Il Pesce 5-2012

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IL PESCE DALLA PRODUZIONE AL CONSUMO

PERIODICO DEDICATO ALLE PRODUZIONI ITTICHE NAZIONALI ED ESTERE, ALLE TECNOLOGIE E ALLE ATTREZZATURE PER LA PESCA E L’ACQUACOLTURA – € 6,70 IL PESCE, 5/12

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pr�t ˆ manger Ostriche, cozze, cannelli, vongole...

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Anno XXIX N. 5 • Ottobre 2012

IL PESCE «Da’ un pesce a un uomo ed egli avrà un pasto; insegnagli ad allevarlo e avrà il nutrimento per tutta la vita»

Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl

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Direzione – Redazione Amministrazione Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.ilpesce-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 741 del 30-12-1983

EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi

Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Mario Bussani – Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni – Elvira Scibetta Consulenti scientifici Dr. Gaetano Arcarese – Prof. Giorgio Giorgetti – Prof. Ettore Grimaldi – Dr. Lucia Liddo – Prof. Febo Lumare – Prof. Graziella Mura – Dr. Francesco Paesanti – Dr. G.B. Palmegiano – Prof. Bianca Maria Poli – Dr. Gino Ravagnan – Prof. Remigio Rossi – Dr. Marco Saroglia – Dr. Aldo Tasselli Collaboratori scientifici Prof. Corrado Barberis – Dr. Alessandro De Maddalena – Dr. Maurizio Dell’Agnello – Prof. Fabrizio Ferrari – Dr. Claudio Ghittino – Dr. Gianluigi Negroni – Prof. M. A. Paleari Bianchi – Dr. Paola Pierelli – Prof. Guido Razzoli – Prof. Aldo Schiavo – Prof. Cosimo Sebastio – Dr. Antonio Trincanato – Andrea Beltrama

ASSOCIATO A:

A.N.E.S.

Collaboratori scientifici esteri Prof. R. Billard (Francia) – Dr. S. Sarig (Israele)

ASSOCIAZIONE NAZIONALE EDITORIA PERIODICA SPECIALIZZATA

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IL PESCE, 5/12

Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.

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IL PESCE, 5/12

Stabilimento: Via dell’Artigianato, 20 - 44020 Bosco Mesola (Fe) - Tel. 0533.795825 - Fax 0533.795798 - e-mail: icomgib@deltahimax.it


Anno XXIX N. 5 • Ottobre 2012

IL PESCE

In questo numero: Immagini

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Il pesce in rete

Il meglio del web e delle app

Elena Benedetti

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Aziende

Macduff Shellfish, dalla Scozia i migliori crostacei dei mari del Nord

Elena Benedetti

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Alghe: le nuove frontiere della cucina occidentale

Sebastiano Corona

32

Fonda, la salute è questione di buon gusto

Riccardo Lagorio

37

Gianni de’ Silva

46

Acquacoltura

Pesca

Un potenziale da sviluppare

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Stock condivisi, agire per mantenere la cooperazione Pescare nel rispetto del mare

43

Tonno rosso: collaborare con i ricercatori scientifici

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Consumi

Il successo dei prodotti ittici surgelati

Roberto Villa

Commercializzazione

Novità in arrivo dalla sesta versione di BRC e IFS

Sebastiano Corona

Locali di gusto

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Etichettatura: sempre meglio informare i consumatori

58

Segnalazione della presenza del calamaro diamante (Thysanoteuthis rhombus) nella costa nord-occidentale della Sardegna

D. Meloni, F. Piras, 62 S. Lamon, S.G. Consolati A. Mureddu, R. Mazzette

Pesci “extracomunitari”

Agostino Carli Lorenzo Martinello

Anema & Cozze: Pizza & Sea by Costa Group

66

70

Tra una galleria d’arte e l’altra c’è la cornice giusta pure per il pesce

Fabio Butturi

74

Pesce d’acqua dolce

La Trota: nuova dignità alla cucina “fluviale”

Riccardo Lagorio

79

Mercati

Zuppa di pinne di squalo, l’interesse del mercato mondiale

Aldo Schiavo

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Schmidt Zeevis: a Rotterdam saggio di qualità del pesce olandese

Massimilano Rella

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Nutrizione

Frutti di mare afrodisiaci, mito o realtà?

Alfonso Piscopo

Il pesce in tavola

Incuriosisce i bambini e ingolosisce gli adulti: la sogliola

Giorgia Fieni

Curiosità

Il mistero della conchiglia

Josette Baverez Blanco 105

Convegni

AQUA 2012, il futuro dell’acquacoltura

Rassegne

Un altro brodetto è possibile

Fiere

Partenza anticipata per Mondo Pesca 2012

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RHEX Rimini Horeca Expo: un nuovo format unico per la ristorazione e l’ospitalità

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La pagina scientifica

Libri

92 101

109 Stefania Monaco

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Haliotis tuberculata (Linnaeus, 1758): aspetti biogeografici, patologici e igienico-sanitari

Sabrina Longo Francesca Conte

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Gestione della popolazione di persico reale (Perca fluviatilis) nel lago di Varese

Marco Saroglia Pietro Ceccuzzi Micaela Antonini Genciana Terova

135

Guarda che cosa mangi

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Industria Alimentare in Europa

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In copertina: impianto di miticoltura della famiglia Fonda nel Golfo di Pirano.

All articles are available in English in abstract format at our website www.ilpesce-online.com 10

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Immagini

Lavaggio degli scampi presso la scozzese Macduff Shellfish, primo produttore di crostacei del Regno Unito. A pagina 19 un reportage sull’azienda, prima tappa di un viaggio esplorativo nell’industria ittica scozzese.

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CONSIGLIO

UTILE

Noi diciamo

BUONO E SANO

RICONOSCERE IL PESCE FRESCO Il pesce fresco ha l’odore del mare, la pelle brillante e gli occhi lucidi e rigonfi. Le branchie sono rosse o rosa, la coda è ancora rigida e le squame aderiscono perfettamente al corpo. Che siano filetti o tranci, al tatto la sua carne risulta

Senti il vento nei capelli, annusa il profumo del mare e prendi posto in coperta. Il rollio ti accompagnerà attraverso gli oceani, distese d’acqua senza fine. Benvenuto nel paese degli uomini di mare: i pescatori olandesi, eroi forti e coraggiosi, per i quali non esiste mare troppo grande. Sanno bene cosa significa faticare. Affrontano tempeste e sfidano le onde. Catturano il pesce migliore, nella stagione migliore. Su di loro puoi sempre contare perché sono tutti uomini nati per navigare e pescare.

Gente di mare… pescatori, ma anche intermediari, venditori al dettaglio, si adoperano tutti per portare sulla tua tavola solo il pesce più prelibato e genuino, per farti gustare il sapore di un lavoro antico fatto di valori antichi, come l’onestà. Puoi stare infatti sicuro che tutto quello che ti offrono sia della massima qualità: si tratti di platessa, aringa oppure sgombro, mangi sempre il pesce migliore, il più sano. Perché questi uomini garantiscono per i loro prodotti, è la loro storia a dirlo.

compatta ed elastica. Se il pesce non è fresco lo si sente subito da uno spiacevole odore.

Sono uomini unici. Gallinella alla griglia con caponata

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Il shark finning o spinnamento si riferisce alla pesca dello squalo con immediata asportazione delle pinne e conseguente scaricamento a mare dell’animale cosÏ orrendamente menomato. Una pratica moralmente intollerabile e assolutamente non necessaria. Ce ne parla Aldo Schiavo a pagina 82 (foto: Jeff Rotman; www.pewenvironment.org).

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Il pesce in rete

Il meglio del web e delle app di Elena Benedetti

www.distrettopesca.it

ec.europa.eu/maritimeaffairs

www.irepa.org

La filiera ittica siciliana (anche) sul web www.distrettopesca.it è il portale del Distretto siciliano della pesca di Mazara del Vallo. Costituito nel 2006, oggi il Distretto Produttivo della Pesca COSVAP conta 1.345 aziende, 2.200 occupati, 46 enti e un sito web che raccoglie e racconta lo sviluppo di questo comparto ittico. Gli obiettivi? Incrementare la competitività del sistema pesca puntando sulla qualità del prodotto e dei servizi e dotarsi delle necessarie infrastrutture. All’interno del portale segnaliamo la sezione “Specie ittiche”, raggiungibile al seguente link: www.distrettopesca.it/Specieittiche.aspx. Qui sono riportate informazioni e immagini su pesci, crostacei e molluschi, con nome, nome scientifico, descrizione e habitat naturale. segreteria@distrettopesca.it

L’Atlante europeo dei mari navigabile on-line All’interno del sito http://ec.europa. eu/maritimeaffairs, il portale della Commissione europea sugli Affari marittimi e la pesca, c’è una sezione navigabile on-line che prende il nome di “Atlante europeo dei mari”. Si rivolge a tutti coloro che sono interessati ad approfondire le conoscenze dei nostri mari e del patrimonio marittimo che condividiamo con gli altri cittadini europei. L’obiettivo dell’Atlante è “illustrare l’importante ruolo svolto dai mari e dagli oceani che bagnano l’Europa nel contesto della politica marittima integrata dell’UE”. L’atlante offre una vasta gamma di informazioni sui mari d’Europa, tra cui: la profondità dei mari e i rilevamenti sottomarini, l’oscillazione delle maree e l’erosione delle coste, le politiche e le iniziative in campo marittimo, i contingenti di pesca divisi per specie e per zona, la flotta peschereccia europea, le attività costiere, le statistiche sul trasporto marittimo e i porti, le regioni ultraperiferiche. L’Atlante è in versione inglese, francese e tedesca. Il link diretto è il seguente: http:// ec.europa.eu/maritimeaffairs/atlas/ maritime_atlas MARE-ATLAS@ec.europa.eu

Istituto di Ricerche Economiche per la Pesca e l’Acquacoltura Fondato a Salerno trent’anni fa, l’Istituto di Ricerche Economiche per la Pesca e l’Acquacoltura (IREPA) promuove lo sviluppo della ricerca economica di settore e svolge attività di assistenza in favore degli enti pubblici deputati alla gestione della pesca e dell’acquacoltura. Il sito web è un punto di riferimento per gli operatori del settore pesca e acquacoltura. Esso contiene analisi di settore, comunicati stampa, riferimenti a pubblicazioni, link al Sistema Statistico Nazionale (SISTAN). Tra le tante attività dell’IREPA ricordiamo la produzione statistica, la ricerca in campo scientifico, attività di reporting, analisi di campo ambientale, qualità e tecnologia e information technology. Form on-line

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La nuova App FNOVI per trovare le strutture veterinarie www.struttureveterinarie.it è la prima e unica anagrafe ufficiale georeferenziata delle strutture veterinarie, pubbliche e private, autorizzate in Italia. Si tratta di un servizio di utilità pubblica, ideato e gestito da FNOVI, la Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani, in collaborazione con ANMVI, Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani. L’applicativo consente di geo-localizzare studi, cliniche, ospedali e laboratori di analisi veterinari autorizzati ed è scaricabile gratuitamente su tutti gli smartphone IPhone e Android. Per accedere al servizio è necessario consentire all’applicazione di acquisire la posizione GPS del dispositivo. La nuova app permette poi di individuare strutture veterinarie in condizioni di “emergenza”. Si tratta di una ricerca per la quale viene unicamente richiesto all’utente di selezionare la specie animale. Il sistema in automatico provvede ad interrogare la banca delle strutture veterinarie aggiornata a quell’istante. Attraverso la modalità di ricerca libera l’utente può selezionare la struttura veterinaria in base ad ambiti territoriali oltre che attraverso i servizi offerti. Si può quindi selezionare provincia,comune,specie animale,servizi attesi,strutture con servizio di pronta disponibilità e di pronto soccorso. L’applicazione si può scaricare gratuitamente su Android Market e iTunes App Store.

Jamie Oliver in difesa delle cozze Oggi c’è grande attenzione e impegno allo sviluppo di una pesca sostenibile. Da più parti si cerca di far passare il messaggio che i nostri mari vanno tutelati e protetti con azioni incisive. Altrettanto si fa presso il consumatore, informandolo sulle specie ittiche più a rischio. Di recente è sceso in campo anche Jamie Oliver (www.jamieoliver.it), chef stellato inglese, classe 1975, conduttore televisivo e autore di libri e riviste di cucina. Particolarmente sensibile ai temi di una cultura del cibo fondata sulla sostenibilità e la salubrità delle materia prime, all’insegna del mangiar sano e consapevole, Jamie ha elogiato i mitili come alimento sano e amico dell’ambiente. La notizia è stata ripresa dal portale SCOTTISH SHELLFISH MARKETING GROUP (www.scottishshellfish.co.uk), l’ente scozzese promotore dei molluschi e crostacei, primi fra tutti cozze e ostriche del Pacifico. «Le cozze — ha dichiarato il giovane chef inglese sul canale televisivo Channel 4, nel corso di un suo programma — sono il nostro futuro. Sono buonissime, costano poco, sono facili e veloci da cucinare». Jamie ha poi ricordato che le cozze d’allevamento non hanno bisogno di essere nutrite e producono “emissioni” minime. Piuttosto che una causa di inquinamento la cozza allevata rappresenta un buon indicatore del livello di inquinamento presente nel luogo in cui vive.

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Freschezza da gustare


Aziende Sulla banchina del porto inizia la conquista dei mercati pi첫 lontani

Macduff Shellfish, dalla Scozia i migliori crostacei dei mari del Nord di Elena Benedetti

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Dici Scozia e subito pensi ad un territorio fatto di paesaggi mozzafiato e natura incontaminata, aria fresca e tersa, prati verdissimi, coste e scogliere che ne profilano i contorni su tre lati, limpide acque interne e mare puliti. Per la precisione le coste scozzesi sono lunghe 16.000 chilometri. Tale e tanta abbondanza di mare fa sì che l’industria ittica sia un business di tutto rispetto. Insieme a un gruppo di buyer della Grande Distribuzione siamo volati in Scozia alla scoperta di alcune tra le più interessanti realtà di questo comparto, che oggi conta un totale di 2.100 imbarcazioni di pesca e raccoglie ogni anno 440.000 tonnellate di prodotto ittico, corri-

spondenti ad un fatturato di oltre 575 milioni di sterline. La regione è tra i primi produttori europei di pesce e il secondo produttore al mondo per il salmone. Numeri importanti che approfondiremo via via nei prossimi articoli. Iniziamo il viaggio dal Nord-Est della Scozia, in una piccola località non lontana dal porto di Fraserburgh, il primo in Europa per la pesca e il commercio dei crostacei. L’azienda che ci accoglie è M ACDUFF S HELLFISH , con sede a Mintlaw, nell’Aberdeenshire. Ci dà un caloroso benvenuto il direttore generale dello stabilimento ROY CUNNINGHAM, insieme a LORRAINE LAMBLE, responsabile commerciale per l’Italia, l’italiano perfetto, un sorriso che conquista e, scopriremo poi, una solida conoscenza del nostro mercato. La proprietà dell’azienda è della famiglia BEATON, quarta generazione nella commercializzazione di prodotti ittici, oggi guidata dai tre fratelli EUAN, PAUL e FERGUS. La visita allo

stabilimento e l’incontro con il management mettono subito in luce la filosofia dei Beaton: qui convivono perfettamente due modi opposti di intendere l’azienda. Da una parte c’è la scelta di mantenere viva l’artigianalità, che ritroviamo ad esempio nel personale intento all’apertura manuale delle capesante. Dall’altra è evidente l’automazione di molti passaggi nella lavorazione e pulitura dei crostacei, come nella gestione del freddo, quest’ultima strategica per garantire la qualità del prodotto. Macduff nasce 125 anni fa con l’acquisto dei crostacei vivi dai pescatori della zona e l’esportazione del prodotto in Francia. Dopo quasi tre decenni di attività oggi l’azienda commercializza scampi (interi, code con e senza guscio), granchi (interi, disponibili anche sottovuoto), capesante (mezzo guscio con e senza corallo) e buccini. Tutto sia fresco che congelato. La vicinanza con Fraserburgh è strategica: l’approvvigionamento costante di pescato è assicurato e

Confezionamento degli scampi.

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Dal mare alla tavola Lo stabilimento Macduff Shellfish di Mintlaw gestisce al proprio interno tutte le fasi di lavorazione dei crostacei. Particolare attenzione è data al packaging e alla personalizzazione del prodotto. Qui riportiamo due esempi di confezionamento: 500 grammi di chele di granchio congelate e di capesante senza guscio, con corallo, in busta, destinate al mercato francese, con foto del prodotto e pochi e chiari elementi esplicativi per il consumatore.

Macduff Shellfish commercializza le capesante a mezzo guscio con e senza corallo.

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Nello stabilimento a Aberdeenshire il confezionamento delle vaschette di scampi, pronte da spedire ai mercati europei. rafforzato anche da numerosi scambi con altri porti del Regno Unito che garantiscono la fornitura di pesce nei picchi di domanda. «Sandy, il nostro responsabile acquisti, non lo troverete seduto dietro a una scrivania in qualche ufficio dell’azienda» ci racconta Mr. Cunningham. «Lo si può incontrare solo al porto, giorno o notte che sia, ad attendere i pescherecci e a contrattare il pescato migliore. Sul molo inizia la fase di selezione che prosegue poi in stabilimento e lungo l’intero processo di lavorazione». Se nel 1985 i dipendenti erano due, oggi si contano fino a 250 persone nei momenti di punta stagionale, con un processo focalizzato sulla cura e la personalizzazione del prodotto. «Lavoriamo molto sul product development» prosegue il direttore.

«La qualità del prodotto è un dato di fatto e non è in discussione. A ciò aggiungiamo l’attenzione al packaging, curiamo la personalizzazione nei minimi dettagli, per dare valore aggiunto al prodotto e un ulteriore servizio al cliente». Con un fatturato annuo che si attesta intorno ai 38.000.000 di sterline e una capacità produttiva di oltre mille pallet di prodotto refrigerato, Macduff Shellfish attualmente è il maggiore produttore del Regno Unito per le specie ittiche lavorate. Partner dinamico e affidabile, è già presente in Europa ed ora è pronto a conquistare mercati lontani, primi fra tutti Cina e Stati Uniti. E altrettanto pronti sono gli uomini come Sandy, che conosce per nome tutti i pescatori, o come le ragazze che sgusciano a mano,

“Sandy, il nostro responsabile acquisti, non lo troverete seduto dietro a una scrivania. Lo si può incontrare solo al porto, giorno o notte che sia, ad attendere i pescherecci e a contrattare il pescato migliore” 22

una a una le capesante che saranno delizia di chef e fortunati clienti, oppure come gli addetti alla catena del freddo e alle spedizioni, che sotto le loro giacche a vento completano il ciclo produttivo. La macchina è rodata, l’azienda è rispettosa del mare e delle sue acque che forniscono prodotti straordinari. La sostenibilità è un tema conosciuto e perseguito con dedizione. Non serve altro per conquistare il mondo. Elena Benedetti Macduff Shellfish Limited Station Road Mintlaw, Aberdeenshire AB42 4LU, Scozia Telefono: +44 (0) 1771 624000 Web: www.macduffshellfish.co.uk Nota Nella foto a pagina 19 due piccoli pescherecci lungo le coste scozzesi. Le esportazioni di prodotti ittici dalla Scozia nel 2010 sono cresciute del 12%, raggiungendo un valore di 620.000.000 di sterline (fonte Scottish Development International).

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Acquacoltura

Un potenziale da sviluppare Dieci schede dedicate alle specie acquicole più prodotte nell’Unione Europea. Storione e carpa le prime due

Pesci, molluschi e crostacei occupano sempre più spazio nei nostri piatti. Questa domanda crescente offre prospettive interessanti per il futuro dell’acquacoltura. Secondo le ultime statistiche ufficiali (2009), l’acquacoltura rappresenta circa un quarto della produzione dell’Unione Europea (UE) di pesci, molluschi e crostacei, mentre il resto proviene dall’attività di pesca. I principali produttori dell’UE sono, per il pesce, il Regno Unito (salmone) e la Grecia (orata e branzino) e, per i molluschi, la Spagna (cozze), la Francia (ostriche) e l’Italia (vongole veraci). Ai circa 23 kg di prodotti acquatici consumati annualmente

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da ogni cittadino europeo (di cui un decimo proviene dall’acquacoltura UE), occorre aggiungere i prodotti dell’acquacoltura importati, principalmente il salmone (Norvegia), i gamberi tropicali (Tailandia, Bangladesh, India) e il pangasio (Vietnam). A livello mondiale, la crescita è ancora più rilevante. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), sui 118 milioni di tonnellate di pesci, molluschi e crostacei consumati in tutto il mondo nel 2009, 55 milioni, ossia quasi la metà, provenivano dall’acquacoltura. Dal 2000 tale produzione è aumentata di circa il 35%.

L’acquacoltura europea non segue questa tendenza globale, trovandosi da alcuni anni in una situazione di stagnazione. Uno degli obiettivi dell’attuale riforma della Politica Comune della Pesca è quello di rafforzare il potenziale del settore dell’acquacoltura dell’UE, migliorarne la competitività e la sostenibilità, promuovendo al contempo lo sviluppo di prodotti di qualità, nel rispetto dell’ambiente. Qualità L’acquacoltura dell’UE è sostenibile e garantisce al consumatore europeo l’accesso a prodotti sani, sicuri e

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di elevata qualità. Fornisce inoltre 80.000 posti di lavoro diretti nelle zone costiere e rurali. Le specie prodotte in Europa variano ampiamente. Dai tempi della piscicoltura medievale, il modo di allevare gli animali acquatici si è evoluto in molte direzioni e presenta oggi una vasta gamma di tecniche, metodi, e anche di tradizioni. L’evoluzione dei metodi di allevamento si basa su ricerche scientifiche molto avanzate, che costituiscono un know-how europeo molto efficace. Ciò fa dell’acquacoltura uno spazio

di sviluppo che occuperà in futuro un posto sempre più importante nell’Unione Europea. 10 specie, 10 schede A partire da questo numero sarà pubblicata su IL PESCE una serie di 10 schede dedicate alle specie acquicole più prodotte nell’Unione Europea. Ogni scheda offre informazioni su vari aspetti: la biologia, le varie tecniche di allevamento, la produzione e il commercio e il valore nutrizionale della specie. Le prime due schede riguardano lo storione e la carpa.

Le schede successive saranno dedicate al branzino e alla trota, al rombo e al salmone, all’orata e alla cozza e infine all’ostrica e alla vongola. Fonte: PESCA E ACQUACOLTURA IN EUROPA, n. 56/2012 Direzione generale degli Affari Marittimi e della Pesca Commissione europea Nota A pag. 25 impianto di acquacoltura marina (foto: http://exploringaquaculture.posterous.com).

Comprendere meglio l’acquacoltura: i diversi tipi di allevamento Acquacoltura estensiva in acqua dolce Gli stagni sono mantenuti in modo da favorire lo sviluppo della fauna acquatica con un rendimento superiore a quello dell’ecosistema naturale. La densità è bassa e l’alimentazione dei pesci è naturale.Alcuni produttori utilizzano complementi alimentari. Questi stagni svolgono un ruolo importante e positivo nel paesaggio, nella gestione delle acque e nella biodiversità. Esempi: carpa, in policoltura con altre specie (coregone, luccioperca, luccio, pesce gatto, ecc…). Acquacoltura di specie marine in impianti sulla terraferma L’allevamento di pesci marini (in particolare i pesci piatti) può essere realizzato anche in bacini artificiali a terra, ma alimentati con acqua di mare. Il ricircolo di acqua, che consente di offrire un ambiente chiuso e controllato, è necessario per una produzione ottimale negli incubatoi e nei vivai per le specie marine. Esempi: rombo, sogliola, sogliola del Senegal, branzino, orata. Acquacoltura estensiva in acqua salmastra Gli animali (spesso portati dalle correnti marine) sono tenuti in lagune progettate per questo scopo (esempi: vallicoltura italiana, estero spagnoli). L’introduzione di avannotti da vivaio e l’utilizzo di complementi alimentari rafforzano il carattere semi-estensivo di questo tipo di allevamento. Questa forma di acquacoltura svolge un ruolo importante nella conservazione del patrimonio naturale costiero. Esempi: branzino, anguilla, sogliola, sogliola del Senegal, orata, cefalo, storione, gamberi e molluschi. Acquacoltura intensiva in acqua dolce Nei sistemi intensivi, i pesci sono allevati in bacini fino a raggiungere le dimensioni commerciabili. Esistono due tecniche: il flusso continuo (i bacini sono alimentati dall’acqua del fiume a monte e la restituiscono a valle) e il ricircolo (l’acqua rimane a circuito chiuso e viene riciclata al fine di farla “ricircolare” nei bacini). I sistemi di ricircolo sono più costosi (in termini di energia), ma consentono un migliore controllo delle condizioni di coltura (temperatura, ossigeno) e della qualità dell’acqua. Esempi: trota iridea, anguilla, pesce gatto, storione, tilapia, ecc… Acquacoltura marina in gabbie I pesci sono tenuti in gabbie ancorate sul fondo e mantenute in superficie da un telaio galleggiante in plastica. Questa forma di allevamento è praticata soprattutto in zone riparate vicino alla costa, ma dovrebbe essere possibile allontanarsene utilizzando tecniche più sofisticate (gabbie sommergibili, monitoraggio remoto, alimentazione automatica, ecc…). Esempi: salmone atlantico, branzino, orata, ombrine bocca d’oro, ecc… La molluschicoltura La molluschicoltura si basa sulla raccolta di novellame selvatico o da vivaio, che si nutre di sostanze nutritive naturali presenti nell’ambiente (animali filtratori). L’ostricoltura e la mitilicoltura rappresentano il 90% della produzione europea, con una grande varietà di tecniche: sul fondo, su tavole, su pali di legno, su corde, ecc… Esempi: ostriche (ostricoltura), cozze (mitilicoltura), vongole veraci, abaloni.

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Storione (Acipenser baerii) Biologia In Europa vengono allevate svariate specie della famiglia Acipenseridae, fra cui lo storione siberiano, lo storione danubiano, lo storione sterleto, lo storione comune e lo storione adriatico. Molte delle specie di storione sono considerate a rischio o addirittura a grave rischio di estinzione. La costruzione di sbarramenti che ostacolano le rotte migratorie, l’eccesso di pesca e l’inquinamento hanno provocato un drastico declino della popolazione di storioni. L’allevamento di storioni è quindi importante non solo per la produzione di carne e caviale ma anche per il ripopolamento di queste specie, nella misura in cui ha effetti benefici sulla conservazione degli stock selvatici. Lo storione più comunemente allevato nell’UE è lo storione siberiano (Acipenser baerii). I sistemi di allevamento dello storione siberiano sono stati messi a punto nell’ex Unione Sovietica fin dagli anni ‘70. Più o meno nello stesso periodo i primi esemplari sono stati introdotti in Francia nell’ambito di un programma di cooperazione scientifica. Allevamento La riproduzione dello storione siberiano è complicata dal fatto che le femmine non ovulano ogni anno e non lo fanno in maniera sincrona. Tuttavia, grazie al controllo della temperatura dell’acqua, è possibile ottenere uova per un periodo relativamente lungo, compreso fra dicembre e maggio. Gli storioni siberiani possono essere allevati in vasche, stagni o gabbie. È una specie carnivora nutrita con granulati di farina di pesce e olio di pesce, nonché con estratti vegetali. La durata media dell’allevamento degli storioni da carne è di 14 mesi per ottenere un pesce destinato alla vendita di 700 g. Al momento della raccolta, gli storioni sono prelevati per mezzo di reti. L’allevamento di storioni per la produzione di caviale è oneroso, perché le femmine non possono riprodursi prima dei sette anni di età. Durante questo periodo sono allevate in vasche contenenti acqua dolce corrente. In passato le femmine venivano abbattute e svuotate delle uova. Tuttavia negli ultimi anni i piscicoltori hanno sviluppato tecniche che consentono di prelevare il caviale senza uccidere i pesci e allo stesso tempo di ridurre i costi di produzione e migliorare la redditività delle femmine. Produzione e commercio A livello mondiale, a causa dell’esaurimento degli stock, la pesca dello storione è quasi scomparsa e l’esportazione di caviale prelevato da individui selvatici è vietata. La pesca ha ceduto il passo all’allevamento e l’acquacoltura cinese rappresenta attualmente l’85% della produzione mondiale (Grafico 1). Dopo la Cina, i principali produttori

Storione, Acipenser baerii (www.biolib.cz, foto: Martin Chytrý).

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di storione sono la Russia e l’UE. Nell’Europa occidentale il più allevato è lo storione siberiano. Benché le statistiche di produzione non siano del tutto precise, pare che l’allevamento europeo di storione sia in gran parte destinato alla produzione di caviale (80% in valore), a tal punto che l’UE è oggi più esportatrice che importatrice di questo prodotto (in valore). I principali produttori di caviale nell’UE sono l’Italia e la Francia. Presentazione sul mercato Il termine “caviale” si riferisce prettamente alle uova di storione della famiglia Acipenseridae sottoposte a salatura, mentre le uova di altre specie di pesci possono essere chiamate solamente “surrogato di caviale”. La carne dello storione siberiano è priva di spine, una caratteristica particolarmente apprezzata. I consumatori europei non hanno tuttavia ancora familiarità con questo prodotto che può essere venduto in filetti o affumicato.

Grafico 1 – Produzione di storione da acquacoltura nell’UE (2009)

oltre 500 tonnellate da 200 a 500 tonnellate da 100 a 200 tonnellate meno di 100 tonnellate

Il caviale si apprezza in purezza, dato il pregio, il costo e il fine aroma.

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Carpa (Cyprinus carpio) Biologia La carpa comune (Cyprinus carpio) è originaria dell’Asia e dell’Europa orientale. Sebbene si abbia notizia del consumo e dell’allevamento di carpe fin dall’epoca romana, fu solo nel Medioevo che la carpa cominciò ad essere allevata nelle acque di superficie in Europa. Le carpe erano spesso allevate nei monasteri, dove nei giorni di digiuno il pesce era preferito alla carne. La carpa è una specie domestica che si è adattata ai sistemi di allevamento e che ha la capacità di tollerare la qualità e la temperatura dell’acqua. Vive in tutti i tipi di acque ferme o a corso lento. La carpa è onnivora e si ciba principalmente di zooplancton e zoobenthos, detriti e parti di piante acquatiche. La forma originaria della carpa è denominata “a squame” ed è caratterizzata da squame grosse e uniformemente distanziate. Fra le specie domestiche si trova la carpa a specchio con poche squame distribuite in maniera irregolare. Allevamento La carpa si riproduce solitamente in avannotterie. Quando le uova si schiudono, le larve sono trasferite in piccole vasche poco profonde o stagni alimentati con acqua ricca di plancton. All’inizio la produzione naturale dello stagno in termini di plancton, vegetazione e invertebrati bentonici è sufficiente a nutrire le giovani carpe. In seguito, però, i pesci ricevono spesso un’alimentazione aggiuntiva, come farina di cereali o varie miscele di mangimi. In autunno lo stagno viene ripulito e le carpe sono trasferite in uno stagno più profondo per lo svernamento; in alternativa, vengono lasciate nello stagno iniziale fino all’arrivo della primavera. Durante i mesi più freddi entrano in un periodo di attività ridotta durante il quale si nutrono poco o per niente. La primavera successiva le carpe vengono stabulate in vasche di estivazione adibite all’allevamento di pesci di due anni. Nella primavera del loro terzo anno le carpe passano in grandi stagni di ingrasso (a fini commerciali), in cui si nutrono in base all’ecosistema, anche se la loro alimentazione viene di solito integrata con cereali. In genere il prelievo dei pesci avviene in autunno (prima del congelamento dell’acqua); gli esemplari sono prelevati in base alla taglia e destinati alla riproduzione o commercializzati. Poiché la maggior parte delle carpe è venduta poco prima di Natale, normalmente vengono lasciate in acqua dolce pulita per alcune settimane per migliorarne il gusto prima della commercializzazione. Tuttavia sempre più carpe vengono catturate in altri periodi dell’anno per il consumo diretto o al fine di ripopolare le acque destinate all’esercizio della pesca sportiva. Una carpa può raggiungere un peso di 30 kg e una taglia pari o superiore a un metro. Per ottenere una taglia adeguata alla commercializzazione, che in genere va dai 30 ai 50 cm di lunghezza per un peso compreso

Carpa, Cyprinus carpio (foto: www.luontoportti.com).

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tra 1,5 e 3 kg (a seconda della regione), nelle condizioni meteorologiche europee sono necessari solitamente tre o quattro anni. Normalmente l’allevamento della carpa è semi-intensivo. La carpa può essere allevata in monocoltura, policoltura (insieme ad altre specie d’acqua dolce come il luccio, il pesce gatto o la carpa argentata) o in coltura integrata con altre attività agricole. Gli stagni da carpa svolgono spesso un ruolo importante nell’arricchimento della biodiversità,poiché trattengono l’acqua e contribuiscono alla protezione dell’ambiente e alla difesa dalle inondazioni.

Grafico 2 – Produzione di carpe da acquacoltura nell’UE (2009)

Produzione e commercio La produzione di carpe è legata soprattutto all’acquacoltura oltre 15.000 tonnellate (Grafico 2). La produzione da 5.000 a 10.000 tonnellate mondiale di carpe è dominata da 2.000 a 5.000 tonnellate all’80% dalla Cina. Gli altri meno di 1.000 tonnellate maggiori produttori, seppur con uno scarto notevole, sono Indonesia, Vietnam, Unione Europea, Russia, Bangladesh e Brasile. All’interno dell’UE la carpa è un alimento tradizionale dell’Europa Centrale. I due produttori principali sono la Polonia e la Repubblica Ceca, mentre le esportazioni di carpe verso i Paesi Terzi sono quasi nulle. Per quanto riguarda il commercio intracomunitario, si rilevano solo flussi limitati dalla Repubblica Ceca alla Germania. La specie rimane sconosciuta in vari Stati Membri. Presentazione sul mercato Oggi la carpa viene allevata essenzialmente nei Paesi dell’Europa centrale, dove è acquistata viva e preparata per i piatti tradizionali serviti durante le feste natalizie e, in misura minore, pasquali. Nella preparazione della carpa farcita (gefilte fish, una specialità ebraica), la carne di carpa viene sminuzzata assieme alla cipolla e il preparato è usato per farcire la pelle di pesce;le polpettine ottenute vengono quindi stufate. I produttori stanno cercando di diversificare l’offerta dotandosi di piccole unità di trasformazione tese a proporre prodotti semi-preparati (bistecche, prodotti freschi o affumicati, in filetti o tranci) o preparati secondo le ricette tradizionali. Una parte importante della produzione è destinata al ripopolamento degli Allevamento di carpe nella Repubblica ceca. stagni per la pesca sportiva.

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Alghe: le nuove frontiere della cucina occidentale Il commercio delle alghe in Italia e nei Paesi occidentali acquista ogni giorno nuove fette di mercato. I vegetali di mare, introdotti inizialmente per le loro qualità curative, sono oggi apprezzati anche in ambito alimentare. Per questo l’alghicoltura appare un vero e proprio business destinato a rafforzarsi nel tempo di Sebastiano Corona

Ci faranno l’abitudine anche i più scettici. Questa è una certezza, perché seppur non facenti parte della nostra cultura alimentare, sono destinate ad entrare nel quotidiano degli Occidentali passando per la porta principale. Ne varrà però la pena perché, oltre ad essere tra le prime nella lista degli alimenti naturali e dietetici, le alghe vantano

anche proprietà curative rilevanti. Kombu, wakame, nori, hiziki, spirulina, sono solo alcune di quelle che si trovano oggi in commercio, ma ne esistono di tantissimi tipi, suddivisi in oltre 25.000 specie. Anche l’aspetto può cambiare in maniera radicale da una tipologia all’altra. Ce ne sono di dimensioni microscopiche, ma anche intermedie

o giganti, con colori molto differenti tra loro. Ad una tale varietà corrisponde una differenza anche in termini nutrizionali. In generale le alghe appaiono comunque più proteiche delle piante eduli che crescono a terra (dal 5,6% delle hiziki, al 35% delle spiruline). Hanno anche importanti valori in termini di carboidrati

Oltre ad essere tra le prime nella lista degli alimenti naturali e dietetici, le alghe vantano anche proprietà curative rilevanti. In foto, un allevamento di alghe a Bali.

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Coltivazione di alghe in Asia. (dal 29,8% delle hiziki, al 51,9% delle kombu) e, soprattutto, di sali minerali e di oligoelementi, per non parlare del ferro e del calcio, da 2 a 30 volte superiori agli ortaggi. Ma soprattutto le alghe contengono vitamina B1, B2 e C. L’elevato contenuto di iodio — da 100 a 1000 volte maggiore rispetto ai comuni ortaggi — rende le alghe particolarmente preziose in caso di determinate patologie. Ma gli esperti le reputano utili anche contro l’acne giovanile, nelle terapie ipocolesterolemizzanti e nei casi di uricemia ed azotemia. Dall’Harvard School of Public Health giunge lo studio che vuole che il regolare consumo di alghe sia la spiegazione alla bassa incidenza del tumore della mammella tra le donne giapponesi. Le sorprendenti applicazioni terapeutiche descritte sono però solo una parte di quelle effettive. Nel complesso, pur con importanti differenze da specie a specie, le alghe avrebbero sostanze ipotensive, tra cui l’istamina. In certi casi avrebbero proprietà anti-ulcera, in grado di svolgere anche un’azione protettiva nei confronti di agenti patogeni come Escherichia coli, salmonella e stafilococco. E ancora: stimolano la tiroide, attivano il metabolismo, sono tonificanti, rafforzano le difese immunitarie, combattono gli squilibri costituzionali e i processi di

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invecchiamento delle cellule, hanno un’azione depurativa, attivano la circolazione e molto altro ancora. Saranno sufficienti queste motivazioni per sfatare i pregiudizi di chi non intende nemmeno assaggiarle? Forse è necessario avviare delle campagne di educazione al consumo, non solo per far capire quanto possano essere salutari, ma anche come vanno preparate perché si possano gustare e al meglio e perché se ne preservino le sostanze nutritive e terapeutiche.

Se è vero, così come sembra anche dall’andamento del mercato, che le verdure di mare entreranno a far parte a pieno titolo delle nostre abitudini alimentari, quello delle alghe diventerà un business da molti punti di vista. Nei giorni scorsi un noto e prestigioso quotidiano nazionale ha evidenziato il fatto che in un momento in cui il prezzo del cibo e la popolazione aumentano e l’ambiente è sempre più compromesso, si rende necessario

L’alga wakame nasce e cresce in acque agitate e turbolente e viene raccolta in primavera, quando i pescatori in barca, muniti di rastrello, staccano completamente la radice delle piante dalla sua roccia. Essa viene poi imballata dopo l’essiccazione. Si mangia soprattutto nelle insalate: la wakame saraada è uno degli antipasti più semplici e gustosi dei menu giapponesi.

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Dobbiamo alla diffusione dei ristoranti giapponesi il merito di aver portato questi vegetali marini sulle nostre tavole. rivedere la qualità dei prodotti che normalmente finiscono sulle nostre tavole e riconsiderare il cibo come un vero e proprio lusso. Sempre secondo questa tesi, sarà necessario ideare nuovi modi per riempire il vuoto alimentare con cibi che prima non venivano presi in considerazione, alghe in testa. Nel caso specifico, la produzione controllata avrebbe finalità diverse e nuove rispetto al mero consumo per l’alimentazione umana. Non dimentichiamo infatti che, oltre al valore nutritivo e al potere terapeutico, le alghe vengono normalmente impiegate come mangime sia in acquacoltura, sia per animali domestici. Non bastasse — e forse questo è l’aspetto di maggior interesse per il futuro del pianeta — le alghe sono anche un prezioso biocarburante, avendo un’importante capacità di assorbire CO2 o di essere impiegate nella produzione di pigmenti ad uso industriale, bio-plastica ed altri additivi. Ci sono quindi tutti gli elementi per sostenere che le coltivazioni di vegetali di mare sono destinate ad essere l’affare del prossimo futuro. Il paese che ne vanta la più ricca tradizione produttiva e alimentare

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è il Giappone, dove esistono vere e proprie coltivazioni. Ma anche in altri Paesi asiatici o negli Stati Uniti, le attività di alghicoltura iniziano a farsi strada e i risultati non si fanno attendere. Sebbene la realizzazione di sistemi di colture algali sia molto complessa, soprattutto quando ha una finalità energetica, queste coltivazioni non competono con quelle agrarie classiche, poiché non richiedono pesticidi e si possono realizzare su acqua di mare o su acque reflue. Inoltre, è dimostrato che le alghe consumano grandi quantità di CO2 (circa due chilogrammi per ogni chilo di biomassa algale prodotta) che all’occorrenza potrebbero prelevare dai fumi di combustione delle centrali termoelettriche. Tale aspetto meriterebbe però un capitolo a parte poiché la messa a punto di processi a microalghe competitivi sul mercato dei biofuel mostra ancora ampi margini di miglioramento. Sebbene a questo proposito si stia lavorando molto, si necessita ancora di anni di sperimentazione. Le opinioni in ogni caso sono ottimistiche al punto da lasciar intendere che la produzione di alghe

sia la soluzione per far fronte alla crisi climatica mondiale. La loro coltivazione ad uso alimentare che esiste invece da decenni, presenta — rispetto ad altre colture — importanti vantaggi. È l’organismo vegetale con il ciclo di crescita più breve al mondo e, al contrario di quanto accade per la maggior parte degli altri vegetali, può essere coltivato tutto l’anno senza interruzioni. Non bastasse, le alghe non hanno bisogno di terreni agricoli o di acqua pulita. Pertanto non sottraggono risorse preziose già scarse. Si tratta inoltre di un processo piuttosto semplice poiché richiede solo nutrienti, acqua, luce solare e anidride carbonica. L’habitat non deve necessariamente essere pulito. Grazie alla loro resistenza, le alghe infatti sono in grado di prosperare perfino nelle acque reflue e mostrano un’invidiabile produttività per ettaro. Chi intende cimentarsi in questo campo non deve che approfondire la normativa di riferimento per l’acquacoltura e l’allevamento dei molluschi e dei crostacei. Le regole sono infatti le stesse. Sebastiano Corona

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6, Allee des Amandiers 35400 Saint Malo Tel.: +33 299 892 885 – Fax: +33 299 891 354 36 togie@wanadoo.fr – Web: www.togie.fr E-mail:

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I branzini e i mitili del Golfo di Pirano

Fonda, la salute è questione di buon gusto di Riccardo Lagorio

L’implosione della Jugoslavia nel 1992 lasciò senza guida numerose imprese che avevano sviluppato una discreta competitività internazionale. Anche in Slovenia ed in Istria, due aree tra le meno danneggiate dal conflitto, le conseguenze economiche e sociali furono, nel breve periodo, ingenti. L’ingresso nell’economia di mercato in particolare per la Slovenia è stato favorito dalla sua

vicinanza (anche culturale) all’Italia e all’Austria. Ma anche dalla presenza di imprenditori illuminati che hanno colto l’opportunità di presentarsi — per concentrarci sul settore agroalimentare — con prodotti di grande pregio e valore economico. È accaduto nel mondo vitivinicolo, ma anche nel settore ittico. Tra quegli imprenditori illuminati UGO FONDA, biologo marino, la cui passione per

il mare lo spinse ad acquistare un allevamento di branzini creato negli anni Settanta nel Golfo di Pirano. Le approfondite conoscenze nell’ambito della biologia marina, trasfuse ai figli IRENA e LEAN, mossero ben presto i Fonda ad adottare un insieme di accorgimenti che hanno reso i loro branzini assai distinguibili nel panorama dei pesci d’allevamento, tanto che produrre il pesce nella

Branzini Fonda. Il regolare ricambio di acqua marina, il continuo movimento, il clima e la bassa salinità dell’acqua influiscono positivamente sulla qualità e la compattezza della carne del pesce allevato nella zona del Golfo di Pirano.

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In alto: Irena Fonda. Biologa molecolare, oggi si occupa della gestione dell’azienda e, contemporaneamente, lavora a progetti di ricerca internazionali nel settore della biologia marina. In basso: Lean Fonda e il figlio Enej. Sommozzatore professionista, Lean è anche presidente della Cooperativa dei Piscicoltori Marini di Sezza, Slovenia.

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L’allevamento della famiglia Fonda si trova nel Golfo di Pirano, all’estremità meridionale del mare sloveno. Il Golfo si distingue per la purezza dell’acqua e per la forte corrente che scorre lungo la costa adriatica orientale verso nord. maniera più naturale possibile è il cardine su cui poggia e per il quale si contraddistingue questa realtà. Molto, va detto, lo elargisce la natura stessa, con un clima mediterraneo mite ed un ecosistema irripetibile particolarmente favorevole: la temperatura del mare subisce d’inverno una notevole diminuzione (raggiunge i 6 o gli 8°C). Così, per un paio di mesi, i pesci non mangiano e sono sottoposti ad una naturale purificazione. La baia di Portorose si trova inoltre al riparo da bora e scirocco grazie alla presenza dei promontori di Pirano e Punta Salvore; ma è anche un braccio di mare dove sono presenti costantemente correnti (dovute alla conformazione della costa: la Punta di Salvore è scoscesa, la parte italiana è pianeggiante) che assicurano un continuo ricambio dell’acqua. Il fondale è profondo fino a 15 metri e le reti si spingono a 11, con un diametro variabile tra gli 8 e i 12 metri. Nondimeno, le accortezze

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adottate dai Fonda hanno migliorato le condizioni di allevamento. A partire dalle iniziali fasi di vita del pesce. Nelle gabbie destinate allo svezzamento trovano infatti posto circa 20.000 avannotti, cinque volte meno di quanto potrebbero contenere. I mangimi sono elaborati con materie controllate e di prima scelta e la loro distribuzione avviene esclusivamente a mano. «Non cospargiamo le gabbie con antivegetativi, sostanze dannose definite antifouling, per impedire la crescita di animali marini ed alghe. Così siamo costretti a cambiarle o a lavarle molto spesso, almeno quattro volte all’anno, con dispendio di manodopera ed energia» osserva Irena Fonda. Il mangime, ricco di cereali, viene dispensato con parsimonia per impedire che i branzini accumulino grasso. Ciò comporta che i pesci vengano allevati per quattro o cinque anni, raggiungendo il peso medio di 500 grammi, e fino a 8 per le pezzature da 3 kg. Il risultato si traduce

in branzini dalla polpa tonica, mai grassa. Ma, soprattutto, sicuri. In effetti, un dato sorprendente e di particolare interesse per i consumatori è che il contenuto di mercurio nella polpa dei branzini Fonda risulta particolarmente basso, addirittura 13 volte inferiore rispetto a quello dei branzini selvatici. Aspetto positivo, che lo rende indicato alle gestanti ed alle lattanti, generato dalle caratteristiche del mangime, privo di mercurio. Questo non è l’unico risvolto che riguarda la particolare cura riposta all’aspetto della sicurezza alimentare. Infatti l’allevamento viene sottoposto a due tipi di controllo veterinario: uno è il controllo dello stato di salute degli animali effettuato e documentato regolarmente da una veterinaria dipendente della Facoltà di Veterinaria dell’Università di Lubiana; l’altro è il controllo altrettanto regolare dell’Ispettorato dei prodotti alimentari a cura dell’Amministrazione Veterinaria della Repubblica di Slovenia.

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In alto: nuovi pesci vengono immessi nelle gabbie. In basso: Ugo Fonda. I pesci dell’allevamento vengono nutriti a mano con i migliori mangimi disponibili sul mercato, derivati esclusivamente da animali marini e vegetali terrestri.

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«Naturale, appetitoso e sano sono gli slogan che utilizziamo per definire il nostro pesce» aggiunge Irena. Ma la parte innovativa e più accattivante riguarda la vendita, anche diretta, via internet. Il consumatore può prenotare comodamente da casa. Il servizio funziona sul litorale sloveno, a Lubiana, in Carinzia e in provincia di Trieste. Le consegne avvengono il martedì, il venerdì ed il sabato ed il pesce viene recapitato in un imballaggio che preserva la merce dagli sbalzi termici e da qualsiasi contatto con l’esterno. Così il branzino Fonda diventa ancor più riconoscibile, forse l’unico branzino marchiato al mondo. Un’attenta operazione di marketing che non si ferma qui: approfittando della contiguità dell’allevamento con le saline di Sicciole, Fonda marchia anche il sale ideale per cucinare il branzino. Solo la targhetta che viene apposta su ogni esemplare appena pescato conferisce la certezza assoluta che si tratti di un branzino di Pirano. «La salute è una questione di buon gusto: perché inseguire i pesci, quando sono i pesci a venire da voi?» conclude con ironia Irena. Riccardo Lagorio Fonda Srl Strada Liminjanska, 117 6320 Portorož – Portorose (Slovenia) Telefono: 00386 51 605 605 E-mail: info@fonda.si Web: www.fonda.si

I branzini nelle gabbie dell’allevamento Fonda.

Il pesce e la nostra salute Fin dai tempi antichi si sa che il pesce è un alimento sano, facilmente digeribile e gustoso. La carne del pesce contiene probabilmente più ingredienti sani di qualsiasi altro cibo. È ricco di proteine, di acidi grassi essenziali (Omega-3), di vitamine e minerali. I piatti a base di pesce agiscono positivamente, già in fase prenatale e durante la crescita, sul completo sviluppo dell’organismo dell’uomo, sull’aumento delle capacità psicofisiche degli individui adulti e sul rallentamento del processo d’invecchiamento. Le ricerche dimostrano che gran parte di questi benefici effetti va attribuita agli acidi grassi insaturi Omega-3, che si trovano soprattutto nel pesce.Visti i numerosi vantaggi, è consigliabile consumarlo almeno due volte alla settimana (in foto, branzino Fonda al sale).

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Pesca

Stock condivisi, agire per mantenere la cooperazione All’Unione Europea mancano i mezzi per agire contro i rifiuti o le rotture di cooperazione nella gestione degli stock internazionali. La Commissione propone di colmare questa lacuna

Il 14 dicembre 2011 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento, COM(2011) 888, relativo a talune misure concernenti i Paesi che autorizzano una pesca non sostenibile ai fini della conservazione degli stock ittici. Scopo di tale proposta è consentire all’Unione Europea (UE) di chiudere le porte alle importazioni di pesce proveniente da Paesi che rifiutano di assumersi la propria responsabilità nella gestione comune degli stock. La riflessione che ha portato all’elaborazione di questo regolamento ha preso le mosse dal conflitto sullo sgombro. In sintesi, lo sfruttamento dello stock dello sgombro nell’Atlantico Nord-orientale è condiviso tra gli Stati rivieraschi della zona di cattura, vale a dire l’Unione europea, la Norvegia, le Isole Fær Øer e l’Islanda. Fino al 2009, le possibilità di pesca di questo stock erano determinate e ripartite nel quadro di una cooperazione tra

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queste quattro parti. Nel 2010 le Isole Fær Øer e l’Islanda hanno fissato unilateralmente le proprie quote relative allo sgombro (aumentandole in modo sproporzionato) al di fuori degli accordi di cooperazione. E se le parti non si mettono più d’accordo sui limiti da fissare allo sfruttamento di questo stock, la sua sostenibilità rischia di essere fortemente ipotecata. Già in passato sono sorti conflitti di questo tipo. Per diversi anni, ad esempio, non c’è più stata alcuna collaborazione per la gestione del melù nell’Atlantico Nord-orientale, una situazione che ha portato ad un depauperamento dello stock nel 2010 e che ha reso necessarie drastiche riduzioni delle quote. Colmare un vuoto giuridico Allo stato attuale delle cose, nulla impedisce a un peschereccio pelagico faroese di continuare a sbarcare il carico di sgombri nei porti scozzesi

per rifornire un’industria conserviera locale. A condizione che ottemperi alla normativa vigente nel suo Paese, questo peschereccio opera in totale legalità e non può quindi essere sanzionato per pesca illegale, non regolamentata e non dichiarata (INN). Tuttavia, la sua attività si svolge in un contesto che pone un problema reale in relazione alla conservazione dello stock. Ed è illogico che l’UE, corresponsabile della corretta gestione di questo stock, favorisca questa attività, aprendole il proprio mercato. Se uno Stato non si conforma alle decisioni adottate nel quadro della cooperazione, entra nell’illegalità e l’UE ha i mezzi giuridici per agire contro di esso, avvalendosi del regolamento INN. Ma se vi è una rottura della cooperazione, non esistono più decisioni regolamentari e, quindi, non sussiste illegalità stricto sensu. L’UE potrebbe intervenire nel

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quadro normativo generale, con la procedura di codecisione, ma è un meccanismo troppo complicato e lento. È quindi necessario creare una normativa adattata a questo tipo di situazione. Era quindi importante dotare l’UE di mezzi efficaci per evitare che il suo mercato costituisca un incitamento a tali rotture di cooperazione e aiutarla in tal modo a promuovere una pesca sostenibile. Lo scopo del nuovo regolamento proposto dalla Commissione è quindi quello di colmare un vuoto che non è preso in considerazione nell’arsenale esistente di misure contro la pesca INN. Esso riguarda tutti i casi in cui la gestione di uno stock in parte sfruttato dall’UE deve essere effettuata in cooperazione con Paesi Terzi, nel quadro di cooperazioni bilaterali o multilaterali o di un’ORGP. Si noti che la proposta non include gli stock che sono sotto l’esclusiva responsabilità di Paesi Terzi. Gli accordi di partenariato nel settore della pesca non rientrano pertanto nel suo campo di applicazione: la responsabilità della gestione delle risorse costiere spetta interamente allo Stato costiero con cui è stato siglato l’accordo. Misure strettamente mirate Le misure che la Commissione propone di adottare spaziano dalla chiusura del mercato ai prodotti in questione a restrizioni in materia di accesso agli impianti e ai servizi portuali per le navi che partecipano a queste attività di pesca problematiche. Occorre ricordare un punto importante: l’Unione Europea intende rispettare le regole internazionali del commercio, in particolare quelle

Peschereccio in Norvegia (http://pescainnorvegia.blogspot.it). definite dall’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio, meglio conosciuto con il suo acronimo inglese GATT. Se, da un lato, in generale, il GATT vieta le barriere al commercio internazionale, dall’altro esso autorizza l’introduzione di misure restrittive, in particolare nei casi in cui la risorsa è messa in pericolo o l’ambiente è minacciato. Tuttavia, richiede che tali restrizioni siano mirate direttamente all’oggetto del conflitto. Così, se il Paese X viene meno alla sua cooperazione con l’UE per la gestione di uno stock di merluzzo, ad esempio, l’UE potrebbe chiudere le frontiere al commercio del merluzzo pescato da quel Paese X (anche se lavorato e congelato nel Paese Y). L’UE potrebbe inoltre limitare le importazioni di specie che vengono catturate in concomitanza con la pesca del merluzzo. È chiaro che un tale divieto potrebbe avere un impatto econo-

Shared stocks, taking action to maintain cooperation With imports worth Euro 32 billion, the European Union ranks first in the global fish trade. It is a major market that attracts exporters from every continent.This position gives it responsibilities — which it assumes — in fighting illegal fishing and more generally all forms of overexploitation of resources. Nonetheless, missing among the EU’s range of measures, are means to act against parties who refuse to cooperate or break off cooperation in managing international stocks.The European Commission proposes to remedy this shortcoming.

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mico significativo su alcune filiere della pesca. Non dimentichiamo che l’UE dipende per il 60% dalle importazioni di pesce, e che alcune imprese di trasformazione lavorano principalmente con fornitori esterni. Il regolamento prevede quindi che le misure di mercato debbano essere adottate in modo consapevole, sulla base di uno studio d’impatto preliminare. Non si intende pertanto mettere in pericolo le industrie europee, ma potrebbe essere necessario dare loro il tempo per rivolgersi ad altri fornitori non problematici. Ci troviamo infatti nel quadro di una lotta contro lo sfruttamento eccessivo della risorsa. Le rotture di cooperazione e le azioni unilaterali comportano sempre la loro parte di danni, la prima vittima dei quali è lo stock ittico. Nella sua politica mirata al conseguimento di una pesca sostenibile, la Commissione non aveva altra scelta che utilizzare il suo peso commerciale per incentivare gli Stati a mantenere tutte le forme di cooperazione multilaterali e giungere ad accordi responsabili e sostenibili. Fonte: PESCA E ACQUACOLTURA IN EUROPA, n. 56/2012 Direzione Generale degli Affari Marittimi e della Pesca della Commissione europea Nota A pag. 43 banco di pesci (foto: www. ambienteambienti.com).

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Pescare nel rispetto del mare Dall’inquinamento alle quote pesca, dai mancati risarcimenti del FEP alla tracciabilità: uno sguardo ai nostri mari per capire le difficoltà della pesca di Gianni de’ Silva

Succede in Puglia L’estate del 2012 verrà ricordata non solo per la “canicola” del mese di agosto, ma soprattutto per le vicende (Ilva di Taranto) dell’inquinamento che da oltre un anno ha colpito gli allevatori di cozze che operano nel Tarantino. Centinaia di tonnellate di cozze allevate nel “primo seno del mar Piccolo” sono state distrutte perché inquinate oltre i limiti di legge da PCB e diossina. «E pensare — dicono gli allevatori — che, grazie all’acqua dolce che si mischia a quella salata, erano considerate le migliori

d’Italia». I consumatori sospettosi hanno rifiutato anche le cozze allevate in mare Grande, salubri secondo tutte le analisi effettuate dai servizi sanitari regionali e provinciali. È stato calcolato dagli esperti un danno per i miticoltori tarantini di oltre un milione e mezzo di euro. Chi li risarcirà ora? La manta Samantha Un segnale positivo giunge invece dalla Liguria ed ha trovato ampio spazio sulla stampa e in televisione per la brillante operazione condotta dalla

biologa dell’Acquario di Genova, Laura Castellano, responsabile del settore Mediterraneo, che è riuscita a liberare dagli ami e dalle lenze una giovane manta che dal mese di giugno non ha mai abbandonato le coste della Liguria di Ponente fra Savona ed Albissola, dove è stata avvistata e soccorsa. Il suo nome esatto è “modula” ma quella della Liguria è stata battezzata Samantha. La biologa ha potuto nuotare vicinissima all’animale e l’operazione di salvataggio è avvenuta in collaborazione con la Capitaneria di Porto di Savona

Allevatori di cozze del Tarantino (foto: http://salvatoreloleggio.blogspot.it).

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e di Genova. È bastato un semplice tronchese per tagliare i fili che le impedivano di spiegare le ali in tutta la loro ampiezza per un’operazione che è durata circa mezz’ora. La manta è un esemplare giovane, con un’apertura alare di oltre 2 metri (quelle adulte superato i 4) ed è inserita nelle specie a rischio, in modo da proteggere quelle che vivono nel Mediterraneo. Il pesce nel Mediterraneo Un altro problema è però affiorato nel corso dell’estate: secondo gli esperti il pesce italiano è diminuito nel Mediterraneo, facendo crescere i pericoli per i consumatori. «Se manca il nostro pescato, cosa arriverà sulle nostre tavole?», è la domanda che ci si pone oggi. Ci sono le flotte straniere che assicurano i rifornimenti, ma purtroppo da noi il “fermo pesca” è durato un tempo record (43 giorni) e le marinerie slovene, croate e albanesi, che non sempre osservano i periodi di fermo biologico, hanno rifornito i nostri mercati. Ora esiste l’obbligo dell’etichetta e sui banconi delle pescherie è possibile trovare le indicazioni obbligatorie sulla specie, le zone di cattura ed il prezzo di vendita, che nel cuore dell’estate è salito considerevolmente. Pescare nel rispetto del mare è un dovere di tutti e le tecniche hanno registrato progressi incredibili negli ultimi decenni: occorre però non “depredare” i mari italiani ed esteri.

La modula liberata in Liguria la scorsa estate. Con un’estensione alare di circa 2 metri, nuotava da tempo sotto costa tra Savona e Albisola tra bagnanti e pattini. Si tratta di un animale protetto ed è inserito nella red list della IUCN (foto di Laura Castellano, http://istitutotethys.blogspot.it). Risarcimenti FEP Nell’ultimo anno sono state mandate al macero 18.000 tonnellate di mitili, ma i risarcimenti FEP-Fondo Europeo per la Pesca non sono ancora arrivati (per la precisione i miticoltori dovrebbero ricevere 0,40 €/kg, ma finora nessun segnale è giunto dall’UE). In totale le cozze distrutte in due anni sono state 40.000 tonnellate ed alcuni pescatori sono emigrati all’estero (a Costanza, in Romania) ed hanno costituito una società di allevamento al 50% raggiungendo buoni risultati (200 tonnellate all’anno, ma entro il 2015 si dovrebbe arrivare a 1500).

La loro opinione è che il mercato internazionale sia ottimo, loro che per sopravvivere sono stati costretti ad “emigrare”. Pesca sportiva in Adriatico Ultimo grido di allarme: in Adriatico, come in altre zone, vanno deserte le competizioni di pesca sportiva. I pesci tenuti all’ingrasso in gabbie in mare ostacolano le manifestazioni agonistiche: per lo sport non c’è più spazio. La Federazione Italiana per la Pesca Sportiva è stata avvisata ma non è facile trovare una soluzione. Urgono provvedimenti urgenti. Gianni de’ Silva

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Tonno rosso: collaborare con i ricercatori scientifici L’ICCAT lancia un appello ai pescatori, sia professionisti che sportivi, per realizzare un importante programma di ricerca. Obiettivo: conoscere meglio una specie di punta, il tonno rosso dell’Atlantico Dal 2009 l’ICCAT1 coordina un vasto programma di ricerca riguardante il tonno rosso dell’Atlantico. Noto ai ricercatori scientifici con la sigla “GBYP”, questo programma ha come scopo il conoscere meglio la specie in modo da poterla gestire in maniera più razionale e sostenibile. Infatti, il tonno rosso presenta ancora molte zone d’ombra, soprattutto in relazione alle rotte migratorie, al comportamento riproduttivo, ai vivai, alla realtà dell’esistenza di due stock atlantici (orientale e occidentale), ecc… Il principale sponsor del

progetto GBYP è l’Unione Europea, ma esso riceve anche il sostegno finanziario di numerosi partner privati (in particolare le industrie del tonno, le tonnare, ecc…) e pubblici (istituzioni scientifiche, gli Stati Uniti e altre parti contraenti dell’ICCAT). Il progetto comprende osservazioni aeree, il recupero e l’analisi di dati relativi alle catture, ricerche biologiche e genetiche, lo sviluppo di nuovi metodi di valutazione e marcatura degli individui. È quest’ultimo punto del programma che qui ci interessa. Alla fine della stagione di pesca 2011,

il programma ha organizzato una prima serie di marcature convenzionali di tonni nel golfo di Biscaglia, nella zona dello stretto di Gibilterra e nel Mediterraneo. Sono stati così marcati circa 4.000 tonni. Lo scopo di tale marcatura non è solo conoscere i movimenti degli esemplari marcati, ma anche definire taluni parametri come il tasso di mortalità naturale. Sono utilizzati diversi tipi di marcature: marcature convenzionali, fissate sul dorso del pesce, e marcature elettroniche. Esistono due tipi di marcature

La pesca di un tonno.

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elettroniche: quelle che si staccano automaticamente e trasmettono i dati via satellite e quelle inserite nella cavità gastrointestinale del pesce, che devono essere recuperate perché i dati sono memorizzati nella memoria interna. Purtroppo questo recupero non è sempre facile. In linea di principio, quando il pesce viene catturato, le marcature devono essere restituite al promotore del programma di ricerca, in questo caso l’ICCAT, che ha sede a Madrid. Di solito, in questo tipo di ricerche, i pescatori sono collaborativi e disposti a rinviare le marcature che trovano. Tuttavia, non è sempre così per le ricerche riguardanti il tonno rosso. Una campagna di sensibilizzazione scientifica Per il programma di ricerca attualmente in corso, «la percentuale di restituzione è inferiore all’1% nel Mediterraneo e al 5% nella zona atlantica», spiega ANTONIO DI NATALE, coordinatore del programma in seno all’ICCAT. «I dati sono quindi di gran lunga insufficienti per trarre conclusioni scientifiche». Una probabile spiegazione per tale percentuale di restituzione inferiore al normale, sia da parte dei pescatori professionisti che dei pescatori sportivi, è il contesto piuttosto teso e sorvegliato di tale settore di pesca. L’ICCAT ha quindi deciso di adottare una serie di misure volte a migliorare tali percentuali di restituzione. In primo luogo, è stata lanciata una campagna di sensibilizzazione rivolta agli ambienti sia professionisti che ricreativi, per

Per incoraggiare i pescatori a restituire le marcature rinvenute sui tonni rossi catturati, l’ICCAT ha lanciato una campagna di sensibilizzazione in nove lingue, compresi l’arabo e il giapponese (foto: sportfishingmag.com). incoraggiarli a cooperare. In secondo luogo, viene garantita la riservatezza ai pescatori che restituiscono le marcature. Infine, è stato aumentato l’importo del risarcimento che viene loro versato. Per le marcature convenzionali, questo ammonta a 50 euro per ciascuna marcatura. Per le

The International Commission for the Conservation of AtlanticTunas is an inter-governmental fishery organization responsible for the conservation of tunas and tuna-like species in the Atlantic Ocean and its adjacent seas. ICCAT compiles fishery statistics from its members and from all entities fishing for these species in the Atlantic Ocean, coordinates research, including stock assessment, on behalf of its members, develops scientific-based management advice, provides a mechanism for Contracting Parties to agree on management measures, and produces relevant publications. Science underpins the management decisions made by ICCAT. Much of the information available on this site relates to scientific data, reports of scientific meetings and to scientific articles.

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marcature elettroniche, il premio è di 1.000 euro. Nella sua campagna, l’ICCAT invita quindi i pescatori a collaborare con i ricercatori scientifici. Lo scopo di questo programma è infatti quello di sfruttare al meglio questo stock di grande valore commerciale e ambientale. In definitiva, dovrebbero beneficiarne tutte le parti interessate in questo ambito della pesca (per informazioni: www. iccat.es/GBYP/en/index.htm). Note 1. La Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico (ICCAT) è l’organizzazione regionale di gestione della pesca che si occupa della pesca di tonni, pesci spada, aguglie imperiali, squali e relative catture accessorie nell’Atlantico e nel Mediterraneo.

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Consumi Buona crescita del mercato nazionale nel 2011

Il successo dei prodotti ittici surgelati di Roberto Villa

Nel 2011 il segmento dei prodotti ittici surgelati ha mostrato, nel canale delle vendite al dettaglio, andamenti differenti nei diversi comparti, facendo registrare, in ogni caso, risultati sostanzialmente positivi. La migliore prestazione è stata realizzata dal comparto del pesce intero naturale, cresciuto lo scorso anno del 5,9% rispetto al 2010; l’attuale contingenza di contenimento della spesa in generale, nonché di quella alimentare in particolare, ha naturalmente favorito scelte in tal senso. La praticità del pesce sfilettato e pronto all’uso, la percezione positiva di naturalità e la possibilità di personalizzazione in cucina sono indubbiamente i principali vantaggi del pescato al naturale, che può godere anche del beneplacito dei nutrizionisti, i quali consigliano un consumo almeno bisettimanale di pesce e privilegiano ricette semplici con un ampio profilo di genuinità e benessere. Ma determinate categorie di consumatori (soprattutto quelli delle grandi aree metropolitane) conservano una tendenza ad esplorare con convinzione le aree dell’innovazione, in particolare per quanto riguarda panati e pastellati (cresciuti lo scorso anno dell’1,6% rispetto al 2010), che possono essere preparati sia fritti che in forno. Questo progresso è da ricondurre in particolare — a fronte delle attuali contingenze economiche — alla necessità da parte dei consumatori di toccare con mano il valore del prodotto che acquistano ed apprezzarne contestualmente le caratteristiche di praticità (prodotti

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pronti al consumo, senza necessità di operazioni preliminari quali l’eviscerazione, la spellatura, la spinatura, ecc…). Inoltre, nell’ultimo periodo i principali produttori hanno lavorato molto sulla bontà e sugli aspetti nutrizionali sviluppando panature che garantiscono un’ottima croccantezza al forno senza aggiunta di oli da frittura. A tal proposito sarà bene ricordare il risultato estremamente positivo fatto registrare dal segmento dei bastoncini propriamente detti, che sono diventati il primo segmento per numero di famiglie acquirenti. I prodotti ricettati a base di pesce, da sempre una costante sulla tavola degli Italiani, hanno mostrato una certa sofferenza per gli stessi motivi

più sopra evidenziati: determinate referenze, proprio per le loro caratteristiche di ricettazione, possono apparire lievemente sbilanciate nel rapporto quantità/prezzo; in un momento di notevole attenzione a ciò che si porta in tavola, anche dal punto di vista del volume del piatto, un certo rallentamento di richiesta su questo versante appare quasi fisiologico. In ogni caso, sebbene il prezzo al consumo sia superiore a quello dei filetti al naturale o dei tranci, i ricettati a base pesce rappresentano una valida soluzione soprattutto per i target crescenti dei single e delle famiglie giovani, entrambi con minor cultura alimentare e poco tempo da dedicare alla cucina. Il 2011 si sarebbe potuto chiudere con risultati maggiormente positivi;

I consumi pro capite di surgelati in Italia si attestano intorno ai 15 kg, a fronte di un consumo medio europeo di circa 23 kg.

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tra i motivi che hanno rallentato la crescita del settore vi è, ad esempio, un fatto oggettivo e praticamente non modificabile: nei supermercati, i banchi del pesce fresco e del decongelato sono ubicati all’inizio del percorso d’acquisto, mentre l’incontro con l’ittico surgelato avviene solo alla fine: ciò è inevitabile. Oltre a ciò, va considerato il ridotto potere di acquisto del consumatore, che, unito alla necessità di portare il prodotto ittico in tavola, ha orientato le sue scelte sul fresco a basso costo e sul decongelato. Per stimolare maggiormente l’acquirente al consumo dell’ittico surgelato, è necessario evidenziarne i parametri qualitativi: esso viene pescato lontano dalle coste, in mari profondi e puliti; subito dopo la pesca, il prodotto è sottoposto a un trattamento di freddo profondo, sin dalle prime fasi di lavorazione. In più vi sono la mancanza di scarti, la praticità di un alimento già pronto per essere cucinato e la confezione, che di per sé garantisce l’assenza di contaminazioni dall’esterno. Il rigoroso rispetto della catena del freddo fa il resto. Infine la confezione che, oltre a riportare il marchio dell’azienda, comunica le caratteristiche, le valenze nutrizionali del prodotto contenuto, eventuali modalità di preparazione e la data di scadenza. Gli alimenti surgelati agli occhi degli italiani I consumi pro capite di surgelati in Italia si attestano intorno ai 15 kg, a fronte di un consumo medio europeo di circa 23 kg: tale dato indica l’esistenza di un discreto potenziale di crescita per il settore in ambito nazionale. Nel 2011 il settore dei surgelati ha sostanzialmente mantenuto le posizioni; questo importante segmento dell’alimentare ha, infatti, archiviato l’anno con una sostanziale parità a volume a livello di vendita al dettaglio (+1,0% nel settore catering). Gli alimenti sotto zero piacciono al 67% degli Italiani e spopolano addirittura tra i giovani, dove l’86% li consuma abitualmente, apprezzandone praticità e varietà. Ma il frozen

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Nelle famiglie con figli piccoli è molto più alto il consumo di alimenti gratificanti come pizze e snack, paste semilavorate o prodotti ittici pastellati. Esemplare il caso dei famosi “bastoncini” di pesce. food, che mostra le percentuali di gradimento più elevate al Nord (32% nel Nord-Ovest), piace molto anche ai single, che lo utilizzano in misura maggiore della media per entrambi i pasti principali (44%). L’apprezzamento mostrato dai consumatori italiani esemplifica alcune tendenze ormai consolidate: su tutti l’assoluta conoscenza dei vantaggi qualitativi e di servizio che tendono ad associarsi ad un ottimo percepito in termini di rapporto qualità/prezzo. Si tratta di tendenze strettamente correlate, che evidenziano il gradimento del consumatore per una serie di tecnologie sempre più d’avanguardia, in grado di preservare e rendere immediatamente disponibili gusti, fragranze e proprietà nutrizionali prossimi al prodotto fresco. I prodotti surgelati si ritagliano oggi uno spazio sempre più deciso sulle tavole dei nostri connazionali: i dati GFK-EURISKO certificano che nel 2011 ben 24 milioni di famiglie hanno acquistato almeno un prodotto al banco freezer. L’evoluzione del comparto si accompagna alla volontà delle aziende più rappresentative di puntare sul miglioramento continuo della qualità delle materie prime e sulla presentazione di nuove offerte a più alto, o diverso, contenuto nutrizionale.

Una ricerca, commissionata dall’Istituto Italiano Alimenti Surgelati (IIAS) all’Istituto Astarea, ha mostrato che la presenza dei surgelati sulle nostre tavole appare pressoché totale (92%) e trasversale, con le dovute distinzioni in relazione alla composizione della famiglia e alle variabili anagrafiche e culturali. Nelle famiglie con figli piccoli è molto più alto il consumo di alimenti gratificanti come pizze e snack, paste semilavorate, ma anche vegetali e carne bianca. Al contrario i meno giovani — per necessità o scelte salutistiche — fanno minor ricorso a patate fritte, pizze e snack, hamburger, carne impanata e optano per pesce e verdure, mentre le donne risultano forti utilizzatrici di vegetali semplici. L’incremento del consumo dei surgelati negli ultimi cinque anni riguarda soprattutto le categorie oggi più valorizzate dai nutrizionisti italiani e dai media per il loro aspetto salutistico come i vegetali e i prodotti ittici, con una forte propensione all’acquisto di referenze innovative oggi ancora non molto diffuse (prodotti pronti con ricette originali, solo da rinvenire nel forno a microonde), il che è indice della crescente familiarità verso la categoria e un forte interesse a sperimentare nuovi gusti. Gli alimenti surgelati guadagnano un riconoscimento molto positivo

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presso gli Italiani: il voto medio sui diversi elementi di valutazione è sensibilmente alto, sempre o quasi sopra il 3 di media (su scala massima 4). Ad essi si riconoscono un valore funzionale, la praticità, il servizio, e un valore più culturale, la sicurezza (intesa come igiene e controllo). Se pure con un consenso meno esteso ma comunque rilevante, al surgelato viene riconosciuto un altro vantaggio tipico degli stili di vita contemporanei: la riduzione degli sprechi di prodotto. Seguono due componenti di carattere più gastronomico: la gustosità e la varietà. Al medesimo livello di consenso si riconosce la capacità informativa comunicata dalle confezioni. La ricerca ha inoltre analizzato il rapporto tra gli Italiani e l’alimentazione in generale. Agli intervistati sono state sottoposte 15 specifiche domande attinenti alle tendenze alimentari, le quali hanno consentito di dividere la popolazione in quattro diversi segmenti, di cui sono state analizzate le risposte riguardo al consumo e le opinioni nei confronti degli alimenti surgelati; in tal modo sono state così evidenziate le attitudini rispetto agli alimenti surgelati, in relazione ai diversi stili alimentari. I pragmatici risparmiosi (31,3% della popolazione) vivono l’alimentazione in chiave più nutrizionale che gastronomica. Persone di età media, risiedono in ampia misura nei capoluoghi e nei grandi centri urbani. Rappresentano la tipica famiglia italiana media. Molto orientati al risparmio negli acquisti, amano i prodotti pronti all’uso, non disdegnano la buona cucina e usano molto internet per le informazioni sull’alimentazione. Dichiarano un’altissima frequenza di consumo dei surgelati, privilegiando i vegetali, le patate fritte, gli hamburger; fanno registrare un tasso di incremento del consumo dei surgelati negli ultimi cinque anni particolarmente rilevante. I frugalisti smart (24,5%), di gusti essenziali e qualificati, sono i veri militanti dell’alimentazione “sostenibile” e risultano poco inclini alle componenti ludiche della gastro-

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Al prodotto surgelato viene riconosciuto un vantaggio tipico degli stili di vita contemporanei ovvero la riduzione degli sprechi di prodotto. nomia. Maggiore la rappresentanza delle donne rispetto agli uomini, degli adulti rispetto ai più giovani, ma in pari misura sia laureati sia di scolarizzazione medio-bassa. Esprimono una forte cultura ambientalista e del biologico, una predilezione per i negozi di quartiere, una forte valorizzazione delle marche “trasparenti” e un deciso orientamento verso le diete salutiste e vegetariane. Anch’essi si rivelano buoni consumatori di prodotti surgelati, se pure con un atteggiamento più selettivo dei pragmatici risparmiosi: non amano patate fritte e hamburger, di conseguenza incrementano il consumo di vegetali surgelati. I basici disimpegnati (22,9%), buone forchette senza troppe pretese, con gusti alimentari poco sofisticati, vengono guidati nelle scelte soprattutto da istanze di semplificazione. Più uomini che donne, più giovani che adulti, prediligono i piatti pronti e cercano di risparmiare il più possibile, con un forte interesse al cibo anche a scapito di

diete e controllo nutrizionale. Leggermente sotto media nel consumo dei surgelati, soprattutto del pesce e di prodotti da “cucina” come la pasta sfoglia, dimostrano anche un trend di consumo inferiore agli altri, così come una minore valorizzazione culturale dei surgelati. I gourmand contemporanei (21,3%) amano molto la gastronomia, anche a dispetto delle istanze salutiste. Soprattutto giovani e adulti dai 25 ai 44 anni, adorano cucinare personalmente, sono aperti alla sperimentazione di nuovi prodotti e ricette, fortemente orientati alla ricercatezza e alla qualità dei prodotti. Quanto ai surgelati, evitano accuratamente i prodotti fast food tipo pizze e patate fritte, ma anche quelli preparati. Esprimono un tasso di incremento del consumo più basso degli altri ed anche un atteggiamento culturale un po’ meno favorevole alla categoria nel suo complesso, così come all’offerta dei surgelati nelle mense. Roberto Villa

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Commercializzazione

Novità in arrivo dalla sesta versione di BRC e IFS BRC e IFS sono tra le principali certificazioni richieste dalla GDO. Numerosi retailer le richiedono a garanzia del prodotto proposto in private label. Ma queste certificazioni, oltre ad essere una forma di tutela per la GDO, rappresentano un vantaggio commerciale e gestionale per chi le ottiene di Sebastiano Corona

Gli addetti ai lavori che hanno rapporti commerciali con la Grande Distribuzione Organizzata conoscono bene l’esigenza di quest’ultima di ottenere garanzie sui prodotti venduti a marchio. Le private label stanno infatti registrando continui incrementi in valore e in volumi e la stessa GDO si qualifica sempre di più come un’azienda di marca. I principali nomi della distribuzione alimentare si vedono quindi costretti a tutelarsi, poiché mettono nome e “faccia” su cibi realizzati da altri. Per questa ragione la GDO spinge i propri fornitori verso standard di sicurezza alimentare che garantiscano la rispondenza a requisiti specifici, oltre che alle norme cogenti. Tra le certificazioni maggiormente richieste dalla GDO, che si possono applicare a tutte le imprese che lavorano e trasformano prodotti alimentari, vi sono la British Retail Consortium (BRC) e l’International Food Standard (IFS). Quest’ultima, con prima edizione nel 2000, ha mostrato subito incrementi annuali a due cifre nel numero di concessioni e nel 2009 vantava quasi 15.000 siti certificati nel mondo, con una presenza in particolare in Gran Bretagna, Italia, Olanda, Stati Uniti, Spagna e Cina e in tutti i settori alimentari. Alcuni retailer che oggi supportano BRC e IFS sono Auchan, Coop, Metro, Carrefour, Tesco,

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Spar e Sainsbury’s, solo per fare alcuni nomi. BRC e IFS sono diventate un requisito essenziale per la fornitura di alcuni nomi della DO e della GDO, in più garantiscono all’azienda un processo di miglioramento continuo nella propria gestione interna che le rende ancora più interessanti. Oltre a questo, sono strumenti di trasparenza nei confronti dei clienti e offrono la possibilità reale

di accedere a nuovi mercati. L’elenco dei vantaggi è lungo e comprende la diminuzione delle ispezioni da parte dei clienti, una più elevata sicurezza alimentare, una maggiore economicità dei tempi di lavoro e la riduzione dei costi di produzione con l’ottimizzazione dei processi. Questi standard possono inoltre contribuire al miglioramento dei rapporti tra la direzione e lo staff, ma soprattutto potenziano l’immagine

Banco del pesce da Sainsbury’s. BRC e IFS sono diventate un requisito essenziale per la fornitura di alcuni nomi della DO e della GDO. Questi standard, inoltre, sono un ottimo biglietto da visita nei confronti del mercato internazionale.

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Novità BRC e IFS Tra le maggiori novità introdotte dalla sesta versione dello standard BRC si rilevano: • una maggiore enfasi sulle buone pratiche di fabbricazione, soprattutto in riferimento a igiene, pulizia e allergeni; • l’introduzione di un nuovo schema di audit con la possibilità di dedicare molto più tempo all’ispezione delle operazioni di lavoro anche intervistando direttamente il personale; • la regola secondo la quale i prodotti e i processi realizzati all’interno del sito ispezionato non possono più essere esclusi dalla certificazione; • la revisione e la semplificazione di alcuni requisiti per migliorarne l’uniformità di valutazione e ottenere maggiore chiarezza dello standard; • l’aggiunta di requisiti su nuovi argomenti come allergeni e corpi estranei; • la possibilità di audit non annunciato con conseguente livello di certificazione più elevato. Tra le maggiori novità della sesta versione dello standard IFS si ricordano, invece: • un nuovo sistema di punteggio per identificare le aziende che hanno raggiunto migliori risultati; • regole più precise per determinare la durata di audit (impiego di uno strumento pragmatico di calcolo che fornirà la durata minima di audit degli enti di certificazione); • l’approvazione degli auditor per prodotto e scopi tecnologici, al fine di migliorare le esperienze degli auditor soprattutto sui prodotti e sui processi; • l’inclusione di maggiori requisiti di qualità (es. analisi nutrizionali, più requisiti sul controllo peso, più requisiti sulla qualità/quantità di informazioni ritrovabili sull’etichettatura, ecc…); • lo sviluppo di linee guida esecutive basate sull’analisi dei rischio e tenendo conto della legislazione di ogni Paese di destinazione dell’alimento per ciò che concerne il food defence.

aziendale e sono un ottimo biglietto da visita nei confronti del mercato internazionale. Sia la BRC sia la IFS sono state soggette negli anni a diverse revisioni. Si è giunti oggi alla sesta versione, sviluppata con pieno e attivo coinvolgimento degli enti di certificazione, dei distributori, delle industrie della trasformazione e dei fornitori di servizi alimentari di tutto il mondo e sono entrambe di recentissima applicazione, dal primo gennaio 2012 per la BRC e dal primo luglio per la IFS. Negli anni sono state eliminate ripetizioni di requisiti e allo

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stesso tempo ne sono stati introdotti di nuovi e imprescindibili. Si è dato un peso sempre maggiore alle disposizioni in materia di allergeni, così come agli OGM, al packaging e alla gestione dei richiami del prodotto. Oggi, anche a seguito dei cambiamenti citati, i due standard si allineano tra di loro per innumerevoli aspetti e questo facilita la possibilità di audit congiunti e di acquisire così entrambe le certificazioni, abbattendo in maniera significativa i costi delle consulenze. Sebastiano Corona


Etichettatura: sempre meglio informare i consumatori Nel quadro della riforma della Politica Comune della Pesca la Commissione ha proposto al Parlamento europeo e agli Stati Membri numerosi miglioramenti per rispondere alla duplice sfida di soddisfare sia le esigenze del consumatore che del produttore La legislazione in materia di informazione dei consumatori è un ambito che subisce trasformazioni molto rapidamente, tenendo conto dei progressi tecnologici e della scienza, ma anche in funzione delle aspettative o delle esigenze dei consumatori stessi. Per rispondervi e promuovere lo sviluppo dei migliori comportamenti possibili, le norme in questo campo

si evolvono ad un ritmo costante. Nell’ottobre del 2011 è stato adottato nell’Unione Europea un nuovo Regolamento relativo all’etichettatura degli alimenti1. Tale regolamento stabilisce le disposizioni riguardanti numerosi ambiti: le informazioni nutrizionali, gli allergeni, il formato delle informazioni, l’origine dei prodotti, quelli decongelati, quelli

venduti sfusi, ecc… Tuttavia, queste disposizioni generali non si adattano sempre nel modo più appropriato alle particolarità dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura. Non esiste, infatti, nessun altro settore di produzione alimentare che trae una parte così consistente delle sue risorse dall’ambiente naturale e in cui l’origine geografica dei prodotti si

Attualmente, gli obblighi di etichettatura di pesci, molluschi e crostacei riguardano solo i prodotti freschi e congelati. La volontà della Commissione è di istituire una base comune obbligatoria per tutti gli alimenti contenenti prodotti della pesca e dell’acquacoltura. 58

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Se ti senti come un pesce fuor d'acqua nel mare dei finanziamenti agevolati A FONDO PERDUTO UNIONE EUROPEA NAZIONALI REGIONALI

RIVOLGITI A NOI

Per noi parlano i fatti chiedetolo a loro: Impianto di maricoltura. Questa forma di allevamento è praticata soprattutto in zone riparate vicino alla costa, ma dovrebbe essere possibile allontanarsene utilizzando tecniche più sofisticate. estende a una buona metà del globo terrestre. La Commissione europea ha quindi voluto approfittare della riforma della Politica Comune della Pesca (PCP) per applicare queste particolarità a nuove norme di etichettatura. Si è parlato molto della riforma, per i cambiamenti che porterà nella gestione delle attività di pesca. Ma occorre sapere che la Commissione ha anche proposto nuove disposizioni relative all’organizzazione comune dei mercati (OCM). È in questo contesto che sono state proposte nuove norme sull’informazione ai consumatori sui prodotti della pesca e dell’acquacoltura, sia in termini di etichettatura obbligatoria sia di dichiarazioni volontarie. L’etichettatura obbligatoria: più precisa e comprensibile Attualmente, gli obblighi di etichettatura di pesci, molluschi e crostacei riguardano solo i prodotti freschi e congelati e richiedono i seguenti elementi: nome commerciale, tipo di produzione (acquacoltura o pesca) e provenienza geografica. Tali obblighi sono mantenuti, ma dovrebbero riguardare in futuro tutti i prodotti della pesca e dell’acquacoltura, a prescindere dalla loro presentazione, includendo

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quindi anche i prodotti in scatola e trasformati. La volontà della Commissione è di istituire una base comune obbligatoria per tutti gli alimenti contenenti prodotti della pesca e dell’acquacoltura. In termini di indicazioni geografiche, la menzione obbligatoria resterebbe invariata rispetto alle norme vigenti: il Paese di produzione per i prodotti dell’acquacoltura e la zona FAO per i prodotti della pesca, ossia per questi ultimi grandi aree geografiche, per esempio, Atlantico Nord-orientale o Mediterraneo. Tuttavia, se lo desiderano, gli operatori o i distributori possono essere più precisi circa l’origine dei loro prodotti, ma con la dovuta attenzione all’uso di indicazioni di provenienza con cui i consumatori sono generalmente familiari. Ciò potrebbe anche presentare benefici commerciali associati alla prossimità. Per evitare le derive di fantasia in materia, la Commissione propone che queste indicazioni geografiche più precise utilizzino la nomenclatura definita dalla FAO, per esempio: Canale della Manica, Mare del Nord, Mar Baltico, Mediterraneo, Mare d’Irlanda, Golfo di Biscaglia. Questa è la base comune. Altre disposizioni obbligatorie si applicheranno solo ai prodotti freschi o

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ai prodotti che sono stati, per esempio, congelati o affumicati. Per questi prodotti, la Commissione propone che l’etichetta indichi in più la data di cattura per le specie selvatiche o la data di raccolta per i prodotti dell’acquacoltura. Questo permetterà di distinguere i prodotti molto freschi. Oggi un prodotto può essere venduto come fresco anche se è stato decongelato. La Commissione intende garantire che il consumatore ne sia pienamente informato, in modo che possa fare una scelta consapevole, offrendogli la possibilità di privilegiare il pesce fresco di provenienza locale. Dichiarazioni supplementari: facoltative, ma rigorose In termini di informazioni volontarie, la Commissione ricorda il principio valido per l’etichettatura di tutti gli alimenti: qualsiasi informazione fornita al consumatore deve essere comprovata, verificabile e controllabile. Per i prodotti della pesca, queste dichiarazioni sono sempre più diffuse, soprattutto nell’ambito della certificazione “pesca sostenibile”, ma anche per quanto riguarda le tecniche, le pratiche o le condizioni sociali di produzione. Riconoscendo la necessità di evitare una “sovra-regolamentazione”, ma desiderosa di poter adottare le

Disposizioni obbligatorie si applicheranno solo ai prodotti freschi o ai prodotti che sono stati, per esempio, congelati o affumicati. Per questi prodotti, la Commissione propone che l’etichetta indichi la data di cattura per le specie selvatiche o la data di raccolta per i prodotti dell’acquacoltura. Questo permetterà di distinguere i prodotti molto freschi. misure necessarie entro un termine ragionevole, la Commissione raccomanda che le sia data facoltà, se del caso, di fissare criteri minimi da rispettare. Questo approccio mira a garantire che le indicazioni fornite siano accurate, trasparenti e non discriminatorie, e consentano ai consumatori di fare scelte più consapevoli.

Sviluppi dell’etichettatura elettronica L’etichettatura elettronica è una tendenza attualmente in pieno sviluppo, che può applicarsi in special modo ai prodotti della pesca in Europa in quanto recenti decisioni in materia di controllo impongono la tracciabilità dalla nave (o dall’azienda) al piatto. Questa tecnica di informazione volontaria al consumatore è inoltre strettamente collegata agli sviluppi delle tecnologie dell’informazione. Essa parte dall’idea che ogni pesce, mollusco o crostaceo ha una storia interessante da raccontare sulla sua origine, la sua biologia, la cattura, la conservazione, il percorso e così via, ma questa storia è troppo lunga per stare su un’etichetta. Per contro, può essere raccontata su Internet, senza limiti di spazio o di dettagli. Un produttore può invitare direttamente il consumatore che ha acquistato il suo pesce a inserire un codice o a eseguire la scansione del codice a barre con lo smartphone e scoprire dove è stato catturato, come, da chi, quando, in quali circostanze, ecc… L’etichettatura elettronica è un modo originale e interessante per mettere i dati di tracciabilità a disposizione del consumatore. Questa prassi di trasparenza si inserisce inoltre nelle nuove tendenze in materia di consumo, e non solo dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura: sapere che cosa si acquista e cosa è successo in tutte le fasi precedenti il consumo.

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Ad esempio, per l’etichettatura di “pesca sostenibile”, l’Unione europea non creerebbe un sistema di etichettatura proprio, ma, se necessario, e sapendo che le linee guida della FAO sono il riferimento per il marchio di qualità ecologica, potrebbe fissare criteri al di sotto dei quali gli operatori non potrebbero dichiarare che il pesce è stato pescato in modo sostenibile. Questo sistema avrà il pregio di garantire una maggiore certezza giuridica, ma anche di essere operativo. L’obiettivo è quello di evitare le truffe sulla merce. Considerato che i prodotti certificati “pesca sostenibile” attirano le simpatie dei consumatori e si assicurano in tal modo il successo sul mercato, è tanto più necessario che questo successo sia meritato e verificabile. Fonte: PESCA E ACQUACOLTURA IN EUROPA, n. 56/2012 Direzione Generale degli Affari Marittimi e della Pesca della Commissione europea Nota 1. Regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori.

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Segnalazione della presenza del calamaro diamante (Thysanoteuthis rhombus) nella costa nord-occidentale della Sardegna Rilievi morfometrici e problematiche relative alla sua commercializzazione di Domenico Meloni, Francesca Piras, Sonia Lamon, Simonetta Gianna Consolati, Anna Mureddu e Rina Mazzette

Introduzione Negli ultimi anni si sono stabilite nel Mar Mediterraneo molte specie animali e vegetali di origine tropicale e atlantica. Questo fenomeno è riportato nell’articolo 8 della “Convenzione Mondiale di Rio de Janeiro sull’Ambiente e la Biodiversità” e rientra a pieno titolo nelle forme di inquinamento biologico (CERRANO et al., 1999). L’insediamento e la riproduzione di queste specie alloctone sono anche una conseguenza dei fenomeni di riscaldamento del pianeta (global warming) e già da qualche tempo si parla di “tropicalizzazione” o “meridionalizzazione” del Mar Mediterraneo. Sono oltre 300 le specie alloctone marine nel Mediterraneo: alcune provengono dall’area indo-pacifica e penetrano nelle acque mediterranee attraverso il Canale di Suez mentre altre, di origine atlantica, attraversano lo Stretto di Gibilterra (MANZONI e TEPEDINO, 2008). Le specie alloctone provenienti da aree tropicali o subtropicali, spesso dominanti e in grado di soppiantare le specie autoctone preesistenti nell’area mediterranea, possono competere per la conquista del cibo e del territorio alterando gli equilibri naturali con una conse-

62

guente riduzione della biodiversità (CERRANO et al., 1999). Le specie alloctone provenienti dal Mar Rosso sono una cinquantina: di queste una quarantina è aumentata in termini di biomassa (quantità di pesci per ogni singola specie) e dieci sono diventate d’interesse commerciale. Dal Mar Rosso sono arrivate due nuove specie di triglia tropicale (Upeneus moluccensis e Upeneus asymmetricus) che si sono stabilizzate nel Mar Libico, la cernia indo-pacifica (Epinephelus malabaricus) e il barracuda indopacifico (Sphyraena obtusata e Sphyraena flavicauda). Inoltre, sempre negli ultimi anni, si è verificata attraverso lo stretto di Gibilterra anche una massiccia immigrazione nel Mediterraneo di specie tropicali (circa trenta) provenienti dalle coste africane dell’Oceano Atlantico (MANZONI e TEPEDINO, 2008). Sono frequenti le catture di pesci tropicali come il pesce istrice (Diodon hystrix), il pesce luna (Mola mola), il pesce palla (Sphoeroides cutaneus), il capolepre (Lagocephalus lagocephalus), la ricciola fasciata (Seriola fasciata) e la ricciola limone (Seriola rivoliana). Oltre all’immigrazione delle specie alloctone tropicali, stiamo

assistendo anche ad un vero e proprio fenomeno riguardante il cambiamento nella distribuzione della fauna ittica, riconducibile, probabilmente, alle mutazioni climatiche (CERRANO et al., 1999). È quello che va sotto il nome di meridionalizzazione dei mari settentrionali, e per questo nel Mar Mediterraneo si sta verificando una forte espansione delle specie ittiche tipiche del bacino meridionale (coste nordafricane) che stanno spostando verso nord il proprio areale distributivo. Il calamaro diamante (Thysanoteuthis rhombus, T RO SCHEL, 1857), unica specie appartenente al genere Thysanoteuthis e alla famiglia Thysanoteuthidae (MANZONI, 2010), non è più considerata una specie alloctona del Mediterraneo: si tratta di un abitante epipelagico delle calde acque tropicali e subtropicali degli oceani del mondo, presente nel bacino orientale del Mar Mediterraneo e nel Mar Adriatico, seppur molto raro (MANZONI, 2010). La prima segnalazione della presenza di calamaro diamante nel Mar Mediterraneo è stata eseguita da TROSCHEL nel 1857 nello Stretto di Messina. In seguito sono state segnalate altre catture di esemplari adulti nelle stesse acque (JEREB e RAGONESE, 1994;

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GIORDANO et al., 1998). La presenza di esemplari adulti è stata segnalata sporadicamente nei pressi dell’isola di Minorca (MORALES, 1980), nel Mar Egeo (VARDALA-THEODOROU et al., 1991), al largo delle coste della Tunisia (EZZEDDINE-NAJAI, 1996) e, recentemente, nella parte orientale del nord Adriatico (MARČIĆ et al., 2008). La presenza di masse di uova planctoniche (GUERRA et al., 2002) ed esemplari giovani (ISSEL, 1920; BERDAR e CAVALLARO, 1975; SALMAN et al., 2003) è stata ripetutamente segnalata nel Mar Mediterraneo. Le popolazioni più abbondanti di calamaro diamante sono state segnalate nelle acque del Giappone (NISHIMURA, 1966), dove si trovano le principali zone di pesca ed ha un notevole interesse economico (MANZONI): ogni anno ne vengono catturate in media circa 4.900 t (BOWER e MIYAHARA, 2005). Nei mercati ittici europei questa specie è presente sporadicamente, commercializzata fresca o congelata (MANZONI, 2010). Attualmente il calamaro diamante (Thysanoteuthis

rhombus) non è incluso nella lista ufficiale delle specie ittiche di interesse commerciale elaborato dal Ministero italiano delle Politiche Agricole e Forestali (DM 31-01-2008 e s.m.i.) e questo aspetto pone alcune difficoltà di interpretazione in relazione ad una sua eventuale commerciabilità nei mercati ittici del nostro paese. In un precedente studio (MAGGIANI, 1995) è stata descritta la segnalazione di due esemplari di calamaro diamante nella costa sud-orientale della Sardegna. La presente nota riporta la segnalazione di questa specie nel settore nord-occidentale del Mar Mediterraneo, nelle acque della Sardegna, e intende fornire un contributo pratico alla conoscenza riguardo all’areale distributivo del calamaro diamante e al superamento delle difficoltà interpretative legate ad una sua eventuale commerciabilità. Materiali e metodi Un esemplare maschio adulto di calamaro diamante (Thysanoteuthis rhombus, TROSCHEL, 1857) è stato ri-

trovato sulla principale spiaggia della città di Bosa, costa nord-occidentale della Sardegna (40°18'N/8°30'E) nel giugno 2012. Il cefalopode è stato portato presso una locale rivendita di prodotti della pesca, dove è stato eseguito il riconoscimento e si sono registrate le caratteristiche morfometriche. La specie è stata identificata mediante le chiavi di identificazione tassonomica della FAO relative ai cefalopodi (FAO, 1984) e secondo quanto descritto da MANZONI (2010). Risultati I caratteri distintivi dell’esemplare ritrovato sulla costa nord-occidentale della Sardegna erano rappresentati da un corpo spesso dalla forma marcatamente rastremata nella parte posteriore, dal colore del mantello bruno-rossastro, dalla presenza di pinne laterali romboidali estese per tutta l’intera lunghezza del mantello e da braccia relativamente brevi con una membrana protettiva molto ben sviluppata. L’esemplare presentava una lunghezza totale di 1.240 mm,

L’esemplare di Thysanoteuthis rhombus in esposizione sul banco di una rivendita di prodotti della pesca: il cartello riporta correttamente che il prodotto non è in vendita.

IL PESCE, 5/12

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mentre il mantello presentava una lunghezza totale di 650 mm. Il calamaro diamante può raggiungere un peso di circa 20 kg (FAO, 1984): l’esemplare ritrovato sulla costa nord-occidentale della Sardegna presentava un peso di circa 15 kg. Il sesso dell’esemplare è stato determinato attraverso l’esame delle gonadi nella cavità del mantello. I testicoli presentavano una forma ovale allungata, suggerendo che con buona probabilità, l’esemplare si presentava sessualmente maturo. Discussione Questa è la prima segnalazione della presenza del calamaro diamante (Thysanoteuthis rhombus) nella costa nord-occidentale della Sardegna. Recentemente MARČIĆ et al. (2008) hanno descritto la presenza di un singolo esemplare maschio di Thysanoteuthis rhombus nella parte orientale del nord Adriatico, a 15 metri al largo dell’isola di Otocic Dolfin (44°41'N/14°41'E, Croazia), in un settore molto più a nord del Mar Mediterraneo. La presente nota conferma che questa specie sta ampliando verso nord-ovest il proprio areale distributivo, come peraltro evidenziato da altri autori in precedenti studi (MORALES, 1980). Nel corso degli ultimi dieci anni il numero di specie ittiche “termofile” catturate nei settori centrale e settentrionale del Mediterraneo è in costante aumento con la conseguenza che diverse specie, piuttosto rare o molto rare fino ad ora, sono ora più abbondanti, mentre altre sono di nuova e più recente segnalazione. La segnalazione della presenza del calamaro diamante nel settore nord-occidentale del Mar Mediterraneo potrebbe essere messa in relazione con il fatto che Thysanoteuthis rhombus è un nuotatore relativamente lento (NISHIMURA, 1966) e il campione ritrovato sulle spiagge della città di Bosa (40°18'N/8°30'E, Sardegna nord occidentale, provincia di Oristano) potrebbe essere stato introdotto nel Mar Mediterraneo dalle correnti durante l’ingresso delle acque del Mar Rosso attraverso il canale di Suez. In considerazione del fatto che i riscontri della specie

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nel Mar Mediterraneo sono sempre più frequenti, una sua eventuale presenza nei mercati ittici italiani, al pari di quanto accade, seppur sporadicamente, in altri paesi europei, non si può escludere a priori nel breve-medio periodo. Sebbene il calamaro diamante (Thysanoteuthis rhombus) non sia incluso nella lista ufficiale delle specie ittiche d’interesse commerciale (DM 31-01-2008 e s.m.i.), le difficoltà di interpretazione in relazione ad una sua eventuale commerciabilità potrebbero essere superate, come già avviene ad esempio nella regione Veneto: uno specifico gruppo di lavoro coordinato dal Servizio Regionale di Sanità Animale e Igiene Alimentare redige, su base quadrimestrale, un elenco provvisorio dei nomi in italiano e latino di specie ittiche di interesse commerciale commercializzate a livello regionale e lo comunica al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali per essere successivamente accettato a livello nazionale (www. regione.veneto.it). Domenico Meloni Francesca Piras Sonia Lamon Simonetta Gianna Consolati Anna Mureddu Rina Mazzette Dip. di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Sassari Nota Gli autori desiderano ringraziare GIUSEPPE URGU per la collaborazione e per aver concesso la pubblicazione della fotografia e il dott. PIERLUIGI PIRAS per il costante stimolo e il supporto allo studio della sistematica ittica e della biodiversità marina. Bibliografia BERDAR A., CAVALLARO G. (1975), Ulteriore contributo alla conoscenza dei cefalopodi spiaggiati lungo la costa siciliana dell Stretto di Messina, Memorie di Biologia Marina e di Oceanografia, 5, 121-138. BOWER J.R., MIYAHARA K. (2005), The diamond squid (Thysanoteuthis rhombus): a review of the fishery and recent research in Japan, Fisheries Research, 1-11.

CERRANO C., PONTI M., SILVESTRI S. (1999), Guida alla biologia marina del Mediterraneo, Ricerche Design Editrice (MI), 320 pp. EZZEDDINE-NAJAI S. (1996), On the presence of a new species of cephalopod Thysanoteuthis rhombus Troschel, 1857 on the north and south coasts of Tunisia, in “IV International Symposium Cephalopods – Present and Past” (ed. F. Oloriz F & F.J. RodriguesTovar), p. 64, Granada, Spain. FAO (1984), Fisheries Synopsis No. 125, FAO Species Catalogue Vol. 3, “Cephalopods of The World: an Annotated and Illustrated Catalogue of Species of Interest to Fisheries Prepared” by Roper, C.F.E., Sweeney M.J. and Nauen C.E., Roma, 1984. GIORDANO D., PERDICHIZZI F., GRECO S. (1998), About a couple of Thysanoteuthis rhombus (Cephalopoda, Tysanoteuthidae) found in the Strait of Messina (Sicily), Rapports et Commission Internationale pour L’Exploration Scientifique de la Mer Méditerranée, p. 35. GUERRA A., GONZALEZ A.F., ROCHA F.J., SAGARMINAGA R., CANADAS A. (2002), Planktonic egg masses of the diamondshaped squid Thysanoteuthis rhombus in the eastern Atlantic and the Mediterranean Sea, Journal of Plankton Research, 24, 333-338. www.regione.veneto.it ISSEL R. (1920), Primo contributo alla conoscenza dello sviluppo dei cefalopodi mediterranei, Regio Comitato Talassografico Italiano, Memoria, 73, 1-19. JEREB P., RAGONESE S. (1994), Su due grandi esemplari di Thysanoteuthis rhombus (Cephalopoda, Thysanoteuthidae), catturati a Mazara dei Vallo (Canale di Sicilia, Mediterraneo centrale), Biologia Marina, suppl. al Notiziario S.I.B.M., 1:289-290. MAGGIANI F. (2005), Ritrovamento di due esemplari di Thysanoteuthis rhombus, spiaggia di Santo Stefano (Villasimius, CA). MANZONI P., TEPEDINO V. (2008), Grande enciclopedia illustrata dei crostacei, dei pesci, Ed. Euro-

IL PESCE, 5/12


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LEGGETE IL CODICE QR

fishmarket, Castel Maggiore (BO). MANZONI P. (2010), Grande enciclopedia illustrata dei crostacei, dei molluschi e dei ricci di mare, Ed. Eurofishmarket, Castel Maggiore (BO). MANGOLD K., BOLETZKY S.V. (1988), Mediterranean cephalopod fauna, in “Palaeontology and Neontology of Cephalopods” (ed. M.R. Clarke and E.R. Trueman), pp. 315-330, London: Academic Press. M ARČIĆ Z., Ć ALETA M., B UJ I., MRAKOVČIĆ M., MUSTAFIĆ M., ZANELLA D., DULČIĆ J. (2008), First record of Thysanoteuthis rhombus (Cephalopoda, Thysanoteuthidae) in the Adriatic Sea, JMBA2, Biodiversity Records, 1-3. MORALES E. (1980), Presencia de Thysanoteuthis rhombus Troschel, en el puerto de Mahon (Menorca), Investigación Pesquera, 45, 17-20. NIGMATULLIN C.M., ARKHIPKIN, A.I., SABIROV R.M. (1995), Age, growth and reproductive biology of diamond-shaped squid Thysanoteuthis rhombus (Oegopsida, Thysanoteuthidae), Marine Ecology Progress Series, 124, 73-87. NIGMATULLIN C.M., ARKHIPKIN A.I. (1998), A review of the biology of the diamondback squid, Thysanoteuthis rhombus (Oegopsida, Thysanoteuthidae), pp. 155-181, in “Contributed papers to International symposium on large pelagic squids” (ed. T. Okutani), Tokyo, Japan Marine Fishery Resources Research Center. NISHIMURA S. (1966), Notes on the occurrence and biology of the oceanic squid, Thysanoteuthis rhombus Troschel, in Japan, Publication of the Seto Marine Biological Laboratory, 14, 327-349. SALMAN A., KATAGAN T., AVNI BENLI H. (2003), Vertical distribution and abundance of juvenile cephalopods in the Aegean Sea, Scientia Marina, 67, 167-176. VARDALA-THEODOROU E., GIAMAS P., DIMITROPOULOS A. (1991), A short notice on the occurrence of a pair of Thysanoteuthis rhombus Troschel, 1857 in southern Euboic Gulf, Bollettino Malacologico, 27, 25-34.


Pesci “extracomunitari” Un’indagine condotta in alcune macellerie cosiddette “islamiche” evidenzia la necessità di maggiori controlli da parte degli organi competenti di Agostino Carli e Lorenzo Martinello

Negli ultimi anni si è assistito ad una crescita vertiginosa del numero di macellerie cosiddette “islamiche”. Molti di questi negozi, oltre a commercializzare normalmente carni e spezie, vendono anche prodotti ittici congelati/surgelati in confezioni originali, spesso in quantità assai rilevanti rispetto alle dimensioni dei punti vendita e a quanto ci si potrebbe aspettare. Scopo di questo lavoro è stato pertanto il rilevamento delle tipologie di prodotti ittici venduti, la verifica della conformità delle rispettive denominazioni commerciali, oltre che dell’origine e provenienza. A tale proposito sono stati ispezionati, nella città di Bolzano, complessivamente 7 esercizi di vendita controllando in totale 84 prodotti ittici. Sono state rilevate 54 diverse specie, il maggior numero delle quali d’acqua dolce (64%), sia pescate che

allevate. L’origine più frequente è risultato essere il Bangladesh (43%), paese di appartenenza comune a molti gestori dei negozi ispezionati, seguito dalla Cina, mentre la provenienza di regola è documentata da importatori con sede in Italia o in altri paesi europei. La denominazione di specie (nomenclatura italiana e latina) è risultata corretta — ovvero corrispondente a quella prescritta dal Decreto del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali — in 28 casi, mentre era assente o illeggibile (alternativamente la versione italiana o quella latina), in altri 10; nei rimanenti 46 prodotti ittici ispezionati, essa risultava incompleta o semplicemente imprecisa nella traduzione; in alcuni casi, infine, la denominazione in uso nella lingua del Paese d’origine compariva accanto

alle altre. I risultati sono riassunti nella Tabella 1 e nei Grafici 1 e 2. Contrariamente alle carni vendute negli stessi esercizi, i prodotti ittici vengono acquistati quasi esclusivamente da clienti “extracomunitari”, sia a causa della tradizionale abitudine, da parte dei clienti italiani, di consumare prevalentemente pesci di mare possibilmente freschi, sia probabilmente per una scarsa visibilità — in questa tipologia di negozi — dei prodotti ittici venduti, essendo essi conservati in surgelatori a banco chiusi, situati spesso nel retrobottega, e quindi non “esposti” per la vendita. Le condizioni igieniche di conservazione dei prodotti esaminati sono risultate sempre rispettate per quanto riguarda le temperature, mentre sono risultate a volte carenti le modalità di confezionamento (sono

Pesce imperatore surgelato.

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IL PESCE, 5/12


Tabella 1 – Elenco dei prodotti ittici N.

Denominazione latina in etichetta

Denominazione italiana in etichetta

Origine dichiarata in etichetta

1

Glossogoius giuris

Ghiozzo indopacifico

Bangladesh

2

Ababas testudineus

Pesce rampicante

Tailandia

3

Hilsa ilisha

Alosa di fiume indiana

Myanmar (Birmania)

4

Mystus tengra

Siluro asiatico

Bangladesh

5

Eutropiichthus vacha

Pesce gatto

Bangladesh

6

Mugil parsia (Ham)

Carpa

Bangladesh

7

Macrobrachium rosenbergii

Gamero blu

Bangladesh

8

Clarias hatrachus

Pesce gatto

Bangladesh

9

Neotropius acutirostris

Batasi

Myanmar

10

Corica suborna

Papalina asiatico

Bangladesh

11

Heteropneustes fossilis

Pesce gatto asiatico

Bangladesh

12

Puntius titius

Barbo Asiatico Minuto

Bangladesh

13

G. fasciatus, G. giuris, P. ticto, ecc‌

Ghiojjo indopacifico, Barbo asiatico minuto

Bangladesh

14

Amblypharyngodon mola

Carpa panpiuta

Myanmar (Birmania)

15

Labeo rohita

Labeo

Myanmar (Birmania)

16

Pangasius sutchi

Pangasio

Thailand

17

Macrobrachium rosenbergii

non riportato

Thailand

18

Wallago attu

Siluro asiatico

Bangladesh

19

Pama Pama

Pesce pama asiatico

Bangladesh

20

Hisha Hisha

Alosa di Fiume

Myanmar (Birmania)

21

Wallago attu

Pesce gatto asiatico

Myanmar (Birmania)

22

Pangasius sutchi

Pangasio

Thailand

23

Harpadon nehereui

Harpadon Nehereu

Bangladesh

24

Macrobrachium styliferus

Gamerettini

Bangladesh

25

Corica soborna

Papalina asiatico

Bangladesh

26

Mastacembelus armatus

Grongo asiatico

Bangladesh

27

Harpadon Nehereui

Harpadon Nehereu

Bangladesh

28

Macrobrachium rosenbergii

Gamero blu

Thailandia

29

Macrobrachium rosenbergii

non riportato

Thailandia

30

Labeo rohita

Labeo

Myanmar

31

Clarias macrocephalus

Pesce gatto asiatico

Thailand

32

Metapeanos monoceros

Gamberetti di acqua dolce

Bangladesh

33

Oreochromis niloticus

Tilapia/Tilapia

Thailand

34

Hilsha ilisha

Alosa indiana di fiume

Bangladesh

35

Dentex dentex

Dentici

FAO n. 34

36

Hilsha ilisha

Alosa di Fiume

Myanmar (Birmania)

37

Labeo rohita

Labeo

Myanmar (Birmania)

38

illegg.

Pesce persico

Bangladesh

39

Puntius sarana

Piccolo carpa

Bangladesh

40

illegg.

Code di mazzancolle tropicale

Ecuador

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67


41

Portunus pelagicus

Granchio granchio

non riportato

42

Scylla serrata

Pezzi di granchio crudo indopacifico

Madagascar

43

Lepidopus caudatus

Pesce sciabola

India

44

Pseudoscianea polyactis

Corvina secca salata

Cina

45

Pseudoscianea polyactis

Corvina di mare

Cina

46

Harpadon nereus

Pesce dragon

Cina

47

Sardina pilchardus

non riportato

Cina

48

Sepia esculenta

Seppie secche

non riportato

49

Pseudoscianea polyactis

Corvina congelata

Cina

50

Metapeneus affinis

Gamberi indopacifici

India

51

Coilia Nasus Lacepede

Pesce topo pelagico

India

52

Miichtys miiuy

Corvina secca salata

Cina

53

Coilia Nasus Lacepede

Pesce topo pelagico

Cina

54

Argyrosomus argentatus

Tiraglino

Cina

55

Litopenaeus vannamei

Gamberetti di acqua dolce

India

56

Sepia esculenta

Seppia indopacifica

non riportato

57

Lophius piscatorius

Rana pescatrice orientale

Cina

58

Thunnus obesus

non riportato

Ecuador

59

Scarus spp.

non riportato

Vietnam

60

Acetes Chinesis Hansen

Gamberetti secchi

Cina

61

Oncorhynchus keta

non riportato

USA

62

Penaeus monodon

Gambero gigante indopacifico

Indonesia

63

Lepidopus caudatus

Pesce sciabola

India

64

Metapenaeus ensis

Gamberi essiccati

Thailand

65

Loligo spp

Calamari secchi

Thailand

66

illegg.

Sgombro cotto a vapore congelato

Thailand

67

Penaeus vannamei

Mazzancolla tropicale

Vietnam

68

Channa striatus

Ghiozzone asiatico

Bangladesh

69

Notopterus notopterus

Pesce stella

Bangladesh

70

Lates calcarifer

Pesce barramudi

Bangladesh

71

Pama Pama

Pesce umbrina

Bangladesh

72

Alia coila

Siluro asiatico minuto

Bangladesh

73

Neotropius acutirostris

Batasi

Myanmar (Birmania)

74

Oxygaster phulo

Pesce alneon dello scure

Bangladesh

75

Lates calcarifer

Barramundi

Bangladesh

76

Pomadasys hasta

Pesce imperatore

Myanmar (Birmania)

77

Channa striata

Testa serpente striato

Myanmar (Birmania)

78

Nandus nandus

Nando asiatico provv. Parca asiatico

Bangladesh

79

Amblypharyngodon mola

Carpa panciuta

Bangladesh

80

Heteropneustes fossilis

Pesce gatto asiatico

Bangladesh

81

Heteropneustes fossilis

Pesce gatto asiatico

Myanmar (Birmania)

82

Mystus aor

Tipo pesce gatto

Bangladesh

83

Sperata seenghata

Pesce gatto di fiume

Bangladesh

84

Pampus argenteus

Fleto argenteo

Bangladesh

68

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Grafico 1 – Origine per zona di cattura FAO 34 1%

FAO 51 5%

FAO 87 1%

FAO 71 2%

acqua dolce 64%

FAO 61 15%

FAO 57 12%

Grafico 2 – Origine per paese Vietnam 2,47%

Altri (Madagascar, Ecuador, USA, Indonesia) 4,94%

India 4,94% Thailandia 13,58%

Bangladesh 43,21%

Birmania 14,81% Cina 16,05%

state riscontrate alcune confezioni non perfettamente chiuse, apparentemente già all’origine). I volumi di vendita stimati sulla base dei documenti di trasporto visionati, e secondo le stesse dichiarazioni degli esercenti, confermano le importanti dimensioni di questo commercio (oltre 5 quintali al mese in alcuni negozi) e assumono particolare rilievo soprattutto se considerati sotto il profilo della scarsa consapevolezza che si ha in generale

IL PESCE, 5/12

di questo fenomeno. Pur essendo stata sempre dimostrabile l’origine del prodotto da stabilimenti autorizzati, nondimeno si ritiene opportuna una maggiore sensibilizzazione degli organi di controllo rispetto a questa specifica realtà. Dott. Agostino Carli Medico veterinario AS Alto Adige Dott. Lorenzo Martinello Tecnico prevenzione AS Alto Adige


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la catena di pizzerie Rossopomodoro, e che ricorda il mare, nell’uso di materiali semplici e naturali come il legno grezzo, la pietra ruvida, il

marmo e il metallo, e nei richiami costanti agli elementi marini che caratterizzano tutto l’ambiente. Volte di mattoni rossi ad accogliere sirene

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Gli interni del locale Anema & Cozze a Milano. Arredamento e materiali, sapientemente abbinati, richiamano un’atmosfera marittima.

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L’antico e originale vascone di pietra grezza all’interno del locale con il pescato fresco di giornata. dai corpi di rame, come polene sulla prua di una nave. Dalle vetrate di via Palermo si accede alla zona del banco bar, con cantina climatizzata per i vini, a fare da apripista al resto dell’ambiente. Colori chiari e qualche tocco di grigio, mattoni recuperati dall’architettura originale dipinta di bianco, ad accogliere il logo di Anema & Cozze: il sole e il mare con i suoi pesci, all’insegna del motto anglonapoletano“Sea & Pizza”. Le luci soffuse si riflettono nelle scenografiche tubature di rame del riscaldamento che attraversano le volte del soffitto, dando un tocco ancora più “navale” al tutto.

La pizzeria e il ristorante sono le due anime del locale. La pizza fa capolino dalla bocca del forno sovrastato da un enorme e scenografico polpo. Le cozze e i prodotti del mare escono invece dalla cucina a vista, che ripropone i piatti classici della tradizione partenopea. Nel vascone di pietra grezza, antico e originale, vicino alla cucina, la storia del mare nostrum, con il pescato fresco di giornata che si può vedere e scegliere. Si può decidere se mangiare sugli sgabelli del banco sul fronte alla vetrata cucina, oppure alle sedute del ristorante. Oppure ancora sulle panchine bianche, a ridosso delle vetrate esterne, immaginando di

Costa Group Srl Via Valgraveglia Zai 19020 Riccò del Golfo (SP) Telefono: 0187 769309/08 Web: www.costagroup.net

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essere sul ponte di una nave da crociera. Il culto del mare sta anche sul legno sbiancato utilizzato per i piani dei tavoli, che ricordano il legname usato per i gozzi, su cui è impresso il logo di Anema & Cozze. Scendendo le scale, una sala più intima, con vecchie foto in bianco e nero appese al muro e lampade con corde e conchiglie, per gli ultimi clienti che vogliono un po’ di intimità in più. Nota A pagina 70 l’ingresso di Anema & Cozze su via Palermo a Milano. Studio, progettazione e realizzazione arredi Costa Group, architetto Massimiliano Faggioni.

Anema & Cozze Via Palermo 15 20121 Milano Telefono e fax: 02 86461646 Web: www.anemaecozze.com

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Lobster Place: non solo aragoste

Tra una galleria d’arte e l’altra c’è la cornice giusta pure per il pesce Fondato nel 1974, ma da pochi anni nella nuova sede all’interno del Chelsea market, propone piatti da asporto o da consumare sugli sgabelli del locale. Assortita la sezione dedicata al sushi, immancabili le proposte di aragosta di Fabio Butturi

“Tra la Nona e la Decima strada”, basterebbe scrivere questo attacco per dire tutto. Perché quello che fu lo stabilimento degli Oreo, cavallo di battaglia della NABISCO (National Biscuit Company), si rivela ora una finestra sulla Manhattan più “bio” che c’è. Perché New York è anche questo, passeggiare per gallerie d’arte nel celeberrimo quartiere di Chelsea e imbattersi in un “casermone” dall’aspetto gentile e imponente, con porta automatica e il cartello in ferro battuto, Chelsea Market. Interamente sviluppato al piano terra, questo multi-emporio dell’alimentare conteggia 38 esercizi gastronomici e affini all’insegna della pienezza del gusto, del NO ad additivi chimici e farmacologici, del rispetto del ciclo biologico dell’animale al pascolo, della filiera corta, insomma un megastore dello slow food. E non poteva mancare il pesce, che occupa la generosa superficie che si sviluppa da un’ansa del corridoio con tanto di dehors e prende il nome di Lobster Place. Un nome che non suscita clamore, l’Oceano è laggiù, in fondo, e il Maine, il più nordorientale degli stati della confederazione, si trova lì su, poco più in alto. Questa è una storia che comincia proprio dalle coste frastagliate del Maine, nel 1974, dall’intuizione di Rod e John MacGregor, che costruirono all’epoca un contenitore di compensato dove custodire

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le aragoste per trasportarle nella Grande Mela. Ed è dalle incursioni col pickup a Portland, non quella più celebre dell’Oregon ma l’omonima del Maine, che ebbe inizio il Lobster Place, il cui insediamento originario si trovava nel Manhattan Upper West Side, e i fratelli di Rod gestivano invece un ristorante nella Columbus Avenue. Trentacinque anni dopo il Lobster Place cambia marcia e si trasferisce nello scenario ben più à la page del Chelsea Market, dove

allarga lo spettro a qualsiasi pesce si muova nell’Oceano e diventa qualcosa di diverso da un semplice spaccio di aragoste e gamberoni, occupando circa 100 addetti tra il Bronx e Chelsea, con un braccio “all’ingrosso” che esegue 200 consegne giornaliere di sushi (non poteva essere altrimenti sul suolo americano), zuppa di pesce e qualsiasi altra specie ittica commestibile reperibile sulle rive atlantiche. Sushi a volontà: si sa che la comunità giapponese in California ha fatto

L’ingresso del Lobster Place all’interno del Chelsea Market.

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Aragoste al Lobster Place. proseliti e non solo (basti pensare al copy right del California roll). Gli States, insomma, hanno adottato il sushi nella routine alimentare. Le porzioni sono, come prassi nella patria del gigantismo, over size, si ragiona dai 12 pezzi in su con prezzi che si aggirano generalmente nella forbice 8-10 dollari. Nei frigoriferi furoreggia il sushi di tonno e avocado (delizioso, a giudizio del mio palato); tonno che imperversa in mille interpretazioni, come il Tekka don, sashimi servito con insalata di alghe, oltre alle combinazioni di crostacei con avocado e cetriolo che spadroneggiano tra gli ingredienti principe, la solita plurima declinazione dell’alga nori e le note piccanti tipo wasabi o, ancora, la tempura. Sono tre le pagine riservate al sushi, suddiviso in appetizers, chef specials, sushi platters, inside-out rolls, seaweed-wrapped rolls, hand rolls, sashimi, nigiri e la concessione al vegetarian.

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Eppure non manca il pesce fresco esibito sui banconi in varie pezzature e specie, come il salmone affumicato, oppure semplicemente sfilettato e sponsorizzato per il contenuto di Omega-3, alla pari del merluzzo e, forse non ve lo aspettereste a queste latitudini, del pesce azzurro. O ancora branzini, trote e pesce gatto, orate, e ancora l’halibut e l’esotico mahi-mahi, nome di origine hawaiana e conosciuto con un’infinità di nickname, in Italia noto come lampuga o corifena cavallina (Coryphaena hippurus), un pesce pelagico che vive nelle acque del Pacifico o dei Caraibi mediamente 4-5 anni, con un peso che oscilla dai 7 ai 13 kg. Dalle sembianze vagamente preistoriche, è abbastanza inusuale sulle nostre tavole. Tornando alla East Coast, appoggiati ordinatamente nelle cassette, il dentice atlantico, la tilapia, dal basso contenuto di grassi, e l’immancabile, a qualsiasi latitudine, pesce spada. I gamberetti sono invece proposti in

una fascia di prezzo che oscilla tra gli 11 e i 24 dollari al chilo, a seconda si tratti di gamberetti freschi, bianchi o della cosiddetta variante Maya. Capitolo a parte meritano i “toponimi”, quelle aragoste che danno appunto il nome al locale e vengono proposte smembrate e condite in insalata, oppure armate delle semplici chele, in un brodetto comprensivo della coda, piuttosto che genuinamente esposte nella bianca carne fragrante. Restando sull’argomento chele, sono tre le declinazioni dei granchi: il granchio del Maine, simile al Dungeness del Pacifico (il Cancer magister, una varietà dal carapace che può raggiungere i 25 cm di larghezza), il Jonah (Cancer borealis), dalla polpa candida e morbidissima, oppure la confezione di chele, da spolpare magari con l’apposita pinza. Una porzione da 8 sul web la si porta a casa con 18 dollari. Non mancano certamente i molluschi, dalle cozze alle vongole,

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Da Lobster si può trovare un’ampia scelta di prodotti: sushi di tonno, pesce fresco esibito sui banconi in varie pezzature e specie, salmone affumicato o sfilettato, merluzzo, pesce azzurro, pesce spada, crostacei e molluschi. come le pregiate Prince Edwards, le capesante e le ostriche della costa occidentale. Chiude il menu il capitolo riguardo agli affumicati. A proposito di menu, quello che abbiamo trovato sui tavoli, dal momento che al Lobster Place si mangia anche sul posto, sugli sgabelli come sui pochi tavolini nel corridoio del Chelsea Market, non ha proprio nulla da invidiare a un ristorante. A partire dai piatti caldi alle zuppe, come la versione con le vongole del New England, a base di latte e panna, oltre a cipolle e pancetta, e quella dedicata a Manhattan, che sostituisce il pomodoro al latte, o quella cremosa con l’aragosta, o ancora la zuppa con i gamberi piccanti e i fagioli neri, o le capesante col bacon. L’elenco sarebbe enciclopedico, allora basti sapere che alla voce “cocktail” non bisogna attendersi Black russian o Cuba libre, ma piatti di salmone norvegese, gamberetti, granchi

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o pesce fresco a scelta “mixato” con mostarde o salse fresche, mentre Shack in the back sandwiches dà sfogo alla creatività dei cuochi, con fantasie come la Smoked salmon baguette, protagonista il salmone affumicato alla vodka aromatizzata all’aneto, capperi, scalogno, crema di formaggio con patatine tagliate sul momento e cotte al forno, o il Carried tuna, con il tonno pinna gialla impreziosito da maionese, cipolle rosse, coriandolo e uvetta dorata, servito con erba medica e pomodoro su toast di segale. Variante al sandwich sono le wraps, traducibili con sfogliatine (ma in realtà wrap è qualsiasi cosa si presenti in forma arrotolata), in sei declinazioni. Le insalate vanno dalla economica Garden salad, che ignora il pesce e a 6,5 dollari offre cetriolo, carote, avocado, cipolle rosse, olive Kalamata e semi di girasole tostati, a un ventaglio che nella forbice tra 7,95

e 10,50 dollari spazia dal salmone scozzese grigliato accompagnato al cuscus mediterraneo, all’insalata thai, all’omaggio alla cucina italiana, con la Tuscan albacore salad, con tonno e aceto balsamico, tra gli altri. Chiudono, e decisamente in bellezza, i vassoi che rimandano ai prezzi di mercato, in base al contenuto di ostriche o aragoste, o richiedono un esborso da 75 o 125 dollari, per più porzioni, che contengono un assortimento di aragoste, gamberetti, salmone, granchi o wraps, condite in modo stravagante e proposte in numero variabile, fino a ventiquattro pezzi. Fabio Butturi The Lobster Place Chelsea Market 75 Ninth Avenue New York, NY 10011 Telefono: 212 255 5672 Web: www.lobsterplace.com

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Pesce d’acqua dolce

La Trota: nuova dignità alla cucina “fluviale” Una scelta coraggiosa quella di Sandro e Maurizio: nel loro locale in provincia di Rieti i fratelli Serva preparano accurati piatti a base di pesce d’acqua dolce, restituendo dignità ad una cucina in Italia ormai estinta di Riccardo Lagorio

Ci stai subito bene. Sandro e Maurizio Serva sono fratelli disponibili, trascinanti per disposizione, non comuni per simpatia. Hanno pensato (bene) di dare dignità alla cucina d’acqua dolce, anzi fluviale, che in Italia è in pratica estinta. Scelta coraggiosa perché il pesce d’acqua dolce non è di moda. «Continua a portarsi dentro l’idea di essere

un pesce che viene mangiato da chi non può permettersi quello di mare, come ne fosse parente povero; e poi lo si continua a ritenere un pesce grasso, associandolo all’anguilla e ai fondali limacciosi in cui solo raramente si muove. Il pesce d’acqua dolce, invece, è magrissimo» asserisce dopo sagge deduzioni Maurizio Serva.

Solida creatura che assicura un ristoro appagante e confortante, la villetta fagocitata dalla quiete e dall’esuberante natura garantisce una soavità bucolica che si coniuga con una cucina di grande finezza e maestria, improntata ad un abile utilizzo delle materie prime disponibili e caratterizzata da un assennato impiego delle spezie.

Zuppa di tinca con capelli d’angelo. Pesce e pasta verranno poi annegati in abbondate brodo versato da una brocca direttamente nel piatto. IL PESCE, 5/12

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Lucioperca cotto sulla pelle e in pasta kataifi con gocce d’acciuga e olive nere. La casa dà sulle sorgenti del rio dedicato a Santa Susanna e ciò la rende luogo ancor più unico. È qui che negli anni Sessanta i genitori di Sandro e Maurizio grigliavano i pesci e i crostacei del fiume in un ambiente rustico e senza pretese, impreziosito dalla vergine bellezza del paesaggio. Poi il passaggio di consegne e nelle mani della nuova generazione la semplice trattoria diventa con il tempo un ristorante fine e raffinato; le pietanze si ingentiliscono, le presentazioni si trasformano in garbate e signorili ma rimane intonso il rapporto ed il rispetto per le materie prime della propria infanzia. La sala da pranzo assurge, ancor di più, a luogo familiare di sorrisi e attenzioni da parte di personale rodato e qualificato. Ne vengono esaltati i piatti già magici, sorretti da un’ampia e approfondita carta dei vini. Dopo invitanti amuse-bouches, tra cui la trota marinata in zucchero e sale, i piatti, esaltanti tutti, che meritano citazione. La carpa in crosta di semi di papavero con maionese di rape rosse e insalatina di campo è cromaticamente elettrizzante, espressionista, un perfetto continuo rimando di forme e colori che si plasmano e s’inseguono prima

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che il gusto prenda il sopravvento: la complementarietà tra sapore lievemente acidulo della maionese di rape rosse e l’ingenua terrosità del filetto di carpa sono eccellente prova di alta cucina, tenerezza e croccantezza di carpa e semi di papavero ne sono la riprova. Monumentale è la zuppa di tinca con capelli d’angelo, quando scenograficamente il succulento brodo versato da ricca brocca annega la pasta, come pure di alta scuola è il filetto di trota su spremuta di erbe aromatiche all’aceto di Champagne. Nessuno dei piatti si può interpretare come semplice cibo: ciascuna preparazione è una forma armonica dello spazio. Come la sagoma bianca e cilindrica del filetto, che si erge sulla parte verde e la trascina in alto e allo stesso tempo tripartisce il piatto, laddove l’aceto non è elemento decorativo come tristemente spesso accade, ma essenziale al piatto stesso. Insomma: ciò che per altri potrebbe essere insignificante e decorativo è nella cucina dei Serva necessario e imprescindibile per l’esistenza della cucina stessa. Il loro lucioperca cotto sulla pelle e in pasta kataifi con gocce di acciuga e olive nere fa da migliore esempio. Necessarie per movimentare il piatto

al cospetto degli occhi, le puntinature color crema e marrone di acciuga e olive nere, ben lungi dall’essere meri decori, raccontano come il pesce può trovare completezza di sé e vigore nel delicato gusto che ciascun punto rilascia. Il cromatismo è elemento necessario per assaporare l’incantevole pasta di gamberi di torrente, strigoli, gamberi, latte di cocco e liquirizia: un insieme di soavità che con garbo si intessono intorno ai crostacei. Paradigmatica, infine, dell’arte di saper dosare colore e sapore, l’anguilla laccata al miele, terrina di finocchio e alga nori con pesto di basilico e pistacchi: i singoli fattori sono parte di un tutto che si esalta nell’unicità di toni e sapidità. Maestoso il carrello dei formaggi. Memorabile la carta dei dessert. Ci stai davvero bene: una delle tappe obbligate per i gourmet in centro Italia. Riccardo Lagorio Ristorante La Trota Via Santa Susanna 33 02010 Rivodutri (RI) Telefono: 0746 685078 E-mail: info@latrota.com Web: www.latrota.com

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Mercati

Zuppa di pinne di squalo, l’interesse del mercato mondiale di Aldo Schiavo

NOTA QUARTA Introduzione In tre precedenti Note riguardanti lo stesso argomento sono stati trattati i complessi problemi che interessano la sopravvivenza degli squali nelle varie aree continentali. Ciò in ragione della loro cattura esasperata, che viene fatta allo scopo di utilizzarne soprattutto le pinne perché incomparabilmente rendono, dal punto di vista economico, molto di più di tutto il resto della carcassa.

Sono stati pure esaminati gli aspetti legati all’utilizzazione delle pinne quale fondamentale ingrediente per la preparazione della rinomata zuppa, nonché taluni rapporti tra gli aspetti della maturità sessuale e la presenza dei giovani pescecani nelle acque. Sono state infine presentate, oltre alle modalità di preparazione della zuppa, le caratteristiche principali di determinate

specie di squali in rapporto sia al loro utilizzo più in generale, sia alla rispettiva pericolosità di attacchi all’uomo1, 2, 3. Mercati asiatici e internazionali interessati alle pinne L’impiego delle pinne di squalo nella cucina cinese ha radici plurisecolari e rappresenta, ancora oggi, una specialità molto ricercata. Il fatto che al ristorante una porzione di

Diverse specie di squali. L’impiego delle pinne di squalo nella cucina cinese ha radici plurisecolari e rappresenta, ancora oggi, una specialità molto ricercata (foto di Shawn Heinrichs; www.pewenvironment.org).

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Ad oggi il 90% circa delle pinne di squalo viene utilizzato dai Cinesi, ma il consumo è notevole anche in Taiwan, a Singapore e in Giappone (foto: Shawn Heinrichs; www.pewenvironment.org). zuppa in qualità possa costare ben oltre cento euro (e il suo equivalente ovunque) deriva in parte anche dalla diminuita disponibilità del prodotto di base. Difficoltà derivano dai crescenti divieti messi in atto dalle autorità governative di diverse aree del pianeta — sia pure, a tutt’oggi, con insoddisfacenti risultati — che cercano di contrastare una vera e propria estinzione, soprattutto delle specie che forniscono pinne molto ricercate. È il caso del pesce sega, considerato in via di estinzione proprio perché possiede pinne apprezzatissime, valutate tra le più pregiate in assoluto4. Nonostante in molti Paesi siano dunque da tempo in vigore divieti di spinnamento o di importazione delle pinne, il commercio di questo prodotto continua a sussistere. Uno dei modi per aggirare la legislazione consiste, per esempio, nell’accettare prenotazioni in salottini riservati dei ristoranti o degli alberghi senza far figurare nei menu la costosa zuppa.

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Altri sostengono che i procacciatori di pinne vengano favoriti da controlli insufficienti. In ogni caso, ancora oggi il 90% circa delle pinne di squalo viene utilizzato dai Cinesi, ma il consumo è notevole anche in Taiwan, a Singapore e in Giappone. Va aggiunto, infine, che la zuppa in oggetto viene servita nei ristoranti cinesi di tutto il mondo7, 8. Altri prodotti di interesse commerciale Da sempre lo squalo fornisce all’uomo molti altri prodotti che, sia pure in modo diverso e in vari settori, si sono rivelati utili. Carne Il prodotto alimentare più usato dall’uomo è senz’altro rappresentato dalla carne fresca — salata, conservata in salamoia o affumicata — e da quella refrigerata o congelata. Per quanto riguarda i paesi europei, l’Italia è uno dei maggiori consumatori di carne sia fresca

che variamente lavorata. Nei nostri mercati le specie di squali più presenti sono: palombo, smeriglio o vitello di mare, gattuccio e nocciolo. Fra quelli che nuotano nelle nostre acque vanno citati: il toro, il volpe, il bianco, il gattopardo, il galeo o canesca, il ramato, il pinnacorta, il grigio, l’orlato, il latteo, la verdesca, il martello comune, il notidano cinereo, grigio e occhiogrosso e, infine, il ronco spinoso o echinorino. Nelle altre aree, comprese quelle esotiche, dove solitamente abbonda la pesca dello squalo, la carne viene opportunamente lavorata per prevalenti fini di esportazione. Per esempio, nelle Azzorre, arcipelago di origine vulcanica situato nel cuore dell’Oceano Atlantico, la carne di squalo viene utilizzata in luogo del classico merluzzo essiccato e conservato sotto sale per produrre il famoso bacalhau, il baccalà. Nel Regno Unito, da tempo viene prodotto e commercializzato tra i giovani il cosiddetto fish and chips, a base di carne di squalo

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convinzione di ritenere benefica la zuppa di pinne anche per prevenire le sofferenze da malattie reumatiche. Denti I denti dello squalo trovano impiego persino in gioielleria, oltre a essere ritenuti efficaci amuleti capaci di proteggere da vari pericoli o malanni, come il mal di denti o la paura in generale.

Lo spinnamento praticato anche a terra (foto: Shawn Heinrichs, www. pewenvironment.org). fritta e di patatine. Più in generale, c’è da osservare che, mentre molti attribuiscono alla carne di squalo un basso valore nutrizionale, altri la ritengono ricca di calcio e di ferro, con un contenuto in proteine di grande qualità9. Cute La cute dello squalo macellato può essere usata come “carta abrasiva”; in particolare, quella dello squalo smeriglio, grazie ai suoi dentelli, può essere usata in ebanisteria per levigare e rifinire oggetti artigianali di legno. In alternativa è possibile sciogliere chimicamente i dentelli e trasformare la pelle in un buon cuoio per produrre scarpe, borse, cinturini e tappetini. Fegato Dal fegato si ricava un ottimo olio ricco di vitamina A, ma il procedimento è costoso e conviene di più ricorrere all’industria farmaceutica. Sembra che questo organo, opportunamente manipolato, abbia qualche rapporto benefico con la diminuzione del colesterolo. Squame e suoi derivati Da questi tessuti si possono ottenere prodotti farmaceutici e cosmetici per

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rassodare o nutrire la pelle e per uso cicatrizzante. Sangue Questo liquido organico viene molto utilizzato nel settore della patologia cardiovascolare per le sue proprietà anticoagulanti, quindi con efficacia simil-eparina. Cornee Le cornee degli occhi di questo animale non si gonfiano di acqua e perciò resistono ad eventuali mutamenti osmotici, anche nel senso del precoce prosciugamento, se poste in varie soluzioni saline. In pratica vengono sperimentate in medicina oculistica, con buoni esiti, in luogo delle cornee ricavabili dall’uomo. Carcasse La carcassa, nel suo insieme, viene spesso utilizzata come concime dopo essiccamento e triturazione in farina. Cartilagine Da questi stessi tessuti si può ottenere un prodotto (la cosiddetta condroitina) che viene utilizzato favorevolmente sia sulle ferite da calore, bruciature, scottature o altre alterazioni della pelle, sia in qualità di integratore nell’uomo colpito da artrosi. Da qui probabilmente la

Consumo dei prodotti ricavati dallo squalo ed eventuali ripercussioni sulla salute del consumatore abituale Coloro che abitualmente consumano prodotti ricavati dallo squalo sono soggetti ai pericoli che derivano dall’accumulo di mercurio (Hg), contenuto in particolare nel fegato. Ma lo squalo non è il solo animale marino che può dare problemi di questo genere: infatti, il pericolo per la salute umana deriva anche dall’alimentazione protratta di qualsiasi pesce di specie bentonica, che vive a contatto con il fondo, sia esso fisso o mobile. Sta di fatto che lo squalo è un tipico predatore che può vivere, a seconda della specie, fino a quarant’anni e oltre, quindi accumula certamente nelle proprie carni mercurio nella sua forma metilata, e ciò per bioamplificazione (detta anche biomagnificazione). Da questo punto di vista presentano analoghi inconvenienti — anche se ridotti — altri animali marini di grosse dimensioni quali, per esempio, il pesce spada e il tonno. Da alcuni decenni, infatti, ci sono segnali di pericolo anche nel Mediterraneo, ove il metilmercurio proviene sia dagli scarichi industriali sversati nei vari fiumi, sia, a seconda delle zone, dal metano dei giacimenti di gas naturale. Detto questo, il problema non va sicuramente sottovalutato nello squalo, ove vi è la certezza di accumulo di mercurio e di altre sostanze nocive per l’organismo umano, a livelli tossici più o meno elevati. Recenti ricerche hanno confermato che l’accertato tasso di Hg contenuto nelle carni dello squalo10, e quindi anche negli stessi ingredienti

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della zuppa realizzata con le sue pinne, può essere causa di sterilità nel consumatore abituale4. Ricordiamo che il mercurio è fortemente tossico: già usato dai Greci e dai Romani come unguento e cosmetico, nell’antica Cina — secondo immotivate credenze locali — venne subito elevato a “prolungatore” della vita, “curatore” delle fratture e custode della buona salute. Così il primo imperatore cinese sarebbe impazzito e poi morto proprio per abuso di mercurio, che invece avrebbe dovuto garantirgli la vita eterna. Il nostro Paese, negli anni Cinquanta, è stato tra i primi produttori di mercurio con le miniere del monte Amiata ed è giusto precisare che, se dal punto di vista della salute umana il suo assorbimento cutaneo è trascurabile, lo stesso non si può dire per i suoi sali, facilmente assorbibili attraverso la catena alimentare. Tracce di mercurio sono state trovate nei fondali adiacenti ai grossi impianti petrolchimici. La contaminazione è dovuta alle acque di scarico derivanti dalle vecchie celle al mercurio del processo clorosoda. Oltre agli effetti della manipolazione di antisettici, vernici, cere per pavimenti, lucidanti per mobili, ammorbidenti e dell’utilizzazione dei filtri per condizionatori d’aria11, la fonte principale di assunzione di questo elemento chimico è data dal cibo. Il metilmercurio renderebbe l’organismo incapace di provvedere alla disintossicazione di metalli pesanti che si accumulerebbero, così, nell’organismo, con effetto neuro tossico; inoltre, verrebbe compromessa, nei casi di abuso, anche l’attività di alcuni enzimi con origine — nei casi gravi — di scompensi metabolici, con atassia, insonnia, parestesie, restringimento del campo visivo, disartria e ipoacusia. Il mercurio si trova raramente come metallo nativo, più spesso nel cinabro (metallo di colore rosso appartenente al gruppo dei solfuri) e in altri minerali. L’intensificazione della caccia Le cartilagini che si estraggono dalle pinne di squalo sono state addi-

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rittura prospettate come sostanza potenzialmente valida per la cura antitumorale4, 5. Taluni studi avrebbero infatti attribuito allo squalo un apparato immunologico particolare che gli consentirebbe di contrarre tumori molto raramente7. La pubblicazione, nel 1992, di un libro dal titolo significativo, Sharks don’t get cancer, riattivò in un sol colpo la pesca mirata e la conseguente pratica dello spinnamento. Sembra che l’iniziativa fosse stata promossa, data la scarsa disponibilità sul mercato di pesci di grande interesse commerciale (fra cui tonni e pesci spada), con l’intenzione di attirare l’interesse verso gli squali fino ad allora, in qualche modo, sottovalutati o trascurati dal commercio. Nel 2004, però, furono pubblicati i risultati di uno studio sugli squali nel quale venivano descritte 24 forme tumorali, oltre alle 16 riscontrate nelle razze e alle 2 nelle chimere, per un totale di 42 forme, benigne e maligne, tra cui melanomi e fibromi cutanei, tumori tiroidei, linfomi, adenocarcinomi, neuroblastomi, condromi o tumori della cartilagine e osteomi (questi ultimi sono tumori dei tessuti mesenchimatici che si originano dagli osteoblasti)12. In conclusione, pur ammettendo che si tratta di osservazioni quantitativamente insufficienti perché sono rimaste fuori dallo studio veterinario diverse specie, non è giustificato sostenere posizioni pressoché assolutistiche. D’altra parte lo squalo rimane normalmente esposto all’assorbimento di eventuali sostanze cancerogene diluite nell’acqua. La stessa sorte tocca alle specie che più frequentemente prediligono le coste a ridosso delle quali si accumulano i cancerogeni insolubili che via via confluiscono nei sedimenti sversati, eventualmente con dolo, nei fiumi o nel mare. La ventilata capacità, maggiore o più efficiente, di metabolizzare le sostanze cancerogene attraverso meccanismi del proprio DNA non può garantire che ciò si verifichi automaticamente per una specie o

per altre, in dipendenza anche della possibile diversa distanza evolutiva fra esse. Neppure è stato scientificamente dimostrato alcun contrasto dell’angiogenesi tumorale — a seguito di inoculazione di estratti di cartilagine — salvo qualche caso comunque negativo in cui sarebbero subentrati effetti collaterali importanti quali, ad esempio, la riduzione dell’assunzione di ossigeno, vitale invece per l’animale in esperimento12. Aldo Schiavo Bibliografia 1. SCHIAVO A., Zuppa di pinne di squalo, l’interesse del mercato mondiale, Nota prima, IL PESCE 2/2012. 2. SCHIAVO A., Zuppa di pinne di squalo, l’interesse del mercato mondiale, Nota seconda, IL PESCE n. 3/2012. 3. SCHIAVO A., Zuppa di pinne di squalo, l’interesse del mercato mondiale, Nota terza, IL PESCE n. 4/2012. 4. BAUM J. et al., Carcharhinus longimanus, in IUCN, Red List of Threatened Species, versione 2010. 5. VANNUCCINI S. (1999), Shark utilization, marketing and trade, Fisheries Technical Paper, n. 389, Roma, FAO. 6. OTTONELLO L. (2002), Lo squalo, in INDIVIDUAZIONE, Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell’Associazione GEA, Genova. 7. KHAN S., Fins for sale, The Indipendent, 25 giugno 2006. 8. MARQUES L., Decimating Shark Population for Some Soup, ABC News (abcnews.go.com), 30 ottobre 2006. 9. ELLIS R. (1975), The book of sharks. Grosset and Dunlap, New York. 10. Watch out for shark fin soup, China Daily, URL consultato il 21 maggio 2009. 11. BARBUCCI R., SABATINI A., DAPPORTO P. (1998), Tavola periodica e proprietà degli elementi, Firenze, Edizioni V. Morelli. 12. GARY K. OSTANDER et al. (2004), Cancer research, 64, 8485-8491.

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Schmidt Zeevis: a Rotterdam saggio di qualità del pesce olandese di Massimiliano Rella

Per i buongustai del pesce la città di Rotterdam, in Olanda, offre una ristorazione con tante proposte interessanti. Nei locali tradizionali, come nei più numerosi ristoranti di cucina internazionale, francese ma anche asiatica, araba, mediterranea, il pesce è spesso protagonista. La materia prima non manca ed è garantita dal fiorente settore della pesca che rappresenta una delle voci principali della produzione e dell’economia nazionale. SCHMIDT (Schmidt Zeevis Rotterdam BV, telefono: 010 214 06 73, winkel@schmidtzeevis.nl; www. schmidtzeevis.nl), il più importante rivenditore e distributore di pesce a Rotterdam, fornisce i migliori ristoranti della città, come il Las

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Palmas o il De Matroos en het Meisje, lavorando a pieno ritmo. L’attività a conduzione familiare, fondata nel 1908, oggi dà lavoro a 120 dipendenti. Schmidt infatti vende il pesce ad alberghi e ditte di catering, ma anche alle navi da trasporto e da crociera (Rotterdam è un porto immenso) e a pescherie in vari Paesi stranieri. L’azienda tratta il prodotto in modo da rispettare standard di qualità e le leggi in materia di tracciabilità e sicurezza alimentare. Vicino al moderno ponte Erasmus, costruito nel 1996 su progetto dell’architetto Ben van Berkel per collegare la parte nord e sud di Rotterdam, Schmidt offre un saggio della qualità della sua merce nel

negozio di pesce che ha aperto con un angolo friggitoria. Qui si mangiano sul posto aringhe, calamari fritti, piatti di salmone, merluzzo, gamberetti e altre specialità (conto medio € 12, 00). E si compra pure pesce locale e “straniero”, come merluzzi, sogliole, aringhe, halibut, razza, pesci del Mediterraneo, dei mari del Nord e di altri Paesi, anche già preparati in tante ricette e pronti da cuocere. I banconi di Schmidt espongono un assortimento che non lascia indifferenti. L’insegna con il logo nazionale indica la presenza di aringhe di qualità, uno dei prodotti più rappresentativi dell’industria ittica olandese e tra i più diffusi

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I banconi del pesce da Schmidt.

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nella gastronomia locale. Preparata in modi diversi, per esempio marinata, affumicata, e anche cruda, l’aringa è un cibo abituale sulle tavole olandesi. A maggio l’inizio della pesca della Clupea harengus è festeggiato anche nelle strade con la vendita del pescato su tradizionali carretti, nei ristoranti e nelle case con piatti golosi a base del gustoso pesce. Anche se già conosciute e consumate in grande quantità in Scandinavia come nei Paesi che formano l’attuale Gran Bretagna fin dai tempi più antichi, fu proprio in Olanda — dove il commercio delle aringhe incominciò nel XIV secolo — che un pescatore di nome Willem Bueckelszoon inventò il processo di essiccazione e affumicatura delle aringhe, che ne permette la conservazione per lunghi periodi. Ne derivò lo sviluppo di nuove industrie di preparazione e conservazione e dell’attività di commercializzazione. Il principale centro di lavorazione delle aringhe si trova a Vlaardingen, nel sud dell’Olanda, ma altri porti sono frequentati dalla flotta peschereccia olandese come Scheveningen, Katwijk e IJmuiden. La pesca e le attività di conservazione, trasformazione e vendita assicurano all’Olanda un posto di rilievo nel mercato internazionale. Secondo il Dutch Fish Product Board, organizzazione di riferimento per il comparto, l’Olanda esporta

L’insegna di Schmidt Zeevis con il logo nazionale indica la presenza di aringhe di qualità, uno dei prodotti più rappresentativi dell’industria ittica olandese. più pesce di quanto ne importi. Però, per il consumo interno, un quarto del prodotto è fornito dalla propria flotta, mentre i rimanenti tre quarti provengono dalle importazioni; circa il 70% del pescato viene venduto fuori dei Paesi Bassi. Centinaia di imbarcazioni, di varie dimensioni e caratteristiche, formano la flotta per la pesca. Ci sono 427 cutter, per la maggior parte da traino, e navi specializzate nella pesca dei gamberi o dei mitili, dotate di attrezzature all’avanguardia. Il pesce viene lavorato e congelato a bordo per conservarne le qualità nutrizionali. Nella filiera sono importanti anche le aste per la vendita, che

si svolgono in appositi luoghi in regola con le norme dettate dall’Unione Europea per la temperatura e l’igiene. La lavorazione e la commercializzazione del pesce dà lavoro a più di 600 aziende nei Paesi Bassi, e circa il 15% del fatturato totale dell’industria ittica è garantito dalle aringhe e altre specie di pesce pelagico, cioè pescato in alto mare. Massimiliano Rella Nota A pag. 89 il ponte Erasmus (architetto Ben Van Berkel di UnStudio) visto dalla torre Euromast. Fotografie di Massimiliano Rella.

SEDE CENTRALE Via Milano, 162 M 16126 Genova Tel. +39 010 8599200 Fax +39 010 8599299 Web: www.verrini.com E-mail: verrini@verrini.com

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Nutrizione

Frutti di mare afrodisiaci, mito o realtà? di Alfonso Piscopo

Il termine “afrodisiaco” deriva dal mito di Afrodite, dea greca dell’amore. Per afrodisiaco si intende una qualsiasi sostanza assunta allo scopo di esaltare la libido o migliorare le prestazioni sessuali. Tra mito e realtà, è sicuramente vero che il cibo ha da sempre un legame intenso con la sensualità e la sfera sessuale. La qualità di un cibo, le sostanze proteiche, minerali e vitaminiche in esso contenute, apportano all’organismo un migliorato benessere generale, che si ripercuote necessariamente anche

sulla sfera sessuale. Nell’antichità i Greci consideravano afrodisiaco il consumo di cipolle, miele, uova, tartufi, storione, pesci e crostacei (questi ultimi perché provenivano dal mare che aveva dato i natali proprio a Venere). Adoravano la rucola (“afrodisiaca erba d’eruca” come la definì OVIDIO nell’Ars amatoria) che cresceva spontaneamente intorno alle statue falliche del dio Priapo. I Romani preferivano cibarsi di testicoli di animali considerati particolarmente prolifici: asino, lupo,

cervo e selvatici. Nel Medioevo si ricorreva al cervello di piccione, nel Rinascimento veniva indicato l’estratto di verga d’asino essiccata, mentre gli Orientali, ancora oggi, vanno in cerca del corno di rinoceronte, delle pinne di squalo, dei testicoli di tigre (a scapito di animali che oggi rischiano l’estinzione). Molte delle credenze popolari sopra citate sono state in qualche modo tramandate ai giorni nostri, per cui il fenomeno dei cibi afrodisiaci è stato studiato anche dal punto

Considerata sin dal tempo dei Romani una prelibatezza, l’ostrica è probabilmente l’afrodisiaco più conosciuto (Giacomo Casanova ne mangiava cinquanta a colazione). Al di là delle credenze popolari, questo mollusco è la miglior fonte di zinco che esista. Ricordiamo, infatti, che lo zinco è un minerale che favorisce la funzionalità degli ormoni, in particolare il testosterone, ed è necessario per la produzione di sperma.

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di vista scientifico. Sicuramente, per alcuni di essi, l’accostamento alla sessualità è più confacente alla sfera della suggestione che non all’azione propria dei cibi stessi. Tuttavia, vale la pena approfondire l’argomento. Cibo e sessualità «I cibi freschi della cucina mediterranea, favorendo il benessere generale, possono concorrere a una buona vita sessuale: le loro proprietà antiossidanti hanno effetti benefici sulla salute delle arterie e, di conseguenza, sulle prestazioni sessuali: mangiare mediterraneo migliora la performance nel maschio e aiuta la donna a sentirsi meglio con la propria sessualità». Lo ha sottolineato la professoressa KATHERINE ESPOSITO del Dipartimento di Geriatria e malattie del metabolismo della Seconda Università di Napoli, intervenendo ad un recente convegno di Medicina della riproduzione svoltosi ad Abano Terme. Sempre secondo la dottoressa Esposito, però, sarebbe la mente il primo vero afrodisiaco perché capace di armonizzare le sensazioni e consentire all’eros di emergere. «Indipendentemente dal singolo alimento o cibo, la seduzione a tavola utilizza ben più che un singolo senso» ha dichiarato al dottoressa. «In generale la combinazione di varie relazioni sensoriali, la soddisfazione visuale alla vista di cibi appetitosi, la stimolazione olfattiva dei loro piacevoli odori e la gratificazione tattile che viene offerta ai meccanismi orali da piatti ricchi e saporiti, tende a portare verso uno stato di euforia generale favorevole all’espressione sessuale». Insomma, è vero che alcuni cibi sono buoni alleati della sessualità per le loro caratteristiche vasodilatatorie o migliorative dell’umore, ma un concreto effetto di attivazione sessuale fisiologica per molti di essi non è stato mai dimostrato. Le luci, i colori i suoni, la musica sono efficaci più di un medicamento perché, stimolando le endorfine ipotalamiche, agiscono sulla predisposizione a socializzare, stimolano la fantasia. La preparazione dell’atmosfera e l’arte nel farlo è dunque il vero e proprio afrodisiaco.

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La scienza ha comunque scoperto una certa attinenza di alcuni cibi con la sessualità e in particolare con la fertilità: ai primi posti si annoverano i frutti di mare, le ostriche, poi la carne e i prodotti di origine animale. L’eccezione pura tra gli alimenti è costituita dal cioccolato fondente, unico vero afrodisiaco ad avere un avallo completo dal punto di vista scientifico. «Recenti studi hanno dimostrato che il cioccolato nero, ricco di polifenoli, è capace di migliorare il flusso sanguigno, che in teoria potrebbe contribuire a migliorare l’erezione» attesta l’endocrinologa Esposito. Le ostriche L’ostrica è un mollusco che presenta la conchiglia esterna con due valve di forma variabile, tenute assieme da un sorta di cerniera. La conchiglia ha una forma circolare, rugosa, mentre l’interno delle valve è liscio, di colore bianco, formato da materiale madreperlaceo. All’esterno la conchiglia è grigia, macchiettata di bruno e viola. Il “frutto” interno ha forma tondeggiante, con i margini dei due lembi frangiati. La grandezza si aggira attorno ai 6-9 cm, ma può arrivare fino ai 15-20 cm. I fondali costieri sono il suo habitat naturale. Può arrivare ad una profondità di 40 m; vive in branchi, di solito attaccata alle rocce o appoggiata sul fango. Le ostriche più conosciute sono: • Ostrea edulis (ostrica europea): si trova nel Mediterraneo e in parte del Mare Adriatico, è un frutto di mare raffinato, allevato come prelibatezza culinaria e per queste proprietà è l’ostrica più cercata e pregiata, dal gusto delicato e seducente; • Crassostrea angulata (ostrica portoghese): conosciuta con il nome di ostrica concava, ha la conchiglia a forma ovale allungata con evidente concavità; è l’ostrica dal valore minore, le sue carni hanno un sapore forte, si trova con frequenza nei ristoranti italiani; • Crassostrea gigas (ostrica giapponese): anch’essa conosciuta con il nome di ostrica concava, è il mollusco più allevato su scala globale (Cina in primis). Ha un

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Tabella 1 – Alimenti contenenti zinco (valori riferiti a 100 g) Alimenti

Zinco

Ostriche

39,30 mg

Fegato di vitello

12,02 mg

Grana

11,00 mg

Lievito di birra, fresco

9,97 mg

Cioccolato fondente amaro

9,63 mg

Cosciotto di agnello brasato

8,66 mg

Granchio in umido

7,62 mg

Cardamomo

7,47 mg

Aragosta in umido

7,27 mg

Semi di sedano

6,93 mg

Cacao amaro

6,81 mg

Spalla di vitello cotta

6,59 mg

Pinoli secchi

6,45 mg

Carne di manzo macinata magra cotta

6,20 mg

Fonte: www.valori-alimenti.com

Tabella 2 – Quantità di acido D-aspartico contenuta in alcuni alimenti (valori riferiti a 100 g) Alimenti

Acido D-aspartico

Proteine isolate della soia

1

10,200 g

Polvere di albume

8,253 g

Merluzzo sotto sale

6,433 g

Alga spirulina, essiccata

5,793 g

Carne di coregone

5,670 g

Uovo in polvere

4,758 g

Farina di soia

4,342 g

Lievito di birra secco

4,150 g

Lupini

3,877 g

Storione affumicato

3,195 g

Seppia in umido

3,134 g

Tonno sottolio, sgocciolato

2.983 g

Alici o acciughe sottolio

2,958 g

Bistecca di manzo alla griglia

2,630 g

Bresaola

2,618 g

Filetto di maiale cotto

2,560 g

Grana

2,170 g

Prosciutto crudo magro

2,113 g

Fonte: www.valori-alimenti.com

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sapore forte e si trova facilmente nei nostri ristoranti; • Pinctada margaritifera (ostrica perlifera): si trova nell’Oceano Pacifico, famosa per la produzione di perle. La fama dell’ostrica come afrodisiaco sembra essere dovuta più alla forma, che richiama gli organi genitali, che ai suoi componenti. Tuttavia, questo mollusco è la miglior fonte di zinco che esista: una sola porzione (sei ostriche) fornisce più di 5 volte la quantità giornaliera consigliata. Lo zinco è un minerale presente nei muscoli e nel fegato, è parte integrante delle ossa e dei denti; potenzia l’azione dell’enzima superossido dismutasi che trasforma i radicali liberi in perossido di idrogeno, interviene nella formazione delle proteine, in alcune funzioni ormonali del sistema nervoso, nei processi di accrescimento e di riparazione dei danni tissutali e nella difesa immunitaria. La sua presenza è indispensabile per il metabolismo del fosforo, per la digestione dei carboidrati, per la sintesi dell’acido nucleico e per l’assorbimento delle vitamine. Lo zinzo poi agisce sulla funzione riproduttiva, come stabilizzatore del DNA dei gameti maschili e femminili (spermatozoi e ovociti). La sua presenza favorisce la funzionalità degli ormoni, in particolare il testosterone, ed è necessario per la produzione di sperma. Scarse quantità di zinco possono arrecare disturbi alla crescita di tutti gli organi. Studi su soggetti di bassa statura (nani) a cui è stato somministrato zinco hanno dato ottimi risultati, con aumento di altezza (8 cm in più dopo un anno e mezzo di terapia) e normalizzazione degli organi sessuali. Inoltre, è stato accertato che effettivamente la carenza di zinco provoca sterilità e impotenza. Un lavoro scientifico recente2 (fine 2011) ha dimostrato che le ostriche sono ricche di acido Daspartico, un amminoacido coinvolto nella secrezione ormonale. L’acido D-aspartico, di norma, è presente nel liquido seminale (nei soggetti oligoastenospermici, l’amminoacido è in percentuale ridotta). L’acido D-aspartico favorisce l’ipotalamo e

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Come per tutti i minerali, un eccesso di zinco può indurre danni nell’organismo, che vanno dalla febbre alla nausea, al vomito, dissenteria (malesseri spesso attribuiti dal medico a un semplice raffreddore); può comportare arteriosclerosi precoce, difficoltà di coordinamento muscolare, alterazioni nell’assorbimento di calcio-magnesio e nel metabolismo di ferro e rame. Se la quantità di zinco contenuta negli spermatozoi è in surplus, si possono verificare aborti precoci e ripetuti. L’American Association raccomanda invece alle donne incinte di ridurre il consumo di frutti di mare crudi poiché, oltre a contenere metalli pesanti, sono potenti filtratori di sostanze spesso indesiderate e potrebbero indurre alcune malattie. L’apporto di zinco, in questo caso, deve essere ricercato da altre fonti alimentari.

Merluzzo sotto sale, alimento ricco di acido D-aspartico. l’ipofisi a rilasciare gli ormoni (GnRh e Lh) regolatori della produzione di testosterone da parte dei testicoli e di estrogeni e progesterone da parte delle ovaie. Lo studio in questione, svolto in collaborazione tra gli Stati Uniti e l’Italia, ha sorpreso gli stessi ricercatori della Barry University di Miami e quelli del Laboratorio di Neurobiologia-Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli. I molluschi prelevati nei mercati di Napoli sono stati soggetti alla cromografia liquida ad alta capacità, che ha rilevato la presenza di abbondanti tracce di amminoacidi rari come l’acido Daspartico e l’N-metil D-aspartato. Il dott. Antimo D’Aniello ha inoculato questi amminoacidi nelle cavie stimolando la produzione di ormoni sessuali (testosterone nei maschi e progesterone nelle femmine). Alti livelli di questi ormoni nel sangue stimolano l’apparato sessuale.

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In natura sia lo zinco che l’acido D-aspartico si trovano nei molluschi bivalvi (ostriche, vongole, capesante e mitili), nel pesce, nei latticini, nelle proteine della carne bovina e suina. La scelta di cibi che includono zinco e acido D-aspartico è ampia (Tabelle 1 e 2), basta variare e non mangiare sempre gli stessi cibi. Effetti di un eccesso di zinco Di norma l’apporto di zinco con la dieta ne richiede una quantità giornaliera di 10 mg nell’uomo e di 7 mg per la donna. Durante la gravidanza e nella fase di allattamento al seno si ha una notevole riduzione di zinco: ciò comporta conseguenze per la mamma e per il feto. Un apporto quantitativamente sufficiente di zinco contribuirà alla crescita del neonato e la mamma equilibrerà quello perso con l’allattamento.

Altri cibi ad effetto afrodisiaco Ad altri cibi sono attribuite proprietà eccitanti: • caviale: essendo uova di pesce, si riconduce all’idea di fecondità. Possiede notevoli quantità di zinco che agiscono nella produzione di testosterone e progesterone e nella maturazione delle cellule riproduttive (ovuli e spermatozoi); • peperoncino: la sua azione vasodilatatrice favorisce l’afflusso di sangue ai tessuti; • cioccolato: ha un’azione afrodisiaca per il contenuto di teobromina e feniletilamina, due sostanze che agiscono nella produzione di serotonina (chiamato l’ormone dell’allegria e del buon umore); • spezie: sono considerate afrodisiaci lo zafferano, la paprika, il curry; la loro azione sembra che derivi più dalla suggestione dei diversi aromi emanati nei cibi che non da un’azione afrodisiaca vera e propria. A tavola ogni elemento partecipa al piacere e sicuramente i cibi freschi, tipici della cucina mediterranea, favorendo il benessere generale, possono aiutare ad avere anche una buona vita sessuale. Via libera quindi a cibi ricchi di antiossidanti che hanno effetti benefici sulla salute

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Parere EFSA sulle opzioni per il controllo del norovirus nelle ostriche Le ostriche sono degli organismi filtratori e rappresentano un vero e proprio depuratore naturale; tutto quello che catturano dai fondali marini viene decantato, per cui, mangiate crude, trasferiscono tutte le sostanze incorporate nell’organismo umano, comprese quelle indesiderate. Il norovirus, denominato talvolta dai media anglosassoni “winter vomiting bug”, è una delle principali cause di gastroenterite acuta in Europa, spesso accompagnata da diarrea e vomito. Il virus si trasmette attraverso il consumo di alimenti o acqua inquinati da materiale fecale o, più spesso, da persona a persona mediante contatto diretto o per contatto con superfici infette. I molluschi bivalvi1 come le ostriche e le capesante costituiscono una fonte di infezione ben documentata, poiché possono accumulare e concentrare le particelle virali. Le ostriche contaminate dal norovirus rappresentano un particolare rischio per la salute umana, dato che vengono spesso consumate crude. Il gruppo di esperti scientifici BIOHAZ dell’EFSA è giunto alla conclusione, nella sua valutazione del rischio in proposito(17 gennaio 2012), che il norovirus è altamente infettivo e che la quantità di virus riscontrato in ostriche collegate a casi segnalati nell’uomo è estremamente variabile. Gli esperti scientifici sottolineano che in Europa il norovirus viene spesso rinvenuto in ostriche che pur soddisfano gli standard di controllo stabiliti nell’UE per i molluschi bivalvi. L’EFSA ha valutato i metodi2 di rilevamento e le opzioni disponibili per il controllo della presenza del norovirus nelle ostriche. La valutazione si è soffermata sull’uso di una tecnica (il cosiddetto metodo PCR3), peraltro già utilizzata con altri molluschi, per la ricerca e la quantificazione del norovirus nelle ostriche, sulla possibilità di definire un livello al di sotto del quale la presenza del virus nelle ostriche non comporterebbe un rischio per i consumatori e sulle possibili opzioni di controllo dopo la raccolta. Il gruppo di esperti scientifici ritiene che il metodo PCR sia adeguato per rilevare e quantificare il norovirus nelle ostriche, purché vengano attuate opportune misure di controllo della qualità. Secondo gli esperti scientifici, i metodi attualmente usati per asportare il norovirus dai molluschi necessitano di migliorie. Il gruppo scientifico, in linea con la sua precedente raccomandazione generale formulata in riferimento ai virus di origine alimentare, raccomanda che le misure per ridurre il norovirus nelle ostriche si concentrino sulla prevenzione della contaminazione iniziale delle zone di produzione anziché sul tentativo di eliminare il virus dagli alimenti contaminati. Il parere raccomanda ai gestori del rischio di prendere in esame l’eventualità di stabilire un limite ammissibile per la presenza di norovirus nelle ostriche destinate a essere raccolte e immesse sul mercato dell’UE. La definizione di criteri microbiologici generali favorisce la fissazione di limiti ammissibili e permette di determinare, tra le altre cose, i metodi analitici, i piani di campionamento e le azioni da intraprendere in caso di non conformità a tali criteri. Questi criteri possono essere utili per verificare la conformità ai principi dell’analisi di rischio e dei punti critici di controllo (HACCP) e potrebbero essere impiegati come ulteriori strumenti di controllo nelle aree di produzione e nelle fasi di lavorazione e vendita al dettaglio. Oltre a ciò gli scienziati raccomandano di condurre un’indagine di riferimento su tutto il territorio dell’UE in relazione alla contaminazione da norovirus delle ostriche, allo scopo di stimare l’esposizione generale dei consumatori. Un’indagine di questo genere fornirebbe tra l’altro informazioni che potrebbero essere utilizzate per valutare l’impatto sulla salute pubblica delle misure di controllo messe in atto nel tempo4. Note 1. I molluschi bivalvi sono molluschi marini o d’acqua dolce la cui conchiglia è formata da due parti unite da una cerniera mobile. Il gruppo comprende, tra gli altri, vongole, ostriche, capesante e mitili. 2. Le misure di controllo e purificazione attualmente applicate consistono nel trattamento termico,nella depurazione (immersione dei molluschi in serbatoi contenenti acqua marina pulita) e nel trasferimento dei molluschi da zone contaminate a zone pulite. 3. L’approccio attualmente utilizzato per la rilevazione della presenza del norovirus nei molluschi bivalvi si avvale del metodo della reazione a catena della polimerasi in tempo reale con transcrittasi inversa (rRT-PCR). 4. Nell’Unione Europea la protezione delle acque in cui vengono allevati i molluschi prevede attualmente la realizzazione di una serie di indagini ambientali sulla zona circostante i bacini di produzione e il monitoraggio della contaminazione delle acque da materiale fecale umano attraverso la ricerca nei molluschi bivalvi di livelli di E. coli superiori a un dato limite. Tuttavia, il norovirus è spesso rinvenuto in ostriche che, per il resto, soddisfano gli standard di controllo fissati per i molluschi bivalvi. Finora non è stato possibile stabilire criteri per la riapertura delle zone di produzione di molluschi chiuse in seguito alla segnalazione di casi di infezioni da norovirus, il che rende difficile l’adozione di decisioni in tal senso da parte delle autorità nazionali. A questo proposito, l’Autorità irlandese per la sicurezza alimentare ha chiesto all’EFSA di svolgere la suddetta valutazione del rischio per ottenere un parere sulla possibilità di definire un limite accettabile per la presenza di norovirus nelle ostriche che possa fornire una base scientifica per la riapertura delle zone di produzione. (Fonte: EFSA)

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delle arterie e, di conseguenza, sulle prestazioni sessuali e riproduttive. Dott. Alfonso Piscopo Veterinario del Servizio sanitario nazionale Note 1. La fertilità maschile potrebbe essere compromessa da una dieta a base di soia. Ricerche in tal senso sembrano dimostrare l’interferenza negativa della soia e dei suoi derivati sulla produzione di spermatozoi. All’incirca sono 41 milioni in meno di cellule spermatiche per millilitro di liquido seminale. In condizioni normali la quantità oscilla tra 80 e 120 milioni per millilitro. In passato le ricerche sono state effettuate su animali in cui si era individuata una correlazione tra gli isoflavoni (estrogeni naturali presenti nella soia) e l’infertilità maschile. Nel periodo tra il 2000 e il 2006, 99 uomini sono stati monitorati per valutare la loro fertilità. Tra i cibi antiossidanti è stata inclusa la soia, con ben 15 prodotti a base

Acido D-aspartico È presente nel sistema nervoso e nelle ghiandole esocrine e endocrine, dove svolge importanti attività fisiologiche. Si trova principalmente in alimenti di origine animale. Zinco È presente nei muscoli e nel fegato, è parte integrante delle ossa e dei denti. Insieme al rame potenzia l’azione dell’enzima superossido dismutasi che trasforma i radicali liberi in perossido di idrogeno (acqua ossigenata), interviene nella formazione delle proteine, in alcune funzioni ormonali del sistema nervoso, nei processi di accrescimento e di riparazione dei danni ai tessuti e nella difesa immunitaria. La sua presenza è indispensabile per il metabolismo del fosforo, per la digestione dei carboidrati, per la sintesi dell’acido nucleico e per l’assorbimento delle vitamine.

di soia sottoposti ad analisi. Ai soggetti, divisi in quattro gruppi in base alla presenza di soia nella dieta, è stato chiesto di compilare un questionario, con domande relative al consumo di soia. Dall’analisi dei dati è emerso che il consumo di soia e derivati, paragonato alla qualità del liquido seminale, dava un rapporto inversamente proporzionale tra il consumo del

legume e la diminuzione di numero degli spermatozoi. Studio elaborato presso la Harvard School of Public Health di Boston coordinato da Jorge Chavarro, 2008. 2. MIRZA R.A., POISSON J-J., FISHER G.H., D’ANIELLO A., SPINELLI P., FERRANDINO G. (2011), Do marine molluscs possess aphrodisiacal properties?, American Chemical Society, www.chemistry.org


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Il pesce in tavola

Incuriosisce i bambini e ingolosisce gli adulti: la sogliola di Giorgia Fieni

I bambini, si sa, non amano troppo il pesce: il gusto “di mare” deve quindi la maggior parte delle volte essere coperto con panature e fritture e sughi perché essi possano usufruire degli importantissimi Omega-3 e di tutte le altre proteine e vitamine che contiene. Oltre alle modalità di preparazione, però, occorre anche scegliere con attenzione il tipo di pesce da sottoporre al loro palato delicato: ecco perché si inizia in genere col merluzzo (lo vedono nella pubblicità presentato in maniera accattivante e perciò ne sono attratti) e il passo successivo è quello della sogliola. Perché le sue carni sono morbide e di qualità eccellente: i Romani la chiamavano Solea Jovis (sandalo di Giove), per indicarne la

bontà, e dall’Ottocento in poi (dopo un periodo in cui veniva considerata simile a tutte le altre specie) è stata recuperata dalla cucina francese, incoronata “regina dei pesci” e ne sono state create ricette specifiche arrivate fino a noi (è anche stata servita al Quirinale, il 2 luglio 1871, quando Roma è diventata capitale del Regno d’Italia!). Basta solo dare un’occhiata alla terminologia che la riguarda: à la meunière, ad esempio, in cui la sogliola è leggermente infarinata, rosolata nel burro e servita ricoperta col suo fondo (reso color nocciola) e prezzemolo tritato. Ma ad essa si adattano bene anche le metodologie alla Walewska guarnita con fette di aragosta in salsa mornay (il nome

deriva probabilmente da Alexandre Colonna, conte di Walewska, ministro degli esteri di Napoleone III), à la dieppoise (rosolata al burro, scalogni tritati, champignons, brodo di pesce e servita con un roux ai gamberetti e cozze) e alla Colbert (impanata, fritta e decorata con burro maître d’hôtel, ovvero al prezzemolo, succo di limone e senape di Digione). La raffinatezza di queste preparazioni è l’ABC imparato dagli chef, che poi fanno proprio o se ne discostano (a seconda della personalità del singolo) per cucinare la sogliola in modalità a loro più congeniali. GIANFRANCO VISSANI, per esempio, prepara un finger food nel bicchiere

Sogliola à la meunière, stile Julia Child.

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da aperitivo con una base di riso soffiato al cioccolato su cui deposita lamponi freschi, sogliola marinata nel framboise e spuma di pistacchi. MAURO ULIASSI reinventa l’insalata di mare chiamandola “Omaggio a Martin Berasategui” (lo chef basco), cucinando una base di gelatina all’acqua di pomodoro su cui serve astice, calamaro e sogliola cotti al vapore con frutta (lamponi, mirtilli, fragole) e verdure, salsa di lattuga e olive taggiasche. GUALTIERO MARCHESI la usa per una versione ittica del suo raviolo aperto di sfoglia al prezzemolo, con l’aggiunta di capesante, vino bianco e zenzero. MARCO PIAZZA la fa dorare in padella e la arricchisce con aneto, burro salato e mandorle tostate salate. ALAIN DUCASSE la cucina coi porcini. E ALESSANDRO BORGHESE ne tratta i filetti con sale al sedano, li arrotola, li cuoce in vaporiera con acqua aromatizzata agli agrumi e li serve con agrumi freschi e salsa all’arancia e zenzero. Già, i filetti. Effettivamente una delle problematiche che si presentano nel cucinare la sogliola (e intendiamo la comune Solea vulgaris, anche se ne esistono pure le varietà lascaris, impar, kleini e senegalensis, diverse per lunghezza) sta nel prepararla. Essendo un pesce piatto (poggia sul fondale sul lato chiaro e ha entrambi gli occhi su quello scuro — colorazione che l’aiuta a mimetizzarsi con la sabbia circostante) ha le interiora subito sotto le branchie, per cui basta praticare un piccolo taglio per estrarle. Per spellarla, invece, bisogna partire dal punto di congiunzione della coda con il corpo usando un coltellino affilato che la toglie iniziando da un lembo sul lato scuro e continuare tale operazione anche dal lato chiaro. Infine, dopo questo lavoretto che richiede un po’ di forza, si gira la sogliola tenendo verso di sé la coda e si inizia con la sfilettatura, incidendola al centro dalla testa e seguendo la struttura ossea per separarne la carne. Ho letto che, se la sogliola è femmina, sotto il filetto si può trovare una sacca arancione, le uova… e c’era pure scritto che sono ottime se servite fritte come aperitivo!

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Turbante di sogliola con carciofi. Ecco, se vogliamo che i bambini imparino ad apprezzare il gusto della sogliola, forse è meglio non farli assistere a questa parte della preparazione. Via libera invece al presentargliela nel piatto nelle modalità più varie e fantasiose. Vediamone quindi alcune che possiamo realizzare nelle nostre cucine non professionali, con una sola avvertenza: sappiate che sono ricette molto golose anche per gli adulti! Partiamo dall’antipasto: con vol-au-vent alla sogliola e indivia belga cotte in padella con olio, burro, sale e succo d’arancia. Oppure la serviamo a millefoglie con zucchine e speck croccante. O in quiche con gli asparagi. Come primo piatto prepariamo le lasagne di pesce oppure aggiungiamo la sogliola (spezzettata e rosolata in olio, sale e vino bianco secco o vermouth) alle trenette al pesto. Se preferiamo una minestra, basta cucinarla con aglio, olio, pomodorini, sale acqua e quadrucci all’uovo, servendola con prezzemolo e pane tostato. Ma possiamo anche prepararne un sugo al vino bianco e pomodoro e usarlo per condire ravioli ripieni di ricotta, uovo, burro, prezzemolo, sale, pepe, noce moscata.

Come secondo piatto cuciniamo i turbanti: involtini di pesce ripieni o di olive taggiasche, patate e prezzemolo o di semplici spinaci saltati in aglio e olio, poi cotti in sugo di pomodoro. Oppure mariniamo per 6 ore la sogliola in yogurt e un composto frullato di cumino, curcuma, chiodi di garofano, cardamomo, chili in polvere, semi di senape gialla e spicchi d’aglio e poi la cuociamo 30 minuti a 180°C avvolta nella carta da forno: è l’indiana tandoori. Se la preferiamo “alla russa”, la rosoliamo in anelli sottili di cipolle, fettine di mele acidule, limone e pepe. I filetti alla fiorentina, infine, ne prevedono una prima cottura in forno con vino bianco e brodo di pesce ed una seconda, con gratinatura, se li disponiamo in pirofila alternandoli con spinaci al burro, parmigiano grattugiato ed una salsa di besciamella, fondo di cottura del pesce, panna e groviera. Nessuno, in nessun Paese al mondo, ha però pensato di creare un dessert a base di sogliola. I bambini d’altronde hanno sempre particolarmente amato il sapore dolce… Chissà che questa idea non possa essere la lampadina giusta per accendere la fantasia ed iniziare a pensarci. Giorgia Fieni

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Curiosità

Il mistero della conchiglia di Josette Baverez Blanco

Un anno fa, durante una camminata nei pressi di Carpi (MO), avvistai una gran quantità di grossi bivalvi nella melma di un canale di irrigazione. Cercai di raccoglierne qualcuno,

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ma l’impresa non fu facile, essendo i bordi del canale ripidi e scivolosi. Finalmente, con vari attrezzi e tanta pazienza, riuscimmo a prenderne tre! La conchiglia, vuota, bruna-

stra e con strie concentriche all’esterno, nascondeva una magnifica madreperla all’interno. Di notevole dimensione (18 cm), sembrava più una conchiglia dei Paesi tropicali

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La conchiglia ritrovata. che di una canale di irrigazione della cosiddetta Bassa modenese. Per un anno, a casa, il gioco fu di chiedere agli amici da dove provenisse la conchiglia. Tutti a rispondere, sapendo che siamo amanti di viaggi e di mari, che l’avevamo presa, magari anche in modo illecito, in qualche isola tropicale o in Australia! Ogni volta la reazione era di stupore quando, dopo una risata, svelavo che l’avevo raccolta a pochi chilometri da Modena… Iniziavano allora a susseguirsi le più svariate ipotesi su come avesse fatto ad arrivare in zona un esemplare all’apparenza così esotico. La conchiglia, messa bene in mostra su una credenza, non smetteva di sollecitare la mia personale curiosità e finalmente, un anno dopo, sono riuscita, per così dire, a darle un nome: Unio pictorum. Si tratta di un grande mollusco bivalve con guscio di forma quasi ovale, leggera, larga fino a 20 cm e panciuta: secondo alcuni, acclimatatasi recentemente in Italia, proviene però dal Centro Europa; secondo altri, invece, questa cozza d’acqua dolce di notevoli proporzioni sarebbe presente nei nostri fiumi e canali da tempi remoti. Sulla facciata esterna, brunastra, si leggono i segni di accrescimento, mentre l’interno è di materiale madreperlaceo più o meno brillante. Lo spessore massimo viene raggiunto subito dopo l’umbone. L’Unio pictorum, in passato usata

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dai pittori per miscelare i colori, fa parte della famiglia degli Unionidae, ordine Unionoida, classe bivalvia paleoheterodonta, e fu descritta la prima volta da LINNAEUS nel 1758. La famiglia è stata definita nel 1820 da RAFINESQUE mentre il genere da PHILIPSSON nel 1788. Vari i sinonimi che si trovano nelle vecchie nomenclature: cozza o mitilo d’acqua dolce, mitilo dei pittori, muscolo acquatico e anche anodonta, che è della stessa famiglia. In effetti, i bivalvi appartenenti ai generi Anodonta, Unio e Mycrocondylaea sono simili alle comuni “cozze di mare” ma si distinguono per le loro dimensioni che variano dai circa 20/25 cm per la specie Anodonta, ai circa 10/11 per la specie Unio, fino ai 9 cm della specie Mycrocondylaea. Nel leggere questi dati, la mia conchiglia potrebbe assomigliare anche ad un’Anodonta Cygnea, simile all’Unio pictorum. Leggo poi che il bivalve di dimensioni maggiori delle acque dolci europee è il Margaritifera margaritifera, dalla robusta conchiglia madreperlacea lunga fino a 15/20 cm, che si trova in acque povere di sali, sepolta nella sabbia o nella ghiaia dei grandi fiumi dall’intensa corrente. Già al tempo dei Romani, era conosciuta e apprezzata per le sue perle, a causa delle quali è stata indiscriminatamente pescata fino al secolo scorso. Questi molluschi presentano la caratteristica comune di un alto

grado di adattabilità all’ambiente, potendo vivere, anzi sopravvivere, anche in ambienti fortemente inquinati, come per esempio corsi d’acqua che accolgono scarichi industriali. Solitamente si trovano in acque stagnanti o lentamente fluenti con fondo melmoso, nel quale si infiggono con parte della conchiglia. Non sono esattamente gasteropodi ma bivalvi, ottimi filtratori naturali e, proprio per questa caratteristica, vengono usati negli acquari per ararne il fondo e ossigenare e purificare l’acqua. Filtrano fino a 40 litri di acqua in un’ora da cui ricavano fitoplancton e zooplancton, oltre che sostanze organiche in sospensione di vario genere di cui si nutrono. Dal sedimento estroflettono i due sifoni che servono loro sia per respirare che per filtrare gli organismi in sospensione. Purtroppo rilasciano gran parte di ciò che hanno assorbito quando muoiono. Per quanto concerne la proliferazione, come per gli altri organismi sessili, rilasciano sperma e uova quando la temperatura è favorevole per la loro riproduzione e ciò accade di solito attorno ad una temperatura del fondo di 12/14°C, in primavera. Ogni esemplare emette 25.000-30.000 uova fecondate che vengono mangiate perlopiù dalle specie ittiche. Dalla riproduzione nasce una larva che, se non mangiata, trascorrerà un ciclo di vita o sospesa nel plancton o attaccata con uno speciale uncino alle branchie interne dei pesci o alle pinne della coda, ove rimarrà per alcune settimane (fino ad un anno) per poi lasciarsi cadere sul fondale e diventare un organismo adulto e autonomo. Una curiosità legata ai molluschi del genere Unio sp. è quella di essere designati come nursery per la deposizione delle uova del Rodeo amaro (Rhodeus sericeus), un particolare pesce delle nostre acque. La femmina di questo ciprinide è dotata di un ovopositore lungo fino a 5 cm che infila nella cavità branchiale del bivalve. In acquario si può osservare bene quel che succede: il maschio del rodeo continua a picchiettare la conchiglia fino a che il mollusco arresta la chiusura delle sue valve. A questo

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punto la femmina entra in azione deponendo le uova al suo interno ma vicino al bordo esterno, in modo che il maschio le possa fecondare. Questi rimane nei pressi durante la deposizione e libera il suo liquido seminale che verrà ispirato dal sifone inalante del mollusco, andando così a fecondare le uova! In tal modo è certo che la prole sarà protetta fino alla schiusa, aumentandone la possibilità di sopravvivenza. I bivalvi della famiglia Unionidae sono migliaia in particolare nel Nord Italia, a valle della diga sul Po, ma quando si chiudono le paratie e l’acqua cala improvvisamente rischiano di rimanere all’asciutto e morire. Molti erano presenti in passato nelle Lanche del Ticino; sono ancora tanti invece nella provincia di Alessandria. In Toscana, vicino a Pisa, se ne è trovato uno di 26 cm dal peso di 1,8 kg in una cava in prossimità del mare, probabilmente portato dal Magra. Il fiume Bisenzio, a Prato, il lago di Bolsena: sono numerose

Il Rhodeus sericeus amarus. le zone di ritrovamento di questo mollusco che continua a stupire chi ci si imbatte per caso! Una cosa è sicura però, data la loro azione depuratrice non sono assolutamente commestibili. Josette Baverez Blanco

Nota A pagina 105 una tavola con disegni di conchiglie del biologo, zoologo e filosofo tedesco ERNST HEINRICH HAECKEL (1834-1919). Insegnò a Jena e fu uno dei principali esponenti del darwinismo in Germania.

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Convegni

AQUA 2012, il futuro dell’acquacoltura

È stato un successo in termini di presenze e contenuti l’edizione 2012 di AQUA, l’evento congressuale e fieristico organizzato ogni 6 anni da European Aquaculture Society (EAS) e World Aquaculture Society (WAS), svoltosi a Praga dall’1 al 5 settembre scorsi e presieduto da MICHAEL NEW, OBE. Il tema riassuntivo dei 440 poster scientifici presentati era “Securing our Future”, che tradotto in italiano esprime una volontà concreta di lavorare per garantire a tutti noi e a chi verrà un futuro diverso, sicuramente migliore. Il focus è quindi stato sulle implicazioni della ricerca scientifica in materia di sicurezza alimentare a livello globale e regionale, oltre che sul commercio di prodotti ittici d’allevamento e sullo sviluppo dei prodotti d’acquacoltura nei mercati ittici. Si è anche discusso di sostenibilità, ambientale ed economica, e dell’immagine dell’acquacoltura. «Il futuro è ciò che facciamo oggi — dichiarano i rappresentanti di European Aquaculture Society — sia per alleviare la povertà, sia per organizzare le risorse dei prossimi decenni in modo responsabile e per educare, formare e gestire le conoscenze delle prossime generazioni di ricercatori in materia di acquacoltura, di produttori ittici e operatori del settore». I tre presidenti del comitato scientifico di AQUA 2012, MARCO SAROGLIA, José Polanco e Zdenek Adamek, hanno messo insieme oltre 50 sessioni tecniche con tematiche

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che includevano l’ambiente, la biodiversità e i cambiamenti climatici, la certificazione nell’acquacoltura, l’acquacoltura e la salute umana, i sistemi produttivi, mangimi e additivi, benessere animale, salute e malattie dei pesci, allevamento e genetica e molti altri ancora. AQUA 2012 è stato organizzato con la partnership dell’Università della Boemia meridionale, punto di riferimento per la pesca e l’acqua-

coltura ceca. Significativi i numeri della manifestazione: • oltre 440 poster scientifici; • più di 600 presentazioni; • 100 gli espositori di attrezzature e servizi; • 2.000 partecipanti; • 76 i Paesi presenti. • Per info: www.was.org www.easonline.org

Una veduta degli spazi espositivi e dei poster scientifici all’interno del Centro Congressi di Praga.

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I ragazzi sono il nostro futuro e qui a Marinando ci insegnano a rispettare ed amare il mare «La XXVII edizione di Marinando è per noi un momento molto importante perché avvicina gli studenti alla realtà del mare. È nostro compito insegnare ai giovani a comprendere meglio tutto quello che significa come risorsa e tutto quello che bisogna fare per rispettarla: il mare presenta molte problematiche ma anche potenzialità. Le criticità principali che abbiamo davanti sono la diminuzione della risorsa marina, c’è, infatti, sempre meno pesce in mare, e tutte quelle situazioni di inquinamento presenti in alcune zone. Bisogna lavorare su questi due fronti. È indispensabile pescare meno e soprattutto pescare meglio. È nostro compito salvaguardare i redditi dei pescatori e su questo aspetto stiamo lavorando a Bruxelles per avere le giuste soluzioni». Così il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Mario Catania, ha commentato da Ostuni la cerimonia conclusiva della XXVII edizione del Festival Marinando, la campagna promossa dal 1995 dal dicastero per sensibilizzare i giovani sull’importanza del mare e delle sue risorse, che ha visto nella fase finale in piazza oltre 400 ragazzi tra gli 11 e i 18 anni provenienti dalle scuole di primo e secondo grado italiane e del bacino del mediterraneo. Tre dei primi spettacoli classificati torneranno sulle scene anche a Marinando Teatro Roma Fest, in una serata speciale lunedì 12 novembre al Teatro Parioli di Roma, che rappresenterà un ulteriore ed efficace momento di comunicazione dei valori della campagna. >> Link: www.marinando.info

A Limone sul Garda, la pesca racchiusa in un museo Reti di ogni tipo, barche, immagini fotografiche, reperti storici, tutto rigorosamente repertato e didascalizzato in tre lingue. Limone sul Garda ha un museo dedicato al mestiere del pescatore, alle sue fatiche, alle vicende umane che hanno caratterizzato decenni di vita del centro, ora completamente turistico, sulla riva occidentale del Benaco (a fianco, una parte del Museo dei Pescatori appena inaugurato). Frutto del minuzioso e certosino lavoro del gruppo pescatori locale, guidato da Bernardo Tosi, con la collaborazione di Antonio Martinelli, presidente della biblioteca locale, il museo è stato lo scorso settembre. «C’è tutto il valore della conservazione delle tradizioni in questo progetto — ha detto l’assessore regionale De Capitani durante l’inaugurazione — che oggi diventa anche occasione di turismo e cultura. La pesca d’acqua dolce fino a un secolo fa era una attività economica che sosteneva l’intera comunità di Limone». Poi è cambiato tutto, «ma questo non significa che non debba essere tutelata, come attività dilettantesca e professionistica». «Questo museo è un segno tangibile del nostro passato — ha detto il sindaco Risatti — una comunità senza memoria è una società senza valori. Con il museo vogliamo ringraziare chi ha gettato le basi del nostro benessere. Noi veniamo da lì, cento anni dopo, e non possiamo dimenticare quella che per i Limonesi è stata la madre di tutte le attività economiche, anche se oggi il lago non vive più di pesca». (Notiziario AIOL) Nella riunione tenutasi lo scorso 30 agosto presso ASTRO-Associazione Troticoltori Trentini, presenti i responsabili delle aziende produttrici di uova, sono stati stabiliti i prezzi relativi all’annata 2012/2013 riportati in Tabella. (Fonte: ASTRO-Associazione Troticoltori Trentini)

Prezzi €/1.000 uova 2012/2013 Uova Iridea

Uova Fario Uova Salmerino alpino

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Settembre-Novembre Dicembre-Marzo

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12.00 11.50

Aprile-Giugno

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Rassegne

Un altro brodetto è possibile Al Festival Internazionale del Brodetto e delle Zuppe di Pesce 2012, che si è svolto al Lido di Fano da venerdì 7 a domenica 9 settembre, un grande show cooking ha permesso di assaggiare insoliti brodetti insieme a vini marchigiani e internazionali di Stefania Monaco

Un altro brodetto è possibile! Basta con i pesci immersi nel pomodoro e stracotti dove non si riconosce più l’uno dall’altro. La CONFESERCENTI di Fano lavora già da 10 anni per la riqualificazione di questo piatto, affidandosi sia alla creatività di chef che ad una giuria tecnica capeggiata dall’infaticabile Enzo Vizzari, direttore delle Guide de L’ESPRESSO. Per la decima edizione il festival ha proposto uno show cooking al posto della gara. Grandi chef, vincitori delle precedenti edizioni, hanno riproposto i brodetti in abbinamento con vini marchigiani e internazionali. Il sommelier Otello Renzi e l’enologo Alberto Mazzoni dell’Istituto Marchigiano di Tutela Vini hanno condotto le degustazioni sia dei vini del territorio che dei vincitori della Selezione internazionale vini da pesce. La rivincita del brodetto dunque parte da Fano. Dieci anni di manifestazione, dedicata a questa pietanza antica di recupero, è riuscita a dare un nuovo volto e, soprattutto, un futuro a questo piatto che stava quasi scomparendo. Nato sulle barche che navigavano per alcune settimane alla ricerca del pesce, tutto quello che rimaneva impigliato nelle reti si immergeva in un bel concentrato di pomodoro e aceto. Insieme al brodetto in barca esisteva un’altra alleata, la Moretta, bevanda calda e ristoratrice, fatta di caffè, limone e alcool. Il punch dell’Adriatico per intenderci. Ma torniamo all’odierno brodetto. «Lo chef — dice M AURO

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ULIASSI — è un direttore d’orchestra, tutti i pesci rappresentano gli strumenti; se il brodetto è fatto a regola d’arte allora sì che verrà fuori l’armonia nel piatto». Le due versioni presenti all’edizione 2012 superano l’armonia per raggiungere note armoniche subliminali. Il mare in una bottiglia anzi in un vaso ermetico, da portare con sé. Uliassi, dinamico, porta occhiali

da sole scuri, «fa figo e non impegna» dice, e parte in quarta alla preparazione dei due brodetti insieme a MAURO PAOLINI, sous chef, da vent’anni con lui. «Non può più esistere un brodetto dove si pianta tutto in un padella sul fuoco con pomodoro e si mischiano tutti i sapori» sottolinea. Abbassa le temperature di cottura, mettendo il tutto nel vaso di vetro con un sugo ottenuto da scampi e acqua

Uliassi ha proposto ai suoi “aficionados” un brodetto racchiuso in un barattolo di vetro (ricetta che lo portò alla vittoria del Festival nel 2008) e una zuppa con fondo di nero di seppia con sentori di salsedine che i presenti hanno giudicato come uno dei migliori piatti assaggiati durante la kermesse.

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Wiki Brodetto

Mauro Uliassi dell’omonimo ristorante di Senigallia (AN). di vongole, a cui si aggiungono erbe aromatiche, pomodoro, aglio, lemon grass, basilico, scampetto, cozza, canocchia, vongole. Posto a freddo nella padella a fuoco basso, con cottura (dalla bollitura) di 8 minuti, ecco una piacevole zuppa in vetro di piccantezza gradevole, cottura ineccepibile, fondo di brodo grasso e confortevole e un finale freschissimo. Divertente da proporre al volo. Uliassi-Ulisse conduce la navigazione con un altro brodetto: scuro dal

Il brodetto di pesce (u’ bredette in termolese, broeto in Lingua veneta, el brudèt in fanese, lu vredòtte nel dialetto di Giulianova, lu vrudàtte in dialetto vastese, lu vrudètte in sambenedettese, Brudèt ad pès in romagnolo) è il piatto simbolo della cucina marinara dell’Adriatico, in particolare veneta, termolese (ricetta ufficiale sottoscritta da un notaio e registrata come “Brodetto diTornola” su iniziativa dell’Accademia Italiana della Cucina sezione di Termoli), marchigiana ed abruzzese. Nelle regioni tirreniche è d’uso la zuppa di pesce. Il brodetto è nato come piatto povero dei pescatori dell’Adriatico che utilizzavano quel pescato che era difficile da vendere a causa della sua bassa qualità o delle dimensioni dei pesci, troppo piccoli, i quali addirittura, quando il pesce era troppo poco, utilizzavano dei pezzi di scoglio con attaccate alghe e molluschi. Due regioni si contendono la paternità della ricetta: Romagna e Marche. Da questo derivano due scuole di pensiero vere e proprie: in Romagna non è brodetto senza la gallinella che nelle Marche è sostituita con il San Pietro. E come sempre ogni paese dell’Adriatico ha la sua piccola variante che non altera nella sostanza la ricetta base. Ha come caratteristica l’utilizzo di molte qualità di pesce, almeno nove/dieci: seppie, triglie, sogliole, palombo, rospo, pannocchie (in romagnolo “canocchie”), scorfano, merluzzo, frutti di mare, calamari, razze, gallinelle, San Pietro, vongole, granchi, cozze e tracine. Queste specie di pesce inoltre variano a seconda della stagione in cui si assapora il brodetto. (Fonte:Wikipedia)

fondo di coccio, rimanda alla pesca notturna, alla chiazza di petrolio in mare e nasconde un viaggio asiatico

andata e ritorno grazie al lemon grass alleato sicuro in termini di freschezza e di pulizia. Al palato

A sinistra: zuppetta chiara di pesce al profumo di lentischio e limone, burgul di cuscus in crosta di pane carasau preparata da Luigi Pomata dell’omonimo ristorante di Cagliari. A destra: lo chef Pomata.

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A sinistra: lo spaghetto di Albero Faccani, Ristorante Magnolia di Cesenatico (FC). A destra: lo chef Faccani. ha una consistenza come un brodo di carne, caramellato, si sente il calamaro alla griglia, e tutti brodetti che Uliassi prepara a parte, per poi unire in un armonia sabbiosa che si sposa con il candore del pesce, sapore scandito pezzo per pezzo adagiato su questo mare. Altro chef del brodetto delle meraviglie è ALBERTO FACCANI (37 anni, bolognese) del Magnolia di Cesenatico che tiene a precisare che la sua è una cucina giovane. Introduce con un ironico Spaghetto allo scoglio cotto e messo in fila, nel senso un filo dopo l’altro e sottovuoto. Un ottimo antipasto. Pesci integri all’interno con una buona esposizione sensoriale. Decisamente un perfetto benvenuto, piatto fresco, dolce preludio ad una buona tavola. Il Brodetto di Alberto (vincitore dell’edizione 2009)

è un raviolo! Triglie, code di rospo, mazzancolle passati a ragù, tutti i rimasugli fanno un fumetto; il brodetto è composto da un concentrato di pomodoro e brodo di estrazione di cozze, filtrato e lasciato lì per tre ore. Nasce così una sorta di riduzione di brodetto. Lo chef prepara un raviolone di pasta gialla elastica a base di tuorlo, siamo in Romagna! Adagia dentro dei pesci crudi battuti e conditi con sale, pepe e olio. Su tutto crostoni di pane a briciole. Al cibo da strada ci pensa LUIGI POMATA dell’omonimo ristorante di Cagliari (vincitore dell’edizione 2011) con un cannolo di pane carasau insieme a tartare di zuppa di pesce. Elegante e pratico da proporre anche come aperitivo. Incisiva la sua zuppetta chiara di pesce al profumo di lentischio, limone, bulgur di

cuscus in crosta di pane carasau. La zuppetta di pesce povero con tracina, gallinella, spigola e scorfano naturalmente squamato, eviscerato e deliscato. Con le spine prepara un brodetto con ghiaccio, schiumato. Aggiunge una nota mediterranea, l’incredibile olio di lentischio che viene venduto a 100 euro al litro, ricavato da una bacca, un tempo sostituto per i poveri dell’olio di oliva. Un piatto divertente e fragrante coperto dal carasau che custodisce all’interno del piatto tutti i profumi del brodetto. Tra gli chef locali FEDERICO DEL MONTE del ristorante Vicolo del Curato di Fano, allievo tra gli altri di Anthony Genovese del Pagliaccio, ha proposto uno dei brodetti più interessanti, il brodetto in baccalà. Stefania Monaco

Il Festival Internazionale del Brodetto e delle Zuppe di Pesce continua a rinnovarsi e a crescere in termini di numeri e di qualità: • oltre 100.000 le presenze — soprattutto dal Nord Italia ma anche dal Centro e dal Sud — durante le 4 giornate del Festival, giunto alla sua decima edizione; • 35 eventi proposti dal programma, 12 dei quali degustazioni di piatti di pesce; • 13 dirette di Decanter di Radio 2 seguitissime dal pubblico del Festival; • ben 30.000 porzioni di pesce vendute dai 6 ristoranti della “Spiaggia del Gusto”; • 6 cooking show; • oltre 60 gli espositori coinvolti con stand e prodotti tipici; • oltre 300 le persone impegnate nell’organizzazione. >> Link: www.festivalbrodetto.it

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Lo “Stone Crab Eating Contest” a Marathon, Florida Keys La tradizione della pesca al granchio e la gioia di mettersi alla prova nel gustare a sazietà questo prelibato crostaceo si uniranno a Marathon, nel cuore delle Florida Keys, il prossimo 20 ottobre, quando andrà in scena il secondo “Stone Crab Eating Contest”. Come ogni anno, il 15 ottobre si aprirà la stagione della pesca al granchio, che tradizionalmente si protrarrà fino al 15 di maggio 2013: alle Florida Keys, uno dei maggiori bacini di pesca per questa particolare specie di granchio, sono in vigore norme e regolamentazioni atte a salvaguardare la sopravvivenza della specie. Come afferma la Florida Fish and Wildlife Commission, il granchio, la cui carne è una delle pietanze più succulente della Florida, è una fonte di cibo rinnovabile: le chele, infatti, sono in grado di rigenerarsi una volta staccate dal corpo. Per questo alle Florida Keys i granchi pescati vengono privati di una sola chela e poi nuovamente liberati in mare: così facendo non viene intaccata la loro possibilità di nuotare e di procurarsi il cibo. Sono inoltre in vigore norme severe che limitano la quantità di granchi da pescare e che indicano le dimensioni minime delle chele, in modo da preservare gli esemplari più giovani. • Per maggiori informazioni su questo particolare contest visitare l’indirizzo www.keysfisheries.com/events • Per ulteriori informazioni sulle Florida Keys visitare il sito: www.fla-keys.co.uk • Pagina Facebook italiana ufficiale: http://www.facebook. com/florida.keys.key.west

Il granchio, la cui carne è una delle pietanze più succulente della Florida, è una fonte di cibo rinnovabile: le chele, infatti, sono in grado di rigenerarsi una volta staccate dal corpo.

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Fiere

Partenza anticipata per Mondo Pesca 2012 Per il terzo anno si svolgerà a CarraraFiere la rassegna dedicata ad un mercato nazionale che vuole avvicinare sempre più i produttori ai professionisti del mare e ha come obiettivo quello di far incontrare gli operatori della pesca sportiva con quelli della pesca professionale

Mondo Pesca, Salone delle attrezzature ed equipaggiamenti per la pesca professionale, sportiva, amatoriale e delle produzioni ittiche nazionali, giunto alla sua terza edizione, si svolgerà presso il moderno Quartiere Fieristico di Marina di Carrara dal 23 al 25 novembre prossimi. La location è ideale: posta al confine tra due regioni con un’alta densità di pescatori, Toscana e Liguria, è situata a soli 200 metri dal mare in modo da poter creare delle interessanti sinergie con il territorio circostante. Quest’anno la manifestazione si svolgerà un po’ in anticipo per via della concomitanza con le elezioni nazionali per il rinnovo delle cariche del quadriennio olimpico del CONI (indette per l’1 e il 2 dicembre) in cui sarà coinvolta anche la FIPSAS, partner nell’organizzazione degli eventi di Mondo Pesca. Dopo i positivi risultati dell’edizione 2011, che ha fatto registrare ben 13.165 visitatori, la terza edizione del salone dedicato esclusivamente alla pesca amatoriale e professionale, che ha ottenuto l’appoggio delle più significative associazioni di categoria, si prospetta come un appuntamento unico nel suo genere. Tra gli espositori in fiera segnaliamo cantieri nautici e concessionari che presenteranno le loro imbarcazioni da lavoro e per il diporto, produttori e rivenditori di motori marini, reti, cordami, abbigliamento tecnico, apparecchiature elettroniche, negozi di pesca con accessori e attrezzature per ogni tecnica di

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pesca, editoria specializzata, associazioni, club, aziende del turismo alieutico. La sezione gastronomica permetterà di riscoprire antiche ricette, imparare a pulire il pesce e degustare piatti preparati con pesci poveri, ma non per questo meno buoni, in modo da orientare il pubblico ad un consumo ittico consapevole. Durante le tre giornate di Mondo Pesca non mancheranno convegni ed incontri per approfondire tematiche ed argomenti di estrema importanza per il settore sfruttando il Salone come momento di riflessione, ma anche di confronto con le Istituzioni sulle esigenze di carattere normativo, tecnico o commerciale.

Infine, nelle vicinanze del complesso fieristico saranno allestiti campi di gara, tanto in riva al mare quanto al lago, mentre in fiera sarà possibile provare i simulatori di pesca, le canne nella vasca per le prove di lancio e assistere ad interessanti filmati e incontri con gli esperti di pesca. Mondo Pesca è organizzata da CarraraFiere con la collaborazione delle principali associazioni di categoria FEDERCOOPESCA, FEDERPESCA, Lega Pesca, AGCI Agrital, API, FIPSAS, con il patrocinio di Provincia di Massa Carrara, Comuni di Carrara e Massa, ARCI PESCA FISA e Cassa di Risparmio di Carrara.

A Mondo Pesca i pescatori protagonisti della tavola, in un’area dedicata alle degustazioni (foto: Mondo Pesca edizione 2011, www.mondopescaexpo.it).

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Mondo Pesca è anche… •

…Imparare giocando: una serie di attività didattiche rivolte ai più piccoli, per iniziare insieme un cammino nel rispetto del mare, fiumi, laghi e torrenti e dei loro abitanti. • …Mangiare gustando: gastronomia e ristorazione, con i pescatori protagonisti. Sapori e gusti salmastri in un reparto dedicato alle degustazioni dei piatti tipici di tutte le marinerie. • …Divertimento e passione: Mondo Pesca non è solo pesca professionale, ma anche una finestra affacciata sulla pesca sportiva, un hobby che coinvolge oltre un milione e mezzo di appassionati. A Mondo Pesca troverete i migliori esperti che illustreranno tutte le tecniche di pesca e negozi che presenteranno i loro articoli per tutti i tipi di pesca, sia in mare che in acqua dolce. Un appuntamento da non perdere, anche perché, a Mondo Pesca, sarà possibile fare acquisti ed usufruire di interessanti sconti ed offerte che i negozi offriranno agli appassionati. E poi ancora gare organizzate nel territorio circostante al complesso fieristico, convegni, didattica, scuole di pesca, incontri ed ovviamente prodotti e tante novità. Presso lo stand della FIPSAS, la Federazione dei Pescatori, sarà possibile giocare ed allenarsi con i simulatori di pesca, davvero divertentissimi. Informazioni Mondo Pesca Salone aperto al pubblico e agli operatori del settore Orario: 10-19 Ingresso: Via Maestri del Marmo, 5 Segreteria organizzativa: 0585 787963 E-mail: info@mondopescaexpo.it Web: www.mondopescaexpo.it www.carrarafiere.com

3° Salone delle attrezzature ed equipaggiamenti per la pesca professionale, sportiva e amatoriale e delle produzioni ittiche nazionali

23/25 Novembre 2012

Orario: Venerdì, Sabato e Domenica ore 10 -19 Ingresso: N° 5 Via Maestri del Marmo In collaborazione e con il patrocinio di:

IL PESCE, 5/12

Info: www.mondopescaexpo.it Tel. +39 0585 787963

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Dal 23 al 26 febbraio 2013 a Rimini Fiera

RHEX Rimini Horeca Expo: un nuovo format unico per la ristorazione e l’ospitalità RHEX salpa al servizio del mondo Horeca Dall’esperienza di SIA Guest e Sapore nasce a Rimini Fiera un nuovo progetto: sui tratta di RHEX Rimini Horeca Expo, che dal 23 al 26 febbraio 2013 presenterà innovazioni, soluzioni e tendenze per tutto il mondo della ristorazione e dell’ospitalità. Non la sommatoria di due manifestazioni, ma un progetto fieristico innovativo, una precisa risposta all’evoluzione internazionale dei mercati di riferimento che richiedono maggior concentrazione e appuntamenti aggreganti. L’innovazione non sarà contenuta solo nei prodotti presentati in anteprima dalle aziende, ma anche e soprattutto dal superamento della vetrina commerciale, con la costruzione di molteplici format dove contenitore, contenuto e innovazione di servizio sono letti nella loro valenza di soluzioni globali. L’evento sarà quindi un’occasione per presentare agli operatori nuovi modelli di business, format di locali facilmente replicabili, corsi di gestione manageriale per affrontare le sfide del mercato e dare risposta alle esigenze di consumo dell’immediato futuro. L’ittico in vetrina a MSE In questo contesto troverà spazio MSE, l’unica sezione espositiva italiana di business per il settore ittico. In vetrina tutto il prodotto nelle diverse presentazioni, dal fresco al surgelato, dai piatti pronti alle conserve, e inoltre tecnologie per la trasformazione, commercializzazione e

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trasporto del prodotto, associazioni di categoria e istituzioni, con ampio spazio per l’approfondimento di tematiche di natura istituzionale e scientifica. A Rimini le imprese avranno una più completa e numerosa platea di operatori: dal mondo dell’ospitalità a quello della ristorazione, dal mondo dei locali d’intrattenimento alla ristorazione collettiva, dai progettisti dell’ospitalità e dei luoghi di consumo fuori casa ai distributori, con iniziative e proposte mirate per ogni target.

Il progetto è pensato in un ambito d’intervento geografico internazionale: 500 buyers esteri incontreranno le aziende secondo un’agenda concordata prima dell’inizio della fiera. A rendere d’appeal il progetto anche il territorio riminese, in fiera e nel fuori salone, primo distretto nazionale dell’offerta e della domanda turistica, che da anni si distingue per essere concretamente innovativo e particolarmente dinamico in tutti i comparti dell’ospitalità e del leisure. >> Link: www.rhex.it

Dal 23 al 26 febbraio 2013, nel quartiere fieristico riminese, RHEX, acronimo di Rimini Horeca Expo, varerà un format unico sulle tendenze e i consumi del tempo “fuori casa”. Il nome del salone rimanda al leggendario passaggio del transatlantico immortalato da Federico Fellini nel film “Amarcord”.

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La pagina scientifica

Haliotis tuberculata (Linnaeus, 1758): aspetti biogeografici, patologici e igienico-sanitari di Sabrina Longo e Francesca Conte

Aspetti anatomici di Haliotis spp. I gasteropodi marini rappresentano circa il 2% dei molluschi pescati in tutto il mondo1. Diverse specie posseggono un elevato valore commerciale internazionale, svolgendo anche importanti ruoli sociali nella piccola pesca, in particolare Haliotis spp. (USA, Sudafrica, Australia e Nuova Zelanda). I gasteropodi marini sono prevalentemente bentonici e possono riscontrarsi in tutti i fondali, dalla fascia semi-sommersa alle maggiori profondità marine. Possono vivere a lungo; alcune specie anche dieci anni; solo i Nudibranchi (gasteropodi con branchie poste nella parte posteriore del corpo e una conchiglia molto ridotta o assente) e poche altre specie sembra non sopravvivano per più di un anno. Sono univalvi con conchiglia spiraliforme, patelliforme o ridotta (forme “nude”); sono provvisti di una cavità profonda sul lato destro o sulla parte anteriore del mantello; hanno una testa ben definita, piccola e appiattita, situata anteriormente al piede e dotata di due paia di tentacoli, uno anteriore e uno posteriore; in quest’ultimo caso, all’estremità sono presenti due occhi di colore blu, che sono sprovvisti di cornea e sono posti all’estremità di peduncoli ottici vicino ai tentacoli cefalici2 (Figura 2). Si muovono strisciando mediante un piede ben sviluppato e sono usualmente provvisti di radula (struttura retrattile utilizzata per la rimozione del cibo dal fondale); essa è presente nei gasteropodi marini, in quelli d’acqua dolce e terrestri. Il corpo è molle e produce muco; quest’ultimo è secreto dalla ghiandola ipobranchiale (o

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ghiandola del muco), che costituisce una regione specifica del mantello, posta attorno alle branchie, particolarmente sviluppata a sinistra della cavità palleale (Figura 4). Il muco ha la funzione di proteggere le branchie (o ctenidi) e di circondare il particolato rilasciato dall’ano e dai reni

nella cavità palleale. La sua quantità, prodotta nella camera branchiale, aumenta rapidamente in caso di stimoli irritativi esercitati contro il mollusco. Molte specie posseggono un opercolo ventrale con il quale chiudono la fessura della conchiglia. La specie più diffusa e conosciuta

Preparazione gastronomica con abalone.

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nel mondo è l’abalone rosso o californiano, Haliotis rufescens (SWAINSON, 1822), allevato in diversi paesi. La specie Haliotis discus hannai (INO, 1953) è molto pregiata sotto il profilo commerciale, probabilmente per la forte richiesta da parte dei paesi dell’Estremo Oriente. Haliotis spp. (LINNAEUS, 1758) è l’unico genere formalmente riconosciuto come appartenente alla famiglia Haliotidae 3, 4. Haliotis tuberculata lamellosa (Ht), comunemente noto come “orecchio di S. Pietro” o “orecchio di mare”, mollusco gasteropode monovalve, presenta una conchiglia ovale, molto simile a un padiglione auricolare, piuttosto robusta, ampia e depressa, che ricopre l’intero corpo. La conchiglia rappresenta la peculiarità della specie; la tipica scultura è costituita principalmente da una serie di cordoni paralleli al labbro interno e da strie di accrescimento, più o meno irregolari, che percorrono la superficie della conchiglia. Le strie, talvolta, possono trasformarsi in pieghe o creste trasversali, ondulate e lamellari. Nella parte posteriore, la superficie della conchiglia è spiraliforme e si presenta più stretta e rialzata; la tipica forma è dovuta alla particolare conformazione, nella parte anteriore, dell’ultimo giro della conchiglia, molto ampio e depresso. Ponendo il gasteropode su una superficie

piana, il lato più alto della conchiglia presenta alcuni fori, disposti in serie, che vengono utilizzati sia per le funzioni respiratorie che per quelle riproduttive ed escretorie; essi non costituiscono un carattere tassonomico (Figura 3). In genere, circa 7 o 8 fori sono aperti; durante la crescita del mollusco, nel senso della lunghezza, compaiono, nella parte anteriore del guscio, nuovi fori, mentre quelli della parte posteriore, progressivamente, sono chiusi da deposizioni marginali di sostanze calcaree. La superficie esterna si presenta più o meno rugosa, in base alla diversità della specie; la scultura può essere anche del tutto assente. La larghezza della conchiglia costituisce solo un quinto della lunghezza del mollusco e la sua estensione consente di coprire e proteggere il piede, anche quando esso è completamente disteso5, 6. L’opercolo, presente nello stadio larvale, manca nell’adulto. Il colore della superficie esterna della conchiglia può essere rossiccio, brunastro o verdastro, uniformandosi al colore delle alghe che vivono sulle rocce alle quali il mollusco aderisce tenacemente. La conchiglia è formata da quattro strati calcareoproteici sovrapposti. Quello esterno, o periostraco, è composto da materiale proteico corneo detto conchiolina. Gli strati interni sono costituiti da CaCO3; il primo strato calcareo è prismatico; il minerale è depositato

Bocca

Piede

Figura 1 – H. tuberculata in vista ventrale (da TRAVERS, 2008).

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in cristalli verticali, ciascuno avvolto da un’esile matrice proteica7, 8. I restanti strati calcarei interni sono deposti in lamine su di una sottile matrice organica. Le lamelle dello strato più interno sono parallele alla superficie esterna; tale disposizione è detta nacrea, che rende la superficie interna liscia e molto iridescente (madreperlacea)9. Il colore della conchiglia è determinato dai pigmenti presenti nel periostraco o negli strati calcarei. Essa si accresce per aggregazione di carbonato di calcio (CaCO3), a partire dal margine esterno del mantello verso quello interno. La costante differenza nel tasso di deposizione minerale, tra i margini interno ed esterno, è responsabile della caratteristica forma a spirale della conchiglia. Solitamente la crescita di questa non è costante in ambiente naturale; durante la vita del mollusco si assiste alla formazione di irregolarità nella scultura superficiale, dovute alle fasi di pausa nel ciclo di crescita10. Infatti, durante l’inverno, si osservano rallentamenti della crescita, connessi a una riduzione quantitativa di alghe nell’habitat del mollusco nonché al loro contenuto energetico. La fase di riproduzione, quando l’energia disponibile è utilizzata per la maturazione dei gameti più che per la crescita somatica, influisce sulla strutturazione esterna della conchiglia, sulla quale si formano gli anelli che permettono di risalire all’età dell’animale. Anche la densità e la temperatura dell’acqua in cui il mollusco vive eserciterebbero un effetto negativo sulla crescita11, 12. Il livello di crescita della conchiglia declina con l’avanzare dell’età che giunge a una lunghezza generalmente variabile fra i 30 e i 60 mm; solo eccezionalmente essa aumenta fino a 70-80 mm. Se un qualsiasi corpo estraneo, presente nell’ambiente acquatico, penetra nella cavità branchio-palleale, esso si dispone tra lo strato madreperlaceo e il bordo del mantello; intorno ad esso il mantello tende a depositare la madreperla (o ipostraco) per isolarlo dai restanti tessuti vitali. In tal modo, il corpo estraneo costituisce il punto di origine per la produzione di una perla che

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Tentacolo cefalico

Conchiglia

Epipodio

Figura 2 – H. tuberculata in vista dorsale (da TRAVERS, 2008). rappresenta una sorta di escrescenza o rigonfiamento dell’ipostraco. Il mollusco ha caratteri anatomici primitivi: due branchie, due atri cardiaci, due organi escretori, gli occhi a calice e il piede, grosso e muscoloso, quasi sempre nascosto, posto nella parte ventrale del gasteropode e fissato alla conchiglia tramite una colonna muscolare; esso non possiede cervello, né midollo spinale, e il sistema nervoso è limitato a pochi, grossi neuroni13 (Figura 4). Haliotis (H.) tuberculata ha un corpo di colore marrone o verdastro, con macchie più scure o più chiare, verdi o bianche. È provvisto di un paio di tentacoli laterali (visibili soltanto quando il gasteropode è in movimento) che formano una plica laterale, detta epipodio, ricca di papille, con funzione sensoriale; i tentacoli sono usualmente di colore verde13, 14, 2 (Figura 2). Il colore più scuro si concentra, usualmente, in aree situate tra le papille del piede, l’epipodio, e le labbra, fino alla bocca, nonché alle estremità del corpo (Figura 1). Le bande scure e chiare spesso si alternano sull’epipodio, conferendo a quest’ultimo un aspetto striato. La parte ventrale del piede (suola) si presenta di colore bianco giallastro o talvolta rosato. Il gasteropode è dotato di due muscoli retrattori che consentono ad esso di aderire al substrato su cui si adagia. Tali muscoli sono posti a ridosso della superficie interna della conchiglia e sono inseriti lateralmente sul piede (Figura 1). Il movimento dei gasteropodi avviene per la contrazione alternata dei muscoli del piede; la ghiandola

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podalica (anteriore e posteriore) produce il muco che consente alla suola di scivolare lungo le superfici sulle quali si spostano. Posteriormente al capo, tra il piede e la conchiglia, è situata la porzione viscerale, contenente la maggior parte degli organi interni. Il celoma è rappresentato dalla cavità pericardica, gonadiale e renale. Il pericardio può essere osservato immediatamente dopo l’ablazione della conchiglia e i battiti del cuore si individuano facilmente attraverso la cavità trasparente del celoma (da 27 a 36 battiti al minuto). La portata del flusso sanguigno è regolata dal pericardio ed è stata stimata intorno a 100-150 ml/kg/min in H. cracherodii (grazie all’utilizzo di microsfere radioattive), valore molto elevato rispetto ai mammiferi15 (Figura 4). In caso di pericolo, questo mollusco può celarsi in anfratti rocciosi, ma spesso fa affidamento sulla sua immobilità e sul suo mimetismo, dovuto alla presenza di alghe o spugne che spesso ricoprono la conchiglia; inoltre esso compie movimenti esclusivamente durante le ore notturne. Filogenesi La tassonomia della famiglia Haliotidae non è stata ancora chiarita in modo definitivo. Vi appartengono molluschi primitivi i cui sistemi e apparati risultano estremamente semplificati, tanto da essere ritenuti

un modello per lo studio dei vertebrati superiori. Per decenni è prevalsa l’ipotesi che i membri della famiglia Haliotidae possedessero un’evoluzione monofiletica, ossia discendente da un antenato comune. A tutt’oggi, oltre il testo di PILSBRY (1980), non si dispone di un trattato aggiornato sulle interrelazioni sistematiche del genere Haliotis16. Le prime pubblicazioni sulla tassonomia della famiglia Haliotidae risalgono a LINNEO (1758) e, grazie ai contributi di GEIGER (2000), è stato definito un elenco di 56 specie di abaloni che si basa su alcuni aspetti morfologici (forma e colore della conchiglia, presenza o assenza di una cicatrice muscolare, forma dei pori respiratori, tipo di radula, ecc…) e su indagini genetiche sperimentali17, 18. La quantità e il tipo di organismi epibionti che ornano la conchiglia sono molto variabili; nel passato ciò ha contribuito a un certo disorientamento che ha indotto a distinguere le specie in H. tuberculata e H. lamellosa; queste sono state ricondotte, successivamente, a due sottospecie di H. tuberculata; tale distinzione non è più valida17, 8. Di recente, a seguito dei contributi di PONDER e LINDBERG e di BOUCHET e ROCROI, la classificazione dei gasteropodi è stata revisionata; attualmente, gli Aliotidi appartengono alla sottoclasse Prosobranchia e all’ordine Vetigastropoda19, 20. Alla luce dei

Figura 3 – H. tuberculata in vista laterale (da TRAVERS, 2008).

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Pericardio/ cuore

Gonade Apice

Colonna muscolare Poro respiratorio

Ghiandola ipobranchiale

Mantello

Branchia destra

Figura 4 – Vista dorsale di una femmina (da TRAVERS, 2008). nuovi studi, la revisione tassonomica del genere tiene in considerazione, oltre che dei tradizionali caratteri morfologici, di elementi più dettagliati, quali la struttura della radula, dell’epipodio e la modalità con la quale l’informazione genetica viene trasmessa tra le varie specie19, 21, 22. Sulla base della classificazione sottoposta a revisione, la tassonomia di Haliotis spp. è la seguente: – phylum Mollusca (L INNAEUS , 1758) (PONDER W.E. e LINDBERG D.R., 1996)19; – classe Gastropoda (C UVIER , 1797); – subclasse Prosobranchia (MINLE EDWARDS, 1848); – superordine Archaeogastropoda (THIELE, 1925); – ordine Vetigastropoda (SALVINI, PLAWEN, HASZPRUNAR, 1980); – superfamiglia Pleurotomariacea (SWAINSON, 1840); – famiglia Haliotidae (RAFINESQUE, 1815); – genere Haliotis (LINNAEUS, 1758). Attualmente le specie di Aliotidi più comuni nel Mediterraneo sono: – Haliotis mykonosensis: ha come habitat il Mar Egeo (Corfù) con conchiglia per lo più simile a quella di H. tuberculata, con lunghezza di 25-40 mm; vive a circa 2-8 m di profondità23; – Haliotis pustulata cruenta: il

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suo habitat è il Mediterraneo sud-orientale (Israele); ha conchiglia di forma allungata, molto appiattita, lunga circa 30 mm24; Haliotis stomatiaeformis (REEVE, 1846): con habitat rappresentato dal Mediterraneo centrale (Catania); lunghezza 25.9 mm18; Haliotis coccinea: ha come habitat il Mediterraneo sud-occidentale; lunghezza massima 80 mm25; Haliotis rufescens: è considerata la specie più diffusa e conosciuta nel mondo. È molto pregiata sotto il profilo merceologico per le dimensioni e per il colore del corpo, di aspetto brillante; la lunghezza massima che può raggiungere è 28 cm; si distribuisce batimetricamente dalla zona intertidale bassa ad oltre 180 m, con una massima densità da 8 a 25 m e un range termico tra 7 e 16°C. È soggetta ad allevamento in aree che si estendono dall’Estremo Oriente alla California e dal Sud Africa all’Islanda26; Haliotis tuberculata (LINNAEUS, 1758): specie atlanto-mediterranea. Nel Mediterraneo è presente la specie H. lamellosa (LAMARCK, 1822); è molto apprezzata come prodotto di nicchia ed è quasi irreperibile sul mercato per la forte pressione di pesca cui soggiace. L’elevato valore

merceologico, unitamente alle qualità organolettiche e nutrizionali e l’assenza di impianti di acquacoltura ne giustificano lo studio finalizzato alla produzione di soggetti allevati in ambiente marino27. In alcune località della Sicilia viene denominata “patella reale”; nella zona catanese è nota con il singolare nome di “occhio di bue”. Questa specie presenta dimensioni più ridotte rispetto a quelle delle altre specie finora menzionate, ma è ugualmente molto apprezzata e richiesta. L’elevata richiesta di mercato di H. tuberculata lamellosa e la mancanza di impianti produttivi ha determinato un overfishing degli aliotidi, con un loro forte depauperamento, soprattutto lungo il litorale acese (da Capo Mulini a Pozzillo, attraversando Santa Maria la Scala e Santa Tecla, a 4 km da Catania) e catanese, i cui fondali duri ne costituiscono l’habitat ideale27. Distribuzione geografica e habitat L’abalone vive generalmente fino a 15 metri di profondità in “qualsiasi anfrattuosità situata a bassa profondità e dotata di pareti costituite di materiale duro” (ndr, rocce)28. In funzione della taglia del mollusco, si può osservare una stratificazione batimetrica; gli esemplari di minori dimensioni si dispongono preferenzialmente a basse profondità29, 30. È stata evidenziata una selettività dell’habitat, in relazione a rugosità e forma della roccia, all’esposizione a onde e correnti e alla competizione spaziale con altri erbivori. Ciò dimostra un’utilizzazione non casuale della risorsa spaziale; peraltro tale habitat fornisce un rifugio stabile e sicuro contro predatori e correnti marine30. Haliotis spp., organismo bentonico, aderendo alle rocce, predilige le coste esposte alle onde, nelle quali le macroalghe di cui si nutre formano comunità con crescita rigogliosa. La natura fisica del fondo marino nel quale vivono gli abaloni ha un importante ruolo per la sopravvivenza; ma la loro peculiarità, quali organismi sciafili, è quella di

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(REEVE, 1846), tipica dell’Atlantico tropicale; mentre sembra accertata la presenza di H. tuberculata marmorata (LINNAEUS, 1758), tipico della fauna senegalese, simpatrica con H. tuberculata, presente nelle acque meridionali e coste ioniche della Sicilia36, 12. H. stomatiaeformis (REEVE, 1846) è ritenuta endemica in Sicilia; per due specie indo-pacifiche, H. asinina (LINNAEUS, 1758) e H. pustulata (REEVE, 1846) non è certa l’effettiva acclimatazione nel Mediterraneo.

Figura 5 – Distribuzione geografica delle diverse specie di Haliotis (H. tuberculata tuberculata, H. tuberculata coccidea, H. stomatiaeformis, H. pustulata) lungo le coste europee e nordafricane (da HUCHETTE S. e CLAVIER J., 2004). ricercare anfratti ben riparati, soprattutto dalla luce. I principali predatori naturali di Haliotis tuberculata sono echinodermi, come Asterias rubens (stella marina) e Marthasteria glacialis (stella marina spinosa); crostacei, come Portunus puber (granchio) e Cancer pagurus (granciporro); cefalopodi, come Octopus vulgaris (polpo); alcuni pesci, quali pesci bavosa (genere Blennius), branzini (Dicentrarchus labrax), gronghi (Conger conger) o razze (genere Raja), ma anche uccelli marini, come gabbiani e soprattutto ostrichieri (Haematopus ostralegus). Gli individui più giovani di Haliotis spp. sono più vulnerabili ai predatori, in particolare se ricoperti da massive quantità di policheti e spugne perforanti, in quanto la resistenza della conchiglia è compromessa. La tolleranza alla temperatura dell’acqua varia da un minimo di circa 8°-9°C (Isole della Manica) a un massimo di 25°-28°C (stagione estiva nel Mediterraneo); l’optimum si aggira intorno ai 18°C26. La salinità delle acque in cui vive l’abalone mediterraneo si mantiene entro il 35-39‰, ma si è notato che esso vive anche a valori inferiori, con pH dell’ambiente marino tra 7,5 e 8,5. Le postlarve e gli stadi

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giovanili sono organismi bentonici (meno di 5 mm di lunghezza), che vivono generalmente tra le alghe incrostanti, in quanto queste costituiscono una fonte di alimento e un rifugio contro i predatori; difatti tali alghe sono dotate di concavità nelle quali i “piccoli abaloni” vi si mimetizzano31. Al contrario, gli abaloni adulti (lunghezza 150-200 mm) richiedono superfici per lo più regolari e pianeggianti. La specie europea, Haliotis tuberculata, è presente in tutto il Mediterraneo: nelle coste di Egitto, Israele, Libano, Siria, Cipro e Mar Egeo nel bacino del Mediterraneo occidentale (aree settentrionali e centrali), si trova in Nord Africa e nel Mare di Alboran32, 33. Il range geografico comprende anche le Isole ad ovest del Canale della Manica, nella parte più settentrionale delle coste della Francia, fino alle Isole Canarie, alle Isole di Capo Verde, alle Azzorre e alle coste dell’Africa occidentale (Mauritania e Senegal)34. In Italia è presente solo nella costa orientale della Sicilia, dove viene pescata in tarda primavera e in estate30 (Figura 5). Nel Mediterraneo, oltre a H. tuberculata tuberculata e al tipo geografico H. tuberculata lamellosa, esistono segnalazioni dubbie di H. tuberculata coccinea

Riproduzione Haliotis ha sessi separati (dioici), ad eccezione dei casi isolati di ermafroditismo, documentati per H. gigantea, H. tuberculata e H. fulgens37, 38, 39, 40. In natura la sex ratio corrisponde a circa 1:141. Il colore delle gonadi immature è grigiastro, simile al colore della ghiandola digestiva. In organismi sessualmente maturi, il sesso è determinato in base al colore della gonade: nei maschi essa è bianca tendente al giallo e nelle femmine è verde oliva42, 43 (Figura 4). La stagione riproduttiva varia da specie a specie; generalmente essa fa il suo esordio a inizio autunno e termina alla fine della stagione invernale. Gli organismi sessualmente maturi depongono le uova una volta l’anno, sebbene possano verificarsi anche due periodi di deposizione; talora, alcune specie possono deporre le uova durante tutto l’anno, come nel caso di Haliotis rufescens38. Secondo quanto riportato da BELHSEN (2000), il ciclo riproduttivo dell’abalone è influenzato da quattro fattori: 1) fotoperiodo, che agisce sull’avvio della gametogenesi; 2) temperatura dell’acqua, che determina la velocità di sviluppo delle gonadi; 3) disponibilità di alimento, fonte di energia per il mollusco; 4) fattori ormonali, che consentono la sincronizzazione della deposizione44. Affinché si realizzi la fecondazione è necessaria una certa densità di molluschi che assicuri una concentrazione minima di gameti nell’acqua. La deposizione delle uova avviene in maniera sincrona, a completa maturità sessuale, ed è in-

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Alimentazione Gli abaloni sono organismi apparentemente inattivi durante le ore di luce, quando rimangono celati nel loro habitat. Come in parte già accennato, quando l’ambiente si oscura, gli aliotidi fuoriescono dagli anfratti fino all’alba, per la ricerca di cibo. I movimenti notturni sono consentiti da cellule chemio recettrici poste sui tentacoli cefalici, grazie alle quali tali organismi si orientano ed esplorano l’ambiente circostante (Figura 2). Haliotis tuberculata (Ht) è una specie erbivora macrofaga; l’alimentazione si modifica durante le varie fasi del ciclo vitale e, in relazione a ciò, il tipo di ambiente in cui vive varierà necessariamente. Le larve trocofora e veliger sono planctoniche; le riserve vitelline sono sufficienti per coprire i fabbisogni

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mollusco inizia a maturare sessualmente, ossia a 2 anni di età (4-6 cm di lunghezza), come un pre-adulto; questo è considerato adulto da 3 a 4 anni (lunghezza 8-10 cm).

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veliger che completa il suo sviluppo in 4-15 giorni. Ha così inizio un periodo di esplorazione del fondo marino per l’individuazione del substrato più adeguato alla fissazione della larva e, in seguito, per la sua metamorfosi, quando diviene postlarva. A distanza di 40-60 giorni dalla metamorfosi inizia lo stadio giovanile. La prima conchiglia, o protoconchiglia, si forma durante la fase planctonica e la struttura minerale è diversa da quella della conchiglia46. La metamorfosi sembra essere condizionata da sostanze chimiche, quale il GABA (acido gamma-aminobutirrico) prodotto dalle alghe rosse e presente anche nelle tracce mucose rilasciate da altri abaloni in fase di movimento47. Durante i primi mesi l’organismo aumenta il livello di crescita, acquisisce abitudini notturne e migliora la capacità di spostamento. Aumenta rapidamente il consumo di cibo e, gradualmente, il tipo di dieta, prima costituita da microalghe, sarà composta da macroalghe. La fase giovanile termina quando il

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dotta da una modificazione della temperatura dell’acqua, comunemente dovuta alla mancanza del termoclino (intervallo di profondità nel quale la temperatura subisce un rapido cambiamento, ovvero presenta una variazione del “gradiente”); usualmente la deposizione avviene all’alba o al tramonto; essa è completa dopo 2-4 ore, mentre l’eiaculazione può durare fino a 2 giorni. Rilasciati in acqua, gli spermatozoi diventano mobili per un periodo dipendente dalla temperatura dell’acqua. I gameti maturi raggiungono la cavità palleale e sono immessi nell’ambiente attraverso i pori della conchiglia. La fecondazione avviene nell’ambiente naturale (fecondazione esterna). Raggiunto il diametro di 0,2 mm, le uova fecondate si schiudono e, dopo circa 20 ore, si ha fuoriuscita di una larva, detta trocofora, che ha vita planctonica; essa, attratta dalla luce, nuota in prossimità della superficie acquea45. Dopo il primo anno di vita, si trasforma, in un giorno, in una larva

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energetici48. La specie è strettamente infralitorale, probabilmente in rapporto all’alimentazione litofaga, e il suo range batimetrico ottimale varia intorno a 5-10 m, sebbene si possa ritrovare già alla profondità di 0,5 m e fino a 40 m circa. I giovani esemplari hanno una radula meno specializzata e non possiedono una flora batterica intestinale che permetta la digestione di alcuni alimenti, in particolare alginati, laminarine, agar, carragenani e cellulosa48, 36. In quest’ambito gioca un ruolo importante Vibrio halioticoli che costituisce il 45-60% della flora intestinale trasformando gli alginati in acido acetico49, 50. La fase postlarvale o spat coincide con l’inizio della fase bentonica, di adesione al substrato duro, e con il cambiamento del tipo di alimentazione. Le postlarve e i soggetti allo stadio giovanile, di lunghezza inferiore a 5 mm, si alimentano di macroalghe, diatomee e materiale organico51. L’alimentazione è costituita da alghe rosse, quali Palmaria palmata, Griffithsia spp. e Cystoseira spp., e alghe verdi comuni, quali Ulva lactuca, Enteromorpha intestinalis e Laminaria spp.52 Quando gli abaloni raggiungono la lunghezza di circa 10 mm si nutrono esclusivamente di macroalghe42. Secondo alcuni autori, tali molluschi presentano il fenomeno dell’homing, ossia necessitano di occupare ripetutamente lo stesso luogo, permanendovi anche per molte ore, visto che si spostano in ambiente buio53, 38. Il movimento dell’acqua rappresenta, apparentemente, un fattore molto importante che influisce sulla quantità di alimento che un abalone ha la capacità di ingerire54. Tali gasteropodi, pertanto, sono caratterizzati da due tipi di comportamenti alimentari: assumendo una posizione “passiva”, sollevano la parte anteriore della conchiglia e del piede, estendono i tentacoli e captano le alghe; le macroalghe, quindi, sono spostate verso il basso mediante il piede e sono ingerite rapidamente; in alternativa, gli abaloni possono spostarsi alla ricerca dell’alimento, nutrendosi con modalità “attiva”. Talvolta si alimentano sul fondo roccioso nel quale dimorano, inge-

IL PESCE, 5/12

rendo piccoli animali, quali idrozoi, copepodi, foraminiferi e briozoi. Possono, però, incamerare anche frammenti di conchiglie, spicole di spugne e sabbia38. La qualità e la quantità di alimento disponibile, la stagionalità, la zona e l’età sono in relazione con l’entità della crescita di Haliotis spp.55 Allevamento e commercializzazione Nel mercato mondiale, la domanda di abaloni deriva prevalentemente dal settore alimentare, sebbene anche l’utilizzazione della madreperla della conchiglia abbia un ampio spazio in ambito commerciale. Tale domanda viene sostenuta dai numerosi impianti di molluschicoltura realizzati in varie parti del mondo. Solo alcune specie di abaloni si sono ambientate negli impianti di acquacoltura, grazie a specifiche caratteristiche di adattabilità, alla taglia apprezzabile; inoltre, l’incremento ponderale relativamente rapido, permette di raggiungere la taglia commerciale in minor tempo rispetto alle specie più piccole56. Attualmente la produzione mondiale di abaloni ammonta a circa 40.000 tonnellate e la Cina ne è il principale produttore in allevamenti di tipo intensivo, sebbene il Giappone sia considerato il pioniere dell’allevamento del gasteropode. Dopo aver utilizzato quasi totalmente gli stock naturali, la Cina ha avviato un programma di ripopolamento e produce, in nursery governative, soggetti giovanili che vengono ceduti a cooperative di pescatori; anche per tale ragione la concorrenza della Cina nella produzione dell’abalone è difficilmente fronteggiabile da parte degli altri paesi. Oggi vengono allevate 15 diverse specie di abaloni per il consumo umano; Haliotis discus hannai e Haliotis rubra costituiscono oggetto di allevamento in ambito mondiale. Haliotis tuberculata rappresenta una risorsa del mare, naturale e vivente, pertanto rinnovabile, ma al contempo, se non correttamente gestita, esauribile. L’Islanda è l’unico paese dal quale è concessa l’importazione dell’abalone allevato, previa autorizzazione del Ministero

della Salute, per scopi di ricerca scientifica. Alla fine degli anni Novanta tale paese ha realizzato un allevamento pilota sperimentale di abalone; oggi esso possiede due allevamenti produttivi già affermati sul mercato internazionale. Gli abaloni allevati vengono venduti vivi, sono spediti verso i paesi esteri per via aerea, in sacchi contenenti ossigeno, privi di acqua, a loro volta posti in contenitori monouso di polistirene espanso. Possono anche essere surgelati o congelati vivi, con o senza conchiglia; in alternativa possono essere inscatolati in contenitori metallici, unitamente a un liquido di governo, e commercializzati come tali. L’abalone con guscio (fresco o congelato) può essere posto in sacchetti di plastica sottovuoto, con o senza gel a base di alginato quale conservante. L’imballaggio è costituito da un contenitore di polistirene con tasche di ghiaccio sintetico per garantirne il mantenimento. L’acquacoltura permette di rifornire il mercato di esemplari di minori dimensioni, quindi più facilmente utilizzabili. Tra questi, si annoverano le due diverse specie presenti nel Mediterraneo H. tuberculata e H. lamellosa, usualmente pescate durante i mesi estivi, che vengono considerate un alimento raffinatissimo. Il mercato mondiale, concentrato in Estremo Oriente, invece, fornisce soggetti con guscio di taglia compresa fra 5 e 10 cm. Sono commercializzati tre calibri: cocktail (15 g), medi (25 g), grossi (40-50 g). In Cina, la madreperla della conchiglia è utilizzata per l’intarsio di mobili e per la produzione di gioielli e bottoni. Il piede dei gasteropodi ha ottime caratteristiche organolettiche e raggiunge notevoli dimensioni. Questa porzione rappresenta approssimativamente un terzo del peso totale del gasteropode; la restante parte è rappresentata da visceri, fluidi corporei e conchiglia. Il prodotto cinese è venduto surgelato o in conserva e mal si adegua alle richieste del mercato europeo e giapponese. In Italia e in altri paesi europei, in genere, si possono reperire sur-

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gelati, oppure inscatolati e destinati a ristoranti e spacci di vendita che trattano specialità orientali. Per l’abalone rosso (Haliotis rufescens), quale specie alloctona, attualmente non è consentita l’introduzione di animali vivi nel territorio italiano e ne è vietata anche la commercializzazione, come prodotto fresco, per il consumo umano. Di fatto, viene considerato alla stessa stregua dei molluschi eduli filtratori, sebbene non lo sia, e le limitazioni sono dovute sia all’immissione di altre specie alloctone che all’eventualità che essi costituiscano un potenziale veicolo di patogeni. La somministrazione di alimento artificiale e le tecniche di allevamento a terra sembrano, infatti, influenzare negativamente le proprietà organolettiche dell’abalone, anche se permettono di aumentarne la produzione28. Patologie A livello mondiale sono note più di 200 patologie che rivestono importanza sanitaria per gli impianti di acquacoltura. Gli abaloni possono essere colpiti da patogeni di varia natura: agenti metazoi, protozoi, batteri e virus. La maggior parte degli agenti eziologici è presente in determinate aree e colpisce in prevalenza le specie più sensibili. Tuttavia, anche in presenza dell’agente eziologico e dell’ospite recettivo, la malattia sembra svilupparsi solo in condizioni ambientali che ne favoriscono l’insorgenza. L’Office International des Épizooties (OIE) o World Organization for Animal Health ha formulato una lista delle principali patologie ittiche di particolare importanza in ambito internazionale. Vi sono state incluse alcune malattie degli aliotidi, quali le infezioni da Perkinsus olseni, da Xenohaliotis californiensis e da Herpes virus. Le malattie degli organismi acquatici sono comprese nell’elenco della Lista B dell’OIE, che include le malattie trasmissibili considerate importanti sotto il profilo socio-economico, per la salute pubblica e/o per gli scambi commerciali internazionali. La notifica delle patologie della Lista B da parte dei paesi aderenti all’OIE è annuale, ma gli Stati

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Membri sono invitati ugualmente a dare comunicazione qualora siano in corso focolai epidemici dannosi per altre aree o specie indenni57. Agenti virali e batterici Tra gli agenti virali, l’Herpes virus è causa di mortalità rapide e importanti in H. diversicolor, H. laevigata, H. rubra e i loro ibridi; è inserito nella lista OIE58. Il virus colpisce il sistema nervoso e le branchie; gli esemplari giovani sono più sensibili ad esso. Macroscopicamente si osserva protrusione della radula, dilatazione della zona buccale e perdita di tono muscolare. La mortalità dei soggetti può raggiungere il 70-80%; Haliotis tuberculata si dimostrerebbe refrattario al virus59. Tra le patologie più frequenti in tali organismi possono essere annoverate anche infestioni da sabellidi policheti della conchiglia, infestioni da ciliati in vari tratti del tubo digerente, rickettsiosi intestinale, necrosi batterica del mantello, trematodosi del piede. Alcuni protozoi ciliati colpiscono vari tratti dell’apparato digerente, in particolare esofago e intestino. I ciliati inducono modica atrofia della mucosa, sebbene possano provocare effetti a lungo termine, come la sindrome da malassorbimento. Tra patologie più comuni di tali gasteropodi si cita la sindrome da disseccamento degli abaloni (Withering syndrome of abalone o Abalone rickettsiosis). Anch’essa è inserita nella lista dell’OIE; dagli anni ‘80, essa è stata la causa di gravi episodi di mortalità in ambiente naturale e in allevamento60. La malattia è stata segnalata per la prima volta nel 1986 nelle Channel Islands o Santa Barbara Islands (USA). È causata da Candidatus xenohaliotis californiensis, microrganismo appartenente alla famiglia Rickettsiaceae. Colpisce tutte le specie di Haliotis sia di allevamento che selvatiche. L’abalone nero (Haliotis cracherodii) risulta essere la specie più sensibile, con picchi di mortalità fino al 99%, tanto da essere in via di estinzione. Nell’abalone rosso (Haliotis rufescens) la mortalità è solo del 30% dei soggetti colpiti. Sono state osservate infezioni anche in H. corrugata, H.

rufescens, H. fulgens, H. sorenseni e H. tuberculata, correlate ad aumenti della temperatura dell’acqua61. L’incidenza è molto elevata, ma lo stato di malattia si manifesta solo quando la temperatura dell’acqua più elevata si associa ad altri fattori ambientali predisponenti. Candidatus xenohaliotis californiensis colpisce le cellule dell’epitelio gastrointestinale dell’ospite e la ghiandola digestiva, ostacolando la produzione di enzimi digestivi. Il mollusco non si alimenta, esaurisce le proprie riserve di glicogeno e utilizza il muscolo del piede come fonte di energia che si atrofizza; ciò riduce la capacità del gasteropode di aderire alle rocce e si rende vulnerabile all’attacco dei predatori62. Tra gli agenti batterici si annovera Vibrio spp. È presente nei sedimenti marini e colonizza ogni tipo di substrato; ha una distribuzione geografica globale, dalle zone tropicali a quelle temperate. Vibrio (V) alginolyticus è stato isolato da larve veliger e da postlarve di H. rufescens in Messico63. Dopo l’infezione, le larve divengono immobili, sedimentano e la mortalità raggiunge il 95% in 48 ore. Il patogeno è stato segnalato in Cina anche in esemplari di 10-14 giorni di età64. Le vibriosi si manifestano principalmente con la presenza di macchie chiare a livello degli organi e da una mortalità che raggiunge il 60%59. Le lesioni causate da V. alginolyticus, quali ascessi, ulcere del mantello e perdita importante di peso, sono state riprodotte sperimentalmente dopo inoculazione dei batteri in Haliotis. La patologia si aggrava con l’incremento della temperatura: a 18°C in due giorni la DL50 è di 1,5x106 UFC/g, mentre a 30°C è di 6,2x10 UFC/g. Infatti è stato dimostrato che la patologia da Vibrio si manifesta solo a temperature dell’acqua superiori a 18°C65. Altre specie di vibrioni sono state isolate da abaloni moribondi: V. parahaemolyticus in H. diversicolor, V. fluvialis in H. discus hannai, V. tubiashii, V. anguillarum e V. splendidus in H. rubra66, 67, 68. In H. tuberculata gli episodi di mortalità sono stati attribuiti, per lo più, a V. harveyi (sinonimo di V. carchariae), isolato in Giappone, Taiwan, Cina e

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Francia, e considerato come agente causale di mortalità di massa69. V. harveyi rappresenta il patogeno più temibile per H. tuberculata. Più di recente, Shewanella alga e Klebsiella oxytoca sono state descritte in Cina come agenti causali di mortalità di massa in postlarve; la patogenicità di tali specie batteriche è stata confermata in corso di infezioni sperimentali70. Anellidi policheti Negli ultimi anni, parallelamente al crescente sviluppo delle attività produttive di Haliotis spp., sono state invece condotte numerose ricerche specifiche sugli anellidi policheti che ledono la conchiglia degli abaloni; tali studi hanno confermato la gravità dei problemi causati da questi invertebrati. I policheti sono virtualmente presenti in tutti gli habitat marini, inclusi i sistemi costieri estuarini e rocciosi, le aree costiere continentali, le comunità bentoniche di profondità e, in taluni casi, anche alcune varietà pelagiche. Si riscontrano soprattutto nelle zone estuarine e intertidali, la cui variabilità ambientale ne ha promosso una rapida speciazione con adattamenti ecologici59. Sebbene fin dagli anni ‘70 BLAKE e EVANS (1972) abbiano evidenziato come alcuni policheti spionidi fossero in grado di scavare tragitti nella conchiglia dell’abalone allevato e, successivamente, alcune segnalazioni abbiano riguardato abaloni selvatici, solo nella seconda metà degli anni ‘90 sono state descritte anche infestazioni sostenute da policheti sabellidi71, 72, 73. Le infestazioni causate da tali organismi perforanti, malgrado non siano causa di una mortalità diretta, rappresentano uno dei principali problemi per l’allevamento e la commercializzazione degli abaloni. L’invasione da parte di sabellidi policheti, appartenenti alla specie Tetrasabella heterouncinata, sarebbe limitata alla conchiglia. In tal caso, nelle porzioni laterali della sua superficie interna si riscontrano tragitti, solitamente ad andamento parallelo, rivolti verso l’esterno. Il danno riferibile a questi parassiti è rappresentato da fessurazioni

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della conchiglia che, talora, appare anche deforme. LLEONART et al. (2003) hanno descritto nel dettaglio alcune infestazioni da policheti spionidi, riferibili a Boccardia knoxi e Polydora hoplura, in abaloni allevati in impianti a terra in Tasmania. In tal caso la conchiglia può essere colpita dalle lesioni fino al 30% della sua estensione, con una mortalità cumulativa del 50% dei soggetti. Infatti, i policheti sono visibili attraverso la madreperla; le cavità da essi causate sono riparate dagli abaloni con un sottile strato di conchiglia, con formazione dei cosiddetti blister. I policheti sviluppano un odore nauseabondo, rendendo invendibile il prodotto74. Alcune specie del genere Polydora e Boccardia sono anche in grado di scavare tragitti; il mollusco reagisce con formazione di bolle ripiene di materiale sabbioso, o mud blisters; queste ultime possono formarsi anche nella conchiglia di ostriche, mitili e capesante. A seguito dell’infestazione, soprattutto in presenza di lesioni estese, la conchiglia può subire la perdita di parti della stessa59. Anche gli esemplari di grandi dimensioni, colpiti da poriferi perforanti o ricoperti da cirripedi (crostacei marini entomostraci), presentano un’infestazione da policheti che ha minore gravità. Ciò potrebbe essere la conseguenza della competizione tra i policheti e i cirripedi, atta a guadagnare spazio sulla superficie della conchiglia. I poriferi causano lesioni della conchiglia poco visibili dall’esterno (piccolissimi fori sulla parte dorsale), ma il porifero si sviluppa nello spessore della conchiglia, rendendola porosa e fragile. Come per i policheti, la zona principalmente colpita è prossima all’apice, dove la quantità di carbonato di calcio è maggiore e la conchiglia è più spessa; gli esemplari più giovani non risultano essere infestati (Figura 3). Da un punto di vista sanitario questa problematica è da tenere in debita considerazione in quanto la presenza di un singolo porifero provoca lesioni molto più ampie rispetto a quelle causate da policheti e i parassiti possono raggiungere dimensioni ragguardevoli (> 4 cm).

Infine, negli abaloni allevati si ritrovano spesso i predatori naturali che frantumano la conchiglia di un individuo a seguito di un’infestione massiva. In maricoltura l’incidenza delle infestioni da parassiti è più accentuata rispetto a quanto segnalato per l’allevamento a terra, sebbene nella policoltura si evidenzino percentuali d’infestazione maggiori. In questa situazione anche la crescita degli abaloni può essere compromessa59. Cenni sui criteri di freschezza e vitalità L’esame dei gasteropodi vivi fa emergere un odore di salso e la conchiglia risulta integra e priva di sudiciume. La vitalità si verifica attraverso la reazione agli stimoli: se toccato, il corpo si ritrae all’interno della conchiglia ed è fortemente adeso ad essa. All’aspersione con sale grosso, gli individui vivi reagiscono con movimenti apprezzabili. Nei molluschi non vitali il corpo si distacca facilmente dalla conchiglia e le carni risultano asciutte e opache; possono essere presenti odori sgradevoli (ammoniacali, solforosi)75. Aspetti normativi Le disposizioni legislative su tali gasteropodi marini riguardano, per lo più, gli aspetti igienico-sanitari. Il Regolamento (CE) 853/2004, tra le definizioni di “prodotti d’origine animale”, cita i “gasteropodi marini vivi destinati al consumo umano”. La norma assimila gli abaloni ai bivalvi, ad eccezione per l’obbligo di depurazione, trattamento considerato solo per i molluschi filtratori. Inoltre, la sezione dei molluschi bivalvi vivi si applica anche ai gasteropodi marini vivi, agli echinodermi e ai tunicati. Il Reg. (CE) 854/2004, all’articolo 6, indica che gli Stati Membri assicurano che la produzione e la commercializzazione di molluschi bivalvi vivi, echinodermi vivi, tunicati vivi e gasteropodi marini vivi siano soggetti a controlli ufficiali. Tale norma si applica ai molluschi bivalvi vivi e, per analogia, ai gasteropodi marini vivi, agli echinodermi vivi e ai tunicati vivi. Di fatto, le disposizioni si applicano al controllo dei molluschi

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bivalvi vivi. Ciò, tacitamente, conferirebbe all’autorità competente una certa discrezionalità riguardo i controlli ufficiali, riferibili a tali gasteropodi. Il Reg. (CE) 2073/2005 definisce i criteri microbiologici ai fini del controllo igienico-sanitario anche dei gasteropodi vivi. Per i “molluschi bivalvi vivi ed echinodermi, tunicati e gasteropodi vivi”, tra i “criteri di sicurezza alimentare”, tale Regolamento inserisce Salmonella. Il piano di campionamento indica che il campione sia costituito da 5 unità; ne stabilisce l’assenza in 25 g di prodotto, per i “prodotti immessi sul mercato durante il loro periodo di conservabilità”. Il risultato è soddisfacente in assenza del batterio; è insoddisfacente, se si rileva la presenza del batterio in una delle unità campionarie. Per ciò che concerne E. coli, utilizzato come indicatore di contaminazione fecale, esso non deve superare il limite di 230 MPN/100 g di carne e liquido intravalvare; il piano di campionamento prevede un solo campione aggregato, costituito da almeno 10 esemplari e i limiti si riferiscono a tale campione. Anche per tale criterio è prevista l’applicazione ai “prodotti immessi sul mercato durante il loro periodo di conservabilità”.

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Conclusioni A conclusione di questa breve rassegna, emerge una considerazione: Haliotis tubercolata è considerata una specie “innovativa”, per la quale è ancora necessario un potenziamento degli studi e delle ricerche sperimentali. Gli approfondimenti scientifici potranno rappresentare gli elementi chiave per la tutela della biodiversità per specie che sono esposte a un forte calo delle loro comunità o che rischiano di estinguersi. La priorità per la tutela di tali risorse marine è rappresentata, altresì, da efficaci strategie per mitigare questi fenomeni. Sabrina Longo Francesca Conte Facoltà di Medicina Veterinaria, Messina Corresponding author: E-mail: slongo@unime.it

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Gestione della popolazione di persico reale (Perca fluviatilis) nel lago di Varese di Marco Saroglia, Pietro Ceccuzzi, Micaela Antonini e Genciana Terova

Parte V 4. ALLEVAMENTO DEL PERSICO Data la necessità di intervenire con semine di persico autoctone nel lago di Varese, al fine di ricostituire lo stock di persico reale e di consentire un proseguimento con successo delle attività di pesca, verranno di seguito esaminate possibili tecniche e protocolli adottabili al fine di produrre materiale adatto al reclutamento. 4.1 Riproduzione controllata e schiusa delle larve Già precedentemente all’avvio del progetto PERLAVAR, era stato costituito un primo stock di riproduttori con 87 femmine e 66 maschi, mantenuto in cattività. I riproduttori sono stati stabulati in una vasca da 3 m3 presso l’incubatoio dell’APD Tinella di Groppello di Gavirate (Varese), in modo da poter ottenere nastri ovarici fecondati nelle stagioni successive. A partire dal 2007, nel corso della stagione riproduttiva, sono state posizionate sul fondo della vasca alcune fascine di legna, in modo tale da poter ricreare le condizioni ideali per la deposizione delle uova (Figura 1). Nel complesso, in 4 stagioni riproduttive successive, sono stati deposti e prelevati dalla vasca 322 nastri ovarici, equivalenti a circa 3.800.000 uova. La percentuale di fecondazione osservata è stata compresa tra il 50 e il 70%, inferiore rispetto a quella ottenuta in ambiente naturale (8090%). Ciò potrebbe essere dovuto a

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due principali fattori: carenze nutrizionali nella dieta dei riproduttori, non disponendo ancora di mangimi speciali per il persico, o errori di manipolazione e stress provocati sui riproduttori stessi. La maggior parte dei nastri sono stati mantenuti in impianto fino all’ottenimento della schiusa delle larve. Solo nel 2010, a causa della grande produzione ottenuta, per i limitati spazi a disposizione, parte dei nastri è stata immessa direttamente in lago. Come mostrato in Figura 4.2, i nastri, una volta deposti, sono stati posizionati all’interno di truogoli oppure in vasi Zug per le fasi di embrionatura e di schiusa. La temperatura dell’acqua è stata misurata ogni 2 giorni e il tempo di

incubazione delle uova è stato riportato in gradi giorno (GG): GG = tempo di incubazione (gg) . . temperatura (°C) In media le uova di persico schiudono in 90-110 GG, ad una temperatura di 11°C; con l’aumento della temperatura (> 14°C), il tempo di schiusa si riduce a 70-80 GG. Come si può osservare dalla Tabella 4.1, il numero di persici prodotti dal 2007 al 2010 è all’incirca quintuplicato. Oltre a ciò, grazie al consolidamento dei protocolli operativi relativi alle fasi di svezzamento e di allevamento della specie, è aumentato anche il numero di post-larve e giovanili prodotti e immessi nel lago. Si è, infatti,

Figura 1 – Nastro ovarico deposto in vasca su substrato riproduttivo costituito da rami sommersi.

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Tabella 4.1 – Quantità di larve, post-larve, avannotti e giovanili di persico prodotti e seminati nel lago di Varese durante lo svolgimento del progetto Stadio vitale

Larva

Post-larva

Avannotto

Giovanile

Totale immesso

Taglia (cm)

0,6

1,5

2,5

> 5-8

2007 Giovanili 0+ corrispondenti

120.000 396

25.000 413

— —

— —

145.000 809 (*)

2008 Giovanili 0+ corrispondenti

250.000 825

55.000 908

13.500 1.485

— —

318.500 3.218 (*)

2009 Giovanili 0+ corrispondenti

450.000 1.485

90.000 1.485

65.000 7.150

3.500 3.500

608.500 13.620 (*)

2010 Giovanili 0+ corrispondenti

230.000 759

320.000 5.280

60.000 6.600

8.000 8.000

618.000 20.639 (*)

0,33

1,65

11,00

% sopravvivenza

È riportata la sommatoria equivalente al numero di giovanili 0+ corrispondenti e le relative percentuali di sopravvivenza attese per ogni stadio vitale fino alla taglia giovanile, dopo immissione in lago. (*)

passati da 145.000 pezzi prodotti nel 2007 ad una produzione di 618.000 pezzi nel 2010, di cui 60.000 avannotti (1,2 g) e 8.000 giovanili (2-4 g) (Tabella 4.1). 4.1.1 Primo svezzamento e gestione dello stock Dopo il riassorbimento del sacco vitellino (70 GG a 16°C, 3-4 giorni), per i primi 25 giorni le larve sono state alimentate ad libitum con zooplancton pescato in lago (Figura 4.3) e Artemia salina schiusa presso l’impianto. Una volta catturato, lo zooplancton, veniva passato su filtri successivi di rete, con misure della maglia comprese tra 140 e 500 µm, di modo tale da dividerlo per taglie. In questo modo alle larve veniva fornito zooplancton di taglia adeguata alle loro dimensioni (Figura 2). Lo zooplancton di maggiori dimensioni veniva posto in sacchetti di plastica (circa 450 g cad.) e surgelato a –20°C per usi successivi. Dal 25º al 50º giorno, la dieta è stata integrata con dosi crescenti di mangime estruso e disidratato del tipo “Perla larva 6.0” (Skretting®, 62% proteine, 11% lipidi) distribuendolo automaticamente con un distributore a molla 12 h. A due mesi dalla schiusa (fine di giugno), con l’aumentare delle dimensioni degli avannotti, si è passati a un mangime estruso con diametro del pellet compreso tra 600 e 1.000

136

µm, “Nutra HP 0,75” (Skretting®, 55% proteine, 18% lipidi), con razione giornaliera pari al 3% del peso dello stock, in accordo con MÉLARD et al. (1995a e 1995b). Oltre al mangime, a partire da giugno e fino a ottobre, la dieta degli avannotti è stata integrata con Chironomidi surgelati (Chironomus sp.). Dalla fine del secondo mese di allevamento, quindi con scadenza mensile, gli avannotti sono stati selezionati in base alla taglia. Come mostrato in Figura 3, la selezione delle taglie è stata eseguita con l’ausilio di selezionatori manuali, partendo da una misura minima del lume delle griglie di 2,5 mm fino a un massimo di 8 mm. La selezione è necessaria durante le fasi di allevamento del persico a causa dell’ampia eterogeneità di taglie che caratterizza la specie. Il coefficiente di variazione di peso (CV = DVS/media) di larve di persico alla schiusa è normalmente compreso tra il 15% e il 18% (KESTEMONT et al., 1996). Nel nostro caso è stato osservato un CV medio, per le quattro annate, pari al 18,6%. La selezione delle taglie permette di eliminare problemi di stress che rappresentano cause di inibizione della crescita, con comportamenti territoriali e isolamento degli individui di taglia minore. Una frequente rimozione degli individui di taglia maggiore, anche se consente

comunque l’instaurarsi di nuove gerarchie nelle popolazioni selezionate, permette di ridurre l’incidenza del cannibalismo (MÉLARD et al., 1995a). Le conseguenze di queste differenze di taglia risultano molto evidenti soprattutto durante lo stadio di post-larva. Le post-larve di persico, infatti, hanno una bocca larga in relazione alla loro taglia iniziale, quindi sono in grado di aggredire o cannibalizzare individui più piccoli. Vista la limitata dimensione della faringe e la fragilità delle larve, spesso l’effetto di tali aggressioni è letale sia per la preda sia per il predatore, che rimane strozzato. Inoltre l’eterogeneità di taglia comporta l’instaurarsi di fenomeni di territorialità e di competizione intraspecifica per l’accesso all’alimento. 4.1.2 Accrescimento avannotti 2007-2010 Confrontando il peso degli avannotti allevati durante i quattro anni dello studio (Figura 4.6), si possono osservare differenze statisticamente significative (p < 0,05) tra i mesi di luglio, agosto e settembre del 2008, rispetto alle altre annate. Questa netta differenza di accrescimento dipende principalmente dalle più basse temperature dell’acqua registrate nel 2008. Come si può osservare in Tabella 4.2, nel 2008 la temperatura media dell’acqua delle

IL PESCE, 5/12


Figura 2 – Cattura e selezione dello zooplancton usato per il primo svezzamento delle larve di persico. vasche di allevamento è risultata significativamente inferiore (p < 0,01) rispetto a quella osservata nelle altre annate. Ciò ha comportato una forte riduzione del tasso metabolico dello stock allevato e un conseguente rallentamento della crescita. Dati di letteratura riportano che la temperatura ottimale per l’allevamento del persico, alla quale si osservano il maggiore consumo di cibo e il maggiore tasso metabolico è di 23°C (MÉLARD et al., 1996). Quindi più ci si avvicina a questa temperatura, migliori saranno le performance di accrescimento dello stock allevato. Per quanto riguarda il 2010, anche se la prova non sarà conclusa prima della stampa, riportiamo i dati relativi ai mesi di maggio, giugno e luglio. Le performance di accrescimento degli avannotti nel 2010 sono risultate migliori rispetto a quelle osservate nelle annate precedenti, con differenze significative per il mese di luglio (p < 0,05). Dato che nel 2010 non si sono osservate differenze significative di temperatura rispetto al 2007 e al 2009 (Tabella 4.2), il maggiore accrescimento, è da ricercarsi nelle migliorie apportate al protocollo gestionale. Pur essendo disponibili mangimi commerciali di alta qualità per le larve (< 200 µm), il persico fatica ad accettarli nel corso del primo appastamento, preferendo prede vive.

IL PESCE, 5/12

Molti studi di laboratorio indicano l’offerta di Rotiferi quale migliore soluzione per il primo svezzamento, anche se buone percentuali di sopravvivenza sono state osservate utilizzando nauplii di Artemia salina (FIOGBÉ et al., 1995). Molti zooplanctonti, come i nauplii di Copepodi o piccoli Cladoceri, possono essere utilizzati come starter durante lo svezzamento. Mano a mano che si accrescono, le post-larve tendono a cibarsi di Cladoceri e Copepodi di più grandi dimensioni (CRAIG, 2001). Nel nostro caso, utilizzando zooplancton pescato direttamente in ambiente naturale, suddiviso per taglia mediante filtrazione, la percentuale di sopravvivenza durante il primo svezzamento si è mantenuta elevata (50-70%) in accordo con MÉLARD et al. (1995b). Durante il graduale passaggio alla dieta con mangime, il tasso di mortalità dello stock ha subito però un forte incremento, tuttavia con successivi studi e miglioramenti nella presentazione della dieta, il risultato potrà essere migliorato. Il successo della transizione da cibo vivo a dieta secca è solitamente dipendente dalla taglia: pesci di maggiori dimensioni avranno maggiori possibilità di accesso all’alimento. In alcune specie allevate, la maggiore taglia di alcuni soggetti può comportare

un’intensificazione di interazioni agonistiche all’interno dello stock allevato che spesso possono sfociare in fenomeni di cannibalismo (KESTEMONT et al., 2003). 4.1.3 Mortalità delle larve In tutte le annate, il tasso di mortalità delle larve durante il riassorbimento del sacco vitellino è risultato abbastanza contenuto, restando di poco al di sopra della mortalità fisiologica (15%). Il pesce persico però è una specie che risulta molto sensibile agli stress ambientali o da maneggiamento, soprattutto se lo stock allevato deriva da riproduttori selvatici e quindi non addomesticati. Nel nostro caso, sia nel 2007 che nel 2008, il tasso di mortalità di larve e post-larve dopo il primo mese di vita ha subito un forte aumento e in alcune delle vasche ha raggiunto il 90%. Viceversa, nel 2009 e nel 2010, il tasso di mortalità si è mantenuto costante fino allo stadio giovanile, riducendosi drasticamente nel tempo. Sono molti i fattori che concorrono ad aumentare il tasso di mortalità del persico in allevamento, ma tra questi gli sbalzi di temperatura sono sicuramente i più importanti (MÈLARD et al., 1995a). In tutte le annate, la temperatura dell’acqua delle vasche di svezzamento, poste all’aperto e alimentate con acqua superficiale pescata dal lago, ha

137


Figura 3 – Operazioni di selezione delle taglie. subito alcune rapide fluttuazioni. Nel 2007 e nel 2008 si sono registrati continui e repentini cambi delle condizioni metereologiche, con variazioni termiche dell’acqua comprese tra 2 e 6°C da un giorno all’altro. Tutto ciò ha indubbiamente contribuito ad aumentare lo stress delle larve allevate e ha giocato un ruolo importante nell’innalzamento del tasso di mortalità registrato. Lo stress dovuto sia alla temperatura che alla presenza degli operatori ha contribuito fortemente alla debilitazione delle post-larve, che in poco tempo hanno smesso di alimentarsi assumendo comportamenti apatici e una pigmentazione scura. Attraverso un’analisi al microscopio binoculare, si è potuto osservare anche la presenza di esoftalmo bilaterale. Visto l’elevato tasso di mortalità e i sintomi riscontrati, il 9 maggio 2007 alcuni campioni di post-larva (n = 30) sono stati spediti alla Sezione Diagnostica dell’Istituto Zooprofilattico di Brescia per un’analisi anatomopatologica, batteriologica, virologica e parassitologica. Le analisi effettuate hanno confermato la presenza di

esoftalmo bilaterale su tutti i campioni osservati e la presenza dell’agente eziologico Aeromonas sobria (Figura 4.7). Le infezioni causate da batteri Aeromonas spp. sono probabilmente le più comuni che si possono riscontrare in pesci allevati con tecnica sia intensiva che estensiva. Aeromonas sobria produce una ampia gamma di tossine, quali emolisine extracellulari, citotossine e proteasi. Le infezioni da Aeromonas spp. sono più comuni quando il pesce è sottoposto a uno stress che lo rende suscettibile all’attacco dei batteri opportunisti. Le fonti più comuni di stress per il pesce in acquacoltura sono la scadente qualità delle acque, gli sbalzi termici, il maneggiamento da parte degli operatori, fenomeni di dominanza e cannibalismo e la densità. Secondo dati di letteratura, il persico risulta molto suscettibile all’aggressione da Aeromonas, soprattutto durante il cambio di stagione tra inverno e primavera, anche in ambiente naturale, e il tasso di mortalità negli stock allevati, a causa di questa infezione, può essere dell’12% al giorno (WAHLI et al., 2005).

Con l’allevamento a ricircolo, mantenendo la temperatura dell’impianto costante, l’incidenza della malattia viene molto ridotta e in alcuni casi il tasso di mortalità scende anche al di sotto dello 0,5%. Per quanto riguarda il 2008, la forte mortalità è stata causata dall’ingresso in impianto del parassita Ichthyophthirius multifilis, si presume a causa di un errore da parte del personale addetto. Il parassita tende a infestare soggetti indeboliti o con malformazioni corporee quali scoliosi o lordosi che implicano difficoltà nel nuoto e apatia, rendendo più facile l’attacco da parte del parassita. Quando il parassita è incistato risulta difficile eliminarlo e può causare lesioni cutanee o branchiali, facilmente colonizzabili da batteri e miceti. A causa di questa parassitosi e successive batteriosi, sostenute da germi opportunisti, entro la metà del mese di giugno 2008 erano già state perse circa 80.000 larve. Con l’applicazione di un protocollo di profilassi e disinfezione (sale marino + cloramina T) sullo stock rimasto e sulle nuove larve nate, la mortalità in poco

Tabella 4.2 – Temperature medie registrate nelle vasche di allevamento tra il 2007 e il 2009 Anno

Temperatura media vasche (°C)

DVS

Min

Max

P

2007

19,3

3,5

14,1

26,1

2008

18,3

2,8

11,9

23,7

0,003

2009

19,0

4,6

9,8

24,6

2010

19,4

3,2

10,1

27,4

138

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tempo si è arrestata. È stato fatto il confronto tra il tasso di mortalità di post-larve di persico nate il 12 aprile 2008, allevate senza l’applicazione del protocollo di profilassi e il tasso di mortalità di larve nate il 22 maggio 2008 mantenute isolate dal resto dell’allevamento, alle quali è stato applicato il protocollo di profilassi. Nel secondo caso si osserva che la mortalità, dopo un primo periodo in cui resta comunque elevata, tende a diminuire progressivamente. L’elevata mortalità a pochi giorni dalla nascita può essere ascritta alle normali perdite fisiologiche che affliggono le larve durante i primi stadi vitali. Nella vasca in cui il protocollo di profilassi è stato applicato precocemente, nessuna delle larve trovate morte ha mostrato segni della parassitosi. 4.1.4 Qualità delle larve Alcuni autori, KESTEMONT et al. (2003), hanno osservato che sia la percentuale di sopravvivenza che le performance di accrescimento sono maggiori in larve nate alla prima schiusa rispetto a quelle con schiusa più tardiva. Partendo da tale presupposto, è stata eseguita una prova di qualità delle larve su alcuni nastri deposti nel 2008. Nel mese di aprile sono stati prelevati, dalla vasca dei riproduttori, tre nastri ovarici con lunghezza compresa tra 30 e 40 cm. I tre nastri sono stati posizionati per la schiusa in tre diversi trogoli, in modo da non consentire il rimescolamento delle larve nate. Per ogni nastro ovarico sono state poi preparate, all’interno di uno schiuditoio di tipo californiano, una serie di nursery da acquario con maglia da 250 µm e

Tabella 4.3 – Razioni di zooplancton in %, mg e numero di zooplanctonti, somministrate nel primo esperimento Razione %

Razione in peso secco (mg)

Razione (n. di zooplanctonti)

2,5

23,25

1.300

5,0

46,50

2.600

10,0

93,00

5.200

20,0

186,00

10.400

volume di circa 4 litri. Solitamente, in un nastro con lunghezza pari a 40 cm, a una temperatura di 15°C, la schiusa di tutte le larve avviene in 3 giorni. Quindi abbiamo definito i tempi di schiusa come: • T1 = inizio della schiusa; • T2 = 24 h dall’inizio della schiusa; • T3 = 48 h ultime larve in schiusa. Per ognuno dei tre nastri sono state quindi preparate 12 nursery (Figura 4.10), 3 per ogni tempo di schiusa, numerate progressivamente (per es. T1A, T1B, T1C, T2A, T2B, T2C, ecc…). In ogni nursery sono state immesse 200 larve appartenenti ai tre tempi di schiusa (600 larve per ogni intervallo). Per evitare di mescolare larve nate durante le ore notturne, ogni mattina alle ore 8:00 le larve presenti, originate dalla schiusa notturna, venivano spostate in una vasca esterna; in questo modo ci si assicurava il prelievo di larve nate dopo l’intervallo di tempo desiderato, ossia 24 h dal prelievo precedente. Confrontando l’andamento della lunghezza di larve nate a tempi diversi, durante i primi 5 giorni dopo la schiusa, si può osservare per tutti e tre i nastri usati per la prova, larve nate al tempo T0

(inizio della schiusa) hanno mostrato una lunghezza significativamente inferiore (p < 0,05) rispetto a quelle nate a tempi successivi T1 e T2. Già dal secondo giorno, però, si può osservare che la lunghezza delle larve nate al tempo T0 aumenta fino a raggiungere, e poi superare al quinto giorno, quella di larve nate in tempi successivi. Per tutti i nastri, al quinto giorno di prova, le larve T0 hanno mostrato lunghezze significativamente maggiori, rispetto a larve T1 e T2 (p < 0,05). Dopo il quinto giorno, le larve rimaste nelle nursery (n = 150) sono state alimentate per 15 giorni, al fine di determinare differenze di sopravvivenza in relazione al tempo di schiusa. La Figura 4.12 mostra la sopravvivenza delle larve, alla fine dell’osservazione, per ogni gruppo di schiusa. Nonostante le percentuali di sopravvivenza siano state molto basse, probabilmente a causa dello spazio limitato delle nursery, tra i tre gruppi sono state osservate differenze significative (p < 0,05) nella percentuale di sopravvivenza. Le larve del gruppo T0 hanno mostrato la maggiore percentuale di sopravvivenza (in media 12,5%) per tutti e

Tabella 4.4 – Crescita standard giornaliera (SGR%) ed efficienza di conversione (FCR) nel primo esperimento Razione giornaliera (%)

140

Razione per post-larva (g)

Peso iniziale (g)

Peso finale (g)

Incremento di peso (g)

2,5

0,004

0,155

0,198

5,0

0,008

0,155

10,0

0,016

20,0

0,031

SGR%

FCR

0,043

6,065

0,364

0,229

0,074

9,777

0,419

0,155

0,242

0,087

11,172

0,710

0,155

0,269

0,114

13,769

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Tabella 4.5 – Razioni di zooplancton in %, mg e numero di zooplanctonti, somministrate nel secondo esperimento Razione %

Razione in peso secco (mg)

Razione (n. di zooplanctonti)

50

642,5

35.600

100

1.285,0

71.200

150

1.927,5

106.800

200

2.570,0

142.400

tre i nastri, mentre i gruppi T1 e T2 hanno mostrato sopravvivenze più basse, rispettivamente 3% e 1,15%. KESTEMONT et al. (2003) hanno osservato che larve di persico e di spigola (Dicentrarchus labrax) schiuse tardivamente risultano meno competitive di quelle schiuse precocemente. La stessa osservazione proviene dalle esperienze di avannotterie commerciali di spigola (Saroglia, dati non pubblicati). Lo stesso risultato è inoltre stato ottenuto da Buriez (2007) in uno studio effettuato su larve di luccio (Esox lucius). Come nel nostro caso, l’autore ha osservato che il tempo di schiusa influenza la taglia iniziale delle larve: le larve precoci hanno una lunghezza alla schiusa inferiore a quelle tardive. Secondo KESTEMONT et al. (2003), larve nate durante le prime fasi della schiusa risultano avvantaggiate rispetto a quelle nate successivamente, in quanto possono accedere prima alla dieta esogena, crescendo più velocemente, e potenzialmente cannibalizzare gli individui nati più tardivamente. In base a queste considerazioni, potrebbe essere suggerita una selezione delle larve direttamente alla nascita, e ciò dovrebbe permettere una riduzione dell’eterogeneità di taglia iniziale oltre a un miglioramento del tasso di sopravvivenza dello stock allevato. 4.1.5 Efficienza di predazione Durante il mese di giugno 2007 è stata effettuata una prova di efficienza di predazione su post-larve di pesce persico, allo scopo di definire la razione giornaliera ottimale di zooplancton da fornire durante le prime fasi di allevamento. Per l’esperimento sono stati utilizzati due

142

gruppi di post-larve pre-svezzate presso l’incubatoio dell’APD Tinella di Groppello (Varese). Le post-larve del primo gruppo avevano un peso medio di 0,155 g (± 0,052) mentre quelle del secondo gruppo pesavano 0,257 g (± 0,083). Durante le prove, le post-larve, divise in quattro gruppi, sono state mantenute in vaschette di plexiglas (Figura 4.13) e alimentate con quattro differenti razioni giornaliere di zooplancton: primo gruppo 2,5%, 5%, 10% e 20% del peso corporeo medio, secondo gruppo 50%, 100%, 150% e 200%. Per ogni razione giornaliera sono state effettuate tre repliche al giorno (V1,V2,V3) per 4 giorni. Lo zooplancton usato per alimentare le post-larve veniva pescato giornalmente nel lago di Varese tramite un retino da plancton con mesh da 80 µm e successivamente filtrato su un setaccio con mesh da 450 µm, per eliminare zooplanctonti di taglia troppo piccola. La sospensione così ottenuta, detta “sospensione madre”, veniva trasportata presso i laboratori in una tanica da 30 litri. Dalla sospensione madre, opportunamente omogeneizzata, venivano prelevati 5 campioni da 150 ml per quantificare la concentrazione di zooplanctonti. Nota la concentrazione della sospensione madre, si procedeva all’alimentazione delle post-larve somministrando ad ognuna delle vaschette il volume di sospensione necessario. Al fine di conteggiare gli zooplanctonti consumati, giornalmente, dopo aver rimosso le postlarve, lo zooplancton morto veniva lasciato sedimentare sul fondo delle vaschette sperimentali. Alla fine di ogni giornata di sperimentazione,

feci e zooplancton morto venivano asportati dal fondo e conservati in bottiglie da 1 litro. Da ogni vaschetta venivano poi prelevati 3 campioni d’acqua in provette da 50 ml, in modo tale da poter valutare la quantità di zooplancton ancora presente in sospensione e quindi non consumato dalle post-larve. Il numero medio di zooplanctonti presenti nei tre campioni veniva poi rapportato al volume totale di acqua presente nelle vaschette (7 l), in modo da poter calcolare il numero degli zooplanctonti rimasti vivi. Le feci e gli organismi morti venivano lasciati sedimentare in coni Imhoff da 1 litro di capacità, in modo tale che le feci, più pesanti, sedimentassero per prime sul fondo del cono. In questo modo è stato possibile separare le feci dallo zooplancton morto che veniva recuperato e conteggiato. Alla fine di ogni ciclo di 24 ore, l’acqua delle vaschette veniva sostituita per eliminare eventuali residui delle razioni precedenti, le quali avrebbero potuto interferire con il calcolo della quantità di prede consumate. Al termine di entrambe le prove è stata calcolata la quantità di zooplanctonti predati nel tempo di 60" dalle post-larve alimentate con le razioni massime dei due esperimenti (20%-200%), così da verificare che i dati sul consumo di zooplancton fossero attendibili. Sono inoltre stati calcolati i valori di FCR (Feed Conversion Ratio) e di SGR% (Specific Growth Rate) per le post-larve di entrambe le prove: TFS FCR = —————— FBW – FBI Ln(FBW) – Ln(FBI) SGR = ————————— t2 – t1 dove: TFS = grammi di zooplancton in peso secco forniti FBW = peso finale medio delle post-larve FBI = peso iniziale medio delle post-larve t2 – t1 = durata dell’esperimento in giorni

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Primo gruppo Le razioni giornaliere di zooplancton somministrate al primo gruppo di post-larve erano pari al 2,5%, 5%, 10% e 20% del peso corporeo medio (0,155 ± 0,052 g) (Tabella 4.3). Per la prova sono state allestite 12 vaschette contenenti ognuna 6 postlarve di persico. Come mostrato in Figura 4.14, la relazione osservata tra la razione giornaliera somministrata e la quantità di zooplancton consumato dalle post-larve è di tipo lineare (R2 = 0,99). Inoltre il numero di zooplanctonti consumati è risultato statisticamente differente tra le diverse razioni utilizzate (p < 0,05). Rispetto a un peso iniziale di 0,155 ± 0,052 g, al termine del primo esperimento, le post-larve presentavano un peso medio pari a 0,235 ± 0,063 g, con un incremento di peso variabile tra 0,04 g (razione 2,5%) e 0,11 g (razione 20%) (Tabella 4.4). Il peso finale medio di post-larve alimentate con razioni più elevate di zooplancton è risultato tendenzialmente maggiore sebbene l’analisi statistica non abbia evidenziato nessuna differenza significativa (p > 0,05) (Figura 4.15). Come mostrato in Tabella 4.4, i valori di SGR calcolati per le post-

IL PESCE, 5/12

larve sono cresciuti con l’aumentare della razione somministrata, per valori compresi tra 6,1% (razione 2,5%) e 13,8% (razione 20%). La FCR è risultata compresa tra 0,36 (razione 2,5%) e 1,09 (razione 20%). Il numero di zooplanctonti consumati, nel corso delle 14 ore di luce, dalle post-larve alimentate con la razione massima dell’esperimento (20%) è stata pari a 2,3 zooplanctonti al minuto. Secondo gruppo Nel secondo esperimento sono state utilizzate post-larve con un peso medio (0,257 ± 0,083 g) quasi doppio rispetto al primo gruppo. La metodica della prova è stata identica alla precedente, con la differenza che le razioni giornaliere erano più elevate e per ogni vaschetta erano presenti solo 5 post-larve. Le razioni fornite sono state significativamente più alte, in quanto si voleva verificare quale fosse la quantità massima di zooplancton che le post-larve possono consumare (Tabella 4.5). La relazione tra razione giornaliera somministrata e zooplanctonti consumati dalle post-larve è risultata essere di tipo logaritmico e la quantità di prede consumate tende

a un plateau con l’aumentare della razione giornaliera. Al contrario, la quantità di razione giornaliera che le post-larve hanno consumato si riduce con l’aumento della razione giornaliera stessa. In entrambi i casi la differenza nella quantità di zooplanctonti consumati dalle post-larve in funzione della razione somministrata è risultata statisticamente significativa (p < 0,05). In questo caso l’incremento medio del peso delle post-larve è variato tra 0,07 g per la razione più bassa (50%) e 0,17 g per la razione giornaliera massima (200%). Anche nel secondo esperimento la variazione del peso corporeo delle post-larve registrata al termine della prova non è risultata statisticamente significativa (p > 0,05). Nel secondo esperimento i valori di SGR calcolati sono stati compresi tra 6,3% (razione 50%) e 12,8% (razione 200%). Similmente, alla prima prova è stato osservato un aumento della velocità di crescita delle post-larve alimentate con razioni giornaliere più elevate. La FCR è risultata, invece, compresa tra 7,01 e 12 rispettivamente per le razioni pari al 50% e 200% del peso corporeo delle post-larve (Tabella 4.6). Il

143


Esemplare di Perca fluviatilis. numero di zooplanctonti consumati dalle post-larve alimentate con la razione massima dell’esperimento (200%) nelle 14 ore di luce è stata pari a 20,3 zooplanctonti al minuto. Considerazioni sulla prova Durante il primo esperimento, alle post-larve sono state fornite razioni di cibo pari al 2,5%, 5%, 10% e 20% del loro peso corporeo medio (0,155 ± 0,052 g). La quantità di zooplancton consumata è risultata compresa tra il 96,8% del totale fornito (1.258 ± 54 zooplanctonti predati su 1.300) per la razione pari al 2,5% del peso corporeo delle post-larve e il 96,2% per la razione pari al 20% (9.908 ± 320 zooplanctonti predati su 10.400). La relazione tra zooplancton somministrato e consumato è risultata quindi di tipo lineare (R2 = 0,99) in quanto le razioni venivano quasi completamente consumate nel corso delle 14 ore di luce. Nella seconda prova sono state applicate razioni di cibo più elevate rispetto alla prima: 50%, 100%,

150% e 200% del peso corporeo medio delle post-larve. In questo caso la percentuale di zooplancton predato, rispetto al totale fornito, è diminuita con relazione esponenziale inversa all’aumentare della razione giornaliera. Le post-larve alle quali è stata somministrata una razione giornaliera pari al 50% del proprio peso corporeo hanno consumato mediamente il 74,7% dello zooplancton fornito (26.603 ± 2.594 zooplanctonti predati su 36.600), mentre quelle che hanno avuto a disposizione la razione massima, pari al 200% del proprio peso corporeo, hanno consumato in media solo il 51,2% dello zooplancton fornito giornalmente (72.943 ± 3.677 zooplanctonti predati su 142.400). La relazione tra razione somministrata e zooplanctonti consumati è di tipo logaritmico e tende a un plateau, indicando che la razione di zooplancton pari al 200% del peso delle post-larve è vicina alla quantità massima di cibo che le postlarve di persico possono consumare giornalmente.

Calcolando il numero di zooplanctonti che le post-larve hanno predato mediamente in un minuto, alle razioni più elevate è stato osservato che per la razione pari al 20% il consumo è stato in media di 2,3 zooplanctonti al minuto durante le ore di luce, mentre per la razione pari al 200% le post-larve hanno consumato in media 20,3 zooplanctonti al minuto. PETERKA e MATENA (2002), effettuando uno studio di efficienza di predazione in persici di lunghezza pari a 30-50 mm, hanno misurato la quantità di zooplanctonti consumata dopo 5, 10 e 20 minuti dall’alimentazione, osservando che a concentrazioni pari a 150 zooplanctonti per litro, gli avannotti possono consumare fino a 6-7 prede al minuto. Il confronto di questo risultato con quelli riscontrati nel nostro studio deve tenere conto del fatto che nel nostro esperimento lo zooplancton nelle vaschette sperimentali era molto più concentrato (circa 20.000 zooplanctonti per litro, per la razione pari al 200 %) e i tempi

Tabella 4.6 – Crescita standard giornaliera (SGR%) ed efficienza di conversione (FCR) nel secondo esperimento Razione giornaliera (%)

Razione per post-larva (g)

Peso iniziale (g)

Peso finale (g)

Incremento di peso (g)

SGR%

FCR

50

0,129

0,257

0,330

0,073

6,274

7,005

100

0,257

0,257

0,381

0,124

9,863

8,265

150

0,386

0,257

0,412

0,155

11,818

9,923

200

0,514

0,257

0,428

0,171

12,765

12,001

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di alimentazione delle post-larve erano molto più lunghi. In entrambe le prove, l’incremento di peso delle post-larve alimentate con diverse razioni giornaliere non è risultato statisticamente significativo (p > 0,05). Questo risultato potrebbe essere dovuto alla forte eterogeneità della taglia delle post-larve utilizzate durante l’esperimento. Infatti il coefficiente di variazione (CV), pur essendo in accordo con valori riportati in letteratura (35,3%-38,1%) (KESTEMONT et al., 2003), è risultato piuttosto elevato (34%-32%). Valori elevati di eterogeneità tra post-larve non sono dovuti esclusivamente a fattori genetici, ma a questo riguardo svolgono un ruolo molto importante sia la quantità a disposizione, sia il metodo utilizzato per la somministrazione del cibo in cattività (FONTAINE et al.,1997). Garantendo il giusto approvvigionamento alla fonte alimentare a tutti gli esemplari, possono infatti essere ridotti i fenomeni di competizione intraspecifica. Anche il cannibalismo risulta essere un

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fattore in grado di influenzare la differenza tra le taglie delle post-larve in uno stock (BARAS et al., 2003). I valori di FCR e SGR ottenuti hanno permesso di identificare quale, tra le razioni fornite, potrebbe essere quella da considerarsi ottimale per le post-larve di persico. Il valore più alto di SGR è stato osservato nelle post-larve alle quali è stata fornita una quantità di zooplancton pari, in peso secco, al 20% del loro peso corporeo. Con tale razione è stata osservata una FCR di 1,09, che, essendo prossima a 1, rappresenta un rapporto di conversione dell’alimento da considerarsi molto buono. Nelle razioni giornaliere inferiori (2,5%, 5% e 10%), la FCR è ancora più bassa, ma la crescita delle post-larve è stata piuttosto contenuta. Nelle razioni fornite nel secondo studio (50%, 100%, 150% e 200%), sia la SGR che la FCR hanno assunto valori più distanti da quelli ottimali rispetto alla razione 20%. Dai risultati ottenuti nel nostro studio, la razione di zooplancton in

peso secco da considerarsi ottimale per le post-larve, al fine di ottenere le migliori performance di accrescimento, deve essere pari al 20% del peso corporeo. Questo risultato è in accordo con FIOGBÉ et al. (2003), in cui si osserva che nel persico, come in tutti i pesci, la razione ottimale è solitamente inferiore alla razione massima. Marco Saroglia Pietro Ceccuzzi Micaela Antonini Genciana Terova Nota Hanno collaborato anche Fabio Brambilla, Samuela Corà, Simona Rimoldi, Mattia della Torre, Alessandro Bardelli, Daniele Tamburini, Sebastian Prati. Corresponding author: Prof. Marco Saroglia Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della Vita (DBSV) Università dell’Insubria, Varese marco.saroglia@uninsubria.it

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Guarda che cosa mangi Il manuale è uno strumento creato per pazienti con diabete mellito, perché consente di migliorare la gestione della terapia insulinica, ma può essere di grande utilità per tutti Dal mese di settembre è disponibile nelle maggiori librerie “Guarda che cosa mangi”, un manuale realizzato dalla Fondazione Italiana Diabete Onlus (FID) che raccoglie la composizione nutrizionale degli alimenti e consente di conoscere il contenuto di grassi e l’apporto calorico dei cibi. Prima edizione italiana di una vera e propria guida all’alimentazione consapevole, il manuale è uno strumento creato per pazienti con diabete mellito, perché consente di migliorare la gestione della terapia insulinica, ma può essere di grande utilità per tutti. Infatti, un’alimentazione corretta è indispensabile per chi soffre di diabete, ma è altrettanto importante, unitamente ad uno stile di vita sano e ad un costante esercizio fisico, per tutte le persone non diabetiche che vogliono prevenire gravi patologie, prime fra tutte le malattie cardiovascolari. Inoltre, i principi della dieta mediterranea, il controllo delle porzioni ed il mantenimento di uno stile di vita corretto sono fondamentali per evitare il sovrappeso e per prevenire l’obesità. Il manuale, edito da Baldini & Castoldi, è frutto della collaborazione tra la FID, l’Ospedale Niguarda di

Milano e il Diabetes Research Institute di Miami, diretto dal Professor Camillo Ricordi. Hanno inoltre contribuito l’Associazione Insieme per il Diabete di Palermo e l’Associazione dei diabetici della Provincia di Milano. La raccolta dei dati relativi ai singoli prodotti è stata possibile grazie all’impegno della COOP e dell’Istituto Nazionale per la Ricerca sugli Alimenti e la Nutrizione (INRAN). «Un ruolo fondamentale è quello svolto dalla ricerca scientifica, che mira sostanzialmente ad una cura definitiva, e dall’alimentazione» ha dichiarato il professor Camillo Ricordi. «Alimentazione che deve essere sana come in qualsiasi soggetto non affetto da diabete, con piena conoscenza dell’apporto di grassi e carboidrati per permettere la prevenzione di oscillazioni nei livelli di glicemia che possono contribuire allo sviluppo di complicanze croniche». Organizzato in tabelle colorate e facili da leggere, il manuale è diviso in 9 settori: bevande, carni, cereali e derivati, latte e derivati, frutta e verdura, oli e condimenti, prodotti della pesca, surgelati e anche prodotti per l’infanzia. All’interno

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