Premiata Salumeria Italiana 3-2012

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXIV N. 3 Maggio-Giugno 2012

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N. 3 Anno XXIV Maggio-Giugno 2012

€ 6,70 EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE – EURO ANNUARIO CARNE – EURO GENUINE FOOD ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA – US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA Stampa

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988 Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910 In esclusiva gli articoli di Euposia

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N. 3

In questo numero: Immagini In primo piano

10 La mortadella e le mortadelle

Carlo Cantoni

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Nobile dentro e bella fuori: è la mortadella Negrini

Federica Cornia

32

Il food in rete

Il meglio del web e delle app

Elena Benedetti

34

Aziende

Salumi Franceschini: solo carni suine italiane e la cura artigianale di un tempo

Gaia Borghi

36

Prosciuttificio B&B, modernità nella tradizione

Laura Franchini

40

Perla d’Ampezzo, noblesse oblige!

Riccardo Lagorio

44

Consumi

Verso un’economia della pizza

Corrado Barberis

48

Premiate Salumerie Italiane

Salumi Dorth: quando è il tempo a lavorare

Riccardo Lagorio

54

Italica 1861, Salumeria Osteria Italiana

Federica Cornia

58

Ciccio “Sultano” di Sicilia

Stefania Monaco

63

Peppe Zullo: dall’allevamento alla tavola la carne è servita!

Massimiliano Rella

66

Perenzin: molto più di una semplice latteria

Gian Omar Bison

71

Premiate Trattorie Italiane, trattorie con la T maiuscola

Gaia Borghi

76

Franceschetta 58, il prêt à porter del gusto a Modena

Federica Cornia

79

Prosciutto di Sauris Igp: un presente radioso e un futuro invitante

Gian Omar Bison

82

La porchetta di Vito Bernabei, “il norcino di Marino”

Michele Bracieri

86

La costellazione Suincom

Laura Franchini

88

Locali di gusto

Trasformazione

Interviste

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Gastronomia Fiere

Critica del critico gastronomico

Giovanni Ballarini

La forza dell’industria alimentare in vetrina a Barcellona

92 96

Vinitaly 2012, l’anno del cambiamento

Laura Franchini

100

Un inno alla diversità e alla passione

Riccardo Lagorio

112

Taste 2012, l’alta gastronomia si trasferisce a Firenze

114

Un passo indietro per guardare al futuro

Fabio Butturi

116

Cibus 2012: qui si lavora, altro che chiacchiere

Gaia Borghi

124

Vino

Vini del Montecucco, toscani emergenti

Elena Benedetti

140

I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: Bardolino Chiaretto Spumante

Laura Franchini

142

Storia e cultura

VIP: Visti Io Personalmente

Angelo Valentini

144

Olio

Extrascape, concorso olivicolo internazionale

Dolci

Corrado Assenza, dolce senza confini

Stefania Monaco

148

Libri

Non manchi dal tuo scaffale!

Manrico Murzi

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In copertina: mortadelle del Salumificio Palmieri (foto di Massimiliano Rella).

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Immagini

Friuli, terra di prosciutti, ma non solo. Ne sa qualcosa Luigi Carlo Fabbro, che ha raccolto la prestigiosa eredità del bisnonno Giorgio, Dorth in quest’angolo di terra che non è più Veneto ma non ha ancora coscienza di piena friulanità. Ce ne parla Riccardo Lagorio a pagina 54.

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Ciccio Sultano ci accoglie nel suo ristorante “Duomo”, nel quartiere Ibla di Ragusa, per offrirci una cucina siciliana ricca di profumi e sapori. A pagina 63 l’articolo di Stefania Monaco.

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In primo piano

La mortadella e le mortadelle di Carlo Cantoni

F

u LUIGI MARIA MITELLI a raffigurare per primo la mortadella in un’incisione della seconda metà del Seicento. L’etimo del termine “mortadella” è discusso, perché secondo alcuni deriverebbe dal latino mortatum, il mortaio usato per sminuzzare la carne. Secondo altri deriverebbe invece da mortada, parola ormai scomparsa e derivante dal latino myrtatum, che indicava una carne aromatizzata con bacche di mirto. Come scriveva PLINIO IL VECCHIO parlando dell’uso del mirto: «Si usò in altro modo la coccola degli antichi (appunto le bacche di mirto) prima che si trovasse il pepe, e serviva in luogo di esso, e se ne faceva una nobile vivanda, la quale anche oggi si chiama mirtato, Myrtatum vocatur (23-79 d.C., Libro 15, XXXV, Naturalis historia)». Il mirto fu poi soppiantato dal pepe. La prima codificazione ufficiale con ricetta per la preparazione della mortadella è stata scritta dallo scalco di corte degli Este di Ferrara, CRISTOFORO DA MESSISBUGO, nel libro Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale. La prima ricetta vera e propria risale invece al 1600 e si trova nel trattato Economia del Cittadino in Villa (1664) ad opera di un agronomo bolognese, VINCENZO TANARA. Qui sono indicati il tipo e la quantità di spezie da utilizzare: cannella, chiodi di garofano, noce moscata, muschio, pepe in grani, sale, zucchero e formaggio. Tanara, inoltre, specifica anche la dose del tessuto adiposo, tagliato in grossi dadi (1/3), e la dose del tessuto magro, proveniente da tagli pregiati, quali spalla o coscia (2/3). Il tutto trasformato in farcia (impasto fine) con “taglienti pestature” (il che escluse l’uso del mortaio per sminuzzare la carne). Dopo l’insaccatura, la mortadella deve essere cotta, a temperatura moderata, in una stufa calda.

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Negli Annales Cremonenses (Quibus res ubique gestas memorabilis à patriae suae), scritti da LODOVICO CAVITELLI, patrizio cremonese, nel 1588, si può leggere: «Moltissimi cremonesi nel passato come al presente, emergono per intraprendenza e acutezza di ingegno; alcuni di essi, per un succulento cibo dell’uomo, escogitarono e prepararono un insaccato di carne suina e anche bovina triturata ben bene e frammista con polvere di pepe, ovvero di ginestro, di cinnamomo, cannella e di altri aromi e quindi introdotta e legata in budello di maiale, il tutto poi messo a bollire nell’acqua sul fuoco, o arrostito e alla fine portato in tavola, e così gustato tra l’allegria dei commensali». BARTOLOMEO SCAPPI da Luino, il più grande cuoco del Rinascimento, nella

sua opera del 1570, dopo aver dichiarato di non volere parlare di mortadelle e salami perché non attinenti alla sua professione, riporta la preparazione di una mortadella di carne magra suina involta nella rete: «Piglionsi dieci libbre della soprascritta carne priva d’ossa, pelle, et nervi, la quale habbia del grasso, et magro, et battasi con li coltelli sopra la tavola, giungendovi otto oncie di sale trito, et sei oncie di finocchio dolce secco, quattro oncie di pepe ammaccato, un’oncia di cannella pesta, meza oncia di garofani pesti, et sia ben mescolata insieme ogni cosa con la mano, et giunganovisi quattro oncie di acqua fredda, et menta, et maiorana battuta con un poco di serpillo [timo], et lascisi riposare in un vaso di terra o di legno per quattro hore

La mortadella italiana ha una storia secolare e viene prodotta utilizzando tecniche uniche al mondo.

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Tabella nutrizionale della mortadella Bologna Igp (valori per 100 g di prodotto) – Dati: Inran COMPOSIZIONE CHIMICA E VALORE ENERGETICO Acqua

56,9 g

Lipidi

Proteine

15,7 g

Colesterolo

25,0 g 72,0 mg

Carboidrati

0,0 g

NaCl

2,4 g

Energia

288 kcal 1.206 kJ

SALI MINERALI: MACROELEMENTI Potassio

314 mg

Magnesio

Ferro

1,03 mg

Zinco

13 mg

Calcio

8 mg

Fosforo

119 mg

tr

Manganese

0,01 mg

Vitamina B6

0,27 mg

Vitamina E

0,28 mg

Vitamina B12

0,28 mg

SALI MINERALI: MICROELEMENTI 1,57 mg

Rame

VITAMINE Tiamina

0,24 mg

Riboflavina

0,12 mg

Niacina

4,19 mg

ACIDI GRASSI SATURI C4:0÷C10:0

0,02 %

C12:0

0,03 %

C14:0

0,39 %

C15:0

0,02 %

C16:0

5,01 %

C17:0

0,09 %

C18:0

2,68 %

C20:0

0,02 %

Saturi totali

8,26 % 11,05 %

C20:1

0,23 %

0,14 %

C20:3

0,00 %

ACIDI GRASSI INSATURI: MONOINSATURI C16:1

0,70 %

C17:1

0,09 %

Monoinsaturi totali

12,06 %

C18:2

3,06 %

C18:3

0,16 %

C20:4

0,11 %

Polinsaturi totali

3,34 %

C18:1

ACIDI GRASSI INSATURI: POLINSATURI C20:2

NITRITI E NITRATI Nitriti

assenti

Nitrati

in loco fresco, et piglisi la rete d’esso porco ben netta di peli, et mollificata con acqua tiepida, et faccianosi di tal composizione le mortadelle con la rete a foggia di tommacelle, et fatte che saranno lascinosi riposare il verno (inverno) per due giorni in loco asciutto, et poi si cuociano su la graticola. Overo nella padella con lo strutto liquefatto. …Della detta composizione si potrebbero empir budelle di porco, che prima fossero state in sale, est piene che fossero il verno di potrebbero lasciar stare per due giorni et dapoi si potrebbero alessare». Alla fine del 1600 un prodotto, citato come mortadella, era rinomato, non solo in Italia, ma conosciuto ed apprezzato in Francia e Inghilterra. In quel tempo un giornalista londinese scriveva: «Gli emiliani preparano una sorta di grande salsiccia denominata mortadella, che fanno tritando carne di maiale, condendola con sale, pepe e aglio e infilandola in budelli di maiale, pecora o manzo, lasciandola per 2 giorni in una salamoia, bollen-

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11,0 ppm dola per poco tempo e mettendola ad asciugare vicino al camino». Nel 1701, il francese VEYARD riferisce sulle percentuali di carne suina cotta per fare mortadelle (70% di carne più 30% di grasso). Infine, FORNI, nel 1881, fornisce una più precisa descrizione della ricetta — 65% di carne magra, 35% di tessuto adiposo — e delle fasi di preparazione. Le mortadelle La mortadella di Bologna è la più celebre delle mortadelle prodotte in Italia ed è protetta dal marchio IGP dell’UE. È prodotta in EmiliaRomagna, Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana, Marche, Lazio e Provincia di Trento. Si ricava da un misto di carni suine, cotenne tritate finemente, mescolate con grasso duro cubettato, con l’aggiunta di una vasta gamma di ingredienti ed aromi. Altri tipi di mortadelle sono prodotte sempre in Emilia, in Lombardia e in Lazio. Solitamente, ogni grande salumificio ne produce due o tre tipi immessi in mercato con prezzi

differenti. Uno degli elemento che distingue le mortadelle a farcia fine è la dimensione, che varia da 1 kg a 10-15 kg di peso, fino ad arrivare anche ai 30-100 kg, e il tipo di carne utilizzata. Le mortadelle a farcia fine possono essere fatte: • con carni suine (puro suino) = S; • con carni suine e bovine = B; • con carni suine e aggiunta di carni ovine = O; • con carni suine ed aggiunta di carni equine = C. Tecnica generale di preparazione e lavorazione Tra i diversi prodotti cotti a pasta fine, la mortadella è quella che possiede i più ampi requisiti di tradizione. La tecnica di preparazione che prevede l’uso del tritacarne, anziché del cutter (sminuzzatrice), la differenzia dagli analoghi prodotti reperibili negli altri paesi europei ed extraeuropei. Il lavoro meccanico del tritacarne e dell’impastatrice è più delicato rispetto a quello del cutter, e pertanto non causa la formazione di un’emulsione

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di carne che trattiene acqua aggiunta e/o grasso in amalgama omogeneo. Per questa ragione nella mortadella non viene aggiunta acqua e il grasso viene incorporato sotto forma di cubetti: l’impasto è perciò concentrato e relativamente magro. Ci troviamo di fronte ad un prodotto che presenta aspetti simili sia alle emulsioni di carne che ai salami cotti, il che contribuisce a rafforzarne la particolarità. Nella composizione della mortadelle possono entrare diverse carni (fa eccezione la mortadella Bologna, per la quale si possono usare materie prime esclusivamente di origine suina per l’ottenimento della massima qualità) per cui la formulazione può variare. Le caratteristiche dei tagli che più frequentemente entrano a far parte di formulazioni per mortadella sono le seguenti: • spalla suina – la percentuale di incorporazione nell’impasto è massima nelle mortadelle di qualità superiore per ridursi progressivamente con la diminuzione della qualità stessa; • triti di suino – sotto questa denominazione sono commercializzate carni derivanti dalla lavorazione dei tagli principali ricavati dalla sezionatura delle mezzene (prosciutto, lombo, coppa, ecc…); • grasso cubettato – per la produzione di “lardelli” è oggi utilizzato principalmente il grasso di gola, il più duro tra i grassi e quindi più pregiato, che permette la chiara divisione tra grasso e magro visibile nella fetta. La preparazione della mortadella consta nelle fasi essenziali che di seguito descriviamo. Triturazione La linea del magro è caratterizzata dalla progressiva riduzione della materia prima, dai tagli interi di carne ad una miscela cremosa ottenuta con il passaggio all’interno della macchina spezzatrice nel premiscelatore ed in due tritacarne assai fini. Preparazione dei lardelli Il grasso di gola viene tagliato nella tipica forma di cubetto e sottoposto ad accurato lavaggio a caldo, dopo di

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che si procede ad unirlo alla componente magra. Impasto Dopo un tempo di impastatura variabile dai 5 ai 15 minuti l’impasto viene portato all’insaccatura. Per tale operazione sono utilizzati involucri naturali e artificiali. Diversissimi sono i calibri e i pesi delle mortadelle insaccate: pezzature da 500 g a 80-100 kg sono facilmente reperibili sul mercato. Cottura Dopo l’insacco le mortadelle sono portate all’interno delle stufe di cottura. La cottura è una fase molto delicata del processo di trasformazione, che è assolutamente necessario ottimizzare in funzione della formulazione, del tipo di stufa, del carico e del calibro delle mortadelle. Le stufe sono normalmente in muratura ed il mezzo riscaldante è l’aria che è portata alla temperatura voluta (massimo 85°C) per contatto indiretto con il vapore. Una cottura mal condotta può avere influenze negative sul colore, in particolare sulla presentazione esterna del prodotto (presenza di bruciature, colore non tipico) e causare la parziale fusione dei lardelli. Successivamente alla cottura la mortadella è sottoposta a docciatura con acqua fredda e immediatamente portata in cella di raffreddamento, per essere raffreddata nel più breve tempo possibile fino ad una temperatura interna di 10°C che “stabilizza” il prodotto. Disciplinare di produzione dell’Indicazione Geografica Protetta “Mortadella Bologna” (DM 7 ottobre 1998, GURI n. 252 del 28 ottobre 1998) Iscrizione nel “Registro delle Denominazioni di Origine Protette e delle Indicazioni Geografiche Protette” ai sensi del Reg. CE n. 1549/98 Art. 1 – Denominazione L’Indicazione Geografica Protetta “Mortadella Bologna” è riservata al prodotto di salumeria che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione.

Art. 2 – Zona di produzione La zona di produzione della “Mortadella Bologna” comprende il territorio delle seguenti regioni o province: Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, Veneto, Provincia di Trento, Toscana, Marche e Lazio. Art. 3 – Materie prime La “Mortadella Bologna” è costituita da una miscela di carni di suino ottenute da muscolatura striata appartenente alla carcassa, ridotta a grana fine con il tritacarne, lardelli di grasso suino di gola cubettato, sale, pepe intero e/o in pezzi, insaccata in involucri naturali o sintetici e sottoposta a un prolungato trattamento di cottura in forni ad aria secca. Possono inoltre essere impiegati: • stomaci suini demucosati; • grasso suino duro; • acqua secondo buona tecnica industriale; • aromi ad esclusione di quelli di affumicatura e delle sostanze aromatizzanti ottenute per sintesi chimica, ma non identiche chimicamente ad una sostanza naturalmente presente in un prodotto di origine vegetale o animale; • spezie e piante aromatiche; • pistacchio; • zucchero alla dose massima dello 0,5%; • nitrato di sodio e/o potassio alla dose massima di 140 parti, per milione; • acido ascorbico e suo sale sodico; • glutammato sodico. Non possono essere usate carni separate meccanicamente. Art. 4 – Metodo di elaborazione Le componenti carnee, opportunamente condizionate termicamente, vengono sottoposte a sgrossatura ed omogeneizzazione. La miscela risultante viene immessa nell’impianto di triturazione che riduce la granulometria dei diversi componenti attraverso il passaggio in una serie di piastre con fori di diametro decrescente, ciascuna preceduta da un coltello. Il tipo e la sequenza degli organi di taglio sono legati alla composizione della miscela, alla temperatura di alimentazione e alle caratteristiche dell’impianto di triturazione. La piastra di uscita,

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frazioni muscolari. Le quadrettature devono essere ben distribuite ed aderenti all’impasto. Devono essere assenti sacche di grasso e gelatina e il velo di grasso deve essere contenuto. Colore: rosa vivo uniforme. Odore: profumo tipico aromatico. Sapore: gusto tipico e delicato senza tracce di affumicatura. Caratteristiche chimiche e chimico-fisiche Proteine totali: min. 13,5%. Rapp. collageno/proteine: max. 0,20. Rapp. acqua/proteine: max 4,10. Rapporto grasso/proteine: max 2,0. pH: min. 6. Art. 6 – Controlli Fatte salve le competenze attribuite dalla legge al medico veterinario ufficiale dello stabilimento che accerta anche gli aspetti connessi con l’etichettatura del prodotto, l’effettuazione dei controlli è svolta ai sensi delle disposizioni emanate dall’autorità nazionale competente in base alle attribuzioni sancite dall’Art. 53 della legge n. 128/1998 che prevede fra l’altro l’autorizzazione di apposite strutture autorizzate.

Mortadella e rucola (foto: www.vitadaprecisina.com). comunque, deve avere fori di diametro non maggiori di 0,9 mm. La massa raffinata così ottenuta non può essere sottoposta ad altri processi di triturazione e la sua temperatura non deve essere maggiore di +1°C. Per la preparazione dei lardelli il grasso suino di gola è cubettato, scaldato e quindi lavato in acqua e sgocciolato. L’impastatura di tutti i componenti deve essere effettuata in macchine sottovuoto o a pressione atmosferica. Dopo l’impastatura ed il successivo insacco il prodotto viene cotto in stufe ad aria secca. L’entità del trattamento è legata al diametro del prodotto e comunque la temperatura a cuore del prodotto non dovrà essere inferiore a 70°C. Dopo la cottura il prodotto deve essere rapidamente raffreddato. La temperatura a cuore

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deve raggiungere nel minor tempo possibile valori inferiori ai 10°C. Art. 5 – Caratteristiche La “Mortadella Bologna” all’atto della immissione al consumo deve avere le seguenti caratteristiche organolettiche, chimiche e chimicofisiche. Caratteristiche organolettiche Aspetto esterno: forma ovale o cilindrica. Consistenza: il prodotto deve essere compatto di consistenza non elastica. Aspetto al taglio: la superficie di taglio deve essere vellutata di colore rosa vivo uniforme. Nella fetta devono essere presenti in quantità non inferiori al 15% della massa totale, quadrettature bianco perlacee di tessuto adiposo, eventualmente unite a

Art. 7 – Designazione e presentazione La designazione della Indicazione Geografica Protetta “Mortadella Bologna” è intraducibile e deve essere apposta sull’etichetta in caratteri chiari, indelebili, nettamente distinguibili da ogni altra scritta ed essere immediatamente seguita dalla menzione “Indicazione Geografica Protetta” o dalla sigla IGP che deve essere tradotta nella lingua in cui il prodotto viene commercializzato. È vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. È tuttavia consentito l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l’acquirente. La “Mortadella Bologna” può essere immessa al consumo sfusa ovvero confezionata sottovuoto, o in atmosfera modificata, intera, in tranci o affettata. Le operazioni di confezionamento affettamento e porzionamento devono avvenire, sotto la vigilanza della struttura di controllo indicata

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Mortadella Bologna Igp. all’Art. 6, esclusivamente nella zona di produzione indicata all’Art. 2. Mortadelle comuni Sono insaccati cotti a base di carni di suino con altre (ovino, equino, specie aviarie) e cotenne suine tritate finemente, unite a grasso duro cubettate. Al tutto possono venire aggiunti un vasto numero di ingredienti e aromi. Dopo miscelazione, l’impianto è insaccato in budello naturale o artificiale e cotto. Le mortadelle possono essere ovali, rotonde o cilindriche. Gli ingredienti sono costituiti da carni, grasso di gola, tessuto connettivo (cotenne), sale, zucchero, nitrito, acido ascorbico. Leganti: latte magro in polvere, caseinato di sodio, plasma sanguigno, farina di riso, fecola di patate, spezie, pepe, macis, coriandolo, aglio, pistacchi. La lavorazione prevede: 1. la preparazione dei tagli grassi; 2. la loro scotennatura; 3. la cubettatura; 4. il passaggio in acqua calda a 60°C

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per 15-20 minuti in agitazione continua; 5. ricambio dell’acqua a 40-50°C; 6. immissione lardelli caldi in impastatrice dopo loro pesatura. La preparazione dei tagli magri comprende: 1. vagliatura delle carni; 2. loro congelamento; 3. spezzettatura con tranciature; 4. trasferimento in premiscelatore; 5. mescolamento nello stesso; 6. trasferimento in tritacarne; 7. triturazione (16-18 mm); 8. trasferimento in tritacarne; 9. triturazione fino a 1 mm; 10. trasferimento in impastatrice. La fase conclusiva di lavorazione comprende: 1. miscelazione in impastatrice di carne più lardelli cubettati; 2. aromatizzazione; 3. additivazione; 4. impastamento per 10-15 minuti; 5. trasferimento in insaccatrice; 6. insaccamento e legatura; 7. cottura in stufa ad aria secca (70°C

a cuore) in tre fasi in 6-24 h; 8. asciugatura a 65°C (tempo variabile a seconda della pezzatura); 9. precottura a 75°C (tempo variabile a seconda della pezzatura); 10. cottura a 80-85°C (tempo variabile a seconda della pezzatura). Segue poi l’estrazione delle mortadelle dalla stufa, la docciatura con acqua fredda, il raffreddamento in cella fino al raggiungimento di 10°C e trasferimento in frigo (BONI, 2006). Mortadella classica di Bologna Si utilizza esclusivamente carne di suino pesante italiano e grasso di gola tagliato in cubetti; l’impiego di conservanti è ridotto ai minimi termini, consentendo soltanto nitriti e nitrati in piccolissima quantità, precisamente due grammi mescolati a sale per 100 kg di carne (la tipologia delle carni suine attuali non consente di azzerare la presenza degli additivi). La concia è composta di sale, pepe nero in grani, pepe bianco macinato, macis, coriandolo, polpa d’aglio pe-

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stato e la cottura avviene in stufe di pietra con una gradazione al cuore tra i 75 e 77°C. Per l’involucro è consentita soltanto la vescica di suino, mai quella sintetica. Esternamente la mortadella classica di Bologna non presenta differenze particolari: è al taglio che evidenzia caratteristiche abbastanza differenti da quelle normalmente in commercio. Infatti, si nota una colorazione leggermente tendente al marrone chiaro e non quella rossa o rosata a cui siamo abituati. Il profumo, non sostenuto da additivi o aromi, è meno “prepotente” di quello delle altre mortadelle, ma più complesso. Al gusto, poi, si ritrovano sensazioni di dolcezza, delicatezza e consistenza del tutto particolari: l’insieme organolettico tende alla suadenza più che alla sapidità. Eccellente gustata a cubetti. Mortadella di Prato È un salume a pasta cotta prodotto nelle province di Prato e Pistoia. Ha forma cilindrica, aspetto variabile in base al peso, che oscilla fra 300-500 g o più. La farcia è fine. Per prepararlo si impiegano rifilature di spalla, di prosciutto, di coppa, sale, spezie (pepe nero in grani, pepe nero macinato, sale, polpa d'aglio pestato, macis, coriandolo, cannella, garofano e alkermes). Le carni, dopo mondatura e rifilatura, sono tritate a grana finissima e vengono addizionate della concia e dei lardelli raffreddati e tagliati a cubetti. Dopo la miscelazione, si procede all’insacco. Si cuoce poi in caldaia a 70°C per 2 ore al giorno per cinque giorni. Mortadella umbra L’impasto di questo insaccato è composto di carne suina magra di prima scelta che viene tritata molto finemente; la concia è fatta esclusivamente di sale e pepe. Si insacca nel budello naturale al centro del quale viene inserito un lardello lungo 2530 centimetri, come la mortadella. Viene pressata finché ottiene la caratteristica forma di parallelepipedo. Si fa asciugare per qualche giorno in ambiente ben ventilato e caldo e si fa poi stagionare per alcuni mesi

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in cantina. L’area di produzione è rappresentata da tutta la regione dell’Umbria. Oggi questo prodotto sta scomparendo dal suo mercato originario e la tradizione si sta spostando nella zona di Amatrice, nel Lazio e di Campotosto, in Abruzzo. La vera zona di origine sembra essere stata quella di Preci, in provincia di Perugia. Altre mortadelle Nella nomenclatura salumiera si comprendono altri tipi di mortadelle,

alquanto differenti da quelle prima citate. Si producono, infatti, mortadelle crude stagionate e mortadelle da consumarsi dopo cottura. Per capire il motivo dell’attribuzione del nome di mortadella a questa serie di salumi, si deve sapere che nel passato, con il termine “mortadella”, si intendeva un insaccato fatto con un impasto ottenuto lavorando la carne a taglio grossolano. Nei ricettari del 1300 e 1400 troviamo vari tipi di mortadelle fatte con carne di maiale cruda.

Mortadella Bologna Igp: positive le vendite Dal Consorzio Mortadella Bologna arrivano i dati di produzione e di vendita del 2011, resi disponibili dall’Istituto Nord Est Qualità, che confermano il trend positivo degli ultimi anni della Mortadella Bologna con circa 35.000 tonnellate vendute. La produzione si attesta invece attorno alle 39.000 tonnellate. Merita una menzione speciale il preaffettato, che ha segnato +4,9% rispetto al 2010 con circa 5 milioni di chili e le piccole pezzature — fino ai due chili — che hanno invece totalizzato +2,2% con oltre 3,5 milioni di chili. A partire dal secondo semestre 2012 il Consorzio potrà inoltre disporre di ulteriori informazioni per capire meglio il mercato e il suo andamento grazie all’accordo con la società di ricerche NIELSEN che monitorerà l’intera categoria della mortadella, generica e IGP. Il Consorzio avrà una dettagliata analisi del prodotto venduto: dimensione del mercato, sell out a volume e a valore, prezzi al dettaglio e intensità promozionale di prezzo. Per dare più completezza alle informazioni, i dati saranno forniti anche per formato e secondo la modalità di presentazione di vendita (al banco taglio o al libero servizio; affettata, intera, a tranci). In particolare, non solo verranno monitorate le vendite della Distribuzione Moderna, ipermercati, supermercati, superette e libero servizio di piccole dimensioni, ma anche le vendite del canale del normal trade (i liberi servizi indipendenti, i negozi tradizionali e i negozi specializzati a vendita assistita). Il normal trade è un servizio innovativo ritenuto molto importante per un mercato come quello della mortadella, in cui circa il 43% dei volumi (dato NIELSEN) è ancora venduto proprio attraverso questo canale. Il Consorzio Mortadella Bologna Il Consorzio Mortadella Bologna si è costituito nel 2001, a seguito del riconoscimento dell’IGP alla Mortadella Bologna e al conseguente avvio della certificazione da parte dei produttori. Il Consorzio, in collaborazione con il Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali promuove la Mortadella Bologna IGP e svolge attività di difesa del marchio e della denominazione dalle imitazioni e dalle contraffazioni. Il Consorzio garantisce un’alta qualità di base che ogni produttore migliora secondo la propria esperienza e professionalità. Un’attività costante che ha come unico obiettivo, che è anche la finalità di tutte le aziende, con i loro marchi, di garantire ai consumatori un prodotto dalle caratteristiche uniche per qualità e gusto, un prodotto ad alto valore nutrizionale, con una composizione di proteine nobili, minerali e grassi insaturi perfettamente in linea con le tendenze della moderna scienza nutrizionale.

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Della mortadella cruda scrive per primo MASTRO MARTINO DE ROSSI, detto da Como, e dopo di lui CRISTOFORO DA MESSISBUGO (1549) e FRANCESCO LEONARDI (1790), il quale intitola una sua ricetta “Mortadella delle Spianate”. Tutti questi autori parlano di insaccati “crudi”, quindi di una mortadella diversa da quella di Bologna. Mortadella della Val d’Ossola È un salame di carne suina della Val d’Ossola e della Val Vigezzo. Ha una grana grossolana e si consuma fresco, previa cottura, o crudo, dopo circa due mesi di stagionatura. La forma è quella di una bisaccia tondeggiante, schiacciata in senso latero-laterale, fortemente solcata dal tracciato dello spago, di peso variabile, indicativamente tra 300 e 500 grammi. Per la sua preparazione si impiegano tagli suini magri, pancetta, fegato di maiale (5-10%), sale, pepe, aglio pestato, vino. Budello naturale: vescica suina. La lavorazione si compie con la mondatura e rifilatura delle carni, preparazione della concia, taglio di carne e lardelli a grana grossa. A seguire: trasferimento del trito nell’impastatrice, aggiunta della concia, miscelazione, passaggio del miscelato in insaccatrice ed insacco, legatura a mano con spago e asciugatura a temperatura ambiente per 4-5 gg. La stagionatura si fa in cantina per 60 giorni. Mortadella delle Apuane È un salume tradizionale della provincia di Massa Carrara, in particolare del Comune di Montignoso, a base di tagli pregiati di carne di maiale, quali coppa, spalla, lardo e pancetta. Le carni sono tritate con stampi di 12-15 mm, quindi l’impasto è a grana grossolana; nello stesso si aggiungono sale, pepe in grani e macinato, noce moscata, cannella, vino bianco di Candia, vitamina C e nitrato di potassio. Si impasta molto accuratamente e quindi si insacca in budello naturale di manzo o tipo Bondeana, cercando di massaggiare bene in modo da far uscire tutta l’aria dall’impasto. Si fora il budello e si asciuga per 6-7 giorni a 25°C, in ambiente caldo e umido, fino all’affioramento di chiazze di muffa bianca. È buona regola consumare la

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mortadella dopo un breve periodo di stagionatura, effettuata a 12-14°C per pochi giorni (7-10). Mortadella nostrale di Cardoso Si tratta di un salume tradizionale della Versilia (Lucca); è un insaccato di grosse dimensioni a base di sola carne suina (80% con tessuto muscolare e 20% grassi). Le carni vengono tritate a grana media (5-6 mm), addizionate di sale, pepe, aglio, timo, rosmarino, finocchio selvatico e altre erbe a composizione variabile da produttore a produttore. Dopo accurata miscelazione si insacca in budello bovino o suino secondo la pezzatura e la forma volute, e si asciuga per 8 giorni a circa 25°C. Se non consumata fresca, la stagionatura avviene a 12-14°C fino a 10 mesi. La mortadella nostrale di Cardoso ha forma ovale (12 cm di lunghezza e 15 cm di diametro), cilindrica piccola (25-30 cm di lunghezza per 5 cm di diametro) o cilindrica grossa (45 cm di lunghezza e 8-10 cm di diametro), legata a mano, di colore grigio per la fioritura delle muffe. Al taglio appare di colore rosso acceso, compatta, con bella evidenza dei lardelli. Mortadella di maiale di Camaiore (sbriciolona) Salume tradizionale originario di Camaiore in Versilia (provincia di Lucca). È un insaccato crudo in budello naturale di carne suina stagionato per un tempo variabile (da 2 a 4 mesi) a seconda del peso. Ha un diametro compreso tra 3 e 8 centimetri, una lunghezza di 10-30 centimetri e un peso variabile tra 1 e 5 chilogrammi. Si presenta come cilindro ricurvo, con superficie di colore grigio per la fioritura fungina, solcato da corda. Al taglio presenta una pasta morbida, con grana di colore rosso rubino scuro nella parte magra nella quale risalta il bianco dei lardelli tagliati irregolarmente. Mortadella trequandina Si produce in provincia di Siena, in particolare a Trequanda. È un insaccato di carni magre di prima scelta di suino pesante e grassi. È additivato con sale e pepe, nitrato e acido ascorbico. Per la sua preparazione si usa

del suino e la spalla e le rifilature del prosciutto per le carni magre (80%); la pancetta e il lardo per la parte grassa (20%). Le carni sono macinate finemente e unite al quinto di grasso duro tagliato a dadini. L’impasto si concia e si insacca in budello bovino (zucchetta). Si mette ad asciugare per 8 giorni a circa 25°C. La stagionatura avviene a 12-14°C per 4-5 mesi, a seconda delle dimensioni, l’insaccato è pronto per il consumo. La mortadella trequandina ha forma cilindrica e dimensioni variabili, per un peso oscillante fra 1 e 1,5 kg. Al taglio appare di colore rosso acceso, compatta, con bella evidenza dei lardelli. Si tratta di un prodotto analogo al salame toscano. Mortadella viterbese Si tratta di un salume crudo insaccato in budello naturale bovino, a forma di salame spianato, dello spessore di 4-5 cm, del peso di circa 2 kg, la cui superficie di taglio si presenta di colore rosso vivo, con occhiature bianche dovute ai lardelli di grasso e grani di pepe nero spesso visibili. Il componente principale è la spalla del maiale disossata e il grasso di gola (massimo 10%) con l’aggiunta di sale, pepe, aglio tritato e vino. In quello di tipo industriale viene aggiunto anche acido ascorbico (vitamina C), zucchero, nitrito e nitrato di sodio e potassio; facoltativa l’aggiunta di piccole quantità di latte in polvere. La produzione attuale di questo insaccato è quasi esclusivamente a carattere industriale (circa 700 quintali l’anno) e avviene presso i vari stabilimenti esistenti a Viterbo che, però, lo commercializzano come un generico salame schiacciato stagionato. La carne magra della spalla disossata e, a volte, anche della coscia, dopo l’asportazione delle parti tendinee, viene tritata con piastra di 2 mm, quindi viene impastata per circa 10 minuti, insieme gli altri ingredienti, compresi i lardelli del grasso di gola, precedentemente conditi e tenuti sotto sale per 24 ore. L’impasto dopo un periodo di riposo per 48 ore a temperatura tra 0° e 4°C, viene insaccato nel budello naturale bovino, quindi pressato e messo a stagionare per 2-3 mesi.

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In seguito si pongono ad asciugare per qualche giorno in un locale con camino, si trasferiscono, infine, in una cantina asciutta e ventilata per ulteriori 3-4 mesi. A mano a mano che la stagionatura procede, le mortadelline si restringono e le due stecche vengono rimosse. Il salume pesa mediamente 1,3 kg. La produzione di mortadelline è legata da più di tre secoli al territorio, come si evince dalle testimonianze orali raccolte. La peculiarità di questo insaccato è di potersi conservare più a lungo di altri e di poter essere consumato fino alla produzione dell’anno successivo.

Mortadella di Campotosto. Mortadella romana o spianata Si tratta di un esempio di mortadella cruda, quindi diversa dalla classica mortadella, che viene invece cotta in stufe di pietra prima della stagionatura. Per quanto riguarda la preparazione di questo salume, la ricetta è simile, per ingredienti, a quella della corallina. La differenza avviene nelle fasi di insaccamento e di stagionatura; in questo caso, infatti, viene utilizzato un budello di origine bovina e le carni magre macinate finemente e miscelate con lardelli tagliati a mano a punta di coltello. L’impasto, condito ed aromatizzato, viene insaccato in budello naturale di bovino e posto ad asciugare per qualche giorno in apposite gabbiette metalliche (solamente pochi artigiani usano ancora lo schiacciamento tra due assi di legno), fatta maturare alcuni giorni in locale con fuoco per poi essere stagionata per alcuni mesi appesa in locali ventilati. Gli ingredienti sono dati da tagli magri (circa 75%) — polpa di spalla suina, rifilatura di prosciutto — e grasso suino tagliato a dadini (circa 25%). Poi, sale, pepe macinato e intero, aglio schiacciato e macerato nel vino, nitrato di potassio (E 252), budello dritto (gentile) bovino. La tradizionalità della mortadella romana, chiamata comunemente “spianata”, è riconducibile alla particolare tecnica di trasformazione.

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Nella metodologia di preparazione si fa particolare riferimento all’impiego di aglio schiacciato nel vino, all’insacchettatura in budello naturale, alle gabbie metalliche per la fase di asciugatura ed alla fase di stagionatura in cantine. Mortadella di Amatrice È un salume di produzione locale a grana fine di carne suina di prima qualità, con lardello centrale. Presenta forma tondeggiante, sapore intenso, appena piccante. Il bastone di lardo, inserito al centro, rende inconfondibile la mortadellina amatriciana che si presenta, al taglio, di colore rosa-violaceo con un nucleo centrale bianco. Si ottiene macinando, non troppo finemente, lombo e spalla di maiale a cui si aggiungono sale e pepe, macinato ed in grani, e lardo tagliato a pezzetti. Dopo aver fatto riposare l’impasto per 6-8 ore, lo si lavora cercando di dargli forma ovale e ponendo una cura particolare nel far fuoriuscire l’aria. Successivamente si cuce un quadrato di intestino — precedentemente lavato con acqua e aceto e lasciato ad asciugare — intorno all’impasto e si posizionano due stecche di legno di nocciolo ai lati del salume per tenerlo schiacciato. Le mortadelline vengono, poi, poste sotto peso per 24 ore e bucate con piccoli spilli per favorire la fuoriuscita di aria.

Mortadella di Campotosto La mortadella di Campotosto (conosciuta anche con la colorita espressione “coglioni di mulo”) è prodotta prevalentemente nel Comune di Campotosto, in provincia di L’Aquila. È un salume lavorato a mano di carne di suino pesante, macinato a grana fine e con una caratteristica barretta di lardo inserita all’interno (lardello). Ha forma ovoidale ed è commercializzata in coppia. Nella parte inferiore del salame viene posto un tralcetto, che serve a stringere lo spago durante la stagionatura, in modo da far aderire l’involucro all’insaccato ed evitarne l’allentamento. La pezzatura oscilla tra 400 e 500 g la coppia a stagionatura ultimata. L’impasto, che si presenta di colore roseo, mentre perfettamente bianco risulta essere il lardo centrale, viene speziato con pepe e altri aromi naturali (in quantità variabile a seconda della ricetta tramandata nelle varie famiglie di produttori), che conferiscono al prodotto dolcezza, aroma fragrante e caratteristico. I tagli di carne per la preparazione delle mortadelle di Campotosto sono: spalla, collo, lombo, coscia, pancetta. La proporzione tra i vari tagli deve essere tale da garantire un 80% di carne magra (25% minimo di prosciutto) e un 20% di pancetta. La macinatura viene effettuata tramite una macchina con stampo a fori di diametro compreso tra 2 e 4 mm, con l’accortezza di utilizzare lame ben affilate onde prevenire la smelmatura dei grassi.

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Le fasi successive alla macinatura sono la speziatura e l’aromatizzazione con sale (24-26 g/kg), pepe macinato (1 g/kg), pepe tritato grosso (2 g/kg), aromi e vino bianco. La carne macinata ed impastata con gli aromi è lasciata maturare per non meno di 24 ore in ambienti a temperatura compresa tra 0 e 4°C. A parte avviene la preparazione del budello, che è del tipo “torta”: viene gonfiato, tagliato in senso longitudinale e lavato accuratamente. Servirà ad avvolgere la mortadella rivestendola completamente. All’atto della lavorazione si pesano le porzioni di impasto, di 325 g, cominciando quindi, a modellare con le mani fino a ottenere la tipica forma. È durante questa fase che al centro della mortadella viene inserito il lardello, della dimensione di mm 20x20x110. Si procede, quindi, alla legatura a doppia briglia con spago medio calibro e, legate a coppia, le mortadelle si appendono su pertiche di legno. La tradizione vuole che questo particolare salume vada lavorato in determinati periodi dell’anno; quando cioè si è in fase di luna calante o in totale assenza di luna. Si espone al fumo per 15 giorni sopra camini o bracieri alimentati giorno e notte con legna o brace, successivamente, in locali aperti e freddi, il salame verrà esposto alla tramontana, indispensabile a garantire un’ottimale asciugatura. Questa fase di stagionatura trova nel microclima esistente tra Campotosto e Poggio Cancelli (a un altitudine compresa tra 1300 e 1450 m), una condizione particolarmente favorevole. Dopo circa tre mesi dalla macinatura il prodotto essiccato è pronto per essere consumato. Nella preparazione artigianale di questo salame, in passato, non era raro l’utilizzo dello “scifone” (contenitore in legno che favoriva l’intervento di batteri lattici nella trasformazione della carne in salame) nel quale veniva riposto e periodicamente rimescolato l’impasto, che i produttori chiamano “marretto”. Tale procedimento consente ancora oggi (anche se lo scifone è stato sostituito da moderni contenitori)

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di rendere le carni particolarmente aromatizzate, permettendone una parziale disidratazione. Attualmente, purtroppo, sono poche le famiglie che producono l’originale mortadella di Campotosto. Sul mercato si trovano molti prodotti simili al salume originale, ma non è possibile imitarne la lavorazione, le caratteristiche organolettiche e soprattutto la qualità della materia prima impiegata. Mortadella di Accumoli La mortadella di Accumoli è un salume impostato sulla trasformazione delle rifilature magre di costato, spalla, coscia e pancetta. Caratteristica è la trituratura fine delle carni; si contraddistingue anche per il giusto rapporto tra parte magra e grassa e dall’involucro in cui l’impasto viene mantenuto, costituito da un panetto di sevo ed intestino crasso ricucito. Ha forma cilindrica con una pezzatura finale di circa 1,5-2 kg, il colore è rosso cupo screziato bianco, il sapore è sapido. La mortadella di Accumoli ha un mercato locale e regionale (il comprensorio dei Monti della Laga). Sporadicamente anche extraregionale. Tradizionalmente viene ancora preparata nei soli mesi invernali (novembre-marzo) — anche se nei laboratori moderni è prodotta anche in altri periodi dell’anno — con suini alimentati a secco e che sfruttano un pascolo estivo di sottobosco. Il peso vivo alla macellazione è di 130-150 kg. Il processo di trasformazione è caratterizzato dalla scelta del sezionato, dall’esclusivo impiego del pepe come condimento, dalla stufatura in camera calda con riscaldamento e combustione naturale ed una lunga stagionatura in camere fredde, in cui avviene il restringimento progressivo del salume, tramite le caratteristiche “stecche” di legno (generalmente di faggio). La stagionatura dura in media 4 mesi. Le mortadelle di fegato Nel “Libro per cuoco” redatto da un anonimo nel 1300 si legge: «Se ti voj fare mortadelle, toj lo figato del porcho e lo sua reta over raixella: toj lo figato e falo alessare, e quando è


La mortadella di Prato. È un salume a pasta cotta prodotto nelle province di Prato e Pistoia. Ha forma cilindrica, aspetto variabile in base al peso. cocto trailo fora et toj herbe bone e pever e ove [uova] e caxo [cacio] e sale tanto che bassta, e toj lo figato e queste cosse e bati ben insieme in un mortaro, e fai pastume [impasto] e di stempera cum ova e con un pocho de la lesaóra [lessatura] del figato, e poi toj la reta e faj le mortadelle, e quando sono fatte frizili in bono onto colato. Quando sono fricte dàli caldi a tavola». Nulla di sorprendente in questa mortadella di fegato che anche Isabella d’Este ordinava di preparare al fido Leonello da Baiso: «[…] Essendo adesso il tempo di far li salemi, ve pregamo ni faciati fare due solii [mastelli] tra cevellati, mortadelle et zambudelli, de la sorte et bonà che sete consueto fare […] Fate che gli siano anche de le mortadelle de fegato […]». Ma il fegato di suino nelle salsicce era adoperato anche nell’antichità, nei vari botellus e tomacule romane. Ai giorni nostri le mortadelle di fegato si producono in Lombardia e in Piemonte con lieve differenza di composizione. Mortadella de fidigh o fidighina (Lombardia) Gli ingredienti di questo salume

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sono carni suine magre (20%), grasso corposo (15%), fegato di suino (65%). I coadiuvanti tecnologici: sale, aromi naturali, spezie e pepe macinato, filtrati nel vino rosso. Gli additivi: noce moscata, nitrito. Le sue peculiarità: forma a ferro di cavallo; dimensione: 20-25 cm; sapore tipico; odore tipico speziato, colore rosso scuro. I centri di produzione più importanti sono Salice Terme, Sabbioneta, Lomazzo, Lurate Caccivio, in provincia di Pavia, Mantova e Como. Il fatto che lo stesso salume si trovi in località diverse, può essere attribuito a spostamenti di nuclei contadini, o a norcini erranti o altri motivi analoghi. Il fegato del suino, insieme a ritagli magri mondati delle parti dure e alla pancetta viene condito con vino rosso aromatizzato (preferibilmente Barbera), macinato finemente e insaccato nella vescica o budello animale. Maturazione: in cucina per tre-quattro giorni. Periodo di stagionatura: 30/40 giorni in cantina. Dopo questo periodo, se non si consumano subito, le mortadelle vengono conservate in recipienti di coccio detti “terragne”, verdi marmorizzate all’esterno e color caffelatte all’interno, sotto la sugna liquefatta che le mantiene morbide. Peso da 200 a 700 g. Mortadella di fegato al vin brulé Nel basso milanese e a Varese si produce anche la mortadella di fegato al vin brulé. Viene preparata aggiungendo il vin brulé agli ingredienti tradizionali della mortadella di fegato. È diffusa nella Bassa Lodigiana, in provincia di Milano, e nella zona collinare del paese, con centro a Salice Terme. Oltre che con il vin brulé può essere insaporita con l’amaretto di Saronno o con la grappa di Angera. Fideghin o Fideghina (Piemonte) Oltre che in Lombardia, come detto, la mortadella di fegato è prodotta in Piemonte (novarese e vercellese) cruda o cotta. La prima è detta anche fideghin o fideghina, mentre quella cotta è detta Mortadella d’Orta. Gli ingredienti della prima sono fegato

di maiale, carniccio, guanciale e pancetta. Il peso di questa mortadellina cruda è di circa 200 g. Gli ingredienti vengono macinati in modo molto fine e vengono insaccati. Le mortadelle vengono poi legate con la caratteristica forma a ferro di cavallo. In passato venivano fatte stagionare in cantina con i bracieri accesi per asciugarle; attualmente vengono poste in celle di stagionatura. Il prodotto non è cotto ed in genere è consumato crudo e stagionato; mentre spesso viene consumato cotto bollito come ingrediente della panissa o paniscia (piatto tipico del vercellese). Molte volte questi salumi erano conservati nelle duje (recipienti tradizionali) con lo strutto di maiale. Mortadella d’Orta Si tratta di una mortadella cotta composta da fegato di maiale, triti di banco, carniccio, guanciale e pancetta. La pezzatura di questo prodotto è di circa 2-3 kg. La carne è tritata assai finemente e conciata utilizzando vin brulé, cioè vino rosso (generalmente Barbera) bollito, anice stellato, chiodi di garofano, cannella e altre spezie. Il tutto viene insaccato nella muletta di maiale (cieco) e/o crespone. Una volta la cottura della mortadella di fegato era effettuata in pentoloni con acqua bollente; attualmente i salumifici effettuano la cottura a vapore. La stagionatura dura circa 60 giorni ed ha luogo in normali camere di stagionatura. Viene prodotta nel novarese e vercellese. Mortadella di fegato cruda sottograsso Una variante delle precedenti è la mortadella cruda conservata sottograsso. Per la sua preparazione si usano fegato di suino (30%), carni suine, sale, latte scremato in polvere, destrosio, saccarosio, spezie e aromi. Dopo le fasi di mondatura, refrigerazione, preparazione impasto, insacco, legatura, asciugamento e copertura con strutto viene stagionata per 20-30 giorni o più. Carlo Cantoni Libero Docente in Ispezione Alimenti di Origine Animale 20122 Milano

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SalumiямБcio Mec-Palmieri srl Via Canaletto, 16/A - 41030 - San Prospero (Modena) - tel. 059.90.88.29 - fax 059.90.63.36 www.mecpalmieri.com - www.mortadellafavola.it Azienda con Sistema Qualit├а certiямБcato ISO 9001


Nobile dentro e bella fuori: è la mortadella Negrini Dalla tradizionale Gloriosa alla moderna Modella, passando per la Mortadella Bologna Igp, è da sempre la mortadella il prodotto di punta di questa azienda. Sempre al passo coi tempi, le sue parole d’ordine sono innovazione e tradizione di qualità certificata di Federica Cornia

S

iamo vicino a Cento, in provincia di Ferrara, dove l’orizzonte scorre piatto e il paesaggio è un susseguirsi di campi a perdita d’occhio. Un tempo questo lembo di terra che s’incunea tra le province di Modena e Bologna era invaso dall’acqua e ricco di gamberi, origine pescosa del territorio ricordata dallo stemma di Cento in cui campeggia un gambero rosso. Qui c’è un piccolo paese, Renazzo, sicuramente noto ai cultori del buon gusto e della qualità a tavola perché sede di una prestigiosa azienda dell’industria alimentare italiana: la Negrini Salumi. Da più di cinquant’anni il Gruppo Negrini produce i suoi pregiati salumi in una delle zone d’Italia tra le più vocate all’arte salumiera. Innovazione nel rispetto della tradizione, una strategia produttiva e commerciale fortemente orientata alla qualità ma anche al servizio ed allo sviluppo di nuovi prodotti, 60 agenti in tutt’Italia e la presenza sui principali mercati internazionali europei ed extraeuropei, la Negrini ha qui a Renazzo lo stabilimento principale — 16.000 m2 su una superficie coperta ed un’area di 60.000 m2 — specializzato nella 34

Mortadella Gloriosa Negrini. produzione di mortadelle, prosciutti cotti e salami Tutti prodotti certificati: l’azienda dispone infatti di laboratori interni per il controllo della qualità che

operano in collaborazione con istituti quali la Stazione Sperimentale di Parma nonché la facoltà di Scienze delle Produzioni Animali di Parma e Bologna. Premiata Salumeria Italiana, 3/12


Da qui l’azienda proprio all’an tica Felsinea dà battaglia a suon di mortadella: nell’ampia gamma dei prodotti Negrini, che comprende salami, coppe, pancette, prosciutti cotti, prosciutti stagionati e arrosti, prodotto da sempre fiore all’occhiello della nota casa salumiera è infatti da sempre la mortadella. «La nostra azienda produce mortadella dalla nascita ed è tutt’ora questo il prodotto principale, sia in termini di volumi che in termini di fatturato». Parola di Dino Negrini, titolare insieme al padre Gianni, alla sorella Annarita e al fratello Carlo della Negrini Salumi Sas, che continua spiegando: «negli anni abbiamo mantenuto alcuni prodotti artigianali come la “Gloriosa”, che conserva nome e caratteristiche inalterate di cinquant’anni fa, una mortadella tradizionale ottenuta con carni italiane e insaccata in vescica naturale di bovino legata a mano». Ma di mortadella, seppur “Gloriosa”, non ce n’è una sola: la Mortadella di Bologna IGP, ad esempio. Membri del Consorzio Mortadella Bologna, i Negrini si attengono alla ricetta regolamentata e la producono in diversi formati, sia nella versione cilindrica, per una resa più alta al taglio, che affettata in vaschetta. Non si esaurisce naturalmente qui la variegata gamma delle mortadelle Negrini che ne propone, in varie pezzature, anche dai gusti più originali: alle olive, l’Olimpica, al peperoncino, la Regina di Calabria, e ancora al tartufo e al prosciutto. Anche se “impropriamente mortadella” c’è poi la Pressatella al pistacchio. Ultima nata è Modella, la nuova mortadella con meno grassi e calorie — ben 50% in meno rispetto alle altre mortadelle — perché realizzata con tagli magri quali la spalla e la gola di suino. Meno grassi, un buon apporto proteico, una concia leggera che le conferisce un sapore delicato, fa parte di una triade giovane — non solo perché di recente ideazione, ma anche perché ha come obiettivo un target di consumatori che corrisponde principalmente ai giovani e agli acquirenti attenti al contenuto dei grassi negli alimenti — composta da un salame,

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Presentata ad Anuga 2011 Modella è l’ultima nata della gamma delle mortadelle Negrini. Modella è perfetta per chi vuole mantenersi in linea senza rinunciare al sapore. Nobilmagro, e un prosciutto cotto di manzo, Gagliardo. Col suo appeal di leggerezza anche formale, vista la silhouette che ricorda un fiore, una nuvola, Modella, a poco più di un anno dalla nascita, ha avuto un buon successo di vendite, l’apice nel periodo estivo, sia nella versione intera, nei negozi di vendita al dettaglio, sia in vaschetta, nei supermercati e GDO. È volata anche all’estero, in Spagna e Germania. Mica male considerando che la mortadella in genere è un prodotto più difficile da far apprezzare rispetto ad altri. Da anni ormai salume nobile, è riconosciuto come prodotto di qualità nelle zone d’origine (EmiliaRomagna, Marche, Lombardia) ma fatica nel resto d’Italia. E pensare che nel ‘700 costava più del prosciutto crudo ed il suo pregio era indiscusso e comunemente riconosciuto per via della difficile e complessa lavorazione! Oggi la situazione appare ben diversa e l’indice di gradimento del

consumatore in genere vede al primo posto il prosciutto crudo e, a seguire, il prosciutto cotto, la mortadella e il salame. Rispetto alle vendite del 2011 Dino dichiara che: «In linea con l’aumentare dei volumi di vendita registrati a livello consortile anche noi abbiamo avuto una leggera crescita per questo prodotto». E gli sforzi del Consorzio sono tutti volti a sostenere e rafforzare questo trend di crescita: l’obiettivo è e rimane restituire maggior notorietà al prodotto mortadella, che di fatto concentra in sé un alto livello di industrializzazione e di trasformazione. Gli obiettivi per il 2012? I Negrini s’impegneranno al massimo per riconfermare la crescita del 2011 grazie anche all’acquisizione di nuovi clienti in diversi canali vendita come la GDO e il dettaglio estero. E mortadella sia! Federica Cornia >> Link: www.negrinisalumi.com

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Il food in rete

Il meglio del web e delle app di Elena Benedetti

www.gazzettagastronomica.it

www.infodeco.it

La rivista di enogastronomia di Stefano Bonilli Non ha bisogno di presentazioni Stefano Bonilli, ex direttore del Gambero Rosso e seguitissimo nel web con il suo blog Paper Giallo. Oggi Bonilli, insieme ad un grande staff di collaboratori, dirige la GAZZETTA GASTRONOMICA, una bella rivista di enogastronomia on-line. Accessibile su www.gazzettagastronomica.it questo magazine raccoglie informazioni, notizie, recensioni sul mondo del food & wine, con approfondimenti nel mondo dell’arte del design, della scienza e del turismo. Tutti i contenuti sono commentabili da parte dei visitatori. C’è anche una sezione dedicata ai lettori, che possono scrivere segnalazioni di ristoranti, trattorie, bar, negozi, previa la registrazione. La GAZZETTA GASTRONOMICA è naturalmente anche su Facebook: www.facebook.com/GazzettaGastronomica. posta@gazzettagastronomica.it

Il portale delle Denominazioni Comunali INFODECO è il portale sul mondo delle De.Co. (Denominazioni Comunali), nato da un’idea del giornalista e scrittore Gino Veronelli. Sul web il progetto INFODECO si propone come cassa di risonanza, come luogo privilegiato della new economy per Comuni, aziende, cittadini, artigiani, studenti e chiunque abbia interesse ad approfondire, confrontarsi e consultarsi sullo strumento di valorizzazione territoriale delle De.Co. Sul portale sono presenti gli elenchi dei prodotti certificati De.Co. (comprensivi di foto e breve descrizione) oltre a informazioni sugli strumenti attuativi per l’istituzione della certificazione da parte del Comune richiedente. La ricerca dei prodotti si può effettuare anche per regione. Ottima l’idea dello scambio del banner, per diffondere sempre più la conoscenza di queste eccellenze alimentari. r.dedonno@infodeco.it

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www.nytimes.com/ pages/dining/index.html L’enogastronomia del New York Times Segnaliamo la sezione Dining del NEW YORK TIMES, l’autorevole quotidiano statunitense presente sul web con vari canali di approfondimento giornalistico, tra i quali non poteva certo mancare l’agroalimentare. Nel Diner’s Journal, accessibile alla pagina www.nytimes.com/pages/ dining/index.html si trovano sempre notizie curiose e interessanti per il popolo dei foodies, gli appassionati di enogastronomia. Arricchito sempre da belle immagini questo portale raccoglie recensioni di locali, videoricette, approfondimento e notizie di attualità. C’è anche una sezione dedicata alla pizza. letters@nytimes.com

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IloveVeneto

Città d’Arte

Game Speck Alto Adige

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Il Veneto è anche su iPad e iPhone con l’applicazione “IloveVeneto” ed è scaricabile gratuitamente in italiano, inglese e tedesco sull’iTunes App Store. Attraverso le sei sezioni — Eventi, Around Me, Dove Andare, Itinerari Guida e Mediacenter — il Veneto si presenta con una veste innovativa e ricca di consigli e suggerimenti. Con “IloveVeneto” si può spaziare dalle città d’arte ai centri termali; dalle spiagge al Lago di Garda; dai parchi e dalle aree naturalistiche alle Strade del vino e dei prodotti tipici; dagli itinerari sportivi, culturali, religiosi, ai luoghi dei misteri e delle leggende del Veneto.

Parma, Piacenza, Reggio, Modena e giù fino a Rimini passando per Bologna, tutte le città della regione in una mano, anzi in uno smartphone. Il patrimonio regionale di cultura e ospitalità approda al mondo mobile, grazie allo sforzo collettivo di tutti i soci pubblici e privati dell’Unione di Prodotto delle Città d’Arte dell’Emilia-Romagna che, sotto la regia di APT Servizi, hanno dato vita a una guida digitale di oltre quattromila punti di interesse, fra i quali monumenti, musei, siti UNESCO, aree archeologiche, teatri, castelli, dimore storiche e naturalmente anche i luoghi delle eccellenze enogastronomiche della regione.

Giochiamo con lo Speck Alto Adige con l’applicazione gratuita Game Speck, scaricabile sull’iTunes App Store. Volete mettere alla prova le vostre capacità in cucina? Trasformate il vostro iPhone in un coltello e guardate quante fette di speck riuscite a tagliare in 30 secondi.

Dal 22 al 25 giugno Aria di Festa celebra il prosciutto friulano È tra i prodotti italiani più famosi nel mondo: un marchio che nel 2011 è stato apposto su 2.690.000 prodotti. Anche per questo la festa con cui ogni anno il prosciutto di San Daniele invita i suoi fan a casa propria è un evento da non perdere per migliaia di persone. Le date da segnare sono dal 22 al 25 giugno, ovviamente a San Daniele del Friuli. Per quattro giorni il borgo si trasforma in un palcoscenico: antiche vie, piazze medioevali, palazzi storici… Ogni spazio si mobilita per offrire al visitatore un ricordo indimenticabile con musica, spettacoli e naturalmente continue “degustazioni” di prosciutto. Da provare assolutamente le visite guidate ai prosciuttifici che apriranno le loro porte per l’occasione, i corsi dedicati a tutti i segreti del San Daniele (come servirlo, con cosa abbinarlo, come tagliarlo) e le degustazioni guidate in cui il prosciutto di San Daniele viene abbinato al Friulano e agli altri vini della Regione Friuli Venezia Giulia grazie alla collaborazione tra il Consorzio del Prosciutto di San Daniele e ERSA (Agenzia regionale per lo sviluppo rurale), che permetterà inoltre tante ghiotte occasioni di confronto con i prodotti e le tradizioni locali. Aria di Festa inoltre giunge in un momento particolarmente intenso nelle attività del Consorzio: è in pieno svolgimento “San Daniele, il prosciutto per ogni pane italiano”, il tour che quest’anno e l’anno prossimo festeggia per tutta l’Italia i 50 anni del Consorzio, fondato nel 1961, e i 150 dell’Unità Nazionale. >> Link: www.prosciuttosandaniele.it

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Aziende

A Castello di Serravalle, Bologna

Salumi Franceschini: solo carni suine italiane e la cura artigianale di un tempo di Gaia Borghi

«I

l salame è il nostro “pezzo” forte, il prodotto su cui puntiamo da sempre. Quello che va per la maggiore è sicuramente il campagnolo, realizzato in varie pezzature con una

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ricetta che custodiamo gelosamente. È un vero e proprio segreto di famiglia». Chi parla è SIMONE FRANCESCHINI, terza generazione della famiglia che gestisce da quasi cinquant’anni il salumificio omonimo a Castello di

Serravalle, in provincia di Bologna. In realtà Modena è davvero a due passi (questo è uno storico territorio di frontiera) e in cinque minuti di macchina si raggiunge Savigno, deliziosa località nota per la Sagra del Tartufo

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Bianco Pregiato dei Colli Bolognesi che, organizzata durante le prime tre domeniche del mese di novembre fin dal 1984, richiama in paese vere e proprie “orde” di turisti appassionati del Tuber magnatum. «Quando c’è la fiera le persone parcheggiano anche davanti al nostro stabilimento e poi fanno una bella passeggiata a piedi fino al centro del paese» ci racconta Simone. La zona, tra l’altro, una visitina la merita davvero, non solo a fine autunno: in primavera il paesaggio è confortante, dolci colline, distese di alberi da frutto fioriti e tanti vigneti, dai quali si ricava l’ottimo vino Doc Pignoletto dei Colli Bolognesi, bianco dal bel colore giallo paglierino e profumo delicato. Primo Franceschini il vino se lo fa ancora in casa, nel piccolo appezzamento coltivato proprio a fianco dello stabilimento. Con il fratello Pasqualino, intorno agli anni ‘70, scelse la sede di Castello di Serravalle per trasferire ed ingrandire la loro attività: avevano iniziato sempre insieme qualche anno prima, esattamente nel 1964. Una piccola bottega a Savigno con annesso locale per la macellazione casalinga dei maiali. La produzione era di 30 salami alla settimana: li portavano a stagionare a Felino e li riportavano “a casa” pronti per il consumo!

Primo, che è il nonno di Simone, passa ancora in azienda tutti i giorni, alla mattina e al pomeriggio, a controllare che tutto proceda per il meglio, a parlare e discutere insieme ai famigliari. «Lo stabilimento (oggi 700 m2 coperti, più 400 m2 di area esterna) si è ampliato piano piano, nel tempo, soprattutto dopo l’ingresso in azienda di mio padre Giulio» ci dice Simone. «Fino al 1985/’86 ci occupavamo anche della macellazione; oggi gli animali da cui ricaviamo la materia prima per la produzione dei salumi — solo suini certificati nati e allevati in Italia — vengono macellati a Vescovado, in provincia di Cremona. Per il resto facciamo tutto noi: lavorazione, confezionamento finale e spedizione. In prossimità delle festività natalizie, ad esempio, privati ed aziende possono ordinare confezioni scelte da noi o personalizzate per regalarsi e regalare ai propri cari tutte le nostre specialità. Negli ultimi tempi abbiamo potuto constatare infatti che sono tanti coloro i quali, modificando le proprie abitudini passate, preferiscono donare i prodotti della nostra salumeria». Regali questi che, siamo sicuri, difficilmente finiranno impolverati e dimenticati su qualche scaffale nascosto in un angolo di casa.

La gamma di prodotti del Salumificio Franceschini comprende tutte le specialità tipiche del territorio: salsiccia, prosciutto nostrano e Parma DOP, salame, dal gentile alla salamella, coppa di testa, pancetta arrotolata, classica, con cotenna e senza, ciccioli, zampone e cotechino. Anche mortadella e cotto, questi ultimi, però, solo commercializzati. Il salame, come prima accennato, rappresenta il prodotto principe (circa 3.000 alla settimana), lavorato artigianalmente secondo la tradizione, insaccato in budello naturale; i Franceschini realizzano anche salami da mostra, lunghi fino a 2 metri! «Due metri e 20 per essere precisi. Quando lo abbiamo terminato siamo rimasti noi stessi senza parole» replica sorridente Simone. «Da alcuni anni produciamo poi uno strolghino al tartufo, un prodotto di nicchia dalla grammatura piccola, 2/3 etti, morbido, con olio e scaglie di tartufo nell’impasto». «L’altro prodotto che ci sta dando tantissime soddisfazioni è la coppa di testa» continua il nostro interlocutore. Un insaccato cosiddetto “povero”, nato dal recupero degli scarti di lavorazione di salumi più “nobili”. Saporita ed aromatica, dal gusto ricco di sfumature, la coppa di testa ha tanti estimatori, soprattutto,

Coppa di testa intera e a fette. La coppa di testa rappresenta, con il salame, il prodotto di punta del salumificio.

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dato l’introito calorico importante, nella stagione fredda. I mercati di riferimento per il Salumificio Franceschini sono Bologna e la sua provincia (per il 70%), Modena e Ferrara, più una piccola percentuale che va all’estero. «La nostra clientela è rappresentata in maggioranza da negozi e da salumerie/gastronomie specializzate» puntualizza Giulio Franceschini, Ermes per gli amici. Quelle botteghe che sono un po’ il vanto del nostro paese, insomma, delle boutique del gusto che incantano americani ed asiatici in vacanza, pronti ad immortalare con le fidate macchine fotografiche pareti stracariche di prosciutti, originali lampadari di salsicce, pile di formaggi dai profumi seducenti, vini, conserve, paste e dolci di ogni forma e dimensione. Altro che immaginazione o creazione letteraria fantastica: il Paese di Bengodi esiste! E ora qualche numero: quattro soci, sette dipendenti, più qualche collaboratore esterno. Tre celle di stagionatura, delle quali una con impianto di ultima generazione “energy saving”, e due di asciugatura, oltre ad una di stufatura; all’ingresso, uno spaccio di vendita all’ingrosso e al minuto. Nel 2009 è stato effettuato l’ultimo ampliamento in ordine di tempo, comprensivo dei necessari adeguamenti a norma di legge. «Ci stiamo attrezzando per migliorare la nostra rete di vendita e tutta l’area relativa alla comunicazione» ci confida Simone. «In particolare stiamo rinnovando tutta la parte grafica e il nostro sito internet, dove pensiamo di inserire un’area dedicata alla vendita on-line». L’home page è bellissima, piena di simpatiche nuvolette, montagne di cartone e un maialino rosa che ricorda quello della favola dei tre porcellini. I salami, però, sono veri, e buoni. Gaia Borghi Salumificio Franceschini Srl Via Valle del Samoggia 6927 40050 Castello di Serravalle (BO) Telefono e fax: 051 6708010 Web: www.salumificiofranceschini.it In alto: Giulio e Simone Franceschini negli uffici aziendali. In basso: l’home page del sito del salumificio in fase di restyling.

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Nota A pagina 36 il salame campagnolo.

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una Granfetta! Salumificio Bordoni

s e d e e s t a b i l i m e n t o M a z z o d i Va l t e l l i n a ( S O ) I t a l y Te l . 0 3 4 2 8 6 2 0 0 2 - F a x 0 3 4 2 8 6 2 5 0 7 - s a l u m i f i c i o @ b r e s a o l a b o r d o n i . i t w w w. b r e s a o l a b o r d o n i . i t


Una storia nazionale di successo

Prosciuttificio B&B, modernità nella tradizione di Laura Franchini

N

on è un segreto che le dolci colline di Langhirano ospitino una delle più grandi produzioni di prosciutto del Belpaese, certamente una delle più note ed apprezzate, quella del prosciutto di Parma. Una zona vocata per la stagionatura del prosciutto, grazie ad un microclima particolare, che da sempre regala ai buongustai un prodotto unico ed inimitabile. Accanto alla produzione della DOP prosciutto di Parma non mancano le produzioni di prosciutto nazionale, sempre gestito e lavorato con la medesima coerenza e passione. Il Prosciuttificio B&B rappresenta al meglio questa storia di qualità e passione, che negli anni non è mai venuta meno, anzi, si è evoluta e consolidata. FRANCO CARNEVALI, Amministratore Delegato, ci racconta la storia di un’azienda di successo, ancorata nel territorio e proiettata nel futuro. Un’azienda partecipata al 100% dal macello Bertana Spa di Castelverde, in provincia di Cremona, il quale, nel 2007, si rende conto della sempre più impellente necessità di investire in un’unità produttiva di valore. Una realtà evoluta ed importante, che rendesse possibile affrontare il mercato dello stagionato compiutamente e nel migliore dei modi. La possibilità di allegare alla società un’unità produttiva di 300.000 pezzi annui non sfugge alla dirigenza, che attua subito tutte le manovre necessarie all’accorpamento. Nasce così una struttura capace di lavorare con precisione sia sulla DOP Parma che sul prosciutto nazionale, nonché su una parte di prosciutti di provenienza comunitaria.

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Prosciutto classico con osso del Prosciuttificio B&B. Ottenuto con cosce italiane e stagionato per 13/14 mesi. Si tratta, come sottolinea Carnevali, di una realtà estremamente moderna e coordinata — in possesso

di tutte le autorizzazioni necessarie per l’export, come la BCR e TFS — che rappresenta per il Prosciuttificio

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Sala stagionatura prosciutti. B&B circa il 5% del fatturato. È sul mercato interno però che si gioca la partita più importante. Se infatti sulla denominazione “Prosciutto di Parma” il Prosciuttificio B&B non ha più alcun bisogno di calare degli assi, visti i risultati e i prodotti, è sul mercato del prosciutto nazionale che la società vuole mettersi in gioco e lanciare una nuova sfida. Una sfida fatta da una filiera nazionale controllata e certificata, con prezzi e contenuti tali da rendere il prodotto non solo appetibile commercialmente ma irrinunciabile per addetti ai lavori e buongustai. Una sfida particolarmente importante in momenti di crisi come quello che stiamo vivendo, sottolinea Carnevali, sia per la valorizzazione del prodotto italiano, sia perché è sempre necessario proporre ai mercati e ai consumatori adeguate alternative, senza nessuna concessione in termini di gusto e qualità. È evidente che essendo la proprietà stessa composta dal macello di Bertana, questa filiera risulta essere particolarmente corta e decisamente

Prosciutto stagionato e pressato, realizzato con cosce italiane. controllata e affidabile. Un’ottimizzazione della produzione che porta il Prosciuttificio B&B ai primi posti sul terreno di qualità e servizio. Questo, come detto, grazie ai requisiti degli animali: suini italiani, dalle caratteristiche estremamente simili a quelle, precise, del Disciplinare del Parma.

“…visti i risultati ottenuti col Prosciutto di Parma, è sul mercato del prosciutto nazionale che la società vuole mettersi in gioco e lanciare una nuova sfida. Una sfida fatta da una filiera nazionale controllata e certificata, con prezzi e contenuti tali da rendere il prodotto non solo appetibile commercialmente ma irrinunciabile per addetti ai lavori e buongustai“ Premiata Salumeria Italiana, 3/12

Suini garantiti e certificati, secondo una certificazione ancora non esistente, ma che il Prosciuttificio B&B ha tutte le ragioni di voler istituire. Un passo necessario, nell’ottica di quel servizio così importante per i mercati, sempre più articolati ed esigenti. Una volontà di perseguire quella strada di qualità e tradizione che è alla base della filosofia aziendale di B&B e che non mancherà di regalarci presto nuovi risultati e gusti. Laura Franchini B&B Srl Via Fanti d’Italia 1 43013 Langhirano (PR) Telefono: 0521 853339

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Consorzio Culatello di Zibello: confermato alla presidenza Tito Tortini. Obiettivi del mandato: tutela del marchio, lotta alla contraffazione e promozione

Tito Tortini.

Il consiglio di amministrazione del Consorzio Culatello di Zibello Dop riunitosi il 27 aprile scorso a Zibello (PR) ha riconfermato Tito Tortini come presidente del Consorzio e come vicepresidente Marco Pizzigoni. Tito Tortini, al suo secondo mandato come presidente, è titolare dell’azienda Salumificio Ducale. Originario di Colorno, Tortini ha un’esperienza quarantennale nelle produzione di salumi tipici della bassa padana. L’assemblea dei soci lo scorso 20 aprile aveva anche riconfermato i consiglieri di amministrazione per il prossimo triennio: Marco Pizzigoni (Al Vedel); Francesco Negroni (Agricola Tre Valli); Renato Dallatana (Dallatana srl), Katia Soncini (Soncini Gladis); Paolo Berselli (IBIS); Massimo Spigaroli (Antica Corte Pallavicina); Tito Tortini (Salumificio Ducale). «Ringrazio i consiglieri per la fiducia accordatami. Nel mio mandato continuerò l’attività del Consorzio a tutela e difesa del prodotto da imitazioni e dall’uso improprio della denominazione. Oggi possiamo contare sull’operato di un pubblico ufficiale che controlla i punti vendita di tutta Italia verificando l’autenticità dei salumi Dop e Igp, ma l’impegno alla lotta al falso culatello deve crescere quotidianamente. Siamo consapevoli che tale impegno passa anche attraverso un’opera di informazione diffusa, che “insegni” al consumatore come fare a riconoscere il culatello Dop dai tanti tentativi di copia» ha affermato Tortini. (Fonte: Ufficio Stampa IVSI – ASSICA)

Paolo Ferrari ancora alla presidenza del Consorzio Zampone Modena Cotechino Modena L’Assemblea del Consorzio Zampone Modena Cotechino Modena che si è tenuta lo scorso 24 aprile ha rieletto alla presidenza Paolo Ferrari per il terzo mandato. È stato anche nominato il nuovo consiglio d’amministrazione che prevede la riconferma come consiglieri di Sergio Bolzani (Salumificio Mec Palmieri Srl); Celestino Cavalieri (Villani Spa); Mauro Masini (Grandi Salumifici Italiani Spa); Marco Riva (Salumificio F.lli Beretta Spa); Fausto Vecchi (AIA Spa). Freschi di nomina invece Fabrizio Aschieri (La Felinese Spa) e Guido Bianco (Giuseppe Citterio Salumificio Spa). Piena fiducia al presidente Ferrari che dal 2006 tiene saldamente la guida di questo Consorzio. «È un onore per me avere la fiducia dei miei consorziati. Questi sei anni come presidente del consorzio sono stati per me una vera avventura. Abbiamo lavorato tanto per far crescere il consorzio e per accreditarci presso le istituzioni» ha affermato Paolo Ferrari. Un consorzio che tutela la denominazione Zampone Modena Cotechino Modena e che cerca di migliorare sempre la qualità del prodotto. «Quest’anno saranno avviate nuove metodologie di controllo sulle Igp che prevedranno delle valutazioni di tipo sensoriale, al fine di assicurare al consumatore un prodotto che sia sempre più sicuro e di qualità» ha continuato Ferrari. Prodotti che spesso risentono della stagionalità ma che invece posso rientrare tranquillamente in una dieta equilibrata tutto l’anno. «I valori nutrizionali Paolo Ferrari. della ricerca INRAN confermano che Zampone e Cotechino sono due alimenti che oggi hanno solo il 17% di grassi (33% in meno rispetto ai valori del 1993) e un ridotto contenuto di sale. Sono due salumi ricchi di proteine nobili (24%), di vitamine del gruppo B e di minerali, soprattutto ferro e zinco» ha continuato il presidente. Lo Zampone nel 2011 è stato protagonista nazionale con la festa dei 500 anni che si è tenuta a Modena lo scorso 3 dicembre. Un successo sia come pubblico che da parte dei media. «Per me è stata una esperienza davvero emozionante ed entusiasmante quella dei festeggiamenti dei 500 anni. Abbiamo scatenato l’interesse di tutte le TV nazionali oltre che di quelle locali. Basti pensare che le trasmissioni dedicate all’evento sono state numerosissime, per un’audience complessiva di oltre 60 milioni. È stata una festa vissuta da tutta Italia» ha concluso Ferrari. (Fonte: Ufficio Stampa Consorzio Zampone Modena Cotechino Modena)

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L’INSUPERABILE BARABINO. DIFFICILE DA FOTOGRAFARE.

Prosciutto cotto di alta qualità da coscia suina italiana Senza proteine del latte, senza glutine, senza glutammato monosodico, senza polifosfati aggiunti

Salumificio Francesco Barabino Spa Strada Statale per Alessandria, 44 – Torre Garofoli – Tortona (AL) Premiata Salumeria Italiana, 3/12 45 Tel.: 0131 861449, 0131 868396 – Fax: 0131 821016 – www.barabino.com – barabino@barabino.com


Ad Ampezzo, comune della Carnia, Enrico Delfini ha deciso di investire in prosciutti pregiati come un gioiello

Perla d’Ampezzo, noblesse oblige! di Riccardo Lagorio

O

gni volta che incontro Enrico Delfini mi appassiono ai suoi progetti. Dopo anni che scrivo non è facile lasciarmi ancora emozionare in questo mondo del cibo dove tutti osannano le proprie capacità, la propria lungimiranza e sanno fare il meglio. Enrico Delfini non dice nulla di tutto questo; vive l’imprenditorialità con atti misurati ma anticonformisti, che un po’ sanno di follia in un momento

in cui tutti sembrano tirare i remi in barca. L’ho incontrato qualche settimana fa a Felino, nel parmense; fuori, l’inizio bizzarro di un aprile gravido di pioggia. Ha cominciato a parlare dicendo di quanto importante sia, per il nostro Paese, valorizzare le aree meno ospitali, dando opportunità di crescita là dove il privato se n’è andato e il pubblico non è mai arrivato. Uno si aspetta che siano solo belle parole,

invece… Invece la sua missione ha già preso corpo. Ampezzo. Forse nell’immaginario collettivo il nome accende l’idea di elitarie vacanze, di invernali gare dedicate allo sci e altrettante solari passeggiate che peccano di vanità. In verità Ampezzo non è Cortina. Ampezzo è un comune della Carnia, zona già famosa per riposanti escursioni nei boschi e accattivanti piacevolezze casearie di fondovalle

La sede dello stabilimento ad Ampezzo, in Carnia.

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Ad Ampezzo stanno già riposando cosce che evocano la ricercatezza del prodotto: Perla d’Ampezzo. e salumiere di Sauris, che con quel turismo e quell’immagine esclusiva ha ben poco a che vedere. Ma è proprio ad Ampezzo che Enrico Delfini ha deciso di investire e in Ampezzo stanno già riposando cosce che evocano la ricercatezza del prodotto: Perla d’Ampezzo. Per rendere il prosciutto pregiato come un gioiello ecco infinite prove di salatura che nel prossimo luglio si concluderanno con il primo taglio, una prova iniziatica da cui ci si attende un prosciutto dolce e morbido alla fetta, dall’aspetto rosa con una corona di grasso bianco e sodo. «Perla d’Ampezzo deve uscire dalla logica del prosciuttificio e imporsi come l’icona di prodotto che suggerisce l’immagine incontaminata dei luoghi dove nasce», razionalmente spiega Delfini. Ma non si tratta solo di una questione legata all’immagine. Le cosce che stanno maturando in Ampezzo provengono dagli stessi animali allevati all’interno delle aree dei prosciutti DOP, anzi sono parzialmente figlie

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di un progetto della regione autonoma Friuli Venezia Giulia e dell’Università di Udine che hanno sperimentato, tramite l’Associazione Allevatori locale, l’iniezione sottocutanea nelle zampette posteriori del maialino di un microchip. Ciascun microchip è fornito di un numero di riconoscimento e possiede utili informazioni, come la data di nascita, la linea genetica, la destinazione post macello e il prosciuttificio che ha preso in carico la carcassa. Al salumiere spetterà il racconto delle fasi di crescita e lavorazione quando affetterà il risultato finale di fronte alla massaia. Per il momento il progetto è in fase di sperimentazione con 1000 suini, ma sono intuitivi i benefici

a cui ne potrà condurre la completa realizzazione. Innanzitutto sarà molto più facile capire se l’origine delle cosce è italiana o meno, ma si potrà aggiungere qualcosa in più sui metodi di allevamento e le condizioni della stagionatura. Un grande beneficio per il consumatore e per tutti i produttori onesti. La Perla d’Ampezzo si contraddistinguerà anche per il metodo d’allevamento. Non sarà certo quello che si legge nelle pagine dei cronisti locali che tramandano usanze d’inizio Novecento (quando si somministravano ghiande, orzo, mais, baccelli di fagioli lessati, patate e magari avanzi di polenta come dimostrazione di estrema considerazione dell’inquilino a quattro zampe); tuttavia gli

“Perla d’Ampezzo deve uscire dalla logica del prosciuttificio e imporsi come l’icona di prodotto che suggerisce l’immagine incontaminata dei luoghi dove nasce, spiega Enrico Delfini” 47


I prodotti col marchio Perla d’Ampezzo dovranno evocare l’immagine incontaminata dei luoghi dove nascono. assomiglia molto in termini di apporti proteici. «I consumatori che si aspettano un prodotto di grande qualità — continua Delfini — potranno avere un’opportunità in più di quelle che trovano già oggi sul mercato.

In un prossimo futuro saremo anche in grado di garantire la completa tracciabilità della coscia e questa è una nuova frontiera in cui ci consideriamo apripista. Rilanciare il territorio anche grazie a iniziative imprenditoriali innovative è l’obiettivo

Ampezzo, in provincia di Udine, si trova nel cuore della Carnia, in una splendida cornice di montagne. Il comune sorge a 560 m, su un vasto spuntone tra il Tagliamento e il Lumiei, lungo la statale che sale al Passo della Mauria e al Cadore. Il primo documento scritto che lo menziona risale al 762. Il paese, come tutta la Carnia, venne ceduto nel 1077 dall’imperatore Enrico IV al patriarcato di Aquileia, il cui territorio passò nel 1420 alla Repubblica di Venezia. I veneziani fecero ampio uso del legname dei ricchi boschi della Carnia per costruire le proprie navi. Nel 1797, col Trattato di Campoformio, anche Ampezzo passò all’impero asburgico, quindi nel 1866, dopo la terza guerra d’indipendenza, entrò a far parte del regno d’Italia. Durante la seconda guerra mondiale la popolazione subì molti lutti: quasi ogni famiglia aveva un parente fra gli alpini della Brigata Alpina Julia. Ampezzo assunse un ruolo primario durante la guerra di liberazione, quando divenne capitale della Repubblica libera della Carnia. L’economia si basa sull’artigianato locale, rappresentato da imprese operanti nella lavorazione del ferro e dei serramenti, nell’edilizia, nell’estrazione boschiva (molto fiorente) e nelle segherie, e sull’allevamento di bovini, fra i più sviluppati della Carnia. >> Link: http://www.comune.ampezzo.ud.it/

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finale. Intanto impieghiamo cinque persone e creare posti di lavoro in aree come questa non è un fatto da sottovalutare». Ma la Perla d’Ampezzo non è l’unica novità di questa scommessa di Enrico Delfini. Nel solco della tradizione della Carnia, dal salumificio di Ampezzo usciranno anche prosciutti affumicati («leggermente», tiene a specificare Delfini) utilizzando essenze locali (faggio e bacche di ginepro) e speck in quantità pressoché identiche. E tutti questi prodotti saranno destinati alla distribuzione tradizionale, di modo che i 100.000 pezzi a rotazione possano essere spiegati e ragionati dal salumiere al cliente finale, benché i preaffettati godano di un momento di grande favore da parte dei consumatori. «Non saranno quindi affettati il cui prezzo è da asta», ci fa capire Delfini. Infatti: saranno perle. Noblesse oblige. Riccardo Lagorio >> Link: http://perladampezzo.com

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(ora Visentin)

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Consumi

Verso un’economia della pizza di Corrado Barberis

A

ppena dieci grammi giornalieri pro capite sgranocchiati per le strade pullulanti di locali da asporto: troppo pochi, questi dieci grammi, per un gagliardo sostegno del declinante consumo di pane. Ma un’economia complessiva che, grazie alla moltiplicazione dei locali con tavolo, potrebbe anche oltrepassare i 16 miliardi di euro, rappresentando quindi almeno il 10% della spesa complessivamente dedicata dagli Italiani all’alimentazione: o forse un po’ meno, secondo quanto dettagliato in seguito. Ecco le contraddizioni nelle quali si muove il nostro “sistema pizza”: non ultima, quella di affidarsi a calcoli pionieristici che, per quanto geniali di novità, non hanno un prestigio ufficiale1. Partiamo dai 10 grammi giornalieri, cioè dai locali da asporto, cresciuti a velocità vertiginosa dai 13.767 del 1993 ai 18.821 del 2001, fino ai 26.700

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del 20102. In assenza di dati ufficiali, l’Istituto Nazionale della Nutrizione propone quelli riferiti dall’indagine E.Leclerc che, per il biennio 20052006, sulla scorta di interviste a circa 3.500 famiglie italiane, propone un consumo giornaliero di: • 103,3 g per il pane; • 54,2 g per la pasta; • 36,5 g per la farina3; • 17,5 g per i dolci; • 15,8 g per il riso; • 13,8 g per i biscotti; • 8,1 g per i salati da forno; • 7,8 g per la pizza; • 1,5 g cereali da prima colazione. Senza questi corn flakes da caffelatte, la pizza sarebbe dunque all’ultimo posto nei consumi cerealicoli degli Italiani. Eppure, nelle grandi città, i locali da asporto esibiscono la loro mercanzia ad ogni angolo di strada. La loro crescita vertiginosa spinge a rivedere verso l’alto i con-

sumi proposti dall’indagine avallata dai nostri nutrizionisti: certo, però, non al punto di passare i 10 grammi giornalieri. Indubbiamente delusi resteranno coloro i quali vedevano nella pizza una spiegazione e un compenso del declinante consumo di pane: quasi che essa fosse un pane proseguito con altri mezzi. Non sembra, però, che si possa varcare il limite su accennato. Moltiplicati per 60 milioni di Italiani, questi 10 grammi non sono poi così pochi. Essi comportano una massa quotidiana di 600.000 chilogrammi che, divisi per le 26.700 pizzerie da asporto segnalate da Ceccarelli, comportano un prodotto medio di quasi 22,5 chilogrammi giornalieri, corrispondenti a 225 acquirenti di un trancio da un etto. E poiché questo etto lascia il bancone ad un prezzo variante tra 0,80 centesimi di euro per la cosiddetta bianca e l’euro e mezzo a seconda che si tratti di versioni

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Tabella 1 – Evoluzione degli esercizi di pizzeria classici, secondo alcune caratteristiche 1993

2001

2007

2010

19.051

22.230

23.920

25.300

11,3

13,3

17,4

15,2

45 95 52 94 39 5

33 94 39 89 35 4

9 98 10 79 18 3

5 98 11 70 12 3

21.748

20.800

17.500

17.100

242

271

304

285

Posti a sedere

96

115

123

130

Addetti per esercizio

4,7

3,8

3,4

3,8

89.539

85.800

81.328

87.316

4.534

6.000

7.271

6.950

6.486

9.900

14.022

16.630

13.767

18.821

23.850

26.700

Numero esercizi Scontrino medio (euro) Composizione pasti (%) Antipasti Solo pizza Dessert Bevande (diverse dall’acqua) Caffè Altri Coperti medi per unità Fatturato medio (.000 euro)

Totale addetti Fatturato (milioni di euro)

E, PER MEMORIA

Fatturato complessivo di tutti i punti vendita (milioni di euro) Numero pizzerie da asporto Fonte: Istituto europeo della pizza italiana.

Tabella 2 – Spesa familiare per l’acquisto di pane e sua incidenza sulla spesa generale dell’alimentazione, nonché dei consumi complessivi Spesa alimentare Pane Alimentazione domestica % di pane Ogni consumo % di pane Alimentazione extradomestica di cui pizza più o meno semplici o sofisticate, ecco giustificato un incasso medio di 225-250 euro a locale; qualcosa come 80.000 (o 85.000) euro per un anno di 350 giorni lavorativi. Moltiplicando per le 26.700 unità di vendita, il fatturato complessivo varia da 2 a 2,5 miliardi di euro. Forse qualche cosina in più, se il cliente non si accontenta di un etto, o se si avvicina al bancone con maggiore frequenza. È questo ammontare congruo con quanto sappiamo circa la nostra

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Spesa mensile

Spesa annua

Famiglie interessate (migliaia)

Spesa complessiva (milioni d euro)

31,46

377,52

24.609

9.290

461,06 6,8

5.532,70 6,8

24.609 —

136.152 6,8

2.441,77 1,3

2.930,10 1,3

24.609 —

721.078 1,3

81,18 —

974,16 —

24.609 —

23.973 16.600

spesa alimentare? Ripartiamo questa volta dall’ISTAT e dalla sua indagine su I consumi delle famiglie, basata sulla buona volontà di ben 25.000 nuclei che hanno accettato di segnare su un libretto la loro spesa quotidiana. Nel 2009 ognuna di esse dedicò mensilmente in media 461,06 euro all’alimentazione casalinga4, più 81,18 per quella compiuta al di fuori delle domestiche mura: presso ristoranti, mense collettive, gelaterie e — ovviamente — pizzerie con tavoli o da

asporto. A livello annuo, poiché le famiglie rappresentate dal campione si contavano in oltre 24,6 milioni, l’esborso fu non inferiore a 136 miliardi di euro per l’alimentazione domestica e di quasi 24 per quella extra. In totale, non meno di 160 miliardi. Non tutti accettano però questo ordine di grandezza. In particolare, per quanto riguarda le spese fuori casa, oggetto di maggiori comprensibili resistenze o dimenticanze da parte degli intervistati. NOMISMA tende a

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La pizza napoletana è l’unico tipo di pizza italiano riconosciuto in ambito nazionale ed europeo. Dal 4 febbraio 2010, infatti, è ufficialmente riconosciuta come specialità tradizionale garantita della Comunità europea. innalzare le spese extradomestiche. Se il nuovo totale si avvicinasse ai 200 miliardi di euro, anche le stime dell’Istituto ceccarelliano, fissato in 16,6 miliardi il complessivo fatturato del mondo pizza (comprese le grandi catene industriali, nonché i locali con tavolo), quadrerebbero meglio. Anche con questa revisione la pizza coinvolgerebbe comunque l’8% della nostra spesa alimentare. Gran parte di questa spesa è assorbita dalla ristorazione specializzata. Sempre l’Istituto europeo della pizza italiana sta lavorando attorno a una scomposizione statistica delle pizzerie che ricorda quella delle aziende agricole tedesche. In alto le aziende agricole dei Vollbauer, ossia dei “contadini pieni”, che traggono dai loro campi quasi tutto il loro reddito. Poi le aziende integrate, dove il reddito agricolo rimane maggioritario ma necessita di robuste iniezioni extra per sostentare la famiglia coltivatrice. Infine, le aziende accessorie, dai redditi prevalentemente esterni. Ancora l’Istituto europeo non ha completato, per le pizzerie, una

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scomposizione del genere. Ha però identificato gli equivalenti dei Vollbauer, designando quali “pizzerie classiche” quelle dove la pizza rappresenta almeno il 75% del conto pagato dai clienti. A caratterizzare queste “classiche” sono: 1. la costante crescita del loro numero, da 19.051 nel 1993 a 25.300 nel 2010; 2. l’incremento del loro complessivo fatturato da 4.534 a 6.950 milioni di euro, aumento certamente facilitato anche dal movimento inflativo; 3. uno scontrino medio per cliente cresciuto, sempre inflazione aiutando, da 11,3 euro nel 1993 a 15,2 euro nel 2010, dopo aver però toccato un picco di 17,4 euro nel 2007, segno che a partire da questo anno qualcosa si è rotto e che le famiglie italiane sono in crescente difficoltà; 4. una costante maggiore ampiezza dal punto di vista fisico, aumentando ininterrottamente i posti a sedere da 96 nel 1993 a 130 nel 2010, ma non anche dal punto

di vista economico, visto che il fatturato medio è, sì, cresciuto da 242.000 a 285.000 euro, a causa del deteriorato potere d’acquisto della moneta, ma dopo aver conosciuto un massimo di 304.000 euro nel 2007; 5. una costante diminuzione dei coperti medi annui per unità, da 21.748 nel 1993 a 17.100 nel 2010, segno di una asperrima concorrenza che porta ad aumentare il numero degli esercizi ma non le loro entrate unitarie. In altri termini, l’allargamento del mercato è conteso da una torma sempre più famelica di imprenditori, i quali aumentano di numero ma accettano di giocare al ribasso; 6. una drastica riduzione dei consumi diversi dalla pizza. Niente più antipasti a precedere il piatto per eccellenza, non più dolce o frutta a concluderlo e persino non più caffè. Solo ed esclusivamente pizza, senza fronzoli o altri allettamenti. Anche la dibattuta questione della bevanda che meglio accompagna la pizza, se il vino o la birra, sta

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Locale con vendita di pizza al taglio. perdendo importanza. I bevitori di solo acqua per accompagnare margherite o capricciose sono saliti dal 6 al 30%; 7. una contrazione del numero degli addetti tanto in valori assoluti, da 89.539 a 87.316, quanto per esercizio, da 4,7 a 3,8 (o a 3,5 secondo un differente conteggio). La necessità di risparmiare sulla manodopera si accompagna così a un aggravio delle prestazioni di quella che è riuscita a non farsi licenziare. Conta anche, ovviamente, la diminuzione dei coperti medi (Tabella 1). Indubbiamente le pizzerie classiche sono solo la parte emersa dell’iceberg pizza. Secondo Emanuele Ceccarelli, che riflette una impressione largamente diffusa, esse stanno occupando una percentuale sempre più vistosa all’interno della ristorazione italiana. Questa sensazione visiva o tattile che dir si voglia non è però confortata dalle statistiche. Infatti, nel 2001, i 22.920 esercizi classici identificati dall’Istituto europeo della pizza italiana andavano collocati all’interno dei 73.519 locali con tavoli e somministrazioni di cibo rilevati dall’ISTAT attraverso il censimento delle imprese industriali e commerciali. Si trattava dunque del 31,7% della totale ristorazione nazionale.

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Nel 2007 le pizzerie classiche salgono a 23.920, proseguendo il loro cammino ascensionale. Ma le unità locali individuate dall’ISTAT in uno speciale registro si contano in 91.249, facendole regredire al 26,2%. Vero è che un registro è meno affidabile di un censimento, ma il dato fa riflettere. Alle pizzerie classiche devono aggiungersi quelle, indubbiamente assai più numerose, dove i clienti della pizza rappresentano meno del 75% del fatturato. Dare un preciso volto statistico a questo part-time della pizza è un compito al quale l’Istituto europeo si sta accingendo, ma i risultati sono ancora in itinere. Grazie all’Istituto disponiamo frattanto di una stima concernente il complessivo fatturato del mondo pizza, calcolato in 16.630 milioni di euro. Poiché gli esercizi classici inciderebbero su questo totale solo nella misura di 6.950 milioni di euro, destinati a non oltrepassare i 9.500 milioni anche con l’apporto delle pizzerie da taglio, è evidente che a spartire una somma compresa tra i 7 e i 7,5 milioni di euro sarebbero le pizzerie part-time, al di sotto del 75%, e i colossi industriali, che in molti casi, grazie a forni a microonde e ad altre diavolerie, riescono a far servire pizza anche in locali dove non c’è ombra di pizzaiolo.

Vi è stato un tempo, oltre un secolo fa, in cui i consumi alimentari degli italiani si identificavano con il pane nella misura di oltre il 50%. Oggi le indagini ISTAT sui consumi delle famiglie fanno scendere questa incidenza al 6,8% sul totale delle spese alimentari domestiche e addirittura a meno dell’1,3% per quanto riguarda la complessiva gestione del bilancio familiare. Infatti, ogni mese la famiglia italiana spende per il pane, compresi grissini e cracker, 31,46 euro, che diventano 377,52 all’anno e ben 9.290 milioni una volta moltiplicati per i 24,6 milioni di famiglie rappresentate dal campione. Per una spesa alimentare totale che, come già si è detto, ammonta a 136.152 milioni (Tabella 2). Questo per quanto riguarda il settore domestico delle spese. Quanto alle altre, comprensive non solo dei ristoranti e delle mense aziendali e scolastiche, ma anche dei bar e delle caldarroste comprate per strada quando è stagione, esse sono state quantificate dai benevoli collaboratori dell’ISTAT in 81,18 euro al mese, per un totale annuo di 23.973 milioni. È qui che qualcosa comincia a funzionare male e che ha bisogno di essere riplasmato: perché non è pensabile che i 16.600 milioni del mondo pizza esauriscano o quasi i 23.973 milioni dei pasti e spuntini fuori casa. Non si commette peccato pensando che gli intervistati, forse reticenti anche per alcuni aspetti delle loro spese domestiche, lo siano stati poi molto di più per quanto attiene ai consumi extra, sempre imputabili — nella nostra non ancora aggiornata moralità economica — a qualche cosa di proibito o di eccessivamente lussuoso. Senza contare che, oltre ai minori scrupoli, le spese domestiche sono più facilmente documentabili attraverso una serie di scontrini e di altri aiuti memorizzanti. Di quanto vada aumentata, quindi, la spesa extradomestica dei bilanci familiari, o di quanto vada ridimensionata la stima che riguarda la pizza (chi scrive non trascurerebbe anche la prima ipotesi), resta comunque che con i suoi 16.600 milioni di euro — pari ad oltre il 10% della totale spesa

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alimentare — la pizza, figlia degenere ma soccorrevole, riporta il pane ad una quota veleggiante attorno al 17% di tutti i consumi alimentari. Così la pizza riscatta il declino del pane non in termini di grammi ingeriti ma di euro sborsati. Prof. Corrado Barberis Istituto Nazionale di Sociologia Rurale (INSOR) Note 1. Va reso omaggio a Emanuele Ceccarelli, presidente dell’Istituto europeo della pizza italiana, per l’inquadramento statistico di un settore nel quale egli rappresenta la pressoché unica fonte: soggetta alle contraddizioni e agli interrogativi che sempre accompagnano avventure del genere. Il riconoscimento va esteso ad Antonio Primiceri e alla sua consorte Maria Teresa Bandera Primiceri, per quanto pubblicato sulla rivista Pizzapress. 2. Per quanto riguarda i locali da asporto, vi è una sostanziale coincidenza tra i dati Ceccarelli e quelli proposti dall’ISTAT. Per il 2007 i 23.850 dei primi si confronterebbero con i 20.586 dei secondi, probabilmente comprensivi anche delle rosticcerie. 3. Traduciamo in questo modo l’originale inglese dell’indagine: wheat. 4. Per i cereali, le spese domestiche sarebbero così articolate: – pane 31,46 €; – biscotti 9,97 €; – pasta e riso 16,80 €; – pasticceria 12,61 €. La pizza, non considerata, è probabilmente confluita nel pane. Ringraziamenti Si ringraziano Marina Carcea dell’Istituto Nazionale della Nutrizione, Anna Rita Dionisi (ISTAT, censimento industriale) e Antonella Ciccarese (ISTAT, contabilità nazionale) per le cortesi informazioni fornite.

Assaggianeuno... ...e li vorrai provare tutti! Alla tentazione Baròt è impossibile resistere. p

Sei magnifici gusti per sei salamini morbidi e invitanti, in cui riscoprire il sapore antico di una terra, ricca di tradizioni e sapori straordinari.

Note A pagina 48 la famosa “salami pizza”, molto amata negli Stati Uniti, è molto distante dalla classica ricetta napoletana. SALUMIERI IN LANGA

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www.chiapellasalumi.it


Premiate Salumerie Italiane In quest’angolo di terra che non è più Veneto ma non ha ancora coscienza di piena “friulanità”

Salumi Dorth: quando è il tempo a lavorare di Riccardo Lagorio

P

er le generazioni nate negli anni Cinquanta e Sessanta, periodo di guerra fredda, Aviano coincideva con la base aerea più a est della Penisola, un avamposto rovente tra i confini italiani. Poi la Jugoslavia cadde a pezzi e gli aerei iniziarono a ronzare da lì su Serbia e Libia. Tuttavia, si sa, la storia che su queste pagine si racconta è sempre un episodio del Bene. Quindi, mantenendo gli hangar

di Aviano come protagonisti della vicenda, preferiamo raccontare delle incursioni di cosce suine che recano pace ai sensi partendo dalla cittadina del Pordenonese. Friuli, terra di prosciutti. Ne sa qualcosa LUIGI CARLO FABBRO, che ha raccolto la prestigiosa eredità del bisnonno Giorgio, Dorth in quest’angolo di terra che non è più Veneto ma non ha ancora coscienza di piena friulanità.

Luigi Carlo, un omone che non avrebbe potuto fare altro che il macellaio, anzi il salumiere, è un vero e proprio autore di salumi, un Michelangelo che dalla carne suina, umbra (perché, dice «Da lì posso scegliere gli animali migliori»), sa trarne i palpiti reconditi, le emozioni più riservate e renderle materiali grazie alla voluttà di salumi da favola. Maiali dal peso che viaggia tra i 250 ed i 300 chilogrammi, cosce che da

Guanciale e pancetta arrotolata Dorth.

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Guanciale stagionato e tolettato. Il guanciale di maiale è la guancia del maiale (barbola). Il pezzo destinato alla lavorazione viene messo sotto sale per circa tre giorni, in seguito aromatizzato solo con sale e pepe ed infine appeso per la stagionatura minima di 365 giorni. Il risultato dopo la stagionatura è un piacevole gusto delicato. sole vanno sui 17 e una stagionatura di almeno 18 mesi. Tre elementi che hanno fatto la fortuna del prosciutto marchiato Dorth, catapultandolo nell’aristocrazia dei salumi friulani. Le cosce vengono salate in piccoli lotti, 400 in totale all’anno, e stagionate grazie a giochi d’aria naturale. È un prosciutto di lunga persistenza al gusto, con un’accentuata corona di grasso intorno alla fetta. Tutto cominciò quasi per scherzo nel 2005 e per passione i primi furono venduti nel negozio a partire dal gennaio 2007.

Gusto prepotente, sfrontato, piacevolmente e semplicemente di… prosciutto. «Apprezzato — dice Luigi Carlo — solo da un 20% della clientela per quel grasso che lo contraddistingue e che lo rende unico». Molti di loro, stranieri, amano il buon cibo italico e fanno diventare il negozio il palcoscenico di un viavai di estimatori di stanza provvisoria ad Aviano. Una volta tornati in patria eccoli poi avvertire la malinconia per l’assenza dei salumi di Dorth. Così, in una gelida giornata di gennaio, è facile imbattersi in un distinto signore

“Il segreto nella produzione dei salumi è che non ci sono segreti, nulla che si possa fissare in formule matematiche poiché «ogni giorno è differente dall’altro e nell’incessante cambiamento della Natura non si può standardizzare nulla». Ecco perché ogni salame deve risultare diverso dagli altri e cercare delle similarità sarebbe sminuire il lavoro del norcino” Premiata Salumeria Italiana, 3/12

tedesco, per anni responsabile della manutenzione degli aerei di Aviano, che sposta la famiglia intera per acquistare i salumi di Dorth, si riempie il baule dell’automobile in attesa che l’inverno finisca e si possa tornare a fare un altro pieno di gioia. È la naturalità che deve prevalere nei salumi; e puntualmente prevale in questa semplice bottega dove l’impasto dei salami è privo di conservanti e nitrati. «Voglio che sia solo il tempo a lavorare, facilitato dalle pareti della cantina che comunicano i profumi della terra intorno e dal regolare ricambio d’aria. Anche coloro che hanno 70 e più anni riconoscono nel nostro salame il profumo ed il gusto di quando erano giovani» sostiene. «Ed il loro apprezzamento è il riconoscimento più significativo». Ma il segreto nella produzione dei salumi è che non ci sono segreti, nulla che si possa fissare in formule matematiche poiché «ogni giorno è differente dall’altro e nell’incessante

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Luigi Carlo Fabbro nel suo laboratorio di produzione. Oltre a prosciutti, guanciali e salsicce Fabbro è rimasto tra i pochi a produrre il saùc, la bondiola, preparata con un impasto particolare di carne accuratamente macinata ed arricchita di lingua e muscoletti di maiale aromatizzati. Il saùc si accompagna bene con polenta o purè, piselli o brovada. cambiamento della Natura non si può standardizzare nulla». Ecco perché ogni salame deve risultare diverso dagli altri e cercare delle similarità sarebbe sminuire il lavoro del norcino. Il norcino quindi deve essere colui che escogita novità, che sa immaginare una realtà diversa da quella attuale. Il norcino deve sapere guardare oltre il guanciale, salato a secco con sale marino 3 giorni, lavato e appeso a stagionare almeno un anno: è colui che sa architettare il guanciale doppio. Esattamente ciò che Dorth da qualche anno ha concepito: dopo la stagionatura di 12 mesi i guanciali si lavano, si rifilano, si spargono di pepe appena macinato e si sovrappongono dalle parti del grasso; infine si legano con lo spago grosso. Il risultato finale apparirà un corpo unico che Luigi Carlo taglia a fettine sottili che sembrano lardo, solo un po’ più magro. Un risultato delizioso che profuma di grasso non grasso dolce e delicato, finemente speziato, agevolmente

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equivocabile con il prosciutto al gusto per quel suo finale di nocciola e lenta scioglibilità. La più evidente differenza con i lardi, che si producono con la parte dorsale del suino, è proprio il grasso pressoché invisibile alla bocca, mai stomachevole e sempre più appetitoso con il trascorrere del tempo. Lo sguardo attento alla tradizione consente di preparare il saùc, un salume dalla pasta simile a quella dello zampone, ma avente come involucro la vescica di suino o di bovino. Un tempo molto diffuso nel Pordenonese, sono rimasti una manciata di appassionati salumieri a produrlo. Il consumo in prevalenza durante l’inverno, in matrimonio con l’immancabile brovada, sottili fette di rape messe a macerare in vinacce di vino rosso. Un’occasione in più per identificare Aviano con le piacevolezze suine più che con la sua, pur immanente, base aerea. Riccardo Lagorio

Dorth 1931 di Luigi Carlo Fabbro Via Padre Marco 13 33081 Aviano (PN) Telefono: 0434 651117 Cellulare: 338 8410930 E-mail: luigfabb@tin.it

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APRILE 2012

Lomazzo (CO), via Monte Bianco, 16

(100 mt. dall’uscita dell’autostrada Lomazzo Sud)

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Langhiparma srl sede legale: via Dugnani, 6 - Mozzate (CO) tel. +39 0331 823347 info@ langhiparma.it - www.langhiparma.it

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LANGHIPARMA

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Gargnano (BS), piazza Feltrinelli, 8 tel. +39 0365 790006 gargnano@langhiparma.it

MILANO, SALONE INTERNAZIONALE DEL MOBILE

“LANGHIPARMA - BOTTEGHE D’ARTE NORCINA” AL SALONE INTERNAZIONALE DEL MOBILE DI MILANO INSIEME AD UN GRANDE NOME, BRIANZOLO, DEL DESIGN ITALIANO: RIVA 1920 Grande debutto al Salone del Mobile-Eurocucina di Milano, dell’alta gastronomia emiliana. “Langhiparma-Botteghe d’Arte Nocina” - la nuova etichetta del gusto, ha di buon grado accettato l’invito di RIVA 1920 di portare la propria salumeria, o meglio, la propria “Bottega d’arte norcina”: taglieri, parmigiano Reggiano, assaggi speciali per gli Operatori e i Giornalisti italiani ed internazionali, presso lo spazio di una delle aziende più celebri della Brianza da sinistra: Verri, Pininfarina, Isi del design, RIVA 1920. Due grandi nomi di una tradizione italiana raccontano, da martedì 17 a domenica 22, attraverso l’innovazione, la sapienza artigianale e del legno e della gastronomia quello che tutto il mondo ci riconosce: l’arte della casa e della tavola. E il piacere di stare insieme. Martedì 17 è stata presentata, in anteprima mondiale la Concept Car Cambiano, interamente realizzata in legno, con le briccole di Venezia, alla presenza di PININFARINA che ne ha curato il design. Gli esperti di Langhiparma hanno selezionato per l’occasione raffinati assaggi e piatti che costituiscono il grande inimitabile bouquet emiliano: salumi, formaggi con il re dei re: il Parmigiano, aceti, vini, liquori, verdure, frutti sottolio e sottaceto, mostarde e dolci. La collaborazione con RIVA 1920 rappresenta un’anteprima di quello che a breve sarà la presentazione ufficiale alla stampa di Langhiparma, una novità nel panorama della filiera del food italiano poiché, sotto il cappello di un marchio nazionale di ristorazione regionale e addirittura provinciale. Ma soprattutto rappresenta un esempio di un modo diverso di “Fare Impresa” dove le sinergie fra aziende rappresentano un’opportunità. E dove, si dimostra che non è sempre necessario esasperare per eccellere. Spesso, è sufficiente tornare alle nostre Tradizioni, rispolverando la passione, l’amore, la creatività, la cura per il dettaglio e il rispetto che hanno sempre contraddistinto L’ITALIA CHE CONTA! Grazie a tutti i partner che sono stati con noi! Langhiparma è a Mozzate (CO), in Via Dugnani, 6. www.langhiparma.it Le sue “Botteghe” sono oggi a: Lomazzo (CO), via Monte Bianco, 16 (100 mt. dall’uscita dell’autostrada Lomazzo Sud) e a Gargnano (BS), piazza Feltrinelli, 8. In bottega, si mangia, si beve, si compra, tutti i gioni (7 su 7) a tutte le ore (dalle 10,00 all’1 di notte) e si paga sempre a peso! E sempre lo stesso prezzo, sia che si acquisti come in salumeria o che si consumi in loco. Il servizio è il nostro benvenuto.

PRESTO ON LINE E NUOVE APERTURE.


Italica 1861, Salumeria Osteria Italiana Qui Il Giro d’Italia si fa seduti al tavolo, assaggiando taglieri di soli salumi e soli formaggi oppure misti accompagnati da birre artigianali e vino. E come nella bottega di una volta, il servizio di vendita al minuto offre una selezione di prodotti realizzati rigorosamente in Italia di Federica Cornia

L’

Unità gastronomica d’Italia è fatta, si chiama Italica 1861 e ha sede in Cardinal Morone a Modena, via che si apre su piazza della Pomposa, l’angolo paradossalmente più parigino della città, monito urbano a rafforzare l’identità del locale e insieme fortunata allusione ad un futuro glorioso, costellato di successi internazionali per questa bottega che ha aperto i

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battenti appena lo scorso gennaio. Portare il prodotto italiano nel mondo attraverso un format fortemente identitario, contenitore d’italianità da proporre in franchising: il progetto è ambizioso e nasce dall’osservazione sul campo. Tra le attività svolte dai promotori dell’idea, infatti, c’è chi viaggia parecchio venendo dal settore del turismo e garantisce che la richiesta di prodotti italiani all’estero c’è

ed è forte. E Italica, anche a partire dall’impostazione stessa del locale che recupera il modello della bottega “di una volta” (gli orari d’apertura: dalle 11.00 alle 15.00, dalle 18.00 alle 24.00 tutti i giorni), vuole riproporre la tradizione per rispondere ad una crescente richiesta di tipicità contro la dilagante tendenza alla standardizzazione che non risparmia il settore alimentare.

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L’obiettivo dunque è offrire prodotti esclusivamente italiani di qualità garantita, creare un contenitore di medio livello, una proposta alternativa all’altissima qualità di Eataly-Alti Cibi, proponendo in un format simile concettualmente una formula ben diversa nella sostanza e dagli ampi spazi dell’Expo: Italica necessita per la sua apertura dai 60 ai 150 m2. Tutto è studiato per renderla facilmente replicabile anche all’estero. Importante è che il prodotto sia italiano, ma italiano italiano, non solo nel nome. In barba a catene come Pizza Hut e all’Italian sounding, inglesismo per cui chiedo venia ai nostri che hanno scelto non a caso “Italica 1861” per il loro locale, un nome di lapidaria italianità, pietra miliare la data dell’unificazione che in questo caso è sotto il segno della gastronomia. «Italica per noi vuol dire prodotti italiani fatti da italiani in territorio italiano» chiosa ALESSANDRO ANGELONE, capo progetto di Italica 1861 assieme a STEFANO SCARPONI, responsabile commerciale. Poi ci spiega: «La formula è quella salumeria-osteria che vuole ricordare proprio la bottega, il piccolo esercizio commerciale di una volta dove al servizio di vendita al minuto si accompagna la somministrazione del cibo. L’osteria senza cucina poi, in cui si servono solo piatti freddi, salumi e formaggi, è una scelta precisa: in termini di catena, infatti, la cucina vuol dire diventare ristorante, con maggiori spese e vincoli». E Italica invece vuol essere proprio osteria e proporre la tradizione riaggiornata sulla qualità: i prodotti artigianali italiani sono scelti con cura, dalle birre — spillate a pompa e che «sono il massimo» sottolinea Alessandro — ai vini, dai salumi ai formaggi. La dispensa a bottega è ricca: offre condimenti balsamici, prodotti confezionati quali pasta artigianale, sottoli e sottaceti, confetture, mostarde e altro ancora. Da Italica se si vuole dopo una birra con gli amici è possibile andarsene con burro e latte, un etto di prosciutto e conserve, cosa che sembrano apprezzare in particolar modo gli over 60, sollecitati dal ritorno inatteso di una formula di negozio a loro ben nota.

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Un’ampia selezione di salumi e formaggi direttamente dal banco alla tavola e perché no, se si preferisce, direttamente dal banco a casa propria. La modernità del progetto sta nel promuovere il modello dell’osteria, che storicamente è locale, come luogo commerciale rappresentativo dell’Italia e in cui si realizza l’unità nazionale gastronomica, aspetto importante che potrebbe avere un certo impatto positivo soprattutto all’estero, dove sembra che l’Italia faccia fatica a proporsi come un’unica identità. Così Italica 1861 si delinea quale via praticabile del prodotto artigianale a vocazione internazionale, in un format facilmente replicabile, dove nulla è lasciato al caso e tutto parla italiano, menu compreso. Se cercate

bevande straniere, in particolare bollicine statunitensi, difficilmente le troverete nel bar, che Alessandro stesso definisce scherzosamente noglobal: protagoniste infatti Acqua Brillante Recoaro, Cedrata Tassoni, Aranciata Sanpellegrino e Crodino. Campari Cynar e Aperol per gli aperitivi e gli amari. Sulla carta del locale il Giro d’Italia è garantito con piatti di soli salumi (tagliere con mortadella ciccioli, coppa, crudo toscano, speck, guanciale piccante, pancetta) o di soli formaggi (caciotta vaccina, pecorino pepato, Taleggio, Gorgonzola, toma di capra, Castelmagno) o taglieri

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In alto: “Italica non è un ristorante! Puoi sederti per bere un bicchiere e chiacchierare!” è la scritta che accoglie gli avventori all’ingresso del locale. Una galleria di celebri personaggi italiani accompagna l’assaggio di salumi e formaggi al tavolo. In basso: la bella piazzetta della Pomposa.

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Al bancone la promozione di una selezione di formaggi di pecora. Promuovere prodotti artigianali italiani scelti con cura è l’obiettivo principale di Italica 1861. misti (prosciutto di Parma, bresaola, prosciutto cotto, salame piccante con mozzarella di bufala, pecorino stagionato, ricotta), ognuno dei quali proposto anche declinato per aree geografiche: Nord Italia, Centro Italia, Sud Italia. Vocazione al turismo gastronomico per palati che si ritrova negli intenti programmatici del locale: ogni mese viene dedicata una settimana ad una regione italiana durante la quale, grazie alla collaborazione con le Aziende di Promozione Turistica locali, si possono degustare prodotti tipici e valutare promozioni turistiche. Per togliere qualsiasi dubbio sull’impronta di Italica basta dare un’occhiata alle pareti, dove campeggia una mitica galleria di

ritratti in bianco e nero di celebri personaggi italiani — ben 150! —, da Michelangelo Buonarroti a Valentino Rossi e Fiorello; immancabili Enzo Ferrari e Luciano Pavarotti. Sapori, immagini e anche musica italiana per creare un’atmosfera del Belpaese ripescata dal passato in un ambiente dove tutto è di produzione nostrana, dalla pavimentazione all’arredamento ai complementi d’arredo, come i lampadari toscani in porcellana, dipinti a mano, sospesi sul banco e vetrina, o, ancora, le prese luce anni ‘30 a farfalla, da cui partono come una volta i cavi a vista della luce, tutto a norma. Al taglio naturalmente c’è la Berkel, modello moderno per esigenza di

“Da Italica dopo una birra con gli amici è possibile andarsene con burro e latte, un etto di prosciutto e conserve, cosa che sembrano apprezzare in particolar modo gli over 60, sollecitati dal ritorno inatteso di una formula di negozio a loro ben nota” Premiata Salumeria Italiana, 3/12

funzionalità, e se rimarrete colpiti dal colore delle pareti, beh sappiate che tutto torna: è rosso Berkel quel bel colore caldo che vi accoglie all’ingresso del locale e fu scelto dall’azienda per le sue affettatrici perché colore della Ferrari anni ‘50. Non c’è che dire: col suo bagaglio d’eccellenze storiche Italica 1861 è pronta a salpare per il suo viaggio! Federica Cornia Italica 1861 Salumeria Osteria Italiana Via Cardinal Morone 42 41121 Modena Web: www.italica1861.com Nota A pagina 58: sulle mensole di Italica 1861 Enzo Ferrari e le sue mitiche auto da corsa, Luciano Pavarotti, il Lambrusco, la bandiera per il centenario del Modena Football Club e il Parmigiano Reggiano. Successi made in Italy dal sapore emiliano; fotografie di Elena Benedetti.

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Locali di gusto

Ciccio “Sultano” di Sicilia di Stefania Monaco

«I

o sono siciliano, io sono barocco, noi siamo barocchi… Io mi sento di essere la somma della mia cultura del mettere tante cose insieme». La cucina di Ciccio Sultano è in effetti una sintesi di sicilianità, ma nulla che crei distanza, anzi, è un vortice di sapori che ammalia per tanta grazia. Una cucina che usa cultura e istinto, c’è un continuo call & response in un piatto che presenta un ingrediente (punto cardinale) e tutti i suoi rimandi nel tempo che lo chef applica. L’ambiente del ristorante “Duomo” è assolutamente caldo, pochi tavoli in ogni sala; Angelo Di Stefano, socio accogliente di Ciccio, è al suo fianco «da quando eravamo piccoli», dice. Intensi e veri, i ragazzi della sala emanano quello che altrove si sogna:

un personale coinvolto sinceramente in un progetto. Non è facile alzarsi da una tavola così ospitale. Facile è, invece, farsi sovrastare da tutte le dominazioni che si sono susseguite in Sicilia e che attraversano i piatti. Come la sintesi dell’arancina prima di Tuma, formaggio fresco per opera dei Greci, poi con il riso giallo dallo zafferano per via degli Arabi, poi con il ragù dei Francesi e con il pomodoro degli Spagnoli. Bisognerebbe portarci i bambini a mangiare, per far loro studiare la storia dal cibo piuttosto che dai libri. In effetti una scuola, Sultano, l’ha aperta: si parla di cotture, di pesci, di oli, di tutti quegli ingredienti che fanno grande l’idea della cucina che ha sintetizzato questo solo uomo.

Mi permetto un sorriso ironico guardando la gioia dei colori di un piatto paragonandolo a quelli che vanno tanto in voga adesso del Nord Europa, dalle tonalità grigio topo con chissà quale microflora del sottobosco dentro. Quando arrivi a Ibla, per la strada già senti la grandezza energetica di questo luogo, senti che “c’è”, al di là dei 13 monumenti storici riconosciuti come patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Può essere probabile che ci si possa incrociare con questa aura magica anche in un cracker con ripieno di tonno, foie gras, mosto di melograno e fave di cacao torrefatte, può accadere… Fino a marzo Ibla è deserta, proprio come si vede nel “Commissario Montalbano”, la serie poliziesca di RAI 1 tratta dai romanzi di Andrea

Ciccio Sultano e collaboratori tra pentole e tegami nella cucina del ristorante Duomo a Ragusa Ibla.

Premiata Salumeria Italiana, 3/12

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La cucina di Ciccio Sultano? La risposta la leggiamo direttamente sul suo sito: «Nei nostri piatti cerchiamo di esprimere l’essenza del territorio, la gente di un tempo, le suggestioni del nostro vissuto. I confini? Non esistono. Dove è ad esempio il confine tra mare e terra? Il mare non lambisce la terra e ci va sopra con la sua spuma salmastra?». Camilleri e qui ambientata. Il posto ideale dove meditare sulla grandezza di certi ingredienti, come il formaggio «tanto vacca e tanto uomo», dice Ciccio, o come il tartufo «dentro c’è tutta la montagna, la campagna, la

foresta, l’alba quando nasce il sole e quando tramonta, tutto qua dentro». E il tartufo diventa un gioiello incastonato tra il gelato di tartufo e due sfoglie. Capolavoro anche la triglia di razza: filetto di triglia, ali di

Gelato al tartufo fra due cialde croccanti.

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razza, crema di coriandolo citrodoro e polvere di finocchio selvatico con succo di carote agrodolce; anche qui tutto gira sull’ingrediente principe, che sia liquido, solido, morbido o croccante, tutto ci riconduce alla triglia. La sensazione è di aver a che fare con un lembo di terra che viene bagnato dal mare, o coperto di lava, o di neve, per poi spaccarsi al sole. Tutto passa e tutto torna. Questa è la tavola di un gastrofilosofo a cui non manca una nutrita cantina con tante scelte. Noi vi consigliamo le etichette locali perché abbiamo trovato dei veri tesori, scelti dal sommelier Valerio Capriotti. Tra questi il Versante Nord 2010 Etna Rosso dell’azienda Pietradolce con la consulenza dell’enologo Carlo Ferrini. Stefania Monaco Duomo Ristorante Via Capitano Bocchieri, 31 97100 Ragusa Loc. Ragusa Ibla Telefono: 0932 651265 Fax: 0932 651265 E-mail: info@ristoranteduomo.it

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Peppe Zullo: dall’allevamento alla tavola la carne è servita! Una carne che ha il grasso pregiato della Cinta senese e il magro rosso e saporito del maiale Nero della Daunia. Zullo, nella sua azienda agricola di Orsara di Puglia, ne ricava salumi di qualità, come soppressate, capocollo, fiocco di prosciutto, pancetta, guanciale, fatti e stagionati in casa di Massimiliano Rella

A

Orsara di Puglia, in provincia di Foggia, il cuocovignaiolo Peppe Zullo gestisce un ristorante di cucina naturale che usa i prodotti del suo orto, del proprio allevamento e le erbe spontanee del bosco. Il cuoco contadino dirige un’azienda agricola di 20 ettari, 16 dei quali destinati a vigneti, oliveti, orto, frutteto, bosco e ad un allevamento di animali da cortile e suini che permette al ristoratore di ottenere circa il 30% della carne da utilizzare nella sua cucina. Il resto arriva da allevatori locali selezionati. Oltre ad agnelli, conigli e pollame, sono allevati con sistema biologico suini ottenuti dall’incrocio di maschi di Nero della Daunia e femmine di Cinta Senese. La razza autoctona dei Monti Dauni, una delle più antiche del Sud Italia, apprezzata per la sua frugalità, la capacità di adattamento all’ambiente e l’alta qualità dei suoi prodotti, è tipica dei territori collinari e montani della Capitanata. Il maiale Nero, allevato allo stato brado, è un animale robusto, rustico, che vive liberamente in aree recintate, si alimenta di ghiande, erba, tuberi, germogli e di quanto trova nel pascolo. Zullo ha incrociato il Nero della Daunia con femmine di Cinta senese, una razza proveniente dalla Toscana meridionale, e in particolare dall’area compresa nei comuni di Monteriggioni, Sovicille, Gaiole,

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Salumi e capocollo fatti in casa da Peppe Zullo con i maiali ottenuti da incrocio di maschi di Nero della Daunia e femmine di Cinta senese.

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L’allevamento di maiali incrociati da Peppe Zullo. Castelnuovo Berardenga e Casole d’Elsa (Siena). Di antiche origini, la specie è caratterizzata da una fascia bianca continua che circonda completamente il tronco all’altezza delle spalle includendo gli arti anteriori, su

un mantello di colore nero ardesia. È adatta all’allevamento all’aperto, di facile ingrassamento, e dà carne di ottima qualità, ideale da trasformare in salumi. Il risultato di questo incrocio consiste in una carne che ha il grasso

pregiato della Cinta e il magro rosso e saporito del maiale Nero della Daunia. Zullo ne ricava salumi di qualità come soppressate, capocollo, fiocco di prosciutto, pancetta, guanciale, fatti e stagionati in casa.

Il binomio fondamentale della cucina di Peppe Zullo è la valorizzazione della semplicità dei prodotti della sua terra, la Daunia, e l’essenzialità dei profumi della cucina mediterranea. Un binomio che è divenuto cuore pulsante di tutta l’opera e del lavoro di Peppe Zullo che, oltre allo storico ristorante, si concretizza nei nuovi spazi “Nuova Sala Paradiso” (una sala ricevimenti accogliente ed elegante, posta in Piano Paradiso a due passi dal centro storico di Orsara) e “Villa Jamele” (in foto). Villa Jamele è una struttura unica nel suo genere. Il nucleo storico, risalente al 1700, è circondato da ampie sale, grandi spazi aperti, prati verdi, un giardino all’italiana, il Bosco dei Sapori Perduti, la grande sala ricevimenti, il gazebo di cristallo, l’orto ed i vigneti in cui fare lunghe passeggiate. Sembrerà quasi di trovarsi in una villa di altri tempi, ma con tutti i comfort della modernità. Il grande spazio di Villa Jamele, un tempo appartenente all’avvocato Ettore Jamele, di nobile famiglia orsarese, oggi ospita anche la scuola internazionale di cucina. Coi suoi angoli da sogno e i suoi locali si presta per ricevimenti e cerimonie: dispone infatti di due ampie sale, la Guadalajara, di struttura circolare, e la Veracruz, un gazebo in legno e cristallo, arricchito con splendidi lampadari di murano. Sono inoltre disponibili eleganti suites. Nell’area circostante un ambiente che rende il tutto un percorso gastronomico ed enologico raffinato, originale ed elegante: il Bosco dei Sapori Perduti, un polmone verde di un’ampiezza pari a 25.000 m2 in cui sono presenti 50 varietà diverse di alberi da frutto e decine di tipi differenti di erbe officinali, ed il vigneto, costituito da ben 16.000 piante.

Premiata Salumeria Italiana, 3/12

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Come per la carne anche le verdure e gli ortaggi sono di produzione propria. Peperoni, pomodori, melanzane, zucchine, fiori di zucca, broccoli, fave, cicerchie, piselli, ceci sono coltivati in conversione ad agricoltura biologica, certificata da ICEA e seguita dal Consorzio Italiano per il Biologico, e con basse rese per ettaro secondo una scelta di qualità, naturalità e sostenibilità. Complessivamente l’azienda agricola di Zullo raggiunge il 90-95% del suo fabbisogno nei campi, tra ortaggi, frutta ed erbe spontanee. L’olio extravergine d’oliva è autoprodotto con le cultivar Coratina, Leccino e Ravece. Sono fatti in casa anche alcuni formaggi, come caciocavallo, cacioricotta, pecorini di latte di razza Gentile di Puglia, e le passate di pomodoro, preparate con quattro varietà diverse. Il pane e la pasta fresca sono preparati ogni giorno con le farine di grano aziendale. Per la pasta i formati sono tradizionali: orecchiette, strascinati, cavatelli, fusilli di grano arso. Nella preparazione delle sue ricette Zullo fa inoltre un ampio uso di erbe spontanee del bosco, che in pochi oggi sanno riconoscere e utilizzare. Qualche esempio? Il marasciuolo, una Brassicacea campestre adatta per un condimento di orecchiette; oppure la cicoriella selvatica, ottima con le fave; la borragine di campo, il tarassaco, il finocchietto e altre essenze poco conosciute. Zullo ha collaborato con l’Università di Bari per tenere un corso sul riconoscimento, i luoghi di raccolta, la pulizia e l’uso delle erbe spontanee in cucina. Funghi selvatici e frutta, come gelsi, prugne, mele, sambuco, sono altri spontanei contributi della terra alla cucina del vignaiolo. Il menu segue la stagionalità dei prodotti dell’orto, piantati a cielo aperto senza l’uso di serre: varia in base al raccolto giornaliero e valorizza queste materie prime con ricette locali e antiche, piatti semplici e gustosi. Orecchiette con cime di rapa, frittatine all’aglio orsino, agnello al forno profumato alle erbe di bosco, salumi artigianali di maiale Nero. Ci sono anche un menu studiato per i celiaci e uno per i bambini.

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Peppe Zullo con prosciutto e capocollo home made! Con Zullo in cucina collabora Antonio Robusto, che si dedica anche ai dolci; maître e sommelier è Leonardo Bianco. La carta dei vini include 250 etichette regionali italiane e anche le due bottiglie di produzione propria (ecco il perché del cuocovignaiolo). Si tratta di due rossi da uvaggio di Tuccanese e Nero di Troia con piccole percentuali di Merlot e Cabernet, prodotti nella cantina di architettura progettata da Nicola G. Tramonte e abbellita dalle opere dell’artista Leon Marino. Un’attività parallela al ristorante è la

scuola di cucina naturale, ospitata in un edificio aziendale d’epoca, con attrezzature moderne. Per una formazione intensiva tra i campi e la tavola si può anche pernottare: ci sono cinque stanze di design e altre camere sulla cantina interrata e davanti alle vigne. Massimiliano Rella Peppe Zullo Via Piano Paradiso 71027 Orsara di Puglia (FG) Telefono: 0881 964763 E-mail: info@peppezullo.it Web: www.peppezullo.it

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Perenzin: molto più di una semplice latteria A Bagnolo di San Pietro di Feletto, in Alta Marca, la secolare latteria da pochi mesi non è più solo bottega ma anche Cheese bar e Osteria. Inaugurato tre mesi fa il PER-Percorsi Enogastronomici di Ricerca, gestito da Emanuela Perenzin assieme al marito Carlo Piccoli, ospiterà anche l’Accademia Internazionale dell’arte casearia di Gian Omar Bison

E

sistono pietanze popolari, umili, quasi schive e molto venete, che evocano un mondo lontano, capace di impreziosire col riso il latte buono e grasso delle mucche nostrane. Esiste un piatto, per esempio, che chiama in causa mamme pazienti, attente a che il latte non prenda el brustuin (non

sappia di bruciacchiato) e che celebra il calore domestico commemorando il senso più profondo, quasi mistico del focolare. Un riso tradizionale quello co late pressoché scomparso dalla cucina domestica. E inesistente nella ristorazione. Ma in piena Alta Marca trevigiana, tra i pascoli della pedemontana, inerpicato a Bagnolo

di San Pietro di Feletto, Treviso, nei poggi del benessere e del buongusto, le uniche colline del prosecco spumante superiore DOCG Conegliano Valdobbiadene, troviamo la secolare Latteria dei Perenzin, da pochi mesi “Cheese Bar” o “Osteria del Casaro”, che ha riscoperto questi risi pannosi e delicati. E ne fa uno tra i biglietti

Latteria Perenzin: a banco Emanuela Perenzin e Carlo Piccoli.

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In alto: San Pietro, formaggio semiduro a pasta compatta di colore paglierino chiaro con una rara occhiatura. In basso: Castel Formaggio Medioevale, libera interpretazione di come poteva essere un formaggio del Medioevo.

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Formajo Ciock al vino rosso. da visita più preziosi insieme alla proposta di formaggi al prosecco (in particolare il caprino biologico). Proprio così. L’esaltazione della cucina povera, tradizionale, contadina mescolata alla più raffinata arte casearia di Carlo Piccoli e della moglie Emanuela Perenzin è diventato un motivo di originalità e di competitività tra i percorsi del gusto. Inaugurato da pochi mesi è il compimento di un sogno centenario che unisce il bancone dei formaggi e prodotti tipici del territorio, al bar per piccole degustazioni, la sala ristorante, alle sale di produzione e celle di conservazione e stagionatura dei caci. Il tutto amalgamato da un percorso suggestivo, museale, che i clienti possono percorrere respirando le fatiche e i fasti di un tempo che fu. Perché ci fu un tempo, quando si produceva e consumava più burro che formaggio, in cui tutto ebbe inizio. Ai primi del novecento Domenico Perenzin, bisnonno di Emanuela, raccoglieva il latte nei dintorni e lo lavorava a Tarzo.

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Poi il figlio Angelo si è spostato nella località Mire e nel 1956 fondò la latteria limitrofa al PER (Percorsi Enogastronomici di Ricerca), vero nome dell’attuale regno dei cheese-lovers. Dopo Angelo, rinomato norcino e allevatore di maiali, Egidio, con i fratelli Rocco e Gino, e dopo Egidio, vent’anni fa, Emanuela insieme al marito. «Mio nonno e mio padre raccoglievano nell’Alta Marca, nel raggio di 20 km da Bagnolo. Un territorio che contava centinaia di piccole stalle (i futuri “metalmezzadri”) oggi ridotte a 5/6. La raccolta del latte col furgoncino è sempre stato l’impegno più oneroso. Tre giri al giorno per raccogliere bidoni e vasi per complessivi 40 hl di latte che valevano 200 kg di formaggio (55 forme circa) tra San Pietro, Feletto, Casatella, mascarpone e burro». Si mungeva per lo più la sera e il mattino seguente si raccoglieva latte versato in recipienti immersi dentro a fontane o ruscelletti per la conservazione. Un sistema rodato e mantenuto fino a metà anni Ottanta circa. L’avvento dei refrigeratori ha

rivoluzionato la raccolta, ma anche il latte, la sua conservazione, la sua bassa acidità e le modalità di lavorazione. Sale in cattedra Carlo Piccoli, “maestro assaggiatore di formaggi” con diploma ONAF-Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Formaggi, e si cambia sistema. Chiudono le stalle a conduzione familiare di un territorio lanciato verso l’enologia di successo: il prosecco, tra le bollicine l’ambasciatore più cool del miglior made in Italy. E i Perenzin spostano in montagna l’approvvigionamento del latte, bovino ma anche caprino. Cambiano le lavorazioni (forniscono anche tomini di 100 g), molto bio, e la raccolta che si attesta sui 500 quintali annui di latte (4.000 di capra). Cambia la produzione assorbita per il 40% dal mercato biologico italiano, il 10% dalla distribuzione di qualità, il 20% dai grossisti specializzati e il restante dalla vendita diretta a negozio. «Abbiamo l’orgoglio di credere — evidenzia Piccoli — di aver portato il nostro consumatore

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Bottega, Cheese bar e Osteria del Casaro: un unico ambiente per il nuovo laboratorio del gusto PER–Percorsi Enogastronomici di Ricerca. abituale a conoscere e preferire il latte crudo. L’idea dell’Osteria del Casaro, del percorso culturale nel mondo dell’arte formaggiera attraverso veri e propri cimeli del cheese making è stato il faro che ha guidato questa nostra ultima evoluzione (il PER– Percorsi Enogastronomici di Ricerca è stato inaugurato da pochi mesi) per accompagnare il cliente ad un consumo consapevole e di qualità». I Perenzin sono soci di “Alta Marca”, l’associazione trevigiana che opera per valorizzare il meglio

che questa terrazza, chicca naturale e ambientale fra Cortina e Venezia può offrire sotto il profilo storico, culturale ed enogastronomico. Le colline del bengodi. «Ma siamo convinti — sottolinea Piccoli — che se riuscissimo a fare di più squadra ad interesse diffuso degli operatori economici del territorio potremo avere dei risultati ancora più significativi. Dobbiamo migliorare nell’accoglienza e per farlo ci vuole formazione. Noi ad esempio cerchiamo di preservare l’arte casearia dalla mas-

I “Risi co Late” Li abbiamo gustati all’Osteria del casaro–Cheese Bar PER, promanazione della secolare Latteria Perenzin, insieme ad Emanuela Perenzin e Carlo Piccoli. Preparati dallo chef Flavio Brisotto, tre gli ingredienti: riso Carnaroli, latte intero quanto basta e un pizzico di sale grosso. Per la loro preparazione: portare il latte ad ebollizione con un pizzico di sale, aggiungere il riso e mescolare con cura e continuità fino a cottura. Il risultato è notevole per gli occhi e per il palato, con un piatto impreziosito da un fiorellino di rosmarino.

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sificazione industriale e per questo con l’associazione Famiglie Rurali Sinistra Piave abbiamo costituito l’Accademia Internazionale dell’arte casearia che presto inizierà a tenere dei corsi mirati sul tema». La memoria del profumo del latte munto da poco, dell’erba appena tagliata, del fieno secco, delle piccole stalle è un patrimonio al quale tuttora il caseificio attinge: lavorazioni a latte crudo (Castel Formaggio Medievale), il Montasio (il DOP della zona), il Formajo Ciock (dalla secolare usanza di nascondere il formaggio nel mosto in fermentazione per sottrarlo alle razzie della guerra o ai conteggi del padrone), gli storici San Pietro e Feletto, ecc…, per un totale di oltre 50 ricette di caci. Gian Omar Bison Perenzin Latteria Srl Osteria del Casaro, Cheese Bar PER Via Cervano, 85 31020 San Pietro di Feletto (TV) Telefono e fax: 0438 21355 E-mail: info@perenzin.com Web: www.perenzin.com

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Perché un territorio si comincia a conoscere e ad amare anche a tavola

Premiate Trattorie Italiane, trattorie con la T maiuscola di Gaia Borghi

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inque originali debuttanti si sono date appuntamento lo scorso 19 marzo a Bologna, presso Eataly, per presentarsi al pubblico. Un ingresso in società, il loro, affascinanti signore di consumata esperienza, pensato da tempo; eppure, l’emozione per questa prima all’insegna del buon mangiare e della tradizione italiana, quella autentica e diversa da zona a zona, da paese a paese, da provincia a città, da “campanile a campanile”, era palpabile e avvertita da tutti, ospiti e organizzatori. Stiamo parlando del primo evento che ha visto protagoniste le “Premiate Trattorie Italiane”, una nuova associazione o, come loro stessi si definiscono, un neo-nato “gruppo di luoghi del cibo, dove famiglia, storia e qualità convivono insieme nello stesso menu”. Si tratta di cinque trattorie, collocate tra la provincia bolognese e quella genovese, passando dalla Romagna al Friuli, alla Lombardia: Amerigo 1934 di Savigno, il Caffè La Crepa di Isola Dovarese, la trattoria La Brinca di Ne in Val Graveglia e le locande al Gambero Rosso, di San Piero in Bagno, e Devetak, a San Michele del Carso. La caratteristica distintiva dei locali è quella di proporre una cucina del territorio, offerta in menu degustazione ed alla carta, a prezzi contenuti, esposti in maniera ben visibile e con una ricca proposta di vini e birre, serviti anche al bicchiere. Ma, poiché l’intenzione dei cinque associati è quella di “vendere un territorio”, accanto ai prodotti, alle ricette e alle preparazioni della trazione locale, nelle trattorie è possibile reperire informazioni, depliant, mappe e libri per conoscere il luogo dove le trattorie stesse sono collocate, per fare acquisti

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e trovare alloggio. Il logo scelto per rappresentare l’associazione — aperta a nuovi “arrivi” (anzi, speranzosa di ricevere proposte così da allargare la presenza e quindi i legami tra i locali consociati sul territorio nazionale), purché si condividano i principi che sono alla base della congrega stessa e che sono enunciati in un manifesto scaricabile dal sito, http://premiatetrattorieitaliane.com — è proprio un campanile, dotato di forchetta e coltello, simbolo delle tante piccole “patrie” che fanno grande l’Italia in tavola. E ora, la parola ai protagonisti. Perché “Premiate”? «Un gruppo di trattorie premiate dal tempo, dagli anni e dalla clientela. Almeno così ci definiamo. Era un’idea che girava nell’aria da parecchio tempo e pian piano siamo riusciti a portarla a termine. Siamo cinque trattori di altrettante trattorie: Franco Malinverno della “Crepa”, Sergio Circella della “Brinca”, Moreno Balzoni del “Gambero Rosso”, Alberto Bettini di “Amerigo” e Avgustin Devetak della “Devetak”. La voglia di condividere un’esperienza, un percorso e una storia, ci ha uniti diversi anni fa e da allora lavoriamo sinergicamente in piena armonia con la nostra famiglia e la nostra clientela». Perché “Trattorie”? «La trattoria tradizionale è luogo di cultura e salvaguardia del proprio territorio. Trattorie curate, ristoranti caratteristici, osterie, locande ed enoteche con cucina dove i cibi ed i vini del proprio territorio sono protagonisti. Le trattorie che con tutta la famiglia dirigiamo rappresentano per noi qualcosa in più di un semplice luogo del mangiare bene. È infatti no-

stra intenzione comunicare una zona, vendere un territorio e realizzare un progetto di salvaguardia delle nostre antiche tradizioni e dei prodotti che la terra in cui viviamo ci fornisce. Ogni famiglia, ogni straniero che viene in Italia, conosce e vuole i piatti che da sempre contraddistinguono i nostri paesi: noi li proponiamo nella maniera più autentica, preparati con i migliori ingredienti delle nostre terre e consapevoli che anche questo possa contribuire a salvarle e a rilanciarle». Perché “Italiane”? «Il paesaggio che ci fa da sfondo è la cucina italiana, nella sua complessità, nelle sue sfaccettature e nel suo campanilismo. Un panorama variegato di cucine unite dalla voglia di perseguire un fine comune: salvare la tradizione, innovandola e proiettandola nel futuro. Un giro d’Italia di tavola in tavola, di cucina in cucina, di uso in costume. La varietà delle nostre ricette rende bene l’idea del complesso panorama gastronomico italiano, ricco di cibi e di storia, unito dalla sola sintassi del pasto, la quale rende la nostra cucina unica al mondo: antipasto, primo, secondo e dessert». I sessanta gourmet curiosi che sono riusciti ad acquistare i biglietti (andati esauriti dopo solo due giorni) per partecipare alla prima cena-evento delle Premiate Trattorie Italiane hanno potuto gustare un menu realizzato con i piatti più autentici delle trattorie, ognuno dei quali era abbinato ad un vino locale appositamente scelto dai singoli sommelier. Il prossimo appuntamento con le magnifiche cinque è previsto per lunedì 2 luglio presso il Caffè La Crepa di Isola Dovarese. http://premiatetrattorieitaliane.com Premiata Salumeria Italiana, 3/12


Amerigo 1934 Trattoria, Dispensa e Locanda Via Marconi 14-16 40060 Savigno (BO) Telefono: 051 6708326 www.amerigo1934.it

Caffè La Crepa Piazza Matteotti, 13 26031 Isola Dovarese (CR) Telefono: 0375 396161 www.caffelacrepa.com

Locanda al Gambero Rosso Via Giuseppe Verdi, 5 47021 località San Piero in Bagno (FC) Telefono: 0543 903405 www.locandagamberorosso.it

Trattoria La Brinca Via Campo di Ne 58 16040 Ne in Valgraveglia (GE) Telefono: 0185 337480 www.labrinca.it

Gostilna Devetak Località San Michele del Carso Savogna D’Isonzo (GO) Telefono: 0481 882488 www.devetak.com

1) Alberto Bettini di Amerigo 1934. 2) Moreno Balzoni e la brigata della Locanda al Gambero Rosso. 3) Franco Malinverno del Caffè La Crepa. 4) Sergio Circella e lo staff de La Brinca. 5) Avgustin e Gabriella Devetak.

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Realizzato con il contributo del Ministero per le Politiche Agricole e Forestali D.M. 60079 del 10/1/2005 e D.M. 68382 del 21/12/2004


Franceschetta 58, il prêt à porter del gusto a Modena Accostamenti inusuali, scelte accurate e prezzi accessibili: una serata al gastrobistrot di via Vignolese a Modena, gestito da Marta Pulini, nota promotrice della cucina italiana nel mondo, insieme a Massimo Bottura, chef a tre stelle dell’Osteria Francescana di Federica Cornia

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ssenziale e lineare. Un gioco semplice di volumi a calibrare lo stretto spazio del locale di cui il bancone, un prisma luminoso, sottolinea lo sviluppo longitudinale. Di fronte a questo un alto tavolo con seduta a

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sgabelli. Sui lati lunghi della sala, disposti in fila, rotondi e quadrati, gli altri tavoli visibili dalle ampie vetrate che, dall’esterno, aprono scenografiche quinte su una sorta di tableau vivant di stile squisitamente urbano in cui i lampadari, sfere lu-

minose, giganteggiano in un sospeso contrappunto formale coi piatti tutti colorati e di diverse dimensioni appesi alle pareti. Il nostro ingresso d’avventori è accompagnato da un trionfo di prodotti vari a far bella mostra di sé sul bancone: strolghino, Parmigiano

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Timballo di anelletti con pomodorini essiccati al sole, melanzane e ricotta salata (foto Salvatore Geremicca). Reggiano, mortadella, pasta sfusa e un cesto pieno di uova, mentre la stessa Marta Pulini ci accoglie con un cortese “buonasera”. Approdiamo ai tavoli: niente tovaglia, centrotavola una bella grossa

rossa melagrana beneaugurante da una parte e dall’altra una zucca gialla. Per ogni commensale bicchieri differenti per forma e colore, a calice e tumbler. Un’occhiata al menu: diviso per tipologie di portata propone

salumi e formaggi, zuppe e verdure, pasta, carne e pesce, dolci. Dopo il generale parapiglia che al ristorante con amiche precede la scelta di un piatto, tentata dalla zuppa di cipolle gratinata, opto però per un’insalata di radicchio, carciofi, topinambur, pecorino e melograno e un bel peposo di guanciale di manzo al vino rosso e zucca, crostini di polenta, che solo a leggerlo mi ha fatto venire l’acquolina in bocca! Anche se, devo ammettere, tralasciare l’assaggio di salumi e formaggi non è stato indolore: fiocchetto di culatello e strolghino di culatello dell’Antica Ardenga, mortadella di Bologna Pasquini e Brusiani e, cosa che personalmente trovo per la prima volta così proposta su un menu e per questo mi stupisce, la coppa di testa di Regnani. Questo per i salumi. Per i formaggi si sposta un po’ il baricentro locale: robiola di pecora delle Langhe, raschera d’Alpeggio, gorgonzola dolce di Novara. Mostarde a completare. Più o meno vicino, più o meno lontano, qui si legge — e non solo letteralmente! — l’attenzione

Marta Pulini, quando lo chef è donna Il catering una cucina di serie B, fatta con buste e surgelati? Non è così, parola di Marta Pulini, che vuole dimostrare il contrario proponendo piatti preparati al momento e sfatare questo luogo comune: chef modenese adorata dagli americani è l’anima e la mente creativa del catering d’alto livello Bibendum, anche scuola di cucina, a Modena (il nome deriva da un verso del poeta Orazio “nunc est bibendum” che letteralmente significa “ora si deve bere”, omaggio alla madre di Marta, laureata in Lettere e amante del latino). Una storia un po’ particolare la sua. Laureata (psicologia) si sposa e ha due figli. Solo dopo il divorzio decide di fare della sua passione per la cucina la sua professione. Prima studia a Milano poi presso alcune tra le più prestigiose scuole internazionali di cucina, “Le Cordon Bleu” di Parigi e “Peter Kumpf” di New York. Nel 1983 apre il ristorante La Brasserie a Modena proponendo piatti innovativi con un occhio sempre rivolto alla tradizione. Nel 1989 comincia per lei l’avventura newyorchese: lavora al Bice (di cui promuove la diffusione a Parigi e Chicago), al Mad 61 e al Coco Pazzo (una delle sue palestre più “famose” dove i clienti erano personaggi come Tom Cruise, George Bush senior, Al Pacino, Robert De Niro, Brad Pitt e Kevin Costner). A New York Marta si impegna per promuovere la buona cucina italiana, semplice e con ottimi ingredienti freschi di base al di là degli stereotipati cliché dei locali che servivano piatti su tavoli con fiasco di vino e tovaglia a quadretti, in un momento in cui si riteneva di qualità solo il ristorante francese. Contraria al fast food e ai cibi confezionati pronti, sostiene che anche la preparazione di un piatto semplice deve avvenire al momento, sempre curiosa non rifiuta suggestioni gastronomiche di altri Paesi per fonderle poi con quelle più tradizionali della cucina italiana e non tralascia d’indagare la storia riprendendo pietanze e ingredienti di periodi differenti e rivisitandoli in chiave moderna. Semplicità, tradizione, curiosità, passione e spirito di ricerca sono gli ingredienti alla base della sua filosofia che porterà di nuovo Modena, nel 2002, anno in cui nasce Bibendum. Si apre una nuova sfida per Marta: quella di offrire una cucina di alto livello per grandi numeri con prodotti freschi e cotti al momento (forte anche dell’esperienza americana dove nei ristoranti da lei gestiti venivano serviti fino a 600 coperti al giorno). In questo nuovo laboratorio del gusto, i sapori che sanno di terra emiliana si affiancano ancora una volta ad altre cucine, esotiche, d'Oltralpe o appartenenti al passato, come quando in occasione di una mostra del Caravaggio a Parma le portate erano la restituzione di sei ricette del Rinascimento. Alcuni clienti? Ferrari Spa, Maserati Italia, Calvin Klein, Pomellato… Bibendum Catering: via Taglio 61, 41121 Modena • Telefono: 059 235771 • E-mail: info@bibendumcatering.it

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Massimo Bottura e Marta Pulini all’interno della Franceschetta a Modena. prestata alla materia prima, al prodotto e al territorio. Ogni piatto, dai salumi al dessert, ha un costo di 7 €, a cui vanno aggiunti

Cartoccio trasparente con filetto di triglia su scarola saltata con capperi di Pantelleria, acciughe e peperoncino.

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2,50 € di pane e coperto più il costo delle bevande (dai 6 agli 8 €). Breve consulenza globale delle scelte fatte al tavolo: il panorama dei piatti è vario e promette assaggi. Ad accompagnare la cena uno Chardonnay Altkirch 2010 Colterenzio. Ed ecco che arrivano le prime portate: lasagnette con zucchine, porri, carciofi, bietoline e fonduta di Parmigiano Reggiano, verdure caramellate al forno al profumo di erbe aromatiche e la mia insalata: servita dentro una tazza posta su un piattino e col cucchiaio a lato. Topinambur: finalmente il mio palato saprà chi sei! E siamo presto ai secondi: il peposo, porzione per tre, arriva in un tegamino nero che lo tiene caldo e così le polpettine di bianco di pollo e ricotta con erbe aromatiche fresche e fonduta di pomodoro con crostini. C’è uno scambio che suscita un’immediata invidia per la triglia al cartoccio dal gusto delicato però accattivante. Sarà il cappero di Pantelleria? Certo è che già dal menu questo piatto, cartoccio trasparente con filetti di triglia su scarola saltata

con capperi di Pantelleria, acciuga e peperoncino, aveva catturato la mia attenzione, ma ormai, cuore in pace e peposo in bocca (comunque ottimo!), è andata. Si sprecano le chiacchiere e si arriva ai dolci: creme brulé allo zenzero fresco e mousse di cioccolato con praline di cioccolato al latte e mostarda vanno per la maggiore, ma c’è anche chi ha preso la tarte tatin di mele Renette e creme fraîche. E di nuovo un breve moto d’invidia per l’esperienza sensoriale mancata solleva un brusio collettivo, presto consolato dall’ideale menu virtuale che mentalmente già ci stiamo programmando… per la prossima volta! Federica Cornia La Franceschetta Strada Vignolese 58 41124 Modena Telefono: 059 3091008 Nota A pagina 79 la sala del locale, semplice e informale, con pochi essenziali elementi: appesi alle pareti piatti di ceramica variamente decorati.

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Trasformazione

Prosciutto di Sauris Igp: un presente radioso e un futuro invitante Ma anche una storia, saporita come le sue carni e affumicata a puntino. Prosciuttificio Wolf e famiglia Petris: da 150 anni insieme in Carnia, nella Valle del Lumiei di Gian Omar Bison

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a storia di Wolf, storico prosciuttificio della valle del Lumiei in Carnia, oltre 1200 metri di altitudine e del suo creatore, non è la storia di un lupo (wolf) solitario ma ha il volto roccioso e cordiale di Giuseppe Petris, da sempre “Beppino Wolf”, di lontane e consolidate origini austriache, da cui il nome dell’azienda. Una storia lunga 150 anni. Perché i primi norcini

di famiglia, tra i quali il nonno di Giuseppe, Pietro Schneider, iniziarono un secolo e mezzo fa ad operare. E proprio Pietro Schneider ancora è ricordato come il fulcro di una Sauris lontana nel tempo, e allora anche nello spazio, dove operava come farmacista, ortopedico, veterinario autodidatta ma, dicono, molto, molto preparato ed affidabile e, soprattutto, abilissimo norcino.

Saltiamone ottanta ed arriviamo a Giuseppe bambino, nel periodo in cui apprese dal fratello, che a sua volta imparò dal padre, l’arte di insaccare i maiali. La molla che ha fatto intraprendere a Giuseppe la via dell’impresa? Il desiderio di dare un futuro a Sauris. Un lavoro ed una speranza ai suoi concittadini bloccando, per quanto possibile, l’emigrazione, la fuga dalla montagna e da un paese

Giuseppe Petris accanto ai caminetti per l’affumicatura, che Wolf fa ancora a legna, secondo la tradizione.

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che oggi conta 435 abitanti ed allora quasi 1.000. «Mi ricordo quei tempi — rammenta Giuseppe Petris — quando era normale per qualsiasi esigenza andare a piedi anche fino ad Ampezzo (non proprio due passi). Ho sempre lavorato. All’inizio con mio fratello, col quale si preparavano i salumi e si andava per le case a macellare». La prima macelleria risale al 1951 ma sono anni in cui le cosce di maiale, causa emigrazione, iniziano a scarseggiare. Nel 1952, lavorando solo d’inverno, preparavano insieme 60 prosciutti all’anno. «Ma io volevo aumentare la produzione, sapendo che solo Sauris garantiva un consumo di 350 pezzi all’anno. Feci la scelta di investire, ma senza soldi. Per questo ricordo che me ne partii in camion, senza patente, diretto al mercato di Udine, con mio fratello che voleva chiudere bottega. Mi feci dare in conto vendita frutta e verdura che vendetti ai miei concittadini. E così, accumulato il necessario, acquistai una stanza dove mettere a stagionare prosciutti». Prosciutti e salumi d’inverno, trasporto di ghiaia, sabbia e materiale edile nel resto dell’anno. Lavoro e sacrificio, sudore e determinazione. Ma la svolta nella vita di Giuseppe fu quando conobbe Licia Schneider, che divenne sua sposa nel 1962 e tale è rimasta: proprio così, nozze d’oro quest’anno. Donna forte, vispa ed ancora ammaliata dalla pacatezza e dalla forza del marito. «Ho fatto il norcino e il trasportatore fino al 1968. Acquistai una casa con annesso un laboratorio e presi la decisione di sviluppare il prosciuttificio e la produzione di salumi e speck. Assunsi un operaio e nel 1972 un altro». Da qui in avanti un crescendo che ha trovato nella sola pubblica amministrazione qualche freno. «Il primo progetto per costruire un’azienda più grande e funzionale lo presentai agli inizi degli anni Settanta. Solo nel 1980 ho ottenuto tutte le autorizzazioni per costruire l’opificio poi inaugurato nel 1983». Ad oggi i lavoratori occupati in Wolf sono 60, per oltre la metà di Sauris. Una realtà che ha venduto nel 2011 oltre 60.000 prosciutti e 100.000 speck (ma le famiglie di prodotti

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In alto: la stagionatura dei prosciutti. In basso: la famiglia Petris, titolare del Prosciuttificio Wolf Spa di Sauris di Sotto (UD), con Giuseppe e la moglie Licia in primo piano.

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La sede di Wolf a Sauris di Sotto, Udine. lavorati sono molte) e un fatturato di oltre tredici milioni di euro, che confidano di consolidare nel 2012. Il prosciutto di Sauris Wolf viene fatto con cosce provenienti da allevamenti nazionali. L’azienda lavora con tutti i più grandi operatori della GDO, del Triveneto in particolare, ed ha un posizionamento di prestigio nella ristorazione di alta fascia. «I segreti del nostro prosciutto sono il

clima, la lavorazione tradizionale, la lieve affumicatura naturale e l’amore per il prodotto. E lo speck — ricorda Giuseppe — che affumichiamo ancora a legna, come si deve». «Non abbiamo mai voluto strafare. Per noi — evidenzia Licia Schneider — la fidelizzazione dei clienti è importante. Ci teniamo alla correttezza dei rapporti e abbiamo sempre onorato i nostri debiti anche se con

Prosciutto di Sauris Igp Il Prosciutto di Sauris Igp è ottenuto esclusivamente nel comune di Sauris, nella regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. È un prosciutto crudo salato, affumicato e stagionato per almeno dieci mesi. A fine stagionatura il prosciutto si presenta intero con osso senza lo zampino. La cotenna ha colore uniforme noce-dorato con sfumature arancioni, mentre la parte magra visibile ha colore rosso scuso. La consistenza è soda ed elastica; il grasso è di colore bianco candido o bianco-rosato. Il particolare profumo delicato si associa ad un gusto dolce con una garbata nota di affumicato.

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grossi sacrifici». Il negozio è aperto 362 giorni l’anno e d’estate viene allestito un grande tendone dove si può fermarsi a mangiare. Assolutamente da mettere in agenda l’appuntamento del secondo e terzo week-end di luglio con la festa del prosciutto, durante la quale il paesino di Sauris di Sotto si trasforma in un’enorme sala da pranzo. In ogni borgo si potranno trovare piatti della tradizione culinaria tra i quali il rinomato prosciutto IGP e da Wolf anche tutte le altre bontà della casa. Oltre all’azienda storica, con la catena “Qui Wolf” la famiglia Petris possiede anche vendita e ristorazione a Pordenone e ad Udine (qui anche camere per il pernottamento). Il prosciutto di Sauris IGP, con stagionatura di alta quota, famoso per l’affumicatura con legno di faggio, è ancora, con lo speck, l’alimento preferito di Giuseppe e Licia, veri e propri cerimonieri nell’accogliere turisti e scolaresche. I figli, tutti in azienda: Stefano, amministratore delegato, Cristian, responsabile qualità e Katia, responsabile dell’amministrazione. Gian Omar Bison

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graphital - parma

Tecnologia e tradizione nel più moderno e grande prosciuttificio d’Italia

PROSCIUTTIFICIO IL CONTE S.p.A. Via Sant’Ambrogio, 4 - 43020 BAZZANO PARMENSE (PR) - Comune di Neviano degli Arduini Premiata Salumeria Italiana, 3/12

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La porchetta di Vito Bernabei, “il norcino di Marino” di Michele Bracieri

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ra i piatti tipici dell’Italia centrale merita una particolare attenzione la porchetta, prodotto tradizionale presente sulle tavole italiane da secoli, alimento a base di carne di lattonzolo che viene consumato a fette, come secondo piatto di portata, oppure degustato in panini ripieni (in quest’ultimo caso si consiglia l’accompagnamento con pane casereccio). Incerto è il luogo d’origine di questa prelibatezza: gli abitanti dei Castelli Romani sostengono che la patria della porchetta sia Ariccia, mentre gli umbri individuano nella cittadina di Norcia (da cui deriva il sostantivo “norcino”) il centro di diffusione del prodotto. Alcuni esperti di alimentazione sostengono, invece, che i veri inventori della porchetta siano stati gli Etruschi: non a caso l’attuale geografia gastronomica del prodotto coincide con gli antichi confini territoriali di questa civiltà pre-romana. Anche in regioni come Abruzzo, Marche, Toscana ed Emilia-Romagna l’alimento è, infatti, largamente consumato.

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La porchetta si ottiene attraverso due metodi fondamentali di lavorazione: ai Castelli Romani, nella Toscana meridionale e in alcune aree del Centro Italia si usa aromatizzare il maialino con il rosmarino, mentre nell’Alto Lazio, in Umbria e nelle Marche si fa ricorso al finocchio selvatico. A mettere d’accordo tutti gli amanti di questo prodotto ha pensato Vito Bernabei, meglio noto con l’appellativo “Vito il norcino di Marino”, che nella propria bottega, collocata in uno dei paesi più tipici dei Castelli Romani, offre una versione tradizionale del prelibato alimento,

frutto della fusione delle differenti tradizioni gastronomiche centro italiane. Il norcino Vito realizza personalmente ogni fase della lavorazione del tronchetto di porchetta, seguendo alla lettera gli insegnamenti tramandatigli dal nonno. I maiali scelti da Bernabei, rigorosamente biologici, vengono da lui direttamente controllati; è questo uno dei segreti che contribuisce alla realizzazione di un grande prodotto. La lavorazione della porchetta inizia con lo svuotamento e il disosso dell’animale, per procedere successivamente alla salatura della carne, fase in cui

Le fraschette romane Nella zona dei Castelli Romani, e in particolare nei paesi di Ariccia, Frascati e Marino, è possibile consumare la porchetta in locali caratteristici chiamati “fraschette”, nome che deriva dall’abitudine di esporre un ramoscello, o “frasca”, sulle insegne esterne delle locande. Questi luoghi conservano intatto il proprio fascino antico, e sono ideali per gustare della buona porchetta accompagnata dalla classica Pagnotta di Genzano e dal bianco DOC dei Castelli Romani. Non di rado nelle fraschette il pasto è piacevolmente accompagnato dagli stornelli propri della tradizione romanesca grazie ad allegri suonatori di fisarmonica.

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Il sale di Cervia viene utilizzato da Bernabei per la salatura della carne. Vito Bernabei ricorre unicamente al sale di Cervia. La carne viene poi massaggiata con cura aiutandosi con dell’acqua, sparsa sul pezzo in modo uniforme, così da rendere più omogenea la salatura. Il sale deve, infatti, essere distribuito in modo equilibrato, in quantità maggiore dove la massa si presenta più spessa e compatta. Terminata questa procedura Vito condisce la carne con “pepe di Rimbas”, proveniente dal presidio Slow Food in Malesia, e con aglio, tritato in modo grossolano. Il tutto viene arricchito con il fiore del finocchio selvatico sminuzzato, che conferisce un sapore unico alla carne, e con una manciata di rosmarino, che corona questa prima fase di preparazione. A questo punto il tronchetto di porchetta viene arrotolato e cucito, ma prima della cottura deve riposare per circa sei ore, in modo che i sapori abbiano il tempo di penetrare in profondità in modo uniforme. Prima della legatura finale, eseguita rigorosamente a mano, la carne va punzonata in modo che durante la cottura lasci fuoriuscire il grasso in eccesso. Per quanto riguarda la fase finale di preparazione, Bernabei consiglia una cottura lenta di circa sette ore, ad una temperatura molto bassa, così da permettere alla carne di restare morbida e fragrante: la cottura parte quindi dai 90°C per poi salire progressivamente. Bernabei si serve di un forno tecnologicamente avan-

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zato, che gli garantisce un controllo scrupoloso delle tre fasi di cottura: umida, umida-secca e secca. Il risultato finale è un prodotto unico, dall’aspetto estremamente invitante: la cotenna abbrustolita dal fuoco prende un colore ambrato, croccante al palato, mentre la carne del maialino rimane morbida, delicatamente saporita e con la giusta quantità di grasso. Non a caso la bottega di Vito viene definita una “bomboniera del palato”, un luogo noto a molti gourmet della capitale, che qui possono rifornirsi anche di salumi tradizionali. Tra questi segnaliamo le “coppiette”, la coppa di testa, il prosciutto di Bassiano, le coralline e i “mazzi”. Quest’ultima specialità, ormai in via di estinzione, è costituita da un budello di maiale ripieno e stagionato, e appartiene alla tradizione contadina propria del Lazio. Vito Bernabei è la dimostrazione di come sapienza, tradizione e innovazione possano dare vita ad un connubio magico per la gioia del nostro palato. Diffidate, quindi, dalle imitazioni (e, soprattutto,... buon appetito!). Michele Bracieri Il Norcino Bernabei Corso Vittoria Colonna, 13 00043 Marino (Roma) Tel.: 06 9387897 E-mail: info@il-norcino.it Web: www.il-norcino.it


Interviste Il know how della lavorazione della carne suina

La costellazione Suincom di Laura Franchini

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ell’ottica di approfondire la conoscenza del mercato, nonché di fornire informazioni sempre più precise e aggiornate sulle novità e sulle aziende di rilievo del settore, ci siamo recati a Solignano di Castelvetro, in provincia di Modena, presso la società Suincom. Ad accoglierci e a rispondere ai nostri quesiti SERGIO GIUSTI, direttore Amministrazione, Finanza e Controllo di Suincom e amministratore unico di BP Prosciutti, e VALENTINA AGNANI, responsabile Amministrazione e Controllo di BP Prosciutti e presidente di Royal Prosciutti, con i quali parliamo della realizzazione della filiera di prodotto. Sunicom, BP Prosciutti e Royal Prosciutti: tre società e tre diversi ruoli in un unico Gruppo L’universo Suincom è stato oggetto, da parte della proprietà e del management, di un prezioso quanto accurato progetto di ampliamento e accorpamento, che ha permesso alla società di Solignano di Castelvetro di coprire con precisione e metodo l’intera filiera produttiva del prosciutto crudo. Una struttura con a capo la società Suincom, che da oltre quindici anni seleziona, lavora e commercializza tagli di carne suina fresca e congelata, fornendo un servizio a 360 gradi conto terzi particolarmente attento e preciso. Un Gruppo il cui

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fondatore è Roberto Agnani, attuale presidente del CdA di Suincom, con un’esperienza trentennale nel settore della lavorazione e del commercio della carne suina e dei prosciutti, che controlla e coordina la strategia aziendale. Nel 2007 si è quindi aggiunta la società Panini Prosciutti e nel 2008 la Balugani Prosciutti, andando così a formare la società BP Prosciutti e mantenendo i marchi e le reti vendita. Importante annessione è stata poi quella della Royal Prosciutti di Sala Baganza, con uno dei più moderni stabilimenti di stagionatura della provincia di Parma: 18.000 m2 di

superficie coperta e una capacità di stagionatura di 900.000 pezzi, circa 5.000 i prosciutti che vengono disossati in un solo giorno. Un’organizzazione, quella di Suincom, che offre ovviamente le proprie capacità anche alle aziende del Gruppo, in particolare alla BP Prosciutti, che, come detto, lavora i due marchi, Panini e Balugani. Una realtà che stagiona, nei due stabilimenti di Felino e di Sala Baganza, oltre 30.000 cosce la settimana. È evidente che quello che si è voluto realizzare è stato coprire totalmente la filiera produttiva e garantire così un’elevata qualità e controllo

Sergio Giusti e Valentina Agnani.

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Avere un Sistema di Qualità per Suincom significa gestire con consapevolezza e responsabilità l’azienda. Le normative di riferimento non sono un’incombenza burocratica ma sono un metodo, per soddisfare le esigenze del cliente, rispettare l’ambiente, avere luoghi di lavoro sicuri e fornire alimenti certificati ed integri. Il Sistema Qualità è una scelta strategica dell’azienda e non un semplice biglietto da visita. «Suincom Spa, fin dalla sua nascita si è sempre prefissata come obiettivo primario il soddisfacimento degli standard produttivi e qualitativi richiesti dalla normativa vigente e dalla propria clientela, sviluppando nel tempo una conoscenza igienico sanitaria e un sistema di gestione della qualità che ha consentito di ottenere importanti riconoscimenti. La nostra attenzione alla qualità e alla sicurezza è provata da più certificazioni internazionali: Certificazione di conformità allo standard tecnico BRC e Certificazione di conformità allo standard tecnico IFS». L’azienda è inoltre dotata di un sistema di autocontrollo (HACCP), in costante miglioramento, con il quale ottempera a quanto disposto dalle normative vigenti (Reg. CE 852-853/2004, Reg. CE 178/2002).

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La Royal Prosciutti di Sala Baganza.

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In alto: prosciutto crudo Smeraldo Panini e prosciutto crudo rustico Balugani. In basso: la mattonella di prosciutto crudo per affettati. della produzione. Questa filosofia aziendale non ha mancato e non manca di dare risultati di grande rilievo: sono infatti oltre 55 i milioni di fatturato di questa sola stella della costellazione Suincom, di cui ben il 35% è rappresentato dall’export. Un risultato veicolato non solo dalla capacità produttiva e dal selettivo controllo della qualità, ma anche da un preciso e consolidato know how tecnico, che ha permesso alla società di acquisire con facilità le certificazioni BRC, IFS e l’autorizzazione all’esportazione verso il Giappone e gli USA.

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Una specializzazione che ha ragione nella stessa produzione, orientata solo al prosciutto crudo. È infatti anche frutto di questa focalizzazione che la società riesce a garantire una qualità di altissimo livello ed una pianificazione precisa e costante. Una strategia che non lascia spazio ad accomodamenti: il prodotto è uno e deve essere fatto perfettamente, non ci sono scappatoie. Una strategia che chiaramente permette alla società di approcciare qualsiasi tipo di clientela e con una gamma completa, che va dal prosciutto intero all’affettato.

Una strategia che ha permesso al gruppo Suincom di raggiungere i 300 milioni di fatturato e di dare lavoro ad oltre 300 persone, a testimonianza di quanto il prodotto Italia, quando seguito con dedizione e sapienza, è un prodotto vincente, soprattutto in campo alimentare. Tramite l’implementazione degli stabilimenti e la cura che è stata riservata alle linee di disosso ora la BP Prosciutti orienta con decisione le sue forze verso i nuovi mercati, in particolare il Sud America, l’Est Europa e tutti i Paesi emergenti. Sono infatti già presenti, e con forza, nella Comunità Europea e negli USA, zone che riservano però aree di incremento, non sfuggite alla società e alle quali sarà dedicata particolare attenzione nel futuro prossimo. È con giusto orgoglio che possono fregiarsi così dell’aggettivo “specialisti del prosciutto”: nell’ampia e moderna struttura della Royal Prosciutti di Sala Baganza, infatti, la cui stanza di stagionatura da 450.000 pezzi merita una visita, si realizza l’intera filiera del crudo stagionato. Dall’ingresso delle cosce fresche alla stagionatura, al disosso e confezionamento finale del prodotto, pronto per essere venduto alla GD, GDO, Grossisti, Catering e Grande Industria e, naturalmente, al singolo consumatore. Una costellazione, quella di Suincom, composta da stelle di prima grandezza, la cui luce è destinata a brillare a lungo nel panorama del prosciutto. Laura Franchini • Suincom Spa Strada Comunale del Cristo, 12/14 41014 Solignano di Castelvetro (MO) Telefono: 059 748711 Web: www.suincom.it • BP Prosciutti Srl Società Unipersonale Strada comunale del Cristo 12/14 41014 Solignano di Castelvetro (MO) Telefono: 059 532007 Web: www.bpprosciutti.it • Royal Prosciutti Srl Via Torrente 2 43038 Sala Baganza (PR) Telefono: 0521 831066

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Gastronomia

Critica del critico gastronomico di Giovanni Ballarini

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olti si sentono e spesso si qualificano “critici gastronomici” o comunque emettono giudizi spesso apodittici di “buono” o “cattivo”, “mi piace”, “non mi piace” e così via. Ma chi è un critico e qual è il compito della critica gastronomica? Un argomento, quello del critico, che è stato recentemente discusso da Roberto Escobar per l’arte cinematografica (Fenomenologia del critico, Il Sole 24 Ore, 25 settembre 2011, n. 262, pag. 27) e che su tale scorta e sia pure brevemente, può essere affrontato per quella gastronomica. Critica deriva dal greco κρίνο, che significa separare, distinguere, giudicare. Il compito del critico, semplificando, può essere duplice. Per alcuni il critico, e in particolare quello gastronomico, dovrebbe entrare nel corpo del piatto, del menu e di ogni fatto ed evento gastronomico, smembrarlo con gli strumenti affilati del mestiere di critico: per un oggetto gastronomico come può essere un piatto, fare una dissezione o quasi un’autopsia e, quindi, esaminarne la pelle (aspetto esterno e relative sensazioni), la carne (i diversi componenti), lo scheletro (la struttura della preparazione); solo dopo aver esaminato, discusso con se stesso e con altri, e (possibilmente) meditato, più che una sentenza — come tale aleatoria e quindi appellabile e revisionabile — emettere un parere conclusivo ultimo. Un parere, pertanto, che per quanto possibile dovrebbe essere oggettivo, quasi scientifico, e non un soggettivo di un banale e non documentato “mi piace” o “non mi piace”. Per altri, invece, tutto il lavorio critico porterebbe soltanto a “consigli per gli acquisti”, come l’ipocrisia imperante definisce la pubblicità. Il critico gastronomico

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sarebbe un assaggiatore al quale ci si rivolge per la fama che avrebbe raggiunto il suo palato, fino quasi a divenire l’imbonitore che un tempo, davanti alle trattorie, invitava a entrare decantando le lodi della cucina, di questo o di quel piatto o di un certo tipo di vino. Ovviamente, tra le figure estreme di critico-scienziato e di critico-imbonitore vi è una vasta gamma di sfumature. Guai a dimenticare, però, il ruolo fondamentale del singolo consumatore: è lui e non il critico il vero depositario della verità gastronomica di un piatto, di un pranzo o di una cena, di un ristorante e del miglior gusto culinario possibile. Fenomenologia del critico Tante sono le opinioni sulla critica e, soprattutto, sui critici gastronomici, o che tali si reputano o si presentano, a volte come professionisti, tal altra per diletto (più spesso proprio che degli altri). Difficile è farne un sia pur breve e schematico elenco, ma, come ha fatto Escobar per i critici cinematografici, è possibile tentare un’individuazione schematica di varietà umane dei critici gastronomici, tra il serio e una benevola ironia. Iniziamo: 1. i critici-scienziati sono quelli che, con tutto il rispetto per i veri scienziati, pensano solo o prevalentemente in termini di calorie, proteine, grassi e via dicendo, quasi ossessionati a condannare la “pesantezza” e sempre pronti a lodare la “leggerezza” di un piatto o di un menu. Una critica grama e triste, che non gode dei piaceri della tavola e della convivialità. Questi critici vedono di buon grado tutti i prodotti controllati, certificati e “tracciati”, e storcono il naso di fronte ai “cibi del contadino”. Amano le sigle (DOP, IGP, HACCP, ecc…) con le quali infiorano i loro giudizi. Sono spesso innamorati delle nuove cucine tecnologiche, ad iniziare dalla cucina molecolare. Non di rado questi critici sono magri e pallidi e, ovviamente, non fumano e non bevono alcolici o solo in piccola quantità; 2. i critici-preti della religione del cibo tradizionale, con giudizi sempre e soltanto improntati al

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ricordo di un passato, un passato “personale” che nessuno può controllare. Depositari unici della “vera” e “buona” cucina, al di fuori di questa vi è soltanto “male” o, al più, “eresia”. Adorano i cibi di questo o quel contadino, o di una particolare trattoria sperduta e che solo loro e pochissimi amici conoscono (inutile cercarla su Google). Sono generalmente ben pasciuti e si concedono alcolici “classici”. Non disdegnando qualche buon sigaro; 3. i critici-profeti sono dei mistici che nella tavola vedono il mezzo per salvare l’umanità e il mondo, condividendo in modo assoluto le idee di movimenti ambientalisti e protezionisti della natura, con particolare propensione all’estremismo. Il loro giudizio su di un piatto o un pranzo parte da chi ha coltivato o allevato, e più dei critici-preti si sentono i difensori di un mondo che sta scomparendo lentamente causa inquinamento ed eccessi della civiltà. Citano spesso cibi esotici, a loro dire naturalissimi. Si riconoscono dal modo di vestire, prevalentemente “ecologico” ed “ecocompatibile”, termini che peraltro usano largamente nei loro giudizi; 4. il critico-sociologo costituisce un’altra categoria, con il massimo rispetto per i veri sociologi. Non gli interessa quello che si mangia ma quello che vi sta dietro o che rappresenta un mondo a lui conosciuto, a volte come strutture sociali, altre come rappresentazione di numeri, tabelle o statistiche, in base alla personale formazione. È depositario di una verità gastronomica non rivelata, come quella dei critici-preti o critici-profeti, ma empirica, statistica ed economica. Molto ampia è la sua varietà culturale, che si manifesta anche nei giudizi, nei quali non mancano mai riferimenti alla società e alla storia, senza dimenticare i fatti di cronaca. Senza un più o meno preciso riferimento sociale, non può giudicare un piatto e tende ad apprezzare le “cucine dei poveri”, “dei contadini”, “delle corti” e via dicendo;

Wine tasting. 5. il critico-storico assume una grande varietà di volti, a seconda della sua specializzazione. Ad esempio, il medievalista, di ogni piatto o menu, non fa che ricordare che nel Medioevo ecc… ecc…, dilungandosi in preziose ed ai più ignote abitudini alimentari di un passato irrimediabilmente perduto, scendendo in molti dettagli oggi assolutamente superati ed inutili, con poca o nessuna attenzione al piatto stesso, dando l’impressione (ma non solo questa) di voler parlare ad altri specialisti, con i quali non di rado è in disaccordo, anche astioso, fornendo puntigliose precisazioni, scarsamente comprensibili ai più; 6. il critico-antropologo è una “specie” quanto mai cangiante e sotto certi aspetti anche pericolosa per le conseguenze alle quali arriva o sembra poter arrivare. Spesso è difficile comprendere dove intende condurre il suo discorso, che non riguarda tanto il cibo quanto i costumi alimentari, che non sono mai ben precisati, come fanno invece i critici-scienziati ed in una certa misura i criticisociologi. Ama molto richiamarsi a costumi alimentari se non a ricette antichissime, addirittura preistoriche, oppure di popoli di continenti lontani e ai più sconosciuti, in questo avvicinandosi anche al critico-globetrotter. Quando compare in pubblico, ama vestire casual; 7. il critico globetrotter è quello

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Il critico gastronomico non dovrebbe mai dimenticare il piacere della tavola. sempre alla ricerca di cibi, ricette, trattorie e via dicendo, preferibilmente localizzate nei luoghi più strani, remoti, sperduti e (se poi esistono…) ignoti ai più. Sono coloro che in perenne ricerca dell’arca gastronomica perduta, e da loro ritrovata, indicano a milioni di persone una trattoria da dieci coperti che in una certa settimana dell’anno prepara un piatto con poche decine di chilogrammi di una (ritenuta eccezionale) leguminosa locale. Ne vale un viaggio, dicono. Il viaggio, soprattutto se lungo e periglioso, più che la cucina e la gastronomia, è il loro interesse, e tendono a dimostrarlo, quando sono alla ribalta televisiva, con un addobbo da viaggiatori di lungo corso; 8. il critico-artista giudica in base all’estetica, la “sua” estetica. La bellezza, l’armonia, la grazia di un piatto, di un locale e talvolta anche del cuoco o del proprietario, soprattutto se cuoca o proprietaria, sono il punto focale dei loro interventi. Il resto sembra contare poco o niente. Il loro linguaggio è al tempo stesso fiorito ed astruso, ricco di riferimenti ignoti alla maggioranza, prevalentemente di tipo artistico (“una cucina dai colori nettamente caravaggeschi…”). Sempre senza cravatta, con maglioni di colori sgargianti o di nobili e costosi marchi, più che fare critiche tendono a voler insegnare cose arcane a platee di sprovveduti che ignorano gli arcani misteri dell’arte gastronomica,

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ignota anche agli stessi artisti che la praticano (inconsciamente, fanno intendere questi critici); 9. il critico-riassuntore, in un piatto, un pranzo o in un locale di ristorazione, vede soltanto una trama sottile ma a lui ben evidente. Questa trama, secondo i casi — del critico o delle condizioni concrete — è di tipo storico, sociologico, antropologico e via dicendo, e permette di dire tante cose, ma senza giungere ad alcuna conclusione operativa e utile al comune consumatore. Questa trama per il critico-riassuntore spiega tutto, ma non permette alcun giudizio, in questi differenziandosi dagli altri tipi di critici; 10. il critico-tuttologo è il meno definibile di tutti, in quanto, pur parlando di tutto, dal piatto al menu, al ristorante e tutto quanto vi è attorno, spesso o quasi sempre non dice nulla, ma lo dice molto bene. Per questo è spesso invitato a parlare, anche perché veste bene e non parla mai male di alcuno, il che gli assicura il successo e la sua stessa sopravvivenza sociale. Quali altri tipi di critici gastronomi esistono? Molti altri, ad iniziare dal critico-sgarbato o aggressivo, fino alla cattiveria verbale elevata a sistema (a tavola diviene gentile e gradevole), o il critico-gentile, suadente, persino mellifluo, senza dimenticare il critico-occulto che accuratamente si nasconde a tutti e soltanto pochissimi intimi di una cerchia ristretta possono vantarsi di

dire “io so chi è, ma non posso dirlo”. Ognuno, secondo la propria esperienza, può aggiungere altri tipi e varietà di critici gastronomici o modificare l’esemplificazione (tale è soltanto) che si è voluta dare. Il problema è o potrebbe essere un altro e cioè quello di come si dovrebbe esercitare la critica gastronomica. Per tentare di dare una risposta a questo non facile interrogativo, bisogna forse tornare agli inizi della cucina stessa, quando era lo stesso uomo primigenio che mangiando un cibo preparato o anche solo assemblato dalla sua donna (spesso donne) dava un giudizio, non solo di “buono” o “non buono”, ma anche di merito. Non si dimentichi che in uno dei primi testi scritti, la Bibbia, i cibi buoni sono definiti ricchi di sugo o “succulenti” (GIOBBE, 36,13, ISAIA 25,6, ISAIA 55,2, ABACUC 1, 16). Il critico gastronomico, a parte la storia personale (che forse poco interessa ai più), non dovrebbe mai dimenticare il piacere della tavola in tutti i suoi aspetti, iniziando dalla convivialità, non sempre favorita in molti locali pubblici troppo rumorosi, eccessivamente affollati e stipati (per fortuna oggi non più fumosi), con la libertà che ognuno, anche a tavola, ha di divertirsi come vuole e come può, secondo le proprie possibilità. Una critica gastronomica di élite, già di per sé monca, almeno in parte è sbagliata. La critica gastronomica non dovrebbe neppure divenire un “mestiere”, se non addirittura una “condanna”, sia per chi la fa che per chi la subisce. La condanna di un mestiere che obbliga ogni settimana, cinquantadue settimane l’anno, a scrivere un articolo sempre con lo stesso numero di battute e con un taglio intellettuale consono all’indirizzo culturale (anche politico) del giornale o della rivista, o del prevalente tipo dei lettori. Al ristorante o negli altri innumerevoli nuovi “posti” in cui si mangia, il critico non va più solo per piacere, ma per un dovere professionale, con scelte a volte imposte dall’esterno e che nulla hanno a che fare con la gastronomia ed il buon vivere. Nasce così la specie di critico-professionista gastronomico che può decadere nel critico-mestierante, rischiando a

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volte di trasformarsi in un criticoimbonitore. Sulla linea ora indicata è facile, non necessario, che il criticoprofessionista possa perdere il piacere, anche culturale, del divertimento giocoso della tavola. Un rischio che aumenta quando nella critica gastronomica si fa crescere oltre il dovuto, e diviene preponderante una delle tante caratteristiche tecniche-culturali prima citate, quali la scienza, la sociologia, la storia, l’antropologia, talune ideologie e via dicendo. Le pur giuste e talvolta necessarie analisi di questo tipo non dovrebbero mai mettere in ombra quello che maggiormente (o esclusivamente) ricerca il lettore-consumatore e cioè il piacere del cibo, in considerazione e dipendenza delle sue radici e abitudini e, non da ultimo, riguardo ai prezzi. Un critico gastronomico, insomma, sarà tanto più critico-vero quanto più sarà capace d’essere un consumatore colto e cosciente, comunicando in modo comprensibile dal suo pubblico. La scrittura critica, infatti, non è certamente una scienza, né una relazione scientifica o il resoconto di un processo o di un fatto di cronaca, e neppure un “pezzo di colore” di cui i giornali e le riviste sembra oggi non possano fare a meno. La scrittura critica gastronomica è un genere letterario specifico con la sua dignità, come ad esempio è un genere letterario la scrittura sportiva, di ogni tipo di sport. Scrittura che deve poi tenere conto d’importanti caratteristiche del lettore-consumatore: tante sono le sensibilità e le memorie culinarie e gastronomiche quanti sono i lettoriricettori del messaggio. Il critico gastronomico, infine, non dimentichi poi mai, ma proprio mai, che quando comunica la “sua” verità questa è soltanto relativa e sarà sottoposta non ad una critica, ma a tante critiche quanti sono i suoi lettori. Alla fine, sono sempre questi ultimi gli implacabili critici dei critici gastronomici. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Nota A pagina 92 il critico gastronomico Anton Ego protagonista del film d’animazione Ratatouille.

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Fiere Alimentaria, Salón Internacional de la Alimentación y las Bebidas

La forza dell’industria alimentare in vetrina a Barcellona 142.000 operatori arrivati a Barcellona per visitare l’ampia offerta di prodotti di un’industria, il comparto alimentare, fondamentale per la ripresa economica nella Penisola Iberica

N

onostante un giorno in meno a calendario e uno sciopero generale indetto durante le giornate fieristiche, anche l’edizione 2012 di Alimentaria è stata un successo in termini di visitatori, con un incremento dell’1,4% rispetto alla passata edizione, e con oltre 40.000 visitatori

organizzatori di ALIMENTARIA EXHIBIla joint-venture tra FIRA DE BARCELONA e REED EXHIBITION, dati alla mano in termini di affluenza e occupazione di spazio fieristico, hanno espresso grande soddisfazione per un’edizione che consolida l’evento tra le tre fiere dell’agri-food più importanti nel mondo.

TIONS,

(+11% rispetto al 2010), dei quali un ampio numero proveniente dall’Asia (Giappone, Cina, Tailandia, Singapore e India). Dopo quattro giorni di fiera, conclusasi giovedì 29 marzo, gli

Di grande interesse lo spazio Alimentaria Hub, un’area dedicata all’innovazione e allo sviluppo di nuove opportunità di business.

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L’altro aspetto che emerge, dati di consuntivo, è la quantità e qualità dei professionisti che hanno frequentato l’evento, a conferma della forza di questo comparto. «L’agroalimentare sta reagendo positivamente alla crisi in atto ed è fondamentale, dal punto di vista economico, per il presente e per il futuro del Paese» ha dichiarato Josep-Lluís Bonet, presidente di Alimentaria Exhibitions. L’efficacia di questo evento fieristico, al di là dell’ottima macchina organizzativa alla base della manifestazione, è la visibilità data agli espositori e il loro riconoscimento in termini di promotori di quella ripresa economica auspicata da tutti a livello mondiale. Nell’economia spagnola il comparto agroalimentare è battuto solo dalla voce del turismo per quanto concerne il contributo al PIL (7,6%), con una produzione di oltre 80,7 miliardi di euro e un incremento dell’export pari all’11% nel 2011 (dati FIAB, acronimo di Federazione Industria Alimentare e delle Bevande spagnola). Anche José Antonio Valls, direttore di Alimentaria e di Alimentaria Exhibitions, ha sottolineato il ruolo del settore nello scenario economico del Paese: «Un comparto, quello del food, che si prende a cuore concetti importanti come la salute dei consumatori, la sostenibilità, l’occupazione, la coesione sociale, la cultura delle nostre tradizioni agroalimentari, l’innovazione tecnologica e la tutela ambientale del nostro Paese». Ancor più internazionalizzazione L’export, vitale per la buona performance economica delle aziende dell’agroalimentare, è sempre stato a cuore alla manifestazione fieristica Alimentaria e quest’anno in misura ancora maggiore: ecco allora che proprio sull’internazionalizzazione della fiera si sono concentrati gran parte degli sforzi organizzativi. I risultati non sono mancati: oltre 8.000 incontri tra aziende spagnole e importatori giunti a Barcellona da tutto il mondo e 500 professionisti in visita alle più importanti associazioni tra cui FIAB e ICEX (quest’ultimo, acronimo dell’Istituto per il Commercio Estero

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In alto: esemplari di jamón serrano. Al centro: la cecina de vacuno, carne di manzo essiccata. In basso: lo stand dei formaggi italiani Dop.

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Il salumificio Negrini si riconferma a livello internazionale come una realtà aziendale di grande prestigio. In foto, Nicoletta Negrini, responsabile dell’omonima impresa familiare in Spagna.

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Alimentaria 2012 ha presentato i prodotti più innovativi in termini di composizione, packaging e modalità di consumo. spagnolo). All’interno del quartiere fieristico si sono svolti numerosi incontri bilaterali con rappresentanti di Walmart (Argentina), Pao de Açucar, (Brasile), H-E-B e Palacio del Hierro (Messico), Pomobel (Angola), Azbuka Vskuza (Russia), Meijer, H-E-B Group e Central Market (USA), Spar e Hyper City (India), Park’n Shop, City Super e Cofco (Cina), Shinshegae (Corea del Sud), Ace e Zas (Giappone) e Central Foods e Makro (Tailandia). Dei circa 4.000 espositori di Alimentaria, 1.300 (32%) provenivano dall’estero, per un totale di 75 Paesi, tra cui Tailandia, Dubai, Svezia e Giappone (questi presenti a Barcellona per la prima volta), Cina, che per l’edizione 2012 ha raddoppiato il proprio spazio espositivo, Indonesia, India, Iran, Brasile, Cile, USA e tutti i Paesi dell’UE. Da sottolineare la partecipazione asiatica a conferma dell’accresciuto interesse di questi mercati per la gastronomia spagnola. Paese ospite di Alimentaria 2012 è stato il Messico, con 40 espositori e numerose atti-

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vità collaterali organizzate durante il salone. Cibo, Turismo e Gastronomia Nonostante la sua marcata propensione al commercio e allo sviluppo di business, Alimentaria quest’anno ha messo in evidenza anche la spiccata vitalità della gastronomia spagnola e i suoi stretti legami con l’industria alimentare e turistica. Secondo dati FIAB, il consumo di prodotti spagnoli all’interno del Paesi visitanti è aumentato del 40%, specialmente per vino, salumi e olio d’oliva. L’industria agroalimentare è un potente alleato della voce “turismo” del bilancio nazionale. È ovvio che debba cogliere le opportunità che si creano a fronte di un flusso annuale di visitatori esteri che raggiunge i 57 milioni di persone. Più valore nell’Alimentaria Hub Una delle maggiori innovazioni di Alimentaria 2012 è stata lo spazio ALIMENTARIA HUB, un’area dedicata all’innovazione e allo sviluppo di nuove opportunità di business. Con

il sostegno di Nestlé, BBVA, AZTITecnalia, AECOC, Santiveri, APPLUS+, IRTA, FIAB, The Triptolemos Foundation, il Ministero dell’Agricoltura e dell’Ambiente, ICEX, Grupo GP e la Generalitat de Catalunya, Alimentaria Hub ha ospitato attività, conferenze e convegni sulla Ricerca & Sviluppo, la responsabilità sociale, la nutrizione e la globalizzazione. Innovazione Nel corso delle quattro giornate Alimentaria ha presentato i prodotti più innovativi in termini di composizione, packaging e modalità di consumo: gelati, prodotti ittici, snack, insaccati, bevande, caffè e te. La copertura dei media Oltre 1.700 giornalisti si sono accreditati all’evento, ampiamente seguito anche sui social network, prima fra tutti la piattaforma di Twitter che ha registrato 30 milioni di click e 13.000 tweet su Alimentaria 2012. >> Link: www.alimentaria.com

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Vinitaly 2012, l’anno del cambiamento Il 2012 verrà ricordato dagli addetti ai lavori ed appassionati come l’anno del “cambiamento”, di data e di durata della manifestazione. Un anno importante, in un momento importante di Laura Franchini

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i è svolta dal 25 al 28 marzo scorso a Verona la quarantaseiesima edizione di Vinitaly, salone internazionale del vino e dei distillati, che ha visto quest’anno un cambiamento di data epocale: si è infatti passati dai 5 giorni “tradizionali”, con inizio solitamente di giovedì, a soli quattro giorni, con relativa inaugurazione di domenica. Una variazione che ha inciso soprattutto sulle visite degli addetti alla

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ristorazione: è infatti risaputo che di lunedì molti locali osservano la chiusura settimanale, approfittando così del riposo per approfondire i rapporti coi fornitori e recarsi appunto alle fiere di settore. Nelle precedenti edizioni però, essendo il lunedì l’ultima giornata, la loro visita veniva penalizzata dalla chiusura anticipata di molti stand, con la conseguente impossibilità dei visitatori di godersi la giornata piena.

Un miglioramento sostanziale, dunque, che purtroppo non ha coinciso con un miglioramento dell’organizzazione e della gestione della manifestazione. Pare infatti che la città di Verona non sia più in grado di sostenere il volume di traffico e affluenza che una manifestazione di tale portata comporta. Resta comunque da sottolineare che il Vinitaly, ad oggi, è la fiera del settore più importante al mondo e che non può

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La Valtellina ha vinto la sua scommessa e ha registrato un Vinitaly dal bilancio decisamente positivo Ha chiuso all’insegna delle emozioni e dei successi il Vinitaly 2012 del Consorzio Tutela Vini Valtellina, che nei quattro giorni di fiera ha fatto registrare un’ottima affluenza di visitatori, degustatori e buyer nazionali e internazionali, confermandosi un importante punto di riferimento per tutti gli appassionati di vino e per gli addetti ai lavori. La ricetta vincente di abbinare al vino la gastronomia, il turismo, la cultura e la storia ha dato i suoi frutti con grande soddisfazione delle 18 cantine presenti a Verona. Un mix variegato con un unico collante d’eccezione: il territorio. Una formula ben assortita che ha visto tutta la filiera valtellinese nella vetrina internazionale di Verona per fare respirare la sinergia che insieme si rappresenta. Decisivo l’abbinamento dei prestigiosi rossi con i piatti del territorio in veste finger food curati da uno staff di chef valtellinesi coordinati da Stefano Masanti presidente del gruppo Ristoratori della provincia di Sondrio. La “piazza” è stata inoltre animata da Radio Number One che ha mandato in onda l’alta qualità minuto per minuto. Ogni giorno diretta con commenti, testimonianze, ospiti, produttori, autorità locali e giornalisti, tra cui anche Elena Benedetti con PREMIATA SALUMERIA ITALIANA (le interviste possono essere riascoltate collegandosi al link http://www.radionumberone.tv/wordpress/vinitaly-2012/). «Un bilancio assolutamente positivo» ha dichiarato Mamete Prevostini, presidente del Consorzio Tutela Vini di Valtellina. «Siamo entusiasti del successo ottenuto. La Valtellina ha dimostrato di essere un territorio importante e di forte attrazione. La gente inizia ad affezionarsi ai nostri vini, alla cultura enogastronomica, al nostro territorio. La scelta di presentarci con un sistema integrato si è rivelato essere la chiave vincente della manifestazione. Siamo sulla strada giusta. La formula studiata per Vinitaly funziona, sta dando i suoi risultati. Abbiamo presentato i nostri vini ottenendo ottimi riscontri, ma sono convinto che questa manifestazione sia stata un ottimo palcoscenico per tutto il territorio». I riconoscimenti ottenuti dalla Valtellina a Vinitaly si concretizzano anche con il premio “Benemerito della viticoltura italiana Medaglia Cangrande” — uno dei più prestigiosi riconoscimenti all’interno del panorama vitivinicolo nazionale — consegnato a un produttore valtellinese a dimostrazione che dai terrazzamenti della Valtellina provengono da sempre vini che sono testimonianza di un saper fare millenario.

Nel padiglione Piemonte l’azienda vitivinicola Braida di Giacomo Bologna di Rocchetta Tanaro, Asti.

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comportare difficoltà e disguidi come quelli registrati nel corso di quest’ultima edizione: traffico collassato, parcheggi esauriti anche a distanze considerevoli, reti telefoniche e internet saltate, toilette assediate, lavaggio bicchieri che li restituiva con un indimenticabile sentore di uovo marcio… Ci si chiede se non sia giunta l’ora di farsi un serio esame di coscienza, accettando il fatto che forse il Vinitaly dovrebbe cambiare sede o quantomeno gestione, visti i notevoli disagi. Soddisfatti comunque operatori ed espositori per i numeri segnati in soli quattro giornate, a sottolineare non solo quanto importante siano il salone e il settore del vino, ma anche la validità del cambio di data e durata.

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1) Graziella Pezzi, proprietaria dell’azienda vitivinicola Fattoria Paradiso di Bertinoro, Forlì. 2) Angela Maculan della Cantina Maculan di Breganze, Vicenza. 3) L’edizione 2012 di Vinitaly ha segnato, per Ronco Calino, giovane azienda di Adro, Brescia, il lancio del nuovo “Centoventi 2001”: un Franciacorta mantenuto sui lieviti per ben centoventi mesi. Nello stand, Lara Imberti. 4) Florence Guyot presenta lo Champagne Marguerite Guyot. Lo Champagne Marguerite Guyot fonda le sue radici nei vitigni di Damery, terra di antica tradizione champenoise. È cresciuto, come detto, soprattutto il canale HORECA, in particolare nella giornata di lunedì. Una forte presenza di operatori anche dal Sud Italia, che negli anni precedenti vivevano con difficoltà la distanza da Verona e il lunedì come ultima giornata. Ettore Riello, presidente di Veronafiere, sottolinea anche un ritorno

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degli operatori di Nord America e Canada che negli ultimi anni aveva segnato una leggera flessione in senso negativo. Non sono mancati consumatori anche dai Paesi emergenti, soprattutto asiatici come la Cina, ma anche Nord Europa, Russia, Francia e Germania, per un totale di oltre 140.000 visitatori da 120 Paesi. Soddisfatto dall’incremento del

canale HORECA anche Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere, che sottolinea anche il successo dell’iniziativa Vivit, salone dedicato ai vini naturali, alla sua prima edizione. «Le aspettative dei produttori partecipanti sono state confermate — dice Helena Variara della Colombaia — con molta affluenza anche di giornalisti, ristoratori e di pubblico,

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1) Ermi Bagni, direttore del Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi. 2) Giovanni Spagnol nello stand di Vigna Sancòl di Guia di Valdobbiadene, Treviso. 3) Da sinistra, nello stand dell’Azienda Agricola Manicardi di Castelvetro di Modena, Paola Ferrari e Maria Livia Manicardi. 4) Pierangelo e Laura Boatti insieme a Marco Bertelegni dell’Azienda Agricola Monsupello di Torricella Verzate, Pavia. 5) A Vinitaly 2012 Albea, la cantina di Alberobello del cavalier Dante Renzini, ha presentato la linea “Due Trulli Selezione” e “LUI 2009”. 6) La Schenk Italia di Ora, Bolzano, azienda che offre alla ristorazione una vasta gamma di vini, dal livello base all’alta qualità. tutti molto interessati». «Sono stato a Vivit — racconta Antinori — e sono rimasto impressionato dal grande interesse di pubblico, segno evidente della sensibilità dei consumatori». «È stato il Vinitaly dell’export» afferma Lamberto Vallarino Gancia, presidente di FEDERVINI. «Siamo tutti molto soddisfatti della nuova formula

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— dichiara Lucio Mastroberardino, presidente dell’Unione Italiana Vini — che ha innalzato ulteriormente la qualità del pubblico. Quanto ai buyer e operatori esteri, l’impressione è di un ulteriore scatto, con una presenza ampia, diffusa e di ottima qualità». «Il bilancio è positivo — dice Domenico Zonin — con una buona

affluenza fin dalla domenica», mentre per Piero Antinori «questo Vinitaly ha avuto una presenza quantitativa, ma soprattutto qualitativa ed è questo che ci interessa». «Il più grande Vinitaly di sempre — per Andrea Sartori e per Mauro Lunelli di Ferrari — lo spostamento dei giorni si è dimostrato adatto

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Lambrusco Mio In occasione del Vinitaly 2012 erano ben 31 le aziende vitivinicole di Modena e Reggio Emilia riunite nello spazio espositivo “Lambrusco Mio”, allestito all’interno dello stand Enoteca Regionale Emilia-Romagna. «Il Lambrusco è il vino italiano più commercializzato sui mercati nazionali ed esteri un traguardo che dà un’immagine di prestigio ai nostri territori e premia il lavoro e i considerevoli investimenti effettuati da tutte le imprese vitivinicole che hanno creduto nelle sue potenzialità e che si sono adoperate per migliorarne la qualità» ha ricordato Ermi Bagni, direttore del Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi. Nel territorio delle province di Modena e di Reggio Emilia, ricco di storia e di grandi eccellenze agroalimentari, la viticoltura interessa 8.000 aziende viticole, con una superficie di 14.800 ettari di vigneti in produzione, di cui il 75% è costituito da vitigni “lambrusco”. Sono ben sei i riconoscimenti a Denominazione di Origine Controllata: “Lambrusco di Sorbara”, “Lambrusco Salamino di Santa Croce”, “Lambrusco Grasparossa di Castelvetro”, “Lambrusco di Modena”, “Lambrusco Reggiano”, “Lambrusco Colli di Scandiano e di Canossa”. Le aziende vitivinicole hanno proposto ai visitatori della rassegna veronese Lambrusco DOC, il simbolo di un territorio dove la bellezza risplende nelle cose vere, concrete. Non è quindi casuale la scelta del nome “Lambrusco Mio” fatta dal Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi e il Consorzio per la Promozione dei Marchi Storici dei Vini Reggiani: l’intenzione è quella di valorizzare una produzione di pregio come Lambrusco DOC e trasmettere quell’insieme di emozioni, passioni e dedizione alle regole radicate nella cultura del territorio. L’origine: Modena, la nascita del Lambrusco Doc Il Lambrusco è un vino del quale in tutta l’Emilia, ed in particolare a Modena, si va molto fieri. Ciò in quanto è proprio a Modena che si sono evolute la varietà appartenenti alla famiglia del Lambrusco con lo standard qualitativo più elevato nel rapporto di trasformazione uva/vino. VIRGILIO, PLINIO IL VECCHIO, COLUMELLA, PIETRO DE’ CRESCENZI, FRANCESCO TANARA, citano nelle loro opere il Lambrusco. La produzione del Lambrusco nel modenese era già importante all’epoca del Rinascimento. Risale al 27 giugno 1430 il decreto gabellare con il quale il Duca estense di Modena diminuì della metà il dazio doganale per agevolare l’esportazione di Lambrusco negli stati limitrofi. Il Lambrusco è il vino frizzante che ha costituito e ancor oggi rappresenta un punto di riferimento per la sua lunga tradizione e la tecnica di produzione. Si è così arrivati a classificare quattro tipi di vino a denominazione di origine controllata, simili ma distinti: Il Lambrusco di Sorbara, il Lambrusco Salamino di Santa Croce, il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, il Lambrusco di Modena. Sono vini moderni con spiccate caratteristiche organolettiche, allegri, invitanti, moderatamente alcolici che si esaltano nelle tipologie “frizzante” e “spumante”. Il profumo intenso e fruttato, il gusto ricco e sapido li rendono gradevoli, versatili e generosi negli abbinamenti. Sono vini completi che, serviti freschi, sono adatti per molte occasioni di consumo, come testimoniano i successi ottenuti in Italia e nel mondo.

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Dall’Oriente all’Africa i vini di Casali Viticultori conquistano i mercati esteri Crescono l’interesse e l’apprezzamento dei mercati di tutto il mondo per i vini reggiani, mentre la sfida per il futuro è quella di promuovere la consapevolezza della qualità della produzione emiliana presso gli operatori esteri. È questo il bilancio tracciato dai vertici di Casali Viticultori, storica Cantina di Pratissolo di Scandiano, al termine dell’edizione 2012 del Vinitaly. La crescente attrattiva dei vini autoctoni reggiani per i mercati esteri è stata testimoniata dal buon esito dei numerosi incontri commerciali realizzati da Casali nel padiglione dell’Emilia-Romagna. Qui, numerosi buyer e operatori — provenienti prevalentemente da Nord e Sud America, Europa centrale e dell’Est, Cina, Taiwan, Tailandia, Nigeria e Israele — hanno potuto apprezzare le nuove annate dei Lambruschi, delle Spergole, delle Malvasie e degli altri vini prodotti da Casali Viticultori. Classici come il San Ruffino Lambrusco Grasparossa Colli di Scandiano e Canossa DOC o l’Albore Bianco Classico Colli di Scandiano e Canossa DOC di Spergola, Secco e Dolce, resi ancora più pregiati grazie al lavoro svolto dall’inizio del 2011 dal nuovo team composto dagli enologi Iacopo Michele Giannotti e Luca D’Attoma. Secondo Giovanni Sidoli, AD ed export manager di Casali Viticultori (in foto), la sfida per la promozione dei vini e del territorio reggiano, resta comunque quella di affermare la qualità, puntando sulla valorizzazione del prodotto. «Molti buyer stranieri che entrano negli stand dedicati ai vini emiliani non si aspettano l’alta qualità che poi effettivamente riscontrano durante la degustazione» ha spiegato Sidoli. «Il nostro obiettivo è quello di innalzare il posizionamento dei nostri vini, anche per valorizzare tutto il territorio. Da questo punto di vista siamo molto soddisfatti del lavoro svolto e dei contatti maturati durante questa edizione del Vinitaly, che ha sicuramente aperto prospettive molto interessanti».

agli operatori». «È una formula che funziona — conferma Valentina Argiolas — con molti operatori dall’Asia e il ritorno dell’India, ma anche la vecchia Europa ha dimostrato una partecipazione grintosa». «Abbiamo avuto moltissime presenze qualificate e diversificate da Cina, Hong Kong, Taiwan, Corea, India, Sudamerica, Stati Uniti» dice José Rallo di Donnafugata, «ma anche dall’Italia — dice Anna Abbona

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di Marchesi di Barolo — con molti rappresentanti del segmento HORECA dalle regioni del sud». «Un bellissimo Vinitaly, con tanti contatti fin dalla domenica e giorno clou il lunedì» anche per Donatella Cinelli Colombini, vincitrice quest’anno del Premio Internazionale Vinitaly. Forte la presenza della stampa specializzata, con stand di riferimento e degustazioni. Mario Busso, curatore della guida Vinibuoni d’Italia di Tou-

ring Editore, presente a Vinitaly con oltre 700 vini selezionati tra quelli presenti in guida, si è dichiarato molto soddisfatto dalla nuova formula: «un cambiamento che ha permesso agli operatori di focalizzarsi sui professionisti del settore. Nonostante le difficoltà legate alle infrastrutture della città, il Vinitaly chiude con grande ottimismo, soprattutto da parte dei produttori, che segnalano anche una

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Marella Levoni.

ripresa del mercato, in particolare statunitense. Un mercato che va alla ricerca di nicchie e di tipicità, con grande interesse per alcune zone vinicole. In questo senso l’impegno delle istituzioni può dare grandi risultati: sinergie come quella avvenuta presso il padiglione del Friuli, organizzato con la collaborazione di ERSA, hanno dato grandi risultati in termini di presenze e contatti», aggiunge Busso. Vinitaly non è solo vini e anche il Grappa & C. Tasting, il banco d’assaggio dedicato a grappe, amari, liquori realizzato in collaborazione con il Centro Studi Assaggiatori

ha fatto registrare un grande successo, con 5.500 assaggi. Importante la conferma dei media presenti da oltre 45 Paesi (USA, Germania, Russia in testa), con oltre 2.500 giornalisti accreditati in rappresentanza di oltre 170 radio e TV, 105 quotidiani e 110 testate on-line. Attendiamo ora la prossima edizione, con trepidazione, visto il successo, ma anche con la speranza che vengano risolti alcuni nodi logistici e organizzativi davvero poco gradevoli. Laura Franchini >> Link: www.vinitaly.com

Premio Agrifood Club-Golosario: ce n’è per tutti i gusti Dolce, salato e agrodolce: ce n’è veramente per tutti i gusti tra le 21 eccellenze del mangiar bene italiano che hanno ricevuto il premio Agrifood Club-Golosario durante il Vinitaly 2012. Un riconoscimento, istituito in collaborazione con l’ideatore del Golosario Paolo Massobrio e il giornalista e critico enogastronomico Marco Gatti, che per il terzo anno va ai migliori produttori di Agrifood Club (www.agrifoodclub.it), il Salone internazionale vetrina dell’agroalimentare italiano di qualità che si svolge in contemporanea alla rassegna veronese dei vini e distillati. Durante la manifestazione, alcuni “ispettori del gusto”, rigorosamente in incognito, hanno assaggiato i prodotti degli oltre cento espositori per stilare una classifica: compito difficile considerato l’alto livello qualitativo di un’offerta gastronomica già al top. Successo per l’Accademia delle 5T, che ha vinto con 9 associati da 7 diverse regioni. Per i salumi e le carni i vincitori sono stati Dimensione Carne di Piove di Sacco, Padova, per la carne equina affumicata, D’Addario Carni di Gissi, Chieti, per la sua spalla cotta e il Consorzio del Suino Nero di Calabria, a Santo Stefano di Rogliano (CS). Per i formaggi il vincitore dell’edizione 2012 è stato il Caseificio Busti di Fauglia, Pisa (in foto lo stand con i prodotti) con il suo famoso pecorino affinato in grotta. «La provincia italiana — ha dichiarato Massobrio — è la vera vincitrice della manifestazione con la sua produzione spesso familiare e artigianale fatta di tipicità ed eccellenze».

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1) Gian Antonio Visentin, titolare del Prosciuttificio Crosare, insieme a Flavio Tosi, sindaco di Verona. 2) Alessandro e Elisabetta Chiapella del Salumificio Chiapella di Clavesana, Cuneo. 3) Marcello Palmieri del Salumificio Palmieri di San Prospero, Modena. Al salone veronese Cantine Cavicchioli e Villa Sandi hanno scelto mortadella Favola da abbinare ai loro splendidi vini. 4) Guido Bertolin della Maison Bertolin di Arnad, Aosta. Il salumificio ha partecipato alla rassegna proponendo l’olio di noce Dinus Donavit e i suoi deliziosi salumi, da assaporare insieme all’ottimo vino rosso Valdostano. 5) Andrea Pinasco e Paolo Tegoni nello stand di Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense. 6) Dante Renzini, norcino e vignaiolo Doc, insieme all’inseparabile assistente Benito.

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Salumi Levoni al Vinitaly I 100 vini selezionati dalla più grande rivista mondiale dedicata al vino L'evento più atteso e partecipato dell’edizione 2012 di Vinitaly è stato senza dubbio Opera Wine organizzato, nel centralissimo Palazzo della Ragione, da Veronafiere e dalla rivista americana Wine Spectator il giorno prima dell’apertura della fiera, sabato 24 marzo. Levoni Spa di Castellucchio, Mantova, ha accompagnato le due degustazioni (la prima riservata alla stampa e la seconda, a fine pomeriggio, aperta al pubblico pagante) dei 100 grandi vini italiani con salumi altrettanto grandi, il prosciutto cotto Corona Praga, la culatta, la mortadella Bologna IGP Oro, il salame mantovano del Po e il salame strolghino. Salumi e Vinibuoni d’Italia Un salume di qualità e un vino abbinato con sapienza è la tendenza che Levoni promuove nelle enoteche e negli happy hour ma anche ai vernissage di molti eventi culturali in tutta Italia. “Salumi & Vini” è il titolo della pubblicazione sugli abbinamenti corretti curata dalla guida “Vini Buoni d’Italia” che tutti i giorni del Vinitaly ha proposto nel suo stand degustazioni guidate di mortadella Bologna IGP Oro con pistacchio, salame Napoli Agerolino, salame abruzzese gentile, culatta, lardo pancettato alle erbe, prosciutto cotto Corona Praga in abbinamento ad una selezione ragionata di vini autoctoni italiani. Sempre a Vinitaly, Philarmonica ogni giorno ha affettato un salame Felino nel formato speciale “magnum” accanto a filettuccio, culatta, mortadella etrusca, lardo di Castellucchio ai sapori e ai salami abruzzese e del Po. Grandi vini e salumi Domenica, sempre a Palazzo della Ragione, i salumi Levoni hanno affiancato le degustazioni dell’annata 2009 di Luce della Vite che in questa occasione ha presentato il nuovo progetto Casa di Luce: il piatto Geni di Luce realizzato da Richard Ginori. Levoni anche quest'anno ha realizzato un buffet di salumi in ognuna delle tre cene del produttore Allegrini allestite nella cinquecentesca Villa della Torre Valpolicella: la prima dedicata a Bolgheri, la seconda alle nuove frontiere della comunicazione e la terza, il 28 marzo, dedicata all’Europa presenti grandi nomi dell’enologia come Pierre Lurton di Château Cheval Blanc e Château d’Yquem, Emanuele Rabotti di Monte Rossa e la famiglia Farinetti di Fontanafredda.

I salumi Levoni affiancano le degustazioni dell’annata 2009 Luce della Vite.

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Un inno alla diversità e alla passione VinNatur, ViniVeri-Vini secondo natura, Summa 12, Vino e agricoltura naturale di Riccardo Lagorio

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initaly è la vetrina più significativa dedicata al vino in Italia. Tuttavia, negli ultimi anni, hanno preso vita alcune interessanti iniziative che rappresentano, proprio durante il periodo di Vinitaly, importanti esperienze di aggregazione nel mondo del vino. VinNatur VinNatur (www.vinnatur.org) nasce nel 2006 dall’esigenza di unire piccoli produttori di vino naturale, italiani ed europei, in un’associazione che permetta loro di far conoscere il proprio prodotto ed allo stesso tempo di ampliare le proprie conoscenze specifiche in viticoltura ed enologia naturale. Per vino naturale si intende un prodotto derivato da un’agricoltura sana che abolisce l’uso di pesticidi, diserbanti, concimazioni al terreno o alle foglie di derivazione chimica. L’attenzione maggiore è rivolta al suolo ed al suo equilibrio naturale. La ricerca in questo settore riguarda il tentativo di eliminare rame e zolfo per la cura delle malattie, rivolgendosi invece ad estratti vegetali ed essenze naturali che aiutino la pianta ad autodifendersi. In cantina viene perseguito il lavoro fatto nella vigna; anche qui non sono permessi lieviti selezionati, additivi (di qualunque origine si tratti) e tecniche invasive, poco rispettose della materia prima.

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Gli obiettivi sono quelli di ridurre o addirittura eliminare l’uso dell’anidride solforosa (conservante con noti effetti collaterali sull’uomo) e di perfezionare la pratica della fermentazione spontanea, prediligendo i lieviti migliori, già presenti in natura, che aumentano il valore aggiunto del prodotto, donando personalità ed unicità. VinNatur si è tenuto dal 24 al 26 marzo presso Villa Favorita a Sarego (VI), una cornice prestigiosa per promuovere convegni, ricerche ed attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di vini e prodotti naturali e sani in tutta Europa. Il movimento dei vini naturali nacque negli anni Settanta in Francia, sviluppandosi progressivamente in Italia, Spagna, Cile, Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda. Oggi conta migliaia di produttori. Il motto del 2012 è stato “Oltre il biologico”. Se l’adozione di una normativa comunitaria che regola e definisce il concetto di “vino biologico” deve infatti essere salutata come passo avanti rispetto al nulla precedente, i vignaioli che partecipano a VinNatur hanno tenuto a sottolineare come le soluzioni approvate siano del tutto insufficienti. Il compromesso raggiunto tiene pesantemente conto delle esigenze dell’industria alimen-

tare focalizzata sui grandi numeri e rivolta principalmente alla Grande Distribuzione Organizzata. Le soluzioni adottate, insomma, penalizzano ancora una volta i piccoli produttori, che verranno percepiti dalla massa dei consumatori allo stesso livello dell’industria del vino. Esiste, infatti, la possibilità di utilizzare gli enzimi, i lieviti industriali, i tannini aggiunti, i trucioli, il mosto concentrato rettificato, il solfato, il fosfato di ammonio e sono permesse operazioni violentissime nei confronti del vino come la centrifuga, lo zuccheraggio, l’elettrodialisi e persino il riscaldamento del liquido sino alla temperatura di 70°C! Quello che VinNatur ha voluto sottolineare è lo steccato che divide i vini naturali dai vini biologici industriali, standardizzati e privi di identità territoriale. Tra gli assaggi indimenticabili di questa edizione cito: Pian del Moro, Aglianico DOC da viti di ottant’anni dell’Azienda Agricola Musto Carmelitano di Maschito, Potenza (telefono: 097 233312); il Nibiö dell’Azienda Agricola Rugrà di Luigia Zucchi di Tessarolo, Alessandria (telefono: 0143 342000), che possiede colore rosso rubino intenso, profumo complesso di frutta rossa e gusto intenso, tannico e voluttuoso; i vini dell’Azienda Barranco Oscuro di Cádiar (telefono: 0034 958343066),

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a Granada, in Spagna, elaborati da vitigni a 1368 metri sul livello del mare. ViniVeri-Vini secondo natura “Agire permettendo a una produzione di esprimersi pienamente e raggiungere l’obiettivo di ottenere un vino in assenza di accelerazioni e stabilizzazioni, recuperando il miglior equilibrio tra l’azione dell’uomo e i cicli della natura” è invece la regola del gruppo ViniVeri-Vini secondo natura (www.viniveri.net), consorzio che da nove anni raduna a Cerea (VR) produttori italiani ed esteri che si attengono a questo principio. Sempre dal 24 al 26 marzo 120 piccole aziende hanno animato l’area “La Fabbrica”, dando la possibilità ad un pubblico professionale e preparato di degustare vini che non contengono addizioni di sostanze estranee alla frutta d’origine ed al terroir che le ha generate. Vini che condensano quindi l’essenza di un luogo specifico, l’espressione originale della cultura del territorio, del vitigno d’origine, di un determinato anno. Un inno alla diversità ed alla passione che a volte è estrema, come quella che perpetua la secolare tradizione monastica come il vino Coenobium Rusticum prodotto dalle 70 suore di clausura del Monastero di Vitorchiano, Viterbo (telefono: 0761 370017); il Vino Santo Trentino DOC di Gino Pedrotti a Cavedine, Trento (telefono: 0461 564123), ottenuto da uve Nosiola opportunamente

Il pubblico di VinNatur.

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appassite sui graticci; il Chora rosso della Società Agricola L’Acino di San Marco Argentano, Cosenza (telefono: 329 6343377) elaborato con uve locali raccolte durante il mese di ottobre inoltrato. Straordinario il Carmina Arvalia della Cascina Trinci di Castagneto Carducci. Anche il poeta ne rimase innamorato e cantò un “prosit a Giannino Trinci, intenditore di vini e ribottista eccelso”. Summa 12 “Andare oltre al semplice concetto di vino biologico, o anche solo di vino naturale. L’importante che sia vino buono”. Filosofia che sta alla base della produzione di Alois Lageder (telefono: 0471 809500) uno dei portabandiera in Alto Adige non soltanto dei vini biodinamici, ma di una produzione sostenibile. Gli scorsi 25 e 26 marzo si è tenuta nella splendida cornice di Palazzo Hirschprunn, Magré, Bolzano, Summa 12 (www.summa-al.eu), manifestazione che ha accolto esperti ed appassionati italiani e stranieri senza la calca da fiera per mettere in mostra una quarantina di produttori italiani, tedeschi, austriaci, portoghesi e australiani. Appuntamento green, dacché i visitatori sono stati invitati a non utilizzare l’automobile, ma treni e bus navetta, limitando il consumo di energia e lo spreco (tutte le stampe sono state fatte su carta riciclata). Vino e agricoltura naturale Domenica 22 aprile a Roma, presso

ViniVeri-Vini secondo natura da 9 anni raduna a Cerea (VR) produttori italiani ed esteri. il Circolo Forte Fanfulla, si è tenuto infine Vino e agricoltura naturale, un’interessante rendez vous dedicato ai vini nati senza chimica. Emilio Falcione, proprietario de La Busattina di San Martino sul Fiora, Grosseto (telefono: 0564 607840), durante il convegno intitolato “Vini naturali tra guide, disciplinari e mercato”, ha sottolineato che: «per produrre un vino convenzionale si possono utilizzare in cantina oltre 300 diversi prodotti (ovvero additivi alimentari utilizzabili non per correggere ma costruire il vino). Questo vino non è più quindi frutto della terra, ma un prodotto dell’industria, una merce che ha perso il valore di alimento». Il suo Terre eteree, con base Sangiovese e Ciliegiolo, ha convinto per l’etichetta chiara e semplice (illustra con puntiglio i prodotti usati nel vigneto e durante il periodo di vinificazione) e per l’impeto con cui raggiunge naso e bocca: profumi scoppiettanti e di educata rusticità, terroso di humus, aroma ruvido e vegetale ingentilito da succose viole e liquirizia. Dimostra facilmente che si possono fare ottimi vini con il solo ausilio dell’attenzione personale e della Natura. Complimenti! Riccardo Lagorio Nota A pagina 112 foto di www.tncp.net

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Taste 2012, l’alta gastronomia si trasferisce a Firenze Nella settima edizione di Taste sono raddoppiati i numeri dei buyer e degli operatori professionali intervenuti al salone

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a settima edizione di Taste. In Viaggio con le diversità del Gusto (Firenze, 10-12 marzo), il salone organizzato da Pitti Immagine — ma nato da un’idea del Gastronauta Davide Paolini — per tre giorni ha trasformato Firenze nella capitale italiana delle eccellenze del gusto e dei foodies, i cultori del cibo di qualità. L’affluenza finale di questa edizione ha fatto registrare un pubblico di 13.500 visitatori circa (erano stati 12.000 un anno fa) e — risultato ancor più interessante — i buyer e gli operatori del settore intervenuti a Taste hanno raggiunto quota 3.300, raddoppiando i numeri rispetto ai 1.600 dell’edizione 2011. «Taste conferma con grande forza il suo ruolo di manifestazione per professionisti dell’enogastronomia di qualità — afferma Agostino Poletto, vicedirettore generale di Pitti Immagine — i 3.300 compratori intervenuti sono una massa critica importante, che confermano quanto la presenza del mercato a Taste si sia rafforzata. Abbiamo avuto la partecipazione di alcuni dei migliori department sto-

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re e negozi di delicatessen ed enogastronomia di nicchia, sia dall’Italia sia dall’estero, segno che la piattaforma Taste è sempre più internazionale e ha forti potenzialità anche all’estero. Il viaggio attraverso i prodotti degli oltre 260 espositori al salone ha coinvolto un pubblico sempre più ampio di cultori del cibo, foodies alla ricerca dei nuovi giacimenti del mangiar bene. Così come hanno avuto un’incredibile partecipazione di pubblico gli eventi e i Ring alla Leopolda (circa 1.500 persone hanno seguito i Ring orchestrati dal Gastronauta Paolini, con protagonisti, tra gli altri, il patron di Eataly Oscar Farinetti, una serie di chef stellati, nomi di punta tra i macellai italiani, il fondatore di Domori assieme a Riccardo Illy…), e il ricco programma di eventi FuoriDiTaste in città. Anche l’ingresso di un’azienda importante e coerente col salone come Ferrarelle, main sponsor di questa edizione, è un ulteriore segno della crescita di Taste. Firenze è candidata a diventare un palcoscenico ideale per ospitare i grandi nomi del mondo del cibo: lavoreremo a farla

evolvere in questa direzione». A Taste n. 7 sono stati proclamati anche i vincitori della seconda edizione di King of Catering, l’unico premio internazionale dedicato alle società di catering e banqueting: quest’anno i quattro finalisti si sono sfidati sul tema del “ricevimento di nozze”, e il massimo riconoscimento del concorso — il “King of Catering Platinum Plus/Ferrarelle” — è andato a Galateo Ricevimenti. Tra i commenti raccolti tra i protagonisti riportiamo quello della buyer di Harrods Stefania Centi: «Lavorando in un ambiente internazionale cerchiamo sempre di dare spazio ai marchi di risalto che si distinguono per la loro qualità, offrendo sempre il meglio sul mercato. Per noi è importante essere presenti a Taste perché sono le manifestazioni di questo genere a mantenere alto il valore della gastronomia italiana all’estero. E poi l’elevata selezione, l’attenzione ai dettagli, ai piccoli produttori e al rispetto per il consumatore, questa è l’anima di Taste». >> Link: www.pittimmagine.com

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Grande successo per l’edizione numero 7 di Taste: raddoppiano buyer ed operatori professionali intervenuti al salone. 13.500 i visitatori alla tre giorni dedicata al gusto e alla cultura del cibo di qualità di Firenze. Numerosi anche i macellai e salumieri che hanno presentato carni e salumi d’eccellenza.

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Fa’ la cosa giusta: il paradigma del bio

Un passo indietro per guardare al futuro Pascoli in alpeggio, niente OGM, farine o sostanze chimiche e di sintesi sono gli ingredienti del successo di salumi e formaggi a km zero. La rassegna milanese esalta i produttori che fanno del biodinamico e del biologico il modus operandi per conciliare benessere dell’animale e qualità del prodotto finito di Fabio Butturi

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erché dare cittadinanza alla filiera della salumeria all’interno della più radical (chic) tra le rassegne apologetiche del cosiddetto bio style? Perché i tempi cambiano, la sensibilità pure, a ruota segue l’estetica, e all’interno della manifestazione organizzata da Terre di Mezzo dal 30 marzo al 1 aprile scorsi, con la collaborazione di sodali del calibro di Altro Mercato e Slow Food, la sezione Mangia come parli ha visto sugli scudi proprio i protagonisti di PREMIATA SALUMERIA ITALIANA. A cominciare dai derivati di quelle bestie rigorosamente allevate allo stato brado o semi-brado, immuni a organismi geneticamente modificati, proteine animali, sofisticazioni nutrizionali. E, per la proprietà transitiva, ha visto fondere l’aggettivo “sostenibile” in un unico ideale neologismo con “km zero”, per limare fino allo sfinimento gli effetti collaterali, come gli oneri sociali in termini di anidride carbonica, ossido d’azoto e polveri sottili dovuti ai gas di scarico dei camion che trasportano mangimi, capi di bestiame e semilavorati. Alla base di tutto non ci sono solo il rispetto per l’animale, per la sua alimentazione e, per così dire, lo “stile di vita”, il ridotto impatto

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Ricca di prelibatezze salumiere e casearie la sezione Mangia come parli di Fa’ la cosa giusta.

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ambientale e tutti gli addentellati ecologici, ma c’è la riscoperta dei sapori che scaturiscono da una carne sana, ricca di fibre e priva di coloranti e adulterazioni varie. E si potrebbe così cominciare dalla patria del sus felix, quel maiale felice che grufolando ha fatto le fortune delle terre a cavallo della via Emilia. La scelta è caduta per la precisione su Bagno, località di Reggio Emilia sulla via consolare, dove l’allevamento Il Grifo, nome che prende spunto dal muso del maiale, lascia pascolare i suini su 75 ha di pascolo, coltivandone circa 33 con farro, orzo, frumento tenero, sorgo, triticale, favino e pisello proteico. Singolare lo scenario: casette sparse nella superficie prativa come ricoveri invernali, arbusti frondosi come ripari naturali durante le spietate arsure estive e, alla fine della catena, quei 750 m2 al coperto per la lavorazione, stagionatura e vendita della carne, con celle frigo per le mezzene e una cella per la carne fresca. I maiali sono re-incroci tra Mora romagnola, Large white e Landrace. Vengono macellati a mano, nella misura tra 3 e 5 capi a settimana, dopo aver raggiunto in media il ventesimo mese d’età. Allo spaccio si possono trovare salame fiorettino, coppa stagionata almeno 5 mesi, pancetta con cotenna, prosciutto crudo di almeno 18 mesi, il guanciale (il tempo di stagionatura è dimezzato, rispetto al prosciutto), lardo saporito alle erbe, ciccioli montanari, coppa di testa, zamponi e cotechini e il condimento battezzato col nome dell’allevamento, una crema di lardo e carne da spalmare sul pane, alla faccia dei surrogati industriali. Tutto questo senza l’ombra di nitriti, nitrati, aromi, farine, lattosio e qualsiasi additivo (la famosa serie E, da E100 a E967).

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La sezione Mangia come parli, dedicata all’alimentazione sostenibile, ha ospitato produttori in rappresentanza dell’agricoltura biologica e biodinamica, filiera corta e km zero. Poco più a nord, sulla sponda cremonese del Po, si trova l’Azienda Agricola Tenca, che nella campagna di Casalmaggiore alleva maiali foraggiati con i cereali coltivati nei terreni di proprietà. Allo spaccio l’assortimento completo della campionatura esibita a Milano, dai salami mantovani ai cacciatorini, dalla coppa alla lonza stagionata, al fiocchetto di prosciutto e, varcando di nuovo idealmente il Grande Padre, la culaccia e il culatello. Infine, la pancetta stagionata; tutti insaccati a regola d’arte con aromi e spezie naturali e il solo ausilio del nitrato di potassio.

La parata di bancarelle e banchetti prosegue in territorio lombardo, facendo tappa alla Cascina Nibai, a Cernusco sul Naviglio (Naviglio pavese, quello che dalla Darsena di Porta Ticinese, a Milano, abbraccia il Ticino a Pavia). All’interno della struttura una cooperativa svolge servizi socio-assistenziali in tre diversi campi d’applicazione. Quello intimamente legato alla zootecnica e alla terra è materia per Co.A.FRa., cooperativa agricola e sociale di tipo b, che produce carni e salumi, verdure e conserve e gestisce direttamente il côté agri-

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turistico e lo spaccio. Se in cascina ci si occupa anche di elettronica, informatica e audio-video nell’ottica dell’inserimento lavorativo dei disabili, è nel back stage, cioè la zona retrostante la cascina, dove vengono coltivate frutta e verdure certificate biologiche dall’ICEA (Istituto Certificazione Etica Ambientale) — comprese le conserve e le confetture — e dove vengono allevati i capi di bestiame trasformati principalmente in salami, zamponi, cotechini, salsicce, salamelle. L’ICEA compare anche nel pedigree di un altro espositore, la Ditta Gamba Edoardo, esempio di longevità imprenditoriale in quel della Val Brembana, che, attiva dal 1880, ha consacrato la quarta generazione dall’esordio di Pietro G. Battista Gamba a Villa D’Almè. Ed è così che sui banchi di Fa’ la cosa giusta sono spuntati un frammento del passato come la slinzega di coscia suina, salume originario della Valtellina, e la salumeria certificata bio dal 2009: le pancettine e il lardo alle erbette bio (che dopo una salamoia di alcune settimane viene asciugato e conciato con ginepro, rosmarino e altre erbette, per finire sottovuoto in pezzature che partono da 300 grammi), lo speck squadrato, la carne salada, il prosciutto cotto e il fioccotto. Ci sono pure i formaggi di capra e quelli da taglio, quali branzi, taleggi,

Liscio come l’olio Un nome su tutti: Libera, che nelle terre confiscate alle consorterie mafiose in Sicilia e Puglia raccoglie le olive in ottobre e novembre per la spremitura dell’olio, recentemente disponibile anche in bottiglie da mezzo litro. L’olio d’oliva è uno degli alimenti basici della dieta mediterranea e non poteva non essere presente in massa anche a Fieramilano city. Un rapido cenno — in rappresentanza degli altri produttori dalla Trinacria — all’Antico Frantoio Vallone e all’Azienda olivicola Scimeca, che ricava un olio quasi monovarietale (essendo spremuto da olive Biancolilla (90%) e Nocellara del Belice per il rimanente 10%), fruttato medio, leggermente amaro e piccante. Da Pietrafitta di Perugia proviene l’Oleificio Peltristo, frantoio di origine medievale.

bel tùnt, castel clanès e mandriano, e mozzarella di bufala e gorgonzola dolce cremoso ricavati da latte munto da bovini autoctoni delle Alpi Orobiche. Si esce dai confini lombardi per raggiungere Borgaro Torinese, dove la cooperativa Liriodendro parte nell’anno giubilare come azienda agricola biologica, fondandosi sulle competenze agricole e zootecniche della famiglia Torazza, con oltre un secolo di attività alle spalle. Il presupposto è il metodo biologico che esclude le sostanze chimiche di sintesi e gli OGM fertilizzando il suolo attraverso il letame e altri pro-

Laboratorio di cucina organizzato da “Ci penso io” per Fa’ la cosa giusta.

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dotti naturali, valorizzando le culture con la rotazione di orzo, grano, segale, mais e pisello proteico. Dall’allevamento di vitelli, maiali, polli, tacchini, conigli e galline ovaiole, tra cui la razza Bionda piemontese, dalla quale si ottengono i capponi di Morozzo, si ricavano insaccati, dai salamini piccanti al prosciutto cotto senza glutine, dal capocollo (porzione superiore del collo del maiale e parte della spalla) alla pancetta tesa, dalla porchetta al naturale al lardo pancetta affettato. E ancora la bio-saola, il bratwurst da grigliare, il prosciutto crudo stagionato 18 mesi. Terminata la panoramica della salumeria, si apre la pagina casearia, peraltro già abbozzata. Ed è ancora in Lombardia che si trova il Biocaseificio Tomasoni, nella bresciana Gottolengo, dove, dal 1815, i bovini respirano l’aria salubre che spira dal poco distante Lago di Garda. Dal latte ricavano, sempre nella rigorosa conformità al paradigma biologico, una serie di formaggi, in primis il Grana Padano, in forme da 24 a 40 kg, senza l’aggiunta di lisozima. Altro formaggio bio è la robiola nostrana, parallelepipedo di 8 cm che varia dal bianco latte al paglierino, a seconda della stagionatura. Il Fontal è un formaggio a pasta tenera, semicotta, dal sapore burroso, poi ci sono l’erborinato per eccellenza, il gorgonzola, la ricotta,

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L’effervescenza dei microbirrifici C’erano tutti, o quasi, i produttori artigianali di birra che nel corso degli anni 2000 vanno proliferando soprattutto in Lombardia e Piemonte. Tra i pionieri il Birrificio di Lambrate, che ha giocato in casa, per altro già noto alle cronache di Premiata Salumeria Italiana. Altro big di questo scenario è Baladin, nome originario del pub di Piozzo (Cuneo), che nel 1996 diventa birrificio e da allora occupa il palcoscenico con la blanche Isaac, Wayan, Nora, dal colore aranciato e fermentata secondo la ricetta egizia col kamut, l’ambrata Super, la bruna Leon, la demi-sec Elixir. L’elenco sarebbe però ancora lungo, a partire dalle birre stagionali, come la Zucca. Tanto vale dunque citare su tutte la Nazionale, fermentata con materie prime esclusivamente made in Italy. Piemontesi anche Gedeone, che si fregia d utilizzare solo materie prime certificate biologiche italiane con l’obiettivo di autoprodurre in tempi non remoti il malto in quel di Costa Vescovato (Alessandria). A San Damiano d’Asti si trova invece il Beer & Bier, che propone 10 birre in bottiglia, tra cui la Gulp!, una Kriek fermentata in presenza di mele astigiane, a bassa gradazione alcolica (4,2%). A Borgata Brione, Torino, si trova Gilac, che vende anche aceto da birra doppio malto e tre diversi tipi di gelatina di birra. Il Birrificio Italiano vanta due macroscopiche analogie con Baladin: l’origine in un pub e l’anno di fondazione, in quel di Lurago Marinone, pochi chilometri più a nord di Lambrate, nel comasco. Alla spina e in bottiglia, si passa dalla gassata Cassissona alla doppio malto ambrata Amber Shock alla bionda Tipopils e tante altre. Nei paraggi si trova il Birrificio Artigianale Lariano, nato nel 2008 dall’intuizione di Fulvio ed Emanuele, che producono con criteri naturali in quel di Dolzago, in provincia di Lecco, senza il minimo processo meccanico di filtrazione e pastorizzazione. Nel milanese troviamo anche Hibu, che non ha certo lesinato in fantasia: le sue creazioni si chiamano infatti Entropia, una ale, Qoh, una bitter & English pale ale, Eil, l’amara Belgian, la leggera VaiTrà, la triple Gotha e la natalizia… Natale. Alla Certosa di Pavia c’è invece il birrificio rurale Azienda agricola L’Oasi, che organizza maratone alimentari a filiera corta, mentre L’Inconsueto si trova a Busto Arsizio, tra Milano e Varese. Da lì si oltrepassa la dogana al confine con la Svizzera, per giungere in Canton Ticino, a Stabio, dove The Dude, nel cinema meglio conosciuto come il Grande Lebowsky, è il testimonial in formato cartoon del Bad Attitude, che propone a catalogo anche la Kurt, pale ale in lattina. Assolutamente da vedere la grafica del sito (www.badattitude.ch.) Scendendo a sud si fa tappa a Fiumicino, dove BirradaMare, peraltro senza eccellere in originalità, propone la birra Roma, colore oro intenso, media amarezza ispirata alle märzen tedesche. Da Bari il Birrificio Svevo vende on-line, mentre sull’altro versante, quello tirrenico, dalla incantevole Palinuro quelli di Iris Birra hanno portato a Milano alcune bottiglie di birra biologica: la trappista Estrema unzione non passa certo inosservata. Non fosse altro per il nome sull’etichetta.

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le mozzarelle e la caciotte, cilindri di 15 o 12 cm di diametro disponibili nelle varianti con erba cipollina, erbe di Provenza (timo, rosmarino, maggiorana, origano, salvia, prezzemolo, ginepro, alloro, finocchio e santoreggia), con peperoncino tritato o noci sgusciate. A ingrossare le fila piemontesi, tutte tese ad esaltare Sua Maestà il Castelmagno, c’erano Schiavini Davide, di Villafalletto, in provincia di Cuneo, e la Sabaco D’Oc, di Marmora, che seleziona vaccini come Raschera, Bra, Nostrale, caprini come Cevrin e Castagneto, ovini e misti, e una limitata e selezionata scelta di salumi, salame cotto e crudo, pancetta piegata con cotenna e lardo con erbette. Prodotto col latte della mungitura mattutina e di quella serale dei bovini liberi nei pascoli di Castelmagno, Monterosso Grana e Pradleves, e sottoposto a un seconda rottura della

cagliata a distanza di alcuni giorni, il Castelmagno è il fiore all’occhiello della Cooperativa Produttori “Alta Valle Grana”, a una trentina di chilometri da Cuneo, che consorzia 10 soci e alleva circa 400 mucche. Ma la curiosità è un’altra: esiste infatti qualche formaggio stagionato dalla Cooperativa al di fuori dell’egemonia del Castelmagno, confezionato però solo in occasione di fiere o eventi spot, dall’estetica suadente e coreografica, come il Babau dla faja, affinato sotto foglie e spezie, o il Barricato con mosto di Nebbiolo, o il Generaj del fen, messo a maturare sotto un letto di fieno. Alla fine di questo tour, finora orientato a nord, va citata la Società Agricola Masseria Salernitana, che dal 2006 opera nel mercato del biologico, spin off dell’azienda Nicola Palmieri, congeniato dal figlio Dino. Alla collinare altitudine di 250 m,

immersa nel Parco del Cilento, l’azienda Palmieri si sviluppa su 15 ha dedicati all’allevamento della capra, che regala emozioni intense, come quelle del Cacioricotta caprino del Cilento che ha ricevuto consensi in Francia come in Olanda. Quello fresco è a pasta compatta, di colore bianco, mentre quello stagionato è giallastro, a pasta dura. Tipico del Parco del Cilento, viene chiamato “cacioricotta” perché prima di essere cagliato il latte viene portato ad una temperatura compresa tra gli 85 ed i 90°C. A listino anche toma stagionata tre mesi, ricotta fresca e salata e tomini sottolio. Fabio Butturi Nota Appuntamento per il decennale di Fa’ la cosa giusta! dal 15 al 17 marzo 2013; www.falacosagiusta.org; foto: Ufficio Stampa Fa’ la cosa giusta.

Aziende agricole

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Il Grifo Via Lasagni 29 A/B (42122) Bagno, Reggio Emilia Telefono: 0522 342052 E-mail: ilgrifo@ilgrifo.it Web: www.ilgrifo.it

Biocaseificio Tomasoni Via Roma 30 (25023) Gottolengo, Brescia Telefono: 030 951007 E-mail: info@biocaseificiotomasoni.it Web: www.biocaseificiotomasoni.it

Azienda Agricola Tenca Via Valle 3 (26040 Casalmaggiore (CR) Telefono: 0375 254201 E-mail: agricolatenca@alice.it Web: www.agricolatenca.it

Schiavini Davide Via Fossano 66/A 12020 Villafalletto, Cuneo Telefono: 339 2244100 E-mail: davide.schiavini@alice.it

Co.A.Fra. Cooperativa Agricola Fraternità Via al Cavarot Cernusco S/N, Milano Telefono: 02 9249433 – 02 9231981 E-mail: consumo@nibai.it Web: www.nibai.it

Sabaco D’Oc Srl Borgata Finello 2 (12020) Marmora, Cuneo Telefono: 0171 687449 E-mail: info@sabacodoc.it Web: www.sabacodoc.it

Ditta Gamba Edoardo di Pierluigi Gamba Srl Via Mazzini 105 (24018) Villa D’Almè, Bergamo Telefono: 035 541126 E-mail: claudia@salumificio.it Web: www.salumificio.it

Produttori Alta Valle Grana Scarl Caseificio Cooperativo Via Provinciale 2/a (12027) Pradleves, Cuneo Telefono: 0171 986101 E-mail: caseificiovallegrana@libero.it Web: www.vallegrana.it

Società Agricola Cooperativa Liriodendro Via Carolina 30 (10071) Borgaro Torinese, Torino Telefono: 011 4591797 E-mail: info@liriodendro.it Web: www.liriodendro.it

Società Agricola Masseria Salernitana Srl Contrada Cannito 2/B 84047 Capaccio Paestum, Salerno Telefono: 0828 821600 E-mail: aziendapalmieri@tiscali.it

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Le cento mani di questa terra

Lo scorso aprile si è svolto presso il Relais Corte Pallavicina dei fratelli Spigaroli a Polesine Parmense il primo meeting dell’Associazione emiliano-romagnola Chef to Chef (www.cheftochef.eu) intitolato “Le cento mani di questa terra”. Un incontro per “ascoltare, parlare, capire quando e perché il cibo diventa cultura”. In foto alcuni protagonisti dell’evento. 1) Aldo Zivieri, dell’omonima macelleria di Monzuno, e Piero Guglielmi di Strapper. 2) Le delizie dell’Antica Corte Pallavicina. 3) Tito Tortini, presidente del Consorzio Culatello di Zibello Dop. 4) Lorella Ferrari del Consorzio Salumi Dop Piacentini. 5) Veronica Vandelli, Ca’ Berti, e Fabio Altariva, Fattoria Moretto, a rappresentare l’associazione Simposio dei Lambruschi. 6) Mario Gambigliani Zoccoli, presidente del Consorzio Produttori Antiche Acetaie. 7) Angela Sini di Cantina della Volta di Bomporto di Modena. 8) Michele Berini del Consorzio Parmigiano Reggiano, sezione di Parma.

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Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar Premiata Salumeria Italiana, 3/12 125 perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


16ª edizione del Salone Internazionale dell’Alimentazione di Parma

Cibus 2012: qui si lavora, altro che chiacchiere di Gaia Borghi

I

niziare la giornata con un blini al caviale, proseguire deliziata da un carpaccio di ananas con prosciutto crudo di Modena e terminarla con un boccone di mozzarella di bufala campana immerso nel cioccolato. Tutto questo può capitare solo a Cibus, il Salone internazionale

dell’alimentazione di Parma giunto quest’anno alla sua sedicesima edizione. Conclusosi giovedì 10 maggio nel tardo pomeriggio, con le solite code formatesi nelle strade intorno alla fiera, a dimostrazione che da questo punto di vista tanto c’è ancora da fare, ha riunito nei sette padiglioni completamente rinnovati di Fiere di Parma 2.300 espositori, oltre 60.000 visitatori e, fatto da non trascurare, più di 1.000 buyer stranieri direttamente selezionati, ospitati e gestiti dall’ente organizzatore. Proprio questa cospicua e, soprattutto, qualificata presenza è stata

tra le cose maggiormente apprezzate dalle aziende espositrici. «Il mio commento sulla fiera? Va al di là di ogni nostra aspettativa» ci dice un più che compiaciuto ENRICO DELFINI, della Nuova Boschi Spa di Felino. «Quest’anno ho notato che tra gli stand mancavano alcuni grandi nomi del comparto della salumeria italiana. Paradossalmente, dal nostro punto di vista, forse questo è stato un bene, così abbiamo lavorato di più». «Cibus ha fatto un grande salto di qualità in termini delle strutture» continua Delfini. «Inoltre, devo fare i miei complimenti ai dirigenti di Fiere

Al termine della fiera, i visitatori sono stati 63.000 e i giornalisti accreditati circa mille.

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Il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Mario Catania durante l’inaugurazione del salone. di Parma: hanno fatto realmente un grandissimo lavoro, portando in città tantissimi buyer stranieri, operatori competenti che girano tra gli stand, chiedono, discutono con grande professionalità. Le fiere sono cambiate — conclude — è difficile firmare dei contratti come accadeva in passato. Ma i con-

tatti sono stati davvero tantissimi e non possiamo nascondere la nostra soddisfazione». Insomma: chi era indeciso o stanco, per via di richieste rimaste inascoltate, ha fatto scelte diverse, dirigendo il proprio interesse verso altre latitudini, mentre chi ha deciso di essere presente ancora una volta

Parma non ha avuto di che lamentarsi. BRUNO ROSSI, del Salumificio Rossi–Ca’ di Parma, ci conferma il generale gradimento manifestato dagli espositori presenti che abbiamo interpellato. «La fiera è molto bene organizzata. Io la considero un modo per incontrare amici e clienti di vecchia data e condividere con loro i nostri prodotti: culaccia, culatello, salame Felino e strolghino…». La salumeria parmense di eccellenza, insomma, meglio di qualsiasi altro benvenuto. Maggiori servizi, abbiamo detto, nuovi parcheggi, un’area espositiva di 120.000 metri quadrati alimentata da un grande impianto fotovoltaico. «A settembre dello scorso anno — ha spiegato il presidente di Fiere di Parma FRANCO BONI — abbiamo concluso il rinnovo del quartiere fieristico, che oggi ci garantisce funzionalità e possibilità di nuovi sviluppi, grazie a servizi decisamente migliorati rispetto al passato». «Credo che la capacità di Fiere di Parma di proporsi come soggetto aggregante — ha poi commentato l’AD di Fiere di Parma ANTONIO CELLIE — sia l’elemento chiave per capire il lavoro che stiamo svolgendo da tre

Levoni presenta il nuovo marchio a Cibus Nello stand della Fiera di Parma è stato il claim Orgogliosamente buoni ad inaugurare il nuovo secolo di Levoni che accompagna un marchio rivisitato nel segno della continuità. Il senso dell’orgoglio è la naturale conseguenza del precedente motto che faceva forza sulla bontà e sulla qualità dei prodotti. E chi fa bene il proprio lavoro non può esserne che orgoglioso. È questa la scelta fatta da Levoni: lavorare con una qualità industriale con attenzione artigianale per conservare il senso di appartenenza e di identità di un’azienda che iniziò un secolo fa e che oggi serve mille e mille botteghe con quella stessa etica ricerca del buono e del sano. È questa la filosofia di una famiglia che dà il nome a un grande gruppo che è presente in oltre 50 Paesi con un catalogo che conta più di 300 prodotti, per quattro grandi famiglie: Salami, Orgogliosamente irresistibili; Prosciutti crudi, Orgogliosamente nostri; Prosciutti cotti, Orgogliosamente italiani; Mortadelle, Orgogliosamente delicate.

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Le mortadelle Giganti e Supergiganti rappresentano il vanto dell’azienda Veroni. Anche per questa edizione della fiera, il salumificio di Correggio (RE) era presente con la Mortadella Guinness 2012. anni e culminato con questo Cibus dei record. Un ruolo collaborativo per dialogare con tutti i soggetti virtuosi: da FEDERALIMENTARE ad Anuga, dai Consorzi di promozione (alcuni dei quali hanno addirittura la sede nel quartiere) a Slow Food, dall’ICE alle Camere di Commercio. Ne è nato un lavoro di squadra alla base di un’e-

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dizione vincente, con un quartiere all’altezza». Proprio Cellie, nella giornata di apertura del salone, in una conferenza stampa congiunta con Gerald Böse, CEO di Fiere di Colonia, aveva illustrato quello che è stato definito il “Patto d’acciaio italo-tedesco” ovvero l’accordo «tra due realtà di punta del panorama fieristico alimentare

internazionale per andare assieme sui nuovi mercati, specialmente quelli asiatici». A tagliare il nastro inaugurale del salone parmense la presenza importante delle istituzioni, con i ministri delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, MARIO CATANIA, e dello Sviluppo economico CORRADO PASSERA, il quale, intervenendo all’assemblea di FEDERALIMENTARE, ha dichiarato: «venire in posti come questo è utile per tirarsi su di morale. Il settore dimostra che l’Italia ce la può fare». Cibus, ha detto Catania, «dimostra quanto sia fondamentale l’agroalimentare italiano, che è un assett insostituibile per il rilancio del Paese». «Per molto tempo — ha proseguito il ministro — ci eravamo dimenticati di questo importantissimo comparto, ma ora vogliamo accompagnarne al meglio lo sviluppo per rilanciare tutto il “sistema Italia”. Il settore agroalimentare, anche in un momento di crisi complessivo, ha la capacità di farsi valere e fare impresa. Questo mi rende fiducioso e vorrei che fosse chiaro quanto il comparto ha dato e dà in termini di ricchezza e lavoro». L’agroalimentare, ha concluso Catania, «deve essere un modello per tutta l’economia. Il comparto ci chiede tanto: la nostra massima attenzione va infatti ora alle questioni di ordine tributarie e, anche se il contesto rimane difficile, possiamo avviarci alla fase di rilancio che ormai deve accompagnare con politiche di crescita quello di rigore». All’inaugurazione di Cibus è intervenuto anche il presidente di CONFAGRICOLTURA MARIO GUIDI, auspicando «che dalla crisi che sta colpendo l’agricoltura e l’industria possa nascere un’Italia diversa, dove si dia la giusta importanza ad un settore, come l’agroalimentare, che deve essere primo non solo in Italia, ma anche nel mondo». La Piazza dell’Alimentare italiano, “where food meets business”, si conferma dunque come luogo di confronto, il più possibile concreto, con convegni ad hoc e «desk dedicati ad alcuni Paesi strategici come l’India, gli Stai Uniti, la Germania e il Giappone» ha sottolineato la brand manager

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In alto: Enrico Delfini e famiglia Aimaretti, titolari della Nuova Boschi Spa. Al centro: i fratelli Dino, Annarita e Carlo Negrini. In basso: Davide Nini, Giorgia Vitali, Anna Anceschi e Marco Valmori del Consorzio del Prosciutto di Modena Dop.

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di Cibus ELDA GHIRETTI. «Il nostro obiettivo — ha spiegato la Ghiretti — era quello di riunire tutta la filiera, dagli agricoltori di CONFAGRICOLTURA ai Consorzi delle DOP e IGP, dai produttori industriali di salumi, formaggi e pomodoro a quelli del surgelato, dai produttori di prodotti tipici delle varie Regioni alla Grande Distribuzione. La volontà era quella di ragionare assieme, anche grazie ad una sezione convegnistica estremamente ricca, su come affrontare uniti la difficile situazione economica e la conquista dei mercati esteri». Al seminario “India, la nuova frontiera dell’Italian food”, ad esempio, si sono confrontati proprio buyer indiani e aziende alimentari italiane. «I dati parlano di una fascia media di indiani benestanti di circa 300 milioni di persone che sta iniziando a gustare i prodotti italiani, soprattutto pasta, pizza, olio e formaggi. Questo mercato rappresenta una grande potenzialità sia perché la cucina italiana è la più conosciuta in India tra le cucine straniere, dopo quella cinese, sia perché si sta sviluppando in India una rete di supermercati che può aiutare a far conoscere i nostri prodotti» hanno dichiarato CESARE AZZALI, direttore dell’Unione Parmense Industriali, SAVITA SURI, COO di Octagona India, GAURAV MARYA, presidente di Franchise India e gli altri protagonisti del convegno. «Naturalmente per entrare in questo mercato occorre conoscere e capire la cultura indiana: per esempio, è importante ricordare che il 70% degli Indiani è vegetariano e quindi il mercato di questo Paese è aperto per formaggi, latte, siero di latte, yogurt, gelati e simili». Sempre in tema di esportazione a Cibus è stata presentata una ricerca a cura di MRA-Management Resources of America su “I consumi fuori casa (HO.RE.CA.) negli USA” e sulla conseguente grande opportunità per i prodotti autentici italiani. La buona, anzi, ottima notizia è che l’export italiano negli USA potrebbe tranquillamente triplicare. Quella cattiva? Il fenomeno imitativo dei prodotti italiani, da qualche tempo in netta crescita: sugli scaffali dei supermercati americani, infatti, si

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troverebbero tre prodotti falsi per uno soltanto realmente italiano. Un dato davvero sconfortante. «La soluzione passa per una sensibilizzazione sul tema dell’Italian sounding sulla sempre più ampia fascia di foodies americani — ci dicono i relatori — una fascia colta che segue testate specializzate e programmi televisivi, come quelli dello chef Giada De Laurentis, divenuta una vera celebrità. Poi si auspica un intervento di tipo formativo su quel vasto strato di cuochi di secondo livello, prevalentemente sudamericani, molto presenti nei ristoranti americani, servendosi eventualmente di scuole di cucina italiane, naturalmente con un sostegno istituzionale in questo tipo di operazione». Sul valore dell’origine geografica dei prodotti si è parlato al convegno organizzato da AICIG, l’Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche. Tra le new entry, vale a dire le produzioni che hanno recentemente ottenuto la denominazione d’origine, ci sono il limone di Rocca Imperiale (Cosenza) dal profumo forte ed intenso, l’olio extravergine Vulture di Potenza, la Cinta senese, una razza suina antica le cui carni sono particolarmente adatte per la realizzazione di salumi, e la susina di Dro, Taranto. Loro la DOP l’hanno ottenuta qualche anno fa, nel 1996 per essere precisi, ma qualche novità a Cibus ce l’hanno voluta raccontare. «Abbiamo recentemente confermato le due massime cariche del Consorzio» ci racconta DAVIDE NINI, presidente, rieletto, del Consorzio del Prosciutto di Modena. «Insieme alla mia posizione è stata riconfermata quella di GIORGIA VITALI, vicepresidente, mentre è stata nominata direttrice ANNA ANCESCHI, già responsabile delle relazioni esterne». Attualmente il Consorzio del Prosciutto di Modena conta 11 produttori e 1 macellatore. La produzione di prosciutto stagionato “Modena” avviene in prosciuttifici di diverse dimensioni, per lo più contenute, ma con identiche modalità. «L’attività del Consorzio — spiega Nini — è finalizzata alla promozione e valoriz-

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In alto: lo stand del gruppo Levoni di Castellucchio (MN). Nei quattro giorni di Cibus, Levoni ha presentato tantissimi appuntamenti, seguitissimi da buyer e amanti della buona tavola. Al centro: il Salumificio Mec Palmieri. In basso: la Leoncini Srl Industria Salumi.

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Giuseppe Artuso, direttore generale del Gruppo Brendolan, insieme ai suoi collaboratori. zazione del prosciutto di Modena ed in particolare al mantenimento ed alla salvaguardia di quelle caratteristiche organolettiche e nutrizionali specifiche che forniscono al consumatore

le garanzie di salubrità e genuinità richieste ad un prodotto tipico». «Gli obiettivi del Consorzio per prossimo triennio — continua Nini — sono il rafforzamento del legame

Inalca Spa e Montana Alimentari Spa, società del Gruppo Cremonini specializzate nei settori della produzione, commercializzazione e distribuzione di carni, salumi e snack, erano presenti al Cibus 2012 con un ampio spazio espositivo, all’interno del quale sono state presentate le ultime novità.

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con le altre DOP e IGP modenesi, al fine di promuovere tutti insieme non soltanto un singolo prodotto ma un intero territorio e, finalmente, una differenziazione del nostro prosciutto. Abbiamo già qualche idea ma per il momento non voglio anticipare nulla». «Trasferire in un unico padiglione, vicino all’ingresso principale, le aziende di salumi e formaggi, è stata una scelta molto positiva» ci dice Anna Anceschi. «Siamo molto soddisfatti dell’andamento della fiera, in considerazione anche di una massiccia presenza di operatori stranieri, tedeschi soprattutto». «Per quanto riguarda la nostra partecipazione a Cibus — continua la Anceschi — nello stand quest’anno abbiamo messo in degustazione anche il prosciutto della linea Fiorfiore Coop, con stagionatura minima di 20 mesi. Un prodotto di grande qualità, servito al banco taglio. Vorrei poi ricordare che il prosciutto di Modena DOP è presente, a libero servizio, anche nella linea “Sapori e Dintorni”

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cosa ci fa un pistacchio di bronte in un pecorino pisano? un sapore inimitabile.

custodito in una formula originale brevettata. Questo pecorino, prodotto solo con il pregiato Pistacchio Verde di Bronte D.O.P., è uno dei formaggi piĂš apprezzati dell’intera famiglia delle Delizie. La presenza dei pistacchi lo rende particolarmente adatto come aperitivo o antipasto.

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1) Il Consorzio del Prosciutto di Parma in mostra a Cibus. 2) Alfieri, pasta artigianale, secca, all’uovo e speciale, da Magliano Alfieri (CN). 3) Luisa Falchi Vecchi del Salumificio Vecchi con alcuni collaboratori. 4) Chiapella, salumieri in Langa. Nello stand: Alessandro e Elisabetta Chiapella. 5) Bruno Rossi del Salumificio Rossi-Ca’ di Parma Srl. 6) Lo stand del Gruppo Suincom. di Conad. Lo dico perché a volte il consumatore fa fatica a reperire il nostro prodotto ed è molto importante agire in questa direzione, migliorando la comunicazione verso gli acquirenti finali». Rimanendo in “zona” Emilia, ascoltiamo il parere di MARIA LIVIA M ANICARDI , titolare dell’Azienda Agricola Manicardi, produttrice di

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Lambrusco ed Aceto Balsamico di Modena. «La mia impressione è positiva. L’affluenza dei visitatori è stata intensa, magari in misura minore rispetto al passato, ma decisamente più specializzata. Probabilmente, nel bene e nel male, quest’anno è mancata quella fetta di appassionati e curiosi che caratterizzava il salone nelle edizioni precedenti».

Sana nutrizione, elisir di lunga vita Nell’ambito di Pianeta Nutrizione, il forum multidisciplinare sulla sana e corretta nutrizione che si rivolge a medici e a operatori della salute, sono stati trattati interessanti argomenti per i professionisti, gli addetti ai lavori e per il pubblico. Durante il convegno dal titolo “Sana Nutrizione, Elisir di Lunga Vita” si è posto in evidenza

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1) Marilena Peaquin Bertolin del Salumificio Maison Bertolin di Arnad. 2) Il formaggio Monte Veronese Dop. 3) Nello stand della Tanara Giancarlo Spa, Paolo e Gianluca Tanara. 4) La Wolf Sauris Spa. 5) Beppino Occelli. 6) La regina del pattinaggio Carolina Kostner a Cibus, insieme a Grana Padano, per promuovere la cultura della sana alimentazione.

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1) Valeria Braglia Dodi nello stand dell’Acetaia Dodi di Casalgrande (RE) con alcuni collaboratori. 2) Alex e Maurizio Cardamone della Alimentari Buscema. 3) Sante Levoni, titolare della ditta Alcar Uno Spa, con i figli Lorenzo e Luca. 4) Rossano Vitali del Salumificio Vitali con i figli. 5) Nello stand del Centro Carni Sila, Carlo, Tonino, Alessandra e Arturo Falcone hanno presentato i salumi Sus, Nero, Brado, Silano. 6) Andreas Muehlberger di CSB-System Srl e Cesare Fumagalli.

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Dario e Barbara Bordoni del Salumificio Bordoni di Mazzo di Valtellina, Sondrio. come un’alimentazione scorretta possa essere causa di malattie che riducono le aspettative di vita: tra queste le più importanti sono sicuramente le malattie cardiovascolari, le malattie metaboliche e il diabete. Nell’incontro dal titolo “Bambini e obesità” è stato posto l’accento sulla prevenzione e sul necessario coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, dalle autorità sanitarie a quelle che regolano la produzione e la distribuzione dei prodotti alimentari, dalla scuola agli esperti di urbanistica, dal mondo sportivo ai mass media e soprattutto alle famiglie. La crescita della cultura alimentare nella popolazione rappresenta il prerequisito per un più corretto approccio alle scelte alimentari anche in funzione dei possibili impatti che queste hanno in materia di benessere. L’informazione nutrizionale in Italia e nel mondo fino a ieri era caratterizzata da una estrema confusione, contaminata da troppi interessi economici. L’autorità sanitaria europea in materia di nutrizione (EFSA) ha recentemente regolamentato questa tematica per migliorare lo stato di nutrizione della popolazione basandosi su un corretto approccio di medicina basata sulle evidenze. Durante l’incontro “Etichettatura nutrizionale e i claims pubblicitari” sono state esaminate ricerche scien-

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In alto: Stefano Busti dell’omonimo Caseificio di Acciaiolo di Fauglia. Al centro: le sorelle Alessandra e Mariangela Grosoli, Aceto Balsamico del Duca. In basso: Nicoletta Montorsi dell’azienda D’Autore e Sara Mongiorgi del Prosciuttificio Antica Pieve.

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Nello stand della Jupiter Srl, Marcello Parmeggiani. Dal 1998 l’azienda di Oricola, L’Aquila, ai piedi del Gran Sasso, è specializzata nella produzione di würstel. tifiche che permettono di vantare proprietà benefiche per questo o quel prodotto alimentare e come l’etichettatura nutrizionale dei vari prodotti possa contribuire a scelte alimentari più adeguate alla salute. Il simposio si è avvalso del contributo di esperti delle più importanti istituzioni nazionali ed internazionali. Le novità per il 2013 Prima della presentazione della 17ª edizione di Cibus, nel maggio 2014, Fiere di Parma ha annunciato due novità per il 2013: il Cibus Global Forum e la co-organizzazione del Thaifex a Bangkok con Fiera di Colonia. Il “Cibus Global Forum: Food for the Future”, in particolare, si terrà a Parma dal 16 al 18 maggio e tratterà della correlazione virtuosa tra l’alimentazione e lo stile di vita italiani e lo sviluppo sostenibile. Avrà la forma di un forum internazionale, con convegni sui temi dell’alimentare italiano, completato da una sezione espositiva ridotta ma rappresentativa della filiera, dalle materie prime al prodotto finito, passando per le tecnologie di trasformazione e confezionamento. Gaia Borghi In alto: Stefania Folli insieme a capo area e agenti Nuova Boschi. Al centro: il Salumificio San Pietro. In basso: il Salumificio Golfera in Lavezzola, Ravenna.

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>> Link: www.cibus.it

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È venuto a mancare Pier Luigi Gualerzi, grande maestro prosciuttaio Domenica 22 aprile si è purtroppo spento, a soli 63 anni dopo una malattia, Pier Luigi Gualerzi, unanimemente reputato dagli addetti uno dei più grandi maestri prosciuttai che si ricordi. Un uomo che aveva fatto del lavoro la sua missione e della famiglia il suo punto fermo: da amici, collaboratori e colleghi era stimato, oltre che per le sue capacità, anche per la sua onestà e rettitudine morale. La lavorazione dei prosciutti è nel DNA della famiglia da almeno tre generazioni, da quando il nonno cominciò l’attività: infatti, la ditta Gualerzi Spa, con sede a Pilastro di Langhirano (PR), è produttrice dal 1924 di salumi tipici del comprensorio parmense, coniugando alla tradizione artigianale una tecnologia di lavorazione all’avanguardia. Dopo il nonno fu la volta del padre di Pier Luigi, Tonino; ora sarà il momento dei figli Romeo e Pier Antonio, rappresentanti della quarta generazione, ai quali toccherà l’onere e l’onore di portare avanti quanto realizzato fino ad oggi, continuando a far prosperare l’azienda in accordo con i principi che da tempo contraddistinguono la loro famiglia. Valori forti e solidi radicati nel territorio, col sacrificio, l’abnegazione e la tenacia a far da motore trainante di quel know-how che ha permesso a Pier Luigi Gualerzi di far conoscere ed apprezzare i suoi prosciutti in tutto il mondo. «Lavorava dalle 7 del mattino alle 9 di sera, sabato e domenica compresi» ci dicono i suoi collaboratori con Pier Luigi Gualerzi. l’amaro in bocca. I suoi pochi momenti di svago e di relax erano segnati dalla pesca e dalla passione per le sue auto d’epoca: grazie a questo hobby aveva ospitato in azienda manifestazioni e raduni automobilistici. Ora che stava per avvicinarsi il momento di una tranquilla pensione, con più tempo da dedicare al relax, ci ha purtroppo lasciati. Le condoglianze più sentite da Premiata Salumeria Italiana ai suoi famigliari.

I figli, Pier Antonio e Romeo.

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Il Consorzio Aceto Balsamico di Modena a Cibus 2012 Il settore dell’aceto chiede a voce alta la protezione per il termine “balsamico” I Consorzi per la tutela dell’Aceto Balsamico di Modena IGP, dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP e dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia DOP hanno presentato i risultati di un progetto per la tutela e la valorizzazione di questi tre prodotti a denominazione protetta ad una conferenza stampa organizzata presso lo spazio AICIG a Cibus 2012, alla presenza di rappresentanti istituzionali tra cui il direttore generale MIPAAF, Giovanni Piero Sanna, e il dirigente dell’Assessorato all’Agricoltura della Regione Emilia-Romagna, Alberto Ventura. Il progetto, svolto con la collaborazione e il contributo del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, è partito dalla constatazione che un numero crescente di prodotti imitativi sta minando l’economia e i risultati dei produttori di questi aceti, che senza dubbio costituiscono un fiore all’occhiello della produzione agroalimentare italiana di qualità, sia per immagine che per volumi. In particolare, l’Aceto balsamico di Modena IGP si posiziona tra le prime dieci denominazioni italiane, con una produzione che nel 2011 ha superato i 95 milioni di litri, ma soprattutto con un export dell’85%, che lo pone al vertice di tutte le IGP e DOP nazionali. «È proprio questa eccezionale quota di export che ci rende difficile proteggere il nostro prodotto: infatti i produttori di molti Paesi, attratti dal successo commerciale dell’aceto balsamico di Modena, pensano di produrre localmente un prodotto simile, e lo commercializzano — a bassa qualità e prezzo — con il nome “aceto balsamico”, spesso in italiano e con ampi riferimenti grafici a simboli e usanze tipiche della nostra penisola come le colline con i cipressi, la mozzarella e il pomodoro eccetera» sostiene il presidente del Consorzio Aceto Balsamico di Modena, Cesare Mazzetti. «Il fenomeno ha raggiunto livelli di allarme: NOMISMA ha stimato che nei soli centri commerciali USA la quota di prodotto contraffatto supera il 20%, e per questo il Ministero delle Politiche Agricole ha deciso di dare il proprio sostegno ai Consorzi dei produttori» afferma Sanna. «Un sostegno che non finisce con il finanziamento del progetto conclusosi, ma anzi proseguirà più forte nelle nuove azioni di difesa che i produttori dovranno sostenere». Sanna ha rilevato che nel Ministero delle Politiche Agricole è in corso un processo di riordinamento delle funzioni, che permetterà anche di raggiungere il miglior coordinamento tra gli uffici della Direzione Generale e quelli ispettivi, come auspicato da molti Consorzi. Le Regioni dovranno avere un peso maggiore nel monitorare e indirizzare l’azione di Governo, come auspicato anche dal Ministro Catania. Il Progetto ha effettuato ricerche di prodotti imitativi in Europa e in altri Paesi, e ha raccolto una vera e propria collezione di contraffazioni, visitabile presso la sede dei Consorzi a Modena. «Inoltre, ha messo a punto alcune strategie giuridiche di difesa, che dovranno essere ora potenziate — sostiene Enrico Corsini, presidente del Consorzio Aceto balsamico Tradizionale di Modena — anche se alcuni significativi risultati sono stati ottenuti: una famosa catena di fast food ha riconosciuto i nostri diritti, e ha sostituito una bustina erroneamente chiamata balsamico dressing con una contenente il vero Aceto Balsamico di Modena Il presidente del Consorzio Aceto Balsamico di MoIGP». È stato infine implementato il sito tutelabalsamico.it perché dena, Cesare Mazzetti, e il direttore generale MIPAAF, chiunque possa apprendere le caratteristiche dei prodotti originali Giovanni Piero Sanna. e segnalare eventuali contraffazioni. Aceto Balsamico di Modena, studiati i parametri di qualità Sono stati presentati sempre a Cibus gli esiti di una ricerca svolta dal CRA-Consiglio per la Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura su un numero significativo di campioni commerciali di Aceto Balsamico di Modena IGP e rivolta alla valutazione del contenuto di alcune sostanze-target in funzione del tempo di invecchiamento. Ad illustrarli, il professor Massimiliano Valentini del CRA, che ha presentato un’analisi delle molecole con proprietà nutrizionali riconosciute, come gli antociani e i polifenoli, e altri elementi che influenzano in modo significativo la qualità del prodotto, come la frazione volatile, ovvero l’insieme delle sostanze che determinano la gradevolezza e la percezione sensoriale nei consumatori. Afferma Valentini: «Oltre che sotto al profilo nutrizionale, i dati evidenziati dalla ricerca, dopo un eventuale opportuno approfondimento, mostrano la possibilità di utilizzo per un sistema di tracciabilità e controllo dei prodotti Igp in commercio, nell’ottica di una garanzia ulteriore ai consumatori e ai produttori, a disposizione degli Organismi di Vigilanza e di Controllo, nonché dei Consorzi di Tutela». >> Link: www.consorziobalsamico.it

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Vino Una storia che parte da lontano e… dall’alto

Vini del Montecucco, toscani emergenti di Elena Benedetti

È

stata presentata di recente a Milano una selezione di vini Montecucco, un rosso toscano emergente. Al banco d’assaggio erano presenti una trentina di etichette di altrettante cantine. Questo vino, prodotto alle pendici del monte Amiata, in provincia di Grosseto, dalla vendemmia 2011 ha ottenuto la denominazione di origine controllata e garantita. È cambiato anche il sistema delle DOC che, oltre al Montecucco Rosso, Montecucco Bianco e Montecucco

Vermentino, oggi comprende nuovi gioielli enologici: il Montecucco Rosato, il Montecucco Vin Santo e il Montecucco Vin Santo Occhio di Pernice. I vini del Montecucco nascono dalle uve coltivate in 7 comuni: Arcidosso, Campagnatico, Castel del Piano, Cinigiano, Civitella Paganico, Roccalbegna e Seggiano. In particolare la tipologia Montecucco Sangiovese DOCG è il gioiello enologico della Maremma toscana, un grande rosso ottenuto con una delle rese per ettaro più basse d’Italia: appena 70 quintali

di uva per ogni ettaro di vigna. Vigne che sono situate tra i 150 e i 400 metri sul livello del mare, alle pendici del monte Amiata, in una zona il cui clima fresco e ventilato è influenzato dalle correnti in arrivo dalle aree interne dell’Italia centrale, dall’aria marina della costa tirrenica e dall’Argentario. Questo microclima unico, congiunto a un territorio ideale, nonché a un sapere “tecnico”, fa del Montecucco un’area di enormi potenzialità e una destinazione enoturistica di eccellenza. Dalla vendemmia 2011 decorrono

I produttori del Consorzio del Montecucco.

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le nuove regole per i produttori che rivendicano la DOCG Montecucco Sangiovese. Il Disciplinare di produzione prevede l’utilizzo di almeno il 90% di vitigno sangiovese, anche per la Riserva, e l’invecchiamento minimo di 12 mesi in legno e 4 in bottiglia, che passano a 24 e 6 per la tipologia Riserva. Le rese per ettaro scendono a 70 quintali. Sempre da quest’anno sono cambiate le regole produttive anche dei vini DOC, che si arricchiscono inoltre di nuovi gioielli. Il nuovo Disciplinare del Montecucco DOC prevede le tipologie: Rosso, Bianco, Rosato, Vermentino, Vin Santo e Vin Santo Occhio di Pernice. Il Rosso prevede un minimo di 60% di uve sangiovese e nessun passaggio in legno obbligatorio. È pronto al consumo il primo settembre dell’anno successivo alla vendemmia. La versione Rosso Riserva fa invece 12 mesi di legno e 6 di affinamento in bottiglia e va in commercio a partire dal primo di novembre due anni dopo la vendemmia. Il Montecucco DOC Bianco è fatto con uve vermentino e/o trebbiano in quantità non inferiore al 40% dell’uvaggio, il Rosato con almeno il 70% di uve sangiovese e/o ciliegiolo “vinificate in rosato”. Il Vermentino è ottenuto da almeno l’85% di vitigno vermentino. Infine, il Vin Santo, da malvasia bianca, grechetto e trebbiano per almeno il 70%; e il Vin Santo Occhio di Pernice, fatto con le uve rosse della varietà sangiovese (almeno il 70%), due tipologie, queste ultime, molto legate alla tradizione vitivinicola toscana. Per i produttori e i soci del Consorzio del Montecucco il cambiamento rappresenta un passo importante ma, afferma il presidente del Consorzio del Montecucco, CLAUDIO CARMELO TIPA, «questo vuol dire anche maggiore coesione e coraggio, e un’esortazione a continuare a lavorare con passione e serietà per rendere il Sangiovese dell’Amiata una realtà importante anche a livello internazionale». Poco più di dieci anni fa, con il nome del Montecucco DOC venivano prodotte poche decine di migliaia di bottiglie e sul territorio si contavano una decina di cantine. Tra il 2000 e il 2010 il Montecucco DOC si fa largo nella costellazione dei grandi

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I vini del Montecucco nascono dalle uve coltivate in sette comuni delle Maremma toscana, in provincia di Grosseto, alle pendici del monte Amiata, in una zona tra i 150 e i 400 metri sul livello del mare, con clima fresco e ventilato. vini toscani, crescendo in qualità e quantità. Un passaggio fondamentale per lo sviluppo della denominazione è stata la nascita del Consorzio di Tutela, fondato da 21 produttori nel 2000, due anni dopo il riconoscimento della DOC. La capacità di essere quotidianamente al fianco dei produttori, l’attività di promozione del marchio, l’attenzione posta alla qualità del prodotto finito, sono tutti elementi che hanno permesso al Consorzio di conquistare la fiducia delle aziende locali più importanti, alle quali si sono aggiunte con il tempo alcune

delle più importanti case vitivinicole nazionali. Dopo il 2000 la denominazione è cresciuta nei numeri, ma l’ultimo decennio è stato determinante anche per gli investimenti in nuovi vigneti e cantine. Un fenomeno ancora più interessante, se si pensa che la DOC Montecucco è stata riconosciuta soltanto nel 1998. A distanza di tredici anni i produttori oggi vantano la DOCG per la tipologia Montecucco Sangiovese. Elena Benedetti >> Link: www.consorziomontecucco.it

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I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: Bardolino di Laura

N

el corso del Banco d’assaggio Chiaretto & Bardolino svoltosi domenica 11 marzo a Lazise, abbiamo assaggiato l’annata 2011 di questa denominazione e scelto i migliori 6 vini nella versione spumante, che così bene si abbina alla calura dei mesi estivi. I principali vitigni autoctoni dell’area del Bardolino sono la Corvina, il Corvinone, la Rondinella e la

Molinara, utilizzati anche per la versione spumantizzata. L’area di produzione del vino Bardolino si estende su una superficie totale di oltre 25.000 ha, compresi in 16 comuni dell’anfiteatro morenico orientale del lago di Garda. Di questi, circa il 40% sono ottenuti nella zona classica e circa il 60% in quella non classica. Attualmente i vigneti iscritti all’albo DOC — distinto per le tipologie produttive

Bardolino Chiaretto Spumante Brut 2011 Fulvio Benazzoli

Bardolino Chiaretto Spumante Fior di Rosa 2011 Guerrieri Rizzardi

Bardolino Chiaretto Spumante Voluttà 2011 Le Tende

65% di uve Corvina e 35% di Rondinella per questo bellissimo calice metodo Charmat di un rosato brillante, con un perlage intenso, fine e costante. Effettua una breve macerazione sulle bucce e una lenta fermentazione con successiva presa di spuma in autoclave, per sei mesi di affinamento. Al naso regala intense note floreali di geranio e tarassaco, un netta nota erbacea dolce, con ricordi di piccola frutta rossa. Al palato presenta una decisa eleganza ed armonia, con una bella e lunga sapidità, equilibrata. Ottimo come aperitivo, va servito ad una temperatura di 6/8°C. Si abbina splendidamente a tutti i piatti di pesce, di mare e di lago, compresi i fritti e le zuppe. Non escludete un calice ghiacciato accanto ad un buon barbecue di carne, ne sarete sorpresi.

Fior di Rosa, rosato spumante extra dry, metodo Charmat, nasce da uve autoctone delle vigne sulle colline di Bardolino caratterizzate da terreni ciottolosi, argillosi e calcarei di origine morenico glaciale, e terreni di medio impasto, sciolto, di origine vulcanica. Sono uve di Corvina, Rondinella, Sangiovese, Molinara e Negrara. Si presenta visivamente come un rosato con riflessi rubini delicati, spuma sottile con grana fine e persistente. Al naso è intrigante, con note vinose e di fragolina di bosco, ricordi di ambra e cipria, delicato e fine il bouquet. In bocca entra morbido e suadente, con una gran bella eleganza ed armonia. Buona la spalla acida, che in equilibrio dona al vino correttezza e bevibilità. Assolutamente adatto come aperitivo, è da provare con frittate di verdure, piatti di pesce, sushi e cucina giapponese.

È prodotto con uve di Corvina veronese, Rondinella e Sangiovese coltivate su terreni morenici e macerate 48 ore con le bucce. Effettua poi 5 mesi in autoclave e 1 mese di affinamento in bottiglia. La gradazione alcolica è di 12°. Visivamente si presenta di un bel rosato chiaro, brillantissimo. Al naso è interessante la nota ferrosa e minerale, data dal terroir, corredata da un’intensa ciliegia sotto spirito e da note floreali a contorno. In bocca le note dolci che abbiamo sentito al naso non tornano, grazie al cielo, ma sorprende invece per la nota fresca e l’equilibrio. Lunga la persistenza, questo gran bel calice è caratterizzato da una facilissima bevibilità. Adattissimo a tutti i finger food e banchetti degli aperitivi, non disdegna il tutto pasto, soprattutto a base di pesce.

Azienda Agricola Benazzoli Fulvio Loc. Costiere 25 37010 Pastrengo (VR) Telefono e fax: 045 7170395 info@benazzoli.com

Guerrieri Rizzardi Azienda Agricola Strada Campazzi 2 37011 Bardolino (VR) Tel.: 045 7210028 – Fax: 045 6212254 mail@guerrieri-rizzardi.it

Le Tende Az. Agr. di Fortuna e Lucillini S.S. – Via Tende 35 37017 Colà di Lazise (VR) Tel.: 045 7590748 – Fax: 045 6499224 info@letende.it

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Chiaretto Spumante Franchini

Bardolino DOC, Bardolino Classico DOC, Bardolino e Bardolino Classico Superiore DOCG, Bardolino e Bardolino Classico Chiaretto DOC, Bardolino e Bardolino Chiaretto Spumante DOC, Bardolino e Bardolino Classico Novello DOC — insistono su una superficie di circa 2.700 ettari, per una produzione media di circa 340-360.000 quintali di uva/anno, corrispondenti a circa 230-240.000 ettolitri,

con punte di 257.000 prodotti nel 2006. I vini DOC prodotti nell’area del Bardolino sono esportati per circa il 70% in quantità e per circa il 60% in valore. I mercati esteri più importanti sono nell’ordine: Germania, Francia, Inghilterra, Canada, Belgio, Danimarca, Stati Uniti e Giappone. Il 30% dei vini Bardolino è consumato in Italia e acquistato soprattutto sul posto e nelle regioni settentrionali.

Bardolino Chiaretto Spumante 2011 Lorenzo Morando

Bardolino Chiaretto Spumante Matì Rosé 2011 Roeno

Bardolino Chiaretto Spumante 2011 Villabella

L’Azienda Agricola Morando Lorenzo si trova sulle prime colline moreniche, a metà strada tra il lago di Garda e la città di Verona. Nasce più di 80 anni fa, grazie al nonno Benvenuto, che negli anni ‘30, a causa della scarsa remunerazione ottenuta dalla vendita dell’uva, decide di iniziare a vinificare. Visivamente senza difetti, di un rosato chiaro molto limpido, al naso regala subito note entusiasmanti. Sono essenzialmente profumi finissimi di ciliegie fresche e pepe rosa, decisa la speziatura a corredo. In bocca è equilibrato e armonico, con una bella sapidità e lunghezza, circolare nei profumi. Molto facile da abbinare, vista la versatilità. Ottimo con tutti i piatti di pesce, da provare con gnocco fritto e salumi, non sfigurerà.

Uvaggio di uve Corvina, Molinara e Rondinella per questo calice rosato brillante. Le uve vengono sottoposte a breve macerazione sulle bucce in contenitori d’acciaio, dove avviene anche la fermentazione. Spumantizza secondo il metodo Martinotti. Al naso regala copiose note aromatiche, molto particolari ed uniche nel panorama del Chiaretto Spumante. Sono sentori erbacei, di salvia e timo, uniti a lievi note fruttate di piccola frutta rossa e marasca lontana. Al palato entra con morbidezza, anche grazie ad una spuma educata e ritorna circolare nei profumi. È equilibrato tra le parti morbide e dure e con un leggero residuo zuccherino, che regala qualche emozione in più all’intensità e durata. Da abbinare alla gastronomia di pesce, ai fritti ricchi e agli aperitivi estivi.

Per produrre questo vino vengono utilizzate uve di Corvina per il 60%, Rondinella 30% e Molinara per il rimanente 10%. La cuvée di vini rosati si ottiene mediante una breve macerazione a contatto con le bucce, un processo di lenta fermentazione (idoneo ad esaltare le fragranze aromatiche delle uve d’origine). Successivamente viene avviata alla lunga spumantizzazione, che avviene in tino chiuso, secondo il metodo Martinotti. È visivamente di un bel rosato brillante, mentre al naso regala profumi di piccoli frutti e di mela croccante, cui si aggiungono sottili memorie di clorofilla e di fiori di campo. Al palato è ampio e si gioca tutte le sue carte sul filo dell’eleganza e della raffinatezza, anche grazie ad un perlage vellutato. Ottimo come aperitivo, perfetto con i salumi cotti della tradizione italiana settentrionale: cotechino, zampone e salama da sugo.

Azienda Agricola Morando Loc. Pigneto 107 37012 Bussolengo (VR) Tel.: 045 7151508 – Fax: 045 7151508 morando.lorenzo@gmail.com

Azienda agricola agrituristica Roeno Via Mama 5 37020 Brentino Belluno (VR) Tel.: 045 7230110 – Fax: 045 7270863 info@cantinaroeno.com

Vigneti Villabella Loc. Cà Nova 2 37011 Calmasino di Bardolino (VR) Tel.: 045 7236448 – 045 7236704 info@vignetivillabella.com

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Storia e cultura

46º Vinitaly

VIP: Visti Io Personalmente di Angelo Valentini

I

l Vinitaly ha sempre rappresentato il termometro della situazione economica e commerciale del vino in italiano: l’edizione 2012 ha registrato “febbre alta”. Per febbre, intendo la grande partecipazione di pubblico e di operatori esteri, interessati ad importare nei loro Paesi i nostri vini. Mi risulta siano stati stipulati contratti importanti con la Cina, gli Stati Uniti, la Russia ed altri Paesi emergenti, dove il vino sta entrando timidamente, ma rappresenta al momento uno status symbol. L’edizione 2012 si può senz‘altro definire all’insegna dell’ottimismo; ho letto nei volti di molti produttori la soddisfazione di vedere nei loro stand tanti operatori interessati al vino di casa nostra, che sta attualmente occupando nel mondo spazi finora riservati al mercato francese.

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In tempi attuali, con l’economia del nostro Paese in crisi, almeno un settore gode di buona reputazione, grazie al prodotto prettamente italiano: c’è da essere soddisfatti, la buona novella premia giustamente gli impegni economici sostenuti da tanti vignaioli che hanno ben lavorato e creduto nei progetti d’avanguardia. Infatti, oggi, possiamo senz’altro affermare di avere le più belle cantine del mondo, progettate da illustri architetti e dirette da valenti enologi, con l’ausilio della tecnologia più avanzata. Nell’arco di questi quarant’anni, nel settore vitivinicolo abbiamo assistito ad un crescendo qualitativo e d’immagine veramente sorprendente, superando bene anche momenti drammatici dovuti agli scandali. La produzione, poi, ha saputo af-

frontare con grande capacità i cambiamenti di tendenza dovuti alle mode, quando alcuni anni si assisteva ad un orientamento verso il vino bianco e altri anni verso il rosso, cosa che poteva disorientare il mondo produttivo; poi è arrivata la moda dei vini mossi, vedi l’espansione e il successo dei prosecchi. L’affermazione più lusinghiera su tutti i mercati l’hanno avuta i nostri spumanti metodo classico, che non hanno niente da invidiare ai tanto rinomati champagne francesi. Nel mare magnum della mia biblioteca, ho ritrovato il catalogo della prima edizione VINITALY risalente al 1971, un volumetto di appena 200 pagine, che annoverava 600 espositori: confrontandolo con il voluminoso catalogo 2012 si può senz’altro affermare che di strada ne è stata fatta tanta.

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L’edizione di questo anno contava più di 4.100 espositori, oltre al padiglione del Sol-Salone Internazionale dell’Olio Extravergine di Qualità e ad Enolitech, vetrina delle nuove applicazioni e tecnologie della filiera eno-olivicola. Di pari passo, ahimè, non si sono evolute tutte le strutture logistiche all’esterno, viabilità, parcheggi, tanto da creare disagi enormi agli operatori, i quali, vivendo la fiera fino all’ora della chiusura, hanno trovato problemi a raggiungere i propri alberghi, tanto da impiegare alcune ore per pochi chilometri di distanza. Un po’ di storia non fa male Prima del 1971 a Verona si svolgevano le giornate del vino; l’idea del VINITALY, Salone delle Attività Vitivinicole nacque dall’intuizione di Angelo Betti, segretario generale della Fiera di Verona, romagnolo verace, uomo d’azione, poco avvezzo a stare dietro una scrivania, che controllava la sua creatura in sella ad una bicicletta, pedalando attraverso gli stand dei vari produttori, raccogliendo plausi e critiche, che affrontava e risolveva nell’immediato. Ho condiviso con Angelo l’appartenenza a diverse confraternite “bacchiche”, tra cui quella del Passator Cortese che egli presiedeva. Originale e curioso era il rituale dell’investitura che Betti aveva coniato: avveniva solitamente a tavola, grazie alla complicità di un buon bicchiere di vino, con il postulante che veniva ammesso al sodalizio. Angelo recitava la seguente formula: «Burdèl, arcordet che gnint te da dmandé, ma semper e sol da dè, quest lè e Capel d’la Societè» (“Ragazzo, ricordati che non devi chiedere niente, ma sempre e solo dare, questo è il Cappello della Società”, Ndr). Si trattava di un cappello marrone a larghe falde che ricordava quello dei briganti dell’epoca, come il Passatore Cortese appunto. I tempi sono cambiati e il VINITALY è diventato l’evento più importante del calendario fieristico veronese. Al timone, condotto per tanti anni dal leggendario Betti, c’è attualmente Giovanni Mantovani, l’uomo giusto per i nostri tempi, in apparenza sornione, ma grande diplomatico

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Il primo catalogo del Vinitaly nel 1971, un volumetto di appena 200 pagine, che annoverava 600 espositori, contro gli oltre 4.100 del 2012. ed attento osservatore, al quale va il merito della grande crescita degli eventi fieristici veronesi. Angelo Valentini

Nota Nella foto a pagina 144 le numerose tessere di partecipazione al Vinitaly di Angelo Valentini.

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Olio

Extrascape, concorso olivicolo internazionale

S

i è conclusa martedì primo maggio, con la proclamazione dei vincitori, la prima edizione di EXTRASCAPE, il concorso olivicolo internazionale che premia non solo il migliore extravergine ma anche il paesaggio. Dall’incrocio tra le valutazioni del panel d’assaggio — presieduto da Maurizio Corbo e composto da assaggiatori internazionali come Gino Celletti, Maria Santarelli, Antonio G. Lauro, Himeyo Nagatomo, Curtis Cord, Pia Mariani e Antonella Pietropaolo — e quelle del comitato tecnico-scientifico interdisciplinare a cura delle tre Università coinvolte — Università La Sapienza di Roma, Università del Molise, Università della Tuscia — e presieduto dai professori Achille M. Ippolito e Fabrizio Toppetti, sono emersi interessanti risultati. Quasi sempre, infatti, all’elevata qualità dell’extravergine corrispondeva un paesaggio giudicato positivamente in termini di bellezza, conservazione, pratiche agricole; solo in tre casi da paesaggi valutati positivamente sono risultati oli giudicati non idonei. Più frequente

il caso di oli validi, ma provenienti da paesaggi compromessi o comunque non adeguatamente conservati e presentati. Un problema, questo, emerso soprattutto tra le aziende italiane e molisane, nonostante l’alto profilo degli oli presentati in concorso. E proprio i temi della conservazione e dell’intervento di recupero e valorizzazione del paesaggio olivicolo anche a fini turistici sono stati al centro del congresso internazionale di studi sul tema L’uomo e il paesaggio olivicolo, in cui esperti internazionali in campo turistico, agronomico e paesaggistico si sono confrontati sui diversi aspetti legati al patrimonio paesaggistico olivicolo mondiale. A margine, i dottorandi delle tre Facoltà coinvolte hanno presentato i risultati del workshop di lavoro sul territorio molisano, di cui hanno analizzato potenzialità e criticità proponendo soluzioni e progetti concreti. Tra i premi del concorso — attribuiti in base alle due categorie di paesaggio tradizionale e paesaggio contemporaneo-innovato, nel caso di oliveti intensivi e presenza di manu-

fatti moderni, e alle diverse tipologie di coltivazione, convenzionale e biologica — spiccano il Gran Premio Extrascape 2012 all’azienda spagnola Casas de Hualdo, che ha ottenuto i punteggi assoluti più elevati sia per il paesaggio (contemporaneo) che per la qualità dell’extravergine monocultivar di Picual, e il Premio speciale che la giuria ha voluto attribuire all’azienda molisana Marina Colonna, per il miglior paesaggio molisano e la grande varietà di cultivar e di tipologie di allevamento presenti. I vincitori hanno ricevuto le targhe in legno d’olivo con il logo della manifestazione, realizzato dall’orafo Michele Di Claudio, e un coupon per l’iscrizione gratuita al portale tematico Olivitalia.it. Sempre martedì sono stati premiati anche i vincitori del concorso fotografico dedicato al paesaggio olivicolo mediterraneo, Extrascape.jpg. Ecco i primi tre classificati: Francesca Bastelli, con Nevicata sugli Olivi; Fabrizio Nocera, con Verde Olivo; Liliana Bastelli, con Bruma mattutina. >> Link: www.extrascape.org

I risultati del primo concorso internazionale Extrascape dimostrano che c’è uno stretto legame tra la qualità dell’olio extravergine e il paesaggio in cui nasce. Ma in Italia dobbiamo imparare a valorizzarlo al meglio. 148

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Dolci

Corrado Assenza, dolce senza confini di Stefania Monaco

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e fosse contemplata tra gli esseri viventi la dicitura Patrimonio dell’Umanità, Noto avrebbe due riconoscimenti: capitale del Barocco uno e l’altro città d’arte pasticcera grazie a Corrado Assenza. Difficile parlar di dolci che dolci non sono. Le barriere, i confini tra dolce, salato, amaro, aspro sono evitate dal maestro-chef-pasticcere: tutto è unicum con sfaccettature impercettibili. Diciamola tutta chi non ha mai avuto l’occasione di mangiare un dolce Assenza farà fatica a capire il concetto, un po’ come quelli che per tutta la vita pensavano di fare l’amore invece era solo sesso. Chi è Corrado Assenza? «Un uomo di 52 anni che fa ciò che gli piace puntando alla concretezza del lavoro: pensieri che partono dalla mente che arrivano all’operato del braccio». Lavoratore instancabile, parte di mattina per visitare il suo giardino d’agrumi, raccogliere arance e portarle in laboratorio dove la squadra la aspetta per la trasformazione. Quanto conta l’innovazione?

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«L’innovazione stimola, cerco di innovare tutti i giorni nel rispetto della materia prima. Il mio modo di organizzare? Si parte dalla tutela di un prodotto agricolo che poi diventa ingrediente arancio, poi candito o marmellata. La creazione è poi questo ingrediente insieme ad un altro ingrediente». Si parla molto, forse troppo nella grande ristorazione, di certe materie prime ineccepibili, amplificandone anche i costi perché le piccole produzioni artigianali non possono essere fabbriche. «Un errore di fondo sulla fascia alta della pasticceria e della ristorazione è un impoverimento culturale della materia prima, adoperata a caso e con pochi percorsi. Il rispetto delle materie prime vuole dire per esempio usare dei pistacchi di Bronte senza necessariamente tostarli, perché così facendo si banalizzano, rendendone il gusto omologato a tutti gli altri pistacchi in commercio». La città di Noto quanto incide? «Incide in positivo come componente naturale e in negativo in senso

umano. Ci tocca essere dei missionari (ma non l’abbiamo scelto), solo per far capire quanta ricchezza c’è e quanto è necessario tutelare e preservare per tramandare. Il mondo esterno ci vive stagionalmente e purtroppo la società locale non la vive come città di cultura». Nonostante l’innovazione e la percezione di nuovo, esiste tuttavia un legame forte con la tradizione. «Certo! C’è la cultura tramandatami dal maestro Roberto Giusto (laurea honoris causa alla seconda elementare), ultimo allievo dell’ultimo pasticcerie di famiglia, il transito da un mio avo a me. Prima compagno di giochi poi mio maestro. Il tipo di cultura a cui mi riferisco è quella tra natura e uomo: non depredo non distruggo, prendo quel che la natura offre. I mandorli di noto Presidio Slow Food dal 1998 non esisterebbero se non ci fosse la mandorla Romana, quella storta e sbilenca che non viene raccolta molto perché è meno richiesta ma è un impollinatore naturale». Non abbiamo fatto una carrellata dei tanti dolci. Basti solo citare il gelato

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Macedonia di frutta di stagione con gelatina di mandorla di Noto Ingredienti per 6 persone • frutta fresca di stagione: arance, limoni, mandarini, arance sanguinello, pompelmo, pompelmo rosa, mela • 150 g crema di mandorla di Noto “Caffè Sicilia” • 500 g acqua • 45 g amido di grano • 180 g marmellata di pompelmo rosa “Caffè Sicilia” • 30 g cadauno di Mielarò® zenzero, limone, arancia, bergamotto “Caffè Sicilia” • 24 g granella di fava di cacao

Procedimento Scegliete la frutta dal vostro abituale fornitore di fiducia dando la preferenza a quella più matura ed ancora soda, a quella della vostra zona, proveniente da agricoltura biologica. Lavatela, asciugatela e fatela in pezzi non troppo grossi né minuscoli, comunque di pezzatura costante. Abbiate la cura di separare la frutta rossa da quella gialla: il rosso macchierebbe i frutti più chiari diminuendo la resa cromatica della preparazione. Riponetela coperta in frigo in modo che non avvizzisca. Due ore prima dell’utilizzo aggiungete alla frutta conservata i Mielarò®: zenzero e arancia per i frutti a polpa gialla; limone e bergamotto in quelli a polpa rossa. Riponete in frigo. Per la gelatina di mandorla: sciogliete 150 g di crema di mandorla di Noto in 400 g di acqua. Setacciate per eliminare il residuo grosso di mandorla e sciacquate con altri 100 g di acqua. Unite al vostro latte di mandorla così ottenuto 45 g di amido di grano; ponetelo sul fuoco in un piccolo tegame mescolando in continuo fino a bollore. Togliete la vostra crema dal tegame e ponetela a raffreddare in un recipiente immerso in un bagnomaria di acqua e cubetti di ghiaccio. Rimestate con un cucchiaio di tanto in tanto fino al raffreddamento della gelatina. Ponetela a solidificare in frigo coperta per evitare di creare una patina dura. Assemblaggio: in una ciotolina di vetro o plastica ponete sul fondo 30 g di marmellata di pompelmo rosa “Caffè Sicilia”. Sformate su un tagliere la gelatina di mandorla ed affettatela in modo da ottenere delle strisce a sezione quadrata di 5 x 5 mm. Ponetene 80 g sopra la marmellata di pompelmo rosa. Sgocciolate la frutta con l’aiuto di un setaccio e adagiatela in parti uguali sopra la gelatina. Decorate con la granella di fave di cacao e lo sciroppo di marinatura della frutta, aggiunto con moderazione. Servite fredda.

all’insalata assoluta (cipolla, pomodoro e insalata), il gelato di pane, i cannoli leggeri come nuvole (circa 20 grammi), le granite (tra cui quella sublime di fico bianco e peperoncino), le confetture di cedro di bergamotti, di mandorle, i mielarò, le torte generose; ma perché non ci regali una ricetta che si trova al Caffè Sicilia? «Certo, la mandorlata di frutta mi sembra perfetta». Grazie Corrado per la tua garbatezza e per le emozioni che ci regali, sempre e comunque. Stefania Monaco

I Mielarò® al peperoncino, al pepe bianco e al bergamotto. Simili ad un distillato, sono un concentrato di aromi e spezie diverse.

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Caffè Sicilia Pasticceria Gelateria Corso Vittorio Emanuele III, 125 96017 Noto (SR) Telefono: 0931 835013

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Libri

Non manchi dal tuo scaffale! Un libro prezioso sul maiale e la tanta cultura cresciutagli addosso di Manrico Murzi

U

n volume di eccezionale rilevanza, disponibile anche in digitale: è “il Maiale inCartato”, “dedicato a chi ama leggere, riscoprire tradizioni e sapere antico, per gli appassionati di grafica d’arte, per chi ama il maiale, fonte di sostentamento dell’uomo di ieri, di oggi e di domani”, come riassume la premessa. È stato pubblicato da Grandi & Grandi Editori che ne fanno una presentazione puntuale. La veste tipografica, come al solito, è di gran pregio: per singolare coincidenza, la stessa tipografia occupa lo spazio dove un tempo sorgeva un allevamento suino, unendo in modo emblematico l’animale all’attività che lo celebra. Sulla copertina, l’evocazione della “carta gialla” dei salumieri di un tempo fa da sfondo a un ex libris rappresentante il sacrificio di un porco. Reca d’altronde il sottotitolo “ex libris e racconti”. Ne sono curatori GIAN CARLO TORRE, ALFREDO FERRETTI e GIOVANNI DAPRÀ, i quali hanno preso le mosse dalla mostra “Porci e porcari nel Medioevo. Paesaggio, Economia, Alimentazione”, costruita su una stretta integrazione tra fonti scritte e iconografiche, che si tenne a San Marino di Bentivoglio nel Museo della Civiltà Contadina nel lontano 1981: dunque una gestazione trentennale! Così il maiale non finisce soltanto nella carta del pizzicagnolo, involucro

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da gettare una volta consumato il contenuto, ma anche nella carta stampata in vario modo e ciò gli permette di occupare un posto nobile nel mondo dell’arte e delle attività artigianali che ne fanno rappresentazione. Il libro, strutturato in nove sezioni, riporta testi di vari autori che, ci spiace, non è possibile nominare tutti. Ricchissimo di illustrazioni e riproduzioni, esso spazia, come di rado accade, in tutta la sfera culturale che riguarda tradizioni e storie cresciute e tuttora vive attorno a questa creatura, amata più per la sua utilità che per la sua natura sensibile e spesso affettuosa verso l’Uomo. Non manca “Il maiale in letteratura”, che si apre con una breve favola di FEDRO, evocante il sacrificio di una “bestia monda e innocente”: il suo grasso spalmato sugli stipiti di una casa nuova, ad esempio, portava fortuna. VIRGILIO dice della scrofa bianca che indicò a Enea il posto dove sbarcare in suolo italico. E numerosi altri nomi prestigiosi della prosa e della poesia, da OMERO a DANTE, da BOCCACCIO a ORWELL, da ARNOLFO D’ORLÉANS a TRILUSSA. C’è il cenno gioioso a DARIO FO, che in teatro ha per protagonista un maiale che sogna di arrivare in paradiso. Vi arriva volando con ali appiccicate con la cera, è felice, si sollazza, ma poi sorge il sole, “la cera si squaglia e il maiale cade”. Infine, cenni gastronomici con tocchi di colore, dove anche il maiale in qualche

modo va a tavola o sogna ghiande, sua pietanza preferita. Si passa poi a tutte quelle ghiottonerie che l’intelligenza, la fantasia e l’intuizione soprattutto degli Italici, e nelle varie regioni dello Stivale (quelli dell’Emilia-Romagna ne sono i maggiori attori), sono riuscite a inventare e creare con la macellazione e la trasformazione delle carni suine: dal prosciutto alla mortadella, dal salame al culatello, dalla soppressa alla porchetta. In questo certo l’Alto Medioevo pare essere il momento di maggiore estro, come il Rinascimento quello di una più alta raffinatezza e presentazione scenografica. Di seguito si parla poi con esauriente descrizione delle varie razze speciali presenti sul territorio italiano. Nel suo articolo Il maiale a guardia del libro, GIAN CARLO TORRE parla degli ex libris in generale, “oggetto di collezioni e scambio tra collezionisti; dalla seconda metà dell’Ottocento i collezionisti si riunirono in gruppi e nacquero le prime associazioni exlibristiche e le riviste specializzate”; sempre in questo stesso articolo, si ricorda come “la figura

GIAN CARLO TORRE, ALFREDO FERRETTI, GIOVANNI DAPRÀ “il Maiale inCartato” Editori Grandi & Grandi 224 pp. – € 30 www.grandieditori.it

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del maiale ha attratto, in ogni epoca, illustratori, incisori, caricaturisti, pittori”, di alto livello artistico e i più bei nomi della storia dell’arte. Spicca in particolare l’articolo di HENRY KLEIN, che rende omaggio al ceco Kulhánek, l’artista che nei suoi disegni mescola in modo alchemico il volto e le espressioni del maiale con quelle tipiche dell’Uomo. C’è poi l’articolo di PAUL G. BECKER sui bigliettini e le cartoline che la gente si scambiava soprattutto per gli auguri di Capodanno. A tal proposito si passa di seguito alle collezioni: a quella di oltre 20.000 esemplari di Renzo Battaglia, “odontoiatra e suinomane”, a quella di oltre 50.000 cartoline di Attilio Montorsi, “Quando si disegna con mano guidata da inventiva e le cose rappresentate presentano lievi distorsioni capaci di esprimere ironia o affetto, dramma o allegria, vediamo schizzi o vignette insaporirsi di umani sentimenti: vanità boria stupore e molto altro …” Interessante Maiali al museo, dove GIANCARLO GORIZI parla di cinque musei dedicati al “re della tavola”, quello di Carpineto Sinello, unico destinato al maiale “nella cultura e nell’economia rurale italiane dall’epoca romana ai giorni nostri”, il Museo del Prosciutto e dei Salumi di Parma a Langhirano, il Museo del Salame Felino, a Felino, il Museo della Salsiccia Sarda a Irgoli, in provincia di Nuoro, e il museo della salsiccia in Germania, il Currywurst Museum a Berlino, dove si dà grande rilievo a un piatto ormai da decenni parte della tradizione gastronomica berlinese: la salsiccia di maiale ricoperta di salsa curry accompagnata da patatine fritte. Non poteva mancare il Museo della Figurina a Modena, con la descrizione dettagliata della tecnica di produzione cromolitografica di una varietà di soggetti: scatole di fiammiferi, menu, segnaposti, bolli chiudilettera, calendari e molto altro: piccole stampe a colori, pubblicitarie, dove spiccano anche nomi di alcune aziende italiane come Villani, Levoni, Ribolzi, Colombini, Bellentani, Fratelli Nanni. La preziosa raccolta è nata dall’attività collezionistica di Giuseppe Panini.

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Personalizzazioni (prenotazione minima 30 copie)

A. Sovracoperta File digitale da Voi fornito. Costo copia € 3,80 iva compresa.

A B. Quattro pagine File digitale da Voi fornito. Costo copia € 3,30 iva compresa.

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D. Segnalibro applicato tramite nastrino colorato. File digitale da Voi fornito. Costo copia € 2,80 iva compresa.

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E

Segue una rassegna di ex libris assai attraente: sono i testimoni “della cultura attraverso i secoli … punto di incontro di differenti discipline: la storia, l’araldica, la simbologia, la bibliografia, la grafica, l’illustrazione, ecc…”; poi arricchisce il volume “la serie delle grafiche dedicate denominate “P. F.” (Pax e Felicitas, Per Festeggiare, Pro Fausto, Pro Faustum, Pro Festivitate, Pour Feliciter)”, per lo più bigliettini commissionati a artisti per gli auguri in occasione delle festività di Natale e Capodanno. Completano l’opera, Un tempo si illustrava, ora si fotografa di Gian CARLO TORRE, dove l’autore intende rendere omaggio “a tutti gli artisti che ci permettono di riprodurre opere

minuziose e precise …”, e Monumenti al maiale, dove il sottoscritto parla di alcuni omaggi scultorei resi al maiale in varie parti d’Italia: a Firenze, Mondavio (Pesaro), San Giorgio di Piano (Bologna), Felino (Parma), a Sovicille (Siena), a Castelnuovo Rangone (Modena). La poesia Poema porco, da me improvvisata all’inaugurazione del monumento castelnovese, mette il sigillo a un volume godibile, giacché guida il lettore in un viaggio pantagruelico istruttivo, con molte storie curiose a molti sconosciute; un volume che non può mancare soprattutto nello scaffale di ogni imprenditore che operi nel settore delle carni suine. Buona lettura! Manrico Murzi

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