EUROCARNI
Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali â‚Ź 5,42
Anno XXXI N. 9 • Settembre 2016
Reparto carni: le categorie Carni surgelate, consumi RUGIATI e la Carne Perfetta
Suinicoltura 2015
Una Storia di Famiglia
9/16 Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl
Stampa
EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali
EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD
Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi
Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.eurocarni-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985
Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi
Tariffe abbonamenti Annuale (12 numeri): Italia € 65,00 – Estero € 85,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910
Comitato di redazione Gianni Mozzoni (Legacoop) – Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Redazione Bruxelles Jean-Luc Meriaux: UECBV, rue de la Loi, 81/A Box 9 B 1040 Bruxelles, Belgio Tel. +32 2 230 4603 – Fax +32 2 230 9400 E-mail: uecbv@scarlet.be Redazione New York Stefano Spadoni 1732 1st Ave #27220 – New York, NY 10128 Tel. +1 212 956-8566 E-mail: Stefanony@stefanospadoni.com Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Prof. Fausto Cantarelli – Prof. Carlo Cantoni – Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini – Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi – Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata – Prof. Sergio Ventura Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.
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EUROCARNI La prima rivista veramente europea
In questo numero: Agenda
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La carne nel mondo
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Immagini
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Naturalmente carnivoro
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Osservatorio internazionale Scenario a breve termine del settore suino nella UE e nuovi mercati di sbocco
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Slalom
La carne in rete
Sostegno al sistema bancario
Cosimo Sorrentino
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Unione Europea e Regno Unito: un divorzio difficile
Sergio Ventura
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Social meat
Elena Benedetti
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Con Simone Rugiati alla scoperta della “carne perfetta”
Elena Benedetti
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Grazie ad Amazon Prime Now la carne arriva a casa in un’ora Retail marketing
Reparto carni: la valorizzazione passa da un approccio di categoria
Raffaello Bernardi
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Elogio della carne
Carne equina, tradizioni e tabù
Riccardo Lagorio
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Consumi
Il consumo di carni e piatti pronti surgelati
Roberto Villa
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Indagini
Mai più dal campo alla pattumiera
Sebastiano Corona
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Mercati
Suinicoltura, l’andamento del settore nel 2015
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Avicoltura: un modello per le sfide della zootecnia italiana
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Aziende
La carne in tavola
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Gaia Borghi
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Il segreto della casseruola rossa
Giorgia Fieni
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La disfida dei torresani
Josette Baverez Blanco 80
Arriva sul mercato la linea “I Leggeri di Palmieri” con solo carni di pollo
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Tendenze
Cucinare con il wok
Nunzia Manicardi
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Macellerie d’Italia
Carpitella, a Mestre una macelleria metropolitana
Gian Omar Bison
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Macelleria Tetti: tanta strada per ottenere il meglio
Riccardo Lagorio
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Meat blogger
Sapere, saper fare e saper essere macellai
Andrea Laganga
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Hamburger tour
Ham Holy Burger inaugura il nuovo ristorante sulla Terrazza Termini a Roma
Tania Mauri
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Ristorazione
Roadhouse cresce ancora
Assemblee
Assemblea soci Araer, 2015 anno difficile ma positivo
Anna Mossini
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Associazioni
Slow Food festeggia un altro importante anniversario
Sebastiano Corona
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Fiere
Cibus Tec 2016: si annuncia un’edizione da record
Sicurezza alimentare
Richiamo di alimenti non conformi per la tutela dei consumatori
Marco Cappelli
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Piccole regole per una grande sicurezza alimentare
Giovanni Ballarini
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Tecnologie
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A Moduli verso la Smart MEAT Factory
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I porzionatori a peso fisso Marelec a Cibus Tec 2016
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Testo reinventa il monitoraggio di temperatura e umidità
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La Listeria è un problema? Ecco come risolverlo con la linea Flowfresh di Flowcrete
Stefano Perris
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Statistiche
Bilancio comunitario delle carni suine e dati 2016 sulla classificazione delle carcasse
Storia e cultura
Capra, ieri e oggi
Giovanni Ballarini
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Pasticcio alla ferrarese, nobile trionfo di carni in pasta frolla
Nunzia Manicardi
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Libri
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The Ethical Meat handbook
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Gli ovini da latte
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In copertina: macinato di manzo e maiale.
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AGENDA Londra, UK Meatopia è un Meat & Music Festival. La “Woodstock degli animali edibili”, così è stata ribattezzata dal suo fondatore Josh Ozersky, quest’anno è in calendario dal 2 al 4 settembre a Londra presso il Tobacco Dock. L’evento è un raduno super carnivoro tra gare di macellai, tra i quali anche il nostro Dario Cecchini dell’Antica Macelleria Cecchini di Panzano in Chianti, chef londinesi e internazionali, piatti di carne, musica live, dj set e demo di taglio. I prezzi variano dalle 15 alle 80 sterline. Da mezzogiorno alle 21.00/23.00 no-stop (photo © meatopia.co.uk). www.meatopia.co.uk
Monzuno (BO) L’appuntamento con la 7a edizione di Chef al Massimo, la grande festa enogastronomica organizzata dalla famiglia Zivieri per ricordare e onorare Massimo, titolare dell’omonima Macelleria, prematuramente mancato nel febbraio del 2009, è per domenica 4 settembre a Monzuno, Bologna. L’edizione 2016 è all’insegna della passione, dell’impegno e della ricerca che ogni giorno la famiglia Zivieri persegue tra attività in macelleria, macellazione e lavorazione delle carni nello stabilimento di Castel di Casio (BO) e nel punto di vendita e ristorazione RoManzo, allo storico Mercato di Mezzo, nel cuore del capoluogo emiliano. Una trentina di chef capitanati da Igles Corelli, amico di lunga data e grande estimatore delle carni degli Zivieri, lavoreranno in altrettante postazioni con fuochi e cucine attrezzate lungo tutto il paese di Monzuno e dalla tarda mattinata accoglieranno i partecipanti che avranno precedentemente acquistato i biglietti sul sito web. Di grande qualità sarà l’offerta di piatti a base di selvaggina, carne piemontese e Mora romagnola (photo © chefalmassimo.it). www.chefalmassimo.it
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Torino Dal 22 al 26 settembre saremo tutti a Terra Madre Salone del Gusto a Torino! Nuovo il format e nuova la location che non è più il Lingotto bensì il cuore della città. Moltissime quindi le novità di questa edizione, in cui si celebrano i 20 anni dalla nascita del Salone internazionale del Gusto e i 30 anni di attività di Slow Food in Italia. Il tema di Terra Madre Salone del Gusto 2016, Voler bene alla terra, racchiude in sé il cuore delle attività di Slow Food nel mondo. «Voler bene alla terra significa prendersene cura, occuparsene con gentilezza e amore: coltivare e custodire l’ambiente deve essere il segno distintivo di questo momento», commenta Carlo Petrini, presidente di Slow Food. «Serve una mobilitazione delle anime di tutti noi, un movimento globale che prenda in mano le disuguaglianze economiche ed ecologiche e si impegni per risolverle». Contadini, pescatori, artigiani, allevatori e cuochi di Terra Madre mostrano come il primo atto di amore per la terra sia seminarla con semi buoni, innaffiarla quando lo richiede, garantirne la fertilità, raccoglierne i frutti coltivati con rispetto, senza esigere più di quanto possa dare. www.salonedelgusto.com
Milano I Butchers for Children, l’associazione no profit dei macellai che raccoglie fondi per il sostegno di progetti benefici rivolti all’infanzia, saranno presenti domenica 25 settembre in viale Monza a Milano per una giornata carnivora all’insegna della festa e della solidarietà. L’evento è organizzato dalla Macelleria Maggio. www.macelleriamaggio.it goo.gl/7vVBMs
Beijing, Cina Si svolgerà a Beijing, in Cina, dal 27 al 29 settembre, la 14a edizione di China International Meat Industry Exhibition (CIMIE), la manifestazione fieristica che chiamerà a raccolta nella metropoli cinese migliaia di operatori del settore della carne. Il 26 settembre sarà invece dedicato alla World Meat Industry Development Conference, presso il Beijing International Convention Center. Tra i contenuti del convegno, al quale prenderanno parte anche i rappresentanti dell’International Meat Secretariat, le analisi del mercato internazionale delle carni, le politiche commerciali e i trend di mercato sulla produzione e sui consumi. Al pomeriggio si discuterà di carni suine, bovine, ovine e avicole, oltre che di macchinari e tecnologie. Tra le novità dell’edizione 2016 di CIMIE ci sono i Match-making Meat Business Talks, una serie di incontri tra le aziende di lavorazione e trasformazione delle carni cinesi e i principali fornitori esteri (photo © travelercorner.com). www.cimie.com – www.chinameat.org
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LA CARNE NEL MONDO
Bruxelles: iniziano i lavori del Meat Market Observatory Lo scorso 15 luglio, il Commissario all’Agricoltura UE Phil Hogan ha ufficializzato l’inizio dei lavori del Meat Market Observatory. Si tratta di un gruppo sviluppato all’interno della Direzione Agricoltura della Commissione europea, che è anche sito web e tag (#EU_MeatMO). Il suo obiettivo è quello di migliorare la trasparenza del mercato delle carni rosse, bovine e suine, aiutando gli operatori del settore ad intercettare i segnali dei mercati affondando meglio la volatilità dei prezzi. Questo osservatorio si può consultare on-line al sito web goo.gl/2xf4JV, che è strutturato in base alla tipologia di carne e che periodicamente viene aggiornato con prezzi, dati di produzione e consumo, oltre ad analisi di breve periodo realizzate con il supporto di un gruppo di lavoro di rappresentanti dei vari settori che compongono la filiera delle carni (fonte: ec.europa.eu/agriculture/ market-observatory/meat/index_en.htm; photo © epha.org).
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Cile e Cina: al via la campagna ChilePork Secondo i dati dell’Associazione dei Produttori di suini del Cile (ASPROCER), la principale destinazione delle esportazioni di carne di maiale nel 2015 era la Corea del Sud, con il 27% del totale, seguita da Giappone (22%) e Cina (16%). Tuttavia, nel 1o semestre 2016 il quadro è risultato diverso. Un riordino dei mercati ha fatto sì che il Giappone abbia superato la Corea del Sud, trasformando il gigante asiatico nel secondo più grande mercato delle carni suine cilene. «La Cina è un mercato con un enorme potenziale, ma con un elevato livello di concorrenza (solo la UE possiede l’80% della quota delle importazioni)» ha dichiarato RODRIGO CASTANON, direttore generale di Asprocer. Ecco perché è cruciale che si proceda ad ulteriori progressi sulla differenziazione, «legata alla salute degli animali, alla sicurezza, alla qualità organolettica, all’adattabilità alle esigenze del cliente e alla promozione». Per questo motivo gli esportatori hanno attivato una campagna chiamata ChilePork, che mira a posizionare la carne di maiale nel mercato cinese (fonte: www.asprocer.cl – 3tre3.it; photo © globalmeatnews.com).
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Settore avicolo mondiale Per il settore avicolo mondiale sono finiti i giorni di margini elevati, massima produzione e basso costo. La sicurezza alimentare, il benessere degli animali e l’impatto ambientale debbono essere le forze trainanti degli impianti avicoli moderni. Con l’aggiornamento delle gabbie per la produzione di uova, avvenuto in tutta Europa nel 2012, per gli allevatori e gli acquirenti è iniziata una nuova era. L’industria britannica delle uova ha speso circa 400 milioni di sterline per adattarsi ai nuovi sistemi di benessere, scegliendo strutture che dispongono di posatoi, aree di nidificazione, superfici anti-graffio e più spazio. I produttori, infatti, sono ben consapevoli che i consumatori prediligono alimenti prodotti con un’attenzione particolare al benessere animale e che numerosi politici spingono per applicare una rigorosa normativa in merito. La maggior parte degli agricoltori crede tuttavia che si metta sempre troppa enfasi sul metodo di produzione utilizzato piuttosto che su un’analisi effettiva dei livelli di benessere, che dovrebbe essere misurato sui sistemi di tutela e di gestione in atto nelle aziende e non solo sul metodo di produzione. Se ci fosse un sistema oggettivamente migliore di tutti gli altri, sarebbe ovvio adottarlo, ma non ne esiste uno in assoluto! Nel Regno Unito la produzione di uova free range è molto diffusa, dato che si adatta al clima locale, alle richieste dei consumatori e alle condizioni di mercato. In Spagna, la produzione di uova free range è di poco superiore al 4% della produzione totale, in Svezia arriva al 14% e in Germania, uno dei Paesi che maggiormente pone in primo piano il benessere degli animali, si sfiora il 25%. Non dobbiamo credere che le uova provengano da allevamenti con un numero limitato di galline che corrono nei campi dietro la casa colonica. Nel Regno Unito ogni giorno vengono sfamate oltre 64 milioni di persone che mangiano una gran quantità di cibo, tra cui un miliardo di uova al mese. Che ovviamente non possono provenire da industrie che allevano poche centinaia di galline. Il 14% delle aziende agricole dell’Unione Europea produce l’85% del cibo. Senza queste grandi aziende il mondo sarebbe più “affamato” e il cibo costerebbe molto di più. Secondo DUNCAN PRIESTNER, direttore dell’ufficio nazionale avicolo della National Farmer Unit, è giunto il momento di essere onesti: non c’è niente di sbagliato nelle grandi aziende alimentari, ma a volte è sbagliata la percezione che ne hanno l’opinione pubblica e i media (fonte: National Farmer Union – UNAItalia; photo © wired.com)
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IMMAGINI
Prezioso scrigno di cultura alimentare mondiale, l’Italia si distingue per l’alto grado di libertà che contraddistingue la sua tavola, ma la carne di cavallo continua a rimanere un tabù. I pregiudizi, i piatti della tradizione e, a fine settembre, il primo convegno a carattere nazionale sulle carni equine. Tutto questo nell’articolo di Riccardo Lagorio a pagina 40.
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CARNE DI MANZO
OSSERVATORIO INTERNAZIONALE
Scenario a breve termine del settore suino nella UE e nuovi mercati di sbocco
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ulla base dei dati riportati nel rapporto Short Term Outlook della Commissione europea e su fonti EUROSTAT, il patrimonio suinicolo europeo nel 2015 ha registrato una lieve crescita totale dello 0,3%. Un importante calo ha invece interessato le scrofe riproduttrici, il cui numero nel 2015 è diminuito del 2% rispetto al 2014. A registrare la diminuzione maggiore sono i Paesi a suinicoltura rilevante, tra cui spiccano Polonia (–14,8%), Paesi Bassi (–4,8%), Germania (–3,9%) e Francia (–2,3%); di converso, la Spagna ha registrato un aumento del 4,6%. Relativamente alla produzione suinicola, si registra un aumento del 3,6% a livello UE 28. Anche in questo caso spicca la Spagna con un aumento delle macellazioni del 7,6%.
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La tendenza al ribasso dei prezzi, innescatasi in seguito all’eccedenza di offerta a livello europeo, ha determinato l’attuazione di diverse strategie tra i produttori dei diversi Stati Membri. Mentre alcuni hanno scelto di ridurre la produzione a causa dei margini non remunerativi — nonostante la contestuale stabilità dei costi di produzione, con prezzi dei mangimi particolarmente accessibili —, altri si sono orientati verso un aumento della produzione, per cercare di coprire i costi di investimento sostenuti e di compensare il prezzo più basso. Nel complesso, tali strategie dovrebbero condurre ad una stabilizzazione della produzione di carni suine nel 2016, che la Commissione europea stima in leggero aumento (inferiore all’1%) nel 2017.
Il calo dei prezzi della carne nell’UE, un’evoluzione dei tassi di cambio favorevole per le esportazioni dell’Area Euro e l’aumento della domanda proveniente dall’Asia, sono alla base della crescita delle esportazioni di carne suina dell’UE del 2015 (+9%), in particolare verso la Cina. Per tutti i Paesi che esportano in Cina, i flussi di export sono raddoppiati o addirittura triplicati dall’inizio del 2015. Ciò è soprattutto riferibile ai Paesi Bassi, alla Francia, alla Germania, alla Spagna e alla Danimarca, che esportano in Cina carni suine fresche, refrigerate e congelate. Le previsioni per il 2016 annunciano che le esportazioni proseguiranno in espansione ma a ritmo più lento a causa soprattutto della maggiore concorrenza del Brasile.
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L’aumento esponenziale delle esportazioni brasiliane di carne suina verso la Cina, iniziato nel 2015, è proseguito anche nei primi mesi del 2016, quando Pechino è divenuto il terzo mercato di sbocco del Brasile per questo segmento di merci. Anche gli Stati Uniti, pur non registrando variazioni così importanti, continuano ad essere tra i maggiori concorrenti dei Paesi UE in Asia. La Cina è infatti il terzo Paese (dopo Messico e Giappone) in cui viene venduta la maggiore quantità di carne suina proveniente dagli Stati Uniti. Nel solo primo trimestre del 2016, in termini tendenziali, le esportazioni degli Stati Uniti verso la Cina, in quantità, sono aumentate del 284% in quantità. Per quanto riguarda l’Italia, in seguito all’apertura nel 2014 da parte Governo cinese verso alcuni prodotti lavorati di origine suina, le esportazioni italiane di preparazioni e conserve suine hanno registrato numeri in progressivo aumento, benché ancora modesti in termini
quantitativi. Nonostante le barriere di natura tariffaria e sanitaria ancora esistenti — atteso che le autorità cinesi autorizzano le importazioni di specifici prodotti caso per caso essendo legate alla sottoscrizione di protocolli bilaterali con il Paese di provenienza o all’accompagnamento di un certificato sanitari — il mercato cinese presenta delle potenzialità davvero notevoli. Le interessanti prospettive di crescita dell’export italiano di prodotti a base di carne suina nel mercato cinese sono legate all’aumento del potere d’acquisto e alla crescente evoluzione degli stili di vita dei consumatori. Va ricordato che l’Italia nel 2015 è il terzo Paese fornitore di preparazioni e conserve suine della Cina, con una quota di mercato in valore del 16%, dopo Spagna (36%) e Corea del Sud (27%). Seguono gli Stati Uniti, con una quota di mercato del 11%. I principali competitors dell’Italia nelle esportazioni di preparazioni e conserve suine nel mer-
cato cinese, mostrano una crescita esponenziale delle esportazioni in questo segmento. In particolare, una forte variazione ha interessato la Corea del Sud, con 1.173 tonnellate di conserve suine esportate nel 2015 rispetto alle 4 del 2010. Anche la Spagna ha registrato una variazione significativa, evidenziando la politica diretta a conquistare nuovi mercati per far fronte alla crisi del settore e ricollocare i prodotti destinati al mercato russo. L’aumento delle esportazioni di preparazioni e conserve suine ha interessato anche l’Italia che ha registrato registra, tra il 2010 e il 2015, una variazione positiva in termini di quantità esportate del 163%. Il trend positivo prosegue nel primo trimestre del 2016, in cui si osserva un aumento del 229% in quantità e del 173% in valore, rispetto allo stesso trimestre del 2015. Fonte: Tendenze Suino n. 1/2016 ISMEA, www.ismeamercati.it (Elaborazione ISMEA su dati IHS-Gta)
SLALOM
Sostegno al sistema bancario di Cosimo Sorrentino
È
sotto gli occhi di tutti che il sistema bancario italiano non stia passando attualmente giorni felici, soprattutto se si considera che nel primo semestre di quest’anno si è andata sempre più affermando la diminuzione del valore delle banche nazionali. Eppure, il nostro risparmio è sempre stato indicato (fino ad ora) come un esempio di solidità, in grado di sostenere la situazione economica generale del Paese, nonostante un debito pubblico in costante ascesa. Quello che viene imputato da più parti all’Italia è di non aver seguito lo stesso percorso di altri paesi comunitari, come ad esempio la Germania, che ha aiutato il proprio sistema bancario con circa
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250 miliardi di euro. Va detto che il nostro Paese deve confrontarsi con diverse situazioni sofferenti, come i cosiddetti “crediti deteriorati”, ovvero quelli che riguardano prestiti concessi alle imprese e alle varie attività economiche che, a causa della crisi persistente che ne ha penalizzato l’imprenditorialità, non sono state più in grado di restituire le somme pattuite. Secondo indagini approfondite questi crediti sarebbero difficili da stimare e ammonterebbero addirittura a una cifra ben più alta di quella assegnata loro dal mercato. Da parte sua la Banca Centrale Europea, sempre vigile, ha invitato alcune banche italiane, particolarmente sofferenti anche per motivi
connaturati ad una gestione non proprio da imitare, ad attuare in un triennio un piano di risanamento. La situazione è complicata e per risolverla non sembra possibile affidarsi al mercato o a eventuali investitori stranieri, che si guarderebbero bene dall’intervenire in una situazione così complicata. Una strada possibile potrebbe essere l’intervento pubblico, come del resto viene auspicato da più parti, ma l’eventuale intervento va negoziato in sede europea, che, com’è noto, non consente di concedere aiuti di stato. Esistono regole, quelle del cosiddetto bail in, secondo le quali gli azionisti che detengono obbligazioni subordinate e i correntisti detentori
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di oltre centomila euro sono tenuti a contribuire alla copertura delle perdite. Ma, al di là della situazione che bisognerà necessariamente affrontare con coraggio e celerità, dobbiamo per forza accennare ad altre realtà che non possono essere ignorate e che riguardano una sana gestione del credito. Intendiamo ricordare, in proposito, l’azione recente di alcune banche che hanno concesso con estrema facilità crediti a società, a volta fittizie, o a persone fisiche, senza tenere conto delle prerogative che avrebbero dovuto dimostrare i concessionari dei prestiti su solidità e fiducia. Per tutte queste ragioni mettere mano alla questione bancaria è un compito niente affatto facile. Ci sembra tuttavia confortante l’azione intrapresa dal Governo affinché l’Unione Europea prenda atto della situazione italiana estremamente delicata e decida di accordare, in caso di necessità, una certa protezione ai nostri istituti di credito, permettendoci di contare (stipulando una specie di fideiussione) su una disponibilità fino a 150 miliardi di euro da impiegare per esigenze di ricapitalizzazione. Il cammino da percorrere è ancora lungo, anche se si può registrare una cauta apertura da parte della Germania e della BCE, che, attraverso lo strumento della creazione di liquidità, potrà acquistare più BTP italiani. Si deve altresì evidenziare che il Fondo Monetario Internazionale ha anche indicato la condizione anomala degli istituti di credito tedeschi, i quali, per il loro cumulo di derivati e per la situazioni creata dalle casse di risparmio, hanno ricevuto interventi a favore per una cifra molto superiore a quella che verrebbe concessa alle banche italiane. Al di là di ogni considerazione, l’Italia rimane comunque una sorvegliata speciale da parte delle varie istituzioni internazionali; quindi una sana gestione delle nostre banche si impone necessariamente, se non vogliamo ostacolare maggiormente la nostra ripresa. Cosimo Sorrentino
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Analisi & Report Coldstore 2
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Unione Europea e Regno Unito: un divorzio difficile Il risultato del referendum britannico ha aperto anche una crisi finanziaria, indebolendo la sterlina e l’euro stesso di Sergio Ventura
I
l risultato del referendum sul cosiddetto “Brexit”, tenuto nel Regno Unito il 23 giugno scorso, ha convalidato l’opzione leave, cioè la scelta di lasciare l’Unione Europea. Questo risultato ha aperto una crisi politica, finanziaria ed economica. Crisi politica, poiché esso costituisce una cocente sconfitta per il primo ministro britannico DAVID CAMERON, che ha dovuto presentare le dimissioni, ma anche una sconfit-
ta per l’UE, che da parecchi anni è incapace di reagire alle critiche degli “euroscettici”. Basti pensare alle conclusioni del Consiglio europeo del 27 giugno 2014, nelle quali, per soddisfare le “preoccupazioni del RU sull’evoluzione futura dell’UE”, è stata prevista (§ 27) una deroga di carattere generale al principio di “un’unione sempre più stretta”, per “rispettare la volontà” di Stati Membri che “non desiderano
partecipare all’approfondimento dell’integrazione”. Il risultato del referendum britannico ha aperto anche una crisi finanziaria, indebolendo la sterlina e tutte le monete europee, ad eccezione del franco svizzero, solidamente sostenuto dagli interventi della Banca Centrale Svizzera. Viceversa, il dollaro USA e lo Yen giapponese si sono rafforzati. Ma soprattutto, il risultato del referen-
Una protesta del Gruppo “Fishing for Leave”, formato da una rappresentanza di pescatori e operatori del settore ittico a favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
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dum britannico avrà conseguenze economiche gravi, anche se non tutte oggi prevedibili. Si può già affermare che nel RU il clima d’incertezza, in attesa del negoziato che dovrà stabilire le condizioni del Brexit, avrà un’influenza negativa sugli investimenti, sui consumi delle famiglie e sul mercato immobiliare. Per quanto riguarda gli altri Stati Membri dell’UE, l’economia dei principale esportatori verso il RU, come la Germania, l’Italia, i Paesi Bassi ed il Belgio, rischia di soffrire. Le conseguenze negative saranno importanti anche per la Spagna, poiché in questo paese i cittadini britannici rappresentano un quarto del turismo e circa 300.000 pensionati del RU si sono stabiliti nella Penisola iberica. Né si può passare sotto silenzio che molti cittadini degli altri Stati Membri, di cui circa 700.000 polacchi, abitano e lavorano nel RU. L’attitudine del governo britannico, che ha rinviato alla fine dell’anno in corso la notifica ufficiale del risultato del referendum, a partire dalla quale decorrerà il termine di due anni per stabilire le condizioni del Brexit, e quella diametralmente opposta della Commissione europea e di taluni Stati Membri, che invece desiderano iniziare al più presto i negoziati, non lasciano presagire nulla di buono sull’atmosfera nella quale si negozierà il divorzio. Inoltre, sarà molto difficile raggiungere un accordo, poiché nessuno dei modelli esistenti di accordi speciali conclusi tra l’UE e taluni paesi terzi (Norvegia, Svizzera e Canada) sembra adattarsi al caso del RU. La Norvegia, pur non essendo membro dell’UE, ha accesso al mercato unico europeo ma come contropartita accetta la libera circolazione delle persone ed accoglie numerosi richiedenti d’asilo, recepisce nella sua legislazione le norme essenziali dei regolamenti europei, versa annualmente 391 milioni di euro al Fondo di coesione a sostegno dei 15 Paesi meno ricchi dell’UE e finanzia anche altri programmi europei, come quello di ricerca “Orizzonte 2020” e il sistema
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Galileo, per un totale di quasi 500 milioni di euro all’anno. In conclusione, il contributo della Norvegia al bilancio dell’UE, calcolato per abitante, è simile a quello del RU, senza avere alcun diritto di voto nell’elaborazione della legislazione europea. Anche se il modello norvegese sarebbe l’ideale per l’economia britannica, esso è politicamente inaccettabile per il RU, poiché il Brexit è stato motivato essenzialmente dal costo della partecipazione finanziaria al bilancio dell’UE e dai problemi legati all’immigrazione. Il modello svizzero comporta oltre 120 accordi conclusi nel giro di venti anni, che hanno permesso il libero accesso nel mercato unico europeo dei beni ma non dei servizi, sicché le istituzioni finanziarie svizzere debbono commercializzare i loro servizi tramite filiali stabilite nell’UE (e segnatamente a Londra). Ora i servizi interessano più particolarmente l’economia britannica. Inoltre, la Svizzera contribuisce, anche se in misura minore della Norvegia, al finanziamento del bilancio europeo. Anche questo modello appare dunque poco adatto al RU. Esiste, infine, il modello dell’accordo economico e finanziario concluso nel 2014 dall’UE con il Canada. Esso apre l’accesso al mercato unico europeo, senza esigere compensazioni finanziarie né imporre la libera circolazione delle persone. Ma oltre al fatto che per concluderlo ci sono voluti sette anni esso non è ancora applicato, in attesa dell’approvazione di ciascun parlamento nazionale. In conclusione sembra impossibile che si possa raggiungere un accordo sul Brexit nel giro di due anni. Se questo termine non è prorogato (e attualmente una proroga, anche se giuridicamente possibile, è politicamente esclusa), in mancanza di un accordo si applicheranno le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Secondo queste regole, per la maggior parte dei beni scambiati tra l’UE e il RU saranno applicabili diritti doganali ridotti. Tuttavia, in taluni settori, come quello dell’in-
dustria automobilistica, la produzione del RU rischia di ridurre la sua penetrazione nel mercato unico europeo (per esempio, il 50% della produzione dell’industria automobilista britannica viene esportato nell’UE senza diritti doganali). Inoltre, l’OMC mantiene importanti barriere doganali nel settore dei servizi, segnatamente in quello dei servizi finanziari. Sicché il RU, per mantenere la sua posizione attuale, dovrà ricorrere al dumping fiscale. Ma anche in tal caso è poco probabile che le autorità della zona euro possano ancora tollerare che il principale centro finanziario per gli attivi in euro resti a Londra. Francoforte, Dublino o Parigi sono pronti a prenderne la successione. Il divorzio annunziato tra l’UE e il RU solleva molte questioni complesse ed è quindi poco probabile che si arrivi ad un accordo nel termine di due anni, tanto più che né a Londra né a Bruxelles si hanno idee chiare sulla strategia da seguire nel negoziato. Al clima d’incertezza che questa situazione provoca del punto di vista economico, si aggiunge politicamente l’incognita del futuro atteggiamento della Scozia e dell’Irlanda del Nord, che hanno votato in favore del remain. È chiaro che se l’UE vuole sopravvivere alla crisi creata dal referendum del 23 giugno, è indispensabile che non si facciano al RU concessioni che potrebbero provocare una serie di “referendum” analoghi in altri Stati Membri. Sarebbe utile che coloro che governano a Bruxelles e nelle altre capitali europee leggessero (o rileggessero) le pagine che JEAN MONNET ha dedicato nelle sue memorie ai negoziati che avevano preceduto l’adesione del RU1. Jean Monnet avvertiva che “l’esperienza ha mostrato che non è bene che gli Inglesi ottengano condizioni particolari e una situazione speciale nei loro rapporti con gli altri, e neppure che possano sperare di poterne beneficiare”. Sergio Ventura Note 1. Mémoires, Paris, 1976, p. 525 ss.
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WEST COUNTRY PGI BEEF & LAMB È la pregiata carne bovina e ovina a marchio IGP inglese. L’area OMWOZIÅ KI LQ XZWL]bQWVM LQ Y]M[\M KIZVQ v KW[\Q\]Q\I LI [MQ KWV\MM VMT []L W^M[\ LMT XIM[M" +WZVW^IOTQI ,M^WV ,WZ[M\ /TW]KM[\MZ[PQZM ;WUMZ[M\ M ?QT\[PQZM KPM QV[QMUM NWZUIVW TI KW[QLLM\\I regione West Country LMTT¼1VOPQT\MZZI 1 XI[KWTQ ^MZLQ M ZQOWOTQW[Q QT KTQUI mite e l’alimentazione a base di erba NIVVW LQ Y]M[\M KIZVQ ]V XZWLW\\W LQ Y]ITQ\o []XMZQWZM
BUONI MOTIVI PER SCEGLIERCI
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QSM TENEREZZA GARANTITA QSM Quality Standard Mark v QT UIZKPQW Q[\Q\]Q\W LI AHDB XMZ OIZIV\QZM IT KWV[]UI\WZM TI sicurezza e la provenienza LMTTI KIZVM IKY]Q[\I\I 1T [Q[\MUI LQ ITTM^IUMV\W VI\]ZITM IT XI[KWTW OIZIV\Q[KM ]VI Y]ITQ\o []XMZQWZM LMTTM KIZVQ [QI QV \MZUQVQ LQ XZWXZQM\o V]\ZQbQWVITQ KPM LQ KIZI\\MZQ[\QKPM WZOIVWTM\\QKPM .ZI \]\\M la tenerezza risulta essere la più apprezzata" Y]M[\W v XW[[QJQTM OZIbQM ITT¼ITQUMV\IbQWVM I MZJI KPM KWVNMZQ[KM ITT¼IVQUITM ]VI KMZ\I [\Z]\\]ZI KPM OIZIV\QZo QV NI[M LQ UI\]ZIbQWVM NZWTTI\]ZI ]VI \MVMZMbbI IT\ZQUMV\Q VWV XW[[QJQTM
CARNE MATURATA
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LA CARNE IN RETE
Social di Elena
1. Amazing Food, e-shop L’abbiamo testato di recente in Redazione perché eravamo a caccia di un Pecorino delle Balze Volterrane DOP difficile da trovare a Modena. È bastato un clic e una carta di credito per riceverlo due giorni dopo in un packaging a dir poco perfetto. Il sito è www. amazingfood.it e fa capo ad una società di Vittorio Veneto, in provincia di Treviso. Dietro al progetto sono tre gli attori: VALSANA, con alle spalle una solida esperienza nella selezione di prodotti gourmet, la web agency H-ART e tre consulenti foodies creativi e competenti nell’e-commerce. Dentro ci trovate di tutto: dai salumi, ai formaggi, pasta, conserve, tè, caffè, fino ai dolci. Da provare!
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2. Victor Churchill su Instagram Con all’attivo 140 anni di attività la macelleria super stilosa VICTOR CHURCHILL di Sydney non trascura anche i nuovi media della comunicazione. Sulla loro pagina Instagram (www.instagram.com/victor.churchill) trovate tanti scatti ai loro tagli di carne bovina con marezzatura e provenienza diversa. In ogni foto si raccontano le razze da carne pregiate, i loro metodi di allevamento e i tempi di maturazione. Per informare e stimolare l’appetito!
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meat Benedetti
3. Italiani-Coop, focus sulle persone Che cos’è www.italiani-coop.it? È un racconto dell’Italia che cambia, fatto attraverso indicatori economici e analisi dei consumi — in particolare quelli alimentari, riflesso importante dell’identità nazionale — ma guardando anche all’evoluzione dei costumi e degli stili di vita. Si tratta di progetto curato dall’ufficio studi COOP, on-line dallo scorso luglio, e che si rivolge soprattutto al mondo dei media, per fornire spunti e strumenti per la comprensione della realtà economica e sociale.
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4. Ham Holy Burger, la app per ordinare Con l’apertura sulla terrazza della Stazione Termini di Roma arrivano a una decina le location dell’hamburgeria gourmet HAM HOLY BURGER, che si distingue per la selezione delle carni e dei panini (a Roma sono stati coinvolti Roberto Liberati e Gabriele Bonci; si veda l’articolo di Tania Mauri a pagina 96). Il sito è www.hamholyburger.com. Nell’applicazione per lo smartphone c’è anche il pre-order: scegli cosa mangiare (e bere), inoltri l’ordine prima di arrivare e decidi se mangiare a tavola o se portare tutto a casa.
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Con Simone Rugiati alla scoperta della “carne perfetta” In un viaggio attraverso il Sud-Ovest dell’Inghilterra, lo chef e conduttore televisivo è stato co-protagonista di un video alla scoperta del West Country beef & lamb Igp. Un personaggio amatissimo dal pubblico che ha condiviso la scena con scottone e agnelli, cani da pastore e allevatori di Elena Benedetti
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rendete SIMONE RUGIATI, lo chef toscano amatissimo dal pubblico, conduttore televisivo e presenza costante sui social. Aggiungete un paesaggio mozzafiato, il West Country, la più
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grande regione a vocazione agricola dell’Inghilterra, ed una troupe di videomaker. Il risultato lo potete vedere nel video accessibile su www. carneperfetta.it da inizio settembre: 175 secondi di girato che racconta-
no il passo dai pascoli verdissimi del West Country alla tavola con il West Country beef & lamb IGP, attraverso gli occhi e l’esperienza di Simone Rugiati, che parla con gli allevatori, si confronta con loro sui temi
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Manzo e Agnello West Country Igp Sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea lo scorso gennaio 2014 le registrazioni Igp del West Country beef e West Country lamb. Le due Indicazioni Geografiche Protette identificano le carni fresche ottenute da bovini e ovini nati e cresciuti nella regione occidentale dell’Inghilterra conosciuta come West Country e macellati in conformità alle norme dell’organizzazione Meat South West. Per il manzo il sistema di allevamento estensivo deve contemplare un periodo minimo di pascolo di almeno sei mesi e una dieta a base di foraggio per almeno il 70%. Questo particolare tipo di dieta conferisce specifiche caratteristiche organolettiche alle carni dei bovini. La zona geografica di riferimento è la West Country, penisola a superficie prativa che include sei contee: Cornovaglia, Devon, Dorset, Gloucestershire, Somerset e Wiltshire. >> Link: www.westcountrybeefandlamb.org.uk
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Ed Green, allevatore di scottone e presidente della South West Association Simone Rugiati ha incontrato Ed Green, allevatore di scottone di razza Aberdeen Angus, Hereford e Blue Belga, nella sua azienda agricola di Shepton Mallet, nel Somerset. Ed è presidente della South West Association, l’organizzazione che ha attivato la richiesta di Igp per le carni bovine e ovine del West Country ed è impegnato in prima linea nella loro promozione. Quinta generazione di una famiglia di allevatori, Ed è l’espressione di una professionalità radicata nella DNA e di una passione che sta trasmettendo anche alle figliole, Lauren e Freya, che oggi giocano spensierate tra le scottone nei campi adibiti a pascolo libero. Nel suo allevamento sono allevati una media di 1.500 capi di scottone di razze pregiatissime, su una superficie totale di 800 acri. Gli animali arrivano a circa 20 mesi per un peso vivo di 580 kg. Qui il benessere animale è totale: gli animali vivono al pascolo, cibandosi di erba e fieno. «L’Igp aiuta tutta la regione nella vendita di questo prodotto — ha sottolineato Ed Green, aggiungendo che — in questo modo il consumatore è sicuro del prodotto e dell’origine della carne e anche la comunità locale con la maggiore richiesta di carne Igp ha trovato più occupazione e benessere». Insomma, l’Igp fa bene a tutti. >> Link: www.facebook.com/banksfarmltd
Philip Derryman, migliore Young Farmer e tante idee per i suoi agnelli
In alto: Simone Rugiati con Ed Green, allevatore di scottone di razza Aberdeen Angus, Hereford e Blue Belga, nella sua azienda agricola di Shepton Mallet, nel Somerset. Il West Country beef e il West Country lamb sono due fra i più rappresentativi prodotti di tutto il settore zootecnico inglese. L’area geografica di produzione di queste carni riguarda le sei contee della regione West Country dell’Inghilterra. Il bestiame per essere marchiato Igp deve nascere ed essere allevato interamente nelle aziende agricole all’interno di questa regione.
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Simone Rugiati ha conosciuto Philip Derryman nella sua azienda agricola a Honiton, Devon. Philip ha 28 anni e rappresenta la quarta generazione di allevatori nell’attività di famiglia, incentrata sull’allevamento di ovini di razza da carne e bovine da latte. L’allevamento oggi conta 450 capi di ovini di razza Hampshire Down, Suffolk e Romneys. Gli animali crescono al pascolo e sono tutti grass-fed, alimentati a erba. Il ciclo di allevamento va abitualmente da marzo a luglio. Nei mesi invernali i capi pascolano all’esterno e, nel caso di condizioni climatiche avverse, sono ospitati in aree coperte e si cibano della cosiddetta Winter grass. Philip, che ha recentemente vinto il premio di migliore Young Farmer in una competizione internazionale in Nuova Zelanda, oggi segue l’attività di famiglia a tempo pieno e si occupa del suo sviluppo. Philip, che cosa ti ha spinto a proseguire l’attività di famiglia? «Lavoro tutto il giorno all’aria aperta, su e giù per queste colline verdissime in un paesaggio unico e cerco di dare il mio contributo con una visione nuova e più moderna dell’allevamento». Anche su Facebook, alla sua pagina cercando: Yarcombe Hampshire Downs, Suffolks and Romneys. >> Link: www.facebook.com/yarcombesheep
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Simone Rugiati con Philip Derryman nella sua azienda agricola a Honiton, Devon. La dieta di bovini e ovini West Country è prevalentemente a base di erba, con alimentazione supplementare di provenienza locale quando necessario: questo sistema è l’unico riconosciuto e usato in tutta la produzione. Non viene utilizzato un sistema intensivo e gli animali non vengono nutriti con prodotti di scarto. Il bestiame è lasciato libero al pascolo durante l’estate, per tradizione da aprile fino a novembre. del benessere dei capi allevati, del mangime e della lavorazione delle carni, che lui stesso poi cucinerà per i propri ospiti e clienti. Un percorso dal campo al piatto in uno scenario unico attraverso un prodotto multimediale che può comunicare agli Italiani in modo efficace che cosa significa allevare pregiate razze da carne ovina e bovina in un ambiente incontaminato. Il video è stato girato a metà luglio e commissionato dalla direzione italiana di AHDB Beef & Lamb, diretta da JEFF MARTIN. Una bella occasione per confezionare un prodotto di comunicazione ad alto impatto social, con immagini suggestive ed efficaci, in un territorio da sempre vocato all’allevamento. «Il nostro obiettivo è raggiungere i consumatori finali, anche quelli più giovani che, smartphone alla mano, usano i canali Facebook e Youtube
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per informarsi e conoscere l’origine dei prodotti» mi dice Jeff durante le riprese in Inghilterra. È la prima volta che viene coinvolto un volto molto conosciuto all’ampio pubblico per raccontare la filiera della carne in un video social. Simone Rugiati è un brillante chef e conduttore televisivo, oltre che un imprenditore di successo con il suo Food Loft (www.foodloft.it), lo spazio milanese che, oltre ad ospitare le riprese televisive dei suoi showcooking, organizza catering ed eventi. «Sono felicissimo di aver fatto questa esperienza Ho scoperto realtà incredibili, animali meravigliosi che crescono in un habitat di rara bellezza e totalmente incontaminato» mi ha detto Simone alla conclusione delle riprese. «Una qualità che dal pascolo arriva al piatto, con carni succulente, tenerissime e dal gusto veramente unico» ha poi confermato Simone,
che in chiusura del video ha cucinato alcuni piatti per le riprese e, naturalmente, per tutta la troupe. Una troupe decisamente molto felice! Elena Benedetti >> Link: www.carneperfetta.it www.facebook.com/ ahdbitalia Nota A pagina 26 ovini al pascolo nella campagna della regione del West Country. L’Inghilterra ha una tradizione secolare nell’allevamento di carne bovina e ovina. Le tecniche di allevamento tramandate da padre in figlio, da generazione in generazione, si affiancano oggi a un’industria all’avanguardia, che garantisce controlli su tutta la filiera per offrire una carne dalle indiscusse qualità organolettiche e sicura ai buongustai di tutto il mondo.
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Grazie ad Amazon Prime Now la carne arriva a casa in un’ora Da luglio, attraverso la app Amazon Prime Now, è possibile acquistare 30 tipologie di carne italiana e internazionale. Le confezioni saranno consegnate in un’ora o in finestre di due, 7 giorni su 7, a Milano e in 46 comuni dell’hinterland
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cottona e roast beef ma anche Black Angus australiano e carne giapponese: a partire dal mese di luglio la gamma di prodotti disponibili su Amazon Prime Now si arricchisce di pregiate varietà italiane e internazionali di carne bianca e rossa. Trenta tipologie di carne si aggiungono così ai 20.000 prodotti già acquistabili con la app Amazon Prime Now, il servizio per i clienti Prime che offre consegne in un’ora o in finestre di due ore a Milano e in 46 comuni dell’hinterland milanese dalle 8.00 a mezzanotte, 7 giorni su 7. Tutti i clienti impegnati nella preparazione di un pranzo o di una cena, insomma, ora possono acquistare attraverso la app Prime Now sia i prodotti necessari per i primi piatti che per i
secondi. Costine di suino, scamone, tagliata scozzese, bisonte canadese e poi tacchino, pollo, cotolette, spinacine, sovracosce e cordon bleu verranno consegnati direttamente al piano a casa o in ufficio. I clienti Prime Now potranno così creare gustosi secondi con estrema rapidità, senza dover affrontare il traffico delle ore di punta per completare il menu della cena e senza la necessità di sollevare sacchetti della spesa. «Con l’arrivo della categoria carne su Prime Now l’offerta di prodotti disponibili sulla app diventa ancora più ampia e variegata, rispondendo maggiormente a esigenze e bisogni dei clienti che ricevono comodamente a casa i prodotti per la spesa quotidiana», afferma MARCO FERRARA, Category Leader Prime Now
Marco Ferrara, Category Leader Prime Now per l’Italia.
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per l’Italia. Tutti gli iscritti Prime possono scaricare da subito l’app Prime Now, disponibile per i dispositivi iOS e Android, verificare i CAP coperti dal servizio (visitando il sito www.amazon.it/primenow) e chiedere di ricevere le notifiche per sapere quando il servizio sarà disponibile nella propria area. La consegna in un’ora è disponibile per i CAP raggiunti da questa modalità di consegna al costo di € 6,90; non sono previste spese di spedizione scegliendo di ricevere il proprio ordine in finestre di due ore. L’importo minimo per gli ordini Prime Now è di € 19,00. L’abbonamento ad Amazon Prime è disponibile per € 19,99 all’anno. I primi 30 giorni sono gratuiti per i nuovi iscritti. I clienti possono iscriversi al link www.amazon.it/prime
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Il premio “Insegna dell’anno 2016-2017”: le valutazioni si chiuderanno venerdì 30 settembre Sono in corso da alcune settimane le valutazioni per selezionare le insegne che si aggiudicheranno il titolo di ”Insegna dell’Anno Italia 2016-2017” e il “Premio Negozio Web 2016-2017”. Per questa terza edizione sono previste 30 categorie che coprono tutto il mondo distributivo: dall’abbigliamento all’elettronica, dai libri alla telefonia fino all’arredamento al food. Insegna dell’Anno (www. insegnadellanno.it) è un premio internazionale nato nel 2003 sotto il nome di Beste Winkelketen nei Paesi Bassi e successivamente affermatosi come Retailer of the Year in Belgio, Italia (da tre anni con il nome di “Insegna dell’Anno Italia”), Germania, Francia, Spagna, Svizzera, Austria e Lussemburgo e, da quest’anno, anche in Russia. Insegna dell’Anno Italia è un’iniziativa sviluppata da Q&A Research & Consultancy, organizzata in Italia da SEIC–Studio Orlandini e Largo Consumo. Il premio “Insegna dell’Anno Italia” è la più importante manifestazione per le catene distributive (food, non food e ristorazione) che vede i clienti impegnati a giudicare il proprio punto vendita preferito. La valutazione che il cliente stila è molto articolata: da esprimere in decimi e su almeno 8 aspetti fondamentali delle strutture; dalla competenza degli addetti fino al grado di innovazione della catena per quanto concerne i negozi “fisici” oppure la facilità di effettuare i pagamenti e le consegne per i negozi web. Il risultato che ne emerge quindi è fondamentale per insegne che non solo riscontrano il livello di fidelizzazione dei propri clienti ma trovano indicazioni precise sugli aspetti più apprezzati o su quelli eventualmente da migliorare. Numerose sono le insegne che partecipano alla selezione per ottenere il premio 2016-2017 (ad oggi circa 450) così come è sempre più folta la schiera dei consumatori che esprimono la loro preferenza (ad oggi circa 110.000 con una crescita di circa il 20% rispetto all’anno precedente). Tutte le insegne che prendono parte all’iniziativa stanno sensibilizzando i loro clienti ad esprimersi ma le informazioni sul premio e le modalità di voto sono reperibili anche al sito www.insegnadellanno.it. Le valutazioni si concluderanno il 30 settembre e le insegne vincitrici verranno premiate in occasione della serata che si terrà mercoledì 9 novembre a Milano. >> Link: www.insegnadellanno.it
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RETAIL MARKETING
Trend e best practice
Reparto carni: la valorizzazione passa da un approccio di categoria di Raffaello Bernardi
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onostante l’evoluzione intercorsa negli ultimi anni negli stili di consumo alimentari, con il parziale riorientamento delle preferenze verso proteine vegetali, il reparto macelleria rappresenta ancora un’area commerciale discriminante, per lo shopper italiano, nella scelta del supermercato/ipermercato in cui effettuare i propri acquisti di largo consumo, seconda solo al reparto or-
tofrutta. In un contesto di mercato complessivamente flessivo (–5,7% a volume nell’A.T. marzo 2016, che fa seguito al –3,5% segnato nell’anno precedente; fonte: ISMEA-NIELSEN), tale evidenza suggerisce ai retailer l’opportunità di elevare la competitività espressa dal settore delle carni fresche, attraverso un approccio proattivo di gestione della proposta assortimentale fondato su solide basi di category management. Un
modo per migliorare l’esperienza d’acquisto dei clienti, favorendo la conoscenza e la fruibilità dell’offerta, e sostenere, al contempo, le performance economiche dei diversi segmenti merceologici. Ma cosa significa concretamente operare secondo logiche di category? Senza entrare troppo in aspetti di carattere tecnico, rappresentare e gestire l’assortimento del reparto carne in ottica di categoria implica
Il reparto macelleria riveste ancora un’importanza discriminante nella scelta da parte del consumatore del supermercato/ipermercato in cui effettuare i propri acquisti di largo consumo.
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I preparati a base di carne al banco macelleria nella GDO sono oggi molto apprezzati dal consumatore. comprendere il modo in cui il responsabile degli acquisti familiari pensa e segmenta mentalmente l’offerta e come lo stesso si muove all’interno del reparto, con l’obiettivo di riconfigurare e comunicare coerentemente la proposta commerciale. Due le finalità sul piano strategico: 1. semplificare il processo di acquisto degli shopper che pianificano già puntualmente a casa la pro-
Rappresentare e gestire l’assortimento del reparto carne in ottica di categoria implica comprendere il modo in cui il responsabile acquisti familiari pensa e segmenta mentalmente l’offerta e come lo stesso si muove all’interno del reparto, con l’obiettivo di riconfigurare e comunicare coerentemente la proposta commerciale
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pria spesa di carne (circa il 47% del totale, secondo fonte Retail Carni SGMARKETING 2012); 2. stimolare l’acquisto d’impulso negli shopper che perfezionano in tutto o in parte il proprio processo decisionale all’interno del punto vendita (oltre il 50% del totale). Un primo aspetto di cui tenere conto fa riferimento ai criteri di lettura dell’assortimento usualmente adottati dal cliente, elementi sulla base dei quali costruire la categorizzazione dell’offerta in termini espositivi e di comunicazione. Secondo un’indagine VERONAFIERESGMARKETING condotta nell’anno passato, indipendentemente dall’areale geografico di riferimento, i frequentatori delle superfici moderne “navigano” l’area della macelleria a libero servizio alla ricerca dei prodotti da acquistare, considerando prioritariamente la tipologia di carne; è questa, dunque, la prima chiave su cui lavorare in modo percepibile, attraverso un’organizzazione espositiva segmentata per “animale” (pollo, tacchino, vitello, vitellone, ecc…), piuttosto che per
comparto (avicolo, bovino, suino, ecc…). Altri criteri rilevanti sono il taglio/preparazione, la modalità di allevamento/alimentazione, il prezzo/fascia di prezzo. Data la rilevante quota di acquisti non completamente pianificati a monte dalle famiglie, una gestione ragionata dell’offerta a punto vendita, già a partire dalla modalità di presentazione, potrebbe convertire l’attuale minor spesa in carni in una spesa caratterizzata da maggiore consapevolezza e valore per il consumatore. Si inseriscono in questo ragionamento due ulteriori aspetti: la componente prodotto e la comunicazione. Sul primo fronte, numeri alla mano risulta inequivocabile l’opportunità, per le catene distributive, di intercettare con più vigore il potenziale di mercato legato ai prodotti elaborati, segmento d’offerta capace di assorbire meglio, da Nord a Sud, la dinamica involutiva delle vendite di carne: anche nell’A.T. marzo 2016 le referenze ad alto valore aggiunto nell’avicolo sono cresciute del 10,5% a volume contro il –4,6% registrato dal prodotto tal
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EN ISO 9001:2008 IQ-0905-10
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quale, mentre nel bovino la flessione misurata sulle preparazioni si è fermata al –2,3%, con la carne fresca naturale scesa, invece, del 6,9%. Solo il suino vede un gap modesto, a totale Italia, fra le performance dei prodotti basici e dei prodotti servizio (–8,1% vs –7,1%), accompagnato da una riduzione più intensa, in Area 1, per quest’ultima tipologia di referenze, ma va detto che, in questo caso, la quota — peraltro elevata — di elaborati è in realtà da attribuirsi prevalentemente alla presenza di salsicce e salamini. In linea generale, diverse evidenze convergono nel dimostrare come un approccio fattivamente orientato al consumatore ancora oggi generi ritorni apprezzabili nell’area delle preparazioni di carne: su tutte la positiva dinamica di crescita espressa dagli articoli a peso imposto (+12,5% nell’A.T. marzo 2016), in larga parte elaborati rispetto a cui l’azione della marca industriale o del retail risulta maggiormente strutturata nei contenuti di prodotto e di comunicazione. È interessante notare, in questo senso, la trasversalità della tendenza, che abbraccia indistintamente carni avicole, bovine e suine, coinvolgendo, per gli ultimi due segmenti, referenze con un posizionamento medio di prezzo più elevato di quello applicato ai preparati a peso variabile. A completamento di quanto evidenziato si sottolinea, poi, in un processo di category management, il ruolo centrale del “racconto”; dopo aver configurato e selezionato la proposta assortimentale con occhio e orecchio attentamente rivolti al cliente-consumatore, la value proposition deve essere adeguatamente comunicata a livello di reparto, segmento e prodotto. Tanti i margini di manovra, considerando lo stato dell’arte medio del settore macelleria in GDO. A partire da messaggi volti a rassicurare lo shopper sulla qualità complessiva dell’offerta: secondo recenti indagini, infatti, nel percepito dei responsabili degli acquisti familiari il prodotto confezionato è indubbiamente pratico, ma di livello qualitativo inferiore rispetto
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a quello tagliato sul momento. Nella prospettiva delineata, i messaggi sulle valenze organolettiche dei prodotti trovano idoneo rinforzo in una comunicazione idealmente modulata su tre aree tematiche: 1. origine e garanzie di filiera, di benessere animale, di alimentazione degli animali; 2. aspetti nutrizionali (andando oltre le tradizionali tabelle, al fine di veicolare in modo trasparente, fruibile ed immediato, ancorché rispettoso della normativa vigente, i principi alimentari apportati dai prodotti e la relativa utilità per la salute); 3. modalità di valorizzazione gastronomica (metodi di cottura consigliati, abbinamenti con altri alimenti — oli, verdure, vini, ecc…—, ricette originali e alternative). Anche la gestione dello scaffale, sia in termini organizzativi che di tenuta, è un’ulteriore leva operativa di assoluto rilievo per il buon esito di un progetto di categoria; a parità di assortimento e comunicazione, più la presentazione dell’offerta risulta complessivamente accessibile e attraente, maggiore è il numero di prodotti che potrebbe potenzialmente finire nel carrello dello shopper. Un primo principio da tenere a mente, in questo senso, è dato
dall’evidenza secondo cui il cliente tende a perfezionare le proprie decisioni d’acquisto rispetto ai prodotti collocati all’interno di un’area espositiva facilmente visionabile, in media circa 3,7 metri lineari. Considerata l’alta quota di acquisti di carne non puntualmente pianificati a casa, anche nei negozi di grandi dimensioni è, dunque, buona regola tentare di mantenere le diverse aggregazioni di prodotto — definite in funzione dei criteri di lettura dell’assortimento impiegati dallo shopper — entro display non eccessivamente estesi in lunghezza, al fine semplificare l’esperienza d’acquisto. In tale contesto, gli spazi assegnati alle singole e le frequenze di ricaricamento a scaffale vanno bilanciati in modo da evitare rotture di stock, causa di possibile disaffezione per il responsabile degli acquisti familiari, che potrebbe non trovare ciò che cerca. La sequenza espositiva dei diversi segmenti deve, inoltre, essere stabilita con l’obiettivo di sfruttare al meglio il potenziale garantito dall’ingresso del reparto: rappresentando quest’area il “biglietto da visita” del settore carne, è altamente consigliato impiegarne la superficie di vendita per trasmettere al cliente il posizionamento ricercato e, dunque, gli elementi chiave di caratterizzazione dell’offerta (qualità, servizio, convenienza, ecc…),
SGMarketing è la società specializzata nella consulenza e servizi di marketing per l’agroalimentare. Leader in Italia con oltre 20 anni di esperienza nella valorizzazione dei freschissimi e del beverage, l’azienda è stata costituita con l’idea di mettere al servizio dell’agribusiness le competenze del suo team di analisti per valorizzare i prodotti agroalimentari nei luoghi di acquisto e di consumo e dare un futuro alle filiere produttive e distributive di eccellenza e ai territori vocati. SGMarketing supporta le imprese accompagnandole nello sviluppo del loro business e nella creazione di un’immagine aziendale riconoscibile e competitiva. Grazie ad un know-how consolidato negli anni e forte di un approccio al mercato moderno e dinamico, essa offre un servizio integrato: dalla consulenza strategica al presidio diretto dei canali distributivi, nell’ottica di un’innovazione continua del business. >> Link: sgmarketing.it
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attraverso una scelta ponderata dei prodotti ivi proposti. Da ultimo, anche la manutenzione del display può fare la differenza. Ordine e pulizia devono regnare costantemente sovrani, in quanto una presentazione poco curata delle referenze in assortimento tende a produrre nella mente dello shopper una sorta di effetto alone, andando ad impattare negativamente sul giudizio qualitativo dell’offerta. Anche a prescindere dalle relative caratteristiche intrinseche. È, pertanto, necessario fare attenzione nel rimuovere sempre dallo scaffale eventuali parti di confezioni rotte, pulendo regolarmente i supporti espositivi: una sola confezione danneggiata può minare l’efficacia di un intero allestimento espositivo. I prodotti devono essere, inoltre, chiaramente segnalati e prezzati: potrà anche sembrare banale, ma i clienti esitano ad acquistare prodotti di cui non conoscono il prezzo e ciò, al lato pratico, si traduce in mancate vendite. Lungi dall’avere pretese di esaustività in tema di category management, quanto descritto intende illustrare alcune possibili aree di lavoro su cui le catene distributive possono intervenire per migliorare la complessiva proposta di valore nel reparto macelleria a libero servizio. Altri elementi di rilievo, che non è possibile approfondire in questa sede per ragioni di spazio, attengono, ad esempio, al promozionale e, più in generale, alla gestione del pricing, così come all’organizzazione della segnaletica e della cartellonistica. A prescindere dalla leva, ciò che deve guidare coerentemente il processo di qualificazione e valorizzazione dell’offerta in ottica di category è una contestuale comprensione del comportamento di consumo e di acquisto della categoria, aspetto quest’ultimo a volte ingiustificabilmente trascurato. Solo conoscendo il modo in cui lo shopper si muove all’interno del reparto e adeguando conseguentemente contenuti e rappresentazione della proposta assortimentale, si può massimizzare fattivamente il valore generato per il cliente. Raffaello Bernardi
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ELOGIO DELLA CARNE
Carne equina, tradizioni e tabù I pregiudizi, i piatti della cucina regionale italiana e, a fine settembre, il primo convegno a carattere nazionale sulle carni equine tra ricette tipiche, sostenibilità e salute di Riccardo Lagorio
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nsostituibile mezzo di trasporto, strumento di lavoro e ancora ludico compagno di attività sportive. Considerazioni che hanno prodotto ancestrali pregiudizi nei confronti del consumo a scopo alimentare della carne di cavallo. A queste più fondate remore, recenti lacrimevoli ipotesi tese a considerare gli animali d’affezione degni al
pari e più di attenzioni di quante ne meritino gli esseri umani si traducono in imbarazzo e apprensione quando ci si accinge ad affrontare l’argomento del consumo di carne equina a scopo alimentare. Si deve aggiungere che, come ostacolo al suo consumo, non ha certo aiutato nei decenni passati l’invalsa abitudine di condurre a macello
esemplari a fine carriera lavorativa, spesso in età avanzata, in cattivo stato nutrizionale e sfruttati per lavori pesanti o competizioni. Tanto che il legislatore dovette porre mano all’argomento nel 1928 per evitare truffe in tal senso e si è dovuto attendere lo scoccare del terzo millennio per avere una normativa aggiornata sulla questione con la Legge 526
Bistecca di cavallo alla griglia.
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Preparazione del caval pist, cavallo pesto, piatto tipico parmense a base di carne cruda di cavallo, macinata e condita con olio di oliva e limone (photo Š www.cucinaconstile.it).
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del 21/XII/1999. Ma altri 10 anni sarebbero trascorsi per contare sul DM del dicembre 2009 che accerta tramite passaporto la vita intera dell’animale e permette con assoluta precisione di ricostruirne la tracciabilità. Oggi che la carne di cavallo gode degli standard di sicurezza alimentare almeno pari alle altre carni per impiego alimentare umano, rimangono inalterate le difficoltà a farne accettare universalmente il consumo. Se l’apertura della prima macelleria equina in Italia risale al 1865, molti dei macellai risultano altamente specializzati poiché l’antica separazione durata 70 anni fa ancora pesare la propria presenza. Intanto i portatori d’interesse sono scesi in campo per difendere il proprio lavoro. In particolare, risale al gennaio 2014 un accordo di filiera stretto tra l’Associazione Nazionale Allevatori Cavallo Agricolo Italiano (ANACAITPR) e il Gruppo Italiano Carni Equine, che raggruppa circa 900 macellerie ed ha come presidente il bergamasco MARIO ROSSONI, con il fine di valorizzare la carne di cavallo agricolo. L’intesa riconosceva il valore del Cavallo Agricolo Italiano da tiro rapido nato, allevato e macellato in territorio italiano attraverso stringenti requisiti di allevamento e ingrasso, controlli su commercializzazione, confezionamento ed etichettatura. La zona d’origine della razza è rappresentata dalla pianura veneta, ferrarese e friulana, ma l’area di allevamento si è progressivamente estesa ad ampia fasce dell’Italia centrale e meridionale. La razza ha fisionomia possente, con peso variabile tra 700 e 900 kg e crescite ponderali eccellenti sin dai primi mesi di vita. I puledri possono superare i kg 400 all’età di 7 mesi. Normalmente vengono allevati allo stato brado e sono un valido mezzo per il controllo dell’ecosistema in quanto i cavalli si nutrono di prodotti del sottobosco in regioni dove montagne e colline sono state oggetto di spopolamento come l’Umbria e la Basilicata. Rappresentano il 17% dei 6.000 quadrupedi allevati
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in Italia. Gli sforzi per valorizzare le razze equine hanno visto protagonista anche l’Associazione Regionale Allevatori dell’Emilia-Romagna, che ha legato i primi approcci con lo stesso Gruppo a fine luglio 2016 per valorizzare il lavoro dei contadini che crescono cavalli Bardigiani. Le prime settimane di settembre diranno se… son rose. A settembre il convegno nazionale Intanto, proprio al rientro delle vacanze estive, il 25 settembre, presso l’Istituto Tecnico Agrario don Bosco a Lombriasco, nel Torinese, si celebra il primo convegno a carattere nazionale dal titolo Le carni equine tra tradizione, sostenibilità e salute, con i relatori che si cimenteranno nel presentare al pubblico e al consumatore i pregi e la storia delle carni equine legate al consumo umano, sottolineandone pure l’aspetto di sostenibilità ambientale e di tutela dei diritti degli animali. Necessario il coinvolgimento di chi sa preparare la carne equina: ecco coinvolti i docenti e gli allievi dell’Istituto Alberghiero Norberto Bobbio di Carignano. Numerose sono infatti le preparazioni che abbiano al centro la carne di cavallo: dalla veronese pastissada de caval al parmense caval pist. Statistiche alla mano è la Puglia a guidare il consumo di carne equina in Italia: nella regione dei fornelli e del cavallino Murgese è concentrato il 32% del consumo nazionale, seguita dalla Lombardia (con il 14%), il Piemonte (11%), l’Emilia-Romagna, il Veneto e il Lazio dove reggono come prodotto tipico le coppiette di cavallo. E Catania, dove le macellerie del centro storico propongono carne già pronta da consumare sul posto e arrostita nei caratteristici fucuni. Prezioso scrigno di cultura alimentare mondiale, l’Italia si distingue nondimeno per l’alto grado di libertà che contraddistingue la sua tavola, se solo nel 2011 gli Stati Uniti abrogano il divieto di macellazione ma la carne di cavallo continua a rimanere tabù. Riccardo Lagorio
CONSUMI
Il consumo di carni e piatti pronti surgelati La tendenza della spesa alimentare italiana: si intravede l’uscita dalla crisi anche se non per tutti di Roberto Villa
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er la prima volta, dall’inizio della crisi economica, la quota di famiglie italiane che nell’ultimo anno ha aumentato la propria capacità di spesa risulta superiore a quella delle famiglie che l’hanno invece ridotta (25,6% contro 21,3%). Si tratta di un dato che segna una forte discontinuità, basti pensare che nel 2013 il 69,3% delle famiglie aveva dichiarato che la propria capacità di spesa si era
ridotta. È importante segnalare che, nel 2015, la quota di famiglie che dichiara di aver aumentato i consumi (il 25,6%) è molto superiore a quella delle famiglie che hanno visto aumentare il reddito familiare (8,0%). In modo simmetrico, la quota di famiglie che ha ridotto i consumi è inferiore a quella che ha visto una contrazione del proprio reddito familiare complessivo. Rispetto al 2014, nel corso
del 2015 si è registrata una timida ripresa della spesa alimentare delle famiglie italiane: lo 0,3%, a valori correnti. Tale sostanziale stabilità scaturisce da tendenze contrastanti dei diversi prodotti che si sono tra di loro compensate. Una ripresa lenta e anomala dunque, ma pur sempre ripresa. E un Paese che torna se non altro a camminare (per correre ci vorrà ancora tempo e il protrarsi di condizioni favorevoli).
Burger di carne. Dai dati raccolti, le famiglie spendono oggi meno per l’acquisto di olio di oliva, carne bovina, formaggi, acqua minerale e vino. Sono cresciuti invece i consumi di uova, pollame e selvaggina, di altri oli e di birra.
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La praticità e la velocità di preparazione rendono i prodotti panati surgelati molto richiesti dai consumatori odierni. Nel corso del 2015 la ripresa dei consumi alimentari è stata guidata dal Centro-Nord, mentre ancora sostanzialmente stagnanti sono state le vendite al Sud. Le indicazioni provenienti da una recentissima ricerca IPSOS disegnano un quadro di tendenze ben stabilizzate e orientate, in grado di fornire chiari indirizzi anche per l’anno in corso. Per ciò che riguarda le motivazioni che indirizzano quotidianamente la spesa alimentare restiamo su temi piuttosto tradizionali: freschezza e prezzo su tutti (71%), seguiti da gusto (53%) e tracciabilità delle materie prime (37%). Le modalità di produzione preferite sono per il 58% quelle locali e regionali, con quote importanti per biologico (43%) e sostenibile (40%). La recessione è finita anche se le famiglie italiane hanno lasciato sul piatto dal 2007 ad oggi 122
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miliardi di euro (47 miliardi di minori risparmi e ben 75 di minori consumi). Ma più che la variazione seppur minima di segno positivo del PIL con cui si è aperto il 2015 (la crescita finale si è attestata intorno allo 0,7%), è la prospettiva degli Italiani ad essere cambiata: il 52% di essi (era il 41% appena un anno fa) considera infatti invariata o addirittura migliorata la propria situazione. Ciò è tanto più degno di attenzione come segnale dell’inversione in atto se messo in relazione al fatto che, tra il 2006 ed il 2014, i consumi alimentari nazionali hanno ceduto oltre 12 punti percentuali in quantità, un ritmo doppio se raffrontato all’arretramento della spesa generale per consumi (–6,4%). La caduta, che si era andata accentuando in modo particolare tra il 2011 ed il 2013, ovvero in
corrispondenza della fase più acuta della recessione, aveva riportato la spesa alimentare indietro di oltre venticinque anni. Nel complesso, il 57% delle famiglie italiane, negli ultimi anni, ha ridotto la quantità e/o la qualità della spesa alimentare; in particolare, il 5% delle famiglie ha abbassato il livello di qualità dei prodotti alimentari che acquista, il 34% ha tagliato sulla quantità, mentre il 19% ha ridotto sia qualità che quantità. Le famiglie spendono oggi meno per l’acquisto di olio di oliva, carne bovina, formaggi, acqua minerale e vino. Sono cresciuti invece i consumi di uova, pollame e selvaggina, di altri oli e di birra. Sul fronte dei consumi parrebbe però che sempre più Italiani dicano addio alla carne; secondo il rapporto EURISPES 2015, infatti, gli Italiani che hanno scelto di escludere le proteine animali dalla propria alimentazione nel 2014 sono il 7,1% della popolazione (circa l’1%in più rispetto all’anno precedente); 4,2 milioni di persone nel 2014, mentre nel 2013 erano stimati a 3 milioni e 720.000, con una crescita complessiva del 15%. A non aver modificato negli ultimi anni i comportamenti di consumo è solo il 36% delle famiglie per quanto riguarda la spesa alimentare; rispettivamente il 7% e il 5% hanno, invece, migliorato gli standard qualitativi e quantitativi. Il web: uno strumento per confrontare i prezzi ma anche per acquistare Vi è inoltre un ulteriore dato di riflessione, in ordine alle dinamiche più recenti del consumo: il 30% delle famiglie verifica prima su internet i migliori prezzi di vendita dei prodotti alimentari che andrà ad acquistare. Internet, quindi, non è soltanto un canale importante e fortemente in crescita per quanto riguarda la commercializzazione diretta di beni e servizi, ma rappresenta, attualmente, anche la principale bussola di orientamento delle famiglie italiane sui mercati tradizionali. Tra le motivazioni degli acquisti on-line, al primo posto in assoluto
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Il meglio della
C A R N E D I V I T EOLl a Ln d eO se La carne bianca di vitello è un alimento straordinario: ricca di proteine e amminoacidi, facilmente digeribile, povera di grassi e con un alto contenuto di ferro. Cosa volete di più? C’è di più!! La carne di vitello ha anche un gusto raffinato e duttilità nella cottura: questo la rende protagonista della storia gastronomica italiana. Non a caso il vitello è tra le carni più presenti nei Menu dei grandi Chef in Italia. Lo sapevate che la vera cotoletta alla milanese è fatta con la carne di vitello? Trovate la ricetta dello Chef Stefano De Gregorio insieme a tante altre su www.carnedivitello.it. Garanzia data dall’integrazione. Tutte le aziende del VanDrie Group sanno di essere responsabili al 100% per la qualità ottimale del prodotto finale. Questo vale sia per gli allevamenti sia per le aziende produttrici di latte in polvere e di carne. In quest’ottica la collaborazione per offrire al consumatore finale la garanzia di un prodotto di elevata qualità diventa logica. Così il VanDrie Group ha sviluppato la sua strategia integrata, assistito da uno dei più avanzati sistemi di controllo. www.vandriegroup.com La carne di vitello con una percentuale di grasso inferiore al 5% ha la seguente composizione media per 100 grammi: 104 kcal, 439 kJ, 22,1 g di proteine e 1,7 g di grassi. (fonte RIVM - NEVO).
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La nostra è una società in continuo movimento, dove l’estremizzazione della mobilità ha portato ad una condizione nella quale non è il consumatore ad inseguire il cibo, ma è il cibo che insegue il consumatore
Lo scorso anno abbiamo assistito ad un aumento delle carni surgelate vendute attraverso tutti i canali, con un +0,4% nelle carni rosse ed un +4,0% nelle carni bianche. Le quantità sono passate per le carni rosse da 9.390 tonnellate nel 2014 a 9.400 nel 2015, mentre per le carni bianche sono salite da 17.770 tonnellate nel 2014 a 18.550 nel 2015
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la maggiore convenienza rispetto ai canali tradizionali (43%). Un ruolo non trascurabile lo giocano però altri tre elementi: la comodità di non doversi adeguare agli orari dei negozi (18%), la comodità di non doversi spostare (17%) e la possibilità di confrontare rapidamente tante diverse offerte (16%). Nel complesso, queste tre motivazioni di ordine pratico/logistico valgono percentualmente quanto la motivazione della convenienza economica. Di certo siamo ancora lontani dal 10% degli acquisti alimentari del Regno Unito ma qui da noi, dove la quota degli acquisti alimentari sul totale e-commerce è pari all’1%, è più la debolezza dell’offerta che non la domanda a fare la differenza, se è vero che oltre il 70% degli Italiani lo pensa come un canale alternativo al pari degli altri tradizionali e già oggi 4 milioni acquistano cibo on-line (erano 3,5 nel 2014). E sarà necessario anche per le aziende produttrici comprendere come affrontare le nuove sfide, perché fette sempre maggiori di beni si venderanno con un click, che sia da un computer, da un tablet o da uno smartphone. È quella che NIELSEN ha definito la rivoluzione calma del popolo dei millennial e della generazione Z. I surgelati nel quadro delle nuove tendenze Le nuove abitudini alimentari consolideranno le scelte verso i freschissimi, tenuto conto che nel 19% delle famiglie c’è almeno un vegano o un vegetariano, cui vanno aggiunti circa 300.000 persone che si indirizzano verso una dieta fruttariana o crudista. Il confezionato ha comunque solide basi anche grazie ad una recente maggior attenzione verso diete particolari: infatti, il 32% delle famiglie italiane ha almeno un componente intollerante a qualcosa: lattosio, glutine ma anche uova, soia ed altri allergeni. Se poi aggiungiamo agli intolleranti coloro che seguono diete free from per loro personali convinzioni o necessità, è facile prevedere che l’ascesa dei lavorati senza glutine e dei prodotti senza lattosio (già oggi in crescita
rispettivamente del 31% e del 15%) subirà un’ulteriore impennata. Infine, l’innovazione alimentare per i consumatori sembra identificarsi sempre più con una vera e propria ricerca storico-geografica; infatti, il 20% la ritrova nei sapori regionali, un 14% la coniuga alla sostenibilità di filiera, mentre un 11% vorrebbe etichette maggiormente intelligibili ed esaustive; una buona quota (13%) la vede legata alla scoperta di nuovi gusti e sapori. Più in linea con il significato classico di innovazione è invece la risposta che riguarda i settori, dove al primo posto compaiono i surgelati (37%) seguiti dai confezionati (32%). È interessante notare che l’innovazione maggiormente percepita nel settore dei surgelati sia quella legata al concetto di sostenibilità all’inter no delle nuove preparazioni. Il tema dell’innovazione — pur nelle sue differenti declinazioni — torna prepotentemente al centro dell’attenzione del consumatore; tutte le più recenti ricerche confermano che circa un quarto del fatturato dell’industria alimentare (ben il 24%, pari a 28,8 miliardi di euro) è rappresentato da prodotti che presentano un alto contenuto di innovazione: la gamma del cosiddetto “tradizionale evoluto” (tra cui troviamo, com’è ovvio, le molteplici referenze di prodotti surgelati). Si tratta di un dato di notevole importanza, dal momento che poco più di 20 anni fa la situazione era ben diversa, con l’alimentare classico che copriva l’85% del totale ed il “tradizionale evoluto” che, con un 15%, cominciava timidamente ad affacciarsi nei consumi degli Italiani. Ciò significa che, nell’arco di un quarto di secolo, l’aumento percentuale di questi prodotti è ammontato a circa il 50%. Negli ultimi anni, il numero di persone che in Italia hanno aumentato il proprio consumo di surgelati (22,5%) è ben superiore a quello di coloro che lo hanno diminuito (8%). Tale crescita continuerà nei prossimi anni ma sarà più moderata, dal momento che circa il 10% pensa di aumentare
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Cordon bleu. Nelle vendite al dettaglio dei surgelati le carni rosse hanno sofferto, mentre le carni impanate non si sono mosse dalle 2.180 tonnellate del 2014 e le carni bianche hanno vissuto un’altra stagione di crescita. il proprio consumo mentre il 5% ritiene che lo diminuirà. Secondo lo studio, circa l’85% degli intervistati consuma più o meno spesso alimenti surgelati e in generale sono gli uomini ad utilizzarli maggiormente (87% rispetto all'83% delle donne). Si rivelano significative differenze nella frequenza di acquisto visto che circa il 25% consuma surgelati almeno 3 volte a settimana, il 46% lo fa una o due volte a settimana, il 21,5% due o tre volte al mese e circa l’8% solo una volta al mese o meno. La nostra è una società in continuo movimento, dove l’estremizzazione della mobilità ha portato ad una condizione nella quale non è il consumatore ad inseguire il cibo, ma è il cibo che insegue il consumatore. Mense, bar, luoghi di ristorazione, ma anche mezzi di trasporto come aerei, navi, treni o luoghi di sosta, come gli autogrill, sono tutti spazi nei quali il consumatore incontra il prodotto surgelato. Questo accade proprio per rispondere ad un bisogno del consumatore e cioè quello di un
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approvvigionamento veloce, sicuro in termini di qualità del prodotto, che comporta insieme la necessità da parte del ristoratore di una preparazione con modalità rapide e rispondenti alle norme sanitarie vigenti; inoltre, il surgelato è un prodotto di ausilio per le famiglie che, a causa dei cambiamenti socioeconomici, hanno ridotto il tempo disponibile per la preparazione dei cibi. Nell’ultimo periodo si registrano nuove tendenze che evidenziano la passione degli Italiani per gli chef e la cucina, divenuta ormai un fenomeno da monitorare dove gli stessi chef sono assurti a modelli di riferimento sociale, e i cui risvolti hanno impatto sui comportamenti di acquisto e consumo dei prodotti alimentari. Una recente indagine NOMISMA ha evidenziato un aspetto degno di nota: le persone che seguono spesso i programmi televisivi sono più attente alla qualità dei prodotti che acquistano e alla loro origine; una tendenza che può ben
intercettare l’offerta del surgelato, il quale — grazie alla linea del freddo, al confezionamento che in genere avviene con prodotti a km 0, alla supervisione e all’operato di addetti specializzati — garantisce il massimo della qualità e del mantenimento delle componenti organolettiche presenti nelle fasi di pre-lavorazione. Il mercato dei surgelati Quello dei surgelati in Italia è un segmento dell’alimentare di tutto rispetto: anzitutto il valore del mercato (al dettaglio e nel canale catering), che sviluppa una cifra tra i 4,2 ed i 4,5 miliardi di euro. Poi il numero delle famiglie acquirenti, oltre 24 milioni, che comporta una penetrazione prossima al 97%; l’acquisto medio si attesta intorno ai 13,60 kg con una frequenza in termini di atti d’acquisto intorno ai 24 per anno, per una spesa media annuale di oltre 79 euro. Numeri, comunque, ancora distanti da quelli registrati nel resto d’Europa: In Gran Bretagna, Germania e Scan-
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dinavia le punte di consumo pro capite superano i 45 chilogrammi. Tuttavia, va tenuto presente che Paesi mediterranei hanno a disposizione materie prime fresche in quantitativi nettamente maggiori rispetto a quelli nordeuropei. L’andamento positivo delle carni surgelate nel 2015 Il 2015 ha visto un aumento delle carni surgelate vendute attraverso tutti i canali, con un +0,4% nelle carni rosse ed un +4,0% nelle carni bianche. Le quantità sono passate per le carni rosse da 9.390 tonnellate nel 2014 a 9.400 nel 2015, mentre per le carni bianche sono salite da 17.770 tonnellate nel 2014 a 18.550 nel 2015. Nel complesso si tratta di un risultato comunque positivo, con una crescita media del 2,8% contro una media dell’intero comparto dei surgelati che ha fatto segnare un debole +0,4%. Ad un’analisi di più lungo respiro, emerge che nel periodo intercorso tra il 2005 ed il 2015 le carni sono le categorie merceologiche che hanno messo a segno la crescita più consistente: +54,3% le carni rosse, +41,7% le carni bianche, seguite a distanza dal +25,5% delle patate, dal +10,5% dei vegetali e dal +10,3% di pizze e snack. Nelle vendite al dettaglio le carni rosse hanno sofferto (–0,4%) scendendo da 5.430 a 5.400 tonnellate, attribuibili totalmente agli hamburger, le cui vendite si sono attestate a 3.220 tonnellate, mentre le carni impanate non si sono mosse dalle 2.180 tonnellate del 2014. Al contrario, le carni bianche hanno vissuto un’altra stagione di crescita (+5,5%), toccando le 9.350 tonnellate; nel settore del catering si è verificato un aumento per quanto riguarda sia le carni rosse (+1,0%) sia le carni bianche (+4,0%), con volumi complessivi pari rispettivamente a 4.000 e 9.200 tonnellate. Continua l’andamento negativo dei piatti pronti surgelati nel 2015 Nel 2015 il segmento dei piatti pronti ricettati ha proseguito in una tendenza al ridimensionamento dei totali acquistati, a motivo in primis
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del periodo di recessione economica e della conseguente attenzione al prezzo da parte del consumatore; in questo secondo caso, il perdurare delle difficoltà economiche — con tutte le componenti aggregate di pressione psicologica da parte dei media e dell’opinione pubblica — ha certamente inciso sulle scelte finali, seppur in un settore ad alto valore aggiunto come quello dei piatti pronti. Nell’arco di tempo tra il 2005 ed il 2015 i piatti ricettati sono tra le categorie merceologiche che hanno perso di più nelle vendite al dettaglio: dalle 56.800 tonnellate si è scesi a 32.350, pari ad un –43%. I quantitativi sono passati dalle 45.700 tonnellate del 2014 alle 45.100 del 2015: nelle vendite al dettaglio la contrazione è stata del 2%, da 33.000 a 32.350 tonnellate, con un leggero incremento dei primi piatti (da 18.300 a 18.390 tonnellate), un calo contenuto dei secondi piatti (da 6.700 a 6.550 tonnellate) e uno scivolone dei contorni pronti, passati da 8.000 a 7.500 tonnellate; il catering ha leggermente controbilanciato la tendenza negativa, con vendite per 12.750 tonnellate complessive partendo dalle 12.700 registrate nel 2014. È possibile affermare senza ombra di dubbio che questo sia stato il segmento che fra tutti abbia maggiormente risentito della pesante e lunga congiuntura economica negativa e dunque fatichi a riprendere la marcia; la continua decrescita registrata negli ultimi anni sta lievemente rallentando e soprattutto nell’area dei primi piatti si nota un risveglio interessante. Ma non è esente da responsabilità la concorrenza dei piatti pronti freschi. I primi piatti per i consumatori italiani sono un prodotto che è nella dieta giornaliera del consumatore e questo ne fa un’area particolarmente interessante per l’industria ed in particolare per il surgelato, che ha molte carte da giocarsi per tornare protagonista in un mercato che è ancora sotto dimensionato rispetto alla penetrazione del surgelato in Italia. Roberto Villa
INDAGINI
Mai più dal campo alla pattumiera In un mondo in cui ancora uomini, donne e bambini ogni giorno muoiono di fame, la lotta agli sprechi alimentari è diventata una priorità di Sebastiano Corona
C
i voleva forse la crisi economica per ridestare le nostre coscienze ed avviare una riflessione su certi comportamenti anche rispetto al mangiare. Buttarlo è un sacrilegio, perché il cibo è davvero frutto della terra e del lavoro dell’uomo, ma, a prescindere da questo, è arrivato il momento di invertire la rotta su una diffusa iniquità tra individui non più accettabile. L’aspetto lodevole, almeno nell’apparenza, di questo nuovo modo di ragionare, è che non si
lasci più alla sensibilità del singolo la responsabilità di fare. Si stanno infatti moltiplicando i progetti, le associazioni, i gruppi organizzati di persone, le norme che impongono nuove regole e persino le app che danno una mano a sprecare meno e regalare ciò che è in eccesso. La Francia si sta mostrando pioniera in questo ambito. Di recente una nota catena della distribuzione organizzata d’Oltralpe ha lanciato un marchio che prende il nome di Tutto anti-spreco, facendo così da
apripista per altre strutture di pari livello. CARREFOUR pone sugli scaffali alimenti con difetti estetici non riutilizzabili nella catena produttiva. Sono sicuri per la salute, hanno le caratteristiche organolettiche dello stesso prodotto con forma regolare, ma costano molto meno. Si tratta quindi di prodotti che vanno incontro sia alle esigenze della GDO, che di chi vuole risparmiare e non si ferma all’apparenza del prodotto. Nel progetto, realizzato con la collaborazione dell’associazione Les
Oltre alle campagne di sensibilizzazione, in Europa si stanno moltiplicando i progetti contro lo spreco alimentare. La Francia, ad esempio, ha appena introdotto una legge che impone ai supermercati di donare il cibo invenduto (photo © www.franceinfo.fr).
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Contenitori anti-spreco per il cibo prodotti dall’azienda Tecnobox di Carini, Palermo, che ad Expo ha lanciato la campagna “Attenzione allo spreco”. Mentre in Italia secondo un sondaggio della Coldiretti portare a casa gli avanzi dal ristorante è ancora un tabù, la doggy bag in Francia sta per diventare obbligatoria in tutti i locali di ristoro (photo © palermo.blogsicilia.it). Gueules Cassées, i primi prodotti chiamati in causa sono i cereali per la colazione che si presenteranno con il logo della campagna: una mela sdentata, macchiata, ma sorridente. Non tutti i prodotti possono però essere inseriti nella gamma Tous AntiGaspi. Devono infatti essere alimenti che offrono le stesse garanzie di sicurezza alimentare dei prodotti con forma perfetta e devono preferibilmente essere proposti al pubblico nella stessa regione in cui si trova la fabbrica di produzione. Si deve inoltre trattare di cibi che in alternativa sarebbero necessariamente finiti tra i rifiuti e che quindi non potevano essere impiegati in altro modo. In Francia abbiamo avuto co-
munque altri esempi del genere, tra cui INTERMARCHÉ che, dopo aver offerto nel 2014 frutta e verdura dalle forme strane con uno sconto del 30%, ha messo in vendita, in apposite confezioni, i biscotti rotti o anche con difetti all’origine. Ma non è con simili esempi che la Francia intendeva dare un segnale. Si è voluto fare molto di più: una norma specifica sul tema, che impone una serie di regole a chi produce o vende alimenti, affinché lo spreco sia ridotto al minimo. L’obbligo, imposto ai punti vendita della GDO con superficie superiore ai 400 metri quadri, è di donare i prodotti in scadenza ad associazioni che garantiscano il sostentamento dei non abbienti.
Gli studi su quanto nei Paesi occidentali finisca al macero, anziché a tavola, sono diversi. Si tratta soprattutto di stime, e quindi di dati talvolta opinabili; tuttavia, è evidente che gli squilibri tra categorie di persone e tra Stati, nel consumo del cibo, sono reali
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Gli scarti alimentari non più utilizzabili in cucina, invece, devono essere destinati alla realizzazione di biocombustibile, mangime per animali o compost per l’agricoltura. Questo imporrà ai grandi nomi della distribuzione alimentare di sottoscrivere accordi con enti benefici in assenza dei quali scattano sanzioni anche pesanti. Talmente pesanti che la norma è stata duramente criticata. In realtà, tra i primi Paesi a dare il buon esempio c’era stata l’Italia che più di un decennio fa licenziò una legge, la 155 del 2003, all’avanguardia in fatto di donazioni ai più poveri, di cibo cotto o fresco. Il nostro Governo ora ci ritenta. In una nota infatti il MIPAAF evidenzia che oggi recuperiamo 550.000 tonnellate di cibo ancora perfettamente commestibile che viene distribuito a milioni di persone in difficoltà ma che l’obiettivo è ben più ambizioso ed è quello di arrivare entro il 2016 al recupero di 1 milione di tonnellate. Il piano SprecoZero si realizzerà soprattutto con la semplificazione
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delle norme: infatti, la Legge di Stabilità rende più conveniente per le imprese donare piuttosto che buttare via. E lo fa attraverso l’innalzamento a 15.000 euro della soglia per l’obbligo di comunicazione preventiva in caso di donazione e lasciando a 10.000 euro, invece, il limite minimo per la distruzione. I supermercati molto spesso prendono l’iniziativa di sostenere
i meno fortunati e le relative organizzazioni, anche in assenza di una norma che lo imponga. E sovente questi gesti di solidarietà, anche ripetuti, rimangono nell’oblio. A proposito di iniziative che restano nell’ombra, vi sono una serie di azioni di aiuto che possono essere portate a compimento grazie a delle app. Il problema di far arrivare il cibo in eccesso a chi ne ha davvero
bisogno potrebbe infatti non essere cosa da poco. Gli aspetti organizzativi non curati possono generare perdite di tempo enormi ed ulteriori costi, soprattutto nei cibi già pronti e nei prodotti freschi. Ma ecco che la tecnologia ci corre incontro e compare la app BringTheFood, utilizzata in Italia da ristoranti, supermercati e mense per mettere a disposizione alimenti a
Le nuova generazione di etichette alimentari Per evitare gli sprechi corre in aiuto anche il mondo dell’etichettatura. L’imballaggio del futuro oltre a proteggere l’alimento fornirà importanti informazioni per evitare di farlo finire tra i rifiuti anzitempo. Ma le nuove etichette, oltre a ridurre gli sprechi saranno anche di grande aiuto per la sicurezza. Una nuova generazione di confezioni alimentari consentirebbe infatti di acquisire ulteriori e preziose informazioni che possono fare la differenza tra buttarne il contenuto nella pattumiera o consumarlo con tranquillità sulla sua effettiva sicurezza per la salute. Si tratta dell’etichetta cromo-termica che permette di capire se un cibo è stato conservato nei dovuti modi oppure se è stato esposto a temperature elevate che ne hanno compromesso la salubrità e la durata. È un’ideazione in gran parte nostrana poiché è stata messa a punto dai ricercatori del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università Milano-Bicocca insieme con i colleghi dell’Imperial College. L’etichetta è costituita da una pellicola di silice porosa sulla quale viene apposto un pigmento incolore a 4 °C. La colorazione resta tale però solo se la temperatura rimane costante. Qualora invece si dovessero verificare delle variazioni, le tonalità iniziali mutano, divenendo più o meno marcate a seconda della durata dell’esposizione alla temperatura superiore. Poiché la mutazione del colore rappresenta un processo irreversibile, tracce di eventuali discostamenti resterebbero sotto gli occhi di tutti, dal primo acquirente, che magari è un trasformatore, al commerciante o anche al consumatore finale. Si tratta di una soluzione pratica e poco costosa che potrebbe contribuire ad elevare la sicurezza dei cibi, oltre che l’eventuale, inutile spreco, seppur non sia utilizzabile in tutti i contesti e con tutti i prodotti. Ma le novità non finiscono qui, arrivano infatti anche le etichette che permettono di capire se il cibo di una confezione già aperta si può considerare sicuro o meno. Etichette particolarmente utili in ambito domestico. Con un sistema che “misura” la presenza di anidride carbonica nella confezione e che acquisisce un colore differente a seconda dell’esposizione, è possibile capire se un cibo che dimora nel nostro frigorifero da un certo lasso di tempo è ancora consumabile o rappresenta un pericolo per la nostra salute e quindi va buttato. Per i furbetti dello scaffale c’è invece una novità assoluta: quella di un’etichetta che consente di rilevare manomissioni alla confezione sulla data di scadenza. Questo sistema, essendo basato sul livello di ammoniaca sviluppato dal cibo con l’invecchiamento, superato il termine, rende illeggibile il codice a barre dell’articolo e quindi ne impedisce, di fatto la vendita (fonte: Il Fatto Alimentare). Ma fortunatamente i casi di rietichettatura dei prodotti alimentari sono davvero pochi e limitati a situazioni di grave violazione delle principali norme che regolano il sistema igienico e della sicurezza alimentare. Norme la cui trasgressione volontaria implica responsabilità civili, ma soprattutto penali di una certa entità. Ciò di cui avremmo però gran bisogno è una campagna di educazione alla lettura delle etichette da parte dei consumatori. Non solo persistono enormi difficoltà a capirne l’esatto contenuto in fatto di caratteristiche intrinseche, denominazioni europee, provenienza e allergeni, ma sarebbe già qualcosa se si riuscisse a fare in modo che i termini di consumazione venissero letti nella giusta modalità. Evitando così, appunto, di far finire in pattumiera prodotti ancora pienamente Etichette intelligenti: cambiano colore se il prodotto resta fuori dal frigo o se commestibili. l’alimento è scaduto.
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Rob Greenfield seduto tra i rifiuti alimentari trovati nei cassonetti all’ingresso di un supermercato a Madison, Wisconsin. Il giovane negli Stati Uniti è diventato un simbolo della lotta agli sprechi. Si pensi che in America ogni anno si gettano nella spazzatura 165 miliardi di dollari di prodotti alimentari perfettamente commestibili (photo © en.wikipedia.org). chi ha difficoltà economiche. Più a Sud invece, quattro giovani catanesi che hanno avviato l’associazione no profit I food share, attiva sul web, presentano una piattaforma a cui accedere per donare prodotti alimentari. I Tedeschi non si sono fatti attendere. All’indirizzo www.foodsharing.de risponde infatti una delle tante piattaforme web di foodsharing che garantisce un degno destino al cibo in eccedenza in alcune città come Berlino, Colonia, Monaco di Baviera. A Helsinki hanno fatto di più e, dando una grande lezione di civiltà a chi crede che con i propri condomini non possa esserci altro che guerra, è stato creato un sistema di condivisione del cibo all’interno del quartiere, un po’ come si faceva un tempo nei nostri paesini in cui si usava far avere ai vicini non solo quantità di materie prime in eccesso (si pensi a quando si ammazzava il maiale e non c’erano frigoriferi), ma anche veri e propri piatti di pietanze già cotte.
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Che dire della doggy bag che in Francia sta per diventare obbligatoria in tutti i locali di ristoro? Un tempo ci saremmo vergognati di chiedere al cameriere un contenitore dove mettere il cibo avanzato sul nostro tavolo, ma oggi non è solo la coscienza e l’odio per lo spreco ad imporcelo, perché sta diventando una moda vera e propria. Le esperienze simili a quelle descritte in giro per il mondo non si contano. Non si pensi però che tutto questo, seppur animato dalle migliori intenzioni, non possa creare problemi di sicurezza alimentare. Trattare cibi, crudi o cotti che siano, richiede accorgimenti di un certo tipo e pensare di poterli disattendere, solo perché mossi da spirito solidaristico, non è una strada percorribile, né può essere accettata dagli organi di controllo. Essere ligi alle regole genera però costi ed esigenze organizzative che hanno un loro impatto importante. È anche per questo che la recente norma francese sugli sprechi ha raccolto un certo disappunto,
oltre che un grande consenso per le finalità ultime che portava. Ad avere sollevato qualche perplessità sono state anche alcune associazioni di beneficenza in dubbio sulle proprie effettive capacità di organizzare le operazioni di raccolta e distribuzione, soprattutto per i prodotti altamente deperibili. Per una tale celerità nei ritiri e per l’acquisizione di certi tipi di prodotto sono necessari mezzi refrigerati e ambienti a temperatura controllata. Questa norma, dunque, non sarebbe un’imposizione solo per la GDO, costretta a gestire un altro, oneroso aspetto i cui costi saranno inevitabilmente fatti ricadere sul consumatore finale. Le nuove regole dei nostri cugini d’Oltralpe, pur scritte con il miglior animo, comporteranno l’impiego di mezzi, spazi e una serie di altri accorgimenti che potrebbero essere cosa molto meno facile da mettere in piedi di quanto si creda. O almeno di quanto credessero coloro che la norma l’hanno scritta. Sebastiano Corona
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MERCATI
Analisi ISMEA: 2015 e primo quadrimestre 2016
Suinicoltura, l’andamento del settore nel 2015
I
dati a consuntivo del 2015 hanno confermato le tendenze evidenziatesi in corso d’anno, in relazione ad una situazione difficile e complessa per il settore suino. In un contesto di mercato già fortemente penalizzato dall’embargo russo, l’allarme lanciato dall’OMS sui presunti danni alla salute causati dal consumo di carni rosse e, soprattutto, di quelle lavorate ha molto compromesso la domanda finale e i prezzi. In particolare il settore ha sofferto il calo dei consumi interni, sia di carne fresca che di salumi, verificatosi maggiormente nella seconda parte dell’anno, in seguito non solo ai fenomeni mediatici con-
seguenti all’allarme sul consumo di carne, ma anche al perdurare della situazione incerta sul fronte del mercato nazionale e del potere d’acquisto delle famiglie. Il calo dei consumi ha riguardato in modo particolare i salumi più elaborati come salami e würstel. L’export continua di fatto a trainare il settore, come attestato dall’andamento molto positivo delle vendite di salumi made in Italy, nel 2015, sui mercati esteri. Un altro segnale positivo per il settore è derivato dalla tendenza calante dei costi di produzione — a seguito del deprezzamento dei mangimi, degli animali d’allevamento e, in misura inferiore, dei prodotti energetici
— che non è stato sufficiente però ad arrestare la contrazione della redditività degli allevatori: nonostante il primo semestre dell’anno avesse fatto sperare in un’inversione di tendenza, il 2015 si è chiuso in maniera negativa soprattutto a causa del crollo dei prezzi all’origine. Nello specifico, la redditività degli allevamenti suinicoli nazionale è stata fortemente compromessa dalla tendenza ribassista dei prezzi all’origine dei capi da macello pesanti. E su tale dinamica, si ribadisce, poco è valsa la contestuale flessione dei costi di produzione, determinata dall’andamento deflativo delle voci energetiche e dei mangimi.
Nel 2015 c’è stata una ripresa delle macellazioni, che si attestano su 11 milioni di capi, ovvero un 3,4% in più sul 2014.
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Il patrimonio suinicolo in Europa Nel contesto europeo (UE 28), il patrimonio suinicolo nel 2015 è cresciuto mediamente dello 0,3%. Tra i Paesi maggiormente dediti alla suinicoltura, le consistenze hanno mostrato tassi incrementali significativi in Spagna (+6,8%) e Paesi Bassi (+3,2%); mentre Regno Unito, Romania e Germania hanno tutti registrato un decremento del 2% circa e la Polonia una contrazione del 6%. Tra i Paesi poi dove la suinicoltura è meno rilevante, ma non trascurabile, il Portogallo ha visto crescere il proprio patrimonio nell’anno di riferimento (+5,7%) mentre Irlanda e Repubblica Ceca hanno registrato decrementi, rispettivamente, del 2% e 3%. In Italia il patrimonio suinicolo nel 2015 è rimasto sostanzialmente stabile (+0,1%), di complessivi 8,7 milioni di capi. In calo, nell’ambito della categoria dei suini da ingrasso, solo i suini leggeri da 80 a 100 kg (–0,6%). In ripresa le macellazioni nazionali Nel 2015 si assiste a una ripresa delle macellazioni, che si attestano su 11 milioni di capi: in termini percentuali, si tratta del 3,4% in più di capi macellati rispetto al 2014. La ripresa della domanda da parte dei macelli ha riguardato maggiormente i capi grassi (+4%), mentre per i magroni e per i lattonzoli il dato di macellazione registra un trend negativo (in ordine, del –1,4% e del –5,5%). Aumenta la produzione di salumi L’incremento delle macellazioni trova coerenza nel trend positivo osservato riguardo alla produzione e al fatturato dell’industria dei salumi che, nel 2015, sono tornati a crescere rispettivamente dello 0,9% e 0,7% rispetto all’anno precedente. In particolare, in quantità, il salume più prodotto è stato il prosciutto cotto, con un aumento della produzione del 2,6% rispetto al 2014. In calo la domanda interna Aumenta l’offerta senza un corrispondente aumento della domanda, almeno sul mercato interno.
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Ancora in calo, in Italia, gli acquisti delle famiglie, sia di carne fresca che di salumi. Nello specifico, la carne suina, che rappresenta l’1,8% della spesa sul totale degli acquisiti delle famiglie in beni alimentari, a consuntivo 2015 ha registrato un calo del 9%, mentre il calo dei salumi (sempre in valore) si è attestato sullo 0,7%. La tendenza negativa si accentua poi nel primo trimestre 2016, quando la spesa delle famiglie si contrae, su base annua, del 4,7% in riferimento ai salumi e del 7,7% in riferimento alle carni suine. In particolare, nella categoria dei salumi, considerando i singoli prodotti, prosegue la contrazione della spesa per salami (–3,8%) e würstel (–18%), alla quale si unisce il calo degli acquisti di prosciutti per i quali, invece, nel 2015 si era assistito a una dinamica crescente: così per il prosciutto cotto (–3,3% rispetto al primo trimestre 2015) e per il prosciutto crudo DOP San Daniele (–8,2%). Contestualmente, tuttavia, il prezzo medio unitario dei prosciutti crudi ha seguito una dinamica inflativa, fenomeno questo che in valore ha mitigato la corrispondente contrazione delle quantità acquistate. Nel caso addirittura del prosciutto crudo DOP Parma, in forza del rialzo del prezzo al dettaglio, si è avuto un aumento della spesa nonostante la flessione dei quantitativi comprati dalle famiglie. Export, traino del settore Ma l’export continua a fare da traino. Nel 2015 le esportazioni del settore sono aumentate del 5% sia in valore che in volume, sostenute principalmente dalla vendita all’estero di prodotti trasformati, dove giocano un ruolo importante i salumi made in Italy a marchio DOP e IGP. La dinamica delle esportazioni restituisce un quadro in cui emerge la crescita delle vendite all’estero di prosciutto cotto, aumentate del 44% in volume e di un corrispondente 23% in valore rispetto al 2014.
Nel contesto europeo, il patrimonio suinicolo nel 2015 è cresciuto mediamente dello 0,3%. In Italia il patrimonio suinicolo nel 2015 è rimasto sostanzialmente stabile, di complessivi 8,7 milioni di capi. In calo, nell’ambito della categoria dei suini da ingrasso, solo i suini leggeri da 80 a 100 kg
Nel 2015 le esportazioni del settore sono aumentate del 5% sia in valore che in volume, sostenute principalmente dalla vendita all’estero di prodotti trasformati, dove giocano un ruolo importante i salumi made in Italy a marchio Dop e Igp
Trend positivo vendite estere anche nel 2016 Il trend positivo delle esportazioni
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Figura 1 – Variazione consistenze suine UE 28 – 2015/2014
Fonte: elaborazione ISMEA su dati EUROSTAT.
Figura 2 – Variazione consistenze suine 2015/2014
Fonte: elaborazione ISMEA su dati EUROSTAT.
prosegue anche nei primi quattro mesi del 2016, quando registrano +4% in valore e +13% in volume rispetto allo stesso quadrimestre del 2015. Continua la crescita delle esportazioni di prosciutto cotto che regi-
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strano una variazione del 14,5% in volume e del 5,9% in valore rispetto allo stesso periodo del 2015. Tornano a crescere le vendite all’estero di pancette stagionate (+20%) e prosciutti crudi, stabili le esportazioni di mortadella.
Bilancia commerciale in passivo ma in progressivo recupero Nei primi mesi del 2016 la bilancia commerciale continua a registrare un recupero di circa 114 milioni di euro, in seguito al calo delle importazioni, diminuite del 13,2%
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Figura 3 – Dinamica esportazioni dei principali prodotti 2015/2014 (variazioni % in volume e valore)
Fonte: elaborazione ISMEA su dati EUROSTAT.
Figura 4 – Dinamica esportazioni dei principali prodotti I quadr. 2016/I quadr. 2015 (variazioni % in volume e valore)
Fonte: elaborazione ISMEA su dati EUROSTAT.
in valore e del 4,6% in volume, rispetto allo stesso periodo del 2015. Nonostante le buone performance dell’export, la bilancia commerciale del settore rimane in passivo, a causa della forte dipendenza dall’estero nelle importazioni di carni fresche e suini vivi, benché sia doveroso evi-
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denziare che, grazie alle dinamiche degli ultimi anni, l’esposizione estera del settore sia progressivamente migliorata. Il 2015 chiude in negativo sui prezzi dei suini e delle carni Sul fronte dei prezzi, a consuntivo
2015, risulta accentuata la tendenza ribassista dei prezzi all’origine che aveva avuto inizio nell’anno precedente. Eccedenza di offerta a livello comunitario e indebolimento della domanda interna, i due fattori che hanno determinato tale fenomeno. In particolare, l’appesantimento dei
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Figura 5 – Dinamica importazioni dei principali prodotti 2015/2014 (variazioni % in volume e valore)
Fonte: elaborazione ISMEA su dati EUROSTAT.
Figura 6 – Dinamica importazioni dei principali prodotti I quadr. 2016/I quadr. 2015 (variazioni % in volume e valore)
Fonte: elaborazione ISMEA su dati EUROSTAT.
mercati europei è stato sostanzialmente determinato dall’embargo russo, per il collocamento sul mercato intracomunitario del prodotto che non ha più trovato sbocco sul mercato di Mosca. Nello specifico, l’indice ISMEA dei prezzi all’origine nel 2015 rispetto al 2014 registra una
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variazione negativa dell’8,5% per i suini da macello e del –8,9% per i suini d’allevamento. Per quanto riguarda le singole categorie di animali, tra i suini da macello, il suino pesante (156-176 kg) — che rappresenta la maggiore specializzazione produttiva italiana ed è destinato
principalmente alla trasformazione in prosciutti e salumi DOP — registra un calo del 7,8% del prezzo alla produzione. In riferimento alle principali piazze, su quella di Cremona i suini grassi perdono, su base annua, 13 centesimi, attestandosi su un prezzo medio di 1,34 €/kg peso
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Figura 7 – Prezzi all’origine dei capi d’allevamento e da macello sulle principali piazze
Fonte: ISMEA. vivo, rispetto all’1,47 €/kg dell’anno precedente (calo dell’8,6%). Il suino leggero (90-115 kg) — destinato alla produzione di carni fresche — ha subito una flessione di prezzo del 7,4% (indice ISMEA). Anche per i suini d’allevamento si assiste a un crollo generalizzato dei prezzi, pari al 9,8% nel caso del suino di 30 kg (indice ISMEA). Sulla piazza di Modena, il suo prezzo si attesta su 1,49 €/kg peso vivo, perdendo il 7,5% rispetto al 2014 quando si attestava su 1,61 €/kg. Nel 2016 quotazioni in lieve rialzo per i suini d’allevamento Il trend negativo dei prezzi dei suini registra un’attenuazione all’inizio del 2016, conseguendo una certa stabilità. In particolare, nel primo trimestre si assiste a un rialzo del prezzo dei suini d’allevamento, il cui indice registra un aumento del 12,5% in termini congiunturali (rispetto all’ultimo trimestre 2015) e del 5,8% su base annua (rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). L’aumento delle quotazioni continua nel mese di aprile, mentre torna ad arrestarsi nel mese di maggio quando si registra un –7,6% su base mensile. Rialzo per i suini da macello solo a maggio 2016 Dinamica differente per i prezzi
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dei suini da macello, il cui indice, nel primo trimestre 2016, continua a registrare variazioni negative, in termini sia congiunturali che tendenziali. Le quotazioni risultano in ribasso anche ad aprile, mentre a maggio registrano una lieve ripresa (+3,7% su base mensile) grazie alla quale ritornano sui livelli analoghi di maggio 2015. In ribasso i tagli industriali, tranne le cosce destinate alle Dop A consuntivo 2015, i principali tagli industriali presentano una dinamica ribassista delle quotazioni. Tale situazione evidenzia la sofferenza mercantile delle produzioni suinicole nazionali, nonostante l’introduzione dell’etichettatura obbligatoria relativa all’origine, a partire dallo scorso aprile. A soffrire di più sono i lombi (che presentano una flessione dei prezzi pari al –2,9%) e la spalla senza osso (–9,5%). Su terreno positivo le quotazioni delle cosce fresche pesanti (12-15 kg) destinate a produzioni tipiche, i cui prezzi nel 2015, di converso, sono aumentati del 5,6%. I prezzi delle cosce fresche pesanti (12-15 kg) destinate al circuito delle produzioni DO hanno seguito un trend inflativo anche a inizio del 2016, mettendo a segno, a giugno, un +14% su base annua. Rimangono invece su quotazioni basse i lombi
(Lombo Modena) e la spalla senza osso che, sempre a giugno, registrano una contrazione tendenziale, rispettivamente, del –11% e del –18%, nonostante il rialzo rispetto al mese precedente (+ 9% e +7%). Il 2015 registra anche il calo dei costi di produzione che si attenua nei primi mesi del 2016 Nel 2015 risultano in calo anche i costi di produzione dell’allevamento suino, come mostrato dall’indice ISMEA dei prezzi dei mezzi correnti. Più da vicino, il calo del livello dei prezzi riguarda tutte le voci spesa più significative: in flessione i prezzi dei mangimi (–8,3%) e dei prodotti energetici (–0,1%), degli animali d’allevamento (–7,3%), mentre sono leggermente aumentati i costi legati alla manodopera salariata (4,3%). Le prime evidenze del 2016 mostrano aumenti della spesa per l’acquisto degli animali da ingrassare, a fronte di una stabilità dei prezzi dei mangimi, dei prodotti energetici e dei salari. Tale stabilità, squisitamente congiunturale, non ha un pari riscontro in termini tendenziali: tra aprile 2016 e aprile 2015 si registra un calo del 7% in relazione ai mangimi e del 3% in merito ai prodotti energetici. (Fonte: Tendenze Suino n. 1/2016 ISMEA – www.ismeamercati.it Elaborazione ISMEA su dati ISTAT)
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Avicoltura: un modello per le sfide della zootecnia italiana UNAItalia propone una riflessione sulle sfide che attendono il settore zootecnico italiano. E presenta uno studio Nomisma che per la prima volta mette in luce i fattori alla base del successo dell’avicoltura italiana: filiera integrata, 100% italiana; prodotti buoni, convenienti, sani e controllati; investimenti in biosicurezza, benessere animale e sostenibilità
L
a zootecnia italiana sta vivendo un periodo storico di grandi sfide e profondi cambiamenti. Crisi dei consumi, allarmi alimentari, frammentazione del tessuto produttivo, stanno mettendo a dura prova un comparto fondamentale per l’economia del Paese. In questo difficile contesto di mercato, il settore avicolo è quello che ha
tenuto meglio: negli anni in cui la negativa congiuntura economica e l’avanzata del vegetarianismo hanno influenzato i consumi delle famiglie italiane, determinando un calo della spesa per le carni e i derivati pari a -7,5% a valori costanti, i prodotti avicoli — unico esempio tra le carni — hanno visto aumentare, tra il 2009 e il 2015, i consumi
(da 18,6 kg pro capite a 20,2 kg), la produzione (+9%), la ricchezza prodotta dagli allevamenti (+27%) e quella prodotta dalla trasformazione (+6,2%). Sulla base di questi positivi risultati, UNAITALIA, l’associazione nazionale di riferimento per il settore avicolo, ha voluto promuovere una più ampia riflessione di filiera
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Pollo in vaschetta. con l’obiettivo di disegnare un percorso di tutela e valorizzazione dell’intero patrimonio zootecnico nazionale. Punto di partenza, uno studio condotto da NOMISMA sulla filiera avicola integrata, che, per la prima volta, ha analizzato in profondità i fattori di successo di un modello produttivo che in questi anni si è rivelato vincente. E che in sintesi vanno ricercati nelle forti radici agricole, nella pluralità di attori in un sistema fortemente integrato, nella totale autosufficienza e in una cultura dell’innovazione e della qualità capace di rispondere alla domanda di un consumatore sempre più esigente. Lo studio di NOMISMA racconta di un comparto che, grazie a una
filiera dalla forte integrazione verticale, ha saputo sviluppare e diffondere efficacemente gli elementi qualificanti del proprio modello produttivo — tutela della sicurezza alimentare e del benessere animale, biosicurezza, sostenibilità ambientale — e rispondere così alle mutevoli esigenze del mercato e dei consumatori, sempre più orientati a prodotti ad alto contenuto di servizio, ma anche sempre più informati, consapevoli e sensibili. «Abbiamo voluto mettere intorno ad un tavolo le istituzioni e i rappresentanti del mondo agricolo e della filiera — spiega il presidente di UNAITALIA ALDO MURARO — ponendo al centro del dibattito l’esigenza di valorizzare le produzioni zootecniche nazio-
Crediamo che l’avicoltura, con il suo sistema di integrazione di filiera che si è rivelato vincente e su cui c’è forse scarsa conoscenza e qualche pregiudizio, possa rappresentare un interessante punto di riferimento per l’intero comparto zootecnico italiano, dice Aldo Muraro
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nali e rivendicando il loro ruolo economico primario nel sistema agroalimentare. Vogliamo stimolare una riflessione sui modelli più adatti a sostenere le sfide del futuro, per disegnare un nuovo approccio ad una zootecnia sempre più sostenibile, con una crescente attenzione al benessere animale. Crediamo che l’avicoltura, con il suo sistema di integrazione di filiera che si è rivelato vincente — e su cui c’è forse scarsa conoscenza e qualche pregiudizio — possa rappresentare un interessante punto di riferimento per l’intero comparto zootecnico italiano». Filiera avicola integrata: una risorsa per l’agricoltura, a beneficio di imprese e allevatori, consumatori e ambiente L’evoluzione strutturale e organizzativa del settore avicolo verso un modello integrato, costituito da pochi operatori di medie e grandi dimensioni che coinvolgono una moltitudine di imprese agroalimentari fortemente integrate lungo la filiera, è alla base del trend positivo che nell’ultimo decennio ha carat-
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terizzato il valore della produzione avicola nel nostro Paese. La ricchezza prodotta dagli allevamenti della filiera — pari a 4,2 miliardi di euro nel 2015 — ha registrato infatti un sensibile aumento, in particolare nel periodo 2009-2015, in cui si è registrato un +27%.
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Ma l’andamento positivo del settore avicolo negli ultimi dieci anni — spiega il rapporto NOMISMA — è anche dovuto alla capacità da parte del sistema produttivo avicolo di interpretare il radicale mutamento delle abitudini di consumo degli italiani, che negli anni ‘60 e ‘70
consumavano quasi esclusivamente pollo intero. A partire dagli anni ‘80 le preferenze si sono spostate sempre di più verso il pollo in parti (che nel 2014 ha rappresentato il 61% dei consumi di carne di pollo) e, parallelamente, verso quello lavorato e ad alto contenuto di servizio, che nel 2014 ha raggiunto il 28% del totale dei consumi di categoria, contro solo l’11% relativo al prodotto intero. L’importanza socio-economica della filiera avicola per il sistema agricolo, e più in generale per l’agroalimentare italiano, è evidente. Secondo il rapporto NOMISMA, nella fase primaria gli allevamenti avicoli assicurano l’8,5% del valore della produzione agricola italiana e il 4,2% degli addetti dell’intero comparto agricolo. In quella successiva di macellazione e trasformazione le imprese di lavorazione di carni avicole e produzione di uova rappresentano il 4,2% delle vendite e il 5,7% degli addetti dell’industria alimentare italiana. L’integrazione di filiera adottata dall’avicoltura italiana offre più vantaggi agli allevatori, che possono beneficiare di garanzie non sempre presenti in agricoltura: un rapporto di collaborazione stabile nel tempo, un qualificato supporto tecnicosanitario e, soprattutto, una maggior tutela da condizioni di mercato perturbate che colpiscono altri settori agricoli. Parliamo di circa 18.500 allevamenti che impiegano 38.500 addetti, con produzione e occupazione in gran parte concentrati in 6.000 allevamenti professionali con almeno 250 capi, cui si affiancano un gran numero di allevamenti di tipo rurale distribuiti all’interno territorio nazionale. La fase della trasformazione (macellazione, sezionamento e preparazione delle carni e lavorazione delle uova) è assicurata da circa 1.600 imprese agroindustriali, che danno lavoro direttamente a circa 25.500 addetti e che grazie alla filiera integrata possono contare su una base produttiva stabile con la quale investire per rispondere alle nuove esigenze della domanda. Attraverso l’integrazione verticale le aziende avicole possono condividere e
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adottare rapidamente best practice ed implementare efficaci sistemi di autocontrollo che si integrano con le attività ispettive di monitoraggio e analisi delle autorità sanitarie pubbliche assicurate da oltre 4.500 veterinari pubblici presenti sul territorio nazionale. Un esempio di come in una filiera integrata si possano favorire comportamenti virtuosi è offerto dai risultati raggiunti con il Piano nazionale per l’uso responsabile del farmaco veterinario e la lotta all’antibiotico-resistenza in avicoltura, elaborato da UNAItalia, in rappresentanza delle filiere avicole, in collaborazione con la Società Italiana di Patologia Aviare, con la supervisione del Ministero della Salute. Il Piano, varato nel luglio 2015, ha carattere volontario, mira ad un uso razionale degli antibiotici in avicoltura per limitare l’insorgere di fenomeni di resistenza ed ha come obiettivo la riduzione dell’impiego di antibiotici negli allevamenti avicoli aderenti. L’obiettivo era di ridurre del 15% (rispetto al dato 2011) il consumo totale di antibiotici entro il 2015, e di arrivare a meno 40% nel 2018. L’obiettivo 2018 è stato già praticamente raggiunto, con una riduzione dell’indicatore di consumo per l’anno 2015 rispetto al 2011 del 39,95%. Altro esempio: con riferimento alla presenza negli animali vivi e nei prodotti immessi sul mercato di eventuali residui di sostanze anabolizzanti e farmaci veterinari (ad esempio antibiotici) lo studio NOMISMA evidenzia come dalle ispezioni svolte nel 2014, a fronte di un ampio campionamento che ha coinvolto i diversi settori delle produzioni animali (bovini, suini, avicoli, ecc…), nel caso delle produzioni avicole la non conformità è stata limitatissima, pari allo 0,04%. Risultati che si devono anche al sistema di norme dell’Unione Europea, più complete rispetto a quelle di altri paesi specializzati nella filiera avicola, come USA, Brasile e Tailandia. Più benessere animale Il modello avicolo italiano rappresenta anche un valido strumento attraverso il quale è stato possibile sviluppare efficacemente le migliori
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pratiche per il benessere animale e diffonderle su ampia scala all’intera filiera: dall’adozione della ventilazione forzata ai fini di garantire un buon ricambio d’aria negli allevamenti, alle soluzioni e pratiche volontarie adottate dalle aziende avicole italiane per migliorare il benessere degli animali durante il trasporto e ridurne lo stress. Ad esempio, la forte specializzazione geografica dell’avicoltura italiana (con allevamenti localizzati a breve distanza dagli impianti di macellazione) consente tempi medi di trasporto degli animali compresi tra le due e le quattro ore, una tempistica nettamente inferiore rispetto a quella massima (12 ore) prevista dalla normativa di riferimento. Minore impatto sull’ambiente Le carni avicole, all’interno della categoria degli “alimenti proteici non derivati dal latte”, rivestono un ruolo preminente tra quelle che impattano meno sull’ambiente. Infatti, le caratteristiche intrinseche delle specie avicole, in primis l’elevato indice di conversione degli alimenti e l’assenza di processi fermentativi, rende i prodotti dell’avicoltura tra i meno impattanti di questa categoria. Tra i player della filiera avicola italiana è prassi diffusa l’attuazione, lungo tutta la filiera produttiva, di interventi di efficienza energetica tesi ad aumentare il risparmio energetico e a contenere le emissioni di CO2 in atmosfera: si va dall’eliminazione degli sprechi di prodotti, materiali e risorse idroenergetiche all’implementazione di sistemi di monitoraggio dei consumi, per arrivare all’utilizzo, laddove consentito, di acqua di recupero opportunamente trattata oppure all’uso di illuminazione a LED. Anche lo sviluppo di progetti nel campo delle energie rinnovabili coinvolge tutti i principali operatori della filiera avicola, come l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti degli allevamenti e degli stabilimenti, la costruzione di impianti per la produzione di biogas o l’utilizzo di scarti di lavorazione e acque reflue. (Fonte: UNAItalia, www.unaitalia.com)
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La Rivoluzione delle carni bianche ha avuto inizio
Arriva sul mercato la linea “I Leggeri di Palmieri” con solo carni di pollo di Gaia Borghi
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evi affrontare gli esami di fine anno scolastico e desideri ottenere la maggior concentrazione possibile semplicemente curando la tua alimentazione? Scegli il pollo! Vuoi restare in forma o perdere qualche chilo in vista della prova costume ma non sei un grande sportivo? Vai di pollo! Stai particolarmente attento alla dieta
dei tuoi bambini e li vuoi fare felici con un alimento sano, digeribile, nutriente, leggero e controllato? Opta per il pollo! Soffri d’insonnia e oramai hai tentato di tutto mentre basterebbe prediligere una cena a base di proteine facilmente digeribili? Abbandona le pecore e mangiati il pollo! Pollo, pollo e ancora pollo. Hai un problema? Il pollo è
la soluzione, il minimo comun denominatore che oggi sembra mettere d’accordo le persone appartenenti alle più diverse categorie: medici, nutrizionisti, sportivi, mamme, bimbi, consumatori di ogni età, ceto sociale e paese. Secondo un recente sondaggio realizzato da DOXA per UNAItalia, l’Unione Nazionale delle filiere agroalimentari delle carni e delle
Pollastrella, la nuova mortadella di pollo firmata Palmieri, appena lanciata sul mercato. Il prodotto fa parte della linea I Leggeri di Palmieri, insieme a Pollastrino cotechino di pollo, e Pollastrone polpettone di pollo.
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uova, 8 Italiani su 10 lo consumano almeno una volta alla settimana e 7 su 10 considerano quella di pollo, tra tutte le carni, la migliore da un punto di vista nutrizionale, ricca di proteine e povera di grassi. Cambiando orizzonte, sempre dai dati raccolti dall’associazione, negli Stati Uniti 9 consumatori su 10 acquistano regolarmente il pollo e i valori relativi al consumo del 2016 superano di gran lunga quelli degli ultimi due anni. Insomma, in questo momento storico in cui non si fa che parlare di “addii alla carne”, il pollo risulta senza dubbio vincente. Pollastrella Palmieri, leggerezza made in Italy E se il pollo incrociasse sulla sua strada due artigiani salumieri specializzati, veri e propri maestri nella produzione della mortadella, cosa succederebbe? Eliminato il condizionale, succede che nasce Pollastrella, una mortadella prodotta con carne di pollo, anzi, specifichiamo, con una selezione di carne di animali nati e allevati a terra in Italia. I fratelli Palmieri, dell’omonimo salumificio di S. Prospero (MO), creatori della mitica mortadella Favola, hanno deciso di lanciare sul mercato all’inizio dell’estate un prodotto che andasse incontro alle richieste dei consumatori e all’attuale trend di “ricerca della leggerezza”: 100 grammi di Pollastrella forniscono infatti solo 133
Palmieri: tanto lavoro e un’azienda in crescita I fratelli Massimo, Michele e Marcello Palmieri rappresentano quell’idea di imprenditoria emiliana Doc fatta di poche parole e molti fatti! Chi li conosce sa che sono concreti, sempre in movimento, con i piedi ben piantati nell’operatività della loro azienda e la testa impegnata a inventare nuove linee di prodotto e a sviluppare le posizioni sul mercato nei canali già occupati. «L’azienda ha già superato i volumi di prodotto pre-terremoto (che nel maggio 2012 fece dei danni notevoli in questa parte della regione) e oggi la nostra mortadella Favola resta il prodotto di punta e di bandiera sul mercato» ci racconta Marcello Palmieri. «Il mercato ci sta dando parecchie soddisfazioni» aggiunge Paolo Arcangeli, il direttore generale dello stabilimento di San Prospero, alle porte di Modena. «A fine luglio si può già tracciare un primo bilancio parziale dell’anno in corso, e possiamo affermare che il 2016 conferma i nostri obiettivi di crescita nonostante la contrazione dei consumi, e i primi risultati dovuti agli investimenti sulla rete di vendita e sui nuovi prodotti». Mec Palmieri ha canalizzato l’offerta dei salumi tra la GDO e il normal trade. In questo modo il consumatore può trovare i prodotti sia tra gli scaffali del supermercato sia nella bella salumeria sotto casa, differenziati per canale ed esclusività, conciliando il gusto alle esigenze di portafoglio. >> Link: www.mecpalmieri.it
Kcal. Per ottenere questo risultato, i tagli utilizzati sono coscia e petto di pollo selezionati e lavorati senza l’uso di macchinari per la separazione meccanica. Anche per la parte “grassa” del prodotto si usa il pollo e al posto dei classici lardelli di suino si predilige il petto, otte-
nendo una mortadella fino al 70% più magra del salume tradizionale. Profumata, dal sapore delicato, equilibrata nel gusto, Pollastrella è senza glutine, polifosfati e derivati del latte, glutammato monosodico e OGM. Soltanto buona insomma. Gaia Borghi
Polpette ai tre sapori Ingredienti per 4 persone 350 g ricotta di mucca • 200 g di Pollastrella • 4 cucchiai di pistacchi sgusciati • 4 fette di pan carré • 200 ml di latte • 1 uovo • sale • pangrattato q.b. • 1 cucchiaio di pomodorini secchi • 1 cucchiaino di capperi • olio EVO Preparazione (facile, 30’) In una ciotola capiente amalgama la ricotta, le fette di Pollastrella frullate, il pane precedentemente ammollato e strizzato nel latte e l’uovo. Aggiusta di sale e aggiungi all’impasto i pistacchi tritati finemente. Forma tante piccole palline grandi quanto una noce e passale nel pangrattato. Disponile su una teglia precedentemente rivestita di carta forno e infornale a 180 °C fino a doratura; circa 15/20 minuti. Prepara la salsa frullando i capperi con i pomodorini e l’olio. Servi le polpette ancora calde accompagnate dalla salsa.
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LA CARNE IN TAVOLA
Lo spezzatino ieri e oggi
Il segreto della casseruola rossa di Giorgia Fieni
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uando penso allo spezzatino, la prima cosa che la mia mente focalizza è la casseruola rossa coi manici neri, smaltata di bianco e col coperchio, la quale, posta sul fornello della nonna, emanava profumo di verdurine, bocconcini di carne e appena una punta di concentrato di pomodoro (quello super amaro). Non ricordo quanto il tutto rimanesse fermo in quella posizione, ma so che poi mi veniva versato nel piatto a righe multicolori, di fianco al quale era già stato strategicamente piazzato un pezzo di pane con molta mollica, per fare scarpetta. Ecco, per me questa ricetta è definibile solo in questo modo e non ha nulla a che fare con deglassate con vino bianco il fondo di cottura
(CARLO CRACCO) o con a dispetto del nome e del risultato finale, morbido, profumatissimo e ricco di salsa, il mio spezzatino di tonno con patate è crudo (MORENO CEDRONI). D’altra parte, sono fermamente convinta che la tradizione abbia bisogno di qualche “alleggerimento”, per cui mi piace l’idea di abbinare allo spezzatino nuovi sapori, pur mantenendone la “fama” di comfort food: per esempio scottona e champignon ripieni al mascarpone, con il profumo di tartufo, oppure coniglio e castagne con finocchietto (o menta) oppure faraona e zucca con zenzero e brandy. Il consiglio rimane sempre quello di tagliare la carne a cubetti e infarinarli in modo da ottenere una salsa finale piuttosto densa.
La nonna, nella casseruola rossa, metteva anche delle patate: si lessavano insieme alla carne e assorbivano il condimento, e, se qualcuna era destinata a disfarsi, tutto di guadagnato per la corposità del fondo di cottura! Oggi le patate possono essere viola, che danno anche un tocco di colore. Ma contorni altrettanto perfetti (anche se preparati a parte) sono la polenta, il risotto giallo, lo sformato di verdure, gli gnocchetti di farina, il purè di melanzane (alla maniera turca)… o le farciture preferite, una volta messo lo spezzatino nella piadina o nei cestini di grana. Se lo faceva di lunedì, la nonna, al posto dell’acqua, metteva il brodo di carne, ed era come se il manzo trovasse il suo naturale ammorbi-
Spezzatino di carne con patate, fagioli e timo.
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dente. Lo stesso si potrebbe dire del vino rosso per lo spezzatino di cavallo (la pastissada veneta) o di cinghiale (ma ALESSANDRO BORGHESE consiglia di aggiungere anche latte perché così la carne marinata risulterà più delicata al palato senza perdere il suo gusto deciso). In Cina, al pollo, aggiungono vino di riso e salsa di soia e castagne, in Belgio cuociono la carne nella birra e in Gran Bretagna, nel Dundee Beef Stew, vino, funghi e marmellata amara di arance. In America non è raro l’uso di cola. Quello che di certo la casseruola rossa non sapeva era che il suo coperchio potesse nascondere anche altri tipi di spezzatino. Di pesce spada, con olive taggiasche. Di salmone, con capperi. Di maiale, con zafferano. Marinato (scalogni, aglio, semi di sesamo, salsa di soia, olio, pepe), innovato e fritto. Di frattaglie (in Toscana usano il polmone). In versione vegan, con soia (e funghi) o seitan (con olive di Gaeta e capperi di Pantelleria). Di sgombri. Di zucca, con latte di cocco. Di pollo, con panna, sherry, noci acagiù e salsa di mango. Di cinghiale, alla confettura di frutti rossi e mirtilli freschi. Di magatello di bue, con peperoncini, paprika, panna liquida e Madera. Di struzzo, con peperone verde, cannella, zafferano e aceto balsamico. Di prosciutto cotto affumicato, con patate. Di anatra, al Barolo e con chips croccanti di cavolo e pancetta. Di rana pescatrice, su vellutata di porri e patate con coriandolo e fagioli edamame. Di vitello, con albicocche secche, mele e mandorle tostate. Oppure che poteva contenere altri ingredienti, quali peperoncino, paprika, cumino, uvetta, crauti (per rendere lo spezzatino più simile al gulasch dell’Europa dell’est), peperoni, acciughe, anice stellato (che farebbe ancora più contrasto sfumando il fondo di cottura con salsa di soia chiara e salsa di pesce), foglie di lime kaffir (con pasta di curry) e addirittura cacao. Ci scommetto che, conoscendo tutto questo, la casseruola rossa ne sarebbe molto sorpresa, ma anche curiosa, e mi chiederebbe: “a che ora si comincia?” Giorgia Fieni
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La nuova Piramide: dalla salute dell’uomo a quella del pianeta Si è conclusa con successo “Revitalizing the Mediterranean Diet”, la prima conferenza mondiale sulla Dieta Mediterranea che si è svolta dal 6 all’8 luglio a Milano, presso Palazzo Lombardia. L’obiettivo principale dell’appuntamento era quello di spostare la percezione dei benefici di questo modello nutrizionale da una particolare attenzione per l’uomo, ad un focus sui benefici per il pianeta e le sue popolazioni. Questo suggerimento ha favorito un dialogo interdisciplinare tra scienziati ed esperti in nutrizione, salute pubblica, scienze alimentari, antropologia sociale, sociologia, economia domestica, agricoltura, ambiente e patrimonio culturale, al fine di giungere ad una rappresentazione unitaria della Dieta Mediterranea come modello alimentare sostenibile e rappresentativo di tutta l’area del Mediterraneo, da adattare poi per ogni Paese ai propri contesti e alla propria cucina tradizionale. Il nuovo modello di Dieta che ha dato vita alla Piramide, la Med Diet 4.0, tiene conto di 4 dimensioni: alla valenza nutrizionale, infatti, si integrano gli aspetti culturali, ambientali ed economici. Perché la dieta non è solo “regola alimentare”, ma “regola di vita” che ha un impatto sulla salute, sull’ambiente e sulla società. Quali alimenti? Facciamo chiarezza sul ruolo di pesce e carne Troppo poco pesce nella dieta a livello globale: secondo le stime, infatti, nel nostro Paese, l’effettivo consumo di proteine di pesce si attesterebbe su 40 g a settimana rispetto ai 60 g raccomandati, mentre i consumi medi negli Stati Uniti e in Europa sono persino inferiori. L’unico esempio virtuoso ci arriva dalla Spagna, che peraltro è il maggiore consumatore al mondo di pesce in conserva. «In un contesto in cui la Dieta Mediterranea si rinnova, con la messa in risalto di una cruciale componente socio-culturale, diventa fondamentale prendere in considerazione da un lato l’importanza di recuperare le nostre radici alimentari, dall’altro il mutamento degli stili di vita, sempre più frenetici. Per questo, relativamente ai consumi di pesce da incentivare, possiamo considerare il pesce in scatola un valido alleato: infatti, unisce la praticità di consumo ai benefici di una composizione nutrizionale paragonabile al fresco», ha affermato la professoressa Silvia Migliaccio, del Dipartimento di Scienze dello Sport e della Salute Umana dell’Università“Foro Italico”di Roma. Per quanto riguarda la carne, «non dimentichiamo che l’uomo è onnivoro da 10.000 anni e la carne, nelle giuste quantità, fa parte della Dieta Mediterranea» ha spiegato la dottoressa Elisabetta Bernardi, nutrizionista dell’Università di Bari. «Ricca di nutrienti importanti e componenti bioattivi, la carne è particolarmente importante in alcune fasi della vita: durante la gravidanza e l’infanzia ad esempio, ma è anche per chi pratica sport o è in età avanzata».
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La disfida dei torresani Il torresano, o colombo di torre, è inserito nell’elenco dei prodotti tradizionali veneti ed è allevato sin dal Medioevo di Josette Baverez Blanco
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nni fa, ricordo di essere rimasta scioccata nel sentire quante persone mangiano i colombi che vivono nelle nostre città: li attraggono sul bordo delle finestre e così riescono ad acchiapparli. Questi volatili a me, invece, hanno sempre fatto pensare ai seri problemi igienicosanitari che la loro proliferazione ha generato. Sono infatti vettori di gravi malattie infettive (una sessantina) e di potenziali parassiti che raggiungono l’uomo anche senza contatto diretto, attraverso i loro escrementi. Quindi, quale
non è stata la mia sorpresa quando, durante un viaggio in Veneto, mi sono vista proporre come specialità tradizionale il “torresano”, ovvero il colombo di torre, così chiamato in quanto è solito nidificare sulle torri dei castelli o delle mura cittadine. Essendo un animale estremamente prolifico e di facile allevamento, la sua diffusione in campagna si era allargata, già nel passato, anche alle città, dove i nobili costruivano colombaie sulle torri o a volte nei loro giardini. In effetti, questi animali sono stati per secoli una pietanza riser-
vata alla nobiltà. Di antichissima domesticazione, quindi, per scopi ornamentali (ricordo il bell’effetto, nel parco di alcuni amici dei miei genitori, della presenza imponente della colombaia), alimentari(per il cibo) e competitivi (i misteriosi piccioni viaggiatori), i colombi sono sempre stati vicini all’uomo. Appartengono alla famiglia dei Columbidi, composta da 300 specie, di cui 181 solo di tortore e colombi. Pur confondendoli spesso tra loro, la tortora, dal canto particolare, ha un corpo e una testa molto diversi dal colombo, chiamato anche piccione.
Torresani con polenta. Per un’ottima riuscita dei torresani allo spiedo, bisogna scegliere gli esemplari che non abbiano mai volato, ungendoli continuamente con olio extravergine d’oliva. Importante per la riuscita della ricetta è il legno sopra il cui fuoco matureranno a cottura i colombi (photo © Comugnero Silvana – Fotolia).
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Uccello di dimensioni piuttosto ridotte, con piumaggio grigio scuro e sfumature di vari colori, che tutti noi conosciamo allo stato selvatico, il torresano ha una carne magra, morbida e sapida, dalle caratteristiche organolettiche non riconoscibili nella selvaggina. Il torresano fatto allo spiedo era consumato solitamente nel mese di agosto, quando questi uccelli, all’origine selvatici, diventavano adulti, cioè pesavano circa mezzo chilo
Uccello di dimensioni piuttosto ridotte, con piumaggio grigio scuro e sfumature di vari colori, che tutti noi conosciamo allo stato selvatico, il torresano ha una carne magra, morbida e sapida, dalle caratteristiche organolettiche non riconoscibili nella selvaggina. Il torresano fatto allo spiedo era consumato solitamente nel mese di agosto, quando questi uccelli, all’origine selvatici, diventavano adulti, cioè pesavano circa mezzo chilo. Difficili da cacciare, in tempo di guerra venivano catturati con un becchime composto da chicchi di riso messi a bagno nella grappa. Ubriachi, i piccioni non erano più in grado di volare e si lasciavano catturare facilmente. La vera caccia al piccione, invece, si faceva e si fa tuttora in autunno, durante la loro migrazione in stormi. Mi sono decisa ad assaggiare le sue carni dopo aver sentito il racconto della “guerra dei torresani”. In effetti, dall’inizio del 1900 è in corso una diatriba tra Torreglia (PD) e Breganze (VC) sull’uso esclusivo del termine “torresani” per designare un piatto tipico del quale entrambe le comunità vanno fiere. Torreglia richiamava la stessa radice del suo nome, Breganze aveva una storia confermata da testimoni e valide scritture. Si arrivò così alle vie legali nel 1936, quando un ristoratore di Breganze fece ricorso per
difendere il toresàn dall’usurpazione dei padovani. Il giudice pose fine alla contesa dando ad ambedue le città il diritto di paternità, dato che questo volatile fa parte della storia e della tradizione di ognuna. La lotta però continua anche oggi, tanto è vero che nel 2006, ad esempio, i cuochi di Torreglia e di Breganze si sono affrontati davanti all’Accademia della Cucina Italiana. Quelli di Torreglia hanno presentato 42 diverse portate a base di torresano, mentre i rivali di Breganze hanno realizzato un gigantesco spiedo. Si è decretato la parità, ma la distinzione è manifesta nei metodi di cottura: a Breganze c’è l’esclusività dello spiedo, ungendo gli uccelli con il loro grasso, mentre a Torreglia si scatena la fantasia degli chef, che li preparano un po’ in tutte le maniere: al forno, in pentola, in umido, in agrodolce, ripieni, disossati e… persino col gelato! Da preda ambita dei cacciatori, il torresano è diventato molto più comune, essendo allevato sia nel Padovano (Colli euganei) che nel Vicentino (Comunità Montana Astico Brenta). Si tratta di piccoli allevatori, che li nutrono con mangimi, cereali, ortaggi e piccoli insetti. La qualità della carne di questi uccelli, macellati a soli 30 giorni, è garantita. Quindi non esitate ad assaggiarli: sono una vera prelibatezza. Josette Baverez Blanco
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TENDENZE
Dalle campagne cinesi di 2000 anni fa ad oggi
Cucinare con il wok È sempre più utilizzata la padella semisferica dal fondo svasato che permette ogni tipo di cottura ed è adatta ad ogni tipo di cibo, salvaguardandone sapori e proprietà nutritive. Interessanti le tecniche per cuocere la carne al salto o per stufarla di Nunzia Manicardi
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i sta diffondendo sempre di più, anche in Italia, l’utilizzo del wok e dei relativi metodi di cottura. Il wok è un tipo particolare di padella. Nato nelle campagne asiatiche oltre 2000 anni fa, è tuttora un simbolo imprescindibile della cucina cinese dalla quale è “emigrato” poi in tempi recenti in tutte le cucine del mondo fino ad essere ormai uno degli attrezzi più utilizzati grazie alle sue caratteristiche che adesso andiamo a analizzare. Una padella dalle particolari caratteristiche Il wok è di forma semisferica, più alto e bombato di una normale padella, con un diametro che varia dai 30 fino agli 80 cm, tuttavia per due sole persone è sufficiente quello con il
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diametro di 15-20 cm (30-35 cm per quattro persone e da 40-50 cm in su per numeri maggiori) tenendo anche conto, ovviamente, delle dimensioni dei fornelli a disposizione. Lo si può appendere alla parete grazie a uno speciale gancio che consente anche di averlo sempre a disposizione. Anche l’altezza può variare. Il fondo può essere completamente concavo (come nel tipo tradizionale, per cui è necessario che sia sorretto da un’apposito anello a meno che — ma dubitiamo — non utilizziate ancora una cucina economica con sotto la fiamma viva e le tipiche aperture circolari dentro cui incastrarlo) oppure può essere piatto, in grado quindi di adattarsi a tutti i piani di cottura (compreso
quello ad induzione, oggi diventato tanto di moda). In origine il wok era fornito di due manici corti in metallo, che ora vengono riproposti foderati in legno. Attualmente però è più facile trovare il tipo con un solo manico lungo, anche se la presenza del secondo manico consente una maggiore maneggevolezza. Esiste pure un altro tipo con doppia impugnatura costituita da una maniglia e un manico. È consigliabile, specialmente per i principianti, usare il modello con doppia impugnatura anche in considerazione del fatto che il wok è piuttosto pesante essendo forgiato in acciaio, in ferro o in ghisa. Quello in acciaio di carbonio è considerato il migliore, sia perché è poco costoso, sia perché conduce il calore in modo uniforme. Oggi il
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Carne con verdure cucinata al salto nel wok. wok è proposto anche in alluminio e perfino rivestito di materiale antiaderente (teflon) o con coperchio in vetro pyrex, il che consente di tenere in caldo i cibi già cotti e, soprattutto, di cuocere senza dover scoperchiare continuamente. Per la pulizia è sufficiente, nel caso del wok originale senza strato antiaderente, riempirlo con acqua calda dopo averlo liberato dell’olio, che va eliminato non versandolo nel lavello ma raccogliendolo in un’apposita bottiglietta per effettuare la raccolta differenziata; bisogna lasciare riposare un po’, poi svuotarlo e passare un panno o una spugna morbida.
Si può lucidare ogni tanto con olio da cucina per proteggerlo dalla ruggine. Il wok rivestito in teflon può essere invece lavato con acqua calda e un po’ di detersivo. Cuoce in fretta e con pochissimi grassi Il wok deve in ogni caso, qualunque sia il materiale, essere piuttosto pesante. È proprio questa sua pesantezza che permette di mantenere a lungo il calore, mentre la sua forma svasata — così che il punto terminale, quello a contatto diretto con la fiamma, diventa di conseguenza molto piccolo — consente di friggere ottimamente in immersione,
Nel wok si possono cuocere anche tagli di carne di medie dimensioni come costolette, scaloppe e scaloppine. L’importante è scegliere padelle con un diametro adatto alle dimensioni dell’alimento perché il fondo deve essere sempre completamente coperto altrimenti si creano zone surriscaldate che possono bruciacchiarlo
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e in tempi brevi, pur utilizzando scarse dosi di olio. La cottura breve a fiamma alta permette quindi di cuocere rapidamente verdura, carne e pesce conservando intatti sapori e proprietà nutritive. Ma nella cucina cinese, così come oggi anche al di fuori di quest’ambito tradizionale, il wok è utilizzato per qualsiasi tipo di cottura oltre alla già ricordata frittura: si può stufare e/o brasare (cottura lunga con coperchio a fuoco lento), saltare (cottura rapidissima a fiamma alta, mescolando gli ingredienti in poco olio), cuocere lentamente (a fiamma bassa), bollire (cottura in acqua), cuocere a vapore (grazie alla griglia e al coperchio), rosolare velocemente, affumicare (in particolare il pesce) fino ad arrivare all’addensamento delle salse. In ogni caso il vantaggio offerto dal wok è quello di cuocere in fretta e praticamente senza aggiunta di grassi, consentendo di fatto una cucina più leggera e quindi più sana. I bordi alti, inoltre, presentano l’indubbio vantaggio di contenere gli schizzi d’olio mentre si frigge.
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Si può anche utilizzare, ed è molto comoda, una griglia incastrabile sul bordo della padella che permette di friggere e, nello stesso tempo, di tenere in caldo e sgocciolare i cibi già fritti. Insieme con il wok si possono acquistare altri accessori come le bacchette lunghe e le spatole in legno per mescolare durante la cottura, i cestini in bambù per cuocere a vapore, le schiumarole per friggere e i mestoli forati per scolare durante le bolliture. Molto suggestivo è vedere come si fanno saltare le verdure, soprattutto se a farlo sono degli “specialisti”: esse vengono mescolate con una bacchetta o con una spatola di legno mentre il wok è scosso a intervalli regolari. Ne risultano delle verdure molto croccanti e saporite. È preferibile cuocere separatamente nel wok i diversi ingredienti, iniziando naturalmente da quelli che richiedono più tempo e che poi eventualmente potranno essere riscaldati prima di essere serviti. Consigli da non dimenticare mai: usare poco olio, mescolare spesso, spostare verso il centro gli ingredienti ancora da cuocere e verso i bordi quelli già cotti e, ma soltanto sul finire, aggiungere erbe, spezie e aromi. Il wok, come abbiamo detto, può essere utilizzato per qualsiasi tipo di cucina, di ogni parte del mondo, ma certamente è indispensabile per le preparazioni e gli ingredienti tipicamente orientali come germogli di soia e di bambù, cavolo cinese, funghi neri e simili. Vediamo ora come si può cuocere la carne secondo alcuni dei metodi tradizionali cinesi. Cottura della carne al salto Per cuocere con il wok la carne al salto bisogna innanzitutto tagliarla in piccoli pezzi dopo averla sgrassata ed eventualmente battuta con il batticarne. Tenere sottomano tutto il necessario: la carne, una ciotola con la farina, un setaccio a maglia larga e un altro recipiente o un tagliere. Fate scaldare il wok a fiamma piuttosto alta con un po’ di olio o di burro chiarificato (attenzione a non superare il punto
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di fumo per evitare tossicità). Infarinate i pezzi di carne e passateli al setaccio per eliminare ogni eccesso. Ruotate il wok per ungerlo bene anche ai lati e versatevi i pezzi di carne infarinati, lasciandoli rosolare a fiamma viva. Agitate la padella per tenerli sempre in movimento e inclinatela un po’ di lato per eliminare il grasso di troppo. Aggiungete un po’ di sale, se proprio volete, poi lasciate ridurre e infine proseguite nella realizzazione del piatto prescelto. Nel wok si possono cuocere anche pezzi di dimensioni più grandi come, per quanto riguarda le nostre tradizioni, costolette, scaloppe e scaloppine. L’importante è scegliere padelle con un diametro adatto alle dimensioni dell’alimento perché il fondo deve essere sempre completamente coperto altrimenti si creano zone surriscaldate che possono bruciacchiarlo. Non dimenticate di tenere sempre la fiamma viva (i più esperti effettuano una vera e propria cottura flambé), ma senza farla fuoriuscire dal fondo del wok. Cottura stufata della carne Con il wok si può anche stufare la carne, sempre tagliata in piccoli pezzi e poi infarinata, scrollata dell’eccesso di farina. La farina può anche essere sostituita con la maizena per conferirle un aspetto traslucido o, ancora meglio, si può utilizzare sulla carne la salsa teriyaki (a base di salsa di soia, sake e mirin) per ottenere lo stesso risultato. Dopo aver scaldato il wok nel solito modo versate un fondo di sedano, carota e cipolla che farete imbiondire e a cui poi unirete alcuni odori (tra cui timo e alloro) e, ovviamente, i pezzi di carne. Lasciate cuocere coperto per almeno un’ora dopo aver aggiunto sale e pepe, un po’ di salsa di pomodoro, brodo e, se c’è, un goccio di vino bianco e non dimenticando, al momento opportuno, di inserire l’ingrediente-base da accompagnare alla carne e che può essere costituito dai piselli dalle patate, dalla paprika, dal curry o quello che preferite. Nunzia Manicardi
MACELLERIE D’ITALIA
Carpitella, a Mestre una macelleria metropolitana di Gian Omar Bison
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arpitella a Mestre è un nome conosciuto. Vuol dire macelleria e da qualche anno pure ristorazione. Solito cliché? Evoluzione in ristomacelleria? Non proprio. La carne c’entra ma i due esercizi sono lontani, anche spazialmente. «E funziona molto di più come pizzeria che come cucina» sottolinea DAMIANO CARPITELLA. «Inizialmente pensavamo di riuscire a tenere i locali contigui allargando di fatto la rivendita di carni, ma i vincoli urbanistici e commerciali e di destinazione d’uso della bottega in Corso del Popolo si sono rivelati insormontabili».
Una macelleria “metropolitana” in una zona di enorme passaggio, tipica di una cittadina in cui imperversano studi professionali ed uffici, residenzialità dormitorio di genti diverse per provenienza geografica, abitudini culinarie ed estrazione sociale; impersonalità dei rapporti umani, di vicinato. Perché Mestre, frazione di Venezia che ambisce all’autonomia, e su questo aleggia lo spettro dell’ennesimo referendum comunale, è proprio una piccola metropoli. E i clienti della macelleria, al di là degli storici, sono tipicamente metropolitani. «Sempre di corsa, meno disposti al
dialogo, al confronto col macellaio rispetto a qualche anno fa. Attenti alla qualità — sottolinea Carpitella — ma anche al prezzo. Curiosi per la novità, per la proposta gastronomica, ma schematici anche nella richiesta di carne». L’attività di famiglia è iniziata nel 1954 circa col nonno Carlo e poi proseguita con la mamma Luciana e il papà Giuseppe in Via Caneve. Damiano è entrato in bottega agli inizi degli anni Ottanta. Da sempre rivendita di carne equina, il bovino è stato introdotto nel 2000 nella seconda location in Via Mestrina. Nel 2007 la chiusura delle due botteghe
Lo staff della macelleria Carpitella a Mestre.
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Al banco di Carpitella il bovino va per la maggiore, ma non mancano le carni equina, suina e avicola. storiche e l’apertura dell’unico punto vendita in corso del Popolo. «La nostra clientela storica — evidenzia Damiano — ci ha seguita tutta ed ha questa si sono sommati nuovi consumatori. I primi anni sono andati molto bene, quest’anno stiamo vedendo un afflusso un po’ minore ma in sintonia con gli alti e bassi del mercato. E d’altronde la carne è soggetta alla volubilità di un avventore medio influenzabile dalle notizie più o meno allarmanti che ciclicamente si leggono o si ascoltano sul consumo di carne. La salubrità della carne, e spesso, secondo me, per motivi più macro-economici che nutrizionali o salutistici, è soggetta ad un continuo bombardamento mediatico. Hai voglia te a provare a recuperare fiducia lavorando con qualità, elencando gli aspetti positivi del consumo di carne, la bontà del regime di vigilanza e controlli, ecc…». Un cliente metropolitano anche in questo: più permeabile alle campagne mediatiche sul consumo di carne. Presso la Macelleria Carpitella si trovano tutte le tipologie di carne
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in vendita. E la frollatura non è mai inferiore ai trenta giorni. A farla da padrone è comunque il bovino che vale il 40% del venduto, 20% l’equino e il restante 40% tra avicolo e suino. «Sul bovino ci serviamo dalla Società Agricola Italiana, titolare di un allevamento di Blonde d’Aquitaine in Montello, nel Trevigiano. Bestie alimentate solo con materie prime in purezza in grado di garantire una qualità organolettiche elevate, oppure direttamente da COALVI per la razza Piemontese. Acquistiamo mezzene di animali che hanno caratteristiche, secondo me, superiori in termini di magrezza, morbidezza e sapore rispetto alle classiche francesi che trattavamo fino a qualche anno fa. Costano di più ma mangi mediamente meglio. Sono il risultato di una ricerca continua di qualità — sottolinea Damiano — per arrivare a proporre al cliente uno standard appetibile e fidelizzarlo su questo». Attualmente l’azienda conta quattro dipendenti e propone, oltre ai tagli, una discreta scelta di
preparati gastronomici. «E credo che su questi potremo ritagliarci qualche spazio in più nel prossimo futuro. Sulla cottura e anche sul packaging abbiamo margini di miglioramento». Per quanto riguarda il ristorante e pizzeria “I Gusti di Carpitella”, scontata la proposta di carne che spazia dalla selezione di crudo con focaccia (preparata con lievito madre), alla tartara e hamburger di Fassona piemontese e tagliata di manzo cotto a bassa temperatura. Poi il pollo e il galletto allevato a terra cotti agli aromi e tanto altro. Ma è sulla pizza che la proposta è variegata, con un impasto preparato con farine macinate a pietra e fatto lievitare dalle 48 alle 72 ore alla quale si accompagnano ingredienti selezionati, dalle verdure di stagione fino ai presidi Slow Food. Gian Omar Bison Macelleria Carpitella Corso del Popolo 53 30172 Mestre (VE) Telefono: 041 950817 Web: www.igustidicarpitella.it
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A Martassina, comune dell’Unione Valli di Lanzo, Ceronda e Casternone
Macelleria Tetti: tanta strada per ottenere il meglio di Riccardo Lagorio
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er arrivarci, uno deve partire intenzionalmente con il proposito di farci acquisti. Oppure possedere una delle numerose seconde case che ancora costellano le Valli di Lanzo, non troppi chilometri da Torino, che diventano ore sulle strade di montagna tracciate all’inizio del secolo scorso. BRUNO TETTI non ha ancora tagliato il traguardo dei trent’anni di attività nel borgo di Martassina, tre case in un paese che conta in tutto meno di 500 abitanti, ma le
sue carni sono note e ricercate sino a Milano. Le sceglie come ormai è d’uso di pochi. «Seleziono l’animale dalla nascita, quando l’allevatore mi chiama e mi informa che è stato partorito un soggetto che mi può interessare. Concordiamo l’alimentazione: latte e uova nei primi mesi, fieno più avanti sino ai 9 mesi di età. Ma soprattutto è la dedizione con cui si fa assumere cibo a questi animali che fa la differenza». Si tratta di allevatori delle valli circostanti, a
Viù come a Rivarolo Canavese, non più giovani e che spesso crescono due soli vitelli contemporaneamente. «Così si ha la certezza che l’animale possa detenere le caratteristiche ideali per una carne perfetta», chiosa Tetti. «E io sono disponibile al fatto che gli allevatori debbano ricevere un loro tornaconto se si mettono in gioco da anziani per mantenere in vita il territorio». Un’ottima ragione per pagare qualcosa di più, insomma.
Bruno Tetti, nella sua macelleria nel piccolo borgo di Martassina, in provincia di Torino, mostra un taglio di carne bovina.
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Bruno Tetti con il salame di Turgia fresco e stagionato. Il consumo del salame di Turgia avviene quando il salame è ancora fresco, tale quale o alla griglia. Meno spesso bollito, accompagnandolo ad una fetta di toma di Lanzo. Trascorsi 15 giorni si affetta e si mangia durante la merenda sinoira, lo spuntino piemontese. E i rapporti personali sembrano garantire carne rossa e soda, tenera e gustosa. La maggioranza dei soggetti è di sesso femminile, Fassona piemontese, qualche castrato; i buoi raramente, spesso in agosto, cioè in controtendenza con quanto ci si potrebbe attendere, visto che le case si ripopolano sino ai primi giorni di settembre le persone si dedicano alle passeggiate e a quello che oggi sembra l’hobby che ha conquistato tutti: la cucina. «Proprio durante le vacanze estive le persone non vogliono la solita fettina, ma tagli a lunga cottura», dice. Il periodo minimo di frollatura è pari a 15 giorni, ma di frequente si raggiungono i 25. Nel bancone non esistono piatti pronti, se si escludono la rollata di coniglio e gli spiedini: basta un suggerimento e chi prepara il piatto si mette in gioco con la propria abilità.
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Dai nomi esposti, la clientela, talvolta non più giovane, sa il piatto che potrà trarre: la gallinella per arrosti morbidi e tagliate, il sottospalla per spezzatini, il girello per l’albese, nocetta che diventa bistecche e fettine, l’infuori per brasati e involtini, la scaramella per bolliti. «E di tutta la carne chiedo ai clienti che mi riferiscano eventuali discordanze con le loro aspettative», sottolinea Tetti. Tuttavia le automobili vengono guidate fin quassù anche per altre carni e per i prodotti da salumeria. Il coniglio, ad esempio. Allevato a Ceres in piccole batterie si propone in rollate e bistecche, di coscia o di carré. O il pollo dal collo nudo da Vigone (sempre nel Torinese), dalla pelle estremamente sottile e con facilità di spiumatura: animali adulti, già speronati, che raggiungono anche i 150 giorni di età. O,
ancora, la gallina Bionda di Villanova d’Asti, piccola di dimensioni e grande nel gusto. Tra i salumi è il salame di turgia a farla da padrone. Il salame di turgia rappresenta al meglio la cultura salumiera dell’intera area in quanto le carni provengono da bovina adulta, che abbia partorito almeno una volta e che si trovi in condizioni di non poterlo più fare. Ciò avviene quanto l’animale ha un’età variabile tra 4 e 10 anni. Il quarto anteriore viene opportunamente mondato e vi si aggiunge pancetta di suino in quantità variabile tra il 20 e il 30%. La macinatura delle carni avviene con stampi da 6 o 8 mm e si uniscono le spezie, pepe e noce moscata, si filtra l’aglio con il vino rosso e si mischia l’opportuna quantità di sale. L’insacco prevede che il budello abbia un diametro di 3 cm legato ogni 6 a creare una salsiccia. In verità il consumo avviene quando il salame è ancora fresco, tale quale o alla griglia. Meno spesso bollito, accompagnandolo ad una fetta di toma di Lanzo. Trascorsi 15 giorni si affetta come un salamino del cacciatore. Saltuariamente alla carne bovina si sostituisce quella ovina (di razza Biellese) o caprina. Esiste la versione magrissima: niente pancetta suina, medesime spezie e macinatura delle carni più sottile. Si gusta durante la merenda sinoira, lo spuntino, momento culturale piemontese di primaria importanza che avveniva in origine esclusivamente durante il periodo da metà marzo a fine settembre e che ora resiste a quelle deformi modalità di alimentarsi che altrove passano sotto il nome di apericena. «Anche per questo salume la gente fa 50 km di strada e bisogna procurare loro il meglio. Cosa che cerco di fare regolarmente», termina Bruno Tetti quando fuori comincia l’ennesimo scroscio di fine luglio che rende l’aria frizzante e — pare — sia assai apprezzato dai gitanti. Riccardo Lagorio Macelleria Bruno Tetti Fraz. Martassina 53 10070 Ala di Stura (TO) Telefono: 0123 55410
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Un ricordo di Aldo Focacci e un tributo al quinto quarto
Sapere, saper fare e saper essere macellai di Andrea Laganga
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ettembre per noi macellai è il mese in cui si ricomincia col lavoro tradizionale. Abbandoniamo tutti i preparati estivi e rispolveriamo il classico banco da macelleria. Dopo tanto pesce, verdura e frutta, la clientela torna dalle ferie, dal mare, con una sana voglia di proteine animali sotto forma di arrosti e spezzatini. E a noi non resta che accontentarla, dando spazio alla fantasia con idee e proposte invitanti. Settembre è anche il mese che per molti di noi segna l’inizio dell’anno,
come il ritorno a scuola. Anche per @MaremmacheCiccia questo mese ha segnato l’inizio dell’avventura: questo blog, infatti, prese il via proprio nel settembre di un anno fa, dall’esigenza di voler raccontare chi fosse veramente il macellaio, cosa c’era e cosa c’è dietro le nostre tradizioni e la nostra storia. Ciò che siamo oggi lo dobbiamo a chi ci ha preceduto, con la volontà di fare, di perseverare con passione e sacrificio. La mia storia, sicuramente come per parecchi di voi, nasce da
una passione tramandatami dalla mia famiglia, vissuta fin da piccolo, quando ancora non arrivavo nemmeno al bancone. Ma la passione di raccontare la devo a un’altra persona, una figura importante per la categoria nazionale dei maestri delle carni. Mi riferisco al grandissimo DOTT. ALDO FOCACCI, a lungo direttore dell’ordine dei veterinari e per molti anni direttore del mattatoio grossetano. Eccezionale penna per gli addetti ai lavori nel mondo della carne,
Tra le preparazioni più conosciute a base di fegato, uno dei tagli appartenenti al cosiddetto “quinto quarto”, c’è senza dubbio quella “alla veneziana”. Le origini del piatto, nel dialetto locale “figà àea Venessiana”, risalgono addirittura al tempo dei Romani che usavano cucinare il fegato insieme ai fichi per coprirne l’odore un po’ forte. I Veneziani col passare del tempo sostituirono i fichi con le cipolle e fecero diventare questa ricetta una delle maggiormente apprezzate della cucina regionale. 92
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A sinistra: Giuseppe Laganga. L’abilità nel lavorare tutte le parti ottenute dalla macellazione dell’animale è ciò che distingueva e distingue ancora oggi un maestro macellaio. A destra: il certificato sanitario della Macelleria Laganga firmato dal dott. Focacci.
Dopo la macellazione bovina, ovina, equina, suina e caprina, data la taglia dell’animale, si suole dividere la carcassa in mezzene e queste ultime nei cosiddetti quarti. Quindi l’animale si scompone in quattro quarti. Viene chiamato quinto quarto l’insieme dei componenti poveri del macellato: testa, interiora, coda e organi
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sempre aggiornato su tutto ciò che il “futuro” poteva proporre alla categoria, per noi macellai grossetani Focacci non era visto come il “cattivo che veniva a fare multe nelle macellerie” ma come un amico. Con il suo rigore e la sua passione, Aldo Focacci sapeva trasmettere la voglia di fare e la sua saggezza dava valore aggiunto al nostro sapere, al nostro saper fare e saper essere macellai. Data la mia giovane età, non ho potuto viverlo a pieno, ma i racconti di babbo Beppe su di lui sono quelli per una persona cara e importante. Se sono macellaio oggi lo dobbiamo anche alla sua autorizzazione firmata nel lontano 1975 per il rilascio della licenza di spaccio di carni fresche della Macelleria Laganga. Ho avuto però la fortuna di vivere i racconti di quel veterinario oramai in pensione, ma sempre giovane di spirito, che prima di acquistare i suoi tagli di carne aveva il piacere di sedersi dietro, nel nostro laboratorio, per raccontare a noi giovani macellai (io, mio fratello Marco e mia sorella Serena) la sua idea del mondo della carne. Uno dei suoi pensieri più frequenti era legato al vero tesoro del maestro delle carni, ovvero il quinto quarto animale. Secondo il suo pensiero la nostra professione si distingueva proprio dalla capacità di saper lavorare tutti i prodotti ricavati
dalla macellazione dell’animale. Elemento importante sia dal punto di vista professionale, che etico che per gli aspetti legati alla cultura gastronomica popolare. Pensare oggi a quelle parole dette da un veterinario di grande esperienza fa riflettere sulla lungimiranza dimostrata. Ma che cos’è il quinto quarto? Dopo la macellazione bovina, ovina, equina, suina e caprina, data la taglia dell’animale, si suole dividere la carcassa in mezzene e queste ultime nei cosiddetti quarti. Quindi l’animale si scompone in quattro quarti. Viene chiamato quinto quarto l’insieme dei componenti poveri del macellato: testa, interiora, coda e organi. Tutti gli animali hanno un quinto quarto ma il suino ne ha addirittura un sesto, pregiatissimo: il sangue, con il quale si realizzano i sanguinacci. Si sa, le abitudini alimentari sono cambiate, e fra i tanti alimenti andati perduti sicuramente vi rientrano quelli ricavati proprio dal quinto quarto. Ma se ci fermiamo a riflettere e a scavare nel nostro passato, nella nostra cultura e nelle nostre tradizioni, possiamo trovare pagine e pagine di ricette culinarie dedicate interamente a questi tagli. La risposta è semplice: perché fin dall’antichità i tagli più pregiati dei quarti erano destinati all’alimenta-
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Classe 1926, nato a Massa Marittima, Aldo Focacci (in foto a lato durante la visita ad un Salumificio toscano) è venuto a mancare il 9 giugno 2014. Storica firma di Eurocarni e figura molto nota a Grosseto, Focacci ha ricoperto, negli anni, una serie di importanti incarichi legati al mondo veterinario, sia al servizio dell’ASL che come libero professionista. Una persona precisa, esperta e scrupolosa, “uno specialista nelle ispezioni degli alimenti, gran conoscitore del mondo veterinario e di tutto ciò che gli ruota attorno” lo descrivono gli amici e i colleghi. Noi lo ricordiamo sempre con grande stima e affetto.
zione dei nobili e dei ricchi, mentre il quinto quarto serviva per sfamare la povera gente. Con questa “parte rimanente” sono state inventate le ricette e i piatti più particolari, dal gusto inconfondibile… Pensate solo alla trippa cucinata alla fiorentina o alla romana, ai carretti fiorentini di lampredotto, al fegato alla veneziana e a tutte le proprietà in esso contenute (ferro, sali minerali e vitamine a volontà), alla lingua in salmì, ai rognoni trifolati emiliani e al cervello di vitella cucinato dalle nostre nonne per farci crescere sani e belli, lo zampo, la coda alla vaccinara… Antiche invenzioni che però stanno ritornando di moda grazie a saggi chef che hanno rispolverato storiche ricette, resuscitando il
valore delle tradizioni, con basso costo d’acquisto ma elevato prezzo sui menù dei loro ristoranti. Un’intuizione vincente direi, visto che le persone sono ben disposte a sborsare molte decine di euro per vivere emozioni al ristorante invece di acquistarle in macelleria a prezzi ragionevoli. Forse tutto questo andrebbe etichettato come un’altra vittoria del ristoratore e dello chef sul macellaio, il cui sapere ancora una volta viene messo in ombra quando invece dovrebbe essere alla base delle altri professioni alimentari in cui entra in gioco la ciccia. In conclusione, dobbiamo solo ammettere che già molti anni fa, le previsioni del nostro dottor Focacci erano veritiere. Il macellaio non
deve mai dimenticare le proprie origini e il proprio passato. Solo con la nostra storia potremmo difenderci e sopravvivere nella giungla del mondo alimentare. Andrea Laganga Macellaio e blogger www.maremmacheciccia.com
Quinto Quarto, nel cuore della cucina romana Come si prepara la coda alla vaccinara? E le animelle o la coratella con i carciofi? Ecco un libro pubblicato da pochi mesi con più di 80 ricette di cucina romana raccontate da CORNELIA SCHINHARL e BEAT KOELLIKER con l’aiuto di Anna Dente (in foto), Annibale dell’Antica Macelleria di via Ripetta e altri testimonial d’eccezione. Tutto è splendidamente illustrato nel suo bellissimo, affascinante contesto, da Campo de’ Fiori a Monte Testaccio. “Ci siamo messi alla ricerca di una cucina sostenibile, di un mondo fatto di piatti dimenticati, di sapori dimenticati, di tradizioni dimenticate — raccontano gli autori — alla ricerca di un rapporto consapevole e critico con la natura. E siamo giunti alla scoperta del quinto quarto, l’essenza della cucina romana”. Per informazioni: Giunti Editore, www.giunti.it
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HAMBURGER TOUR
Ham Holy Burger inaugura il nuovo ristorante sulla Terrazza Termini a Roma di Tania Mauri
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randi notizie per gli amanti degli hamburger: da luglio è finalmente possibile mangiare un buon hamburger alla stazione Termini di Roma! Quest’estate è stata infatti inaugurata la nuova Terrazza di Roma Termini che ospita Ham Holy Burger, nota catena di ristorante di hamburger di qualità che, con quest’ultima apertura, completa la tripletta di locali nella
capitale. Locale semplice e accogliente, dominato dal bianco e dal legno, con materiali di recupero e ferro, si apre su grandi vetrate che affacciano sui binari e sul cielo di Roma. Per i viaggiatori di corsa o chi per “ha tempo da perdere”, la proposta gastronomica è ampia e interessante. Degno di nota l’hamburger Holy, cioè sacro, perché “l’obiettivo è proporre sempre la
migliore qualità possibile in un panino” con carne (circa 180 grammi) di Fassona piemontese La Granda di SERGIO CAPALDO, presidio Slow Food, anelli di cipolla rossa, salsa holy, pomodoro, cetrioli e lattuga (anche nella versione senza glutine con scamorza affumicata e ketchup italiano). Per i più golosi da provare il Maxi di bovina Limousine da 250 grammi, formaggio Montebore alla
L’hamburger Ham Loves Roma con carne di manzo, uova strapazzate, guanciale, rucola, maionese e pepe nero ideato da Roberto Liberati. Insieme al mago romano della carne, al progetto del Gruppo Sebeto partecipa anche il più noto tra i fornai della Capitale, Gabriele Bonci.
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CARN AMB IDEES - CALL SEBALLUT - CARNE & IDEE
salsa di birra scura, sale affumicato, pomodoro, julienne di insalata iceberg e radicchio e salsa BBQ, o il Crunch con bacon croccante, scamorza, pomodoro, chutney di pomodoro e maionese. Non manca l’offerta, minore, per gli amanti del pesce, della carne bianca e per i vegani. I panini vengono preparati sul momento ogni giorno così come le patate — goduriose le patate gourmet tagliate a mano a spicchi con ben cinque salse diverse, di cui una ketchup di pomodorini gialli strepitosa — gli sfizi e le insalate. Ma la vera novità del nuovo Ham Holy Burger della Terrazza di Roma Termini sono i due maghi romani del pane e della carne, GABRIELE BONCI e ROBERTO LIBERATI, che qui hanno portato i loro meravigliosi prodotti. Che sia la ciabattina, la baguette prima pietra, il mille semi o la rosetta tutto il pane arriverà dal forno del mastro fornaio Bonci, anche per la loro ultima invenzione, il format Ham Loves Moving dove i panini diventano da asporto, pensati ad hoc per chi ha poco tempo e vuole portare uno spuntino in viaggio o a casa. Roberto Liberati, guru dell’omonima Bottega, famosa per la qualità e la selezioni delle carni, è alla sua prima collaborazione con il GRUPPO SEBETO per cui ha realizzato il burger Hyperlocal, un Holyburger di Liberati
con manzo della sua macelleria, e il burger Ham Loves Roma con uova strapazzate, guanciale, rucola e maionese al pepe nero. Entrambi gli hamburger sono fatti con carne di manzo e una miscela di sale di Cervia, pepe lungo, cumino, pimento della Giamaica e chiodi di garofano, «perfettamente bilanciati e con dosi omeopatiche». Come spesso accade per i prodotti del Piemonte, Roberto si è fornito da MARCO CAZZAMALI, noto selezionatore e divulgatore della carne di qualità, ed ha scelto, per questo progetto, tre piccoli produttori piemontesi de La Granda, fuori dal circuito Eataly. Liberati ha preferito sceglierne tre «perché ognuno ha caratteristiche differenti così da non appiattire il palato del consumatore ma piuttosto stimolarlo al gusto che cambia, anche se la miscela usata per questi hamburger serve a mitigare e non rendere troppo invasivo il gusto della carne che potrebbe essere troppo marcato. Ritengo che sia necessario usare carne di bovini maturi, di carattere, che cambia ogni volta. Il prossimo passo di Holy Ham potrebbe essere quello di avere un etichetta che indichi il nome del produttore: è sempre più importante far sapere all’utente finale cosa sta mangiando e avere possibilità di scelta. I tre produttori piemontesi che abbiamo selezionato sono: i Fratelli
I panini vengono preparati sul momento ogni giorno, così come le patate.
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Roberto Liberati. Delsoglio di Fossano, noti perfezionisti sempre tra i primi 3 nella celebre Fiera del Bue Grasso di Carrù; l’azienda agricola di Agostino Musso di Piozzo, allevatore di bovini e bufale da latte, di cui integra l’alimentazione con gli scarti dei cereali delle birre Baladin del noto birraio Teo Musso; infine, Gerbotto di Peia, che fa ancora malga in montagna e non fa castrato. Con loro tre siamo sicuri che avremmo sempre il meglio dell’eccellenza bovina italiana». Questo è solo un assaggio di ciò che Roberto Liberati sta portando in zona Termini, perché da metà settembre lo troveremo anche al Mercato Centrale nella Cappa Mazzoniana con banco frigo e cucina, battuta al coltello, kebab e porchetta… Per chi parte, chi torna, chi sceglie mete lontane, chi viaggia solo e chi solo non ci vuole stare mai dobbiamo “accontentarci” degli hamburger della panoramica food court Ham Holy Burger. Tania Mauri Ham Holy Burger Nuova “Terrazza Termini” 1o piano – Interno Stazione Termini Piazza dei Cinquecento 1 00185 Roma Telefono: 06 83956884 E-mail: info@hamholyburger.com Web: www.hamholyburger.com
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RISTORAZIONE
Aprono nuovi locali a Torino, Rubiera (RE) e Giussano (MB)
Roadhouse cresce ancora
I
ristoranti Roadhouse continuano a crescere: a Torino e nella cintura del capoluogo piemontese, a Rubiera, in provincia di Reggio Emilia, e a Giussano, Monza-Brianza. Il 19 luglio scorso è stato infatti inaugurato il nuovo ristorante Roadhouse nel complesso del Lingotto, all’interno del centro commerciale 8 Gallery. Il nuovo locale è situato al piano terra, dispone di 160 posti a sedere interni e di un’area sedute esterna. Vi lavorano circa 30 dipendenti e i clienti possono usufruire dell’ampio parcheggio da 4.000 posti auto del centro. A settembre, inoltre, è prevista l’apertura di un altro Roadhouse a Collegno, nei pressi dell’Ikea e del centro commerciale Carrefour. «Siamo molto contenti di queste nuove aperture — commenta NICOLAS BIGARD, AD di Roadhouse — che rafforzano la nostra presenza nell’area torinese.
In particolare, il nuovo ristorante del Lingotto è situato in una zona simbolo di Torino, dove la storica fabbrica della Fiat è stata trasformata in un grande polo di attrazione culturale e ricreativa e dove il ristorante Roadhouse contribuisce ad arricchire l’offerta di 8 Gallery, l’unico centro commerciale a sorgere nel cuore della città. Siamo pertanto lieti di poter offrire ai torinesi e a tutti i visitatori del Lingotto l’opportunità di vivere l’esperienza tipica di Roadhouse, basata su un’offerta di grande qualità, sul servizio particolarmente accurato, sull’ambiente caldo e accogliente e sull’ottimo rapporto qualità/prezzo». A fine luglio, inoltre, sono stati aperti due nuovi ristoranti a Rubiera e Giussano. Con queste nuove location i ristoranti Roadhouse diffusi in Italia sono diventati 85. Ciascun locale offre la degustazione delle
migliori carni alla griglia, accompagnata da servizio al tavolo e dalle migliori opportunità digitali: l’APP per prenotare e conoscere tutte le promozioni, il wi-fi gratuito, le aree kids digitali, la Roadhouse Card con tutti i vantaggi esclusivi per la community, che ad oggi ha già superato i 900.000 iscritti. I ristoranti Roadhouse sono aperti al pubblico 7 giorni su 7, a pranzo dalle 12.00 alle 14.30 e a cena dalle 19.00 alle 23.30. Il menù prevede un vasto assortimento di piatti unici a base di carne alla griglia, con un’ampia scelta di contorni e una ricca varietà di dessert. Il prezzo medio a persona è compreso tra i 17 e 19 euro. Nel 2015 Roadhouse, con circa 1.800 dipendenti, ha realizzato un fatturato di oltre 100 milioni di euro (+20% rispetto al 2014). >> Link: www.roadhousegrill.it
Uno dei nuovi locali Roadhouse.
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ASSEMBLEE
Assemblea soci Araer, 2015 anno difficile ma positivo L’annuale appuntamento dell’associazione regionale allevatori Emilia-Romagna ha promosso a pieni voti quello che il presidente Garlappi ha definito “un anno di verifica”, in cui era necessario dimostrare che la riorganizzazione funziona di Anna Mossini
«U
n anno di verifica». Così ha descritto il 2015 MAURIZIO GARLAPPI nel suo intervento introduttivo all’annuale assemblea dei soci di Araer-Associazione regionale allevatori dell’Emilia-Romagna svoltasi di recente presso la sede dell’associazione a Granarolo Emilia (BO). «Nell’anno
che ci siamo lasciati alle spalle — ha sottolineato Garlappi — dovevamo dimostrare che il nostro nuovo ed unico modello organizzativo del Sistema Allevatori in Italia, creato su misura per le caratteristiche della nostra regione, fosse in grado di reggere a livello sia economico che organizzativo, continuando a ga-
rantire ai nostri associati le risposte tecniche necessarie alla conduzione delle loro aziende». Un obiettivo che è stato centrato e che trova conferma nel numero di allevatori che hanno aderito al nostro progetto: se nel 2013 erano 2.518, al 31 dicembre 2015 risultavano 2.743, registrando un aumento di 225 unità.
Maurizio Garlappi, presidente Araer, Simona Caselli, il direttore di Araer Claudio Bovo e il direttore generale di AIA Roberto Maddè.
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Il presidente Maurizio Garlappi e l’assessore regionale all’Agricoltura Simona Caselli. Le sfide continuano «Abbiamo vinto una sfida — ha continuato Garlappi — che ci ha visto impegnati sia nel contatto diretto con tutti gli allevatori, in pianura come in montagna, sia nel miglioramento del patrimonio genetico femminile del bestiame allevato. Oggi la riorganizzazione del Sistema Allevatori dell’EmiliaRomagna è terminata, entro l’anno prossimo contiamo di concludere la regionalizzazione, un altro importante tassello di un percorso che si è rivelato necessario dopo il taglio
dei finanziamenti pubblici che ha toccato il 60%». Un quadro che, secondo il presidente Garlappi, vive una continua evoluzione e rispetto al quale non è possibile affermare che le difficoltà siano ormai alle spalle. Il 2015, anche per la zootecnia emilianoromagnola, è stato un anno difficile in cui il valore generato si è fermato a 1.887 milioni di euro, pari al 45,36% del valore totale dell’agricoltura regionale, a fronte di 1.930 milioni dell’anno precedente, incassando una riduzione del 2,2%.
Un laboratorio d’analisi instancabile La tenuta dei Libri genealogici e dei controlli funzionali è l’attività istituzionale prevalente affidata ad Araer. Attività riconosciute di interesse generale, tanto da giustificare un intervento finanziario da parte dello Stato per il loro svolgimento. I benefici di questo intervento ricadono, infatti, su tutta la comunità e costituiscono un patrimonio di innegabile valore che contribuisce a migliorare il management aziendale e ad aumentare le qualità organolettiche delle produzioni zootecniche. Relativamente al settore dei bovini da latte, i capi controllati nel 2015 hanno registrato in Emilia-Romagna un aumento di circa il 2%. Il numero delle bovine controllate ha conosciuto un leggero aumento (+1,93%) ed è passato da 226.025 del 2014 a 230.469, pari a 1.962 allevamenti (sono stati 1.968 nel 2014). Interessanti i numeri legati alle analisi effettuate presso il laboratorio di Reggio Emilia. Riguardo il test diagnostico per la ricerca della paratubercolosi bovina, sono state effettuate 24.241 analisi riscontrando una positività del 4,98% pari a 766 soggetti, mentre gli esiti dubbi sono stati 688, pari al 2,84%. I test per la diagnosi di gravidanza sono stati 6.010, quelli per la neosporosi 3.580 con 190 casi positivi (il 6,15%). (A. Mo.)
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Nello specifico, il comparto lattiero-caseario ha raggiunto, in quantità vendibile di latte prodotto in regione, 1.900,31 milioni di tonnellate, incassando un +1% rispetto al 2014, percentuale che sale al 7% se si considera l’ultimo quinquennio. Ben l’85% del latte prodotto in regione viene conferito ai caseifici che producono il Parmigiano Reggiano, che negli ultimi cinque anni ha messo a segno un +15,5%. Anche il Grana Padano, circoscritto all’area di Piacenza, nello stesso arco di tempo ha registrato un +6,5%. «In termini di media annuale — ha precisato ancora il presidente di Araer — il listino del Parmigiano ha mostrato pesanti flessioni per il quarto anno consecutivo con un calo, nel 2015, del 7,6%, che sale al 26,1% se si considerano i prezzi del 2011». Bene i prezzi del Parmigiano Reggiano La sofferenza delle quotazioni non ha risparmiato gli altri comparti produttivi, a iniziare da quello suinicolo che, rispetto al 2014, ha dovuto registrare un calo del 7,7%. Per quanto riguarda gli avicoli e le uova, dopo le flessioni produttive che hanno caratterizzato sia il 2013 che il 2014, il 2015 ha conosciuto un leggero aumento, +1,2%, mentre i prezzi hanno segnato un –1,6%. Abbastanza simile è stata l’evoluzione generale della produzione delle uova, anche se in questo caso la forte flessione del 2013 ha conosciuto un primo recupero nell’anno seguente e un successivo +0,1% nel 2015. Male invece i prezzi, che hanno dovuto registrare un –13,5%. Sul fronte della carne bovina l’ulteriore calo delle quantità uscite dagli allevamenti regionali nel 2015 non ha che aggravato un bilancio di medio periodo già fortemente negativo, con una riduzione che, nell’ultimo quinquennio, ha superato il 10%. I prezzi però sostanzialmente hanno tenuto. Infine gli ovicaprini, che nel 2015 hanno registrato una situazione molto più stabile rispetto a quanto vissuto nel 2014: se le quantità prodotte sono diminuite dello 0,3%, i prezzi hanno segnato un leggero incremento: +0,6%.
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Un riferimento tecnico all’avanguardia «Non ci stancheremo mai di sotto lineare che Araer è e vuole continuare a essere il riferimento tecnico degli allevatori dell’EmiliaRomagna — ha incalzato Garlappi — e sulla loro implementazione abbiamo concentrato molti dei nostri sforzi. Basti pensare che il numero di vacche da latte controllate, nel 2015, è stato 230.469, l’1,93% in più dell’anno prima. A questo dato, già di per sé importante, credo sia giusto aggiungerne un altro relativo al numero di analisi effettuate dal nostro laboratorio (1.351.096) e la percentuale delle vacche controllate in regione (16,82%) rispetto al totale nazionale, che si attesta a 1.369.952 bovine controllate. Abbiamo ottenuto ottimi risultati — è stata la conclusione del presidente di Araer — ma questa soddisfazione non ci fa perdere di vista le sfide che abbiamo davanti, difficili, complicate e per certi versi
Caselli: la strada obbligata è quella dell’efficienza «Ad Araer va riconosciuto il grande lavoro riorganizzativo svolto sia da un punto di vista economico che di bilancio e di servizi offerti» ha sottolineato nel suo intervento il direttore generale di AIA Roberto Maddè. «È un modello a cui bisogna guardare per entrare in quella nuova fase a cui siamo chiamati, dove la ricerca scientifica unita a una competenza professionale di primo livello possono delineare il percorso di stabilità, organizzazione territoriale e concretezza che si traduce nella valorizzazione del nostro patrimonio zootecnico». Sulla stessa lunghezza d’onda l’assessore regionale all’Agricoltura Simona Caselli, secondo la quale «i cospicui investimenti in agricoltura fatti dalla Regione in Emilia-Romagna hanno permesso e permetteranno di proseguire sulla strada dell’efficienza, una via oggi obbligata se si vuole competere in un mondo globale dove non sempre, e non tutti, rispettano le regole che invece la zootecnia italiana osserva con tanto scrupolo e rigore. I problemi non mancano nemmeno in Emilia-Romagna, ma l’impegno dell’assessorato, a sostegno innanzitutto del miglioramento genetico, rappresenta una certezza da cui nessuno potrà prescindere». (A. Mo.)
nuove, che vogliamo affrontare continuando nell’attività di miglioramento genetico del bestiame e nell’offerta di servizi sempre più in
linea con le richieste degli allevatori per un costante miglioramento delle produzioni». Anna Mossini
Roberto Nocentini è il nuovo presidente AIA Roberto Nocentini, 59 anni, allevatore di bovini di razza Limousine nel Mugello guiderà AIA, l’Associazione Italiana Allevatori, nei prossimi tre anni, dopo aver ricevuto il testimone da Pietro Salcuni lo scorso 27 luglio a Roma. Obiettivo dichiarato da Nocentini, rilanciare il Sistema allevatori, con un forte impulso verso le nuove tecnologie. «Vogliamo che l’allevatore sia sempre più al centro dell’attività di AIA e ci impegneremo a mettergli a disposizione tutti gli strumenti per crescere e produrre reddito in un’ottica di sostenibilità. Perché solo in questo modo potremo essere sempre più vicini al consumatore, aumentando parallelamente l’efficienza delle nostre stalle e valorizzando le distintività del nostro allevamento, che produce latte, formaggi e carni unici al mondo». Lo affiancheranno alla guida dell’associazione il vicepresidente Maurizio Garlappi, i membri di giunta Germano Pè, Stefano Sanna e Vinicio Savone, insieme al comitato direttivo formato da Laura Cenni, Roberto Chialva, Roberto Chizzoni, Andrea Cristini, Francesco D’Ausilio, Floriano De Franceschi, Palmino Ferramosca, Daniel Gasser, Pietro Laterza, Luca Marcora, Franco Moras, Luca Panichi, Sergio Pompa, Ettore Prandini. «AIA deve giocare un ruolo centrale all’interno del Sistema allevatori — ha dichiarato l’ottavo presidente di AIA — perché le sfide che abbiamo davanti richiedono uno stretto coordinamento con le associazioni nazionali e con il territorio. Ci troviamo ad operare in un mondo che viaggia sempre più rapido e che ha bisogno di interlocutori preparati e altrettanto rapidi nel cogliere queste istanze. Si@lleva, la piattaforma informatica che AIA ha messo a punto, capace di trasformare i controlli funzionali in un mezzo efficace di gestione aziendale, è un potente strumento a disposizione di tutti gli allevatori, ma non basta. Dobbiamo parallelamente intensificare i rapporti con le istituzioni, sia a livello ministeriale che regionale, coinvolgendole e cercando di lavorare insieme per il bene di un settore che svolge un ruolo essenziale per l’agroalimentare italiano». (Fonte: www.aia.it)
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ASSOCIAZIONI
Slow Food festeggia un altro importante anniversario Buono, pulito e giusto: questo è il messaggio veicolato all’intero pianeta. Perché mangiare non sia solo nutrirsi, ma anche godere del piacere di farlo; consumare significhi anche rispettare l’ecosistema e l’essere umano e perché l’alimento sia remunerativo sempre, nel giusto modo e per chiunque sia coinvolto nella catena produttiva di Sebastiano Corona
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rent’anni, tanti ne sono passati da quando un gruppo di cultori della buona cucina — Carlo Petrini in testa — decise di fondare un movimento che ben presto sarebbe diventato la più grande organizzazione non governativa impegnata nella tutela del buon cibo. Un cibo però che fosse figlio di un’agricoltura sostenibile, di una nuova etica del lavoro e di un modo responsabile di consumare. Definire così Slow Food — all’epoca battezzata con il nome più goliardico di Arcigola — è forse riduttivo, soprattutto se si va ad esaminare tutto ciò che la Chiocciola più famosa al mondo, pur simbolo di lentezza per eccellenza, è riuscita a fare in un arco di tempo nel complesso molto limitato. Tan-
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tissimi sono infatti i meriti che le si possono riconoscere, in ambito sia nazionale che internazionale. Ma certamente uno viene prima degli altri, ed è quello di aver colto l’intuizione della grande importanza che il cibo avrebbe acquisito nel tempo non tanto e non solo per il suo valore intrinseco e per la sua capacità di rispondere al bisogno primario di ognuno. Del cibo Slow Food ha colto infatti l’aspetto sacrale, culturale, antropologico, ecologico, economico e persino filosofico. Eppure Petrini e gli altri, all’epoca, erano considerati poco più che buongustai. Buongustai, però — come i fatti hanno poi dimostrato — che intendevano riportare l’accento
sulla qualità degli alimenti. Decisero di farlo nel momento peggiore per l’agroalimentare nazionale, nel secolo scorso. Lo scandalo del vino al metanolo stava devastando l’immagine del settore in Italia e nel mondo. Fu probabilmente proprio quel fatto così grave e così inconsueto che guidò la necessità di avviare una nuova stagione della cultura del cibo. Come i fatti poi dimostrarono, quella vicenda costrinse a ricominciare a lavorare sulla qualità del prodotto e a fare in modo che situazioni del genere non venissero a ricrearsi mai più. È anche grazie o a causa dello scandalo del vino al metanolo che una nuova cura per la terra e una diversa attenzione al
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processo produttivo hanno portato negli anni a livelli di eccellenza che tuttora permangono e si rinnovano. Che fosse necessario intervenire, e che fosse necessario farlo in quel modo, i fondatori di Slow Food l’avevano intuito prima degli altri e l’avevano immaginato non solo per il settore vitivinicolo, ma anche per il resto dei prodotti della terra. La realtà di Arcigola, relegata principalmente alle esperienze locali, ben presto ebbe una eco oltre confine prendendo appunto, nel 1989, a Parigi, il nome di Slow Food. Il termine del lento mangiare non fu solo una risposta diretta ai fast food, che si stavano all’epoca diffondendo in tutto il mondo e di cui non si condivideva assolutamente nulla. Slow Food veniva anche a seguito di esperienze come quella di Chernobyl, il più grande disastro nucleare nella storia, che dimostrava a chiare lettere che nel pianeta tutto è interconnesso e che una ferita che si infligge all’ecosistema in una zona della Terra è una ferita per il mondo intero. Questi erano i presupposti della propagazione internazionale di un soggetto che, per sua natura, non poteva relegare le sue attività all’interno dei confini nazionali. Da quel momento la Chiocciola non si è più arrestata, continuando con migliaia di progetti diversi la sua lotta per la biodiversità, per costruire relazioni tra produttori e consumatori e migliorare la consapevolezza sul sistema che regola la produzione alimentare. Impossibile riassumere anche solo una parte delle attività della ong. Ma alcune, più di altre, meritano di essere menzionate. Slow Food coinvolge adulti e bambini presentando il cibo nelle sue valenze culturali e sociali, oltre che organolettiche, in un progetto che prende il nome di Orti in Condotta. Gli adulti possono invece seguire dei percorsi formativi specifici come i Master of Food, dove il risveglio e l’allenamento dei sensi, oltre che una formazione sulle tecniche produttive del cibo e sulla degustazione, sono assicurate.
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I Mercati della Terra sono invece una rete internazionale di trasformatori e contadini uniti da valori e regole condivisi tra loro. Un luogo dove non solo si vendono prodotti locali e di stagione, ma ci si trova, ci si conosce, si realizzano eventi e si mangia in compagnia creando una cultura nuova del gusto. Con la Fondazione Slow Food per la Biodiversità onlus vengono avviati e coordinati progetti a difesa delle tradizioni locali e delle comunità che nascono attorno al cibo. È dalla Fondazione che nascono i 400 Presidi presenti in tutto il mondo e i 1.000 prodotti dell’Arca del Gusto. I primi trasformano in azioni i principi alla base della politica di Slow Food e sono i più efficaci strumenti in mano all’organizzazione per diffondere i principali temi delle varie campagne di sensibilizzazione. Ne esistono diversi e sono divisi per tipologia, da quelli dei formaggi a quelli del mare, da quelli sulle razze e le produzioni animali a quelli vegetali e al miele, per finire con i Presidi che coinvolgono le comunità indigene e rappresentano la campagna più ampia portata avanti da Slow Food e da Terra Madre in difesa dei diritti e della cultura dei popoli indigeni. L’Arca del Gusto è invece un patrimonio immateriale che raccoglie i prodotti che appartengono alla cultura, alla storia e alle tradizioni di tutto il pianeta e che puntualmente si rinnova e si arricchisce. È nell’ambito dell’Arca del Gusto che si segnala l’esistenza di prodotti particolari, se ne denuncia il rischio di scomparsa, si invitano le istituzioni a intervenire per la salvaguardia. Non bastasse, Slow Food fa parte del Forum italiano dei movimenti per la terra e il paesaggio, un aggregato di associazioni e cittadini che lavorano per tutelare il territorio italiano dalla deregulation e dal cemento selvaggio. La Chiocciola, dal 1990, è anche editore di testi e riviste volti ad amplificare il suo messaggio. E sempre per dare enfasi ai suoi temi, è sorta nel 2004 l’Università privata e legalmente riconosciuta di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, dove è possibile intra-
La locandina del documentario che racconta la storia di Slow Food. prendere un percorso di studi che finalmente danno dignità anche accademica al cibo, visto e interpretato come fenomeno complesso e multidisciplinare. In Africa, nelle scuole, nei villaggi e nelle periferie delle città, Slow Food contribuisce alla coltivazione di 10.000 orti per creare una rete di giovani che operino per salvare la straordinaria biodiversità del continente, per valorizzarne i saperi e le tradizioni, per promuovere l’agricoltura familiare e di piccola scala e per dare un futuro agli africani nella loro straordinaria terra. Slow Food ha anche stretto un’alleanza con una rete di oltre 400 cuochi di osterie, ristoranti, bistrot, cucine di strada di Paesi come l’Albania, l’Italia, l’Olanda, il Marocco e il Messico. Cuochi che difendono, dalla propria cucina, la biodiversità alimentare in tutto il mondo. E via discorrendo: promozione dei prodotti d’origine dell’Africa occidentale, rete dei produttori dei mieli d’Etiopia, tutela dei datteri del deserto di Al Jufrah, la lista delle iniziative è ancora molto lunga ed è impossibile riportarla al completo. Ci sono i numeri però a dare la misura delle cose: Slow Food è oggi una rete che si estende in 160 Paesi nel mondo, con oltre 2.300 comunità che fanno parte di Terra Madre.
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Pastore croato. Tra le innumerevoli iniziative promosse da Slow Food c’è anche Terra Madre Balcani, svoltasi quest’anno, per la sua quarta edizione, a Tirana, dal 2 al 5 giugno. I Paesi dei Balcani condividono tradizioni alimentari uniche e ospitano migliaia di contadini. Terra Madre Balcani vuole mettere al centro i piccoli produttori, al fine di promuovere politiche volte allo sviluppo sostenibile della regione (photo © www.slowfood.it). Tremila sono i prodotti che fanno capo all’Arca di Noè; trentasette, sono i Mercati della Terra in Italia e 15 nei Paesi esteri; trenta i diversi corsi a catalogo, che vanno dal vino alla degustazione di formaggi, salumi, birra, che negli anni hanno coinvolto 88.000 persone e titolato oltre 4.000 master of food; 50.000 sono i soci delle condotte italiane. Una manifestazione regna su tutte: il Salone del Gusto che a Torino, ogni due anni, dal 1996 richiama 1,4 milioni di partecipanti tra cui 30.000 delegati di Terra Madre. E ancora: un numero infinito di eventi che ogni mese, ogni settimana, ogni giorno, le diverse condotte organizzano sul territorio, non ultime, quelle per i festeggiamenti dei primi trent’anni di attività. Buono, pulito e giusto Riportare cifre, elenchi di cose fatte e di iniziative realizzate è però ancora riduttivo e non sarebbe in
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linea con la filosofia dell’organizzazione che non punta ai numeri, ma ai contenuti. E nei contenuti Slow Food può vantare il merito di essere davvero riuscita a far passare il concetto di un mondo che può e deve essere buono, pulito e giusto. Buono è ciò a cui tutti hanno diritto nel rispetto delle differenti culture e non solo in termini di attenzione alla qualità organolettica, ma anche come piacere e gusto nella sua accezione culturale. Giusto come deve essere giusta la misura della gratificazione per chi produce e chi si nutre. Il cibo a basso costo è ingiusto quando impedisce una corretta remunerazione a chi ha lavorato. Pulito lo si intende nel rispetto della terra, degli altri e di sé stessi. Un cibo è pulito se non sporca il mondo, né l’essere umano o il pianeta. Questa è la sintesi. Ma le parole chiave che riecheggiano come un ritornello nella
filosofia di Slow Food sono molte di più. Una di queste è agricoltura, ma poi vengono biodiversità, rispetto del cibo, del consumatore, dei contadini, di un’economia che sia soprattutto buona amministrazione intesa come gestione per la collettività e non ad esclusivo vantaggio del singolo. Nel vocabolario della Chiocciola c’è anche il concetto di eredità, inteso come patrimonio immateriale e materiale del cibo che abbiamo l’obbligo morale di lasciare ai nostri figli. C’è l’indicazione di un’etichetta nuova che sia soprattutto trasparenza e garantisca libertà di scelta. Su tutto regna l’idea di un consumare sostenibile perché “il pianeta Terra non ci viene in dono dai nostri padri, ma è un prestito concesso dai nostri figli”. Questo famoso adagio, da molti attribuito ai popoli indigeni africani, rende perfettamente l’idea dello Slow Food pensiero. Sebastiano Corona
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L’appuntamento è a Parma dal 25 al 28 ottobre
Cibus Tec 2016: si annuncia un’edizione da record
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ibus Tec si riconferma l’appuntamento fieristico verticale ad altissima specializzazione che vedrà protagoniste le tecnologie per le principali filiere alimentari. Un’offerta espositiva unica capace di soddisfare le esigenze degli operatori internazionali che potranno trovare le migliori soluzioni tecnologiche che proprio in Italia, e in particolar modo a Parma trovano le applicazioni più innovative e raffinate conosciute in tutto il mondo. Attraverso Cibus Tec, le eccellenze italiane del food processing & packaging avranno la possibilità di dimostrare la capacità di offrire innovazione tecnologica
e qualità taylor made, facendo leva su specializzazione, sostenibilità ed elevata automazione». Con questa riflessione di ANTONIO CELLIE, AD di Fiere di Parma, lo scorso 13 luglio si è aperto a Milano l’incontro di presentazione di Cibus Tec, che vede ora il polo fieristico di Parma alleato del colosso tedesco Koelnmesse. Cibus Tec esprime la forza attrattiva di tutte le tecnologie (selezione, trasformazione, confezionamento, fine linea e logistica) per le principali filiere agroindustriali (Frutta&Vegetali, Carni, Latte&Derivati, Prodotti da forno, Dolci e Caffè), cui si affiancano nuove aree dedicate a Gelato, Dessert e Ingredienti.
Lo sviluppo della manifestazione ha portato all’apertura del nuovo e più capiente padiglione 2. Nel complesso un format di successo che catalizzerà 1.200 espositori e che da quest’anno, grazie a Koelnmesse, con la quale Fiere di Parma ha recentemente creato la Koeln Parma Exhibitions Srl (KPE), potrà avvantaggiarsi di un’importante spinta propulsiva all’internazionalizzazione propria e delle aziende italiane. Le tecnologie sono un indispensabile compagno di viaggio per le imprese dell’agroalimentare che vogliono aggredire nuovi mercati. Solo grazie alla ricerca e all’innovazione espresse nei macchinari il food made in
Per l’edizione 2016 di Cibus Tec sono attesi a Parma 1.200 espositori e oltre 30.000 visitatori.
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Italy è in grado di arrivare ovunque, mantenendo inalterate le proprie caratteristiche di qualità e salubrità e puntando a raggiungere, in questo modo, il traguardo dei 50 milioni di euro di export indicato dal ministro dell’Agricoltura Martina durante Cibus. Con un fatturato 2016 stimato in 134 miliardi di euro (di cui quasi 29 derivanti dall’export), l’industria alimentare è il secondo comparto manifatturiero italiano; oltre 1,2 miliardi di consumatori mondiali, ogni anno comprano un prodotto made in Italy; prodotti evoluti ad alto contenuto di servizio (sughi pronti, condimenti freschi, surgelati, ecc…) si affermano sempre più nelle abitudini, rappresentando oggi il 25% del fatturato dell’agroalimentare. Se le eccellenze italiane, vogliono sfidare il mondo colmando in parte il gap con Germania e Francia (che nel 2015 hanno registrato, rispettivamente, export agroalimentari di 71,1 e 60,5 miliardi), hanno però bisogno di essere sostenute da tecnologie capaci di custodire sapore, freschezza e fantasia: quelle che saranno esposte a Cibus Tec dal 25 al 28 ottobre.
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SICUREZZA ALIMENTARE
Richiamo di alimenti non conformi per la tutela dei consumatori di Marco Cappelli
L’
Operatore del Settore Alimentare, vale a dire “la persona fisica o giuridica responsabile di garantire il rispetto delle disposizioni della legislazione alimentare nell’impresa alimentare posta sotto il suo controllo” (definizione data dall’art. 3 del Regolamento CE n. 178/2002), ha, tra i numerosi obblighi finalizzati alla garanzia della sicurezza alimentare e alla tutela della salute dei consumatori, quelli relativi alla rintracciabilità e al ritiro dal mercato. Questo finché l’alimento si trova nell’ambito della
catena commerciale. Grazie alle procedure adottate e alla documentazione commerciale è possibile rintracciare l’alimento, a monte e a valle, procedendo se necessario, in caso di non conformità verificata in autocontrollo da una delle imprese della filiera o durante il controllo ufficiale, al ritiro dal mercato. Importanti indicazioni in merito vengono date dall’Intesa della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome Rep. Atti n. 204/CSR del 13 novembre 2008, recante “Linee
guida per la gestione operativa del sistema di allerta per alimenti destinati al consumo umano”, che definisce peraltro il “ritiro dell’alimento: qualsiasi misura volta ad impedire la distribuzione e l’offerta al consumatore di un prodotto non conforme ai requisiti di sicurezza alimentare”. È analoga la definizione di “ritiro del mangime”, in considerazione del fatto che il Reg. 178/2002 accomuna tra loro gli alimenti per uso umano e i mangimi, partendo da un concetto di filiera estesa alle fasi di allevamento finalizzate alla produzione di alimenti di origine
La procedura per il richiamo degli alimenti non conformi emanata dalla DGSAN ministeriale costituisce uno strumento sia per le autorità competenti sia per gli OSA, utile alla tutela della salute dei consumatori (photo © www.puntarellarossa.it).
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La normativa europea in materia di sicurezza alimentare individua l’Operatore del Settore Alimentare quale responsabile della sicurezza dei prodotti immessi sul mercato e precisa che ciascuno Stato Membro deve comunicare alla Commissione, attraverso il sistema rapido di allerta, ogni misura che è stata adottata per limitare i rischi per il consumatore, comprese le eventuali ipotesi di ritiro o di richiamo del prodotto messe in atto dall’OSA
Grazie alle procedure adottate e alla documentazione commerciale è possibile rintracciare l’alimento, a monte e a valle, procedendo se necessario, in caso di non conformità verificata in autocontrollo da una delle imprese della filiera o durante il controllo ufficiale, al ritiro dal mercato
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animale. Il sistema RASFF – Rapid Alert System for Food and Feed, ormai da anni a regime, grazie alla collaborazione tra le imprese del settore alimentare e le autorità competenti (secondo quanto definito dal DLgs n. 193/2007, Ministero della Salute, Regioni e Province autonome, ASL) consente un efficace sistema di ritiro, sebbene persistano problemi di tempestività solo in parte risolvibili: i tempi delle analisi e delle emissioni dei relativi rapporti di prova, quelli di attivazione del sistema di allerta da parte delle autorità competenti e i “tempi di reazione” degli OSA nell’avviare la procedura di ritiro devono essere il più possibile ottimizzati. Comunque, “l’attività di ritiro è a totale carico dell’operatore, che deve dare preventiva comunicazione a tutti i clienti” (Linee guida citate, punto 6), avendo predisposto la necessaria procedura contenente le azioni e la modulistica utili a operare rapidamente e razionalmente. Per maggiore chiarezza si riporta la prima parte del paragrafo 1 dell’art. 19 del Reg. 178/2002 (Obblighi relativi agli alimenti: operatori del settore alimentare): “Se un operatore del settore alimentare ritiene o ha motivo di ritenere che un alimento da lui importato, prodotto, trasformato, lavorato o distribuito non sia conforme ai requisiti di sicurezza degli alimenti, e l'alimento non si trova più sotto il controllo immediato di tale operatore del settore alimentare, esso deve avviare immediatamente procedure per ritirarlo e informarne le autorità competenti”. Il Reg. 178/2002 prevede che “gli operatori del settore alimentare e dei mangimi devono disporre di sistemi e procedure per individuare le imprese alle quali hanno fornito i propri prodotti” e che “le informazioni al riguardo sono messe a disposizione delle autorità competenti che lo richiedano” (art. 18, paragrafo 3). Le Linee guida, tra l’altro, riportano (All. C, in riferimento al punto 9 dell’Intesa CSR) uno schema utile alla redazione dell’elenco clienti, riportante per ciascun acquirente: la ragione sociale, l’indirizzo completo (via, località, comune, provincia, regione, nazione), telefono, e-mail, lotto, scadenza/TMC, quantitativo venduto, tipologia delle confezio-
ni, numero delle confezioni, data di consegna, DDT). Tale schema, debitamente compilato, deve essere fornito dall’OSA all’autorità competente territoriale (ASL), che procederà all’attivazione del sistema di allerta nonché alle verifiche e alle necessarie comunicazioni al nodo regionale, intraprendendo eventuali provvedimenti e azioni sostitutive (es. sequestro cautelativo in caso di presenza sul mercato del lotto oggetto di ritiro). Il “richiamo” Nel caso in cui l’alimento non si trovi più nella disponibilità di uno degli OSA della filiera, cioè quando è già stato venduto al dettaglio al consumatore, è necessario procedere al “richiamo”, come stabilito dall’ultima parte del paragrafo 1 dell’art. 19 del Reg. 178/2002: “Se il prodotto può essere arrivato al consumatore, l’operatore informa i consumatori, in maniera efficace e accurata, del motivo del ritiro e, se necessario, richiama i prodotti già forniti ai consumatori quando altre misure siano insufficienti a conseguire un livello elevato di tutela della salute”. La necessità di procedere in tal senso dipenderà da un’adeguata valutazione del rischio. Ricordiamo, peraltro, che nella vendita al dettaglio non è previsto l’obbligo di rintracciabilità a valle, non essendo possibile individuare, in assenza di documenti commerciali quali le fatture o documenti di trasporto, i clienti/consumatori finali che hanno acquistato l’alimento. Esenzione che non vale, tuttavia, per le transazioni commerciali tra un venditore al dettaglio e un’altra impresa del settore alimentare (es. un ristorante): transazioni per le quali vige l’obbligo di rintracciabilità e, in caso di non conformità, quello di ritiro dal mercato. La questione del “richiamo” è oggi meglio specificata dall’Ufficio 8 della Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione del Ministero della Salute con la Circolare prot. n. 0022660P-31/05/2016. In tale documento, per “richiamo” si intende la “procedura obbligatoria a carico dell’OSA, in conformità a quanto previsto dal citato
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Il Regolamento 178/2002 CE, che istituisce un sistema di allerta rapido per la notifica di un rischio diretto o indiretto per la salute umana, dovuto all’uso di alimenti o mangimi, prevede procedure, non solo per la rintracciabilità ed il ritiro dell’alimento non considerato sicuro, ma anche per il richiamo dello stesso (“recall”), nel caso in cui l’alimento non conforme ai requisiti di sicurezza, così come definiti nell’articolo 14 del Reg. 178/2002 CE, sia stato già esitato al consumo. Questo documento integra quanto stabilito dalla linea guida sul sistema d’allerta, approvata in Conferenza Stato-Regioni il 13 novembre 2008.
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L’home page del sito governativo: www.nsis.salute.gov.it art. 19 par. 1” del Reg. 178/2002. L’ufficio ministeriale aggiunge in premessa che l’obbligo vige anche per gli operatori economici responsabili della sicurezza di materiali ed oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti (MOCA), di cui al Regolamento (CE) n. 1935/2004, che com’è noto contribuiscono alla sicurezza alimentare fornendo agli OSA materiali (involucri, attrezzature, materiali vari) che non devono cedere agli alimenti sostanze pericolose per la salute. Innanzitutto vengono elencate le indicazioni minime necessarie per una agevole individuazione da parte del consumatore del prodotto oggetto di richiamo: denominazione di vendita, marchio del prodotto, nome o ragione sociale dell’OSA a nome del quale il prodotto è stato commercializzato, lotto di produzione, marchio di identificazione dello stabilimento ove applicabile (è il caso dei prodotti alimentari di origine animale, che riportano sull’etichetta o sull’imballaggio il “bollo CE”), nome del produttore e sede dello stabilimento, data di scadenza o termine minimo di conservazione, descrizione peso/ volume dell’unità di vendita, motivo del richiamo (per tale elemento viene richiesta una descrizione precisa del pericolo determinante
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il richiamo del prodotto, non essendo ritenuta sufficiente una indicazione generica come “prodotto non conforme”), istruzioni al consumatore per la gestione del prodotto ed eventuali avvertenze (tra cui le modalità per contattare l’assistenza clienti dell’OSA, es. mediante numero verde o e-mail), la fotografia del prodotto. Modalità operative di richiamo Secondo la Circolare, l’OSA preposto ad attivare il richiamo è il titolare del marchio del prodotto o il distributore/importatore, essendo responsabile primario della sicurezza alimentare; tale soggetto effettua, garantendo requisiti di efficacia ed accuratezza, una comunicazione di richiamo ai consumatori, contenente le informazioni minime già elencate. Le procedure da seguire per la tutela della salute sono definite a seconda che si sia già riscontrato un grave rischio o che sia ancora necessaria una valutazione del rischio, e sono descritte nell’allegato 1, con un richiamo alla citata Intesa CSR del 13 novembre 2008. I casi di “grave rischio per la salute umana” sono elencati in base agli effetti immediati (acuti) e a lungo termine (cronici); per ciascuna di tali categorie di effetti vengono definite le modalità di comunicazione ai cittadini.
Effetti a breve termine Si tratta degli effetti nocivi gravi che si manifestano immediatamente o dopo un breve tempo dall’assunzione, anche su specifiche categorie di popolazione come soggetti allergici, immunodepressi, anziani o donne in gravidanza, come nel caso di: • alimenti contenenti sostanze proibite; • alimenti contenenti residui di pesticidi o loro metaboliti o prodotti della loro degradazione per i quali è superata la dose acuta di riferimento (ARfD) per la sostanza; • alimenti contenenti contaminanti biologici (batteri, virus, funghi, prioni, parassiti o loro metaboliti, tossine fungine, batteriche o algali) oltre i limiti fissati dalla normativa in grado di indurre, con elevata probabilità, malattia nell’uomo; • alimenti preconfezionati contenenti allergeni non dichiarati in etichetta. Modalità di comunicazione: * affissione nei punti vendita interessati, da parte degli OSA (distributori e dettaglianti), di apposita cartellonistica; * comunicazione di richiamo da parte degli OSA (si ritiene limitatamente ai responsabili dell’immissione sul mercato e ai grandi distributori) mediante stampa, ANSA, radio o TV, secondo la distribuzione dell’alimento, e mediante il proprio sito web o social network: in mancanza di queste ultime modalità, mediante comunicato sul portale del Ministero della Salute. Effetti a lungo termine: • probabili effetti tossici cumulativi sui consumatori e sui loro discendenti, come nel caso di alimenti con residui di pesticidi o loro metaboliti o prodotti della loro degradazione per i quali è superata la dose giornaliera accettabile (ADI) pur non essendo fissata una dose acuta di riferimento; • alimenti contenenti sostanze teratogene, genotossiche o can-
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cerogene che superano i limiti fissati o che, in assenza di limiti, superano la dose giornaliera tollerabile (TDI); • alimenti con livello di contaminazione radioattiva da Cs 134 e Cs 137 superiore ai limiti stabiliti dalla normativa comunitaria (Reg. n. 737/1990 modificato dal Reg. n. 616/2000); • organismi geneticamente modificati (in riferimento al Regolamento CE n. 1829/2003); • nuovi alimenti e nuovi ingredienti alimentari non ancora autorizzati all’immissione in commercio (Novel Food o Nuovi Alimenti, Regolamento CE n. 258/1997). Modalità di comunicazione: * Affissione nei punti vendita interessati, da parte degli OSA (distributori e dettaglianti), di un’apposita cartellonistica; * comunicazione di richiamo da parte degli OSA (si ritiene limitatamente ai responsabili dell’immissione sul mercato e ai grandi distributori) mediante il proprio sito web o su social network o, in mancanza, mediante comunicato sul portale del Ministero della Salute. Obblighi del dettagliante Per l’OSA che effettua il commercio al dettaglio si desume, dall’esame della normativa vigente e della Circolare, l’obbligo di collaborare con i propri fornitori (produttori e distributori) e con l’autorità competente al richiamo, affiggendo presso i propri punti vendita i cartelli forniti, comunicando (anche verbalmente) corrette informazioni ai propri clienti. L’OSA deve ovviamente accettare la restituzione delle confezioni di prodotti alimentari oggetto di richiamo, isolandole e identificandole mediante cartelli (es. “Prodotto richiamato. Non in vendita, da restituire al fornitore”) fino al ritiro materiale da parte del fornitore. Si ritiene che i prodotti richiamati possano essere gestiti insieme a quelli ritirati (eliminati dagli scaffali), pur con identificazione separata.
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La consegna al fornitore deve essere tracciata mediante documentazione commerciale (comunemente detta “bolla di reso” o simile). Valutazione scientifica del rischio In caso di necessità di una valutazione scientifica volta ad accertare una eventuale situazione di grave rischio, il riferimento è alle Linee Guida sulla Comunicazione del Rischio dell’EFSA. Una volta valutato un rischio elevato si procede come già descritto. In caso, invece, di rischio sconosciuto, in via precauzionale è prevista l’attivazione delle procedure di ritiro dal mercato e di richiamo; quest’ultima viene effettuata mediante almeno l’affissione della cartellonistica nei punti vendita. Il portale del Ministero della Salute Allo scopo di consentire ai consumatori di accedere tempestivamente alle informazioni, sarà attivato un sistema di pubblicazione dei richiami sul sito web del Ministero della Salute. L’OSA, in caso di richiamo, deve compilare il modello di cui all’allegato 2 della Circolare con tutte le informazioni previste e trasmetterlo alla ASL competente; questa effettua una valutazione di appropriatezza e trasmette il modello alla Regione per la pubblicazione sulla sezione NSIS–Nuovo Sistema Informativo Sanitario del sito del Ministero, oppure, se delegata dalla Regione, provvede direttamente alla pubblicazione, che deve avvenire “tempestivamente o comunque non oltre le 48 ore”. La Regione può anche effettuare la pubblicazione sul proprio sito. L’OSA, in caso di esito favorevole dell’analisi di revisione, potrà predisporre, con la stessa procedura, un comunicato di smentita, da pubblicare sul sito del Ministero della Salute. L’alimento già oggetto di ritiro e di richiamo potrà così essere “riabilitato” e potrà essere cessata l’attuazione delle procedure intraprese. Verifiche da parte dell’ASL Analogamente a quanto previsto per il ritiro dal mercato dalle
Linee guida del 13 novembre 2008, l’ASL, in quanto autorità competente, effettua verifiche sull’effettiva e corretta gestione del richiamo, verificando l’avvenuta comunicazione, la documentazione prodotta dall’OSA, gli alimenti riconsegnati dai consumatori, il ritiro da parte dei fornitori e ogni altro elemento utile. Provvedimenti Qualora l’OSA non adempia all’obbligo del richiamo, l’ASL adotta un provvedimento a tutela della salute pubblica, imponendo all’OSA di effettuare il richiamo; inoltre, contesta allo stesso OSA la violazione amministrativa delle disposizioni dell’art. 19 del Reg. n. 178/2002, sanzionata dall’art. 4 del DLgs n. 190/2006 (sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 12.000 euro, con possibilità di pagamento in misura ridotta della somma di 4.000 euro per l’estinzione del procedimento). Se l’OSA non provvede entro 24 ore dal provvedimento ad attivare il richiamo, l’ASL subentra con attività sostitutiva, effettuando direttamente il richiamo e addebitando le spese all’OSA; inoltre, le ASL “valutano l’eventuale informativa all’autorità giudiziaria”. A tal fine, si ritiene corretto indicare preventivamente sul provvedimento impositivo del richiamo, da notificare all’OSA con le modalità previste per la notificazione degli atti amministrativi e giudiziari, che l’inottemperanza comporterà la violazione dell’art. 650 del Codice Penale (“Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità. Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro 206”). Avvisi di sicurezza La Circolare introduce la definizione di “avviso di sicurezza: forma di comunicazione diversa rispetto al richiamo dell’OSA, utilizzata dal Ministero della Salute recante informazioni basate su fonti ufficiali, divulgata a
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scopo precauzionale e a fini di tutela della salute pubblica ….. diramato sotto forma di pagina web e/o di comunicato stampa”. Ma già le Linee guida del 2008 citate, nel punto 7 (Competenze della Regione – Nodo regionale) e nel punto 8 (Competenze del punto di contatto nazionale), prevedevano la possibilità per gli stessi nodi regionali e nazionale, in caso di particolari rischi sanitari (e quindi in presenza di situazioni di pericolo per la salute), di effettuare comunicazioni ai cittadini, tramite i mezzi di informazione a diffusione, rispettivamente, regionale o nazionale. Un avviso di sicurezza non esime comunque dall’attivare la procedura di richiamo l’OSA, che mantiene i suoi obblighi. La prerogativa di predisporre tali avvisi, in via sussidiaria, per effettuare una corretta informazione dei cittadini, viene riservata al Ministero della Salute “in caso di malattia a trasmissione alimentare ove sia stata accertata la correlazione almeno epidemiologica con un alimento”, nei casi di crisi ed emergenze o in attesa di individuare gli OSA distributori di prodotti extra-nazionali a rischio. Le “fonti ufficiali” Le “fonti ufficiali”, vale a dire i soggetti che forniscono al Ministero della Salute le informazioni utili alla predisposizione degli avvisi di sicurezza, sono elencate nella Circolare:
• i sistemi informativi quali RASFF – Rapid Alert System for Food and Feed (Sistema rapido di allerta per alimenti e mangimi), EWRS – European Weed Research Society (Società Europea di Ricerca sulle Erbe infestanti), INFOSAN – International Food Safety Authorities Network (presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità); • autorità quali le Regioni e le ASL (che, ricordiamo, sono individuate come autorità competenti per la sicurezza alimentare), ma anche il Comando Carabinieri per la tutela della salute (NAS) e l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco). La Circolare, inoltre, elenca altri soggetti che possono essere fonte di informazioni: • forze di Polizia e Istituzioni partecipanti a vario titolo al Piano Nazionale Integrato dei controlli; • laboratori ufficiali (Istituto Superiore di Sanità, Istituti Zooprofilattici Sperimentali, ARPA, laboratori di prevenzione e di Sanità pubblica). Si riterrebbe opportuno che anche le informazioni pervenute dagli OSA mediante il modulo Allegato 2 fossero utilizzate, secondo valutazione del Ministero, per eventuali avvisi di sicurezza, soprattutto se provenienti da Laboratori che svolgono analisi in autocontrollo accreditati e iscritti agli elenchi
Si rafforza nelle nuove regole il concetto di collaborazione tra tutti i soggetti, con il fine unitario della garanzia della sicurezza alimentare a vantaggio della collettività.
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regionali ai sensi della Legge n. 88/2009 e delle Linee guida di cui all’Accordo 78/CSR/2010, come più recentemente ribadito dalle Linee guida di cui all’Accordo n. 84/CSR/ del 7 maggio 2015. Conclusioni La procedura per il richiamo degli alimenti non conformi, emanata dalla DGSAN del Ministero della Salute, costituisce uno strumento sia per le autorità competenti sia per gli Operatori del Settore Alimentare, utile alla tutela della salute dei consumatori, integrando la normativa vigente e gli atti amministrativi disponibili (Linee Guida CSR) per aspetti precedentemente non dettagliati. Si rafforza nelle nuove regole il concetto di collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti, sia nelle imprese alimentari che nelle autorità sanitarie e organi di controllo, con il fine unitario della garanzia della sicurezza alimentare a vantaggio della collettività. È particolarmente importante il concetto di “trasparenza” nella comunicazione, dovendo essere evitati messaggi generici che non indicano con chiarezza la causa del richiamo dei prodotti. A tal fine tutti gli OSA devono superare la tentazione di una comunicazione solo parziale, dettata da un atteggiamento di presunta autodifesa commerciale. Alla trasparenza potrà contribuire la disponibilità sul portale del Ministero dei dati relativi ai prodotti oggetto di “richiamo” e delle eventuali “smentite”. Marco Cappelli Tecnico della Prevenzione ASL n. 5 – La Spezia Riferimenti normativi 1. Reg.(CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GUCE n. L 371 del 01/02/2002), modificato dal Reg. (CE) n. 1642/2003 (GUCE n. L 245 del 29/09/2003).
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2. Intesa della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome Rep. Atti n. 204/CSR del 13 novembre 2008, recante “Linee guida per la gestione operativa del sistema di allerta per alimenti destinati al consumo umano” (GURI n. 287 del 09/12/2008). 3. Decreto legislativo 6 novembre 2007 n. 193, “Attuazione della direttiva 2004/41/CE relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti comunitari nel medesimo settore” (GURI n. 261 del 09/11/2007 – SO n. 228). 4. Circolare del Ministero della Salute, Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli alimenti e la Nutrizione Uff. 8, 0022660-P-31/05/2016. 5. Reg. (CE) n. 1935/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 ottobre 2004 riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari e che abroga le direttive 80/590/CEE e 89/109/CEE (GUUE L 338 del 13/11/2004). 6. Reg. n. 737/1990 del Consiglio, del 22 marzo 1990, relativo alle condizioni di importazione di prodotti agricoli originari dei Paesi Terzi a seguito dell’incidente verificatosi nella centrale nucleare di Chernobyl (GUCE n. L 82 del 29/03/1990). 7. Regolamento (CE) n. 616/2000 del Consiglio, del 20 marzo 2000, che modifica il Regolamento (CEE) n. 737/90 relativo alle condizioni d’importazione di prodotti agricoli originari dei paesi terzi a seguito dell'incidente verificatosi nella centrale nucleare di Chernobyl (GUCE n. L 075 del 24/03/2000). 8. Reg. (CE) n. 1829/2003 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 settembre 2003 relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati (GUUE L 268 18/10/2003). 9. Regolamento (CE) n. 258/1997 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 gennaio 1997
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sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari (GUCE L 43 del 14/02/1997). 10. EFSA (2015), “Linee guida per la comunicazione del rischio”, www.efsa.europa.eu/sites/default/files/corporate_publications/files/riskcommguidelines150210it.pdf 11. Decreto legislativo 5 aprile 2006 n. 190, “Disciplina sanzionatoria per le violazioni del regolamento (CE) n. 178/2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel settore della sicurezza alimentare” (GURI n. 118 del 23/05/2006). 12. Regio Decreto 19 ottobre 1930 n. 1398, Codice penale (SOGURDI n. 253 del 28/10/1930) e successive modificazioni. 13. Legge 7 luglio 2009 n. 88, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee, Legge comunitaria 2008 (GURI Serie Generale n. 161 del 14/07/2009 SO n. 110). 14. Accordo ai sensi dell’articolo 40, comma 3, della legge 7 luglio 2009 n. 88, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sul documento relativo alle “Modalità operative di iscrizione, aggiornamento, cancellazione dagli elenchi regionali di laboratori e modalità per l’effettuazione di verifiche ispettive uniformi per la valutazione della conformità dei laboratori”, Rep. Atti n. 78/ CSR del 08/07/2010. 15. Accordo, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, del DLgs 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sul documento recante “Linee guida per il controllo ufficiale dei laboratori che eseguono le analisi nell’ambito dell’autocontrollo delle imprese alimentari”, ai sensi dell’articolo 6, comma 2 dell’Accordo Rep. n. 78/ CSR/2010. Rep. Atti n. 84/CSR del 07/05/2015.
Piccole regole per una grande sicurezza alimentare di Giovanni Ballarini
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n antico detto padano sosteneva “acqua di pozzo, erba cruda (e donna nuda) uccidono l’uomo”. Questo saggio proverbio mette l’accento su due criteri chiave per la sicurezza degli alimenta indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: l’acqua potabile e la cottura degli alimenti. Sembra strano, ma nonostante il passare dei secoli — il proverbio citato pare risalire al 1700 — alcune regole di sicurezza alimentare pare siano ancora non osservate o dimenticate, come quella semplice e basilare di lavarsi le mani, che le mamme e le nonne di un tempo conoscevano
benissimo. I cinque punti chiave per un cibo più sicuro diffusi dal Dipartimento food safety dell’OMS e contenuti nella pubblicazione Five keys to safer food (scaricabile on-line*) sono i seguenti.
riali facilmente pulibili). Efficace anche il controllo degli animali, dalle mosche e altri insetti a quelli domestici, che non devono essere presenti dove si conservano e si preparano gli alimenti.
Mantenere la pulizia Tutto quanto viene a contatto con gli alimenti deve essere pulito, lavato e disinfettato, con particolare attenzione alle mani (che devono essere lavate con acqua calda e sapone), agli asciugamani (meglio evitarli e preferire quelli usa e getta), agli strumenti e ai piani da lavoro (che devono essere di mate-
Separare gli alimenti crudi da quelli cotti La cottura è un ottimo mezzo di sanificazione e gli alimenti cotti non devono essere ricontaminati da quelli crudi. Anche le attrezzature utilizzate per gli alimenti crudi (carni o vegetali) non devono essere usate per quelli cotti. Molto rischiose sono le contaminazioni crociate.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha affermato, nella sua pubblicazione “Cinque punti chiave per alimenti più sicuri”, l’importanza di cuocere completamente e a fondo gli alimenti, soprattutto quando si tratta di tagli di carne di grandi dimensioni (photo © www.planet-economics.org).
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Lavarsi le mani con acqua calda e sapone rientra tra le buone pratiche a garanzia della sicurezza alimentare (photo © www.improntaunika.it). Cuocere completamente e a fondo gli alimenti Per ottenere una sufficiente sicurezza è necessario che gli alimenti, in tutte le loro parti, anche interne (il cosiddetto “cuore”), siano stati cotti ad una temperatura di almeno 70 °C per un tempo non inferiore a mezzo minuto, usando preferibilmente un termometro. Questa precauzione deve essere particolarmente precisa per le carni macinate (hamburger), gli arrosti arrotolati contenenti verdure e uova, i tagli di carni di grandi dimensioni, il pollame intero. Un analogo trattamento va riservato per il riscaldamento degli alimenti già cucinati. Conservare gli alimenti a una temperatura sicura Mantenere gli alimenti tra i 5 e i 60 °C è un rischio, perché in questo range di temperatura vi è moltiplicazione batterica. I cibi cotti devono: non essere lasciati a temperatura ambiente per più di due ore; mantenuti caldi a più di 60 °C; se non consumati rapidamente, refrigerati (da qui l’uso degli abbattitori). Gli alimenti congelati non vanno scongelati lentamente a temperatura ambiente, ma rapidamente, anche usando l’adatto programma a microonde.
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Usare acqua priva di pericoli (potabile) e alimenti sicuri Il problema dell’acqua sicura riguarda alcuni miliardi di persone nel mondo, mentre quello dei cibi sicuri riguarda tutta la popolazione del pianeta e, nei paesi industrializzati, comprende gli alimenti conservati troppo a lungo (oltre il “periodo di scadenza”). Tra gli alimenti sicuri vi è, ad esempio, il latte pastorizzato. Frutta e verdure da mangiare crude devono essere accuratamente lavate. Per quanto riguarda le carni, vi sono anche altre precauzioni. A parte la considerazione che tra i trattamenti di sicurezza delle carni vi è anche il loro trattamento con radiazioni ionizzanti, si sottolinea: la cottura a microonde non è uniforme; può lasciare parti insufficientemente cotte (nel pollame, ad esempio, vicino alle ossa); dalle plastiche di confezionamento possono liberarsi composti chimici indesiderati. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Nota * WHO, Five keys to safer food manual, www.who.int/foodsafety/ publications/5keysmanual/en
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TECNOLOGIE
A Moduli verso la Smart MEAT Factory In parte visione, in parte rivoluzione ma, in parte, anche già realtà. Il gruppo aziendale CSB-System vi guida sulla strada verso il futuro digitale
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ell’ultimo decennio la digitalizzazione ha molto accelerato i cambiamenti ed il progresso nel settore carne; sistemi automatizzati per la preparazione ordini, la rintracciabilità lotti completa o l’impiego di robot per preparare le casse e/o i pallet, sono solo alcuni esempi della spinta innovativa del settore. Ma la produzione del futuro sarà ancora di più collegata in rete: laddove oggi gli impianti vengono gestiti centralmente, in futuro vi saranno sistemi di produzione intelligenti nei quali macchine, impianti e
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prodotti comunicheranno tra loro. Grazie alla gestione autarchica della produzione, infatti, non vi saranno più tempi di fermo e di inattività della produzione; l’impiego delle macchine verrà ottimizzato con conseguente riduzione del consumo di energia per il medesimo risultato di oggi. Essendoci meno scarti, anche il fabbisogno di materie prime calerà, con ripercussioni positive non solo per le finanze, ma anche per l’ambiente. Esperti del settore ingegneristico affermano che quando lo scenario della produzione collegata in rete diventerà realtà, la
produttività delle aziende potrebbe aumentare del 30%. Internet of Things come creazione di valore aggiunto Il gruppo aziendale CSB-System, sin dal 1977 specialista di soluzioni informatiche per il settore alimentare ed in particolar modo delle carni, vede nelle nuove possibilità della Smart MEAT Factory più un’evoluzione che una rivoluzione, perché la fabbrica intelligente non viene dall’oggi al domani, ma si evolve a piccoli passi. Alcune idee rivendicate dalla cosiddetta Rivoluzione In-
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dustria 4.0 sono già da tempo realtà per molti dei clienti CSB-System. Sfruttare in modo ottimale le linee di produzione e confezionamento Con le soluzioni per il software, l’automazione e l’elaborazione per immagini fornite dal gruppo CSB-System, qualsiasi azienda potrà percorrere la strada verso la trasformazione digitale. Anche nell’era della Smart MEAT Factory, tuttavia, l’ERP-System manterrà il suo ruolo di colonna portante dell’azienda. A tale proposito, il gestionale CSBSystem, disponibile anche in CloudService, gestisce non solo le anagrafiche e i dati sui movimenti, bensì anche i dati su prodotti, macchine e processi, il tutto senza ridondanze. In questo modo viene consentito un utilizzo coerente dei dati in tutti le applicazioni e lungo l’intera filiera: dal Customer Relationship Management alla pianificazione della produzione, dalla preparazione ordini al Business Intelligence. La strada verso lo stabilimento che lavora autonomamente viene spianata soprattutto dall’integrazione tra ERP-System e MES (Manufacturing Execution System), dal collegamento, quindi, del Shop Floor con il Top Floor. Solo così si crea quella connessione tra gestione aziendale e gestione della produzione che facilita poi la comunicazione in rete da macchina a macchina. Sfide e possibilità di Internet of Things (Industria 4.0) Il gruppo CSB-System già da anni mette a disposizione dei suoi clienti interfacce tra persone, macchine e tecnologia informatica, per inserire e analizzare in tempo reale tutte le fasi della produzione, con l’obiettivo di rispondere sempre meglio ai bisogni delle aziende. Una possibilità sarà quella di coinvolgere ancora di più i clienti nello sviluppo di prodotti e soluzioni; per gli utenti è determinante il fatto che flessibilità e standardizzazione non si escludano l’una con l’altra, ma si integrino. La fabbrica che lavora autonomamente è certamente ancora una visione, ma le soluzioni IT per l’automazione della produzione, così come
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l’inserimento dati macchine e il rilevamento dati aziendali on-line sono già da anni elementi consolidati nella prassi aziendale dei clienti CSB-System. La stessa cosa vale per il collegamento del MES ai sistemi ERP. Le applicazioni aziendali mobili, le soluzioni Cloud, RFID o la manutenzione preventiva supportata dal software sono altre componenti base dell’Industria 4.0 già consolidate nella pratica. Anche la tecnica di elaborazione per immagini può essere annoverata tra queste: con il suo aiuto le materie prime possono essere classificate in modo totalmente automatizzato, secondo criteri definiti, per essere poi smistate allo scopo di rifornire in modo ottimale la produzione, evitando errori. Strategia per l’introduzione della Smart MEAT Factory L’esperienza di un affermato partner di IT specialista di settore, come il gruppo CSB-System, che sappia valutare le particolarità specifiche dell’azienda e sia in grado di assumersi la responsabilità della realizzazione del progetto, è un fattore imprescindibile nella strategia per l’introduzione della Smart MEAT Factory. Innanzitutto vanno registrati i processi interni per valutarne l’efficienza e funzionamento. Dopo si valutano scrupolosamente possibilità e rischi per determinare il potenziale di realizzazione. Una chiara pianificazione con scopi ben definiti è un segno distintivo essenziale di progetti di integrazione IT di successo. In fin dei conti l’Information Technology è la chiave per una maggiore produttività.
Referente Italia: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com
I porzionatori a peso fisso Marelec a Cibus Tec 2016
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arelec è una casa belga attiva nel nostro settore ormai da 30 anni, ma sconosciuta in Italia ai più poiché non è mai stata distribuita ufficialmente nel nostro Paese. Da quest’anno Lazzari Equipment ne ha assunto la distribuzione ed ha iniziato a promuoverne le caratteristiche tecniche uniche che rendono la porzionatrice a peso fisso PORTIO un ottimo investimento dal veloce ritorno economico per l’industria alimentare Italiana. La porzionatrice a peso fisso PORTIO Marelec si basa su un sistema di rilevazione della forma in 3D del prodotto, tramite un sistema ad altissima tecnologia e dalla precisione senza eguali, con tre telecamere scanner laser a 400 Hz posizionate ai lati e sopra al prodotto nella zona di ingresso.
Un software esclusivo calcola dove tagliare il prodotto per ottenere fette o porzioni dal peso uguale. La logica della porzionatrice permette di dividere lo stesso taglio di carne anche in due pesi differenti e scartare la testa e la coda a piacimento. La porzionatura può anche avvenire semplicemente a misura. La programmazione è facile e veloce con il pannello touch a colori, che visualizza in 3D ogni singolo taglio con la relativa porzionatura calcolata. Lo stesso pannello dotato di software Mes Marelec Bright Eye collega la porzionatrice PORTIO a selezionatrici graders, bilance, terminali, lettori di codici a barre e così via, assicurando il controllo e la tracciabilità dell’intero flusso dal ricevimento delle materie prime, alla lavorazione, all’etichettatura,
fino allo stoccaggio e alla spedizione del prodotto finito. Se il prodotto da tagliare in fette dello stesso peso risultasse essere molto difforme tra un taglio e l’altro nella distribuzione magro grasso, Marelec prevede l’applicazione di una bilancia dinamica a densità prima della stazione di scansione laser, per rilevare il peso esatto e il valore di densità relativa di ogni taglio di carne prima di essere scansionato, tenendo il peso rilevato come riferimento per il calcolo e dimensionamento delle porzioni a peso fisso da ottenere. La testa di taglio della porzionatrice PORTIO è inclinabile per produrre porzioni di carne dello stesso peso ma dalla forma più naturale: inclinando il taglio di 45°, ad esempio, in vaschetta non si avrà la
Lettura forma 3D con telecamera laser per definire dove tagliare a fette dal peso fisso.
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1/2) Porzionatrice Marelec Portio con scansione laser per tagliare carne, salumi e pesce a peso fisso, caratterizzata da facilissima manutenzione e sanificazione. 3) Porzionatrice Portio in linea con selezionatore grader. percezione del taglio netto, ma la forma anatomica del muscolo verrà messa in evidenza. Il sistema di angolazione della testata di taglio è brevettato poiché semplice e geniale: senza l’uso di attrezzi, basta sbloccare a mano la testa e inclinarla su una delle posizioni predefinite, ed il nastro sottostante in automatico varierà l’apertura attraverso la quale la lama dovrà passare, effettuando il taglio evitando accidentali rotture e tagli al nastro sottostante (come invece avviene in altri macchinari di questo tipo se l’operatore si dimentica di modificare anche l’apertura del nastro). Il nastro stesso è di tipo modulare e può essere sostituito in piccole porzioni evitando di dover sostituire tutto il tappeto in caso di rotture accidentali.
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La porzionatrice per tagli dal peso fisso PORTIO può essere dotata di diversi tipi di gripper o sistemi di trattenimento del prodotto, a seconda si tratti di carne bovina o suina dalla forma cilindrica, oppure di carne avicola piatta e morbida, ma anche per salumi piatti e regolari come la pancetta stufata oppure cilindrici/ovali: Marelec propone nastrini a dita multiple che si adattano automaticamente alla forma del prodotto e lo seguono mentre viene portato alla lama di taglio, oppure gripper a forma di forchetta che scende verticalmente e pinza il prodotto all’estremità minimizzando lo scarto dell’ultimo taglio. Marelec propone anche un sistema per tenere sia la prima che l’ultima fetta in posizione verticale
per effettuare l’ultimo taglio il più precisamente possibile, minimizzando le porzioni da scartare. La porzionatura di salumi può avvenire anche con un solo taglio nel mezzo, per dividere un prodotto in due metà esattamente dello stesso peso. Il software di gestione Marelec può comunque essere personalizzato per ottenere la più alta varietà di combinazioni di tagli assecondando ogni richiesta della produzione. Il nastro alla bocca d’uscita del porzionatore può essere personalizzato nella funzionalità per esempio per distanziare le fette tagliate una ad una. Importante aspetto tecnico di questa porzionatrice è la facilità e velocità di lavaggio, grazie alla
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1) Gripper per trattenere la carne durante il taglio di fette a peso fisso con porzionatrice Marelec Portio. 2) Carne di manzo tagliata in fette a peso fisso con porzionatrice Marelec Portio. 3) Petto di pollo tagliato in fette a peso fisso con porzionatrice Marelec Portio. 4) Si può lavare tutta ad alta pressione, completamente impermeabile.
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struttura aperta della macchina, completamente impermeabile all’acqua e senza nessuna zona di ristagno occulto: la semplicità dei particolari nastri, della testata di taglio e le superfici inclinate fanno si che non si accumuli sporco o smelmatura da taglio come su attrezzature similari ma non così evolute nel design. La porzionatrice per peso fisso PORTIO inoltre risolve ogni esigenza relativa alla produttività: la lama rotante adibita al taglio delle porzioni arriva ad una velocità massima di 1000 tagli minuto in modalità porzionatura a peso fisso. Riusciamo a tagliare porzioni da g 55 a g 150 con una produttività di 1200 kg/ ora e una precisione nell’ordine di g 1,5. Per una maggiore capacità il porzionatore a peso fisso PORTIO è
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disponibile anche in versione a due vie, con doppio nastro e doppia testata di taglio. Marelec PORTIO si abbina alla perfezione ai suoi selezionatori graders disponibili anche in versione su misura, con numero di stazioni di lavoro variabile e cestelli ed altezze e forme progettate espressamente per l’applicazione richiesta in base alle esigenze del cliente. Tutti i vantaggi nell’utilizzo del porzionatore a peso fisso Marelec PORTIO si traducono in un rapido recupero dell’investimento, grazie all’aumento di resa, riduzione di manodopera, porzioni accurate, cambi rapidi dei programmi di taglio, massima capacità produttiva, ingombri ridotti e massima igiene grazie alla struttura aperta e facilmente sanificabile.
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Testo reinventa il monitoraggio di temperatura e umidità Con testo Saveris 2, Testo AG ha radicalmente semplificato il monitoraggio automatico delle condizioni ambientali, arrivando così ad essere uno dei primi produttori di tecnologie di misura ad entrare nell’era IoT (Internet of Things)
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ttenere un monitoraggio affidabile dei valori di umidità e temperatura, con documentazione ininterrotta dei dati, finora ha sempre presentato elevati livelli di complessità e diversi svantaggi. Le note scritte a mano si potevano perdere e scaricare le misure dai data logger in campo poteva risultare complicato; inoltre, i sistemi di monitoraggio sono spesso costosi e vale la pena
utilizzarli solo su aree applicative molto ampie. Infine, documentare le misure distoglie da altri lavori più importanti. Il reparto di Ricerca & Sviluppo Testo AG, con sede in Germania, ha sviluppato Saveris 2 con l’obiettivo di creare un sistema semplice in grado di monitorare temperatura e umidità facilmente, in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo, senza dover compromettere la sicurezza, perdere tempo con sof-
tware da installare e dover leggere complicati manuali d’istruzioni. Per raggiungere questo scopo, gli sviluppatori si sono orientati verso la tecnologia IoT (Internet of Things). Grazie a questa tecnologia non è più il computer ad essere collegato ad internet, ma gli oggetti che usiamo giorno per giorno. Questo li rende “intelligenti”, e permette loro di scambiare informazioni tra loro e il web. Ed è questo esattamente il
Testo Saveris 2 installato in macelleria. Il sistema di monitoraggio registra i valori di temperatura e umidità avvalendosi di un archivio dati on-line, che possono essere visualizzati in qualsiasi momento, da smartphone, PC o tablet.
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principio su cui si basa il nuovo testo Saveris 2: il sistema registra i valori di temperatura e umidità attraverso i sensori e li trasmette via wifi ad un archivio dati on-line, il Cloud Testo. I dati di misura vengono memorizzati in modo sicuro e da lì possono essere facilmente visualizzati in qualsiasi momento da qualsiasi parte del mondo utilizzando uno smartphone, un PC o un tablet. Testo Saveris 2 permette ai responsabili di mantenere i valori di misura sotto controllo senza dover essere costantemente presenti in loco. Se un valore limite viene superato, il sistema trasmette un allarme via SMS ed e-mail. Flessibilità e affidabilità Testo Saveris 2 ha lo stesso costo di un normale data logger, e può essere acquistato in diverse versioni sul sito www.testo.it. Sono disponibili cinque diverse sonde di temperatura e umidità, abbinate a una funzionalità base o avanzata per il Cloud Testo.
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La Listeria è un problema? Ecco come risolverlo con la linea Flowfresh di Flowcrete di Stefano Perris
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razie anche al successo enorme di Expo 2015, che ha dato e sta dando enorme rilievo al tema dell’alimentazione e alle aziende italiane, si sta conferendo sempre più importanza alla salubrità delle pavimentazioni dei locali in cui vengono prodotti e trasformati gli alimenti. FLOW-
CRETE si è sempre dedicata a questa problematica, producendo e commercializzando in tutto il mondo formulati idonei e certificati, particolarmente adatti ai locali della filiera dell’industria agroalimentare per migliorare l’igienicità, l’asetticità degli ambienti e quindi per migliorare la vita lavorativa dell’in-
dividuo che vive quotidianamente in questi ambienti. Ed è proprio il sistema in poliuretano cemento, dove l’impiego degli ioni d’argento all’interno del formulato (non adottabile per sistemi epossidici e metacrilici, in cui l’effetto antimicrobico risulterebbe molto più blando) contribuisce maggiormen-
Lo studio e la progettazione di un macello e, più in generale, dei locali destinati alla produzione (locale disosso) del comparto alimentare richiede di ridurre al minimo i rischi di contaminazione biologica. La scelta di un rivestimento resinoso appropriato mantiene alto il livello di igiene di chi lavora e della qualità del prodotto. In foto, le pavimentazioni realizzate con la linea in poliuretano Flowfresh nello stabilimento Friulcarni di Carlo Battilana ad Udine.
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Flowfresh rappresenta una nuova generazione di pavimentazioni antibatteriche naturali che, in partnership con Poligyene, da marzo 2015 ha ottenuto la certificazione a livello mondiale ISO 22196. Flowcrete sarà presente a Cibus Tec a Parma dal 25 al 28 ottobre 2016
te al miglioramento dell’ambiente stesso, che offre un’efficacia ed ecologica alternativa all’impiego degli additivi antibatterici di origine chimica, riducendo la formazione di batteri sulla pavimentazione del 99% (tipo Escherichia coli, Staphylococcus aures, Listeria monocytogenes, ecc…)1. Per queste motivazioni, in tutti gli ambienti in cui è necessario la sterilizzazione dei locali, sono consigliabili rivestimenti in poliuretano cemento, che risultano una soluzione ottimale in quanto resistenti a temperature superiori (fino a 120 °C) rispetto a quelle di rivestimenti realizzati con altri tipi di resine in commercio. Interessanti anche le schede tecnico informative dell’INAIL sul rischio biologico sui luoghi di lavoro2, dove viene analizzato, assieme ad altri contaminanti, anche Listeria monocytogenes. Flowfresh rappresenta una nuova generazione di pavimentazioni antibatteriche naturali che, in partnership con Polygiene, da marzo 2015 ha ottenuto la certificazione a livello mondiale ISO 22196. Esso è il primo prodotto di questo genere, a livello mondiale, ad ottenere tale certificazione3. Inoltre, da giugno 2015 fino a giugno 2017 ha ottenuto anche la certificazione HACCP (certificazione, quest’ultima, oggetto di revisione ogni due anni)4. Polygiene è una società svedese
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Pavimentazione Flowfresh dei locali di produzione del macello Friulcarni di Udine. Questo tipo di pavimentazione garantisce una superficie antimicrobica, confortevole ed ecologica, facilmente sanificabile, con riduzione del 99% della crescita batterica o delle muffe. di Malmö specializzata nella produzione di una tecnologia ecosostenibile naturale basata sugli ioni d’argento, un antibatterico che interrompe la trasmissione di malattie, eliminando i microbi a contatto su materiali di natura diversa tra cui il poliuretano cemento. Polygiene, in partnership con Flowcrete, ha studiato e formulato in esclusiva un antibatterico idoneo per la linea in poliuretano cemento di flowcrete e denominata Flowfresh. Polygiene è una formulazione antibatterica che all’interno del formulato, una volta applicato e indurito si disperde su tutta la massa dei prodotti della linea Flowfresh HF/RT/MF e che rende quindi duratura nel tempo l’efficacia del sistema. L’antibatterico riduce la formazione di batteri sulla pavimentazione del 99%5. I vantaggi delle soluzioni Flowcrete antimicrobiche in poliuretano-cemento includono: • distruzione del 99,9% dei batteri superficiali; • eccellente resistenza chimica e meccanica; • possibilità di finitura antiscivolo per ambienti umidi; • ottima resistenza (prodotto HF) alle variazioni termiche (range di utilizzo: da –40 °C a +120 °C), con possibilità di lavare il
pavimento con acqua bollente; • basso contenuto di COV; • finiture esenti da solventi ed anti-macchia; • traspirabilità del sistema. Stefano Perris >> Link: www.flowcrete.co.it Bibliografia 1. “Sotto la lente: Listeria monocytogenes”, in IL LATTE n. 6/2015, Tecniche Nuove. In questo approfondimento, si sottolinea come uno dei trattamenti di decontaminazione più efficaci sia il lavaggio dei locali con acqua bollente, poiché il contaminante non è resistente alle alte temperature. 2. Il rischio biologico nei luoghi di lavoro (INAIL). 3. Determination of the Antibacterial Activity of Polyurethane Screed Formulations against Escherichia coli, Staphylococcus aureus and Listeria monocytogenes using ISO 22196. 4. HACCP news: certification of food safe equipment, materials and services, Flowcrete Cert & State 2015. 5. Antimicrobial Flooring Facts for the Food and Beverage Industry. Nell’articolo si mettono in evidenza le caratteristiche del prodotto e si prova l’efficacia antimicrobica di una tale pavimentazione, anche dopo 60 cicli di lavaggio.
137
STATISTICHE
Dati ANAS sulla suinicoltura
Bilancio comunitario delle carni suine e dati 2016 sulla classificazione delle carcasse
S
econdo un recente rapporto della DG Agricoltura della UE, il calo della consistenza dei riproduttori registrato dal censimento di dicembre 2015 porterà ad un rallentamento della produzione nel secondo semestre del 2016. Facendo un bilancio produttivo annuo, nel 2016 la produzione suinicola comunitaria dovrebbe rimanere su livelli sostanzialmente stabili. Secondo il rapporto, per quanto concerne l’export nel 2016 sarà raggiunto il livello record di esportazioni della UE, pari a 2,4 milioni di tonnellate (+18% rispetto al 2015)
grazie soprattutto all’incremento delle esportazioni verso la Cina (i maggiori esportatori verso il Paese asiatico nei primi quattro mesi del 2016 sono stati la Germania, la Spagna e la Danimarca). In aumento anche le esportazioni comunitarie verso le Filippine, l’Ucraina, Hong Kong e gli Stati Uniti. Dopo l’epidemia di PED Virus del 2014, la ripresa dell’export statunitense sembra più lenta del previsto e si mantiene su livelli contenuti (nei primi mesi del 2016 la UE ha infatti mantenuto una quota di esportazioni verso il Giappone superiore alle aspettative).
Dopo un calo registrato all’inizio del 2016, i prezzi comunitari hanno cominciato a salire seguendo l’andamento stagionale e l’impulso delle esportazioni verso la Cina. La reimmissione sul mercato dei prodotti ammessi all’ammasso privato ha avuto effetti limitati sull’andamento dei prezzi. Nel 2015 i consumi comunitari di carne suina hanno raggiunto i 32,5 kg pro capite (circa 1 kg in più rispetto al 2014). Le previsioni per il 2016 sono invece di un calo del consumo pro capite rispetto al 2015 e di una sostanziale stabilità nel 2017.
Short Term Outlook della UE UE-28
2014
2014/13
2015
2015/14
2016
2016/15
2017
2017/16
Produzione (.000 t peso carcassa)
22.569
+ 0,8%
23.369
+3,5%
23.406
+ 0,2%
23.582
+ 0,8%
Macellazioni (.000 t peso carcassa)
22.534
+ 0,8%
23.349
+3,6%
23.384
+ 0,2%
23.561
+ 0,8%
Import di carne suina (.000 t peso carcassa)
13
–14,3%
10
–21,2%
12
+12,0%
12
–1,0%
Export di carne suina (.000 t peso carcassa)
1.909
–13,1%
2.074
+ 8,6%
2.448
+18,0%
2.497
+2,0%
Consumo (.000 t peso carcassa)
20.638
+2,3%
21.285
+3,1%
20.948
–1,6%
21.076
+ 0,6%
Consumo pro capite (kg – peso prodotto al consumo) *
31,7
+2,0%
32,5
+2,8%
31,9
–1,9%
32,0
+ 0,3%
Autoapprovvigionamento (%)
109,0%
110,0%
112,0%
112,0%
(*) Il coefficiente di trasformazione da peso carcassa a peso del prodotto al consumo è 0,78. Fonte: elaborazione ANAS su dati della DG Agricoltura e dello Sviluppo Rurale della UE – Short Term Outlook for EU arable crops, dairy and meat markets – Summer 2016.
138
Eurocarni, 9/16
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Dati sulla classificazione delle carcasse suine nel 2016 Setti- Classe S mana L
Classe E
Peso medio totale
L
H
L
H
65.763
274
30.436
100
4.854
23
250
2.504
122.127
124.631
141,52
2
157
1.358
26.140
992
75.715
322
32.311
53
4.803
107
227
2.989
139.196
142.185
141,46
3
193
1.327
22.030
1.032
76.207
348
31.530
103
3.996
39
128
3.042
133.891
136.933
141,15
4
161
1.190
20.482
797
68.101
323
27.918
90
3.361
31
109
2.592
119.971
122.563
141,26
5
206
1.357
21.766
966
76.799
351
32.504
104
3.938
29
195
3.013
135.202
138.215
141,09
6
108
1.139
19.563
1.026
70.162
349
30.479
76
4.094
31
214
2.729
124.512
127.241
141,24
7
153
914
19.919
1.084
78.790
369
39.593
85
6.137
24
302
2.629
144.741
147.370
141,31
8
146
1.160
21.611
1.346
82.768
395
35.013
113
4.478
41
207
3.201
144.077
147.278
140,72
9
152
1.430
19.964
1.107
82.289
424
36.367
97
4.914
23
217
3.233
143.751
146.984
141,45
10
144
1.250
21.353
1.080
81.164
444
36.612
137
5.046
42
308
3.097
144.483
147.580
141,19
11
162
1.331
23.592
1.179
82.225
451
36.891
110
4.483
26
204
3.259
147.395
150.654
140,95
12
157
1.158
16.912
1.170
74.203
297
31.383
109
3.907
32
151
2.923
126.556
129.479
140,69
13
144
1.020
15.880
1.028
64.502
369
30.866
85
4.482
22
210
2.668
115.940
118.608
140,46
14
146
1.128
20.630
1.092
74.798
333
32.888
93
4.468
28
232
2.820
133.016
135.836
140,87
15
156
1.219
21.877
1.177
86.929
431
35.289
83
4.318
20
204
3.086
148.617
151.703
141,26
16
137
1.039
15.826
1.064
72.357
369
34.200
96
5.423
27
331
2.732
128.137
130.869
141,46
17
98
658
12.663
767
52.475
245
20.994
55
2.829
8
130
1.831
89.091
90.922
141,26
18
129
971
18.803
1.078
76.528
510
34.826
102
4.508
41
228
2.831
134.893
137.724
140,97
19
175
1.146
21.133
1.111
78.228
460
36.627
115
4.913
22
279
3.029
141.180
144.209
140,52
20
187
1.254
21.454
1.176
79.103
431
37.830
108
4.973
40
229
3.196
143.589
146.785
140,33
21
196
1.076
20.317
1.121
82.676
493
37.785
132
4.756
44
280
3.062
145.814
148.876
140,69
22
158
1.138
19.308
935
69.800
340
32.647
104
4.675
31
261
2.706
126.691
129.397
140,76
23
144
1.253
21.609
982
75.804
372
32.938
88
4.530
27
250
2.866
135.131
137.997
140,99
24
140
952
20.294
930
71.613
448
33.865
119
4.431
28
211
2.617
130.414
133.031
140,63
25
197
1.127
21.097
1.026
73.593
444
35.635
131
5.450
33
273
2.958
136.048
139.006
140,31
3.908 28.768 505.047 26.038 1.872.592 9.592 837.427 2.488 113.767 819 5.630 71.613 3.334.463 3.406.076
140,98 (*)
(*) Media ponderata.
0,76
54,98
0,28
H
Totale capi
772
14,83
L
Totale capi H
20.824
0,84
H
Totale capi L
Classe P
1.173
0,11
L
Classe O
162
Quota % su totale capi
H
Classe R
1
Totale
L
Classe U
24,59
I dati sono suscettibili di aggiornamenti.
Distribuzione % delle carcasse H su totale capi H settimane 1-25 del 2016
140
0,07
3,34 0,02
0,17
2,10
97,90
100,00
Fonte: elaborazione ANAS su dati del MiPAAF.
Distribuzione % delle carcasse L su totale capi L settimane 1-25 del 2016
Eurocarni, 9/16
STORIA E CULTURA
Capra, ieri e oggi di Giovanni Ballarini
L
a capra domestica (Capra hircus), animale umile e frugale, nell’antichità era allevata anche dai ceti più poveri per avere quotidianamente latte e formaggi e solo occasionalmente per cibarsi delle sue carni. La tradizione di questo allevamento è tipica di alcune aree meridionali del nostro Paese, come il Salernitano, o di alcune regioni montuose delle Alpi e degli Appennini. Oggi si stanno rivalutando le caratteristiche del latte di capra e sempre più si apprezzano i formaggi caprini. L’ottenimento della carne dai capretti e dalle capre a fine carriera è una conseguenza logica e per questo il suo utilizzo diviene di un’attualità sorprendente. Addomesticamento e riti antichi La domesticazione delle pecore e
capre sembra sia avvenuta in Mesopotamia nel 6.000 a.C. Mentre le pecore forniscono soprattutto la lana e le capre il latte, entrambe danno anche carne. In Estremo Oriente, dalla Mongolia alla Cina settentrionale, si è affermato un sistema alimentare basato sul consumo di carne, latte e suoi derivati anche di capra, mentre nella penisola araba è la carne di cammello ad essere molto apprezzata. Il maiale, al di fuori delle culture pastorali, è l’animale da carne per eccellenza. Dall’antichità fino a tempi vicini l’allevamento bovino e poi equino hanno la finalità principale di fornire forza lavoro, tanto che ISIDORO DI SIVIGLIA, nel 600 d.C., scrive degli animali «che servono ad alleviare la fatica dell’uomo, come bovini ed equini, e quelli che servo-
no a nutrirlo, come ovini e suini». L’addomesticamento delle capre ha dato origine a molti miti, che ne sottolineano l’importanza. È la capra Amaltea a nutrire con il suo latte il sommo Zeus, per i Romani Giove, quando era bambino nell’isola di Creta, e per questo viene premiata con l’inserimento nelle costellazioni celesti. Un giorno, giocando, Zeus spezza un corno ad Amaltea, che diventa il corno dell’abbondanza (cornucopia), testimoniando così il valore dell’animale. Nelle cerimonie religiose greche la capra è sacrificata ad Apollo, Afrodite, Artemide e Dioniso, e nel mondo romano a Libero, Mercurio e, soprattutto, ad Asclepio, il dio della salute, venendo considerata, quindi, animale salutare. L’antico legame della capra con la
Spiedini di carne di capra.
142
Eurocarni, 9/16
La carne di capra viene utilizzata anche nella preparazione del kebab. medicina è attestato dal termine greco farmaco, medicamento (pharmakòs), che significa vittima o capro espiatorio e che indica come in origine l’animale venisse sacrificato per la salvezza dei cittadini. Le capre sono presenti nei più antichi riti di Roma, come quello dei Lupercali, e da questi emerge il quadro di una società pastorale nella quale l’allevamento della capra era una voce rilevante. Molte sono le leggende legate a particolari aspetti della capra, animale misterioso e straordinario che presta il suo aspetto (zoccoli, coda e corna) a esseri mitologici quali i Satiri, i Sileni e il dio Pan, ovvero Fauno, e poi al Diavolo dei Cristiani. I suoi occhi, come quelli del lupo, riflettono la luce e brillano di notte, per cui gli animali sono in grado di vedere distintamente anche con poca luce. Meravigliosa appare agli antichi l’attitudine della capra ad allattare e accudire bambini piccoli. Sognare carne di capra è un buon segno per chi si trova nei guai e, per una similitudine di termini, chi non sta
Eurocarni, 9/16
“bene” e deve eliminare il “male”, attraverso l’uccisione della capra (chìmaira), per ottenere la sua carne, elimina la calamità (cheimòn). La capra è un animale con più di uno stomaco, nel quale purifica anche il cibo impuro. Gli antichi erano colpiti dall’attitudine della capra a evitare il cibo sporco o “in basso”, al livello del suolo, mangiando al contrario solo in alto fronde, germogli, arbusti lignei e spinosi, e a curarsi da sola in caso di malattia, cercando specificamente determinati vegetali con potere curativo. Nell’intestino di una capra selvatica si trova anche il leggendario Bezoar o Bezar, una pietra o concrezione lapidea che in Oriente è usata come antidoto universale contro tutte le malattie. Carne di capra di ieri Fin dall’antichità la carne di capra, consigliata dai medici perché ritenuta molto nutritiva, aveva, come oggi, sapore e odore non sempre gradevoli. In proposito vi è la storia di un celebre atleta tebano, il più forte di tutti perché si nutriva solo
di carne di capra, preso in giro per il suo odore. GALENO, nel suo trattato di dietologia, precisa che, escludendo i capretti, la migliore carne di capra si ottiene dal maschio castrato, un procedimento che rende la carne più dolce, nutriente, facile da digerire e senza il caratteristico odore ircino del maschio intero. Sempre per Galeno, la carne di capra è accettabile nel periodo iniziale dell’estate, quando gli arbusti sono pieni di germogli e l’animale mangia il suo cibo preferito, ed è preferibile la carne delle capre selvatiche, dura e senza grassi, di animali che vivono sulle montagne, con cibi sani. La loro carne si conserva per un numero di giorni superiore rispetto a quella di altri animali domestici, allevati con cibo di qualità scadente. Diverso è il giudizio di Galeno sulla carne di capretto nutrito di solo latte, con pochi mesi di vita, una costosa prelibatezza per ricchi, come risulta dalle ricette di A PICIO. Non si conoscono antichi insaccati di carne di capra, ma nell’Odissea OMERO cita dei budelli di capra,
143
riempiti di grasso e sangue e arrostiti sul fuoco. Questa è forse la prima testimonianza di una tradizione che si è conservata fino ad oggi, quello delle interiora di agnello o di capretto con la rete dell’omento che le contiene (paliàta), arrostite o fritte in padella. Nella Roma antica, le tavolette di Vindolanda, località di confine lungo il vallo di Adriano, attestano il consumo di porcellini da latte, prosciutto, carne di capra e di cervo. Per i Romani ricercatissimo era il grasso o sego di capra, perché più bianco e più consistente rispetto a quello di pecora, usato per l’illuminazione nelle case, a volte mescolato con cera, o per fare un sapone colorante (per capelli), preparato con cenere di legna di faggio. Nell’Editto dei prezzi, emanato nel 301 d.C. da DIOCLEZIANO, la carne di capra o castrato ha il prezzo massimo di 8 denari a libbra (equivalente a 327,48 grammi), circa 24 denari al chilo. La carne di maiale, la più richiesta, ha un prezzo di 12 denari a libbra (circa 36 al chilo) e sullo stesso costo di 12 denari a libbra si allinea la carne di agnello e di capretto, insieme a quella di cervo, camoscio, capriolo. Odierna carne di capra Diverse e interessanti sono le caratteristiche delle carni di capra femmina e di maschio castrato, oggi allevati in buone condizioni e macellati in età relativamente giovane. Il loro costo è decisamente basso rispetto a quelle di altre carni;
Tabella – Valori nutrizionali per g 100 di carne di capra Valore energetico Proteine Carboidrati Grassi Saturi Monoinsaturi Polinsaturi Colesterolo Fibra alimentare Sodio
144
109 kcal 20,6 g 0g 2,31 g 0,71 g 1,03 g 0,17 g 57 mg 0g 82 mg
inoltre, si tratta di una carne rossa magrissima, molto ricca di proteine, con un sapore marcato che si presta a numerose preparazioni gastronomiche. Dal punto di vista nutrizionale, la carne di capra è apprezzata per il basso contenuto lipidico e non ha depositi di grasso intramuscolari (si veda la Tabella). Nelle carcasse la percentuale di tessuto magro è pari al 60-65%, mentre quella di tessuto grasso si aggira attorno al 12-14%, inferiore a quella che si riscontra in altre carni rosse. La carne di capra ha un sapore simile a quella dell’agnello, anche se più marcato, e in alcuni Paesi asiatici si usa un’unica parola per descriverle entrambe. Secondo l’età e le condizioni dell’animale prima della macellazione, la carne delle capre femmine e dei castrati adulti può assumere sapori simili alla selvaggina. Questo tipo di carne ha bisogno di essere cotta più a lungo e a temperature più basse delle altre carni rosse. In Italia, come nei paesi occidentali in generale, questa carne non gode di molta considerazione, mentre è molto apprezzata in altri Paesi, soprattutto nelle aree un tempo considerate più povere. Molti degli immigrati in Italia apprezzano la carne di capra come quella di pecora e la trasformano in cucina secondo le loro usanze, anche per preparare gustosi kebab. Caratteristiche Le qualità della carne di capra dipendono da razza, alimentazione, età, ambiente e tipo di allevamento dell’animale. L’età dell’animale alla macellazione è il principale fattore che determina la composizione delle carni. Con l’aumentare dell’età, diminuisce la rilevanza delle ossa, resta più o meno costante la percentuale del tessuto magro e aumenta quella del grasso. La quantità di grasso dipende soprattutto da alimentazione, sesso, età, velocità di crescita e razza. Il grasso sottocutaneo o di copertura è in generale piuttosto scarso, di colore variabile dal bianco al giallo, mentre il colore della carne varia dal rosa al rosso. La carne di capra, dopo una corretta frollatura,
Violino di capra. diventa molto tenera e di un sapore selvatico delicato. Altre parti commestibili della capra sono il cervello, il fegato e alcuni tratti dell’intestino del capretto. Anche la testa e le zampe, una volta pulite e affumicate, sono usate per preparare zuppe. Salumi e gastronomia caprina In alcune regioni italiane le cosce e talvolta anche le spalle di capra sono salate e stagionate per confezionare una sorta di prosciutto. In Lombardia (Valchiavenna), ma anche sull’Appennino tosco-emiliano, tra i prodotti agroalimentari tradizionali vi è il Violino di capra, fatto con cosce e spalle conservate mediante salatura a umido, affumicatura ed essiccazione, tra i salumi più caratteristici, saporiti e buoni del territorio. La denominazione di violino deriva dalla sua forma, ma soprattutto dal modo nel quale il salume è impugnato — come un violino — quando lo si taglia in fette sottili. Con la carne di capra e i fagioli si prepara un saporito stufato tipico della cucina dell’estremo ponente ligure. Alcune ricette prevedono la possibilità di usare tanto la carne di capra che di pecora, per esempio l’aneloto, una preparazione abruzzese d’interiora di agnello o capretto, o la mucisca molisana, carne di pecora o capra salata essiccata al sole e condita con erbe, aglio e peperoncino. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma
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Pasticcio alla ferrarese, nobile trionfo di carni in pasta frolla E poi maccheroni, funghi, tartufo e besciamella per un piatto davvero sorprendente, già descritto da Pellegrino Artusi e da Tomasi di Lampedusa ne “Il Gattopardo” di Nunzia Manicardi
C’
è, a Ferrara, una specialità gastronomica veramente notevole: il Pasticcio di maccheroni, o Pasticcio alla ferrarese, la cui ricetta secondo alcuni risalirebbe al 1700, quando sarebbe stato preparato presso il Ducato di Ferrara in omaggio alla Legazione pontificia. Esso in realtà risale ancora più addietro nel tempo, all’epoca dei banchetti rinascimentali
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così frequenti presso la corte degli Este. Il pasticcio di maccheroni alla ferrarese, detto il Pastiz del Duca, fu preparato infatti per la prima volta nel 1528 dal cuoco e scalco (cioè soprintendente alle cucine) di casa d’Este, l’italiano CRISTOFORO DA MESSISBUGO (considerato il padre della cucina moderna), per le nozze del duca di Ferrara Ercole d’Este con Renata, figlia del Re di Francia1. La
presenza di Renata di Francia fece sì poi che si formasse una Corte alla francese con sfarzi, feste e pranzi che diede una svolta importante a quella che poi fu la cucina di Ferrara città ducale, all’interno della quale il pasticcio mantenne sempre un ruolo di assoluto primo piano. Firenze, per altro, contende a Ferrara un pasticcio analogo… Ciò non deve meravigliare perché
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Pasticcio di paccheri alla ferrarese (photo © www.latartemaison.it).
i casati più illustri di allora facevano a gara per tenere presso di sé i migliori chef ai quali mettevano a disposizione materie prime anche di difficile reperibilità, come quelle che appaiono nella versione originaria del pasticcio. Definiamo questa specialità notevole perché è un autentico trionfo di gusti e sapori abbinati con tale sapienza che tuttora affascinano il commensale, benché ormai da tempo abituato ad altre e ben diverse combinazioni. Questo pasticcio dalle origini nobili e secolari è caratterizzato infatti dalla mescolanza di dolce e salato (mescolanza presente a Ferrara anche nei cappellacci di zucca e tipica, in genere, dell’età rinascimentale), in un piatto che può valere indifferentemente come primo o come secondo: come primo, per la presenza dei maccheroni; come secondo, per quella del ricchissimo ragù di carni che, come vedremo, possono essere di diversa specie. Altri ingredienti fondamentali sono i funghi e il tartufo. La sua preparazione è piuttosto complessa. Si tratta infatti di una crosta di pasta frolla dolce ripiena di maccheroni pasticciati con ragù bianco, besciamella, funghi, noce moscata e tartufo bianco (ed even-
Pasticcio alla ferrarese o pasticcio di maccheroni alla ferrarese Ingredienti PER LA PASTA FROLLA: 450 g di farina • 180/200 g di burro • 100 g di zucchero • 4 tuorli d’uovo • un cucchiaio raso di scorza di limone grattugiata • una presa di sale. PER IL SUGO: 150 g di polpa di vitello tritata • 150 g di polpa di manzo tritata • 150 g di petto di pollo tritato • 150 g di rigaglie di pollo • mezzo bicchiere di vino bianco secco • alcuni cucchiai di Marsala • 50 g di burro • poco olio d’oliva • sedano, cipolle e carota tritati • sale. PER LA BESCIAMELLA: mezzo litro di latte • 50 g di Parmigiano grattugiato • 250 g di maccheroncini rigati • tartufo. ALTRI INGREDIENTI: funghi. Procedimento Preparare la pasta lavorando velocemente gli ingredienti e lasciarla riposare in luogo fresco. Far rosolare intanto le carni, separatamente, in burro e olio, salare e sfumare col vino e il marsala. Lessare i funghi, precedentemente ammollati in poca acqua salata e una noce di burro. Anche le verdure, non indispensabili, vanno soffritte in olio e burro. Preparare poi la besciamella insaporendola, a fine cottura, con la noce moscata grattugiata. Lessare i maccheroncini al dente, scolarli e condirli con la besciamella tiepida, i funghi, il ragù ottenuto unendo tutte le carni, il parmigiano grattugiato e lamelle di tartufo. Mescolare con estrema delicatezza. Stendere la pasta frolla e disporre un disco sulla teglia imburrata, adagiare il ripieno formando la caratteristica calotta, ricoprire con un altro disco di pasta, chiudere i bordi e decorarli premendo energicamente con una forchetta. Pennellare la superficie con rosso d’uovo sbattuto. Infornare e, a doratura avvenuta, servire ben caldo. (Fonte: www.ferraraterraeacqua.it)
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tualmente animelle). Il tutto cotto al forno su di uno speciale piatto in rame stagnato. La ricetta originale del 1500 si è poi un po’ trasformata nei secoli arrivando alla totale scomparsa delle “uova non nate di quaglia”, delle rigaglie, della marsala e del passito. Comunque sia, ancora oggi la tradizione del pastiz è viva: lo si trova anche in monoporzioni nei bar del centro di Ferrara dove accanto alla pasta frolla dolce viene usata la pasta salata sfoglia o brisé. Indimenticabile quello preparato dal Ristorante Tassi a Bondeno. Il tartufo ferrarese: il bianchetto La presenza nel pasticcio del tartufo si spiega facilmente con l’origine alluvionale dei terreni e la presenza di essenze arboree adatte che rendono l’Alto Ferrarese, e soprattutto la zona di Bondeno, una delle aree più importanti a livello nazionale per la produzione di tartufo. Le specie di tartufi commestibili presenti nel territorio ferrarese sono principalmente tre, anche se non di rado ne vengono rinvenute altre presenti in tutto il territorio emiliano-romagnolo. Quello commercialmente più importante è il bianco pregiato (Tuber magnatum) che, a detta di molti esperti, presenta caratteristiche organolettiche e qualitative che non hanno nulla da invidiare ai tartufi di Alba ed Acqualagna. Troviamo poi il commercialmente meno pregiato tartufo nero liscio (Tuber macrosporum), dall’odore un po’ agliaceo e dal gusto molto interessante e, nell’area del Delta mesolano, il bianchetto o tartufo di pineta (Tuber albidum), che ha in genere dimensioni piuttosto piccole e un odore aromatico anch’esso un po’ agliaceo unito ad un sapore molto gradevole. Pur essendo una varietà meno pregiata rispetto al tartufo bianco, il bianchetto è comunque considerato eccellente per l’impiego gastronomico ed è infatti la specie che viene utilizzata per il pasticcio, anche perché sopporta la cottura mentre quello bianco ne risulterebbe in pratica distrutto.
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La ricetta di Pellegrino Artusi “Quote: Maccheroni, grammi 350. Parmigiano, grammi 170. Animelle, grammi 150. Burro, grammi 60. Tartufi, grammi 70. Prosciutto grasso e magro, grammi 30. Un pugnello di funghi secchi. Le rigaglie di 3 o 4 polli, e i loro ventrigli, i quali possono pur anche servire, se li scattivate dai tenerumi. Se avete oltre a ciò creste, fagiuoli e uova non nate, meglio che mai. Odore di noce moscata. Tutto questo gran condimento non vi spaventi, poiché esso sparirà sotto alla pasta frolla. Imbiancate i maccheroni, ossia date loro mezza cottura nell’acqua salata, levateli asciutti e passateli nel sugo n. 4, e lì, a leggerissimo calore, lasciateli ritirare il sugo stesso, finché sieno cotti. Frattanto avrete fatta una balsamella metà dose del n. 137 e tirate a cottura le rigaglie col burro, sale e una presina di pepe, annaffiandole col sugo. Tagliate le medesime e le animelle a pezzetti grossi quanto una piccola noce e, dopo cotte, aggiungete il prosciutto a piccole strisce, i tartufi a fettine sottili, i funghi fatti prima rinvenire nell’acqua calda e qualche presa di noce moscata, mescolando ogni cosa insieme. La pasta frolla suppongo l’abbiate già pronta, avendo essa bisogno di qualche ora di riposo. Per questa servitevi della intera dose del n. 589, ricetta A, dandole odore colla scorza di limone; ed ora che avete preparato ogni cosa, cominciate ad incassare il vostro pasticcio, il che si può fare in più modi; io, però, mi attengo a quello praticato in Romagna ove si usano piatti di rame fatti appositamente e bene stagnati. Prendetene dunque uno di grandezza proporzionata ed ungetelo tutto col burro; sgrondate i maccheroni dal sugo superfluo e distendetene un primo suolo che condirete con parmigiano grattato, con pezzetti di burro sparsi qua e là e con qualche cucchiaiata di balsamella e rigaglie; ripetete la stessa operazione finché avrete roba, colmandone il piatto. Tirate ora, prima col matterello liscio, poi con quello rigato, una sfoglia di pasta frolla grossa uno scudo e coprite con essa i maccheroni fino alla base, poi tiratene due strisce larghe due dita e colle medesime formanti una croce a traverso, rinforzate la copritura; cingetelo all’intorno con una fasciatura larga quanto gli orli del piatto e, se avete gusto per gli ornamenti, fatene tanti quanti n’entrano colla pasta che vi rimane, non dimenticando di guarnire la cima con un bel fiocco. Dorate l’intera superficie con rosso d’uovo, mandate il pasticcio in forno, e in mancanza di questo cuocetelo in casa nel forno da campagna; infine imbanditelo caldo a chi sta col desiderio di farne una buona satolla”. (ARTUSI P., “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, 1891)
Il piatto da pasticcio, elemento indispensabile Per la preparazione tradizionale del pasticcio una prerogativa essenziale è il piatto da pasticcio, un tegame tradizionale in rame stagnato, interamente lavorato a mano, che presentava una decorazione differente per ogni famiglia di notabili ferraresi, la quale lo utilizzava nelle occasioni più importanti diventando così una sorta di blasone. Doveva essere in rame in quanto questo metallo, avendo grande capacità termica, consente una cottura adeguata,
che non si otterrebbe con tegami di altro materiale. Scrive nel suo sito la titolare dell’Agriturismo Le Occare di Runco2: “La prima grande difficoltà è stata quindi trovare il piatto da pasticcio ferrarese. Dopo molte ricerche sono riuscita ad averne un esemplare antico ed in base a questo a farne fare da un mastro ramaio delle copie delle misure necessarie per diversi numeri di coperti. Utilizzare il piatto tradizionale ha portato ad un grandissimo miglioramento qualitativo nella preparazione del pasticcio”.
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Nel tempo, anche per motivi sia sanitari che animalistici, il ricorso al piccione è andato però generalmente diradandosi e pure nel caso del pasticcio si è preferito fare ricorso ad altre carni: vitello, manzo, pollo (per lo più tutte insieme), come risulta anche nelle ricette riportate nei box alle pagine 148 e 149, sia in quella della Provincia di Ferrara che in quella di PELLEGRINO ARTUSI, il quale, in effetti, il piccione non lo nomina nemmeno (e il suo libro di cucina risale ancora al 1891). Interessante, però, notare che anche Artusi fa riferimento al piatto da pasticcio, con esplicito riferimento all’uso che se ne faceva in Romagna.
Anticamente nel ragù del pasticcio alla ferrarese finiva la carne di piccione. Gradualmente se ne è abbandonato l’utilizzo a favore di altre carni: vitello, manzo, pollo (photo © www.lacucinaspontanea.com). Il piccione e le altre carni Altro particolare che sarebbe indispensabile è l’utilizzo della carne di piccione per il ragù, secondo un uso antico conservatosi anche in
altre cucine regionali: ricordiamo, per esempio, le tagliatelle al sugo di piccione tipiche delle Marche oppure i pici o il risotto entrambi caratteristici della Toscana.
L’aspetto di quei monumentali pasticci era ben degno di evocare fremiti di ammirazione. L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e cannella che ne emanava, non erano che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno, quando il coltello squarciava la crosta
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La meravigliosa descrizione nel Gattopardo Ed ecco, in conclusione, la bellissima descrizione del pasticcio del Duca che lo scrittore siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa ci ha lasciato (con alcune varianti nella ricetta isolana rispetto a quelle sopra descritte) nel suo unico, celeberrimo romanzo “Il Gattopardo”, ambientato in Sicilia durante il Risorgimento e pubblicato postumo nel 1958: “Buone creanze a parte, però, l’aspetto di quei monumentali pasticci era ben degno di evocare fremiti di ammirazione. L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e cannella che ne emanava, non erano che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno, quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e tartufi nella massa untuosa, caldissima, dei maccheroni corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio”. Nunzia Manicardi Note 1. Notizia riferita dall’Accademia Italiana della Cucina, Delegazione di Bologna, in www.rotarybovallesavena.com 2. www.leoccare.com A pagina 146 il pasticcio alla ferrarese cucinato secondo la ricetta di Artusi (photo © lechategoiste.blogspot.it).
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prodotto carneo, con un consumo più consapevole dettato da una maggiore attenzione alla sua provenienza. Il libro contiene anche informazioni di carattere pratico destinate al consumatore sui tagli, le lavorazioni casalinghe e i metodi di cottura. Completano la pubblicazione “una mappa” dei salumi e oltre 100 ricette di piatti a base di carne (in alto, Meredith Leigh; photo © www.thebutchersguild.org).
MEREDITH LEIGH The Ethical Meat handbook: complete home butchery, charcuterie and cooking for the conscious omnivore New Society Publishers, 2015 € 22,95 (su Amazon)
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l volume vuole fotografare lo stato dell’arte nell’allevamento moderno degli ovini da latte, riassumendo la corretta gestione dell’animale sotto il profilo dell’alimentazione e del benessere animale nell’ottica dell’ottimizzazione della produzione. L’autore sottolinea come quest’ultimo aspetto non possa prescindere da scelte rispettose dell’animale e orientate ad una gestione integrata dell’azienda, vista come contesto produttivo unico e polifunzionale, adeguato ad un pastore che è oggi allevatore e imprenditore a tutti gli effetti. MARIO GIANNONE, laureato in Scienze Agrarie e zootecnico tropicalista, insegna Tecniche delle Produzioni
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Animali presso l’Istituto Agrario di Firenze, dove conduce il Centro Avicolo per la conservazione delle razze rare. Ha condotto come consulente e zootecnico diversi progetti e sperimentazioni sull’allevamento all’aperto e biologico, in Italia e all’estero. Già docente al Master di Agricoltura Ecologia presso l’Università di Pisa, tiene lezioni e conferenze sulla zootecnia biologica e sostenibile per conto di enti pubblici e privati. MARIO GIANNONE Gli ovini da latte. Allevamento, gestione, cura dell’animale Edagricole di New Business Media Srl 2016 – 320 pp. – € 23,00
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