IL PESCE DALLA PRODUZIONE AL CONSUMO
PERIODICO DEDICATO ALLE PRODUZIONI ITTICHE NAZIONALI ED ESTERE, ALLE TECNOLOGIE E ALLE ATTREZZATURE PER LA PESCA E L’ACQUACOLTURA – € 6,67
N. 1/2017
pr�t ˆ manger Ostriche, cozze, cannelli, vongole...
Anno XXXIV N. 1 • Febbraio 2017
IL PESCE «Da’ un pesce a un uomo ed egli avrà un pasto; insegnagli ad allevarlo e avrà il nutrimento per tutta la vita»
Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl
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Direzione – Redazione Amministrazione Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.ilpesce-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 741 del 30-12-1983
EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD
Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi
Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910
Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Consulenti scientifici Dr. Gaetano Arcarese – Prof. Giorgio Giorgetti – Dr. Lucia Liddo Dr. Francesco Paesanti – Dr. Gino Ravagnan – Prof. Remigio Rossi Dr. Marco Saroglia – Dr. Aldo Tasselli Collaboratori scientifici Prof. Corrado Barberis – Dr. Alessandro De Maddalena Dr. Maurizio Dell’Agnello – Prof. Fabrizio Ferrari – Dr. Claudio Ghittino Dr. Gianluigi Negroni – Dr. Paola Pierelli – Prof. Guido Razzoli Dr. Antonio Trincanato Collaboratori scientifici esteri Prof. R. Billard (Francia) – Dr. S. Sarig (Israele) Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.
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IL PESCE
Anno XXXIV N. 1 • Febbraio 2017
In questo numero: Immagini
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Tendenze
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Calendario fiere
Fiere, mostre, convegni 2017
Il pesce in rete
Social fish
Acquacoltura
Alghe, la sorprendente novità dell’acquacoltura irlandese
Vallicoltura
Valle Grande San Gaetano a Caorle
Aziende
Anova Seafood incrementa la produzione di merluzzo e tonno MSC
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Fast Blade, l’affilacoltelli professionale di nuova generazione
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Commercializzazione
Crostacei e benessere animale
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Indagini
CSM di pesce nelle mense? Sì, grazie!
Giulia Secci et al.
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Chi abita vicino al mare mangia più pesce
Roberto Villa
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Geometria & gastronomia: ricettiamo il rombo
Giorgia Fieni
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Pesce azzurro? Un capitolo sempre aperto!
Josette Baverez Blanco 46
La palamita: chiarezza e freschezza
Maurizio Dell’Agnello
L’orecchia marina
Luca del Grammastro 52
Street food
Lo scartosso con moeche, masanete e castraure
Nunzia Manicardi
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Sapore di mare
Roma, il mare in città
Luciana Squadrilli
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Gambero Rosso, faro della ristorazione reggina
Riccardo Lagorio
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Sapori dal mondo
Il “miracoloso” tè verde
Giorgia Fieni
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Prodotti tipici
Poveri ma eccellenti: la tiella di Gaeta
Nunzia Manicardi
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Il pesce in tavola
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14 Elena Benedetti
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Gian Omar Bison
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Eventi
L’Ambasciatore dello Stoccafisso
Rassegne
Festival Triveneto del Baccalà, and the winner is…
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Fiere
MARCA: private label in crescita
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AquaFarm 2017
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A Tuttofood il business si fa internazionale
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La pagina scientifica
Tania Mauri
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Nuove evidenze molecolari sulla risposta dell’orata di allevamento alla sindrome da stress invernale
Roberto Anedda 100 Riccardo Melis et al.
Validazione di un impianto di depurazione di molluschi bivalvi
Luciano Boffo et al. 106
Non solo per istinto
Roberto Villa
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Sicurezza alimentare
Richiamo di alimenti non conformi per la tutela dei consumatori
Marco Cappelli
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Storia e cultura
Alla maniera delle anguille
Maurizio Dell’Agnello 128
Libri
La qualità si fa strada
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Gasteropodi e bivalvi marini dei mercati europei
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In copertina: sardine, una fonte preziosa di acidi grassi Omega-3 (photo © Yeko Photo Studio)
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IMMAGINI
Due paesi agli antipodi, Norvegia e Italia, che però hanno ottime relazioni che durano da secoli, non ultimo il fatto che il Belpaese è uno dei maggiori consumatori di stoccafisso norvegese del mondo. Un evento ha celebrato questa “amicizia” nella cornice di un prestigioso ristorante della Capitale. Il servizio di Tania Mauri a pagina 74 (photo © Chris Terry 2012, www.seafoodfromnorway.com).
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TENDENZE Carne di pesce separata meccanicamente
L’affermazione di un nuovo stile di vita, generato da tempi molto frenetici, dal poco tempo libero disponibile e dal diffondersi di brevi break, ha inciso fortemente sulla tipica abitudine italiana di pranzare a casa. Questo fenomeno si è sviluppato in parallelo all’incremento della consapevolezza dei consumatori, sempre più attenti ad aspetti inerenti la qualità dei prodotti (locali, biologici e di stagione) e la nutrizione, e sempre più sensibili ai rischi alimentari. Tutto ciò sta provocando una diversificazione della domanda, determinando l’affermarsi di nuove tipologie di prodotti caratterizzati da elevata comodità d’uso, ready to cook o di valore aggiunto (es. filiera corta, certificata). In questo contesto la domanda di prodotti a base di pesce, compresi quelli ottenuti dal processo di separazione meccanica (CSM), è sensibilmente aumentata. Sapere come i fruitori delle mense universitarie toscane valutano l’inserimento di questa categoria di prodotti nei menu è stato parte di una ricerca finanziata dalla Regione Toscana. Attraverso lo svolgimento di focus group, con gruppi di studenti universitari degli atenei di Firenze, Pisa e Siena, si è cercato di capire quale fosse la familiarità al pesce degli studenti, le caratteristiche discriminanti per l’acquisto/consumo di pesce e soprattutto la loro propensione verso preparazioni a base di pesce lavorato attraverso il metodo della separazione meccanica. Dall’indagine è emerso che gli studenti universitari considerano il pesce come elemento essenziale nella dieta e ne hanno individuato nella provenienza (locale) e nell’origine (pescato) gli attributi che discriminano maggiormente la qualità. Non hanno inoltre evidenziato alcun pregiudizio sulla percezione della qualità derivante dall’utilizzo della metodologia produttiva con macchinari CSM, mentre le modalità di preparazione e di cottura sono considerati fattori che potrebbero influenzare negativamente la salubrità del prodotto. A pagina 33 trovate un approfondimento di Giulia Secci, Manuela Gabbai e Giuliana Parisi.
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CALENDARIO FIERE
Fiere, mostre, convegni 2017 Italia CIBUS CONNECT Parma, 12-13 aprile Organizzazione: Fiere di Parma Spa Tel. 0521 9961 Fax 0521 996319 info@cibusconnect.it www.cibusconnect.com
TUTTOFOOD Milano World Food Exhibition Milano, 8-11 maggio
Organizzazione: Fiera Milano Spa Tel. 02 49976055 Fax 02 49976587 info@tuttofood.it claudia.castello@fieramilano.it (TuttoSeafood) www.tuttofood.it
SANA Salone internazionale del Biologico e del Naturale
Bologna, 8-11 settembre Organizzazione: BolognaFiere Spa Tel. 051 282351 Fax 051 6374031 sana@bolognafiere.it www.sana.it AGRILEVANTE Esposizione internazionale delle macchine, impianti e tecnologie per la filiera agricola Bari, 12-15 ottobre Organizzazione: Fiera del Levante Tel. 06 432981 Fax 06 4076370 agrilevante@federunacoma.it www.agrilevante.eu
Estero AQUACULTURE AMERICA San Antonio, Texas (USA), 19 - 22 febbraio Organizzazione: WAS Tel. +1 760 7515005 Fax +1 760 7515003 johnc@was.org – www.was.org GULFOOD Dubai (EAU), 26 febbraio-2 marzo Organizzazione: Dubai World Trade Center Tel. +971 4 3321000 Fax +971 4 3312173 info@dwtc.com – www.gulfood.com ALIMENTARIA MÉXICO Guadalajara (México), 7-9 marzo Organizzazione: Alimentaria Exhibitions S.A. Tel. +34 93 5531083 Fax +34 93 4521801 comercial@alimentaria.com www.alimentaria-mexico.com
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INTERNATIONAL CONFERENCE ON MARINE SCIENCE & AQUACULTURE Kota Kinabalu, Sabah (Malesia) 14-15 marzo Organizzazione: World Aquaculture Society Tel. + 60 88 320000 Fax +60 88 320261 icomsa@ums.edu.my – www.was.org SEAFOOD EXPO NORTH AMERICA SEAFOOD PROCESSING NORTH AMERICA Boston (USA), 19-21 marzo Organizzazione: Diversified Communications Tel. +1 207 8425590 sales-global@seafoodexpo.com www.seafoodexpo.com/north-america GIANT PRAWN Conferences Bangkok (Tailandia), 20 marzo
Organizzazione: Giant Prawn 2017 info@giantprawn.org www.giantprawn.org SEAFOOD EXPO GLOBAL SEAFOODPROCESSINGGLOBAL Bruxelles (Belgio), 25-27 aprile Organizzazione: Diversified Communications Tel. +1 207 8425590 sales-global@seafoodexpo.com www.seafoodexpo.com SIAL CANADA Toronto (Canada), 2-4 maggio Organizzazione: SIAL Canada Tel. +1 438 4762232 sguignard@expocanadafrance.com www.sialcanada.com www.sial-network.com INTERPACK Düsseldorf (Germania), 4-10 maggio Organizzazione:
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Messe Düsseldorf GmbH Tel. +49 211 456001 Fax +49 211 4560-668 MaurelF@messe-duesseldorf.de www.interpack.com
Organizzazione: Conferenceseries Ltd aquaculturesummit@conferenceseries.net www.aquaculture.global-summit.com
PLMA INTERNATIONAL Amsterdam (Olanda), 16-17 maggio Organizzazione: Private Label Manufacturers Association Tel. +31 20 5753032 Fax +31 20 5753093 info@plma.nl www.plmainternational.com
SUMMER FANCY FOOD SHOW New York (USA), 25-27 giugno Organizzazione: Specialty Food Association Tel. +1 646 8780301 membership@specialtyfood.com www.specialtyfood.com
SIAL SHANGHAI Shanghai (Cina), 17-19 maggio Organizzazione: Comexposium-Sial Exhibition Co. Tel: +86 10 6588 6794 info@sialchina.cn www.sialchina.com
WORLD AQUACULTURE 2017 Cape Town (Sudafrica) 26-30 giugno Organizzazione: WAS Tel. +1 760 7515005 Fax +1 760 7515003 mario@marevent.com www.was.org
ALIMENTARIA & HOREXPO LISBOA Lisbona (Portogallo), 4-6 giugno Organizzazione: Alimentaria Exhibitions S.A. Tel. +34 93 4521800 Fax +34 93 4521801 comercial@alimentaria.com alimentariahorexpo.fil.pt
ASIAN PACIFIC AQUACULTURE APA17 Kuala Lumpur (Malesia) 24-27 luglio Organizzazione: WAS Tel. +1 760 7515005 Fax +1 760 7515003 mario@marevent.com www.was.org
6TH GLOBAL SUMMIT ON AQUACULTURE & FISHERIES Osaka (Giappone), 25-26 maggio
SEAFOOD EXPO ASIA Wanchai (Hong Kong), 5-7 settembre Organizzazione:
Diversified Communications Tel. +1 207 842 5500 info-asia@seafoodexpo.com www.seafoodexpo.com/asia SEAFEX Dubai (EAU), 18-20 settembre Organizzazione: Comexposium Tel. +971 4 3321000 seafex@dwtc.com www.seafexme.com CONXEMAR Vigo (Spagna), 3-5 ottobre Organizzazione: Conxemar Tel. +34 986 433351 Fax +34 986 221174 conxemar@conxemar.com www.conxemar.com ANUGA Colonia (Germania), 7-11 ottobre Organizzazione: Koelnmesse GmbH Tel. +49 1806 002200 Fax +49 221 821-991010 anuga@visitor.koelnmesse.de www.anuga.com AQUACULTURE EUROPE 2017 Cooperation for Growth Dubrovnik (Croazia), 17-20 ottobre Organizzazione: EAS Tel. +32 59 323859 Fax +32 59 321005 ae2017@aquaculture.cc www.easonline.org
Le date e i luoghi delle fiere sono soggetti sempre a variazioni. Si consiglia chi è interessato a partecipare ad accertarsi, presso gli organizzatori, del luogo e della data. Si declina ogni responsabilità per eventuali inesattezze.
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IL PESCE IN RETE
Social di Elena
1. Tutti i pesci di Alles Fisch & C. Si respira il profumo del mare navigando tra le pagine web di www.allesfisch.it, la società chioggiotta della famiglia PASQUATO che da 47 anni opera con successo nel comparto ittico. Attraverso una rete commerciale internazionale caratterizzata da una forte penetrazione nel mercato tedesco e italiano, ALLES FISCH & C. è un punto di riferimento per la GDO e per gli operatori del mondo ittico. Attraverso il sito si possono trovare informazioni sul prodotto (fresco, congelato, scongelato e confezionato), sui salmoni sostenibili scozzesi Loch Duart, oltre a ricette e notizie aggiornate.
2. Le specie ittiche d’allevamento censite dalla FAO Al link www.fao.org/fishery/culturedspecies/search/en sono accessibili una settantina di schede delle più sviluppate specie ittiche allevate nei vari continenti, con note sulla produzione, tecniche di allevamento, statistiche e caratteristiche. I testi sono disponibili in numerose lingue (in foto: cozze del Mediterraneo, Mytilus galloprovincialis).
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fish Benedetti
4. Tutto sul mondo ittico norvegese 3. #nicetofishyou Instagram è un canale social potente nella comunicazione del prodotto e nell’affezione ad un brand. Un esempio di successo è PESCARIAOFFICIAL, il profilo Instragram di Pescaria, il fast food di pesce di qualità che si trova a Polignano a Mare e a Milano (www.pescaria.it). Le foto dei loro ricchissimi panini a base di pesce sono seguite da oltre 40.000 follower e l’hashtag della loro pagina è irresistibile: #nicetofishyou. Bravissimi!
Il portale www.fisheries.no è il contenitore web più accreditato e completo di informazioni e notizie sul mondo della pesca e dell’allevamento ittico della Norvegia. Sviluppato dal Ministero del Commercio, dell’Industria e della Pesca norvegese in collaborazione con enti di ricerca scientifica e di sicurezza alimentare, contiene link utili alle specie ittiche e pubblicazioni di settore (photo © Eugene Sergeev).
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ACQUACOLTURA
Alghe, la sorprendente novità dell’acquacoltura irlandese Si stima che l’industria delle alghe nel mondo valga circa 5,5 miliardi di euro l’anno, 4,5 miliardi dei quali generati da prodotti destinati al consumo umano. Il resto proviene dalla commercializzazione di integratori alimentari e prodotti vari come fertilizzanti, cosmetici e farmaci ed è proprio questo settore specialistico a rappresentare la maggior opportunità di crescita per coloro i quali nel settore. L’industria globale delle alghe utilizza 7,5-8 milioni di tonnellate di alghe marine l’anno, oltre il 90% delle quali proviene da coltivazioni; il resto è raccolto naturalmente. L’attuale valore della
produzione irlandese è di 18 milioni di euro/anno e la vendita di prodotti sviluppati da alghe kelp selvatiche è il cardine del settore. Irish Fisheries Bord (BIM) ha fissato come obiettivo per l’industria delle alghe irlandese quello di aumentare il suo valore di attuale di 12 milioni di euro all’anno entro il 2020. Il settore dell’alghicoltura irlandese è ben strutturato per continuare a svilupparsi grazie alla domanda di prodotto in costante aumento, ai prezzi alti dello stesso e alla rapida crescita del settore delle alghe biologiche. La maggior parte delle alghe commestibili prodotte in Irlanda viene consumata nel Paese
(3-6 tonnellate). Una piccola parte della produzione nazionale viene esportata in Spagna — che, insieme alla Francia, richiede in particolare l’alga Palmaria, che rappresenta una buona fonte di minerali e vitamine rispetto ad altri vegetali, e contiene tutti gli oligoelementi necessari per gli esseri umani, compreso un alto contenuto di proteine — e Regno Unito. Le esportazioni di prodotti ittici irlandesi hanno riscontrato un costante aumento negli ultimi dieci anni e i produttori di alghe stanno cercando di unirsi a quest’ondata positiva verso l’export mondiale. Fonte: Bord Bia
In pochi decenni la coltivazione delle alghe si è fatta spazio all’interno dell’acquacoltura. Dove l’industria ittica langue e la popolazione ha scarso accesso ad altri tipi di sostentamento, sono stati gli stessi governi a incentivare questo settore, come ha fatto la Tanzania: a Zanzibar ad esempio è stato istituito il Seaweed National day (Siku ya Mwani) grazie al supporto scientifico della Zanzibar Seaweed Cluster Initiative (ZASCI) della University of Dar es Salaam.
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Mucche, una dieta a base di alghe per abbattere i gas serra Ăˆ possibile migliorare la salute e la produttivitĂ del bestiame, diminuendo le emissioni di gas metano in modo naturale? SĂŹ, con le alghe! Lo hanno dimostrato i ricercatori canadesi Alan Fredeen e Rob Kinley e oggi si stanno compiendo ulteriori ricerche, grazie ai fondi del Meat and Livestock Australia, per confermare i dati di laboratorio. Se ne era giĂ accorto piĂš di dieci anni fa l’allevatore canadese Joe Dorgan, di Seacow Pond, Prince Edward Island, notando i benefici di questa alimentazione nei capi posti nei recinti vicino al mare e riscoprendo cosĂŹ un’antica pratica greca e islandese (fonte: modernfarmer.com).
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MANGIMI PER SPIGOLA E ORATA MANGIMI PER TROTA Spring Edition Nel passaggio dall’inverno alla primavera si veriďŹ ca un rapido cambiamento della temperatura dell’acqua che si riette sul metabolismo del pesce, mettendone a dura prova il sistema di difesa immunitario. Spigola e Orata: ALLER BLUE, ALLER WHITE, ALLER GREEN, ALLER OMEGA Trota: ALLER PLATINUM, ALLER GOLD vengono ora prodotti nella versione primaverile e contengono una dose supplementare di Vit. C per rafforzare il pesce durante il delicato periodo di transizione.
VITAMINA C – – –
contribuisce alla produzione di globuli rossi nel sangue facilitando l’assunzione di ossigeno da parte del pesce favorisce i processi di cicatrizzazione cutanea e di guarigione delle lesioni ߊ †m ro|;m|; -m࢟ovvb7-m|; ;7 -†l;m|- Ѳ- u;vbv|;mÂŒ- -ѲѲo v|u;vv
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Marco Gilmozzi ai vertici della Federazione Europea dei Produttori di Acquacoltura MARCO GILMOZZI (foto a lato), vicepresidente dell’Associazione Piscicoltori Italiani (API), è il nuovo presidente di FEAP – Federazione Europea dei Produttori di Acquacoltura. Questo il risultato della votazione avvenuta nel corso del Presidents’ Meeting svoltosi il 6 dicembre scorso a Bruxelles. FEAP è la voce unitaria del settore della produzione dell’acquacoltura europea e unisce le associazioni nazionali di acquacoltura in Europa (comprese Norvegia eTurchia). Con 26 membri provenienti da 22 Stati di tutto il continente europeo, FEAP rappresenta una produzione di oltre due milioni di tonnellate di prodotti di acquacoltura. Oltre all’elezione di Gilmozzi, durante il Presidents’ Meeting sono state trattate le principali problematiche in materia di ambiente, sanità animale e comunicazione che interessano il comparto. Si è analizzato lo stato di implementazione della FEAP nei diversi Paesi Membri della UE e si è dibattuto sul ruolo del neo-costituito Comitato Consultivo per l’Acquacoltura (AAC). Ampio spazio è stato dato ai lavori delle commissioni di lavoro sui diversi settori dell’acquacoltura europea: acqua dolce, maricoltura mediterranea, salmonicoltura. La delegazione italiana ha inoltre portato all’attenzione dei presenti alcune criticità relative all’etichettatura del caviale e agli adempimenti CITES cui sono assoggettati gli storionicoltori; l’assemblea unanimemente, supportando la mozione italiana, ha indicato quale sede migliore per affrontare tali problematiche il nuovo AAC. (Fonte: API – Associazione Piscicoltori Italiani)
Fjord Spa in Concordato Preventivo G.D. dott. Marco Lualdi
Invito Fjord Spa in Concordato Preventivo, n. 7/2016 dichiarato aperto con decreto del Tribunale di Busto Arsizio di data 14 dicembre 2016,
Comunica che con decreto di apertura di procedimento competitivo ai sensi dell’art. 163 bis L.F., di data 14 dicembre 2016, il Tribunale ha disposto la vendita dell’azienda di titolarità Fjord Spa secondo le modalità previste nell’anzidetto decreto, consultabile integralmente sui seguenti link: www.astalegale.net; www.portaleaste.com; www.asteimmobili.it; www.publicomonline.it; www.tribunale.bustoarsizio.giustizia.it. Il prezzo offerto per l’azienda non potrà essere inferiore ad € 3.250.000,00 (tremilioniduecentocinquantamila/00) oltre ad imposte di legge.
Invita Quanti fossero interessati a partecipare alla gara a depositare entro e non oltre le ore 12:00 del giorno 5 aprile 2017 la cauzione (d’importo pari al 15% del prezzo offerto mediante assegno circolare intestato al concordato e da allegare all’offerta di acquisto) e formulare l’offerta di acquisto irrevocabile con le modalità specificate nel decreto stesso. Per ogni ulteriore informazione si invitano gli interessati a rivolgersi al Commissario Giudiziale mediante comunicazioni a mezzo P.E.C. indirizzate a: cp7.2016bustoarsizio@pecconcordati.it. Busto Arsizio, 20 gennaio 2017 Il Commissario Giudiziale Rag. Salvatore Scalise
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VALLICOLTURA
La laguna veneta
Valle Grande San Gaetano a Caorle di Gian Omar Bison
Acquisita dai baroni FRANCHETTI di Reggio Emilia agli inizi dell’Ottocento, Valle Grande San Gaetano a Caorle (VE) è da tempo di proprietà dei POJA di Valdagno (VI), eredi di Giuseppe — mancato di recente —, che nel 1973 ne prese in affitto la gestione per poi acquistarla un po’ alla volta nell’arco di trentacinque anni insieme a buona parte dei terreni limitrofi. MATTEO, in particolare, lavora in valle e nell’azienda agricola dal 1999, data del suo trasferimento a Caorle dove tutt’ora vive a Cà Italia, caseggiato non molto lontano dalla tenuta. Parliamo di una valle fuori
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dalla laguna di Venezia, che si estende per circa 500 ettari occupati per metà circa da laghi a basso fondale e canali di diversa grandezza. Lo scambio idrico avviene attraverso quattro chiaviche principali che comunicano con il canale Nicesolo in prossimità del suo sbocco in mare presso porto Falconera. «È una valle anomala — evidenzia Matteo Poja — con poca acqua e tanta terra, tanta vegetazione. E la tipologia d’acqua è piuttosto dolce al punto da impedirci di allevare orate che hanno bisogno di una spiccata salinità. Per il resto ci sono tutti gli altri pesci tipici di
valle come il branzino, i cefali, le anguille. Un allevamento estensivo dove si introduce il pesce piccolo che non viene alimentato e che per questo cresce lentamente con un ciclo vitale piuttosto lungo. Un pesce che ha caratteristiche simili al pesce selvatico e che non è facile da catturare». Il pesce di Valle Grande viene completamente conferito all’ingrosso. «E da qui — sottolinea Poja — come tutto il pesce delle nostre valli venete, verso i mercati ittici e fino agli scaffali delle pescherie o alle cucine della ristorazione. Purtroppo non se ne riconosce e non se ne valorizza
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appieno l’originalità, la freschezza tipica del chilometro zero o quasi, la diversità organolettica che dovrebbero caratterizzarne il prezzo, la competitività tra i consumatori e quindi la giusta redditività per i vallicoltori». Matteo Poja è anche responsabile per CONFAGRICOLTURA VENEZIA del comparto itticolo, categoria che riunisce tutte le valli da pesca della regione. E da tempo si scontra con la difficoltà a fare squadra tra vallicoltori, per arrivare a disporre tutti insieme di una massa critica di prodotto tale da avere nei confronti
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dei grossisti un maggiore potere contrattuale e con la riottosità diffusa a costruire un brand collettivo che li identifichi in maniera precisa e riconoscibile. «La nostra vallicoltura è molto penalizzata dagli allevamenti greci e croati. In generale non possiamo confonderci né competere con chi fa allevamento intensivo. Hanno tempi più brevi di allevamento, minore mortalità, meno problemi nella cattura e anche dalla predazione. I cormorani in particolare fanno disastri. Trent’anni fa erano rarissimi, oggi sono decine di migliaia nell’area alto adriatica. Non si possono
abbattere e la Regione Veneto non ha fondi a sufficienza per pagare i danni. Riescono a predare anche pesci di 3/4 ettogrammi e stanno decimando anche gli stock ittici esterni alle valli. Probabilmente l’incremento demografico della specie è stato causato da necessità alimentari che li ha fatti migrare verso areali più meridionali e dalla protezione imposta in ambito europeo considerato, che fino a pochi anni fa venivano distrutti molti nidi in Nord Europa per utilizzarne le uova nell’industria cosmetica». E poi c’è il problema della comunicazione, della promozione
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Matteo Poja è anche responsabile per Confagricoltura Venezia del comparto itticolo, categoria che riunisce tutte le valli da pesca della regione. Un desiderio? Creare un brand collettivo che identifichi i vallicoltori locali in maniera precisa e riconoscibile a vantaggio della competitività
Matteo Poja. corretta e funzionale del pesce di valle. «Dovremo promuovere di più e meglio tipologie di pesci come i cefali (lotregani, volpine, ecc…) che non si conoscono più e che invece costano mediamente poco e stanno a pieno titolo nella nostra migliore tradizione culinaria» sostiene Poja. «Per fare tutto questo dovrebbe esserci un comune sentire tra allevatori che invece manca. Su venti vallicoltori (23 le valli) ai direttivi ci si trova sempre in tre, massimo quattro». Se a questo si aggiunge l’aumento della piovosità, il progressivo interramento del Nicesolo degli ultimi anni (profondo fino a 18 metri a cavallo della seconda guerra mondiale) e il sensibile calo di salinità nei bacini vallivi con conseguenze nell’habitat e nella gamma di specie ittiche ospitate, le difficoltà proprio non mancano. Ad oggi in Valle Grande, come detto, risulta impossibile allevare
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l’orata ed è molto difficile salvare i branzini da malattie e parassiti. Diversamente causteli e volpine crescono bene e in fretta grazie all’abbondanza di nutrienti. E se oggi si pescano a malapena poche decine di quintali di pesce “povero”, l’obiettivo resta quello di arrivare in un futuro prossimo a produzioni maggiori confidando in un riconoscimento adeguato da parte dei mercati. «Il mio pescato annuale si aggira attorno ai venti quintali. Pochissimo — precisa Poja — rispetto alle potenzialità che mi consentirebbero di arrivare anche fino a cinquanta chilogrammi ad ettaro. Ad arrivare almeno ai cento quintali. Nel frattempo i costi di manutenzione sono costanti e sempre impegnativi. Basti pensare alla cattura: noi non peschiamo nei lavorieri e con le chiaviche ma con le reti co-
stringendoci ad un lavoro più lungo e dispendioso». Complessivamente la proprietà Poja poggia su 800 ettari (500 di valle) e tutti i terreni sono coltivati a seminativi (frumento, mais, soia) da cui deriva la reddittività complessiva dell’azienda agricola. E a questa ha aggiunto il caseggiato di Cà Pescina di recente acquisizione. Inoltre, in Valle Granda si può cacciare. Lo fa Matteo e con lui gli amici cacciatori. «Questa valle — conclude Poja — è famosa, tra l’altro, per i soggiorni di ERNEST HEMINGWAY, amante di caccia e pesca, che proprio a questi luoghi si ispirò per scrivere il romanzo “Di là dal fiume e tra gli alberi”». Gian Omar Bison Nota Alle pagine 22 e 23 veduta panoramica e particolari della tenuta di Valle Grande.
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AZIENDE
Anova Seafood incrementa la produzione di merluzzo e tonno MSC Quest’operazione è parte della strategia aziendale di Anova orientata a creare filiere produttive performanti per i propri prodotti di punta
Anova Seafood, azienda olandese specializzata nella fornitura di pesce fresco e congelato per la Grande Distribuzione, gli esercizi di vendita al dettaglio (segmento MAP e congelato) e la ristorazione in Europa, intende raddoppiare i volumi di produzione di merluzzo e di espandere quelli di tonno “sostenibile”, investendo in tecnologie di ultima generazione.
«Forti del successo ottenuto con il merluzzo congelato, abbiamo recentemente deciso di espanderci nella produzione del merluzzo fresco» spiega il CEO dell’azienda WILLEM HUISMAN. «La presenza in entrambi i segmenti produttivi, ci ha permesso di creare una combinazione ottimale nella linea produttiva». La nuova linea sarà in grado di offrire
merluzzo fresco, congelato e decongelato, proveniente dalla Norvegia e dal Mare di Barents. «Una filiera produttiva efficiente e controllata dall’origine alla tavola è il segreto per offrire prodotti affidabili e di qualità. Attraverso questa nuova tecnologia, saremo in grado di fornire prodotti dal peso fisso, in risposta alle necessità sorte nel settore del MAP».
Lavorazione del tonno nello stabilimento in Vietnam.
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Anova Seafood è stata fondata nel 1994 a ’s-Hertogenbosch. Da allora, l’azienda si è evoluta sino a diventare fornitore internazionale di pesce fresco e congelato per la distribuzione e la ristorazione europea.Anova Seafood vanta un ufficio acquisti inVietnam, diverse partnership in tutto il mondo e distribuzioni giornaliere attraverso una delle 40 piattaforme in Europa.
La decisione di produrre in Olanda è stata una scelta strategica intrapresa per essere il più vicini possibile al mercato di sbocco, permettendo di conservare più a lungo la qualità e la freschezza del prodotto. Anova ha inoltre costituito una joint venture in Vietnam finalizzata
all’inserimento della produzione di tonno pinne gialle MSC proveniente dai paesi del PNA (Parties to the Nauru Agreement). Questa zona è stata per diversi anni il centro di lavorazione del tonno Albacore MSC proveniente dalle isole Fiji e Cook, prodotto che ha avuto grande successo nel mercato europeo. Competenza, esperienza e filiere produttive internazionali Dotato di un ufficio di controllo qualità in loco, Anova è azienda leader nella fornitura di tonno sostenibile refrigerato e congelato. Grazie al successo ottenuto inserendo la lavorazione del tonno Albacore MSC in questa zona, Anova ha potuto stringere diverse partnership nel Pacifico dirette alla lavorazione e alla distribuzione del tonno pinne gialle MSC. Attraverso questa operazione Anova è in grado offrire tonno di alta qualità, 100% naturale, privo di additivi, per il settore del fresco e del congelato. Quest’operazione è parte della strategia aziendale di Anova
orientata a creare filiere produttive performanti per i propri prodotti di punta. «Le filiere produttive internazionali nel settore ittico si caratterizzano sempre di più per la loro complessità, per la concorrenza nei prezzi e per la crescente richiesta di tracciabilità; di conseguenza le aziende che riescono ad organizzare in modo efficiente e completo la filiera, sono destinate ad avere maggiore successo» conclude Huisman. «Grazie alla nostra competenza nell’approvvigionamento e all’esperienza nella lavorazione dei prodotti a livello internazionale, nonché alla conoscenza del prodotto, riusciamo ad avere una posizione più centrale nel settore produttivo». Disponibilità sul mercato La produzione di merluzzo fresco Anova è disponibile dal mese di gennaio mentre il tonno pinne gialle MSC ed il merluzzo congelato lo sono già da novembre scorso. >> Link: www.anovaseafood.com
Fast Blade, l’affilacoltelli professionale di nuova generazione Prodotto dall’azienda vicentina Menegon Ennio Sas è indispensabile per affilare in modo semplice e veloce coltelli in acciaio e ceramica in una sola passata Praticità, sicurezza e semplicità. In genere, sono questi gli elementi principali che gli addetti del settore alimentare, e della carne in particolare, guardano quando devono acquistare macchine industriali per il trattamento e la lavorazione di materie prime e prodotti da destinare direttamente al consumo. Proprio
per questo la Menegon Ennio Sas, azienda della provincia di Vicenza esperta da 40 anni nella costruzione di stampi e impianti personalizzati, ha voluto realizzare una attrezzatura che le comprendesse tutte. È nata così tre anni fa Fast Blade, affilacoltelli professionale e di nuova generazione, ad uso e consumo di macellai,
cuochi e esperti nel taglio della carne, in grado di far ottenere una buona affilatura riducendo drasticamente i tempi di lavorazione. «Abbiamo puntato su qualità ed efficienza — racconta il titolare ENNIO MENEGON — investendo sul made in Italy e dando il giusto valore al macchinario, brevettandolo a livello internazionale».
L’affilatrice professionale Fast Blade.
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L’impianto permette di affilare sia i coltelli in acciaio che quelli in ceramica in una sola passata e la sua semplicità e sicurezza lo rendono facilmente utilizzabile anche da parte di persone che non sono del settore. «Ciò che differenzia Fast Blade dagli altri impianti in commercio — continua Menegon — è la possibilità di ottenere un angolo più o meno acuto del profilo della lama, in base agli usi del coltello. Grazie ad una ghiera centrale se ne possono ottenere di 30, 38, 45, 50 e 55 gradi. Il cuore della macchina è composto da dischi che sostengono tre nastrini abrasivi, differenti in grana e tipologia, e in pochi secondi è possibile sostituirli e poi continuare a lavorare in sicurezza».
Nonostante la crisi economica che ha colpito anche questo settore negli ultimi anni, la parola d’ordine è crescita. «Ci auguriamo — dichiara il titolare dell’azienda vicentina — che si possa riprendere a lavorare a ritmi sostenuti. Abbiamo, infatti, già in cantiere altri due progetti che aspettano di essere sviluppati in momenti migliori dal punto di vista economico: si tratta di un affilacoltelli a portata del privato, agevole per le case di tutti, e di uno più completo per i ristoratori, macellerie, gastronomie e supermercati, caratterizzato dalla presenza di un impianto di aspirazione per le polveri del coltello in fase di affilatura». Non solo. Tra i prossimi obiettivi dell’azienda c’è
anche l’apertura a mercati stranieri. «Puntiamo molto sull’Italia — conclude Menegon — ma vogliamo far conoscere il marchio anche fuori dai nostri confini. Considerando, poi, che il prodotto è realizzato interamente nel nostro Paese con materiali locali, sarebbe anche una buona occasione per far conoscere la potenza e la professionalità del made in Italy». Menegon Ennio Sas Via G. Barbarigo 30 36060 S. Cuore di Romano d’Ezzelino (VI) Telefono: 0424 570 880 E-mail: info@fastblade.it Web: www.fastblade.it
Marchio di qualità per l’acquacoltura Un marchio per valorizzare i prodotti di acquacoltura allevati nel rispetto di criteri di qualità ambientale e nutrizionale dettati da un nuovo codice etico.A crearlo è la Direzione Generale Pesca del Ministero delle Politiche Agricole con Unioncamere nell’ambito di un Piano nazionale che coinvolgerà la filiera ittica, dalla produzione al consumo, nei 7 anni della nuova programmazione del Fondo europeo per gli Affari marittimi e la pesca. Secondo un sondaggio di Unioncamere, 8 italiani su 10 sono disposti a pagare qualcosa in più per essere certi che il prodotto sia stato pescato o allevato nel pieno rispetto dell’ambiente. Da qui il Piano che coinvolgerà gli 800 impianti di acquacoltura, per guardare poi alla commercializzazione per diffondere il concetto di qualità dai mercati all’ingrosso, alla vendita al dettaglio, passando dalla ristorazione; e proprio nei pubblici esercizi verrà proposto di adottare un decalogo “salvatrasparenza” verso i clienti.Non mancheranno le campagne di informazione per richiamare l’attenzione ad un consumo responsabile di pesce, favorendo l’acquisto dei prodotti di qualità. «È fondamentale creare un clima di fiducia tra chi produce e chi consuma» ha detto Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamere, presentando l’iniziativa, perché la competitività delle imprese si gioca anche sulla distintività dei prodotti che il mercato cerca. E proprio dalla collaborazione con il sistema camerale, ha detto Riccardo Rigillo, direttore generale DG Pesca del MIPAAF, «ci aspettiamo di stimolare comportamenti responsabili delle imprese e rendere più consapevoli i consumatori». (ANSA)
L’olio di pesce in gravidanza riduce del 30% il rischio di asma nei bambini Di recente, uno studio scientifico danese pubblicato dal NEW ENGLAND JOURNAL OF MEDICINE, che ha coinvolto 695 donne incinte, ha rimarcato l’importanza di assumere in gravidanza integratori a base di olio di pesce, una delle principali fonti di Omega-3. Infatti, se assunti negli ultimi tre mesi di gravidanza, essi sarebbero in grado di ridurre di un terzo il rischio di asma o respiro sibilante persistente nei nascituri, un problema in continuo aumento e che interessa circa un bimbo su 5. «Abbiamo a lungo sospettato ci fosse un legame tra il basso apporto di Omega-3 nelle diete occidentali e i tassi crescenti di asma infantile. Questo studio dimostra che sono definitivamente e significativamente correlate», ha spiegato Hans Bisgaard, direttore dello studio.
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COMMERCIALIZZAZIONE
Crostacei e benessere animale Il recente pronunciamento di inammissibilità di un ricorso della Corte di Cassazione con conseguente conferma della condanna di un ristoratore per la detenzione di astici e aragoste in un frigorifero con le chele legate, riporta all’attenzione del pubblico e degli esperti i problemi legati alla commercializzazione di prodotti ittici vivi. Restano infatti diffuse, seppure con una distribuzione diversa a seconda dei Paesi e delle aree geografiche, abitudini alimentari che prevedono l’acquisto di prodotti ittici vivi e, in alcuni casi, la loro diretta cottura a garanzia della sicurezza e della qualità del prodotto. È uso comune, nelle città costiere, l’acquisto diretto di diverse specie di pesci ancora in vita presso i mercati di primo sbarco. Alcune specie, grazie alla resistenza fuori dall’acqua e alla rapidità dei trasporti, sono in grado di arrivare vive sui mercati, anche dopo voli intercontinentali. I crostacei esposti vivi sul banco ai fini della vendita, a livello normativo, vengono considerati prodotti della pesca mantenuti vivi, e quindi già “alimento” e non più “animali”, ai sensi dell’art. 2, lettera b, del Regolamento CE n. 178/2002 (“Animali vivi … preparati
per l’immissione sul mercato ai fini del consumo umano”). Le indicazioni specifiche in materia di igiene per gli alimenti d’origine animale previste dal Reg. CE n. 853/2004 prevedono che, durante lo stoccaggio e il trasporto, i prodotti della pesca mantenuti vivi “devono essere mantenuti a una temperatura e in condizioni che non pregiudichino la sicurezza alimentare o la loro vitalità” (All. III, sezione VIII, cap. VII, punto 3, del Reg. CE n. 853/2004), mentre i prodotti della pesca freschi devono essere mantenuti a una “temperatura vicina a quella del ghiaccio in fusione” (cap. VII e VIII, punto 1, del Reg. CE n. 853/2004). Fatto salvo l’obiettivo generale “in materia di igiene per gli alimenti di origine animale”, sempre ai sensi del Reg. CE n. 853/2004, gli operatori del settore alimentare devono inoltre rispettare i “requisiti relativi al benessere degli animali (…)”. Attualmente non esiste una normativa vigente che disciplini e garantisca il benessere dei prodotti della pesca mantenuti vivi. Il Reg. CE n. 1099/2009 relativo alla “protezione degli animali durante l’abbattimento” non si applica agli animali
invertebrati e, per quanto riguarda i pesci, si applica soltanto in parte (art. 3, paragrafo 1 “…durante l’abbattimento e le operazioni correlate sono risparmiati agli animali dolori, ansia o sofferenze evitabili”). L’assenza di una posizione univoca da parte delle autorità competenti lascia spazio a interpretazioni basate su sensibilità o valutazioni scientifiche da parte di singoli che, oltre a creare condizioni diverse per le imprese, finiscono con l’orientare anche le sentenze sui singoli casi da parte dei Tribunali. La Regione Piemonte nel 2004, con un provvedimento legato alle aree mercatali, aveva previsto la possibilità di esposizione su ghiaccio dei crostacei nelle fasi di vendita. Una recente revisione della letteratura da parte del Ce.I.R.S.A. (Centro Interdipartimentale di Ricerca e Documentazione sulla Sicurezza Alimentare – ASL TO 5), effettuata anche al fine di rispondere a richieste da parte dell’autorità giudiziaria, non ha consentito di evidenziare vantaggi significativi, rispetto agli obiettivi di garantire la sicurezza alimentare e il benessere animale, tra la esposizione su ghiaccio e l’impiego di acquari. (Fonte: www.ceirsa.org)
Crostacei vivi in pescheria (photo © Vladyslav Danilin – Fotolia).
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INDAGINI
CSM di pesce nelle mense? Sì, grazie! di Giulia Secci, Manuela Gabbai e Giuliana Parisi
L’affermazione di un nuovo stile di vita generato da tempi frenetici, dal poco tempo libero disponibile e dal diffondersi di break veloci, ha inciso fortemente sulla tipica abitudine italiana di pranzare a casa. Nel 2015 la spesa per i servizi di ristorazione e per pasti e consumazioni fuori casa è cresciuta dello 0,8% (FIPE, 2015).
Otto italiani su dieci frequentano più o meno abitualmente bar e ristoranti a pranzo, a cena o semplicemente per una pausa; inoltre, è stato possibile osservare la crescita del consumo alimentare nelle mense aziendali e in quelle scolastiche. Questo fenomeno si è sviluppato parallelamente all’incremento della consapevolezza dei
consumatori, sempre più attenti ad aspetti inerenti la qualità dei prodotti (locali, biologici e di stagione) e la nutrizione, e più sensibili ai rischi alimentari. Tutto ciò sta provocando una diversificazione della domanda e il conseguente affermarsi di nuove tipologie di prodotto. Prodotti che si caratterizzano per la comodità
Polpette di pesce (photo © bralnina – Fotolia).
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Un campione di studenti universitari toscani è stato intervistato in relazione al progetto TRA.AC.TO., finanziato dalla Regione Toscana e indirizzato alla realizzazione di un prodotto trasformato a base di pesce per la valorizzazione dell’acquacoltura toscana. Le domande vertevano sull’offerta e la somministrazione di pesce nelle mense universitarie per capire se l’utilizzo della carne trasformata meccanicamente potesse rappresentare una barriera al consumo o all’acquisto e potesse influire sulla percezione della qualità del preparato a base di pesce descritto dai ricercatori (photo © bildschoenes – Fotolia). d’uso, ready-to-cook, e di elevato valore aggiunto, come la provenienza certificata delle materie prime, stanno registrando un interesse crescente e stanno generando nuove richieste alle quali l’industria alimentare deve cercare di adeguarsi rapidamente. Pesce protagonista In questo contesto, uno dei principali attori è il pesce. Protagonisti assoluti di una crescita costante dei consumi a livello mondiale (nel 2014 si sono superati i 20 kg pro capite annui; FAO 2016), è stato calcolato che i prodotti ittici forniscano ad oltre tre miliardi di persone almeno il 15% dell’apporto medio di proteine animali. In Italia, nel 2015 le attività di ristorazione specializzate su proposte di piatti a base di prodotti ittici (burger, tartare e carpacci, roll di astice, ecc…) sono aumentate, così come l’offerta di prodotti readyto-eat (es. sushi) o ready-to-cook presenti negli scaffali della grande distribuzione. È evidente però che, per
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far fronte a un costante incremento di domanda, il settore ittico, sia della pesca che dell’acquacoltura, debba necessariamente impegnarsi in una gestione sostenibile delle risorse naturali, trovando in primis nuovi sistemi per ridurre gli scarti di lavorazione e/o valorizzare specie meno pregiate, animali danneggiati o sotto taglia. Proprio per questo, i prodotti a base di pesce macinato o ottenuti da processi di separazione meccanica sono visti dall’industria come una grande alternativa per il futuro. Carne di pesce separata meccanicamente (CSM) La carne di pesce separata meccanicamente (CSM) viene definita come il prodotto ottenuto rimuovendo la carne dai prodotti della pesca utilizzando mezzi meccanici che conducono alla perdita o modificazione della struttura della carne. Nello specifico, il pesce intero, precedentemente eviscerato e decapitato, o parte di esso, viene inserito manual-
mente in un separatore (Figura 1) dotato di un nastro che lo convoglia a un tamburo rotante forato. Dal grado di pressione del nastro sul tamburo e dalla grandezza dei fori dipenderà la grana più o meno grossolana della carne separata che verrà raccolta all’interno del tamburo. Le frazioni ossee e la pelle invece resteranno all’esterno del tamburo e costituiranno lo scarto di lavorazione. Oltre alle impostazioni della pressione e i fori, è possibile decidere il numero di cicli a cui sottoporre le carcasse (per aumentare la resa) nonché effettuare il lavaggio della CSM. Il progetto In questo panorama, la Regione Toscana ha deciso di finanziare nel 2014 un progetto di due anni per la “Realizzazione di un prodotto trasformato a base di pesce per la valorizzazione dell’acquacoltura toscana (TRA.AC.TO.)”, che ha visto la collaborazione della Scuola
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di Agraria dell’Università degli Studi di Firenze, del Centro Italiano Ricerche e Studi per la Pesca (C.I.R.S.PE.), dell’Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA) e di alcune aziende di acquacoltura situate nel territorio della regione Toscana. Il progetto, articolato in più fasi, si è incentrato sullo studio dell’applicazione della tecnica di separazione meccanica alle carni di diverse specie ittiche (spigola, orata e trota iridea), nell’ottica di ridurre gli “scarti” della produzione di acquacoltura, costituiti da animali non perfettamente conformati o sotto taglia, e di valorizzare la materia prima ottenendo nuovi prodotti (tipo fish burger), da proporre alla ristorazione collettiva regionale, nell’ambito della quale le mense universitarie rappresentano una realtà importante per il numero di pasti serviti quotidianamente. Ma qual è la familiarità al pesce degli studenti universitari toscani? Su quali caratteristiche dovrebbe puntare un’azienda nella messa a punto di un nuovo prodotto? E, soprattutto, quanto è propensa questa tipologia di consumatori verso preparazioni a base di pesce lavorato attraverso il metodo della separazione meccanica? Per rispondere a queste domande i ricercatori coinvolti nel progetto hanno condotto dei Focus Group (metodo di ricerca qualitativo incentrato sulla discussione con un campione ristretto di soggetti) con un panel di consumatori selezionati tra gli studenti universitari e i dottorandi di ricerca degli atenei della regione Toscana (Firenze, Pisa e Siena), sia maschi che femmine, di età compresa tra i 20 e i 32 anni, regolari fruitori del servizio mensa della propria Università. Particolare attenzione è stata posta nel selezionare studenti con percorsi di studio diversificati, in modo da assicurare che in ciascun Focus Group fossero presenti studenti di materie umanistiche e sociali e studenti di materie scientifiche e tecniche. Attraverso la discussione sono state affrontate tematiche come il consumo del pesce, la percezione del-
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la qualità, l’accettazione del processo di separazione meccanica applicato al settore ittico per l’introduzione nel mercato di nuovi prodotti, nonché le caratteristiche desiderate per un eventuale nuovo prodotto. Dall’indagine è emerso che il 36% dei partecipanti consuma il pesce almeno una volta a settimana, il 43% due volte, mentre il 20% più di tre volte a settimana. «A Siena è difficile reperire pesce fresco; lo consumo due volte a settimana perché mi piace, ma quando torno a casa lo mangio più spesso», dice una studentessa fuori sede, in linea con gli altri partecipanti. Il consumo in casa è quello più comune, mentre solo occasionalmente si consuma il pesce a mensa, e al ristorante si consuma solo per occasioni speciali. Le mense di Firenze e Siena propongono pesce una o due volte a settimana, mentre gli studenti di Pisa godono di un’offerta di secondi piatti più variegata, nella quale quasi tutti i giorni c’è un’offerta di pesce. In generale, la maggioranza del campione non si è detta soddisfatta dell’offerta di pesce proposta dalle mense universitarie. Ricorrono tre elementi: la fiducia nel pesce che viene servito, il tipo di preparazione e l’aspetto delle pietanze. Gli studenti hanno sottolineato di non fidarsi del pesce che viene servito alla mensa in quanto proposto in tipologie di preparazioni considerate poco salutari (come tranci di pesce o bastoncini fritti) e dall’aspetto poco invitante, elementi che insieme sembrano concorrere a considerare i prodotti “di scarsa qualità”. Dai
Focus è emerso chiaramente che il pesce è percepito come un elemento essenziale per seguire un regime alimentare variegato, ma il suo aspetto “pregiato” e i prezzi di vendita lo rendono scarsamente accessibile alla popolazione studentesca. Il tema della scelta della tipologia di pesce in relazione alla sua origine (cioè pescato vs allevato) è stato molto sentito in ciascun Focus Group. La maggior parte del campione (circa il 75% dei partecipanti) ha dichiarato di preferire il pesce pescato perché considera che le proprietà organolettiche siano migliori. «Il pesce pescato ha un sapore migliore e dunque una qualità migliore, ma consumo anche pesce allevato, perché alcuni pesci come il salmone o il tonno sono maggiormente reperibili se provenienti da allevamenti». Solo una piccola parte del campione si è dimostrata in disaccordo con gli altri partecipanti, affermando che a volte il pesce allevato è migliore sotto il profilo organolettico grazie al maggior controllo dell’allevamento. Inoltre, alcuni hanno sottolineato l’aspetto etico legato al consumo del pesce, indicando i vantaggi di scegliere pesci di allevamento per contrastare la pesca sconsiderata e rispettare i criteri di sostenibilità, evitando il momento della riproduzione. Dall’analisi delle discussioni è inoltre emerso che solo il 25% del campione non pone attenzione alla tipologia di pesca o di allevamento del pesce che consuma. Di questi, alcuni dei partecipanti ai Focus Group non sanno cosa consumano e altri invece ritengono che dal
Solo una piccola parte del campione si è dimostrata in disaccordo con gli altri partecipanti, affermando che a volte il pesce allevato è migliore sotto il profilo organolettico grazie al maggior controllo dell’allevamento. Inoltre, alcuni hanno sottolineato l’aspetto etico legato al consumo del pesce, indicando i vantaggi di scegliere pesci di allevamento per rispettare i criteri di sostenibilità
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Figura 1 – Separatore meccanico. Figura 2 – Carne di pesce separata meccanicamente. punto di vista organolettico siano più importanti altri fattori: in primis l’origine del pesce e in seconda battuta la freschezza del prodotto. «Allevato o pescato mi è indifferente, io guardo la freschezza del pesce e scelgo in base a quello»; «Per me non è tanto importante cosa mangia il pesce, ma da dove viene». A questo punto, si è cercato di approfondire il ruolo dell’origine del pesce nella scelta dei consumatori. Il 60% dei partecipanti ha dichiarato di reputare la provenienza del pesce il fattore che principalmente influenza non tanto il loro atteggiamento di consumo (definito come l’insieme di
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asset valoriali che utilizzano nel valutare un prodotto), ma le loro scelte effettive di consumo quando sono davanti al banco del supermercato o in pescheria. «Meglio Orbetello della Francia, ma se vado al supermercato non sempre si trova…
(quello di Orbetello, Ndr)»; «Per me è importante che il pesce sia pescato o allevato in Italia, non mi fido di prodotti che vengono da lontano»; «Prediligo il prodotto italiano dando meno credito al prodotto europeo (cioè proveniente da altri Paesi, Ndr)»: sono solo alcune delle osservazioni mosse dagli studenti. Dopo aver illustrato gli obiettivi principali del progetto TRA.AC.TO. abbiamo cercato di approfondire le abitudini di consumo dei soggetti intervistati, per capire se consumassero già e con quale frequenza alimenti prodotti con l’utilizzo di macchinari CSM, cioè per la produzione di Carne Separata Meccanicamente. Sul mercato oggi tali prodotti si trovano principalmente nel comparto carne e pollame, come ad esempio nel caso di “spinacine, würstel e cordon bleu”. «Il sapore di questi prodotti è molto buono, ma non li ritengo una categoria di prodotti molto salutari anche per il tipo di preparazione che implicano, che spesso è fritta; li consumo solo in caso di emergenza». Valutare il grado di familiarità con i prodotti che prevedono l’utilizzo della CSM ci è servito per analizzare al meglio la fase successiva del Focus, nella quale il moderatore ha presentato le innovazioni proposte dal progetto (provenienza: pesce da allevamenti certificati toscani; lavorazione: con tecnica CSM), insistendo però su un elemento di forza dell’applicazione della CSM ai prodotti ittici previsto nella sperimentazione TRA.AC.TO., che risiede nell’utilizzo di tutto il pesce e non solamente delle parti meno nobili, come avviene per il mondo della carne. La finalità era capire se l’utilizzo della CSM potesse rappresentare una barriera al consumo o all’acquisto e potesse influire sulla percezione della
Il problema di accettabilità per i prodotti CSM in generale è incentrato sulla loro preparazione: i partecipanti hanno infatti manifestato interesse nei confronti di prodotti come hamburger o polpette purché il più salutari possibili
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qualità del preparato a base di pesce descritto dai ricercatori. Dall’analisi dei tre Focus Group non è emersa una particolare avversione per l’utilizzo della tecnica CSM, purché il prodotto che si ottiene dalla lavorazione del pesce si avvicini in termini di aspetto visivo il più possibile ad una macinatura grossolana. Se il risultato ottenuto dovesse essere simile ad una purea, questo rappresenterebbe un possibile ostacolo al consumo. Nella mente dei consumatori la macinatura grossolana, in altre parole la consistenza del prodotto, è più facilmente associabile ad un prodotto di qualità elevata, che non è cioè il risultato di una produzione industriale su larga scala. Possiamo, quindi, affermare che l’aspetto della preparazione incide sulla percezione di qualità del prodotto. «Mi piace l’idea della filiera toscana certificata e non ho avversione per l’utilizzo della CSM se il prodotto finito presenta una grana grossolana»; «Per me la CSM
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non rappresenta un problema, e mi piace l’idea dell’hamburger, magari di pesce di acqua salata con verdure tipo spinaci o patate, per contenere i costi di produzione ed essere adatto alle mense»; «Se ci fosse a mensa o al supermercato, lo comprerei». In linea con quanto espresso per i prodotti CSM a base di carne, il problema di accettabilità è incentrato sulla preparazione, non sulla trasformazione del pesce tout court. I partecipanti hanno infatti manifestato interesse nei confronti di prodotti come hamburger o polpette, purché non presentino impanature e anzi si prestino a cotture senza aggiunta di grassi, magari al forno o alla griglia, in modo da “mantenere il prodotto più salutare possibile”. In conclusione, la categoria di consumatori presa in esame ha confermato il trend attuale di consumo critico e consapevole. Considerato un elemento essenziale nella dieta, il campione intervistato ha individuato nella provenienza (locale) e nell’origine (pescato) gli attributi
che discriminano maggiormente la qualità del pesce. Non ha inoltre evidenziato alcun pregiudizio sulla percezione della qualità derivante dall’utilizzo della metodologia produttiva con macchinari CSM, mentre le modalità di preparazione e di cottura sono considerate fattori che potrebbero influenzare negativamente la salubrità del prodotto. Giulia Secci Giuliana Parisi Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente (DISPAA) Sezione di Scienze Animali Università degli Studi di Firenze Manuela Gabbai Riferimenti • FAO (2016), The State of World Fisheries and Aquaculture 2016. Contributing to food security and nutrition for all, Rome, 200 pp. • FIPE – Federazione Italiana Pubblici Esercizi (2015), Ristorazione. Rapporto annuale 2015, 108 pp.
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Chi abita vicino al mare mangia più pesce Uno studio mostra che il consumo di prodotti ittici nelle comunità costiere indigene è quattro volte superiore a quello medio mondiale, ma la sovranità alimentare di queste popolazioni va protetta con politiche adeguate di Roberto Villa
Sembrerebbe persino banale affermarlo: chi è nato e risiede nelle aree costiere ha una maggiore propensione al consumo di prodotti ittici. Ora però uno studio ha messo in luce, dati alla mano, quanto in termini
numerici questa affermazione corrisponda al vero. Nel quadro della valutazione dell’impatto di numerose situazioni che riguardano la società moderna in veloce e continuo mu-
tamento — la modifica degli stili di vita e dei modelli alimentari, il predominio spinto dell’economia sulla biologia, i cambiamenti climatici, solo per citarne alcuni — un gruppo di ricercatori si è posto l’obiettivo
Gli studiosi sono giunti a determinare in 74 kg pro capite all’anno il consumo di prodotti ittici (vertebrati, invertebrati ed altri prodotti della pesca) delle popolazioni indigene, a fronte dei 19 kg pro capite all’anno che la FAO calcola come valore medio per tutta la popolazione mondiale.
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di evidenziare quanto le comunità costiere indigene dipendano dalle risorse offerte dai mari e dagli oceani; e non si tratta semplicemente di una dipendenza di tipo trofico (la soddisfazione del bisogno primario e ineludibile del cibarsi), ma di un legame culturale secolare o addirittura millenario. Partendo da studi già realizzati in passato, a proposito degli aspetti qualitativi dei prodotti ittici in relazione al benessere delle popolazioni indigene, i ricercatori si sono dedicati al calcolo dei consumi reali diretti (quindi depurati delle quote destinate al commercio locale o eventualmente destinato all’esportazione) da parte delle popolazioni autoctone residenti sulle coste degli Stati oppure delle intere popolazioni delle piccole isole dei paesi in via di sviluppo; la stima in termini numerici è di 370 milioni di persone, pari al 5% dell’intera popolazione mondiale ma con un’incidenza socio-culturale ed ambientale che va ben oltre questa esigua percentuale. Pur avendo individuato nel database un totale di 1.924 comunità indigene in tutti e cinque i continenti e in venti delle ventuno sotto-regioni classificate dalla FAO, solo di 156, appartenenti a 110 gruppi indigeni e pari a 3,5 milioni di persone, è stato possibile calcolare il consumo di prodotti ittici. Con l’utilizzo di opportune tecniche statistiche, gli studiosi sono giunti
a determinare in 74 kg pro capite all’anno il consumo di prodotti ittici (vertebrati, invertebrati ed altri prodotti della pesca) delle popolazioni indigene, a fronte di un valore di 19 kg pro capite all’anno che la FAO calcola come valore medio per tutta la popolazione mondiale, ovvero un valore quasi quattro volte superiore. In particolare, nell’ambito delle comunità considerate, il consumo varia da un massimo di 109 kg pro capite all’anno in Africa ad un minimo di 33 kg pro capite all’anno in Oceania. In termini assoluti il consumo stimato di prodotti ittici delle comunità indigene assomma a 2,1 milioni di tonnellate — un’approssimazione che spazia tra 1,5 e 2,8 milioni di tonnellate tenendo conto delle numerose e non sempre determinabili variabili in gioco — equivalenti ad una quota pari all’1-2% delle catture annue globali. Dalla salvaguardia delle comunità alla preservazione della cultura e dell’ambiente Il valore sopra citato non è affatto elevato, tuttavia, dato il legame netto tra tale disponibilità e la sopravvivenza della popolazione, è un patrimonio che va salvaguardato dalle pressioni esogene come l’invadente presenza di flotte commerciali; opportune politiche a livello di governi nazionali e locali sono auspicabili, così come accordi internazionali che tengano
sotto controllo sia le politiche della pesca sia le misure per contenere le alterazioni climatiche che già stanno avendo un impatto sulla fauna ittica a livello mondiale. Ciò va incontro alla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti delle popolazioni indigene circa “uno sviluppo sostenibile ed equo e una gestione appropriata dell’ambiente” e alla sovranità alimentare delle stesse, ovvero alla possibilità di avere accesso a fonti di cibo sano, qualitativamente e quantitativamente idoneo al sostentamento delle comunità stesse. Con la protezione di queste popolazioni, la comunità internazionale si porrebbe un obiettivo che non è solamente etico ma è anche culturale ed ha un forte segno di tutela ecologica — la conservazione degli organismi acquatici e degli ecosistemi marini — senza peraltro precludere lo sviluppo equilibrato delle industrie e del commercio dei prodotti ittici. Roberto Villa Nota • Per maggiori informazioni (in lingua inglese): CISNEROS-MONTEMAYOR A.M., PAULY D., WEATHERDON L.V., OTA Y. (2016), A Global Estimate of Seafood Consumption by Coastal Indigenous Peoples, journals.plos. org/plosone/article?id=10.1371/ journal.pone.0166681
SEDE CENTRALE Via Milano, 162 M 16126 Genova Tel. +39 010 8599200 Fax +39 010 8599299 Web: www.verrini.com E-mail: verrini@verrini.com
IL PESCE IN TAVOLA
Geometria & gastronomia: ricettiamo il rombo di Giorgia Fieni
“Il rombo (o losanga) è un poligono appartenente alla famiglia dei parallelogrammi che ha tutti i lati della stessa lunghezza (congruenti)”. Ops, scusate, non credo sia questa la definizione che mi serve… Proviamo allora con “il nome comune di rombo viene dato, nel parlato quotidiano (dialettale e non) ad alcune specie di pesci piatti, appartenenti ad alcune famiglie dell’ordine Pleuronectiformes”. Ecco, meglio. Ma questo lapsus mi ha fatto pensare che anche il pesce può essere ricettato seguendo le regole della geometria. Vediamo come.
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Partiamo dalle proprietà, ovvero l’equivalente di lati, diagonali e angoli, molto utili quando si tratta di riconoscerlo e di prepararlo. Nel Mediterraneo (ma l’elevata richiesta commerciale fa arrivare sulla tavola degli italiani anche pesce proveniente dall’Atlantico, che si affianca a quello allevato in vasca) ne esistono due specie: il rombo chiodato (così detto per la presenza di placche spinose riconoscibili anche al tatto) e il rombo liscio (o soaso). Pesano entrambi sui 500 grammi (ma ne esistono anche più grossi: la regola generale in cucina
prevede un esemplare di 600 grammi per 2 persone e di almeno 1,5 kg per 4-5 ospiti) e, se venduti interi, hanno il corpo rigido e sodo, la pelle lucente e carni resistenti alla semplice pressione. Quanto alla pulizia, meglio lasciarlo tale e quale, in modo che il grasso sottocutaneo ne mantenga la morbidezza. Nel dubbio, seguite i consigli di CARLO CRACCO: «non togliete la pelle prima ma dopo. Partite dal centro, sulla pelle si vede una riga, è quella che separa i due filetti per cui con la punta del coltello incidete sulla spina dorsale e poi
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Il rombo cotto in crosta di riso Venere con emulsione all’acqua di riso e tè Lapsang Souchong di Andrea Berton (photo © www.identitagolose.it). scivolate leggermente verso il basso, facendo attenzione a non rovinare il filetto, e andate fino in fondo alzando sempre un po’ la carne verso di voi. Una volta tolto il filetto potete anche eliminare la pelle partendo sempre dalla coda e incidendo». In geometria misuriamo il perimetro del rombo quadruplicando la lunghezza dei lati; in cucina accompagniamo il pesce cotto con sapori differenti. L’oliocottura (o cottura confit, Ndr), si abbina bene a caponata e cialda di riso. Panato al limone e miglio caramella in miele d’acacia e burro chiarificato e si serve con purè di patate e grano. La cottura è in un sacchetto, in lavastoviglie, e la presentazione è su crema di porri al cipollotto e vino bianco. Per la versione carpaccio aggiungere porri saltati, tobiko verde, olio
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allo zenzero e panna acida. In pesciera con court-bouillon, presentato su salsa olandese. In terrina, alternato a filetti di salmone e un mix di spinaci, merluzzo, uova e formaggio fresco. Marinato con curry, arancia, timo, prezzemolo. In padella con burro, aglio e fumetto, poi adagiato su crostini di polenta. Al vapore con astice e zafferano o con salsa di gorgonzola o con emulsione di tartufo. OLIVER GLOWIG lo cuoce sottovuoto a 65° per 15 minuti e lo accompagna con un’originale vignarola. Un’altra misurazione possibile è l’area: moltiplicando base per altezza scopriamo quanto materiale un rombo può contenere; chef ed esperti ci insegnano, al contempo, che il pesce può essere sezionato per crearne preparazioni ricche e sontuose.
MORENO CEDRONI rappresenta benissimo questo concetto in molte delle sue preparazioni, quando lo trasforma in cotoletta o lo propone — secondo una tecnica familiare anche ad altri suoi colleghi, quali GUALTIERO MARCHESI, che ha inventato l’aggiunta di uova e farina, e CARLO CRACCO, che usa invece gruè di cacao — al sale («il profumo che si sprigionava da quella polpa bianca e sugosa, per un raggio di almeno 2 metri, risultava impagabile. La vera sfida era estrarre il pesce a regola d’arte dalla lastra, evitando che qualche grano di sale scivolasse nel piatto. Se accadeva, il risultato era rovinato») o fritto, sullo stecco, da intingere in una maionese di fragole spolverizzata con polvere di lamponi, o in scatoletta o addirittura cesellato a pigna per ricreare l’orto ittico di Portonovo. Alla pelle Cedroni dà comunque una certa importanza, essiccandola un paio di giorni, tagliandola a striscioline, friggendola e conservandola sottovuoto, sì da renderla gonfia e croccante. BRUNO BARBIERI frulla il rombo con panna e pepe, vi mescola origano e basilico, vi farcisce rondelle di mozzarella di bufala e frigge il tutto. ANDREA BERTON lo cucina gratinato con lardo e limone e accompagna con una crema di broccolo romano. I CEREA con meringa di merluzzo. A Identità Golose 2012 PAUL CUNNINGHAM ha presentato un rombo di 8 kg coperto da timo del giardino e servito con salsa al limone. THIBAUT RUGGIERI ha vinto il Bocuse d’Or 2013 con un rombo con infusione di perle a base di erbe. Chi non ha abilità da chef lo mette in una crêpe con besciamella al radicchio e porcini o lo trasforma in torta, dandogli il sapore del ginepro. Ne crea uno strato della parmigiana di melanzane, con pomodoro ramato alla maggiorana, scaglie di grana e pesto al basilico. Cucinare in questo caso è come essere interrogati in geometria: bastano poche regole da imparare a memoria. Tutto il resto è improvvisazione! Giorgia Fieni Nota A pagina 42 rombi chiodati (photo © Giancarlo Polacchini, Studio Gi).
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Pesce azzurro? Un capitolo sempre aperto! di Josette Baverez Blanco
Di rientro da Parigi — e da numerose scorpacciate di ostriche e altri molluschi bretoni in compagnia di parenti intenditori — mi sono ritrovata in valigia dieci scatole di sardine millesimate (Sardines millésimées), diversamente condite. Sì, proprio come il buon vino, possiamo assaporare il must delle sardine grand cru, quelle bretoni, preparate a mano con la massima garanzia di qualità,
in scatole finemente decorate e che hanno una durata fino a dieci anni (avendo l’accortezza di rigirarle ogni 6 mesi). Alla mia famiglia di origine avevo raccontato con rammarico che la sardina in scatola in Italia è considerata un prodotto molto povero e la si consuma di rado, al contrario della Francia, dove vige un consumo quotidiano. Nel 1880 la Francia produceva cinquanta milioni di scatole
all’anno. La sardina fu, tra l’altro, il primo pesce ad essere conservato in questo modo, lavorazione lunga che richiede sei tappe diverse. Ho subito pensato di riprendere parzialmente un argomento trattato “in tutte le salse”, quello del pesce azzurro, parlando anche di quelli meno noti. I grandi classici sono l’alice (Engraulis encrasicolus), la sardina (Sardina pilchardus) e lo sgombro
Negozio di sardine a Douarnenez, graziosa cittadina affacciata sulle coste bretoni (photo © www.pennsardin.com).
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Colorate, dipinte e variopinte, animate da disegni e fumetti che sono dei capolavori: i Francesi sono dei veri e propri maestri nella creazione delle scatolette di latte per la conservazione delle sardine. (Scomber scombrus). La prima, minuscola ma saporita, chiamata anche acciuga, è senz’altro fra i più nobili e ha conquistato un posto di primo piano nelle ricette italiane. Di fatti non è nemmeno economica e si trova sul mercato fresca, salata, in salsa o in pasta. Le alici sono abbondanti sulle nostre coste nel periodo della riproduzione, da aprile a novembre. La sardina è il suo parente povero, mentre la si dovrebbe consumare molto di più per le sue specifiche qualità nutrizionali. Appare d’estate sui barbecue e purtroppo tante persone non ne sopportano l’odore o non la digeriscono. In realtà contiene molto meno grassi della carne e, se cucinata freschissima, darà molto meno questo senso di pesantezza. In Francia viene spesso mescolata al burro per farne una crema da spalmare sui toast per l’aperitivo. In
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Sicilia, una specialità molto amata è la pasta con le sarde. Si chiamano così le sardine fresche, in particolare quelle piccole. All’occasione provate questo piatto agrodolce (ricordo della cucina araba) con finocchietto selvatico, pinoli, uvetta e, al posto dell’aceto forte, un bel po’ di vino bianco. Altra ricetta tipica siciliana è la sarda a beccafico, accuratamente aperta e pulita, impanata con pangrattato per mantenere la sua morbidezza, olio, pepe, aglio e prezzemolo e fritta a sandwich. Per alleggerire l’intensità dei sapori, meglio adoperare la cottura al forno con limone, aceto o vino bianco. Lo sgombro è più grosso e ha carne bianca, apprezzato dai consumatori sia fresco che conservato. Fatta eccezione per l’aguglia (Belone belone), con il suo corpo molto allungato (può superare gli 80 cm e il
chilo di peso) e snello, deliziosa fritta o in padella col pomodoro, chi di voi conosce queste altre specie nostrane molto meno note? Come l’alaccia (Sardinella aurita), dal corpo ovale bluastro e biancastro, lunga 30 cm circa, ottima sia alla griglia che fritta, o ancora insaporita con prezzemolo, finocchio selvatico, sale, pepe e succo di limone. O la chieppa (Alosa fallax), anch’essa ovale, azzurra o verde e argentea, molto meno pregiata ma che si lascia mangiare bene grigliata o brasata. Il cicerello (Gymnammodytes cicerelus), corpo allungato, di 12-18 cm, dalle carni squisite, si mangia sempre fresco. La costardella o gastodella (Scomberesox saurus), dal corpo lungo fino a 50 cm, a volte viene conservata sotto sale benché si consumi la sua carne pregiata preferibilmente fresca. L’affusolato lanzardo (Scomber colias), dai 30 ai 60 cm, dal manto tigrato; ottima la sua carne bianca che si può cucinare in modo tradizionale alla griglia o al cartoccio, lesso o al forno. Lo spratto, chiamato anche saraghina o papalina (Sprattus sprattus), dal corpo ovale allungato ma piccolo, va consumato appena pescato per dare il meglio di sé, cotto alla griglia o a scottadito. Il suro o sugarello (Trachurus trachurus), anche lui slanciato, può misurare fino a 40 cm; la sua carne delicata va cotta alla griglia o al forno; meglio fare al cartoccio quelli più piccoli. Da francese mi permetto di suggerire qualche ricetta per valorizzare la sardina tutto l’anno: ottimi i crostini con il burro salato o formaggio spalmabile sui quali appoggiare un filetto di sardina marinato in limone, aglio e timo; l’insalata di patate, cipolla a rondelle e sardine schiacciate con formaggio fresco di capra; i conchiglioni farciti; la charlotte di sardine con olive in purea; le piccole torte con sardine e verdure; i samosa di sardine con feta e curry; la spuma di sardina con crema di piselli; tutte le tartine con pane rustico, peperoni, olive, sardine… In Italia si tende ad usare molto di più l’acciuga, ma vi garantisco belle sorprese al palato con questi suggerimenti! Josette Baverez Blanco
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Gourming: la gastronomia d’eccellenza francese a portata di clic Le eccellenze gastronomiche francesi non sono mai state così vicine anche in Italia ed è grazie a un progetto innovativo che ora è realtà operativa a portata degli operatori del settore. Parigi ha recentemente ospitato il lancio internazionale di Gourming, il progetto di e-commerce del Gruppo Le Duff rivolto a ristoratori, albergatori, grossisti, distributori e professionisti che porta in Europa i prodotti d’eccellenza e specialità dei migliori artigiani transalpini. Dalla panetteria agli insaccati, carni, pesce e frutti di mare, passando per le spezie, Gourming è un ecommerce che già al momento del lancio vanta un patrimonio di 250 produttori, 5.000 prodotti referenziati, 600 specialità regionali, 300 prodotti di agricoltura biologica e 140 prodotti certificati, accumunati dai valori di qualità, sicurezza e tracciabilità. I prodotti provengono da ogni regione della Francia rappresentando così uno strumento unico nella scelta e acquisto delle eccellenze gastronomiche d’Oltralpe. «L’obiettivo — ha affermato Louis Le Duff, presidente e fondatore del Gruppo Le Duff — è dare la possibilità a oltre 15.000 aziende del settore alimentare di superare i confini francesi e di esportare così il loro talento e i loro prodotti. Non bisogna dimenticare che il 75% di queste aziende non esporta o esporta poco all’estero. Oggi il digitale offre possibilità illimitate e ho deciso di creare Gourming con l’obiettivo di connettere in assoluta semplicità produttori, chef e professionisti della gastronomia di tutto il mondo». Avere accesso a questo mercato virtuale è semplice e consente, in pochi clic, di realizzare una vera e propria spesa con prodotti artigianali francesi poco accessibili all’estero. Dopo aver creato un proprio account, si potranno selezionare in tutta comodità i prodotti desiderati utilizzando un motore di ricerca che guiderà il cybernauta passo dopo passo nell’ordine. Oltre a un percorso facilitato fino al carrello, Gourming offre un vero e proprio storytelling, fatto di schede, storie, ricette, approfondimenti, consigli su prodotti, artigiani e luoghi di origine, che prometterà un viaggio su misura alla scoperta delle eccellenze gastronomiche d’Oltralpe, tutte accuratamente selezionate. Le attività di supply chain saranno quindi supportate da esperti di logistica e trasporti per garantire una fornitura regolare e puntuale in tutta Europa. >> Link: www.gourming.com
4 lo Scongelamento
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la Pulitura
il secondo Lavaggio
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il primo Lavaggio
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illaRicongelamento Ghiacciatura
la Spellatura
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il Confezionamento
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La palamita: chiarezza e freschezza di Maurizio Dell’Agnello
La palamita, pronunciata proprio così, senza nessun accento, in latino si chiama Sarda sarda. Anche se il nome e le comuni credenze popolari possono trarre in inganno, in realtà questo pesce ha poco a che vedere con sgombri, sardine e acciughe che sono i veri “azzurri” per antonomasia, campioni, con le loro carni, di proteine e minerali. Ma anche se
non rinomata, non c’è dubbio che sia una risorsa del mare dalle pregiate qualità nutrizionali, conosciuta sulla costa da molto tempo e largamente apprezzata per le carni e per la possibilità di essere trasformata e conservata per lunghi periodi. E visto che abbiamo cominciato con il nome proprio e le precisazioni del caso, si deve anche ricordare che,
quando si parla di palamita, femmina senza accenti, si fa riferimento al pesce vero e proprio, mentre il palàmito, maschio accentato, non è il marito della suddetta, ma uno strumento con cui in genere la si può catturare. Messi i giusti accenti e ricordati i corretti generi, si deve comunque dire che mai come per la palamita i riflettori si siano così
Palamita (photo © pavlobaliukh – Fotolia).
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La palamita, considerata a torto un parente povero del tonno, ha carni dal sapore forte e con una leggera punta di acidità. Un tempo era pescata con grandi reti a maglia larga dette “palamitare” che stazionavano in mare anche per lunghi periodi. Oggi sono catturate prevalentemente dai grossi pescherecci
favorevolmente accesi su una specie ittica. Senza intaccare le più nobili spigole e orate, pesci “coronati” a gran voce dagli stimatori del mare e dei suoi abitanti, possiamo dire che il nostro tonnetto ha saputo guadagnarsi saldamente le luci della ribalta. E chi la leva più da lì! Giornali e riviste, specialmente quelle di settore, è raro che non mettano una pubblicità con una bella immagine del tonnetto saltellante tra le onde. In effetti, la lucentezza dei colori cangianti dall’azzurro al verde e l’aspetto di questo pesce ispirano freschezza alla settima potenza. Così la palamita è diventata il “pesce della ribalta”, famosa più del parente intellettuale, l’allitterato, protetta come prodotto a presidio da Slow Food, garantita con una politica di marchi che ne denomina zona di
cattura, taglia e tempi dalla cattura, e che, unita alla catena del freddo, ne garantisce freschezza e qualità. Ma fra gli artefici di questo successo non va dimenticato il ruolo che ha avuto la speciale festa di una cittadina della Costa degli Etruschi che ne ha fatto un vero e proprio simbolo della primavera del mare che, con vento di riscossa, ha portato persino al recupero della sua antica tradizione ittica. Da una quindicina d’anni, infatti, San Vincenzo, in provincia di Livorno, ravviva le vie cittadine con profumi e sapori di mare, parlando di questo tonnetto e del modo di come utilizzarlo in cucina e nella nutrizione umana, ma anche di storia della pesca e di pescatori che hanno contribuito a renderla famosa. Maurizio Dell’Agnello
La palamita sottolio di zia Gabriella La palamita è un pesce che si presta a molte e gustose preparazioni. Quella che proponiamo, forse un po’ laboriosa, necessita di attenzione ai livelli di acqua e olio, ma predispone a degustazioni a lunga scadenza, veloci e pronte per ogni occasione, da arricchire con fantasia a volontà! Eviscerate due palamite, togliendo testa e coda. Pesate il pesce pulito e adagiatelo in una grande pentola. Aggiungete acqua fino a superare il livello dei pesci di quattro o cinque dita e 120 grammi di sale grosso per ogni chilo di pesce. Mettete il coperchio e, una volta portato a ebollizione, abbassate la fiamma e fate bollire per 3 ore, aggiungendo acqua quando il livello si abbassa. A cottura ultimata aspettate che il pesce si raffreddi, quindi togliete la pelle e spinate con accuratezza. Otterrete dei bellissimi filettoni che adagerete su un panno asciutto, coperti con un altro panno, e lascerete raffreddare per l’intera giornata. A questo punto prendete dei barattoli di vetro e riempiteli con i filettoni a pezzi coprendoli con olio di mais o oliva. Lasciate aperti i barattoli per un giorno, aggiungendo altro olio se occorre; l’olio dovrà coprire il pesce di un dito e rimanere, sempre di un dito, sotto il livello massimo del barattolo. Quindi chiudete i barattoli e metteteli in pentola, aggiungendo acqua fino a coprirli totalmente. Portate a ebollizione ed eseguite il bagnomaria per 20 minuti. Spegnete il fuoco, lasciate raffreddare i barattoli nella stessa pentola, quindi tirateli fuori, asciugateli e riponeteli in un luogo al riparo dalla luce. La vostra palamita sottolio, oltre ad essere squisita, durerà più di un anno. Una volta aperta va conservata in frigo e consumata in tempi brevi. Buon appetito!
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L’orecchia marina di Luca del Grammastro
L’orecchia marina (Haliotis tuberculata) è un mollusco gasteropode marino opistobranco della famiglia Haliotidae, comunemente conosciuto come abalone, orecchio di Venere, orecchio di San Pietro, poiché l’aspetto della conchiglia rigida ricorda molto quello del padiglione auricolare. La peculiarità di questo mollusco è proprio la conchiglia robusta bruno-verdastra, talvolta con screziature rossastre di forma ovalare, assai larga ed appiattita, recante sulla faccia esterna un numero variabile di strie di accrescimento trasversali ondulate. Spira costituita da 3-4 giri con l’ultimo molto sviluppato e portante una serie di fori tondeggianti, dei quali solamente 5-8 sono aperti e con l’accrescimento si rinnovano. Quasi tutti, infatti, conoscono proprio la sua conchiglia, che quando è priva del mollusco si presenta ruvida esternamente,
spesso ancora incrostata da altri organismi, ma internamente custodisce un tesoro di liscia e splendente madreperla. L’orecchia marina è diffusa in molte parti del mondo: lungo le coste del Mediterraneo, dell’Africa, dell’Australia, della Nuova Zelanda, delle isole del Pacifico e le coste occidentali dell’America settentrionale e alle isole della Manica. Presenta un’unica valva a protezione della parte molle del proprio corpo facendo aderire il piede con forza alla superficie del fondo o dello scoglio, dove si muove strisciando in cerca di alghe di cui cibarsi dopo un meticoloso sminuzzamento. L’ossigeno estratto dall’acqua penetra nelle branchie situate sotto la conchiglia e in seguito l’acqua viene respinta attraverso una fila di fori. Vive ad una profondità di 15 metri, raggiunge dimensione che varia dai 2,5 ai 10
cm con sporadicità, perché è spesso preda preferita di polpi e altri molluschi gasteropodi. È considerata da sempre una vera e propria prelibatezza dai Giapponesi che la impiegano nel dashi, un brodo a base di fiocchi di bonito e kombu, una leccornia tipica dai Californiani del nord, ma è quasi del tutto sconosciuta in Italia. Eccezion fatta per chi frequenta ristoranti orientali e per i Siciliani della costa est, dove viene pescata in tarda primavera e in estate. La polpa dell’orecchia marina, rimossa dal guscio, viene cucinata tagliata a lamine. Ha consistenza soda e una succulenza umida, con sapore delicato lievemente marittimo. Prelibatissima e molto ricercata, può essere consumata cruda o cotta ed è preziosa fonte di antiossidanti, vitamine, soprattutto la C, e proteine nobili; ha invece un basso contenuto di lipidi e calorie.
L’orecchia marina è molto amata dai Giapponesi (photo © kei u – Fotolia).
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I.WAI Food S.r.l. Sede Legale: Viale Umbria 126, 20135 Milano – Sede Operativa: Viale Addetta 14, 20067 Tribiano, Milano Tel: +39 02 9811 9269 – Fax: +39 02 9823 7110 amministrazione@iwaifood.com – commerciale@iwaifood.com www.iwaifood.com
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Frutto vivo della Terra
STREET FOOD
A Venezia, la tradizione tra calli e campielli
Lo scartosso con moeche, masanete e castraure Il cartoccio con pesce e carciofi fritti, di antichissima origine popolare, è uno dei simboli della città lagunare e oggi anche del fast food più moderno e ricercato di Nunzia Manicardi
In uso almeno fin dal Seicento, quello che in veneziano è detto scartosso — e che, come si può facilmente intuire, in italiano significa “cartoccio”— è letteralmente un cono di quella bella carta gialla (carta paglia) perfetta per usi alimentari, che viene riempito di frittura di vari tipi di pesce, mollu-
schi e crostacei e, non di rado, anche di qualche verdura anch’essa fritta, in particolare i carciofi. Il periodo in cui gustarlo è quindi tra aprile e maggio, quando sulla tavola, o in questo caso nello scartosso, possono finire gli ingredienti adatti che sono per lo più calamari, gamberi, sarde, seppie
e verdure di stagione, accompagnati spesso anche da qualche ritaglio di polenta arrostita che in Veneto non manca mai senza che ci sia bisogno di chiederla. Un tempo lo scartosso veniva venduto nei fritolini, microscopici locali che, nella loro infinita modestia,
Il Mercato di Rialto a Venezia (photo © Carson Liu).
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• c’è poi, ultimo in ordine di apparizione e nato per soddisfare i palati moderni sempre in cerca di nuovi gusti e abbinamenti, lo scartosso di baccalà mantecato con polenta.
Moeche (photo © www.cucchiaio.it). arricchivano, gastronomicamente parlando, ogni angolo della città, e dove il pesce di taglia piccola, che non solo era il meno pregiato ma non si poteva nemmeno cucinare se non friggendolo, veniva venduto a prezzi bassissimi. L’arredo tipico dei fritolini era costituito da una grande madia ricoperta di farina bianca, da un setaccio, il tamiso, che serviva per infarinare il pesce e da un pentolone pieno di olio bollente in cui friggere. Tale e quale il locale del più famoso e più diffuso fish & chips di matrice britannica. Oggi, più precisamente con il nome di scartosso de pesse frito, questa preparazione rientra nella categoria dello street food e compare nelle proposte di locali nati appositamente per questa vendita o che di questo prodotto hanno fatto il tratto distintivo e unanimemente apprezzato. Il pesce arrivava fresco dallo storico mercato di Rialto, ancora oggi punto di riferimento per ristoranti e veneziani, affiancato ai banchi di frutta e verdura, oltre che meta di turisti.
Le tante combinazioni della piccola frittura Quali pesci finiscono nello scartosso? In genere tutto ciò che è adatto alla piccola frittura e, più che altro, un tempo ci finiva quello che si aveva a disposizione, soprattutto gli scarti del pescato e della vendita di giornata. I locali che attualmente offrono lo scartosso, sia da mangiare al piatto che a passeggio, presentano più o meno le sotto elencate combinazioni, tutte naturalmente accompagnate da prosecco o vino bianco analogo: • scartosso con calamari, latterini e gamberi; • scartosso con folpetti (i moscardini), polpa di granchio, baccalà, gamberetti e schie (piccoli gamberi tipici della laguna di Venezia); • scartosso con calamari, gamberi, sarde, verdure di stagione fritte e polenta bianca arrostita; • scartosso con calamari, gamberi, schie e rettangoli di polenta; • scartosso a piacere, nel senso che si può farselo preparare su misura ordinando il pesce che si preferisce;
Quali pesci finiscono nello scartosso? In genere tutto ciò che è adatto alla piccola frittura e, più che altro, un tempo ci finiva quello che si aveva a disposizione, soprattutto gli scarti del pescato e della vendita di giornata
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Il segreto è la panatura La frittura dello scartosso è descritta dai degustatori come eccezionale. Il segreto consiste nella panatura, tipicamente veneziana. Già ELIO ZORZI, nel 1928, nel suo bel libro dedicato alla gastronomia lagunare, “Osterie Veneziane”, la decantava così scrivendo: “Naturalmente, in fatto di frittura, la specialità veneziana consiste nell’arte di friggere: ed in quest’arte non v’ha al mondo chi superi i frittolini, o friggipesce. Essi usano friggere il pesce in abbondantissimo olio dopo averlo molto parcamente infarinato; ma quel che più conta per il successo delle fritture è l’occhio dell’artista”. A Venezia infatti si usa pochissima farina (alcuni non la mettono neanche). Sono tuttavia ammesse eccezioni, per cui per determinati ingredienti è possibile un passaggio in una pastella fatta di farina e uova. Le moeche e le masanete Nello scartosso finiscono anche le moeche e le masanete, che appartengono alla tradizione alimentare più antica. Con il termine moleche (che si pronuncia moeche) si indicano nella laguna veneta i granchi verdi in fase di muta, quando cioè, nello spazio di poche ore, nei mesi primaverili (aprile e maggio) e autunnali (ottobre a novembre) abbandonano il loro rivestimento (carapace) e si presentano tenere e molli, da cui il nome che — nonostante il genere femminile — è riferito al solo maschio. Il loro corpo è corto, largo e schiacciato, lungo circa sei o sette centimetri, e di colore variante tra il verde e il grigio. Si differenziano dai comuni granchi per via dell’addome triangolare ripiegato e particolarmente stretto. Le masanete o masenete sono invece le femmine. Esse seguono un ciclo di muta diverso (tra maggio e luglio): in autunno, quando sono piene di uova, non mutano più e,
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L’EUROPA CHE CONVIENE: UN’OCCASIONE DA NON PERDERE
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Scartosso con fritto misto (photo © Gorilla – Fotolia).
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una volta catturate, sono mangiate con il coràl (le uova). La produzione di moleche è unica in Italia e forse nel mondo. Per pescarle i moecanti usano le trezze, reti collocate nei fondali bassi della laguna, e si aiutano con le serraglie, lunghi sbarramenti di pali e reti (piantati a ogni inizio di stagione), a cui sono collegate le trappole a imbuto (i cogòlli), dove si intrappolano pesci e, appunto, granchi. Una volta catturati, questi ultimi vengono trasferiti in sacchi di iuta per mantenerne l’umidità fino ai casoni dove avviene la selezione separando quelli maturi da quelli prossimi alla muta. Solo questi ultimi, infatti, sistemati in casse di legno e semi-sommersi in acqua marina, diventeranno moeche. Dal punto di vista nutrizionale le moleche sono dei crostacei con un ridotto contenuto di trigliceridi ma con un altissimo tasso di colesterolo. Attenzione quindi alle controindicazioni dietetiche. I benefici Omega-3, Omega-6 e acidi grassi polinsaturi sono però presenti in grandi quantità. Le moleche si prestano a vari usi culinari, però vanno cotte vive e questo non a tutti i potenziali consumatori e/o commensali fa piacere per cui, se avete ospiti, è bene informarsi in anticipo se questa pratica incontri la loro approvazione. Esistono due ricette principali, che provengono dalla tradizione veneta più antica: fritte o lesse. Nel primo caso si possono adottare due metodi: o si pratica un taglio sulla schiena in modo che l’acqua rimasta fuoriesca, dopo di che vengono impanate e fritte, oppure le si può mettere nell’uovo sbattuto e salato fino a non abbiano ingerito in parte il composto e poi le si passa nella farina bianca per friggerle. Assumeranno allora, come ha scritto sempre Elio Zorzi, “un color rosso dorato ch’è una bellezza, e un sapore dolcigno, che s’associa squisitamente ad un gusto piccante d’aliga e di mare”. Se invece le si vuole mangiare lesse, bisogna poi condirle con aglio, olio e prezzemolo. Gli allevamenti di moleche rendono questi crostacei reperibili sui
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mercati veneti per la maggior parte dell’anno, per questo possono essere cucinati sia in estate che in inverno. Le castraure Nello scartosso finiscono, come ideale complemento di ogni frittura di pesce degna di questo nome, anche alcune verdure di stagione. La verdura, sarebbe meglio dire; perché, da quello che ci risulta, si tratta soltanto dei carciofi e di quei carciofi primaverili che, dal luogo di coltivazione e provenienza, prendono il nome di castraure di Sant’Erasmo. Le castraure sono i primi germogli della pianta e Sant’Erasmo è la località di riferimento di un gruppetto di isole (oltre Sant’Erasmo anche le Vignole, Lio Piccolo, Malamocco e Mazzorbo) in cui si trovano gli orti che forniscono questi carciofi. Ci sono anche altri orti, in direzione Giudecca, dove si coltivano ancora carciofi ma pure, a seconda della stagione, zucche, broccoli, asparagi e zucchine. La varietà coltivata in laguna è il carciofo violetto: tenero, carnoso, poco spinoso, di forma allungata e con le brattee di color violetto cupo. Il sapore è inconfondibile ed è dato dal tipo di terreno: argilloso, ben drenato e con una salinità molto alta. Lo si trova sul mercato solo per pochi giorni, dieci o quindici al massimo. Per finire nello scartosso le castraure vengono leggermente infarinate o, se si vuole una preparazione più ricca (un tempo era un lusso davvero per pochi), le si può prima immergere in una pastella di farina, uova e acqua minerale. Ma, quando sono al di fuori dello scartosso, le castraure sono ottime anche crude, condite con un filo di olio, oppure con il garbo, cotte cioè con soffritto di aglio o cipolla a fuoco molto lento e a tegame coperto, con l’aggiunta finale di aceto o limone. Per apprezzarle nel loro contesto naturale si può anche andare a fare un bellissimo giro di persona in mezzo agli orti veneziani, che tuttora sopravvivono nel loro antico splendore sia pure in mezzo ai tanti scempi a cui è sottoposta la laguna. Nunzia Manicardi
SAPORE DI MARE
Roma, il mare in città di Luciana Squadrilli
Un nuovo indirizzo per mangiare una grande cucina di pesce a Roma, a portata di tasca Mangiare una grande cucina di pesce a Roma non è un’impresa facilissima, a meno che non si disponga di un conto in banca abbastanza cospicuo e si abbia voglia di sedersi a tavole blasonate come quella dello chef MASSIMO RICCIOLI alla Rosetta, di GIULIO TERRINONI al neo-stellato Per Me o di ENRICO PIERRI a ilSanLorenzo. Le alternative portano verso il litorale più vicino, dove tra Fiumicino e Fregene (in estate) sono diverse le mete interessanti, dalla cucina raffinata di GIANFRANCO PASCUCCI al Porticciolo o di LELE USAI al rinnovato Il Tino,
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fino a quella appena più schietta e “contaminata” di MARCO CLARONI all’Osteria dell’Orologio. Volendo restare entro i confini cittadini, invece, le cose si fanno più difficili, perché le opzioni a metà strada tra la trattoria di pesce e il grande ristorante scarseggiano. Da qualche mese, però, un bravo chef sta facendo parlare di sé grazie a piatti che uniscono materia prima eccelsa, preparazioni interessanti e originali e un conto finale “sostenibile”. FEDERICO DELMONTE, marchigiano di Fano, ha affiancato le sue proposte creative ma equilibratissime ai grandi classici in carta da Chinappi.
Chinappi, un ponte tra Tirreno e Adriatico Quello di Chinappi è un nome storico per la ristorazione laziale. Il locale di Formia — aperto nel 1957 da Antonio e Vincenza come pizzeria, poi seguito dal figlio Franco e da sua moglie Anna che lo hanno a loro volta affidato al figlio Stefano e al nipote Michele, affiancati dalle rispettive mogli Elena e Angela — è da sempre un punto di riferimento per chiunque ami la buona cucina a base di pesce fresco, proveniente da fidate barche di pescatori del golfo di Gaeta e dall’asta di Formia. Nel 2006 Stefano ed Elena decidono di aprire anche una sede romana:
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prima a piazza Barberini e poi, nel 2009, a pochi passi da Porta Pia nel locale intimo ma luminoso che ospita attualmente il ristorante, con gli ambienti total white ravvivati da estrosi dettagli. L’offerta resta basata sulla materia prima di eccellenza pescata dalle paranze sparse nel basso Lazio e proveniente dalla pescheria di famiglia a Formia. Da marzo 2016, però, c’è un’altra novità. In cucina è arrivato Federico Delmonte, giovane chef marchigiano “di costa” che dopo aver gestito per diversi anni il suo ristorante — il Vicolo del Curato a Fano — era approdato a Roma già da qualche tempo, da Settembrini. Con il suo arrivo il
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ristorante ha trovato la quadratura del cerchio, inserendo accanto alla cucina di stampo più classico le nuove proposte elaborate da Delmonte, e accanto al pescato in arrivo dal litorale laziale — soprattutto pesce di scoglio e crostacei — qualche new entry dalla costa adriatica a cui lo chef non rinuncia. Così in menu ci sono sempre piatti come il mitico filetto di sogliola “alla Chinappi” (con una salsetta delicata ma saporita a base di olio extravergine di Itrana e limone di Amalfi), i gamberi gobbetti di Ponza crudi con limone, menta e Gin, il polpo alla “formiana” e i primi piatti — serviti insolitamente ma non senza
logica prima del dessert, la pasta secca rigorosamente “con cottura al chiodo” — come il risotto alla pescatora e gli gnocchi con granchio fellone e pomodorino. Ma fanno capolino anche preparazioni più contemporanee che portano in modo chiaro la firma dello chef, bravissimo a usare spezie e aromi anche inusuali per sottolineare il sapore del pesce senza coprirlo, giocando con i profumi che spesso giungono in tavola già da lontano a preannunciare i piatti. Per esempio, nella buonissima capasanta cruda con cocco grattugiato, cipolla di Suasa e lime, freschissima ed elegante, o nell’intrigante filetto di
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Lo chef Federico Delmonte. triglia con salsa di triglia e genziana, abbinamento inaspettatamente convincente. E ancora, nel carpaccio di cefalo con finocchio marinato e anice stellato o nel delizioso riso con quinto quarto di seppia, bitter e ginepro. L’ispirazione adriatica si ritrova anche nei passatelli con sugo di ombrina o di lumachine di mare o nel brodetto di sparnocchie (pannocchie di mare) con pasta mischiata, per poi chiudere con un dessert “non dolce” variopinto e profumatissimo battezzato “Colori”: gelato di mandorla con sedano, cardamomo e carota. Anche caratterialmente, cuoco e patron e cucina e sala si completano:
tanto è riservato, umile e concentrato Federico, senza per questo essere ombroso, quanto esuberante è Stefano, che intrattiene gli ospiti con mille aneddoti sul mare e sulla ristorazione e con un’eccellente selezione di vini e Champagne. Un lavoro di squadra che funziona alla grande, soprattutto perché tra i due c’è completa sintonia su quella che deve essere la base del lavoro: la qualità della materia prima, e il saperla rispettare. «Prediligiamo ciò che arriva dal mare italiano: nel mio ristorante viene seguito il calendario del pesce, perché anche i frutti del mare devono essere rispettati e cucinati seguendo le stagione» spiega STEFANO CHINAPPI
parlando dei piatti serviti al ristorante e della bella iniziativa chiamata appunto il Calendario del Pesce: appuntamento mensile dedicato di volta in volta ad un prodotto o a una ricetta di stagione, dal polpo verace alla zuppa di pesce spinata, per istruire il cliente al consumo consapevole del pescato con percorsi che ruotano intorno al mare e ai suoi ritmi. «Il cliente è sempre più curioso e noi siamo contenti di poter fornire delle risposte a chi sceglie il nostro locale» prosegue Stefano. «Io sono un uomo di acqua salata, sono cresciuto con i piedi a mollo, so cosa il mare può offrire in determinati periodi dell’anno e mi piace quindi far conoscere e spiegare queste peculiarità della natura anche ai miei clienti. Devono sapere da dove arriva quello che stanno mangiando». Luciana Squadrilli Chinappi Roma Via Valenziani 19 00187 Roma Telefono: 06 4819005 Web: www.chinappi.it Menu degustazione: 33, 49, 66 e 69 euro; prezzo medio 65 euro (bevande escluse) – Sempre aperto Nota Alle pagine 60 e 61 gamberi gobbetti di Ponza crudi con limone, menta e Gin; a pagina 61, in alto, carpaccio di cefalo con finocchio marinato e anice stellato; in basso, capasanta cruda, cocco, cipolla e lime.
Il calendario del pesce di Chinappi 12 cene per 12 mesi con 12 menu diversi, tutte di giovedì alle 21.00 e rigorosamente legate al mare e ai prodotti del momento. Un percorso diverso ogni mese a cura dello chef Federico Delmonte, con piatti pensati per diffondere la cultura della stagionalità del mare e un abbinamento con i vini studiato ad hoc da Stefano Chinappi. La serie di incontri chiamata Il Calendario del Pesce è iniziata giovedì 10 novembre 2016 con una cena declinata intorno al Polpo Verace e proseguita giovedì 15 dicembre con Il Pesce Bianco. Protagonisti della stagione 2017: Le Sparnocchie (19 gennaio), Il Baccalà (9 febbraio), La Sogliola (9 marzo), Le Mazzancolle (6 aprile) e Le Seppie (11 maggio). Si parlerà poi di Frutti di Mare (8 giugno), di Pesce Spada (13 luglio), delle Triglie (10 agosto) e del Tonno (14 settembre), mentre si chiuderà la prima serie di appuntamenti legati al pesce di stagione il 12 ottobre con La Zuppa di Pesce Spinata. Un vero e proprio percorso alla scoperta del miglior pesce del mese, perché, come dice sempre Stefano Chinappi «anche il mare, come la frutta e la verdura, ha le sue stagioni».
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MMenùù o u t nel e m r l i a il m
Gambero Rosso, faro della ristorazione reggina di Riccardo Lagorio
«L’assenza di uno sviluppo industriale e anche turistico è oggi un’opportunità che può portare a questa terra grandi soddisfazioni». FRANCESCO SCULLI di soddisfazioni, insieme al fratello RICCARDO, se ne è già prese molte. È da anni il loro Gambero Rosso il faro della ristorazione reggina, sulla Costa dei Gelsomini, uno Ionio ancora inesplorato dal turismo sempre alla ricerca di nuove frontiere. «Mare profondo, freddo, ossigenato, che ci offre ottimo pescato». Pescato che è diventato bandiera del locale degli Sculli. Fuori scorre la Statale 106, dentro fluisce il silenzio ovattato di un angolo sereno, raccolto, moderno ma non sfacciato. Specchi e tinte neutre, tulipani bianchi sui
tavoli. La storia del Gambero Rosso è la storia di un ritorno, quello di GIUSEPPE e ANNA MARIA SCULLI, che sul finire degli anni Settanta preferiscono l’aria e le abitudini di casa alla fortuna cercata all’estero. Ed è un ritorno anche quello dei due fratelli, ovvero la riscoperta della sobrietà dei piatti, eseguiti con il rispetto della materia prima e non per mezzo di tecniche e accostamenti azzardati la cui unica emozione che sanno trasmettere è una moda che presto passerà. Per quel suo essere naturale, quasi spontaneo, sembra che il Gambero Rosso esista da sempre e che sempre avrà vita. Signorile accoglienza e competenza enoica
di Francesco Sculli, assistito da uno stuolo di giovani collaboratori; umiltà da autodidatta da parte di Riccardo Sculli, nocchiero di una folta e dinamica brigata. Quattro i menu degustazione: Torre del Cavallaro e Identità Calabra con quattro portate rispettivamente a 50 e 65 euro, il Calabrian sushi, sette portate di crudo del giorno a 70, e A piedi nudi sulla sabbia, anche qui sette portate con tre vini in abbinamento esibiti a 85 euro. Identità Calabra rappresenta il meglio dei prodotti regionali preparati in un ricco menu che annovera una profumata tartare di tonno e tartufo silano e un colorato risotto con zafferano di Gerace e battuto di
Il polpo dello Ionio con patata silana e datterino confit.
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A sinistra: il bon bon di gambero rosso. A destra: lo chef Riccardo Sculli con gli spaghetti con merluzzo e tartufo della Sila, piatto simbolo del locale. gambero. Va aggiunto che, malgrado il menu si presenti tanto ampio da poter accontentare chiunque ami il mare, giorno via giorno si aggiungono, citate a voce, le proposte rese possibili dalle catture dei pescherecci locali. Ciò rende la scelta del piatto più complicata. Estrapolando dalla sezione dei classici, il tortino di polpo con patata e bruschetta di pane, le linguine ai crostacei e Pachino, e l’intramontabile millefoglie di pescatrice con capperi olive e pomodorino sono ghiotte sicurezze che hanno fatto la storia del locale. Scoppiettanti gli amuse bouche con un insolito hamburger di lampuga e cipolla candita e il gradevole sandwich di gamberetto. Colori, accostamenti estetici e consistenze che danno prova di grande abilità quelli dello scampo di nassa, pralina di gambero con le sue uova, salsa di yogurt e sale nero di Cipro. Lo scampo sfugge all’acidulo tracciato dello yogurt mentre il sapore iodato del gambero vi si fonde visivamente e sotto il profilo gustativo. Come su una tavolozza che insegue le tonalità cromatiche dal bianco al porpora si snoda la sequenza delle tartare: dalla seppia e finocchio al tonno e cipolla rossa attraverso un crescendo anche aromatico che passa dalla cernia con mango e dalla ricciola e datterino confit. Semplice ma lungi dalla banalità, quasi che il
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mare reclami di non essere alterato perché contempla già tutto in sé: le intensità di profumi, di colori, di ricordi. Accade anche per i piatti caldi, nell’insalata tiepida di pesce su verdure di campo, nel filetto di pesce azzurro con melanzana affumicata e caciocavallo di Ciminà, che nient’altro sono che una tenera e appassionata dichiarazione d’amore verso la propria terra. Da Riccardo Sculli ci si deve aspettare che ogni piatto comunichi un sentimento, uno stato d’animo. Nella purezza delle forme, la sfera rappresenta il tutto e il bonbon di gambero ripieno di burrata infine spolverato di pane alle acciughe, forse il piatto che più ci ha convinto per la sua compiutezza, disegna questa Calabria ittica ma profondamente legata alla terra: come in un’equazione il pane sta alle acciughe come la burrata sta al crudo di gambero. «I miei piatti vogliono far conoscere qualcosa, ma rimanere impressi nella memoria attraverso sensazioni tattili», racconta il robusto quarantenne. Il polpo dello Ionio cotto per 8 ore a 65 gradi, la purea di patata della Sila e il pomodoro datterino confit narrano lo sforzo di trasmettere la ricerca della morbidezza e della leggerezza in materie prime che di per sé non lo sono. Magica preparazione. Certo, la pasta non può mancare su nessuna tavola dello Stivale.
Sono mezza dozzina le proposte che spalleggiano il pescato: linguine con crostacei e bottarga, la corta mista con zuppa di frutti di mare o mezze maniche con spigola e sue uova. Ma quello che gli Sculli considerano a ragione «l’emblema del territorio e piatto d’obbligo» sono gli spaghetti con merluzzo e tartufo della Sila. «La pasta si impregna del sapore del mare perché si cucina nel brodo di scorfano e merluzzo, viene mantecata e servita nel fondo, infine completata con il merluzzo e lo scorzone». Ancora una volta mare e terra si rivelano e dipingono i mille volti di una Calabria che molti stentano a immaginare. «Il pesce che serviamo è solo d’amo», informa Francesco Sculli. Il trancio di merluzzo con foie gras è scelta temeraria ma riuscitissima. Nondimeno l’interpretazione della cucina calabrese trova nel pesce spada, liquirizia, menta e yogurt, o nella ricciola in frisella l’espressione assoluta. Di nuovo un messaggio d’amore verso la propria terra. Pardon, il proprio mare. Riccardo Lagorio Ristorante Gambero Rosso Via Montezemolo 63 89046 Marina di Gioiosa Ionica (RC) Telefono: 0964 415806 E-mail: info@gamberorosso.net Web: gamberorosso.net
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SAPORI DAL MONDO
Il “miracoloso” tè verde di Giorgia Fieni
Chissà perché, io me lo aspettavo proprio verde brillante, come lo stelo di un fiore… e invece, una volta comprato, era uguale all’altro. L’ho preso perché mi sono fatta convincere dagli studi che, fra il 2008 e il 2011, lo esaltavano come la panacea di tutti i mali: “diminuisce il rischio di cancro”, “combatte la depressione”, “tiene a bada i batteri responsabili della carie”, “contrasta le malattie autoimmuni”, scrivevano i ricercatori giapponesi, a cui si sono aggiunti quelli serbi e canadesi con “un cracker a base di farina di canapa e foglie di tè verde è adatto ai celiaci e diminuisce tutti i livelli di colesterolo”… E chi poteva resistere a un elisir tanto decantato? Nessuno, ovviamente, tant’è che è diventato anche l’ingrediente di parecchie ricette. In crema col cioccolato bianco per farcire biscotti al fondente 65%. Nei muffin con l’uvetta. Nel sugo dei fusilli con miele millefiori, lemongrass, limone, ricotta fresca di mucca, parmigiano.
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Nell’impasto dei gnocchi di patate. Per sfumare la cottura del coniglio, precedentemente marinato con yogurt, zafferano e succo di zenzero. Per insaporire una passatina di fagiolini. Nella panatura dell’orata al forno, servita con carota e porri glassati. Da versare nella ciotola ripiena di riso e salmone (è il chazuke giapponese) completando con alga nori, wasabi, salsa di soia. Nella marinatura (con amido di mais, sakè, sale, pepe bianco) e cottura dei gamberetti, presentati poi avvolti in foglie di porro sbollentate con teste di pesce (per ottenere una concentrazione dei sapori sottili, come l’ha definita FIAMMETTA FADDA). Per la cottura a vapore delle quaglie. La difficoltà, a questo punto, stava quindi nel decidere quale varietà scegliere, visto che la grande distribuzione ci offre un generico “tè verde” in cui sta una miscellanea tra tutte quelle disponibili sul mercato. Io di solito faccio così: se è solo un ingrediente fra tanti mi
accontento, se invece voglio che il suo sapore possa contraddistinguere e differenziare la mia ricetta mi faccio consigliare dagli esperti… Ed ecco che, comportandomi in tal modo, ottengo memorabili gelato, zabaione, plumcake, biscotti, yogurt, gelatina, crumble, granita e budino, che posso servire da soli o in abbinamento ad altre preparazioni. La mousse al tè verde per esempio all’interno di un millefoglie con lamine di cioccolato fondente o come farcitura di una torta paradiso, mentre lo zabaione nei bicchieri, su uno strato di biscotti secchi, completando con fragole fresche. In quanto a fantasia, però, nessuno batte chef ed esperti di settore. WICKY PRIYAN cucina un pagello fragolino scottato con consommé di olive di Gaeta, olio siciliano, tè verde giapponese e serve con tagliolini di zucchine e confit di pomodoro. LUCIANO MONOSILIO assembla tè verde, polvere di radici di liquirizia, crumble di pane di segale aroma-
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tizzato alla cannella, topinambur, crema di guanciale, zest di limone candito, germogli di daikon e completa con spray di alcol e grasso di guanciale. FRANCESCA GONZALES prepara un concentrato di tè verde zuccherato: in parte lo mescola a una crema di mascarpone e nel resto vi immerge i savoiardi, poi compone il tiramisù e lo completa con granella di pistacchi. CORRADO ASSENZA marina i gamberi nel miele allo zafferano e li serve su tartellette al tè verde con una pallina di gelato. Anche GIANFRANCO VISSANi crea una marinata: tè verde freddo, sale, pepe e rosmarino per l’orata, che cuoce poi in padella e serve con zuppa di lenticchie. TATIANA SHKONDINA, infine, non cucina ma fotografa: fettine di salmone, tè verde e riso a ricreare il monte Fuji di Hokusai nella sua opera “Fine wind, clear morning”. Impariamo però innanzitutto ad apprezzare queste foglioline in tutta la loro semplicità: come infuso. All’orientale, versato sopra foglioline di menta fresca. Shakerato con gin, vodka, pompelmo rosa, confettura di petali di rosa. Con lime, zucchero liquido, fragole, ghiaccio, basilico. Nella sangria con uva rossa, pesche, chiodi di garofano, menta. Nel punch con scorza di limone, vino bianco secco, rum della Giamaica. Chissà se l’effetto positivo del tè è minimizzato o rafforzato dall’alcol. Giorgia Fieni
Gamberi e verdure cotti in un brodo aromatizzato al tè verde (photo © www. servingdumplings.com). Nota A pagina 66 foglie di tè verde. Per secoli il tè verde è stato consumato soprattutto in Asia, dal Giappone al Medio Oriente. Solo di recente ha trovato la sua diffusione in Occidente,
SEPPIA RIPIENA con mousse di zucchine e gambero
ripieni di sapore!
dove per tradizione si consuma per lo più tè nero. Il tè verde può essere utilizzato nella preparazione di tantissime ricette sia dolci che salate, oltre che nella realizzazione di deliziosi cocktails (photo © uckyo – Fotolia).
PRONTO IN MINUTI
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PRODOTTI TIPICI
Poveri ma eccellenti: la tiella di Gaeta Una specialità unica al mondo: unisce la terra al mare in un connubio indissolubile e, anche in passato, piaceva sia al popolino che al sovrano di Nunzia Manicardi
Il termine tièlla, che, come l’analogo “teglia”, deriva dal latino volgare tegělla (diminutivo di tegŭla), corrisponde letteralmente all’italiano “tegola”. Esso, infatti, che è presente con varianti in molti dialetti (modenese tigella, pugliese tièed, laziale e campano tiella, abruzzese tijella), denomina un contenitore (una sorta di pentola) in origine di terracotta e con coperchio e poi è passato ad indicare varie pietanze che tradizionalmente venivano cotte all’interno di esso. Cotto dentro due tegole, in pratica: due tegole che, nel tempo,
sono diventate anch’esse… commestibili. Talvolta si tratta di una sorta di piccola focaccia, generalmente farcita prima della cottura, oppure, quando non è farcita, utilizzata come pane; altre volte è costituita da ingredienti disposti a strati nella pentola, senza la sfoglia di farina e acqua. Alla famiglia delle tielle appartengono la tigella o, più propriamente, crescentina modenese, la tiella barese e la tiella di Gaeta. Ed è di quest’ultima che vogliamo parlare. La tiella di Gaeta è una specialità gastronomica tipica della bella città
costiera in provincia di Latina e consiste nell’interporre un ripieno di vario genere (solitamente di prodotti della terra e del mare) tra due sfoglie di pasta simile a quella della pizza. Il ripieno, compreso fra questi due strati circolari di pasta chiusi lungo i bordi per compressione, conferisce morbidezza all’interno della tiella che deve essere umido, mentre all’esterno essa deve risultare più asciutta, sottile e ben cotta anche nella sfoglia inferiore. È un tipo di cottura, quindi, che per un risultato ottimale richiede
Tiella con polpo con broccoli (photo © mangiarebuono.it).
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Preparazione della tiella. Una volta farcita, la tiella viene ricoperta di pasta e cosparsa con olio (photo © Flavia Fiengo, www.pizzeriadelporto.com). molta attenzione ed esperienza. La tiella di Gaeta è un prodotto tradizionale della Regione Lazio con marchio “Denominazione Comunale d’Origine” attribuitole dal Comune di Gaeta nel 2005. Alla DE.CO. nel 2014 si è aggiunto il marchio “Tiella di Gaeta” che vuole tutelare una tra-
La pasta sfoglia che serve per fare i dischi della tiella è simile alla pizza ma richiede una lavorazione manuale e più accurata. Già apprezzata ai tempi dei Borboni, è divenuto uno degli alimenti più comuni che gli emigranti di Gaeta portavano con sé durante i lunghi viaggi in cerca di una vita migliore
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dizione alimentare di qualità gastronomica e, soprattutto, il simbolo di una tradizione culturale e storica, da valorizzare come elemento distintivo di un’area geografica basata sulla tradizione della pesca ma ancorata ad un solido retroterra contadino. In concomitanza è stato presentato il Disciplinare di questo tipico prodotto della cucina gaetana, che a tutto diritto può essere considerato un esempio della ricchezza della cucina mediterranea, un tesoro di gusto e di principi dietetici. L’iniziativa rappresenta il punto di arrivo e al tempo stesso di partenza di un progetto voluto e promosso dalla Confcommercio Imprese dell’Italia Provincia di Latina, che si è avvalsa della collaborazione di Innovazione e Qualità e di un gruppo di produttori e di distributori della tiella. Il progetto è stato realizzato in tre fasi: – il primo passo è stato quello di realizzare un Disciplinare tecnico di produzione della Tiella di Gaeta, che descrivesse le caratteristiche degli ingredienti e le modalità di preparazione da utilizzare per realizzare un prodotto di qualità in linea con quanto tramandato
dalla tradizione gaetana; – successivamente è stato selezionato un numero di produttori di tiella che fossero in grado di produrre in conformità a quanto disposto dal Disciplinare tecnico di produzione. Si è individuato così un nucleo costituito da una dozzina di produttori di altissima qualità, tutti residenti a Gaeta, che a buon diritto si sono meritati il titolo di Maestri della Tiella di Gaeta. La conformità ai dettami del Disciplinare sarà verificata nel tempo attraverso visite ispettive da parte di un gruppo di ispettori della Camera di Commercio di Latina opportunamente formati; saranno anche organizzati corsi di formazione e addestramento, con rilascio di attestato quale Maestro della Tiella di Gaeta; – infine, è stato sviluppato il suddetto marchio di qualità “Tiella di Gaeta” di cui si possono fregiare solo i produttori approvati dalla Camera di Commercio di Latina che si sono dimostrati in grado di produrre secondo i criteri dettati dal Disciplinare tecnico. L’ambizione è quella di promuo-
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Tiella di polpi Ingredienti • g 500 di farina • g 20 di lievito naturale • 3 cucchiai di olio d’oliva • ml 200 di acqua tiepida • kg 1 di polpi o calamari bolliti • g 100 di olive di Gaeta snocciolate • g 100 di pomodori pelati • prezzemolo • peperoncino • sale Esecuzione 1. Iniziate a preparare l’impasto per le basi di pasta mettendo il lievito con sale e olio in una ciotola. Aggiungete la farina man mano fino ad ottenere un impasto omogeneo, lavorandolo per almeno 10 minuti. 2. Avvolgete l’impasto in uno strofinaccio e fatelo lievitare per almeno mezz’ora in ambiente caldo. Nel frattempo preparate il ripieno tagliando a pezzetti i polpi o calamari bolliti e condendoli con olio, prezzemolo, peperoncino e i pomodori pelati, aggiungendo le olive snocciolate. 3. Prendete metà dell’impasto e stendetelo con un matterello fino a ottenere una sfoglia dello spessore inferiore a un centimetro. Ungete una teglia rotonda con l’olio e foderatela con il disco di pasta. 4. Mettete il ripieno sulla pasta e ricoprite con un disco di pasta come quello preparato in precedenza, unendoli fra di loro con una lieve pressione su tutto il bordo. 5. Infornate a 180 °C per almeno 30 minuti, fino a far diventare la pasta ben dorata. Servite tiepida.
LB Comunicazione
vere il prodotto al di là dei confini locali e già sono state prese iniziative per la commercializzazione fuori provincia e anche fuori regione. La tiella di Gaeta nasce come piatto unico e come piatto povero sia di contadini che di pescatori, poiché coniuga in un connubio straordinario i prodotti della terra con quelli del mare consentendo alla gente del posto di avere una pietanza conservabile per diversi giorni. Si ricorda infatti che la tiella costituiva anche parte imprescindibile del misero bagaglio con cui tanti gaetani affrontarono, nei tempi passati, la dura via dell’emigrazione. Essendo una pietanza povera, era stata dimenticata nel periodo del boom economico degli anni ‘60 perché ricordava miseria ed arretratezza mentre oggi, grazie anche al recupero storico-culturale messo in atto dall’associazione Gaetavola, (www.gaetavola.org) rappresenta una specialità apprezzata e ricercata sia dai turisti che dagli abitanti dei paesi vicini. Molti sono i luoghi dove
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Tielleria Narì di Gaeta (photo © V. Giannella, www.weekendpremium.it). è possibile degustarla (innanzitutto le specifiche “tiellerie” e poi pizzerie, ristoranti e attività commerciali e di somministrazione alimentare quali panifici e rosticcerie), ma certamente l’ideale sarebbe essere invitati in qualche casa, e a Gaeta per fortuna ce ne sono ancora tante, dove la preparazione sia eseguita in modo domestico e secondo tradizione. Questa antica tradizione che non solo sopravvive ma si sta rafforzando con moderna consapevolezza vuole che la tiella sia ripiena (contemporaneamente o in alternanza) di polpi, calamaretti, alici, sarde, cozze, baccalà, scarola, spinaci, zucchine, cipolle, pomodori, ricotta o formaggi come la marzolina e altri ingredienti ancora, legati alla disponibilità stagionale. Come sempre in questa tipologia di piatti compositi finiva nella tiella quello che il mare e la terra potevano offrire, ma la varietà e l’abbondanza dipendevano anche dalle possibilità economiche, per cui si andava dalle versioni più povere con solo polpi, pomodoro e peperoncino, e con o senza le famose olive nere di Gaeta tipiche anch’esse della zona, a quelle talmente ricche da rendere quasi impossibile distinguere i singoli ingredienti. Tradizionale è anche la tiella con le zucchine, tagliate a rondelle e spadellate con cipolla abbondante, a cui, una volta fredde, si aggiungono un paio di uova e pecorino a scaglie,
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non troppo stagionato. La tiella classica è comunque quella di polpi. Altra nota distintiva è la sua forma, consolidata da secoli di tradizione, simile ad una torta con i bordi (in dialetto affriciegl), sapientemente manipolati fino a ottenere un’artistica cornice circolare. Per assaporarne al meglio la morbidezza e la compattezza la tiella di Gaeta va mangiata con le mani dopo averla tagliata a spicchi o, ancora meglio, a quarti e lasciando che l’olio coli sulle dita. Questo, almeno, sarebbe il segreto di una buona tiella: abbondare con l’olio fornito dalle olive locali il quale, come si diceva in passato, dovrebbe “scorrere fino ai gomiti” (difatti un tempo ci si rimboccava le maniche prima di mangiarla). PASQUALE DI CIACCIO, nella sua Guida turistica di Gaeta edita nel 1976, così scrive: “La si mangia a quarti, senza l’aiuto delle posate. Non c’è gusto se non la si prende tra le dita. La prima verifica della riuscita si effettua sul requisito della compattezza. In un esemplare che si rispetti il lembo inferiore non deve essere gommoso da appiccicarsi ai denti o al palato, né spenzolare dalle dita come la lingua d’un cane affannato facendo sgocciolare frammenti del ripieno”. Oggi naturalmente di olio se ne mette di meno, sia per motivi dietetici che igienici ed economici. La tiella va posta tradizionalmente in una teglia di rame stagnato (che
distribuisce uniformemente il calore) di forma circolare e del diametro di circa 32 cm. Per la cottura, che dura dai 30 ai 45 minuti circa a seconda anche degli ingredienti, il forno deve già essere caldo al massimo. Per le tielle di pesce, che rilasciano più acqua, è preferibile posizionarle in basso nel forno in modo da consentire una migliore cottura ed eliminazione dell’acqua (nel box riportiamo la ricetta della tiella di polpi tratta dal sito www.gaetamedievale.it e qui definita come la ricetta originale). Una leggenda racconta che, quando si abbatté su Gaeta una spaventosa carestia, nemmeno i figli del re ebbero più di che sfamarsi. Una massaia, utilizzando i residui delle sue provviste, li avvolse alla rinfusa in una sfoglia di pasta improvvisata che mise a cuocere sulla brace. Quale che ne siano le origini, è però certo che la tiella di Gaeta incontrò il favore sia degli umili che dei potenti, che allora erano i potenti Borbone. Si narra che Ferdinando IV di Borbone ne fosse un grande estimatore, anzi, secondo alcuni ne sarebbe stato addirittura l’inventore, togliendo così il primato alla povera massaia di cui sopra. Sembra infatti che il sovrano nei suoi soggiorni a Gaeta amasse confondersi con gli abitanti del borgo marinaro e contadino posto fuori le mura e che, nel corso di una di queste sue scorribande, fosse rimasto stupito dall’abilità con la quale le massaie preparavano la tiella. Essendo un sovrano, non si accontentò poi di un semplice strato di pasta, ma elaborò quello doppio rinforzando anche il ripieno a tal punto che da lui questo piatto fu considerato “primo, secondo e terzo”. L’apprezzamento si estese a tutta l’aristocrazia del posto, che divenne ben presto degustatrice abituale della tiella, in particolare di quella con i calamaretti, pregiatissima; mentre sarde, alici, scarola e baccalà rimasero gli ingredienti più diffusi tra il popolo del borgo contadino e marinaro che ancora oggi tramanda l’arte di preparare questa specialità che non ha eguali al mondo. Nunzia Manicardi
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EVENTI
Lo chef Anthony Genovese premiato dal Norwegian Seafood Council
L’Ambasciatore dello Stoccafisso di Tania Mauri
Territori selvaggi, aurore boreali, atmosfere magiche, fiordi maestosi e montagne a picco sul mare. Queste alcune delle bellezze naturali della bel-
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lissima ed estesa costa norvegese. Oltre 100.915 km (un’estensione che supera persino quella dell’equatore!) di costa frastagliata in fiordi profondissimi, un
mare freddo e cristallino, un clima artico: ecco le caratteristiche geografiche ed ambientali che fanno della Norvegia il luogo ideale per la produzione di un
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pesce di qualità, contraddistinto da carni compatte e saporite, qual è lo stoccafisso. Due paesi agli antipodi, Norvegia e Italia, uniti da ottimi rap-
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porti commerciali e non che durano da secoli, non ultimo il fatto che il Belpaese è uno dei maggiori consumatori di stoccafisso norvegese del mondo.
Un ingrediente storico che accomuna Norvegia e Italia da oltre 600 anni Tutto iniziò quando il Capitano PIETRO QUERINI, un aristocratico
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Per fare lo stoccafisso si utilizza solo merluzzo norvegese della specie Gadus morhua. Il pesce viene pescato e dissanguato direttamente a bordo dei pescherecci. Si procede poi con il taglio del ventre e della testa, il lavaggio e la pulitura in acqua corrente. Si procede con l’essiccazione all’aperto, grazie all’azione del sole e del vento, su apposite rastrelliere. Durante questo periodo vengono effettuati costanti controlli sulla distanza tra un merluzzo e l’altro e questo perché la distanza deve essere tale da far circolare l’aria e non far sì che si formino macchie, muffa o residui di sangue che ridurrebbero la qualità del prodotto finale (photo © Apeland/Katrine Lunke; Toma Haga). veneto, nel 1432 naufragò nei pressi della Manica a causa di una tempesta che continuò per settimane, trascinando le scialuppe di salvataggio
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fino alle isole Lofoten. Qui, il Capitano e i pochi membri sopravvissuti dell’equipaggio, furono salvati dai pescatori locali.
Durante il soggiorno su queste isole, Querini scoprì la lavorazione e l’utilizzo dello stoccafisso. La leggenda racconta che i primi stoc-
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Bjørn T. Grydeland, Ambasciatore di Norvegia, Anthony Genovese, chef del ristorante Il Pagliaccio, e Trym Eidem Gundersen, direttore Italia del Norwegian Seafood Council. cafissi giunti in Italia furono portati proprio da Querini al suo rientro in patria. E sempre grazie, o a causa, di Pietro Querini nasce lo storico malinteso che ha portato alla confusione tra i due termini “baccalà” e “stoccafisso”: difatti nella madrepatria lo stoccafisso divenne l’ingrediente principale per realizzare le famose ricette del “baccalà alla vicentina” e del “baccalà mantecato”. Ed ecco perché, mentre nel resto d’Italia il merluzzo essiccato è chiamato stoccafisso, in Veneto è detto baccalà e, di conseguenza, le tradizionali preparazioni vicentine sono in realtà a base di stoccafisso. Del resto, per distinguere lo stoccafisso dal baccalà vero e proprio, a Venezia e a Vicenza si parla di bacalà con una sola c. Perché lo stoccafisso norvegese è così buono? Prima di tutto il merluzzo è il pesce più comune e storicamente più rilevante della Norvegia e, tra i tanti stock di merluzzo nelle acque nor-
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vegesi, la più importante è quella del merluzzo artico norvegese (Gadus morhua), il pregiato Skrei, caratterizzato da una carne bianca e da un gusto molto delicato. La Norvegia è quindi l’unica produttrice al mondo di stoccafisso e presta grande attenzione alla sostenibilità della pesca tanto da essere riconosciuta, a livello internazionale, tra le meglio gestite al mondo. Il processo di lavorazione dei merluzzi inizia appena sbarcati e si conclude nella stessa giornata in cui sono stati pescati. Dopo essere stati puliti e privati di testa e interiora, i pesci di taglia simile vengono legati tra loro con la corda e, dopo essere stati nuovamente lavati, quelli di taglia simile vengono legati a coppia tra loro con un filo di canapa o sintetico. È importante che i merluzzi vengano appesi mantenendo una certa distanza tra loro per garantire una circolazione ottimale dell’aria e non venire a contatto, pena la formazione di macchie che ne ridurrebbero la qualità.
Secondo una tradizione che si tramanda di generazione in generazione sono posti su apposite rastrelliere in prossimità del mare per essiccare al sole e al vento. Del resto l’essiccazione è uno dei più antichi metodi di conservazione del pesce: dai reperti archeologici risulta che gli stessi Vichinghi usassero il merluzzo essiccato non solo come nutrimento durante le navigazioni ma anche come merce di scambio. In epoche più recenti, furono le flotte commerciali di tutta Europa a utilizzare lo stoccafisso come cibo durante le navigazioni, per il suo elevato contenuto in proteine, la sua leggerezza e la lunga conservabilità. Grazie all’essiccazione, infatti, il merluzzo conserva inalterate tutte le sostanze nutritive, caratteristica che lo rende un prodotto di altissima qualità. Il processo di essiccazione dura circa tre mesi, secondo le condizioni atmosferiche e le dimensioni dei merluzzi, e termina verso metà giugno dopo numerosi controlli. A quel punto i merluzzi vengono raccolti
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dalle rastrelliere e suddivisi in circa 20 classi di qualità, secondo specifici parametri, grazie al prezioso lavoro di esperti selezionatori. Anthony Genovese, ambasciatore dello stoccafisso per la Norvegia Quest’anno il Norwegian Seafood Council (NORGE), ente para statale che promuove e tutela i prodotti ittici norvegesi in tutto il mondo, ha premiato a Roma lo chef bi-stellato di origine franco calabrese ANTHONY GENOVESE con il titolo di Ambasciatore dello Stoccafisso di Norvegia 2016 poiché, attraverso la sua cucina, è stato capace di unire tradizione e innovazione, profumi e sapori, e ha saputo distinguersi per la creatività nell’utilizzo dello stoccafisso. Genovese, titolare del ristorante Il Pagliaccio di Roma (2 stelle MICHELIN, 88 punti GAMBERO ROSSO, 17,5 punti L’ESPRESSO), propone una cucina raffinata, unica e inequivocabile che abbraccia il mondo intero in una fusione di sapori e aromi. «È davvero un piacere poter consegnare di persona questo importante rico-
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noscimento ad Anthony Genovese, uno chef in grado di emozionare con una cucina che ha fatto della eterogeneità e del rispetto per le materie prime il suo punto di forza» ha dichiarato l’Ambasciatore di Norvegia in Italia BJØRN T. GRYDELAND. Così come ha sottolineato anche TRYM EIDEM GUNDERSEN, direttore Italia del Norwegian Seafood Council, «ogni anno premiamo i migliori chef e quest’anno siamo molto felici di omaggiare Anthony Genovese, che grazie alla sua cucina ha saputo trasformare il cibo in un circo di sapori, fatto di contrasti, forme e colori in grado di coinvolgere fin dal primo assaggio». E un emozionato Anthony Genovese ha espresso la sua soddisfazione ricordando «la mia infanzia in Calabria con i miei nonni. Tutti gli anni infatti per Natale la mia famiglia metteva in tavola lo stoccafisso e mio nonno si occupava del rituale di preparazione del piatto, partendo proprio dal prodotto secco che ammollava lui stesso. Lo stoccafisso è ingrediente a cui sono molto legato a livello affettivo. Sono onorato e
felicissimo di ricevere questo riconoscimento. Sono nato in Francia ma le mie origini calabresi mi hanno sempre accompagnato in tutto il mio percorso. Ho avuto modo di conoscere la cucina e il cibo di tutto il mondo ed essere qui a rappresentare un prodotto così lontano ma che è diventato parte della tradizione della cucina italiana è per me un grande orgoglio». Per questa occasione lo chef Genovese ha presentato agli invitati e agli ospiti delle serata un menù interamente dedicato ai migliori prodotti ittici della Norvegia (merluzzo, salmone e stoccafisso) con ricette creative e ben equilibrate: insalata di patate, stoccafisso e puntarelle; salmone con mela fresca e riso alla piastra croccante; ravioli di stoccafisso e brodo di pomodoro del Piennolo (di cui vi diamo la ricetta nel box); merluzzo con crema di zucca; in chiusura, mousse di castagne e salsa di kumquat. Tania Mauri Nota A pagina 74, porticciolo in Norvegia.
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RASSEGNE
Festival Triveneto del Baccalà, and the winner is… Il Baccalà al latte di capra con verzottino e riduzione di pera dello chef Martino Scarpa dell’Osteria Ai Do Campanili si è aggiudicato la vittoria della settima edizione della rassegna Dopo 35 tappe in tutto il Triveneto, da settembre a novembre 2016, e la creazione di oltre 100 ricette a base di baccalà e stoccafisso, una giuria d’eccellenza ha degustato e valutato le sei ricette arrivate in finale, decretando la vincitrice della settima edizione del Festival Triveneto del Baccalà – Trofeo Tagliapietra: baccalà al latte di capra con verzottino e riduzione
di pera firmata dallo chef MARTINO SCARPA dell’Osteria Ai Do Campanili a Cavallino – Treporti (Venezia). La cerimonia di premiazione si è svolta lo scorso 5 dicembre al termine del gala finale al Castello del Catajo a Battaglia Terme (PD). «Questa vittoria mi onora e mi riempie di orgoglio, anche perché le ricette in gara erano tutte eccellenti» ha
dichiarato Marino Scarpa. «Dedico la vittoria e il trofeo Tagliapietra a tutto il team dell’Osteria Ai Do Campanili». Lo chef ha vinto anche un viaggio di formazione alle Lofoten, isole norvegesi patria del merluzzo. Alla manifestazione culinaria itinerante organizzata dalla Dogale Confraternita del Baccalà Mantecato, la Venerabile Confraternita
Il baccalà al latte di capra con verzottino e riduzione di pera di Martino Scarpa (photo © Martina Zilio).
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La premiazione dello chef Martino Scarpa e la consegna del trofeo Tagliapietra (photo © Martina Zilio). del Baccalà alla Vicentina, la Patavina Confraternita del Baccalà e la Vulnerabile Confraternita dello Stofiss dei Frati, in collaborazione
con l’azienda Tagliapietra e Figli Srl di Mestre (VE), hanno preso parte 35 ristoranti tra Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige,
presentando, come da regolamento, tre ricette — antipasto, primo e secondo — originali e innovative. «È stata un’edizione ricca di novità e di entusiasmo verso un prodotto dalle innumerevoli sfaccettature quale è il baccalà» ha dichiarato LUCA PADOVANI, presidente del comitato organizzatore. «Il Festival si conferma una manifestazione di successo e noi non possiamo che esserne fieri e orgogliosi». «Oltre 35 chef in tutto il Triveneto hanno aderito con passione alla settima edizione del Festival, creando più di cento ricette tutte nuove e molto creative. Questo a conferma del fatto che il baccalà è un prodotto poliedrico, che può essere utilizzato andando oltre la tradizione» ha sottolineato DANIELE TAGLIAPIETRA, AD dell’azienda omonima. «Ed è proprio questa la filosofia alla base del Festival: diffondere la cultura del baccalà come pesce versatile e come protagonista in cucina». >> Link: www.festivaldelbaccala.it
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FIERE
A BolognaFiere il Salone internazionale sui prodotti a Marca del Distributore
MARCA: private label in crescita Bilancio positivo per MARCA 2017, il Salone internazionale sui prodotti a Marca del Distributore (MDD) svoltosi lo scorso gennaio presso il quartiere fieristico di Bologna. Giunta alla tredicesima edizione, con l’organizzazione di BolognaFiere in collaborazione con ADM, la manifestazione ha fatto registrare importanti segnali di crescita rispetto allo scorso anno. Sempre affollati di operatori professionali italiani ed esteri i tre nuovi padiglioni e la grande sala convegni, segno più anche per la presenza di espositori copacker provenienti da tutta Italia
(615 aziende, +16% rispetto al 2016) e per la superficie espositiva totale (29.000 m2, +12%). Presenti alla fiera con i loro stand anche le 20 maggiori insegne della Grande Distribuzione Moderna, coordinate da ADM. In crescita pure la presenza internazionale, con un gran numero buyer e delegazioni ufficiali provenienti da più di 30 Paesi di tutto il mondo, che sono stati impegnati in incontri b2b con le aziende italiane interessate ad esportare i propri prodotti food e non-food nei mercati esteri. «MARCA apre il calendario degli eventi del nostro quartiere fieristico
e, anche quest’anno, lo ha aperto alla grande», ha dichiarato ANTONIO BRUZZONE, direttore generale di BolognaFiere. «Ciò dimostra il successo di questa manifestazione sulle private label, seconda in Europa in questo settore e tra le prime nel mondo, oltre alla bontà della proposta espositiva di BolognaFiere». «MARCA si conferma un appuntamento imperdibile per tutto il mondo delle imprese, produttive e distributive, che ruotano intorno alla Marca del Distributore» ha sottolineato il presidente di ADM GIORGIO SANTAMBROGIO. «È un evento che
Aquolina è un brand prodotto e distribuito da Finpesca di Porto Viro (RO).
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questo segmento, che nei primi 11 mesi del 2016 ha toccato gli 1,35 miliardi di euro, è stata spinta infatti dai prodotti bio e da quelli premium (+15,3% a valore in media sui due segmenti).
In alto: lo stand di Effelle Pesca Srl di Goro (FE). In basso: lo stand di Costagroup di Riccò del Golfo (SP). invita a riflettere sui fattori di successo che hanno portato la Marca del Distributore ad assumere un ruolo di vera e propria brand e ad essere così apprezzata dai consumatori. Un’evoluzione che può essere sintetizzata nel passaggio da Private Label a Marca del Distributore: se prima la marca commerciale esprimeva solo un’opportunità di convenienza, ora identifica un mondo di valori, di diversificazione d’offerta, di innovazione che le hanno fatto conquistare un nuovo spazio e un ruolo guida nel panorama del largo consumo». In occasione di “MARCA 2017”, è stato presentato il “13º Rapporto
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MARCA sull’evoluzione dei prodotti a MDD in Italia”, elaborato da ADEM LAB – UNIVERSITÀ DI PARMA sulla base di una ricerca commissionata a IRI. Nel rapporto viene evidenziato un aumento del fatturato della MDD nel 2016 del +1,5% a valore e del +1% a volume rispetto allo stesso periodo del 2015, toccando una quota di mercato del 18,6%. A novembre scorso, il fatturato nei canali ipermercati, supermercati e libero servizio ha raggiunto così i 9,78 miliardi di euro. La ricerca ha anche messo in luce che i consumatori acquistano sempre più prodotti MDD del segmento premium di alta qualità: la crescita del fatturato di
Biologico, un mercato sicuro Dai 411 milioni di vendite di prodotti confezionati in iper e supermercati italiani nel 2008, la categoria degli alimenti biologici è arrivata a superare il miliardo di euro nel 2016, con un peso del 3% sul totale delle vendite food, inanellando incrementi annui regolarmente a doppia cifra dal 2010, con picchi del 19% in 2015 e 2016: il trend in questi due ultimi anni è raddoppiato rispetto alla crescita media del periodo 2010-2014. Circa il 45% delle vendite in valore è generato dalla marca privata. Nel 2016 le prime 10 categorie per vendite in valore (rappresentano poco meno di metà del totale) hanno avuto incrementi dal 5 al 22%. Sono biologici il 54% della pasta integrale, il 32% delle bevande sostitutive del latte e il 20% dei legumi secchi e cereali che ogni giorno passano agli scanner, ma anche il 30% delle confetture, il 14% delle uova, il 10% dello yogurt magro, il 9% delle farine. Nel 2016 ha acquistato qualche prodotto biologico il 74% delle famiglie italiane (+1,2 milioni rispetto al 2015), con Millennials e fascia dai 30 ai 44 anni sopra la media nazionale. Di queste, il 68% è frequent user. Le motivazioni d’acquisto? Per il 27% degli acquirenti i prodotti biologici sono più sicuri per la salute, per il 20% sono più rispettosi dell’ambiente, per il 14% sono più controllati. Il 13% li acquista perché sono più buoni, ma il 10% perché non si fida più dei prodotti convenzionali. Sono dati di cui il retail non può non tener conto e che impongono strategie per cogliere una grande opportunità e intercettare la domanda crescente. Ma non basta ampliare l’assortimento: oltre a una visione di category, un’offerta coerente e una comunicazione adeguata, è necessaria la massima cura nel garantire l’integrità e la fiducia del consumatore, il patrimonio più significativo del mercato biologico.
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Nel corso del convegno organizzato all’interno di MARCA da ADM (Associazione Distribuzione Moderna) e AssoBio (l’associazione nazionale delle imprese di trasformazione e distribuzione dei prodotti biologici), sono stati presentati i dati dettagliati sul mercato 2016 e sul consumatore, e affrontato anche il tema cruciale delle garanzie, passando in rassegna le migliori pratiche di alcuni tra i leader del retail e alcuni protagonisti della supply chain, che hanno messo in campo strumenti di trasparenza che l’European Technology Platform for organic food and farming ha premiato nel 2016 come Organic Innovation dell’anno, a disposizione di tutte le imprese coinvolte nel mercato biologico. La prossima edizione nel 2018 Già decise le prossime date: l’edizione 2018 di MARCA si svolgerà il 17 e 18 gennaio a Bologna.
A maggio tutti a Genova per l’ottava edizione di Slow Fish # Pr e n d i a mo c i G u s t o è l’hashtag che accompagna le attività di Slow Food Italia in tutto il 2017, un anno ricchissimo di appuntamenti e iniziative per difendere il cibo buono, pulito e giusto e far comprendere l’importante ruolo di noi consumatori, divertendosi in compagnia di tutta la famiglia. Per quanto riguarda il settore ittico, il mare e la tutela delle sue risorse, torna, dal 18 al 21 maggio, nella suggestiva cornice del Porto Antico di Genova, l’ottava edizione di Slow Fish, la manifestazione internazionale organizzata da Slow Food Italia e Regione Liguria in cui si avrà la possibilità assaggiare specie gustose anche se meno conosciute, confrontarsi con i pescatori della rete di Terra Madre e incontrare produttori da tutto il mondo. Da non perdere! >> Link: slowfish.slowfood.it
>> Link: www.marca.bolognafiere.it
Centro di Depurazione e Spedizione
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Viale Marconi 68 - Rosolina (RO) - Fax 0426 047500 - 0426 664990 Web: www.almeca.it - E-mail: almeca2007@libero.it
A Pordenone riflettori puntati su acquacoltura, fattorie verticali e alghicoltura
AquaFarm 2017
Si è svolta gli scorsi 26 e 27 gennaio nel quartiere fieristico di Pordenone AquaFarm, la nuova mostraconvegno dedicata alle tecnologie, ai prodotti e alle buone pratiche della produzione sostenibile di cibo dall’acqua. La manifestazione, organizzata da Pordenone Fiere con l’appoggio delle istituzioni locali, si è
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rivolta ad un pubblico professionale e nel corso delle due giornate ha affrontato i temi dell’acquacoltura mediterranea e della pesca sostenibile, oltre che della coltivazione delle alghe e di tutte le colture vegetali che si basano su tecniche idroponiche, acquaponiche e aeroponiche, che vanno sotto il nome di in-door
& vertical farming. Questa prima edizione ha registrato più di 40 tra espositori e sponsor, 4 partnership con associazioni di settore, di cui due internazionali, con due stand collettivi che hanno coinvolto oltre 30 aziende e 15 sessioni di conferenze internazionali con 113. Importanti e significativi anche i patrocini: i
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1) Nello stand della Fabo, Litiana Bortolato, Marco Fabbri, Raffaele Marcato e Giacomo Fabbri. 2) Antonio Milanese con la signora Anna nel loro stand. 3) Alice Rossetto e Davide Furlan. 4) Faivre, costruzioni macchinari per l’acquacoltura dalla Francia. Ministeri delle Politiche Agricole e dell’Ambiente, le Regioni Friuli Venezia Giulia e Sicilia, l’ENEA e, infine, l’Ordine dei Tecnologi Alimentari del Friuli Venezia Giulia. «Agli espositori, ai relatori, a tutti i partner e ai collaboratori — ha detto Renato Pujatti presidente di Pordenone Fiere — va il nostro ringraziamento per il contributo dato a questo nuovo evento. Da queste due giornate di incontri, scambi, dialoghi, dibattiti è nato un importante contributo di idee, impegno e professionalità per lo sviluppo scientifico ed economico di un comparto fondamentale per il futuro di tutti noi».
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L’acquacoltura sostenibile Protagonista della sessione introduttiva (“Acquacoltura sostenibile come componente chiave dell’alimentazione”) una tematica dalla quale il settore non può più prescindere: la sostenibilità. Mangiare pesce fa bene, bisogna mangiarne di più, la popolazione aumenta e con essa crescono le sue esigenze: tutte premesse che portano alla necessità di aumentare la produzione di pesce. Incrementare la quantità prodotta è solo uno degli obiettivi prefissati dagli operatori del settore. Per non vanificare il ruolo economico e sociale dell’acquacoltura la moltiplicazione
dei pesci deve essere fatta nel rispetto dell’ambiente. Vertical Farming: quattro mercati già pronti in Italia Secondo DICKSON DESPOMMIER, il creatore del concetto di vertical farm che ha aperto la sessione sulle fattorie verticali, basterebbero 50 edifici di 30 piani con base di mezzo isolato dedicati al vertical farming per garantire alla popolazione di New York il 50% del fabbisogno di proteine. Ci si metteranno probabilmente anni per arrivare a quel punto, ma le fattorie verticali hanno una caratteristica speciale, che ne
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1) Roberto De Simon con Franco Mazzante nello stand della Lamar di Remanzacco (UD). 2) La Pacific Trading di Dublino. 3) La Coldfish di Manerba Del Garda (BS). 4) Xylem Water Solutions aiuta i propri clienti a risolvere le più complesse problematiche legate all’acqua. 5) Skretting, leader globale nel fornire soluzioni innovative e sostenibili per l’acquacoltura. 6) Il Sottosegretario Giuseppe Castiglione e Pier Antonio Salvador, presidente API. costituisce una parte dell’attrattiva: per essere convenienti la loro adozione non deve raggiungere alcuna particolare economia di scala. I mercati per i loro prodotti esistono già, hanno già dimensioni importanti e le caratteristiche del vertical farming consentono di servirli in modo più efficiente e addirittura di svilupparne aspetti sinora impossibili.
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Alghe in tavola, il nuovo sushi? Le alghe come cibo non potevano non essere un argomento della seconda giornata di AquaFarm. La sessione “Alghe per l’alimentazione animale e umana: necessità, moda, convenienza?” è andata oltre la semplice “moda” del consumo di alghe in cucina, di tendenza e genericamente green, nonostante le alghe siano
di molti colori oltre al verde. Si è cercato di capire il contributo che questi semplici organismi possono dare come componente stabile del panorama alimentare, come integratori e ingredienti per cibi sempre più nutrienti e sani, con l’aiuto dei massimi esperti italiani del settore. >> Link: www.aquafarm.show
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A Tuttofood il business si fa internazionale Sono parecchie le novità di Tuttofood, che si svolgerà all’interno di FieraMilano a Rho da lunedì 8 a giovedì 11 maggio prossimi. Novità che stanno già catalizzando l’attenzione degli operatori: con 12 padiglioni a
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occupare il quartiere, a 8 mesi dal taglio del nastro era già prenotato in media più del 60% delle superfici espositive, con punte oltre il 70% in numerosi settori. Almeno 75.000 i visitatori professionali attesi, dei
quali 30.000 esteri da oltre 50 Paesi, e oltre 2.000 hosted buyer profilati. Impostasi in sole cinque edizioni biennali come la manifestazione leader del settore in Italia e fra le prime tre in Europa, la Milano World Food
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Exhibition porta così a un nuovo livello l’eredità ormai consolidata di EXPO — che ha fatto della città un riferimento per la community mondiale della nutrizione — anche grazie a una strategia di accordi con
autorevoli partner che presidiano le specializzazioni più promettenti. «Il comun denominatore di queste novità — ha sottolineato CORRADO PERABONI, AD di FieraMilano — è nostra la capacità, unica in Italia, di
coniugare il supporto allo sviluppo del business con la condivisione di conoscenze ai massimi livelli. Un concetto vincente nel mondo fortemente esperienziale del food & beverage, dove gli operatori devono anticipare a uno scenario molto internazionalizzato una evoluzione costante per consumatori sempre più cosmopoliti e consapevoli: per essere un vero business partner l’offerta fieristica deve mettere a sistema le competenze specifiche, come oggi richiedono anche le istituzioni. Tuttofood è stata un pioniere di questo approccio, i mercati ce lo riconoscono e ci premiano con numeri in costante crescita». Una GDO a misura di futuro Il concetto one-stop shop cambia e cresce. Se agli albori della grande distribuzione l’obiettivo era riunire in un unico punto vendita le referenze principali di molte merceologie diverse, oggi, all’inverso, si va verso una specializzazione, per cui all’interno delle grandi superfici si differenziano “negozi”, quando non vere e proprie botteghe, con un’offerta super-specializzata forte di numerosissime referenze che spaziano dall’entry level al lusso nella stessa merceologia. Con l’obiettivo di incrementare ulteriormente la presenza di grandi insegne internazionali e di indirizzare l’incontro domanda-offerta verso queste nuove tendenze, Tuttofood ha siglato una partnership con Daymon, leader mondiale nella consulenza alla GDO. Oltre al coinvolgimento di catene estere in un’agenda di incontri B2B con espositori e insegne italiane, una forte componente formativa — la International Retail Academy — prevede workshop arricchiti da casi studio reali e contributi all’Osservatorio di Tuttofood su temi quali store check, food category, nuove tendenze. Quali dunque i trend che si potranno scoprire e valorizzare in
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A Tuttofood sarà presente un’area dedicata all’agroittico sostenibile. Diversi gli appuntamenti che saranno messi in programma (photo © www.adnkronos.com). chiave di business a Tuttofood 2017? Sicuramente una tendenza forte è l’incidenza delle nuove abitudini di acquisto dei Millennials che — stima Daymon — entro il 2030 supereranno i baby boomers come generazione più numerosa: maggiore attenzione al benessere, ma anche l’incidenza di condizioni economiche meno sicure e impatto del digitale. Sempre più significativa anche l’incidenza del salutismo mentre, in parallelo a queste tendenze — sottolinea Daymon — la GDO dovrà puntare sempre più sulla fidelizzazione per mantenere e incrementare i margini in questo contesto in continua evoluzione. Un trampolino internazionale verso i mercati islamici In un mondo che diventa sempre più multietnico e in cui culture ed etnie si incontrano anche a tavola, l’attenzione alle diverse prescrizioni alimentari diviene una necessità. Quasi tutte le religioni e le tradizioni pre-
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vedono norme alimentari: tra queste assumono un certo rilievo, per il numero di consumatori che ne tengono conto, quelle islamiche. Il mercato dei prodotti certificati halal (termine arabo che significa “lecito”) vanta, secondo le ricerche Dinar Standard — agenzia specializzata sui mercati musulmani —, una crescita del 12% annuo dal 2007 ad oggi. Secondo il rapporto 2016 appena pubblicato da Thomson Reuters sullo stato dell’economia islamica, la spesa globale dei consumatori musulmani in food and beverage è stata, nel 2015, di circa 1.170 miliardi di dollari (17% della spesa mondiale totale) ed è destinata a raggiungere, nel 2021, i 1.900 miliardi. Di questi, 415 miliardi si riferiscono a prodotti dotati di certificazione halal. La crescita del segmento è dovuta in parte a nuove normative internazionali che fanno della certificazione religiosa un requisito doganale, in parte all’interesse anche di mer-
cati e consumatori non islamici. Il passaggio dal negozio etnico alla Grande Distribuzione Organizzata e dal mero settore della carne a tutte le categorie di food and beverage (materie prime, semilavorati, pasticceria, conserve, formaggi) ha sdoganato definitivamente il fenomeno rendendolo un trend internazionale. Anche le aziende italiane hanno colto questa opportunità, tanto che nel Belpaese sono già alcune centinaia le aziende regolarmente certificate e altrettante quelle in fase di certificazione. L’area dedicata ai prodotti certificati halal, durante Tuttofood, sarà realizzata con la collaborazione dell’ente di certificazione halal italiano WHAD (World Halal Development), così come i workshop e le conferenze, che avranno come moderatrice e organizzatrice ANNAMARIA AISHA TIOZZO, presidente WHAD, recentemente inserita dalla guida Islamica 500,
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THEFEEDING INTERNATIONAL B2B EXHIBITION DEDICATED TO FOOD& BEVERAGE THE WORLD, ENJOYING YOUR BUSINESS FIERA MILANO ITALY MAY 8 -11 2017 FIERA MILANO 8 -11 MAGGIO 2017
in concomitanza con
Per informazioni:
Tuttofood 2017 lancia la nuova Food Week Le famose “Tre F”, Fashion, Furniture & Food, sono notoriamente le punte di diamante del made in Italy a Milano e nel mondo. Se la capitale economica italiana celebra già le prime due con le settimane della moda e quella del design, per la terza eccellenza, quella enogastronomica, mancava ancora un momento clou della stagione, capace di condensare nello spazio di pochi giorni un calendario di appuntamenti senza confronti. A colmare questa lacuna ha pensato Tuttofood, che porterà il suo know-how fuori dai cancelli della fiera per farsi promotore di una grande festa del “mangiare sano” che dal 4 all’11 maggio coinvolgerà tutta la città, con cui ha un interscambio sempre più stretto quale erede dello spirito di EXPO per i temi della nutrizione. «In un momento in cui le tematiche food appaiono quasi inflazionate e sono abbinate, in maniera a volte poco coerente, a eventi d’ogni genere, con risultati non sempre all’altezza — ha commentato CORRADO PERABONI, AD di FieraMilano — Tuttofood ha scelto di condividere il suo patrimonio di conoscenze unico in Italia e farsi scintilla di un movimento che coinvolga tutti gli attori, per offrire a Milano quella Food Week all’altezza della sua reputazione, che ancora le mancava. Coniugando la nostra expertise con quella delle associazioni di categoria e con il supporto delle istituzioni, stiamo preparando un’esperienza indimenticabile che per una settimana avvolgerà cittadini e visitatori in un vortice di sapori e aromi, ma anche di idee e contenuti». I dettagli sono ancora da definire, ma le prime indiscrezioni suggeriscono già, anche grazie alla collaborazione con Regione Lombardia, Comune di Milano e Confcommercio, un palinsesto da far venire l’acquolina in bocca agli appassionati di tutte le molteplici declinazioni del tema, messe a fattor comune dalla regia di Tuttofood. Di questa nuovissima Food Week saranno testimoni anche gli eventi serali delle Tuttofood Nights nelle piazze più suggestive di Milano. E se il milanesissimo aperitivo è celebre — in italiano — in tutto il mondo, saranno super-trendy quelli organizzati nei più affascinanti hotel 5 stelle lusso dai giovani chef di talento di Jeunes Restaurateurs d’Europe Italia, che hanno in serbo anche altre sorprese altrettanto di tendenza. E, per non mancare l’incontro con la Food Week, anticiperà il consueto appuntamento di metà maggio anche una bandiera dei gourmand più raffinati come Taste of Milano, l’evento dedicato all’alta ristorazione, caratterizzato da coinvolgenti show-cooking di cucina italiana e internazionale completati da approfondimenti culturali, dove chef stellati e nuovi talenti saranno protagonisti con le loro realizzazioni più innovative.
unica italiana, tra le 50 persone più influenti dell’economia islamica. Le aziende saranno identificate da un apposito logo che faciliterà il riconoscimento da parte dei visitatori professionali, un grande appeal per i visitatori provenienti dai 57 Paesi OIC (a maggioranza islamica) e un ulteriore criterio di matching per facilitare gli appuntamenti di business
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mirati con i top buyer internazionali e italiani interessati. Segnali ancora deboli, ma cresce la spesa di qualità Rientro dalle vacanze all’insegna della stabilità, con un effetto trascinamento che conferma la “ripresina” nei primi nove mesi dell’anno. Questo il sentiment che si ricava dagli
ultimi dati di IRI per l’alimentare confezionato nel nostro Paese. A settembre, infatti, le vendite complessive in valore sono rimaste pressoché invariate verso lo stesso mese del 2015 (–0,6%) a quota 4.260 milioni di euro, mentre nei primi nove mesi crescono dello 0,5% rispetto all’equivalente periodo dello scorso anno, totalizzando 33.196 milioni.
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L’andamento più dinamico dei prezzi (+1,5% nell’anno progressivo) suggerisce comunque che la GDO creda in una prossima ripresa dei consumi. Il dettaglio dei settori rivela che la relativa stabilità complessiva cela uno spostamento dei consumi da scelte quantitative a più qualitative. Ancora una volta il best performer nelle tabelle dell’analista partner di Tuttofood è infatti il biologico: a settembre, con vendite per 108 milioni di euro, cresce a due cifre con un +14,9%, mentre da inizio anno, con un valore del venduto pari a 945 milioni, il balzo è addirittura del 21,5%. La buona stagione estiva si riflette invece nei numeri del gelato che, sempre a settembre, crescono del 9,9% in valore, sfiorando quota 100 con 98 milioni di euro di venduto. Nel corso dell’anno, invece, il rinfresco cede il passo ai prodotti da ricorrenza (+5,6% a 436 milioni). Bene anche altri “generi di conforto”: gli spalmabili dolci aumentano dell’1,1% nel mese (72 milioni) e del 2,4% nel periodo (513 milioni), mentre i fuori pasto dolci, pur arretrando a settembre, da inizio anno segnano un +1,9% con 1.188 milioni. Confermano la maggiore fiducia dei consumatori anche gli incrementi in altri acquisti “pregiati”. A settembre la carne confezionata registra un +3,3% con 64 milioni di euro, e nel periodo fa ancora meglio con un +4,4% a 447 milioni, mentre la pasta fresca cede terreno a settembre ma nel periodo sale del 2,2% a 478 milioni di euro. Il beverage infine — rileva IRI — a settembre porta il valore delle vendite a 345 milioni di euro (+1,1%), mentre nell’anno progressivo resta statico (–0,5%) con 2.136 milioni di venduto. Tuttofood con Veronafiere su fresco e vino Uno dei comparti più interessanti è l’ortofrutta, i cui consumi crescono a ritmi esponenziali. Grazie a un accordo strategico con Veronafiere, a Tuttofood 2017 debutterà Fruit & Veg Innovation: nell’area, che per il suo elevato livello qualitativo ha ottenuto il patrocinio di Confagricoltura, il prodotto finito troverà nuove opportunità di sviluppo nel confronto con le evoluzioni più attuali di tutto il
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food & beverage, in un contesto internazionale di incontro tra domanda e offerta. L’ortofrutta verrà valorizzata anche nell’ottica “star bene” in sintonia con i nuovi stili di vita, con un ricco programma convegnistico. Sempre a seguito di questo accordo, Tuttofood 2017 ospiterà Wine Discovery, evento curato da Vinitaly International Academy, che presenta la produzione italiana e internazionale, con i contributi di esperti del mondo vitivinicolo e sommelier in eventi di promozione e formazione professionale. Lo spazio si pone l’obiettivo di individuare ed esplorare, a vantaggio degli operatori, le aree di crescita, anche internazionali, di un’eccellenza italiana sempre più riconosciuta nel mondo. Le nuove frontiere digitali Punta invece a valorizzare le opportunità dell’e-commerce l’accordo con NETCOMM. Il Consorzio del Commercio Elettronico promoverà l’eCommerce Food Lab, un hub di 1.000 m2, in collaborazione con Digital Events, che favorirà il networking tra operatori B2B e dove si svolgeranno workshop e conferenze. Innovazione tecnologica e social eating al servizio del business saranno i punti chiave del fitto calendario. L’area è la prima di una serie di iniziative sulla digital transformation nell’agroalimentare che Tuttofood realizzerà durante l’anno grazie alla partnership con NETCOMM. Un salone sull’agro-ittico sostenibile È indirizzata alle opportunità di un settore agro-ittico sostenibile la collaborazione con Blue Sea Land (www.bluesealand.eu), l’Expo internazionale dei Distretti Agroalimentari del Mediterraneo, del Medioriente e dell’Africa promosso dal Distretto della Pesca e Crescita Blu. Oltre alla presenza di un’area dedicata, l’accordo prevede una collaborazione per incrementare la presenza di buyer specializzati e la realizzazione di una Seafood Academy con convegni, workshop tematici e show-cooking. >> Link: www.tuttofood.it
Taste 2017: le date da segnare in agenda Da sabato 11 a lunedì 13 marzo andrà in scena la dodicesima edizione di Pitti Taste, il salone dedicato alle eccellenze del gusto, dell’Italian lifestyle e del design della tavola. Forte dell’esperienza e dei successi raccolti durante i suoi primi 11 anni, Pitti Taste celebra e consolida il percorso che lo ha portato a diventare il salotto italiano del mangiare e del bere di qualità. Nato dalla collaborazione di Pitti Immagine col gastronauta Davide Paolini, Pitti Taste si svolgerà alla Stazione Leopolda di Firenze e presenterà i prodotti e le novità di circa 350 aziende, selezionate tra le migliori produzioni di nicchia e specializzate provenienti da tutta l’Italia. Un viaggio attraverso i sensi e le idee, alla scoperta delle tante e spesso nuove modalità in cui oggi si esprime e si sperimenta il gusto: tra tradizione e innovazione, tendenze e scuole di pensiero, attrezzature e tecniche professionali, food & kitchen design. Con uno spazio speciale al termine del percorso, il Taste Shop, dove acquistare i prodotti in esposizione. Il FuoriDiTaste Oltre agli appuntamenti alla Leopolda, Pitti Taste è anche il ricco calendario di eventi del gusto che coinvolge la città nei giorni del salone. Evento nell’evento, il FuoriDiTaste a ogni edizione riesce ad animare Firenze e i suoi luoghi più celebri con cene, degustazioni a tema, installazioni, spettacoli e performance creative, dibattiti… Un programma di circa 150 appuntamenti che registrano un successo e una partecipazione crescenti, e che ogni anno riserva grandi sorprese. I numeri di Taste • 340 espositori da tutta Italia • 15.500 visitatori in totale all’ultima edizione • 5.000 buyer e operatori del settore provenienti da oltre 40 paesi • 525 giornalisti italiani ed esteri accreditati • 23.000 circa i prodotti venduti in tre giorni al Taste Shop • 150 eventi nel programma di FuoriDiTaste >> Link: www.pittimmagine.com/corporate/fairs/taste.html
Taste è il salotto italiano del mangiare bene e stare bene, dove si danno appuntamento i migliori operatori internazionali dell’alta gastronomia, ma anche il sempre più vasto e appassionato pubblico dei “foodies”.
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LA PAGINA SCIENTIFICA
Nuove evidenze molecolari sulla risposta dell’orata di allevamento alla sindrome da stress invernale di Roberto Anedda, Riccardo Melis e Hanno Slawski
L’orata (Sparus aurata L.) è una delle specie ittiche eurialine più apprezzate e di conseguenza maggiormente allevate nel bacino del Mediterraneo. Nonostante la sua apparente adatta-
bilità alle condizioni climatiche che si riscontrano in questa vasta area geografica, l’orata è particolarmente sensibile a brusche variazioni della temperatura dell’acqua. In partico-
lare, durante la stagione invernale l’allevamento dell’orata si trova sovente a fronteggiare una condizione di riduzione delle performance di crescita nota, nei suoi casi più
L’abbassamento della temperatura dell’acqua durante la stagione invernale è un fattore critico nell’allevamento dell’orata. Nel periodo invernale, infatti, diversi disturbi metabolici e immunologici si traducono in performance di crescita ridotta e talvolta in un’alta mortalità degli esemplari allevati, causando anche importanti perdite economiche agli allevatori. Recentemente, nuove e dettagliate informazioni molecolari sulla complessa risposta biologica dell’orata di allevamento alle condizioni di stress invernale si sono rese disponibili grazie a uno studio nato dalla collaborazione tra Aller Aqua e Porto Conte Ricerche. I risultati dell’indagine forniscono una visione innovativa delle alterazioni fisiologiche che interessano l’orata durante la stagione fredda.
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Aller Aqua ha realizzato una linea mangimi specifici per diverse condizioni di temperatura, al fine di garantire una maggiore assunzione di mangime e una maggiore digeribilità dei nutrienti in tutte le stagioni di allevamento. Il raggiungimento di tali formulazioni è frutto della comprensione di alcuni meccanismi fisiologici e molecolari che interessano il metabolismo delle specie ittiche di interesse
eclatanti, con il nome di “malattia invernale” o, nella definizione anglosassone, Winter Disease. Questo termine viene in genere utilizzato per descrivere una sindrome metabolica di eziologia sconosciuta la cui incidenza varia di anno in anno e da zona a zona, ma che si presenta comunque in maniera ricorrente in modo particolare in aree nelle quali la temperatura dell’acqua scende al di sotto degli 11-12°C (BOVO et al., 1995; TORT et al., 1998; IBARTZ et al., 2010). Le conseguenze di tale condizione di stress da freddo si traducono in un progressivo peggioramento delle condizioni di salute dell’orata, che dapprima si riflettono in una riduzione delle performance di conversione del mangime e di crescita, ma che possono, nei casi più estremi, portare al decesso. Le cause e i meccanismi molecolari di questa sindrome non sono del tutto chiari, essendo coinvolti diversi
disturbi di natura immunitaria e metabolica derivanti principalmente da inappetenza e alterato assorbimento dei nutrienti a livello epatico. Inoltre, è noto che è alterato il processo di assorbimento dei nutrienti nel muscolo filetto, che può portare ad una carenza nell’apporto di macronutrienti fondamentali per la crescita del pesce, con un conseguente inadeguato bilancio energetico (IBARTZ et al., 2007; IBARTZ et al., 2010). Tali alterazioni possono essere aggravate da una dieta inadeguata o non accuratamente bilanciata. Una delle pratiche più diffuse per compensare tale condizione consiste nel ridurre la razione giornaliera di mangime e nel ricorrere a formulazioni costituite da alimenti a bassa densità energetica, con l’obiettivo di non forzare il metabolismo del pesce in una fase critica per il normale svolgimento delle sue funzioni fisiologiche. Tale strategia non consente però di evitare carenze di alcuni nu-
Porto Conte Ricerche da oltre 15 anni sviluppa ed eroga servizi ad alto contenuto tecnologico a favore di imprese impegnate nell’innovazione dei propri sistemi produttivi attraverso attività di ricerca industriale e sviluppo sperimentale di biomarker discovery, sistemi diagnostici e biotecnologie applicati in campo alimentare e biomedico. È attivamente coinvolto in progetti di ricerca applicata alle problematiche legate all’acquacoltura e vanta una solida esperienza nello studio di specie ittiche di rilevante interesse nel settore della maricoltura. Grazie ad uno studio multidisciplinare affrontato attraverso metodiche analitiche altamente innovative, Porto Conte Ricerche ha maturato una vasta esperienza nell’identificazione e la quantificazione di biomarcatori di qualità delle materie prime impiegate per la mangimistica in acquacoltura e nello studio del loro impatto sulle performance di crescita e sul benessere del pesce allevato. A destra: in alto, articolare del laboratorio NMR e Imaging. In basso: il Laboratorio Blue Biotechnology sito a Porto Conte Ricerche comprende un impianto di 9 vasche con sistema a ricircolo e 4 camere metaboliche.
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La prova eseguita presso i laboratori di Porto Conte Ricerche in sistemi a ricircolo. trienti essenziali, portando inoltre a perdite di peso e a conseguenti scarse conversioni alimentari. Aller Aqua ha realizzato una linea mangimi specificatamente ottimizzati per diverse condizioni di temperatura (Temperature Adapted Feeds), al fine di garantire una maggiore assunzione di mangime e una maggiore digeribilità dei nutrienti in tutte le stagioni di allevamento (www.aller-aqua.com/introductionto-fish-feed/temperature-adaptedfeeds). Il raggiungimento di tali formulazioni è frutto della comprensione di alcuni meccanismi fisiologici e molecolari che interessano il metabolismo delle specie ittiche di interesse. Al fine di chiarire i dettagliati meccanismi molecolari alla base della compatibilità dei mangimi, alcuni anni or sono, Aller Aqua e Porto Conte Ricerche hanno avviato una collaborazione volta allo sviluppo di protocolli analitici volti a monitorare il metabolismo dell’orata sia in risposta a diverse formulazioni mangimistiche in condizioni climatiche
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standard, che per valutare l’effetto di diverse condizioni climatiche. In uno degli studi sono state simulate condizioni sperimentali tali da riprodurre l’andamento medio della temperatura dell’acqua durante un ciclo invernale tipico della zona climatica del Mediterraneo. Durante la prova, eseguita in sistemi a ricircolo, è stato monitorato l’andamento della mortalità, dell’appetibilità, dei principali caratteri morfometrici e delle performance zootecniche. Inoltre, è stato effettuato uno screening delle variazioni dei livelli delle molecole di piccole dimensioni (metaboliti) e dei grassi a livello epatico e della parte edibile, utilizzando un approccio di tipo metabolomico. La metabolomica è una metodica di indagine analitico-biocomputazionale basata sull’uso di una combinazione di analisi spettroscopiche e moderni metodi matematici e statistici in grado di fornire stime quali-quantitative dei metaboliti all’interno delle cellule, tessuti o fluidi biologici. I metaboliti rappre-
sentano i prodotti finali dei processi biochimici a livello cellulare e sono estremamente sensibili ad influenze di natura endogena o esogena. Recentemente, la metabolomica ha mostrato di possedere un enorme potenziale di impiego nel settore dell’acquacoltura (ALVARO e YOUNG, 2016). Infatti, i recenti progressi nell’analisi dei metaboliti attraverso l’impiego di tecniche spettroscopiche rapide e altamente riproducibili come la Risonanza Magnetica Nucleare (NMR), unite alla costante evoluzione delle capacità bio-informatiche, hanno reso possibile lo sviluppo di robusti protocolli analitici per l’individuazione di biomarcatori associabili a diverse problematiche inerenti la produzione, la nutrizione, il benessere, la qualità e la tracciabilità dell’orata di allevamento (MELIS et al., 2014 a, b). I risultati di questo studio hanno delucidato la complessa catena di eventi metabolici che caratterizzano la risposta fisiologica e molecolare dell’orata alle variazioni della temperatura dell’acqua. In particolare,
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I risultati di questo studio hanno delucidato la complessa catena di eventi metabolici che caratterizzano la risposta fisiologica e molecolare dell’orata alle variazioni della temperatura dell’acqua. lo studio ha potuto evidenziare i meccanismi metabolici di adattamento dell’orata durante le fasi di diminuzione della temperatura (18 °C - 11 °C), durante il periodo di mantenimento di una bassa temperatura (11 °C) e nella fase di ripristino di condizioni climatiche ottimali (11 °C - 18 °C). Lo studio mette in evidenza la sofferenza metabolica dell’organismo ad adattarsi al calo delle temperature esterne, sottolineando la difficoltà di compensare un disequilibrio energetico nella fase di calo della temperatura, che evolve in
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una disfunzione metabolica a livello epatico con conseguente accumulo di grasso e aumento delle dimensioni dell’organo e con l’alterazione del metabolismo dei lipidi. In seguito ad una prolungata permanenza a bassa temperatura, l’orata attiva una serie di meccanismi compensatori del derivante stress ossidativo, attivando il metabolismo della metionina e delle basi puriniche a livello epatico e preservando le proteine presenti nella parte edibile dalla denaturazione. Vengono quindi progressivamente riattivati i processi
di bioaccumulo con il rinnalzamento della temperatura. La ricerca di Porto Conte Ricerche (www.portocontericerche.it) e Aller Aqua (www.aller-aqua.com) fornisce utili elementi per lo sviluppo di formulazioni idonee al mantenimento di performance di crescita ottimali nell’orata durante tutto il periodo del ciclo produttivo, garantendo un apporto nutrizionale bilanciato e aumentando la resistenza di questa specie alle variazioni termiche stagionali. Il lavoro del team coordinato dal dott. ROBERTO ANEDDA
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è stato pubblicato dalla rivista scientifica COMPARATIVE BIOCHEMISTRY AND PHYSIOLOGY – Part A [R. MELIS, R. SANNA, A. BRACA, E. BONAGLINI, R. CAPPUCCINELLI, H. SLAWSKI, T. ROGGIO, S. UZZAU, R. ANEDDA, Molecular details on gilthead sea bream (Sparus aurata) sensitivity to low water temperatures from 1H NMR metabolomics, Comparative Biochemistry and Physiology, Part A, 204 (2017), 129-136]. Dott. Roberto Anedda Dott. Riccardo Melis Dott. Hanno Slawski Nota Per ulteriori informazioni contattare il dott. ROBERTO ANEDDA, Laboratorio di NMR e Imaging, Porto Conte Ricerche, Alghero (www.portocontericerche.it); e-mail: anedda@ portocontericerche.it
Bibliografia • BOVO G., BORGHESAN F., COMUZZI M., CESCHIAS G., GIORGETTI G. (1995), Winter disease in orata di allevamento: osservazioni preliminari, Boll. Soc. Ital. Patol. Ittica 17:2-11. • TORT L., PADRÓS F., ROTLLANT J., CRESPO S. (1998), Winter syndrome in the gilthead sea bream Sparus aurata. Immunological and histopathological features, Fish Shell. Imm. 8, 37-47. • IBARZ A., BELTRAN M., FERNANDEZ-BORRAS M.A., SANCHEZ J., BLASCO J. (2007a), Alterations in lipid metabolism and use of energy depots of gilthead sea bream (Sparus aurata) at low temperatures, Aquaculture 262, 470-480. • IBARZ A., PADRÓS F., TORT L. (2010b), Low-temperature chal-
lenges to gilthead sea bream culture: Review of cold-induced alterations and Winter Syndrome, Rev. Fish Biol. Fish. 20, 539-556. • MELIS R., ANEDDA R. (2014), Biometric and metabolic profiles associated to different rearing conditions in offshore farmed gilthead sea bream (Sparus aurata L.), 35, 15901598. • M ELIS R., C APPUCCINELLI R., ROGGIO T., ANEDDA R. (2014), Addressing marketplace gilthead sea bream (Sparus aurata L.) differentiation by 1H NMR-based lipid fingerprinting, Food Res. Int. 63, 258-264. • ALFARO C.A., YOUNG T. (2016), Showcasing metabolomic applications in aquaculture: a review, Rev. Aquacult.
Validazione di un impianto di depurazione di molluschi bivalvi di Luciano Boffo e Emanuele Rossetti
Con la presente sperimentazione è stata valutata l’efficacia e la capacità depurativa dell’impianto del Consorzio Cooperative Pescatori del Polesine O.P. Scarl in via della Sacca 11, a Porto Tolle (RO). Caratteristiche dell’impianto Trattasi di un impianto a circuito chiuso a flusso verticale con bins. Il punto di captazione dell’acqua è situato in un ambito lagunare classificato di zona B, antistante il centro di depurazione; è protetto da griglie per evitare l’ingresso di alghe e di altro materiale estraneo. Mediante conduttura le acque vengono convogliate in una prima vasca
di decantazione e di accumulo, poi transitano in una seconda vasca dove avviene la disinfezione con biossido di cloro con tempi di contatto di circa trenta minuti. Dalla vasca di disinfezione, attraverso un’altra conduttura, le acque raggiungono due filtri meccanici a quarzite dove avviene una prima filtrazione con arresto delle particelle di materiale più grossolano. Segue poi una filtrazione con due filtri a carboni attivi per abbattere l’eccesso di cloro ed eliminare eventuali odori sgradevoli. I filtri subiscono un processo di rigenerazione mediante operazioni di controlavaggio dal basso verso l’alto, in senso cioè inverso rispetto
alla normale attività di esercizio. L’acqua così trattata viene utilizzata per il lavaggio esterno dei molluschi, per le pulizie dei locali e per il reintegro dell’impianto. La seconda parte dell’impianto è strutturata in maniera tale da consentire un efficace trattamento di depurazione dei molluschi. Sono presenti due vasche interrate, una destinata all’acqua pulita e una all’acqua sporca da trattare. Quest’ultima subisce dapprima una schiumatura con skimmer che abbatte il materiale organico e gran parte della flora microbica presente. Segue poi una filtrazione meccanica con due filtri a quarzite e una biologica
Bins di depurazione del Consorzio di Scardovari.
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MILANESE snc dal 1953 produce e commercializza una vastissima gamma di attrezzature per l’acquacoltura, che esporta in ben 40 paesi di tutto il mondo. Inoltre progetta e costruisce su misura sistemi di automazione per l’allevamento del pesce
Milanese snc
Viale I Maggio, n. 3 – 33032 Bertiolo (UD) Tel. +39 0432 917224 – Fax +39 0432 917034 – E-mail: milanese@milaneseitalia.com – Web: www. milaneseitalia.com
L’impianto è strutturato in maniera tale da consentire un efficace trattamento di depurazione dei molluschi. che, grazie al substrato batterico presente, dà luogo ad un processo di denitrificazione e di ossidazione del materiale organico. Dopodiché l’acqua viene convogliata all’interno della vasca dell’acqua pulita. Segue poi un passaggio all’interno di un Protein Skimmer dove avviene la precipitazione delle sostanze organiche che vengono allontanate attraverso lo schiumatore e l’ozonizzazione dell’acqua con conseguente sterilizzazione. Il dosaggio dell’ozono viene regolato in base al potenziale redox misurato nell’acqua. Trattasi di una misurazione indiretta che permette comunque di mantenere i dosaggi all’interno di un determinato range. L’acqua che esce dallo schiumatore viene convogliata in un filtro a carboni attivi per togliere l’eccesso di ozono. L’acqua subisce
poi un processo di raffreddamento che permette di mantenere la temperatura tra i 10 e i 20°C a seconda del periodo stagionale, in maniera da ottimizzare l’attività di filtrazione dei molluschi e rispettare il benessere animale. Durante il periodo estivo viene mantenuta intorno ai 20°C, durante il periodo invernale intorno ai 10°C. Questo per evitare stress termici che potrebbero influire negativamente sull’attività filtratoria. L’acqua che esce dal gruppo frigorifero viene convogliata nella vasca di acqua trattata. Delle pompe comandate con un inverter, il quale varia la portata in funzione della quantità di bins che sono in funzione, inviano l’acqua ad uno sterilizzatore a raggi UV con 32 lampade e successivamente la distribuiscono alle docce dell’impianto. La pulitura delle lam-
Tabella 1 Parametro
Valore minimo
Valore massimo
Salinità
25%
35%
Temperatura
10°C
20°C
Ossigeno
70%
110%
pH
7,3
8,5
Nitriti
—
0,50 ppm
Nitrati
—
50 ppm
Ammoniaca
—
1 ppm
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pade viene fatta periodicamente per evitare la formazione di incrostazioni che potrebbero determinare una riduzione dell’efficacia dei raggi UV. La sostituzione delle lampade viene fatta dopo 7.000 ore di attività. Ogni colonna viene attraversata da un flusso di acqua trattata intorno a 5-6 m3/h. La rete di distribuzione ai bins è realizzata in PVC; sono presenti 56 docce. L’impianto pertanto si compone di 56 colonne ciascuna di 3 bins per un totale di 168 bins. È stato strutturato per depurare fino a 250 kg di molluschi bivalvi per cassone nell’arco di 8-16-24 ore in funzione del livello di inquinamento del prodotto. La capacità massima dell’impianto è di 42.000 kg a ciclo. L’alimentazione dell’acqua dei bins è a caduta gravitazionale con docce che favoriscono l’ossigenazione. La sostituzione completa dell’acqua dell’impianto, considerate le perdite relative al controlavaggio e al processo depurativo, avviene in circa una settimana. Parametri dell’acqua che vengono monitorati Al fine di tenere sotto controllo il processo di depurazione e il benessere animale vengono costantemente monitorati, nell’ambito del piano di autocontrollo, i parametri riportati in Tabella 1. Qualora vengano riscontrati valori difformi dagli intervalli riportati in tabella viene sospesa l’attività di depurazione e informati i tecnici per l’individuazione delle cause. L’attività di depurazione potrà riprendere solo quando siano state ripristinate le corrette condizioni di funzionalità. Validazione dell’efficacia del processo di depurazione Nella validazione della procedura sono stati tenuti in considerazione i seguenti parametri: 1. specie del mollusco (vongole e mitili); 2. tempi di depurazione; 3. livello di contaminazione iniziale da E. coli; 4. riduzione del livello di contaminazione in funzione delle ore di depurazione;
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5. capacità dell’impianto di portare il livello di contaminazione da E. coli entro i limiti di legge (230 MPN/100 g) partendo da un livello di contaminazione nel range dell’area B (> 230 MPN/100 g, < 4.600 MPN/100 g); 6. capacità comunque dell’impianto di ridurre sensibilmente il livello di contaminazione partendo da valori superiori al range della zona B (Prova di stress impianto). Prima prova di validazione Materiali e metodi Con questa prova si è voluto verificare la capacità dell’impianto a portare valori di E. coli rientranti nel range di zona B e C all’interno dei limiti di sicurezza previsti dal Reg. 2073/05. La prova è stata eseguita in data 04-05-2016. Le analisi di laboratorio sono state eseguite dall’Istituto Zooprofilattico delle Venezie. Le vongole e i mitili, oggetto di indagine, sono stati contaminati sperimentalmente.
Dopo di che tutto il prodotto, fatta eccezione del campione prelevato per gli esami di laboratorio, è stato posto in bins distinti per specie e sottoposto a processo di depurazione per 24 ore. È stato effettuato un campione a T. 0 sul prodotto contaminato, uno dopo 8 ore di depurazione, uno dopo 16 ore e uno dopo 24 ore. Risultati e valutazione Le analisi effettuate sul campione di vongole veraci (Grafico 1) prelevato dopo contaminazione T. 0 hanno dato un risultato di 9.200 MPN/100 g (valore rientrante in una zona classificata C). Il campione prelevato dopo 8 ore ha dato un risultato di 220 MPN/100 g con notevole riduzione del carico inquinante, considerato il tempo limitato di depurazione. Il campione prelevato dopo 16 ore ha dato un risultato di 260 MPN/100 g non dimostrando alcuna riduzione del carico inquinante. Il campione prelevato dopo 24 ore ha dato un risultato di 78 MPN/100 g. Si deduce:
1
2
3
4
• la capacità depurativa dell’impianto è molto buona: 8 ore di depurazione sono sufficienti a portare valori di E. coli rientranti nell’ambito di zona C all’interno dei limiti previsti dal Reg. 2073/05. La percentuale di abbattimento è stata del 97,11%; • dopo una iniziale forte riduzione dei livelli di contaminazione da E. coli, c’è un arresto dell’attività depurativa; • segue poi una ulteriore riduzione del carico inquinante. Per quanto riguarda i mitili (Grafico 2), le analisi effettuate su campione a T. 0, dopo contaminazione, hanno dato un risultato di 2.400 MPN/100 g. Il campione prelevato dopo 8 ore ha dato un risultato di 78 MPN/100 g con notevole riduzione del carico inquinante. Il campione prelevato dopo 16 ore ha dato un risultato di 110 MPN/100 g. Il campione effettuato dopo 24 ore ha dato un valore di 40 MPN/100 g. L’analisi del grafico permette di fare alcune considerazioni:
1 – La capacità massima dell’impianto è di 42.000 kg a ciclo. 2 – Linee di confezionamento. 3 – Fase di confezionamento ed etichettatura molluschi. 4 – Zona spedizione.
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Attività di raccolta vongole del Consorzio di Scardovari.
Seconda prova di validazione
torio sono state eseguite dall’Istituto Zooprofilattico delle Venezie. Anche in questo caso le vongole e i mitili, oggetto di indagine, sono stati contaminati sperimentalmente. Dopo di che tutto il prodotto, fatta eccezione dei campioni prelevati per gli esami di laboratorio, è stato posto in bins distinti per specie e sottoposto a un processo di depurazione per 24 ore. È stato effettuato un campione a T. 0 sul prodotto contaminato, uno dopo 8 ore di depurazione, uno dopo 16 ore di depurazione e uno dopo 24 ore di depurazione.
Materiali e metodi Con questa prova si è voluto verificare la capacità dell’impianto di portare i livelli di contaminazione da E. coli all’interno dei parametri previsti dalla normativa in materia (≤ 230 MPN/100 g) partendo da molluschi che avevano valori di contaminazione rientranti nell’ambito delle zone B e C. La prova è stata eseguita in data 11-05-2016. Le analisi di labora-
Risultati e valutazione Le analisi effettuate sul campione di mitili (Grafico 3) prelevato dopo contaminazione T. 0 hanno dato un risultato di 2.300 MPN/100 g (valore rientrante in una zona classificata di tipo B). Il campione prelevato dopo 8 ore ha dato un risultato di 230 MPN/100 g, valore all’interno dei limiti fissati dalla normativa (≤ 230 MPN/100 g).
• la capacità depurativa dell’impianto risulta buona; 8 ore di depurazione sono sufficienti a portare mitili con valori di E. coli rientranti in zona B all’interno dei limiti di sicurezza previsti dal Reg. 2073/05. La percentuale di abbattimento è stata del 96,75%; • dopo le prime 8 ore di depurazione c’è un arresto temporaneo dell’attività depurativa dei mitili che riprende dopo le 16 ore.
Sarà opportuno effettuare periodicamente delle analisi sulla stessa partita di molluschi prima e dopo il processo di depurazione, per tenere sempre monitorata l’efficacia del trattamento, e prestare sempre particolare attenzione al benessere animale
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Il campione prelevato dopo 16 ore ha dato un risultato di 170 MPN/100 g, valore all’interno dei limiti di sicurezza fissati dal Reg. 2073/05. Il campione prelevato dopo 24 ore ha dato un risultato di 170 MPN/100 g. Si deduce: • la capacità depurativa dell’impianto è buona: 8 ore sono sufficienti a depurare il prodotto. La percentuale di abbattimento è stata del 90%; • da notare l’arresto dell’attività depurativa tra la sedicesima e la ventiquattresima ora. Per quanto riguarda le vongole veraci Tapes semidecussatus (Grafico 4), le analisi effettuate sul campione a T. 0 dopo contaminazione hanno dato un risultato di 35.000 MPN/100 g (valore elevato rientrante in una zona classificata di tipo C). Il campione prelevato dopo 8 ore ha dato un risultato di 4.900 MPN/100 g, con notevole abbattimento del carico inquinante. Il campione prelevato dopo 16 ore ha dato un risultato di 490 MPN/100 g. Il campione effettuato dopo 24 ore ha dato un valore di 20 MPN/100 g. In questo caso specifico sono state necessarie 24 ore per riportare i livelli di contaminazione da E. coli all’interno dei limiti previsti dalla normativa. Va sottolineato però che si è partiti da livelli di contaminazione di zona C. Comunque l’impianto dimostra di funzionare perfettamente anche in queste situazioni di criticità. Ventiquattro ore sono sufficienti per depurare un prodotto di zona C. L’analisi del grafico permette di fare alcune considerazioni: • pur risultando evidente la buona capacità depurativa dell’impianto, sono state necessarie 24 ore per riportare il livello di contaminazione da E. coli all’interno dei limiti previsti dal Reg. 2073/05, fermo restando però che si è partiti da un livello di contaminazione rientrante nell’ambito della zona C; • da sottolineare la capacità dell’impianto di portare molluschi con valori di E. coli rientranti nell’ambito della zona C in 24 ore entro i limiti di sicurezza previsti dal Reg. 2073/05;
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Grafico 1 – Analisi su campione contaminato di vongole veraci (1a prova del 04-05-2016)
• la percentuale di abbattimento nelle prime 8 ore è stata dell’86%, mentre se consideriamo il periodo di 16 ore è stata del 98,6%. Terza prova di validazione
Grafico 2 – Analisi su campione contaminato di mitili (1a prova del 04-05-2016)
Grafico 3 – Analisi su campione contaminato di mitili (2a prova dell’11-05-2016)
Grafico 4 – Analisi su campione contaminato di vongole veraci (2a prova dell’11-05-2016)
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Materiali e metodi Anche con questa prova si è voluto verificare la capacità depurativa dell’impianto e stabilire i tempi necessari per portare i livelli di contaminazione da E. coli all’interno dei parametri previsti dalla normativa in materia (≤ 230 MPN/100 g). Si è partiti da molluschi con livelli di contaminazione rientranti nell’ambito della zona B e di zona preclusa (vedi punti 5 e 6 parametri di validazione). La prova è stata eseguita in data 18-05-2016. Le analisi di laboratorio sono state eseguite dall’Istituto Zooprofilattico delle Venezie. Anche in questo caso le vongole e i mitili, oggetto di indagine, sono stati contaminati sperimentalmente. Dopo di che tutto il prodotto, fatta eccezione dei campioni prelevati per gli esami di laboratorio, è stato posto in bins distinti per specie e sottoposto a un processo di depurazione per 24 ore. È stato effettuato un campione a T. 0 sul prodotto contaminato, uno dopo 8 ore di depurazione, uno dopo 16 ore di depurazione e uno dopo 24 ore di depurazione. Risultati e valutazione Le analisi effettuate sul campione di mitili (Grafico 5) prelevato dopo contaminazione T. 0 hanno dato un risultato di 690 MPN/100 g (valore rientrante in una zona classificata di tipo B). Il campione prelevato dopo 8 ore ha dato un risultato di 230 MPN/100 g di E. coli, valore all’interno dei criteri di sicurezza alimentare fissati dal Reg. 2073/05. Il campione prelevato dopo 16 ore ha dato un risultato di 45 MPN/100 g, valore all’interno dei limiti di sicurezza alimentare fissati dal Reg. 2073/05. Il campione prelevato dopo 24 ore ha dato un risultato 20 MPN/100 g. Valutando i risultati, si deduce: • viene confermata la buona capacità depurativa dell’impianto;
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Grafico 5 – Analisi su campione contaminato di mitili (3a prova del 18-05-2016)
Grafico 6 – Analisi su campione contaminato di vongole veraci (3a prova del 18-05-2016)
8 ore sono state sufficienti a portare i valori di E. coli all’interno dei parametri di sicurezza alimentare previsti dalla normativa; • la percentuale di abbattimento nelle prime 8 ore è stata del 67%, mentre se consideriamo il periodo di 16 ore è stata del 93,48%; nelle 24 ore la percentuale di abbattimento è stata di 97,11%. Per quanto riguarda le vongole veraci Tapes semidecussatus (Grafico 6), le analisi effettuate sul campione a T. 0 dopo contaminazione hanno dato un risultato di 54.000 MPN/100 g (valore superiore a una zona classificata di tipo C e rientrante in area preclusa). Il campione prelevato dopo 8 ore ha dato un risultato di 2.300 MPN/100 g di E. coli, dimostrando una ottima capacità depurativa dell’impianto, considerato il valore iniziale rientrante nell’ambito di una zona preclusa. Il campione prelevato dopo 16 ore ha dato un risultato di 330 MPN/100 g confermando il trend di riduzione. Il campione effettuato dopo 24 ore ha dato un valore
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di 230 MPN/100 g. L’analisi del grafico permette di fare alcune considerazioni: • la capacità depurativa dell’impianto risulta elevata, considerato che si è partiti da un prodotto con livelli di contaminazione di area preclusa (54.000 MPN/100 g di E. coli); la percentuale di abbattimento è stata del 95,75%; • l’andamento della curva del grafico dimostra che la capacità depurativa dell’impianto è notevole; si osserva una elevata riduzione di E. coli nelle prime 8 ore di depurazione, seguita da un calo più moderato nelle successive; • 24 ore di depurazione sono state sufficienti a portare un prodotto di area preclusa all’interno dei criteri di sicurezza previsti dal Reg. 2073/05. Tempi di depurazione La definizione del tempo di depurazione dovrà essere stabilita dal responsabile dell’autocontrollo sulla base di dei seguenti parametri:
• specie del mollusco: la velocità di depurazione varia in funzione della specie del mollusco. Nello specifico i dati storici della ditta hanno permesso di dimostrare che le vongole veraci possono essere depurate normalmente in 8 ore se i valori di E. coli rientrano nei limiti della zona B. Dati confermati anche nelle prove di validazione dell’impianto. Va considerato però che in certe condizioni di stress dei molluschi, legate a modalità di raccolta non appropriate, sbalzi termici, trasporti inadeguati, ecc… si potrebbe determinare un rallentamento del processo di filtrazione e conseguentemente dell’attività depurativa che potrebbe richiedere tempi più lunghi. Per i mitili di zona B, sempre sulla base dei dati storici e dei risultati delle prove di validazione dell’impianto, emerge che sono sufficienti 8 ore per ottenere un efficace processo di depurazione; • ambiti di provenienza: pur rientrando tutti gli ambiti di provenienza dei molluschi destinati alla depurazione in zona B ci possono essere delle aree dove si sono verificate più frequentemente situazioni di criticità. La ditta, sulla base dell’attività di monitoraggio svolta dall’Azienda ULSS sulle aree di produzione e sulla base dei propri dati di laboratorio, dovrà individuare gli ambiti più critici dove negli ultimi 12 mesi sono state riscontrate delle positività per E. coli e Salmonella. I molluschi provenienti da questi ambiti saranno sottoposti a un processo di depurazione di almeno 12 ore; • situazioni meteorologiche sfavorevoli: piene di fiumi, piovosità, mareggiate, sfiori, ecc… influenzano negativamente gli aspetti microbiologici dei molluschi raccolti. In tutte queste situazioni il tempo di depurazione sarà previsto dal responsabile dell’autocontrollo sulla base della valutazione del rischio. Verrà altresì intensificata l’attività di campionamento del prodotto in arrivo e dopo il processo di depurazione;
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• fornitore: i molluschi possono provenire o da allevamento gestito direttamente dal Consorzio, o da fornitori esterni. Fermo restando che la ditta fa una selezione dei fornitori sulla base: – della registrazione degli stessi presso l’Azienda ULSS; – del possesso di tutte le autorizzazioni per lo svolgimento della attività; – di eventuali segnalazioni fatte dagli organi di controllo; – della conoscenza diretta; – dell’attività di campionamento finalizzata a verificare la conformità del prodotto consegnato. Per i molluschi allevati, se i dati storici consentono di confermare una situazione particolarmente favorevole relativamente alla contaminazione da E. coli, potrà essere previsto un tempo di depurazione di 8 ore; • aspetto visivo: qualora venga riscontrato al momento della consegna che i molluschi non hanno subito un accurato lavaggio durante le fasi di raccolta verrà stabilito un tempo di depurazione superiore alle 12 ore. Conclusioni Dall’analisi dei dati storici dell’azienda e dei risultati delle prove effettuate emerge che l’impianto del Consorzio Cooperative Pescatori del Polesine è in grado di garantire,
con tempi di depurazione di 8 ore per i molluschi provenienti da zona B, i livelli di sicurezza alimentare previsti dal Reg. 2073/05. Pertanto, alla luce di queste sperimentazioni, si ritiene che da parte del Consorzio Cooperative Pescatori del Polesine O.P. Scarl venga adottato il seguente protocollo operativo: vongole veraci e mitili provenienti da allevamenti di zona B possono essere depurate per 8 ore soltanto quando i dati storici dell’area di provenienza consentono di confermare una situazione particolarmente favorevole relativamente alla contaminazione da E. coli, con le seguenti eccezioni: – per le aree più critiche, dove nel corso degli ultimi 12 mesi sono state riscontrate delle positività da parte dell’Azienda ULSS, il processo di depurazione dovrà essere prolungato per almeno 12 ore. Si consiglia il Consorzio Cooperative Pescatori del Polesine O.P. Scarl a richiedere all’Azienda ULSS il report di tutte le positività riscontrate negli ultimi 12 mesi e di individuare gli ambiti interessati; – in caso di situazioni meteorologiche sfavorevoli (piovosità, piene di fiumi, mareggiate, sfiori) sarà il responsabile dell’autocontrollo a stabilire la durata del processo di depurazione sulla base della valutazione del rischio; – il Consorzio Cooperative Pescatori del Polesine O.P. Scarl
deve tenere sempre aggiornata la selezione dei fornitori. Per i nuovi fornitori, ferma restando l’acquisizione della documentazione prevista nel piano di autocontrollo e in attesa delle verifiche e dei campionamenti programmati, sottoporrà i molluschi nella fase iniziale di conferimento a un periodo di depurazione di almeno 12 ore. Raccomandazioni 1. Sarà opportuno effettuare, nell’ambito del piano di autocontrollo, periodicamente delle analisi sulla stessa partita di molluschi prima e dopo il processo di depurazione per tenere sempre monitorata l’efficacia del trattamento. 2. Prestare particolare attenzione al benessere animale prima e durante le fasi della depurazione. 3. Monitorare costantemente i parametri dell’acqua durante le fasi di depurazione. 4. In caso di riscontro di positività in autocontrollo, o a seguito dei controlli ufficiali in azienda, o durante le fasi di distribuzione del prodotto saranno effettuati almeno tre controlli sulle partite successive per verificare la funzionalità dell’impianto. Dott. Luciano Boffo Consulente Sicurezza Alimentare Dott. Emanuele Rossetti Responsabile Qualità Consorzio Scardovari
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Redazione manuali e procedure per la Gestione Igienico Sanitaria conformi alla normativa cogente, volontaria e dei paesi terzi per l’esportazione (HACCP; BRC, IFS, ISO 22000; Global Gap) Aggiornamento normativo in materia igienico sanitaria Formazione del personale, anche in conformità alla formazione obbligatoria (corso per alimentaristi) Progettazione e studio diagrammi di flusso Redazione e controllo Etichettatura Preparazione ed affiancamento in prospettiva di audit di certificazione, degli organi ufficiali competenti, dei fornitori, siamo presenti a circa 100 audit all’anno
Non solo per istinto Uno studio svedese dimostra un nesso tra le attività umane e la propensione alla migrazione dei salmoni, con importanti risvolti ecologici ed economici di Roberto Villa
La migrazione, sia essa per aria, terra o acqua, riguarda migliaia di specie animali sulla Terra, è un fenomeno innato che spinge gli individui a muoversi allo scopo di trovare migliori condizioni per la sopravvivenza della specie, dal punto di vista sia alimentare sia riproduttivo. Il salmone atlantico (Salmo salar) è una delle più importanti tra le specie di interesse ecologico e contemporaneamente economico a mostrare questo comportamento, tanto noto da essere divenuto culturalmente paradigmatico dell’andare controcorrente, con riferimento al percorso degli adulti. Sinora molti studi hanno indagato gli aspetti ecologici della migrazione mentre quelli neuro-biologici sono rimasti sostanzialmente inesplorati. A contribuire a colmare questo buco ci ha pensato un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Ecologia e Scienze Ambientali dell’Università di Umeå, una città nel nord della Svezia affacciata sul Golfo di Botnia, i quali hanno voluto comprendere cosa influenzi il fenomeno migratorio al di là dei già conosciuti impulsi innati di natura ambientale e genetica, per giungere ad una visione a tutto tondo della migrazione che possa consentire una migliore conservazione delle popolazioni del salmone selvatico. Grande attenzione è stata posta agli aspetti motivazionali che spingono alla migrazione, lasciando un ambiente noto per realizzare un lungo percorso nel quale le condizioni sono certamente più avverse e possono anche essere letali: la paura è un freno psicologico ed istintivo altrettanto forte rispetto alla tendenza geneticamente inscritta a spostarsi.
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Il controllo dell’ansia nei vertebrati può essere realizzato con l’attivazione del recettore GABAA nel sistema nervoso centrale, sia tramite il neuro-trasmettitore endogeno acido gamma-amminobutirrico (GABA) sia tramite altre molecole ad azione agonistica; infatti farmaci ad attività ansiolitica usati dall’uomo sono efficaci anche in altre specie animali: nei pesci tali farmaci sono utili per capire gli aspetti cognitivi e comportamentali di fronte a situazioni di pericolo, come quelli che avvengono durante il processo migratorio, ed è proprio quello che i ricercatori svedesi hanno messo in pratica. Lo studio si è basato sulla com parazione di due gruppi di giovani salmoni, uno osservato in un ambiente trattato con oxazepam — principio attivo di molti farmaci ansiolitici, modulatore del recettore GABAA — l’altro in acque non trattate; per dare maggiore rilevanza lo studio è stato replicato sia in un ambiente naturale (un torrente tributario del fiume Ume) sia in un ambiente artificiale di laboratorio. Si è potuto constatare in entrambi i casi che la velocità della migrazione era significativamente incrementata nei salmoni cresciuti nelle acque trattate con il farmaco, per diminuire nel tempo oltre le sessanta ore dall’esposizione, momento nel quale il farmaco si ritiene sia stato in gran parte metabolizzato e quindi non più attivo. L’assimilazione del farmaco ha infatti ridotto la paura dei giovani salmoni di uno e due anni di età usati nell’esperimento ad affrontare il viaggio verso l’ignoto, staccandosi dall’ambiente sicuro e
conosciuto nel quale erano sinora stati allevati. Le conseguenze ecologiche sono di primaria importanza, poiché già studi precedenti avevano dimostrato che acque con contenuti anche modesti di farmaci ansiolitici — gli stessi livelli che sono stati di proposito testati nello studio in oggetto — possono influenzare la migrazione dei pesci, per di più l’incremento previsto nell’uso di farmaci ansiolitici a livello mondiale si stima potrebbe far raddoppiare le attuali concentrazioni nelle acque vicine alle aree urbanizzate. Dal punto di vista economico tale studio consente di avere uno strumento in più negli allevamenti per favorire la migrazione delle popolazioni selvatiche verso il mare, fino al doppio dell’intensità naturale, decisamente più efficace delle tecniche basate sulla variazione del regime dietetico o altre utilizzate sinora con scarsi risultati: se si considera che una bassa intensità di migrazione comporta una accresciuta esposizione ai fattori avversi quali la predazione, la conferma che questa ricerca porta alla possibilità di avere una gestione controllata della migrazione dei salmoni è di notevole importanza. Nota Per maggiori informazioni sull’articolo: • w w w. n a t u r e . c o m / a r t i c l e s / ncomms13460 • HELLSTRÖM G. et al., GABAergic anxiolytic drug in water increases migration behaviour in salmon, Nat. Commun. 7, 13460, Doi: 10.1038/ncomms13460 (2016).
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I ricercatori del Dipartimento di Ecologia e Scienze Ambientali dell’Università di Umeå hanno studiato i salmoni per capire cosa influenza il loro flusso migratorio prendendo in considerazione anche il freno istintivo della paura (photo © Stefan Åberg, www.teknat.umu.se).
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SICUREZZA ALIMENTARE
Richiamo di alimenti non conformi per la tutela dei consumatori di Marco Cappelli
L’Operatore del Settore Alimentare, vale a dire “la persona fisica o giuridica responsabile di garantire il rispetto delle disposizioni della legislazione alimentare nell’impresa alimentare posta sotto il suo controllo” (definizione data dall’art. 3 del Regolamento CE n. 178/2002), ha, tra i numerosi obblighi finalizzati alla garanzia della sicurezza alimentare e alla tutela della salute dei consumatori, quelli relativi alla rintracciabilità e al ritiro dal mercato. Questo finché l’alimento si trova nell’ambito della catena commercia-
le. Grazie alle procedure adottate e alla documentazione commerciale è possibile rintracciare l’alimento, a monte e a valle, procedendo se necessario, in caso di non conformità verificata in autocontrollo da una delle imprese della filiera o durante il controllo ufficiale, al ritiro dal mercato. Importanti indicazioni in merito vengono date dall’Intesa della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome Rep. Atti n. 204/ CSR del 13 novembre 2008, recante “Linee guida per la gestione operati-
va del sistema di allerta per alimenti destinati al consumo umano”, che definisce peraltro il “ritiro dell’alimento: qualsiasi misura volta ad impedire la distribuzione e l’offerta al consumatore di un prodotto non conforme ai requisiti di sicurezza alimentare”. È analoga la definizione di “ritiro del mangime”, in considerazione del fatto che il Reg. 178/2002 accomuna tra loro gli alimenti per uso umano e i mangimi, partendo da un concetto di filiera estesa alle fasi di allevamento finalizzate alla produzione di alimenti di origine ani-
La procedura per il richiamo degli alimenti non conformi emanata dalla DGSAN costituisce uno strumento sia per le autorità competenti sia per gli OSA, utile alla tutela della salute dei consumatori (photo © www.puntarellarossa.it).
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PAVI M E NTI E R IVESTI M E NTI PE R Lâ&#x20AC;&#x2122;I N DUSTR IA ALI M E NTAR E DAL 1962 24043 CARAVAGGIO (BG) ITALY via Leonardo da Vinci, 88 Tel.0363 50449/049 Fax 0363 350714 www.mombrini.it info@mombrini.it
Il Regolamento 178/2002 CE,che istituisce un sistema di allerta rapido per la notifica di un rischio diretto o indiretto per la salute umana,dovuto all’uso di alimenti o mangimi,prevede procedure,non solo per la rintracciabilità ed il ritiro dell’alimento non considerato sicuro,ma anche per il richiamo dello stesso (“recall”),nel caso in cui l’alimento non conforme ai requisiti di sicurezza,così come definiti nell’articolo 14 del Reg.178/2002 CE,sia stato già esitato al consumo.Questo documento integra quanto stabilito dalla linea guida sul sistema d’allerta,approvata in Conferenza Stato-Regioni il 13 novembre 2008.
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male. Il sistema RASFF – Rapid Alert System for Food and Feed, ormai da anni a regime, grazie alla collaborazione tra le imprese del settore alimentare e le autorità competenti (secondo quanto definito dal DLgs n. 193/2007, Ministero della Salute, Regioni e Province autonome, ASL) consente un efficace sistema di ritiro, sebbene persistano problemi di tempestività solo in parte risolvibili: i tempi delle analisi e delle emissioni dei relativi rapporti di prova, quelli di attivazione del sistema di allerta da parte delle autorità competenti e i “tempi di reazione” degli OSA nell’avviare la procedura di ritiro devono essere il più possibile ottimizzati. Comunque, “l’attività di ritiro è a totale carico dell’operatore, che deve dare preventiva comunicazione a tutti i clienti” (Linee guida citate, punto 6), avendo predisposto la necessaria procedura contenente le azioni e la modulistica utili a operare rapidamente e razionalmente. Per maggiore chiarezza si riporta la prima parte del paragrafo 1 dell’art. 19 del Reg. 178/2002 (Obblighi relativi agli alimenti: operatori del settore alimentare): “Se un operatore del settore alimentare ritiene o ha motivo di ritenere che un alimento da lui importato, prodotto, trasformato, lavorato o distribuito non sia conforme ai requisiti di sicurezza degli alimenti, e l'alimento non si trova più sotto il controllo immediato di tale operatore del settore alimentare, esso deve avviare immediatamente procedure per ritirarlo e informarne le autorità competenti”. Il Reg. 178/2002 prevede che “gli operatori del settore alimentare e dei mangimi devono disporre di sistemi e procedure per individuare le imprese alle quali hanno fornito i propri prodotti” e che “le informazioni al riguardo sono messe a disposizione delle autorità competenti che lo richiedano” (art. 18, paragrafo 3). Le Linee guida, tra l’altro, riportano (All. C, in riferimento al punto 9 dell’Intesa CSR) uno schema utile alla redazione dell’elenco clienti, riportante per ciascun acquirente: la ragione sociale, l’indirizzo completo (via, località, comune, provincia, regione, nazione), telefono, e-mail,
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lotto, scadenza/TMC, quantitativo venduto, tipologia delle confezioni, numero delle confezioni, data di consegna, DDT). Tale schema, debitamente compilato, deve essere fornito dall’OSA all’autorità competente territoriale (ASL), che procederà all’attivazione del sistema di allerta nonché alle verifiche e alle necessarie comunicazioni al nodo regionale, intraprendendo eventuali provvedimenti e azioni sostitutive (es. sequestro cautelativo in caso di presenza sul mercato del lotto oggetto di ritiro). Il “richiamo” Nel caso in cui l’alimento non si trovi più nella disponibilità di uno degli OSA della filiera, cioè quando è già stato venduto al dettaglio al consumatore, è necessario procedere al “richiamo”, come stabilito dall’ultima parte del paragrafo 1 dell’art. 19 del Reg. 178/2002: “Se il prodotto può essere arrivato al consumatore, l’operatore informa i consumatori, in maniera efficace e accurata, del motivo del ritiro e, se necessario, richiama i prodotti già forniti ai consumatori quando altre misure siano insufficienti a conseguire un livello elevato di tutela della salute”. La necessità di procedere in tal senso dipenderà da un’adeguata valutazione del rischio. Ricordiamo, peraltro, che nella vendita al dettaglio non è previsto l’obbligo di rintracciabilità a valle, non essendo possibile individuare, in assenza di documenti commerciali quali le fatture o documenti di trasporto, i clienti/consumatori finali che hanno acquistato l’alimento. Esenzione che non vale, tuttavia, per le transazioni commerciali tra un venditore al dettaglio e un’altra impresa del settore alimentare (es. un ristorante): transazioni per le quali vige l’obbligo di rintracciabilità e, in caso di non conformità, quello di ritiro dal mercato. La questione del “richiamo” è oggi meglio specificata dall’Ufficio 8 della Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione del Ministero della Salute con la Circolare prot. n. 0022660-P31/05/2016. In tale documento, per
L’home page del sito governativo: www.nsis.salute.gov.it “richiamo” si intende la “procedura obbligatoria a carico dell’OSA, in conformità a quanto previsto dal citato art. 19 par. 1” del Reg. 178/2002. L’ufficio ministeriale aggiunge in premessa che l’obbligo vige anche per gli operatori economici responsabili della sicurezza di materiali ed oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti (MOCA), di cui al Regolamento (CE) n. 1935/2004, che com’è noto contribuiscono alla sicurezza alimentare fornendo agli OSA materiali (involucri, attrezzature, materiali vari) che non devono cedere agli alimenti sostanze pericolose per la salute. Innanzitutto vengono elencate le indicazioni minime necessarie per una agevole individuazione da parte del consumatore del prodotto oggetto di richiamo: denominazione di vendita, marchio del prodotto, nome o ragione sociale dell’OSA a nome del quale il prodotto è stato commercializzato, lotto di produzione, marchio di identificazione dello stabilimento ove applicabile (è il caso dei prodotti alimentari di origine animale, che riportano sull’etichetta o sull’imballaggio il “bollo CE”), nome del produttore e sede dello stabilimento, data di scadenza o termine minimo di conservazione, descrizione peso/volume dell’unità di vendita, motivo del richiamo (per tale elemento viene richiesta
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una descrizione precisa del pericolo determinante il richiamo del prodotto, non essendo ritenuta sufficiente una indicazione generica come “prodotto non conforme”), istruzioni al consumatore per la gestione del prodotto ed eventuali avvertenze (tra cui le modalità per contattare l’assistenza clienti dell’OSA, es. mediante numero verde o e-mail), la fotografia del prodotto. Modalità operative di richiamo Secondo la Circolare, l’OSA preposto ad attivare il richiamo è il titolare del marchio del prodotto o il distributore/importatore, essendo responsabile primario della sicurezza alimentare; tale soggetto effettua, garantendo requisiti di efficacia ed accuratezza, una comunicazione di richiamo ai consumatori, contenente le informazioni minime già elencate. Le procedure da seguire per la tutela della salute sono definite a seconda che si sia già riscontrato un grave rischio o che sia ancora necessaria una valutazione del rischio, e sono descritte nell’allegato 1, con un richiamo alla citata Intesa CSR del 13 novembre 2008. I casi di “grave rischio per la salute umana” sono elencati in base agli effetti immediati (acuti) e a lungo termine (cronici); per ciascuna di tali categorie di effetti vengono definite le modalità di comunicazione ai cittadini.
Effetti a breve termine Si tratta degli effetti nocivi gravi che si manifestano immediatamente o dopo un breve tempo dall’assunzione, anche su specifiche categorie di popolazione come soggetti allergici, immunodepressi, anziani o donne in gravidanza, come nel caso di: • alimenti contenenti sostanze proibite; • alimenti contenenti residui di pesticidi o loro metaboliti o prodotti della loro degradazione per i quali è superata la dose acuta di riferimento (ARfD) per la sostanza; • alimenti contenenti contaminanti biologici (batteri, virus, funghi, prioni, parassiti o loro metaboliti, tossine fungine, batteriche o algali) oltre i limiti fissati dalla normativa in grado di indurre, con elevata probabilità, malattia nell’uomo; • alimenti preconfezionati contenenti allergeni non dichiarati in etichetta. Modalità di comunicazione: * affissione nei punti vendita interessati, da parte degli OSA (distributori e dettaglianti), di apposita cartellonistica; * comunicazione di richiamo da parte degli OSA (si ritiene limitatamente ai responsabili dell’immissione sul mercato e ai grandi distributori) mediante stampa, ANSA, radio o TV, secondo la distribuzione dell’alimento, e mediante il proprio sito web o social network: in mancanza di queste ultime modalità, mediante comunicato sul portale del Ministero della Salute. Effetti a lungo termine: • probabili effetti tossici cumulativi sui consumatori e sui loro discendenti, come nel caso di alimenti con residui di pesticidi o loro metaboliti o prodotti della loro degradazione per i quali è superata la dose giornaliera accettabile (ADI) pur non essendo fissata una dose acuta di riferimento; • alimenti contenenti sostanze teratogene, genotossiche o can-
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cerogene che superano i limiti fissati o che, in assenza di limiti, superano la dose giornaliera tollerabile (TDI); • alimenti con livello di contaminazione radioattiva da Cs 134 e Cs 137 superiore ai limiti stabiliti dalla normativa comunitaria (Reg. n. 737/1990 modificato dal Reg. n. 616/2000); • organismi geneticamente modificati (in riferimento al Regolamento CE n. 1829/2003); • nuovi alimenti e nuovi ingredienti alimentari non ancora autorizzati all’immissione in commercio (Novel Food o Nuovi Alimenti, Regolamento CE n. 258/1997). Modalità di comunicazione: * Affissione nei punti vendita interessati, da parte degli OSA (distributori e dettaglianti), di un’apposita cartellonistica; * comunicazione di richiamo da parte degli OSA (si ritiene limitatamente ai responsabili dell’immissione sul mercato e ai grandi distributori) mediante il proprio sito web o su social network o, in mancanza, mediante comunicato sul portale del Ministero della Salute. Obblighi del dettagliante Per l’OSA che effettua il commercio al dettaglio si desume, dall’esame della normativa vigente e della Circolare, l’obbligo di collaborare con i propri fornitori (produttori e distributori) e con l’autorità competente al richiamo, affiggendo presso i propri punti vendita i cartelli forniti, comunicando (anche verbalmente) corrette informazioni ai propri clienti. L’OSA deve ovviamente accettare la restituzione delle confezioni di prodotti alimentari oggetto di richiamo, isolandole e identificandole mediante cartelli (es. “Prodotto richiamato. Non in vendita, da restituire al fornitore”) fino al ritiro materiale da parte del fornitore. Si ritiene che i prodotti richiamati possano essere gestiti insieme a quelli ritirati (eliminati dagli scaffali), pur con identificazione separata.
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La consegna al fornitore deve essere tracciata mediante documentazione commerciale (comunemente detta “bolla di reso” o simile). Valutazione scientifica del rischio In caso di necessità di una valutazione scientifica volta ad accertare una eventuale situazione di grave rischio, il riferimento è alle Linee Guida sulla Comunicazione del Rischio dell’EFSA. Una volta valutato un rischio elevato si procede come già descritto. In caso, invece, di rischio sconosciuto, in via precauzionale è prevista l’attivazione delle procedure di ritiro dal mercato e di richiamo; quest’ultima viene effettuata mediante almeno l’affissione della cartellonistica nei punti vendita. Il portale del Ministero della Salute Allo scopo di consentire ai consumatori di accedere tempestivamente alle informazioni, sarà attivato un sistema di pubblicazione dei richiami sul sito web del Ministero della Salute. L’OSA, in caso di richiamo, deve compilare il modello di cui all’allegato 2 della Circolare con tutte le informazioni previste e trasmetterlo alla ASL competente; questa effettua una valutazione di appropriatezza e trasmette il modello alla Regione per la pubblicazione sulla sezione NSIS–Nuovo Sistema Informativo Sanitario del sito del Ministero, oppure, se delegata dalla Regione, provvede direttamente alla pubblicazione, che deve avvenire “tempestivamente o comunque non oltre le 48 ore”. La Regione può anche effettuare la pubblicazione sul proprio sito. L’OSA, in caso di esito favorevole dell’analisi di revisione, potrà predisporre, con la stessa procedura, un comunicato di smentita, da pubblicare sul sito del Ministero della Salute. L’alimento già oggetto di ritiro e di richiamo potrà così essere “riabilitato” e potrà essere cessata l’attuazione delle procedure intraprese. Verifiche da parte dell’ASL Analogamente a quanto previsto per il ritiro dal mercato dalle Linee guida del 13 novembre 2008, l’ASL,
in quanto autorità competente, effettua verifiche sull’effettiva e corretta gestione del richiamo, verificando l’avvenuta comunicazione, la documentazione prodotta dall’OSA, gli alimenti riconsegnati dai consumatori, il ritiro da parte dei fornitori e ogni altro elemento utile. Provvedimenti Qualora l’OSA non adempia all’obbligo del richiamo, l’ASL adotta un provvedimento a tutela della salute pubblica, imponendo all’OSA di effettuare il richiamo; inoltre, contesta allo stesso OSA la violazione amministrativa delle disposizioni dell’art. 19 del Reg. n. 178/2002, sanzionata dall’art. 4 del DLgs n. 190/2006 (sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 12.000 euro, con possibilità di pagamento in misura ridotta della somma di 4.000 euro per l’estinzione del procedimento). Se l’OSA non provvede entro 24 ore dal provvedimento ad attivare il richiamo, l’ASL subentra con attività sostitutiva, effettuando direttamente il richiamo e addebitando le spese all’OSA; inoltre, le ASL “valutano l’eventuale informativa all’autorità giudiziaria”. A tal fine, si ritiene corretto indicare preventivamente sul provvedimento impositivo del richiamo, da notificare all’OSA con le modalità previste per la notificazione degli atti amministrativi e giudiziari, che l’inottemperanza comporterà la violazione dell’art. 650 del Codice Penale (“Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità. Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro 206”). Avvisi di sicurezza La Circolare introduce la definizione di “avviso di sicurezza: forma di comunicazione diversa rispetto al richiamo dell’OSA, utilizzata dal Ministero della Salute recante informazioni basate su fonti uffi ciali, divulgata a scopo precauzionale e a fini di tutela della salute pubblica
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….. diramato sotto forma di pagina web e/o di comunicato stampa”. Ma già le Linee guida del 2008 citate, nel punto 7 (Competenze della Regione – Nodo regionale) e nel punto 8 (Competenze del punto di contatto nazionale), prevedevano la possibilità per gli stessi nodi regionali e nazionale, in caso di particolari rischi sanitari (e quindi in presenza di situazioni di pericolo per la salute), di effettuare comunicazioni ai cittadini, tramite i mezzi di informazione a diffusione, rispettivamente, regionale o nazionale. Un avviso di sicurezza non esime comunque dall’attivare la procedura di richiamo l’OSA, che mantiene i suoi obblighi. La prerogativa di predisporre tali avvisi, in via sussidiaria, per effettuare una corretta informazione dei cittadini, viene riservata al Ministero della Salute “in caso di malattia a trasmissione alimentare ove sia stata accertata la correlazione almeno epidemiologica con un alimento”, nei casi di crisi ed emergenze o in attesa di individuare gli OSA distributori di prodotti extra-nazionali a rischio. Le “fonti ufficiali” Le “fonti ufficiali”, vale a dire i soggetti che forniscono al Ministero della Salute le informazioni utili alla predisposizione degli avvisi di sicu-
rezza, sono elencate nella Circolare: • i sistemi informativi quali RASFF – Rapid Alert System for Food and Feed (Sistema rapido di allerta per alimenti e mangimi), EWRS – European Weed Research Society (Società Europea di Ricerca sulle Erbe infestanti), INFOSAN – International Food Safety Authorities Network (presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità); • autorità quali le Regioni e le ASL (che, ricordiamo, sono individuate come autorità competenti per la sicurezza alimentare), ma anche il Comando Carabinieri per la tutela della salute (NAS) e l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco). La Circolare, inoltre, elenca altri soggetti che possono essere fonte di informazioni: • forze di Polizia e Istituzioni partecipanti a vario titolo al Piano Nazionale Integrato dei controlli; • laboratori ufficiali (Istituto Superiore di Sanità, Istituti Zooprofilattici Sperimentali, ARPA, laboratori di prevenzione e di Sanità pubblica). Si riterrebbe opportuno che anche le informazioni pervenute dagli OSA mediante il modulo Allegato 2 fossero utilizzate, secondo valuta-
Si rafforza nelle nuove regole il concetto di collaborazione tra tutti i soggetti, con il fine unitario della garanzia della sicurezza alimentare a vantaggio della collettività.
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zione del Ministero, per eventuali avvisi di sicurezza, soprattutto se provenienti da Laboratori che svolgono analisi in autocontrollo accreditati e iscritti agli elenchi regionali ai sensi della Legge n. 88/2009 e delle Linee guida di cui all’Accordo 78/CSR/2010, come più recentemente ribadito dalle Linee guida di cui all’Accordo n. 84/CSR/ del 7 maggio 2015. Conclusioni La procedura per il richiamo degli alimenti non conformi, emanata dalla DGSAN del Ministero della Salute, costituisce uno strumento sia per le autorità competenti sia per gli Operatori del Settore Alimentare, utile alla tutela della salute dei consumatori, integrando la normativa vigente e gli atti amministrativi disponibili (Linee Guida CSR) per aspetti precedentemente non dettagliati. Si rafforza nelle nuove regole il concetto di collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti, sia nelle imprese alimentari che nelle autorità sanitarie e organi di controllo, con il fine unitario della garanzia della sicurezza alimentare a vantaggio della collettività. È particolarmente importante il concetto di “trasparenza” nella comunicazione, dovendo essere evitati messaggi generici che non indicano con chiarezza la causa del richiamo dei prodotti. A tal fine tutti gli OSA devono superare la tentazione di una comunicazione solo parziale, dettata da un atteggiamento di presunta autodifesa commerciale. Alla trasparenza potrà contribuire la disponibilità sul portale del Ministero dei dati relativi ai prodotti oggetto di “richiamo” e delle eventuali “smentite”. Marco Cappelli Tecnico della Prevenzione ASL n. 5 – La Spezia Riferimenti normativi 1. Reg.(CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GUCE n. L 371
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del 01/02/2002), modificato dal Reg. (CE) n. 1642/2003 (GUCE n. L 245 del 29/09/2003). Intesa della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome Rep. Atti n. 204/CSR del 13 novembre 2008, recante “Linee guida per la gestione operativa del sistema di allerta per alimenti destinati al consumo umano” (GURI n. 287 del 09/12/2008). Decreto legislativo 6 novembre 2007 n. 193, “Attuazione della direttiva 2004/41/CE relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti comunitari nel medesimo settore” (GURI n. 261 del 09/11/2007 – SO n. 228). Circolare del Ministero della Salute, Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli alimenti e la Nutrizione Uff. 8, 0022660-P-31/05/2016. Reg. (CE) n. 1935/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 ottobre 2004 riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari e che abroga le direttive 80/590/CEE e 89/109/CEE (GUUE L 338 del 13/11/2004). Reg. n. 737/1990 del Consiglio, del 22 marzo 1990, relativo alle condizioni di importazione di prodotti agricoli originari dei Paesi Terzi a seguito dell’incidente verificatosi nella centrale nucleare di Chernobyl (GUCE n. L 82 del 29/03/1990). Regolamento (CE) n. 616/2000 del Consiglio, del 20 marzo 2000, che modifica il Regolamento (CEE) n. 737/90 relativo alle condizioni d’importazione di prodotti agricoli originari dei paesi terzi a seguito dell'incidente verificatosi nella centrale nucleare di Chernobyl (GUCE n. L 075 del 24/03/2000). Reg. (CE) n. 1829/2003 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 settembre 2003 relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati (GUUE L 268 18/10/2003). Regolamento (CE) n. 258/1997 del Parlamento Europeo e del
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Consiglio del 27 gennaio 1997 sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari (GUCE L 43 del 14/02/1997). 10. EFSA (2015), “Linee guida per la comunicazione del rischio”, www.efsa.europa.eu/sites/default/files/corporate_publications/files/riskcommguidelines150210it.pdf 11. Decreto legislativo 5 aprile 2006 n. 190, “Disciplina sanzionatoria per le violazioni del regolamento (CE) n. 178/2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel settore della sicurezza alimentare” (GURI n. 118 del 23/05/2006). 12. Regio Decreto 19 ottobre 1930 n. 1398, Codice penale (SOGURDI n. 253 del 28/10/1930) e successive modificazioni. 13. Legge 7 luglio 2009 n. 88, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee, Legge comunitaria 2008 (GURI Serie Generale n. 161 del 14/07/2009 SO n. 110). 14. Accordo ai sensi dell’articolo 40, comma 3, della legge 7 luglio 2009 n. 88, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sul documento relativo alle “Modalità operative di iscrizione, aggiornamento, cancellazione dagli elenchi regionali di laboratori e modalità per l’effettuazione di verifiche ispettive uniformi per la valutazione della conformità dei laboratori”, Rep. Atti n. 78/ CSR del 08/07/2010. 15. Accordo, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, del DLgs 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sul documento recante “Linee guida per il controllo ufficiale dei laboratori che eseguono le analisi nell’ambito dell’autocontrollo delle imprese alimentari”, ai sensi dell’articolo 6, comma 2 dell’Accordo Rep. n. 78/CSR/2010. Rep. Atti n. 84/ CSR del 07/05/2015.
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STORIA E CULTURA
Alla maniera delle anguille di Maurizio Dell’Agnello
Quando ci si trova a scrivere di “storie ittiche”, come spesso mi capita, ci si rende subito conto con chi si ha a che fare a partire dal numero di citazioni di cui è stata oggetto la specie da trattare. Devo dire che mai come per le anguille tale numero è risultato incommensurabile per quantità e qualità, a partire dal film del 1955 La donna del fiume, diretto da MARIO SOLDATI e interpretato da SOPHIA LOREN, nel quale la bella e procace Nives lavora in una fabbrica di anguille marinate nelle valli di Comacchio. Per aiutarmi a parlare di questa specie tra mito, scienza e letteratura, ho chiesto aiuto a DAVID O RTEGA , operatore bibliotecario presso BiblioteCaNova di Firenze, abile e puntuale ricercatore filologico e bibliografo anche per questo straordinario teleosteo.
David, da dove cominciamo? «Dagli antichi Egizi, quando l’anguilla era considerata un animale sacro, quasi un simbolo delle acque fluviali. A dircelo è ERODOTO, logografo greco nato intorno al 484 a.C. ad Alicarnasso, in Asia Minore, che nel secondo libro della sua opera, Le Storie, dedica ampio spazio agli usi e ai costumi del popolo egizio». Naturalmente non possono mancare le citazioni del mondo greco… «Certamente no. Anzi sono proprio i Greci che per primi si interessano al mistero della riproduzione di questo animale. ARISTOTELE, nella sua Historia animalium, la storia degli animali, parla dell’anguilla come di un animale asessuato che si genera spontaneamente nel fango delle foci fluviali. Dell’opera di
Aristotele, pionieristico lavoro di zoologia del IV secolo a.C., conserviamo un meraviglioso manoscritto del XII secolo, presso la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze». Siamo ancora molto lontani dai criteri scientifici… «Qualcosa di più scientifico si ha con i Romani. È PLINIO IL VECCHIO, nel I secolo d.C., nella sua Naturalis historia, pur concorde sulla asessualità dell’anguilla, che propone la teoria dell’autogenerazione, cioè questo pesce avrebbe liberato sulle rocce frammenti di epidermide dai quali sarebbero nati i nuovi esemplari. Questa teoria venne ripresa anche da GIORGIO DI PISIDIA, poeta bizantino del VII secolo d.C., nella sua opera dedicata alla creazione del mondo, l’Hexameron».
The Dream of the Smoked Eel Sandwich (illustrazione di John Broadley © johnbroadley.blogspot.it).
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The Curious Case of the Missing Eel (illustrazione di John Broadley © johnbroadley.blogspot.it). Magari, rispetto alla generazione dal fango, qualche passo avanti si era fatto, avvicinando questo animale alle piante, ma diverse cose rimanevano ancora da scoprire… «Indubbiamente sì, ma c’è da dire che i Romani, essendo grandi consumatori di anguille, ebbero un importante ruolo nella storia di questo animale, perché dettero un significativo impulso all’anguillicoltura nelle Valli di Comacchio. Ma a destare la curiosità nella storia dei rapporti con questo pesce è un personaggio del Medioevo citato da DANTE nella sua Commedia. Si tratta di Martino IV, al secolo Simon de Brion, papa dal 1281 al 1285. Dante colloca la sua figura nella cornice dei golosi del Purgatorio e al canto XXIV leggiamo: “… purga per digiuno l’anguille di Bolsena e la vernaccia”. Era assai nota, infatti, la ghiottoneria del papa, che amava mangiare le anguille del lago di Bolsena annegate nella vernaccia e poi arrostite. La fama del papa ghiotto di anguille attraversò i secoli, al punto che il TOMMASEO nell’Ottocento, commentando il canto dantesco, disse che
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sulla tomba del papa fosse scritto un tale epitaffio: “Gaudent anguillae quod mortuus hic iacet, ille qui, quasi mortae reae, excoriabat eas” (gioiscono le anguille poiché qui giace morto colui che le scorticava come
se fossero colpevoli di morte). Tale racconto ebbe così tanta eco perché l’anguilla nel Medioevo, dato il suo aspetto serpentiforme, rappresentava una leccornia proibita, un simbolo del peccato originale».
L’anguilla L’anguilla, la sirena dei mari freddi che lascia il Baltico per giungere ai nostri mari, ai nostri estuari, ai fiumi che risale in profondo, sotto la piena [avversa, di ramo in ramo e poi di capello in capello, assottigliati, sempre più addentro, sempre più [nel cuore del macigno, filtrando tra gorielli di melma finché un giorno una luce scoccata dai castagni ne accende il guizzo in pozze [d’acquamorta, nei fossi che declinano dai balzi d’Appennino alla Romagna; l’anguilla, torcia, frusta,
freccia d’Amore in terra che solo i nostri botri o i disseccati ruscelli pirenaici riconducono a paradisi di fecondazione; l’anima verde che cerca vita là dove solo morde l’arsura e la desolazione, la scintilla che dice tutto comincia quando tutto pare incarbonirsi, bronco seppellito; l’iride breve, gemella di quella che incastonano i tuoi cigli e fai brillare intatta in mezzo ai figli dell’uomo, immersi nel tuo fango, [puoi tu non crederla sorella? Eugenio Montale – 1948 (da Bufera e altro, 1956)
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L’anguilla spettacolare Se è vero che l’anguilla è un pesce noto a tutti, è altrettanto vero che solo pochi addetti ai lavori ne possono parlare con nozione di causa. Tante sono le cose che ancora dobbiamo apprendere e scoprire su questo animale, tali che a tutt’oggi ce lo avvolgono in un velo di mistero. E le cose sono ancora più misteriose perché ci troviamo di fronte ad un soggetto che, nel corso della sua vita, si presenta sotto forme e spoglie diverse, in grado di compiere migrazioni impossibili da un capo all’altro dell’oceano, di abitare prima acque salate e poi quelle dolci, di superare qualsiasi tipo di ostacolo percorrendo anche tratti sulla terraferma; insomma tutto e il contrario di tutto, e persino l’impossibile, tanto che solo lui sembra in grado di farlo. Date le premesse, con un animale così, non c’è dubbio che il suo incredibile viaggio potrebbe essere degno del migliore romanzo di JULES VERNe. A descrivere lo “spettacolare viaggio” della nostra anguilla ci ha pensato ELISABETTAVENTISETTE che, con il suo libro (Lo spettacolare viaggio dell’anguilla: i suoi misteri e le sue conquiste, Firenze,Arci Pesca Toscana), ha descritto puntualmente i momenti e le tappe di questa avvincente storia. Il volume, realizzato dal Comitato Regionale Toscano di Arcipesca con il contributo della Regione Toscana, non solo evidenzia una ricca documentazione iconografica, costituita da numerosi e dettagliati contributi sulle caratteristiche biologiche della specie, ma si sforza di fornire ampi riferimenti ecologici che riguardano gli ambienti e gli animali che l’anguilla incontra nelle sue migrazioni, con quello spirito che ha caratterizzato altre pubblicazioni di Arcipesca, teso ad allargare lo sguardo all’educazione ambientale e alla sostenibilità dell’attività di pesca da svolgere in maniera responsabile, nell’attento rispetto della natura. Per il linguaggio efficace e particolarmente comunicativo, il volume si presta bene a qualsiasi tipo di lettore che mostri curiosità nei confronti dell’anguilla, ma si indirizza in special modo ai ragazzi, per la sua valenza didascalica e didattica, nell’ottica di informare e formare i pescatori di domani, abituandoli ad un rapporto più equilibrato con l’ambiente e il mestiere di pescatore.
Nel Medioevo la nostra anguilla subisce un vero e proprio processo di demonizzazione. Chissà che certe ritrosie di oggi nei suoi confronti non risalgano proprio ad allora! «Forse sì, ma non c’è dubbio che dal Rinascimento si assistette ad una loro rivalutazione. Il poeta e drammaturgo FRANCESCO BERNI di Lamporecchio, nelle sue Rime del 1522, dedica alcuni versi alle anguille, in cui ne descrive qualità e peculiarità: “Vivace bestia che nell’acqua cresce e vive in terra e in acqua, e in acqua e in terra, entra a sua posta ove la vòle et esce, potrebbesi chiamarla Vinciguerra, ch’ella sguizza per forza e passa via quant’un più con la man la stringe e serra”. O ancora: “Sta nella mota il più del tempo ascosa; onde credon alcun ch’ella si pasca, e non esca così per ogni cosa, com’esce il barbo e com’esce la lasca, et escon bene spesso anch’i ranocchi, e gli altri pesci c’hanno della frasca. Questo perché l’è savia et apre gli occhi, ha gravità di capo e di cervello: sa fai i fatti suoi me’ che gli sciocchi”. Nel XVI secolo, a parlarci di anguillicoltura e di tecnica di pesca è TORQUATO TASSO, che nella sua Gerusalemme liberata scrive: “Come il pesce colà dove impaluda / Né i seni di Comacchio il nostro mare, / Fugge
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da l’onda impetuosa e cruda / Cercando in placide acque dove ripare, / E vien da se stesso ci si richiuda / In palustre prigion, ne può tornare, / Ché quel serraglio è con miracol uso / Sempre a l’entrar aperto e l’uscir chiuso”. In effetti Tasso passò molto tempo della sua vita alla corte degli Este, vicino alle Valli di Comacchio, a tutt’oggi rinomate per la coltura delle anguille. E proprio al tempo del Tasso un maestro cuciniere degli Este, CRISTOFORO DA MESSISBUGO, nella sua opera Banchetti, composizione di vivande e apparecchio generale del 1529, cita due ricette d’anguilla: le pastelle di anguilla e le anguille involte in pasta reale». Pace fatta con le anguille? «Diciamo di sì. Ci si riavvicina a questo pesce con curiosità e proprio verso la fine del XVII secolo si fanno grandi passi avanti dal punto di vista della sua conoscenza biologica. Prima FRANCESCO REDI nega con assoluta certezza la generazione spontanea delle anguille e poi nel 1783 CARLO MONDINI, medico e anatomista, scopre le ovaie dell’anguilla in alcuni esemplari maturi e annuncia la sua scoperta negli Opuscola dell’Accademia delle Scienze e delle Arti di Bologna, su cui scrisse il De anguillae ovaris».
Si riammettono le anguille nel regno animale, quindi… «Sì, anche se in realtà non ne erano mai uscite. Le scoperte successive dell’Ottocento di GIOVAN BATTISTA GRASSI e GIUSEPPE CALANDRUCCIO sulla riproduzione e quelle sulle grandi migrazioni dell’anguilla del danese JOHANNES SCHMIDT del 1928 avrebbero contribuito a far fare un ulteriore passo avanti nelle conoscenze del ciclo biologico della specie, e segnano al momento quanto sappiamo sulla specie e la sua vita». Come possiamo chiudere questa intervista, David? «Direi con la poesia di EUGENIO MONTALE L’anguilla, nella quale il poeta indugia sul percorso avventuroso dell’animale, imitandone il movimento attraverso il ritmo sintattico tortuoso e flessuoso. Poi, passando per emblema di amore ed eros, simbolo di istinto di conservazione e di riproduzione, l’anguilla diventa immagine della donna, assimilata al pesce per il suo miracoloso potere rigenerativo, un istinto biologico che la porta a modellare la vita nel fango di un mondo violento, come l’anguilla è capace di sopravvivere tra “gorielli di melma”». Maurizio Dell’Agnello
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LIBRI
La qualità si fa strada Questo libro mira a far emergere le potenzialità di un settore, quello dello street food, che intreccia la propria identità a quella dei luoghi, delle città, del made in Italy È disponibile in formato cartaceo e iBook il nuovo libro sul marketing digitale dello street food italiano scritto da MAURO ROSATI e MIHAELA GAVRILA con la prefazione di ALBERTO MATTIACCI, professore ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Sapienza di Roma nonché presidente Società Italiana Marketing, edito dalla FONDAZIONE QUALIVITA. La qualità si fa strada. Street food – Nuova gastronomia e marketing digitale, propone indicazioni sulle strategie di marketing digitale e alcune linee guida concrete sulla comunicazione on-line veicolata dai social media. Il volume ripercorre l’evoluzione del settore, partendo dal suo debutto nei mainstream media, fino alla sua declinazione secondo le nuove
regole dei media digitali, dando vita al primo manuale di marketing digitale, pensato per gli operatori della gastronomia di strada. La narrazione offre una fotografia del panorama nazionale attraverso numeri, prodotti e storytelling mass mediatico affrontando molti temi specifici. Tra questi il marketing digitale con indicazioni per una strategia efficace con ampio spazio alla comunicazione social attraverso analisi e linee guida per i social network come chiave di successo on-line. Un focus è dedicato all’elemento distintivo dello street food made in Italy: la materia prima di qualità, in particolare ai prodotti agroalimentari certificati DOP e IGP. Chiudono il racconto le storie di successo made in Italy: attraverso il racconto e l’analisi dei migliori street
chef e delle best practice nazionali che hanno cavalcato con successo l’onda del marketing e della comunicazione digitale di settore. Per Alberto Mattiacci, «questo libro è un viaggio culturale e sensoriale che svolge un pioneristico scouting della qualità agroalimentare nazionale. Da anni è in corso una trasformazione nel food: sono cambiati il lessico, il “palato”, la geografia e la sua morfologia economica, ed è arrivata la rete, con la globalizzazione tecnologica. Noi cerchiamo regole e modelli che, analizzando le best practice, cercano di capire se funzioneranno nel futuro. Resta la certezza che il panorama dell’alimentare odierno appare del tutto irriconoscibile, agli occhi di un ipotetico osservatore del passato».
Lo street food in Italia è sinonimo di prodotto di qualità: molti sono quelli certificati Dop e Igp (photo © 8 magdal3na, Fotolia).
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MAURO ROSATI – MIHAELA GAVRILA La qualità si fa strada – Street food Nuova gastronomia e marketing digitale Edizioni Qualivita 197 pp. – € 20,00
Secondo CARLO ALBERTO PRATESI, professore di Economia e Gestione delle Imprese, Università Roma Tre, «rinnovata passione per gli aspetti esperienziali e identitari del cibo; rilancio delle metropoli come luoghi di contaminazione creativa; auto-imprenditorialità (anche come risposta alla crisi); maggiore consapevolezza del valore della diversità biologica e culturale: sono questi i quattro trend che fanno dello street food quel piccolo “rinascimento” alimentare che ci accompagnerà per i prossimi decenni». «Abbiamo cercato di guardare il fenomeno del cibo di strada al di là degli aspetti puramente gastronomici, allargando la nostra ricerca al settore del marketing e a quello della qualità con l’obiettivo di tracciare una prima ricognizione sullo sviluppo di questa nascente attività economica» dichiara uno degli auto-
ri, Mauro Rosati. «Business family, sostenibilità, storytelling, creatività, tradizione e socializzazione sono alcune delle parole chiave riconducibili a questo clamoroso boom di attività street food nel nostro Paese». «C’è un’Italia che cambia e che a fronte delle difficoltà reagisce con la creatività — conclude Mihaela Gavrila — non a caso questo libro mira a far emergere le potenzialità di un settore come quello dello street food, che intreccia la propria identità a quella dei luoghi, delle città, del made in Italy. I casi di successo riportati e la mappa delle opportunità fornita dal libro dimostrano che le tecnologie digitali costituiscono alleati strategici per amplificare la voce di soggetti come i locali di street food, altrimenti destinati a rimanere invisibili o comunque meno noti dei loro competitor della ristorazione tradizionale».
Gasteropodi e bivalvi marini dei mercati europei Questo libro è il secondo di una collana di cinque volumi intitolata Gasteropodi e bivalvi marini dei mercati europei. Il primo (Gasteropodi), pubblicato nel 2015, è stato dedicato ai gasteropodi, mentre in questo e nei successivi sono trattate le famiglie di bivalvi di interesse commerciale: volume 3 (Pectinidae e Ostreidae); volume 4 (Veneridae) e volume 5 (Altre famiglie). Questo volume è dedicato interamente a tre famiglie: Arcidae, Glycymerididae e Mytilidae. Nel capitolo introduttivo, dopo una breve descrizione dei caratteri generali della classe Bivalvia, sono trattati l’importanza per l’uomo e il ruolo ecologico; mentre la biologia delle famiglie in oggetto è l’argomento del capitolo 2. Segue la rassegna delle singole specie in ordine sistematico, preceduta da una parte introduttiva per definire
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le caratteristiche generali della famiglia di appartenenza. Per ciascuna specie è fornita una dettagliata descrizione morfologica, non solo della conchiglia, ma anche delle carni, la distribuzione geografica, l’habitat, gli aspetti bio-ecologici, il valore economico e i metodi di produzione. Il lavoro è corredato di tavole, immagini, disegni a colori e da un’ampia bibliografia citata nel testo. Per info: amministrazione@ istitutodelta.it
EDOARDO TUROLLA – Gasteropodi e bivalvi marini dei mercati europei Volume 2 (Arcidae, Glycymerididae e Mytilidae) Tipografia Giari, novembre 2016 152 pp. – € 20,00
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