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Filiera carne, scenari e prospettive

Secondo la DGSante è diffi cile valutare con precisione in che misura i sistemi di etichettatura sul benessere portino un miglioramento signifi cativo nella vita degli animali, a causa dell’assenza di una chiara baseline, di un monitoraggio limitato e dell’assenza di valutazioni. Stabilire un collegamento chiaro e diretto tra i miglioramenti del benessere degli animali e gli schemi di etichettatura è quindi stato impegnativo (photo © RSPCA Assured).

animali evidenzia la complessità delle questioni relative a costi e ricavi degli operatori e alla disponibilità a pagare dei consumatori.

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L’analisi dei differenziali di prezzo al consumo tra prodotti etichettati e prodotti convenzionali (senza indicazioni sul benessere degli animali) mostra che il prezzo è generalmente, sebbene non sempre, più elevato per i prodotti con indicazioni sul benessere degli animali. La differenza di prezzo all’interno di un campione di prodotti varia da nessuna al 94%. Inoltre, i prodotti biologici (usati come confronto in quanto forniscono anche un maggiore benessere degli animali) mostrano sempre un sovrapprezzo rispetto ai prodotti convenzionali. I fattori che determinano queste differenze sono molteplici e sembrano svolgere un ruolo minore rispetto ad altri fattori, come la domanda, se i prodotti vengono trasformati o meno e le strategie di prezzo dei rivenditori. Esistono grandi variazioni tra Paesi, settori e categorie di prodotto.

Le dinamiche della catena di approvvigionamento e le strategie di prezzo signifi cano che guadagni e perdite non sono distribuiti equamente tra gli attori della catena di approvvigionamento. Vi è una notevole incertezza sulle specifi cità della distribuzione del valore, in particolare nelle fasi di trasformazione e vendita al dettaglio. Ciò ha a che fare col modo in cui i sottoprodotti vengono generati e quindi prezzati dai trasformatori, il modo in cui i rivenditori recuperano i margini persi su alcune categorie di prodotto aumentandoli su altre categorie e la gamma di costi sostenuti dagli operatori stessi. Gli agricoltori tendono a essere ricompensati per i maggiori costi di produzione, ma non è chiaro se tale compensazione sia suffi ciente per consentire loro di realizzare un profi tto maggiore rispetto ai prodotti non etichettati. I trasformatori, al contrario, hanno l’opportunità di ricavare margini aggiungendo valore al prodotto, e ciò avviene in particolare in relazione ai sottoprodotti (in particolare per i prodotti lattiero-caseari) ma anche generando diversi tagli per la carne, che poi vengono venduti a sovrapprezzo a rivenditori. I dettaglianti sembrano benefi ciare maggiormente dei prezzi più elevati pagati dai consumatori per prodotti con maggiore benessere.

Se un’iniziativa a livello dell’UE venisse attuata su questo argomento, il suo impatto sul prezzo al consumo dipenderebbe in gran parte dalla struttura dei prezzi esistente in ciascun Paese, dalle strategie di prezzo nelle catene di approvvigionamento, dalla linea di base delle pratiche di benessere degli animali in quei Paesi e dagli standard di benessere degli animali richiesti. Allo stesso modo, l’impatto di qualsiasi iniziativa di etichettatura sulla distribuzione del valore dipenderebbe dal modo in cui opera ciascuna catena di approvvigionamento. Entrambi variano ampiamente tra i settori, i prodotti e gli Stati Membri, in funzione del tipo di rapporto fornitore-acquirente e della misura in cui i produttori sono organizzati o meno per raggiungere il potere contrattuale. Non rientrava nell’ambito del presente studio effettuare un’analisi di questi fattori.

Il modo in cui i consumatori risponderebbero a prezzi più elevati è un’altra questione. L’evidenza suggerisce che i consumatori che dichiarano che prenderebbero in considerazione il benessere degli

animali quando fanno acquisti non sono sempre disposti a pagare un prezzo più alto per prodotti a maggiore benessere. Chi lo è, pagherebbe un premio non super ore a quello dei prodotti biologici. Tuttavia, la disponibilità a pagare aumenta se i consumatori sono informati sulle condizioni dell’allevamento e se ritengono che un prodotto sia di qualità superiore. Pertanto, oltre a soluzioni testate in alcune catene di approvvigionamento per mantenere al minimo gli aumenti di prezzo, esistono soluzioni di marketing per aumentare la disponibilità dei consumatori a pagare per prodotti a maggiore benessere.

Questo studio fornisce informazioni limitate sull’entità dell’impatto che un’iniziativa dell’UE sull’etichettatura del benessere avrebbe sull’effettivo benessere degli animali d’allevamento. Tuttavia, osservazioni generali mostrano che una percentuale signifi cativa dei sistemi di etichettatura esistenti in Europa copre l’intera durata della vita degli animali, incorporando standard per il benessere in azienda, durante il trasporto e la macellazione. Pertanto, esistono precedenti per la potenziale introduzione di uno schema a livello dell’UE che copra tutte le fasi.

Allo stesso modo, lo stato dei lavori indica che esistono precedenti da cui attingere per tutte le principali specie allevate nell’UE, nonché un’ampia varietà di sistemi di produzione, poiché i 51 schemi di etichettatura documentati in questo studio coprono le varie specie e tipi di allevamento di produzione nell’UE. Inoltre, la maggior parte degli schemi esaminati include requisiti che vanno oltre la legislazione esistente e utilizzano revisori di terze parti per i controlli.

Certamente si può affermare che un sistema di etichettatura rela-

tivo al benessere animale potrebbe contribuire ad una migliore conformità alla legislazione sul benessere, introducendo controlli aggiuntivi rispetto a quelli effettuati dalle

autorità nazionali competenti. I regimi con un approccio multilivello fi sserebbero il loro livello più basso solo marginalmente al di sopra della legislazione dell’UE, quindi aumenterebbero i loro requisiti per ciascun livello. Ciò può implicare che le etichette che utilizzano uno schema multilivello potrebbero non fornire un miglioramento su larga scala a meno che non includano incentivi affi nché gli agricoltori migliorino le loro pratiche nel tempo.

I risultati dello studio mostrano anche che, vi è una chiara domanda

dei consumatori che attualmente non viene soddisfatta e una chiara necessità di sensibilizzare e semplifi care lo stato attuale dei sistemi di

etichettatura con indicazioni sul benessere degli animali nell’UE.

Nota

1. Lo studio completo è disponibile al link: op.europa.eu/en/publicationdetail/-/publication/49b6b125b0a3-11ec-83e1-01aa75ed71a1/ language-en

Secondo il Rapporto Censis, il 78% degli Italiani teme la perdita del potere di acquisto, per il 55% la priorità è contenere il prezzo dell’energia e l’85,6% dice no alla carne sintetica. Per UNAItalia e ASS.I.CA.: “i consumatori vogliono la sostenibilità ma senza maggiori costi. Serve programmare la transizione ecologica e dare garanzie al comparto agroalimentare che paga gli effetti indiretti della guerra e dei rincari”

La crescita dei costi di produzione, a partire da quelli della fase zootecnica, che nei primi due mesi del 2022 registrano un +12,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, passando per quelli di energia e gas, quadruplicati nel 1o bimestre dell’anno in corso rispetto allo stesso periodo 2021, e per tutti i cosiddetti costi accessori di produzione (plastica, pallet, cartoni, trasporti, ecc…), mette a dura prova il settore avicolo e quello suinicolo, che fanno i conti anche con le conseguenze della crisi ucraina e l’impegno verso una transizione ecologica in linea con le richieste dell’UE e del Green Deal. ASS.I.CA. e UNAItalia hanno analizzato le criticità del momento alla luce dei risultati del Rapporto CENSIS. “Per il

buon uso del recovery fund nel rilancio

delle fi liere della carne”. Il documento, presentato lo scorso 13 aprile nella Sala stampa estera a Roma, certifica le reali aspettative dei consumatori alla luce degli effetti economici e sociali delle emergenze e della crescente centralità della sostenibilità ambientale.

Il rapporto evidenzia come la maggioranza degli Italiani consideri la carne parte integrante della propria alimentazione, sia attento alla sostenibilità, purché senza maggiori costi, e tema di perdere

capacità di acquisto. Per questo, secondo ASS.I.CA. e UNAItalia, la transizione ecologica deve essere ben programmata, per evitare di mettere a rischio due comparti strategici dell’agroalimentare da 13,9 miliardi di euro e 93.900 addetti, che assicurano ogni giorno beni di prima necessità ai cittadini. Ma anche per evitare che l’infl azione (a marzo +6,7% su base annua, stime ISTAT) e i costi della transizione si ripercuotano sui consumatori che — come emerge dal Rapporto — sentono già minacciato dalle emergenze il proprio potere di acquisto (78%).

Il 94,5% ritiene necessario dare molta più attenzione alla sostenibilità sociale ampiamente intesa, come benessere delle persone e condizioni dei lavoratori. Per il 63,6% degli Italiani, infatti, prima di passare alle energie verdi e rinnovabili occorre valutarne il costo per imprese e famiglie. E per il 54,9% oggi la priorità è contenere il prezzo dell’energia.

«Le fi liere della carne vogliono e devono essere parte integrante della transizione ecologica e le associazioni che rappresentiamo lavorano sempre più in collaborazione per favorire tutte le sinergie utili in questa delicata fase storica» sostengono i presidenti di ASS.I.CA. e UNAItalia

Ruggero Lenti, presidente di ASS.I.CA., Antonio Forlini, presidente di UNAItalia, e Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis.

RUGGERO LENTI e ANTONIO FORLINI. «Quella della sostenibilità è una strada già intrapresa da tempo dai nostri comparti e su cui ad oggi le aziende associate hanno già effettuato ingenti investimenti con fondi privati e avviato progetti come Made Green in Italy per certifi care in etichetta le aziende che producono carne suina in modo sostenibile.

Occorre ora stringere i tempi e attuare interventi di emergenza per sostenere i consumi e alleggerire i costi di produzione, salvaguardando la marginalità delle imprese. È ora

più che mai necessario dare garanzie al settore agroalimentare, lungo tutta la fi liera, che sta pagando i rincari dei prezzi delle materie prime e dell’energia e rischia di dover ridimensionare attività e occupati se dovesse innescarsi una brusca

riduzione dei consumi. Abbiamo bisogno che le istituzioni ci aiutino a garantire cibo per tutti, a prezzi sostenibili, con minore impatto ambientale. Per farlo il pilastro è la sostenibilità economica e sociale delle nostre imprese. Altrimenti non c’è partita».

Per UNAItalia e ASS.I.CA. occorre una seria e approfondita valutazione dell’impatto della strategia From Farm to Fork, che secondo alcuni studi internazionali provocherebbe un crollo della produzione alimentare UE fi no al 25% e un’ulteriore esplosione dei prezzi dei beni alimentari di prima necessità. «Appoggiamo il ministro Patuanelli sulla proposta di posticipare di un anno la data di entrata in vigore della nuova PAC (1o gennaio 2023) — dichiarano i due presidenti — che non tiene conto di uno scenario totalmente mutato».

«La ricerca — dice MASSIMILIANO VALERII, direttore generale del CENSIS — mette in evidenza come gli Italiani apprezzino le produzioni sostenibili ma che la priorità per loro è il benessere: bloccare il caro ener-

No alle presunte alternative

Per il 79,9% degli Italiani la carne fatta con prodotti vegetali non può essere considerata carne: per questo vogliono che siano proposti chiaramente come prodotti distinti e diversi da quelli della carne. Lo sforzo promozionale per la carne prodotta in laboratorio — secondo Censis — non conquista quindi gli Italiani: l’85,6% dichiara di non volere cibi fatti in laboratorio, ma da agricoltura e allevamenti tradizionali. Altra alternativa che non convince sono gli insetti, con l’83,9% che non è disposto a mangiarli. Gli Italiani non vogliono ambiguità lessicali e informative: per il 93,4% occorre sempre distinguere in modo inequivocabile nelle etichette i prodotti di carne da animali allevati in modo tradizionale e quelli di carne sintetica creata in laboratorio. Importante l’economia circolare: il 90,5% valuta positivamente le imprese e i prodotti che utilizzano materiali che possono essere recuperati e riciclati. Un fattore comune a tutti i livelli d’istruzione è infi ne conoscere la provenienza della carne che si consuma e il benessere animale: indipendentemente dal titolo di studio, il 94,1% per i prodotti della carne vuole indicazioni su provenienza e trattamento degli animali.

gia e preservare la capacità di acquisto. Se sostenibile vuol dire meno benessere allora gli Italiani non ci stanno. Il 67,9% ritiene prioritaria la tutela del benessere economico e sociale rispetto alla sostenibilità ambientale. Ed è diffuso il pragmatismo tra i giovani, dove la percentuale sale al 75,3%. Certamente — conclude Valerii — sono idee condizionate dagli avvenimenti in corso, considerato che per il 75,3% degli Italiani bisognerà abituarsi a nuove emergenze nel futuro». E si conferma anche la già per cepita contrarietà degli Italiani all’inflazione dei prezzi dell’energia, quale che ne sia la ragione, perché colpirebbe la sostenibilità economica e sociale. Dai dati dell’indagine, emerge che

gli Italiani sono pronti a cambiare abitudini solo se i benefi ci saranno superiori ai costi: ci si adatterà a uno stile alimentare più sostenibile purché non incida negativamente sul proprio benessere e sulla capa-

cità di spesa.

«È fondamentale che l’Unione Europea non imponga misure miopi — dichiara Antonio Forlini — che mettano a rischio produzioni come quella delle carni avicole che oggi risultano le più consumate dagli Italiani e in UE. Riducendo la produzione metteremmo a rischio un settore oggi totalmente made in Italy e autosuffi ciente al 107,5%, in un momento in cui occorre invece rafforzare la sovranità alimentare europea e salvaguardarsi dal rischio di import da Paesi Terzi che non hanno i nostri standard in tema di benessere animale e sicurezza alimentare».

«La guerra ha fatto peggiorare una condizione per le imprese già emergenziale: l’aumento dei costi

di produzione di tutti gli anelli della fi liera, aggravato dalle diffi coltà di approvvigionamento, rischia di far lievitare una pericolosa spirale infl attiva» dichiara Ruggero Lenti. «A questo si aggiungono la minaccia della PSA, malattia veterinaria che espone a rischio gli allevamenti suinicoli e compromette l’export verso Paesi Terzi, e la scarsa chiarezza sull’applicazione del nuovo DLgs in materia di pratiche sleali, che rischia di reintrodurre dalla fi nestra le cattive abitudini di pagamento che tanto faticosamente erano state allontanate con l’articolo 62, rischiando così di aggiungere ulteriori oneri fi nanziari alla già diffi cile situazione economica delle aziende. Mai come oggi appare dunque prioritaria la convocazione del tavolo

di fi liera suinicolo che coinvolga rappresentanti del

mondo mangimistico e della GDO già richiesto l’11 marzo scorso e sul quale attendiamo rassicurazioni dal ministro Patuanelli».

Censis: gli Italiani amano la carne perché fa bene alla salute ed è chiaro e forte il loro no a fake news e carne sintetica (85,6%). Sì invece alla chiarezza in etichetta e ai materiali riciclati

Secondo i dati del CENSIS, le reiterate campagne denigratorie sulla carne non scalfi scono il buonsenso degli Italiani: l’82,5% dichiara esplicitamente che la giusta quantità di carne bianca e rossa è componente fondamentale di una buona alimentazione e perché parte della Dieta Mediterranea. E il 64,9% non si fa condizionare da eventuali informazioni negative o fake news sul tema. «La reiterazione incessante di semplifi cazioni e infondatezze su produzione e consumo di carne — afferma il DG Censis Valerii — non fa breccia nel corpo sociale, e ne sono più impermeabili i giovani (67,9%) ed i laureati (67,3%). Di fatto, la maggioranza degli Italiani si è formata una propria idea sulla produzione e sul consumo di carne, che resiste ai condizionamenti esterni ed alla proliferazione di informazioni negative. E infatti il 61,3% è contrario all’idea che si debba smettere di produrre carne e chiudere gli allevamenti perché si salverebbe il pianeta dal riscaldamento globale: il 30,6% la considera una delle tante fake news che circolano sul settore e per un ulteriore 30,7% è una minaccia perché si colpisce un intero settore e un alimento importante. Solo il 25% ritiene veritiero il nesso tra allevamenti e produzione di carne e riscaldamento globale, mentre il 13,7% non ha una opinione precisa in merito».

Oggi il 96,5% dei cittadini dichiara di mangiare carne: il 45,9% regolarmente e il 50,6% di tanto in tanto. Gli Italiani sono inoltre consapevoli che la fi liera della carne si è evoluta e modernizzata: nessuno è convinto di mangiar carne con le stesse caratteristiche di quella di 30 anni fa. A sorpresa, a mangiare con regolarità carne sono soprattutto i giovani (62,8%), con quota più alta di quella di anziani (30%) e adulti tra i 35 e il 64 anni (47,7%). Fonti: UNAItalia, ASS.I.CA.

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