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Salsiccia al ceppo, un presidio slow alle pendici dell’Etna
di Chiara Papotti
La Sicilia è la regione italiana che ha ottenuto il maggior numero di presidi Slow Food: sono 51. In ordine di tempo, l’ultimo a venire annunciato è quello della Salsiccia al ceppo di Linguaglossa. Ci troviamo in provincia di Catania, sul versante nord-orientale dell’Etna, più precisamente nei comuni di Linguaglossa, Castiglione di Sicilia e Piedimonte Etneo. Questa particolare preparazione prende il suo nome dal ripiano sopra al quale la carne viene lavorata: un enorme ceppo di quercia, ricavato dagli alberi coltivati nei terreni di origine vulcanica, tipici di queste terre. Se ben utilizzato, il ceppo dura decenni. Quando diventa poco uniforme in superficie, viene livellato con grande attenzione da ebanisti locali, per salvaguardare mestieri e arti della tradizione.
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I maiali da cui proviene la materia prima per la produzione del presidio sono nati e allevati in Sicilia e alcuni allevamenti si distinguono per essere autosufficienti nella produzione di orzo, favino e mais, necessari per l’alimentazione del bestiame. Negli ultimi anni è cresciuta considerevolmente la ricerca di allevamenti non intensivi, attenti al benessere animale e alle filiere biologiche. La carne, di altissima qualità, viene sminuzzata a coltello e impastata a mano. Viene, quindi, insaporita con pepe nero macinato fresco, sale e semi di finocchietto selvatico raccolto sul vulcano.
A questa preparazione di base gli artigiani delle carni aggiungono il loro tocco personale: c’è chi aggiunge provola stagionata, chi pomodoro semisecco, chi un pizzico di cipollotto. Ognuno prepara dosi differenti delle singole carni secondo il proprio gusto, l’ispirazione e la disponibilità stagionale delle materie prime.
«La particolarità di questa salsiccia riguarda il modo in cui trattiamo la carne» spiega ANTHONY RUSSO, referente dei tre produttori che finora hanno aderito al presidio. «Usiamo una lama chiamata partituri, una sorta di mannaia, con cui sminuzziamo cinque tagli del maiale, la coscia, la pancetta, il lardo, il capocollo e la spalla, sopra il legno di quercia. Il nostro è un lavoro interamente artigianale e utilizzare il ceppo è importante perché, in questo modo, la carne assume un sapore differente rispetto a ciò che accade negli insaccati industriali, dove la macinazione avviene ricorrendo a macchinari».
Si capisce che l’impasto è amalgamato perfettamente dal suono che fa tra le mani del macellaio e dal fatto che si possa “tenere tutto a palla infilato in un dito”. Arrivati a questo punto, il pesto si insacca in un budello di origine naturale e si lega con lo spago, formando corde di salsicce lunghe circa due metri. Generalmente la salsiccia al ceppo si consuma fresca e cotta, ma in alcuni casi la si può trovare essiccata, dopo un riposo di 20-25 giorni in luogo asciutto e ventilato. La ricetta classica che la vede protagonista è
“caliceddi e sasizza”, ossia salsiccia alla brace con i caliceddi, una verdura spontanea, poco conosciuta, ma molto diffusa sulle pendici del vulcano, che si sbollenta e si passa velocemente in padella.
La tradizione della lavorazione al ceppo è rimasta salda solo nel comune di Linguaglossa: qui, ancora oggi, i macellai lavorano su questo grande piano di legno con la loro personale ricetta, come ci racconta il più anziano di loro, che ha iniziato a otto anni salendo sopra un piccolo sgabello per arrivare al ceppo, dove disossava maiali e impastava la salsiccia.
Il presidio è nato per difendere e promuovere questi saperi unici della tradizione, affinché le straordinarie competenze degli esperti artigiani non vadano perdute, rappresentando una grande risorsa sia sul piano culturale che economico.
L’urgenza di un ricambio generazionale in questo settore è fondamentale, non solo per la sopravvivenza del “saper fare”, ma anche per il potenziale innovativo che le nuove generazioni, esperte di nuove tecnologie e mezzi di comunicazione, possono apportare per custodire le radici da cui provengono e divulgare l’unicità delle identità locali.