Il Pesce 5-2018

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IL PESCE DALLA PRODUZIONE AL CONSUMO

PERIODICO DEDICATO ALLE PRODUZIONI ITTICHE NAZIONALI ED ESTERE, ALLE TECNOLOGIE E ALLE ATTREZZATURE PER LA PESCA E L’ACQUACOLTURA – € 6,67

N. 5/2018



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Anno XXXV N. 5 • Ottobre 2018

IL PESCE «Da’ un pesce a un uomo ed egli avrà un pasto; insegnagli ad allevarlo e avrà il nutrimento per tutta la vita»

Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl

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Direzione – Redazione Amministrazione Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.ilpesce-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 741 del 30-12-1983

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Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi

Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Consulenti scientifici Dr. Gaetano Arcarese – Prof. Giorgio Giorgetti Dr. Lucia Liddo – Dr. Francesco Paesanti – Prof. Remigio Rossi Dr. Marco Saroglia – Dr. Aldo Tasselli Collaboratori scientifici Prof. Corrado Barberis – Dr. Alessandro De Maddalena Dr. Maurizio Dell’Agnello – Prof. Fabrizio Ferrari – Dr. Claudio Ghittino Dr. Gianluigi Negroni – Dr. Paola Pierelli – Prof. Guido Razzoli Dr. Antonio Trincanato Collaboratori scientifici esteri Prof. R. Billard (Francia) – Dr. S. Sarig (Israele) Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CC 2018. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2018.

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IL PESCE

Anno XXXV N. 5 • Ottobre 2018

In questo numero: Agenda

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Il pesce nel mondo

18

Immagini

20

Tendenze

22

Legislazione

Indicazioni ministeriali per l’applicazione delle sanzioni sull’etichettatura degli alimenti

Marco Cappelli

26

Marchio di identificazione per i prodotti della pesca

Marco Cappelli

32

Il pesce in rete

Social fish

Elena Benedetti

40

Acquacoltura

La mappa genetica dell’orata So Fish So Good

42 Maurizio Dell’Agnello 46

Pesca

Dalla UE in arrivo 3,3 milioni di euro per i pescatori dell’Alto Adriatico

50

Aziende

Verrini, 70 anni di passione per il mare

54 58

Da Aller Aqua mangimi specifici per le larve e gli avannotti di pesce Chiocciole in Franciacorta

Riccardo Lagorio

60

A pagina 50.

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Indagini

Italiani seafood lovers, ma attenti alla sostenibilità

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Analisi di settore

A gonfie vele i consumi di alimenti surgelati nel 2017 in Italia: si sfiorano i 14 kg pro capite

Mercati

Pesce, un interscambio da 1,3 miliardi per la Lombardia

Comunicazione

Tipico vendesi

Consumi

API: nel periodo estivo il consumo di pesce è aumentato

Il pesce in tavola

Pesce persico… aspettaci che arriviamo!

Giorgia Fieni

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Sapore di mare

Brodetto marchigiano: i magnifici quattro

Nunzia Manicardi

84

Roberto Villa

68

72 Sebastiano Corona

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I piatti di pesce di Gregori Nalon

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Convegni

Pesce azzurro: alte potenzialità nutrizionali e freschezza garantita tutto l’anno

Rassegne

Terra Madre Salone del Gusto edizione 2018, il futuro è donna Prende forma la terza edizione di AquaFarm

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Gaia Borghi

94 100

A pagina 40.

IL PESCE DALLA PRODUZIONE AL CONSUMO

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N. 5/2018

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Week-end

Sapori d’autunno a Tokyo: sanma e funghi matsutake

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La pagina scientifica

Identificazione di specie di molluschi bivalvi mediante pirosequenziamento

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Antibiotici nei prodotti alimentari: come l’acquacoltura si orienta verso l’antibiotic free

Marco Saroglia Genciana Terova

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Sicurezza alimentare

Le frodi alimentari dei prodotti ittici

Luciano Boffo Giuseppe Arcangeli

128

Statistiche

La raccolta dati sulle materie prime nel settore della trasformazione dei prodotti ittici in Italia

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Tecnologie

Eccellenza italiana nell’igiene

146

Libri

Braciami ancora, la tribù del barbecue

148

A pagina 84.

A pagina 54. A pagina 68.

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AGENDA Comacchio (FE) L’identità delle valli di Comacchio (FE) vive nella manifattura dell’anguilla, celebrata nei suoi variegati gusti dal 28 settembre al 14 ottobre attraverso la 20a edizione della Sagra dell’Anguilla. Per tre weekend la splendida città sull’acqua di Comacchio diventa scenario di piatti tipici, ricette antiche e pietanze innovative, tra fumanti stand e tanti eventi collaterali. Si può partecipare a dimostrazioni di cattura dell’anguilla, ad escursioni in barca tra gli scenari del Delta del Po, cacce al tesoro, e poi vivere l’esperienza di guidare le batane, le imbarcazioni tipiche, e immergersi tra spettacoli, musica jazz, teatro e letteratura. Tantissime le iniziative per scoprire il territorio, il percorso museale all’aperto tra gli antichi casoni delle valli e la Manifattura dei Marinati, che racconta la memoria della lavorazione dell’anguilla, oggi presidio Slow Food, un tempo cuore dell’economia e dell’artigianato della gente di Comacchio. Con Visit Ferrara, un’offerta speciale da prenotare direttamente su www.visitferrara.eu. La proposta di due giorni “Sagra dell’anguilla di Comacchio da non perdere!” comprende una notte in hotel con colazione, la visita guidata di Ferrara, una degustazione di vini e prodotti tipici in azienda agrituristica a Comacchio, un pranzo agli stand della Sagra dell’Anguilla, un Comacchio Museum Pass per l’ingresso ai musei di Comacchio e un’escursione in motonave nelle valli di Comacchio. Prezzo a partire da 145 euro a persona. Per soggiornare una notte in più il supplemento è di 50 euro per persona (in foto, uno scatto nelle valli di Comacchio; photo © Consorzio Visit Ferrara). www.visitferrara.eu

Vigo (Spagna) Anche quest’anno torna a Vigo Conxemar, la manifestazione fieristica dedicata agli operatori e buyer dell’industria ittica che dal 2 al 4 ottobre si incontreranno all’IFEVI presso l’avenida do Aeroporto. Su una superficie di quasi 32.000 m2, grossisti, distributori, importatori, esportatori e addetti del settore parteciperanno a questa fiera B2B. Segnaliamo che sul sito web della fiera è presente un catalogo on-line delle specie ittiche commerciali, con la traduzione del nome in sei lingue straniere e l’indicazione delle zone di pesca (conxemar.com/en/especies-comerciales-pesca) (photo © undercurrentnews.com). conxemar.com

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Umago, Cittanova, Verteneglio e Buie (Croazia) L’Istria nord-occidentale e le sue perle, Umago, Cittanova, Verteneglio e Buie, conquistano immediatamente con gusti e profumi, luoghi inaspettati e eventi enogastronomici. Chi si troverà da queste parti durante l’autunno non dovrà perdere l’occasione di assaggiare la sogliola istriana. Torna infatti dal 12 ottobre al 18 novembre l’appuntamento con le Giornate della sogliola. Anno dopo anno le Giornate della sogliola sono diventate uno dei simboli della cucina e della tradizione istriana. Anche quest’anno, tra ottobre e novembre, locali, ristoranti e trattorie della zona proporranno menu a tema con piatti a base di švoj, come viene chiamata la sogliola, uno dei pesci più apprezzati dell’Adriatico (in foto uno scorcio della costa croata; photo © corradobarattaphotos – stock.adobe.com). www.coloursofistria.com

Corfù (Grecia) L’edizione europea della OMC-Offshore Mariculture Conferences del 2018 si svolgerà Corfù, in Grecia, sotto il nuovo nome di High Energy Mariculture Europe dal 17 al 19 ottobre. La conferenza si è tenuta l’ultima volta in Europa nel 2016, a Barcellona, in Spagna, ed era incentrata sulle sfide e le opportunità per trasferirsi in siti ad alta energia o offshore. Corfù è stata scelta per ospitare la prima “Conferenza sulla maricoltura ad alta energia” poiché il 69% della produzione ittica greca proviene dalla maricoltura, in rappresentanza dell’11% del totale delle esportazioni agricole. Considerando che la FAO stima che il consumo di pesce aumenterà fino al 15% entro il 2030, queste sono percentuali destinate a salire nei prossimi anni. Dei 1.045 impianti di acquacoltura in Grecia, il 36% è costituito da allevamenti ittici marini, il che significa che la conferenza è un’eccellente opportunità per fornitori di attrezzature e servizi, dirigenti, investitori nel settore dell’acquacoltura, operatori all’interno della catena di trasformazione, ecc… di rapportarsi e creare relazioni commerciali interessanti con gli imprenditori del Paese. conferences@offshoremarulture.com

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Roma Assoittica Italia – Associazione Nazionale delle Aziende Ittiche, costituita il 28 maggio 1986, riunisce attualmente circa 100 aziende operanti, in tutto o in parte, nel settore ittico. Le aziende associate generano circa 5 miliardi di fatturato e assicurano lavoro ad oltre 3.000 dipendenti. L’associazione è impegnata ad assicurare la corretta informazione e assistenza alle aziende associate e, contestualmente, ad incentivare lo “spirito di filiera” indispensabile per garantire, a livello nazionale e internazionale, lo sviluppo del comparto. Nell’ottica di assicurare, alle aziende del comparto ittico, il confronto diretto, l’analisi di specifiche questioni, la programmazione di interventi mirati e la creazione di un dialogo costante tra tutti gli attori della filiera ittica, l’associazione ha predisposto la prima convention di Assoittica Italia: “La filiera ittica italiana s’incontra. Sostenibilità, Qualità, Accessibilità: le sfide dell’industria ittica italiana”, che si terrà a Roma sabato 27 ottobre. L’organizzazione dell’evento prevede l’intervento delle istituzioni coinvolte lungo la filiera ittica e la partecipazione delle autorità competenti deputate al controllo ufficiale. Al termine della prima sessione (ore 12.30) è previsto un long light lunch, durante il quale i partecipanti avranno modo di intrattenersi tra loro e con i relatori sulle tematiche d’interesse, per approfondire aspetti commerciali, politiche economiche, analisi di mercato e collaborazioni. Nel corso della seconda sessione, che terminerà alle ore 16:00, saranno predisposti appositi spazi atti sia allo scambio di informazioni sia alla degustazione di finger foods e altri alimenti preparati dai ragazzi dell’IPSSAR Tor Carbone di Roma mediante impiego di prodotti ittici forniti dalle aziende aderenti. www.assoittica.it

Consorzio di tutela delle Trote del Trentino Igp e del Salmerino del Trentino Igp, prezzi relativi all’annata 2018-2019 Nella riunione tenutasi lo scorso 29 agosto, presenti i responsabili delle aziende produttrici di uova, sono stati stabiliti i prezzi relativi all’annata 2018/2019 che vi riportiamo in tabella.

Prezzi €/1.000 uova – 2017/2018 settembre – novembre

13,80

dicembre – marzo

13,50

aprile – giugno

13,80

sterili

+6,00

10,00

18,50

Uova Salmerino Alpino

22,50

Uova Salmerino di Fonte

13,50

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17,50

Uova Iridea

Uova Fario

14

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A Bologna, il 28 e 29 novembre, SG Marketing lancia il corso specialistico “Applicare il Category Management ai freschissimi. Organizzazione, gestione e valorizzazione delle categorie nei reparti ortofrutta, carne e ittico” Una visione evoluta del category management non può più avere come focus solo il “largo consumo” e i suoi scaffali ricchi di scatolame, nelle più svariate forme e dimensioni, ormai tutte presidiate e ben orchestrate. La gestione strategica degli spazi deve, e può, oggi, essere allargata anche ai freschissimi e a tutti i suoi comparti chiave, per arrivare a ottimizzare il punto di vendita e migliorare l’experience del consumatore finale. Per rispondere alle necessità di maggior governo e valorizzazione degli spazi dell’intero punto di vendita, SG Marketing, società di consulenza leader in Italia nella valorizzazione dei prodotti alimentari freschissimi, ha ideato il corso specialistico “Applicare il Category Management ai freschissimi. Organizzazione, gestione e valorizzazione delle categorie nei reparti ortofrutta, carne e ittico”. L’appuntamento si terrà il 28 e 29 novembre, dalle 9:00 alle 18:00, presso l’Hotel de la Gare a Bologna (piazza XX settembre, 2). Il corso, che intende supportare la collaborazione fattiva tra produzione e distribuzione, si rivolge ai professionisti di entrambe le realtà: responsabili marketing e qualità, responsabili commerciali, category manager, direzione acquisti, direzione vendite, responsabili canali, product specialist. L’incontro rappresenta il primo corso specialistico dedicato specificamente ai freschissimi ed è frutto di 25 anni di esperienza che SG Marketing può vantare nel settore: i suoi consulenti hanno adattato il classico modello di category management rivolto al “largo consumo” e lo hanno declinato per i comparti ortofrutta, carne, pesce, e le relative specificità. Il modello, sostenuto da una completa base teorica, prevede già una concreta implementazione, come verrà spiegato durante la giornata. Proprio per esplorare le possibilità del category applicate ai freschissimi, il corso prevede una sessione live di space allocation nella quale un esperto, utilizzando un software di gestione degli spazi, mostrerà ai presenti come intervenire sul planogramma, all’insegna dell’efficacia e dell’efficienza, per una maggior qualità espositiva (e una conseguente migliore vendibilità delle referenze). Testimonianze qualificate di professionisti del settore completeranno i contenuti della giornata, per supportare la concretezza e l’operatività e consegnare ai presenti strumenti di valore da poter subito adottare nelle proprie strategie. • •

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Info: www.sgmarketing.it Iscrizioni: www.sgmarketing.it/it/corsi/applicare-category-management-freschissimi#iscrizione

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IL PESCE NEL MONDO

Francia-UK-Italia Nella “guerra delle capesante” tra Francia e Gran Bretagna ci sono in gioco esportazioni verso l’Italia il cui valore, solo nell’ultimo anno, è stato pari a circa 27 milioni di euro: il nostro Paese è infatti un forte consumatore del pregiato mollusco proveniente per quasi ¾ dai due Paesi europei “belligeranti”. Lo afferma IMPRESAPESCA COLDIRETTI in riferimento alla battaglia navale avvenuta nel canale della Manica tra pescatori normanni e britannici per i diritti alla pesca. Alla base di una rivalità che va avanti ormai da una quindicina di anni, ci sono regolamenti differenti a livello nazionale che creano forti disparità nelle attività di recupero delle capesante: mentre i pescatori inglesi non hanno particolari restrizioni, infatti, i colleghi normanni possono operare solamente tra il primo ottobre e il 15 maggio. Lo squilibrio è inoltre accentuato dalle rispettive flotte: dalle coste della Normandia partono circa 300 navi che effettuano quella che può essere considerata come una “pesca artigianale”; i britannici, invece, adottano un metodo industriale, grazie ad un equipaggio più grande che comprende anche navi con celle frigorifere capaci di ospitare un enorme quantitativo di molluschi. Sul mercato italiano la battaglia, ad esempio, è vinta proprio dalla Gran Bretagna, dalla quale arrivano ben oltre la metà delle capesante importate, anche se la Francia è il secondo fornitore. «Nonostante i circa 7.500 chilometri di costa — sottolinea Impresapesca Coldiretti — l’Italia è un forte importatore, con 2 pesci consumati sul territorio nazionale su 3 in realtà importati dall’estero. Una situazione determinata dal fatto che negli ultimi 30 anni la marineria italiana ha perso il 35% delle imbarcazioni e 18.000 posti di lavoro, mentre si è progressivamente ridotto il grado di autoapprovvigionamento del pescato. Si tratta della conseguenza di una disattenzione alla sostenibilità economica nei confronti di un settore che può offrire molto alla ripresa del Paese in termini ambientali, alimentari e occupazionali» (fonte: © World Food Press Agency – Impresapesca Coldiretti).

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IMMAGINI

Quest’estate il pesce è stato protagonista sulle tavole degli Italiani. Pier Antonio Salvador, presidente dell’API, l’Associazione Piscicoltori Italiani, ha voluto ricordare che il pesce d’allevamento italiano è sano e sicuro, come la trota ad esempio. Questa specie ittica è la più allevata in Italia e nel 2017 ha raggiunto le 35.100 tonnellate prodotte. A pagina 80 il servizio di approfondimento (photo © Viktorija – stock.adobe.com).

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TENDENZE Sovrasfruttamento degli stock: finalmente un’inversione di tendenza

Europêche, associazione delle organizzazioni nazionali delle imprese di pesca nell’Unione Europea, ha accolto con favore il messaggio arrivato dalla comunità scientifica per voce del direttore generale della DG MARE, AGUIAR MACHADO, nel suo discorso al Scientific Seminar on Fisheries Science organizzato dalla Commissione europea lo scorso 14 settembre. I dati scientifici presentati per l’Atlantico nordorientale raccontano della drastica riduzione della pressione di pesca che si sta finalmente stabilizzando a livelli sostenibili. Di conseguenza, le scorte sovrasfruttate sono diminuite del 43% nell’ultimo decennio e la percentuale di scorte al di fuori limiti biologici di sicurezza nello stesso periodo è diminuita di oltre la metà. Le popolazioni ittiche sono tutte generalmente in trend di crescita e nel 2016 hanno raggiunto livelli di biomassa superiori del 39% rispetto al 2003 (fonte: Europêche, europeche.chil.me).

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LEGISLAZIONE

Indicazioni ministeriali per l’applicazione delle sanzioni sull’etichettatura degli alimenti di Marco Cappelli

In un precedente articolo (Nuove sanzioni per le violazioni in materia di etichettatura degli alimenti, in EUROCARNI n. 7/2018, 20-31 pp.) è stato trattato il contenuto del Decreto Legislativo 15 dicembre 2017, n. 231, pubblicato sulla GU n. 329 dell’8 febbraio 2018, che ha introdotto le nuove sanzioni amministrative pecuniarie per le violazioni delle disposizioni previste dal Regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai

consumatori (etichettatura) in vigore dallo scorso 9 maggio. Gli importi relativi alle sanzioni sono stati definiti secondo la Legge n. 689/1981, la quale, delineando il procedimento sanzionatorio amministrativo, stabilisce la possibilità per il trasgressore e per gli obbligati in solido di chiudere il procedimento pagando la somma più favorevole tra la terza parte del massimo e il doppio del minimo della sanzione edittale. Dopo la redazione dell’articolo, la Circolare prot. n.

0391 dell’8 maggio 2018, del Dipartimento dell’Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ha puntualizzato alcuni aspetti. Autorità competente Il DLgs n. 231/2017 ha individuato, quale autorità competente all’irrogazione delle sanzioni (emissione del provvedimento esecutivo dell’ordi-

Banco al mercato del pesce di Venezia (photo © Solarisys – stock.adobe.com).

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zioni amministrative pecuniarie per la violazione delle disposizioni del Regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, ai sensi del DLg 15 dicembre 2017, n. 231”. Un’ulteriore informazione riguarda le spese di notifica, di procedimento e di analisi, per le quali viene richiamato l’utilizzo del modello F23 (codice tributo 948T). Agli importi, ai sensi dell’art. 1, comma 4, del DL 24 giugno 2014, n. 91 (decreto “Campolibero”), convertito nella Legge 11 agosto 2014, n. 116, è applicabile la riduzione del 30% se il pagamento avviene entro 5 giorni dalla notifica del verbale. Per esempio, nel caso di una violazione per la quale è prevista la sanzione amministrativa pecuniaria da € 5.000 a € 40.000 (è il caso della mancata indicazione degli allergeni), la sanzione in misura ridotta (il doppio del minimo, più favorevole della terza parte del massimo) è pari a € 10.000; se pagata entro 5 giorni, diventa pari a € 7.000.

che dispone, nel caso delle microimprese, la riduzione fino ad un terzo della sanzione amministrativa prevista. Occorre quindi individuare le microimprese: ciò è possibile, richiamando la Raccomandazione 2003/361/CE del 6 maggio 2003, in base al numero di persone occupate (meno di 10) e al fatturato o bilancio totale annuo (non superiore a 2 milioni di euro). Per la determinazione dell’importo in misura ridotta (che il trasgressore può pagare entro 60 giorni chiudendo il procedimento) occorrerà ridurre ad un terzo l’importo edittale, calcolando poi il doppio del minimo e la terza parte del massimo. Per esempio, ancora per la violazione della mancata indicazione degli allergeni, la sanzione da € 5.000 a € 40.000 ridotta ad un terzo diventa da € 1.667 a € 13.333; la sanzione in misura ridotta (il doppio del minimo, più favorevole della terza parte del massimo) diventa pari a € 3.334, che diventano € 2.333 se il pagamento avviene entro 5 giorni. La Circolare raccomanda che gli organi di controllo eseguano, in fase di programmazione dei controlli, una verifica circa l’eventuale appartenenza alla categoria delle “microimprese” dell’impresa che sarà controllata, in modo da poter applicare la prevista riduzione già in fase di contestazione. Sia la verifica preventiva che quella conseguente l’eventuale accertamento di violazioni comportano difficoltà che potrebbero essere rilevanti, almeno allo stato attuale, soprattutto per alcuni organi (per esempio quelli delle Aziende Sanitarie Locali, alle quali il Reg. n. 882/2004 assegna competenza nel controllo ufficiale dell’etichettatura degli alimenti) che non hanno diretto accesso ai dati economici e fiscali e a quelli relativi al personale effettivamente occupato, per i quali la consultazione di dati in possesso di altri enti potrebbe rendere aleatoria ogni contestazione, dovendosi comunque rispettare le tempistiche previste dalla Legge n. 689/1981.

Sanzioni a carico delle “microimprese” La Circolare richiama l’art. 27, comma 3, del DLgs n. 231/2017,

Diffida Per tutte le violazioni per le quali sia prevista l’irrogazione della sola sanzione amministrativa pecuniaria,

Il nuovo sistema sanzionatorio delle violazioni inerenti l’etichettatura e le informazioni ai consumatori sui prodotti alimentari, delineato dall’insieme delle norme contenute nel Regolamento (UE) n. 1169/2011, nel Decreto Legislativo n. 231/2017, nel decreto ”Campolibero” e nella Legge n. 689/1981, appare di non facile applicazione e necessita di approfondimenti e attente valutazioni, coinvolgendo più enti che devono collaborare e operare in forma coordinata (photo © lado2016 – stock.adobe.com). nanza ingiunzione di pagamento o di archiviazione), il Dipartimento dell’ICQRF del MIPAAF. Tale Dipartimento, con la sopra citata circolare, ha precisato che le funzioni relative all’irrogazione delle sanzioni sono state delegate, con Decreto prot. n. 3091 dell’1 marzo 2018, ai Direttori degli Uffici Territoriali delle circoscrizioni di competenza e che i procedimenti sanzionatori inerenti le violazioni commesse fino all’8 maggio 2018 (in vigenza, quindi, della precedente normativa sanzionatoria rappresentata dall’art. 18 del DLgs n. 109/1992), anche se l’accertamento e la contestazione sono avvenuti dopo l’entrata in vigore del Decreto n. 231/2017, restano, fino alla loro conclusione, di competenza delle Regioni e delle Province autonome. Pagamento Per il pagamento delle sanzioni, la circolare ha informato che i trasgressori devono pagare gli importi previsti mediante versamento in tesoreria o bonifico bancario/postale sul capitolo n. 2474, articolo 14, di nuova istituzione, dal titolo “Entrate derivanti dall’irrogazione delle san-

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che vengano accertate per la prima volta a carico di un determinato trasgressore e che consistano in illeciti sanabili con un’opera successiva di regolarizzazione, è applicabile l’istituto della “diffida”, introdotto dal citato decreto “Campolibero”. Si fa presente che la Circolare del Dipartimento ICQRF n. 1148 del 2 luglio 2014, contenente chiarimenti sullo stesso Decreto Legge, esplicitava un ulteriore requisito, quello della “lieve entità” della violazione, presente nel testo originario del DL, riconducendolo alle “violazioni di carattere formale, che non determinano effetti economici di particolare rilevanza sul mercato dei prodotti interessati o che non incidano in modo significativo sulle caratteristiche merceologiche e compositive dei prodotti stessi”. Tale requisito non è stato poi confermato nel testo della Legge di conversione. Occorre precisare che per “violazioni sanabili” si intendono “errori o omissioni formali che comportano una mera operazione di regolarizzazione, ovvero violazioni le cui conseguenze dannose o pericolose sono eliminabili” (vedasi a tal proposito il testo dello stesso DL n. 91/2014). Solo dopo lo scadere del termine della diffida (20 giorni) senza l’avvenuta regolarizzazione, l’organo di controllo procederà alla contestazione della violazione secondo l’art. 14 della Legge n. 689/1981. In tal caso non sarà applicabile l’ipotesi di pagamento della sanzione in misura ridotta (sarà quindi l’autorità competente a definire la somma da pagare mediante ordinanza ingiunzione dopo aver ricevuto il verbale dall’organo accertatore): il trasgressore ha già avuto la possibilità di non essere sanzionato e non gli viene riconosciuta l’ulteriore possibilità di pagare in misura ridotta. Non tutte le violazioni delle norme comprese nel Reg. (UE) n. 1169/2011, sanzionate dal DLgs n. 231/2017, sono “sanabili” o hanno conseguenze dannose o pericolose eliminabili. Per proseguire nell’esempio già citato, la mancata indicazione degli allergeni contenuti in un prodotto alimentare può essere sanabile solamente per gli alimenti

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posti in vendita ma non ancora venduti, mentre non lo è per gli alimenti già venduti o somministrati. Infatti il testo definitivo della conversione in legge del decreto “Campolibero” non ha confermato l’applicabilità della diffida “anche ai prodotti posti in vendita al consumatore finale”: ma la Circolare n. 1377/2014 non esclude l’applicazione anche in questa circostanza in presenza dei requisiti richiesti (prima violazione, sanabilità). La valutazione deve essere effettuata caso per caso. Tuttavia, in linea di massima, quando il prodotto è già stato venduto al consumatore finale, “si procederà alla contestazione della violazione con le modalità consuete, operando il sequestro amministrativo del prodotto ancora presente” (Circolare n. 1148/2014, richiamata dalla Circolare n. 1377/2014). Il sequestro amministrativo non può che essere quello previsto dalla Legge n. 689/1981, da operare nell’ambito del procedimento sanzionatorio. Nei casi in cui invece sia applicabile la diffida, è previsto un termine di 20 giorni, entro il quale l’interessato deve adempiere eliminando le conseguenze dannose o pericolose della violazione: per esempio, etichettando o rietichettando un prodotto alimentare, non ancora venduto al consumatore finale, applicando un’etichetta in regola con il Reg. (UE) n. 1169/2011. Si ritiene che, nell’attesa della regolarizzazione dell’etichettatura degli alimenti entro i 20 giorni previsti dalla diffida, debba essere sospesa la commercializzazione degli alimenti stessi e che debba essere individuato il più idoneo strumento giuridico per

poter procedere. Lo strumento più idoneamente applicabile potrebbe essere, anche in questo caso, il sequestro amministrativo cautelare previsto dalla Legge n. 689/1981, pur non trovandoci ancora nell’ambito di un procedimento sanzionatorio bensì di un procedimento propedeutico ad esso, comunque già in presenza di violazione amministrativa. Il sequestro amministrativo cautelativo, di cui al DPR n. 327/1980, non appare applicabile, non trattandosi di alimenti per i quali siano in corso accertamenti analitici, così come il “blocco ufficiale” riservato dal Reg. n. 882/2004 ai prodotti alimentari in fase di importazione (e applicabile solo dalle autorità competenti nell’ambito del controllo ufficiale per la sicurezza alimentare). La Circolare n. 0391/2018 riporta, nelle note, il link della pagina web www.politicheagricole.it/flex/cm/ pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/7926, ove è possibile trovare i modelli per atti e verbali di diffida. Non sanzionabilità Occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 27, commi 4 e 5, del DLgs n. 231/2017, esistono due casi di non sanzionabilità, evidenziati anche dalla Circolare n. 0391/2018. Il primo caso è quello degli alimenti forniti ad organizzazioni senza scopo di lucro per la successiva cessione a persone indigenti (possono qui rientrare molte attività di raccolta e distribuzione contro lo spreco alimentare), purché le irregolarità di etichettatura non riguardino la data di scadenza o gli allergeni. Il secondo caso riguarda gli alimenti immessi sul mercato che, sebbene aventi etichettatura non conforme, siano

Gli organi di controllo sono chiamati a garantire gli obiettivi del Regolamento, a tutela dei consumatori e della correttezza e trasparenza delle transazioni commerciali, nel rispetto delle garanzie nei confronti dei responsabili delle informazioni e degli operatori del settore alimentare, soprattutto delle “microimprese

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accompagnati da un’adeguata rettifica scritta. Tale rettifica, di fatto, regolarizza l’etichettatura, purché sia “adeguata”. Si ritiene che l’adeguatezza dovrebbe consistere nella presenza (dopo la rettifica) di tutte le informazioni obbligatorie necessarie, nell’assenza di confusione tra le informazioni non conformi e quelle costituenti rettifica, nella chiarezza anche grafica delle informazioni. Conclusioni Il nuovo sistema sanzionatorio delle violazioni inerenti l’etichettatura e le informazioni ai consumatori sui prodotti alimentari, delineato dal coacervo delle norme contenute nel Reg. (UE) n. 1169/2011, nel DLgs n. 231/2017, nel decreto “Campolibero” (DL n. 91/2014 – Legge di conversione n. 116/ 2014) e nella Legge n. 689/1981, appare di non facile applicazione e necessita di approfondimenti e attente valutazioni, coinvolgendo più enti che devono collaborare e operare in forma coordinata. Le Circolari del Dipartimento dell’ICQRF del MIPAAF, in ultimo la n. 0391/2018, forniscono importanti chiarimenti e indicazioni agli organi di controllo. Questi sono chiamati a garantire gli obiettivi del regolamento, a tutela dei consumatori e della correttezza e trasparenza delle transazioni commerciali, nel rispetto delle garanzie nei confronti dei responsabili delle informazioni e degli operatori del settore alimentare, soprattutto delle “microimprese”, alle quali viene riservato il particolare regime di riduzione delle sanzioni. L’istituto della “diffida”, già previsto dal decreto “Campolibero”, nei casi di applicabilità dà la possibilità a tutti gli OSA di sanare le violazioni senza incorrere nelle sanzioni previste, comportando un impegno maggiore per gli organi di controllo nella valutazione dei requisiti di applicabilità, nell’emissione dei provvedimenti di diffida e nella successiva verifica dell’eliminazione delle conseguenze della violazione. Marco Cappelli Tecnico della Prevenzione ASL n. 5 “Spezzino” La Spezia

IL PESCE, 5/18


Riferimenti normativi 1. DLgs 15 dicembre 2017, n. 231 – Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del Reg. (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del medesimo Reg. (UE) n. 1169/2011 e della Direttiva 2011/91/UE, ai sensi dell’art. 5 della Legge 12 agosto 2016, n. 170 – Legge di delegazione europea 2015 (GURI Serie Generale n. 32 del 08-02-2018). 2. Reg. (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i Regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la Direttiva 87/250/CEE della Commissione, la D irettiva 90/496/CEE del Consiglio, la Direttiva 1999/10/ CE della Commissione, la Direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le Direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il Reg. (CE) n. 608/2004 della Commissione (GUUE n. L 304 del 22-11-2011). 3. Legge n. 689/1981 del 24-11-1981 – Modifiche al sistema penale (SOGURI n. 329 del 30-11-1981) e successive modificazioni.

4. Circolare prot. n. 0391 dell’8 maggio 2018, del Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari del MIPAAF – DLgs 15 dicembre 2017, n. 231 (…). 5. Decreto prot. n. 3091 dell’1 marzo 2018 del Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari e della Direzione generale per il riconoscimento degli organismi di controllo e certificazione e tutela del consumatore, del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. 6. DLgs n. 109/1992 del 27 gennaio 1992 – Attuazione delle Direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari (SOGURI n. 39 del 17-02-1992) e successive modificazioni. 7. DL n. 91 del 24 giugno 2014 – Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea (GURI n. 144 del 24-06-2014) convertito in legge, con modificazioni,

dall’art. 1, comma 1, della Legge 11 agosto 2014, n. 116 (GURI n. 192 del 20-08-2014, SO n. 72). 8. Raccomandazione 6 maggio 2003, n. 2003/361/CE – Raccomandazione della Commissione relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese (GUUE 20 maggio 2003, n. L 124). 9. Reg. (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali (rettifica in GUUE n. L 191 del 28-05-2004). 10. Circolare prot. n. 1148 del 2 luglio 2014 del Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari del MIPAAF – DL 24 giugno 2014, n. 91, Primi chiarimenti. 11. Circolare prot. n. 1377 del 21 agosto 2014 del Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari, e Forestali – DL 91/2014 “Campolibero”, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 agosto 2014, n. 116 (…), Ulteriori indicazioni operative.

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Marchio di identificazione per i prodotti della pesca di Marco Cappelli

Può essere utile riesaminare il quadro normativo che riguarda il “marchio di identificazione” nel settore dei prodotti della pesca. Si tratta di un aspetto talvolta ritenuto puramente formale o non considerato con la giusta attenzione da parte degli operatori del settore alimentare, soprattutto nel caso di commercializzazione di prodotti sfusi, con conseguenze che possono essere anche rilevanti a livello di sanzioni e altri provvedimenti da parte delle autorità competenti. Il problema viene affrontato in riferimento alla natura dell’obbligo e alla sua utilità, al campo di applicazione, alle corrette modalità di apposizione e alle sanzioni e altri provvedimenti in caso di violazione. Obbligo del “marchio di identificazione”: il contesto normativo L’attuale normativa prevedente il “marchio di identificazione” è costituita dal pacchetto igiene. Il Regolamento n. 882/2004 afferma che gli alimenti devono essere sicuri e sani e che gli OSA, in tutte le fasi, sono responsabili di assicurare il rispetto dei requisiti della normativa aventi rilevanza per la loro attività. Il sistema di controllo ufficiale mira a controllare e verificare il rispetto di tali requisiti. Ma già nel Regolamento 32

(CE) n. 178/2002 veniva affermato il concetto dell’importanza dell’uniformità dei requisiti di sicurezza alimentare per rendere possibile la libera circolazione degli alimenti tra gli Stati Membri. Riconoscimento Il Regolamento (CE) n. 853/2004, rimodulando e semplificando quanto già contenuto nelle direttive “verticali” degli ultimi due decenni del secolo scorso, afferma principi comuni per l’igiene della produzione e della commercializzazione degli alimenti di origine animale, che vanno ad integrare i principi generali previsti dal Regolamento (CE) n. 852/2004. In tale contesto, il Regolamento 853/2004 prevede, come obbligo finalizzato all’immissione sul mercato dei prodotti, il “riconoscimento” degli stabilimenti che trattano alimenti di origine animale, con alcune eccezioni per gli stabilimenti che possono operare in regime di “registrazione” ai sensi dell’art. 6 del Regolamento n. 852/2004: produzione primaria, trasporto, magazzinaggio di prodotti che non richiedono installazioni termicamente controllate, vendita al dettaglio (con le precisazioni ed esenzioni di cui all’art.1, par. 5, lettera b, dello stesso regolamento). Il riconoscimento è un particolare atto autorizzativo, attestante la

rispondenza dello stabilimento ai requisiti previsti dall’Allegato III dello stesso Regolamento 853/2004 (come affermato dall’art. 4, par. 2). È l’autorità competente (art. 4) che deve concedere il riconoscimento “a seguito di un’ispezione in loco”. Il riconoscimento può essere “condizionato”, nei casi in cui venga consentita l’attività per un tempo limitato (tre mesi, in determinate condizioni prorogabile a sei) con l’obbligo di regolarizzare alcuni requisiti che non possono riguardare le infrastrutture e le attrezzature (art. 3 Regolamento 854/2004). Può essere sospeso (in caso di non conformità per cui l’OSA fornisca sufficienti garanzie di risoluzione in un tempo adeguato) o revocato (in caso di gravi e ripetute non conformità). Il marchio di identificazione L’art. 5 del Reg. 853/2004 prevede, per l’immissione sul mercato degli alimenti di origine animale manipolati in stabilimenti soggetti al riconoscimento, la bollatura sanitaria o la marchiatura di identificazione. Mentre il bollo sanitario è previsto unicamente per le carni fresche, il marchio di identificazione riguarda gli altri prodotti, tra cui quelli della pesca. Quanto sopra vale anche per gli alimenti importati nel territorio dell’Unione Europea in quanto IL PESCE, 5/18


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Il pescato locale trasferito per l’immissione sul mercato dall’impresa di pesca a un mercato o a uno stabilimento riconosciuto, prima dell’uscita da quest’ultimo, deve essere dotato del marchio di identificazione del mercato o dello stabilimento, che può dotarsi di cassette con marchio prestampato o di etichette, fascette o targhette (sulle quali, peraltro, dovranno comparire le altre informazioni obbligatorie previste per i prodotti della pesca), opportunamente resistenti e impermeabili, da assicurare a ciascuna cassetta. provenienti da Paesi Terzi: prodotti che vanno a ricadere nel campo di applicazione del Reg. 853/2004 e che vengono commercializzati nel rispetto dei requisiti di cui all’allegato III, a cura dell’importatore comunitario. Per dovere di cronaca storica, si ricordi che già le cosiddette “direttive verticali”, che hanno preceduto il pacchetto igiene, prevedevano il riconoscimento degli stabilimenti e la bollatura con quello che all’epoca era comunemente chiamato “bollo CEE”. Nel caso dei prodotti della pesca, la Direttiva n. 91/493/CEE, recepita in Italia con il Decreto Legislativo n. 531/1992, stabiliva (art. 3, comma 1, lettera f) l’obbligo dell’applicazione del “contrassegno di identificazione”, che aveva le stesse caratteristiche dell’attuale marchio e doveva essere riportato “sulla confezione o, nel caso di prodotti non confezionati, sui documenti di accompagnamento” (capitolo VII dell’allegato). Tra i compiti dei servizi veterinari era compreso l’accertamento della “corretta applicazione dei bolli”. Struttura del “marchio”, metodi di marchiatura e interpretazioni L’allegato II del Reg. 853/2004 prevede che il marchio sia appli-

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cato prima che il prodotto lasci lo stabilimento. Il prodotto, in tutti i suoi passaggi commerciali, resta contraddistinto dal marchio del primo stabilimento che lo ha immesso sul mercato comunitario, fatti salvi i casi di reimballaggio o trasformazione, nei quali viene apposto il marchio dello stabilimento che effettua tali operazioni. Il marchio di identificazione riporta, contenuti in una forma ovale, i seguenti dati: • il nome del Paese (Stato Membro) in cui è ubicato lo stabilimento, indicato per esteso o con il codice ISO a due lettere; • il numero di riconoscimento dello stabilimento; • l’abbreviazione CE (o abbreviazione omologa nelle altre lingue della UE). Nel marchio può figurare un’altra abbreviazione, che segue il numero di riconoscimento, per indicare la tipologia di attività svolta (ad esempio: AH mercato all’ingrosso, FV nave officina, CS deposito frigorifero, PP stabilimento di trasformazione, ecc…). L’elenco completo dei marchi di identificazione degli stabilimenti riconosciuti in Italia, con relativa legenda, è consultabile sul sito del Ministero della Salute. Il marchio

deve essere leggibile, indelebile, facilmente decifrabile e apposto in un punto accessibile agli addetti al controllo ufficiale. L’allegato II entra infine nel merito dei metodi di marchiatura. L’apposizione del marchio può essere effettuata direttamente, o mediante un’etichetta o una targhetta inamovibile di materiale resistente, sul prodotto, sull’involucro o sull’imballaggio. Nel caso di applicazione diretta all’alimento (pratica probabilmente non utilizzabile per i prodotti della pesca data la loro natura), il colore utilizzato dev’essere autorizzato secondo la normativa comunitaria sui coloranti. Il marchio viene apposto sulla superficie esterna di contenitori da trasporto o di grandi imballaggi destinati a stabilimenti di trasformazione, confezionamento, ecc… Se l’alimento è posto in un imballaggio destinato al consumatore finale, il marchio viene applicato sulla superficie esterna dell’imballaggio stesso. Ed ecco un riferimento specifico ai prodotti della pesca trasportati sfusi (allegato II, punto 12): “il marchio di identificazione non è necessario se i documenti di accompagnamento contengono le informazioni di cui ai punti 6, 7 e, se del caso, 8” (p. 6: Stato Membro; p. 7: numero di riconoscimento; p. 8: indicazione CE). La maggior parte dei prodotti ittici (pesci, crostacei, molluschi cefalopodi), specialmente se provenienti dalla pesca locale, vengono commercializzati in cassette aperte che non hanno le caratteristiche di un preimballaggio ai sensi del Reg. 1169/2011: pertanto, secondo una interpretazione del suesposto punto 12, le cassette potrebbero essere prive di marchio purché le informazioni necessarie siano contenute nel documento commerciale. Il dibattito ha interessato, negli anni scorsi, operatori, addetti al controllo ufficiale e autorità competenti. La soluzione interpretativa è venuta, con estrema chiarezza, dalla Nota n. 18204-P del 03-05-2017 a firma del Direttore dell’Ufficio 2 della Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti del Ministero della Salute, in risposta a un quesito della Regione Veneto.

IL PESCE, 5/18


L’organo ministeriale richiama il capitolo 8.1 dell’Intesa Stato-Regioni n. 195/CSR del 05-11-2015, “Linee guida in materia di igiene dei prodotti della pesca”, che afferma: “Il marchio di identificazione può essere apposto direttamente sul prodotto, sull’involucro o sull’imballaggio, o essere stampato su un’etichetta apposta a sua volta sul prodotto, sull’involucro (es. cassette aperte o chiuse) o sull’imballaggio”. Ad ulteriore conferma, la nota cita un successivo passaggio delle Linee guida: “I prodotti commercializzati in cassette da stabilimenti riconosciuti, secondo le indicazioni comunitarie, devono riportare il marchio di identificazione”. Viene quindi esclusa la possibilità di apporre il marchio di identificazione solamente sui documenti commerciali per i prodotti ittici in cassette aperte. Il pescato locale trasferito per l’immissione sul mercato dall’impresa di pesca a un mercato o a uno stabilimento riconosciuto, prima dell’uscita da quest’ultimo, deve essere dotato del marchio di identificazione del mercato o dello stabilimento, che può dotarsi di cassette con marchio prestampato o di etichette, fascette o targhette (sulle quali, peraltro, dovranno comparire le altre informazioni obbligatorie previste per i prodotti della pesca), opportunamente resistenti e impermeabili, da assicurare a ciascuna cassetta. Per i pesci di medie e grandi

dimensioni possono essere utilizzate le etichette a freccetta, di materiale plastico idoneo al contatto con gli alimenti, infisse in ogni esemplare con apposito applicatore pneumatico: tale soluzione è in alcuni casi utilizzata in stabilimenti di macellazione e incassettamento annessi agli allevamenti di acquacoltura. Da notare che le stesse Linee guida, al capitolo 5 (Trasporto), punto 5.1, affermano che “i documenti e i contenitori utilizzati per il trasporto dei prodotti ittici dall’imbarcazione, registrata ai sensi del Regolamento (CE) 852/04, fino al primo stabilimento di destinazione non possono recare il marchio di identificazione di uno stabilimento riconosciuto”: non è concesso, quindi, di “anticipare” l’apposizione del marchio alle fasi di sbarco e di primo trasporto, neppure in caso di accordo tra impresa di pesca e stabilimento. Solo le navi officina e le navi frigorifero possono, anzi devono, applicare il proprio marchio, trattandosi di stabilimenti riconosciuti. In effetti, le Linee guida, sempre nel già citato punto 8.1, affermano che “l’apposizione della marchiatura di identificazione può essere effettuata solo presso uno stabilimento riconosciuto a garanzia del rispetto dei requisiti generali di cui al Regolamento (CE) 852/2004 e di quelli specifici di cui all’allegato III, sezione VIII del Regolamento (CE) 853/2004”, e che “la marchiatura identifica lo stabili-

mento di provenienza del prodotto, pertanto non deve essere applicata né sul punto di sbarco né in fase di trasporto ad eccezione delle navi officina e deposito frigo”. Controllo ufficiale Le Linee guida stabiliscono anche che il controllo ufficiale deve verificare la corretta applicazione del marchio di identificazione da parte dell’OSA. Infatti, sia per l’accertamento della provenienza, sia per la regolarità della rintracciabilità, sia per la verifica sanitaria della conformità dei requisiti a monte, il personale addetto al controllo ufficiale ai sensi del Reg. 882/2004 esamina i prodotti, insieme ai loro imballaggi se esistenti, e la documentazione commerciale, emettendo un giudizio di conformità o non conformità, fino ad adottare gli eventuali provvedimenti. Utilità del marchio di identificazione Il marchio di identificazione garantisce, come si è visto, la conformità dello stabilimento ai requisiti previsti, consentendo l’immissione sul mercato in ambito comunitario dei prodotti della pesca e i successivi passaggi commerciali (esclusa la vendita al dettaglio: tale fase non rientra nel campo di applicazione del Reg. 853/2004, ma viene svolta in regime di “registrazione” dello stabilimento). Inoltre il marchio costituisce un importante elemento


di rintracciabilità, identificando in maniera univoca lo stabilimento. Marchio di identificazione ed etichettatura Il Decreto Legislativo n. 231/2018, intervenendo su un aspetto dell’etichettatura degli alimenti non contemplato nella normativa dell’Unione costituita dal Regolamento (UE) n. 1169/2011, stabilisce l’obbligo di apporre nell’etichetta degli alimenti prodotti e commercializzati in Italia l’indicazione (aggiuntiva rispetto a quelle già obbligatorie secondo il Regolamento) della sede dello stabilimento di produzione. Ai sensi dell’art. 4, comma 3, lettera b, tale indicazione può essere omessa qualora “i prodotti alimentari preimballati riportino il marchio di identificazione di cui al Regolamento n. (CE) 853/2004”. Infatti, come già visto, il marchio identifica il singolo stabilimento. Sanzioni La violazione dell’art. 5 del Regolamento (CE) n. 853/2004 (sanzio-

nata dall’art. 6, comma 9, del DLgs n. 193/2007), consistente nell’immissione sul mercato di alimenti di origine animale, come i prodotti della pesca, da parte di uno stabilimento riconosciuto che omette di apporre il marchio di identificazione, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da € 500 a € 3.000, con possibilità per il trasgressore del pagamento in misura ridotta della somma di € 1.000 (doppio del minimo e terza parte del massimo); più grave è la violazione dell’art. 4, par. 1, dello stesso Reg. 853/2004 (sanzionata dall’art. 6, comma 2, del DLgs n. 193/2007), consistente nell’immissione sul mercato di alimenti di origine animale senza avere ottenuto il riconoscimento dello stabilimento (in tal caso, il marchio non è presente poiché non disponibile): sanzione amministrativa pecuniaria da € 5.000 a € 30.000, pagamento in misura ridotta € 10.000. Si ricordi che il pagamento in misura ridotta entro 60 giorni dalla notifica del verbale di accertamento e contesta-

zione estingue il procedimento; in caso contrario, l’organo accertatore invierà all’autorità competente, ai sensi della Legge n. 689/1981, il rapporto di mancato pagamento per la successiva emissione dell’ordinanza ingiunzione di pagamento. Conclusioni L’applicazione del marchio di identificazione, al di là degli aspetti formali, in realtà sottende aspetti sostanziali legati alla conformità igienico-strutturale dello stabilimento riconosciuto ed è indispensabile affinché gli operatori del settore alimentare del comparto ittico possano immettere sul mercato dell’Unione i prodotti della pesca. Contribuisce inoltre alla rintracciabilità dei prodotti, dato che lo stabilimento di produzione, di prima commercializzazione o di trasformazione viene identificato nel marchio, e può costituire un elemento obbligatorio dell’etichettatura. La correttezza della marchiatura evita peraltro all’OSA di incorrere

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nelle sanzioni stabilite dalla normativa nazionale per le violazioni ai regolamenti comunitari. Peraltro, la marchiatura dei prodotti ittici in cassette aperte, sul cui obbligo persiste qualche dubbio giuridico in considerazione del rapporto tra le fonti che trattano l’argomento (il Regolamento e la Nota ministeriale), favorisce il collegamento tra la documentazione commerciale e i prodotti stessi: collegamento che, nel caso degli alimenti sfusi, rischia sempre di essere aleatorio. Marco Cappelli Tecnico della Prevenzione ASL n. 5 “Spezzino” – La Spezia Sitografia • Ministero della Salute, Direzione Generale per l’Igiene, la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione – Elenchi stabilimenti riconosciuti ai sensi del Reg. (CE) 853/2004 per la produzione di alimenti di origine animale (Master list of the lists of establishments approved under Regulation (EC) 853/2004

del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale (rettifica in GUUE n. L 226 del 25-06-2004). 4. Regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sull’igiene dei prodotti alimentari (rettifica in GUUE n. L 226 del 25-06-2004). 5. Regolamento (CE) n. 854/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, che stabilisce norme specifiche per l’organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano (GUCE n. L 139 del 3004-2004). 6. Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 531 “Attuazione della Direttiva 91/493/CEE che stabilisce le norme sanitarie applicabili alla produzione e commercializzazione dei prodotti della pesca” (SOGURI n. 7 del 11-01-1993;

to produce food of animal origin), www.salute.gov.it/portale/temi/ trasferimento_PROD.jsp Riferimenti normativi 1. Regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali (rettifica in GUUE n. L 191 del 28-05-2004). 2. Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GUCE n. L 371 del 01-02-2002), modificato dal Regolamento (CE) n. 1642/2003 (GUCE n. L 245 del 29-09-2003). 3. Regolamento (CE) n. 853/2004

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testo aggiornato, GURI n. 175 del 29-07-1998). 7. Ministero della Salute, Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti, Ufficio 2 – Nota DGISAN 0018204-P-0305-2017 “Apposizione marchio di identificazione ai sensi dell’art. 5 Reg. (CE) n. 853/2004”. 8. Decreto Legislativo 15 dicembre 2017, n. 231 – Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del Regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del medesimo Regolamento (UE)

n. 1169/2011 e della Direttiva 2011/91/UE, ai sensi dell’articolo 5 della Legge 12 agosto 2016, n. 170 “Legge di delegazione europea 2015” (GURI Serie Generale n. 32 del 08-02-2018). 9. Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i Regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la Direttiva 87/250/CEE della Commissione, la Direttiva 90/496/ CEE del Consiglio, la Direttiva 1999/10/CE della Commissione,

la Direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le Direttive 2002/67/CE e 2008/5/ CE della Commissione e il Regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione (GUUE n. L 304 del 22-11-2011). 10. Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n. 193 “Attuazione della Direttiva 2004/41/CE relativa al controllo in materia di sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti comunitari nel medesimo settore” (GURI n. 261 del 09-11-2007 – SO n. 228). 11. Legge 24 novembre 1981, n. 689 “Modifiche al sistema penale” (SOGURI n. 329 del 30-11-1981) e successive modificazioni.

Cina: la trota salmonata è un salmone CAPPMA (China Aquatic Products Processing and Marketing Alliance), l’ente del governo cinese che si occupa di regolare il mercato dei prodotti ittici, ha stabilito che in Cina la trota salmonata o trota arcobaleno potrà essere venduta come “salmone”. La decisione è stata presa dopo che a maggio i giornali avevano scoperto che gran parte del “salmone” venduto sul mercato cinese era in realtà “trota arcobaleno”: invece che intervenire sulla truffa, il governo cinese ha quindi deciso di legittimarla, allargando la definizione di quello che può essere legalmente venduto come “salmone”. Quello che viene comunemente chiamato “salmone” è il Salmo salar o salmone dell’Atlantico: un pesce che vive prevalentemente in acqua salata e che preferisce acque fredde e temperate. Viene allevato in Scozia, Norvegia e Canada e lo compriamo abitualmente fresco o affumicato. Quella che viene comunemente chiamata trota salmonata è invece la Oncorhynchus mykiss: fa parte insieme al Salmo salar della famiglia dei Salmonidae, ma è un pesce completamente diverso, che vive prevalentemente in acque dolci, è comune anche nei torrenti e laghi alpini ed è molto allevata anche in Italia per la sua facilità di adattamento. Quando la Oncorhynchus mykiss viene allevata con una dieta speciale a base di crostacei, la sua carne acquista il colore “salmone” a cui il pesce deve il suo nome comune. I due pesci, inoltre, si assomigliano molto una volta sfilettati e possono essere facilmente confusi da consumatori non particolarmente esperti. A maggio la televisione di stato cinese CCTV aveva riportato che circa un terzo di tutto il salmone venduto in Cina era in realtà trota salmonata allevata nella provincia di Qinghai. Ora la decisione della CAPPMA ha risolto il problema, stabilendo che sia la trota salmonata che il Salmo salar possono essere venduti come “salmone” perché fanno entrambi parte della famiglia dei Salmonidae. La decisione della CAPPMA, ha scritto la BBC, è stata molto criticata e presa in giro su Weibo, il più popolare social network cinese. Qualcuno ha scherzato sui problemi di identità che avranno le trote salmonate in futuro, qualcuno ha chiesto se ora i laghi potranno essere chiamati mari, visto che sono quasi la stessa cosa. L’associazione dei pescatori cinesi è comunque intervenuta per smentire le voci che circolavano circa la presunta pericolosità della trota salmonata, spiegando che viene allevata con gli stessi standard igienici del salmone (fonte: Il Post; in foto, in alto la trota salmonata e in basso il Salmo salar; photo © Wikimedia, Timothy Knepp, Wikimedia).

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2. I crudi di Cortilia on-line 1. Il pesce delle Isole Faroe Meravigliose suggestioni tra paesaggi, piatti di pesce e la natura incontaminata delle Isole Faroe (Fær Øer). Questo e molto di più racconta il profilo Instagram del ristorante KOKS, le cui parole chiave sono sostenibilità e cibo locale. Da seguire senza esitazioni! Ecco il link: www.instagram.com/koks_restaurant (photo © instagram.com/koks_restaurant).

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4. I Love Ostrica 3. I mari del mondo a portata di clic L’Atlante europeo dei mari è uno strumento divertente e di facile uso per professionisti, studenti e chiunque desideri saperne di più sui mari e sulle coste dell’Europa, il loro habitat, le attività dell’uomo e le politiche europee in ambito marino. Obiettivo è quello di illustrare l’importante ruolo svolto dai mari e dagli oceani che bagnano l’Europa nel contesto della politica marittima integrata dell’UE. L’atlante offre numerose informazioni: disponibile in versione inglese, francese e tedesca, si può consultare al link ec.europa.eu/maritimeaffairs/atlas_it

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ACQUACOLTURA

La mappa genetica dell’orata Lo studio, svolto dall’Università di Padova, potrà migliorare la filiera produttiva della più importante specie allevata nel Mediterraneo

L’Università di Padova ha coordinato una ricerca che ha permesso di ottenere la sequenza completa del genoma del Sparus aurata1. È stata così ottenuta la mappatura del genoma dell’orata che, insieme al branzino, è la più importante specie allevata nel Mediterraneo. Il lavoro scientifico, pubblicato su NATURE COMMUNICATIONS BIOLOGY, ha importanti applicazioni nell’attività di acquacoltura: si potranno individuare i geni che fanno crescere di più, ammalare di meno o che garantiscono un filetto di elevata qualità. Secondo i dati FAO, la produzione globale di orata è per il 5% derivata dalla pesca, mentre per il restante 95% proviene da attività di allevamento. L’Italia, nello scenario internazionale, si posiziona al 4o/5o posto, con una produzione di acquacoltura di circa 7.000 tonnellate, contro le quasi 50.000 tonnellate prodotte dal paese leader per questa specie, la Gre-

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cia. L’orata è una specie ermafrodita sequenziale: uno stesso esemplare può essere maschio in una fase della sua vita e femmina in un’altra. In particolare, presenta un ermafroditismo sequenziale proterandico per cui tutti gli individui si sviluppano inizialmente come maschi ma all’età di circa due anni, vanno incontro ad una regressione dei testicoli e una maturazione delle ovaie, diventando così femmine. Questa condizione sessuale aumenta il successo riproduttivo: le femmine hanno sempre un’età maggiore dei due anni, di conseguenza sono sempre più grandi dei maschi e questo permette loro di avere delle gonadi più grandi, di produrre e ospitare un numero di uova molto più elevato. Lo studio ha, per la prima volta, interamente sequenziato e annotato il menoma dell’orata, attribuendo così una funzione alle diverse parti del DNA. Ciò ha permesso di esplorare l’espressione genica delle femmine e

dei maschi e le dinamiche evolutive dei geni espressi in maniera differenziata tra i due sessi. «Conoscere il genoma di una specie — spiega MARIANNA PAULETTO del Dipartimento di Biomedicina comparata e alimentazione dell’Università di Padova e prima firma della ricerca — è come avere a disposizione una mappa: è molto più facile individuare la via più rapida ed efficiente per arrivare ad un obiettivo. Il genoma dell’orata, infatti, potrà orientare il raggiungimento di alcuni importanti obiettivi del settore, come ad esempio individuare i geni che fanno crescere di più, ammalare di meno o che garantiscono un filetto di elevata qualità. Aumentare i volumi e migliorare le caratteristiche del prodotto ittico d’allevamento è una priorità europea, poiché la pesca non può soddisfare la crescente richiesta di questo importante alimento. Questo contribuisce in ultima analisi alla commer-

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Conoscere il genoma di una specie è come avere a disposizione una mappa: diviene più facile individuare la via più rapida ed efficiente per arrivare ad un obiettivo. Il genoma dell’orata potrà ad esempio individuare i geni che fanno crescere di più, ammalare di meno o che garantiscono un filetto di elevata qualità

cializzazione di un prodotto migliore, più sostenibile e a costi minori». La ricerca pubblicata ha beneficiato di risultati e campioni di tre distinti progetti, due europei (AQUATRACE e FISHBOOST) e un progetto di eccellenza della Fondazione Cassa di Risparmio Padova e Rovigo, il GenTechAqua. AQUATRACE ha sviluppato strumenti per tracciare e valutare l’impatto genetico del pesce allevato, FISHBOOST ha messo a punto approcci per la selezione genetica delle più importanti specie ittiche allevate, mentre GenTechAqua ha studiato, con un approccio genomico integrato, crescita e salute dell’orata. «L’idea del team di Padova — continua la Pauletto — è stata quella di ottenere e mettere a disposizione di tutti una mappatura completa del DNA capace di guidare e facilitare l’interpretazione di numerosi altri dati di tipo genomico in modo da comprendere come nell’orata tutti i geni siano coordinati in un unico sistema complesso. La sequenza completa del genoma e tutti i dati

prodotti nel contesto di questo studio sono infatti pubblicamente disponibili nei database di riferimento (NCBI e DRYAD) e possono essere utilizzati sia in contesto scientifico che produttivo. In particolar modo, i primi a beneficiare di questa risorsa saranno gli allevatori che, con il supporto di personale specializzato, potranno utilizzarla per migliorare e ottimizzare la produzione». Fonti: © World Food Press Agency Srl, www.efanews.eu, ilbolive.unipd.it Note 1. PAULETTO M. et al. (2018), Genomic analysis of Sparus aurata reveals the evolutionary dynamics of sexbiased genes in a sequential hermaphrodite fish, NATURE COMMUNICATIONS BIOLOGY, 1:119, www.nature. com/commsbio; il pdf della ricerca è disponibile nel portale di Nature Communications Biology a questo link: goo.gl/RPyL4a (photo © Werner, Histoire naturelle des poissons).

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DORIN, il mangime funzionale che aiuta ad evitare che l’orata soffra della sindrome/malattia invernale

Durante i mesi più freddi, quando l’acqua dell’allevamento ittico raggiunge temperature molto basse, l’orata subisce uno shock termico, non può nutrirsi adeguatamente, perde peso e rischia di morire. Si tratta della cosiddetta sindrome/malattia invernale, una patologia che colpisce questa specie quando la temperatura dell’acqua scende al di sotto di 14-15 °C, ed è quindi causa di perdite economiche per gli allevatori. DORIN è un mangime funzionale di Sorgal — marchio del gruppo Soja De Portugal — creato per migliorare il metabolismo epatico dell’orata evitando problemi fisiologici causati da shock termici. Come si raggiunge questo obiettivo? Oltre ad essere una soluzione a basso consumo energetico (16% di grassi, 100% olio di pesce), con alti livelli di farina di pesce, DORIN include epatoprotettori (ad esempio estratto di carciofo) che proteggono il fegato del pesce aiutandolo nel metabolismo dei grassi durante e dopo i mesi invernali. Questo approccio evita quindi la perdita di peso e la stessa mortalità dell’orata, rendendo la produzione più redditizia. Questo innovativo prodotto è stato creato da Sorgal in collaborazione con Sparos, uno spin-off dell’Università dell’Algarve, ed è stato finalista per il NOS Innovation Award nel 2016. Il NOS Innovation Award premia ogni anno le aziende che sviluppano progetti innovativi in diverse aree di business, contribuendo alla crescita dell’economia portoghese. >> Link: www.sojadeportugal.pt — www.aquasoja.pt

Sostenibilità del tonno: nuove nomine nella ISSF L’International Seafood Sustainability Foundation (ISSF) ha annunciato la nomina di tre nuovi membri nell’Environmental Stakeholder Committee, mentre un altro nuovo membro è stato nominato nello Scientific Advisory Committee. I primi tre nominati sono Jim Humphreys, coordinatore della pesca globale del Marine Stewardship Council (MSC), Kathleen Mullen-Ley, direttrice del progetto FishWise, e Tom Pickerell, Global Tuna Director, Sustainable Fisheries Partnership, e contribuiranno con la loro vasta esperienza all’attività dell’ESC di ISSF. Inoltre, il senior scientist della Commissione interamericana per il tonno tropicale (IATTC), dott. Alexandre Aires-da-Silva, entrerà a far parte del SAC. «L’aggiunta di Jim, Kathleen e Tom al comitato per gli stakeholder ambientali dell’ISSF è parte integrante della marcia verso gli obiettivi dell’organizzazione previsti nel piano strategico quinquennale dell’ISSF», ha affermato il presidente dell’ISSF Susan Jackson. «La loro esperienza in diverse discipline nel settore della gestione della pesca aumenta un gruppo già solido di esperti della conservazione che lavorano insieme all’ESC». «Il dott. Aires-da-Silva è una grande risorsa sui temi delle dinamiche della popolazione, modellizzazione e valutazioni degli stock e altro ancora. Tutte competenze che apprezziamo enormemente nel comitato consultivo scientifico», ha affermato il presidente del SAC, dott. Victor Restrepo (fonte: © World Food Press Agency Srl).

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La nuova manifestazione dei “costruttori” di pesce piombinesi

So Fish So Good di Maurizio Dell’Agnello

Il record dei record Piombino, 2 settembre 2018, ore 20:30. Tutto è pronto nella magnifica piazza a forma di terrazza che si incunea nel mare come un promontorio e che, vista dall’alto, ricorda vagamente la penisola italiana. Transitano di lì, come al solito, molti piombinesi, abituati a percorrerla per tutta la lunghezza, fino al piccolo faro posto alla sua sommità, da dove osservare il tempo che si prospetta per l’indomani. Un gesto antico, forse anche un po’ scaramantico, che racchiude in sé quel bisogno di certezze quotidiane che da queste parti è dato dalla presenza del mare, dell’isola d’Elba e dei traghetti che attraversano questo canale che “tanta parte dell’orizzonte il guardo

include”. Si va lì in compagnia, per scambiare le proprie impressioni ed essere magari più pronti ad affrontare le novità provenienti da quella parte del mondo. Ma la sera del 2 settembre non c’erano solo piombinesi in piazza Bovio: turisti, forestieri, tutti in attesa dell’evento che il giorno successivo avrebbe avuto luogo proprio nelle acque antistanti la grande terrazza circondata dal mare. Per l’occasione c’era anche la RAI con tutte le sue attrezzature, col commentatore “ammiraglio”, quello che accompagna la visione degli eventi sportivi che riguardano le acque, soprattutto le imprese speciali legate alla vela. Postazioni con telecamere pronte, maxi schermi montati, casse

e microfoni installati, tutto perfetto, in attesa. Ma cosa si aspettava con così tanta trepidazione? Il record di apnea orizzontale che STEFANO MAKULA, pluriprimatista mondiale, avrebbe tentato di battere la mattina seguente nelle limpide e calme acque piombinesi. Lui, che con MAIORCA e MAYOL aveva sfidato le profondità per noi abissali, si accingeva proprio a Piombino a provare questa nuova impresa per battere il record di nuoto in lunghezza, in assetto orizzontale. La speranza di passare alla storia come location dell’impresa sportiva mondiale aveva generato grandi aspettative e la scenografia si era così arricchita di altre iniziative, come le gare nazionali di nuoto in acque libere e la presentazione di

Piazza Bovio a Piombino.

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un interessante volume sulle storie di vita di un palombaro. L’evento cultural-sportivo ha rappresentato però anche l’occasione per mostrare alla cittadinanza ed ai curiosi tutti l’attività che ormai da qualche anno si svolge nelle acque piombinesi, ma che molti ancora non conoscono o stentano a riconoscere: la maricoltura nelle gabbie galleggianti. La vetrina ha consentito di mettere in mostra i “costruttori” di pesce piombinesi, come li avrebbe sicuramente chiamati LUCIANO BIANCIARDI, da quelli più “anziani”, che hanno iniziato una decina di anni fa, a quelli di recente aggregazione, che hanno trovato nelle acque del Golfo di Follonica una collocazione strategica per le loro produzioni. Già, perché il “Golfo” è quello di Follonica, ma le acque sono di pertinenza del comune di Piombino, e già questo può contribuire a fare un po’ di confusione sull’esatta collocazione degli allevamenti, tant’è che qualcuno li ha riqualificati come Itticoltura del Flag – Golfo degli Etruschi. Come ha ricordato il sindaco MASSIMO GIULIANO, sono ormai cinque gli operatori economici che hanno raccolto questa sfida produttiva che interessa al momento spigole ed orate con le aziende AGROITTICA TOSCANA, CIVITA ITTICA, GRUPPO DEL PESCE FOLLONICA e ITTICA IL GOLFO di Follonica e la COOPERATIVA VENERE per quanto attiene la produzione delle cozze. La collocazione è eccezionale: siamo nello specchio di mare antistante l’Elba, nel Parco Nazionale dell’Arcipelago toscano, con acque di una limpidezza cristallina, tutti punti di forza ambientali che costituiscono di per sé un elemento invidiabile, che sta alla base di questa iniziativa ittica. E poi c’è la qualità dei processi, quella che fanno e controllano gli uomini con il loro operato nell’ambito di disciplinari ben definiti, a cui tutti gli allevatori rigorosamente si attengono. Questa “qualità” che potremmo definire “dei marchi” è stata fin da subito sposata dagli acquacoltori piombinesi, essendo nati in un’epoca non certo pionieristica per questi processi, messi a punto e collaudati nei minimi particolari

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fin dalla fine degli anni ‘80 da quelle aziende che ebbero allora una visione di lungo periodo, applicando anche al pesce quanto era stato fatto in altri settori come vino ed olio. Le aziende piombinesi sono tutte certificate e in molti casi per più aspetti, dalla HACCP alle produzioni tipiche toscane, fino a quel marchio che ha incontrato una larga diffusione, legato agli “amici del mare”, e che denota la volontà di operare nella salvaguardia dell’ambiente acquatico ed in quella del benessere animale, due aspetti che stanno alla base di un concetto etico di allevamento che nel corso del tempo si è positivamente evoluto con maggiore consapevolezza di allevatori e addetti ai lavori, giungendo oggi fino ai consumatori che possono indirizzare in maniera più consapevole le loro scelte di acquisto. Naturalmente viene curato tutto il processo produttivo, dalla crescita alla pesca, al confezionamento ed alla commercializzazione che tuttora si realizza con il fresco e con una minima parte di sfilettato. La “giovane” itticoltura piombinese presenta ancora ampi margini di sviluppo, con nuovi progetti legati ad ampliamenti a mare, ma anche a terra, per quanto attiene a tutti i servizi e agli altri aspetti offerti fino ad ora da aziende specializzate esterne, che potrebbero trovare pure nel territorio una risposta adeguata ai bisogni della produzione ittica. E poi c’è la trasformazione del prodotto, settore ancora tutto da sviluppare in maniera adeguata e rispondente alle mutate esigenze del consumatore che ancora si rivolge al prodotto intero fresco, ma che non disdegna di certo un filetto di qualità pronto per essere cucinato rendendo meno “impegnativa” la sua preparazione culinaria. Sarà interessante vedere anche come si evolverà nel corso del tempo la gestione del “comune” specchio d’acqua, perché è vero che il Golfo di Follonica è grande, ma è altrettanto vero che i parchi di allevamento sono altrettanto estesi, e relativamente vicini l’uno all’altro, e che una corretta gestione delle fasi di allevamento di ciascuno sarà prioritaria al fine di

Stefano Makula, primatista mondiale di apnea in varie specialità per 28 volte. garantire convivenza e prosecuzione dell’impresa stessa. Per il momento possiamo dire che il suo record l’acquacoltura piombinese lo ha già fatto, non solo con la produzione che sfiora quasi la metà di quanto allevato in Italia, ma anche per la simpatia e la curiosità incontrata con la manifestazione di piazza Bovio So Fish So Good, nella quale per la prima volta si è presentata ufficialmente alla cittadinanza e non solo, grazie anche al contributo di alcuni ristoratori che si sono prestati alla preparazione di gustosi piatti a base di prodotti ittici piombinesi “allevati” e di alcuni produttori di vino che li hanno accompagnati, senza manifestare quella ritrosia che spesso i palati più fini ostentano nei confronti del pesce allevato. Insomma, un appuntamento che dovrebbe essere quanto meno istituzionalizzato e sviluppato, aprendosi magari anche a momenti più riflessivi in cui approfondire le tematiche di settore, utili all’acquacoltura piombinese, ma anche a quella nazionale. Ah, dimenticavo, il record Makula non l’ha mica fatto, perché appena si è immerso ha trovato il Bottesini (nel ‘74, a Sorrento, ENZO BOTTESINI intralciò Maiorca durante un tentativo di record che dovette abbandonare) di turno, un cordino che gli si è impigliato nella pinna e tutto è saltato dopo pochi metri. Ha detto però che tornerà a Piombino per ritentare l’impresa. Costruttori di pesce piombinesi preparatevi! Maurizio Dell’Agnello

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PESCA

Dalla UE in arrivo 3,3 milioni di euro per i pescatori dell’Alto Adriatico Plauso dell’assessore veneto Giuseppe Pan: «Questo è un progetto transnazionale a sostegno della gestione diretta e delle piccole flotte che difende il mare e l’occupazione» Sono in arrivo 3,3 milioni di euro a sostegno delle piccole flotte della pesca nell’Alto Adriatico e del comparto “artigianale” delle attività ittiche. Ne ha dato notizia a fine luglio l’assessore alla Pesca della Regione Veneto, GIUSEPPE PAN, che ha accompagnato in meta il percorso del progetto transfrontaliero “SmArtFish” (SMall-scale ARTisanal FISHery).

Il progetto, che la Regione Veneto cofinanzia per 514.000 euro e che si inserisce nell’ambito dei progetti di collaborazione transfrontaliera Italia-Croazia 2014-2020, ha l’obiettivo di valorizzare la piccola pesca costiera artigianale nell’Alto Adriatico promuovendo le attività delle piccole imbarcazioni (di lunghezza inferiore ai 12 metri) dedite all’atti-

vità ittica, la sicurezza alimentare del pescato e la sostenibilità ambientale, economica e sociale di un settore che conta nel Mediterraneo circa 40.000 pescherecci, pari all’80% dell’intero contingente di imbarcazioni dei paesi che si affacciano sullo specchio mediterraneo. Partecipano al progetto tutte le regioni litoranee dell’Alto Adriatico: oltre al Veneto, le regioni

La piccola pesca artigianale (Small-Scale Fisheries – SSF) è definita dalla UE come il segmento di flotta peschereccia costituito da imbarcazioni di lunghezza complessiva inferiore ai 4 metri, che non utilizzano attrezzi trainati. Si tratta di un comparto di fondamentale importanza per lo sviluppo economico e il sostentamento delle popolazioni in tutto il Mediterraneo. Per quanto riguarda gli Stati Membri che si affacciano sul Mediterraneo, essa costituisce più dell’80% dell’intera flotta da pesca, per un totale di circa 40.000 imbarcazioni.

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Lo sviluppo dell’attività dei piccoli pescherecci, spesso a conduzione familiare, è garanzia di tutela del mare e delle coste, di vivificazione dei porti e dei borghi di mare, di sostenibilità economica e di promozione turistica, ha dichiarato l’assessore della Regione Veneto Giuseppe Pan. Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Marche e, sul versante balcanico, la Regione istriana, la Contea Litoraneo-Montana, la Contea di Zara, nonché il Ministero dell’Agricoltura della Repubblica di Croazia. L’Università Ca’ Foscari di Venezia e l’Istituto di Oceanografia e pesca di Spalato sono i partner scientifici. SmArtFish prevede la creazione di un’organizzazione transfrontaliera della piccola pesca che rappresenti gli operatori del settore, sia italiani che croati, e promuove azioni pilota che sperimentino nuove forme di gestione dell’attività: l’adozione del marchio registrato per il pescato, forme di commercializzazione diretta dei prodotti, condivisione di Linee guida per le aree a gestione diretta, la creazione o riqualificazione di “villaggi dei pescatori” quali punti di aggregazione tra gli operatori e di commercializzazione a chilometro zero. Il progetto, che avrà una durata di 30 mesi e si concluderà nel 2021, prevede anche la condivisione di un protocollo di pesca sostenibile e responsabile, a tutela dell’ambiente, dell’occupazione e dello sviluppo integrato dell’ambiente costiero. «La piccola pesca costiera rappresenta il nostro “oro blu” — ha commentato l’assessore Pan — da

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difendere e promuovere, perché unisce storia e tradizione, reddito e occupazione. Lo sviluppo dell’attività dei piccoli pescherecci, spesso a conduzione familiare, è garanzia di tutela del mare e delle coste, di vivificazione dei porti e dei borghi di mare, di sostenibilità economica e di promozione turistica. La Regione Veneto ha investito e sostiene con convinzione questo progetto di collaborazione transnazionale, perché solo un approccio integrato e condiviso tra le due sponde dell’Adriatico può promuovere lo sviluppo e l’innovazione di un’attività tradizionale, tutelando insieme posti di lavoro e rispetto dell’ambiente marino». Qual è la logica del progetto SmArtFish? La piccola pesca artigianale (SmallScale Fisheries - SSF) è definita dalla UE come il segmento di flotta peschereccia costituito da imbarcazioni di lunghezza complessiva inferiore ai 4 metri, che non utilizzano attrezzi trainati. Si tratta di un comparto di fondamentale importanza per lo sviluppo economico e il sostentamento delle popolazioni in tutto il Mediterraneo. Per quanto riguarda gli Stati Membri che si affacciano

sul Mediterraneo, essa costituisce più dell’80% dell’intera flotta da pesca, per un totale di circa 40.000 imbarcazioni. La piccola pesca ha il potenziale per contribuire in modo significativo alla sicurezza alimentare, alla crescita economica e allo sviluppo locale, e per fornire preziose opportunità di lavoro. Inoltre, si tratta di un’attività fortemente ancorata nelle comunità locali, riflettendo spesso legami storici con le tradizioni, la cultura e i valori. Si tratta di un settore vivace e multidimensionale, in cui la conoscenza tradizionale e il patrimonio culturale locale coesistono e si integrano con l’ambiente. Infine, la piccola pesca è un importante vettore di conoscenza locale e di buone pratiche, e ha un impatto ambientale relativamente basso. Nonostante l’importanza socioeconomica, la piccola pesca artigianale non sempre riceve l’attenzione che merita. Gli operatori sono spesso esclusi dalle politiche pubbliche e dai processi decisionali sicché si trovano ad affrontare difficoltà socioeconomiche e a dover sfruttare risorse in declino. La necessità di sostenere il settore della pesca artigianale, coinvolgendo i suoi rappresentanti nella pianificazione e nei processi decisionali, differenziandone e ampliandone l’offerta di mercato, e sensibilizzando i clienti, è stata riconosciuta a diversi livelli, come misura che consentirebbe di influenzare positivamente l’occupazione, di contribuire ad una gestione più sostenibile di risorse pesantemente sfruttate e più in generale di contribuire a raggiungere gli obiettivi di Blue Growth. Già nel 1980 la Commissione generale della Pesca per il Mediterraneo della FAO (General Fisheries Commission for the Mediterranean – GFCM) aveva auspicato “la definizione di una strategia nazionale che definisca in particolare il ruolo della pesca artigianale nei sistemi di gestione”. Più di recente, il Codice di condotta della FAO per una pesca responsabile (1995) ha sottolineato il grande contributo dato dalla piccola pesca all’occupazione, al reddito,

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alla sicurezza alimentare e all’uso sostenibile delle risorse della pesca, e ha sollecitato i governi ad agire per proteggere questo settore. Il Codice di condotta è stato integrato nel 2012 dalle Linee guida per la piccola pesca, che mirano a favorire la gestione delle problematiche del settore a livello nazionale e regionale, al fine di contribuire allo sviluppo sostenibile e al raggiungimento dei Millennium Development Goals (MDGs). Tra i principi fondamentali delle Linee guida per la piccola pesca vi sono la consultazione e la partecipazione, la legalità, la trasparenza, la responsabilità, la sostenibilità economica, sociale e ambientale, un approccio olistico e integrato, la responsabilità sociale, la fattibilità sociale ed economica. A livello europeo, la Politica Comune della Pesca (PCP), nel perseguire l’obiettivo finale di favorire un settore della pesca dinamico e garantire un tenore di vita equo per la comunità dei pescatori, sottolinea l’importanza che questo si realizzi nell’ottica di contribuire alla strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, assicurando che la pesca e l’acquacoltura siano ecologicamente, economicamente e socialmente sostenibili e che forniscano una fonte di cibo sano per i cittadini della UE. Da questo punto di vista, la PCP promuove un approccio regionalizzato e bottom-up alla gestione della

pesca, con una partecipazione equilibrata degli attori locali; un processo decisionale basato sulla scienza, che regoli lo sforzo di pesca in base allo stato e alla produttività degli stock ittici; piani pluriennali, contenenti gli obiettivi e gli strumenti per la gestione degli stock ittici e un percorso per il raggiungimento degli obiettivi in modo sostenibile e inclusivo. In questo quadro la PCP riconosce il ruolo speciale della pesca artigianale e invita gli Stati Membri a dedicarvi particolare attenzione. Al livello del bacino AdriaticoIonico, EUSAIR dedica particolare attenzione alla pesca in due dei quattro pilastri. In particolare, il 1O PILASTRO Blue Growth, al punto 1.2 Pesca e Acquacoltura, mira specificamente ad un’attività di pesca sostenibile e responsabile a lungo termine, che sia così in grado di continuare a garantire una fonte di reddito per le comunità costiere: a questo scopo, auspica un’efficace attuazione dei principi della PCP, con la promozione di un approccio bottom-up e una gestione sostenibile della pesca sulla base di piani pluriennali basata su dati scientifici. D’altra parte, il 3º PILASTRO Qualità Ambientale, al punto 3.1 Ambiente marino, indica la pesca eccessiva come una delle minacce per il capitale naturale marino e identifica nell’approccio ecosistemico lo strumento per garantire la sostenibilità nell’uso delle risorse. In

questo contesto, EUSAIR sottolinea che la pesca nel bacino è prevalentemente su piccola scala e si trova ad affrontare diverse sfide legate da un lato alla competitività e alla forza sul mercato, dall’altro agli obiettivi ambientali. Per affrontare queste sfide, la strategia identifica come critico l’uso sostenibile delle risorse e il controllo integrato delle attività di pesca, e richiede una migliore cooperazione in tutto il bacino Adriatico-Ionico come mezzo per innescare un processo virtuoso di aumento della competitività delle comunità costiere dipendenti dalla pesca e di ampliamento del coinvolgimento delle parti interessate. Obiettivo generale Seguendo la logica esposta sopra, l’obiettivo generale del progetto è quello di rafforzare il ruolo della piccola pesca, nel contesto della Blue Growth, coltivando il potenziale per l’innovazione nell’ambito di una “crescita blu”. Approfittando delle grandi caratteristiche di adattabilità e di flessibilità della pesca artigianale, il progetto ne promoverà l’assunzione a paradigma per l’attuazione di una strategia di gestione integrata della fascia costiera, nel contesto di un approccio ecosistemico. (Fonti: Regione del Veneto Giunta Regionale Italy-Croatia Interreg. programme Priority Axis 1: Blue Innovation S.O. 1.1)


AZIENDE

L’intervista a Manuel Verrini, presidente e AD di Antonio Verrini & Figli

Verrini, 70 anni di passione per il mare La storica azienda genovese di distribuzione di prodotti ittici freschi, conservati e surgelati opera tutti i giorni dell’anno, H24, grazie a 100 addetti diretti e una flotta di 50 mezzi refrigerati, assicurando alla propria clientela massima freschezza e qualità del prodotto e velocità di consegna

Un’azienda storica, oggi alla seconda generazione, che opera da circa 70 anni nel commercio di prodotti ittici freschi, conservati e surgelati. Con sede a Genova, 5 filiali collocate tra Liguria e Toscana, uno stabilimen-

to dedicato alla lavorazione per lo stoccafisso e il baccalà sempre nel capoluogo della Regione Liguria, la ANTONIO VERRINI & FIGLI SPA garantisce un approvvigionamento continuo di materie prime di altissima

qualità a livello locale, nazionale e internazionale, vantando il primato in Italia di importazioni con voli di linea di alcuni prodotti oltre oceano. Con una clientela costituita dalle più importanti catene della GDO,

Grazie alla qualificata rete di fornitori locali, italiani e internazionali, l’azienda Antonio Verrini & Figli garantisce ai clienti, in rappresentanza delle più importanti catene della GDO italiane, pescherie, ristoranti della Costa Azzurra, Piemonte, Lombardia, Liguria e Toscana, il presidio della filiera, l’assoluta integrità dei prodotti grazie all’applicazione rigorosa della catena del freddo e la velocità di consegna.

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La storia dell’azienda inizia a Genova, all’interno del Mercato Ittico, intorno agli anni ‘50, con la fondazione della prima società da parte di Antonio Verrini. In origine l’attività si concentra sulla commercializzazione di prodotti ittici freschi locali e nazionali. Solo in seguito l’attenzione si sposta anche sull’importazione diretta da altri Paesi Europei e dal Nord Africa. Tra gli anni ‘70-‘90 per l’attività d’importazione c’è una svolta decisiva: per la prima volta Verrini decide di far viaggiare il pesce fresco pescato in acque straniere anche attraverso voli aerei di linea, allargando le importazioni anche dal lontano Sud America ed altri continenti. Negli stessi anni l’azienda inizia a vendere pesce fresco su tutto il territorio nazionale ed in alcuni paesi europei. Nel primo decennio del 2000, grazie all’esperienza consolidatasi col tempo e all’avvento della seconda generazione della famiglia, si inizia una strategia d’espansione, affiancando all’attività di commercializzazione di prodotti ittici freschi l’importazione di pesce congelato e la relativa distribuzione. Attraverso un piano di espansione commerciale, tra il 2008 e il 2015, l’azienda apre nuove filiali a Ventimiglia, Sanremo Viareggio e Sestri Levante per la distribuzione capillare dei propri prodotti dalla Costa Azzurra sino ad arrivare alla Versilia. In anni più recenti, infatti, la società è stata interessata da alcune operazioni straordinarie, circoscrivibili alle aree territoriali di Liguria e Toscana, che hanno consentito una rapida crescita anche per linee esterne, sia in termini qualitativi che di fatturato. Nel 2007, dopo la fusione per incorporazione di tre società del Gruppo (Riviera Pesca Srl, Supermare Srl e Fish Service Srl), l’azienda ha allargato la sfera delle proprie competenze coprendo le attività di logistica e trasporto per conto di terzi. L’anno dopo, con l’acquisizione della Versilfish Srl, Verrini ha fatto il suo ingresso nel mercato della ristorazione della Versilia. Nel 2010 viene aperta la filiale di Ventimiglia per servire la Costa Azzurra. Nel 2013 apre la filiale di Sanremo per servire la Riviera di Ponente. Nello stesso anno, Verrini inizia a commercializzare sia all’ingrosso che al minuto lo stoccafisso e il baccalà, prodotti di cui inizia a gestire import-export, lavorazione, trasformazione, conservazione e la successiva rivendita. Nel 2015 viene creata la filiale di Sestri Levante per servire la ristorazione della Riviera Ligure di Levante. Grazie a questa operazione l’azienda completa il presidio di canali con il mondo dell’Ho.re.ca. attraverso il marchio Kyo Fish, con due punti vendita, il primo a Rapallo nel 2013 e il secondo, nel 2016, a Sanremo. L’idea è quella di poter offrire prodotto fresco accuratamente selezionato col patrimonio di esperienza accumulata negli anni. Nelle pescherie Kyo Fish si possono assaporare i prodotti “dei nostri mari” accompagnati da vini e champagne selezionati; sono luoghi in cui pesci, crostacei e frutti di mare non vengono solo venduti, ma anche “raccontati” per sensibilizzare i clienti sulla sostenibilità dei prodotti ittici e creare una cultura di consumo consapevole.

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grossisti, pescherie, alberghi e ristoranti della Costa Azzurra, Piemonte, Lombardia, Liguria e Toscana, nel 2017 l’azienda ha raggiunto circa 47 milioni di euro. Ed è recentissima la notizia dell’acquisizione, attraverso la VERRINI HOLDING, detenuta dalla famiglia Verrini, della catena distributiva di surgelati a marchio Giopescal. Abbiamo incontrato il presidente e amministratore delegato del Gruppo MANUEL VERRINI nel suo ufficio nella nuova sede di Genova, a pochi passi dal porto, in un complesso industriale di recente costruzione. Quali sono i punti di forza della Antonio Verrini & Figli Spa? «Con 70 anni all’attivo, sicuramente posso confermare la nostra esperienza e la professionalità. A queste aggiungo la posizione geografica, strategica nel nostro business per come siamo sviluppati sul territorio,

Manuel Verrini, presidente e AD di Antonio Verrini & Figli.

L’acquisizione della catena distributiva di surgelati a marchio Giopescal È stata finalizzata lo scorso luglio da parte della ANTONIO VERRINI & FIGLI l’acquisizione della catena distributiva di surgelati a marchio Giopescal, insegna fondata nel 1930 dalle famiglie Giolfo e Calcagno. L’acquisizione, effettuata attraverso la VERRINI HOLDING, fa sì che si vada così a completare la rete di distribuzione dell’azienda anche nel segmento retail attraverso la gestione diretta di 9 punti vendita. I negozi sono dislocati a Genova e provincia, per un totale di circa 2000 m2 di superficie di vendita, con oltre una ventina di addetti, un magazzino centralizzato a Genova e un fatturato 2017 di circa 4 milioni di euro. L’operazione prevede l’ingresso in maggioranza nel capitale da parte di Verrini Holding, che affiancherà la famiglia Calcagno rimasta sino ad oggi unico socio. L’insegna e il marchio saranno mantenuti mentre per i prossimi mesi è previsto un piano commerciale per rinnovare le attività dei punti vendita. Grazie alle sinergie con la Antonio Verrini & Figli, oltre al surgelato ittico, il portfolio prodotti verrà rivisto e valorizzato per arricchire la gamma secondo le nuove richieste di mercato. «L’affiancamento con il Gruppo Verrini — ha dichiarato Aldo Calcagno — garantisce a Giopescal la continuità di uno storico marchio, presente da quasi un secolo nel settore ittico. Due storiche famiglie genovesi uniscono le loro competenze per una nuova sfida all’insegna della qualità e professionalità che da sempre le contraddistingue».

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avendo la base in Liguria, a pochi passi dalla Francia e dall’Alto Tirreno. A questo proposito la logistica è e rimane un asset strategico: basti ricordare i 50 camion aziendali che effettuano servizi di consegna giornalieri. E poi c’è la qualità, una sola parola che sottende e significa tante cose, la selezione dei fornitori, delle materie prime, delle imbarcazioni adibite alla pesca». Quanto incidono le politiche di fermo pesca sulla vostra attività? «Generano un effetto momentaneo al quale sopperiamo col fattore logistico, approvvigionandoci su altri mercati e gestendo le richieste del mercato, nei tempi richiesti. Il nostro è un lavoro a 360º e lo facciamo con le stesse tempistiche e modalità sia per l’Adriatico, come per la Spagna, per esempio. Ciò significa che siamo aperti H24. Inoltre, la complessità che il nostro comparto deve affrontare per esempio a livello normativo la bypassiamo con procedure innovative, con la nostra struttura interna con processi automatizzati. I nostri clienti sono sempre più esigenti e oggi noi non forniamo solo un prodotto ma decisamente anche un servizio!». Come valutate l’esperienza nel mondo HO.RE.CA. con Kyo Fish? Avete in programma altre aperture? «Kyo Fish è un’esperienza concretizzatasi attualmente in due punti vendita, uno aperto nel 2013 e uno nel 2016. Si contraddistingue per un particolare format: si tratta di pescherie che vendono un prodotto specificatamente locale e del Mar Mediterraneo. Ciò che caratterizza Kyo Fish sono la qualità e la diversità dell’offerta di pesce e questo lo si fa informando il cliente finale attraverso degustazioni e aperitivi, facendo grande attenzione alla formazione del nostro personale. Si tratta di un’esperienza importante, che ci ha aiutato a comprendere meglio le esigenze del consumatore. Nel futuro sicuramente espanderemo questo progetto creando nuovi punti vendita». Come avviene il controllo della filiera del fresco e del congelato?

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Gamberoni. La Antonio Verrini & Figli commercializza centinaia di prodotti di tutte le tipologie e provenienti da ogni parte del globo. «Il processo è garantito dagli uffici di controllo della qualità che abbiamo all’interno della nostra organizzazione e che siamo stati tra i primi a implementare. Abbiamo poi procedure di controllo del prodotto ittico su ogni mercato all’ingresso e nelle varie filiali ci sono i responsabili di magazzino. Facciamo poi controlli durante la selezione del pesce presso il fornitore, un costante monitoraggio del prodotto in entrata e in uscita. Il tema del controllo non può prescindere dalla formazione del nostro personale, alla quale dedichiamo un’attenzione quasi maniacale! Infine, ci sono i controlli nei porti e a ridosso del mare svolti dalle Capitanerie di porto, mentre nei mercati ittici quelli delle ASL». Quanto è importante il tema della sostenibilità nella vostra attività? «Il tema della sostenibilità è legato alla qualità. Sostenibilità significa che i pescatori non possono sbarcare certe tipologie di prodotto, vuol dire selezionare i fornitori e usare solo imbarcazioni con certi requisiti, non andare a sfruttare il mare, rispettare le maglie di pesca delle reti: il pescatore deve risponderne! Il segreto per crearsi una clientela fidelizzata è la trasparenza e su questo fronte noi comunichiamo davvero tutto».

Quanto è cambiato il mercato ittico negli ultimi 20 anni? E quanto il consumatore finale? «Sono cambiate le abitudini di consumo ed è aumentato quello di prodotti ittici. Attraverso i media oggi il consumatore è più consapevole nel perseguire stili di vita e di alimentazione corretti, che comprendono anche più porzioni settimanali di pesce». Due parole sull’ultima acquisizione, la catena a marchio Giopescal. «Con questa acquisizione completiamo il percorso di presidio di tutti i canali da parte della nostra realtà. Un punto di contatto diretto col consumatore finale attraverso una catena già ben conosciuta ed avviata che ci permetterà di allargare la nostra proposta commerciale e attivare nuovi interessi. L’obiettivo è quello di condividere il nostro “format” sui prodotti e i servizi, evidenziando le nostre eccellenze in fatto di conoscenza delle materie prime, organizzazione e controllo dei processi e della filiera, prevedendo importanti investimenti per ammodernare i punti vendita e mirando a un posizionamento più attuale in linea della catena con la qualità e il nostro know-how». >> Link: www.verrini.com

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Da Aller Aqua mangimi speciďŹ ci per le larve e gli avannotti di pesce 58

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Una produzione affidabile di avannotti di elevata qualità è fondamentale per un’acquacoltura di successo. Questo vale sia per un miglioramento della qualità delle specie ittiche già allevate sia per chiudere il ciclo di produzione delle nuove specie emergenti. Si possono verificare mortalità elevate nelle avannotterie se le condizioni ambientali biotiche ed abiotiche non rientrano nei parametri ottimali, quale naturale conseguenza della gestione riproduttiva di molte specie ittiche. L’allevamento di molte specie fa ancora affidamento sull’approvvigionamento di alimento vivo per i primi stadi di vita del pesce. In effetti, la scoperta e l’utilizzo estensivo di rotiferi ed artemie è stato di gran lunga l’elemento trainante alla base dell’importante sviluppo della produzione in acquacoltura. Ciononostante, il grande impegno nella ricerca per il passaggio a diete artificiali ha reso possibile, negli ultimi anni, la sostituzione di questi ultimi agli alimenti vivi. ALLER AQUA si è adoperata per alimentare gli avannotti nelle loro

Larva di orata di 33 giorni (photo © Dr. Bernd Ueberschär).

prime fasi di vita con alimenti ottimali e specifici. Alcune specie ittiche, quali gli avannotti di trota iridea, necessitano di diete più energetiche, al contrario di altre. Una serie di test effettuati presso il centro studi Aller Aqua Research a Büsum, in Germania, hanno dimostrato una crescita più rapida, un indice di conversione più basso ed un miglior assorbimento dei principi nutritivi da parte degli avannotti di trota iridea laddove alimentati con mangimi più energetici. Per queste

Aller Aqua A/S Allervej 130 DK-6070 Christiansfeld Web: www.aller-aqua.com

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motivazioni, Aller Aqua ripropone la sua linea di mangimi ALLER FUTURA EX GR con un contenuto più elevato di grassi ed energia dedicati specificamente al fabbisogno nutrizionale della trota iridea e di altri salmonidi. Al contempo, il Gruppo presenta ed introduce ALLER THALASSA EX GR, con un rapporto bilanciato lipidiproteine più adatto alle larve ed agli avannotti delle specie ittiche marine come alle altre specie che richiedono un fabbisogno energetico inferiore.

Sede italiana Via Valvasone 8 33072 Casarsa della Delizia (PN) Telefono: 434 873111 Fax: 434 873101 E-mail: alleraqua@gmail.com Web: www.aller-aqua.it

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Elicicoltura 3.0

Chiocciole in Franciacorta A Monterotondo e Passirano nel Bresciano Tania e Manola Bosio allevano chiocciole a ciclo naturale biologico completo. E grazie alla collaborazione con il prestigioso Istituto Internazionale di Cherasco, oggi l’azienda la Regina del bosco organizza un allevamento di elicicoltura che estrae anche secreto, utile per prodotti cosmetici di Riccardo Lagorio

Sono campi recintati che sbracciano circondati dai vigneti della Franciacorta quelli di TANIA e MANOLA BOSIO, giovanissime gemelle-custodi delle chiocciole bresciane allevate a ciclo naturale e biologico completo. La realizzazione di un sogno, una

passione che prende forma nel 2015, dopo la laurea: il desiderio di un lavoro a contatto con la natura le porta ad approfondire un tema che avrebbe potuto garantire un buon rendimento, ma che soprattutto fosse… verde. «Ma cercavamo anche

un lavoro che ci desse la possibilità di destinare un poco del nostro tempo all’impresa edile di nostro padre», racconta Manola. Gli incontri con SIMONE SAMPÒ, presidente dell’Associazione Nazionale Elicicoltori e direttore dell’Isti-

La famiglia Bosio. Il progetto aziendale ha preso vita grazie all’interesse verso il mondo delle chiocciole di Tania, che ha poi coinvolto l’intera famiglia.

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A sinistra: grazie alla precisione e all’imprenditorialità di Roberto Bosio, il papà di Tania e Manola, i recinti sono allineati tra loro in modo tale da aderire naturalmente al concetto greco di bellezza (photo © www.facebook.com/ lareginadelbosco.bio). A destra: chiocciole Helix aspersa in allevamento (photo © www.facebook.com/lareginadelbosco.bio). tuto Internazionale di Elicicoltura di Cherasco (CN), hanno fatto scoccare la scintilla perché «l’elicicoltura oggi rappresenta una valida alternativa ai sistemi tradizionali di allevamento, offrendo inoltre l’opportunità di interpretare il proprio ruolo in una dimensione imprenditoriale grazie alla creazione di una filiera ricca e diversificata. Dentro ci sono possibilità a portata di tutti: per chi desidera un ritorno al rapporto con la terra ed i suoi ritmi, chi ha un talento nel commercio, dalla gastronomia alla cosmesi, ai dispositivi medici, e ideale per chi possiede doti organizzative e comunicative», ha ricordato Sampò. Un progetto di elicicoltura 3.0, insomma. Le gemelle Bosio aderiscono senza tentennare al Disciplinare Chiocciola Metodo Cherasco e nel 2016 il primo impianto a Montero-

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tondo di Passirano (BS) è pronto. Manola spiega che «si parte dall’idea che le chiocciole vengono nutrite esclusivamente con vegetali freschi e senza ricorso ai mangimi. Oltre a garantire un prodotto alimentare sano e nutriente, ciò permette la creazione di una filiera che consente anche l’estrazione della bava, chiudendo il processo con la sua trasformazione per i settori della cosmetica, farmaceutica e i prodotti per la cura degli animali. Questo sistema non prevede la soppressione delle chiocciole». Operazione resa possibile grazie all’utilizzo del macchinario MullerOne per l’estrazione della bava di lumaca: un processo frutto della ricerca condotta dall’Istituto Internazionale di Elicicoltura, che ha permesso di superare i sistemi tradizionali ed ha offerto l’opportunità di raggiungere l’obiettivo di

Tra le colline moreniche franciacortine, La Regina del bosco nasce dal desiderio della famiglia Bosio di stare a stretto contatto con la natura e gli animali. L’azienda è cresciuta rapidamente, con un progetto chiaro di sviluppo, e nel 2017 ha ricevuto il premio Lumaca d’oro, durante il Festival della chiocciola

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La Regina del bosco conta due allevamenti elicicoli a ciclo naturale completo di 20.000 m2 totali (photo © www.facebook.com/lareginadelbosco.bio). estrazione di bava con un metodo innocuo per gli animali. Il principio alla base del funzionamento è l’utilizzo dell’ozono per l’abbattimento delle cariche batteriche e di una soluzione stimolante a base naturale che non provoca danni alle chiocciole esposte al processo estrattivo, mentre gli altri sistemi prevedono impianti di acidificazione e vibrazione, che possono causare lesioni alla chiocciola. «La bava viene da noi conservata e poi trasformata a Cherasco», chiarisce Manola. La buona riuscita dell’investimento fa sì che i recinti raddoppino nel giugno 2017

e raggiungano la dimensione di 2 ettari dove crescono circa 2 milioni di chiocciole, metà destinate all’estrazione di bava, metà al settore alimentare. Le chiocciole destinate a uso alimentare devono crescere almeno 12 mesi per avere un guscio solido. «Le vendiamo vive, spurgate e insaccate da noi, oppure surgelate da parte dell’Istituto Nazionale Elicicoltori. Un laboratorio terzo provvede a preparare spiedini di chiocciola alla pancetta affumicata, che vengono consumati con polenta. Vendiamo tutti questi prodotti nel nostro spaccio, a pochi chilometri dagli allevamenti».

Il cibo delle chiocciole consiste di colza, cavolo nero, bietola e varie insalate amare. L’assenza di diserbanti, di mangimi per gli animali e la raccolta a mano fanno di questa giovane azienda uno dei pochi esempi a livello nazionale. «Uno dei momenti di soddisfazione più grandi, e di cui siamo più orgogliose, è sicuramente coinciso con la crescita dei primi esemplari fino al peso e alle dimensioni ideali per la vendita», riferiscono le due gemelle. Nel mese di dicembre intanto, anche prendendo spunto da esperienze condotte da parte dell’Istituto Internazionale di Elicicoltura di Cherasco, a Monterotondo di Passirano, Manola e Tania Bosio inaugurano “Coccole e chiocciole”, un’azienda didattica provvista di percorso benessere, al cui interno si trova anche una stuzzicheria in funzione per aperitivi, cene, eventi e cerimonie. In sostanza, una costola dell’Accademia della Chiocciola Metodo Cherasco, dove si propongono percorsi didattici per i bambini oltre a corsi di cucina e abbinamento vinochiocciole per gli adulti tra i filari della Franciacorta. Riccardo Lagorio La Regina del bosco Via Casaglia 41/A 25039 Travagliato (BS) E-mail: info@bionaturabosio.it Web: lareginadelbosco.bio

Lumache alla lombarda INGREDIENTI • 48 lumache lessate e sgusciate • g 50 di burro • g 50 di acciughe • 1 spicchio d’aglio • 1 cipolla • 1 ciuffo di prezzemolo • ml 80 di vino bianco secco • g 60 di farina • olio extravergine d’oliva • sale • pepe PREPARAZIONE Le lumache alla lombarda sono un contorno molto speciale che stupirà i vostri amici. Per prima cosa, fate rosolare lo spicchio d’aglio in un tegame con 3 cucchiai di olio. Una volta tolto l’aglio, aggiungete il burro, le alici dissalate, pulite e tritate, il prezzemolo e un quarto di cipolla mondati. Dopo aver fatto sciogliere le alici, aggiungete la farina e cominciate a mescolare attentamente. È a questo punto che potete aggiungere le lumache lasciandole insaporire per bene. Bagnatele con il vino e regolate di sale e di pepe. Cuocete il tutto a fuoco basso per circa un’ora con il tegame coperto. Servite caldo. Accorgimenti: nel momento in cui andate ad aggiungere la farina alle acciughe ormai sciolte, mescolate bene per non formare grumi.

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INDAGINI

Italiani seafood lovers, ma attenti alla sostenibilità La ricerca di MSC e GlobeScan sui consumatori di prodotti ittici mette in luce abitudini, percezioni, motivazioni nell’acquisto e sensibilità verso la sostenibilità Marine Stewardship Council, in collaborazione con GlobeScan1, ha condotto, all’inizio del 2018, la più grande ricerca globale sui consumatori di prodotti ittici investigando alcuni temi fondamentali: abitudini, percezioni, motivazioni nell’acquisto e sensibilità verso la sostenibilità. La ricerca è stata condotta in 22 mercati: Australia, Austria, Belgio, Canada, Cina, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Giappone, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia, Singapore, Sudafrica, Spagna, Svezia, Svizzera, UK e USA. In totale sono stati intervistati 18.909 consumatori di prodotti ittici. Per l’Italia, il panel rappresentativo era composto da circa 800 persone. Per la prima volta è stato anche identificato un nuovo segmento: i seafood lovers, veri appassionati di pesce. Italian seafood lovers Relativamente al consumo di prodotti ittici, non ci sono particolari sorprese: il 95% degli Italiani è

formato da consumatori abituali, soprattutto al Sud e nelle Isole (97%), seguiti da Nord-Est e Centro (entrambi 94%) e Nord-Ovest (93%), mentre il dato interessante è che il 44% dei consumatori può essere identificato come seafood lover. Questo dato pone il nostro Paese ai primi posti come percentuale di appassionati di prodotti ittici, seguito da Francia e Svezia, ben distanti dalla media globale (34% seafood lovers). Abitudini di consumo Il consumo di prodotti ittici è prevalentemente domestico (79% dei consumatori domestici consuma pesce almeno una volta a settimana), quello fuori casa è occasionale: una volta al mese o una volta ogni alcuni mesi. I consumatori italiani acquistano pesce al supermercato (84% degli intervistati), ma rimane rilevante anche il mercato locale e la pescheria. La tipologia di prodotto ittico più acquistata è il fresco (ancora

di più per i seafood lovers), seguito dall’inscatolato e dal surgelato. Tra le principali motivazioni di acquisto dei prodotti ittici al primo posto c’è la freschezza; al secondo, la necessità di essere certi che il prodotto sia sicuro per la salute; al terzo, che esso giovi alla salute. Ma gli Italiani sono anche interessati a sapere da dove vengono i prodotti che mangiano, e pertanto, a seguire, citano la tracciabilità come uno dei principali criteri di acquisto. Anche la sostenibilità è presente tra le motivazioni, ma non ancora ai primissimi posti come avviene in altri Paesi. Sostenibilità I consumatori italiani pensano alla sostenibilità prima di tutto in termini di rispetto dell’ambiente e, soprattutto, in relazione all’inquinamento. Per gli intervistati, le tematiche più rilevanti sono tre: l’inquinamento (plastiche) al primo posto, successivamente la pesca eccessiva, infine il cambiamento climatico. I seafood lovers presentano le stesse preoccu-

The Marine Stewardship Council (MSC) è un’organizzazione internazionale no-profit. La nostra visione è che gli oceani siano pieni di vita, oggi, domani e per le generazioni future. Il nostro programma di etichettatura e certificazione riconosce e premia le pratiche di pesca sostenibili con l’obiettivo di creare un mercato di prodotti ittici sostenibile. Il marchio blu pesca sostenibile MSC indica che i prodotti derivano da un’azienda di pesca certificata indipendente, su base scientifica, seguendo lo standard MSC per la sostenibilità ambientale della pesca, e che sono tracciabili e riconducibili a un approvvigionamento sostenibile. Più di 300 aziende di pesca in 34 paesi sono certificate secondo lo standard MSC per la pesca sostenibile. Queste aziende pescano circa nove milioni di tonnellate all’anno, che rappresentano il 12% del pescato globale. Più di 20.000 prodotti ittici nel mondo hanno il marchio blu MSC. >> Link: www.msc.org/it

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Dalla recente indagine effettuata dal Marine Stewardship Council, in collaborazione con GlobeScan, risulta che la tipologia di prodotto ittico più acquistata dagli Italiani è il fresco, seguito dall’inscatolato e dal surgelato.

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pazioni, ma con valori più elevati. La sensibilità degli Italiani è cresciuta rispetto al 2016 (+25%) e oggi il 78% è consapevole che, acquistando prodotti ittici provenienti da fonte sostenibile e certificata, si contribuisce alla salute degli oceani e si permetterà alle generazioni future di avere ancora risorse ittiche a disposizione. Marine Stewardship Council: il marchio blu L’84% degli intervistati sostiene che le dichiarazioni di sostenibilità delle aziende dovrebbero essere supportate da una certificazione indipendente accompagnata da etichette chiare. L’etichetta e il packaging risultano essere il veicolo preferito dagli Italiani (55%) per avere informazioni sulla sostenibilità dei prodotti ittici. Gli Italiani sembrano anche avere compreso che, per tutelare la salute degli oceani, ognuno può e quindi deve fare la sua parte, a partire proprio dalle scelte d’acquisto: il 68% predilige prodotti ittici certificati ogni volta che è possibile (23%) e occasionalmente (45%). Grazie all’incremento sugli scaffali del numero di prodotti certificati MSC (730 prodotti MSC maggio 2018, +50% vs 2017; dati MSC) e alla spinta delle campagne di sensibilizzazione e comunicazione, l’awareness di MSC si assesta intorno al 44%. L’aspetto rilevante è la crescita, pari a 20%, della “comprensione” di cosa ci sia dietro il marchio blu da parte degli

intervistati. Il marchio blu MSC aiuta i consumatori a fare la scelta giusta in modo semplice: il consumatore non è un biologo marino e difficilmente riesce a fare valutazioni complesse legate a specie, attrezzo di pesca e aree di pesca. MSC presenta anche una credibilità molto alta: l’82% degli Italiani che conoscono MSC dichiara di avere fiducia nel marchio blu. La conferma dei dati Nielsen Quanto evidenziato dalla ricerca sui consumatori 2018 è rafforzato dalle rilevazioni Nielsen, che hanno fornito preziosi insight sugli acquisti reali degli italiani. Dai dati NIELSEN relativi al venduto a valore2 di prodotti ittici3 si evince come la sensibilità verso la sostenibilità non sia solo un concetto astratto, ma si traduca sempre più in acquisti concreti, favorendo le aziende che hanno deciso di investire in sostenibilità. Infatti, i prodotti a marchio blu MSC hanno un trend positivo e crescono mediamente tre volte più delle categorie considerate: prodotti con marchio blu +12% vs totale categorie ittiche +4%. «I dati della ricerca svolta all’inizio del 2018 sono una prova concreta del fatto che la sensibilità degli Italiani nei confronti della sostenibilità sia in crescita e che sia sempre più radicata la consapevolezza che ognuno ha una responsabilità personale nel momento in cui, da consumatore, può fare una scelta per muovere un

ulteriore passo verso la sostenibilità, per un mondo con oceani pieni di vita anche nel futuro» dichiara FRANCESCA OPPIA, program manager di MSC Italia. «I dati mostrano che in Italia sono stati fatti degli importanti passi avanti sul piano della sostenibilità dei prodotti ittici, ma che molto deve essere ancora fatto. Noi di MSC riteniamo che le sfide future siano sostanzialmente due: offrire anche nel fresco prodotti ittici certificati e lavorare con i pescatori locali per promuovere la sostenibilità dei prodotti ittici dei nostri mari». (Fonte: MSC – Marine Stewardship Council) Note 1. GlobeScan è un istituto di ricerca che svolge indagini sulla reputation, sui brand, sulla sostenibilità, sull’engagement e sui trend. L’approccio di GlobeScan, basato sulla raccolta di dati, consiste nell’intervistare pubblico generalista e/o target specifici, a seconda della necessità del committente. GlobeScan ha sede a Londra, San Francisco e Toronto e il suo network di partner di ricerca si espande in più di 70 paesi. 2. Anno mobile aprile 2018 vs aprile 2017; Iper, Super, Libero Servizio, Discount in Italia. 3. Surgelati, piatti pronti, conserve, refrigerati (escluso fresco a peso variabile).


ANALISI DI SETTORE

A gonfie vele i consumi di alimenti surgelati nel 2017 in Italia: si sfiorano i 14 kg pro capite Molto bene le vendite dell’ittico sotto zero (+5%) e in genere le vendite al dettaglio (+3,1%). Calano le carni, ritornano a crescere i piatti ricettati di Roberto Villa

Il consumo dei prodotti surgelati in Italia, nel 2017, è cresciuto del 2% rispetto al 2016, in particolare le vendite sono aumentate nel canale al dettaglio (+3,1%) per un volume pari a 531.500 tonnellate di prodotti, mentre il catering si è mantenuto su un +0,3% (310.000 tonnellate vendute). Nel 2017 sono state acquistate complessivamente circa 841.500 tonnellate di prodotti

surgelati, con performance al top per l’ittico (+5% rispetto al 2016), le pizze (+2,1%) e i vegetali (+1,8%). È questa la fotografia scattata da IIAS, l’Istituto Italiano Alimenti Surgelati, contenuti nel “Rapporto annuale sui consumi dei prodotti surgelati”. I surgelati sono stati premiati dai consumatori sicuramente per le loro prerogative intrinseche: alta qualità organolettica, naturalità, disponibi-

lità in tutti i mesi dell’anno, elevati contenuti nutrizionali, ampiezza e varietà dell’offerta, trasparenza delle informazioni in etichetta. «Negli ultimi anni, le aziende del comparto — ha affermato VITTORIO GAGLIARDI, presidente IIAS — sono riuscite a interpretare correttamente le nuove esigenze del consumatore, mixando la richiesta di prodotti a maggior contenuto “salute & benes-

Alta qualità degli ingredienti, ricettazioni tradizionali ma nello stesso tempo innovative, velocità nelle modalità di preparazione, attenzione al bilancio nutrizionale rappresentano le prerogative principali che fanno della categoria dei piatti ricettati la migliore risposta alle necessità dei consumatori e del loro rinnovato stile di vita, che lascia sempre meno spazio alle preparazioni alimentari domestiche. Nel 2017 ne sono stati acquistati 45.500 tonnellate (tra dettaglio e catering), con un incremento del +1,9% rispetto all’anno precedente (photo © JackF – stock.adobe.com).

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I consumatori apprezzano la qualità e soprattutto il servizio dei prodotti ittici surgelati già puliti e pronti al consumo, consapevoli anche delle tecniche di lavorazione ottimali messe in atto dalle ditte produttrici e della sostenibilità della produzione garantita dalla certificazione MSC di cui molte aziende del settore si sono ormai dotate. sere” con quella di un elevato grado di servizio/praticità. Ma una delle principali ragioni del loro successo è che sono un vero “antidoto” contro gli sprechi alimentari. Anche una recente ricerca1 realizzata in Italia per fotografare il fenomeno del food waste lo conferma: i surgelati pesano solo il 2,5% di tutto il cibo che sprechiamo a livello domestico, contro un rimarchevole 63% dei prodotti freschi e un non trascurabile 30% di quelli confezionati a breve scadenza». Se il 2017 è stato un anno “eccezionale” per il consumo di surgelati, i primi mesi dell’anno in corso impongono una cautela nelle previsioni per il 2018. «È ancora troppo presto per fare dei consuntivi o delle previsioni — ha commentato ancora Gagliardi — ma il primo

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trimestre di quest’anno ci rimanda un andamento in chiaro-scuro. Se rapportiamo i dati 2018 con quelli del 2016, vediamo che il settore registra una crescita, a volume, di due punti percentuali circa. Dall’altra parte, però, i primi tre mesi di quest’anno, paragonati con un periodo straordinario come i primi tre mesi del 2017 (quando ci fu un gennaio con forti gelate che portarono ad una scarsa disponibilità di prodotti freschi, se non a prezzi particolarmente elevati), mostrano una partenza a rilento, che ha caratterizzato di fatto l’intero largo consumo e il food. Nel complesso, alla luce delle nostre esperienze pregresse, le aspettative delle aziende per il 2018 sono per una normalizzazione del trend da qui ai prossimi mesi, che consentirà di crescere nuovamente».

Consumi pro capite in aumento. Crescono le vendite porta a porta Nel 2017 il consumo di prodotti surgelati in Italia si è attestato al valore di 13,9 kg pro capite, con un nuovo incremento rispetto al 2016, in cui si erano registrati 13,6 kg, una tendenza alla crescita in linea con tutti i Paesi europei, sebbene ancora distante dai quantitativi consumati nei paesi dell’Europa centro-settentrionale con la Germania in testa (46,3 kg pro capite). Il valore del mercato dei surgelati nel Belpaese è stimato tra i 4,2 e i 4,5 miliardi di euro. La penetrazione del mercato è altissima, al 95%, con oltre 25 milioni di famiglie che li hanno acquistati nel corso dell’anno passato, categorie di consumatori che, secondo una recente indagine Censis-Coldiretti, sono le stesse ad acquistare anche prodotti DOP, IGP e biologici. Le vendite di surgelati a domicilio sono cresciute più della media dell’intero settore (3,4%) e dimostrano che il servizio — inteso con riferimento sia alla praticità dell’alimento sia alla consegna — costituisce un elemento molto importante per una fetta sempre crescente di consumatori. Per vegetali e ittico i maggiori incrementi nei consumi. Invertono la tendenza negativa i piatti ricettati Un’analisi dettagliata dei dati 2017 permette di constatare una crescita in ogni segmento merceologico. In crescita i vegetali naturali, in particolare zuppe, passati e minestroni (e, tra questi, dei ricettati, cresciuti dell’8,5% rispetto all’anno precedente). I vegetali surgelati consumati nel 2017 — tra vendite al dettaglio e catering — sono stati 402.450 tonnellate (+1,8% rispetto al 2016), che li ha consacrati come un prodotto presente tutti i giorni sulle tavole degli Italiani. Crescono anche pizze e snack, che complessivamente registrano nel 2017 una crescita del +2,1% rispetto al 2016, con un consumo di 91.500 tonnellate. Questo segmento merceologico ha fatto passi da gigante sia in termini di innovazione che di qualità: l’offerta è divenuta sempre più varia, i prodotti sempre più simili a quelli

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“artigianali”, con un occhio di riguardo anche alle mode alimentari del momento, come l’uso di farine integrali o di kamut e le versioni senza glutine; da registrare l’exploit dei consumi delle “pizze grandi”, che guadagnano un +7% sul 2016. Un netto calo ha invece interessato le paste semilavorate, che registrano un –24,5% al dettaglio (con una perdita secca dalle 1.450 tonnellate del 2016 alle 1.100 del 2017, parzialmente controbilanciata dal catering che contiene la perdita secca dei volumi al –10%). Le patate surgelate — dopo la flessione del biennio 2015-2016 — fanno registrare, nello scorso anno, un balzo in avanti del +1%, per un totale di 145.350 tonnellate di patate consumate. Una menzione speciale meritano le tradizionali patate fritte, che tornano a crescere confermando l’alto gradimento dei bambini e non solo. Bene infine i dessert, con un +8,4% al dettaglio (4.500 tonnellate acquistate). Ittici surgelati crescono più dei freschi Performance al top anche per l’ittico: nel 2017 ne sono state consumate 113.400 tonnellate, con una crescita del 5% rispetto all’anno precedente, dato particolarmente interessante se confrontato con l’aumento dell’ittico nel complesso, compreso il fresco, che cresce solamente dell’1,4% (fonte Ismea-Nielsen). Nel solo canale al dettaglio, il pesce naturale

registra un incremento del +7,1% (acquisti per 30.300 tonnellate); stessa crescita per molluschi e crostacei (30.000 tonnellate); ma anche le versioni panate e pastellate chiudono l’anno con risultati lusinghieri (33.700 tonnellate pari a un +3,1%). I consumatori ormai apprezzano la qualità e soprattutto il servizio di questi prodotti già puliti e pronti al consumo, consapevoli anche delle tecniche di lavorazione ottimali messe in atto dalle ditte produttrici e della sostenibilità della produzione garantita dalla certificazione MSC (Marine Stewardship Council) di cui molte aziende del settore si sono ormai dotate. Nel canale catering l’incremento dei consumi di ittici surgelati è stato più modesto (+2,1%), con 19.400 tonnellate complessive. I piatti ricettati tornano a crescere La fine della crisi economica ha arrestato anche la decrescita, molto forte negli ultimi 6-7 anni, del settore dei piatti ricettati, che finalmente hanno iniziato a risalire nei volumi. Nel 2017 ne sono stati acquistati 45.500 tonnellate (tra dettaglio e catering), con un incremento del +1,9% rispetto all’anno precedente. Alta qualità degli ingredienti, ricettazioni tradizionali ma nello stesso tempo innovative, velocità nelle modalità di preparazione, attenzione al bilancio nutrizionale rappresentano le prerogative principali che fanno di questa categoria la migliore rispo-

sta alle necessità dei consumatori e del loro rinnovato stile di vita, che lascia sempre meno spazio alle preparazioni alimentari domestiche. Male le carni surgelate al dettaglio, tiene il catering Stabili i consumi di carni surgelate (26.350 tonnellate contro le 26.260 del 2016) — in controtendenza rispetto alle carni nel complesso, che hanno visto un +3,0% secondo lo studio Ismea-Nielsen — con un pano rama contraddistinto dalla frenata della carne rossa (–2,3% nel 2017), mentre le carni bianche surgelate sono salite dell’1,4%. Nei consumi al dettaglio, tra le carni rosse (il cui volume è sceso dalle 4.800 tonnellate nel 2016 alle 4.400 nel 2017) scendono hamburger (2.900 tonnellate, –3,3%) e carne impanata (1.500 tonnellate, –16,7%), mentre le carni bianche passano da 8.200 ad 8.000 tonnellate con un decremento del 2,4%. Nel canale del catering crescono invece sia le carni rosse (4.250 tonnellate, +4,9%) che le bianche (9.700 tonnellate, +4,9%). Roberto Villa 1. Dati 2017, Progetto “Reduce”, promosso dal Ministero dell’Ambiente in collaborazione con Università di Bologna-DISTAL, Politecnico di Milano-D ICA , Università della Tuscia-DEIM, Università di Udine-DEIS e ULSS 20 di Verona.

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MERCATI

Cresciuto del 6% in un anno

Pesce, un interscambio da 1,3 miliardi per la Lombardia Il commercio estero di pesce conservato e lavorato vale per la Lombardia 1,3 miliardi in un anno, con un +6% nel 2017 e una crescita che continua nei primi tre mesi del 2018 (+17% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente): sono i dati che emergono da una recente elaborazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi su dati ISTAT. Como regina delle esportazioni di ittico, precede Venezia, Rovigo e Rimini La Lombardia è quindi leader in Italia con un quarto dell’inter-

scambio totale che è di 5 miliardi. In particolare, l’export lombardo nel 2017 ha raggiunto quasi i 174 milioni di euro, +10%. Il pesce lavorato e conservato parte soprattutto da Como, prima in Italia con 142 milioni (+10,8%): concentra infatti l’82% dell’export regionale, un terzo circa di quello nazionale e precede Venezia, Rovigo e Rimini. In Lombardia bene anche Brescia (6,3%), Milano (2,5%), Cremona e Lodi (2% circa). I principali Paesi di destinazione del pesce lombardo sono Germania (11,7% del totale), Grecia (9,5%) e Svizzera (8%), ma in

forte crescita anche Israele (+58,9%) e Francia (+46,3%). Nell’import invece è Milano a primeggiare con 602 milioni (+8,3%), seguita da Venezia, Roma e Napoli a livello nazionale e da Como (10,6%), Lodi (7,7%) e Varese (6,2%) in regione. Da dove arriva il pesce lavorato in Lombardia? Soprattutto dalla Spagna (28,3% del totale, +7%). Seguono l’Ecuador (8%, +10,3%), i Paesi Bassi e la Francia (6,1%). In crescita Cile e Turchia (+35% circa). Le imprese del settore ittico sono 31.000 in Italia (+1,3%) e 1.644 in Lombardia (+4%). Prima a livello

Uno scatto all’interno del mercato ittico all’ingrosso di Milano, il più importante mercato di prodotti ittici in Italia per quantità, qualità e freschezza dei prodotti commercializzati, gestito da SO.GE.M.I. (photo © Azienda ULSS 9 Treviso). 72

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nazionale è Napoli con 2.320 attività, seguita da Rovigo con 2.186, Ferrara con 1.880 e Roma con 1.750. Il settore prevalente in Italia è quello della pesca con circa 12 imprese, seguito dal commercio all’ingrosso, con 8.000. In Lombardia, invece, si tratta soprattutto di commercianti all’ingrosso, quasi mille, seguono la vendita al dettaglio ambulante (254), i negozi al dettaglio di pesce e le attività di pesca e acquacoltura (circa 200). Il maggior numero di imprese, da un’elaborazione Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi su dati registro imprese 2018 e 2017, a Milano (758, +7,8%), Brescia (220), Varese (132, +3,1%) e Bergamo (105, +1%). «La pescheria di fiducia è punto di riferimento per il consumatore sia per la garanzia su qualità e freschezza dei prodotti che per i suggerimenti al cliente su come preparare al meglio i vari prodotti ittici acquistati» afferma ANGELO VALENTINI, consigliere ASSOFOOD (CONFCOMMERCIO Milano) e presidente del settore dettaglianti

Pescato crudo in vendita alla Pescheria Virgilio: il mercato con cambusa di Milano, in zona Cadorna. ittici. «È sempre richiesto il pesce da mangiarsi crudo, ma resta, in generale, la preoccupazione per il calo dei volumi, sia per il pescato

nazionale, sia per il pescato di qualità proveniente dall’estero e constatiamo, purtroppo, un continuo aumento dei prezzi all’origine».


COMUNICAZIONE

Tipico vendesi Abbiamo un patrimonio enogastronomico tra i più ricchi al mondo, vantiamo il maggior numero di prodotti a denominazione e, nonostante ciò, incontriamo forti difficoltà a far arrivare al consumatore un messaggio chiaro ed efficace sui cibi tipici e tradizionali. Di contro i consumatori, scarsamente informati, fortemente disorientati, non sanno come trovarli, dove acquistarli, come distinguerli di Sebastiano Corona

L’alimentare vive momenti di gloria. Non c’è canale televisivo in cui, ad una certa ora, non compaiano degli chef nel pieno delle loro funzioni; le sagre di prodotti locali si sprecano; i flussi turistici, secondo i sondaggi, sono in gran parte dovuti al desiderio di mangiare bene; l’export va a gonfie vele. Potrebbe bastare, forse. Ma non è così, tanto più che una fascia ampia di prodotti ha

comunque difficoltà a raggiungere alcuni mercati e ad ottenere la giusta remunerazione. Nel contempo, sono molti quelli di incerta provenienza e discutibile fattura che, in particolare all’estero, riescono a sfruttare parassitariamente il nome del prodotto tradizionale italiano per trarne grandi ed immeritati vantaggi. Il mercato del tipico porta in dote una serie di marchi e certificazioni

che hanno lo scopo di garantire qualità. Il rovescio della medaglia è che, in un mare di loghi, il consumatore non sa esattamente cosa scegliere, proprio perché stordito dall’abbondanza di elementi che non sono per lui così significativi. Si va dalle denominazioni europee quali DOP, IGP, STG — queste forse le più semplici da individuare — a marchi geografici collettivi, marchi pubblici

“La Pescheria” di Eataly Los Angeles. Nella comunicazione sul prodotto tipico il canale distributivo è di estrema importanza, in quanto modifica la percezione del consumatore sul prodotto stesso (photo © www.timeout.com). 74

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Trote del Trentino Igp. Nella promozione dei prodotti a denominazione gioca un ruolo fondamentale il Consorzio di tutela, che deve invitare, educare e informare il consumatore verso la scelta del prodotto giusto e il suo riconoscimento tra i tanti, in modo che questa azione compatta eviti fughe in avanti di imprese che pretendono di operare in solitudine, magari danneggiando concorrenti e mercato (photo © www.trentinoqualita.it). e privati, certificazioni di qualità, di prodotto, di origine… Molta confusione, dunque, nonostante gli investimenti importanti che negli anni sono stati fatti, a tutti i livelli in comunicazione. Si tratta, tuttavia, di un elemento non trascurabile, tanto più che un messaggio scarsamente efficace, o addirittura distorto, non solo non produce l’effetto sperato, ma paradossalmente è foriero di problemi, poiché dirotta il consumatore verso altri prodotti e finisce addirittura per premiare cibi di qualità e prezzo inferiore, generando danni importanti alla filiera. La questione non è dunque quanto comunicare, ma soprattutto come farlo. Il punto di partenza è il prodotto che si intende promuovere. Il tipico e il tradizionale sono strettamente legati al proprio vissuto, per questo nel nostro Paese assumono un tale peso. Nell’addentare una specialità regionale, il consumatore spera di rivivere l’esperienza sensoriale che lo riporta ad alcuni valori simbolici per lui importanti. Nel tipico, il connubio di odori, profumi, sapori, colori rievoca sensazioni che vanno al di là delle reali

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caratteristiche del bene. In sostanza, fa rivivere uno o più momenti della propria esistenza e questo fatto diventa il fattore chiave che fa apprezzare il prodotto al di là del suo gusto. Non a caso tipico e tradizionale evocano un senso di appartenenza e di gratificazione che subito riporta il consumatore alla sua famiglia, alla tradizione, all’infanzia e alla convivialità. Ed ecco che il prodotto e la sua qualità divengono la sintesi di una serie di elementi, dove la dimensione intrinseca (sapore, gusto distintivo, gradevolezza al palato) ha un ruolo parziale. Ci sono una serie di altri elementi di pari importanza, infatti. Tra questi, le caratteristiche estrinseche, cioè il suo aspetto, il colore, il formato, la confezione. È anche la sicurezza a guidare il consumatore: la sua convinzione che quel prodotto sia realizzato in condizioni igieniche ottimali, con l’impiego di materie prime genuine e sane, e possibilmente garantite da un ente terzo. Sorge subito dopo la necessità di accertare la provenienza geografica del cibo, che si intenda semplice luogo di trasformazione delle materie prime, o anche loro esatta zona di

coltivazione o allevamento. Subentrano, infine, con un’importanza affatto secondaria, elementi come il senso di appartenenza, e quindi la capacità di identificare il prodotto come un cibo della propria comunità, della propria cultura, della propria tradizione locale o famigliare. C’è inoltre un fattore strettamente soggettivo che induce ad acquistare una specialità tipica: l’emozione che evoca per un legame a ricordi personali. L’esperienza, che pure è un elemento importantissimo nella vendita dei prodotti alimentari, ha dovuto purtroppo cedere il passo alla necessità di razionalizzare ciò che si mangia per sentirsi più sicuri. Gli scandali alimentari degli ultimi anni, talvolta anche privi di fondamento — o anche solo dell’importanza che certi organi di stampa gli hanno volutamente assegnato — hanno generato nel consumatore una tale paura che l’esigenza di accertarsi che il prodotto sia genuino e privo di sofisticazioni è divenuto più importante del desiderio di esplorare in ambito alimentare. Va bene dunque l’assaggio di cose nuove, purché qualcuno assicuri che sono state opportunamente manipolate.

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Chef all’opera in occasione del Cacciucco Pride 2018 (photo © www.cacciuccopridelivorno.it). Un’importanza fondamentale nella comunicazione sul prodotto tipico è rappresentata dal canale. Quello non specializzato attribuisce automaticamente al prodotto un’aura di più scarsa qualità. Al contrario, il canale specializzato lo qualifica a prescindere dal fatto che abbia o meno elementi intrinseci di valore. Ciò che viene acquistato in canali despecializzati sembra dunque — agli occhi del cliente — mostrare una qualità inferiore rispetto allo stesso identico prodotto acquistato in negozi di specialità tradizionali, dove anche solo il nome del rivenditore diventa elemento di garanzia. Ne deriva che l’azione comunicativa assume un ruolo fondamentale, soprattutto laddove è necessario colmare il gap rappresentato dal canale distributivo che — come detto — paradossalmente rappresenta di per sé una variabile importantissima. E poiché le grandi superfici di vendita sono comunque indispensabili nella nostra vita quotidiana, chi sceglie quel canale per vendere il prodotto tipico si deve prendere la briga di intervenire per colmare il gap. E lo deve fare in ambito comunicativo, facendo cadere il pregiudizio del consumatore. Per questo può essere efficace una promozione che includa l’assaggio, ma anche la realizzazione di una linea specifica di prodotti tipici; si pensi a quelle che valorizzano le specialità regionali e

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che hanno talvolta anche degli spazi dedicati all’interno dello store, oltre che un marchio ben identificabile come garanzia di tradizione, di qualità e di provenienza. Queste tipologie di brand, pur essendo marchi privati dove è un operatore della Distribuzione Organizzata o della Grande Distribuzione Organizzata a fare una cernita tra prodotti a cui attribuire il marchio, appaiono agli occhi del mercato come brand collettivi, con tutta l’importanza che a questi viene normalmente riconosciuta. I brand industriali, al contrario di quelli dei distributori, non hanno un impatto forte sul consumatore. Paradossalmente, il fatto di investire grosse risorse in comunicazione rende il prodotto, agli occhi del mercato, come più dozzinale e la stessa campagna capace di snaturare il cibo proposto, svilendolo. Nell’immaginario collettivo, un prodotto buono, tipico, genuino, ha di per sé le carte in regola per essere apprezzato, pertanto non necessita di ampie campagne promozionali. Tutt’altro. C’è un ulteriore elemento che fa breccia nel consumatore: la scarsa specializzazione dell’azienda. Il produttore che ha un catalogo molto ampio e una produzione importante, per ovvie ragioni anche standardizzata, agli occhi del mercato si allontana dal tipico, a prescindere dal valore intrinseco del prodotto.

Ma le variabili risiedono altresì nella dimensione geografica, nella storia e nella cultura del luogo in cui il prodotto viene proposto. È chiaro che, a seconda della regione o della zona di provenienza, un certo tipo di comunicazione può essere infatti più o meno efficace. Va valutato quindi ogni singolo caso. Il consumatore esperto tende ad affidarsi al produttore locale associato al consorzio e, solo in seconda battuta, ad un negozio specializzato i cui prodotti gli sono però già noti, talvolta anche perché fregiati di una denominazione europea o di un marchio prestigioso. Il ruolo della marca, in generale, cambia in ragione del consumatore e di quanto sia esso preparato in materia di prodotti alimentari. I brand collettivi, pur avendo maggior presa rispetto a quelli industriali di una singola impresa, sono più facilmente riconoscibili dal consumatore esperto anziché da quello disinformato. L’estimatore è in grado di riconoscere le caratteristiche intrinseche dei prodotti, ma anche il luogo di provenienza, i processi e la stagionatura, se necessaria. Esistono altre contraddizioni. Il brand industriale su un prodotto tipico non è sempre un elemento negativo. Diventa infatti tanto più garanzia per il consumatore quanto più ci si allontana dalla zona di produzione. Coloro che comprano il prodotto tipico del proprio territorio lontano dalla propria zona di provenienza — soprattutto se all’estero — tendono ad acquistarlo in uno spazio di vendita non specializzato e per questo, a maggior ragione, si affidano al brand industriale. Tendenzialmente i consumatori ricercano il marchio industriale — come fosse un elemento di garanzia della qualità —, tutte le volte che si trovano lontani dal proprio territorio di provenienza, dove invece sono altri fattori a governare la fase d’acquisto. Quanto ai cibi a denominazione europea, sarà evidente, anche da una prima lettura dei dati su produzioni e vendite, che, a dispetto delle centinaia di prodotti che possono oggi vantare il prestigioso logo, le maggiori performance sono

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concentrate su poche decine di produzioni tradizionali, che da sole rappresentano il 90% del valore e della quantità venduta. La denominazione, quindi, pur essendo un formidabile valore aggiunto che concretamente aiuta ad affermare il brand in Italia e nel mondo, da sola non è sufficiente e anch’essa necessita di azioni di comunicazione per imporsi nel mercato. In più, nel caso dei prodotti DOP e IGP, c’è l’ulteriore aggravante che il prodotto non può essere modificato in ragione delle preferenze del mercato, perché il Disciplinare viene predisposto in base ad una serie di elementi che poco hanno a che vedere con le preferenze del consumatore. I prodotti a denominazione hanno, quindi, un vantaggio competitivo importante dato dal logo che li accompagna, ma, oltre a risultare poco dinamici perché impossibilitati a mettere in piedi elementi di differenziazione rispetto ai beni dei concorrenti, scontano anche tutte le difficoltà legate ad una platea

di produttori quasi sempre ampia e variegata e non necessariamente compatta e con una comune visione di sviluppo. Coloro che producono lo stesso cibo a denominazione hanno poche possibilità di differenziarsi dal partner/concorrente, proprio perché costretti da un Disciplinare rigido sul quale i margini di manovra sono minimi. Di contro, le politiche di prezzo hanno ridotte differenze rispetto ai prodotti privi di denominazione e addirittura rispetto ai prodotti non tipici. Il prodotto a denominazione è pertanto costretto giocoforza a collocarsi su una fascia alta, ma con poche possibilità di aumento o di diminuzione. Un abbassamento dei prezzi comprime eccessivamente i margini, ma un innalzamento notevole può dirottare su prodotti similari. I canali di distribuzione, anche in ragione di quanto detto sopra, sarebbero preferibilmente quelli del lusso, dalla ristorazione di alto livello ai negozi specializzati. Tuttavia, per quanto riguarda le pro-

duzioni dove non ci sono problemi di sorta sui quantitativi, sia le grandi superfici della GDO sia l’estero sono ottimi riferimenti. Nella promozione dei prodotti a denominazione gioca un ruolo fondamentale il Consorzio di tutela, che ha grandi poteri sui soci, con effetti importanti di regolazione del mercato. Sul piano promozionale, il Consorzio, sopra ogni cosa, deve spingere all’acquisto con un’azione di promozione collettiva, ma anche invitare, educare e informare il consumatore verso la scelta del prodotto giusto e il suo riconoscimento tra i tanti, in modo che questa azione compatta eviti fughe in avanti di imprese che pretendono di operare in solitudine e magari danneggiando concorrenti e mercato. Che si tratti di denominazioni o di brand privati è comunque evidente che è sempre un’azione collettiva corretta a dare i maggiori frutti. Insomma, anche in questo caso si può dire che l’unione fa la forza. Sebastiano Corona

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CONSUMI

API: nel periodo estivo il consumo di pesce è aumentato E quello allevato in Italia è sano e sicuro, parola di Pier Antonio Salvador

Produzione acquacoltura italiana (t) e corrispettivo valore per il 2017 (000. euro) Specie

Impianti a terra e a mare (tonnellate)

Impianti vallivi e salmastri (tonnellate)

Totale (tonnellate)

Valore PLV (migliaia di euro)

Spigola

5.600

500

6.100

48.556

Orata

9.000

500

9.500

73.435

Ombrina

250

250

1.900

Anguilla

600

250

850

10.000

Cefalo

2.700

2.700

9.500

35.100

35.100

114.485

Salmerino di fonte

800

800

3.600

Pesce gatto

600

600

3.300

Carpa

600

600

2.700

Storione (*)

1.000

1.000

7.000

Altri pesci (**)

1.800

1.800

13.500

55.350

3.950

59.300

287.976

Trota

Totale piscicoltura

(*) escluso il valore prodotto dal caviale. (**) saraghi, persico spigola, persico trota, salmerino alpino, tinca, temolo, luccio, ecc…

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sare il livello del colesterolo e dei trigliceridi. «E i nostri allevamenti ittici — ha sottolineato Salvador — seguono criteri rigorosi per offrire un prodotto sempre fresco, sicuro e controllato, che possa soddisfare la crescente domanda di pesce pregiato a costi contenuti». L’acquacoltura — ricorda API — contribuisce anche a preservare l’ambiente e le risorse marine: consente di prelevare soltanto il quantitativo di pesce richiesto dal mercato, che arriva sulle tavole fresco, senza eccessi o sprechi di prodotto. La professionalità degli operatori e l’accuratezza dei controlli garantiscono l’intercambiabilità tra i prodotti di acquacoltura e il pescato tradizionale, come ha confermato anche l’Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari (ISPA) del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche). «Più del 50% dei prodotti dell’acquacoltura e della pesca viene consumato fuori dalle mura domestiche e il consumatore deve essere correttamente informato e sapere che il pesce made in Italy è di qualità supe-

Pier Antonio Salvador. riore — ha concluso il presidente dei piscicoltori — mentre non sempre il prodotto importato da altri Paesi offre le medesime caratteristiche e garanzie. Per questo chiediamo una più forte azione a tutela del consumatore e delle produzioni ittiche nazionali, prevedendo l’obbligo di indicare l’origine e il metodo di produzione anche da parte degli operatori della ristorazione collettiva». LB Comunicazione

Mangiare pesce fa sempre bene, in ogni stagione dell’anno. Anche nel corso di questa estate 2018 il consumo di prodotti ittici è stato caratterizzato da un trend crescente. «Per meglio rispondere alle esigenze dei consumatori — ha sottolineato PIER ANTONIO SALVADOR, presidente dell’Associazione Piscicoltori Italiani, aderente a CONFAGRICOLTURA — è aumentata la produzione nazionale dell’orata, specie molto richiesta (dalle 7.600 tonnellate del 2016 siamo passati alle 9.500 tonnellate del 2017 e il trend positivo si è confermato anche nel 2018), anche se il pesce più allevato in Italia resta la trota, con 35.100 tonnellate prodotte nel 2017». Il pesce è un’importante fonte di elementi minerali, di proteine ad elevato valore biologico, ma soprattutto di acidi grassi polinsaturi Omega-3, alcuni dei quali sono contenuti esclusivamente nei prodotti ittici. Tali componenti entrano nella costituzione delle nostre membrane cellulari, sono essenziali per lo sviluppo cerebrale e della retina, contribuiscono ad abbas-

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IL PESCE IN TAVOLA

Pesce persico… aspettaci che arriviamo! di Giorgia Fieni

A volte ci lamentiamo del fatto che in Italia siamo “in ritardo” rispetto al progresso mondiale. Succede nei campi della legislazione e della tecnologia ma anche in gastronomia. In Europa centrale, per esempio, conoscevano il perca già da molto tempo quando è stato avvistato nelle acque del nostro Stivale… Vero è che, probabilmente, si devono all’italiano MASTRO MARTINO DA COMO le prime indicazioni sul come cucinarlo. Nel 1596, poi, in occasione della visita del cardinale FEDERICO BORROMEO, i parroci del Lago Maggiore ne acquistarono una notevole quantità per far fronte all’organizzazione dei ventisei pranzi e cene previsti per l’occasione. Come a dire, gustatevi una nostra specialità.

Perciò, con i suoi quasi 30 cm di lunghezza (ma l’ideale è fra i 12 e i 15, molto comuni non solo nel Maggiore, ma in tutti i laghi italiani), il colore verde e le pinne arancioni, di certo il pesce persico non è passato inosservato, soprattutto per il sapore prelibato (specie se pescato durante la tarda primavera). Il Perca fluviatilis (o reale) si può però confondere col variopinto, col boccalone e col trota, dalle carni comunque sode, rosate e molto delicate (da consumarsi tutte entro massimo 36 ore dalla pesca), ma appartenenti ad una famiglia differente. Seguendo dunque i consigli di Mastro Martino ancora oggi lo prepariamo bollito e fritto (ma coi consigli di DAVIDE BROVELLI: So di colleghi che lo impanano con il panko, niente in

contrario, ma per me niente è più adatto della farina 00 e dell’uovo intero. Una volta pronto per la cottura, si lascia tre-minuti-tre in olio di semi di arachidi, lo si scola benissimo e si serve: il top si raggiunge nel mix croccantezza esterna/morbidezza interna), ma con qualche variante: nel primo caso usando il latte, che lo rende più corposo, e completando con mandorle tostate e prezzemolo, mentre nel secondo si può optare per un fish and chips con la senape o per trasformarlo in cotoletta (con maionese e cetriolini) da infilare nel panino. Niente ci vieta di cucinarlo al forno: dalla panatura aromatizzata da timo e scorza d’arancia oppure nel cartoccio di carta fata ai sapori mediterranei (pomodorini, capperi

Filetti di pesce persico fritti (photo © Valentina Barone 2017).

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ed erbe aromatiche). O come risotto. PAOLO LOPRIORE lo serve coi singoli elementi in varie ciotoline così il cliente può comporsi il piatto da solo a suo piacimento. Se vogliamo spingerci oltre, possiamo provare coi sapori esotici di ananas, cardamomo, germogli e salsa di soia o con curry, brandy e zenzero. Ma anche con un cuscus, aglio e limone, con i noodles di riso, gamberi, tofu e cavolo cinese o col ceviche peruviano. O cotto assieme ai fagioli rossi. Noi Italiani, però, abbiamo un pregio: anche se ci accorgiamo in ritardo delle novità, sappiamo comunque crearvi delle ricette favolose che mescolano gusti differenti, recuperando così “alla grande” il tempo perduto. Sto pensando alle Tagliatelle di cacao al persico con salsa di fragole o ad avvolgerlo nel lardo e servendolo con patate al rosmarino, per esempio, oppure nella pasta sfoglia, per uno stupefacente “Persico in gabbia” (Rapidissimo da cuocere ed economico, scrive SONIA PERONACI, è perfetto sia per lasciare

Probabilmente si devono all’italiano Mastro Martino da Como le prime indicazioni su come cucinare il persico. Nel 1596, poi, in occasione della visita del cardinale Federico Borromeo, i parroci del Lago Maggiore ne acquistarono una notevole quantità per far fronte all’organizzazione dei ventisei pranzi e cene previsti per l’occasione. Come a dire, gustatevi una nostra specialità a bocca aperta, e nutrire in abbondanza, gli adolescenti famelici di casa, che per stupire marito, amici o parenti in occasione di una cena più importante, o più romantica). Ai filetti di persico al burro con champignons e salsa alla panna. Alle polpette di pesce gatto, persico e carpa che affiorano sul Risotto al brodetto, mantecato con purea di ostriche crude e completato con carpione e salsa di clorofilla di MASSIMO BOTTURA. Al persico impanato nella farina di mais, cotto in padella con

la salvia e messo negli spiedini con carote alla paprika in cartoccio e patate novelle al forno. Ai fagottini di pesce persico in pasta fillo (con patate, olive, pomodori secchi). Al persico in tartare con foglie di fico e semi di girasole tostati (RICCARDO CAMANINI). Ecco quindi che, con una solida tradizione alle spalle, siamo in grado di accogliere nuove tecniche e nuove materie prime e portarle nel futuro assieme a noi. Giorgia Fieni

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SAPORE DI MARE

Brodetto marchigiano: i magnifici quattro Ancona, San Benedetto del Tronto, Porto Recanati e Fano. Sono queste le località che, nella stessa regione, fanno a gara, ognuna con la propria versione, per darci un piatto prelibato che valorizza tutta la ricchezza e il gusto del pesce dell’Adriatico. L’Accademia del Brodetto, senza far torto a nessuno, ha ufficializzato tutte e quattro le ricette, e festival e sagre le celebrano di Nunzia Manicardi

La regione Marche ha tanti vanti e meriti tra cui primeggiano quelli gastronomici e, all’interno di questi ultimi, quelli relativi ai suoi fantastici brodetti di pesce. Sono ben quattro i brodetti di cui essa può fregiarsi, ciascuno legato ad una località: il capoluogo Ancona, la bella e antica

Fano (provincia di Pesaro e Urbino), il ridente centro balneare di Porto Recanati (provincia di Macerata) e l’importante porto peschereccio di San Benedetto del Tronto (provincia di Ascoli Piceno). Ognuna con le proprie caratteristiche, così come ognuno di questi quattro brodetti

sa distinguersi con le proprie prerogative. Elemento in comune: sono tutti ottimi! Per conservare le ricette tipiche dei brodetti marchigiani di queste quattro località si è anche costituita l’Accademia del Brodetto, che le ha ufficializzate depositandole presso un notaio di Ascoli Piceno.

Nelle Marche i quattro tipi di brodetto legati alle città di Ancona, Fano, San Benedetto del Tronto e Porto Recanati, sono stati ufficializzati, depositandone le ricette presso un notaio (photo © www.smartraveltoitaly.com).

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Caratteristiche generali Il brodetto ha origini marinare che risalgono lontano nel tempo. Era il piatto dei pescatori, di cui costituiva il principale, e quasi sempre unico, pasto quotidiano. Dentro vi finivano i pesci cosiddetti “poveri”, che della faticosa pesca erano il prodotto meno pregiato e quindi non destinato alla vendita ma non per questo meno gustoso, tant’è vero che oggi il brodetto è diventato una ricercata specialità che non di rado va prenotata giorni prima per avere la possibilità di trovarla abbondante e varia, oltre al fatto che richiede tempi lunghi di preparazione per cui, in alternativa, è possibile consumarla soltanto nel giorno settimanalmente prefissato sul menù. La tradizione della composizione “povera” dei brodetti continua in quelli attuali, arricchiti anche con altre specie ittiche che oggi, come nel caso del merluzzo, trovano posto fisso sui banchi del mercato. E anche i grandi chef lo propongono con soluzioni innovative e raffinate. Anche in passato non esisteva una ricetta unica e codificata, nep-

pure dalla tradizione, in quanto il brodetto non era che la risultanza di quello che in mare era possibile reperire al momento, per il bisogno fondamentale di nutrirsi. Il pescato era inoltre legato alla stagionalità e alla tipologia delle aree di pesca che venivano battute durante la giornata. Era chiamata in dialetto muccigna, l’insieme di quei poveri pesci di risulta cotti in un guazzetto di acqua di mare, aceto e olio d’oliva. Poi, una volta a terra, toccava alle mogli il compito, spesso ingrato, di renderlo il più possibile appetitoso e variato, se non altro per rompere la monotonia dell’alimentazione. Ed ecco quindi nascere varianti locali o addirittura per singole famiglie, che però non sono mai andate a costituire delle ricette vere e proprie. Per questo il brodetto marchigiano, così come tutti i brodetti in genere, rimane una preparazione culinaria molto elastica e creativa, in cui giocano un ruolo fondamentale non solo la disponibilità del pescato, ma anche la fantasia del cuoco di turno.

L’elemento in comune è dato ovviamente dalle specie ittiche, tutte adatte alla cottura in zuppa, tra cui si possono trovare (purtroppo oggi con sempre minore frequenza): scorfano, tracina, triglia, gallinella (detta anche mazzola), rana pescatrice o coda di rospo, pesce San Pietro, palombo, sogliola, cefalo, razza, rombo chiodato, merluzzo, seppia, calamaro; e poi tutte quelle con il guscio, come canocchia, scampo, gambero, granchio, lumachina di mare, cozze e vongole. Il brodetto richiede un particolare metodo di cottura perché i vari tipi di pesce vanno collocati in una pentola bassa, preferibilmente di terracotta, disponendo prima quelli con la carne più dura (come rana pescatrice, scorfano e triglia) e poi quelli con la carne più morbida (come merluzzo, palombo e seppie). Dei quattro brodetti marchigiani tre usano il pomodoro: Ancona, Fano, San Benedetto del Tronto (dove comunque è piuttosto chiaro, per la presenza di pomodoro verde). Porto Recanati si distingue per essere ancora “in bianco” (o, meglio,

Il brodetto di Porto Recanati (photo © www.ristorantedario.com/it).

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“bianco tendente al giallo” per la presenza di zafferanella). Ancona gode della ricetta considerata più classica, quella cioè che prevede la presenza di 13 varietà di pesce. A Fano si usa il vino bianco al posto dell’aceto, impiegato nelle altre zone. A San Benedetto del Tronto il brodetto sembrerebbe avere avuto le proprie origini non in mare, ma nel quartiere dei pescatori. Dicevamo delle 13, o perfino delle 20, varietà di pesce che, secondo alcuni, sarebbero indispensabili per un buon brodetto. Niente affatto, sostengono i cultori appoggiandosi all’opinione dei vecchi pescatori: un buon brodetto, un ottimo brodetto si può fare anche soltanto con due o tre varietà, perfino con una sola, come spesso succede a Fano. Quello che non deve mai mancare, e che costituisce il vero elemento in comune di tutti i brodetti, è la freschezza del pescato, che deve essere sempre rigorosamente dell’Adriatico, in particolare di quella parte prospiciente il luogo dove viene mangiato, ancora meglio se godendo nel frattempo del panorama del mare stesso. Inoltre, nel cucinare, bisogna fare attenzione a non toccare mai i pesci con mestoli o palette per evitare di romperli. Si deve utilizzare un tegame a due manici che va tenuto con entrambe le mani scuotendo il brodetto per smuoverlo di tanto in tanto. A cottura ultimata lo si versa su fette di pane abbrustolito. Ancona ne vuole 13 Ad Ancona la versione del brodetto comprende quelle 13 varietà di pesce da cui, a detta di esperti, non è possibile prescindere e che devono essere cucinati con aglio, cipolla, pomodoro rosso e aceto. In realtà il tredicesimo pesce è… il commensale! (anche perché questo numero, com’è noto, a tavola è considerato portasfortuna). Ricordiamo quali sono i pesci: seppie, calamari, canocchie, scampi, mazzole, ragno, scorfano, razza, rana pescatrice, palombo, triglie, boccaincava, molluschi a piacere. Seppie e calamari, essendo più duri, vanno precotti per una quindicina di minuti, ma anche alla consistenza delle altre

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Il brodetto sanbenedettese (photo © Picasa). specie bisogna prestare molta attenzione affinché qualcuna non rimanga cruda o diventi sfatta per l’eccessiva cottura. Dapprima, dentro un largo tegame di coccio smaltato, si prepara un soffritto, cotto lentamente, di olio evo con un trito di cipolla e uno spicchio d’aglio, poi si aggiunge mezzo bicchiere di aceto di vino bianco, che si lascia evaporare, e successivamente si unisce un trito di prezzemolo e una salsa di pomodoro (o concentrato diluito in acqua leggermente salata). Poi tocca ai pesci. A Fano vino bianco al posto dell’aceto Gli ingredienti a Fano sono più o meno gli stessi e nella medesima varietà di Ancona, che comunque cambia a seconda del tipo di pesca esercitato (de fora via o d’in bon). Si cuoce sempre in un tegame di coccio smaltato, usando però il vino bianco anziché l’aceto. Tuttavia, anche la scelta di aceto o vino dipende dalla qualità di pesce impiegato. Si fa dorare la cipolla con l’olio e un po’ di concentrato di pomodoro, si aggiunge il pesce, poi acqua e vino (o aceto), sale e pepe a piacere, e si lascia cucinare per 15-30 minuti. Si serve caldo e si mangia con fette di pane tipo toscano, abbrustolito, intinto nel sugo. È ottimo anche dopo alcune ore dalla preparazione.

A San Benedetto del Tronto è nato in paese (e non in mare) San Benedetto del Tronto è l’unico porto a reclamare la nascita del brodetto non in mare, ma nel quartiere popolare U labirintu, abitato da pescatori, pescivendoli, calafati, spagaroli e altri lavoratori del mare. Qui il brodetto è molto chiaro, con pomodoro verde, peperoni verdi, peperoncino, cipolla e aceto. In un tegame si fanno soffriggere, in olio extravergine d’oliva, le cipolle insieme con un po’ di peperoncino, dopo di che si mettono seppie, calamari e vino bianco; a seguire, pomodori verdi tagliati a pezzi grossi, peperone verde e rosso anch’esso a pezzi e, infine, palombo, rospo, mazzoline, scorfano, razza e canocchie. Si fa cuocere con il coperchio, a fuoco lento, per alcuni minuti e, prima di servire, si aggiunge del buon aceto di vino bianco. Si serve, come sempre, con pane abbrustolito. Il brodetto di Porto Recanati è l’unico di colore bianco Porto Recanati si contraddistingue per il brodetto “in bianco” con sfumatura gialle più o meno intense. Questo perché non c’è il pomodoro, ma il giallo dorato dello zafferanone o zafferanella, un’erba selvatica (cartamo in italiano) che cresce abbondante nell’entroterra chiamata anche zafferano selvatico del Cone-

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Pentolone per la cottura del brodetto durante la sagra di San Benedetto del Tronto. Anche Porto Recanati e Fano hanno le loro manifestazioni dedicate al brodetto: “La Settimana del Brodetto” e il “Festival Internazionale del Brodetto” (photo © Alessandro Giampaoli). ro. Questo brodetto, proprio per l’assenza del pomodoro, dovrebbe essere anche il più antico, secondo quanto sostengono alcuni. Non sarebbe frutto della tradizione, ma sarebbe stato inventato ai primi del ‘900 dal cuoco GIOVANNI VELLUTI, titolare di uno dei più antichi chalet dell’epoca. Già nel 1923 il Touring Club Italiano, in una sua pubblicazione, scriveva del “brodetto bianco che si prepara a sud del Monte Conero”, ricordando anche che esso veniva inviato già cotto a Milano. In realtà, anche l’origine del piatto di Porto Recanati affonda nella più pura, e povera, tradizione marinaresca, però indubbiamente ha subito delle evoluzioni per merito di singole persone, come nel caso appena citato. Rimanendo sul piano della tradizione, che ormai ha inglobato anche le innovazioni di inizio ‘900, il brodetto bianco richiede 9 o 11 varietà di pesce tra cui: seppia, merluzzo, gallinella (in dialetto, così come di seguito, mazzulina), palombo (stèra),

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pesce prete (’occa’in cà’u), scorfano (scòrfenu), tracina (ragnu), cicala (pannocchia), coda di rospo (rospu), sogliole (sfòja), triglia (rusciòlu), razza (ràggia), pesce San Pietro (sampietru). Si fa soffriggere in tegame, con olio evo, la cipolla affettata sottilmente, si aggiungono le seppie tagliate a pezzi, si lascia rosolare a fuoco lento, si ricopre con brodo di pesce e si aggiunge la zafferanella; poi sale, pepe, e si cuoce molto lentamente. In un’altra grande casseruola si sistemano a strati i vari pesci precedentemente infarinati, avendo cura di lasciare per ultimi quelli più teneri. Ad operazione ultimata si versa tutto il brodetto precedentemente ottenuto sulle seppie (già sistemate tra gli strati di pesce di cui sopra); si aggiungono in parti uguali acqua calda e vino bianco secco, si regola con sale e pepe e si porta a cottura a fuoco vivace per 15-18 minuti circa. Iniziative gastronomiche Numerose sono le iniziative per conservare e promuovere la tra-

dizione del brodetto di pesce. Al brodetto bianco di Porto Recanati è dedicata un’importante manifestazione, La settimana del Brodetto, che si svolge ogni anno nella prima settimana di giugno e che vede la possibilità di degustarlo presso i ristoranti locali aderenti, a prezzo promozionale. A Fano, nella prima metà di luglio, si tiene il Festival Internazionale del Brodetto (gemellato, a partire dal 2018, con l’omologo Cacciucco Pride di Livorno), cui partecipano grandi nomi della cucina italiana ed estera. E anche San Benedetto del Tronto ha la propria sagra, oltre ai tanti ristoranti attenti a riproporre il loro rinomato brudèt. Inutile dire che tutte queste manifestazioni, protagoniste assolute dell’Estate Adriatica, hanno sempre un grandissimo successo di pubblico e di critica, e concorrono, in maniera molto significativa, alla promozione della cultura e del turismo marchigiani. Nunzia Manicardi

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I PIATTI DI PESCE DI GREGORI NALON Filetti di baccalà al forno con verdure

Pesce spada scottato con verdure

Difficoltà: facile Preparazione: meno di 16 minuti Dosi: per 4 persone

Difficoltà: facile Preparazione: meno di 10 minuti Dosi: per 4 persone

INGREDIENTI • 4 filetti di baccalà Noriberica • g 200 di olio di oliva extravergine • sale, pepe • g 50 di albume d’uovo • g 15 di prezzemolo • g 100 di peperone rosso • g 100 di cipolla viola • g 100 di zucchine

INGREDIENTI • 4 tranci di pesce spada Noriberica • g 10 rosmarino fresco • 1/2 peperoncino fresco • g 30 di burro • 2 litri di acqua • carote • funghi champignons • alloro

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g 10 di basilico g 100 di farina di tipo 1 g 2 di zenzero fresco g 100 di carote g 100 di peperone giallo • 10 di aceto • g 100 di pomodorini ciliegino • g 5 di timo

Preparazione Tagliamo le verdure (peperoni, carote, cipolle e zucchine) in forme irregolari e le cuociamo a vapore per circa 10-12 minuti, quindi le lasciamo raffreddare. Intanto infariniamo i filetti e li sistemiamo in una teglia con carta da forno su cui versiamo un filo d’olio, del sale e una specie di cremina ottenuta montando leggermente il bianco d’uovo con prezzemolo, peperoncino e zenzero tritati. Mettiamo in forno per 6 minuti a 210 ºC (con sonda cuore a 66 ºC, se il forno ne dispone). Nel frattempo, in una padella, con un filo d’olio, aggiungiamo le verdure cotte e raffreddate in precedenza, i pomodorini crudi, aceto, sale, pepe e spadelliamo velocemente. Al termine della cottura, aggiungiamo un trito di basilico e timo e siamo pronti per impiattare. Presentazione Mettiamo le verdure nel piatto, appoggiamo sopra il pesce e decoriamo con prezzemolo emulsionato e gocce di riduzione di balsamico.

• 2 spicchi di aglio • g 5 di timo • g 50 di olio extravergine di oliva • g 100 di vino bianco • sedano rapa • porro • pomodorini ciliegino • prezzemolo fresco

Preparazione Mentre facciamo bollire 2 litri d’acqua per cuocere le verdure, in un padella con olio, rosoliamo l’aglio, il rosmarino, il timo ed il peperoncino. Adagiamo poi lo spada e rosoliamo, per pochissimo tempo (1 min. circa) da ambo le parti, aggiungendo sale e pepe. Togliamo dal fuoco, mettiamolo spada da parte e, nella stessa padella, aggiungiamo un goccio di vino bianco, una noce di burro e la lasciamo sciogliere. Non appena l’acqua bolle, sbollentiamo le verdure tagliate a fette (sedano rapa, carote e porro) in acqua salata con poco olio ed alloro per 40 secondi e le scoliamo. A seguire, nella padella dove abbiamo sciolto il burro, rimuoviamo aglio e rosmarino e aggiungiamo i funghi champignons e i pomodorini. Uniamo anche le verdure sbollentate, aggiustando con sale e pepe. Non appena sono pronte le verdure, aggiungiamo prezzemolo tritato e togliamo dal fuoco. Presentazione Sistemiamo nel piatto al centro le verdure. Sopra mettiamo il pesce spada tagliato in due e condiamo con il sughetto delle verdure e olio extravergine d’oliva.

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Filetto di sgombro al forno fumé

Tartare di tonno con cipolla viola in agrodolce all’arancia

Difficoltà: facile Preparazione: meno di 8 minuti Dosi: per 4 persone

Difficoltà: facile Preparazione: meno di 20 minuti Dosi: per 4 persone

INGREDIENTI • 5 Filetti di sgombro Noriberica • g 50 di olio affumicato • 4 patate lesse • g 50 di olio extravergine di oliva

INGREDIENTI • g 450 di tonno Noriberica • g 30 di olio affumicato • pepe • g 20 di sambuca • g 100 di acqua • g 50 di aceto bianco • timo

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8 fettine di bacon g 2 di erba cipollina sale pepe prezzemolo fresco salsa di soia

Preparazione Mentre facciamo bollire le patate con la buccia, tagliamo i filetti di sgombro in due o tre pezzi, li condiamo con l’erba cipollina, sale, pepe e una spolverata di buccia di limone. Li avvolgiamo nelle fette di bacon affumicato e li disponiamo su una teglia con carta da forno, sulla quale versiamo un filo d’olio affumicato. Andiamo in forno per 7 minuti a 200 gradi. Nel frattempo, prepariamo il contorno di patate schiacciate. Prendiamo le patate bollite in precedenza, eliminiamo la buccia, le schiacciamo con una forchetta e aggiungiamo del prezzemolo sminuzzato, olio affumicato, pepe, sale e mescoliamo. Non appena i filetti sono pronti, possiamo impiattare. Presentazione Sistemiamo le patate nel piatto, bagnate con salsa di soia, e al di sopra, disponiamo i filettini di sgombro.

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crostini al curry buccia di arancia sale sedano g 400 di cipolle g 100 di succo di arancia g 50 di zucchero grezzo g 50 di insalatine verdi

Preparazione In una padella con un filo d’olio, aglio e zucchero grezzo, cuociamo le cipolle, aggiungendo aceto e un goccio d’acqua, che ci serve per caramellarle. Prima che l’acqua evapori, allunghiamo con succo d’arancia. Quando restringe, prima di spegnere, aggiungiamo buccia d’arancia e rimuoviamo l’aglio. A parte, in un recipiente versiamo del sedano sminuzzato, la buccia di arancia e la sambuca. Insaporiamo con sale, olio affumicato e lasciamo da parte. Nel frattempo, tagliamo a cubettini il tonno, lo uniamo al recipiente col sedano e mettiamo in frigo a marinare per 60 minuti (oppure sottovuoto per 15 minuti). Una volta marinato, sistemiamo il tonno in uno stampino e siamo pronti ad impiattare. Presentazione Sistemiamo al centro del piatto lo stampino col tonno; attorno disponiamo l’insalata verde. Rimuoviamo lo stampino, aggiungiamo le cipolle e i crostini al curry.

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CONVEGNI

Pesce azzurro: alte potenzialità nutrizionali e freschezza garantita tutto l’anno Un alimento sano indicato per tutti: focus sui segreti e i valori del pesce azzurro, protagonista di un incontro organizzato a Bologna da Accademia Nazionale di Agricoltura e Accademia Italiana della Cucina Il terzo incontro de “I Mercoledì dell’Archiginnasio”, ciclo di conferenze sulle eccellenze dell’agroalimentare italiano, svoltosi lo scorso 19 settembre presso il Cubiculum Artistarum dell’Archiginnasio di Bologna, è stato dedicato al pesce azzurro, un vero e proprio tesoro del mare. Ad inaugurarlo il presidente dell’Accademia Nazionale di Agricoltura, prof. G IORGIO CANTELLI F ORTI ; moderatrice, la prof.ssa ROSANNA SCIPIONI, dell’Accademia Italiana della Cucina – Delegazione

di Bologna dei Bentivoglio. Durante la conferenza diversi esperti hanno dibattuto i temi legati ai numeri della produzione di pesce in Italia e alle valenze nutrizionali legate alla tradizione culinaria ittica nazionale. «Il pesce azzurro comprende diverse specie ittiche caratterizzate da una colorazione blu scuro per il dorso e argentata sul lato ventrale. Vi sono specie di piccole dimensioni: alici, sardine, spratti, alacce e specie grandi quali sgombri, lanzardi, sugarelli, palamiti, alalunghe, alletterati, tonni e pesce spada» ha spiegato il

professor CORRADO PICCINETTI del Laboratorio di Biologia Marina e Pesca di Fano (Università di Bologna), nel suo intervento sul Valore del prodotto. «Ogni specie ha caratteristiche biologiche diverse, con delle modalità di pesca particolari che tra l’altro sono variate negli anni e nelle aree. Tutte le specie di pesce azzurro compiono spostamenti più o meno ampi. Per quantità pescate e consumate le specie più importanti sono l’alice e la sardina. La pesca italiana di alici e sardine, specie con ciclo biologico

Sardine.

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Tartare di tonno. breve — ha proseguito Piccinetti — presenta variazioni annuali legate al variare delle condizioni ecologiche che influenzano in modo diverso le singole specie. Vi è un’elevata differenza tra il valore del pesce azzurro alla produzione ed il valore nei diversi passaggi commerciali, fino al consumatore finale. I prezzi del pescato risentono del mercato internazionale che funziona da calmiere equilibratore potendo importare o esportare le stesse specie in funzione della differenza di valore. La regolamentazione della pesca anche del pesce azzurro viene fatta dalla Commissione europea e non

sempre tiene conto delle situazioni ecologiche dei mari italiani e degli aspetti socio economici del settore. Ciò è alla base della forte contrazione del settore produttivo ittico, che in vent’anni ha ridotto di oltre il 50% la produzione italiana». «Gli Italiani sono forti consumatori di pesce definito “azzurro” in quanto, oltre ad un costo più contenuto, si presta a molte preparazioni semplici ma di gradevolissimo sapore» ha detto il dott. OLIVIERO MORDENTI del Corso di laurea in Acquacoltura di Cesenatico (Università di Bologna), nel suo intervento su Valore nutrizionale e nutraceutico. «Il pesce azzurro, proprio perché

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ripieni di sapore!

pescato in tutti i mari italiani e quindi vicino ai mercati di vendita, offre la massima garanzia di freschezza ed economicità. È inoltre presente nella maggior parte dei mercati italiani quasi tutto l’anno. Le carni del pesce azzurro contengono proteine di elevato valore biologico (ricche di amminoacidi essenziali) — ha continuato Mordenti —, quantità variabili di grassi e trascurabili quantità di carboidrati. Nei grassi dei pesci azzurri sono abbondanti gli Acidi Grassi Polinsaturi (PUFA) ed in particolare quelli del tipo Omega-3 a cui viene attribuita l’azione preventiva per l’uomo nei confronti delle malattie cardiovascolari in quanto hanno la proprietà di abbassare i livelli di colesterolo e trigliceridi. La carne del pesce azzurro è costituita da fibre muscolari corte e con scarsità di tessuto connettivo che la rendono indicata per bambini ed anziani che richiedono cibi nutrienti e di agevole masticazione. Il basso contenuto di tessuto connettivo migliora, inoltre, la digeribilità cioè l’utilizzazione dei principi nutritivi da parte del nostro organismo. In conclusione il pesce azzurro è un alimento che offre un apporto di nutrienti completo. Deve, tuttavia, essere conservato adeguatamente e consumato rapidamente in quanto facilmente deperibile». >> Link: accademia-agricoltura.it

PRONTO IN MINUTI

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RASSEGNE

Terra Madre Salone del Gusto edizione 2018, il futuro è donna L’evento numero uno targato Slow Food dedicato ai cibi del mondo rientra negli spazi del Lingotto dopo l’esperienza open air di due anni fa e il suo fondatore, Carlo Petrini, lo inaugura sottolineando il valore e la forza delle donne, spina dorsale dell’alimentazione, dalla cucina all’agricoltura passando per allevamento e pesca a livello globale. Sono le donne che alimentano il pianeta di Gaia Borghi

Nello spazio riservato ai convegni delle fiere del Lingotto, inaugurando la 12a edizione del Salone del Gusto, l’ottava per Terra Madre, il fondatore di Slow Food CARLO PETRINI parla ad una sala gremita, di giornalisti, rappresentanti istituzionali, uomini

e donne del cibo arrivati a Torino da ogni parte del mondo. A loro Petrini racconta della soddisfazione del lavoro fatto in ventidue anni dal movimento della chiocciola, lenta sì, ma tutto sommato non così tanto se si guarda “da dove” si partiva, se ci si

ferma ad ammirare orgogliosamente gli importanti traguardi raggiunti. «Quando abbiamo iniziato questa avventura — dichiara Carlo Petrini — la sensibilità sulle tematiche del cibo non era assolutamente paragonabile a quella di oggi. Ricordo anzi

Il forum di Terra Madre dedicato alle Regine dei mari. A livello mondiale, circa metà della popolazione coinvolta nel mondo di pesca e acquacoltura è femminile. Ma il divario tra uomini e donne nelle posizioni di comando è forte e le donne soffrono di più gli effetti di una pesca non sostenibile (photo © Elena Cerino Abdin/Archivio Slow Food).

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MILANO, VIA SOLARI 12


che in apertura della prima edizione del Salone del Gusto dissi “il giorno in cui il cibo avrà la stessa attenzione della moda forse potremo dire che abbiamo risolto un problema di dignità e valorialità”. Oggi ci siamo arrivati, anche se l’approccio mediatico alla gastronomia non rende giustizia del percorso intrapreso in questi due decenni». Eh sì, perché il cibo oggi è davvero sotto i riflettori, al centro dei discorsi della gente, protagonista della comunicazione a 360 gradi, web, TV, carta stampata. «Pure troppo» ironizza Carlin. «Non se ne può più di programmi televisivi deliranti nei quali ci sono persone che spignattano ad ogni ora del giorno e della notte. Tra l’altro, dietro ai fornelli, ci sono quasi sempre uomini. Eppure la “cultura del cibo” è donna. Sono le donne la spina dorsale della cucina e, prima ancora, dell’agricoltura, dell’allevamento, della pesca». La parola alle donne Diversi gli appuntamenti nei quali le donne hanno avuto un ruolo di primo piano, con dibattiti specifici

sugli stereotipi ancora vivissimi nella società contemporanea, dalla caduta dell’angelo del focolare alla manager in carriera, e sulla ricerca di un nuovo equilibrio. Valga su tutti il forum Dal campo ai ristoranti: potere alle donne, durante il quale LELLA COSTA ha coordinato alcuni interventi di produttrici e cuoche della rete di Slow Food, partendo da un concetto fondamentale. «La questione femminile si fonda su un equivoco: che riguardi solo le donne» ha detto l’attrice. «È un errore stupido, perché le questioni femminili non riguardano solo le donne ma tutti. Anche e soprattutto gli uomini. Il talento delle donne è una risorsa straordinaria. Da valorizzare, sostenere, ammirare». Bilanci e prospettive per il 2020 I dati finali forniti dall’ente organizzatore parlano di numeri in linea con la manifestazione di due anni fa (i passaggi registrati al Lingotto sarebbero 220.000), l’esperienza all’aperto tra il centro e il Parco del

Valentino che tanto aveva diviso gli operatori, chi entusiasta e chi totalmente insoddisfatto per le difficoltà logistiche incontrate e per l’impossibilità reale di affrontare l’orda barbarica, che si ritrova spesso negli eventi a carattere alimentare, fatta di persone che pensano solamente a riempirsi la bocca senza rendersi nemmeno conto di ciò che hanno di fronte. In barba alla famosa “educazione” del consumatore. Qualcosa di simile si è visto anche quest’anno e, raccolte tante e diverse opinioni in giro per i padiglioni, apparsi in generale un po’ sottotono rispetto alle aspettative, può essere sia arrivato il momento di fermarsi un attimo e “ripensare” un appuntamento che è davvero unico nel suo genere, così importante per Torino, l’Italia tutta e oltre. Quello che rende magici il Salone del Gusto e Terra Madre, infatti, sono la “rete” che ne sottende la realizzazione, il principio di accoglienza, i produttori che lottano da sempre contro l’omologazione del gusto, per la salvaguardia del proprio territorio, di antichi saperi

Trota con pomodori verdi e salsa di vino bianco e salvia preparata al Salone del Gusto da Anton Kalenik, executive chef al Minsk Marriott Hotel, in Bielorussia. Il pesce d’acqua dolce ha un ruolo da protagonista nella cucina bielorussa, la carpa soprattutto (photo © Alessandro Vargiu/Archivio Slow Food).

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L’area Slow Fish a Terra Madre Salone del Gusto. Nei giorni dell’evento sono stati tanti gli appuntamenti dedicati agli studenti di età differenti arrivati al Lingotto con i propri insegnanti. Sono loro i consumatori del futuro.

Fish4Ever è un marchio e, prima ancora, un’azienda che vende pesce in scatola speciale. “La nostra scelta di fare affidamento a piccole imbarcazioni e supportare scelte sostenibili ci permette di avere un’eccellente tracciabilità dei prodotti. Con al massimo 4 fasi che portano dalla pesca in mare alla confezione in tavola, Fish4Ever è la miglior scelta per voi, per i pescatori e le loro comunità e per l’ambiente” si legge nel sito di Fish4Ever. A Torino c’era CHARLES REDFERN, managing director dell’azienda. «Solitamente le piccole imbarcazioni hanno base locale e, di conseguenza, pescano localmente. Questo significa che i principali benefici e profitti della loro attività di pesca sono trasferiti anche alla comunità locale di cui fanno parte. Una piccola imbarcazione, ovviamente riconosciuta legalmente, rispetta i suoi lavoratori. Usa un’attrezzatura selezionata, che cattura solo le specie bersaglio con una percentuale minima di scarto o catture accessorie, senza danneggiare, o facendolo in maniera limitata, specie a rischio di estinzione e senza impatti su fondali, barriera corallina, fauna e flora del mare». Fish4Ever garantisce un approccio etico e la qualità dei prodotti proposti. Ha a cuore non solo le modalità di acquisto della materia prima, ma anche la qualità di ciò che confeziona e delle relazioni umane e sociali che intreccia con le persone con cui lavorano. Il suo approccio sostenibile, legato innanzitutto a una pesca di piccola scala e olistico, ossia che lega strettamente territorio, mare e popolazione, fa la differenza. >> Link: it.fish4ever.eu

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A sinistra: lo stand dell’azienda calabrese di trasformazione Cristaudo Luigi, prodotti ittici artigianali senza conservanti da Amantea (CS). A destra: lo stand dedicato alla bottarga di Orbetello, inserita tra i presidi Slow Food. e tradizioni millenarie, sono i 7.000 delegati giunti da tutto il mondo che, come ha ricordato DANIELE BUTTIGNOL, segretario generale di Slow Food, «fanno sì che da qui partano nuovi progetti per il futuro del nostro movimento e, soprattutto, la nostra proposta per una società migliore».

«Terra Madre è vedere chef israeliani e libanesi che cucinano insieme, delegati russi e statunitensi che discutono di un futuro comune, in cui è il cibo a rappresentare la soluzione», ha detto RICHARD MCCARTHY, direttore esecutivo di Slow Food USA, presentando Food for Change, la nuova campagna

di Slow Food che si concentra sulla relazione tra cibo e cambiamento climatico. Tanto è stato fatto, tanto c’è ancora da fare e il 2020 non è poi così lontano. Gaia Borghi >> Link: www.slowfood.it

Slow Fish è la campagna internazionale di Slow Food che si impegna per tutelare le risorse ittiche, gli ambienti marini e costieri e le comunità di pescatori artigianali in tutto il mondo. La sua posizione può essere riassunta così: scegliamo il pesce proveniente dai nostri mari, preferiamo pesci adulti e di stagione, riscopriamo i pesci poco conosciuti e NON consumiamo le specie a rischio di estinzione. Provate a rispondere a queste domande: Quanto pesce mangi alla settimana? Pensi che un pesce valga l’altro e che mangiare il salmone equivalga a mangiare uno sgombro? Sai che differenza c’è tra i pesci a ciclo vitale breve e lungo? E sai che anche i pesci hanno una propria stagionalità? Poni attenzione alle specie che acquisti e tendi a variare i pesci acquistati? Hai un pescivendolo di fiducia che ti indirizza nella scelta? I prodotti ittici costituiscono la fonte di proteine per 3 miliardi di persone e il reddito di 800 milioni di persone si fonda sulla pesca e sull’industria ittica. Secondo un recente report del WWF, nel 2014 nei paesi europei sono stati spesi 34,57 miliardi per acquistare prodotti ittici. In totale nei paesi europei si consumano 7,5 milioni di tonnellate di pesce all’anno (33,4 chilogrammi pro capite contro i 19,2 chili consumati in media a livello globale). Di questi, 2,75 milioni di tonnellate sono pescati localmente, i restanti 5 milioni sono prodotti di importazione (photo © Alessandro Vargiu/Archivio Slow Food). >> Link: slowfood.com/slowfish/welcome_it.lasso

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Tradizionalmente, il mestiere della pesca è appannaggio degli uomini. Tuttavia, esistono donne pescatrici e la presenza femminile è ben attestata nel settore della trasformazione del prodotto ittico. Nel forum di Terra Madre dedicato alle Regine dei mari, nell’area tematica #foodforchange Slow Fish, abbiamo ritrovato ritratti di donne coraggiose che hanno fatto del mare e della pesca la loro vita, e della lotta per vedere riconosciuti i diritti dei pescatori e l’uguaglianza di genere una pratica quotidiana (photo © Elena Cerino Abdin/Archivio Slow Food). • La prima testimonianza arriva dall’Africa, dall’Angola, con DOÑA ERNESTINA ANTÓNIO CHIPITA, trasformatrice di pesce e direttrice esecutiva della cooperativa Centro de Salga e Seca de Apoio às Mulheres Processadoras. Ha iniziato a dedicarsi alla pesca da giovane ma ha sempre sentito di poter creare qualcosa di più: dando ascolto al suo slancio imprenditoriale, fonda un’associazione per professionalizzare coloro che lavorano nella filiera della pesca. In un paese come l’Angola, le sfide per una donna che aspira ad un ruolo dirigenziale sono durissime. • Interviene AKEISHA CLARKE, in rappresentanza della comunità di pescatori della Piccola Martinica, a poca distanza dall’isola madre Grenada. Da poco è entrata a far parte del progetto Slow Fish Caribe che promuove la gestione sostenibile delle risorse naturali, essenziale per combattere la povertà e garantire la sicurezza alimentare. «Sono una pescatrice: è una vita dura, ma è indescrivibile il contatto con il mare che vive un pescatore, mestiere imparagonabile con altri». La pesca è la fonte primaria di sostentamento per la comunità, ma non è organizzata nel più efficiente dei modi. «Le donne devono agire, non limitarsi a sperare che i mariti prendano decisioni giuste». • Arriva il turno di HILDA ADAMS, pescatrice, contadina e attivista sudafricana. «Col progetto Coastal Link vogliamo dare a donne, uomini e giovani delle comunità di pescatori su piccola scala le conoscenze, le competenze e la capacità di diventare agenti di cambiamento all’interno delle proprie comunità, organizzazioni e movimenti sociali, promuovendo e combattendo per la sovranità alimentare e la giustizia socio-economica, politica e ambientale in Sudafrica. Possiamo essere di ispirazione, per mostrare quello che possiamo fare insieme se ci sono leggi e regole, ma chiare e uguali per tutte. Vogliamo tutelare sia noi che l’oceano». • «Sono pescatrice di frutti di mare e ostriche» racconta JUCILENE VIANA JOVELINO dal Brasile. «È dal mare che ho appreso tutto quello che so e a lui devo tutto ciò che sono». Mare che è sinonimo di sostenibilità. «Il legame con la natura e col mare è fonte di vita, per questo non voglio piegarmi all’industria e alle sue logiche, la mia attività deve essere sostenibile». • AURIZANIA DELGADO MONTEIRO, di Capo Verde, spiega: «La condizione della donna nel mio paese è difficile, in particolare è elevata la differenza nel tasso di analfabetismo, che tocca punte altissime». Ciò rende le donne vulnerabili e deboli. «Lavoro nel mercato del pesce insieme a molte donne e lì ogni giorno cerco di valorizzare il potenziale che vedo in loro, anche se faticano a prendere coscienza dei loro talenti. Io ho avuto la fortuna di poter studiare e metto a frutto gli strumenti che ho per continuare con orgoglio la mia attività al mercato insieme a loro. Credo sia importante restare nel mio Paese e continuare a sostenerle, a sostenerci a vicenda». • Esperienza diversa quella di ADELAIDA LIM, chef e attivista alimentare delle Filippine. «Ho deciso di aprire un locale che fosse un punto di incontro per artisti, in cui raccoglierci per nutrire corpo e anima. Ho detto sì soltanto al cibo di stagione, fresco e locale: ogni pasto che serviamo è per noi una dichiarazione politica». Il ristorante è lontano dal mare, ma dal mare arrivano gli ingredienti per creare il pezzo forte del menu, la salsa patis, simile alla colatura di alici, con l’aggiunta di peperoni. Solo dopo qualche settimana di fermentazione si ottiene una saporita salsa ambrata. • La giovane ANAHI DE FRANCESCO vive e lavora come pescatrice di frutti di mare nella Patagonia argentina. «Per me la pesca è un’esperienza immersiva, nel senso che sono una sub e quindi non mi limito a raccogliere i frutti di mare dalla spiaggia, ma mi immergo per trovarne di diversi. Da poco sono alla guida di una piccola associazione dedicata alla pesca di costa con reti e di frutti di mare. Sono molto soddisfatta dei traguardi raggiunti con le mie attività, ma vorrei che i miei fratelli tornassero alla pesca tradizionale, come me, perché lavorano in quella industriale, dai guadagni facili, ma dalle conseguenze pericolose». • ALICE MILLER, ricercatrice e direttrice dell’IPNLF (International Pole and Line Foundation), chiude il forum. «Lavoriamo sulla pesca del tonno in tutto il mondo, per migliorare la gestione e le tecniche di pesca. Promuoviamo e sosteniamo le comunità costiere che si dedicano alla pesca aiutando a rafforzare i diritti economici, sociali e culturali delle donne pescatrici ed evidenziare il loro contributo all’industria tonniera. C’è ancora molto da fare per promuovere la parità professionale tra uomini e donne nel settore dei prodotti ittici».

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Prende forma la terza edizione di AquaFarm Il 13 e 14 febbraio 2019 sono le date da segnare in agenda per la terza edizione di AquaFarm, mostra-convegno internazionale dedicata all’acquacoltura, algocoltura e industria della pesca, alla Fiera di Pordenone. Ricchissimo il prospetto del programma delle conferenze. Spazio espositivo in crescita La Fiera di Pordenone, con AquaFarm 2017, ha riportato in Italia una manifestazione internazionale dedicata all’allevamento e alla pesca sostenibile delle specie ittiche, dei molluschi e crostacei. La terza edizione si svolgerà il 13 e 14 febbraio 2019 e gli organizzatori sono al lavoro con gli stakeholder e i maggiori esperti del settore per mettere a punto un programma che copra tutti i più importanti temi dell’acquacoltura, molluschicoltura e della coltura e raccolta delle alghe. Ruoli di primissimo piano sono quelli di API – Associazione Piscicoltori Italiani e di AMA, che riunisce i molluschicoltori. Già definita l’ossatura dell’agenda riguardante l’allevamento ittico. Il convegno di apertura sarà dedicato alle tematiche di mercato, normative e di sostegno al settore, con la partecipazione della autorità nazionali e locali. Si snoderanno poi, nel corso delle due giornate, convegni e seminari sui molteplici aspetti dell’attività di acquacoltura. Si inizierà

Il convegno di apertura sarà dedicato alle tematiche di mercato, normative e di sostegno al settore, con la partecipazione di autorità nazionali e locali

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con mangimi e nuove formulazioni, ingredienti, integratori per la qualità del prodotto, la salute e il benessere dei pesci, esaminando legislazione e regolamentazione, ma anche le tecniche più recenti e innovative in materia di biosicurezza. Ad AquaFarm si parlerà anche dei diversi aspetti relativi alle tecnologie per l’ambiente in allevamento, gestione delle acque, ossigenazione, controllo dei parametri qualitativi dell’acqua. Come nell’edizione 2018, un focus sarà dedicato alle fasi finali del ciclo produttivo, distribuzione e consumo con interventi di esperti e rappresentanti aziendali del mondo GDO e HO.RE.CA, anche al servizio del settore pubblico. La ristorazione e il catering su larga scala sono infatti uno sbocco attuale e potenziale molto interessante per il pesce d’allevamento di qualità e a filiera tracciabile made in Italy. Due sono le nuove sessioni previste nel programma: una dedicata alle avannotterie e alle prime fasi di vita dei pesci, che tratterà di selezione genetica in avannotteria, alimenti e integratori specifici, gestione sanitaria; la seconda sarà dedicata alle prospettive a breve e medio termine dell’acquacoltura, alle nuove specie e ai nuovi metodi di allevamento. Verrà inoltre realizzato un focus sul FEAMP in scadenza nel 2020, dove verranno presentate le indicazioni che stanno emergendo dal lavoro in corso, a livello di Commissione UE, sulla prossima programmazione del fondo.

Prosegue a pieno ritmo l’attività commerciale nei riguardi di espositori e sponsor. Molte le aziende nazionali ed estere che hanno rinnovato la propria adesione ed altre che hanno deciso di investire nella manifestazione dopo aver partecipato da visitatori nel 2018. Un trend interessante da segnalare è la crescita della superficie media degli spazi prenotati e l’interesse crescente di aziende estere. >> Link: www.fierapordenone.it

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WEEK-END

A settembre il Sanma Festival celebra il pesce più apprezzato della stagione

Sapori d’autunno a Tokyo: sanma e funghi matsutake Per la gastronomia giapponese l’autunno è una stagione di abbondanza. In questo periodo dell’anno, infatti, sono moltissimi i cibi che raggiungono piena maturazione e possono essere gustati in tutta la loro bontà: cachi, castagne, patate dolci, i pregiati e carissimi funghi matsutake — che crescono solo nelle foreste di pini dell’isola e sono caratterizzati da un tipico aroma particolarmente intenso — e, soprattutto, il pesce sanma, la costardella o luccio sauro del Pacifico, di cui gli abitanti di Tokyo sono particolarmente ghiotti. Una leggenda narra che molto tempo fa

il celebre shōgun TOKUGAWA IEMITSU, intento a svagarsi con la falconeria nella zona di Meguro (uno dei quartieri di Tokyo), giunse affamato ad una locanda dove chiese cibo. Qui gli servirono un piatto a base di sanma, da sempre pesce economico e popolare. Mai ricetta fu più apprezzata! Meguro Sanma Matsuri Per celebrare l’evento ogni anno ad inizio settembre, dal 1996, si svolge il Sanma Festival di Meguro (Meguro Sanma Matsuri), noto anche come Meguro Sun Festival, durante il quale vengono serviti circa 7.000

Pacific saury, pesci argentei, lunghi come lame. La quantità a disposizione può sembrare enorme ma, vista l’affluenza (pare che le persone inizino a mettersi in fila alle 6:00 del mattino e gli stand iniziano a servire il pesce alle 10:00) e il grande successo, meglio accaparrarsi velocemente un posto (e un piatto). Se fallite nell’impresa, potete sempre dirigervi verso i ristoranti specializzati di alta gamma come il Wakuta di Ginza e il Rihga Royal Hotel Tokyo di Shinjuku. Fonte: Tokyo Convention & Visitors Bureau

Il “sanma” è un pesce osseo marino e migratore del Pacifico settentrionale (Cololabis saira, Brevoort, 1856, costardella del Pacifico o luccio sauro del Pacifico) appartenente alla famiglia Scomberesocidae. Il colore è blu o verde scuro sul dorso e argentato su fianchi e ventre.

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LA PAGINA SCIENTIFICA

Identificazione di specie di molluschi bivalvi mediante pirosequenziamento Lo sviluppo del commercio dei prodotti ittici negli ultimi anni a livello globale ha segnato anche un aumento delle frodi commerciali di prodotti preparati e trasformati, dove la lavorazione rende difficile l’identificazione della specie. Per contrastare questo fenomeno ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) hanno messo a punto un metodo biomolecolare per l’identificazione di specie di molluschi bivalvi basato sull’analisi del DNA mediante pirosequenziamento in prodotti freschi e lavorati. Lo studio, pubblicato sul JOURNAL OF THE SCIENCE OF FOOD AND AGRICULTURE, ha permesso di identificare specie molto comuni come cozze, vongole e ostriche, e altre meno note come canestrelli, telline e cannolicchi. Metodi biomolecolari per contrastare le frodi Quello delle frodi alimentari è un fenomeno che colpisce il settore agro-alimentare, ma che può avere ripercussioni anche sulla salute dei consumatori, per esempio con la presenza di allergeni non dichiarati. Perciò, la Commissione europea ha preso in seria considerazione la problematica e ha definito una rigida strategia di controllo con l’adozione di nuovi regolamenti comunitari. La verifica delle frodi da parte dei servizi veterinari nazionali mediante metodi di identificazione di specie tradizionali, come l’analisi morfologica e l’isoelettrofocalizzazione, è resa problematica dalla difficoltà di analizzare prodotti lavorati le cui caratteristiche morfologiche e proteiche sono spesso assenti o degradate. Le analisi biomolecolari, tra cui il pirosequenziamento, consentono invece l’identi-

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ficazione rapida e univoca delle specie a partire sia da prodotti freschi che lavorati, determinando “l’impronta digitale” di ogni singolo campione. Questo metodo ha il vantaggio di poter eseguire numerose analisi di sequenza in parallelo con notevole riduzione dei tempi di risposta e dei costi. I numeri delle frodi nel settore ittico Da qualche anno l’Europa ha imposto una stretta alle frodi regolamentando l’organizzazione del mercato nel settore dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura (Reg. UE 1379/2013). Nel frattempo, diverse agenzie e organizzazioni internazionali hanno condotto studi e ricerche per capire la dimensione del fenomeno e fornire dati utili per l’attuazione di misure di controllo e prevenzione più efficaci. Nel 2016 la Ong americana OCEANA ha condotto una review di oltre 200 studi sulle frodi di sostituzione in 55 Paesi, da cui è emerso in media un 20% di illeciti nell’etichettatura. Secondo questa organizzazione le frodi nel settore ittico in Europa sono passate dal 23% del 2011 all’8% del 2015. Il Programma Labelfish

dell’UE ha registrato circa il 5% di etichettature errate nelle specie ittiche, fra cui le più comunemente interessate erano l’acciuga (15,5%), il nasello (11,1%), il tonno (6,8%) e il merluzzo bianco (3,5%). I più alti tassi di errore sono stati registrati in Spagna (8,9%), Portogallo (6,7%) e Germania (6,2%). Un recente studio italiano del 2017 sulle etichettature dei prodotti ittici importati da Pesi extra-UE ha rilevato che il problema riguarda il 22,5% dei prodotti, con in testa i cefalopodi (43,8%), seguiti da crostacei (17%) e pesci (14%), tutti provenienti prevalentemente dal Sud-est asiatico. L’ultima iniziativa della Commissione europea è l’inaugurazione nel marzo 2018 di un centro di conoscenze sulle frodi alimentari e la qualità degli alimenti, che metterà a disposizione delle autorità nazionali i dati scientifici raccolti da una rete di esperti internazionali. Molti di questi risultati sono possibili grazie all’utilizzo di metodiche biomolecolari basate sul sequenziamento del DNA e mostrano che la lotta alle frodi alimentari oggi richiede competenze scientifiche aggiornate e tecnologie sempre più avanzate.

Le frodi alimentari sono un fenomeno che colpisce innanzitutto il settore agroalimentare, ma che potrebbe avere ripercussioni anche sulla salute dei consumatori. Le analisi biomolecolari, tra cui il pirosequenziamento, consentono l’identificazione rapida e univoca delle specie a partire sia da prodotti freschi che lavorati, determinando “l’impronta digitale” di ogni campione

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La salubrità dei bivalvi è fortemente legata alle aree di produzione e raccolta. Pertanto, la messa a punto di sistemi diagnostici affidabili come quelli biomolecolari diventa un ausilio importante a tutela della salute del consumatore. Pirosequenziamento nei molluschi bivalvi Il team di ricerca dell’IZSVe ha definito dei protocolli di pirosequenziamento che hanno permesso di identificare in modo rapido ed univoco specie di molluschi bivalvi di interesse commerciale, sia da campioni freschi che lavorati, appartenenti a 6 famiglie di molluschi bivalvi. Il pirosequenziamento si basa sul principio del “sequenziamento per sintesi” e sulla possibilità di rilevare in tempo reale la luminescenza emessa dalla luciferasi, un enzima prodotto da una reazione accoppiata alla sintesi del DNA. La

sequenza di luminescenze dà origine a un pirogramma, ovvero una serie di picchi a cui corrispondono i nucleotidi che consentono di capire la sequenza del frammento di DNA in esame. Dapprima si è proceduto allo studio di fattibilità dell’esperimento mediante la raccolta e l’analisi delle sequenze genetiche disponibili nelle banche dati, da cui è stato possibile identificare 21 specie. Come target molecolare dei campioni di molluschi è stato scelto il DNA mitocondriale, in quanto è presente in elevate quantità per ogni cellula e contiene regioni codificanti molto conservate,

Da un’indagine Interpol-Europol del 2015 sulle frodi alimentari in 57 Paesi, è emerso che il pesce è la terza categoria di alimenti con il più alto rischio di frode. Uno studio italiano del 2017 sulle etichettature dei prodotti ittici importati da Pesi extra-UE ha rilevato che il problema riguarda il 22,5% dei prodotti, con in testa i cefalopodi (43,8%), seguiti da crostacei (17%) e pesci (14%)

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qualità che rendono l’identificazione di specie versatile e affidabile. Da qui si è passati poi al disegno e all’applicazione dei protocolli sperimentali su campioni freschi — precedentemente riconosciuti morfologicamente — e conservati (surgelati, al naturale, sottolio), che hanno consentito di identificare univocamente 16 specie, fra cui cozze, canestrelli, telline, cannolicchi, ostriche e varie specie di vongole. Il pirosequenziamento si configura come una metodica promettente per l’identificazione di molluschi bivalvi, non solo in chiave commerciale con il contrasto alle frodi, ma anche sanitario poiché la sostituzione di una specie di bivalve con un’altra potrebbe avere implicazioni per la sicurezza alimentare dei consumatori. La salubrità dei bivalvi è fortemente legata alle aree di produzione e raccolta, e pertanto la messa a punto di sistemi diagnostici affidabili come quelli biomolecolari diventa un ausilio importante a tutela del prodotto made in Italy e della salute del consumatore. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie www.izsvenezie.it

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Antibiotici nei prodotti alimentari: come l’acquacoltura si orienta verso l’antibiotic free di Marco Saroglia e Genciana Terova

Dalla scoperta della penicillina, avvenuta nel 1928 a cura di ALEXANDER FLEMING, gli antimicrobici salvavita hanno rivoluzionato la nostra società ed economia. Numerose di quelle che in passato erano malattie mortali sono diventate malattie di routine, richiedendo poco più di un breve trattamento. Questi risultati sono ora a rischio, principalmente a causa dell’eccessivo o inappropriato uso di antibiotici, che ha portato alla crescente emergenza e diffusione di batteri multiresistenti. Senza un’azione efficace per invertire le tendenze attuali, potremmo affrontare un

ritorno all’era preantibiotica, con semplici ferite e infezioni che causano danni significativi o addirittura la morte e con le procedure mediche attualmente di routine che potrebbero diventare invece ad alto rischio. Con una conferenza stampa tenuta il 7 novembre 2017 nel proprio quartier generale di Ginevra, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) rilasciava una raccomandazione contro l’abuso di antibiotici nelle produzioni animali, con la quale si chiedeva in modo esplicito di riservare l’impiego di questi preziosi farmaci agli animali con patologie

diagnosticate e comunque di scegliere a tale scopo molecole non indispensabili per la medicina umana. L’OMS non ha ruolo impositivo; tuttavia, questa imperativa raccomandazione diretta a tutti i governi del mondo va ben oltre tutte le leggi e i regolamenti esistenti e, come è stato spiegato dallo stesso direttore del dipartimento competente per la sicurezza alimentare e le zoonosi dott. KAZUAKI MIYAGISHIMA, si è resa necessaria in quanto il volume di antibiotici utilizzati negli allevamenti animali è ovunque in continua crescita, a seguito di una crescente

Tra le produzioni animali, l’incremento eccezionale dello sviluppo mondiale dell’acquacoltura è stato accompagnato da un aumento delle densità animali negli allevamenti, con conseguenti esplosioni di patologie che possono richiedere l’impiego di antibiotici.

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domanda di alimenti di origine animale, principalmente prodotti in allevamenti intensivi. A ciò si accompagna un aumento insostenibile di ceppi microbici resistenti agli antibiotici (AMRs, Anti Microbial Resistance). Con l’occasione venivano presentate specifiche Linee guida (ISBN: 978-92-4-155013-0, www. who.int/foodsafety/publications/ cia_guidelines/en). I farmaci miracolosi del XX secolo corrono quindi il pericolo di perdere la loro efficacia. La diffusione ubiquitaria degli AMRs diventa una delle più gravi minacce di questo secolo e gli stessi potrebbero diventare la principale causa di morte dopo il cancro, con 10 milioni di morti premature all’anno, entro il 2050. Attualmente circa il 70% degli antibiotici viene utilizzato negli allevamenti di animali e il 30% in medicina umana. Almeno l’80% degli antibiotici non viene metabolizzato e viene pertanto eliminato nell’ambiente in concentrazione subletale direttamente sul suolo, oppure nelle acque fognarie o rilasciate dall’acquacoltura, quindi entrano in relazione coi batteri presenti nell’ambiente selezionandone i ceppi resistenti. Le acque dei depuratori rappresentano poi l’ambiente ideale per il trasferimento orizzontale dell’antibioticoresistenza, prima che le stesse siano poi rilasciate nelle acque interne o costiere. Qualcosa come il 90% dei batteri presenti nell’acqua di mare presenta resistenza ad almeno un antibiotico. L’uomo può entrare in contatto con gli AMRs attraverso il cibo, bevendo l’acqua o semplicemente per contatto diretto. L’OMS getta quindi un allarme sul fatto che un abuso nell’impiego di antibiotici rende praticamente inefficace anche l’ultima generazione di questi farmaci, mentre già nel corso del Summit G8 del 2013 i ministri competenti si trovarono d’accordo nel definire l’antibioticoresistenza come la maggiore sfida alla sicurezza sanitaria per il XXI secolo. Un forte richiamo sulla responsabilità di tutte le produzioni animali, e dell’acquacoltura in particolare, giunge dalla FAO in occasione della main lecture di ÁRNI

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MATHIESEN, assistant director general del Fisheries and Aquaculture Department, all’apertura di AQUA 2018, convegno mondiale WAS/EAS tenutosi a Montpellier (Francia), dal 26 al 29 agosto 2018. La dimensione del problema e l’acquacoltura Secondo un editoriale di JOHN A. HARGREAVES, editor in chief del magazine WORLD AQUACULTURE (www.was.org), comparso sul volume 49 (2) del giugno 2018, almeno il 75% degli antibiotici utilizzati in acquacoltura può essere rilasciato nell’ambiente circostante, interferendo sia con i patogeni che con i batteri dell’ambiente, con la possibilità di selezionare ceppi di AMRs, aumentando così il rischio di trasferimento orizzontale della resistenza a batteri patogeni per l’uomo. La prova del trasferimento orizzontale dell’antibioticoresistenza è nell’evento accaduto in Cile, dove sono stati isolati geni di batteri resistenti al chinolone nell’ambiente adiacente ad un allevamento di salmoni con una storia di pesante impiego di questo antibiotico. Geni resistenti al chinolone sono poi stati isolati da ceppi di Escherichia coli che avevano causato infezioni alle vie urinarie nella popolazione di Puerto Montt, vicino allo stesso allevamento di salmoni. Un lavoro pubblicato nel 2017 su ENVIRONMENTAL SCIENCE & TECHNOLOGY (vol 51, pp. 1085010860) da parte di JING WANG e coll. della Dalian University in Cina, dal titolo Fishmeal application induce antibiotic resistance gene propagation in mariculture sediments, sottolinea come la presenza di AMRs possa purtroppo comparire anche in aziende che non utilizzano gli antibiotici. Gli autori hanno testato 5 diverse partite di farina di pesce commercializzate in Cina, trovando in esse 132 sequenze di geni di AMRs, con una diversa incidenza a seconda della provenienza, compresa tra 8 farine provenienti dalla Russia e 95 dalla stessa Cina. Con studi di laboratorio (HAN et al., 2017, doi. org/10.1021/acs.est.7b02875), gli stessi geni AMRs sono stati isolati dai sedimenti marini, dimostrando una trasmissione orizzontale dai batteri


Antibioticoresistenza e acquacoltura

Modificato da:Y. HAN et al., 2017, doi.org/10.1021/acs.est.7b02875 delle farine ai batteri del sedimento. In conclusione, gli autori raccomandano di rimuovere i geni AMRs dalle farine di pesce prima di utilizzarle per il confezionamento dei mangimi. In realtà, le elevate temperature alle quali sono sottoposte le materie prime nel corso del processo di estrusione sono in grado di abbattere le cariche batteriche eventualmente contenute nelle farine o nelle altre materie prime, ma non nelle sostanze eventualmente spruzzate successivamente. La legislazione Nel corso dei decenni, alcuni governi hanno emanato restrizioni all’impiego di antibiotici negli animali: il Regno Unito nel 1971, i paesi scandinavi negli anni ‘80 e i paesi dell’Unione Europea nel 1999, quindi ancora nel 2006, mentre gli Stati Uniti hanno annunciato le loro restrizioni nel 2013, con effetto dal mese di gennaio del 2017. La legislazione è comunque quasi sempre limitata a regolare l’impiego degli antibiotici nella promozione della crescita degli animali in allevamento ed è comunque generalmente trascurato il fatto che anche

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i paesi dove esiste una legislazione restrittiva siano comunque vulnerabili ai batteri resistenti prodotti in aree del mondo dove tali regole non esistono, oppure non vengono esercitati controlli. Nel 1963, l’OMS, congiuntamente alla Food and Agriculture Organisation (FAO), ha creato il Codex Alimentarius, al fine di implementare gli standard di qualità dei cibi per proteggere la salute dei consumatori. Il principale obiettivo del Codex è definire standard internazionali, codici di buone pratiche, Linee guida e raccomandazioni comprendenti, tra altre cose, i residui dei farmaci veterinari. Le indicazioni prodotte dalla Commissione che ha in carico l’aggiornamento per il Codex Alimentarius sono utilizzate come riferimento per il commercio internazionale di prodotti agroalimentari. Il Codex stabilisce i valori di MRLs, ossia i limiti massimi ammissibili per i residui di circa 50 farmaci veterinari e gli Stati Membri sono impegnati a recepirne le indicazioni all’interno dei propri regolamenti e legislazioni. L’articolo 14, comma 3, lettera b, del Regolamento comunitario n.

470/2009 prevede che la Commissione europea adotti le indicazioni circa i valori di MRLs stabilite dal Codex, a condizione che le stesse non siano state respinte dalla Comunità stessa. Dal canto proprio la UE, a partire dal Council Regulation (EEC) n. 2377/90 del giugno 1990 che indica le procedure per stabilire i valori di MRLs nei cibi, per i farmaci veterinari, impone che i prodotti alimentari come carne, latte o uova, ottenuti da animali trattati con medicinali veterinari o esposti a biocidi utilizzati in allevamento, non debbano contenere residui che potrebbero rappresentare un pericolo per la salute del consumatore. A tale proposito sono previsti tempi di sospensione (in acquacoltura definiti in gradi/giorno) sufficientemente lunghi da garantire un completo decadimento del farmaco prima della macellazione. Comunque, per poter essere adottato in animali da produzione alimentare, un farmaco deve prima essere valutato dalla European Medicines Agency (EMEA), che ne deve autorizzare l’uso indicandone anche i valori di MRLs. Resta inteso che, in assenza di un valore di MRLs,

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Impiego di antibiotici negli allevamenti di Salmone atlantico nei 5 maggiori paesi produttori

In ordinata, mg antibiotico/tonnellata di prodotto, modificato da: P.J.G. HENRIKSSON e coll., 2018, in Sustain Sci, 13:1105-1120, doi.org/10.1007/s11625-017-0511-8 un farmaco non può in pratica essere utilizzato negli allevamenti. L’agenzia conferma la classificazione delle sostanze elencate nella Tabella 1 allegata al Regolamento comunitario n. 37/2010, periodicamente aggiornata. Alcune sostanze poi, ritenuto che a qualsiasi livello di dosaggio possano rappresentare un pericolo per la sicurezza del consumatore, non devono essere utilizzate in medicinali di uso veterinario su animali allevati per uso alimentare e sono incluse come sostanze proibite nella Tabella 2 allegata allo stesso regolamento. Informazioni dettagliate e aggiornamenti sono disponibili sulla pagina EMEA “European public MRLs assessment report” (www.ema.europa.eu/docs/en_GB/ document_library/Maximum_Residue_Limits_-_Report/2014/05/ WC500167329.pdf). Mentre all’interno della UE i controlli sul rispetto dei MRLs sono garantiti dai singoli paesi di produzione, per i prodotti importati da paesi extraeuropei sono previsti controlli campione alla frontiera; quindi chi vuole esportare verso l’Unione Europea deve adottare protocolli consoni alle leggi comunitarie. Al fine di intensificare la lotta contro l’antibioticoresistenza, la Commissione europea ha pubblicato nel 2017 un piano d’azione contenente il quadro per le azioni future da intraprendere, consultabile all’indirizzo web: ec.europa.eu/

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health/amr/sites/amr/files/amr_action_plan_2017_en.pdf L’auspicio è che la UE, come gli Stati Membri, sappiano concentrarsi sul valore aggiunto che una lotta contro gli AMRs può generare, utilizzando perciò tutti gli strumenti politici disponibili, per adottare le misure legislative necessarie ad applicare le indicazioni contenute. L’uso di antibiotici nei prodotti dell’acquacoltura europea è rigorosamente regolamentato Tra le produzioni animali, l’incremento eccezionale dello sviluppo mondiale dell’acquacoltura è stato accompagnato da un aumento delle densità animali negli allevamenti, con conseguenti esplosioni di patologie che possono richiedere l’impiego di antibiotici. Mentre in paesi provvisti di regole restrittive sono stati presi provvedimenti, quali i piani di vaccinazione, restrizioni sul tipo di antibiotico e sulle condizioni di impiego, oltre a lunghi tempi di sospensione prima della macellazione, ciò non è generalmente avvenuto nei paesi in via di sviluppo, dove la legislazione sull’impiego di farmaci potrebbe essere carente, se non inesistente. L’uso complessivo di questi farmaci quindi varia ampiamente tra i paesi e, secondo una stima del 2011, l’uso di antibiotici è compreso tra 1 g per tonnellata di prodotto in Norvegia e fino a 700 g per tonnellata in Vietnam, principale paese dal quale

importiamo il pangasio! Un fattore di incoraggiamento, per i paesi che non possiedono regolamenti restrittivi, può essere la necessità di rispettare i valori dei MRLs dei paesi importatori. È un fatto che, nel 2017, la UE ha minacciato di sospendere le importazioni di gamberi dall’India, in seguito a partite trovate positive ad antibiotici non ammessi e simili azioni cautelative sono state avviate anche da altri paesi dotati di regolamenti restrittivi, quali gli USA, che hanno minacciato di sostituire le produzioni di salmone dal Cile con il prodotto norvegese. Rimane tuttavia aperto il problema di alcuni paesi che si prestano a dare copertura di transito a prodotti altrimenti inaccettabili sui mercati dotati di regole restrittive. Accade anche nell’areale del Mediterraneo che prodotti ittici di provenienza extracomunitaria vengano trasferiti su isole di un paese comunitario confinante, acquisendo impropriamente il label di “prodotto nella UE”. Per contro, la politica degli allevatori italiani, orientata verso la scelta di affrontare la concorrenza internazionale con la qualità del prodotto, sia attraverso iniziative individuali, sia con il coordinamento della principale associazione nazionale (API), punta ben oltre le regole della UE, verso la minimizzazione dell’impiego di antibiotici. Acquacoltura antibiotic free Peraltro cresce l’interesse per l’antibiotic free. Questa certificazione è già stata per ora ottenuta dalla cilena Marine Harvest di Los Lagos per la produzione di salmone atlantico e dall’italiana Rossi Mare per la produzione di orata allevata in gabbie off-shore nel golfo di Valona (Albania). Quest’ultima azienda, oltre ad applicare un rigoroso protocollo per la biosicurezza, utilizza mangime interamente formulato e autoprodotto in Italia dal proprio gruppo, con una scrupolosa scelta delle materie prime che prevede una elevata inclusione di acidi grassi polinsaturi Omega-3. Il gruppo aziendale è anche impegnato da alcuni anni ad evitare l’impiego di antibiotici nelle proprie troticolture basate sul territorio italiano e sta

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Criticità aziendali per la biosicurezza e matrice di rischio

Modificato da: Aquaculture Farm Biosecurity Plan, Canberrra, 2017. seguendo un percorso per ottenere la certificazione antibiotic free anche per alcune di esse (si veda l’articolo Con Rossimare arrivano le orate e le spigole antibiotic-free, in IL PESCE 3/2018, pp. 38-41). Le soluzioni Ad oggi esistono in pratica ben poche alternative all’impiego degli antibiotici per trattare le patologie che si presentano in acquacoltura intensiva. Una rigorosa prevenzione, percorso adottato dalle aziende che fin da ora riescono a evitare gli antibiotici, continua ad essere l’approccio più efficace per il controllo dei batteri patogeni. Qualsiasi forma di stress indebolisce gli animali, che diventano più predisposti ad ammalarsi, quindi un efficace programma di prevenzione dovrà evitare ogni forma di noxae nell’ambiente di allevamento, realizzando invece le condizioni ottimali di benessere, tenendo conto delle caratteristiche della specie e dello stadio del ciclo vitale, includendo l’igiene dell’allevamento, la quarantena e le disinfezioni. Le numerose proposte di pro-

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dotti presentate dai venditori come prodotti additivi ai mangimi o “miracolosi” presidi terapeutici possono generare confusione, così come alcune presentazioni a congressi di settore. Tratteremo di seguito lo stato dell’arte, indicando alcuni dei riferimenti bibliografici più recenti per un eventuale approfondimento. La biosicurezza Ogni allevamento è soggetto ad uno specifico livello di rischio relativo all’introduzione, sviluppo o diffusione di germi patogeni. Il monitoraggio del livello di biosicurezza può essere di aiuto per gestire il rischio ad un livello accettabile. Un buon protocollo sulla gestione della biosicurezza può consentire il benessere animale, la produttività aziendale, la sostenibilità ambientale, la qualità del prodotto e in ultimo il rendimento economico della produzione. I rapporti con l’ambiente, si tratti di allevamento a terra oppure off-shore, sono particolarmente importanti, così come i dettagli delle strutture che possono costituire un habitat per patogeni, come sul biofouling incrostante, sul

materiale fecale accumulato sul fondo, tra le popolazioni planctoniche che si sviluppano in masse di acqua a limitato ricambio. Ma anche individui indeboliti possono costituire un substrato per lo sviluppo di organismi patogeni. Esistono diversi rischi relativi alla biosicurezza, a seconda della tipologia delle acque, delle specie e degli individui allevati, della preparazione del personale, attrezzature, mangime. Tali rischi devono essere valutati all’ingresso dell’allevamento, all’interno e sul materiale in uscita, inclusi i pesci e l’acqua. Gli animali che entrano in azienda, siano essi riproduttori, uova, avannotti, possono rappresentare un serio rischio di introduzione di patogeni, specie se lo stato di salute degli stock all’origine non è perfettamente noto. Ma anche altri animali, quali uccelli, roditori, possono rappresentare pericolosi vettori di agenti patogeni. Un approccio alla stima del rischio è proposto in Aquaculture Farm Biosecurity Plan, un manuale prodotto dal Department of Agriculture and Water Resources di

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Canberra (Australia), gennaio 2017, ISBN 978-1-76003-123-7, disponibile in rete all’indirizzo agriculture. gov.au/animal/aquatic/guidelinesand-resources Nel documento australiano, il rischio viene catalogato in una matrice, in termini di probabilità che un evento si verifichi e di relative conseguenze, in una scala empirica da 1 a 25. Nella matrice di rischio le scale vanno da 1 a 5 per una probabilità remota o per un evento certo, oppure per conseguenze insignificanti o catastrofiche. Pertanto il rischio è considerato grave quando entrambi, probabilità e danno relativo, sono elevati, mentre può risultare basso anche per eventuali conseguenze catastrofiche, nel caso in cui la probabilità che l’evento si verifichi sia molto bassa. La risposta immunitaria L’anatomia del sistema linfoide dei pesci, adattata alla vita acquatica, è piuttosto differente da quella dei mammiferi. I pesci ossei sono dotati di milza e timo, ma impiegano il rene anteriore o “pronefro” per l’ematopoiesi e per la B-linfopoiesi. I linfociti B esprimono immunoglobuline (Ig) sulla propria superficie e secernono anticorpi verso antigeni estranei coi quali sono venuti in contatto. Sono state identificate 3 classi di Ig, ossia IgM, IgD e IgT, mentre IgG, IgA e IgE, tipiche dei mammiferi, sono assenti nei pesci. IgM e IgD sono state trovate in tutte le specie ittiche analizzate, perciò sembrano essere classi di anticorpi primordiali. Queste ultime sono normalmente codificate dallo stesso mRNA mediante splicing (montaggio) alternativo, come nei mammiferi. Le IgM tetrameriche rappresentano la principale classe di anticorpi nel siero. In alcune specie è anche stata trovata IgT, che sembra essere presente solo nei pesci ed è specializzata nell’immunità delle mucose. La maggior parte dei pesci risponde al primo contatto con antigeni estranei producendo anticorpi specifici, benché la risposta sia più rapida e intensa al secondo contatto, rendendo così possibile sviluppare e utilizzare vaccini. La

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La risposta immunitaria

Modificato da:TOLEDO-IBARRA et al.,Clinical & developmental immunology,2013.

Percentuale di mortalità post infezione

Modificato da:M.PARINI,2016,www.aquafeed.com/newsletter_pdfs/nl_000820.pdf vaccinazione rimane la strategia più efficiente per controllare le malattie infettive nei pesci, purtroppo però, contrariamente a quanto accade nei

mammiferi, la memoria immunologica nei pesci è di durata limitata ed i meccanismi sono ancora poco noti. Per un approfondimento si

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Comparazione tra trattamento con antibiotico o con mix di acidi organici sulla sopravvivenza cumulativa di Paralichthys olivaceus sottoposto a test infettivo con Edwasiella tarda

CON: controllo, nessun trattamento. OTC: ossitetraciclina (50 mg/kg). OAA: mix di acido formico, formiato d’ammonio e acido propionico (4 g/kg). OAB: mix di acido benzoico, acido fumarico e idrossianalogo della metionina (4 g/kg).

rimanda a YAMAGUCHI et al., 2018 (doi.org/10.1016/j.fsi.2018.01.035), pubblicato su Fish and Shellfish Immunology, dove è illustrata la complessità del problema. Oltre alla vaccinazione, è possibile intervenire con il potenziamento delle difese aspecifiche mediante immunostimolanti, oppure con la selezione genetica di ceppi resistenti alle patologie. Le difese aspecifiche del pesce rappresentano un’importante componente del sistema immunitario innato comprendente i peptidi antimicrobici o AMPs. Si tratta di piccoli peptidi con α-elica, ad ampio spettro di azione contro virus, batteri, funghi, protozoi. Sono composti da un numero compreso tra 5 e 100 amminoacidi. Trattandosi di molecole cationiche, interagiscono con la superficie anionica di cellule estranee, quindi possono selettivamente attaccare le membrane cellulari dei batteri con cariche negative, provocando su di esse pori che portano alla lisi. Infatti, attraverso i pori prodotti, l’acqua e gli ioni hanno libero accesso all’interno della cellula determinandone

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dapprima il rigonfiamento osmotico e poi lo scoppio della stessa. In passato sono stati spesso considerati alla stregua degli antibiotici, con il vantaggio che è molto improbabile che riescano a generare una resistenza, per la rapida azione di lisi e distruzione della membrana cellulare. Sebbene il primo membro di questa famiglia sia stato isolato e identificato nel 1995, sono stati necessari oltre dieci anni per comprenderne il ruolo, come uno dei maggiori componenti del sistema innato di difesa immunitaria. Sulla base di differenze molecolari alle quali corrispondono alcune differenze funzionali, gli AMPs sono classificati in Piscidine, Epcidine, Defensine, Catelicidine, forme attive contro batteri Gram-positivi e Gram-negativi, le cui caratteristiche sono sinteticamente ma chiaramente descritte da A. PARIA et al. in un articolo comparso su WORLD AQUACULTURE volume 49 (2), del giugno 2018, pp. 67-69. Sono stati creati ceppi di pesci geneticamente modificati per essere resistenti alle patologie, con un potenziamento della produzione

di AMPs. Il potenziale terapeutico di queste molecole è stato valutato in numerosi quadri patologici relativi ai mammiferi e, recentemente, agli organismi acquatici allevati. Iniezioni e trattamenti per via orale e mediante elettroporazione sono stati effettuati con successo in zebrafish e in cernia infettati con Vibrio vulnificus e Streptococcus agalactiae. Parallelamente all’implementazione della produzione endogena, sono quindi allo studio possibili interventi terapeutici con somministrazione di questi oligopeptidi antimicrobici. Su questa strada comunque, oltre ai necessari approfondimenti sui meccanismi e sull’efficienza dei trattamenti, occorrerà trovare soluzioni sostenibili anche sul piano economico. Per il momento il percorso raccomandato è quello del potenziamento della produzione endogena, mediante una gestione senza stress ambientali o nutrizionali. L’efficacia di eventuali trattamenti o diete può peraltro essere monitorata isolando gli AMPs dal muco, dall’intestino, branchie, rene, fegato, oppure con opportuni primer (inneschi), si può monitorarne l’attività trascrittomica dei geni sugli stessi organi. Gli acidi organici Gli acidi organici sono composti formati da catene di atomi di carbonio dotate di un gruppo terminale carbossilico che conferisce loro proprietà acide. Tra gli acidi organici sono compresi gli acidi grassi a catena corta (SCFAs, short chain fatty acids) e loro derivati. In particolare, gli acidi propionico, butirrico e pentanoico (noto anche come “valerico” o “valerianico”) si sono mostrati efficaci non solo nel prevenire infiammazioni intestinali, in seguito alla sostituzione delle farine di pesce con alcuni tipi di farine di origine vegetale, ma anche per il controllo o il rallentamento della crescita batterica, grazie all’azione acidificante che, pur consentendo un ambiente favorevole ai lattobacilli dell’intestino notoriamente leggermente acidofili, inibirebbe la crescita dei batteri patogeni che necessitano di ambiente prossimo alla neutralità.

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Secondo un recente editoriale di John A. Hargreaves del magazine World Aquaculture, almeno il 75% degli antibiotici utilizzati in acquacoltura può essere rilasciato nell’ambiente circostante. L’esistenza di brevetti sull’impiego di alcune di tali molecole naturali è comunque causa del loro limitato impiego. Una questione etica emerge a questo punto, ovvero quanto sia eticamente corretto consentire o mantenere un brevetto su di una molecola naturale che potrebbe, se utilizzata liberamente, permettere di ridurre il fabbisogno di antibiotici riducendo l’entità di un grave problema mondiale relativo alla salute, quale quello degli AMRs, specialmente nei paesi in via di sviluppo. Diverso è il caso di molecole sviluppate dall’industria per ottenere un effetto antibatterico potenziato, come ad esempio il monogliceride dell’acido butirrico o “monobutirrina”, molecola di sintesi brevettata da un’azienda italiana come SILOhealth 108 (www.silohealth.com/silohealth-108), la cui azione antibatterica sembrerebbe consistere nell’ingresso del glicerolo attraverso la parete batterica con un effetto “cavallo di Troia”, trascinando il butirrato nel citoplasma batterico, con conseguente morte della cellula. L’efficacia antibatterica della

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monobutirrina, ben documentata in vitro, è stata osservata presso alcune troticolture, pur con risultati talvolta contrastanti dovuti apparentemente all’empirismo delle osservazioni. Peraltro, un esperimento condotto in vivo dall’IZSLER di Brescia su giovanili di storione Acipenser transmontanus, trattati intraperitonealmente con 106 UFC di A. hydrophila, ha mostrato un chiaro effetto protettivo, sulla mortalità a 20 giorni, di una dieta contenente lo 0,8% di SILOhealth 108 (in M. PARINI, 2016, www.aquafeed.com/ newsletter_pdfs/nl_000820.pdf). Anche acidi grassi a catena media (quale l’acido laurico (C12), il cui effetto antibatterico è ben noto nello svezzamento dei vitelli da latte) hanno mostrato di essere efficaci nei pesci, come riportato in una recentissima ricerca su orata, pubblicata nel 2018 su PEER JOURNAL dal gruppo di PEREZ-SANCHEZ di Torre del Sal (Spagna). I risultati di un altro esperimento molto significativo sono stati pubblicati dal gruppo di SUNGCHUL C. BAI della Pukyong National University,

Busan (Corea), sul numero di giugno 2018 di AQUACULTURE RESEARCH, primo autore KUMAR KATIA, 49:28612868. Gli autori hanno esposto all’infezione da Edwarsiella tarda una specie di platessa dell’Oceano Indiano (Paralicthys olivaceus), localmente nota come olive flounder. Un gruppo di pesci era trattato con ossitetraciclina (50 mg/kg), altri due gruppi con miscele diverse di acidi organici (4 g/kg), rispettivamente una miscela di acido formico, formiato d’ammonio e acido propionico, oppure acido benzoico, acido fumarico e idrossianalogo della metionina. Dopo dieci giorni, mentre nel gruppo che non aveva ricevuto trattamenti la mortalità risultava del 100%, in quelli trattati con antibiotico o con acidi organici la sopravvivenza non era statisticamente diversa, compresa, in tutti e tre i casi, tra 50 e 60%. Il sistema immunitario dell’intestino rappresenta la prima importante barriera per mantenere l’ospite in buona salute e risente di numerosi fattori, quali i costituenti della dieta e i batteri commensali. Determinante è la produzione en-

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dogena di SCFAs da parte di batteri anaerobi che fermentano oligo- e poli-saccaridi di bassa digeribilità, noti anche come “immuno-oligosaccaridi”, quali frutto-oligosaccaridi, galatto-oligosaccaridi, inulina e xilo-oligosaccaridi, ossia i prebiotici maggiormente studiati sia in esseri umani che in acquacoltura. Una review del 2018 a cura di NAWAZ et al., pubblicata su Fish and Shellfish Immunology, vol. 76, pp. 272-278, raccoglie le conoscenze sui meccanismi molecolari che presiedono agli effetti diretti e indiretti sull’immunità dell’intestino. I prebiotici esercitano influenza sulle difese dell’intestino stimolando la produzione di lisozima e l’attività fagocitaria, attivando i macrofagi e stimolando le cellule dendritiche derivate dai monociti. Questi prodotti inoltre rafforzano la barriera intestinale, in quanto costituiscono un substrato per i batteri benefici dell’intestino che a loro volta producono SCFAs, incrementando ulteriormente le funzioni di difesa. Ulteriori studi sono comunque necessari per chiarire la relazione esistente tra prebiotici e risposta immunitaria. Una descrizione sull’azione degli acidi grassi a catena corta (SCFAs) e media (MCFAs) contenuti nella dieta è riportata in un lavoro sperimentale pubblicato, sul numero di agosto 2018 di PEER JOURNAL, da parte del nostro gruppo di ricerca dell’Università dell’Insubria (primo autore SIMONA RIMOLDI, peerj.com/ articles/5355.pdf). Gli acidi organici, i loro sali o loro combinazioni sono noti come acidificanti e vengono usati in qualità di conservanti per lo stoccaggio dei mangimi. Per via della loro capacità di ridurre il pH, inibiscono la crescita e il rischio di contaminazione dei mangimi da parte di organismi patogeni come il genere Salmonella ed Escherichia coli. I meccanismi di azione degli SCFAs e MCFAs differiscono da quelli degli antibiotici. La loro attività batteriostatica e battericida potrebbe essere dovuta alla capacità delle forme indissociate degli acidi organici di penetrare la parete cellulare dei batteri e, una

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volta dentro la cellula, di dissociarsi rilasciando protoni che abbassano il pH del citoplasma. Il batterio è così costretto a reindirizzare l’energia per tamponare l’efflusso di protoni in eccesso, con grave danno per il metabolismo cellulare, una minore crescita o addirittura la morte delle cellule batteriche. Nel tratto digerente, gli acidi organici causano una riduzione del pH nell’intestino attraverso il rilascio di ioni H+. In effetti, nel pesce, la somministrazione alimentare di acidificanti inibisce la crescita eccessiva di batteri patogeni sensibili al pH, ma favorisce la crescita della flora intestinale benefica, meno sensibile all’ambiente acido. Sebbene l’attività batteriostatica degli acidi organici a livello intestinale sia conservata, la loro efficacia battericida è limitata a causa del pH. Essendo acidi deboli con valori modesti della costante di dissociazione acida (pKa) (da circa 3,6 a 4,7), in un ambiente a pH neutro o leggermente alcalino la maggior parte degli acidi organici è presente in forma anionica e non nella forma indissociata, che si presume necessaria a penetrare la membrana lipidica, distruggendo la cellula batterica. Gli acidi organici liberi della dieta e i loro sali presentano lo svantaggio di essere facilmente assorbiti dal tratto digerente anteriore, limitando così la loro presenza nel tratto posteriore dell’intestino. Al contrario, i monogliceridi, esteri formati da glicerolo e una molecola di acido grasso, non presentano tale inconveniente. Il grande vantaggio dei monogliceridi è rappresentato dal fatto che l’acido organico trasportato dal glicerolo viene rilasciato solo sotto l’azione delle lipasi intestinali. Di conseguenza, sia SCFAs che MCFAs risultano protetti dall’assorbimento nella parte anteriore del tratto gastrointestinale, riuscendo a raggiungere l’intestino distale dove eserciterebbero la propria funzione antibatterica. A questo proposito, l’attività antimicrobica dei monogliceridi risulta più efficace rispetto ai corrispondenti acidi grassi liberi, dal momento che la loro efficacia è indipendente dal pH ambientale.

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Schema generale del sistema di rilevamento del quorum

L’enzima “signal synthase” produce molecole “signal”, che raggiungono l’ambiente extracellulare tramite diffusione o trasporto. Ad una concentrazione critica di molecole “signal”, queste si legano al recettore che può essere localizzato nel citoplasma (a) o sulla superficie cellulare (b). Se il recettore si trova nel citoplasma, il complesso segnale-recettore attiva o inattiva la trascrizione dei geni bersaglio. Se il recettore si trova sulla superficie cellulare, la trascrizione del gene bersaglio viene modulata attraverso una cascata di trasduzione del segnale di fosforilazione/defosforilazione. P indica il trasferimento di fosforo (modificato da: DEFOIRDT et al., Current Opinion in Microbiology, 2011, 14:251-258). Inoltre, i MCFAs sarebbero in grado di penetrare anche lo strato di peptidoglicano della parete cellulare dei batteri Gram-positivi. Gli oli essenziali Per il controllo dei batteri patogeni, un’altra alternativa agli antibiotici sono gli oli essenziali (EOs, Essential Oils), attivi anche contro i funghi, come descritto in una review di J.A. da CUNHA et al., 2018, pubblicata su Journal of Applied Microbiology (https://doi. org/10.1111/jam.13911). Gli EOs sono miscele liquide lipofile prodotte come metaboliti secondari. Contengono sostanze responsabili per l’aroma delle piante che attraggono gli impollinatori e difendono le stesse piante contro i patogeni. L’azione antimicrobica è dovuta al contenuto in fenoli; comunque la loro azione antimicrobica finale potrebbe essere dovuta ad un’azione sinergica di diverse componenti. Studi in vitro hanno mostrato che l’eugenolo sviluppa un’importante azione contro i batteri Gram-negativi, mentre geraniolo, β-citronellolo, estragolo e altri hanno un effetto deleterio

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sulla struttura e sulla funzione della membrana e della parete cellulare. Altri oli interferiscono sulla frazione lipidica, oppure alterano il pH intracellulare o la concentrazione di ATP. Mancano comunque studi precisi sulle diverse componenti e sul loro effetto, singolarmente o in associazione. Le conoscenze al momento disponibili suggeriscono tuttavia come promettente l’uso di EOs nella prevenzione o nel trattamento di patologie infettive nei pesci. Le metodologie di somministrazione possono essere la distribuzione in acqua o l’introduzione nei mangimi, eventualmente utilizzando anche nanotecnologie. Batteriofagi Una strategia alternativa per il controllo dei batteri patogeni, mirata a specifici ceppi batterici anziché a largo spettro, è rappresentata dall’impiego di batteriofagi, ossia virus che infettano i batteri. Questo trattamento non danneggia i batteri benefici. I batteriofagi come agenti infettanti dei batteri sono stati scoperti all’inizio degli anni ‘20 del XX secolo e il loro potenziale valore come

terapia antibatterica è subito stato riconosciuto. Solo recentemente, però, i fagi sono stati proposti per il trattamento di patologie in acquacoltura. Recenti pubblicazioni descrivono fagi in grado di combattere Edwardsiella ictaluri, Flavobacterium psychrophilum e Vibrio harvey. Tuttavia, molti dei batteriofagi isolati sono risultati specifici per un determinato ceppo batterico piuttosto che per la specie, e ciò rappresenta una limitazione. Infatti, per un efficiente impiego in acquacoltura, i fagi scelti per i trattamenti dovrebbero essere in grado di infettare il maggior numero possibile di ceppi di una determinata specie batterica. Nella review di PLAZA e coll. del 2018, comparsa su ELECTRONIC JOURNAL OF BIOTECHNOLOGY, 31:4-33, gli autori riportando lo stato delle conoscenze relative alla patogenicità e ai trattamenti di specie batteriche del genere Vibrio, prendendo in considerazione vantaggi e svantaggi del trattamento con specifici fagi. Esistono comunque altri problemi riportati in letteratura, ossia la possibilità di una trasmissione di

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geni dal fago al batterio che potrebbe aumentare la virulenza di quest’ultimo. Inoltre esiste la possibilità di un rapido sviluppo di resistenza da parte del ceppo batterico precedentemente sensibile. Quorum sensing Nel 1684, ANTOINE VAN LEEUWENHOEK descrisse l’adesione dei microrganismi sulla superficie dei denti, con formazione della placca dentaria. È ormai noto che la maggior parte delle specie batteriche, quando le condizioni lo permettono, modificano il proprio comportamento per fondare vere e proprie “città microbiche” sotto forma di biofilm. Queste prevedono delle “mura di fortificazione”, costituite da una matrice tridimensionale di zuccheri polimerici, e dei “canali di navigazione” per il trasporto di nutrienti e cataboliti. La comunicazione tra cellule è fondamentale al fine del mantenimento del biofilm, il quale assolve diverse funzioni, come quella di difesa da dilavamento, fagocitosi e antibiotici, di nicchia per l’accumulo di nutrienti, di scambio di materiale genico e non, di favoreggiamento della crescita, soprattutto negli ambienti naturali. Ad oggi sappiamo che vi è prima di tutto un’adesione reversibile di cellule e molecole organiche ad una superficie, poi questa aggregazione diventa irreversibile, la crescita e la divisione cellulare consentono la formazione del biofilm che, una volta maturo, porta al distacco di cellule che vanno a colonizzare altre superfici, con un efficientissimo meccanismo di virulenza. Tra i numerosi vantaggi che questa complessa organizzazione offre ai microrganismi, vi è la resistenza ad antibiotici e disinfettanti, in quanto lo spesso strato esterno di batteri funge da protezione per quello interno. Una comunità batterica così strutturata rappresenta quindi una sfida importante per gli antibiotici convenzionali, risultando poi il meccanismo di base per la nascita dell’antibioticoresistenza. Per l’iniziazione e per la maturazione del biofilm è però necessario un sistema efficiente di comunicazione cellula-

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cellula; tale meccanismo di comunicazione è regolato geneticamente tramite un meccanismo secondo il quale i batteri coordinano l’espressione di alcuni geni specifici alla presenza di molecole segnale. Tale meccanismo è noto come Quorum Sensing (QS). Si tratta di un fenomeno osservato nella quasi totalità dei batteri, sia Gram-negativi che Gram-positivi. Come spiegato in una review del 2011 del gruppo di PATRICK SORGELOOS di Ghent (primo autore TOM DEFOIRDT), apparsa su Current Opinion in Microbiology, 14:251-258, il sistema alla base del QS è composto da due elementi chiave: il mediatore chimico o “molecola segnale”, rappresentata solitamente da un omoserina-lattone-acilato (AHL) per i batteri Gram-negativi, oppure da un oligopeptide per i Gram-positivi, e l’attivatore trascrizionale. La molecola segnale, una volta captata da specifici recettori presenti nel citoplasma o sulla membrana cellulare, se presente in quantità pari o superiore ad un determinato valore soglia, si lega all’attivatore trascrizionale, che a sua volta attiva o reprime una serie di geni, determinando l’attivazione o lo spegnimento di vie metaboliche o processi cellulari specifici. Al fine di interrompere il meccanismo di QS, le soluzioni sono quindi interrompere la molecola segnale oppure l’attivatore trascrizionale. Le prime molecole sperimentate che hanno dimostrato attività a questo scopo sono i furanoni alogenati isolati da un’alga rossa di provenienza marina (Delisea pulchra). Questi composti, benché efficaci, si sono purtroppo rivelati tossici per il pesce e sono stati abbandonati. Altri prodotti sembrerebbero avere attività disgregante sul segnale QS senza essere tossici; tra questi, l’aldeide cinnamica, additivo alimentare organico presente nell’olio di cannella al quale conferisce il caratteristico sapore e odore, sembrerebbe avere la stessa efficienza dei furanoni, pur non essendo tossica. L’aldeide cinnamica è stata isolata dall’olio essenziale di cannella nel 1834, quindi sintetizzata in laboratorio. Un’alga bruna del genere

Il’ja Il’ič Mečnikov, premio Nobel 1908 per la medicina. Colpomenia, oltre a D. pulchra, quindi diverse altre macro e microalghe, coralli, spugne e batteri marini, producono composti in grado di interferire con il QS. Da Halobacillus salinus, trovato su fanerogame marine, sono state estratte due fenilammidi in grado di competere con AHL, bloccando quindi la molecola segnale, mostrando attività contro alcuni batteri del genere Vibrio. In un recentissimo studio di F. JERRY REEN e coll., apparso sul numero di febbraio 2018 di APPLIED MICROBIOLOGY AND BIOTECHNOLOGY, 102:2063-2073, le cumarine, presenti negli estratti di varie piante, compreso il succo d’uva, avrebbero una spiccata attività anti-QS, sperimentata su batteri del genere Vibrio. In letteratura si ritiene generalmente che gli agenti patogeni abbiano scarse probabilità di sviluppare resistenza ai trattamenti che interrompono il QS perché questi presenterebbero una pressione selettiva nulla o molto limitata. Tuttavia, riteniamo che l’interruzione del rilevamento del Quorum potrebbe costituire comunque una pressione selettiva sui batteri. Pertanto preferiamo una visione più cautelativa, che preveda comunque una possibilità di resistenza che si sviluppi col tempo, sebbene molto più limitata rispetto agli antibiotici convenzionali, in quanto l’interruzione del QS pone una pressione

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Impatti diretti (sin.) e indiretti (dx) dei prebiotici sul sistema immunitario dei pesci

I prebiotici prevengono l’adesione di patogeni allo strato di muco, impedendo l’invasione della barriera mucosa. Bloccano i siti attivi dei batteri riducendone l’attività. Facilitano il transito alle cellule dendritiche, potenziano le “tight junction”. Inoltre le cellule del microbiota digeriscono i prebiotici per fermentazione, producendo SCFAs con azione trofica sulle cellule epiteliali. Patogeni quali ad esempio Salmonella e Shigella non sono in grado di digerire i prebiotici per mancanza degli enzimi necessari (glicoside-idrolasi ed enzimi saccarolitici). I batteri del microbiota inoltre producono proteine antibatteriche (AMPs), come pure le cellule epiteliali, in grado di uccidere i batteri patogeni (da: NAWAZ et al., 2018, modif.). selettiva solo in determinate condizioni ambientali, nelle quali esso è essenziale, mentre gli antibiotici convenzionali, al contrario, presentano una forte pressione selettiva in qualsiasi ambiente. Concludendo, la possibilità di controllare anche in acquacoltura i batteri patogeni, mediante il blocco del QS, appare realistica sulla base di risultati ottenuti in vitro e in acquario, benché al momento le osservazioni in campo risultino ancora molto limitate. Prebiotici e probiotici Oltre un secolo fa, IL’JA IL’IČ MEČNIKOV (METCHNIKOFF), premio Nobel 1908 per la medicina sebbene in seguito ad un’altra scoperta, proponeva l’effetto benefico dell’assunzione di lattobacilli per migliorare la digeribilità del latte e dei formaggi, sdoganando così gli yogurt e aprendo l’era dei probiotici. Poco dopo però Ilya stesso comprese che i lattobacilli per crescere richiedevano uno specifico substrato, nel caso il lattosio che doveva essere assunto come prebiotico. Al momento è ancora poco noto come modulare le popolazioni batteriche dell’intestino, tuttavia è chiaro che Streptococcaceae, Lactobacilla-

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ceae, Enterobatteriaceae sono in grado di degradare in anaerobiosi i carboidrati complessi, producendo acidi grassi a catena corta, tra i quali l’acido butirrico, noto per i suoi numerosi e ben documentati effetti antinfiammatori, sulla salute del tratto intestinale, ma anche di altri organi incluso il fegato, quindi sulla potenzialità di stimolare il sistema immunitario (per documentazione: TEROVA et al., 2016. PLOS ONE, doi. org/10.1371/journal.pone.0160332, pag. 20; RIMOLDI et al., 2016, FISHERIES AND AQUATIC SCIENCES 19:40. doi. org/10.1186/s41240-016-0041-9). Una review del 2018 sull’azione dei prebiotici e probiotici è riportata da ASAD NAWAZ e coll., pubblicata sulla rivista FISH AND SHELLFISH IMMUNOLOGY, 78:272-278. Gli autori riportano alcuni risultati sperimentali degni di nota, anche se non sufficientemente ripetibili, almeno su campo. Infatti, sebbene la letteratura riporti i risultati positivi di varie sperimentazioni di laboratorio in merito all’effetto dei prebiotici sul sistema immunitario e sulle citochine, non è ancora possibile quantizzarne i benefici nell’ambiente della produzione. Peraltro, l’impiego di prebiotici come substrato per incrementare la

presenza di probiotici è ormai una pratica perseguita in molti studi effettuati anche in campo. Numerosi carboidrati sono classificati come prebiotici, ma le molecole più studiate, classificate come immunomodulanti, sono inulina, frutto-oligosaccaridi (FOS), galatto-oligosaccaridi (GOS), xilo-oligosaccaridi (XOS) e le loro combinazioni. Peraltro, la maggior parte dei batteri patogeni, mancando di enzimi specifici quali idrolasi glicosidiche ed enzimi saccarolitici, non sono in grado di digerire i prebiotici, avendo così una minore possibilità di crescita o di sopravvivenza. I prebiotici hanno inoltre un’influenza diretta sulla barriera epiteliale, prevengono l’adesione dei patogeni sul muco, legano direttamente i patogeni bloccandone il sito attivo, anche se non tutti i meccanismi sono stati chiariti. Stimolano poi i probiotici, ovvero i batteri benefici, nella produzione di AMPs e SCFAs, i cui effetti abbiamo già descritto. Nei primi giorni di vita dell’individuo, i prebiotici sono utili per incrementare i batteri benefici nell’intestino, tuttavia possono modularne l’ecosistema microbico per tutta la vita. Per quanto riguarda i probiotici, risul-

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tati su campo indicano chiaramente l’effetto benefico di alcuni prodotti commerciali contenenti una miscela di batteri liofilizzati ed enzimi, diffusi nell’ambiente di allevamento. Il risultato è quello di igienizzare l’ambiente di allevamento, entrando in competizione diretta con batteri patogeni presenti nell’ambiente, ma anche competendo per il substrato e accelerando la digestione della sostanza organica depositata nei sedimenti. Più complesso e assai meno chiaro è l’effetto dei probiotici addizionati al mangime. Uno dei problemi per i probiotici della dieta è senz’altro rappresentato dal fatto che si tratta comunque di popolazioni esigue, in confronto all’enorme numero di batteri e di popolazioni presenti nell’intestino. Gli stessi autori della sopra citata review pubblicata su FISH AND SHELLFISH IMMUNOLOGY riportano azioni simbiotiche di prebiotici e probiotici, con somministrazione in stadi giovanili di tilapia di FOS e lattobacilli, causa incremento della

resistenza all’infezione con Aeromonas hydrophila. In trota iridea, un effetto simbiotico è stato osservato in seguito a somministrazione di GOS+Pediococcus acidilactici con aumento dell’attività antiossidante e della resistenza contro Streptococcus iniae rispetto al controllo. Risultati importanti sono comunque riportati per somministrazione semplicemente di prebiotici, quali la somministrazione per otto settimane di XOS al 2% ad Astronotus ocellatus, ottenendo un aumento dei batteri eterotrofi intestinali, senza modificare la morfologia istologica dell’intestino. La somministrazione di chitina al 5% in merluzzo, causa l’inibizione dell’evoluzione di agenti patogeni quali Escherichia coli e Anaerorhabdus furcosa, oltre ad una modulazione della comunità batterica intestinale. Desideriamo qui sottolineare il grande interesse rappresentato dall’effetto benefico della “chitina”, in vista dell’impiego di farine di insetti che ne sono

notoriamente ricche, come sorgente proteica. A questo proposito, risultati molto confortanti sono stati osservati anche dal nostro gruppo sull’intestino di trote alimentate con farine di Hermetia illucens cresciuto su surplus dell’ortomercato. Tra i numerosi altri studi sui probiotici, ricordiamo un recente lavoro sviluppato su orata dal gruppo di PEREZ-SANCHEZ di Torre del Sal (Spagna) e pubblicato nel 2018 su PEER JOURNAL. In esso gli autori riportano un effetto benefico sull’intestino del probiotico B. amyloliquefaciens, nel regolare la risposta immunitaria e nello stabilire uno stato antinfiammatorio e antiossidante, potenzialmente vantaggioso nel caso di infezione o esposizione ad agenti stressanti. Tuttavia, anche in questo caso, non sono ancora disponibili risultati, almeno sul pesce, relativi a un’effettiva maggiore resistenza all’aggressione di batteri patogeni. Complessivamente esiste un numero molto elevato di microbi benefici nell’intestino e per sostenere

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Microrganismi nei sistemi di acquacoltura

tali popolazioni, almeno con le conoscenze attuali, potrebbe risultare molto più efficace, oltre che enormemente più economico, fornire per via alimentare gli opportuni substrati e/o prebiotici, piuttosto che le stesse forme batteriche vive come probiotici, al fine di mantenere un equilibrio che consenta al pesce di difendersi dalle aggressioni dei patogeni. I mangimi, il microbiota intestinale In seguito alla volatilità dei prezzi di mercato per farina di pesce (FM) e olio di pesce (FO), negli ultimi anni sono stati fatti progressi significativi nella sostituzione di tali materie prime oceaniche con prodotti alternativi, tanto che attualmente alcuni mangimi per pesci commerciali possono contenere anche meno del 10% di farina di pesce e assenza completa di olio di pesce. Per quanto riguarda le risorse del Pianeta e il rapporto Fish-In/Fish-Out, ossia la quantità di risorsa oceanica utilizzata per produrre una unità di biomassa di pesce allevato, l’acquacoltura è così diventata decisamente sostenibile. Tuttavia, diversi problemi nutrizionali sono associati all’utilizzo di materie prime alternative, dovuti a un alterato equilibrio amminoacidico, carenza di alcune componenti lipidiche, biodisponibilità di alcuni nutrienti, presenza di fattori antinutrizionali o proinfiammatori. Oltre a problemi di crescita, conversione e qualità del prodotto, ne possono conseguire alterazioni della resistenza alle malattie.

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Ne va da sé, quindi, che la qualità del mangime è il primo obiettivo da raggiungere, al fine di ridurre la necessità di trattamenti farmacologici. Oltre ad un’adeguata integrazione con amminoacidi, vitamine e minerali carenti, vengono offerti sul mercato vari integratori e nutraceutici da miscelare ai mangimi, anche se le proposte commerciali non sono sempre opportunamente documentate. Si tratta, infatti, di prodotti che quasi sempre hanno dato buoni risultati in laboratorio, sebbene nella maggioranza dei casi i risultati dichiarati o millantati in campo non sono sempre ripetibili. Tra questi, prebiotici, probiotici, oli essenziali, stimolatori dell’immunità, i quali, incrementando i costi della formulazione, rischiano di vanificare il risparmio ottenuto con la sostituzione di FM e di FO. Da pochi anni comincia ad essere chiaro che la dieta deve dapprima consentire un corretto equilibrio nell’ecosistema microbico intestinale dei pesci, o semplicemente nel microbiota intestinale. Su queste tematiche, otre a ricerche in ambito europeo con Horizon 2020, è in corso, presso il nostro gruppo dell’Università dell’Insubria, una specifica ricerca finanziata all’interno del Progetto AGER Fine Feed For Fish (4F) che vede coinvolte altre 6 unità di ricerca nazionali e collaborazioni internazionali (www.progettoager. it/index.php/k2-blog/author/50-4f). A questo proposito si rimanda a due recenti pubblicazioni del gruppo: RIMOLDI e coll., su PLOS

ONE di marzo 2018 (doi.org/10.1371/ journal.pone.0193652) e RIMOLDI e coll., su Peer Journal di agosto 2018 (peerj.com/articles/5355. pdf), che trattando, nel primo caso, della sostituzione di una sorgente proteica in trota e, nel secondo, di un prebiotico in orata, offrono una descrizione dei meccanismi in gioco e un’ampia documentazione dalla letteratura. Come nei mammiferi, il microbiota intestinale del pesce ha importanti funzioni per il metabolismo dell’ospite, sviluppo e maturazione della mucosa, nutrizione, immunità e resistenza contro le patologie. Il microbiota intestinale dei pesci è poi responsabile della sintesi di alcune vitamine, enzimi digestivi che il pesce non è in grado di sintetizzare e metaboliti come acidi grassi a catena corta (volatili) che rappresentano la principale fonte di energia per le cellule epiteliali intestinali, ma anche potenti agenti batteriostatici o battericidi contro i patogeni. L’intestino di pesce ospita una vasta gamma di batteri, principalmente Lactobatteriacee, che possono inibire i batteri patogeni secernendo composti antimicrobici, come acido lattico, acetico, formico, propionico e butirrico. Per contro, un microbiota squilibrato potrebbe influenzare negativamente la nutrizione e la crescita dei pesci, alterare negativamente le funzioni immunitarie intestinali, aprendo così la strada allo sviluppo di patologie. A questo proposito, anche i lattobacilli potrebbero avere un ruolo attivo nella difesa dell’ospite contro l’invasione batterica patogena a livello intestinale. È noto come i lattobacilli inibiscano la crescita di agenti patogeni producendo cataboliti come acido lattico, perossido di idrogeno, batteriocine e bio-tensioattivi che, con meccanismi diversificati, costituiscono una potente difesa contro batteri patogeni. I tensioattivi prodotti da alcuni lattobacilli sono costituiti da una glicoproteina con attività antimicrobica e antiadesiva, con efficacia provata contro agenti patogeni come Staphylococcus aureus, Streptococcus agalactiae e Pseudomonas aeru-

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ginosa e presumibilmente contro molti altri di interesse per l’acquacoltura. Laboratori in quasi tutto il mondo sono impegnati ad approfondire questa tematica, anche se con approcci non sempre confrontabili. Tuttavia, molto lavoro rimane ancora da fare ed i risultati ottenuti da vari gruppi richiedono approfonditi confronti, in quanto non sempre i risultati proposti sono di interpretazione univoca. A titolo di esempio, in due esperimenti condotti dal nostro stesso gruppo di lavoro su trota iridea, un’alimentazione costituita con proteine provenienti da piante terrestri come piselli e soia ha mostrato di favorire tendenzialmente un aumento del rapporto Firmicutes/Proteobacteria, rispetto ad una dieta a base di FM. Al contrario, sostituendo FM con una miscela di proteine vegetali nella dieta di orata (Sparus aurata), si è osservato un effetto negativo sull’abbondanza relativa del Phylum Firmicutes in tutto l’intestino, in particolare sui lattobatteri appartenenti ai generi Streptococcus e Lactobacillus. Diversi generi di batteri lattici, come Streptococcus, Lactobacillus, Leuconostoc e Carnobacterium appartenenti ai Firmicutes, costituiscono una parte normale del microbiota intestinale dei pesci e sono generalmente considerati microrganismi benefici associati ad un epitelio intestinale sano. Questi generi batterici, infatti, sono stati spesso usati e vengono tuttora proposti come probiotici per i pesci e per altri vertebrati, con risultati su campo raramente soddisfacenti, almeno per il momento. D’altra parte, con un mangime con una elevata inclusione di farine di avicoli, abbiamo riscontrato una quantità severamente ridotta di Lactobacillales, mentre l’ambiente era dominato dai γ-Protobacteria, rappresentati principalmente da membri appartenenti agli ordini Aeromonadales e Vibrionales, i quali includono potenziali generi patogeni, come Photobacterium e Aeromonas. Anche se ciò, nelle condizioni controllate dell’esperimento, non ha influenzato negativamente la conversione o la crescita e neppure

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la morbilità, potrebbe comunque aver influenzato la suscettibilità agli agenti patogeni o alle specie batteriche opportuniste. Sebbene queste nuove acquisizioni scientifiche aprano una strada molto importante verso la conoscenza che ci consentirà di eliminare completamente gli antibiotici da tutta l’acquacoltura, siamo ancora lontani dall’aver fatto chiarezza sugli estremamente complessi meccanismi che regolano l’equilibrio del microbiota intestinale e su come lo si possa manipolare per potenziare i suoi effetti benefici sul controllo delle patologie, quindi sulle differenze di risposta tra le varie specie ittiche allevate. Tuttavia, le conoscenze nel frattempo acquisite consentono fin da ora di evitare alcuni gravi errori nella formulazione di mangimi, dove le risorse oceaniche sono sostituite da proteine e oli vegetali, residui della lavorazione di avicoli, farine di insetti. Concludendo ancora con J.A. HARGREAVES, gli AMRs rappresentano la “quintessenza” di un approccio One Health Issue, ossia un approccio verso condizioni ottimali di salute per l’uomo, per gli animali e per l’ambiente, quindi un approccio da seguire in acquacoltura. Molti aspetti richiedono ancora approfondimento e sperimentazione pilota. Peraltro abbiamo a disposizione alcuni presidi ad attività farmacologica in grado di sostituire parzialmente gli antibiotici, ma non abbiamo ancora una soluzione semplice, ugualmente potente. Se molta ricerca è ancora necessaria per raggiungere l’obiettivo generalizzato dell’acquacoltura antibiotic free, almeno abbiamo ormai idee abbastanza chiare su cosa andare a cercare e sperimentare, consapevoli che la soluzione molto probabilmente non si troverà in una semplice molecola alternativa all’antibiotico, ma piuttosto in un più complesso protocollo comprendente trattamenti associati, con attività sinergica e con finalità preventiva prima che terapeutica. Marco Saroglia Genciana Terova Università degli Studi dell’Insubria, DBSV, Varese


SICUREZZA ALIMENTARE

Le frodi alimentari dei prodotti ittici di Luciano Boffo e Giuseppe Arcangeli

Le frodi alimentari possono rientrare in due distinte tipologie di classificazione: le frodi sanitarie e le frodi commerciali. Le frodi sanitarie si concretizzano nel tentativo fraudolento dell’OSA di porre in commercio alimenti alterati che possono risultare pericolosi per la salute del consumatore o in cattivo stato di conservazione, mascherando le eventuali alterazioni di colore, odore, sapore e consistenza con trattamenti illeciti. La frode sanitaria, nella sua espressione più grave, viene inquadrata come frode tossica (artt. 1-5-6, Legge 283/62). Le frodi sanitarie vengono messe in

atto utilizzando sostanze coloranti, aromatiche, inibenti, additivi, coadiuvanti tecnologici e altri trattamenti specifici che rendono più difficile l’individuazione dello stato di alterazione del prodotto. In via generale, la frequenza delle frodi sanitarie è molto limitata rispetto a quelle commerciali, poiché il rischio e le conseguenze di natura penale per l’OSA sono di tale gravità che non giustificano i vantaggi di natura economica che derivano da questo tipo di azione fraudolenta. Le frodi commerciali, al contrario, sono molto più frequenti in quanto l’aspetto economico ha una

notevole rilevanza e vengono poste in atto, a volte, anche senza incidere sugli aspetti di sicurezza alimentare. Possono consistere nel far aumentare il peso del prodotto mediante l’aggiunta di sostanze innocue come acqua, ghiaccio, proteine, amidi, fibre vegetali, ecc… Altre volte, come ad esempio nei prodotti ittici, ci può essere la sostituzione di specie più pregiate con altre di minor valore commerciale (totano per calamaro; pagro per dentice; platessa per sogliola…). In altri casi, sempre nel settore ittico, vengono date informazioni non corrette sul metodo di produzione, sulle zone di pesca e/o

Cernia venduta come lutiano rosso. In questo caso, oltre alla frode per sostituzione di specie, anche l’uso di coloranti non è stato dichiarato.

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L’OSA ha assunto un ruolo centrale nella prevenzione e nel contrasto delle frodi attraverso il controllo di materie prime, ingredienti che utilizza, selezione dei fornitori e valutazione del rischio Non sempre l’esame morfologico è sufficiente per identificare la specie… Questi palombi, ad esempio, in assenza di cute e della pinna dorsale, possono essere scambiati per spinaroli. di allevamento, che inevitabilmente traggono in inganno il consumatore. Va sottolineato, però, che il limite di demarcazione tra frode commerciale e frode di tipo sanitario risulta molto labile. Spesso, infatti, le frodi di tipo commerciale possono avere anche dei riflessi di natura sanitaria. Pensiamo al trattamento del tonno con monossido di carbonio usato per mantenere il colore rosso vivo delle carni per lunghi periodi di conservazione. Il fenomeno è legato alla formazione di carbossimioglobina, molecola molto più stabile della ossimioglobina, che mantiene il colore rosso e ritarda i fenomeni di imbrunimento. Questa colorazione a volte può trarre in inganno il consumatore, che pensa di acquistare un prodotto freschissimo e di elevata qualità quando in realtà le alterazioni e i fenomeni degenerativi sono mascherati dal tipo di trattamento. Il rischio di riscontrare valori di istamina oltre il limite di accettabilità è elevato. Numerose sono state, in quest’ultimo periodo, le segnalazioni per attenzione e le notifiche, attraverso il sistema RASFF, di partite di tonno contaminate da istamina provenienti dalla Spagna. Il Codice penale e le frodi alimentari Le frodi alimentari di natura sanitaria e non sono inquadrate nel

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Codice penale tra i “Delitti contro la salute pubblica” (libro II, titolo IV). Tra gli articoli di maggiore interesse vanno citati: • l’art. 438: punisce “chiunque cagiona un’epidemia mediante diffusione di germi patogeni”; • l’art. 439: punisce “chiunque avvelena acqua o sostanze alimentari destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo”. Tale reato si concretizza se viene dimostrata la volontarietà di portare a termine un’azione che ha un effetto tossico per la salute dei consumatori; • l’art. 440 “Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari”: punisce “chiunque corrompe o adultera acque o sostanze destinate all’alimentazione prima che siano attinte o distribuite per il consumo rendendole pericolose per la salute pubblica”. La stessa pena si applica a chi contraffà, in modo pericoloso alla salute pubblica, sostanze alimentari destinate al commercio. L’adulterazione si concretizza quando vengono poste in atto azioni che hanno come obiettivo quello di modificare le caratteristiche intrinseche e la composizione chimica dell’alimento mediante aggiunta di sostanze nocive per la salute del consumatore o sot-

traendo elementi caratteristici. La contraffazione, al contrario, consiste nel porre in atto azioni illecite per imitare un alimento, già presente in commercio, mediante aggiunta o sostituzione di sostanze con altre di minor pregio. Va però sottolineato che la contraffazione si posiziona a livelli di gravità inferiori rispetto all’adulterazione. Nell’adulterazione e nella contraffazione è necessario che l’agente accertatore dimostri la situazione di potenziale rischio e pericolo per il consumatore. “L’elemento di pericolosità pubblica deve essere accertata concretamente”. È un “reato di pericolo”. Non è necessario però che il danno si realizzi effettivamente. È sufficiente che l’alimento sia distribuito per il consumo o sia posto in commercio. Un esempio di adulterazione, nel settore ittico, potrebbe essere la commercializzazione di pesce trattato con acido borico per rallentare i processi di degradazione legati allo sviluppo della flora microbica. L’uso dell’acido borico (E 248) non è consentito nei prodotti della pesca freschi e trasformati (Reg. CE n. 1129/11); inoltre, sulla base di evidenze scientifiche, è stato dimostrato che, al di sopra di certi livelli, questo additivo ha effetti tossici

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penale è che nel primo caso viene posta in essere un’azione criminosa per modificare le caratteristiche e la composizione chimica dell’alimento con aggiunta di sostanze nocive e pericolose per la salute del consumatore, mentre nel secondo caso, pur non essendo l’alimento contraffatto o adulterato, risulta comunque pericoloso per la salute del consumatore per caratteristiche intrinseche, contaminazioni ed alterazioni non dovute all’intervento diretto dell’uomo. Anche un cattivo stato di conservazione rientra in questa ipotesi di reato, fermo restando che è necessario dimostrare in concreto il pericolo per la salute del consumatore. Nei prodotti trasformati l’identificazione di specie può essere fatta solo con esami di laboratorio. per il consumatore. Quindi sono presenti, nel caso specifico, sia l’elemento di pericolosità per la salute del consumatore, sia la volontarietà di portare a termine l’azione illecita, sia l’uso illegale di un additivo non consentito; • l’art. 442 “Commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate”: punisce “chiunque detiene per il commercio, pone in commercio, ovvero distribuisce per il consumo acque, sostanze o cose che sono state da altri avvelenate, corrotte, adulterate o contraffatte, in modo pericoloso alla salute pubblica…”. Il reato viene riconosciuto quando l’agente accertatore è in grado di dimostrare che il soggetto che ha commercializzato il prodotto alimentare era a conoscenza della contraffazione e/o dell’adulterazione. Un esempio nel settore ittico potrebbe essere la commercializzazione di pesce d’allevamento trattato con verde-malachite, usato come antifungino e antibatterico. L’uso del verde-malachite è vietato nei pesci d’allevamento destinati al consumo umano in quanto è un colorante che ha effetti tossici gravi sul consumatore, mutageni e teratogeni. Ovviamente il

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commerciante deve essere a conoscenza dell’avvenuto trattamento e del pericolo per la salute per il consumatore legato alla presenza residui nelle carni; • l’art. 444 “Commercio di sostanze alimentari nocive”: punisce “chiunque detiene per il commercio, ovvero distribuisce per il consumo sostanze destinate all’alimentazione, non contraffatte né adulterate, ma pericolose alla salute pubblica”. Il soggetto che compie questo reato è consapevole della pericolosità dell’alimento e delle conseguenze che può causare per la salute del consumatore. Non è necessario che si verifichi materialmente il danno. Anche in questo caso la pericolosità e la nocività dell’alimento deve essere dimostrata su basi scientifiche e con analisi di laboratorio. Un esempio potrebbe essere il tentativo di vendita di salmone affumicato pronto per il consumo con presenza di Listeria monocytogenes oltre i limiti definiti dal Reg. CE n. 2073/05. Ovviamente il venditore deve essere a conoscenza della particolare situazione di pericolo dell’alimento. La differenza sostanziale tra l’art. 440 e l’art. 444 del Codice

I delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio • Art. 515 “Frode nell’esercizio del commercio”. Il reato di frode nel settore alimentare si materializza quando viene consegnato un alimento “diverso per origine, provenienza, qualità o quantità da quella dichiarata o pattuita”. Per dimostrare il reato di frode è necessario sia messa in evidenza la volontà dolosa del commerciante di vendere con l’inganno un alimento diverso da quello richiesto dall’acquirente. Fondamentale in questo caso risulta l’analisi della contrattazione che intercorre tra venditore e acquirente. Naturalmente la transazione deve essere stata completata o quanto meno giunta alle fasi finali. In questa fattispecie di reato rientra, ad esempio, la vendita di prodotti ittici decongelati per freschi, fermo restando le deroghe previste dai Regolamenti CE n. 1169/11 e n. 1379/13, o la vendita di prodotti ittici allevati per pescati, o la vendita di una specie per un’altra… • Art. 516 “Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine”: punisce “chiunque pone in vendita sostanze alimentari non genuine come genuine”. Un alimento viene considerato genuino quando corrisponde per natura, ingredienti e qualità al nome

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Tabella 1 – Attività di controllo sulle frodi alimentari dell’ICQRF (analisi del rapporto annuale 2017) Controlli (n.)

40.857

Operatori controllati (n.)

25.168

Operatori irregolari (%)

26,8%

Prodotti controllati (n.)

57.059

Prodotti irregolari (%)

15,7%

Campioni analizzati (n.)

12.876

Campioni irregolari (%)

7,8%

Notizie di reato (n.)

455

Contestazioni amministrative (n.)

3.715

Sequestri (n.)

963

Prodotti sequestrati (t)

22.228

Diffide (n.)

3.131

Tabella 2 – Segnalazioni di non conformità pervenute attraverso il sistema RASFF (dati relativi all’anno 2016) Totale notifiche (n.)

525

Metalli pesanti (n.)

134

Contaminanti microbiologici da patogeni (n.)

123

Additivi (n.)

39

Controlli insufficienti (n.)

63

Biocontaminanti (n.)

38

Residui di farmaci (n)

31

Frodi adulterazioni (n.)

18

Infestazioni da parassiti (n.)

22

Aspetti organolettici (n.)

23

Contaminazioni industriali (n.)

22

con il quale è commercializzato. La genuinità può essere modificata con l’aggiunta di sostanze estranee, la sostituzione di certi componenti costitutivi, la sottrazione di ingredienti, l’esecuzione di trattamenti che modificano gli aspetti qualitativi. La non genuinità di un alimento non si accompagna necessariamente con la mancanza di salubrità. Un esempio nel settore ittico potrebbe essere il trattamento di pesce azzurro (alici, sardine) con acido citrico per migliorarne la qualità e la freschezza. Non sono considerati genuini gli alimenti che, pur rientrando nell’ambito di disciplinari approvati sulla

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base di norme nazionali o comunitarie (ad esempio IGP, DOP), non rispettano i parametri qualitativi e le caratteristiche intrinseche ivi definite. Il reato previsto dall’art. 516 si realizza con la semplice detenzione, ai fini della commercializzazione, dell’alimento non genuino. Naturalmente deve essere dimostrato che il soggetto che detiene l’alimento non genuino è a conoscenza del fatto. Più difficile risulta dimostrare il reato in caso detenzione di alimenti preconfezionati che spesso vengono acquistati tal quali senza analizzarli nella loro composizione, caratteristiche e qualità intrinseche di genuinità.

• Art. 517 quater “Contraffazione di indicazioni geografiche, denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari”: punisce “chiunque contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari”. Alla stessa pena soggiace “chi, al fine, di trarre profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni e le denominazioni contraffatte”. Questo articolo del Codice penale punisce i soggetti che pongono in vendita alimenti con denominazioni, indicazioni geografiche di origine contraffatte, al fine di trarre in inganno il consumatore sulla qualità e l’origine del prodotto. Rientra a pieno titolo tra le frodi commerciali. L’illecito si configura quando viene dimostrata la conoscenza e la volontà di trarre in inganno il consumatore. La vendita di prodotti ittici con denominazioni di origine e o indicazioni geografiche contraffatte (marchi DOP e IGP) rientra in questa fattispecie di reato. Rientra pure in questa fattispecie di reato indicare in etichetta una zona FAO di cattura diversa da quella reale. La Legge n. 283/62 e la frode tossica • Art. 1 – L’ultimo comma dell’art. 1 della Legge 283/62 recita che, qualora venga riscontrata una frode tossica o comunque dannosa alla salute, il medico o il veterinario “trasmetterà immediatamente la denuncia all’Autorità giudiziaria”. • Art. 5 – “È vietato impiegare, nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo sostanze alimentari: a) private anche in parte dei propri elementi nutritivi, o mescolate a sostanze di qualità inferiore, o comunque

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trattate in modo da variare la composizione naturale, salvo quanto disposto da leggi o regolamenti speciali; b) in cattivo stato di conservazione; c) con cariche microbiche superiori ai limiti stabiliti dal regolamento di esecuzione o da ordinanze ministeriali; d) insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione; e) soppresso (art. 3, L n. 441 del 26-02-1963); f) soppresso (art. 57, L n. 142 del 19-02-1992); g) con aggiunta di additivi chimici di qualsiasi natura non autorizzati con decreto del Ministero per la Salute o, nel caso che siano stati autorizzati, senza l’osservanza delle norme prescritte per il loro impiego; h) che contengano residui di prodotti, usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate, tossici per l’uomo”. • Art. 6, comma 4 – “In caso di condanna per frode tossica o comunque dannosa alla salute non si applicano le disposizioni degli articoli 163 e 175 del Codice penale”. • Art. 6, comma 6 – “Nei casi previsti dal precedente comma, la condanna comporta la pubblicazione della sentenza in uno o più giornali a diffusione nazionale, designati dal giudice…”. La frode tossica è espressione di un pericolo accertato concretamente nell’alimento che può causare gravi

Molva e filetti di molva.

Baccalà e filetti di baccalà.

effetti tossici per la salute del consumatore. Questa condizione ricorre in tutti i casi, riportati dall’art. 5 della Legge 283/62, quando viene accertata una situazione di particolare pericolo e nocività dell’alimento per la salute del consumatore. La Corte costituzionale ha chiarito che “nella frode tossica rientrano pertanto tutti i comportamenti fraudolenti, che in quanto tali, sono normalmente sorretti dall’elemento soggettivo della volontà dolosa”. La frode tossica in quanto tale deve essere inserita nel capo di imputazione; in caso contrario, il Giudice non ha la facoltà di applicare le disposizioni previste dagli artt. 163 e 175 del Codice penale.

Le segnalazioni del sistema RASFF – Prodotti della pesca In Tabella 2 vengono analizzate le segnalazioni di non conformità pervenute attraverso il sistema RASFF relativamente ai prodotti ittici. I dati sono ricavati dalla relazione del Ministero della Salute e si riferiscono all’anno 2016, non essendo ancora stato pubblicato il report anno 2017. I Paesi che hanno avuto il maggior numero di notifiche, per quanto riguarda i prodotti ittici, sono stati la Spagna, il Vietnam e la Francia. L’Italia è il paese che ha effettuato il maggior numero di notifiche (175), seguito da Francia (62) e Spagna (60); questi dati sono degli indicatori importanti per valutare l’attività di controllo da parte delle autorità ufficiali competenti. Le non conformità che sono state riscontrate nei prodotti della pesca hanno riguardato i seguenti pericoli: • metalli pesanti (Tabella 3); • biocontaminanti: ci sono state 39 segnalazioni per presenza di istamina prevalentemente su tonno; ben 14 notifiche hanno riguardato prodotti di origine spagnola: va pertanto considerato il rischio paese; • contaminanti microbiologici di

Attività di controllo sulle frodi alimentari da parte dell’ICQRF Dall’analisi del rapporto annuale 2017 dell’ICQRF emerge un’importante attività di controllo che ha come obiettivo prioritario quello di contrastare le frodi alimentari nelle loro diverse espressioni, tutelare le produzioni nazionali e proteggere il consumatore. In Tabella 1 sono sintetizzati i dati complessivi dell’attività.

Tabella 3 – Non conformità riscontrate nei prodotti della pesca: metalli pesanti Tipo di contaminante

Prodotto ittico

Numero di segnalazioni

Mercurio

Pesce

100

Cadmio

Molluschi

33

Piombo

Molluschi cefalopodi

1

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133


Tabella 4 – Non conformità riscontrate nei prodotti della pesca: contaminanti microbiologici di natura patogena Tipo di contaminante

Numero di segnalazioni

E. coli

41

Listeria

38

Norovirus

13

Salmonella

13

Vibrio cholerae

6

Virus epatite

4

Clostridium botulinum

1

Vibrio parahaemolyticus

1

natura patogena (Tabella 4); • additivi: ci sono state 39 segnalazioni, di cui 29 per solfiti; • residui di farmaci: in totale sono pervenute 31 segnalazioni; 14 hanno riguardato i nitrofurani e 5 l’ossitetraciclina; • parassiti: tutte le segnalazioni hanno riguardato l’anisakis; • contaminanti industriali: totale segnalazioni 22; 11 hanno riguardato il benzopirene, 6 gli IPA; • biotossine: la maggior parte delle segnalazioni ha riguardato la DSP (17); 4 la ciguatossina e 1 la PSP. Le principali frodi nel settore della pesca

In alto e in basso: la salpa (Sarpa salpa) è un pesce potenzialmente allucinogeno. Era infatti consumata già dagli antichi romani per la sua attività psicotropa, con effetti che possono perdurate per 36 ore. Si ipotizza che la specie possa nutrirsi di qualche alga o fitoplancton che la rende psicoattiva con effetti simili a quelli della triptamina.

134

Vendita di prodotti decongelati per freschi Alcuni prodotti della pesca si adattano meglio di altri per questo tipo di frode in quanto risentono meno degli effetti del congelamento. Tra questi abbiamo i molluschi cefalopodi, varie specie di gamberi, pesci con carni magre (orata, sogliola, dentice), filetti di varie specie ittiche e preparati tipo hamburger, polpette, spiedini, ecc… La frode viene portata a termine con l’obiettivo di conservare più a lungo il prodotto, di valorizzarne la qualità e l’aspetto economico. I prodotti freschi sono più apprezzati e ricercati dai consumatori. L’individuazione di questa frode può essere fatta, nei pesci interi, nei crostacei e nei molluschi, con un’attenta analisi ispettiva delle caratteristiche di freschezza del prodotto: aspetto lucente del corpo; tonicità sodo-elastica delle masse muscolari; occhio vivo, vitreo e trasparente; branchie rosso vivo; odore di sale marino; presenza del rigor mortis. Nei prodotti decongelati alcuni di questi caratteri possono essere assenti: l’occhio si presenta opaco per una denaturazione proteica; le pinne non si presentano integre, ma presentano delle rotture nette; l’aspetto lucente del corpo è scomparso; la tonicità delle masse muscolari è assente. Nei molluschi cefalopodi l’occhio si presenta lattiginoso, la brillantezza dei colori del corpo è scomparsa,

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il nero perde la sua caratteristica oleosa e diventa granuloso. Tra le analisi di laboratorio che possono essere effettuate ricordiamo: • la valutazione della conducibilità elettrica, che risulta notevolmente diminuita nel prodotto decongelato; • le ricerche enzimatiche: idrossiacil-deidrogenasi HADH, che tende ad aumentare con il congelamento; succinico-deidrogenasi SDH, che invece tende a diminuire con il congelamento. Queste ricerche oggi non trovano molta applicazione pratica; • la spettroscopia NIR, che viene utilizzata per indagini di screening su partite, in maniera da avere delle indicazioni di massima; • l’esame istologico, che permette di identificare con certezza i prodotti che hanno subito un congelamento. L’elemento discriminante è la comparsa di vacuoli all’interno delle fibre muscolari, a seguito dei fenomeni di cristallizzazione durante le fasi di congelamento. Questo tipo di analisi è valida nei pesci sia interi che filettati; non dà risultati certi nei prodotti ittici macinati poi variamente preparati, tipo hamburger, e nei molluschi cefalopodi. Questo tipo di frode rientra a pieno titolo tra le frodi commerciali ed è punita dall’art. 515 del Codice penale.

Vendita di prodotti ittici con una percentuale di acqua superiore a quella dichiarata in etichetta La normativa prevede che l’acqua sia dichiarata nell’elenco degli ingredienti quando risulta, nel prodotto finito, in quantità superiore al 5%. Tuttavia, nei prodotti della pesca non trasformati e nei molluschi non trasformati deve essere dichiarata anche se inferiore al 5% (allegato VII, comma 1 del Reg. CE n. 1169/11). Inoltre, nei prodotti della pesca e nei preparati della pesca interi o sotto forma di tagli (arrosti), fette, filetti, porzioni, ai quali è stata aggiunta acqua in percentuale superiore al 5% del peso del prodotto, va riportata, accanto alla denominazione, anche una indicazione dell’acqua aggiunta (allegato VI, comma 6 del Reg. CE n. 1169/11). Non sempre però queste disposizioni vengono rispettate e a volte vengono messe in atto azioni fraudolente per aumentare la quantità di acqua presente. L’uso dei polifosfati non dichiarati in etichetta, in filetti di pesce, in molluschi cefalopodi e in molte altre preparazioni, è una strategia che viene adottata per aumentare la quantità di acqua del prodotto. La stessa cosa viene fatta, soprattutto nei preparati, aggiungendo proteine e fibre vegetali che hanno forte effetto igroscopico. Nelle sogliole, iniezioni di soluzioni saline e/o proteiche vengono usate per far aumentare

il peso del prodotto. La frode viene svelata osservando attentamente la superficie della cute, che presenta i numerosi fori delle iniezioni. Anche la glassatura a volte viene usata fraudolentemente per fare aumentare il peso. Il Reg. CE n. 1169/11, allegato IX, prevede che sia indicato in etichetta il peso al netto della glassatura. Non sempre però questa disposizione viene rispettata, anche in considerazione delle difficoltà pratiche di esecuzione dei controlli da parte delle autorità competenti. Vendita di specie con indicazioni non reali dei metodi di produzione e zone di pesca È una frode di tipo commerciale che viene portata a termine con finalità esclusivamente di natura economica. Il valore commerciale di un prodotto pescato è decisamente superiore rispetto ad uno allevato. Come pure i prodotti di pesca locali sono più ricercati e apprezzati rispetto a quelli importati provenienti tra altri mari. Queste in sintesi le cause che sono alla base di questo comportamento illecito, che rientra a pieno titolo nell’art. 515 del Codice penale. Il controllo della tracciabilità, così come prevista dal Reg. CE n. 178/02 e dall’art. 58 del Reg. CE n. 1224/09, e nello specifico la documentazione di scorta delle singole partite e l’etichettatura del prodotto dovrebbero concorrere a ridurre questo rischio.

La sostituzione di filetti di branzino con filetti di pesce serra può avere delle ripercussioni di tipo sanitario per possibile presenza di istamina.

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Muscolo bianco di salmone sottoposto a congelamento in azoto liquido a –50 °C. Le fibre muscolari presentano al loro interno spazi a margini netti otticamente vuoti. Sono evidenti aree con materiale granulare eosinofilo, riferibile a proteine sarcoplasmatiche. Trattamenti con additivi, coadiuvanti tecnologici e coloranti per modificare le caratteristiche Il trattamento con monossido di carbonio viene utilizzato per modificare il colore delle carni, soprattutto del tonno, che vengono rese di un colore rosso vivo per formazione di carbossimioglobina, molecola molto più stabile dell’ossimioglobina. I processi di imbrunimento subiscono un rallentamento e il colore rosso vivo tende a persistere anche quando le carni sono in fase di alterazione. Il monossido di carbonio è un gas incolore, inodore e insapore; è tossico se inalato, ma non se ingerito con gli alimenti. Non è consentito come additivo nei prodotti della pesca e il suo uso è vietato. Rientra tra le frodi di tipo commerciale, ma può essere inquadrato anche come frode sanitaria in considerazione del fatto che spesso i prodotti trattati con questo additivo si rendono responsabili di intossicazioni da istamina. Il prolungamento del periodo di conservazione, infatti, può creare le condizioni favorevoli per lo sviluppo della flora microbica in grado di trasformare l’istidina in istamina. Il trattamento di pesci e crostacei con perossido di idrogeno è vietato. A volte questo disinfettante viene usato fraudolentemente per sbiancare le

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carni e abbattere la flora microbica, consentendo così un prolungamento della shelf-life. L’uso dell’acqua ossigenata è consentito nei molluschi cefalopodi decongelati, eviscerati e spellati per il trattamento di sbiancatura delle carni. In questo caso non viene dichiarato in etichetta in quanto usato come coadiuvante tecnologico; non residua nelle carni. L’acido citrico E 330 può essere usato per il trattamento del pesce azzurro, in particolare sardine e alici, per farle apparire più fresche, eliminare o ridurre eventuali macchie emorragiche e arrossamenti dell’occhio e prolungare la shelf life. È consentito sia nei prodotti freschi che nei trasformati, con un livello massimo di utilizzo quantum satis. Normalmente nel pesce azzurro viene utilizzato ad una concentrazione dell’1-2%. Trattandosi di un additivo, deve essere riportato in etichetta. Nel caso non venga indicato, si potrebbe ricadere in una frode di tipo commerciale, che a volte potrebbe avere dei risvolti di tipo sanitario: mascherare eventuali stati di alterazione e in altri casi, prolungando il periodo di conservazione, creare le condizioni per la formazione di istamina a seguito dello sviluppo microbico.


con l’obiettivo di evitare il calo peso legato al trattamento di cottura. Da un punto di vista ispettivo risulta difficile individuare il comportamento illecito in quanto, trattandosi di un prodotto sgusciato, le differenze visive non sono molto marcate. Può essere molto utile eseguire la prova della fosfatasi acida. Questa frode rientra tra quelle di natura commerciale, però potrebbe in certe situazioni avere dei risvolti anche di tipo sanitario, per la presenza di germi patogeni che non vengono eliminati dal trattamento di cottura. Si sottolinea che i crostacei cotti in fase di produzione devono rispondere ai criteri di igiene previsti dal Reg. CE n. 2073/05 per quanto riguarda E. coli e Stafilococchi coagulasi positivi.

Code di rospo. I trattamenti con acido borico E 284 e aceto vengono a volte impiegati per rallentare i processi di degradazione dei prodotti della pesca e per mascherare i cattivi odori che si sviluppano durante le fasi di deterioramento del prodotto. L’acido borico non è consentito nei prodotti della pesca freschi e trasformati (Reg. CE n. 1129/11). È ammesso solo nel caviale, con un livello massimo di 4.000 mg/kg. A concentrazioni elevate può avere effetti tossici: disturbi della digestione, intolleranza gastrica, miocardiopatie ed eruzioni cutanee. I trattamenti con nitrato di sodio E 251 e nitrito di potassio E 252 vengono a volte impiegati in maniera illecita per mantenere il colore rosso vivo dei tranci di tonno. Il Reg. CE n. 1129/11 ne vieta l’utilizzo nei prodotti freschi della pesca. È consentito l’uso soltanto nei prodotti trasformati, aringhe e spratti, con una dose massima di 500 mg/kg. La tossicità di questo additivo è legata alla formazione delle nitrosammine, che hanno effetto cancerogeno e mutageno. I trattamenti con glicina E 640 e il suo sale di sodio vengono fatti con lo scopo di trattenere acqua ed esaltare la sapidità dei prodotti. Questo additivo non è consentito nei filetti; è consentito solo nei prodotti della pesca trasformati (Reg. CE

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n. 1129/11). Non ha alcuna tossicità per il consumatore. Pertanto un eventuale uso illecito rientra tra le frodi di tipo commerciale. Anche i polifosfati a volte vengono usati in maniera fraudolenta per trattenere una maggiore quantità di acqua nei prodotti freschi della pesca. Il Reg. CE n. 1129/11 ne consente l’uso esclusivamente nei filetti di pesce congelati e surgelati, nei crostacei e molluschi congelati e surgelati, nei prodotti trasformati sempre congelati e surgelati. La dose massima ammessa è di 5.000 mg/kg. Trattamenti con eosina, rosso di carminio, inchiostro rosso, succo di rapa, sangue per ravvivare il colore delle branchie, rappresentano una frode di tipo sanitario, che ha come obiettivo quello di mascherare eventuali stati di alterazione del prodotto. Residui di antibiotici e verdemalachite costituiscono una frode di tipo sanitario che interessa il pesce di allevamento a seguito di trattamenti farmacologici senza rispetto dei tempi di sospensione. Mentre per quanto riguarda il verde-malachite, è severamente vietato l’uso anche in considerazione degli effetti tossici per il consumatore. Vendita di gamberi crudi, ma etichettati come precotti Questa frode viene portata a termine

Sostituzione di specie È una frode di tipo commerciale che sta assumendo un’importanza sempre maggiore. Le motivazioni che spingono a questo comportamento illecito sono di ordine prevalentemente economico. Frequente è la sostituzione della sogliola con platessa, del dentice con il pagro, del polpo nostrano (Octopus vulgaris) con polpo messicano (Octopus maja) o con polpo indopacifico (Octopus aegina), dell’anguilla con il grongo, del calamaro con il totano, della platessa con la passera del Pacifico, del merluzzo nordico (Gadus morhua) con merluzzo eglefino (Melanogrammus aeglefinus), o con merluzzo carbonaro (Pollachius virens), o con brosma (Brosme brosme)… Il merluzzo d’Alasca o pollack viene spesso usato per sostituire Gadidae e Merluccidae di maggior pregio: Gadus morhua, Merluccius merluccius, M. capensis, M. hubbsi. Va sottolineato però, che questa frode spesso rientra anche tra quelle sanitarie per la sostituzione di specie idonee al consumo umano con altre che contengono sostanze tossiche e pericolose per la salute del consumatore. Un esempio è la sostituzione della coda di rospo con pesce palla, che contiene la temuta tetradotossina. Il Reg. CE n. 853/04 stabilisce che

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Fauna Lessepsiana proveniente dal Mar Rosso e dall’Oceano Indiano, oggi occasionalmente presente anche nel Mediterraneo. 1) Lagocephalus sceleratus. 2) Mola mola. 3) Balistes carolinensis. 4) Sigano. non possono essere destinati al consumo umano pesci appartenenti alle famiglie dei Tetradontidae, Canthigasteridae, Diodontidae, Molidae. Ma l’elenco è ben più lungo: ricordiamo la famiglia dei Gempylidae, in particolare Ruvettus pretiosus e Lepydocibium flavobrunneum, detti anche oilfish, che devono essere commercializzati confezionati, con riportato in etichetta le corrette modalità di cottura per evitare problemi gastroenterici al consumatore. Esiste poi il problema legato ai cambiamenti climatici, che ha portato ad un innalzamento delle temperature dei nostri mari e alla comparsa di specie tipiche dei mari tropicali, la cosiddetta fauna Lessepsiana, dal nome del costruttore del canale di Suez. Molte di queste specie sono tossiche e il loro consumo può rappresentare un serio pericolo per la salute del consumatore. Sempre in

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questo ambito, va anche considerato il tentativo di vendita di pesce persico africano (Lates niloticus), specie sottoposta frequentemente a divieti di commercializzazione per problemi di natura sanitaria, al posto del persico nostrano (Perca fluviatilis). Altre volte vengono portate a termine frodi per commercializzazione di specie protette o di cui è vietata la pesca, come ad esempio delfini, squalo balena, squalo bianco, squalo elefante. Il riconoscimento di specie sulla base delle caratteristiche morfologiche ed eventuali analisi di laboratorio permettono di tenere sotto controllo questo rischio. La sostituzione di specie è particolarmente frequente nei prodotti della pesca preparati e trasformati e nei filetti in quanto l’esame ispettivo da solo non sempre consente l’identificazione della frode. È necessario ricorrere a esami di laboratorio con tecniche di biologia molecolare e spettrome-

tria di massa. Numerose sono state le indagini fatte in questo senso e i dati che sono emersi hanno messo in evidenza che questo comportamento illecito può raggiungere valori percentuali del 20-25%. Da qui la necessità di intensificare l’attività di controllo a tutela della salute del consumatore. Recentemente l’Istituto Zooprofilattico delle Venezie ha messo a punto una nuova metodica di analisi biomolecolare, basata su un procedimento di pirosequenziamento del DNA mitocondriale, che consente l’identificazione rapida e univoca dei molluschi bivalvi attraverso la determinazione “dell’impronta digitale” delle singole specie. L’esigenza di adottare questo metodo è nata dalla difficoltà di analizzare il prodotto lavorato, le cui caratteristiche morfologiche e proteiche sono spesso assenti e degradate.

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Lo studio ha permesso di identificare specie molto comuni, come cozze, vongole e ostriche, ma anche altre meno diffuse, come cannolicchi, telline e canestrelli. “Il pirosequenziamento si basa sul principio del sequenziamento per sintesi e sulla possibilità di rilevare in tempo reale la luminescenza emessa dalla luciferasi, un enzima prodotto da reazione accoppiata alla sintesi del DNA. La sequenza di luminescenza dà origine a un pirogramma, ovvero una serie di picchi, a cui corrispondono i nucleotidi che consentono di capire la sequenza del frammento di DNA in esame. Il pirosequenziamento è una metodica che sicuramente avrà uno sviluppo notevole per l’identificazione di specie dei molluschi e per contrastare le frodi commerciali sui prodotti lavorati e preparati. Inoltre, vengono contrastate anche eventuali frodi di tipo sanitario per mancata indicazione in etichetta di eventuali allergeni” (comunicato dell’Istituto Zooprofilattico). Questa metodica consente di svelare eventuali frodi per sostituzione di specie nei prodotti lavorati e trasformati e identificare anche eventuali allergeni di molluschi non dichiarati. La Comunità europea ha istituito un network per le frodi alimentari La Comunità europea, a seguito del recente scandalo nel commercio di carne equina, ha inaugurato un network denominato Food Fraud Network (FFN), con l’intento di rendere più efficace l’applicazione degli artt. 36-40 del Reg. 882/2004. Aderiscono al network 28 contact points degli Stati Membri, nonché Svizzera, Norvegia e Islanda. Gli esperti del FFN hanno il compito di dare supporto e sostegno ai responsabili politici mettendo a disposizione le più recenti conoscenze scientifiche in materia di frodi alimentari e qualità degli alimenti. Le frodi alimentari e la mancanza di qualità degli alimenti minano la fiducia dei consumatori e danneggiano l’intera filiera alimentare. Il “centro” contribuirà a «proteggere l’integrità della filiera alimentare della UE e a salvaguardare la

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qualità dei prodotti alimentari, apportando un chiaro valore aggiunto per i cittadini europei» (NAVRACSICS, Commissario europeo). Compiti del FFN • Coordinare le attività di vigilanza sul mercato, per verificare se i prodotti commercializzati in ambito UE con lo stesso marchio e lo stesso imballaggio hanno la stessa composizione, le stesse proprietà organolettiche e la stessa qualità. • Gestire un sistema di allerta rapido sulle frodi alimentari, in maniera che le informazioni giungano rapidamente al consumatore. • Collegare i sistemi informativi degli Stati Membri e della Commissione, come ad esempio le banche dati dei prodotti alimentari di pregio. • Generare conoscenze specifiche per ogni Paese, ad esempio lista dei laboratori e delle infrastrutture presenti. Conclusioni Le frodi alimentari del settore ittico rappresentano un problema quanto mai attuale, che necessita di un costante impegno da parte di tutti gli operatori del settore e delle autorità competenti di controllo per prevenire e contrastare comportamenti illeciti che minano la fiducia del consumatore e che possono avere pesanti ripercussioni sotto l’aspetto sia commerciale che sanitario. Le attuali normative comunitarie e nazionali prevedono che siano svolti, da parte degli organi di controllo, verifiche, ispezioni, audit, attività di campionamento per verificare se i prodotti alimentari posti in commercio rispondano a requisiti di qualità, di sicurezza alimentare e di identità con quanto riportato in etichetta. Queste attività di controllo dovrebbero scoraggiare coloro che sono intenzionati a portare a termine attività illecite in questo ambito, anche in considerazione delle pesanti pene e sanzioni che sono previste. L’OSA assume un ruolo centrale nella prevenzione e nel contrasto

delle frodi attraverso il controllo delle materie prime, degli ingredienti che utilizza, della selezione dei fornitori e della valutazione del rischio. La responsabilità che la normativa comunitaria ha riconosciuto agli operatori nel controllo dei processi produttivi e della qualità delle produzioni ha contribuito sicuramente a sensibilizzare maggiormente tutto il settore e a creare una coscienza produttiva a tutto vantaggio del consumatore. Dott. Luciano Boffo Medico Veterinario Consulente Sicurezza Alimentare – Chioggia Dott. Giuseppe Arcangeli Direttore del Centro Specialistico Ittico – IZSVe Legnaro Bibliografia • G ALLINA A., C ABURLOTTO G., ARCANGELI G. (2013), Prodotti della pesca e dell’acquacoltura freschi e lavorati, edito da API, Veronesi e IZSVe. • PALESE L., PALESE A. (1991), Il controllo sanitario e qualitativo dei prodotti della pesca, E. Piccin. • MALANDRA R., RENON P., Le principali frodi della pesca. • B OFFO L., Etichettatura dei prodotti della pesca destinati al consumatore finale, IL PESCE n. 4/2018. • Ministero della Salute, Relazione annuale RASFF 2016. • Ministero Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Report attività ICQRF 2017. • Atti del convegno IFNE ottobre 2016. • LAZZARO A., Nuove problematiche del settore alimentare, proposta di riforma del sistema sanzionatorio penale. • RUFFO G., La legislazione alimentare dell’Unione Europea e principi di tutela nell’ordinamento giuridico italiano. • ABBADI M., MARCIANO S., TOSI F., DE BATTISTI C., PANZARIN V., ARCANGELI G., CATTOLI G. (2016), Species identification of bivalve molluscs by pyrosequencing, J. Sci. Food Agric., DOI 10, 1002/ JSFA, 7754.

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MILANESE snc dal 1953 produce e commercializza una vastissima gamma di attrezzature per l’acquacoltura, che esporta in ben 40 paesi di tutto il mondo. Inoltre progetta e costruisce su misura sistemi di automazione per l’allevamento del pesce

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STATISTICHE

Mably Soc. Coop., Ricerca Economica e Statistica

La raccolta dati sulle materie prime nel settore della trasformazione dei prodotti ittici in Italia Il piano di lavoro italiano per la raccolta dei dati nei settori della pesca e dell’acquacoltura (2017-2019) ha avuto inizio lo scorso anno in ottemperanza alla decisione di esecuzione (UE) 2016/1251 della Commissione del 12 luglio 2016 che adotta un programma pluriennale dell’Unione per la raccolta, la gestione e l’uso di dati nei settori della pesca e dell’acquacoltura. La raccolta dati è mirata sia alla descrizione del settore della pesca nei diversi livelli

che esso interessa — e quindi pesca, acquacoltura e trasformazione —, ma anche alla caratterizzazione di tutti gli aspetti che lo compongono, quali dati biologici, dati descrittivi dell’attività, economici e sociali. Tra gli obiettivi che la raccolta si prefigge c’è lo studio pilota (ed è una delle sezioni più innovative) sui dati relativi alle materie prime utilizzate dal settore della trasformazione. RETEMARE, il consorzio costituito da Mably soc. Coop., Gestimar e CSR

che ha istituzionalizzato una forte collaborazione fra ricerca scientifica e cooperazione in pesca, ha il compito di realizzare lo studio pilota. In tal senso, ha già avviato il monitoraggio delle statistiche e delle informazioni disponibili. In Italia il settore della trasformazione è parte dell’industria, con il codice NACE 10.20, e una parte dei dati che lo descrivono è già raccolta da ISTAT (www.istat.it) e da altri istituti nazionali coi quali è stata sviluppata

In Italia il settore della trasformazione è parte dell’industria, con il codice NACE 10.20, e una parte dei dati che lo descrivono è già raccolta da Istat e da altri istituti nazionali (photo © mocnypunkt – stock.adobe.com).

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Pescato fresco (photo © Ravenna – stock.adobe.com). un’intensa collaborazione, al fine di ottenere un quadro settoriale il più possibile integrato e coerente ed in grado di descrivere i vari aspetti che lo definiscono e caratterizzano. Questa attività, tuttavia, non è scevra di difficoltà, dato che diversi enti nazionali provvedono alla raccolta dei dati statistici ed anagrafici di base, ma ciascuno segue una propria metodologia, con caratteristiche diverse da quanto previsto dalla raccolta dati a livello europeo, anche perché ciascun ente ha obiettivi propri. È proprio su questo aspetto che si inserisce lo studio pilota, il quale mira ad attuare una raccolta di informazioni che vada ancor più nel dettaglio, arrivando quindi a descrivere il settore attenendosi il più possibile ai numeri relativi alla realtà

italiana e categorizzando le risposte secondo la variegata composizione settoriale a livello nazionale, che si rispecchia già nella natura giuridica e nel numero dei dipendenti. Come in molti altri settori, infatti, l’industria della trasformazione vede affiancate poche grandi imprese a duna miriade di piccole imprese. Lo studio pilota, quindi, deve considerare entrambi gli aspetti per comprendere e riportare nei risultati le due categorie e tutto ciò che ricade nel mezzo. Il perseguimento di questo obiettivo richiede inevitabilmente l’avvio di un dialogo costante e fruttuoso con i rappresentanti di categoria a livello nazionale così da poter modellare la raccolta dati in base ai suoi principali descrittori e ad inquadrare gli aspetti e il campionamento

Lo studio pilota mira ad attuare una raccolta di informazioni che vada a descrivere il settore della trasformazione attenendosi il più possibile alla realtà delle imprese italiane, categorizzando le risposte secondo la variegata composizione settoriale a livello nazionale

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in modo efficiente. L’auspicio è che tale coinvolgimento sia di interesse anche per gli stessi rappresentanti del settore poiché i dati che saranno raccolti e le analisi a questi associate andranno a costituire la base delle future decisioni che saranno adottate dall’Unione Europea. A livello pratico, per il momento, è previsto che il passo successivo si estrinsechi nella raccolta dati attraverso interviste alle imprese selezionate in collaborazione con i rappresentanti del settore. Data la varietà di imprese presenti sul territorio nazionale, la prima caratterizzazione va ad individuare se l’impresa intervistata appartenga al settore conserviero o surgelato. Tale descrittore, infatti, varia molto di regione in regione. La descrizione delle materie prime si basa sull’acquisizione di dati su tipologie, origini e quantitativi delle specie lavorate, allo scopo di meglio comprendere i meccanismi che governano i flussi commerciali ed industriali. Il fatto che la materia prima possa essere acquistata in diverse forme, quali pesce fresco pescato, pesce da acquacoltura e pesce semilavorato, lascia comprendere il grado di difficoltà dell’indagine, ma anche la necessità di definire un quadro trasparente ed efficace del funzionamento del settore e del suo impatto relativamente alla consistenza e sostenibilità degli stock ittici interessati. La qualità del risultato dello studio pilota sarà inevitabilmente legata alla disponibilità dei rappresentanti del settore e delle imprese a collaborare, rispondendo alle richieste previste dal programma di raccolta dati. Per il resto, gli ingranaggi di tutto il sistema sono già assemblati e iniziano a funzionare: il regolamento europeo relativo alla raccolta dati è già in fase di attuazione, il piano di lavoro italiano si sta svolgendo, i materiali informativi per la raccolta dati sono stati predisposti, la raccolta dati ha già parzialmente avuto inizio. Mably Soc. Coop. Ricerca Economica e Statistica www.mably.it

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Eccellenza italiana nell’igiene Il marchio “Linea Flesh” garantisce la qualità e la cura con cui ogni prodotto viene studiato e realizzato Negli ultimi anni il mondo del commercio si è evoluto rapidamente. L’e-commerce, in particolare, è il vero protagonista dell’era moderna: è, senza dubbio, il metodo più esaustivo per ottenere un prodotto nel più breve tempo possibile, stando comodamente seduti nella propria poltrona di casa o in ufficio. Ma quanto rispondono questi acquisti alle nostre aspettative?

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Spesso siamo propensi ad acquistare un prodotto on-line perché influenzati da un passaparola, magari sui social, o dalla pubblicità, spesso ingannevole. Ma la qualità viene rispettata? Le recensioni di altri utenti sui prodotti a volte sono utili, ma non sempre sono all’altezza del principale e più vecchio metodo di valutazione: il toccare con mano. Si va un po’

alla cieca: si spera che il materiale sia buono, sia resistente, che non si rompa dopo due o tre utilizzi, e che le caratteristiche corrispondano esattamente a quello che avevamo pensato nella nostra mente. Anche per LINEA FLESH è arrivato il momento di addentrarsi nel mondo dell’ecommerce ma con una sola regola inderogabile: non scendere mai a compromessi!

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Acciaio inossidabile: superficie di riferimento per la norma HACCP Nei settori in cui operiamo, la pulizia e la sterilizzazione degli ambienti e delle superfici sono importanti, se non essenziali e, per questo, la qualità dei nostri materiali è il motivo principale del successo di Linea Flesh e ciò che ci distingue dalla massa. Il materiale protagonista per la sua igienicità è l’acciaio inox, usato sia nel settore alimentare che in quello farmaceutico e cosmetico. È resistente alla corrosione da parte di disinfettanti e detergenti e al contatto con i prodotti alimentari; non si usura nel tempo nonostante i ripetuti lavaggi; è resistente agli urti e agli shock termici e, quindi, non sono previsti danneggiamenti, fessurazioni o formazioni di crepe che potrebbero causare luoghi ideali per la proliferazione di microbi. Il nostro ufficio sviluppo è in continua collaborazione con i tecnici progettisti per creare arredi funzionali, in modo che le superfici siano piatte, senza saldature e conformi al metodo HACCP per una facile pulizia e prevenzione agli infortuni. Siamo alla costante ricerca di idee e innovazioni per dare al cliente la sicurezza di essere seguiti da un team esperto e attento al conseguimento delle regole igieniche, garantendo sempre la qualità dei materiali e la cura nella costruzione. La collaborazione e lo scambio di idee tra gli operatori sono i punti cardini della nostra attività per raggiungere le più alte prestazioni e, per questo motivo, i prodotti Linea Flesh rispondono alle esigenze e alle aspettative dei clienti. La missione dell’azienda non è la vendita del prodotto fine a se stessa, ma garantire un servizio efficiente ed affidabile che consegua ad un rapporto di fiducia duraturo con il cliente. Conformità HACCP Linea Flesh è un fornitore qualificato che crea dei prodotti all’avanguardia, consoni alle procedure di controllo dei pericoli e delle contaminazioni organiche e alimentari previsto dai Regolamenti CE 852/2004 e 853/2004. Per questo la clientela dei vari settori si affida a noi per le proprie esigenze di sicurezza nell’igiene.

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LIBRI

Braciami ancora, la tribù del barbecue Una pagina Facebook, un giornale on-line, un canale Youtube, un profilo Instagram e da oggi anche un libro “L’uomo è diventato quello che è perché ha iniziato a grigliare. Se siamo essere pensanti, se siamo riusciti ad arrivare sulla Luna, se siamo in grado di progettare sofisticati personal computer e abbiamo imparato a discutere di arte, filosofia, calcio e musica, lo dobbiamo al fatto che iniziammo a cuocere la carne che cacciava un nostro lontano antenato. Se siamo riusciti a fare azioni impensabili per tutte le altre specie viventi (bipedi, quadrupedi, rettili, mammiferi, abitanti degli oceani: non fa differenza), lo dobbiamo a una fiamma e alla nostra capacità di padroneggiarla. Possiamo tranquillamente affermare che l’uomo si è distinto da tutti gli altri esseri viventi sulla faccia della terra perché ha iniziato a usare una griglia”. Questo è

l’incipit dell’opera del giornalista MICHELE RUSCHIONI che, con Braciami ancora. La tribù del barbecue spiega, in modo scorrevole e mai banale, il grande potere del barbecue: quello di far riscoprire usanze e costumi che l’industria alimentare aveva deciso di farci parcheggiare nel dimenticatoio, e racconta come la magia della cottura a fuoco vivo salverà il mondo. Al di là delle mode vegane, baipassando la cucina gourmet, facendo spallucce ai consigli degli chef che spopolano in televisione, cresce la comunità di persone che amano questo tipo di cucina informale, conviviale e dal forte potere aggregativo. Un cibo cotto sulla griglia risveglia antichi istinti mai del tutto sopiti e, con il suo ipnotico sfrigolio e l’inconfondibile aroma che conquista le narici di chi si trova nei

MICHELE RUSCHIONI Braciami ancora La tribù del barbecue Ultra Edizioni, 2018 142 pp. – € 13,02

Braciamiancora è un progetto editoriale nato da un’idea del giornalista professionista Michele Ruschioni.

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paraggi, attira, attira a sé tutti, senza distinzioni. “Viviamo in un’epoca in cui dalla mattina alla sera siamo circondati dai messaggi dell’industria alimentare che ci tenta e vorrebbe che cedessimo ai suoi prodotti precotti e preconfezionati, per questo dico che chi oggi organizza un barbecue compie un atto rivoluzionario, una sorta di guerra di indipendenza nei confronti dell’industria alimentare. A qualunque latitudine ci si trovi, che sia l’Equatore o la regione dei laghi

scandinavi, accendere il fuoco per cuocerci sopra del cibo rappresenta un rito che si assomiglia sempre: ci si siede intorno al braciere, si fa cerchio, si crea un legame tra i presenti. Mi colpì una frase che mi disse anni fa un anziano pitmaster di colore incontrato nel New Jersey: lui non aveva dubbi, nella sua lunga e tribolata esistenza aveva visto solo due cose accomunare neri e bianchi senza distinzione. La guerra in Vietnam e il barbecue. Ecco, nel

libro racconto storie così e mille altri aspetti, che molti danno per scontato, riguardo la cottura a fuoco vivo”, spiega l’autore. Seguendo il profumo delle griglie roventi, che si avverte forte pagina dopo pagina, il lettore farà un viaggio nel tempo tra aneddoti, testimonianze, riflessioni, in un golosissimo viaggio tra i cinque continenti. Dopo aver letto questo libro la prossima grigliata sarà senz’altro diversa. Sicuramente più bella.

Braciamiancora, storie di cibo, vino, birra e barbecue. La più accesa comunità food d’Italia La rivincita dei grigliatori, dei divora-hamburger e degli amanti della bistecca cotta su griglie infuocate ha un nome e un luogo: Braciamiancora. Un nome che sprigiona subito simpatia. Braciamiancora è una pagina Facebook con oltre 700.000 fan, un giornale on-line, un canale Youtube con oltre tre milioni di visualizzazioni e un profilo Instagram che attira ogni giorno centinaia di like. E ora anche un libro. >> Link: www.braciamiancora.com

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