Eurocarni 9-2017

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EUROCARNI

Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXII N. 9 • Settembre 2017

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Identikit del nuovo consumatore SPECIALE GALLES EUROCARNE 2018, focus sulla filiera corta

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Una Storia di Famiglia



9/17 Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl

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EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali

EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.eurocarni-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985

Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi

Tariffe abbonamenti Annuale (12 numeri): Italia € 65,00 – Estero € 85,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910 Ufficio stampa e Media Partner

Comitato di redazione Gianni Mozzoni (Legacoop) – Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Redazione Bruxelles Jean-Luc Meriaux: UECBV, rue de la Loi, 81/A Box 9 B 1040 Bruxelles, Belgio Tel. +32 2 230 4603 – Fax +32 2 230 9400 E-mail: uecbv@scarlet.be Redazione New York Stefano Spadoni 1732 1st Ave #27220 – New York, NY 10128 Tel. +1 212 956-8566 E-mail: Stefanony@stefanospadoni.com Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Prof. Fausto Cantarelli – Prof. Carlo Cantoni – Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini – Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi – Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata – Prof. Sergio Ventura Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.

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EUROCARNI La prima rivista veramente europea

In questo numero: La carne nel mondo

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Agenda

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Immagini

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Naturalmente carnivoro

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Attualità

Il Giappone è più vicino

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Legislazione

La classificazione delle carcasse

Andrea Gaddini et al. 26

Slalom

Sarà miracolo italiano?

Cosimo Sorrentino

34

La democrazia in pericolo

Sergio Ventura

36

La carne in rete

Social meat

Elena Benedetti

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Comunicare la carne

Come può il settore zootecnico contrastare le notizie negative?

Commercializzazione

La valorizzazione della carne di ungulati selvatici sul mercato

Interviste

Dieci domande a Giuliano Marchesin

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Indagini

Dal Censis l’identikit del nuovo consumatore “tipo” della ripresa economica

54

Mercati

La Serbia ha un nuovo marchio di qualità per le carni

Roberto Villa

56

Le vendite on-line delle carni in Cina sono in crescita

Roberto Villa

60

44 Giulia Mauri

62

Suini: prezzi e redditività Speciale Royal Welsh Show Orgoglio gallese Benessere animale

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Elena Benedetti

64 74

Benessere in allevamento: criticità e miglioramenti La scala analogica visiva del dolore

48

Giulia Mauri

78

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Razze

La parabola del Boscarin: da trattore in via d’estinzione a prelibatezza gourmet

Gian Omar Bison

84

Tutto il biologico, oggi

Testo unico sul biologico

Sebastiano Corona

88

La carne in tavola

Quinto quarto: lingua salmistrata in salsa verde

Nunzia Manicardi

92

Macellerie d’Italia

Se il musetto è take away

Gian Omar Bison

98

Prodotti tipici

Lo Scamorzaro, oltre il bio

Massimiliano Rella 102

Eventi carnivori

Prime Uve Invitational Barbecue Championship: oltre la carne c’è di più

Lucian Squadrilli

Assemblee

Assemblea generale UNAItalia: l’avicoltura italiana si racconta

112

Fiere

Eurocarne 2018, soluzioni per la filiera corta

118

Alimentaria, un appuntamento da non mancare

122

Osservatorio Ipack-Ima: vince l’ottimismo

124

L’industria agroalimentare e la rivoluzione digitale

126

104

Sicurezza

La nuova valutazione del rischio chimico in azienda

Tecnologie

Otto importanti criteri per la scelta del software gestionale

140

Le piccole, incredibili cubettatrici di Holac

144

La pagina scientifica

Progetto Castrum: i risultati dello studio sulla castrazione

146

Curiosità

Tossicità delle quaglie, la Bibbia aveva ragione

Statistiche

Dati ANAS: importazioni di suini

Giulia Mauri

132

Giovanni Ballarini 150 154

In copertina: razza, allevamento, lavorazione, sono gli elementi che rendono speciale un taglio (photo © sonyakamoz).

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LA CARNE NEL MONDO

Giappone Nel primo trimestre dell’anno le importazioni giapponesi di carni suine hanno raggiunto un volume di quasi 226.000 tonnellate, registrando un aumento dell’8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Si conferma così il trend positivo osservato nel 2016, con l’Unione Europea che continua a rappresentare il principale fornitore di carni suine del mercato nipponico grazie ad un quantitativo di 78.000 tonnellate (fonte: crefis.it; in basso, Wagyu beef per lo shabu shabu giapponese, photo © ztranger – stock.adobe.com).

Russia Lo scorso luglio il presidente russo VLADÍMIR PUTIN ha firmato il decreto attraverso il quale la Russia proroga fino al 31 dicembre 2018 l’embargo sui prodotti alimentari provenienti dall’Unione Europea. Il divieto, varato nel mese di agosto 2014, include i prodotti provenienti da Stati Uniti, Paesi membri dell’Unione, oltre a Canada, Australia, Norvegia, Ucraina, Albania, Montenegro, Islanda e Liechtenstein. La Russia risponde con questa misura alla decisione presa dalla UE di estendere per altri sei mesi le sanzioni economiche contro il Paese per il ruolo nel conflitto in Ucraina orientale e per non aver operato sufficientemente per favorire la pace di Minsk (fonte: 3tre3.it; photo © Tatiana – stock.adobe.com).

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Europa Per quanto concerne il mercato suinicolo, con l’indagine sul patrimonio zootecnico di dicembre 2016 era stata prevista un’ulteriore riduzione del 2% nel censimento dei riproduttori nella UE (la stessa riduzione del 2015). Tuttavia, l’indagine ha anche mostrato un aumento del 1,4% del numero di scrofe coperte per la prima volta (dopo un calo del 6% nel 2015). Di conseguenza, la produzione di carne suina invertirà la tendenza attuale, diminuendo in volume dell’1,4% nel primo trimestre del 2017. Ciò si verificherà in tutti i principali Paesi produttori tranne Olanda e Spagna, dove la produzione aumenterà. Secondo la DG Agricoltura “Prospettive a breve termine per i mercati agricoli nell’UE nel 2017 e il 2018”, si prevede che l’andamento negativo proseguirà nel corso del 2017 ad un livello più moderato perché alcune aziende aumenteranno la produzione in risposta ai prezzi elevati, il che si traduce in una produzione annua totale di circa 23,4 milioni di tonnellate (–0,6% rispetto al 2016). Le previsioni dicono che la produzione di carni suine nell’UE si stabilizzerà nel 2018 (fonte: 3tre3.it; photo © Viktorija – stock.adobe.com).

Bielorussia In base alle ultime dichiarazioni del suo viceministro per l’Agricoltura e gli Alimenti ALEXANDER SUBBOTIN, la Bielorussia ha ottenuto il diritto di esportare manzo e pollame in Cina. La dichiarazione è stata fatta nel corso di una conferenza stampa svoltasi prima dei negoziati tra il ministro della Bielorussia LEONID ZAYATS e il direttore generale dell’Ispettorato di qualità alimentare e quarantena ZHI SHUPING. «21 produttori di carni bovine e 5 impianti avicoli della Bielorussia sono stati autorizzati ad esportare prodotti in Cina», ha detto Subbotin, aggiungendo che 36 imprese bielorusse erano state precedentemente autorizzate a vendere il latte. Il viceministro ha aggiunto che il prossimo passo per lo sviluppo della cooperazione con la Cina sarà la certificazione delle imprese nazionali per la fornitura di pesci d’acqua dolce. Da parte sua, Shuping ha descritto le relazioni tra Bielorussia e Cina come un partenariato fiorente e strategico. «Vogliamo vedere i prodotti sicuri e di alta qualità della Bielorussia sul nostro mercato». Nel corso dell’incontro ufficiale sono stati firmati quindi due protocolli che autorizzano le spedizioni di carne bovina e pollame bielorusso in Cina, nonché un memorandum d’intesa sulla cooperazione in materia di sicurezza durante l’importazione e l’esportazione di prodotti alimentari (fonte: The Meat Site, UNAItalia; a lato, una veduta di Minsk, capitale della Bielorussia, photo © karp5 – stock.adobe.com).

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Regno Unito Nell’ultimo anno, nel Regno Unito, le vendite di pollo e pollame hanno superato quelle di carne rossa e sono sempre di più le persone che scelgono la carne bianca. Secondo gli analisti di Kantar Worldpanel, nel 2016 i britannici hanno mangiato 529 milioni di chili di pollame fresco, un valore corrispondente ad un aumento del 6,1% rispetto all’anno precedente. Le vendite di carni rosse invece sono scese dello 0,9%, fino a 511 milioni di chili. Secondo i ricercatori la versatilità del pollo e la sua disponibilità in tagli più piccoli lo hanno reso più adatto ai pasti destinati a famiglie composte da una o due persone. Allo stesso tempo, i tagli più grandi di carne rossa offerti sul mercato sono meno adatti a questo nuovo genere di pasti. I dati mostrano infatti che il 43% dei pasti viene consumato in solitudine, contro il 33% del 1980. Quasi la metà (49%) dei pasti cucinati in casa sono piatti che utilizzano il pollo come ingrediente principale. I tradizionali pasti a base di carne rossa e verdure sono diminuiti del 2% e rappresentano oggi il 51% del totale. A maggio le vendite di pollo sono aumentate del 6,9% mentre il manzo è cresciuto del 2,9%, grazie al suo utilizzo in piatti molto amati come la lasagne e gli “spaghetti alla bolognese” che stanno crescendo in popolarità. Le vendite di agnello e maiale, invece, sono diminuite rispettivamente dell’8,2% e del 2,2%. «L’agnello e la carne di maiale mostrano un consumo inferiore rispetto ad altre carni» ha precisato Nathan Ward di Kantar Worldpanel. Per questo l’industria zootecnica britannica sta incoraggiando gli acquirenti a prendere in considerazione per la propria alimentazione nuovamente il maiale e l’agnello (fonte: Daily Mail, UNAItalia; in basso, l’amatissimo chef inglese Jamie Oliver con la food blogger Amber Kelley).

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AGENDA Londra, UK Meatopia è un Meat & Music Festival. La “Woodstock degli animali edibili”, così è stata ribattezzata dal suo fondatore Josh Ozersky, quest’anno è in calendario da venerdì 1 a domenica 3 settembre a Londra, presso il Tobacco Dock. L’evento è un raduno super carnivoro tra gare di macellai, tra i quali anche il nostro Dario Cecchini dell’Antica Macelleria Cecchini di Panzano in Chianti, chef londinesi e internazionali, piatti di carne, musica live, dj set e demo di taglio. I prezzi variano dalle 20 alle 80 sterline. Da mezzogiorno alle 21:00/23:00 no-stop. www.meatopia.co.uk

Sasso Marconi (BO) L’edizione 2017 di Chef al Massimo, l’evento organizzato dalla Macelleria Zivieri per ricordare e onorare Massimo, titolare dell’omonima macelleria prematuramente mancato nel febbraio del 2009, è fissato per domenica 3 settembre in una nuova location che consentirà di ospitare oltre 2.000 partecipanti. L’appuntamento è quindi all’agriturismo Le Conchiglie a Sasso Marconi (BO), in via Lagune 76, per celebrare la 9a edizione di una grande festa all’insegna della passione, dell’impegno e della ricerca che ogni giorno la famiglia Zivieri persegue tra le tante attività. Dalla macelleria di Monzuno (BO), alla macellazione e lavorazione delle carni nello stabilimento di Castel di Casio e ora nel nuovo stabilimento di Bologna, fino al punto di vendita e ristorazione RoManzo al Mercato di Mezzo nel cuore del capoluogo emiliano (photo © chefalmassimo.it). www.chefalmassimo.it

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Bologna Da venerdì 8 a lunedì 11 settembre torna SANA, la fiera italiana di riferimento per il mondo del biologico e del naturale. Tante le novità di questa edizione, come la riorganizzazione dell’area Green Lifestyle che si presenterà in una formula arricchita di sette sottocategorie espositive. Non mancheranno anche carne e salumi tra i prodotti esposti in fiera. I 5 padiglioni, ubicati al piano terra, saranno collegati tra loro da percorsi e resi facilmente accessibili dagli ingressi Nord e Ovest della Fiera di Bologna (photo © static.standard.co.uk). www.sana.it

Foggia Le Fiere Zootecniche Internazionali di Cremona si presentano al mondo zootecnico del Sud Italia con un incontro programmato per il 15 settembre alla Fiera di Foggia, una scelta motivata dalla posizione strategica del capoluogo pugliese, punto di riferimento per l’area della Puglia, della Basilicata e del Molise. Il territorio della sola regione Puglia risulta tra l’altro particolarmente interessante per la vocazione verso l’allevamento bovino e bufalino: secondo l’Anagrafe Nazionale Zootecnica, al 31 maggio, erano oltre 4.000 gli allevamenti bovini aperti con almeno un capo. CONFAGRICOLTURA ha di recente raccolto e reso disponibili alcuni dati a proposito degli allevamenti nel Sud Italia: per quanto riguarda specificatamente il settore bufalino va sottolineato il rilevante aumento dei capi nelle regioni del Mezzogiorno nel periodo 2002-2015 (+115%), così come anche nel caso dei suini, per i quali si riscontra un trend positivo (+8%). L’evento di Foggia sarà anche un’occasione di confronto con il modello zootecnico di alta produttività tipico delle aziende agrozootecniche lombarde e un’opportunità per valorizzare un patrimonio tradizionale che ha forte radicamento in diverse regioni del Sud Italia e che potrebbe dare impulso ad un nuovo trend di sviluppo attraverso l’acquisizione di tecnologie e attrezzature frutto della ricerca più recente ed efficace (photo © masonmassyjames.it). www.bovinodalatte.it

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Il calendario di alta formazione di Passione Preparati: #macelleriatrasgressiva Francesca Santin ha completato il calendario dei corsi autunnali di Passione Preparati. Una serie di lezioni formative all’insegna della #macelleriatrasgressiva. «Con il termine trasgressione si intende il comportamento di un soggetto che non rispetta le regole della massa, che possono essere di tipo molto diverso, sociali, culturali, o che non accetta la consuetudine noiosa che giorno dopo giorno ci viene propinata, perpetuando gesti e idee ormai superati» dice Francesca. «La trasgressione non è di per sé negativa quindi. In molti casi ha una valenza positiva, fisiologica e naturale come parte del comportamento evolutivo di un individuo o di una categoria. Trasgredire può significare per un macellaio fare nuove esperienze, uscendo da ciò che è considerato usuale e rassicurante dalla comunità. Mettendo alla prova se stesso e gli altri, i risultati che si ottengono sono stupefacenti e danno molta soddisfazione» sottolinea la presidente del gruppo Passione Preparati. Tra le novità interessanti c’è l’inserimento di un docente junior in ogni tappa. Di che cosa si tratta? «Sono giovani macellai, di età compresa tra i 18 e i 30 anni, con spiccate doti umane e professionali che da tempo collaborano con i senior di Passione Preparati Planet, hanno una loro attività fiorente e sono formati e idonei ad insegnare ad ogni corso. Oltre al disosso conoscono tecniche come preparazioni gastronomiche crude e cotte, con metodi diversi, le cotture a bassa temperatura, la cottura tradizionale e il barbecue» spiega Francesca. «Se vogliamo attirare giovani in macelleria dobbiamo sintonizzarci sulle loro frequenze e chi meglio di un giovane lo sa fare? Ecco uno dei motivi della nostra scelta. In questo settore che ha bisogno di rinnovarsi i giovani sono fondamentali. Noi li valorizziamo al meglio. Siamo convinti che questa scelta farà bene a tutto il settore carni». Tutti i corsi sono a numero chiuso: max 25 persone. • • • • • •

11 Settembre 27 Settembre 8-9 Ottobre 26 Ottobre 8 Novembre 14-17 Novembre

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Pomeriggio, 3 ore 8 ore Planet Seminar 2 giorni, solo per associati al Circuito Italia 8 ore 8 ore Presso fiera Cosmofood

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8 ore Presso fiera iMeat 2018, numero aperto

Nota Docenti con ruolo di tutor negli eventi formativi e a disposizione per il dopo-corso: • FRANCESCA SANTIN, DAVIDE CORRÀ, NICOLETTA ZANCHI per gli eventi in Veneto; • VINCENZO SANTANGELO, SALVATORE PATORNO, MAURO AIELLO per gli eventi in Sicilia; • MARIO ANGELUCCI, ENRICO ROSSETTI per gli eventi nel Lazio; • MIMMO D’AMBROSIO, PAOLO ROSATO, MICHELE LOVERRE per gli eventi in Puglia; • ALESSANDRO DI LEO PARADISO per gli eventi in Lucania. >> Link: www.passionepreparati.it

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L’Azrri, Agenzia per lo sviluppo rurale dell’Istria Srl con sede a Pazin-Pisino, fondata nel 2003 con il compito di creare sinergie tra i settori pubblico e privato, ha tra i più significativi progetti rurali in essere il recupero e la valorizzazione del Boscarin, il bue autoctono istriano per antonomasia, appartenente alla grande famiglia delle razze Podoliche. Suo antenato era infatti quel“Bos taurus macroceros”che popolava migliaia di anni fa le selve dell’Europa orientale e dell’Asia, da cui discese appunto la razza della steppa o Podolica, che prende il nome dalle alte terre granitiche dell’Ucraina, la Podolia. In passato era un animale prezioso per il lavoro nei campi e il possesso di una pariglia di buoi era considerata una ricchezza, anche perché significava avere abbastanza terra da arare, mentre i piccoli proprietari dovevano accontentarsi di un asino. Oggi molte cose sono cambiate e il Boscarin è arrivato ad ottenere la tutela di Slow Food tramite l’istituzione del presidio. Della sua parabola ascendente da “trattore” in via d’estinzione a manzo da gustare ci parla Gian Omar Bison a pagina 84.

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La Fiera numero uno per il Food & Beverage. Nothing more to say.

www.anuga.com COLONIA, 07.–11.10.2017


Si è svolta a fine giugno a Roma l’assemblea annuale di UNAItalia, l’associazione che rappresenta oltre il 90% dell’intera filiera avicunicola nazionale. In tale occasione UNAItalia ha annunciato una nuova strategia per rilanciare le ambizioni di un comparto di primissimo piano del settore zootecnico nazionale (unico nel panorama italiano delle carni completamente autosufficiente, con una percentuale di approvvigionamento pari al 106%) e rafforzare il valore di uno dei prodotti — il pollo e le carni bianche — più amati e consumati nel nostro Paese. Ricordiamo che nel 2016 il consumo pro capite di carne bianca in Italia è salito a 21,01 kg, +2,7% rispetto all’anno precedente. E malgrado il calo dei prezzi di circa il 9-9,5% abbia di fatto condizionato la marginalità delle aziende, nell’ultimo anno la produzione di carni avicole è cresciuta del 5,1%, attestandosi su un valore pari a 1.389.000 tonnellate. A pagina 112 un servizio completo sull’assemblea (photo © Freestocker – stock.adobe.com).

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Il meglio della

C A R N E D I V I T EOLl a Ln d eO se La carne bianca di vitello è un alimento straordinario: ricca di proteine e amminoacidi, facilmente digeribile, povera di grassi e con un alto contenuto di ferro. Cosa volete di più? C’è di più!! La carne di vitello ha anche un gusto raffinato e duttilità nella cottura: questo la rende protagonista della storia gastronomica italiana. Non a caso il vitello è tra le carni più presenti nei Menu dei grandi Chef in Italia. Lo sapevate che la vera cotoletta alla milanese è fatta con la carne di vitello? Trovate la ricetta dello Chef Stefano De Gregorio insieme a tante altre su www.carnedivitello.it. Garanzia data dall’integrazione. Tutte le aziende del VanDrie Group sanno di essere responsabili al 100% per la qualità ottimale del prodotto finale. Questo vale sia per gli allevamenti sia per le aziende produttrici di latte in polvere e di carne. In quest’ottica la collaborazione per offrire al consumatore finale la garanzia di un prodotto di elevata qualità diventa logica. Così il VanDrie Group ha sviluppato la sua strategia integrata, assistito da uno dei più avanzati sistemi di controllo. www.vandriegroup.com La carne di vitello con una percentuale di grasso inferiore al 5% ha la seguente composizione media per 100 grammi: 104 kcal, 439 kJ, 22,1 g di proteine e 1,7 g di grassi. (fonte RIVM - NEVO).

“LA COTOLETTA ALLA MILANESE” interpretata da Chef Stefano De Gregorio

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La Nazionale Italiana Macellai ha iniziato gli allenamenti in vista del World Butchers Challenge, la sfida mondiale a colpi di coltello che si terrĂ a Belfast dal 16 al 21 marzo 2018. I Naturalmente Carnivori azzurri di questo numero li vedete qui belli sorridenti, immortalati durante una sessione di disosso e taglio presso la Guidoncarni di Roma. Da sinistra: Francesco Camassa, coach della Nazionale, Mara Labella, Federico Dal Lago, Andrea Laganga, Gianni Giardina e Roberto Passaretta. Forza Butchers e Forza Italia!

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ATTUALITÀ

Il Giappone è più vicino UE e Giappone si allineano sull’accordo di partenariato economico che consentirà alla UE di aumentare in modo consistente le esportazioni di carni bovine verso il Paese del Sol Levante, mentre, per quanto riguarda le carni suine, sarà esente da dazi il commercio di carni trasformate e quasi esente da dazi il commercio di carni fresche

L

o scorso luglio l’Unione Europea e il Giappone hanno raggiunto un’intesa di massima sugli elementi principali di un accordo di partenariato economico. Si tratta del più importante accordo commerciale bilaterale mai concluso dalla UE e, in quanto tale, prevederà per la prima volta un impegno specifico relativo all’accordo sul clima di Parigi. Per l’Unione Europea e i suoi Stati Membri significa eliminare la maggior parte dei dazi pagati dalle proprie imprese, pari a un miliardo di euro l’anno, aprire il

mercato giapponese alle principali esportazioni agricole della UE e aumentare le opportunità in vari settori. L’accordo stabilisce standard di altissimo livello in termini di lavoro, sicurezza e tutela dell’ambiente e dei consumatori, salvaguarda pienamente i servizi pubblici e contiene un capitolo specifico sullo sviluppo sostenibile; inoltre, riprende e rafforza gli standard — di per sé già elevati — per la protezione dei dati personali che la UE e il Giappone hanno recentemente consolidato nelle loro leggi. Il presidente della

Commissione europea JEAN-CLAUDE JUNCKER, il presidente del Consiglio europeo DONALD TUSK e il primo ministro del Giappone SHINZO ABE hanno comunicato la conclusione dell’accordo di massima durante il vertice UE-Giappone. «L’impatto di questo accordo si manifesterà ben al di là dei nostri confini» ha dichiarato il presidente Juncker. «Attraverso di esso l’Unione Europea e il Giappone difendono i loro valori comuni e si impegnano a rispettare standard di altissimo livello in settori come il lavoro, la

Shinzo Abe, primo ministro del Giappone, Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea. Il 6 luglio scorso Unione Europea e Giappone hanno firmato a Bruxelles un accordo di libero scambio tra il mercato comune del vecchio continente e quello giapponese (photo © www.tpi.it).

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Jambonne d’Ardenne belga. Grazie all’accordo le indicazioni geografiche della UE potranno beneficiare in Giappone dello stesso livello di protezione di cui godono in Europa (photo © FTLB/ P. Willem). sicurezza, la tutela dell’ambiente e dei consumatori. Adoperandoci per giungere a decisioni di adeguatezza reciproche, ci impegniamo inoltre fermamente a difendere il diritto fondamentale alla protezione dei dati. Insieme inviamo al mondo un forte messaggio a favore di un commercio aperto ed equo. Per quanto ci riguarda, il protezionismo non offre protezione. Solo lavorando insieme saremo in grado di definire ambiziose norme globali. Sarà questo il messaggio che la UE e il Giappone porteranno domani al G20». «Questo accordo ha un’enorme importanza economica, ma è anche un modo per avvicinarci» ha aggiunto la commissaria per il commercio CECILIA MALMSTRÖM. «Stiamo dimostrando che l’Unione Europea e il Giappone, partner mondiali democratici e aperti, credono nel libero scambio: credono che si debbano costruire ponti, non muri. Questo

Il valore delle esportazioni dalla UE potrebbe aumentare di ben 20 miliardi di euro, creando opportunità e maggior occupazione in molti settori

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accordo ha un notevole potenziale per l’Europa, poiché il Giappone, la quarta economia mondiale in ordine di grandezza, ha un notevole interesse per i prodotti europei. Ci attendiamo un forte impulso alle esportazioni in numerosi settori dell’economia della UE». «Questo accordo è vantaggioso per entrambi i partner, ma rappresenta una vittoria per l’Europa rurale: è il più significativo e di più ampia portata mai concluso nel settore agricolo» ha commentato PHIL HOGAN, commissario responsabile per l’agricoltura e lo sviluppo rurale. «L’accordo stabilisce un nuovo modello di riferimento nel commercio agricolo. I dazi sulle esportazioni vinicole scompariranno dal primo giorno di entrata in vigore. Per i produttori di vino, questo significa un risparmio di 134 milioni di euro l’anno. Allo stesso modo, il Tiroler speck austriaco, la Münchener bier tedesca, il Jambon d’Ardenne belga, la Polska wódka nonché oltre 200 altre indicazioni geografiche della UE potranno beneficiare in Giappone dello stesso livello di protezione di cui godono in Europa!». L’accordo di partenariato economico consentirà di aumentare le esportazioni dell’Unione Europea e di creare nuove opportunità per le sue imprese, grandi e piccole, i loro

dipendenti e i consumatori. Il valore delle esportazioni dalla UE potrebbe aumentare di ben 20 miliardi di euro e questo significa maggiori opportunità e occupazione in numerosi settori, agricoltura e prodotti alimentari, cuoio, abbigliamento e calzature, prodotti farmaceutici, dispositivi medici e altro. Per quanto riguarda le esportazioni agricole della UE l’accordo: • elimina i dazi su molti formaggi come il Gouda e il Cheddar (attualmente pari a 29,8%) e sulle esportazioni di vino (attualmente pari a 15% in media); • consentirà alla UE di aumentare in modo consistente le esportazioni di carni bovine verso il Giappone, mentre, per quanto riguarda le carni suine, sarà esente da dazi il commercio di carni trasformate e quasi esente da dazi il commercio di carni fresche; • garantisce la protezione in Giappone di oltre 200 prodotti agricoli europei di elevata qualità, le cosiddette indicazioni geografiche; • apre i mercati dei servizi, in particolare i servizi finanziari, delle telecomunicazioni e dei trasporti; • garantisce alle imprese europee l’accesso ai grandi mercati degli appalti del Giappone in 48 grandi città ed elimina su scala nazionale gli ostacoli agli appalti in un settore economicamente importante come il ferroviario; • protegge i settori economici sensibili della UE, ad esempio il settore automobilistico, prevedendo un periodo di transizione prima dell’apertura dei mercati. L’accordo consentirà inoltre di rafforzare la leadership dell’Europa nel plasmare la globalizzazione e le regole del commercio mondiale in base ai suoi valori fondamentali e di tutelare gli interessi e le sensibilità della UE. In tal modo esso contribuisce ad affrontare alcuni dei problemi individuati nel documento di riflessione sulla Gestione della globalizzazione presentato dalla Commissione nell’ambito del processo del Libro bianco.

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LEGISLAZIONE

Pubblicati i nuovi regolamenti della Commissione europea

La classificazione delle carcasse di Andrea Gaddini e Davide Nicodemo

L’

Unione Europea, da alcuni decenni, applica la classificazione delle carcasse bovine, suine ed ovine, secondo norme modificate nel corso degli anni da vari regolamenti. La classificazione è uno strumento della PAC (Politica Agricola Comune), in particolare dell’Organizzazione Comune dei Mercati (OCM). Questa interviene, tra l’altro, per sostenere il reddito degli agricoltori e stabilizzare i mercati agricoli.

Tradizionalmente gli interventi di mercato venivano attuati acquistando e immagazzinando prodotti quando il loro prezzo di mercato scendeva sotto una certa soglia di riferimento, per mezzo dell’intervento pubblico e dell’ammasso privato, oppure incentivando le esportazioni attraverso le restituzioni. Con l’ultima riforma della PAC, sulla spinta delle regole del commercio internazionale, questi tradizionali strumenti, pur attivabili

in caso di gravi crisi, hanno assunto il ruolo di “rete di sicurezza”, ma nel contempo è stata prevista la possibilità per la Commissione europea di attivare delle misure eccezionali per contrastare le turbative del mercato causate da aumenti o cali significativi dei prezzi, o da altri eventi che rischiano di mettere in crisi i produttori. Per mettere in atto questi interventi è necessario un monitoraggio costante del mercato che consenta

I prezzi delle varie classi di carcasse, una volta rilevati e pubblicati, sono anche un utile strumento che consente agli operatori di conoscere l’andamento del mercato, rende gli scambi commerciali più semplici e trasparenti e incoraggia gli allevatori a produrre animali con una migliore conformazione e che garantiscano quindi una migliore remunerazione.

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La pratica di classificare le carcasse esiste da oltre un secolo: nel 1916 gli Stati Uniti, per evitare speculazioni nell’acquisto di derrate destinate alle truppe impegnate nelle operazioni militari contro il Messico, decisero di introdurre una classificazione tuttora utilizzata secondo uno schema gestito dall’United States Department of Agriculture

di rilevare precocemente gli squilibri e le dinamiche dei vari settori, attraverso la rilevazione settimanale dei prezzi dei prodotti agricoli. Nel caso delle carcasse è però obbligatorio prima classificarle, per raccogliere separatamente i prezzi delle diverse categorie di animali. Questa distinzione è necessaria per tenere conto delle differenze tra le varie tipologie di animali che confluiscono nella filiera della carne. Ad esempio, nel caso dei bovini, le carcasse di vacche ad attitudine latte a fine carriera e quelle di giovani maschi di razze specializzate da carne hanno ovviamente un prezzo per 100 kg molto differente. I prezzi delle varie classi di carcasse, una volta rilevati e pubblicati, sono anche un utile strumento che consente agli operatori di conoscere l’andamento del mercato, rende gli scambi commerciali più semplici e trasparenti e incoraggia gli allevatori a produrre animali con una migliore conformazione e che garantiscano quindi una migliore remunerazione. In diversi Stati Membri il sistema di pagamento degli animali è basato esclusivamente sulla classificazione delle carcasse, con prezzi differenziati addirittura a livello di sottoclassi; inoltre, l’applicazione di regole chiare sulla presentazione delle carcasse stesse, al momento della pesatura, consente una omo-

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geneità di regole tra i vari macelli ed aumenta la trasparenza nelle transazioni commerciali. Attualmente la norma che regola la classificazione delle carcasse nell’Unione Europea è il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1308 del 2013, detto regolamento “OCM unica”. Le norme applicative sulle carcasse sono contenute nel Regolamento della Commissione (CE) n. 1249/2008, collegato al vecchio Regolamento OCM unica, il n. 1234/2007. A partire dal luglio 2018 entreranno in applicazione due nuovi regolamenti, che sostituiranno il 1249/2008, il Regolamento delegato n. 1182 e il Regolamento di esecuzione n. 1184, entrambi del 20 aprile 2017, pubblicati il 4 luglio, in vigore dall’11 luglio 2017 e che troveranno applicazione a partire dall’11 luglio 2018. L’intervallo di 12 mesi tra entrata in vigore e applicazione serve a lasciare agli Stati Membri il tempo di predisporre norme nazionali e a consentire agli operatori di adeguarsi, sebbene le nuove norme siano molto simili a quelle attualmente in vigore e, in linea generale, meno restrittive. Fino all’entrata in vigore dei nuovi regolamenti resterà comunque pienamente applicabile il vecchio Regolamento 1249/2008. Esiste anche una norma nazionale sulla classificazione delle carcasse, il Decreto Ministeriale n. 15163 del 12 ottobre 2012, complementare alle norme europee del 2007 e 2008, che dovrà probabilmente essere adeguato alle nuove norme del 2013 e 2017. Carcasse bovine La classificazione delle carcasse bovine è stata introdotta in Europa dal Regolamento n. 1208 del 1981 ed è divenuta obbligatoria dal 1o gennaio 1992 con il Regolamento n. 1186 del 1990. La pratica di classificare le carcasse in effetti esiste da oltre un secolo: nel 1916 gli Stati Uniti, per evitare speculazioni nell’acquisto di derrate destinate alle truppe impegnate nelle operazioni militari contro il Messico, decisero di introdurre una classificazione (grading)

che è tuttora utilizzata, secondo uno schema gestito dall’USDA (United States Department of Agriculture), il Ministero dell’Agricoltura nazionale. Nella UE l’obbligo di classificare riguarda tutte le carcasse di bovini di età, alla macellazione, di almeno otto mesi, dotate di bollo sanitario, e cioè dichiarate idonee al consumo umano dal veterinario ufficiale del macello, in base alle norme del “pacchetto igiene”. Gli stabilimenti di macellazione, che annualmente abbattono in media fino a 75 bovini adulti alla settimana, possono ottenere una deroga dall’obbligo della classificazione, richiedendola al Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali (MIPAAF). Con l’entrata in applicazione del nuovo Regolamento 1182/2017 il limite per l’esenzione può essere aumentato a 150 capi, ma occorrerà verificare, in sede di recepimento nazionale, quali decisioni verranno assunte. Nel settore bovino, secondo il Regolamento n. 1308 del 2013, per carcassa si intende “il corpo intero dell’animale macellato, dopo le operazioni di dissanguamento, svisceramento e scuoiamento”, e la classificazione si esegue in base a tre criteri: 1. la categoria, indicata dalla prima lettera: “Z” per gli animali da 8 a meno di 12 mesi alla macellazione, “A” per i maschi interi da 12 mesi a meno di 24 e “B” per quelli da 24 mesi in su, “C” per i maschi castrati, “D” per le vacche ed “E” per le giovenche; 2. la classe di conformazione, legata alla muscolosità dell’animale e valutata in base alla convessità di alcune regioni della mezzena. Le classi sono sei, denominate “S”, “E”, “U”, “R”, “O” e “P”, in ordine decrescente di muscolosità; 3. lo stato di ingrassamento, legato alla copertura di grasso delle superfici visibili, compresa quella interna della cassa toracica. Le classi sono cinque, numerate da “1”, con copertura praticamente nulla, a “5”, con copertura totale. Sebbene la normativa parli in modo quasi esclusivo di ”carcasse”, l’esame visivo che porta alla classificazione si esegue in effetti sulle

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La classe di conformazione “S” è stata introdotta con il Regolamento (CEE) n. 1026 del 1991, per tenere conto della muscolosità eccezionale degli animali delle due razze a doppia groppa, la Piemontese e la Blu Belga (in foto). mezzene, visto anche che, per l’attribuzione della categoria, è necessario, oltre che la consultazione dei dati anagrafici dell’animale presenti nella Banca Dati Nazionale del Ministero della Salute, anche l’esame di alcune particolarità anatomiche che sono visibili solo dopo il taglio della carcassa in due mezzene. Va sottolineato che la classe di conformazione “S” è stata introdotta in un secondo tempo, con il Regolamento (CEE) n. 1026 del 1991, per tenere conto della muscolosità eccezionale degli animali delle due razze a doppia groppa, la Piemontese e la Blu Belga. L’adozione di questa classe è facoltativa per gli Stati Membri: la adottano, tra gli altri, Italia, Belgio, Spagna, Paesi Bassi e Austria, mentre non la adottano Francia, Germania, Polonia, Irlanda e Regno Unito. L’Unione Europea prevede la possibilità, per gli Stati Membri, di istituire delle sottoclassi per la conformazione e lo stato di ingrassamento; ad esempio, alla classe

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“U” sarebbe possibile aggiungere le sottoclassi “U+” e “U–” e, analogamente, oltre alla classe di stato di ingrassamento “2”, si potrebbero inserire le classi “2+” e “2–”. L’Italia non ha finora ritenuto opportuno avvalersi di questa opportunità. L’attribuzione di una carcassa alle classi di conformazione e di ingrassamento si esegue confrontando la mezzena in esame con uno standard fotografico ufficiale, la Tabella comunitaria di classificazione delle carcasse di bovini adulti, prodotta nel 2005 dalla Commissione europea, che è scaricabile, in formato pdf e in lingua italiana, sul sito delle pubblicazioni dell’Unione Europea all’indirizzo: publications. europa.eu/it/publication-detail/-/ publication/248996ec-f513-4852a2a5-6fd307692b0a Esiste anche una versione aggiornata al 2011 della tabella, disponibile però solo in inglese e tedesco, che può essere scaricata all’indirizzo: publications.europa. eu/it/publication-detail/-/publi-

cation/c077e2ef-8b2d-4d62-a532b7eb9a049234 Alla fine del processo di classificazione, ad ogni carcassa è attribuita una classifica, costituita da due lettere e un numero, ad esempio “AU2” oppure “DP3”, che va riportata almeno su ogni quarto con un timbro a inchiostro indelebile e atossico o con un’etichetta. Questa operazione prende il nome di identificazione. L’etichetta, secondo le norme vigenti, deve riportare diverse indicazioni, come il numero identificativo dell’animale, il numero di approvazione del macello (ex “bollo CEE”), il peso della carcassa, la data di macellazione. Con le nuove norme sarà obbligatoria solo l’indicazione della classifica SEUROP e inoltre, a differenza di quanto previsto attualmente con la vigente regolamentazione, timbri ed etichette potranno essere apposti liberamente su ciascun quarto (il marchio obbligatoriamente sulla superficie esterna), salvo diversa

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decisione più restrittiva dello Stato Membro. La classificazione e l’identificazione delle carcasse bovine devono essere eseguite nello stesso macello in cui è stato abbattuto l’animale, ed entro un’ora dalla giugulazione, come anche la pesatura della carcassa. Per eseguire la classificazione, i responsabili degli stabilimenti devono avvalersi di esperti classificatori con abilitazione e tesserino, rilasciati dal Ministero dopo il superamento di appositi corsi organizzati presso stabilimenti di macellazione. L’abilitazione alla classificazione va rinnovata ogni 10 anni. L’Unione Europea prevede anche la possibilità per gli Stati Membri di adottare la classificazione automatizzata delle carcasse, che si esegue su immagini elaborate poi elettronicamente. Al momento, in Italia la classificazione automatizzata delle carcasse non è adottata. Essendo la classificazione delle carcasse strettamente legata alla rilevazione dei prezzi medi settimanali, essa va di pari passo con la pesatura e con la rilevazione del prezzo di acquisto dell’animale vivo. Per rendere omogenei e confrontabili i pesi, e quindi i prezzi, il peso deve essere rilevato su una presentazione di riferimento della mezzena, quella che prevede l’assenza di rognoni, grasso perirenale, coda, diaframma e pilastri del diaframma e vari depositi di grasso all’interno e all’esterno della mezzena. Nel caso in cui, comunque, per motivi commerciali si adottino presentazioni diverse, conservando sulla mezzena uno o più delle parti sopra nominate, si può correggere il peso rilevato al gancio con dei coefficienti, elencati in allegato al Regolamento 1249/2008, riproposti, senza nessuna variazione, anche in allegato al nuovo Regolamento 1184/2017. Con i nuovi regolamenti l’effettuazione della mondatura prima della pesatura e della classificazione può essere effettuata, applicando poi i coefficienti correttivi previsti, solo se questa non incide sullo stato di ingrassamento. Il prezzo di mercato di ogni carcassa, che lo stabilimento di macel-

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lazione deve utilizzare per il calcolo del prezzo medio settimanale, è quello “franco macello”, al netto dell’IVA, espresso per 100 kg di carcassa in presentazione standard. Il peso da utilizzare per il calcolo del prezzo è quello a freddo, ottenuto a partire dal peso rilevato al gancio entro un’ora dalla macellazione (peso a caldo) ridotto del 2%. La documentazione usata per il calcolo del prezzo deve essere a disposizione delle autorità preposte al controllo, che in Italia sono le Regioni e le Province autonome, che periodicamente eseguono ispezioni nei macelli per verificare la correttezza della classificazione e della rilevazione e comunicazione dei prezzi. Sono previsti anche controlli da parte di esperti del MiPAAF e della Commissione europea. Con la nuova regolamentazione si prevede di superare le rigidità della vecchia normativa, che imponeva un minimo di due controlli a trimestre per gli stabilimenti sopra i 75 bovini a settimana, poiché il numero di controlli sarà stabilito sulla base di un’analisi del rischio, per cui auspicabilmente avremo meno controlli ma più mirati, verso le strutture più grandi o riscontrate inadempienti in precedenti controlli. I prezzi medi settimanali per le varie classifiche SEUROP, calcolati dagli stabilimenti di macellazione, sono da questi comunicati al MIPAAF che li elabora per ottenere un prezzo settimanale medio nazionale, che notifica alla Commissione europea tramite un apposito portale. La Commissione, una volta ricevuti i prezzi medi nazionali di tutti gli Stati Membri, calcola il prezzo medio dell’Unione, tramite una media ponderata dei prezzi nazionali. Secondo i nuovi regolamenti, dato che i prezzi medi da comunicare comprendono anche quelli delle carcasse dei bovini di età inferiore agli otto mesi, pur non esistendo un obbligo di classificazione, è previsto che il peso sia rilevato in base ad una presentazione specifica per questa categoria di animali. Gli Stati Membri possono adottare coefficienti di correzione, da


definire a cura dello Stato Membro stesso, analogamente a quanto previsto per i bovini di otto mesi o più in caso di presentazioni difformi.

Per carcassa, nel settore suino, si intende “il corpo di un suino macellato, dissanguato e svuotato, intero o diviso a metà”, e prevede l’assenza di lingua, setole, unghie, organi genitali, sugna, rognoni e diaframma.

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Carcasse suine La classificazione dei suini si esegue con diversi metodi strumentali che, attraverso specifiche misurazioni elaborate per mezzo di equazioni approvate dalla Commissione europea al termine di specifiche prove sperimentali, stimano la percentuale di carne magra della carcassa. Gli strumenti approvati attualmente in Italia si basano sull’utilizzo di una sonda che misura, attraverso la rifrazione luminosa, gli spessori di carne e grasso (FOM e HGP), o su sistemi di scansione digitale tridimensionale (Auto FOM III), che forniscono una serie di informazioni molto importanti dal punto di vista gestionale e di programmazione produttiva, o su strumenti di analisi di immagine (CSB Image Meater). Inoltre, è possibile utilizzare, per i macelli più piccoli, uno strumento semplificato, detto “ZP-method”, che stima la percentuale di carne magra a partire da due misurazioni del lardo e del muscolo prese in punti specifici, ma richiede che la mezzena sia completamente ferma. Per tutti gli strumenti, le equazioni approvate sono due: una per il suino leggero (70- 110 kg) ed una per quello pesante (oltre i 110 kg e fino a 180 kg di peso). Le classi sono sei, denominate “S”, “E”, “U”, “R”, “O” e “P”, in ordine decrescente di tenore in carne magra, da oltre 60% per la “S” a meno del 40% per la “P”. Con i nuovi regolamenti gli Stati Membri avranno la facoltà, se vogliono, di suddividere le singole classi in più sottoclassi, al fine di valorizzare le differenze qualitative esistenti. Per carcassa, nel settore suino, si intende “il corpo di un suino macellato, dissanguato e svuotato, intero o diviso a metà”, e prevede l’assenza di lingua, setole, unghie, organi genitali, sugna, rognoni e diaframma. La classificazione e la pesatura vanno effettuate entro 45 minuti dalla giugulazione e il peso rilevato a caldo viene ridotto del 2% per trasformarlo in peso freddo. I nuovi

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regolamenti prevedono sia una riduzione percentuale maggiore, qualora si superi il tempo di 45 minuti (disposizione già in vigore), sia la possibilità di ridurre il coefficiente del 2% se il periodo che intercorre tra la pesatura e la giugulazione è inferiore ai 45 minuti. In tal caso la detrazione va giustificata sulla base di dati scientifici. Trattandosi di una novità bisognerà vedere come l’Italia deciderà di recepire tale possibilità. Gli stabilimenti di macellazione che abbattono in media annuale fino a 200 suini alla settimana, analogamente al caso dei macelli che abbattono un numero limitato di bovini, possono ottenere dal MIPAAF una deroga dall’obbligo della classificazione. Con il nuovo Regolamento 1184/2017 il limite sarà portato a 500 capi settimanali in media, ma anche in questo caso occorrerà attendere le decisioni del MIPAAF al riguardo. Carcasse ovine La classificazione delle carcasse ovine segue criteri simili a quelli del settore bovino, ma è facoltativa per gli Stati Membri della UE. In Italia, vista la fortissima prevalenza di capi di razze da latte, con muscolosità molto ridotta, si è scelto di non applicarla. Per gli ovini si riconoscono solo due categorie: la “A”, che comprende gli agnelli, intesi come animali fino a 12 mesi le cui carcasse sono marchiate con la

lettera “L”, e la “B”, che comprende gli ovini adulti le cui carcasse sono marchiate con la “S”. Le classi di conformazione e ingrassamento sono le stesse dei bovini, con pochissime differenze nella descrizione visiva. Esiste una ulteriore forma di classificazione, la cosiddetta “griglia B”, o “griglia mediterranea”, per gli agnelli con peso carcassa inferiore a 13 kg, basata sul peso della carcassa, sul colore della carne e sullo stato d’ingrassamento. Non adottando la classificazione delle carcasse ovine, l’Italia non applica nemmeno questa griglia alternativa. Andrea Gaddini Davide Nicodemo Bibliografia • Regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i Regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio (GUUE L 347 del 20 dicembre 2013). • Regolamento (CE) n. 1249/2008 della Commissione del 10 dicembre 2008 recante modalità di applicazione relative alle tabelle comunitarie di classificazione delle carcasse di bovini, suini e ovini e alla comunicazione dei prezzi delle medesime (GUUE

n. L 337 del 16 dicembre 2008). • Regolamento delegato (UE) 2017/1182 della Commissione del 20 aprile 2017 che integra il Regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le tabelle unionali di classificazione delle carcasse di bovini, suini e ovini e la comunicazione dei prezzi di mercato di talune categorie di carcasse e di animali vivi (GUUE n. 171 del 4 luglio 2017). • Regolamento di esecuzione (UE) 2017/1184 della Commissione del 20 aprile 2017 recante modalità di applicazione del Regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le tabelle unionali di classificazione delle carcasse di bovini, suini e ovini, e la comunicazione dei prezzi di mercato di talune categorie di carcasse e di animali vivi (GUUE n. 171 del 4 luglio 2017). Legenda • GUUE: Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea. • GURI: Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana. Nota bene I testi integrali delle norme europee si possono scaricare dal sito eur-lex.europa.eu/homepage. html?locale=it

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Sarà miracolo italiano? di Cosimo Sorrentino

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a qualche tempo sono numerosi i segnali, forniti da fonti italiane ed internazionali, che mettono in evidenza il costante e progressivo incremento del PIL italiano. Già dallo scorso giugno, ad esempio, sia CONFINDUSTRIA, sia la famigerata agenzia di rating STANDARD & POOR’S, avevano ritoccato verso l’alto le previsioni di crescita dell’Italia per il corrente anno. La predetta agenzia, pur sempre pessimista nei confronti della nostra nazione, riconoscendo previsioni verso l’alto, aveva comunque espresso dubbi sul futuro, ammettendo un divario con gli altri Paesi europei, in considerazione delle stime relative a Germania, Francia e Spagna, accreditate di percentuali nettamente superiori. Tra i motivi dell’attuale accelerazione dell’economia italiana si possono trovare le misure di bilancio, ancora espansive, ed un commercio mondiale in netta ripresa rispetto allo scorso anno, mentre si potrebbe avere un rallentamento della crescita nel 2018, attribuibile proprio ad un andamento meno vivace del commercio globale e all’esaurirsi di alcuni incentivi fiscali. Tuttavia, per ora, il momento appare incoraggiante, tanto che, come sottolinea il Centro Studi di CONFINDUSTRIA, il recupero della produzione industriale con il +1,7% verificatosi a maggio scorso, rispetto allo stesso periodo del 2016, è proseguito anche a giugno u.s., con una crescita dello 0,4% rispetto al mese precedente. Anche per i prossimi mesi viene preannunciato un andamento positivo della produzione industriale, ma il mercato del lavoro, purtroppo, mostra segnali contrastanti, poiché, nel biennio 2017/18, l’occupazione rallenterà allo 0,9% ed allo 0,8% dal +1,4% del 2016; solo alla fine di detto biennio, gli occupati dovrebbero tornare sopra il livello pre-crisi. A

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Gli economisti di via dell’Astronomia, con l’analisi mensile del Centro Studi Confindustria“Congiuntura flash”, rilevano che“l’Italia rimane ben ancorata alla ripresa mondiale, seppure in posizione di inseguitrice. Per l’avvicinamento al gruppo di testa resta cruciale il passaggio di una manovra d’autunno che punti sul rafforzamento degli investimenti e sul lavoro giovanile”. fine luglio, intanto, è intervenuta anche la Banca d’Italia la quale, nel suo ultimo BOLLETTINO economico, sostiene che, pur temendo un rallentamento della crescita, c’è stata in effetti un’accelerazione in virtù dei consumi interni, che crescono anche se non in modo intenso, in quanto le famiglie sembrano orientarsi verso una gamma di beni più vasta. Sono aumentati anche gli investimenti delle imprese, grazie alle condizioni molto favorevoli di incentivazione, il che lascia pensare che si possa proseguire su tale strada, anche se i livelli sono

ancora non soddisfacenti. Vanno bene le esportazioni, al traino della domanda mondiale, come già accennato sopra, e, sempre secondo B ANKITALIA , prosegue, anche se in modo modesto, e senza troppi contratti a tempo indeterminato, la crescita dell’occupazione. Fatto importante è che diversi indicatori lasciano pensare che le dinamiche possono essere simili in tutte le aree del Paese, come già nel 2016. Tanto premesso, si può concludere che gli anni difficili, quelli in cui l’attività economica in Italia diminuiva mese dopo mese, appa-

Buone notizie, almeno a livello di stima del PIL, per l’economia italiana, che l’Istat prevede in crescita dell'1% in termini reali, con un tasso di incremento lievemente superiore a quello registrato nel 2016. Per il premier Gentiloni si tratta di un “messaggio di ottimismo”

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iono ora abbastanza lontani e ciò lo affermiamo con molta cautela, nonostante l’ottimismo, se pur moderato, mostrato dalla nostra massima istituzione bancaria. In effetti, se guardiamo al futuro, dobbiamo purtroppo notare che le previsioni per il biennio 2018/19 mostrano un lieve rallentamento dell’attività economica e non una ulteriore accelerazione, soprattutto se si commisura alla crescita degli altri Paesi europei, specie se vista al di là della stretta congiuntura, che appare migliore della nostra, ed anche il resto del mondo, che mostra ritmi superiori. Purtroppo la grave crisi che abbiamo vissuto ha lasciato fratture che tardano a ricomporsi, in particolar modo sul piano sociale, e secondo i dati forniti dall’ISTAT resteranno ancora gravi nel futuro prossimo. Che dire poi degli investimenti pubblici che sono ancora ai minimi storici? Ahimè, dobbiamo ammettere che non stiamo mantenendo a sufficienza i nostri beni pubblici, il territorio, sempre

più indifeso da calamità naturali, le scuole poco curate sotto tutti gli aspetti, da quelli di natura edilizia a quelli legati all’educazione. Ciò significa che non stiamo investendo in questi settori, i quali, a loro volta, potrebbero favorire l’economia futura e creare connessioni fisiche ed immateriali. Nelle grandi città non vengono potenziate le reti ed i servizi del trasporto urbano; poco viene investito in ricerca, così come un significativo disinvestimento si è avuto nell’istruzione universitaria, a vantaggio di una miriade di università private che sfornano continuamente titoli dequalificati peri giovani, i quali, poi, al confronto della realtà lavorativa, si trovano spauriti ed impreparati. Ma sull’università italiana ci sarebbe da scrivere per ampi volumi, poiché la sua crisi è cominciata da molti anni senza che si sia mai più ripreso il livello qualitativo di una volta. Sul piano strettamente economico-finanziario c’è poi da notare l’attuale livello del debito pubblico,

che segna l’ennesimo primato, avendo raggiunto, a maggio, la cifra record di 2.279 miliardi. Insomma, nonostante la P.A. non riesca a frenare le spese, la crescita va avanti, grazie, come detto, alla spinta dei consumi e dell’export. Nonostante tutto, le possibilità di accelerazione della ripresa non mancano per il nostro Paese, anche se è ancora da capire come inciderà sul debito la fine del Quantitative Easing, che potrebbe comportare un rialzo dei tassi. A tale incognita va aggiunta la rivalutazione dell’euro sul dollaro, che potrà comportare più difficoltà ad esportare e, perciò, si rende necessario accelerare sul fronte della produttività — e quindi della competitività — ed agire, con maggiore determinazione, a sostegno della domanda interna. Tutto ciò sempre che la politica nazionale diventi finalmente adulta e non si perda in giochi di prestigio, che nulla hanno a che vedere con l’attuale realtà economica. Cosimo Sorrentino


La democrazia in pericolo di Sergio Ventura

L’

elezione di DONALD TRUMP ha messo in luce il paradosso di un regime elettorale che permette di vincere anche con un numero di voti, espressi alla base, globalmente inferiore a quello dell’avversario. Più recentemente, l’elezione di EMMANUEL MACRON è stata caratterizzata dall’assenteismo

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della maggioranza degli elettori. Inoltre, in molti paesi europei si assiste all’influenza crescente dei populismi di destra (o di sinistra). Questi fenomeni sono tutti sintomi, sia pure a livelli diversi, di una crisi della democrazia. In proposito è opportuno leggere (o rileggere) un saggio di RAFFAELE SIMONE, inti-

tolato “Come la democrazia fallisce”, pubblicato due anni fa1. Non a caso l’autore, che è linguista di formazione, usa il tempo presente senza un punto interrogativo. Simone cita in epigrafe del suo saggio due frasi celebri. La prima è di J.J. ROUSSEAU: “Appena qualcuno dice, a proposito delle faccende dello Stato, che cosa me ne

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Il desiderio di potere e la proliferazione di partiti personali rendono difficile la formazione di alleanze stabili e obbligano alla ricerca permanente di maggioranze, con il rischio d’incrementare la corruzione. Ne risulta un’instabilità politica cronica, cioè una democrazia “volatile”

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importa?, si deve intendere che lo Stato è perduto”. La seconda è di WALTER BAGEHOT: “In particolar modo si devono trattare con rispetto i nostri Sovrani, e quando si comincia a ficcare il naso intorno a loro, non si riesce più a trattarli con deferenza”. In guisa di congedo, alla fine del saggio, Simone mette altre due citazioni. La prima è di NORBERTO BOBBIO (“è tanto facile perdere la democrazia quanto è difficile riconquistarla”) e la seconda di HANNAH ARENDT (“i movimenti totalitari usano e abusano delle libertà democratiche per distruggerle”). Tra l’epigrafe e il congedo l’autore analizza, in un’introduzione e sette capitoli, la “crisi storica” della democrazia, mettendo in evidenza la fragilità della sua struttura, resa ancora più fragile, nei tempi moderni, da un lato dalla “demistificazione” di talune nozioni (come quella di “autorità”) e dall’altro dalla “mondializzazione”, che ha rivelato i limiti intrinsechi dell’edificio democratico2. Oggi la democrazia produce essa stessa i propri intimi nemici, che sfruttano gli ideali di tolleranza, libertà d’opinione e protezione delle minoranze, ed è vittima delle forze finanziarie che agiscono su scala mondiale, al di là delle frontiere. Secondo Simone oggi ci troviamo precisamente in uno degli “intervalli del dramma dell’umanità”, cioè tra la fine della seconda guerra mondiale e l’inizio di un’altra guerra, ancora fluttuante geograficamente, in cui gli avversari, anche se impersonali, sono già vicini e visibili: l’immigrazione incontrollata, lo sfruttamento catastrofico del pianeta, il capitalismo finanziario, la sovrappopolazione mondiale, il terrorismo politico e la criminalità organizzata. In questo contesto si assiste, da un lato, all’assenteismo crescente degli elettori, secondo uno schema di democrazia di bassa intensità, in cui la minoranza può designare la maggioranza. Questa situazione può condurre al trasferimento di tutti i poteri a delle caste, alla graduale perdita di autorità del Parlamento, al disinteresse apatico dei cittadini, all’uniformizzazione progressiva dei media, per sfociare

in una democrazia dispotica, di cui esistono molti esempi: Cina, Russia, Asia centrale, Africa del Sud3. D’altro canto, il desiderio di potere e la proliferazione di partiti personali rendono difficile la formazione di alleanze stabili e obbligano alla ricerca permanente di maggioranze, con il rischio d’incrementare la corruzione. Ne risulta un’instabilità politica cronica, cioè una democrazia “volatile”. Gli avvenimenti recenti, in particolare le elezioni generali nel Regno Unito (8 giugno) e in Francia (11 e 18 giugno), confermano l’analisi di Raffaele Simone. La Francia si è dotata di un nuovo presidente e di una nuova maggioranza, ma questo volto ringiovanito nasconde una grande stanchezza, rivelata dall’assenteismo delle classi meno favorite. Nel Regno Unito il netto regresso del partito conservatore fa parte della stessa pulsione che ha condotto al rigetto del liberalismo dogmatico e alla Brexit. Nel primo caso la stabilità politica è stata ottenuta grazie ad una democrazia di bassa intensità, nel secondo le conseguenze della Brexit e il risultato dell’ultima elezione hanno creato le condizioni di una democrazia volatile. Se poi si guarda alla situazione di molti altri paesi europei, dall’Italia alla Spagna, dal Belgio alla Grecia, dalla Polonia all’Ungheria, si arriva alla conclusione che la democrazia è in pericolo. Sergio Ventura Note 1. Garzanti, 2015 (Si la démocratie fait faillite, Gallimard, 2016). 2. Infine, in un’appendice ricca di dati e di notizie, l’autore analizza criticamente lo stato pietoso della democrazia in Italia, all’alba del XXI secolo. 3. A questo elenco si può aggiungere, oggi, anche la Turchia. Nota fotografica A pagina 36 e 37, un graffito di Banksy, il writer inglese oggi tra i massimi esponenti mondiali della street art, comparso il 5 dicembre 2007 su un muro di Betlemme, Israele (photo © David Silverman/Getty Images).

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LA CARNE IN RETE

Social di Elena

1. Eleganza, innovazione e territorio, anche sui social Carne selezionata in allevamenti del territorio, preparati di carne ricchi e incredibilmente belli e innovativi, oltre ad una capacitĂ di raccontare ogni giorno il proprio banco carne usando i social? I signori di C AVARZANO C ARNI di Belluno lo sanno fare e anche molto bene! Nella foto un lecca-lecca di pastin, un piatto tipico bellunese a base di carne tritata fresca e speziata. Seguiteli su instagram.com/cavarzano_carni e www.facebook. com/cavarzanocarni

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2. La carne spagnola in un clic Siete alla ricerca di carni spagnole? La A NDREA CONTICELLI M EAT & FOOD TRADING ha una consolidata esperienza nel settore delle carni ed è presente nel web al link www.andreaconticelli.com, oltre al canale Facebook alla pagina facebook.com/andreaconticellimeattrading. Chi cerca trova!

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meat Benedetti

3. Macelleria Bolgi, un esempio di bella comunicazione SIMONE BOLGIANI e NICOLE M AZZEL sono fantastici. Hanno una bellissima macelleria (www.macelleriabolgi.it) in val di Fassa, ai piedi del Catinaccio nelle Alpi trentine, che loro descrivono come “un piccolo angolo di sapori della nostra terra nella piazza centrale di Vigo di Fassa”. Sono bravissimi a comunicare la loro attività anche sui social (date un’occhiata a: instagram.com/macelleriabolgi_valdifassa) e si danno parecchio da fare. Sul loro banco trovate speck e salumi, bistecche e filetti, bolliti e brasati, arrosti e preparazioni varie accompagnati da una selezione di formaggi, sughi, vini, oli, birra e grappa. L’ampia gamma di prodotti è in vendita anche on-line nell’e-shop. Per consegne con corriere espresso 24 h dal Trentino in tutta Italia. Super!

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4. Coop e il benessere animale COOP è da tempo la catena italiana della GDO più sensibile al benessere animale. Un tema fondante della sua politica, costantemente presidiato: da anni Coop collabora con organizzazioni che si occupano di benessere animale come LAV e CIWF (Compassion in World Farming), per sviluppare nuovi criteri e azioni volti a migliorare la qualità di vita degli animali su larga scala. E al benessere animale ha dedicato una sezione del proprio portale: www.e-coop.it/web/guest/ benessere-animale

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KPMG, Roadhouse vince nella customer experience nella categoria ristoranti Nella ricerca “L’era della customer experience”, realizzata dalla società di consulenza KPMG Numwood, Roadhouse Restaurant è risultato il primo brand in Italia nella categoria “Ristoranti”, per la qualità della Customer Experience offerta ai propri clienti, e il 35o assoluto tra i marchi top nazionali e internazionali. La ricerca è stata condotta dal Customer Experience Excellence Center di KPMG su oltre 140 brand nazionali e internazionali attraverso un campione di oltre 2.500 consumatori. I ricercatori hanno voluto far emergere le best practice delle aziende leader in termini di qualità della Customer Experience e hanno potuto riscontrare una correlazione positiva tra quest’ultima e i risultati economici ottenuti dalle varie società. La survey è stata condotta tra i mesi di dicembre 2016 e gennaio 2017. «Siamo particolarmente soddisfatti di questo brillante risultato emerso da una prestigiosa ricerca indipendente» ha detto NICOLAS BIGARD, AD di Roadhouse Restaurant. «Questo riconoscimento conferma i nostri sforzi, da sempre orientati alla soddisfazione del cliente, ed è una vera vittoria di squadra. Infatti, la Customer Experience è l’insieme di tanti aspetti che coinvolgono tutte le funzioni aziendali: controllo della filiera, qualità e innovazione dell’offerta, cultura del servizio, facilities tecnologiche, cura della funzionalità e del design. Guardando al futuro, sono certo che sapremo migliorare ancora, rendendo sempre più unica e speciale la nostra Roadhouse Experience».

La nuova Roadhouse di Modena, aperta in concomitanza del concerto di Vasco Rossi del 1o luglio. Il locale ha 160 posti a sedere ed è dotato di un parcheggio privato con 40 posti auto, oltre a numero elevato di parcheggi pubblici nelle vicinanze. I dipendenti sono una trentina, tutti giovani selezionati della zona. Entro fine 2017 sono previste altre 10 aperture, tra le quali Lentate sul Seveso (MB), Torino Vinovo e Conegliano Veneto (TV).

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Roadhouse Restaurant Oltre otto milioni di clienti l’anno, 103 locali, 2.600 dipendenti, più di 1.000.000 di soci del Club Fedeltà: sono solo alcuni dei numeri di Roadhouse Restaurant, la catena italiana di ristoranti di carni alla griglia del GRUPPO CREMONINI. Anche nel nuovo locale di Modena sono presenti le facilities tecnologiche che contribuiscono decisamente alla Customer Experience: tra queste, il wi-fi gratuito e l’APP Roadhouse, che permette di utilizzare la fidelity per ottenere sconti e promozioni esclusive e di pagare tramite smartphone evitando la fila in cassa. Inoltre, per tutti i bambini è a disposizione l’innovativa area bimbi con giochi interattivi dove possono divertirsi in tutta sicurezza. I ristoranti Roadhouse sono aperti al pubblico 7 giorni su 7, a pranzo dalle 12.00 alle 14.30 e a cena dalle 19.00 alle 23.30. Il menu prevede un vasto assortimento di piatti unici a base di carne alla griglia (Ribeye, New York Strip, Filet Mignon, T-Bone Steak, hamburger, ecc…), accompagnati da un’ampia scelta di contorni e seguiti da una ricca varietà di dessert. Il prezzo medio a persona è compreso tra 17 e 19 euro. Nel 2016 Roadhouse ha realizzato un fatturato di 125 milioni di euro, in crescita del 25% rispetto all’anno precedente. >> Link: www.roadhouse.it

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Valutazione dei fattori di stress durante il trasporto degli avicoli Sul sito dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie è stata recentemente pubblicata un’interessante valutazione dei fattori di stress durante il trasporto degli avicoli. Il trasporto pre-macellazione rappresenta per gli avicoli un evento estremamente stressante che produce un significativo livello di sofferenza, fino a provocare la morte in alcuni casi. Tra i fattori che possono influire in misura variabile sulla mortalità vi sono i traumatismi dovuti alla fase di carico, il caldo e il freddo, la scarsa circolazione dell’aria all’interno degli alloggiamenti più interni del camion e infine la limitata possibilità di movimento. I ricercatori della SCS4 – Epidemiologia veterinaria dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie hanno condotto uno studio sul benessere animale (RC 07/12), finanziato dal Ministero della Salute, con l’obiettivo di identificare i fattori di rischio di mortalità durante il trasporto al macello di tacchini e galline ovaiole, e approfondire l’impatto delle dimensioni degli alloggiamenti nei tacchini. Lo studio è suddiviso in due parti: 1. Studio retrospettivo sui fattori causa di mortalità in tacchini e ovaiole; 2. Studio sperimentale sull’impatto delle dimensioni degli alloggiamenti. •

L’analisi è accessibile al link: www.izsvenezie.it/valutazione-fattoristress-durante-trasporto-avicoli

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EFA News – European Food Agency, la prima agenzia giornalistica interamente dedicata all’informazione nel settore dell’industria agroalimentare in Italia e in Europa Presentata ufficialmente lo scorso maggio all’interno di Tuttofood dal presidente di Federalimentare Luigi Scordamaglia, EFA News – European Food Agency è la prima agenzia giornalistica interamente dedicata all’informazione nel settore dell’industria agroalimentare in Italia e in Europa. Si tratta di una testata indipendente, fruibile solo con abbonamento, promossa da un gruppo di giornalisti esperti nel food e nelle nuove tecnologie. L’industria del cibo in Italia rappresenta la seconda voce del PIL manifatturiero, con un fatturato complessivo di oltre 132 miliardi di euro, quasi 7.000 aziende e circa 385.000 addetti. Nell’UE l’industria alimentare è addirittura la prima voce del prodotto interno lordo continentale. Eppure nel dibattito pubblico il cibo è quasi sempre considerato una commodity, oppure parte di un variegato mondo che comprende di un mix di alta cucina, chef improvvisati, trasmissioni variegate. O, peggio, a volte diventa terreno di scontri ideologici, se non fonte di allarmi sociali per le problematiche relative alla salute e alla sicurezza alimentare. Si è creato un gap oggettivo di comunicazione tra produttori, forse troppo concentrati solo sui messaggi promozionali e meno su quelli reputazionali, e i consumatori sempre più disorientati. EFA News vuole colmare questo vuoto, offrire una visibilità efficace per il food made in Italy nel panorama europeo, diventare fonte autorevole e punto di riferimento per gli operatori dei media, non solo specializzati, oltre che di tutti gli stakeholder del settore. I servizi informativi offerti da EFA News, basati sulla specificità delle tematiche trattate, portano evidenti vantaggi in termini di costi/efficacia. Ricorrere ad una qualsiasi agenzia di stampa non specializzata per ottenere le stesse informazioni significa affrontare costi estremamente più elevati, essere costretti a filtrare le notizie di interesse separandole da quelle concernenti tutti i restanti settori con evidente perdita di tempo e praticità di impiego e, inoltre, rinunciando ad una descrizione e ad un’analisi fortemente basata su criteri di competenza del settore e perciò precisa e affidabile. Le informazioni ed i contenuti prodotti vengono diffusi nel nostro paese e all’estero per mezzo dei siti web: Efanews.eu, del canale video Youtube, delle pagine Facebook, Twitter, Google Plus e mediante servizi informativi consolidati come Google News. >> Link: www.efanews.eu

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COMUNICARE LA CARNE

Come può il settore zootecnico contrastare le notizie negative? Ecco un caso di manipolazione dell’informazione negli Stati Uniti. Come è stato affrontato e cosa hanno imparato i comunicatori del settore carne

S

empre più di frequente e in tutto il mondo, Italia compresa, il settore zootecnico viene preso di mira dai media, stampa, TV e web, che, spesso senza prove concrete e in maniera indiscriminata, lanciano accuse sui sistemi di allevamento e sul modo di trattare gli animali. Ma quando un grande giornale pubblica un articolo che mette sotto accusa il settore, qual è il modo migliore per rispondere? JENNIFER TIREY, direttore esecutivo della Illinois Pork Produc-

ers Association (www.ilpork.com), si è trovata ad affrontare una sfida simile nell’agosto del 2016, quando il CHICAGO TRIBUNE pubblicò una serie di articoli chiamata “The price of Pork”. “Negli ultimi anni sono stati costruiti, in tutto l’Illinois, centinaia di luoghi di reclusione per i maiali — si leggeva nei sottotitoli —, sistemi simili a fabbriche, finalizzati all’allevamento di milioni di suini e alla produzione di pancetta poco costosa. Un’indagine del TRIBUNE ha permesso di scoprire che la carne a

basso costo viene prodotta a scapito delle comunità rurali”. Tirey, che in occasione dell’Animal Agriculture Alliance Stakeholders Summit, svoltosi nel Missouri a maggio, è stata la portavoce di un gruppo specializzato in “comunicazione di crisi”, ha dichiarato che è rimasta scioccata nel vedere come spesso le storie negli articoli del TRIBUNE fossero state presentate in maniera unilaterale, malgrado il lavoro fatto nei mesi precedenti con quegli stessi giornalisti per

Uno scatto del Chicago Tribune all’interno di un allevamento di suini nello stato americano dell’Illinois (photo © ChiTribPhoto).

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assicurarsi che l’industria suinicola avesse il dovuto spazio. «Nonostante il risultato negativo, però, quello che è accaduto è stato utile perché gli sforzi collettivi delle organizzazioni suinicole locali e nazionali, e quelli dei produttori di carne di maiale dell’Illinois, hanno contribuito a portare la questione al di fuori delle mura del TRIBUNE». Tirey, insieme a CINDY C UN NINGHAM, assistente vicepresidente delle comunicazioni per il National Pork Board (NPB), e PHIL BORGIC, di Borgic Farms Inc., allevamento rurale dell’Illinois, hanno spiegato al Summit dello scorso maggio tutta la questione nei dettagli, come è stata creata una risposta ad hoc e come di fatto la serie di articoli non fosse riuscita a destare l’interesse sperato non solo a livello nazionale, ma nemmeno locale. La storia Il progetto alla base della pubblicazione della serie “The price of Pork”. era iniziato nell’autunno 2015, quando DAVID JACKSON e GARY MARX, due giornalisti del CHICAGO TRIBUNE, avevano contattato la Illinois Pork Producers Association per discutere di una storia su cui stavano lavorando. Il tema era il controllo locale dell’allevamento di suini, delle pratiche di benessere, dell’ambiente e dei vantaggi/svantaggi legati all’aumento dei contratti. I giornalisti non avrebbero accettato un “no” alla loro richiesta e quindi Tirey lavorò con loro mettendoli in contatto con diversi allevatori, come Borgic. L’allevatore riferì di aver trascorso molto tempo con i giornalisti in occasione di una fiera, discutendo insieme dell’industria locale e di come le moderne tecniche intensive avessero creato un’industria più

produttiva: i giornalisti visitarono l’azienda due volte. Nonostante la sua disponibilità, Borgic non fu mai citato nei quattro articoli principali, pur giocando un ruolo centrale nella spiegazione degli stalli da gestazione, tema trattato nei contenuti supplementari. Secondo Tirey i giornalisti avevano “spinto” sul fattore “paura”, il che avrebbe stimolato il legislatore a danneggiare l’industria locale del maiale e allontanato i consumatori dai prodotti suinicoli. I giornalisti avevano assicurato in precedenza che il loro intento era quello di lavorare con l’associazione di produttori per raccontare una storia “equilibrata”. E l’associazione, infatti, aveva condiviso con loro i dati dell’industria suinicola, facendo riferimento sia alle questioni economiche che al supporto ai banchi alimentari. Ogni volta che venivano presentati aspetti negativi venivano contrapposti fattori positivi. Data la delicatezza dei temi trattati e la possibilità di essere messe sotto accusa, le organizzazioni suinicole non avevano lasciato nulla al caso e, con l’aiuto del National Pork Producers Council (NPPC), che ha come scopo la promozione del settore, Tirey aveva sviluppato un sofisticato piano per limitare eventuali danni legati alla disinformazione. Il piano prevedeva: 1. il coinvolgimento di fonti dirette rappresentate dai produttori, come Borgic, nonché funzionari statali e rappresentanti delle organizzazioni; 2. la preparazione di una serie di video da condividere sui social il giorno di uscita degli articoli; 3. contattare i legislatori prima della pubblicazione evidenziando il valore dell’industria in termini

Noi sappiamo come vengono allevati i nostri animali e dobbiamo comunicare ai consumatori le motivazioni delle nostre scelte allevatoriali. Affrontiamo i problemi della biosicurezza, quindi non possiamo portare un intero pullman pieno di persone nei nostri allevamenti, ma possiamo utilizzare il web e raggiungere così tantissimi utenti

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“pubblici” e invitarli a visitare gli allevamenti; 4. portare i professionisti delle pubbliche relazioni negli allevamenti, per formare i produttori stessi su come approcciare la stampa e cosa scrivere in caso di campagne di tipo giornalisticoeditoriale. La chiave di tutto è la trasparenza «Questo è ciò che dico ai miei produttori dell’Illinois: non possiamo lavorare a vuoto. Dobbiamo andare avanti. Noi alleviamo i nostri animali in casa, ma dobbiamo dire ai nostri consumatori come e perché. Affrontiamo i problemi della biosicurezza, quindi non possiamo portare un intero pullman pieno di persone nei nostri allevamenti, ma possiamo utilizzare internet e raggiungere così tantissimi utenti» ha detto Tirey. «Ci sono molti modi diversi per condividere queste informazioni, ma noi dobbiamo essere sempre trasparenti perché abbiamo dimostrato di essere in grado di neutralizzare le false notizie; inoltre, siamo stati in grado di formare partenariati e collaborazioni e siamo riusciti a imparare da questa esperienza». Gli effetti della campagna denigratoria Alla fine gli articoli non hanno avuto la risonanza prevista. Secondo Borgic il quotidiano più influente della regione, e uno dei più grandi del paese, aveva investito centinaia di ore di lavoro e molta fatica nel realizzare l’inchiesta, ma probabilmente la tempistica non era stata adeguata. Nei giornali, nell’agosto 2016, molto spazio era infatti stato dato ai Giochi Olimpici, alla vivace campagna presidenziale e ad altre storie probabilmente più importanti. Questo potrebbe essere uno dei fattori che ha influenzato negativamente l’impatto degli articoli sui lettori. Cindy Cunningham ha confermato che un’analisi completa sui social media ha mostrato che i pezzi avevano avuto poca influenza sia localmente che a livello nazionale. Ad esclusione dei social media direttamente collegabili al CHICAGO TRIBUNE, gli articoli non erano

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Suini in allevamento nell’Illinois (photo © chicagotonight.wttw.com). stati ripresi da altri, e l’argomento trattato non risultava nei trend topic del settore suinicolo. E, sempre secondo la Cunningham, tutto ciò potrebbe essere stato il risultato della campagna social media organizzata come risposta. Sempre secondo la Cunningham questo comunque è stato un evento particolare perché, di fatto, l’indagine giornalistica ha richiesto 9 mesi di lavoro. Spesso nelle situazioni di comunicazione di crisi ci sono solo poche ore per creare una risposta adeguata. Cosa fare per il futuro? Indipendentemente da quello che è accaduto, l’esperienza ha permesso di capitalizzare una serie di esperienze utili per il futuro:

• il “no” non è un’opzione da considerare: in una situazione in cui i giornalisti lavorano su una storia, e c’è una forte possibilità che l’industria venga presentata in una luce non positiva, negare le interviste o ignorare le richieste dei media non è una strategia vincente; • essere trasparenti e raccontare il proprio punto di vista: quando si lavora con i media, l’industria ha il dovere di raccontare il proprio punto di vista e di rappresentarlo positivamente. In caso contrario c’è la forte possibilità che non sarà affatto riportato; • collaborare: quando bisogna fronteggiare un articolo negativo è opportuno lavorare con le

Anche dopo la pubblicazione di un articolo negativo, o la trasmissione di un servizio, ci sono forti probabilità che gli stessi giornalisti continuino a interessarsi all’argomento e ad interagire con gli stessi attori del settore. Piuttosto che essere scontrosi è meglio quindi essere sempre educati, positivi e disposti alla condivisione

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organizzazioni del settore per formulare una risposta unica e intelligente. Non è facile trovare spazio per tutti, ma l’obiettivo finale deve essere quello di creare una reputazione e una credibilità collettiva del settore; • non ingigantire la storia: se c’è una storia negativa che circola, non è necessario condividerla e renderla peggiore di quanto già sia; • post valutazioni: dopo la pubblicazione o la trasmissione di una notizia, gli attori devono riflettere su cosa è andato bene e cosa poteva andare meglio. Una semplice riflessione fatta ora sarà utile in futuro; • essere gentili e disponibili: anche dopo la pubblicazione di un articolo negativo, o la trasmissione di un servizio, ci sono forti probabilità che gli stessi giornalisti continuino a interessarsi all’argomento e ad interagire con gli stessi attori del settore. Piuttosto che essere scontrosi è meglio quindi essere sempre educati, positivi e disposti alla condivisione. (Fonte: WattAgNet – UNAItalia)

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COMMERCIALIZZAZIONE

La valorizzazione della carne di ungulati selvatici sul mercato Uno studio di marketing dell’Università di Milano valuta le possibilità commerciali di questo prodotto di nicchia di Giulia Mauri

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UGENIO DE MARTINI, economista del VESPA (Dipartimento di Scienze veterinarie per la salute, la produzione animale e la sicurezza alimentare) dell’Università di Milano, è intervenuto alla giornata organizzata a Bologna dalla Regione Emilia-Romagna “Risorsa selvaggina, fra ecopatologia, biorischi e sicurezza alimentare”. De Martini ha parlato della valorizzazione

economica delle carni di ungulati selvatici presentando un’analisi dei consumatori e del mercato. «In Italia gli ungulati selvatici sono un paradosso: da specie a rischio di estinzione sono divenuti in pochi decenni una specie problematica per la viabilità, l’agricoltura e la biodiversità, e oggi dobbiamo trovare una soluzione efficiente e di costo non elevato per gestirli».

La valorizzazione e commercializzazione delle loro carni può essere una buona soluzione. Il VESPA ha condotto un’indagine di mercato su cittadini milanesi, che si sono mostrati ben disposti al consumo di carne di ungulati selvatici; anche se meno verso la caccia in sé. Si tratta del solito controsenso dei consumatori, che spesso non si pongono domande approfondite o articolate

Secondo i risultati dell’indagine del VESPA, le carni di ungulati selvatici hanno buone chances commerciali. Esse rispondono infatti alle richieste dei consumatori odierni: carne rossa“sana”con ottima qualità nutrizionale, benessere animale “garantito” e impatto ambientale ridotto dall’assenza di trasporto (photo © HLPhoto – stock.adobe.com).

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Cacciatore (photo © Lunghammer – stock.adobe.com). sull’origine dei prodotti che acquistano. «Il fatto è che c’è un differente livello di fiducia verso i cacciatori (poca fiducia) e il prodotto di carne di selvaggina (elevata fiducia); ma non bisogna demoralizzarsi, una situazione analoga si ha nei confronti degli allevatori (elevata fiducia) e dei caseifici (ridotta fiducia)», ha spiegato De Martini.

Secondo i risultati dell’indagine, le carni di ungulati selvatici hanno buone chances commerciali; si tratta infatti di carni che rispondono alle richieste dei consumatori odierni: carne rossa “sana” e con ottima qualità nutrizionale; benessere animale “garantito” perché non si presenta il problema della qualità della stabulazione, della routine

Esistono dei margini per costituire una filiera della carne di ungulati selvatici, così come esistono delle criticità, che De Martini ha individuato nella reputazione dei cacciatori e nella qualità e quantità delle carni che raggiungono il mercato. Il cacciatore deve essere adeguatamente formato per riuscire a raccogliere il consenso dei consumatori e la formazione dei venditori va approfondita

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di allevamento e delle operazioni al macello; l’impatto ambientale è ulteriormente ridotto dall’assenza di trasporto poiché si tratta di carne a carattere locale, valorizzata nel termine km 0. Questo è l’aspetto più importante di tutti: il fatto di essere un prodotto locale comporta un’elevata fidelizzazione del consumatore. «Per tutte queste caratteristiche, il prezzo della carne di ungulato selvatico oggi è molto sotto stimato sul mercato; potrebbe spuntare prezzi ben più alti se avesse una filiera organizzata che la producesse con regolarità e la commercializzasse». Al momento invece reperire questo tipo di carne in negozio è quasi impossibile, disponibile solo presso i ristoranti di montagna. In alcuni punti vendita è possibile reperire carne di cervo o di capriolo, come anche di cinghiale, ma resta un’eccezione. E poi oggigiorno si tratta di prodotti provenienti dall’estero quasi per la loro totalità. Inoltre, si tratta di carne di esemplari allevati e — come ROBERTO BARBANI dell’AUSL di Bologna ha esposto nel corso della giornata — le caratteristiche nutrizionali della carne di selvatici allevati si avvicinano più a quelle delle specie domestiche allevate in sistema intensivo piuttosto che alle carni di selvatici cacciati in natura. Tuttavia, non è possibile specificare in etichetta le caratteristiche specifiche del prodotto ottenuto con la caccia in quanto al momento non c’è alcuna tabella ufficiale cui fare riferimento. Il successivo passo dell’indagine di marketing del VESPA è stato domandarsi se ci siano una reale fattibilità commerciale e un mercato in grado di assorbire l’offerta. La fattibilità commerciale poggia su due pilastri: una quantità di carni sufficiente da piazzare sul mercato e una qualità adeguata agli standard che una vendita organizzata richiede. Secondo uno studio pubblicato nel 2010 da RAMANZIN et al. si può stimare un consumo annuo di un etto per ciascun cittadino italiano, quindi la carne di ungulati

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selvatici potrebbe coprire lo 0,14% del consumo totale di carne nel Paese. Di conseguenza, si tratta di un prodotto che rimane di “supernicchia”, che è opportuno vendere in gastronomie di lusso. Quanto alla qualità delle carni, questo resta il tasto dolente: perché è difficile garantire il rispetto continuativo di uno standard qualitativo elevato e perché è ancora piuttosto lunga la strada della formazione che deve essere percorsa da molti cacciatori (da indagini effettuate in Val d’Ossola). Quanto infine ai ricavi: secondo l’indagine presentata da De Martini si ha una crescita molto elevata del valore della carne nel passaggio dal cacciatore al ristoratore, ma non trascurabile nel passaggio fra il cacciatore e il macellatore che la rivende al pubblico. Se il cacciatore vende la carne di ungulati selvatici a 6 €/kg al trasformatore, riesce a non avere più sprechi e a finanziare la sua passione venatoria. Il macellatore con punto vendita al dettaglio può spuntare un prezzo che va da 9,8 a 19 €/kg. «Questi prezzi non lo rendono ricco, ma certamente il prodotto amplia l’offerta e fidelizza molto i clienti», ha detto De Martini. Infine, il ristoratore vende i piatti a base di carne di ungulato fino a 51,2 €/kg «se la carne è di buona qualità e gli permette di preparare carpaccio o straccetti (e non solo brasato, salmì e ragù): lui sì che riesce a ottenere una grande valorizzazione della carne». Dunque esistono dei margini per costituire una filiera della carne di ungulati selvatici. Naturalmente esistono anche delle criticità, che De Martini ha individuato nella reputazione dei cacciatori e nella qualità e quantità delle carni che raggiungono il mercato. Il cacciatore deve essere adeguatamente formato perché solo così riuscirà a raccogliere il consenso dei consumatori. Anche la formazione dei venditori va approfondita poiché il prodotto rimarrà sempre di nicchia e quindi dovrà presentare sempre caratteristiche adeguate. Giulia Mauri

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INTERVISTE

Dieci domande a Giuliano Marchesin Informazione, etichettatura, benessere animale… La redazione di Eurocarne ha parlato con il direttore dell’associazione produttori Unicarve per capire dove è diretta la zootecnia

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ltre 800 allevamenti associati, 19 macelli certificati, un centinaio di punti vendita qualificati e più di 280.000 bovini prodotti. UNICARVE è più di un’associazione di produttori di bovini da carne: negli ultimi anni ha dimostrato di saper fare innovazione e informazione e, soprattutto, ha dimostrato di voler puntare alla filiera italiana come punto di riferimento per la zootecnia bovina da carne a livello regionale, nazionale ed europeo. Per raggiungere gli obiettivi, UNICARVE ha messo in campo diversi progetti per la commercializzazione (Lo Scrigno delle Carni, su tutti) e ha sottolineato il suo impegno verso l’adozione di sistemi di certificazione della carne che si spingono ben oltre i criteri europei facoltativi di etichettatura: il marchio “Sigillo Italiano”, il Sistema di Qualità Nazionale (SQN), e la certificazione Qualità Verificata. Per capire dove è diretto il settore abbiamo parlato con il direttore di UNICARVE, GIULIANO MARCHESIN. Marchesin, cosa manca per far decollare definitivamente la filiera corta della carne italiana? «Al Nord la filiera corta si pratica praticamente dappertutto. In Veneto abbiamo aziende come il Gruppo Colomberotto, che poi è anche il secondo a livello italiano in termini di macellazione. Ecco, quell’azienda è sinonimo di filiera corta, ha messo in campo due organizzazioni (Vitellone di Marca e Vitello di Marca, Ndr) ed è una delle eccellenze del settore».

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Il direttore del Consorzio Italia Zootecnica e Unicarve, Giuliano Marchesin, con Giuseppe Cruciani, conduttore radiofonico de “La Zanzara” su Radio 24, insieme ad un incontro dello scorso febbraio organizzato da Carneitaliana.it in difesa della carne. A fare il contraddittorio c’era Giulia Innocenzi, giornalista televisiva e autrice del libro “Tritacarne”. Resta un tema storico: a quando una filiera 100% italiana? «Diciamo che la filiera attuale

si compone di giovani vitelli che arrivano dalla Francia. Siamo dipendenti per la fornitura di ristalli,

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ma il nostro obiettivo è sempre raggiungere una filiera 100% italiana. Siamo al lavoro con ARAV (Associazione Regionale Allevatori del Veneto) per far nascere vitelli da vacche da latte con incroci da carne; non è facile, ma c’è già un’ottima collaborazione di base con gli allevatori regionali». Perché lo Scrigno delle Carni è stato fermato? «Il progetto prevedeva l’invio a domicilio di 5 kg di carne già tagliata e pronta da cucinare, confezionata in skin, da ordinare on-line direttamente dagli allevatori italiani. Siamo partiti nel 2007, la crisi è arrivata nel 2008 e nel 2009 il consumatore era ormai spaventato. Sono diminuiti i volumi d’acquisto, il consumatore ha iniziato a comprare carne in piccole quantità, ma gli sprechi sono comunque aumentati». Il sistema era valido, però. Lo è tuttora. «Lo skin, è la mia opinione, è destinato a sostituire l’ormai canonica atmosfera protettiva ATM. Il sistema di sottovuoto spinto con pellicola permette di conservare la carne in frigo fino quasi 30 giorni, quindi si poteva arrivare anche a consumare tutti i 5 kg di carne prima di dover congelare il contenuto». Così si garantisce il risparmio e un consumo consapevole. «È un sistema nato per abbattere gli sprechi: siamo in cerca di uno sviluppatore per riproporre il progetto, sulla scia di quanto sta succedendo di recente su scala più ridotta. Ci sono piccole aziende che forniscono carne a gruppi di acquisto solidale con lo stesso sistema, c’è margine di miglioramento». La rivoluzione dei consumi di carne può ripartire dall’acquisto on-line? «È presto per dirlo. Il sistema skin può essere effettuato a livello artigianale e industriale con volumi importanti. Il sistema consentirebbe al consumatore una scelta più libera, ma le macellerie farebbero fatica a mettere in campo questo tipo confezionamento perché i costi delle

attrezzature e dell’informazione al consumatore sono elevati». Bisogna cambiare la cultura del consumo. «Esatto. Faccio un esempio pratico: chi compra oggi carne è abituato a vedere nel prodotto un colore rosso acceso. Con il confezionamento in skin manca l’ossigeno e la carne si scurisce. È un dettaglio che non influisce in alcun modo su sapore e consistenza, è solo vantaggioso perché si evitano gli sprechi. Ma convincere i consumatori della bontà di un cambiamento, per quanto possa sembrare ovvio, non è mai stato affare di pochi giorni».

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Etichettatura, sigilli, marchi di qualità. Il futuro della carne italiana è davvero nei bollini? «Il futuro è nella comunicazione. Il nostro progetto di dare un marchio alla carne è l’unico modello che prevede un contatto reale con il consumatore. Del resto una Ferrari senza lo stemma sarebbe davvero la stessa cosa? Con “Sigillo Italiano” vogliamo sviluppare una forma di comunicazione in cui non ci sia più bisogno di leggere un’etichetta minuscola e cancellata dall’umidità, basterà vedere un marchio per capire cosa si sta comprando». Un vero sigillo, come per il vino. «Bisogna sottolinearlo: intorno al marchio “Sigillo Italiano” si gioca la sfida della zootecnia del nostro Paese. Produciamo la metà di quello che consumiamo. Se vai in macelleria, una bistecca su due è straniera, ma nessuno lo sa e ancora di meno lo dice. È assurdo andare in un ristorante e non sapere da dove viene la carne che si sta per mangiare. Chiedere da dove arriva la bistecca non deve essere più un disagio o un segreto. In Francia è così da 15 anni ormai». Direttore, lei che carne sceglie a tavola? «Questa è facile. Spezzatino con polenta, piccante quanto basta. Il taglio: sempre e solo fesone di spalla, il più economico, il più buono». (Fonte: Eurocarne News www.eurocarne.it)

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INDAGINI

Dal Censis l’identikit del nuovo consumatore “tipo” della ripresa economica

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el primo trimestre 2017 i consumi complessivi delle famiglie hanno registrato l’incremento sul trimestre precedente più alto dal 1999 (+1,3%) e l’incremento annuo più alto dal 2011 (+2,6%). Torna a crescere la spesa, dunque, ma il consumatore uscito dalla crisi non è più lo stesso; anzi, è molto cambiato. Oggi è iperinformato, infedele al punto vendita, scaltro combinatore di canali d’acquisto diversificati, attento non solo al prezzo, amante di consumi salutisti, etici, di pregio. Unica invariante: la distribuzione moderna organizzata (supermercati, ipermercati, centri commerciali, grandi magazzini e grandi superfici specializzate) resta il luogo d’elezione dove fare la spesa, dall’alimentare all’abbigliamento, dall’arredamento al bricolage e giardinaggio, profumeria e cosmetica. Infedeli Il 60,3% delle persone che si rivolgono alla distribuzione moderna organizzata per fare la spesa alimentare è infedele sia al punto vendita sia all’insegna della catena: acquista dove più conviene. La quota di infedeli sale al 74,7% nell’abbigliamento, calzature, accessori, al 72,2% nell’arredamento, al 70% nell’elettronica e telefonia, e resta comunque alta nel bricolage e giardinaggio (64,2%), nella cosmesi, profumeria, igiene personale (63,2%), nelle attrezzature sportive (59,9%) e nei prodotti per la casa (58,6%). Iperinformati Sono 31,7 milioni gli Italiani maggiorenni che nell’ultimo anno hanno letto i giudizi sui prodotti nei social network e nei blog per decidere se e cosa acquistare (10,7 milioni lo fanno regolarmente). Il consumatore diventa esso stesso produttore di informazioni, con 20,4 milioni di Italiani (6,2 milioni regolarmente) che hanno pubblicato post su siti web o social network con commenti personali o con il racconto di proprie esperienze relative a prodotti, spese, luoghi della grande distribuzione. Il nuovo consumatore è un abile utilizzatore sia dei canali informativi tradizionali, sia di quelli digitali, con 46,8

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milioni di Italiani (29,7 milioni regolarmente) che nell’ultimo anno sono venuti a conoscenza di promozioni e offerte dai volantini cartacei e 26,7 milioni (10,7 milioni regolarmente) da app scaricate sugli smartphone. Scaltri combinatori di canali di acquisto Sono 30,5 milioni gli Italiani (8,8 milioni regolarmente) che, nell’ultimo anno, hanno visto o verificato un prodotto nei negozi fisici e poi lo hanno acquistato sul web. Sono 19,6 milioni (5,4 milioni regolarmente) quelli che hanno ordinato prodotti tramite il web e poi li hanno ritirati presso il punto vendita. Sono 14,4 milioni (5,7 milioni regolarmente) quelli che si sono fatti consegnare la spesa a casa dopo averla ordinata per telefono o sul web. E poi 46,6 milioni di Italiani (24,5 milioni regolarmente) hanno fatto lo shopping classico, guardando le vetrine e recandosi nei negozi. Sono indicatori di una sapiente combinazione di fisico e virtuale che fa saltare le mura dei punti vendita e potenzia le facoltà individuali di valutazione e scelta. GDO La soggettività nomadica, sfuggente, scaltra, pronta a giocare su più tavoli, del nuovo consumatore trova nella distribuzione moderna organizzata il punto di riferimento per diverse ragioni. Innanzitutto per la convenienza, visto che il 91% degli Italiani (il 94,6% tra le persone a basso reddito) ritiene importante poter fare la spesa in questi punti vendita per preservare il proprio tenore di vita (senza la convenienza della grande distribuzione, per il 25,9% il proprio tenore di vita sarebbe crollato in questi anni di crisi: qui hanno trovato il loro welfare dei consumi). Risponde alle nuove esigenze di consumi salutisti, etici e di qualità, visto che 46,1 milioni di Italiani (17 milioni regolarmente) acquistano nei supermercati prodotti DOP e IGP, 39,8 milioni (13,5 milioni regolarmente) i prodotti biologici (carne, frutta e verdura), 38,6 milioni (9,4 milioni regolarmente) i prodotti alimentari del commercio equo e solidale, 25 milioni (8,7 milioni

Poter scegliere in modo sempre più informato per consumi personalizzati: è questo il futuro del consumo a cui deve rispondere la distribuzione moderna organizzata 4.0

regolarmente) prodotti per particolari esigenze (gluten free o per l’infanzia), 31,7 milioni (5,9 milioni regolarmente) prodotti etnici. E vanno bene anche per i prodotti di gamma medio-alta, su cui spendere qualche euro in più, visto che 42,2 milioni di Italiani (12,9 milioni regolarmente) acquistano nei supermercati vini e formaggi pregiati. Il punto vendita del futuro Le aspettative degli Italiani per il futuro puntano ad avere punti vendita della Grande Distribuzione con nuovi prodotti e servizi a prezzi competitivi (farmaci, carburanti, polizze assicurative: secondo il 43,8%), coupon personalizzati da scontare subito alla cassa (42,3%), personale preparato e disponibile che aiuti a capire e scegliere velocemente (33,3%), modalità più rapide e semplici di pagamento (29,2%), orari di apertura più flessibili e prolungati (sera tardi, domeniche, festivi: 25,9%), offerte personalizzate recapitate in tempo reale sullo smartphone (21,4%), disponibilità di servizi utili (posta, banca, lavanderia: 21,1%), il wi-fi (17,8%). Poter scegliere in modo sempre più informato per consumi personalizzati: è questo il futuro del consumo a cui deve rispondere la distribuzione moderna organizzata 4.0. (Fonte: Censis) Nota A pagina 54 un bellissimo e biondissimo consumatore del futuro. Come si comporterà? Quali strumenti utilizzerà per approcciare le proprie decisioni di spesa? Oggi si sta ragionando molto per captare i modelli di acquisto dei prossimi anni (photo © Maria Sbytova).

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MERCATI

La Serbia ha un nuovo marchio di qualità per le carni La Srpski Kvalitet, ispirata alla Label Rouge francese, ha lo scopo di elevare la qualità e favorire la riconoscibilità del prodotto nazionale. Il settore delle carni attira investimenti esteri di Roberto Villa

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opo lunghi anni durante i quali la Serbia è stata mercato di importazione di carni provenienti dall’estero, spesso anche da oltreoceano (Brasile e Argentina in primis), i produttori di carne nazionali hanno deciso di riunirsi in un’associazione e di contrastare questa tendenza. La Serbian Meat Quality Association è nata alla fine del 2016 dopo un percorso di due anni, iniziato nel 2014, quando un gruppo di produttori di carni visitò dei colleghi francesi aderenti al circuito Label Rouge, lo

storico marchio di qualità nato nel 1980, per capire il funzionamento del sistema e riprodurlo anche nel proprio territorio. Il viaggio di studio, organizzato dalla FAO e dalla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo nell’ambito di un progetto pluriennale per il miglioramento delle condizioni produttive e della redditività del settore agroindustriale serbo, ha dato i suoi frutti grazie all’interesse mostrato dai rappresentanti locali, che si sono riuniti ed hanno fondato l’associazione, la quale ha promosso, presso il mini-

stero competente, il riconoscimento del marchio di qualità. L’etichetta Serbian Quality – Srpski Kvalitet è stata inaugurata ufficialmente il 22 maggio scorso a Belgrado dal ministro dell’Agricoltura e della Protezione ambientale, BRANISLAV NEDIMOVIĆ: durante la conferenza di presentazione è stato annunciato che già otto prodotti sono stati ammessi all’utilizzo dell’etichetta. Le aspettative sono elevate ma certo ci vorrà del tempo a costruire l’immagine di affidabilità che Label Rouge ha saputo conquistarsi

La conferenza stampa di presentazione del nuovo marchio nazionale “Serbian Quality” si è tenuta lo scorso 22 maggio a Belgrado (photo © www.diplomacyandcommerce.rs). 56

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Il settore delle carni serbo è molto appetito da investitori esteri, imprese europee ed asiatiche. in Francia presso i consumatori, tuttavia i produttori sono convinti che i benefici non tarderanno ad arrivare: se il settore delle carni ha fatto da apripista, ora anche altri settori dell’agroindustria sono pronti a seguirne l’esempio. E gli orizzonti non sono solamente quelli della difesa delle produzioni locali contro le importazioni a basso prezzo, anzi, si intravede la possibilità nel medio periodo di promuovere il marchio anche al di fuori dei confini nazionali, magari nell’Unione Europea alla quale la Serbia aspira ad unirsi. La situazione del mercato serbo delle carni: tra mercato nero e investimenti esteri Prima che l’effettiva adesione all’Unione Europea diventi realtà alcune storture dovranno essere sanate, in primo luogo quella delle macellazioni clandestine: stime rivelate da TIBOR SIMONKA, direttore generale della società slovena Perutnina Ptuj operante nel settore avicolo, riferiscono che, sui 130 macelli esistenti, solo 40 sono registrati e quindi sottoposti alla vigilanza sanitaria e all’imposizione fiscale, creando una concorrenza sleale e mettendo talora a rischio la salute dei consu-

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matori. Proprio Perutnina Ptuj ha tuttavia intenzione di espandere le proprie attività in Serbia con l’ampliamento dello stabilimento di Backa Topola, nel nord del paese balcanico, non solamente sul fronte della maggiore capacità di macellazione, ma anche estendendo le potenzialità dell’allevamento. Il settore delle carni serbo è peraltro molto appetito da investitori esteri: oltre alla già citata società slovena, anche altre imprese europee ed asiatiche si sono interessate negli ultimi anni a questo settore produttivo. Nel 2015 l’austriaca Gerlinger ha acquisito Mitros, azienda ubicata a Sremska Mitrovica operante nel settore della macellazione e trasformazione di carni suine, per rilanciarne l’attività fino ai 1.000 capi macellati alla settimana e incrementando l’organico degli addetti, con il plauso delle autorità locali che hanno visto il rilancio della filiera suinicola locale. Entro il 2017 entrerà a regime il piano di investimenti della serba Neoplanta con il sostegno di capitali cinesi della Chinese Engineering Machinery Corporation (CMEC) per ampliare la capacità di allevamento e macellazione di suini e avicoli.

Data al 2015 il progetto di Tönnies, la grande impresa tedesca con sede a Rheda-Wiedenbrück (otto stabilimenti di macellazione e trasformazione in Germania ed uno in Danimarca), di investire nel settore suinicolo in Serbia con la creazione di venti allevamenti avanzati anche dal punto di vista ambientale, ciascuno con una potenzialità di 65.000 capi da macello all’anno. Il progetto, per il quale è previsto un investimento di circa 400 milioni di euro con il coinvolgimento attivo del governo serbo per l’individuazione delle aree, sta procedendo secondo i piani. Nell’estate del 2016 il primo ministro ALEKSANDAR VUCIC, in visita in Germania, ha incontrato direttamente il titolare CLEMENS TÖNNIES per discutere sullo stato dell’importante progetto di sviluppo. La visita è stata ricambiata a fine settembre in territorio serbo. Nel rapporto Global Economic Perspectives, emesso nel giugno 2017, la Banca Mondiale ha confermato che le prospettive di crescita dell’economia serba sono incoraggianti: previsto un +3,0% del PIL nel 2017 e un +3,5% sia nel 2018 che nel 2019. Roberto Villa

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Le vendite on-line delle carni in Cina sono in crescita Il mercato dei cibi on-line, che è già il più grande del mondo in termini di valore, raddoppierà entro il 2020 e sarà pari al 7% del mercato di Roberto Villa

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produttori e la filiera della distribuzione degli alimenti in Cina non possono non fare i conti con un fenomeno che in pochi avrebbero osato prevedere: anche in virtù dell’ampiezza del mercato, le vendite on-line di alimenti sono già oggi le più alte del mondo espresse come valore monetario normalizzato e la tendenza è improntata al rialzo, tanto che alcuni analisti prevedono possa addirittura raddoppiare entro il 2020. E-commerce al 12% degli scambi cinesi nel 2017, gli alimenti venduti on-line sono il 3% e puntano al 7% nel 2020 Oggi circa il 3% degli acquisti alimentari viene realizzato attraverso questo canale e nel giro di tre anni passeranno per la rete il 7% delle transazioni. In generale, nel 2017 le vendite attraverso il commercio elettronico per tutte le tipologie di beni e servizi è stimata al 12% del totale, una quota superiore a quella di molti paesi sviluppati. Nella seconda economia del pianeta la diffusione massiccia di

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internet, tablet e smartphone sta dando, infatti, una spinta a tutto il settore del commercio elettronico, incluso quello dei cibi; il ricorso a questi strumenti di acquisto è sempre più comune, e per certi versi di moda, tra la classe media giovane urbana, fatta di imprenditori e professionisti che vivono una vita molto frenetica e non hanno il tempo materiale di recarsi in un punto di vendita fisico, oppure preferiscono ricercare in rete cibi di qualità vedendo quello che il mercato offre. Ma non sono unicamente le regioni tipicamente più avanzate ed occidentalizzate a spingere questo nuovo mercato. Se nel 2014 la costa orientale — dove sono ubicate grandi città come Pechino, Shanghai, Tianjin e Wenzhou — rappresentava il 65% delle vendite in rete di prodotti freschi, nel 2016 tale percentuale è scesa al 40%, indice che una maggiore quota della domanda proviene dalle aree centro-occidentali e meridionali, generalmente più povere e legate all’economia agricola tradizionale. I principali siti di ven-

dite di alimenti on-line sono Tmall (www.tmall.com), controllato dal colosso dell’e-commerce Alibaba, e Jingdong (www.jd.com), ma nuovi soggetti stanno cogliendo l’opportunità di un mercato in espansione: ad esempio, il sito Bee Quick (www. beequick.cn) è specializzato nelle vendite di alimenti freschi e garantisce la consegna entro un’ora nelle città dove è presente. In crescita anche Benlai (www.benlai.com), che ha basi logistiche nelle principali città della Cina. Altri gruppi come Shunfeng e Suning hanno progetti per entrare nelle vendite on-line di alimenti. Per il futuro prossimo si prevede che le vendite in rete vengano interconnesse con altre tecnologie avanzate, quali l’intelligenza artificiale, il controllo vocale, la realtà virtuale, gli imballaggi attivi. Non è escluso che nel lasso di qualche lustro la tecnologia degli elettrodomestici consenta ai frigoriferi connessi alla rete di procedere autonomamente all’ordine degli articoli mancanti o prossimi alla scadenza, senza l’intervento dell’uomo.

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In Cina si consuma più della metà della carne suina prodotta nel mondo (photo © www.wsj.com). Cresce a tassi altissimi la carne venduta in rete, aumentano anche l’import da Oceania ed Europa e gli investimenti diretti esteri Shuanghui, il principale produttore di carni della Cina, ha siglato un accordo con Jingdong per la vendita in rete dei propri prodotti, a partire dai tagli pregiati di carne suina, la più consumata dai Cinesi; l’intenzione è quella di servire una popolazione che, oltre alla comodità dell’acquisto da casa, ricerca qualità e freschezza, mentre nella filiera della distribuzione tradizionale ci sono stati negli anni recenti molti scandali che hanno messo in luce cattiva igiene e frodi. L’ufficio stampa del sito Jingdong ha dichiarato che le vendite di carni hanno avuto un’impennata del 600% su base annua tra il 2015 ed il 2016. Anche i produttori stranieri stanno traendo vantaggio da questa esplosione delle vendite di carni in rete: Australia e Nuova Zelanda sono in prima fila per il commercio di tagli bovini ed ovini, la Danimarca per il suino (in particolare le lonze, le

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costine ed i piedini, tanto apprezzati nella cucina tradizionale cinese), la Polonia per le carni avicole. Vi sono quindi opportunità da cogliere anche per i produttori europei, visto che le carni congelate stanno accrescendo il loro peso nel commercio del grande paese asiatico. La Danimarca ha siglato a inizio maggio un accordo con la Cina per l’esportazione di carni trasformate di suino per un controvalore di 35 milioni di dollari USA e la multinazionale Danish Crown sta pianificando di costruire un nuovo stabilimento nell’area di Shanghai. Prima che lo stabilimento divenga operativo, Danish Crown esporterà attraverso la propria controllata Tulip Food e potrà saggiare le migliori alternative per raggiungere il mercato. Tale situazione favorevole per il settore della carne suina danese tiene conto del fatto che in Cina si consuma più della metà della carne suina prodotta nel mondo. Anche dalle economie asiatiche emergenti ci sono investimenti sul territorio cinese. La tailandese

Charoen Pokphand sta investendo in allevamenti suini nelle aree più povere ed agricole: dopo un allevamento capace di un milione di capi all’anno nella regione interna della Mongolia, sta progettando un allevamento da 500.000 capi annui nella contea di Men Yuan della regione occidentale semi-spopolata di Qinghai. Nonostante il rafforzamento della produzione interna, le importazioni di cibi saranno sempre più massicce, sia per la cronica deficienza nazionale di alcune tipologie, sia per la maggiore internazionalizzazione dei gusti dovuta anche alla maggiore tendenza dei cittadini Cinesi a spostarsi per turismo. Si stima che nel 2020 saranno 200 milioni i cinesi che faranno almeno un viaggio all’estero, contro i meno di 100 milioni che l’hanno fatto nel 2010. Roberto Villa Nota A pagina 60, photo © xtock–stock. adobe.com.

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Suini: prezzi e redditività I valori scendono a giugno ma rimangono più elevati rispetto al 2016. Situazione speculare nella fase di macellazione; mentre si assottiglia ancora il gap di redditività tra prosciutti Dop e generici

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a redditività dell’allevamento suinicolo è scesa a giugno dello 0,8% rispetto al mese precedente. È un calo solo su base congiunturale, perché a livello tendenziale — ovvero rispetto al giugno dell’anno scorso — la variazione dell’indice CREFIS di redditività è decisamente positiva: +14,2%. L’andamento della perfomance economica della fase di produzione risente soprattutto della dinamica dei ricavi. A giugno il prezzo medio mensile

dei suini da macello (di peso 156176 kg, quotati alla borsa merci di Modena) è stato pari a 1,633 €/kg, in calo dell’1,4% rispetto al mese precedente; anche in questo caso, però, la variazione tendenziale è positiva +19,3%. Dopo molti rialzi, restano invece stabili a giugno le quotazioni dei suini da allevamento di peso 30 kg (114,000 €/capo sul mercato di Modena). Dal lato dei costi, a giugno sono saliti i prezzi del mais nazionale

(+0,9%) e di quello comunitario (+0,7%), mentre sono scesi i prezzi dell’orzo, sia di provenienza nazionale (–7,9%) che comunitaria (–4,0%). In diminuzione, infine, anche le quotazioni della soia con valori medi mensili che si assestano a –2% rispetto a maggio. Macellazione Situazione speculare nella fase di macellazione, con la redditività che a giugno viene rilevata in aumento

Per quanto riguarda le cosce fresche pesanti destinate a produzioni tipiche, i prezzi risultano stabili rispetto al mese di maggio di quest’anno, ma molto positivi (+16%) rispetto a giugno 2016 (photo © contrastwerkstatt – stock.adobe.com).

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su base congiunturale (+2,8%), grazie anche al calo dei prezzi dei suini da macello, ma risulta decisamente peggiore rispetto all’anno scorso, tanto che l’indice Crefis su base tendenziale scende addirittura del 18%, anche a causa delle forti fluttuazioni soprattutto del prezzo dei lombi. D’altro canto, a giugno, il mercato dei tagli freschi dà segnali non univoci. Per quanto riguarda le cosce fresche pesanti destinate a produzioni tipiche, i prezzi risultano stabili rispetto a maggio (5,198 €/kg) ma molto positivi (+16%) rispetto a giugno 2016. Mentre i prezzi delle cosce fresche pesanti per prosciutti generici scendono a giugno dello 0,4%, ma risultano a +9,6% su base tendenziale. A salire nettamente, soprattutto da un punto di vista congiunturale, sono le quotazioni dei lombi taglio Modena che salgono del 4,6% (con il prezzo che sul mercato di Modena raggiunge 3,112 €/kg). Stagionatura Nel segmento della stagionatura, la redditività dei prosciutti pesanti DOP è peggiorata a giugno dell’1,5% rispetto a maggio, ma rimane positiva rispetto al 2016 (+1,7%). Al contrario, la redditività dei prosciutti pesanti non tipici è aumentata dell’1,5% su base congiunturale e risulta invece fortemente negativa su base tendenziale: –2,3%. Scende così, anche a giugno, il differenziale di redditività tra Prosciutto di Parma DOP e prosciutto generico ma il gap rimane peraltro del 33% a favore del prodotto tutelato. Per quanto riguarda il mercato dello stagionato, a giugno e rispetto a maggio, resta stabile a 10,350 €/kg il prezzo del Prosciutto di Parma pesante, ma con una variazione tendenziale nettamente in campo positivo (+14,4%). Sale infine a 13,700 €/kg il prezzo del prosciutto di San Daniele, che rispetto allo stesso periodo del 2016 fa segnare un +14,1%.

Crefis – Centro ricerche economiche sulle filiere suinicole dell’Università Cattolica del S. Cuore diretto dal professor Gabriele Canali svolge un’attività di monitoraggio e analisi delle filiere suinicole grazie al sostegno fornito dell’Assessorato Agricoltura della Regione Lombardia, Unioncamere Lombardia e della CCIAA di Mantova. Oltre a questa attività, il centro collabora attivamente su progetti specifici con diversi enti, organizzazioni, associazioni e distretti delle filiere suinicole, dai cereali ai salumi. >> Link: www.crefis.it

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SPECIALE ROYAL WELSH SHOW

Orgoglio gallese Siamo tornati al Royal Welsh Show, la grande rassegna della zootecnia gallese, tra competizioni di bestiame, eventi carnivori, grande festa e qualche timore per il futuro di Elena Benedetti

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tornata puntuale anche quest’anno la rassegna che celebra la tradizione di una professione, quella allevatoriale e agricola del Galles. Un appun-

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tamento a carattere zootecnico unico nel suo genere in Europa, che abbraccia intere famiglie e appassionati. Si tratta del Royal Welsh Show, svoltosi dal 24 al 27 luglio, a

Builth Wells, nel cuore del Galles. Durante le quattro giornate si susseguono uno dietro l’altro i concorsi di eleganza dei capi allevati, con bovini e ovini che, tirati a lucido

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per l’occasione, sfilano a fianco del loro allevatore sotto gli occhi severi del giudice, che ne valuta conformazione muscolare, muso, atteggiamento e struttura. Le stalle sono stracolme di capi di bestiame che paziente sonnecchia tra una gara e l’altra, accudito dai padroni, in una festa che contagia tutta la famiglia, tra allevatori e visitatori. Questo è un vero e proprio happening zootecnico, che racconta l’anima di un territorio da sempre vocato all’allevamento e alla coltura della terra, con passione e orgoglio. Un orgoglio che si trasmette di generazione in generazione, pur sempre tra mille problemi e timori, oggi amplificati dall’incertezza del futuro di una sempre più probabile uscita dall’UE.

In alto: il neopresidente di HCC Kevin Roberts impegnato nel discorso di benvenuto alla cerimonia di apertura del Royal Welsh Show durante la tradizionale colazione con gli allevatori. Al centro, a lato e in basso: tantissimi i concorsi delle varie razze ovine e bovine che si sono susseguiti nel corso delle quattro giornate del Royal Welsh Show, una delle più grandi fiere agricole di tutto il Regno Unito e, con buona probabilità, d’Europa.

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Questo è un vero e proprio happening zootecnico, che racconta l’anima di un territorio da sempre vocato all’allevamento e alla coltura della terra, con passione e orgoglio. Un orgoglio che si trasmette di generazione in generazione, pur sempre tra mille problemi e timori, oggi amplificati dall’incertezza del futuro di una sempre più probabile uscita dall’UE

Organizzato fin dal 1904 dalla Royal Welsh Agricultural Society, il Royal Welsh Show ogni anno attira migliaia di allevatori, oltre 7.000 capi di animai (tra bovini, ovini, suini e cavalli) e circa 200.000 visitatori. Tra gli eventi della fiera ci sono i concorsi di eleganza degli animali, le gare di tosatura delle pecore, le competizioni di horse riding, oltre all’esposizione di prodotti agricoli locali e tecnologie per la zootecnia.

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Il neopresidente Kevin Roberts ha sottolineato i successi di HCC nella promozione delle carni gallesi sui nuovi mercati esteri, citando la recente fornitura del Welsh lamb ad una rete di 300 nuovi supermercati spagnoli, oltre ad una promozione retail in Canada e a nuovi stock verso una grande catena di foodservice in Svizzera

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A sinistra: Ben Anthony, 40 anni, allevatore che conta 600 capi di ovini e 250 di replacement. Ben è molto sensibile alle nuove tecnologie che supportano l’attività zootecnica. Una di queste è un chip installato nell’orecchio dell’animale che consente di caricare parecchie informazioni sulla genetica, padre e madre, peso. Un’altra consente di tener monitorato il livello di erba nei vari pascoli per facilitare le decisioni di spostamento dei gregge da una parte all’altra. «È bello fare questo mestiere — mi dice con soddisfazione dal suo box all’interno del Royal Welsh Show — e la tecnologia oggi ci può dare una grossa mano». A destra: Robin Clwyd Ellis (qui con il figlio Tomos) alleva ovini Texel, una razza da carne molto diffusa nel Regno Unito. I capi in mostra in fiera sono nati in marzo e oggi hanno tre mesi e mezzo e un peso di circa 60 kg. Nel suo allevamento nel Flintshire Robin cresce una trentina di Texels con il pedigree e mille capi ovini destinati all’industria delle carni. Oltre all’attività allevatoriale Robin è un tosatore professionista che collabora con altre aziende agricole del Paese. In un anno conta mediamente 15.000 capi tosati!

Le esportazioni di Welsh lamb ammontano a 25.000 tonnellate circa in volume, per un valore di 200 milioni di euro. Di queste il 30% è destinato ai mercati al di fuori dal Regno Unito e il 95% è rappresentato dalla UE, con in testa Francia, Germania, Belgio e Italia

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Brexit è infatti uno dei temi ricorso più di frequente in questa edizione 2017. Cosa succederà? Cambierà qualcosa per gli allevatori? Cosa si dice in Italia? Tante le domande che ci siamo tutti posti. E poche le risposte che ci siamo dati. Le carni gallesi in pieno sviluppo ma in uno scenario incerto Tra le novità di questa edizione del Royal Welsh Show c’è stato il debutto ufficiale del neopresidente di HCCHybu Cig Cymru Meat Promotion Wales nella grande area hospitality che l’ente gallese per lo sviluppo, la promo-

zione e la distribuzione delle carni made in Wales allestisce ogni anno all’interno della manifestazione. Durante la tradizionale colazione a base di tè, caffè, costine di agnello e salsiccia, i presenti hanno ascoltato con attenzione le parole di KEVIN ROBERTS, che ha preso il posto di DAI DAVIES, presidente uscente. Roberts ha sottolineato i successi di HCC nella promozione delle carni gallesi sui nuovi mercati esteri, citando la recente fornitura del Welsh lamb ad una rete di 300 nuovi supermercati spagnoli, oltre ad una promozione retail in Canada e a nuovi stock verso

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A sinistra: Catherine Bennet ha 24 anni e una laurea in agraria. Proviene da una famiglia di allevatori gallesi di ovini di razza Texel e sogna un giorno di avviare un’azienda tutta sua. «Allevare animali è un lavoro molto duro — sottolinea — ma è anche uno dei mestieri più belli del mondo!». L’azienda della sua famiglia è nel Mid Wales e conta 120 vacche da latte, 64.000 capi di pollame e 650.000 ovini. La scelta della famiglia Bennet è stata quella di diversificare il più possibile il prodotto, tra latte, pollame e carne, al fine di proteggersi da eventuali prezzi al ribasso nel mercato. A destra: Arfon Williams ha 500 capi ovini e 25 capi di manzi Black Welsh. Alla sua prima edizione del Royal Welsh Show Arfon presenta i bovini Black Welsh, una razza locale del Galles caratterizzata da animali di buona conformazione e muscolatura che ben si adattano al clima piovoso della regione e che vivono al pascolo anche durante l’inverno. «Siamo molto orgogliosi del nostro lavoro» dichiara Arfon, che sottolinea la bontà delle carni risultato di un processo di allevamento totalmente naturale che ha ereditato dalla sua famiglia e da questa terra. una grande catena di foodservice in Svizzera. «Questi risultati attestano lo sviluppo del business in mercati emergenti e in aree nelle quali già siamo presenti da tempo» ha detto il presidente HCC alla platea di allevatori. «Ma questo risultato non può nascondere una verità scomoda: Brexit ha portato incertezza sul futuro». Dello stesso parere anche GWYN HOWELLS, chief executive di HCC. «Le esportazioni di Welsh lamb ammontano oggi a 25.000 tonnellate circa in volume, per un valore di 200 milioni di euro. Di queste il

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30% è destinato ai mercati al di fuori dal Regno Unito e il 95% è rappresentato proprio dalla UE, con in testa Francia, Germania, Belgio e Italia, seguiti da Spagna e Portogallo» mi dice Howells. «Va da sé che l’Europa sia oggi un partner strategico importantissimo nella bilancia commerciale delle carni gallesi, data la quota pressoché totale di export che assorbe dal Galles» precisa JEFF MARTIN, responsabile HCC Italia. «Se l’Italia è quarta nella capacità di importare volumi di carni gallesi essa sale di livello se consideriamo

Le vendite di carne gallese in Italia valgono circa 30 milioni di euro, grazie anche al lavoro fatto negli anni con i buyer della GDO. Sul discorso Brexit nel breve periodo non ci saranno cambiamenti sostanziali. Il futuro resta nebuloso. Ma oggi per chi non lo è?

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A sinistra: l’area hospitality di HCC-Hybu Cig Cymru Meat Promotion Wales all’interno del Royal Welsh Show. A destra: Gwyn Howells, chief executive di HCC. l’export in valore, data la preferenza di buyer e grossisti del Belpaese ad acquistare tagli più pregiati come carré, spalla e pancia» sottolinea Martin.

La domanda è d’obbligo: cosa succederà ora, con l’avvio della procedura per l’implementazione della Brexit? «Le vendite di carne gallese in Italia valgono circa 30 milioni di

euro con un grande lavoro fatto in questi anni con i buyer della GDO che via via hanno sostituito le carcasse con tagli sottovuoto (soprattutto spalla e carré)» dice Howells. «Si è

Glasnant Morgan: la fattoria dove la carne si coltiva Nella fattoria di Glasnant Morgan, a Powys, si allevano 800 pecore, 220 agnelli e una cinquantina di vacche da riproduzione da carne (soprattutto incroci di Belgian Blue e Limousine), su una proprietà che si estende su 160 ettari di prati a pascolo, con rotazione delle colture e una definizione dell’erba più ottimale per gli animali. Glasnant dedica grande attenzione a tutte le attività dell’azienda agricola, dal monitoraggio e cura costante dei capi al pascolo, cresciuti rigorosamente a erba, alla sostenibilità anche energetica, fino alla definizione delle colture che si trasformano in alimento naturale per gli animali. Un esempio? Uno dei terreni viene coltivato con avena, spinaci selvatici, piselli e grano, tutti cresciuti insieme e poi tagliati e utilizzati come foraggio naturale per i bovini nei mesi invernali. Ciò testimonia ancora una volta che per produrre buona carne bisogna partire dalla terra, dalle buone pratiche d’allevamento e dal benessere dell’animale. Ancor meglio se in un territorio incontaminato come quello gallese dove la carne è davvero un prodotto 100% naturale.

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Carne bovina e ovina di Alta Qualità ottenuta da risorse sostenibili

Dawn Meats, fondata nel 1980 a Waterford nel sud dell’Irlanda, è cresciuta in modo costante Àno a diventare oggi una delle principali realtà produttive irlandesi, con stabilimenti anche in Inghilterra, Scozia e Galles. Dawn Meats è rimasta fedele ai principi dell’impresa familiare ed al suo radicamento agricolo, con una forte attenzione all’innovazione ed alla sostenibilità, ponendo un costante impegno nel miglioramento della qualità e del servizio al cliente. Dawn Meats considera il mercato italiano uno dei più importanti ed è

un fornitore di riferimento per gli acquirenti di carne bovina ed ovina. L’ufÀcio commerciale di Parma è stato creato appositamente per essere vicino alle esigenze dei clienti e consolidare partnership solide e durature. Dawn Meats fornisce carne bovina in osso di scottona e vitellone e carne ovina in osso, nonché la gamma completa dei tagli anatomici sottovuoto. Produce inoltre hamburger congelati da carni di razze pregiate e piatti pronti slow cooked, disponibili sia in formato retail che food service.

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Gare di tosatura delle pecore. Il Royal Welsh Show è uno spaccato fedele ed emozionante della grande comunità di allevatori gallesi che, di padre in figlio, si tramandano la passione per l’allevamento.

lavorato parecchio per garantire un prodotto e un servizio di qualità e per i prossimi due anni non ci sarà alcun cambiamento». «Anzi, con il deprezzamento della sterlina verso l’euro i prodotti UK sono anche più competitivi» aggiunge Gwyn Howells. «La nostra rappresentante politica gallese ha detto forte e chiaro che lavorerà per fare pressione con Londra al fine di lasciare il Galles nel mercato unico» ha aggiunto Martin. Sul discorso Brexit quindi nel breve periodo non ci saranno cambiamenti sostanziali. Il medio futuro invece resta abbastanza nebuloso. Ma d’altra parte oggigiorno per chi non lo è? Elena Benedetti

Costolette, spalla e pancia arrotolata: sul mercato italiano le nuove proposte di agnello gallese Igp per la nuova stagione L’agnello gallese Igp è pronto a vivere una nuova stagione sul mercato italiano. Risultato di allevamenti nei quali gli animali crescono all’aperto seguendo i ritmi della natura, l’agnello gallese non è in vendita tutto l’anno. La sua stagione va da giugno a dicembre: è in questi mesi infatti che la carne dà il meglio di sé in termini di gusto, tenerezza e succulenza. I tagli disponibili sono principalmente le costolette, la spalla e la pancia arrotolata, tre tagli che il consumatore italiano apprezza particolarmente, riconoscendo gusto e qualità di questa specialità presente sul mercato nazionale ormai da oltre dieci anni. Le costolette sono il taglio ovino per eccellenza: raffinate e gustose esaltano tutte le caratteristiche organolettiche della carne e per questo motivo sono il taglio più conosciuto e acquistato dal consumatore italiano. Non solo, le costolette vengono scelte anche per la velocità di preparazione: basta cuocerle in padella o su una griglia molto calda 3 minuti per lato. Si possono poi passare in una classica panatura con erbe o semi prima di grigliarle, o ancora friggerle. Se la stagione lo permette, sono squisite cotte al barbecue. La spalla è un taglio tenero e saporito, adatto per le cotture lente, al forno, quindi ideale per il pranzo in famiglia, apprezzato anche per l’ottimo rapporto qualità/prezzo e la facilità di preparazione. Infine, la pancia arrotolata (in foto a lato), un taglio molto apprezzato nel Sud Italia che si presenta come un piccolo arrosto di circa 700 grammi, ideale per essere cotto al forno “al naturale” o farcito con erbe aromatiche fresche. Un’altra novità riguarda il packaging: alcune proposte, infatti, verranno presentate in skin pack, una tipologia di confezionamento che garantisce al consumatore un servizio ancora più qualificato, come la comodità di acquistare un prodotto pronto per essere cucinato, ancor più tenero e gustoso e con una shelf-life ancora più lunga.

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BENESSERE ANIMALE

Benessere in allevamento: criticità e miglioramenti Un Piano nazionale per il benessere animale entro il 2017 in collaborazione con l’IZSLER. Nei bovini, le irregolarità più rilevanti sono relative al controllo dei capi da parte dell’allevatore. Il dettaglio delle irregolarità riscontrate specie per specie. Annotazioni critiche e migliorative dei controlli

L

a Relazione del Ministero della Salute sull’attuazione del Piano Nazionale Integrato nel 2016 riepiloga e analizza i risultati dei controlli sul benessere degli animali allevati in Italia. Numeri e percentuali che danno la misura del livello di impiego delle risorse

umane e strumentali necessarie allo svolgimento delle attività di ispezione, di audit sugli operatori e di laboratorio. Dati e informazioni utili al Ministero della Salute per valutare la bontà dei controlli svolti rispetto a quanto pianificato, al carico di lavoro e ai costi sostenuti

da tutte le amministrazioni ai fini della sicurezza alimentare e della tutela del cittadino. L’anno scorso i servizi veterinari delle Aziende UU.SS.LL. hanno espletato controlli sul benessere animale in tutti i settori dell’allevamento. Le percentuali più elevate

L’anno scorso i servizi veterinari delle Aziende UU.SS.LL. hanno espletato controlli sul benessere animale in tutti i settori dell’allevamento. Fra le azioni per il miglioramento del sistema dei controlli, il Ministero ricorda che “si è avviato un lavoro atto alla valutazione dell’attuale Piano nazionale benessere animale che dovrebbe portare entro alla fine dell’anno 2017 alla modifica e all’innovazione dello stesso” (photo © Artem – stock.adobe.com).

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Vanlommel fornisce carne di vitello su misura: tagliata e confezionata come pi vi piace. In quanto regista di una Þliera chiusa, Vanlommel si occupa in proprio dellÕintero processo, dallÕacquisto e dallÕevoluzione dei vitelli da ingrassare, Þno alla tracciabilit completa a livello del singolo pezzo porzionato. Professionalit con totale Þducia.

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Le non conformità riscontrate negli allevamenti suini sono state 206. Le tipologia di irregolarità evidenziate sono state per lo più relative agli edifici e ai locali di stabulazione, alla tenuta dei registri, al materiale manipolabile e alla pavimentazione (photo © Countrypixel – stock.adobe.com). si registrano nelle ovaiole in gabbia (ispezionato il 30% degli allevamenti con 197 ispezioni su un totale di 656 allevamenti), nei bovini (4.101 aziende su un totale di 16.661, con una media del 24,6%), polli da carne (332 aziende su un totale di 1.417, con una media del 23%), suini (controllato il 12,5% degli allevamenti, cioè 1.100 allevamenti su un totale di 8.747) e vitelli (l’attività di controllo ha interessato il

Lo scorso anno i servizi veterinari delle Aziende UU.SS.LL. hanno espletato controlli sul benessere animale in tutti i settori dell’allevamento. Le percentuali di ispezioni più elevate si registrano per ovaiole in gabbia, bovini, polli da carne, suini e vitelli

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13,6% degli allevamenti e sono stati ispezionati 2.361 allevamenti su un totale di 17.516). Per contro, le percentuali di controlli per alcune specie (ovicaprini, bufali, conigli e tacchini) non risultano aver raggiunto la soglia prevista dal Piano nazionale benessere animale. Di conseguenza, il Ministero della Salute osserva che nel 2017 “si dovrà implementare i controlli su tali allevamenti al fine di raggiungere le richieste del Piano nazionale benessere animale”. Fra le azioni per il miglioramento del sistema dei controlli, il Ministero ricorda che — in collaborazione con l’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna — “si è avviato un lavoro atto alla valutazione dell’attuale Piano nazionale benessere animale che dovrebbe portare entro alla fine dell’anno 2017 alla modifica e all’innovazione dello stesso”. A ciò si affianca la prosecuzione delle attività di audit sulle Regioni e Province Autonome.

Galline ovaiole in gabbia Sono state riscontrate 15 non conformità per lo più relative agli edifici e ai locali di stabulazione, cui hanno fatto seguito 6 provvedimenti di tipo A (prescrizione da sanare entro 3 mesi), 7 di tipo B (prescrizione da sanare entro 6 mesi) e 2 di tipo C (sanzione immediata). Galline ovaiole a terra Sono state riscontrate 5 non conformità, cui hanno fatto seguito 3 provvedimenti di tipo A e 2 di tipo B. Le principali irregolarità sono state relative agli spazi disponibili e alle attrezzature automatiche e meccaniche. Galline ovaiole all’aperto Sono state riscontrate 14 non conformità, cui hanno fatto seguito 13 provvedimenti di tipo A e 1 provvedimento di tipo C. Le irregolarità sono state relative alla tenuta dei registri, allo spazio disponibile e agli edifici e locali di stabulazione.

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Vitelli Le non conformità riscontrate sono state 286, cui hanno fatto seguito 202 provvedimenti di tipo A, 67 di tipo B e 17 di tipo C. La tipologia delle irregolarità evidenziate sono state relative alla libertà di movimento, gli edifici e i locali di stabulazione, l’alimentazione e l’abbeveraggio. Suini Le non conformità riscontrate sono state 206, cui hanno fatto seguito 144 provvedimenti di tipo A, 35 di tipo B e 27 di tipo C. Le tipologia di irregolarità evidenziate sono state per lo più relative agli edifici e i locali di stabulazione, la tenuta dei registri, il materiale manipolabile e la pavimentazione. Bovini Le non conformità riscontrate sono state 460, cui hanno fatto seguito 296 provvedimenti di tipo A, 92 di tipo B e 72 di tipo C. Le irregolarità più rilevanti sono relative al controllo degli animali (da parte dell’allevatore), agli edifici e locali di stabulazione, alla tenuta dei registri e alle procedure di allevamento.

provvedimenti di tipo A e 17 di tipo B. Le principali irregolarità sono state relative al personale, alla tenuta dei registri e ai locali di stabulazione e ai metodi di allevamento. Polli da carne Le non conformità riscontrate sono state 20 cui hanno fatto seguito 18 provvedimenti di tipo A, 1 di tipo B e 1 di tipo C. Le principali irregolarità sono state relative alla tenuta dei registri e agli edifici e locali di stabulazione e ai metodi di allevamento. Bufali Le non conformità riscontrate sono state 3 cui hanno fatto seguito 2 provvedimenti di tipo A e 1 di tipo B. Le principali irregolarità sono state relative agli edifici e locali di stabulazione. Conigli Le non conformità riscontrate sono state 26 cui hanno fatto seguito 22 provvedimenti di tipo A e 4 di tipo B. Le principali irregolarità sono state relative alla tenuta dei registri e agli edifici e locali di stabulazione e ai metodi di allevamento.

Ovini Le non conformità riscontrate sono state 194 cui hanno fatto seguito 143 provvedimenti di tipo A, 49 di tipo B e 2 di tipo C. Le principali irregolarità sono state relative al personale, alla tenuta dei registri, agli edifici e locali di stabulazione, ai metodi di allevamento.

Equini Le non conformità riscontrate sono state 37 cui hanno fatto seguito 35 provvedimenti di tipo A e 2 di tipo B. Le principali irregolarità sono state relative alla tenuta dei registri, alla libertà di movimento, agli edifici e locali di stabulazione e ai metodi di allevamento.

Caprini Le non conformità riscontrate sono state 62 cui hanno fatto seguito 45

Ratiti Non sono state riscontrate non conformità.

Legenda provvedimenti • Tipo A: prescrizione da sanare entro 3 mesi; • Tipo B: prescrizione da sanare entro 6 mesi; • Tipo C: sanzione immediata.

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Animali da pelliccia Dati non pervenuti. Tacchini È stata riscontrata solo 1 non conformità relativa agli edifici e locali di stabulazione cui ha fatto seguito un provvedimento di tipo A. Fonte: Relazione 2016 – Benessere degli animali in allevamento Ministero della Salute www.anmvioggi.it


La scala analogica visiva del dolore Per individuare e quantificare le zoppie e il conseguente dolore nelle capre i ricercatori del Progetto Awin hanno utilizzato anche questa nuova tecnica di Giulia Mauri

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elle capre, la zoppia si manifesta solo quando il dolore è davvero grande; finché è sopportabile, i piccoli ruminanti nascondono un sintomo così vistoso che li condannerebbe, nella vita in libertà, ad una morte sicura entro brevissimo tempo. La zoppia può essere provocata da problemi allo zoccolo o agli arti, ma non solo: anche disturbi che influenzano

negativamente l’assunzione dell’alimento, la produzione di latte e la fertilità possono manifestarsi in questo modo. Dunque, individuare una zoppia iniziale permette di guadagnare tempo e di ridurre sia il dolore sia il calo di performance. ANA VIEIRA, INES AJUDA e GEORGE STILWELL dell’Università di Lisbona (i risultati sono stati presentati alla terza conferenza annuale del

Progetto AWIN tenutasi a Praga con l’intervento “Lameness in goats. The results from the web survey”) hanno fatto una breve panoramica sui metodi di valutazione della zoppia. «I più frequenti sono a scala numerica, ma le scale sono costruzioni artificiose e rigide, mentre le zoppie si presentano in un continuo, per cui a volte dare un punteggio piuttosto che un altro è particolarmente dif-

La zoppia nelle capre può essere provocata da problemi allo zoccolo o agli arti, ma anche disturbi che influenzano negativamente l’assunzione dell’alimento, la produzione di latte e la fertilità possono manifestarsi in questo modo.

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ficile, anche se poi ha conseguenze rilevanti sui risultati finali. Consentire all’osservatore di dare solo un valore numerico alla zoppia fa perdere una serie di informazioni molto utili». Un sistema alternativo a quello delle scale numeriche è costituito dalla scala visuo-analogica o analogico-visiva del dolore (in inglese Visual Analogue Scales – VAS), una scala che consente di registrare il dolore o le zoppie senza nette distinzioni fra una e l’altra, risolvendo i dubbi amletici dei ricercatori, del tipo: “Che punteggio devo dare? È quasi un 3, ma è ancora 2. Come faccio?”. Infatti, nella VAS la scala di misurazione è una striscia di carta lungo la quale, a intervalli regolari, si riproduce graficamente l’intensità del dolore che si pensa l’animale stia provando. Si utilizzano faccine (dalla sorridente “nessun dolore” fino alla faccina piangente “dolore grave”), oppure numeri da 0 a 10, oppure ancora un diagramma che sale. Segnando un punto preciso della striscia nell’intervallo tra i due

estremi (end points, nessun dolore e massimo dolore) si attribuisce a una cosa soggettiva come il dolore un valore quantificabile. Il metodo della VAS è molto utilizzato in medicina umana con i bambini, che non riescono a esprimere chiaramente le loro condizioni, ma anche nei reparti di pronto soccorso, dove le informazioni devono essere raccolte velocemente e ci si può basare solo su quanto riferito dal paziente. In questi casi è il malato stesso che indica in che punto della striscia si posiziona. Un metodo veloce ed affidabile, di nessun costo economico. Ma è veramente applicabile anche in veterinaria? Lo scopo della ricerca condotta presso l’Università di Lisbona è stato proprio quello di validare il metodo VAS e di individuare una nuova scala di valutazione delle zoppie nelle capre, che fosse utilizzabile per veterinari, allevatori e ricercatori. Ovviamente, per applicare il metodo in veterinaria deve essere compiuta una modifica di non poco

conto: l’osservatore si sostituisce all’animale. È l’uomo che segna il punto della scala in cui pensa sia posizionabile l’animale che sta osservando. Nel caso riportato, gli autori hanno lavorato tramite osservazione sul web e hanno chiesto a 600 persone, che a diverso titolo lavoravano in contatto con le capre, di osservare alcuni video di caprini che camminano. Gli osservatori dovevano dare un punteggio in termini di presenza e gravità a tre fattori di descrizione delle zoppie: andatura, inclinazione e curvature della spina dorsale. Prima delle dimostrazioni via web, un pool di esperti aveva punteggiato tutte le capre filmate tramite la tecnica VAS. In questo caso si era utilizzata una scala di punteggio a 4, in cui ad ogni punto era affiancata una descrizione del grado di dolore rappresentato. Alla fine della ricerca è emerso che solo una piccola parte delle persone coinvolte (circa il 10%) era in grado di riconoscere correttamente la gravità delle zoppie allineandosi ai punteggi dati

Un esempio di striscia di misura per la VAS

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Dare voce allo stato emotivo degli animali con la Qualitative Behavioural Assessment La Qualitative Behavioural Assessment (QBA – valutazione della qualità del comportamento) è una valutazione che comporta l’approccio all’animale nella sua interezza e che integra i dettagli che l’osservatore percepisce del comportamento espressivo dell’animale. Con questo metodo il valutatore ricorre a termini come “ansioso”, “teso” o “rilassato”, ben diversi da quelli presenti in altri tipi di valutazioni. Uno degli studi correlati al Progetto Awin ha avuto lo scopo di testare la validità e la ripetitività (cioè se sia in grado di dare risultati sovrapponibili quando il test viene compiuto da persone diverse) del metodo QBA per valutare il benessere delle capre da latte. I risultati sono stati pubblicati in un poster esposto a Praga durante la terza conferenza annuale del Progetto Awin (LILIA GROSSO, MONICA BATTINI, SARA BARBIERI, MICHELA MINERO, EMANUELA DALLA COSTA e SILVANA MATTIELLO del DIVET di Milano e FRANCOISE WEMELSFELDER dello SRUC di Edimburgo “Qualitative Behavioural Assessment of intensive and extensive goat farms”). Nello studio sono stati utilizzati sedici termini tipici della QBA riportati in letteratura. Sette allevamenti studiati ospitavano le capre in recinti di gruppo con lettiera permanente, mentre in altre otto aziende le capre erano osservate in recinti all’aperto dove potevano pascolare. I sedici termini utilizzati dai due osservatori sono stati accorpati usando la tecnica del Principal Component Analysis (PCA) e sono emersi tre gruppi di significati utilizzati per definire le espressioni delle capre: • “contente/calme” in antitesi con “frustrate/aggressive”; • “curiose/attente” in contrapposizione a “calme/annoiate”; • “socievoli/disponibili al gioco” in antitesi con “in allarme/agitate”. I risultati hanno rivelato che le capre al pascolo erano maggiormente definite “contente/calme” e “curiose/attente” rispetto a quelle in stalla. Tuttavia, per l’uso di molti termini si notava una differenza marcata fra i due valutatori. Gli autori hanno concluso che il metodo della QBA è sufficientemente affidabile per valutare le capre se si accorpano le voci utilizzate ai tre grandi gruppi sopra riportati. C’è però bisogno di addestrare correttamente gli osservatori. Per quanto riguarda invece il benessere delle capre nei due sistemi di allevamento (estensivo con pascolo e intensivo in stalla), dai risultati del QBA pare che l’accesso al pascolo abbia un effetto positivo sullo stato emotivo delle capre.

dal pool di esperti. Questi risultati hanno rafforzato la convinzione che servano descrizioni molto più chiare nella striscia utilizzata per la VAS per poter distinguere le varie categorie di zoppia. Si tratta certamente di uno svantaggio nell’uso di questo tipo di valutazione, che di per sé sarebbe davvero pratica ed economica. La maggioranza degli osservatori (circa l’85%) era solo in grado di distinguere le “zoppie gravi” dalle pure “assenze di zoppie” e le maggiori difficoltà si concentravano nella

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distinzione fra le “non zoppie vere” e le “zoppie leggere”. Insomma, è facile distinguere le situazioni estreme, mentre dare il giusto valore alle situazioni intermedie non è per nulla semplice. In ogni caso l’esperienza dell’osservatore era molto importante per individuare la gradualità crescente nelle zoppie. Dunque, secondo gli autori, c’è la possibilità — ma solo dopo un approfondito sviluppo — dell’utilizzo di questo sistema di punteggio alternativo. Giulia Mauri


Franco Martini alla presidenza di Asprocarne Piemonte È Franco Martini, allevatore di Chivasso (TO), il nuovo presidente di Asprocarne per il prossimo triennio, che si concluderà con l’approvazione del bilancio di esercizio 2019. Martini è stato eletto all’unanimità dal nuovo consiglio di amministrazione, eletto a sua volta nell’ultima assemblea dei delegati dello scorso 23 giugno, e succede nell’incarico a Roberto Buratto, nominato presidente dal consiglio di amministrazione nel settembre 2015 a seguito della prematura scomparsa del compianto Mario Panero. Il consiglio di amministrazione ha poi eletto quattro vicepresidenti che avranno il compito di coadiuvare il presidente Martini nello sviluppo delle varie aree di attività dell’organizzazione. Per tre di essi si tratta di una conferma: Mauro Capello di Ceresole d’Alba (CN), Marco Favaro di Piscina (TO) e Giacomo Baravalle di Solero (AL). Assume invece per la prima volta l’incarico Domenico Giobergia di Savigliano (CN). Ma chi è Franco Martini? Franco conduce insieme alla famiglia un’azienda multifunzionale ad indirizzo cerealicolo-foraggiero-zootecnico alla quale, da alcuni anni, ha affiancato un’importante attività di gestione delle aree verdi e giardini che ha aperto nuove opportunità per l’azienda agricola pur mantenendo centrale il ruolo dell’allevamento. L’azienda alleva vitelloni da ingrasso da quattro generazioni. Da qualche mese si è installato definitivamente in azienda il giovane Davide che prosegue l’attività sulle orme del papà Franco, del nonno Michele e del bis nonno Clemente, a suo tempo allevatore di vacche nutrici di razza Piemontese. L’attività si estende su una superficie di 40 ettari coltivati principalmente a mais, grano, orzo e foraggiere che vengono reimpiegati nell’allevamento. Vengono stabulati mediamente 200 bovini da carne di razze francesi (Limousine e Charolaise) e loro incroci. La produzione annuale è di circa 320 capi macellati e commercializzati all’interno di filiere di qualità OGM free. >> Link: www.asprocarne.com

Agricoltura di precisione: partnership tra ISMEA e Bonifiche ferraresi Il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali rende noto che lo scorso 19 luglio, in occasione della visita del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e del ministro Maurizio Martina alle Bonifiche ferraresi, è stato presentato un progetto innovativo di diffusione dell’agricoltura di precisione nelle piccole e medie imprese agricole italiane. Il progetto vede una partnership pubblico-privata tra l’ISMEA, ente finanziario del MiPAAF, e Bonifiche ferraresi. La finalità del Progetto ISMEA/BF è favorire l’adozione e la diffusione su vasta scala territoriale di sistemi di gestione avanzata attraverso l’utilizzo delle tecnologie innovative in favore delle imprese agricole e agroalimentari italiane, in coerenza con le strategie di sviluppo delineate a livello europeo e nazionale. «Vogliamo sostenere ancora di più — ha dichiarato Martina — la diffusione delle tecnologie nelle nostre piccole e medie imprese agricole per renderle più forti, sostenibili e competitive. Questa partnership ad esempio può attivare da sola la copertura di circa 145.000 ettari con servizi di agricoltura di precisione dal 2018 alla fine del 2023. È un traguardo ambizioso che dice molto dell’altezza di questa sfida. La distintività del nostro modello agricolo passa anche per la capacità di utilizzare l'innovazione per la tutela della nostra biodiversità unica». L’investimento complessivo ammonta a 12 milioni di euro, di cui 4 saranno a carico di ISMEA. Dal progetto ci si attende per le piccole e medie imprese coinvolte: un miglioramento della competitività aziendale; un impatto positivo per quanto riguarda il miglioramento della sostenibilità ambientale; un miglioramento riguarda l’accesso al credito; un miglioramento nel medio periodo riguarda gli strumenti di gestione dei rischi aziendali. (Fonte: www.politicheagricole.it)

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MGA GROUP

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RAZZE

La parabola del Boscarin: da trattore in via d’estinzione a prelibatezza gourmet di Gian Omar Bison

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La razza Istriana appartiene alla popolazione di bovini di ceppo podolico di grande mole, grigi e dalle ampie corna, diffusa dalla Puglia alla Dalmazia. Secondo alcune teorie, essa proverrebbe dalla Podolia, nell’attuale Ucraina, e sarebbe giunta in Istria a metà del V secolo d.C. al seguito degli Unni di Attila. Secondo altri sarebbe stata introdotta nella penisola istriana dai Romani

Il bue istriano era prezioso per il lavoro nei campi e il possesso di una pariglia di buoi era considerata una ricchezza, anche perché significava avere abbastanza terra da arare, mentre i piccoli proprietari dovevano accontentarsi di un asino. A partire dall’inizio dell'800 i bovini istriani furono incrociati con bestiame podolico italiano e dal 1905 ci furono nuovi incroci con tori romagnoli

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Omar Bison, Edmondo Šuran e il senatore Mario Dalla Tor.

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a parabola del Boscarin, il bovino autoctono istriano per antonomasia, è tutta qui e racchiude il passaggio, ad oggi in progress, da un bue da soma, vigoroso e tenace, rinomato per la spiccata attitudine al lavoro, a manzo da gustare, nonché presidio Slow Food. In mezzo c’è tutto il lavoro avviato dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, tra partner istituzionali pubblici ed associazioni private, per evitare il declino della popolazione bovina scesa da 10.500 femmine da riproduzione registrate in Istria nel 1972 a poco più di cento capi, standardizzandone l’alimentazione e il sistema di allevamento e migliorandone progressivamente la genetica. Obiettivo? Una bestia performante da carne, economicamente sostenibile e redditizia, che oggi conta complessivamente 3.000 capi. Il bovino istriano non è mai stato allevato per la produzione di latte ma impiegato quasi esclusivamente per l’accrescimento dei vitelli. È il risultato di un arricchimento genetico avvenuto tramite incroci con tori di razza Podolica della Romagna e della Puglia e, successivamente, delle Marche e del Polesine. Parliamo di un bovino a maturazione tardiva, che raggiunge il pieno sviluppo tra il sesto e il settimo anno di età, con una capacità riproduttiva duratura e regolare. Corna grandi, a forma di lira, della

lunghezza massima di 1,5 m, fino a 30 cm di circonferenza alla base con un’apertura che può raggiungere 1,20 m. Il peso delle femmine del bovino istriano si colloca tra i 500 e i 600 kg, mentre quello dei tori tra i 650 e i 900 kg. I buoi possono raggiungere il peso di 1.100-1.300 kg. L’Azrri, Agenzia per lo sviluppo rurale dell’Istria Srl con sede a Pazin-Pisino, fondata nel 2003 con il compito di creare sinergie tra i settori pubblico e privato, ha tra i più significativi progetti rurali in essere il recupero e la valorizzazione del Boscarin. «Siamo partiti studiando sistemi già adottati in Italia per le razze piemontesi, toscane e marchigiane — sottolinea JASENKA KAPURALIN, dirigente ai programmi di sviluppo dell’Azrri — con la convinzione che il prodotto si valorizzi nel piatto. E lo stesso abbiamo fatto con gli asini, le capre e le pecore autoctone. La cucina didattica di cui disponiamo nel nostro centro dal 2011 è nata proprio per questo: forgiare chef, sommelier, personale di servizio in attività o giovani in fase di formazione scolastica o specializzazione, per recuperare e rinnovare la cucina tradizionale istriana rendendola attrattiva per il turismo enogastronomico. Il Boscarin, da anni presidio Slow Food, è, al momento, la nostra punta di diamante».

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Il Disciplinare prevede un’alimentazione a base di una miscela di cereali, molto fieno, zero acidi e insilati. E l’allevamento non è rigidamente confinato ma semibrado con possibilità di uscire dalle stalle per piccole zone a pascolo comunque protette. Nei laboratori dell’Azrri troviamo celle dedicate alla frollatura e gli addetti vengono impiegati un giorno alla settimana per i solo tagli anatomici, mentre il resto del tempo si dedicano ai salumi, salsicce e salami

Carne cruda di Boscarin. E con la ristorazione regionale, complici le associazioni di categoria dei commercianti e dei ristoratori, è stato avviato un protocollo per la promozione del Boscarin che prevede l’utilizzo di marchi in concessione dall’Azrri che garantiscono la tracciabilità, certificando la provenienza della carne dalla stalla sociale o degli allevatori cooperanti al laboratorio di sezionamento e lavorazione dell’agenzia. «Oltre ai capi provenienti dalla nostra stalla sociale — puntualizza EDMONDO ŠURAN, veterinario e funzionario dell’Azrri, esperto di zootecnia — acquistiamo Boscarin dai cooperanti con un sovrapprezzo del 30% rispetto a quello vigente sul mercato. Questo ci permette di sostenere l’allevamento della nostra razza autoctona e di avere garanzie di rispetto del Disciplinare di allevamento e produzione». Si tratta di una carne tendenzialmente magra,

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che si presta ad una frollatura prolungata e con sentori organolettici caratteristici, proveniente da animali di età minima di 24 mesi. «Il Disciplinare — evidenzia Šuran — prevede un’alimentazione a base di una miscela di cereali, molto fieno, zero acidi e insilati. E l’allevamento non è rigidamente confinato ma semibrado, con possibilità di uscire dalle stalle per piccole zone a pascolo comunque protette. Ai cooperanti diamo la possibilità di accogliere gratuitamente vacche inseminate con l’obbligo, poi, di conferirci il vitellino». Nei laboratori dell’Azrri troviamo celle dedicate alla frollatura e gli addetti vengono impiegati un giorno alla settimana per i solo tagli anatomici, preparati anche sottovuoto, mentre il resto dei giorni, sterilizzate le sale di lavorazione, si dedicano ai salumi. «Produciamo salsicce e tre tipi di salami, del peso

di 200 grammi, metà carne bovina e metà suina, aromatizzati con il vino (Malvasia e Terrano) o con il tartufo. E poi, negli stessi laboratori, prepariamo anche insaccati d’asino (autoctono istriano, oggetto da otto anni di un piano di recupero), di pecora, cervo e cinghiale». Non poteva mancare la parte degustativa che al centro Azrri, con cucina didattica, ha messo in fila una battuta di carne di Boscarin e d’asino al coltello, polpettine d’asino al cartoccio con verdure, stracotto di Boscarin con salsa di pera, rape e tartufo e, per concludere, un dolce a base di cioccolato 90% e lavanda. Proposta curiosa, impiattamento adeguato, abbinamento azzeccato con un Terrano giusto per struttura e persistenza. In evidenza la consistenza della carne, caratteristica all’olfatto e in bocca. Originali e gustose le polpettine d’asino. Gian Omar Bison

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TUTTO IL BIOLOGICO, OGGI

Testo unico sul biologico Dopo anni di pressioni e richieste, giunge finalmente una norma che mette d’accordo tutti. L’obiettivo è disciplinare uno dei pochi ambiti in cui crescono tutti i valori positivi di Sebastiano Corona

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a crisi c’è, si vede e si sente. Eppure, ci sono produzioni che, nonostante il prezzo, vanno in controtendenza. L’esempio più evidente è quello del biologico, un ambito che mostra valori positivi su tutti i livelli, dagli occupati alle vendite, dalle imprese coinvolte, alle superfici dedicate. Secondo il MIPAAF, nel 2015 gli addetti sono cresciuti dell’8,2%, gli ettari coltivati del 7,5%, le vendite del 20%. E la cosa positiva è che queste cifre non sono il fuoco di paglia di un fenomeno destinato a concludersi a breve. Si tratta infatti di un trend che dura ormai da tempo e che ogni anno, anziché cedere il passo, conosce un nuovo incremento, spesso a due cifre: si pensi che,

sempre nel 2015, gli operatori del settore sono passati da 55.400 a 60.000, mentre la superficie coltivata in modo bio, o in conversione, è arrivata a 1,5 milioni di ettari, pari al 12% della SAU complessiva (superficie agricola utilizzata), con un incremento, rispetto al 2014, di un punto percentuale. Incide inoltre una quota importante di terreni in riconversione, dedicati al pascolo e quindi ad allevamenti che contribuiscono in maniera importante sia nella produzione della carne che nei derivati animali. Sarebbero cifre ragguardevoli di per sé, ma diventano ancor più significative se valutate nel panorama complessivo, che da tempo offre uno scenario tutt’altro che confortante. Mentre

la spesa alimentare — secondo ISMEA NIELSEN — è prossima allo zero, perché nel 2015 ha segnato solo un +0,3% e a seguire, nel primo semestre del 2016, un –1,2%, le vendite del bio nel 2015 hanno mostrato incrementi non lontani dal 20% rispetto al 2014 e il primo semestre del 2016 ha ulteriormente confermato la linea con un +20,6%. Certamente a questa ascesa irrefrenabile sta contribuendo anche la distribuzione moderna, sebbene i consumatori abituali di prodotti bio lamentino il fatto che i retailer ancora non comprendano a pieno le loro preferenze sui prodotti. La domanda si sta infatti evolvendo molto velocemente, ma l’offerta, pur incalzante, risulta in ritardo. Il risultato è

Il testo unico sull’agricoltura biologica, dopo anni di attesa, offre uno strumento che disciplina un settore in crescita. 88

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Si vede che è BIO. CARNI E SALUMI DA AGRICOLTURA BIOLOGICA CERTIFICATA Dal 1998, Bio Alleva si dedica alla produzione di Carni e Salumi provenienti da allevamenti biologici per garantire ogni giorno gusto e qualità ai propri consumatori. La sua grande vocazione? Rispettare l’integrità del territorio per recuperare la genuinità dei sapori. La ricerca della naturalità Bioalleva inizia dai pascoli: tutti biologici, rispettosi dell’etologia delle specie, della serenità degli animali e della loro libertà di movimento. Bioalleva. La nostra qualità è un dono di natura. Bioalleva s.r.l. Via C. Colombo, 1 37030 Vago di Lavagno (Verona) T +39 045 8980943 - F +39 045 8980065 info@carnesi.it - carnesi.it


che gli assortimenti nella GDO non sempre tengono conto delle reali esigenze dei consumatori e i clienti finiscono per scegliere l’insegna anche in base al fatto che ci siano prodotti biologici in vendita oppure no. Non è chiaro se sia la GDO che, avendo introdotto molti prodotti bio, ha contribuito al loro successo o se, al contrario, siano i supermercati e gli ipermercati che, consapevoli della richiesta sempre più pressante, lo stiano introducendo, per i margini importanti che è in grado di generare. Resta il fatto che il bio confezionato negli scaffali delle grandi superfici di vendita nel 2015 fosse pari al 3% del totale agroalimentare e, già nei primi mesi del 2016, questo dato apparisse in sensibile aumento. Gli ipermercati e i supermercati da soli generano un fatturato annuo paria 872 milioni di euro, mentre è di 860 milioni di euro quello del dettaglio specializzato. A queste voci vanno però aggiunti i normal trade e discount, per 206 milioni, le farmacie e parafarmacie, per 125 milioni, le erboristerie, per 121 milioni, i canali alternativi come la vendita diretta, on-line o i gruppi di acquisto, per 238 milioni, e, infine, il food service per 320 milioni di euro. Insomma, il biologico è entrato a far parte delle abitudini degli Italiani e degli europei passando per la porta principale. Nel Belpaese, per la verità, le vendite hanno una distribuzione poco omogenea, essendo concentrate soprattutto nel Centro Nord. Ma anche nel Sud, che pure appare da questo punto di vista più lento, nell’ultimo anno si registra un aumento pari al 33%. Cresce di pari passo il numero di famiglie acquirenti e, soprattutto, si è incrementato il numero di clienti abituali, cioè che acquistano bio tutte le settimane, raggiungendo la ragguardevole cifra del 18% del totale delle famiglie. Tra i prodotti bio più acquistati vi sono le cosiddette “gallette”, ma anche confetture di frutta, uova, prodotti ortofrutticoli freschi. In Europa, invece, il bio vale ormai 30 miliardi di euro, secondo i dati IFOAM-FIBL. L’aumento nelle vendite, nel 2015 è stato del 13%. In questo contesto era la Germania

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Il biologico continua a dare segnali positivi. Secondo i dati del MIPAAF, infatti, nel 2015 gli addetti sono cresciuti dell’8,2%, gli ettari coltivati del 7,5% e le vendite del 20% (photo © www.terraevita.it). il più grande mercato del biologico in Europa (8,6 miliardi di euro), seguita da Francia (5,5 miliardi di euro), Regno Unito (2,6 miliardi di euro) e Italia (2,3 miliardi di euro). A livello globale invece, sono gli Stati Uniti, con 35,8 miliardi di euro, il primo mercato. In un’Europa in cui ogni anno i consumatori spendono sempre di più in termini assoluti per gli alimenti biologici (una media di 36,4 euro in Europa e 53,7 nell’UE), è la Svizzera a vantare la più alta spesa pro capite, con ben 262 euro, seguita dalla Danimarca, con 191 euro, e dalla Svezia, con 177 euro. E in questo contesto i consumi salgono più velocemente dell’offerta. Il numero di produttori biologici in Europa è cresciuto del 3% (del 5% nell’Unione Europea), ma quello degli importatori è aumentato del 12% in Europa e del 19% nella UE, a dimostrazione del fatto che la produzione biologica non riesce a tenere il passo con la domanda. L’Italia e Paesi europei sono forse ancora lontani da una strategia ben definita per il settore. Lo sono nonostante la domanda si faccia ogni giorno più pressante e col rischio che — come spesso accade in situazioni simili — si generino pericolose speculazioni, a danno del settore e dei consumatori. In Italia, però, anche a seguito dei diversi scandali che si sono verificati negli anni, si è ritenuto fosse necessario introdurre una normativa più com-

pleta ed omogenea, finalizzata sia ad un maggior controllo a tutela di agricoltori e consumatori, sia a dare nuova linfa al settore. È dunque in arrivo il Testo unico per il biologico, licenziato nelle scorse settimane dalla Commissione Agricoltura della Camera: una norma complessa che prevede, tra le varie cose, lo stanziamento di fondi dedicati e il coinvolgimento delle associazioni per la definizione delle priorità e delle azioni per lo sviluppo del settore. Un provvedimento per ora molto ben accolto dai produttori che, a gran voce, dichiarano fosse da tempo necessario un riconoscimento in termini normativi, così come era opportuno intervenire sul piano della ricerca e della formazione. Il quadro normativo che si sta definendo è utile soprattutto a promuovere ulteriormente la crescita del settore, in particolare nei mercati internazionali. Il documento evidenzia la necessità di dedicare fondi certi per l’attuazione del Piano strategico Nazionale (PSN) sul biologico, introducendo anche novità assolute come quelle dei distretti bio. A parere delle associazioni del biologico, che rivendicano maggior coinvolgimento, ci sarebbero margini di miglioramento del documento, ma, con le dovute correzioni, il Testo Unico sarà fondamentale per un ulteriore sviluppo del settore, nei prossimi anni. Sebastiano Corona

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Sin dal 1936 la Merlo Ercole S.r.l. è un punto di riferimento nell’importazione e distribuzione di tagli, refrigerati e congelati di pregiate carni bovine sudamericane.

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LA CARNE IN TAVOLA

Quinto quarto: lingua salmistrata in salsa verde Preparata e conservata con il sale di potassio dell’acido nitrico, è una ricetta tradizionale del Veneto che, abbinata alla salsa a base di prezzemolo tipica del Piemonte e dell’Emilia, dà vita ad un piatto un tempo riservato soprattutto ai poveri ma oggi apprezzato dai più raffinati buongustai di Nunzia Manicardi

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a lingua, che tradizionalmente fa parte del cosiddetto “carrello dei bolliti”, può essere, oltre che bollita, anche lessata, brasata, affumicata, in umido o salmistrata. Può essere bovina (vitello, manzo e bue) e suina (maiale e cinghiale). È una delle parti dell’animale destinate un tempo ai più poveri, oggi

invece ricercate dagli intenditori e amatori del prodotto che, per la sua caratteristica anatomica, non a tutti risulta gradito. Eppure si tratta di un taglio di carne ricco di proteine, molto tenero e appetitoso, adatto per questo anche a chi abbia problemi di masticazione. Non dimentichiamoci però del suo no-

tevole contenuto di grassi e purine per cui non deve abusarne chi abbia controindicazioni dietetiche specifiche (per ipercolesterolemia, arteriosclerosi, malattie cardiocircolatorie, iperuricemia, gotta e calcolosi renale da urati). Non è consigliata, ovviamente, neppure a chi debba seguire una dieta ipocalorica per

Lingua salmistrata con salsa verde (photo © www.cuxina.it).

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La lingua salmistrata si consuma come se fosse un salume. Si taglia perciò a fette sottili ed è ottima sia fredda che calda (photo © www.cuxina.it).

I metodi in uso per la preparazione della lingua salmistrata sono due. Il primo consiste nello strofinarla con salnitro naturale e cuocerla in un liquido denso ottenuto dalla precedente bollitura di acqua, aceto, pepe e spezie. L’altro, più utilizzato, prevede che la lingua venga messa in infusione in una miscela di sale, erbe aromatiche e spezie all’interno di apposite vasche di maturazione per 15-30 giorni. Si conserva in luoghi freschi e umidi

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problemi di sovrappeso, anche se le calorie sono comunque inferiori rispetto alla media delle carni conservate. In compenso non contiene glutine ed è perciò adatta in caso di celiachia. Inoltre è ricchissima di ferro (dunque è indicata in caso di anemia sideropenica), di potassio e di fosforo. Notevole anche l’apporto vitaminico, soprattutto delle vitamine idrosolubili del gruppo B, in particolare di tiamina (B1), riboflavina (B2) e niacina (PP). L’essenziale, da ogni punto di vista (igienico, sanitario, alimentare e gastronomico) è che sia pulita bene. Cavità orale e lingua sono infatti, dopo l’intestino crasso, la parte anatomica più ricca di colonie batteriche, fisiologiche ma pure patologiche, che possono migrare e contaminare anche altri prodotti crudi e cotti ad essa accostati. Diventa dunque di fondamentale importanza trattare la lingua con cautela e da sola, sanificando poi con cura tutte le superfici di appoggio che siano venute a contatto con l’alimento crudo.

La preparazione della lingua è lunga e comprende varie fasi che precedono, accompagnano e seguono la cottura. Innanzitutto va pulita superficialmente in maniera preventiva. Questa pulizia viene effettuata già in macelleria, ma anche prima di cucinarla è opportuno strofinarla ancora con una spazzola a setole dure e con sale. Poi deve essere spellata: questo può avvenire prima che venga cucinata oppure dopo, direttamente nel piatto. Indispensabile è invece, e subito dopo il macello, la fase di frollatura, cioè il periodo — della durata di diversi giorni — in cui deve essere lasciata a riposare in modo che si intenerisca fino a diventare morbida. Segue la marinatura, con cambio frequente di acqua durante una mezza giornata e con aggiunta all’ultima ora di vino, sale e aromi. Si può effettuare anche con il semplice ammollo in acqua fredda, ma in ogni caso è bene che duri a lungo, almeno due ore. Questa fase serve per reidratarla. A questo punto la lingua è pronta per la cottura, che si può fare

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Passione per la carne per tradizione.


in acqua fredda o in acqua calda. Forse è preferibile in acqua calda perché la carne si sigilla meglio, però bisogna fare attenzione che non si indurisca troppo anche perché i tempi di cottura non possono essere inferiori all’ora e mezza. C’è inoltre chi consiglia la cottura a bagnomaria, all’interno di un apposito sacchetto sottovuoto o anche di un barattolo di vetro a chiusura ermetica. Il risultato è, a quanto pare, eccellente, ma ci si mettono 9 o 10 ore! Al termine della lessatura o bollitura la lingua deve raffreddarsi nel liquido di cottura o, tutt’al più, in acqua fredda. Mai lasciarla esposta all’aria. Poi la si spella, se non è stato fatto prima, e la si ripone in frigorifero avvolta nella pellicola. Si consuma tagliandola a fette, che sono ottime anche fredde condite con olio, sale e pepe oppure con cren o salse. Altrettanto buona in padella, in umido con cipolla, pomodori, carciofi o altre verdure a piacere oppure brasata con vino rosso. Le fette bollite si possono anche arrostire o affumicare.

La lingua salmistrata La lingua salmistrata si chiama così per la presenza del salnitro, cioè il nitrato di potassio (sale di potassio dell’acido nitrico), lo stesso conservante che si usava e si usa per i salumi, anche tradizionali. Il processo di salmistrazione serve infatti per rendere conservabile il più a lungo possibile la lingua bovina e rientra fra i numerosi metodi che la tradizione contadina aveva scovato ed elaborato a questo scopo. Dati gli ancor più lunghi tempi richiesti dalla preparazione, il costo della lingua salmistrata è nettamente superiore a quello della lingua bollita. La lingua salmistrata è uno dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali Tipici del Veneto, in particolare di Padova e della sua provincia, ma è diffusa anche nelle regioni confinanti come la Lombardia, l’Emilia, il Friuli e il Trentino. La lingua impiegata è, come appena detto, quella di bovino, del peso medio di 1 kg. Prima della somministrazione deve essere sottoposta a un dettagliato trattamento in infusione.

Innanzitutto il prodotto deve presentarsi di colore rosa, dal profumo gradevole, che si tagli facilmente in fette compatte; la carne deve essere morbida ed elastica, anche se non troppo cedevole, frutto di un adeguato periodo antecedente di frollatura. I metodi in uso per la preparazione sono due. In ogni caso bisogna prima lavarla accuratamente sotto l’acqua corrente per pulirla da ogni impurità e poi togliere le parti grasse. Il primo metodo consiste nello strofinarla con salnitro naturale e poi farla cuocere in pentola in un liquido abbastanza denso ottenuto dalla precedente bollitura di acqua, aceto, pepe e spezie. La cottura dura circa un’ora e mezza. L’altro metodo, molto più utilizzato, prevede invece che la lingua venga messa in infusione in una miscela di sale, erbe aromatiche e spezie all’interno di apposite vasche di maturazione per un periodo che può andare dai 15 ai 30 giorni. Al termine viene conservata in luoghi freschi e umidi. Il suo consumo deve avvenire entro un paio di mesi e deve essere

La salsa verde è un ingrediente fondamentale per accompagnare le carni bollite e, nel caso della lingua salmistrata, è l’accompagnamento ideale. È impiegata in tutta l’Italia settentrionale nei “carrelli dei bolliti”, ma si usa anche all’interno di panini con frattaglie (per esempio, il panino con il lampredotto a Firenze). Si può prepararla in gran quantità e conservarla in frigorifero in ogni occasione. Su crostini di pane sarà, anche all’ultimo minuto, un piatto semplice e salutare, estremamente gradito a tutti, sia grandi che piccini. La preparazione, soprattutto se utilizzerete un mixer, è molto veloce e non presenta alcuna difficoltà. Potete usare anche un semplice mortaio e/o un tagliere con la mezzaluna, come si faceva una volta, e forse vi divertirete anche di più. Frullate (o tritate) degli spicchi d’aglio, il prezzemolo lavato e senza gambi, delle acciughe e del tuorlo d’uovo sodo. Ingrediente facoltativo: unire del pane ben ammorbidito in aceto di vino e lasciato sgocciolare senza strizzarlo troppo (la salsa, naturalmente, deve risultare molto morbida ma non liquida). Per ultimo aggiungete l’olio extravergine a filo e il sale. Se mescolate a mano utilizzate un mestolo di legno. Se volete conservare la salsa a lungo, mettetela in un barattolo di vetro e copritela con olio. Poi in frigorifero (panino al lampredotto con salsa verde; photo © www.teladoiofirenze.it).

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La lingua salmistrata si chiama così per la presenza del salnitro, cioè il nitrato di potassio (sale di potassio dell’acido nitrico), lo stesso conservante che si usava e si usa per i salumi, anche tradizionali. Il processo di salmistrazione serve infatti per rendere conservabile il più a lungo possibile la lingua bovina e rientra fra i numerosi metodi che la tradizione contadina aveva scovato ed elaborato a questo scopo

La lingua salmistrata è reperibile abbastanza facilmente presso le macellerie, anche fuori dal territorio d’elezione. Se si vuole prepararla in casa bisogna considerare che dopo la preparazione deve essere lasciata a marinare in luogo fresco (va benissimo il frigorifero) per qualche giorno, quindi calcolate bene i tempi anche se potete velocizzarli con l’aiuto della pentola a pressione

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preceduta da un’accurata e prolungata cottura in acqua. Anche la lingua salmistrata si consuma come se fosse un salume. Si taglia perciò a fette sottili ed è ottima sia fredda che calda. Si accompagna d’abitudine con la salsa verde o, nella versione mantovana, con la mostarda di frutta, ma va benissimo anche con altre salse dal gusto sempre un po’ deciso o con sughi vari, abbastanza piccanti. Al gusto si presenta morbida e delicata ma con un sapore piuttosto intenso ed aromatico (più tenue in quella di vitello), leggermente salato, che può essere smorzato con ottimi risultati anche in abbinamento con ingredienti piuttosto dolci e delicati come le uova, soprattutto in maionese, e le patate in umido. La lingua salmistrata è reperibile abbastanza facilmente presso le macellerie, anche fuori dal territorio d’elezione. Se si vuole prepararla in casa bisogna considerare che dopo la preparazione deve essere lasciata a marinare in luogo fresco (va benissimo il frigorifero) per qualche giorno, quindi calcolate bene i tempi anche se potete velocizzarli con l’aiuto della pentola a pressione. Per la preparazione è fondamentale strofinare la lingua con il salnitro (dopo eventualmente averla strofinata con uno spicchio d’aglio svestito) e poi immergerla in una ciotola con sale, pepe, ginepro e coriandolo, coprirla con acqua e lasciarla marinare al fresco per almeno 3 giorni, poi girarla e lasciarla riposare per altri 3 giorni e ripetere l’operazione per almeno 4 volte. Vi conviene, quindi, comprarla già preparata, a meno che non vogliate togliervi la soddisfazione di fare tutto da soli. Si trovano anche confezioni sottovuoto, che si conservano per molte settimane. Per la cottura in pentola a pressione basta, in compenso, appena un’ora. Immergete la lingua in un brodo di verdure (sedano, carota, cipolla) non troppo diluito e aggiungete qualche foglia d’alloro. Nunzia Manicardi

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MACELLERIE D’ITALIA

Salumificio Macelleria Nogara a Sovizzo (VI)

Se il musetto è take away di Gian Omar Bison

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LIDE TONELLO, moglie e spalla di UMBERTO NOGARA dal 1955 ricorda ancora che nel 1969, quando aprirono insieme la loro macelleria a Sovizzo (VI), le salsicce di maiale si vendevano a mille lire al chilo, ottocento le morette (carne e frattaglie). Da allora il Salumificio Macelleria Nogara, oggi gestito dai fratelli EMILIANO, GIORGIO e TIZIANA, è diventato un punto di riferimento, tra le rivendite di carni e insaccati a Nord Est d’Italia, tanto nella salumeria quanto nella cucina take away proposta con tipologie diverse di prodotti sottovuoto e preparati gastronomici. Ma andiamo con ordine.

Prima di Umberto il padre e, prima di lui, il nonno si sono sempre occupati di mediazione di animali da carne, in particolare maiali che venivano valutati e poi acquistati vivi nelle stalle del vicentino e poi rivenduti ai norcini e alle beccherie del territorio berico. «Siamo partiti nel 1969 — ricordano Umberto ed Elide — sempre in questi immobili, ma la macelleria era metà dell’attuale. Da subito abbiamo attivato il salumificio ed il macello, quest’ultimo attivo fino a che i limiti dettati dalle normative europee ce lo hanno permesso. All’inizio solo maiali e pollame e poi piano piano anche bovini».

Negli anni Ottanta i primi lavori di restauro, ampliamento e messa a norma di macelleria e laboratori di trasformazione ma anche l’ingresso dei rampolli di famiglia in bottega. «Non abbiamo mai pensato a fare altro — ricordano i fratelli Nogara — dall’impiego nell’attività di famiglia. Ci piaceva, ci piace ed abbiamo raccolto la sfida per aumentare la qualità e, con essa, nel tempo, il volume d’affari. Ci piace selezionare gli animali rispettando i tempi di giusta maturazione e controllare personalmente la filiera produttiva». E da qui la scalata dal cliente di paese al gourmand, dal mercato rionale all’HO.RE.CA.

Alcuni dei salumi a marchio Nogara.

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Sull’impiego nell’attività di famiglia i fratelli Nogara sono concordi. «Non abbiamo mai pensato a fare altro» dicono. «Ci piaceva, ci piace ed abbiamo raccolto la sfida dei nostri genitori per aumentare la qualità e, con essa, nel tempo, il volume d’affari. Ci piace selezionare gli animali rispettando i tempi di giusta maturazione e controllare personalmente la filiera produttiva»

I fratelli Nogara: Emiliano, Giorgio e Tiziana.

Gli introiti aziendali sono equamente ripartiti tra i ricavi della macelleria e del salumificio. A farla da padrone è certamente il maiale, del quale si lavorano, in alta stagione, 1.500 kg di carne, tra fresca e stagionata, a settimana

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Gli introiti aziendali sono equamente ripartiti tra i ricavi della macelleria e del salumificio. A farla da padrone è certamente il maiale, del quale si lavorano in alta stagione 1.500 kg di carne (10 suini circa) a settimana, tra fresca e stagionata. Fatto cento il monte carne lavorato all’anno, un 40% è di carne bovina, 40% suina, 20% avicola. Il bovino, solo femmine, viene acquistato presso l’azienda agricola Damati di Badia Calavena (VR) nei monti lessini, dove si allevano Sorane di razza francese che vivono per lo più al pascolo. Da maggio ad ottobre in alpeggio di alta montagna e poi progressivamente verso valle vengono nutrite a base di foraggio

solo parzialmente integrato con sali minerali (sale grosso). Nel periodo più freddo il ristallo e la dieta con fieno e integrazione di cereali. Da sei anni circa i suini vengono acquistati a Gazzo (PD), presso la società agricola Suilla dei fratelli Biasia, terza generazione di allevatori specializzati nel maiale. Per quanto riguarda l’avicolo si servono dell’azienda agricola Etrelli di Castelgomberto (VI), 10 ettari di allevamento con macello dove quotidianamente vengono lavorati polli, galletti, faraone, anatre, galline, capponi, germani, oche e piccioni. Sempre per l’avicolo sono referenti le aziende Scudellaro di Candiana (PD) e Persegato di Santo Stefano (VR).

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Il banco del Salumificio Macelleria Nogara.

Nella linea “Via Nogara” troviamo la giardiniera sottolio, il pasticcio classico al ragù, di verdure, al radicchio di Treviso, d’anatra. A ciò si aggiunge il musetto artigianale cotto in forno a bagnomaria e spellato a caldo pronto dopo 20 minuti di rigenerazione. E poi la produzione di prosciutto Veneto Dop, il crudo fumé, coppa e lardo aromatizzati, guanciale e lonzino affumicati, speck, salame, sopressa, bocconata e bondiola di Sant’Agata

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La buona tavola… da portar via «Il salto importante — dicono i Nogara — c’è stato otto anni fa circa quando abbiamo iniziato a cucinare. Da allora abbiamo ampliato ed affinato la gamma di preparati che ci hanno portato a creare prodotti destinati anche alla sola ristorazione specializzata, alle enoteche o wine bar. Da ultimo, oltre alla porzione sottovuoto di bollito, abbiamo iniziato a produrre anche la giardiniera. E va alla grande». Ma andiamo a vedere la proposta Nogara, dei quali ho assaggiato il bollito, il loro take away prêt-à-manger per eccellenza (cappello del prete, musetto e lingua salmistrata) e il musetto (cotechino) al broccolo fiolaro di Creazzo (VI), ortaggio tipico di questo territorio a marchio DE.CO. Una delizia. Nella linea take away “Via Nogara” troviamo, come detto, la giardiniera fresca sottolio, fatta settimanalmente con verdure di stagione, e poi il pasticcio classico al ragù, di verdure, al radicchio di Treviso, d’anatra. A ciò si aggiunge il musetto artigianale cotto in forno a bagnomaria e spellato a caldo

pronto dopo 20 minuti di rigenerazione. E poi c’è la produzione di prosciutto Veneto DOP, il crudo fumé (affumicatura con legna di faggio e 18 mesi di stagionatura), coppa e lardo aromatizzati, guanciale e lonzino fumé, speck alto, salame e pancetta salamata, sopressa e bocconata (salume con grana grossa). Per concludere, la bondiola di Sant’Agata, antica ricetta di norcini vicentini che prende il nome dalla festività della santa che cade il 5 febbraio perché era l’ultimo insaccato fresco che consumavano le famiglie dei contadini quando ancora si macellava il maiale a dicembre: prodotta con l’impasto base del musetto (carne magra e grassa della testa del suino), è arricchita da un inserto di lingua leggermente salmistrata di maiale e di guanciale fresco salato. Gian Omar Bison Salumificio Macelleria Nogara Via Martiri Libertà 16 36050 Sovizzo (VI) Telefono: 0444 551001 E-mail: info@macellerianogara.it Web: www.macellerianogara.it

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PRODOTTI TIPICI

Lo Scamorzaro, oltre il bio Ne sono un esempio soppressate, salsicce e prosciutti. Salumi ottenuti da animali allevati in azienda, a soli 3 km dalla Riserva naturale dell’Abetina di Rosello. Per non parlare dei formaggi di Massimiliano Rella

L’

insegna rivela una delle produzioni più rappresentative di quest’agriturismo a “ciclo” quasi chiuso, con ristorante, piccolo caseificio e laboratorio di norcineria. Si chiama Lo Scamorzaro, in onore al prodotto di punta della zona, la scamorza. Ci troviamo a Rosello, Chieti, nella zona interna dell’Abruzzo al confine con il Molise, in un territorio incontaminato di pascoli, faggete e abeti bianchi, a soli 3 km dalla Riserva naturale dell’Abetina di Rosello. In quest’ambiente così

salubre, l’aria così balsamica, sembra superfluo parlare di biologico. Ogni prodotto della terra e del bosco, vegetale o animale, va oltre il bio e basta fare un giro per rendersene conto. L’agriturismo si estende su 12 ettari. Cuore dell’azienda è l’allevamento di suini, bovini e ovini — solo questi ultimi, un centinaio di capi — da cui si ottengono la carne e il latte per i formaggi, i salumi e le salsicce; naturalmente anche per il ristorante interno. Un secondo allevamento è a Ca-

pracotta, nel vicinissimo Molise, dove nasce in origine l’attività della famiglia Lemme, proprietaria da 13 anni. Tutto a conduzione familiare, oggi l’azienda è guidata da Concetta e dalla cognata Carmela. La produzione ammonta a 20 scamorze e 2 caciocavalli al giorno, ottenuti dalla lavorazione di un quintale di latte. Dalla carne dei suini si ottengono vari tipi di salumi, lavorati solo tra novembre e aprile. La soppressata, ad esempio, è un insaccato di carni magre di spalla, collo, lombo,

Gli animali al pascolo nel terreno dell’agriturismo (photo © Massimiliano Rella).

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Dalla carne dei suini si ottengono vari tipi di salumi, lavorati solo tra novembre e aprile. La soppressata, ad esempio, è un insaccato di carni magre di spalla, collo, lombo, coscia e pancetta, pulite di tendini e nervi, tritate a grana media e impastate con sale e pepe. Viene poi schiacciata sotto peso per 4-5 giorni e stagionata in cantina per 40 giorni

La stagionatura delle salsicce (photo © Massimiliano Rella). coscia e pancetta, pulite di tendini e nervi, tritate a grana media e impastate con sale e pepe. Viene poi schiacciata sotto peso per 4-5 giorni e stagionata in “cantina” per 40 giorni. Deliziose anche le salsicce della casa. La più saporita e intensa è fatta con fegato, più polmone e parti dell’esofago, il tutto tritato e mescolato con polpa di carne aromatizzata con aglio, peperoncino e sale. La salsiccia stagiona 20-25 giorni e ha un sapore leggermente amaro. Quella di cotechino, invece, è fatta con cotiche lessate tagliate a grana grossa, più un’aggiunta di pezzetti di fegato e polpa di carne, condita con aglio e peperoncino. In bocca

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è morbida, pastosa e piccante. Completa l’offerta di norcineria il prosciutto, delicato e non troppo salato. Queste tipicità si possono assaggiare — e acquistare — solo al ristorante, aperto a pranzo e cena tutto l’anno, eccetto il mercoledì. La cucina è generosa e saporita e il rapporto qualità/prezzo piuttosto alto: per un pasto completo il conto si ferma a € 26,00. Ottime la scamorza e la ricotta, buona anche la carne d’agnello dell’azienda. Il locale rustico con muri e archi di pietra a vista, i mobili di legno scuro e le pentole di rame alle pareti, ci accoglie come in una casa contadina d’altri tempi. Si aprono le danze con un antipasto

di salumi, prosciutto, capocollo e formaggi della casa. Si prosegue con i primi, ricette locali come le classiche sagne e fagioli, le fettuccine o le pappardelle al sugo d’agnello e i ravioli all’ortolana. Tra i secondi la consigliatissima scamorza alla brace — l’arte dello Scamorzaro — ma anche l’agnello alla brace e le salsicce grigliate. Su prenotazione nodi di trippa e torcinelli a base d’interiora di agnello. Dolce chiusura con le genuine torte caserecce. L’agriturismo offre 4 camere semplici per la notte, nel caso vi venga voglia di non rimettervi in viaggio dopo cena. Allegria: anche in alto Molise è arrivato il WI-FI! Massimiliano Rella

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EVENTI CARNIVORI

Prime Uve Invitational Barbecue Championship: oltre la carne c’è di più di Luciana Squadrilli

P

ensate che “fare un barbecue” si riduca ad una grigliata della domenica con amici, pezzetti di carne spesso bruciacchiati e tanta birra? Beh, non è (per forza) così. Intanto, vale la pena ripetere la differenza tra la grigliata all’italiana — salsicce, costolette, spiedini e cosce di pollo cotti sulle braci ardenti in maniera abbastanza veloce — e il barbecue vero e proprio, che si basa

esattamente sugli assunti opposti: carni in pezzature più grosse, da cuocere per ore e ore giocando in maniera accorta tra temperature, ossigeno, fumo (che diventa elemento di cottura e aromatizzazione) e rubbing, il mix di spezie ed erbe con cui si massaggiano i vari tagli per effettuare una marinatura a secco che protegge i succhi interni e dà sapore alla carne.

Nato negli USA, dove prende diverse varianti orgogliosamente regionali ognuna con la sua specialità, il BBQ sta facendo sempre più proseliti anche in Europa — e in Italia — con veri e propri “campionati” e team semi-professionali che si sfidano a colpi di brisket (petto di manzo), pulled pork (spalla di maiale cotta a lungo fino a che non si sfilaccia con le mani o con una

Nella sede della Distilleria Bonaventura-Maschio a Gaiarine (TV), sabato 1 e domenica 2 luglio si sono contesi il titolo di Grand Champion 2017 diciotto top team del circuito europeo. Il Prime Uve Invitational Barbecue Championship nasce nel 2015 da un’idea di Anna e Andrea Maschio e fin dalla prima edizione è diventato l’evento sul barbecue più esclusivo d’Italia.

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La gara, che si svolge nell’arco di due giorni, ha visto i team impegnati nelle preparazioni classiche (chicken, ribs, pork e brisket) affiancate da tre specialità: sauce, barrel smoke e dessert. Per la categoria barrel smoke i partecipanti dovevano realizzare l’affumicatura attraverso l’utilizzo di chunks provenienti delle botti impiegate per l’invecchiamento di un distillato Prime Uve. forchetta) e reverse searing (cottura lunga a bassa temperatura e grigliata finale ad alto calore per ottenere la “bistecca perfetta”). E che al loro hobby preferito dedicano tempo (pure quello destinato alle ferie!) e sudore per partecipare a eventi e gare dai toni competitivi ma anche molto divertenti. Da qualche anno anche in Italia si svolgono alcuni appuntamenti di

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rilievo internazionale; tra questi, il più prestigioso è senz’altro il Prime Uve Invitational Barbecue Championship. Giunto alla sua terza edizione, si è svolto, a luglio scorso, negli spazi esterni della distilleria, trasformati in un’allegra festa dove si sono incontrati accenti e sapori da tutto il mondo. La gara è sanzionata dalla KCBS (Kansas City Barbeque Society, una del-

le maggiori organizzazioni mondiali) con tanto di regolamento strettissimo, criteri rigorosi di valutazione e una giuria professionale e certificata per le categorie “classiche” (chicken, ribs, pork, brisket, più sauce e dessert con l’utilizzo di uno dei distillati Prime Uve) affiancata da una giuria VIP composta da giornalisti per la categoria barrel smoke, che lascia maggior spazio alla fantasia

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Alla fine della gara, una giuria ufficiale KCBS ha decretato il vincitore, il team austriaco BBQ Longhorn, i cui membri lavorano presso il ristorante omonimo (BBQ Longhorn Smokehouse, www.bbq-longhorn.at) di Dornbirn. premiando la miglior preparazione realizzata affumicando con chunks di botte usata per l’invecchiamento di un distillato Prime Uve affinato in legno: dagli spaghetti all’astice al risotto fumé. Alla fine il titolo di Grand Champion (e l’assegno di 9.000 euro) se l’è aggiudicato il team austriaco BBQ Longhorn, i cui membri sono riusciti a trasformare la passione per la griglia in un lavoro fondando il ristorante BBQ Longhorn di

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Dornbirn. Reserve Grand Champion 2017 è invece il team inglese Miss Piggy’s, formato dagli agguerritissimi Scott e Lyndsey — marito e moglie — che hanno messo su un catering a Leicester, UK. Il premio ufficiale per il barrel smoke è stato assegnato allo scafatissimo team belga BBQ+, anche se la VIP Jury ha preferito la sontuosa “variazione di bistecche” con tagli, cotture e affumicature diverse proposta dalla squadra svedese Flaming

Pig BBQ, fondata da Jenny e Thomas che gestiscono una scuola di barbecue, un ristorante e un negozio a tema. Gli italiani The Barktenders — team nato nel 2016 dall’idea di quattro amici che hanno fondato anche una società di ristorazione barbecue — hanno invece portato a casa un soddisfacente primo posto per la categoria chicken. Il Prime Uve Invitational nasce dalla passione personale per il BBQ di ANNA e ANDREA MASCHIO, i due

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Indovinatissimi gli abbinamenti pensati dal barman Michele De Carlo, che da anni lavora con i Maschio per creare ricette che esaltino le aromaticità dei diversi distillati e si abbinino agli aromi e alle diverse sfumature delle carni alla griglia

fratelli oggi alla guida della storica distilleria di famiglia dove si producono grappe da vinacce e distillati di pregio da uve coltivate appositamente (Prime Uve, appunto, nelle tre versioni Bianche, Nere e Oro) oltre che gin, amari e altri liquori di qualità. Ma pure dalla naturale sintonia tra grilling e spirits, per dirla così. I distillati, infatti, non si limitano a suggellare la chiusura del pasto con il tradizionale bicchierino ma entrano con il loro contributo aromatico nelle preparazioni BBQ come ingredienti di marinature, laccature, salse e pure dei dessert in gara. Durante la manifestazione, però, a contorno della competizione, sono stati proposti anche interessanti abbinamenti con le carni cotte sulla griglia che vanno decisamente oltre quelli più canonici e scontati, dentro e fuori il bicchiere. Un laboratorio, ad esempio, è stato dedicato ai buonissimi gelati di SIMONE DE FEO della Cremeria Capolinea di Reggio Emilia, in accompagnamento alle carni cotte — questa volta secondo l’Italian style — dal team del Chapter Veneto di BBQ4all, la più grande community italiana (oggi anche scuola e società di distribuzione di carni pregiate) di appassionati di barbecue dove le abilità americane si fondono con l’identità gastronomica italiana. E così, il gelato alla robiola con senape, amarene e olio extravergine si è rivelato perfetto con le costine di maiale leggermente affumicate e insaporite con aromi mediterranei, mentre quello alla panna acida con aglio fermentato, erbe e aceto balsamico ha accompagnato

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in maniera molto interessante le costine di manzo. Indovinatissimi anche gli abbinamenti nel bicchiere pensati dal barman MICHELE DE CARLO, che da anni lavora con i Maschio per creare ricette che esaltino le aromaticità dei diversi distillati e si abbinino agli aromi e alle diverse sfumature delle carni alla griglia, giocando su contrasti e affinità tra dolcezza, amaro e acidità anche in base ai diversi ingredienti usati per marinature, rub e salse. L’obiettivo principale è quello di rinfrescare il palato e pulire la bocca ma anche di dissetare chi sta a lungo davanti al fuoco senza esagerare con l’alcool. Nascono così, ad esempio, cocktail freschissimi e leggeri come il BBPrime (Prime Uve Bianche, amaro Pratum, lamponi, chinotto, ribes fresco, stecco di liquirizia e fetta di limone) pensato per accompagnare le ribs laccate con il suo carattere amaricante; il Prime Uve Summer Punch (una sorta di “sangria” a base di Prime Uve Nere, gazzosa, Old Tonic, zenzero candito, pesche, mele, limone e salvia) perfetto con il pollo o come intervallo tra una portata; lo Smokey Margarita (Mezcal, Prime Arance, spremuta di lime, sciroppo di zucchero e sale di Cervia) da accompagnare alla carne di maiale; il White Spring (Prime Uve Bianche, Sanbittér bianco, limone, basilico e uno spruzzo del Gino Puro+, il gin firmato Maschio più deciso e “netto”, pensato per i barman professionisti) ideale come aperitivo; il Mediterraneo (Prime Uve Bianche, Prime Arance, sciroppo di zucchero, spremuta di limone, foglie di basilico e cedrata) che unendo la freschezza degli agrumi e del basilico alla dolcezza della cedrata si rivela un drink versatile da abbinare praticamente a tutto, dalla pizza a una succulenta fiorentina. Ma pure il classico Mojito si dimostra perfetto per accompagnare un pollo alla griglia e, perché no, anche il polpo o altri tipi di pesce. Da tenere a mente la prossima volta che organizzate una grigliata — o un vero e proprio BBQ — in terrazza. Luciana Squadrilli


Gourmet Days, belle contaminazioni di cucina e cultura nella ricercata San Pietroburgo Quest’anno San Pietroburgo è una meta molto gettonata. Sicuramente uno dei motivi è l’anniversario dei cent’anni dall’inizio della rivoluzione russa, che nel febbraio 1917 vide la città al centro degli eventi che tracciarono la fine dell’impero russo e la nascita della Russia sovietica di Lenin. Lo scorso luglio, però, c’è stata un’altra occasione, sicuramente più ludica e gradita al palato, rappresentata dalla prima edizione di Gourmet Days (gourmetdays.ru), una rassegna che ha portato a San Pietroburgo la crème de la crème tra chef, professionisti dell’agroalimentare di qualità e stampa di settore per una tre-giorni di pranzi, cene e show cooking all’insegna del buon mangiare e bere. L’obiettivo era chiaro: riportare questa bella ed elegante metropoli russa al centro dell’attenzione per raccontare, attraverso le mani esperte di 18 tra i volti più celebri della gastronomia russa, la grande tradizione alimentare del Paese e le nuove tendenze e contaminazioni che nelle cucine sono fortunatamente più frequenti rispetto ad altri ambiti della nostra società. All’interno di Gourmet Days sono state organizzate 9 cene, ciascuna unica nel proprio genere per uso delle materie prime, tecniche di cottura e preparazione dei piatti, con protagonisti chef che hanno utilizzato materie prime selezionate, rigorosamente made in Russia. Da Roma è partito Roberto Liberati (facebook.com/www.bottegaliberati.it), superlativo macellaio del quartiere capitolino Don Bosco, ospite speciale tra tutti gli chef russi. Il titolare di Bottega Liberati è stato indiscusso protagonista di una lezione di sezionamento di un agnellone proveniente da allevamenti locali, rigorosamente bio. L’evento si è svolto presso il ristorante Smoke BBQ (facebook.com/smokebbqrussia), un bel locale che celebra il culto delle proteine animali, del barbecue texano e della tradizione a stelle e strisce.

1) Roberto Liberati durato la demo di sezionamento dell’agnellone. 2/3) Alexey Burov, titolare di Smoke BBQ, un trentenne che ha trascorso tre anni a spasso tra Texas e Carolina del Sud alla scoperta delle tecniche del barbecue e che quest’anno ha aperto il suo locale a San Pietroburgo, contaminando così la cultura gastronomica russa con brisket e ribs (photo © facebook.com/spbgourmetdays).

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ASSEMBLEE

Assemblea generale UNAItalia: l’avicoltura italiana si racconta Qualità e sostenibilità al centro degli impegni della filiera. Dimezzato in cinque anni l’uso degli antibiotici in allevamento

U

n piano d’azione congiunto e a lungo termine per accrescere il valore del settore e dare risposte concrete ed efficaci su alcuni temi di particolare interesse per i consumatori italiani quali il benessere degli animali, la qualità e la sicurezza dei prodotti alimentari, nonché la sostenibilità dei processi produttivi. Dalla drastica riduzione dell’uso dei farmaci negli allevamenti italiani (quantità dimezzata in soli cinque anni), alla promozione di un protocollo d’intesa di tutte le componenti della filiera al vaglio dei Ministeri delle Politiche

Agricole e della Salute, fino alla premiazione delle giovani eccellenze italiane attraverso il premio “Avicoltore dell’Anno”. UNAItalia, l’associazione di riferimento del settore avicolo italiano, in occasione della quinta assemblea generale tenutasi lo scorso fine giugno a Roma, ha annunciato una nuova strategia per rilanciare le ambizioni di un comparto di primissimo piano del settore zootecnico nazionale (unico nel panorama italiano delle carni completamente autosufficiente, con una percentuale di approvvigionamento pari al 106%) e rafforzare

il valore di uno dei prodotti, il pollo e le carni bianche, più amati e consumati nel nostro paese. Gli Italiani, infatti, scelgono sempre di più pollo e tacchino. Nel 2016 il consumo pro capite di carne bianca in Italia è salito a 21,01 kg, +2,7% rispetto all’anno precedente. E malgrado il calo dei prezzi di circa il 9-9,5% abbia di fatto condizionato la marginalità delle aziende, nell’ultimo anno la produzione di carni avicole è cresciuta del 5,1%, attestandosi su un valore pari a 1.389.000 tonnellate. I primi dati 2017 indicano invece una diminuzione delle produzioni

Alberto Waldner, vicepresidente UNAItalia.

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Lara Sanfrancesco, direttore di UNAItalia. di circa l’1,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. «Il settore avicolo italiano — ha dichiarato il presidente di UNAItalia ALDO MURARO — si trova di fronte nuove sfide produttive e di comunicazione che impongono scelte strategiche volte ad intercettare i cambiamenti in atto. Già da tempo abbiamo favorito un approccio aperto al confronto, che pone al centro della propria attenzione

il consumatore, la sicurezza e la qualità dei prodotti che a questo vengono offerti, con lo scopo di valorizzare gli sforzi, gli investimenti e gli aspetti di grande positività di un settore strategico per la zootecnia nazionale e l’economia del Paese». Gli impegni dell’avicoltura italiana: dimezzato in cinque anni l’uso dei farmaci negli allevamenti Nel 2016 l’uso di farmaci antibiotici

negli allevamenti avicoli italiani è stato ridotto del 23,7% rispetto al 2015. Un risultato certificato dall’organismo indipendente CSQA, che si aggiunge alla già cospicua riduzione pari al 40% rispetto al dato del 2011 registrata nel triennio 20132015. In soli cinque anni il settore avicolo italiano, a cui tuttavia già si attribuiva meno di un quarto del totale degli antibiotici venduti nel settore zootecnico, ha dimezzato

Anche Fiesa all’assemblea di UNAItalia. Angelotti: i commercianti al centro, tra consumatori e produttori Fiesa Confesercenti, con una propria delegazione guidata dal presidente Gian Paolo Angelotti e dal direttore Gaetano Pergamo, ha partecipato ai lavori dell’assemblea di UNAItalia. «I commercianti sono parte integrante della filiera e ne rappresentano per molti versi i narratori — ha detto Angelotti a margine dell’assemblea — siamo in qualche modo gli ambasciatori della qualità alimentare italiana, abbiamo il compito di raccontarla e venderla. Conoscere gli sforzi che i produttori stanno facendo, sul fronte della sicurezza e della qualità, ci agevola nel compito. Essere parte integrante della filiera da questo punto di vista rappresenta una scelta strategica importante a supporto delle filiere, perché ci mette nelle condizioni di raccontare, come ha giustamente intuito il Ministero delle Politiche Agricole e Alimentari. Lo scorso anno i consumi di carne bianca sono aumentati e su questo prodotto non riscontriamo le problematiche culturali che invece frenano gli altri alimenti a base di carne. Bene dunque lo sforzo della filiera e il pieno coinvolgimento di tutti gli attori». (Fiesa Assomacellai)

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In alto: Amalia Mascia, allevatrice foggiana a Pietramontecorvino, premiata per aver saputo conciliare benessere animale, riduzione degli antibiotici e sostenibilità ambientale. In basso: Enrico Bolognesi, dell’omonimo stabilimento di Stienta (RO), premiato nella categoria benessere animale.

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Chi sono gli avicoltori dell’anno di UNAItalia Valorizzare le eccellenze di un settore tecnologicamente avanzato, sensibilizzare l’adozione di pratiche sempre più virtuose, premiare le idee più innovative, esaltare il saper fare italiano. Con questi obiettivi UNAItalia ha promosso la 1a edizione del premio “Avicoltore dell’anno. Premio 2017 migliori pratiche del settore avicolo italiano”, riconoscimento che la filiera dedicata ai suoi principali protagonisti, gli allevatori. I vincitori sono stati selezionati tra oltre 40 candidature. Ecco le loro storie. Salvatore Angelo – Sostenibilità ambientale Molisano di Spinete (CB), classe ‘76, appartenente ad una famiglia di avicoltori avicoli da due generazioni, è stato premiato nella categoria sostenibilità per la capacità di coniugare amore per la natura e il benessere animale con la passione per l’innovazione tecnologica che coltiva fin da piccolo. Ingegnere elettronico, ha ideato e brevettato un sistema di sorveglianza per gli allevamenti avicoli in grado di individuare tempestivamente anomalie ed inviare la relativa segnalazione di allarme in tempo reale anche con messaggi sms. L’apporto del brevetto alla sostenibilità ambientale, oltre all’evidente contributo al soddisfacimento del benessere animale, consente di evitare che l’eventuale danno individuato si amplifichi richiedendo interventi più consistenti e dunque più impattanti. Enrico Bolognesi – Benessere animale A capo dell’omonimo stabilimento di Stienta (RO), è stato premiato nella categoria benessere animale per aver messo al primo posto della sua recente attività di allevatore, nata nel 2011, la salute dei suoi capi e l’applicazione di soluzioni pratiche per migliorare la qualità della loro vita. Giovane allevatore convito che la qualità del benessere animale è strettamente collegato al livello di salute dell’uomo, ha introdotto nei sui tre nuovi e avanzati capannoni, tetti trasparenti affinché gli animali godano della luce del sole e sia favorito il naturale passaggio dalle ore del giorno a quelle della notte, evitando così problemi di comportamento e di salute degli animali. Questa, insieme ad altre soluzioni come l’utilizzo di avanzate tecniche e strumenti di rilevazione delle temperature e dell’umidità e il posizionamento di apposite ballette di paglia sparse all'interno dei capannoni per offrire agli animali una possibilità di svago, hanno contribuito a creare un ambiente di crescita ideale con effetti positivi sull’aumento della vivacità degli animali, una minore sedentarietà e una maggiore capacità di esprimere i propri comportamenti naturali. Roberto Drigani – Sostenibilità ambientale Ultimo discendente di una famiglia di agricoltori e avicoltori che dal 1940 opera nelle verdi campagne della provincia udinese, a Povoletto, lungo il corso della roggia Cividina, Roberto Drigani è stato premiato nella categoria sostenibilità ambientale per la capacità di innovazione nelle tecniche di sostenibilità. L’allevamento è una vera passione di famiglia, che nel corso degli anni è cresciuta di pari passo con l’innovazione tecnologica. Accanto alle più avanzate pratiche di allevamento che garantiscono adeguata illuminazione naturale e giusta temperatura interna per ottenere un clima sano per gli animali, l’azienda affianca soluzioni originali come l’utilizzo per le lettiere del miscanto, un vegetale con ottima capacità assorbente che consente di mantenere la lettiera sempre asciutta, con minori odori e senza polvere e che, per la sua particolare consistenza, è anche “un divertimento” per gli animali. Claudio Grosselle – Benessere degli animali Situato a Mirandola (MO), l’allevamento di Claudio Grosselle di oltre un milione di capi è stato premiato per la dedizione e la perseveranza dimostrate anche di fronte alle prove più dure. Nel 2012, a seguito del sisma che ha colpito l’Emilia Romagna, l’azienda ha subito ingenti danni ai propri fabbricati. Ciò nonostante, è stata in grado di rialzarsi e migliorare ulteriormente le proprie strutture, dimostrando un impegno e una passione fuori del comune. Ponendo sempre al centro il benessere degli animali, è stato introdotto un sistema di emergenza nell’eventualità di black-out elettrico attraverso l’installazione di 3 linee elettriche collegate a 3 gruppi elettrogeni di emergenza e (in caso di mancata partenza dei 3 gruppi) a motori alimentati a batteria. I capannoni sono dotati di finestre trasparenti per assicurare la naturale alternanza delle ore del giorno e della notte, mentre grande attenzione è riposta nell’organizzazione della lettiera, intesa non come “rifiuto” bensì come fonte imprescindibile di sostanze nutritive per la coltivazione dei terreni aziendali riducendo drasticamente l’uso di concimi chimici di sintesi. Amalia Mascia – Riduzione degli Antibiotici Con la collaborazione degli altri membri della sua famiglia, dal 2008 Amalia conduce un allevamento estensivo a Pietramontecorvino, in provincia di Foggia, dove ha saputo conciliare in modo indissolubile benessere animale, riduzione

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degli antibiotici e sostenibilità ambientale. Attraverso il massimo rispetto del protocollo aziendale, l’adozione di pratiche sempre più performanti e il monitoraggio più volte al giorno dei parametri di umidità e ventilazione degli allevamenti per assicurare una lettiera sempre asciutta, si disincentiva lo svilupparsi di malattie e di conseguenza si garantisce la riduzione dell’uso dei farmaci. Anche la sostenibilità ambientale è favorita da sistemi di stoccaggio e, previa autorizzazione degli organi sanitari competenti, successivo utilizzo della pollina come concime organico nei terreni di proprietà. Mirco, Diego e Corrado Cavicchi – Categoria Avicoli Speciali Membri di un’azienda avicola familiare nata nel 1982 dall’iniziativa di papà Goffredo, i tre fratelli Cavicchi rappresentano un esempio virtuoso di avicoltura dedicata agli avicoli speciali, a cui è dedicato un premio speciale. L’azienda nel 2015 decide di dedicarsi alla produzione di nicchia (di cicli alternati di faraone, polli “collo nudo” e galletti). Nel 2016 decide di avviare l’allevamento di faraone a lento accrescimento e senza antibiotici. Inoltre, data l’ubicazione in una zona incontaminata, ai margini del Parco dei laghi di Suviana e Brasimone, l’azienda — in accordo al Consorzio Rurale di cui l’azienda fa parte — utilizza esclusivamente acqua di sorgente. La più grande ambizione è legare il mondo agricolo al turismo per avvicinare sempre di più le persone alla realtà avicola.

l’uso dei farmaci negli allevamenti. Un importante traguardo raggiunto grazie all’attivazione dal 2013, su base volontaria, di un piano nazionale per la razionalizzazione dell’uso di antibiotici. Si tratta del più importante intervento organico di riduzione e razionalizzazione dell’uso del farmaco in ambito zootecnico in Italia, un piano molto ambizioso, fatto proprio dallo stesso Ministero della Salute ed emanato nel luglio 2015. Per l’anno 2017 il piano permetterà di consolidare e migliorare i risultati ottenuti attraverso l’impegno mirato alla riduzione delle molecole critiche e importanti per la salute umana: infatti, dopo l’abbandono delle cefalosporine di terza e quarta generazione a partire dal 2009, oltre alle altre cefalosporine tradizionali, il nuovo piano prevederà il bando dell’uso della colistina nel pollo da carne. «L’azione di riduzione — ha spiegato Muraro — è solo uno degli impegni che il settore sta portando avanti nell’ambito di un processo di valorizzazione dell’intera filiera, in cui è forte la spinta all’innovazione, all’affermazione di nuove e più efficaci pratiche di allevamento e alla capacità di offrire risposte concrete alle nuove esigenze produttive. I confortanti risultati ottenuti non rappresentano un punto di arrivo, ma un’importante premessa che rafforza e favorisce il dialogo costruttivo con tutti i soggetti della filiera, dalla distribuzione ai con-

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sumatori, in una logica di sistema virtuoso che possa rappresentare un vero e proprio modello per tutto il food made in Italy». Un accordo di filiera: il protocollo di UNAItalia al vaglio di MiPAAF e Ministero della Salute Continuare a ridurre in modo progressivo e permanente l’utilizzo del farmaco è uno degli impegni alla base dal protocollo di intenti di cui UNAItalia si fa promotrice e che è al vaglio del ministro delle Politiche Agricole MAURIZIO MARTINA e della ministra della Salute BEATRICE LORENZIN. Il documento, che intende essere una linea guida strategica di indirizzo, ha lo scopo di favorire tutti i processi volti a migliorare gli standard di allevamento, accrescere il livello di benessere animale, contrastare il fenomeno dell’antibiotico resistenza, adeguare e ammodernare le strutture per migliorare gli standard di sostenibilità ambientale, come pure favorire la valorizzazione della filiera italiana e la diffusione di corrette informazioni. Il protocollo riunirebbe per la prima volta tutti gli attori della filiera e sarà sottoscritto da tutte le componenti del settore avicolo, dalle rappresentanze agricole, del commercio e da alcune delle sigle dei consumatori più rappresentative. Allevatore dell’anno: scelti 6 giovani allevatori tra i più bravi d’Italia Con 18.500 allevamenti, di cui 6.400 professionali, che impiegano

38.500 addetti e un fatturato di 5,4 miliardi di euro, la filiera avicola italiana rappresenta un modello per la zootecnia nazionale. Proprio con l’obiettivo di evidenziare il ruolo di un settore che mantiene forti radici agricole e valorizzare del grande capitale umano, UNAItalia ha promosso la prima edizione del premio “Avicoltore dell’anno. Premio 2017 Migliori pratiche del settore avicolo italiano”. I sei vincitori, scelti da una giuria di esperti composta dal direttore di UNAItalia LARA SANFRANCESCO, dal vicesegretario generale di Altroconsumo FRANCA BRAGA e da MARIA CARAMELLI, direttore generale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle D’Aosta e premiati nel corso dell’assemblea di UNAItalia, sono stati selezionati tra decine di candidature di giovani allevatori che offrivano i migliori standard qualitativi e innovativi di allevamento. «Questo riconoscimento — ha commentato Lara Sanfrancesco — si inserisce in un percorso molto più ampio, avviato già da alcuni anni, attraverso il quale puntiamo a sensibilizzare i nostri avicoltori ad adottare pratiche di allevamento sempre più virtuose. Quest’anno abbiamo deciso di raccontare il nostro impegno a migliorare ogni fase della filiera con un premio dedicato proprio ai suoi protagonisti: gli allevatori. Siamo soddisfatti del cammino svolto finora ma consapevoli che molto ancora si può fare».

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FIERE

Eurocarne 2018, soluzioni per la filiera corta Presentata la nuova edizione della manifestazione, con un format all’interno di Fieragricola più vicino agli allevatori, che punta sulla sostenibilità e sul rilancio dei consumi

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urocarne cambia format e si rinnova, per intercettare le nuove esigenze del mercato e offrire ai propri clienti un appuntamento di alto profilo, in grado di riunire tutti i protagonisti della filiera della carne: produttore, macellatore, trasformatore, distributore, consumatore. La presentazione della formula rinnovata della manifestazione si è tenuta lo scorso fine luglio presso la cooperativa zootecnica La Torre di Isola della Scala

(VR), realtà storica nella produzione di carne bovina, che ha saputo diversificare e sposare un modello di agricoltura multifunzionale. «L’alleanza con Fieragricola, evento storico di VERONAFIERE, dedicato al comparto primario e giunto alla sua 113a edizione — ha spiegato CLAUDIO VALENTE, vicepresidente di Veronafiere — rafforza ulteriormente il ruolo del comparto zootecnico, che dal 2014 ha iniziato un percorso di riposizionamento e

di rilancio. I punti di contatto sono molteplici, dalle diverse tipologie di allevamento alla filiera corta — una delle novità dell’edizione 2018 —, per rispondere alle nuove esigenze del consumatore, che sempre più richiede produzioni sostenibili, il rispetto del benessere animale, un’elevata qualità della carne e la conoscenza della provenienza della carne, dei tagli, dei modi per valorizzarli, elementi ritenuti indispensabili per acquistare la carne».

La presentazione di Eurocarne 2018 si è tenuta lo scorso fine luglio presso la cooperativa zootecnica La Torre di Isola della Scala, una realtà storica nella produzione di carne bovina che negli anni ha saputo diversificare e sposare un modello di agricoltura multifunzionale.

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L’alleanza con Fieragricola rafforza il ruolo del comparto zootecnico che da tempo ha iniziato un percorso di riposizionamento e rilancio. I punti di contatto vanno dalle varie tipologie di allevamento alla filiera corta, per rispondere alle esigenze di un consumatore che oggi chiede produzioni sostenibili, rispetto del benessere animale, un’alta qualità e la conoscenza della provenienza della carne, dei tagli e del modo di valorizzarli

Riccardo Artegiani, 35 anni, imprenditore agricolo e presidente dall’aprile 2015 della cooperativa La Torre di Isola della Scala, nata nel 1966. Oggi — al traguardo dei 50 anni — La Torre vanta 13 allevatori soci, 7.000 capi bovini da carne allevati (quasi esclusivamente Charolaise, ma anche Limuosine, Aubrac e incroci) e un fatturato di circa 11 milioni di euro. All’evento sono intervenuti anche DIEGO VALSECCHI, direttore commerciale di Veronafiere, LUCIANO RIZZI, responsabile area Agriexpo e Technology di Veronafiere, insieme a GIULIANO MARCHESIN, direttore di Unicarve e GIUSEPPE BORIN, direttore di Azove. La prova di una crescente attenzione al prodotto made in Italy è confermata dai numeri recentemente presentati da ISMEA (elaborazioni su dati ISTAT e NIELSEN), in base ai quali nel 2016 si è fermata per la carne bovina la contrazione dei consumi, con le produzioni italiane che hanno tenuto molto di più rispetto alle

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carni di provenienza estera. Fra il 2014 e il 2016 i consumi di carne italiana sono passati da 10,4 a 10,2 kg/pro capite, mentre per la carne bovina estera è scesa da 7,40 a 6,90 kg/pro capite. Ma l’interesse alla tracciabilità è alto per tutti i comparti: avicunicolo, ovicaprino, suino. Più attenzione agli allevatori Eurocarne, forte di un’esperienza ormai consolidata (la prima edizione è stata nel 1969), è proiettata alla ricerca delle nuove tendenze nel settore carneo, senza però dimenticare i target essenziali della filiera: l’esigenza di reddi-

tività, la necessità di diversificare le opportunità e le occasioni di consumo, la sicurezza alimentare e l’attenzione ai nuovi stili di vita. A chi si rivolge la manifestazione Eurocarne si rivolge a tutti gli attori della filiera corta che collaborano in stretta sinergia fra loro: gli allevatori (storicamente un segmento molto presente a Fieragricola), le aziende agricole multifunzionali, gli agriturismi, i laboratori artigianali, senza dimenticare le macellerie, le gastronomie, i ristoratori, la media e grande distribuzione. Saranno chiamati a esporre alla nuova formula di

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più visitate a livello europeo», ha ricordato il vicepresidente di Veronafiere Valente.

Eurocarne, la fiera più importante per la filiera e l’industria della carne, si terrà a Verona nel 2018. Eurocarne i produttori di impianti ed attrezzature per la macellazione, di tecnologia professionale e attrezzature per la lavorazione trasformazione delle carni, i produttori di tecnologia per la conservazione e il confezionamento del prodotto, gli operatori del settore aromi e additivi, i consorzi e le organizzazioni di prodotto, le aziende che offrono allestimenti per il lavoratore di lavorazione, preparazione e confezionamento, ma anche gli allestimenti per i punti vendita, i servizi alla filiera, le associazioni di categoria (produttori, macellai, catene della media e grande distribuzione) e la stampa di settore. Il consumatore al centro Sotto la lente di Eurocarne, inoltre, finiranno le nuove esigenze del consumatore, le risposte della GDO, le soluzioni per la ristorazione veloce e la gastronomia. Il consumatore sarà anche al centro dei nuovi concept

relativi alle macellerie di domani. Per favorire i consumi di carne saranno previste aree dimostrative per la preparazione di prodotti, show-cooking, concorsi, area degustazione. E, grazie alla concomitanza di Fieragricola, troveranno spazio anche le nuove frontiere dei laboratori artigianali, degli agriturismi, del mondo rurale. L’alleanza con Fieragricola Con 130.000 visitatori nell’ultima edizione del febbraio del 2016, Fieragricola è stata la rassegna italiana dedicata in maniera specializzata a tutti i comparti dell’agricoltura più visitata dello scorso anno, con un bacino del 15% di visitatori giunti dall’estero in aumento del 5% sulla fiera del 2014. «Sono questi i numeri, insieme ai 600 animali presenti nei padiglioni dedicati alla zootecnia, che confermano la leadership su scala nazionale di Fieragricola, una delle manifestazioni

Eurocarne 2018 rappresenta il palcoscenico ideale per riconoscere quel 50% di carne prodotta dai nostri allevatori e per iniziare veramente a valorizzare la filiera corta, evitando di confonderla con quella proveniente dall’estero e senza le adeguate informazioni, ha dichiarato il direttore di Unicarve Giuliano Marchesin

La parola ad Azove e Unicarve Secondo il direttore di Azove Giuseppe Borin, che ha preso parte alla tavola rotonda nel corso dell’evento di presentazione di Eurocarne, «partecipare alla manifestazione è un’opportunità di far conoscere compiutamente la filiera di Azove agli operatori più a valle rispetto alla fase di acquisto dei bovini da carne e di stabulazione sul territorio. Con un controllo verticale della filiera pensiamo di poter essere un valido partner sia per la Grande Distribuzione Organizzata che per il dettaglio tradizionale, soprattutto quello regionale, che può valorizzare al meglio i nostri punti di forza». La concomitanza con Fieragricola, pertanto, «permette di parlare direttamente all’allevatore e di favorire un migliore coordinamento con strutture organizzate quale appunto è Azove. Di fatto siamo una filiera corta, ma con i plus derivanti dai numeri e dalla capacità di arrivare fino alla macellazione e alla lavorazione delle carni». Per il direttore di Unicarve Giuliano Marchesin, «Eurocarne 2018 rappresenta il palcoscenico ideale per riconoscere quel 50% di carne prodotta dai nostri allevatori e per iniziare veramente a valorizzare la filiera corta, evitando di confonderla con quella proveniente dall’estero e senza le adeguate informazioni». L’appuntamento con la 27ª edizione di Eurocarne e la 113ª edizione di Fieragricola, «sarà l’occasione per comunicare i primi risultati del progetto collegato alla Carta di Padova per la zootecnia bovina da carne, sottoscritta lo scorso 26 maggio dai più importanti consorzi e associazioni di produttori di carne». (Fonte: Eurocarne News)

>> Link: www.eurocarne.it

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Alimentaria, un appuntamento da non mancare

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egnatevi una data, 16-18 aprile 2018, ma, soprattutto, un luogo, Barcellona. La capitale della Catalogna ospiterà infatti nuovamente ALIMENTARIA, la fiera multiprodotto che con cadenza biennale chiama a raccolta gli operatori del food europei con un incoming anche da USA, Oriente e America Latina. Nel quartiere fieristico Gran Vía le aspettative sono alte e gli organizzatori stanno mettendo a punto un fitto calendario di eventi che, confermando ancora una volta l’anima internazionale della manifestazione, troverà un equilibrio tra la parte orientata al business e la valorizzazione di gastronomia e ristorazione. Con operatori in arrivo da oltre 150 Paesi, Barcellona si conferma quindi una piattaforma espositiva capace di catalizzare interesse nello scenario del food & wine. Tra le priorità di Alimentaria 2018 c’è lo sviluppo di nuove opportunità per il comparto food & drink spagnolo su di un contesto globale. Su queste premesse gli organizzatori hanno iniziato la campagna promozionale per identificare e attrarre i buyer chiave dell’Europa (non dimentichiamo che il 70% del prodotto alimentare spagnolo viene esportato sui mercati EU, NdR), Stati Uniti, America Latina (con cui Alimentaria ha da sempre un forte legame), il Magreb e tutto il bacino del Mediterraneo, oltre all’Asia. Per quanto riguarda gli espositori, ad oggi le stime parlano di quasi 4.000 aziende, mille delle quali provenienti da 78 Paesi, e di 40.000 professionisti del food che giungeranno a Gran Vía da 160 Paesi. La forza di Alimentaria, però, al di là della location strepitosa che garantisce zero problemi in quanto a logistica e accoglienza, sta anche nell’organizzazione di migliaia di incontri B2B all’interno della

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Dal 16 al 18 aprile 2018 torna a Barcellona Alimentaria. fiera. L’obiettivo di quest’anno è quello di superare il record dell’edizione 2016, che aveva raggiunto oltre 11.200 incontri tra 800 buyer esteri. «Questo traguardo ideale ci spinge ad essere ancora più efficaci in termini di piattaforma di business per i nostri espositori e per i visitatori, catalizzando ancora una volta e ancora di più l’interesse dell’agroalimentare mondiale verso i mercati del Sud Europa» ha dichiarato J. ANTONIO VALLS, CEO e direttore di Alimentaria. Tra le parole chiave dell’edizione 2018 troveremo innovazione, gastronomia e attrezzature per l’HORECA, con la pianificazione di attività che legheranno il cibo all’industria e al turismo. Sono in corso di definizione 200 attività che prenderanno forma all’interno di Alimentaria

Hub e Alimentaria Experience, le due grandi aree tematiche della fiera. Alimentaria Hub ospiterà i saloni Innoval e Best Pack, oltre ai Food & Drink Business Meeting già citati, gli eventi dell’ICEX, un convegno sulla nutrizione, spazi per start-up legate al food e un’area riservata ai food blogger. Nella formula multiprodotto Alimentaria 2018 si articolerà attraverso 6 saloni tematici specializzati: Intervin, Intercarn, Restaurama, Interlact, Expoconser e Multiple Foods. Per cogliere le opportunità di business di ogni settore, nell’ottica di export e di innovazione.

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Osservatorio Ipack-Ima: vince l’ottimismo La filiera dell’industria italiana del processing e del packaging si conferma in crescita, con la maggioranza delle aziende che prevede un trend positivo anche nel 2017

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na filiera industriale in buona salute, che genera un giro d’affari annuo superiore ai 44 miliardi di euro e con prospettive future che aprono ad interessanti opportunità di business grazie anche ad un’elevata propensione esportativa. È questa la fotografia che emerge dall’Osservatorio Ipack-Ima, lo studio congiunturale realizzato su base semestrale su un campione di aziende operative lungo tutta la filiera del processing e packaging (costruttori di macchine di processo e confezionamento, fornitori di componentisti-

ca, produttori di materiali) e che servono vari settori industriali a valle suddivisi nelle cosiddette business community, tra cui meat & fish. Dai risultati della ricerca emerge, infatti, un comparto che, nel secondo semestre 2016, è cresciuto tra lo 0% e il 5% per la maggioranza delle tipologie produttive e business community, un dato che ha inciso significativamente sul sentiment positivo degli imprenditori per il semestre in corso. L’export, in particolare, si è rivelato il motore trainante delle vendite, mentre i primi sei mesi

2017 prevedono crescite maggiori sul mercato domestico, a cui stanno contribuendo, in modo diretto o indiretto, le misure dell’iperammortamento sull’acquisto di beni strumentali varate dal governo italiano. Nel dettaglio delle varie business community, per il food fresh & convenience l’analisi ha registrato una sostanziale crescita (fino al +5%) per la maggioranza delle aziende, ma sono numerose anche le imprese (una su cinque) che hanno dichiarato un incremento del giro d’affari a doppia cifra (+10%). Inoltre, le

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da imballaggio si raffreddano le previsioni sull’andamento del primo semestre 2017, soprattutto per quanto riguarda vendite nazionali e occupazione. Al contrario le previsioni sono migliorative sul fronte delle esportazioni. Estremamente positive, invece, le opinioni delle imprese della componentistica, segmento in cui la quota percentuale di pareri negativi non supera il 5%. L’indagine ha provveduto anche ad un’identificazione dei rischi percepiti dagli operatori del campione riguardo la profittabilità del proprio business. Pur con intensità variabile a seconda dei diversi segmenti produttivi, le principali minacce riguardano il clima concorrenziale sempre più aggressivo (20% dei rispondenti), i fattori macro-economici incidenti a vario titolo sulle vendite (12%), l’aumento dei prezzi delle materie prime e dell’energia (1 su 4 dei rispondenti), il costo del lavoro (13%) e i cambiamenti avversi del regime tributario (12%). Minor peso hanno le minacce che vanno a influire direttamente sulla gestione finanziaria delle imprese, presenti solo in una quota inferiore al 4% dei rispondenti.

il vagonetto in plastica

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previsioni sul semestre in corso sono migliorative rispetto alla situazione di quello precedente. Stime più caute provengono dal segmento meat & fish, già caratterizzato da performance non proprio brillanti nella seconda metà del 2016, con l’export per un egual numero di aziende in crescita (tra 0 e 5%) o in calo (fra 0 e –5%). Scomponendo l’andamento per tipologie di macchinari o materiali prodotti dalle aziende, le macchine di processo hanno registrato un giro d’affari analogamente positivo in Italia e all’estero, con buoni riscontri anche dal punto di vista occupazionale. In entrambi i semestri la maggioranza delle aziende del comparto si colloca in un range di crescita compreso tra lo 0 e il 5%. In rialzo, a tassi lievemente inferiori, risulta l’altro segmento dei beni strumentali costituito dai costruttori di macchine per il packaging. Un maggior numero di aziende stima cali nelle esportazioni e negli occupati, anche se, nei due semestri, prevalgono le aziende che vedono uno sviluppo del business (dal 62% al 75%). Coerentemente con quanto osservato per il settore dei macchinari per il packaging, anche tra i produttori di materiali

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L’industria delle carni si ritroverà a Milano dal 29 maggio al 1o giugno 2018 a Meat-Tech 2018, seconda edizione della fiera specializzata in tecnologie e soluzioni innovative per l’industria della lavorazione, del confezionamento e della distribuzione delle carni. Evoluzione e valorizzazione dell’industria delle carni saranno al centro di questa fiera che sarà in grado di offrire una visione completa e sinergica dei diversi comparti produttivi dell’intera filiera. Meat-Tech è targata Ipack-Ima ed è frutto della strategia e dell’esperienza di un grande player fieristico quale Fiera Milano e dell’associazione UCIMA (Unione Costruttori Italiani Macchine Automatiche per il Confezionamento e l’Imballaggio). Meat-Tech è inoltre promossa da ASS.I.CA. (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi), che rappresenta le imprese di produzione dei salumi (prodotti trasformati di carne suina e bovina) e di macellazione suina, e ANIMA ASSOFOODTEC (Associazione Italiana Costruttori Macchine, Impianti, Attrezzature per la Produzione, la Lavorazione e la Conservazione Alimentare), con le diverse realtà associative aderenti: COMACA (Costruttori Italiani Macchine per la Lavorazione delle Carni), i Costruttori Affettatrici, Tritacarne ed Affini, l’Unione Costruttori Impianti Frigoriferi.

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L’industria agroalimentare e la rivoluzione digitale

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o scorso 5 luglio PROMOSALONS e PARIS REGION ENTREPRISES hanno organizzato a Milano un evento di promozione della regione di Parigi e dei suoi saloni internazionali. L’obiettivo era quello di presentare alle aziende italiane il potenziale di mercato di quest’area e le opportunità che essa offre. Promosalons, oltre 450 saloni internazionali «In Francia si organizzano oltre 450 saloni internazionali ogni anno, 250 nella solo regione di Parigi, e in tutti i settori di attività» hanno raccontato orgogliosamente ai partecipanti all’evento MICHEL CLAIR e CORINNE

MOREAU, rispettivamente presidente e direttrice generale di PROMOSALONS. «Una delle caratteristiche di spicco di questi saloni è la capacità di riunire operatori di tutto il mondo, visto che, dai dati in nostro possesso, un visitatore su tre è di provenienza internazionale, come lo è circa il 50% degli espositori. Storicamente l’Italia è il primo cliente dei saloni francesi: più di 88.000 visitatori e di 10.000 espositori italiani sono presenti ai saloni organizzati in Francia (su un periodo di due anni)». La Francia concentra in particolare un’importante offerta di saloni a carattere internazionale nei settori agricolo e agroalimentare. «Saloni

che rappresentano innegabilmente una piattaforma ideale per conquistare i mercati di esportazione, incontrare gli attori internazionali e scoprire le innovazioni, soprattutto negli ambiti che concorrono alla digitalizzazione della filiera agricola e di quella alimentare». Agroalimentare settore primario nella regione di Parigi PIERRE BASSERAS, business development manager di PARIS REGION ENTREPRISES, ha precisato che «l’attività agroalimentare rappresenta nella regione di Parigi un settore economico di primaria importanza, grazie ad un tessuto di PMI reattive e innovative,

Una veduta della metropoli parigina (photo © Emaze).

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Uno scatto in occasione di una passata edizione di SIAL, il Salone Internazionale dell’Alimentazione che si terrà il prossimo anno a Parigi dal 21 al 25 ottobre (photo © foodmoodmag.it). allo sviluppo di prodotti a forte valore aggiunto su mercati di nicchia con un forte potenziale per l’export, e grazie anche alla presenza del primo mercato mondiale di prodotti freschi (il Mercato Internazionale di Rungis). La regione offre numerose opportunità business nella filiera biologica ad esempio e numerosi progetti d’innovazione, sostenuti da un ambiente scientifico estremamente favorevole alla R&S, pubblica e privata». La tavola rotonda ARMANDO GAROSCI, giornalista di Largo Consumo, ha dato la parola ai direttori dei saloni perché presentassero la loro visione della “rivoluzione digitale” nel proprio dominio di attività. VÉRONIQUE SESTRIERES, direttore di ALL4PACK (26-29 novembre 2018, www.all4pack. com), ha spiegato perché il packaging è essenziale in tutta la catena dell’agroalimentare, grazie ad una capacità di innovazione continua. «L’imballaggio — e l’insieme della sua catena di valore — copre un

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ruolo preponderante dalla produzione fino al consumatore. Questo settore è “dopato” dall’innovazione da sempre e le nuove opportunità dell’industria 4.0 vi sono integrate e in sintonia. Per rispondere a richieste sempre più specifiche, i professionisti dell’imballaggio utilizzano tecnologie di punta che permettono di guadagnare in produttività lungo tutta la catena, senza mai dimenticare la soddisfazione del consumatore finale e le sue richieste di sicurezza e trasparenza! Tutto questo know how

e molto altro sarà ad ALL4PACK Paris 2018». NICOLAS TRENTESAUX, direttore di SIAL (21-25 ottobre 2018, www.sialparis.com), ha poi illustrato come, al di là del packaging e della tracciabilità, l’universo dell’agroalimentare abbia già adottato le misure conseguenti a questa rivoluzione digitale. «Per far fronte agli imperativi della produttività, i siti produttivi si sono adeguati velocemente a livello di automatizzazione e digitalizzazione con molteplici benefici in termini

Promosalons è un network creato nel 1967 dedicato alla promozione internazionale dei saloni francesi. Presente in 55 uffici che coprono 120 Paesi, ha lo scopo di ottimizzare l’affluenza dei visitatori e la presenza degli espositori internazionali ai saloni professionali francesi. Paris Region Entreprises è l’agenzia per la promozione dell’attrattiva internazionale della regione di Parigi. Essa mette in atto la strategia di promozione internazionale della regione, in coordinazione con gli attori economici regionali, e gestisce il processo di contatto e accompagnamento dei progetti internazionali di investimento.

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Appuntamento con ALL4PACK Paris, salone di riferimento per i settori del Packaging, Processing, Printing & Handling, dal 26 al 29 novembre 2018. di velocità e flessibilità, ma anche di qualità, sicurezza alimentare e riduzione degli sprechi. La rivoluzione digitale continua poi a valle per portare sempre maggiori servizi al consumatore: le app e i robot si moltiplicano e aumentano la loro visibilità nella ristorazione così come nei punti vendita. Domani i maggiori cambiamenti riguarderanno la casa e ci accompagneranno nei consumi quotidiani. La rivoluzione digitale dovrà in futuro fare attenzione alle attese del consumatore per garantirgli più salute e alimenti naturali, un maggior rispetto dell’ambiente e della sicurezza, oltre ad una maggior trasparenza affinché ciascuno diventi l’autentico protagonista del proprio modo di consumare. SIAL continua ad essere un passo avanti e metterà più che mai sotto i riflettori tutti questi cambiamenti, segnali di quello che definirà il nostro piatto di domani. Un appuntamento da non perdere». VALÉRIE LEMANT, event manager di NATEXPO (22-24 ottobre 2017, natexpo.com), ha presentato l’im-

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patto delle innovazioni digitali sulle tendenze nel consumo di alimenti bio e nel retail. «Il digitale è al centro delle nuove tendenze di consumo e di distribuzione che stiamo osservando. I social network e le app rendono possibile un’autentica alternativa, in linea con le esigenze ed i valori sempre più marcati dei consumatori in generale e dei consumatori bio in particolare. Identificare i negozi vicino a casa dove sono in vendita i prodotti che rispettano il DLC, comprare a prezzi vantaggiosi i prodotti invenduti del giorno da un ristoratore del quartiere, fare la lista della spesa e ritrovare i prodotti dei produttori locali nei punti vendita rispondono alle aspettative dei consumatori a km 0, dei consumatori esigenti in materia di trasparenza e tracciabilità e dei difensori dei rifiuti zero. NATEXPO si impegna a mettere sotto i riflettori queste iniziative». >> Link: www.promosalons.com investparisregion.eu


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La nuova valutazione del rischio chimico in azienda Oltre a modificare le etichette e le Schede Dati di Sicurezza, i Regolamenti CLP e REACH prevedono che i datori di lavoro eseguano nuove valutazioni dell’esposizione al rischio chimico dei loro addetti di Giulia Mauri

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ntra sempre più nel vivo il progetto di controllo e monitoraggio delle sostanze chimiche prodotte e immesse sul mercato europeo. Infatti, dal primo giugno 2017 le Schede Dati di Sicurezza dei prodotti devono essere omologate a quanto riportato nella normativa, e non è più possibile lasciare voci in bianco o inserire formule di comodo quali “non esistono informazioni a riguardo”. Questo prevede il Regolamento REACH, che, affiancato al Regolamento CLP, rivoluziona completamente l’approccio alla gestione del rischio chimico in Europa.

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Perché tutti gli operatori della filiera, dai fabbricanti e dagli importatori ai produttori che fanno uso di queste sostanze, fino agli utilizzatori finali, hanno dei nuovi doveri ben precisi da non sottovalutare. Il Regolamento 1272/2008 detto “CLP” e il Regolamento 1907/2006 detto “REACH”, sostituiscono il DL 59/97 e il DL 65/03; hanno lo scopo di garantire la protezione della salute dell’uomo e dell’ambiente. Oggi il REACH si applica a tutte le aziende che importano o producono sostanze o miscele per quantitativi superiori alla tonnellata annua. Il CLP, invece,

si applica indipendentemente dalla quantità di sostanze prodotta. Non si applica però ad alcune categorie, compresi i mangimi, i farmaci e i prodotti in dogana. Il CLP prevede che chi immette sul mercato europeo prodotti chimici ne definisca i pericoli che questa immissione comporta, considerando anche componenti minoritari quali impurezze, stabilizzanti, additivi e conservanti. E, per eseguire correttamente l’etichettatura, l’imballaggio e la classificazione di una sostanza, è necessario seguire le norme riportate nel CLP.

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più etichettate secondo le norme. Infatti, in caso di ispezione da parte delle autorità competenti, la detenzione di prodotti con etichette non più a norma può essere sanzionata. Le etichette a norma, secondo quanto stabilito dal CLP, riportano precise informazioni. Le voci da riportare sono fra le altre quelle che identificano il prodotto (definizione IUPAC per le sostanze), le avvertenze di pericolo o di attenzione, le indicazioni di pericolo con tanto di pittogrammi, i consigli di prudenza nell’utilizzo del prodotto e le cosiddette frasi EUH o indicazioni di pericolo supplementari. Per essere a norma le etichette devono presentare anche i pittogrammi approvati dal GHS (che origina dalle Nazioni Unite). I nuovi pittogrammi sono conosciuti universalmente, vista l’adesione di moltissimi Paesi del mondo al progetto di classificazione e rappresentazione grafica delle sostanze e delle miscele in maniera unificata, univoca o quasi, in tutto il pianeta del GHS. I nuovi pittogrammi sono gli stessi utilizzati per la normativa relativa al trasporto di sostanze pericolose, gli ADR: in questo modo è facilitata la conoscenza dei pittogrammi e del loro significato, e anche i controlli su strada sono resi più semplici.

Etichette a norma Anche l’etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi deve ormai essere a norma e il datore di lavoro che possiede e fa utilizzare ai suoi lavoratori prodotti muniti di etichette vecchie oggi può adoperarsi in due soli modi: o smaltisce i prodotti, oppure li fa rietichettare secondo le norme vigenti (riportate nell’Allegato 1 del Regolamento CLP). Il secondo scenario è piuttosto complesso da mettere in pratica per quelle aziende che possiedono piccole quantità di prodotti e che dunque sono costrette a smaltire le vecchie confezioni solo perché non

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Classificazione delle sostanze e delle miscele Fatto un discorso a parte per le sostanze più pericolose (cancerogene, mutagene, sensibilizzanti respiratorie e con effetti sull’apparato riproduttivo) che rimangono in capo all’Unione Europea, la classificazione di una sostanza o miscela adesso deve essere compiuta dalle aziende produttrici o importatrici (autoclassificazione). Questa è la novità fondamentale su cui poggiano sia il Regolamento REACH, sia il Regolamento CLP: è chi immette sul mercato una sostanza che deve prendersi la briga di valutare preventivamente se è pericolosa e di trovare le soluzioni per permetterne un utilizzo sicuro per la salute e l’ambiente. Sono quindi le aziende importatrici o produttrici che de-

vono eseguire analisi e raccogliere i dati necessari per poter fare una prima valutazione del rischio della loro sostanza, prima ancora di poterla immettere sul mercato. Questa analisi del produttore/importatore deve poter essere utilizzata da tutti gli utilizzatori a valle, compreso l’utilizzatore finale: il datore di lavoro che fa usare quel prodotto ai suoi lavoratori. Nell’autoclassificazione di una sostanza o miscela, l’azienda produttrice o importatrice deve fare riferimento all’Allegato 6 del CLP, in cui sono riportate tutte le classificazioni armonizzate di sostanze e miscele raccolte in passato. Queste valutazioni devono coprire tutti gli aspetti di pericolosità possibile di una sostanza chimica: la pericolosità dal punto di vista fisico (infiammabilità, esplosività, ecc…), di salute umana (tossico, genotossico, cancerogeno, irritante, ecc…) e di sicurezza ambientale (se ha lunga permanenza nell’ambiente e se ha effetti sugli organismi acquatici, ad esempio). Ma anche i datori di lavoro che fanno utilizzare questi prodotti ai loro dipendenti devono accertarsi che le etichette siano a norma, e altrettanto le Schede Dati di Sicurezza. Perché solo con documenti a norma è possibile per loro redigere un Documento di Valutazione del Rischio Chimico (DVR-chimico) reale ed efficace. E i DVR sono responsabilità diretta dei datori di lavoro. L’importanza delle Schede Dati di Sicurezza Le Schede Dati di Sicurezza sono obbligatorie per legge per le sostanze e le miscele pericolose utilizzate in ambiente di lavoro. Sono definite dal Regolamento 830/2015. E vanno conservate per ben 10 anni! Dal primo giugno 2016 l’utilizzatore finale, cioè il datore di lavoro che fa utilizzare questi prodotti ai suoi lavoratori, deve dimostrare che il fornitore del prodotto gli ha consegnato la Scheda Dati di Sicurezza del prodotto. Spesso i fornitori rimandano il cliente al sito internet dell’azienda asserendo che vi troverà tutte le informazioni necessarie.

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I nuovi pittogrammi da usare in sostituzione dei tradizionali simboli di pericolo arancioni. Il Regolamento CLP – Classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele (CE) 1272/2008 adegua la precedente normativa UE al GHS (Sistema mondiale armonizzato di classificazione ed etichettatura delle sostanze chimiche), un sistema delle Nazioni Unite volto a individuare le sostanze chimiche pericolose e a informare gli utenti dei relativi pericoli. Il CPL è strettamente collegato al REACH – Regolamento per la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche, che dispone l’obbligo di fornire a tutta la catena di produzione informazioni sui rischi posti dalle sostanze e su come dette sostanze devono essere trattate (photo © www.phytoma.com). Ma questo non è più sufficiente per la legge: il fornitore deve far avere la Scheda Dati di Sicurezza (per quei prodotti che la possiedono e quindi che sono classificati come pericolosi) e, se non gliela consegna a mano, deve assicurarsi che il cliente la scarichi dal sito aziendale, ad esempio grazie a un sistema di tracciabilità degli accessi on-line, oppure tramite posta elettronica certificata. Dunque la responsabilità per chi vende prodotti chimici è sicuramente molto accresciuta, oggi. Ma anche per le aziende che utilizzano questi prodotti nelle loro lavorazioni o per svolgere alcune mansioni. Ad esempio, nell’agroalimentare i sanificanti per le pulizie di attrezzature e strutture. «Durante i controlli, le AUSL richiedono ai datori di lavoro di mostrare loro le fatture di acquisto dei prodotti chimici, confrontano le bolle con i prodotti presenti in magazzino, ne valutano l’etichettatura e chiedono di mostrare loro la Scheda Dati di Sicurezza», hanno spiegato SILVIA GOLDONI e RAFFAELLA RICCI dell’autorità competente REACH e CLP

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dell’AUSL di Modena al corso di aggiornamento organizzato dall’ente di formazione CHANGE “Le nuove Schede Dati di Sicurezza e il Regolamento CLP” (Modena, 12 e 14 giugno). Se un datore di lavoro utilizza prodotti che devono essere accompagnati dalla Scheda Dati di Sicurezza, ma non è capace di mostrarne copia all’ispettore dell’autorità competente per REACH e CLP (è previsto che ogni Regione istituisca questi gruppi di lavoro specializzati), può incorrere in una sanzione di importo variabile fra i 3.000 e i 18.000 euro. Sanzioni così costose sono conseguenza del fatto che il Regolamento REACH vuole che ci sia una tracciabilità del passaggio delle sostanze (per quanto non ancora precisa come la tracciabilità tipica dei prodotti alimentari) e soprattutto una trasmissione delle informazioni a monte e a valle della catena produttore-utilizzatore. Le Schede Dati di Sicurezza vanno aggiornate e reinviate ai clienti quando l’autorizzazione a una sostanza è stata rifiutata dall’agenzia europea ECHA, quando la sostanza ha subito una nuova restrizione da

parte dell’agenzia, quando vengono rilevati nuovi pericoli derivanti dall’utilizzo della sostanza. La nuova valutazione del rischio chimico I datori di lavoro che fanno utilizzare ai loro sottoposti sostanze chimiche devono eseguire una valutazione del rischio chimico (DVR specifico sui rischi chimici) che prenda in considerazione sia la salute sia la sicurezza di ciascun gruppo omogeneo di lavoratori. Il primo passo da compiere è quello di accertarsi se il prodotto possiede una Scheda Dati di Sicurezza. In tal caso il prodotto è classificato come pericoloso (oppure come persistente, bioaccumulabile o tossico) e il suo utilizzo in azienda va sottoposto a valutazione. Se la Scheda Dati di Sicurezza non è presente, è indispensabile accertarsi che il venditore si sia comportato correttamente fornendola se necessario. Le Schede devono essere consegnate gratuitamente all’acquirente al momento della prima fornitura del prodotto in forma cartacea o informatica e vanno

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I datori di lavoro che fanno utilizzare ai loro sottoposti sostanze chimiche devono eseguire una valutazione del rischio chimico che prenda in considerazione sia la salute sia la sicurezza di ciascun gruppo omogeneo di lavoratori. Il primo passo è quello di accertarsi se il prodotto possiede una Scheda Dati di Sicurezza. In tal caso il prodotto è classificato come pericoloso o persistente, bioaccumulabile o tossico e il suo utilizzo in azienda va sottoposto a valutazione

Tute intere per prodotti anticrittogamici (photo © antinfortunisticaroberti. blogspot.it). fornite nuovamente ogni volta che la Scheda subisce una modifica. Quando il produttore aggiorna la Scheda Dati di Sicurezza deve risalire ai clienti che hanno acquistato quel prodotto nei precedenti 12 mesi e fornire loro la versione aggiornata della Scheda. Va ricordato che le Schede Dati di Sicurezza vengono fornite solo a chi ne fa un utilizzo professionale. È necessario anche osservare bene l’etichetta: se è riportata la dicitura “Scheda di sicurezza disponibile su richiesta” significa che, anche se la miscela che compone il prodotto non è classificata come pericolosa di per sé, contiene comunque sostanze pericolose (anche se in piccolissime percentuali) e dunque è necessario procedere richiedendo la Scheda Dati di Sicurezza, studiandola e analizzando il modo d’uso e i tempi di

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esposizione dei lavoratori aziendali, confrontandoli con gli eventuali limiti di esposizione. Il datore di lavoro deve anche individuare la soglia relativa alla popolazione non esposta a quel prodotto, la “popolazione generale”. Se l’utilizzo aziendale prevede che non si abbia il superamento di questa soglia (RCR < 1), deve comunque adottare misure generali di protezione dei lavoratori, quali sistemi di aspirazione, procedure di lavoro, formazione e informazione degli addetti. Dunque, in qualsiasi caso, quando si utilizzano sostanze chimiche pericolose il datore di lavoro deve adottare misure di protezione generali, prima ancora di valutare il rischio presente. Questo obbligo ha l’obiettivo di ridurre l’emissione di sostanze inquinanti nell’ambiente.

Che la loro esposizione sia sotto o sopra la soglia, i lavoratori che manipolano sostanze chimiche devono ricevere una formazione e informazione mirata e coerente con la realtà. Ai dipendenti deve essere chiaramente spiegato come proteggersi dall’esposizione a queste sostanze e l’accesso alle Schede Dati di Sicurezza deve essere garantito loro in ogni momento

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lutazione. Se la soglia di esposizione viene superata è indispensabile definire delle procedure di emergenza, mettere in atto la sorveglianza sanitaria e attivare le cartelle sanitarie e le cartelle di rischio per ciascun lavoratore.

Operazione di lavaggio e sanificazione (photo © www.btechsystem.it). Con le nuove norme per il rischio chimico si stila una valutazione preventiva prima ancora di fare una misurazione dell’esposizione: è un caso unico. Successivamente all’applicazione delle misure generali di protezione si eseguirà un affinamento della valutazione. E nella valutazione non vanno dimenticate situazioni quali le attività di pulizia e di manutenzione delle attrezzature che contengono la sostanza. Vanno analizzati il tipo di sostanza utilizzata, la quantità, le modalità d’uso e la frequenza d’uso. La valutazione deve essere rinnovata ogni volta che si hanno modifiche nel processo di lavoro o nell’utilizzo delle sostanze. E anche quando la sorveglianza sanitaria evidenzia l’emergere di problemi di salute dei lavoratori. Se invece l’esposizione dei lavoratori supera la soglia della popolazione generale (e RCR > 1), è indispensabile definire il livello di rischio per la salute e per la sicurezza misurando l’esposizione cui sono sottoposti i lavoratori e mettere in atto anche misure di emergenza, misure specifiche di prevenzione e protezione degli addetti, fornire gli eventuali DPI e la sorveglianza sanitaria. Il discorso vale tanto più quando dalla valutazione si comprende che l’esposizione dei lavoratori è supe-

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riore agli eventuali limiti di esposizione professionale. Questi valori limite sono reperibili nell’Allegato 38 del DLgs 81/08, in Direttive UE specifiche (IOELV), in documenti pubblicati dall’American Conference of Governmental Industrial Hygienist (ACGIH), oppure nel documento definito TLVs (Treshold Limit Values). Se l’esposizione dei lavoratori supera i limiti di esposizione professionale è obbligatorio procedere misurando strumentalmente secondo quanto riportato nella norma UNI EN 689:97, oppure utilizzando modelli di calcolo indicizzati o algoritmi approvati e consigliati dalle Regioni. Va detto che il Mo.va.risk, ad esempio, è un modello di calcolo utilizzabile solo per la salute dei lavoratori, ma non per la loro sicurezza. Può essere misurata la presenza del contaminante nell’ambiente di lavoro oppure il buon funzionamento degli impianti di aspirazione e le altre soluzioni di protezione generale presenti. E questo solo per valutare la salute dei lavoratori. Per la sicurezza invece bisogna utilizzare modelli differenti, anche questi in parte standardizzati, in grado di definire la soglia di rischio: Cheope, Archimede, le Linee Guida UE e indicazioni varie pubblicate su siti autorevoli possono essere utilizzate per questa parte della va-

Formazione e addestramento Sicuramente, che la loro esposizione sia sotto o sopra la soglia, i lavoratori che manipolano le sostanze chimiche devono ricevere una formazione e informazione mirata e coerente con la realtà. Ai dipendenti deve essere chiaramente spiegato come proteggersi dall’esposizione alle sostanze chimiche e l’accesso alle Schede Dati di Sicurezza deve essere garantito loro in ogni momento, anche durante i turni notturni o festivi. Secondo quanto riportato nelle nuove norme europee (che sostituiscono il Decreto risalente al 1992 sui DPI) tutti i DPI per il rischio chimico vengono classificati come appartenenti alla terza categoria, quella che necessita di addestramento. Questa modifica nella classificazione dei DPI interessa anche i DPI contro il rischio da rumore. Le informazioni sui DPI necessari per l’utilizzo professionale della sostanza devono essere riportati al punto 7 e 8 della Scheda Dati di Sicurezza, insieme alle indicazioni su protezione generale e individuale necessarie. Segnaletica di sicurezza Anche la segnaletica aziendale deve essere adeguata a quanto richiesto dalle nuove normative sul rischio chimico. Nei recipienti, nei contenitori e nelle condotte contenenti sostanze chimiche pericolose è obbligatorio segnalare il pericolo con l’adeguato pittogramma, posto ben visibile accanto alle valvole o ai tappi di apertura. Quando però il prodotto è cancerogeno, anche nei contenitori utilizzati per il travaso è indispensabile apporre l’etichetta completa del prodotto e non solo il pittogramma. Anche i cartelli di avvertimento devono essere aggiornati adottando i nuovi pittogrammi. Giulia Mauri

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TECNOLOGIE

Otto importanti criteri per la scelta del software gestionale Sono il risultato di un sondaggio condotto tra i suoi clienti dal gruppo CSB-System, uniti all’esperienza maturata in quasi 40 anni di attività

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l sistema ERP è il cuore centrale di un’azienda e, man mano che la digitalizzazione si espande, la funzione e il valore del gestionale diventano sempre più significativi. È consigliabile quindi che le aziende del settore Alimenti & Bevande osservino alcuni importanti criteri nella scelta dell’ERP da implementare in azienda. Per stilare questi 8 criteri il gruppo CSB-System si è avvalso della provata conoscenza del settore derivante dalle oltre 1.200 implementazioni eseguite dal 1982 ad oggi, e dei risultati di un sondaggio condotto su un campione rappresentativo composto da 120 clienti.

1. Tagliato “su misura” per il settore Se il software è stato sviluppato specificatamente per il settore alimentare, i tempi d’implementazione saranno brevi. I produttori di pane e prodotti da forno hanno sfide diverse da affrontare rispetto a coloro che producono nel settore lattiero-caseario; i salumi seguono una filiera diversa dalla frutta e verdura, mentre le aziende della gastronomia ricevono richieste diverse da quelle che producono piatti pronti. Ma si pensi piuttosto a tutto quello che hanno in comune tutte queste aziende: devono garantire la rintracciabilità del

prodotto dal “campo alla tavola”, gestire le anagrafiche di clienti e fornitori, procedere agli acquisti di materie prime e componenti con pianificazione integrata sulla base di moduli di disposizione e di determinazione dei fabbisogni completi, gestire produzione, trasformazione e confezionamento con stampa delle etichette secondo gli standard internazionali. Si potrebbe continuare con la gestione delle vendite, il controllo qualità, la contabilità, ma la lista sarebbe davvero lunga. Il gruppo CSB-System conosce in modo dettagliato tutti i comparti del settore alimentare e ha model-

Il gruppo CSB-System offre soluzioni preconfigurate per tutti i comparti del settore Alimenti & Bevande.

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lato il suo ERP offrendo soluzioni preconfigurate per ognuno di questi; e, cosa ancora più importante, l’implementazione in azienda di un software gestionale offre anche l’opportunità di intervenire sui processi per migliorarli. Grazie al gestionale CSB-System l’intero flusso di informazioni viene automatizzato e le procedure diventano trasparenti, affinché le azioni singole di un reparto possano trasformarsi in quell’ingranaggio che è l’azienda. 2. Funzionalità estese Il “gestionale” è lo strumento centrale per la gestione dell’azienda e come tale è importante che copra molte aree e offra funzionalità estese per ognuna di queste. Altrimenti si continuerebbero ad utilizzare soluzioni ad isola al di fuori del sistema ERP con conseguente necessità di interfacce e di molteplici inserimenti degli stessi dati con tutto quello che ne deriva: maggiori possibilità di errore, impiego non ottimale delle risorse umane, difficoltà nel coordinamento dei diversi fornitori IT, aumento dei costi. Molti dei clienti CSB hanno implementato strategicamente il 100% del software CSB, non solo il pacchetto base (Acquisti, Produzione, Vendite, Magazzino), per sfruttare al massimo i vantaggi di un software integrato: dalla Contabilità cespiti alla Rilevazione presenze, dal Controllo Qualità alla Gestione dei macchinari, fino alla Business Intelligence e Gestione documentale. 3. Possibilità d’ampliamento Le richieste alle aziende da parte sia dei clienti sia del legislatore cambiano continuamente. Allora è bene che il gestionale sia estendibile in maniera modulare e flessibile e non implichi l’acquisto di costose “soluzioni ad isola” o interfacce, come già detto in precedenza. Una volta implementati i moduli base del gestionale merci, collegare successivamente una linea di pesoprezzatura oppure dei tablet per la presa ordini dei rappresentanti non richiede sicuramente il dispendio di tempo e lo sforzo economico di un progetto ex-novo e garantisce una percentuale di successo maggiore.

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In alto: la possibilità, per le aziende che operano con filiali in paesi o addirittura continenti diversi, di implementare e utilizzare lo stesso software a livello globale, diventa un vantaggio competitivo enorme. In basso: CSB App. 4. Utilizzo dello stesso identico software a livello globale La possibilità, per le aziende che operano con filiali in paesi o addirittura continenti diversi di implementare e utilizzare lo stesso software a livello globale diventa un vantaggio competitivo enorme se solo si pensa alla possibilità, per la direzione aziendale, di avere una supervisione centralizzata di dati e informazioni. E questo vale anche per le piccole e medie imprese che abbiano prospettive di crescita. Ma uno stesso identico software ERP può essere utilizzato a livello globale? I clienti CSB-System possono rispondere positivamente a questa domanda perché il software è multilingua e vi

sono filiali CSB in tutti i continenti. Vale la pena aggiungere che il CSBSystem dispone della contabilità specifica di ogni paese e la integra nel pacchetto base del gestionale merci già nella sua versione standard. 5. ERP stabile e facile da aggiornare del software I responsabili IT delle aziende intervistate ritengono che l’alta affidabilità e aggiornamenti facili e veloci siano requisiti fondamentali per un ERP. Lo stesso dicasi per la possibilità di utilizzare il software in Cloud, perché consente di non occuparsi dell’infrastruttura tecnologica, ma di dedicarsi invece quasi esclusivamente al core business della

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propria azienda. Un gestionale basato sul web dà inoltre l’opportunità di collegare in rete in pochissimo tempo i settori logistica, produzione e distribuzione. Il gruppo CSBSystem, già nel 2009, ha costruito una Server Farm con un centro elaborazione dati all’avanguardia in grado di soddisfare le più elevate esigenze in materia di sicurezza. La capacità di calcolo in outsourcing di dati viene stimata in circa 20.000 utenti in Cloud Computing. 6. MES integrato nel gestionale Per le società di servizi un MES (Manufacturing Execution Systems) è sicuramente inutile; per le aziende produttrici di alimenti è essenziale. Per imporsi sulla concorrenza è indispensabile per l’azienda ottimizzare continuamente i processi di produzione, dall’inserimento dell’ordine fino al prodotto finito. In questo contesto i MES acquistano un’importanza sempre maggiore. L’applicazione MES del CSB-System ha la principale funzione di gestire e controllare la funzione produttiva di un’azienda. La gestione coinvolge il dispaccio degli ordini, gli avanzamenti in quantità e tempo, il versamento a magazzino, nonché il collegamento diretto ai macchinari per ricavarne informazioni utili ad integrare l’esecuzione della produzione così come il controllo della stessa. Il FACTORY

In futuro l’intera filiera Alimenti & Bevande sarà molto più connessa di oggi e pertanto fornirà ai produttori di alimenti informazioni sui dati di consumo in tempo reale.

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La Smart Food Factory comincia con il gestionale giusto! ERP® del CSB-System offre i vantaggi di un ERP e un MES contemporaneamente e fa in modo che si crei un legame tra gestione aziendale e gestione della produzione e che venga facilitato il collegamento in rete macchina verso macchina. 7. ERP come supporto al processo di automatizzazione Nell’industria alimentare l’automatizzazione semplifica il processo produttivo, evita gli errori causati da un inserimento manuale dei dati, controlla la performance dei processi con conseguente miglioramento degli stessi. Nelle aspettative degli esperti del settore, quindi, un buon sistema ERP dovrebbe supportare anche l’automatizzazione dell’intralogistica, soprattutto per soddisfare le alte richieste del settore alimentare relativamente alla freschezza del prodotto. L’automatizzazione dell’intralogistica pone anche le fondamenta per il passaggio verso l’Industria 4.0 e la Smart Food Factory. Il CSB-System offre un enorme contributo in questa direzione, grazie all’integrazione completa della logistica interna ed esterna nei processi operativi. 8. ERP già pronto per l’Industria 4.0 Con Internet of Things sta crescendo l’automatizzazione così come la mole di dati e informazioni che possono e devono essere gestiti. Gli esperti valutano che in futuro l’intera filiera Alimenti & Bevande

sarà molto più connessa di oggi e pertanto fornirà ai produttori di alimenti informazioni sui dati di consumo in tempo reale, con vantaggi comprensibili per la pianificazione della produzione. La strada per la Smart Factory richiede però un’evoluzione consapevole e mirata e un’integrazione di tecnologie, processi e condizioni organizzative di base, perché non si può stravolgere tutto dall’oggi al domani. In altre parole la Smart Food Factory comincia con il gestionale giusto. Il sistema ERP manterrà il suo ruolo di colonna portante tecnicoinformatica dell’azienda. Il gruppo CSB-System è il partner IT giusto per accompagnare le industrie del settore alimentare in questo percorso.

Referente Italia: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb-system.it

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Le piccole, incredibili cubettatrici di Holac

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e cubettatrici HOLAC sono famose per la loro incredibile versatilità: con la stessa macchina si può tagliare ogni alimento! Da sempre Holac produce la migliore delle piccole cubettatrici: Cubixx, la più potente, più pesante e robusta di ogni concorrente similare. Il vantaggio principale è che con una Holac Cubixx si può produrre qualsiasi misura di taglio esattamente con gli stessi risultati delle grosse Holac industriali. La grande qualità si vede sin dal telaio di base: una robusta scocca costruita interamente in acciaio inox ad alto spessore tagliato al laser, estremamente pulita nella linea e studiata per non lasciare interstizi dove potrebbe annidarsi del prodotto. Ogni componente, dallo spintore al coltello rotante, è costruito con gli stessi materiali e la stessa filosofia delle versioni industriali. Il motore elettrico, che muove il coltello rotante e gli stampi di taglio, e la pompa idraulica hanno di base una potenza di 2,6 kW, mentre l’impianto idraulico riproduce in piccolo la stessa configurazione delle Holac industriali. Tutte le parti che compongono la Cubixx sono smontabili a mano senza alcun attrezzo: in cinque minuti la macchina è completamente aperta e pronta al lavaggio che può avvenire con lancia ad alta pressione. Di serie Cubixx è fornita di ruote bloccabili, per essere facilmente spostata da un reparto all’altro, o per essere riposta dove non intralci quando non serve il suo lavoro. I comandi sono a touch screen. Cubixx può utilizzare coltelli rotanti a 1, 2, 3 o 4 ali taglienti, dischi a 4 lame per affettare, dischi rapé di varia misura, e gli stampi di taglio possono essere forniti con lamette da 0,5 a 2,5 mm di spessore, con profilo liscio, a seghetto stretto o a denti larghi, per ogni possibile applicazione. Inoltre,

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La cubettatrice Holac Cubixx 100L. Holac Cubixx può produrre qualsiasi misura di taglio. Di serie è fornita di ruote bloccabili e i comandi sono a touch screen. Tutte le parti che la compongono sono smontabili a mano senza alcun attrezzo. Nel riquadro a sinistra, lo stampo per cubettare lo spezzatino.

può montare l’attrezzatura adatta al taglio di ogni formaggio (stampi elettroerosi ricavati dal pieno), per qualsiasi formato. Che la vostra esigenza sia tagliare prosciutto cotto, pancetta, speck, carne salada o lardo a stick, cubetti e francobolli, affettare a rondelle salame cacciatore, salsiccia piccante o würstel, tagliare a listarelle o petali ogni tipo di formaggio, ridurre a rapé la mozzarella per pizze, cubettare salmone o tonno per tartare di pesce, affettare il polipo per insalate di mare, sgrossare a grossi cubi la carne per la preparazione di salame o salsicce, cubettare lardello per mortadella e salame, o sempli-

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Progetto Castrum: i risultati dello studio sulla castrazione

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o studio Castrum1, commissionato dalla Direzione Generale per la Salute e la Sicurezza Alimentare (DG SANTE) della Commissione europea, ha svolto un approfondimento sui metodi di anestesia e analgesia per la castrazione dei suini e sui metodi alternativi alla castrazione dei suini le cui carni sono utilizzate per i prodotti tradizionali. Il progetto ha coinvolto 16 Paesi europei (Portogallo, Spagna, Italia, Francia, Regno Unito, Belgio, Germania e Austria, Danimarca, Norvegia, Svezia, Polonia, Ungheria, Slovenia, Croazia e Bulgaria) e sono state raccolte informazioni anche in Finlandia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi e Svizzera. Lo studio si basa su un’indagine bibliografica che copre un arco di 10 anni e su un’indagine presso diversi operatori della filiera ed ha rilevato che, nonostante l’iniziativa volontaria della “Dichiarazione europea sulle alternative alla castrazione chirurgica dei suini” del 2010, la situazione è ancora molto eterogenea in Europa. I due principali obiettivi del progetto Castrum sono stati i seguenti: 1) identificare e valutare i metodi riconosciuti per l’anestesia e/o l’analgesia prolungata al momento della castrazione; 2) valutare e rivedere le alternative alla castrazione chirurgica per i suini pesanti utilizzati per i prodotti tradizionali, considerando i sistemi di qualità, la qualità della carne ed il benessere degli animali. Analgesia/anestesia L’indagine ha fornito una panoramica generale sui metodi di castrazione chirurgica dei suini maschi nella UE e sull’uso dell’anestesia

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e/o dell’analgesia. In estrema sintesi, è emerso quanto segue: 1. la castrazione dei suinetti è praticata prevalentemente senza analgesia e/o anestesia. L’anestesia (locale o generale) è obbligatoria solo in pochi Paesi e l’analgesia è somministrata perché inclusa in alcuni sistemi nazionali di qualità; 2. negli ultimi dieci anni sono stati fatti progressi limitati sull’uso

dell’anestesia e/o dell’analgesia sia dal punto di vista scientifico che tecnico; 3. gli analgesici da soli (cioè non combinati con l’anestesia) non sono sufficienti in quanto sono efficaci principalmente per mitigare il dolore post chirurgico; 4. le somministrazioni di analgesici e di anestetici comportano trattamenti aggiuntivi e stress ai suinetti;

Il progetto Castrum ha coinvolto 16 Paesi europei (Portogallo, Spagna, Italia, Francia, Regno Unito, Belgio, Germania e Austria, Danimarca, Norvegia, Svezia, Polonia, Ungheria, Slovenia, Croazia e Bulgaria) e sono state raccolte informazioni anche in Finlandia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi e Svizzera.

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5. gli antidolorifici ad efficacia prolungata (che potrebbero essere efficaci sia durante che dopo la castrazione) non sono disponibili per i suinetti; 6. ad oggi, è raro l’uso sistematico dell’analgesia e/o dell’anestesia per il sollievo dal dolore durante la castrazione chirurgica dei suinetti maschi; 7. alcuni degli anestetici e/o degli analgesici valutati non sembrano essere compatibili con un sistema di produzione sostenibile e rispettoso del benessere animale. In conclusione, per il sollievo dal dolore potrebbero essere considerate le seguenti soluzioni: l’anestesia locale e l’anestesia per inalazione con isoflurano, entrambe combinate con un trattamento analgesico preventivo. Alternative per i prodotti tradizionali Nella maggioranza dei Paesi europei, i prodotti derivati da suini pesanti sono radicati nella tradizione e nelle abitudini nutrizionali. Solo una parte di questi prodotti è DOP o IGP. In alcuni Paesi, le risorse genetiche locali (ovvero le razze suine autoctone) sostengono un mercato di prodotti tradizionali o economie rurali e questi prodotti tradizionali sono essenziali per preservare la biodiversità in tutta Europa. Lo studio ha riscontrato che i prodotti tradizionali provengono spesso dalle carcasse di suini macellati a “pesi superiori a quelli standard” (per peso standard si intende il peso di macellazione di 95-120 kg per produrre carni destinate al consumo fresco). Inoltre, ha rilevato che non esiste alcun accordo in Europa tra operatori del settore, scienziati, professionisti o Stati Membri circa una definizione di suino pesante: si tratta di un aspetto fondamentale perché i suini pesanti sono sessualmente maturi, con maggiori probabilità che le carni dei maschi non castrati presentino il tipico odore di verro. Oltre al peso di macellazione, è rilevante per l’odore di verro nelle carni dei suini non castrati anche il fatto che si tratti di suini maschi di razze locali che possono raggiun-

148

gere la maturità sessuale prima di raggiungere un peso elevato. Ci sono anche altre considerazioni che rendono particolarmente complessa la questione della castrazione dei suini destinati ai prodotti tradizionali: 1) per molti prodotti tradizionali registrati si richiede espressamente la castrazione dei suini maschi; 2) molti prodotti tradizionali hanno livelli elevati di grasso e non includono spezie: in questi casi aumenta il rischio di percepire l’odore di verro; 3) alcuni prodotti tradizionali richiedono carne con caratteristiche specifiche nel contenuto di grassi, copertura e qualità del grasso e assenza di difetti della carne; 4) i suini pesanti richiedono un allevamento più lungo e i maschi interi sono maggiormente aggressivi. Lo studio rileva che esclusivamente da un punto di vista di qualità della carne, essendo eseguita entro i primi 7 giorni di vita, è irrilevante se la castrazione chirurgica dei suinetti sia effettuata con o senza anestesia/analgesia. Teoricamente, la castrazione chirurgica potrebbe essere sostituita dalla produzione di suini maschi interi, dall’immunocastrazione, dalla castrazione chimica o dal sessaggio del seme. Dallo studio emerge quanto segue: 1. il sessaggio del seme non è una pratica disponibile per la specie suina; 2. la castrazione chimica non è una valida alternativa perché è dolorosa; 3. produzione di maschi interi presenta vantaggi e svantaggi anche nelle produzioni “standard”. Nel caso di suini pesanti allevati per i prodotti tradizionali di alta qualità, il numero dei vantaggi si riduce mentre aumenta quello degli svantaggi (ad esempio, aumento dell’incidenza dell’odore di verro, carne più magra e grassi insaturi, maggiore aggressività dei suini). Dalle indagini eseguite, nella maggioranza dei casi l’utilizzo di suini maschi

interi è stato valutato difficile/ impossibile da realizzare e/o un danno alla qualità della carne; 4. l’immunocastrazione è una pratica che utilizza un vaccino, diventa efficace dopo la seconda iniezione ed è tecnicamente fattibile nei suini pesanti. Previene la maggior parte degli svantaggi associati alla produzione di suini maschi interi. Ci sono però alcune questioni che devono essere esaminate o approfondite: a) l’efficacia incompleta della vaccinazione in alcuni suini; b) la convenienza economica di questa pratica; c) la qualità della carne (i suini immuno-castrati presentano una qualità di carne simile a quella dei suini maschi castrati chirurgicamente, ma l’attitudine alla trasformazione della carne dei suini pesanti immuno-castrati in prodotti stagionati di alta qualità deve essere ulteriormente studiata); d) la sicurezza degli operatori durante le procedure di vaccinazione; e) la fattibilità pratica degli interventi sui suini che vengono allevati in sistemi di allevamento allo stato brado e sui suini il cui peso elevato può richiedere una terza vaccinazione; f) la diffusa preoccupazione circa l’accettazione della carne derivata da suini immuno-castrati da parte di macelli, commercianti e consumatori. Secondo lo studio attualmente, nella maggior parte dei sistemi produttivi, la castrazione chirurgica dei suinetti maschi è una pratica comune, integrata, e le alternative sono considerate problematiche nei sistemi di produzione che allevano suini pesanti. (Fonte: ANAS) Nota 1. Lo studio è consultabile collegandosi al seguente link: http:// boars2018.com/wp-content/uploads/2017/02/Castrum-study.pdf

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CURIOSITÀ

Tossicità delle quaglie, la Bibbia aveva ragione La diversa sensibilità ai veleni tra animali e uomo può dare origine a fenomeni che nel passato sono stati spiegati come interventi divini, alla maniera del coturnismo di Giovanni Ballarini

È

oggi noto che alcuni alimenti ritenuti “buoni”, se non salutari, in talune condizioni possono provocare danni anche gravi. Fino a qualche tempo fa, ad esempio, non si sapeva come interpretare la morte che nell’uomo, in talune condizioni, seguiva all’aver mangiato allodole, quaglie (Coturnix coturnix) o coturnici. Una prima, drammatica descrizione di questo fenomeno denominato coturnismo si

legge nella Bibbia (Libro dei Numeri, si veda box a pag. 151). Gli Ebrei, durante il loro esodo dall’Egitto verso la Terra Promessa, si imbatterono in uno stormo di quaglie in migrazione, ne catturarono un gran numero e le mangiarono. Furono però colpiti da un avvelenamento collettivo, che causò molti morti, sepolti sul posto. La località dove avvenne l’episodio fu denominata Kibrot-Attaava, che significa i “sepolcri dell’ingordigia”.

Avvelenamento da cicuta La cicuta è, assieme al tasso, la pianta velenosa più famosa. La pena di morte per avvelenamento da semi (o più propriamente “frutti”) di cicuta fu introdotta in Atene nel V secolo a.C. Tre sono le specie di cicuta velenose presenti nei paesi del Mediterraneo. La “cicuta maggiore” (Conium maculatum) è la più comune, passata alla storia perché usata per preparare la be-

Quaglie arrosto (photo © iaroshenko – Fotolia).

150

Eurocarni, 9/17


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bini americani che avevano usato il suo fusto cavo come cerbottana.

Pianta di cicuta (photo © dadalia – Fotolia). vanda mortale di Socrate; quando è giovane può essere confusa con il prezzemolo, dal quale si distingue per lo sgradevole odore di urina di topo; la sua tossicità deriva dalla coniina e dalla gamma-coniceina. La “cicuta minore” (Aethusa cynapium) somiglia alla precedente, dalla quale si differenzia per l’odore di aglio; la sua tossicità dipende dalla cinapina. Rara è la “cicuta acquatica” (Cicuta virosa) con la tossina cicutossina. I principi tossici della cicuta sono gli alcaloidi coniina e gammaconiceina, quest’ultima molto più velenosa, il cui rapporto varia nel corso dello sviluppo della pianta. Le piante in crescita vegetativa contengono soprattutto gamma-

coniceina e sono più tossiche di quelle in riposo e dei semi, dove invece prevale la coniina. Coniina e gamma-coniceina, analoghe della nicotina, sono usate dalle piante per difendersi dagli insetti. I sintomi dell’avvelenamento da cicuta sono quelli classici di questo tipo di neurotossine (salivazione, tremori muscolari, spasmi e conseguente morte per collasso respiratorio). La dose letale per un adulto è rappresentata da una manciata di frutti immaturi (più tossici di quelli maturi) o da una decina di foglie. Un’altra cicuta molto velenosa, non presente in Italia, è la Cicuta virosa, della quale è stato descritto un caso di avvelenamento gravissimo in alcuni bam-

31 Intanto si era alzato un vento, per ordine del Signore, e portò quaglie dalla parte del mare e le fece cadere presso l’accampamento sulla distesa di circa una giornata di cammino da un lato e una giornata di cammino dall’altro, intorno all’accampamento e a un’altezza di circa due cubiti sulla superficie del suolo. 32 Il popolo si alzò e tutto quel giorno e tutta la notte e tutto il giorno dopo raccolse le quaglie. Chi ne raccolse meno ne ebbe dieci homer; le distesero intorno all’accampamento. 33 Avevano ancora la carne fra i denti e non l’avevano ancora masticata, quando lo sdegno del Signore si accese contro il popolo e il Signore percosse il popolo con una gravissima piaga. 34 Quel luogo fu chiamato Kibrot-Attaava, perché qui fu sepolta la gente che si era lasciata dominare dalla ingordigia.

152

Carni velenose L’avvelenamento umano per ingestione della cicuta è raro e la più comune forma d’intossicazione è quella indiretta, ossia mediata dal consumo di allodole e altri piccoli uccelli, soprattutto quaglie e coturnici, cacciati nel periodo primaverile. Gli uccelli possono mangiare impunemente la cicuta, accumulando i principi tossici nella loro carne in primavera, quando si nutrono dei germogli che, appena spuntati, sono inodori. Il congelamento, la frollatura e la cottura delle carni non inattiva i veleni e per questo in Francia, Africa settentrionale e anche in Italia sono stati segnalati casi d’intossicazione da cicuta dopo ingestione di volatili che si erano nutriti dei suoi germogli. Lo stesso può avvenire con le lumache, se si nutrono di cicuta. Quando e come è avvenuto il coturnismo biblico L’episodio delle quaglie velenose fornisce un’indicazione importante sulla cronologia e la localizzazione dell’esodo biblico. Le quaglie sono uccelli migratori che svernano in Africa e all’inizio della primavera si spostano in Europa seguendo diverse rotte: attraverso l’Algeria e la penisola iberica, la Tunisia e l’Italia, o attraverso il Sinai e le isole greche. In autunno, da agosto fino a ottobre, seguono il percorso inverso. Durante la migrazione la quaglia si nutre di diversi vegetali e tra questi anche di cicuta, pianta che contiene alcaloidi per lei innocui, ma tossici per l’uomo. Oggi sappiamo che durante la migrazione primaverile sono tossiche soltanto le quaglie che transitano attraverso l’Algeria verso la penisola iberica, mentre durante la migrazione autunnale di ritorno sono tossiche le quaglie che dalla Grecia arrivano sulle coste del Sinai. Per questo l’episodio narrato dalla Bibbia durante l’esodo degli ebrei è avvenuto nella parte settentrionale del Sinai, in un periodo di tempo compreso fra agosto e ottobre. Prof. Giovanni Ballarini

Eurocarni, 9/17


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STATISTICHE

Dati ANAS: importazioni di suini Import-export suini vivi e carni suine nel primo trimestre 2017 Quantità (t)

Valore (euro)

17.507,823

29.842.021

0,9

15,9

3.563,644 13.662,899 281,280

9.746.588 19.419.239 676.194

–34,8 18,0 –11,4

–17,1 45,2 8,6

221.109,513

418.257.820

–5,2

11,6

135.474,831 33.322,776 6.814,528 3.443,573 2.532,292 39.521,513

228.084.719 63.580.048 18.147.566 6.425.142 6.903.861 95.116.484

– 6,8 – 8,0 –5,8 17,8 –19,9 3,1

9,8 4,2 27,9 28,7 –13,2 20,5

Carni congelate di cui – cosce – lombate – pancetta – spalle – mezzene – altre, miste

15.378,885

30.315.202

4,5

18,3

645,313 365,364 2.135,622 1.523,584 88,570 10.620,432

1.434.536 1.051.878 4.278.889 3.023.746 267.441 20.258.712

– 6,2 –29,5 23,7 24,4 34,5 1,2

23,4 –21,8 13,2 45,8 48,7 18,6

Carni lavorate di cui – carni secche o affumicate di cui: pancette prosciutti con osso 1 prosciutti disossati 1 – carni salate o in salamoia di cui: prosciutti con osso pancette salate – salumi e insaccati di cui: non cotti 2 cotti 3 – preparazioni e conserve di cui: prosciutti e loro pezzi 4

13.685,426

50.863.131

4,6

10,0

4.573,663 586,368 1.195,449 2.782,276 1.228,311 117,667 576,578 3.912,799 819,996 2.901,331 3.970,653 2.543,202

18.813.671 2.629.704 3.522.428 12.606.812 4.679.953 520.548 1.901.479 11.776.465 3.886.791 7.199.110 15.593.042 10.701.867

5,6 30,0 –1,2 4,6 –1,1 –32,5 18,2 4,4 7,2 0,7 5,7 –1,4

19,2 57,6 25,8 12,0 –1,2 –24,4 7,3 9,5 12,8 3,6 4,3 –3,8

5,838

27.837

192,5

173,2

456,008

387.618

–52,9

–32,1

Grasso e strutto

5.183,648

2.642.442

15,3

37,0

Frattaglie suine

8.489,851

3.886.334

18,3

38,4

359,704

118.828

15,4

92,1

278.675,131

536.341.233

–3,2

12,2

Import Suini vivi di cui – inferiori a 50 kg – superiori a 50 kg – riproduttori Carni fresche di cui – cosce – mezzene – pancetta – spalle – lombate – altre, miste

Lardo secco/affumicato Lardo fresco/cong/salato/salam.

Fegati suini Totale animali a peso morto e carni

154

% sulla quantità del 2016

% sul valore del 2016

Eurocarni, 9/17


Export Suini vivi di cui – inferiori a 50 kg – superiori a 50 kg – scrofe

Quantità (t)

Valore (euro)

% sulla quantità del 2016

% sul valore del 2016

62,210

53.535

0,000 62,210 0,000

0 53.535 0

— — —

— — —

6.780,347

16.712.602

35,2

28,2

1.046,179 1.690,475 645,662 524,359 117,909 2.755,763

3.293.734 2.658.300 1.966.513 569.673 430.313 7.794.069

25,0 201,8 16,9 52,8 – 44,8 9,9

29,8 249,2 28,1 162,9 – 49,0 9,1

Carni congelate di cui – cosce – lombate – pancetta – spalle – mezzene – altre, miste

16.019,446

32.453.535

84,2

67,1

448,042 1.423,002 2.083,407 213,652 363,815 11.487,528

822.443 3.592.760 7.489.498 370.199 311.738 19.866.897

2,3 641,8 109,8 115,4 364,5 66,6

6,4 350,7 169,2 156,9 268,9 33,9

Carni lavorate di cui – carni secche o affumicate di cui: prosciutti con osso 1 prosciutti disossati 1 pancette – salumi e insaccati di cui: non cotti 2 cotti 3 – preparazioni e conserve di cui: prosciutti e loro pezzi 4 – carni salate, in salamoia di cui: pancette salate prosciutti con osso

40.030,943

328.850.230

4,8

12,5

16.771,236 852,915 14.529,683 1.328,678 15.792,082 7.380,271 8.280,609 6.922,079 5.865,421 545,546 130,896 228,599

177.378.895 4.669.292 161.940.131 10.157.444 103.114.241 71.822.417 29.993.268 43.427.310 34.149.600 4.929.784 1.091.078 2.429.602

–3,2 –17,0 –3,5 10,6 9,7 11,5 8,3 14,4 9,0 22,5 – 4,3 23,2

10,1 –10,2 11,2 5,8 10,9 13,1 6,8 27,3 17,5 21,2 4,6 6,2

42,758

265.560

–1,6

– 0,5

11.065,040

7.786.112

9,9

33,6

Grasso e strutto

2.962,842

2.560.523

29,1

34,1

Frattaglie suine

12.774,121

14.553.782

–11,5

13,6

811,907

422.826

12,0

103,0

90.537,172

403.658.705

13,9

16,8

Carni fresche di cui – cosce – mezzene – pancetta – spalle – lombate – altre, miste

Lardo secco/affumicato Lardo fresco/cong/salato/salam.

Fegati suini Totale animali a peso morto e carni

In linea di massima si intende: 1 prosciutti crudi e speck; 2 salami e salsicce; 3 mortadella e würstel; La differenza % è calcolata sullo stesso semestre dell’anno precedente.

4

prosciutti cotti.

Fonte: elaborazione ANAS su dati ISTAT.

Eurocarni, 9/17

155


156

Eurocarni, 9/17

41.733

Totale

198.627

151.585

0

1

156

670

682

1.000

5.073

54.076

89.927

2017

43.800

0

1

0

210

0

1.000

423

8.915

33.251

2017

Gennaio

Fonte: elaborazione ANAS su dati Istat. Dati provvisori.

Totale

0

934

Austria

310

0

Polonia

Francia

15.711

Spagna

Svezia

2.940

Germania

0

46.811

Paesi Bassi

Ungheria

131.921

Danimarca

2016

161

Francia

Paese

0

0

0

Austria

Svezia

0

Polonia

Ungheria

250

3.530

Spagna

6.525

Paesi Bassi

Germania

31.267

2016

Danimarca

Paese

Totale

–23,7

–100,0

–28,3

–93,6

72,6

15,5

–31,8

Diff. % 2017/16

5,0

–100,0

–71,7

69,2

36,6

6,3

Diff. % 2017/16

100,0

0,0

0,0

0,1

0,4

0,4

0,7

3,3

35,7

59,3

Quota % 2017

68.970

0

0

0

383

0

4.860

1.030

21.349

41.348

2016

41.232

0

0

0

170

682

0

520

17.088

22.772

2017

Febbraio

87.924

149

0

0

551

0

7.321

1.660

18.937

59.306

2016

66.553

0

0

156

290

0

0

4.130

28.073

33.904

2017

Marzo

Suini < 50 kg Quota % Paese di provenienza

– 40,2

–55,6

–100,0

– 49,5

–20,0

– 44,9

Diff. % 2017/16

Importazioni italiane di suini vivi – Suini di peso inferiore a 50 kg – N. di capi

–24,3

–100,0

– 47,4

–100,0

148,8

48,2

– 42,8

Diff. % 2017/16


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Eurocarni, 9/17

2016

10.823 5.175 2.399 4.967 5.283 244 0 0 0 743 0 66 258 29.958

2016

2017

9.521 4.196 1.851 3.942 2.263 1.288 282 0 739 84 18 0 0 24.184

2017

Gennaio

Spagna 26.676 33.210 Croazia 18.426 14.536 Germania 6.076 12.564 Paesi Bassi 16.710 12.113 Francia 16.235 10.816 Polonia 1.132 10.702 Ungheria 2.269 2.644 Belgio 0 1.816 Lussemburgo 0 1.754 Danimarca 2.505 838 Irlanda 0 344 Austria 597 14 Rep. Ceca 258 0 Totale 90.884 101.351 Fonte: elaborazione ANAS su dati Istat. Dati provvisori.

Paese

Spagna Croazia Germania Paesi Bassi Francia Polonia Ungheria Belgio Lussemburgo Danimarca Irlanda Austria Rep. Ceca Totale

Paese

Totale Diff. % 2017/16 24,5 –21,1 106,8 –27,5 –33,4 845,4 16,5 — — – 66,5 — –97,7 –100,0 11,5

Diff. % 2017/16 –12,0 –18,9 –22,8 –20,6 –57,2 427,9 — — — – 88,7 — –100,0 –100,0 –19,3 Quota % 2017 32,8 14,3 12,4 12,0 10,7 10,6 2,6 1,8 1,7 0,8 0,3 0,0 0,0 100,0

8.412 7.114 870 2.566 5.378 0 0 0 0 840 0 50 0 25.230

2016 12.433 5.691 5.010 3.073 4.203 3.715 812 821 290 485 164 2 0 36.699

2017

Febbraio

7.441 6.137 2.807 9.177 5.574 888 2.269 0 0 922 0 481 0 35.696

2016 11.256 4.649 5.703 5.098 4.350 5.699 1.550 995 725 269 162 12 0 40.468

2017

Marzo

Suini > 50 kg Quota % Paese di provenienza

Diff. % 2017/16 47,8 –20,0 475,9 19,8 –21,8 — — — — – 42,3 — –96,0 — 45,5

Importazioni italiane di suini vivi – Suini di peso superiore o uguale a 50 kg – N. di capi Diff. % 2017/16 51,3 –24,2 103,2 – 44,4 –22,0 541,8 –31,7 — — –70,8 — –97,5 — 13,4


Colore

Colore

CERTIFICATO

MISURAZIONE DI POTENZA STORDITORI ,O SUHVHQWH FHUWLÀFDWR FRQIHUPD FKH OR VWUXPHQWR VRWWRLQGLFDWR q VWDWR WHVWDWR HG q FRQIRUPH DOOH VSHFLÀFKH WHFQLFKH ULFKLHVWH Modello: Numero di Serie: Testato da: Firma: Data: Valido con decorrenza dalla data di emissione. Lo strumento richiederà un nuovo test entro la data sottoindicata. Test Successivo (Data):



Una Storia di Famiglia


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