carbonata” è stata recentemente inserita nell’elenco nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT): prodotti ottenuti con metodi di lavorazione, conservazione e stagionatura consolidati nel tempo, omogenei nel territorio, secondo regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai venticinque anni.

L’origine della Fiorentina sembra risalire ai rapporti stretti, privilegiati a partire dal Trecento, tra i banchieri fi orentini ed i re inglesi in occasione della Guerra dei Cent’Anni. Dall’Inghilterra, dove i buoi erano allevati per tirare l’aratro ed i vitelli ingrassati e cucinati in modo “naturale”, proveniva infatti la tradizione di consumare la carne di bovino solo sul fuoco, ottenendo una pietanza sommariamente abbrustolita e sanguinolenta dentro. La carne così cucinata, ovunque all’aperto, era cibo da viaggio e cibo da guerra per gli animali uccisi in battaglia.

Nel ‘700, la città di Firenze diventava meta del turismo aristocratico inglese e in città si sviluppava un’anglofi lia di cui oggi sono ancora testimonianza molti esempi architettonici e monumentali: dai caffè foderati in legno al Cimitero di Piazza Donatello. In questo periodo le abitudini alimentari fi orentine hanno risentito dell’infl uenza dei viaggiatori ed il crescente uso del carbone come energia calorica ha facilitato la diffusione della bistecca al sangue: pensata e cucinata per i forestieri ma, al contempo, in un doppio binario, si manteneva pure la cucina tradizionale fatta di frattaglie, zuppe e legumi.

Nel 1750, l’Accademia della Crusca confermava che l’etimologia della parola bistecca era da ricondurre ad un prestito linguistico dall’inglese beef-steak e, nel 1891, PELLEGRINO ARTUSI descriveva nel suo famoso libro in maniera puntuale la bistecca che si cuoceva a Firenze.

Abbiamo poi ritrovato la bistecca alla fi orentina nel padiglione italiano all’Esposizione Universale di Parigi del 1889 come piatto toscano, la cui preparazione era una fetta di carne con osso, alta tre dita e cotta su braci. A seguire, la Fiorentina è stata celebrata dalla goliardia toscana, quando nel 1951 l’editore CORRADO TEDESCHI, insieme a UGO CAVALLINI, fondò a Firenze un partito politico che prese il nome dalla loro popolare rivista settimanale: la Nuova Enigmistica Tascabile (NET). Il partito, col suo simbolo costituito da una vitella, venne soprannominato Partito della Bistecca perché il programma politico, tra le altre cose, prevedeva una fornitura

giornaliera di una bistecca da 450

grammi a tutti i cittadini. Pur essendo un partito politico goliardico, il Partito Nettista italiano prese davvero parte alle elezioni politiche del

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7 giugno 1953 per la Camera dei Deputati, con propri candidati nei collegi elettorali di Roma, Firenze e Milano. I loro motti furono “W la pacchia!” e “Meglio una bistecca oggi che un impero domani” (con chiaro riferimento alle passate esperienze coloniali dell’epoca fascista). Alle elezioni furono raccolti 4.305 voti validi, equivalenti allo 0,02% a livello nazionale (0,14% solo a Firenze).

Arrivando fi no ai giorni nostri, nel 2001, in conseguenza della crisi della cosiddetta “Mucca Pazza”, a seguito dell’asportazione della colonna vertebrale dalle mezzene, come misura di prevenzione abbiamo assistito in diverse parti d’Italia a vere e proprie feste di addio o funerali della bistecca alla fi orentina; per converso, ci sono state feste di rinascita quando, il 26 aprile 2008, è entrato in vigore un nuovo regolamento che ha innalzato da 24 a 30 mesi l’età dei bovini per i quali era consentita la commercializzazione di carne con la colonna vertebrale, dalla quale, come risaputo, si otteneva il pregiato taglio della “fi orentina”.

La Bistecca alla fi orentina è veramente un simbolo gastronomico,

storico e culturale di Firenze; a conferma di ciò, quando si esce dalla Stazione centrale ferroviaria di Santa Maria Novella, le prime insegne che un viaggiatore incontra sono quelle di ristoranti e trattorie che indicano “Bistecca alla fi orentina”.

La “Fiorentina” è il risultato di un processo articolato che parte dalla passione degli allevatori toscani che pone le radici nell’assetto poderale rinascimentale e vanta una cultura profonda trasmessa nei secoli, la maestria dei beccai, che attraverso la cura e l’attenzione giornaliera valorizzano la carne nelle loro mani portandola alla maturazione ideale per poter essere poi cotta da sapienti cuochi. Il piatto sembra essere semplice, ma in realtà tiene conto di molteplici fattori che infl uenzano le caratteristiche organolettiche della carne e che fanno sì che ogni bistecca sia diversa da un’altra. Non meno importante è l’impiattatura, come viene oggi defi nito il modo di servire la “Fiorentina”, da gustarsi in un ambiente conviviale.

In questo contesto si è costituita a Firenze l’Accademia della Fiorentina, associazione culturale fondata nel 1991 con lo scopo di studiare e celebrare la “Bistecca” quale creazione gastronomica, espressione della più genuina “Fiorentinità” e frutto dell’opera attenta e professionale di Allevatori, Beccai e Cuochi. Proprio in occasione di un convegno organizzato nel 2018 dall’Accademia presso la storica sede del Palazzo dell’Arte dei Beccai in Firenze, il sindaco di Firenze, DARIO NARDELLA, ha annunciato l’intenzione del Comune di supportare e sostenere l’Accademia della Fiorentina nel processo di candidatura per l’inserimento della Bistecca nella lista del Patrimonio Immateriale UNESCO.

La notizia ha avuto grande risonanza e Regione Toscana, Comune di Firenze e Accademia della Fiorentina hanno siglato un accordo per promuovere un Comitato promotore a base ampia, comprendente i principali operatori della fi liera, Università ed enti di ricerca ed associazioni di cittadini, al fi ne di proporre il dossier alla Commissione nazionale italiana per l’UNESCO. Com’è noto, per accedere alla lista dei patrimoni dell’umanità, l’elemento deve costituire un patrimonio culturale intangibile, tramandato attraverso tradizioni ed espressioni orali, deve incoraggiare il dialogo tra le comunità, non deve confl iggere con principi etici universali, le comunità locali che lo sostengono devono riconoscersi ed identifi carsi nell’elemento e predisporre misure di salvaguardia che ne garantiscano la sostenibilità nel tempo.

Come primo passo il Comitato ha analizzato il contesto storico del prodotto rilevando che molto era stato scritto ma non riconosciuto dai vari strumenti di valorizzazione gastronomica e culturale regolamentati a livello europeo o nazionale. Si è deciso dunque di seguire un percorso a tappe: la prima è stata appunto l’iscrizione all’elenco nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali, nel quale sono descritti gli elementi storici e tradizionali dell’allevamento dei bo-

La Fiorentina è il risultato di un processo articolato che parte dalla passione degli allevatori toscani, che ha le radici nell’assetto poderale rinascimentale e vanta una cultura profonda trasmessa nei secoli, la maestria dei beccai, che attraverso la cura e l’attenzione giornaliera valorizzano la carne nelle loro mani portandola alla maturazione ideale per essere poi cotta da sapienti cuochi

La Bistecca alla fi orentina dell’Antica Macelleria Cecchini in quel di Panzano in Chianti (FI). All’ingresso c’è una lapide con tanto di foto: “Ridotta invalida / preferì la morte / In memoria della bistecca alla fi orentina / scomparsa prematuramente / il 31 marzo 2001”. Sono trascorsi 20 anni e questa bistecca che è il rito della Toscana è più viva che mai (photo © instagram. com/dariocecchinimacellaio).

vini, delle tecniche di maturazione e taglio della carne, della cottura e dell’impiattamento della Fiorentina senza intervenire sui meccanismi di protezione che sono disciplinati da altre regole a livello europeo.

La seconda tappa si prefi gge di considerare quali strumenti possano essere adottati per valorizzare e proteggere questo simbolo nei confronti della contraffazione, particolarmente diffusa nel settore alimentare, salvaguardando le fi liere che con grande diffi coltà sostengono produzioni di qualità nei territori.

Per raggiungere l’obiettivo il Comitato potrà avvalersi di alcuni strumenti disponibili fra cui le denominazioni che possono essere attribuite a prodotti le cui caratteristiche peculiari qualitative dipendono essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui sono stati prodotti (DOP), oppure dove almeno una tra le fasi di produzione, trasformazione e/o elaborazione avviene all’interno in un’area geografi ca determinata (IGP).

Un’altra possibilità potrebbe essere il marchio che contraddistingue prodotti specifi ci che siano caratterizzati da composizioni o metodi di produzione tradizionali. Le cosiddette Specialità Tradizionali Garantite (STG), ovvero quei prodotti agricoli e alimentari che abbiano una produzione o composizione “specifica” (cioè differente da altri prodotti simili) e “tradizionale”(cioè esistente da almeno 30 anni), anche se non prodotti necessariamente in una determinata zona. In quest’ambito, il passo fatto per l’iscrizione all’elenco nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali rappresenta un valido punto di partenza.

Giovanni Brajon Andrea Giuntini Riferimenti bibliografi ci

Decreto Legislativo 30 aprile 1998 n. 173, Disposizioni in materia di contenimento dei costi di produzione e per il rafforzamento strutturale delle imprese agricole, a norma dell’articolo 55, commi 14 e 15, della Legge 27 dicembre 1997, n. 4492. Regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del

Consiglio del 21 novembre 2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari. Reg. (CE) n. 999/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, recante disposizioni per la prevenzione, il controllo e l'eradicazione di alcune encefalopatie spongiformi trasmissibili. Regolamento (CE) n. 357/2008 della Commissione del 22 aprile 2008 che modifi ca l’allegato V del Reg. (CE) n. 999/2001 del

Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni per la prevenzione, il controllo e l’eradicazione di alcune encefalopatie spongiformi trasmissibili. Decreto Ministeriale 3 marzo 2021,

XXI revisione dell’Elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali ai sensi dell’articolo 12, comma 1, della Legge 12 dicembre 2016, n. 238. PELLEGRINO ARTUSI (1891), La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene,

Giunti, 2003, Scheda n. 556, Bistecca alla Fiorentina, p. 175. PETRONI P., Il libro della vera cucina fi orentina, Ed. Bonechi, 1974, p. 85-86. ACCADEMIA DELLA CRUSCA, Lessicografi a della crusca in rete, Ed. 5, Vol. 2, p. 200. PINTUS S., Elogio della bistecca. La fiorentina dalla Chianina alla tavola. Storia, ricette, curiosità, 2a edizione, Street Lib., 2016. BRAJON G., BOZZI R., NANNUCCI L.,

CROVETTI A. (2018), La produzione di carne bovina in Toscana: andamento nel periodo 2010-2016,

RIVISTA DI AGRARIA, n. 284 del 15/9, www.rivistadiagraria.org/ articoli/anno-2018/la-produzione-carne-bovina-toscana-andamento-nel-periodo-2010-2016

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