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Giovanni Papalato

Hi, How Are You, Daniel Johnston

Diversità come Identità

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di Giovanni Papalato

Ho visto uno degli ultimi concerti, prima della pandemia ad inizio 2020, in un bellissimo appartamento all’interno di un palazzo storico nel centro di Bologna. Come sempre si poteva accedere tramite una prenotazione, ma quella sera era diverso perché eravamo insieme, spettatori e musicisti. Un’empatia speciale. Era un tributo a DANIEL JOHNSTON e tutti eravamo lì per ascoltare le sue canzoni, reinterpretate sì, ma le sue canzoni. Un artista che è più famoso per essere stato supportato, tra i tanti musicisti, da KURT COBAIN, che indossava spesso una t-shirt con la copertina di un suo disco, che per la musica che ha scritto e pubblicato.

Il disco sulla maglietta era “Hi, How Are You”, che contiene anche Walking The Cow. Una sorta di Madeleine de Proust in bassa fedeltà, una canzone struggente sull’innocenza lontana, sui dubbi dell’esistenza, sullo smarrimento proprio ad ognuno di noi.

Il titolo è il ricordo di un’illustrazione su un involucro per il gelato Blue Bell, che raffi gurava una bambina che conduce una vacca per le redini. Un marchio texano, stato in cui Johnston si trasferì diciannovenne e dove un bovino dalle lunghe corna a manubrio ne è uno dei simboli più iconografi ci. La Texas Longhorn è una delle razze più imponenti ed ecologiche. La sua carne ha un sapore intenso, legato alla sua selvaticità, ma con una nota dolce.

I primi esploratori portarono nelle Americhe, a partire da fi ne Cinquecento, una razza iberica selezionata di origine mediorientale. Il radicale cambiamento ambientale

Texas Longhorn (photo © 2016 Quinn Calder).

consentì a questi animali di recuperare alcuni tratti ancestrali che gli allevamenti selettivi avevano accantonato ma non estirpato, oltre a fortifi carne la resistenza.

Nell’Ottocento i capi furono convogliati in Texas assieme ad altre razze indiane ed europee più grasse, preferite per la produzione di sego, per ottenere carne, cuoio grezzo e forza lavoro. Le corna non adatte al trasporto nei vagoni ferroviari e successivamente ai feedlot compromisero l’allevamento e la portarono a rischio estinzione.

In Texas invece Daniel Johnston ci arrivò dopo una delusione d’amore e un crollo nervoso che segnarono una mente già provata. Una diversità marcata come le corna di una Longhorn. Un paragone che sembra una forzatura, ma che vive di una comune straordinaria identità. Per cercare di spiegarlo occorre partire dall’inizio.

Nato in una famiglia metodista, è molto legato alla Bibbia, ai sui simboli come alle sue narrazioni. Il suo immaginario si completa attraverso gli album di fumetti che hanno per protagonista Capitan America e i dischi dei Beatles. Compone e interpreta canzoni per lungometraggi che autoproduce assieme ad audiocassette che regala.

Il primo disco, Songs Of Pain, registrato in garage con un mangiacassette da 59 dollari e costituito solo dalla sua voce e un organetto, nasce da un grande trauma affettivo: l’amore non corrisposto per Laurie, che sposa un imprenditore suo conoscente.

Daniel ha un primo forte crollo nervoso. Abbandona la scuola d’arte e si unisce ad un luna park itinerante come venditore di pop corn. Si trasferisce infi ne ad Austin dove, vivendo di lavori saltuari ma continuando a suonare, diventa una sorta di local hero.

Nel 1983 esce Hi, How Are You?, uno dei suoi dischi più importanti. Fortemente condizionato da un nuovo crollo nervoso è un disco frammentato e surreale, toccante. È un grande disco che non comanderà mai le classifi che, non vivrà mai un amore convenzionale, perché parla un linguaggio complicato nella sua disarmante sincerità. È ancora più diffi cile entrarci perché è fi glio di uno stato di disordine mentale, si perde e si ritrova senza soluzione di continuità.

In trenta minuti si svolge un micromondo di eterogenea emozione che si apre con Poor You, una fi lastrocca a cappella che dipana depressione e allucinazioni, mentre Big Business Monkey è un sincopato attacco al capitalismo fatto di voce infantile e accorata su linee melodiche di un organetto battuto e suonato.

I Picture Myself With A Guitar, una ossessione in 45 secondi in una mononota, fa pensare alla produzione artistica di Johnston in termine di disegni colorati a pennarello, tutti gli artwork dei suoi dischi ma anche tanti lavori che hanno raggiunto nel tempo quotazioni impensabili. Un universo spesso colorato ma che

Un giovane Daniel Johnston con una delle sue cassette fatte in casa (photo © www.sevendaysvt.com).

nascondeva tra extraterrestri e supereroi il contrasto tra idealizzazione e realtà, la frustrazione.

La copertina di questo album è

un alieno che cerca di comunicare, una dichiarazione di estraneità, la consapevolezza di essere visto come

diverso.

Nei pochi secondi di Nervous Love la domanda che dà il titolo al disco è urlata nel fi nale, distorta e sovraincisa, a sottolineare quanto la risposta da parte dell’autore sia dolorosa.

Se in Get Yourself Together finge di essere qualcun altro, in un drammatico tentativo di trovare pace tra il caos dei suoi pensieri, con Running Water si contrappone al fl usso dell’acqua corrente, non sapendo dove andare, bloccato delle sue insicurezze e dalle sue paure.

La sua personalità instabile gli impedisce di andare avanti e in Desperate Man Blues confessa di non aver più voglia di vivere.

È tutto frammentato, mischiato, alti e bassi emotivi messi a nudo. Sparso ma legato, parzialmente in sequenza, c’è un trittico di canzoni che menzionano Joe. Joe come diminutivo di Johnston, personifi cazione e il suo opposto, astrazione e transfer.

In Hey Joe prova a risollevarsi, motivando i personaggi della canzone Joe, Jack, Sid e George. Ognuno di loro è rimasto bloccato nel fango e lui canta per aiutarli/aiutarsi a credere in un domani migliore. Al termine del brano, Joe ha seguito il consiglio di Daniel e non si arrenderà senza combattere.

Il cuore di questa ideale trilogia è Keep Punching Joe dove interagisce letteralmente con Desperate Dan di JOHNNY DANKWORTH, in una sorta di metanarrazione, utilizzando anche i titoli dei brani precedenti. Prima mette in scena una sorta di programma televisivo nel quale interpreta sia il conduttore che l’ospite, poi, mentre il brano suona, non in sottofondo ma proprio a livello di back band, canta: I been singing the blues, and walking the cow

I tell you my soul’s like running water

Hot or cold now one or the other

I guess I lean toward the excessive

But that’s just the way it is when you’re a manic-depressive An angel appeared to me Told me if you want love, you gotta give Let me tell you now, it’s been a long hard summer

And I feel every bit, every bit more dumber

Don’t know where it is I’m gonna go

Heard someone say keep punching Joe Keep punching Joe Keep punching Joe”.

La sua famiglia, la consapevolezza della sua mania depressiva, l’immaginario religioso, il ricordo dell’infanzia, l’automotivazione, lo smarrimento, gli altri, l’identità tra Joe/Daniel e Johnny Dankworth, l’esortazione a continuare a pic chiare/dare pugni/spingere riferito alla vita come al ritmo del brano, quello swing che invece di far ballare suona grottesco è straziante. Ma keep punching Joe è un tragico doppio senso, può assumere una valenza passiva.

Nella conclusiva No More Punching Joe, infatti, Johnston sembra emanciparsi e in una sorta di gospel-spoken blues sovrainciso dichiara che non tollererà più di essere bullizzato.

Arriveranno altri album dopo questo, alcuni migliori di altri, collaborazioni importanti, date in giro per il mondo fi no alla sua morte per arresto cardiaco nel 2019, a 58 anni. “Hi, How Are You?” rimarrà sempre un album da cui non si può prescindere per intensità e bellezza perché Daniel Johnston è stato un lottatore atipico nei modi, ma di rara forza e capacità.

Chi scrive ci tiene a sottolineare come la bipolarità, la morbosità religiosa, l’iperattività compositiva e produttiva indissolubilmente connesse ad un costante impulso autodistruttivo e l’esecuzione approssimativa non debbano mai far dimenticare la sua lucida coscienza artistica.

La sua cifra stilistica ha aperto un sentiero espressivo che ha coinvolto e ispirato artisti di scene e generi diversi, dando valore ad un sottogenere, il Lo-Fi, che non conosce limiti.

Giovanni Papalato

Nota

A pag. 154, photo © Lucio Pellacani.

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