Premiata Salumeria Italiana 6-2012

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXIV N. 6 Novembre-Dicembre 2012

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Auguri d’Autore

Auguri da

Ermi Bagni • Giovanni Ballarini • Corrado Barberis • Josette Baverez Blanco Elena Benedetti • Riccardo Bertolini • Gian Omar Bison Gaia Borghi • Pier Giovanni Bracchi • Michele Bracieri • Fabio Butturi Carlo Cantoni • Federica Cornia • Sebastiano Corona • Marco Credi Claudio Dell’Orso • Maurizio Ferraresi • Giorgia Fieni • Aldo Focacci Laura Franchini • Lorena Gallina • Silvia Gibellini • Guido Guidi Riccardo Lagorio • Antonella Malaguti • Nunzia Manicardi Giulia Mauri • Stefania Monaco • Giorgio Montanari • Anna Mossini Manrico Murzi • Massimiliano Rella • Clara Scaglioni • Francesca Schenetti Angelo Valentini • Roberto Villa • Gemma Zubiani

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Figlio unico.

San Leo è il primo e unico DOP nato, coccolato e cresciuto da Carpegna. Nel cuore dell’Appennino marchigiano, a 750 metri di altitudine, si apre una valle dal microclima unico, cullata di giorno da venti marini e alla sera da brezze profumate di muschi e resine. È l’aria che da secoli Italiana, 6/12 si respira a Premiata Carpegna. È Salumeria uno dei segreti del Prosciutto

di Carpegna DOP San Leo, figlio di una natura materna, di un clima favorevole e di una lavorazione artigianale appassionata. Una qualità riconosciuta dall’autorevole certificazione DOP solo al San Leo, unico a Carpegna, unico nel mondo. Un tesoro di prosciutto.

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N. 6 Anno XXIV Novembre-Dicembre 2012

€ 6,70 EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE – EURO ANNUARIO CARNE – EURO GENUINE FOOD ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA – US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA Stampa

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988 Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Renato Bergonzini – Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni

In esclusiva gli articoli di Euposia

ASSOCIATO A:

A.N.E.S.

Redazione New York Stefano Spadoni – Alessandra Rotondi P.O. Box 569, New York, NY 10101-0569 Tel./Fax +1 212 956 8566 E-mail: stefanony@stefanospadoni.com

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Consulenti scientifici Prof. Giovanni Ballarini (Parma) – Prof. Fausto Cantarelli (Parma) – Prof. Carlo Cantoni (Milano) – Prof. Giuseppe Caserio (Milano) – Prof. Giorgio Catellani (Napoli) – Prof. Eugenio Del Toma (Roma) – Dr. Aldo Focacci – Dr. Emanuele Guidi (Modena) – Prof. Riccardo Monacelli (Roma) – Dr. Alfonso Piscopo – Piero Pittaro (Udine) – Prof. Andrea Strata (Parma) – Angelo Valentini (Perugia)

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N. 6

In questo numero: Immagini

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Lettere alla Redazione

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Il food in rete

Il meglio del web e delle app

Elena Benedetti

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Aziende

C’era una volta la Cantina della Volta Metti una sera a cena in prosciutteria Fiorucci, rinasce il brand protagonista del made in Italy del gusto

Laura Franchini Gaia Borghi

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Commercializzazione

Brendolan Prosciutti: oltre le Dop c’è di più Per Casa Modena nuova maglia e nuovo prodotto: i “Ripienotti” Teneroni

Gaia Borghi

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Eventi

A Mirandola lo Zampone Day Chef e motori uniti in una gara di solidarietà Premio Montana alla Ricerca: 150.000 euro a giovani ricercatori di Lecce e Bologna

Clara Scaglioni

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Prodotti tipici

Salame di Fabriano… che Risorgimento! La salama da sugo alla conquista del marchio Igp Fidighin, la “vera” mortadella di fegato piemontese

Antonella Malaguti Silvia Gibellini Giorgio Montanari

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Consumi

Gli hamburger di prosciutto cotto

Carlo Cantoni

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Premiate Salumerie Italiane

La Bottega del Macellaio, tempio del gourmand

Riccardo Lagorio

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Tendenze

Finger Food, ecco le Linee guida

Nunzia Manicardi

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Street Food

Cedroni e Uliassi, l’eccellenza marchigiana sposa lo street food

Giorni di festa

I riti del Natale nel mondo

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66 Clara Scaglioni

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Promotion

Il cotechino Modena Igp “fa più buone le tue idee”

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Turismo enogastronomico Paese che vai, salume che trovi

Massimiliano Rella

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Sapori dal mondo

Sujuk, la salsiccia ottomana

Elena Benedetti

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Convegni

Il firmamento delle bufale

Corrado Barberis

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Rassegne

So food!: spazio agli artigiani del gusto in Puglia Una sfida a tutto cacio Centenari dall’aria sbarazzina I cibi che cambiano il mondo invadono Torino Milano Golosa: conoscere, fare, assaggiare… per non sprecare

Riccardo Lagorio Stefania Monaco Fabio Butturi Gaia Borghi

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Fiere

RHEX Rimini Horeca Expo: un nuovo format unico per la ristorazione e l’ospitalità SIAL 2012, l’agroalimentare mondiale sotto la Tour Eiffel

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I segreti e le proprietà del Gorgonzola Dop, tutti da scoprire Parmigiani di razza

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Formaggio

Vino

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Corrado Barberis

Brindisi sotto l’albero Palazzotto: un Cabernet trentenne Enologica 2012, l’eccellenza dell’Emilia-Romagna

Riccardo Lagorio Laura Franchini

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I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: Dolce Natale

Laura Franchini

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Dolci

Il Bianco Natal del torrone sardo

Sebastiano Corona

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In copertina: hamburger mignon di Cotechino Modena Igp per il cenone di Natale (food stylist Maura Ballanti, foto Massimiliano Rella).

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Tutti i giorni al Vostro Fianco Veroni non solo offre un’ampia gamma di salumi, ma anche un supporto concreto all’attività quotidiana dei propri Clienti, attraverso la progettazione di iniziative mirate a sviluppare le vendite come l’operazione utili&belli appena terminata. Dedicata in esclusiva ai Clienti del dettaglio, utili&belli ha registrato anche quest’anno un grande successo coinvolgendo migliaia di punti vendita in tutta Italia e tantissimi consumatori che hanno collezionato l’elegante bis di piatti in porcellana bianca.

Da inizio dicembre i negozi del dettaglio tradizionale possono regalare ai propri Clienti l’esclusivo calendario Veroni 2013, con tanti suggerimenti, curiosità e sopratutto ricette uniche create dal famoso chef decoratore

Claudio Menconi, L’ espositore da banco

famoso per le sue decorazioni artistiche con frutta, verdura e ora anche... salumi!

www.veroni.it


Immagini

“Parmigiani di razza” è il titolo dell’appassionato confronto tra il parmigiano ricavato dal latte delle vacche Rosse reggiane e da quello delle Bianche modenesi svoltosi lo scorso ottobre a Castegnato (Brescia) durante la fiera “Franciacorta in Bianco”. Ce lo racconta Corrado Barberis a pagina 126 (in foto, Tiziano Fantini mentre apre una forma di Parmigiano di Bianca modenese).

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È crudo,

è buono, è modena

è D.O.P. La qualità di carni nazionali

sulla

cotenna

contraddistingue

il

altamente selezionate e con-

Prosciutto di Modena DOP dalle imitazioni

trollate, la lunga stagionatura

e ne certifica la qualità.

di almeno 14 mesi in un ambiente microclima-

Il Prosciutto di Modena è un prodotto con

tico ottimale e il controllo della produzione

elevate proprietà nutrizionali, di assoluta

da parte dell’organismo incaricato dal

digeribilità con un alto contenuto proteico

Ministero

Agricole

ed un basso livello di colesterolo in quanto

Alimentari e Forestali, sono i requisiti

composto essenzialmente da carne magra,

essenziali per ottenere il marchio che

ottenuto senza l’utilizzo di conservanti e con

identifica il vero Prosciutto di Modena a

l’impiego di una moderata quantità di sale;

Denominazione di Origine Protetta.

è perciò un alimento controllato sano

Infatti solo il marchio a fuoco apposto

e nutriente, adatto ad ogni tipo di dieta.

per

le

Politiche

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Viale Corassori, 72 - Modena Tel. 059.343464 - Fax 059.340543 www.consorzioprosciuttomodena.it

Realizzato con il contributo del Ministero per le Politiche Agricole e Forestali D.M. 60079 del 10/1/2005 e D.M. 68382 del 21/12/2004

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Lettere alla Redazione Bollo CE per i pastifici produttori di paste ripiene Egregio dott. Cappelli, in seguito al nostro contatto telefonico, chiedo la sua opinione relativamente alla questione dell’obbligo del bollo CE per i pastifici che producono paste ripiene. Questo è il quesito: “un pastificio che acquista carne cruda da uno stabilimento con bollo CE, la soffrigge e prepara ripieni per tortellini, ha l’obbligo di fornirsi del bollo CE?” Certo di un suo riscontro, la ringrazio anticipatamente. E-mail firmata La risposta al quesito La produzione per la vendita “all’ingrosso” (cessione ad altre imprese alimentari) di pasta fresca farcita con carne è subordinata al riconoscimento dello stabilimento (ottenimento del cosiddetto “bollo CE”). Decaduta, con l’applicazione del “pacchetto igiene”, la vecchia deroga prevista in vigenza del DLgs n. 537/1992 (esenzione dal bollo CE per gli stabilimenti con capacità produttiva settimanale non superiore a 200 kg di tali prodotti), sono esentati, e quindi obbligati alla sola registrazione ai sensi dell’art. 6 del Reg. (CE) n. 852/2004, solamente gli stabilimenti che producono paste

farcite utilizzando carni già trasformate in stabilimenti riconosciuti (es. carni cotte o salumi), rientrando quindi i loro prodotti tra i cosiddetti “prodotti composti”. Infatti il Regolamento 853/2004, che prevede il riconoscimento, “non si applica agli alimenti che contengono prodotti di origine vegetale e prodotti trasformati di origine animale”. Le carni fresche da utilizzare come materie prime nella produzione di paste farcite non sono prodotti trasformati, non avendo subito alcuno dei trattamenti di cui al Regolamento (CE) n. 852/2004 (per esempio, la cottura). Pertanto la produzione di paste farcite con carne introdotta nello stabilimento come “fresca” è consentita solo con il riconoscimento. Resta ferma la deroga generale di cui al Regolamento (CE) n. 853/2004, che esclude dal campo di applicazione del regolamento stesso la vendita al dettaglio e la vendita da parte del dettagliante ad altri dettaglianti qualora si tratti di “attività marginale, localizzata e ristretta”. Le condizioni nelle quali è concessa la cessione di prodotti di origine animale da un dettagliante ad altri dettaglianti sono così specificate dalle Linee Guida di cui all’Accordo

della Conferenza Stato-Regioni del 17 dicembre 2009: “non rientra nel campo di applicazione del Reg (CE) n. 853/2004 la fornitura di alimenti di origine animale da un esercizio di commercio al dettaglio ad altri esercizi di commercio al dettaglio o di somministrazione nell’ambito della stessa Provincia e delle Province contermini, a condizione che l’attività in questione non rappresenti l’attività prevalente dell’impresa alimentare in termini di volumi”. Concludendo, la produzione per la vendita all’ingrosso di pasta farcita con carne è sempre soggetta al riconoscimento (acquisizione del “bollo CE”) se la materia prima introdotta nello stabilimento è carne fresca (es. carne cruda), mentre non sono soggette al riconoscimento la produzione con l’utilizzo di carni già trasformate in uno stabilimento riconosciuto e quella effettuata dal dettagliante in un proprio laboratorio, anche se finalizzata alla cessione ad altre imprese della Provincia e delle Province confinanti (ambito locale), purché tale cessione non sia prevalente rispetto alla totalità dei volumi commercializzati. Marco Cappelli Tecnico della Prevenzione

Pasta fresca ripiena.

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Premiata P Pr emia em miata iia ata aS Salumeria a umer al umer um eria eria a IItaliana, tali ta lian ana, an ana, a, 6 6/12 /12 /1 2

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Il food in rete

Il meglio del web e delle app di Elena Benedetti

www.essentaste.com

www.salumi-italiani.it

www.acetaiavaleri.it

A taste magazine Bellissima questa testata on-line dedicata al gusto all’estetica e allo stile del cibo. “L’idea di ESSEN nasce nel maggio 2009 e trova la sua prima realizzazione on-line a dicembre 2010. È il primo magazine worldwide a concepire il food in modo trasversale attraverso interviste e approfondimenti. Si tratta di un prodotto editoriale sartoriale che si fa sedurre dal cambiamento indagando tutte le forme di questa materia edibile. Essen fa delle persone il suo cuore e cerca di raccontare lo stile di vita di chi il cibo lo produce, lo cucina o lo consuma all’interno dell’arte, della musica, della moda e di tutte le forme di comunicazione. L’attività di continuo scouting e ricerca, ma soprattutto l’essere, sono il cuore di Essen”. Form on-line

Nuova immagine sul web per i salumi italiani Il sito web dell’ISTITUTO VALORIZZAZIONE SALUMI ITALIANI (IVSI) si è rinnovato nella grafica e nei contenuti. La piattaforma web — punto di riferimento per utenti, operatori ed esperti di alimentazione, per conoscere tutto sui salumi italiani — è stata completamente aggiornata. Tante novità, a partire dalle nuove sezioni: spazio alle ricette, alla salute (in un’area dedicata dove sono stati pubblicati articoli di nutrizionisti ed esperti) e all’informazione, con la web-tv SalumiAmoTv, che raccoglie una libreria unica di video sui salumi italiani. Dal sito è possibile raggiungere l’area “Salute e Benessere”, dedicata al rapporto fra salumi e nutrizione, sviluppata in collaborazione con esperti di alimentazione e professionisti della salute. Oltre alla pubblicazione dei valori nutrizionali dei salumi italiani aggiornati al 2011 (fonte INRAN – Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, ora CRA e SSICA – Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari di Parma), sono presenti articoli di carattere scientifico e consigli pratici su come seguire una dieta corretta ed equilibrata. ivsi@ivsi.it

La tradizione dell’aceto balsamico on-line L’aceto balsamico è un prodotto della cultura gastronomica emiliana che ha radici nei secoli passati. È una tradizione di famiglia, come quella dei VALERI che ne hanno fatto il loro lavoro nell’omonima acetaia di Magreta di Formigine, in provincia di Modena. Attraverso il loro sito web, ricchissimo di informazioni sul prodotto, sulla loro storia e sull’acetaia, potrete fare una sorta di visita virtuale tra le vigne e gli ambienti che accolgono le botti a riposare. Ben presenti sui social network con Facebook, Twitter e Picara Web Album. info@acetobalsamicovaleri.it

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WWW.

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ARREDO NEGOZI

COSTAGROUP SRL Salumeria VIA VALGRAVEGLIA ZAI 19020 RICCÓ DEL GOLFO (SP) ITALY T./F. +39 0187 769309/08 INFO@COSTAGROUP.NET Premiata Italiana, 6/12 19


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Aziende Una storia di passione e di vino dell’operosa provincia modenese

C’era una volta la Cantina della Volta di Laura Franchini

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l successo imprenditoriale dell’Emilia deriva sicuramente da una forte propensione al lavoro e al sacrificio ma, soprattutto, si fonda su un sentimento forte: la passione. Impossibile immaginare realtà come Ferrari o Maserati senza alle spalle un’idea appassionata, fortemente voluta e desiderata. La Cantina della Volta non fa eccezione. Il titolare, CHRISTIAN BELLEI, la passione inizia a respirarla in casa, trasmessa dal padre Giuseppe, nipote del capostipite Francesco. Francesco Bellei era infatti un grandissimo appassionato di vini spumanti, che aveva intuito, ben prima di altri, le grandi potenzialità delle terre di Bomporto, nella provincia modenese, e dintorni. Un passato, quello di Christian, fatto quindi di una lunga educazione al

gusto, iniziata da bambino, che lo ho portato ad acquisire un’esperienza ed un palato unici. Ma la vita fa strane giravolte e per Christian arriva il momento di lasciar andare l’azienda di famiglia, di fare esperienza presso un’altra importante cantina, poi scegliere, finalmente, la strada dell’autonomia creativa. Questa strada Christian Bellei la imbocca nel 2009 quando, assieme ad un gruppo di amici/investitori, decide di ridare vita alla cantina di famiglia, fondata nel 1920. Un gruppo del quale fa parte anche ANGELA SINI, amministratore delegato e responsabile vendite e marketing della cantina, anche lei ormai inesorabilmente toccata dalla fiamma della passione per il vino. Una mano femminile che si evince dall’immagine aziendale, interna ed esterna.

Dopo un anno molto impegnativo a dicembre 2010 escono le prime due etichette. Un investimento ancora una volta nell’ottica della tradizione famigliare, quella del Metodo Classico. Ci accoglie, prima delle tecnologie presenti in cantina, una pigiatrice Bucher Vaslin, una delle pochissime ammesse dai disciplinari di produzione dello champagne. La scelta aziendale è stata infatti quella di utilizzare il massimo della tecnica avanzata, nel rispetto delle uve e della tradizione di produzione identificata con gli anni. Termocondizionamento, impianto di sboccamento di ultima generazione, climatizzazione durante tutti i processi produttivi, gyropalette per il remuage. Insomma, non si è badato a spese.

Lambrusco di Modena Spumante DOC, Lambrusco di Sorbara Doc “Rimosso”, Vino Spumante brut “Il Mattaglio”, Lambrusco Rosè di Modena DOC.

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1) Impianti esterni. 2) Vasche di acciaio inox termocondizionate. 3) La pressa Bucher Vaslin che garantisce spremiture misurate. 4) L’etichettatura. 5) Angela Sini, amministratore delegato e responsabile vendite e marketing della cantina.

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I risultati si esprimono con chiarezza nella produzione della Cantina della Volta che, per ora, ma solo per ora, commercializza quattro tipologie di vino: si inizia con un Metodo Classico da uve di Sorbara in purezza, il Lambrusco di Modena Spumante DOC. Come sottolineano in cantina è la liqueur la firma finale che ne completa il ciclo di lavorazione, a garanzia di una peculiarità forte e decisa: note di frutta rossa ben amalgamate con ricordi di lieviti, equilibrato e adattissimo a coprire tutto il pasto. Il Metodo Classico Rosè è prodotto da uve di Sorbara raccolte manualmente da squadre di vendemmiatori specializzati che arrivano appositamente dalla Franciacorta. Delicato di note di rose e melograno, armonico e fresco, ottimo aperitivo, adattissimo ad accompagnare piatti di pesce, sushi e fritti d’ogni tipo. Lo Spumante brut “Il Mattaglio”, Metodo Classico, stavolta bianco, è prodotto con uve di Pinot Nero, Chardonnay e Pinot Meunier raccolte manualmente. Finissimo al naso, di lieviti circondati da frutta bianca, agrumi canditi, nocciole e mandorle. Una gran bella bolla, internazionale nel gusto e nelle possibilità. Non poteva mancare la nota della tradizione, qui espressa con il Lambrusco di Sorbara DOC “Rimosso”, che rifermenta in bottiglia e successivamente permane sui propri lieviti fino al momento della degustazione,

Christian Bellei. dove presenta una caratteristica sedimentazione e con tinte fruttate tipiche e pulite. Ma le sfide non sono finite e si lasciano scappare voci di Riserve e Monovitigni, che verranno presentati nel corso del 2014, ottenuti dalle uve del podere di San Lorenzo Dietro il Monte, a Riccò di Serramazzoni, sulle prime colline modenesi. Forti dei successi ottenuti in così pochi anni, tanti i riconoscimenti, la Cantina della Volta è già presente presso importanti ristoranti e punti vendita, e tanti sono gli appuntamenti che la vedranno protagonista di degustazioni e approfondimenti.

Risultati importanti, numeri che crescono. Ma come sottolinea Christian Bellei, il vino non è una formula matematica, è frutto di attenta ricerca e smodata passione. Appunto, come si diceva, passione. Laura Franchini Cantina della Volta di Christian Bellei & C. Spa Via per Modena, 82 40123 Bomporto (MO) Telefono: 059 7473312 Fax: 059 7473313 E-mail: info@cantinadellavolta.com Web: www.cantinadellavolta.com

La storia: erano gli anni Ottanta quando Giuseppe Bellei decise di esplorare tutte le assonanze ed affinità esistenti tra il più nobile dei vini francesi, lo Champagne, e uno dei più poveri e bistrattati vini italiani: il Lambrusco di Sorbara DOC rivisitato in chiave Spumante Metodo Classico, accomunati in particolar modo dal forte tenore di acidità delle uve e dalla buona persistenza del bouquet. Da qui ebbero inizio i confronti e gli scambi di informazioni tecniche con la stazione enologica di Épernay, in Francia, per individuare una modalità di vinificazione con rifermentazione in bottiglia, simile a quella dello Champagne che, anche senza l’ausilio dell’autoclave, potesse garantire un vino limpido in bottiglia, privo di fondo. Christian Bellei ha iniziato a muovere i primi passi nell’azienda vinicola di famiglia, la Francesco Bellei & C. di Bomporto (MO), nel 1986 al termine degli studi in agraria. Ricoprendo le mansioni più disparate ha acquisito una visione a tutto tondo della gestione della cantina, dall’arrivo delle uve per la pigiatura, alla vinificazione e successivo imbottigliamento, fino alla preparazione dei cartoni di bottiglie per la vendita. A fianco del padre, grande appassionato di vini spumanti, ha affinato il palato acquisendo sensibilità e attenzione verso le sfumature e i dettagli che rendono unico e irripetibile un vino. Proprio questa eredità è la pietra miliare di una nuova storia a lieto inizio, che ha visto la luce a marzo del 2010: quella della Cantina della Volta.

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Metti una sera a cena in prosciutteria Per il Prosciuttificio Crosare di Pressana un ritorno alle origini con lo sguardo proiettato al futuro di Gaia Borghi

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etti una sera a cena in prosciutteria, dicevamo, ma anche a pranzo, oppure ad una gustosa merenda, una di quelle che rinfrancano lo spirito oltre che la pancia, mentre si è a spasso nella provincia tra Verona e Padova, ricca di paesini e borghi medievali dall’atmosfera affascinante come Montagnana, circondata da alte mura. Stiamo parlando del nuovissimo locale che viene inaugurato nel mese di dicembre dal Prosciuttificio

Crosare, già noto ai lettori di questa Rivista, ed agli amanti del buon prosciutto Veneto, non solo per la qualità dei suoi magnifici prodotti ma anche perché il suo titolare, GIAN ANTONIO VISENTIN, a guida dell’azienda insieme al nipote Massimiliano, è anche presidente del Consorzio di tutela del Prosciutto Veneto Berico-Euganeo. Un crudo DOP dal sapore dolce, delicato, caratterizzato da un grasso bianco e profumato la cui morbidezza si ricorda al primo assaggio. «L’apertu-

ra della prosciutteria, proprio accanto alla sede dello storico stabilimento di produzione, rappresenta la nostra ultima sfida» ci dice Visentin aprendoci le porte del ristorante, dove già ogni cosa è stata predisposta e attende soltanto l’arrivo dei primi clienti buongustai. L’arredamento è sobrio ed elegante, nei toni del grigio e del marrone, per 120 posti a sedere. Qua e là spunta qualche macchia rosso acceso: sono le Berkel, le mitiche ed intramontabili affettatrici olandesi, vere e proprie

L’elegante vetrina a temperatura controllata dietro la quale “riposano” i prosciutti Crosare.

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L’ingresso della prosciutteria. opere d’arte, a garanzia di una perfetta affettatura del prodotto. Nel frattempo i prosciutti, appesi alla parete nella stanza più ampia del locale, fanno bella mostra di sé dietro una grande vetrina a temperatura controllata, che fa sì che i salumi non soffrano. «Nella prosciutteria verranno serviti solo i nostri prosciutti naturalmente — ci conferma MONICA VISENTIN, che ci accompagna nella visita insieme al padre — seguendo il principio “dal produttore al consumatore”». Principio che in questo caso è davvero esemplare, essendo l’azienda Crosare davvero a due passi da qui. «Insieme al crudo si potranno gustare i vini del territorio — prosegue Monica — come i Soave firmati Pieropan e dell’ottimo pane!». «I Prosciutti Crosare hanno una stagionatura che non è mai inferiore ai 16 mesi, più spesso è oltre i 18» precisa Visentin. «Insieme alla prosciutteria abbiamo rinnovato anche gli interni dell’osteria con cucina tradizionale aperta proprio qui accanto dal 1948» continua. «Si tratta del classico ristorante dove poter gustare i piatti della cucina regionale insieme ad un buon bicchiere di vino. E i salumi nel menu sono ancora quelli Crosare, prosciutto, speck, bresaola, guanciale». D’altronde la storia di questo Prosciuttificio ha avuto inizio proprio nel retro di una bottega di generi alimentari gestita da Amedeo Visentin

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In alto: Gian Antonio Visentin e la figlia Monica, presente sia in amministrazione che come responsabile della gestione di Villa Gaudio, dimora ottocentesca ora proprietà Visentin, dove è possibile organizzare cerimonie, incontri aziendali e cene di alto livello, il tutto in una location incantevole e di charme. In basso: le mitiche affettatrici Berkel insieme alle foto storiche della famiglia Visentin. e dalla moglie Maria, che in cucina preparava i pasti per i clienti abituali e di passaggio. Una sorta di ritorno alle origini dunque questa apertura, contrassegnato da fiducia nel futuro e capacità di rinnovarsi. «La nostra situazione lavorativa è soddisfacente nonostante la difficile congiuntura economica che stanno affrontando quasi tutti i settori a livello internazionale — conclude Visentin — perché la nostra clientela, rappresentata massimamente

dalle gastronomie specializzate e dai ristoranti di pregio, oltre alla media e grande distribuzione, sta reggendo bene alla crisi. Anzi, quest‘anno abbiamo persino assunto una persona in più». Gaia Borghi Prosciuttificio Crosare Via Don Carlo Bellini, 3 37040 Crosare di Pressana (VR) Telefono: 0442 86066 Web: www.prosciuttificiocrosare.it

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Fiorucci, rinasce il brand protagonista del made in Italy del gusto

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d un anno dall’integrazione in Campofrio Food Group, leader europeo nella lavorazione delle carni, FIORUCCI si avvia ad essere l’azienda di salumi più ammirata e di successo in Europa. In soli 12 mesi ha definito le nuove strategie aziendali, identificato le priorità e lanciato i programmi per rafforzare i suoi quattro pilastri fondamentali: Crescita, Efficienza, Qualità, Persone. Fiorucci ha ripreso a crescere, investito in innovazione, esaltato la qualità che l’ha sempre contraddistinta, ripartendo dalle origini radicate nella norcineria italiana. ATHOS MAESTRI, Amministratore Delegato di Cesare Fiorucci Spa, spiega quali sono gli obiettivi aziendali, e l’importanza di far parte di un grande gruppo internazionale: «La strada tracciata è quella di potenziare la presenza e l’immagine di marca sia localmente che a livello internazionale, esportando la cultura della norcineria e le “Ricette Fiorucci”, non accontentarsi di ciò che è buono, ma ricercare ciò che è eccellente. Campofrio Food Group, grazie ad una cultura dell’efficienza e del miglioramento continuo, ha dato al brand Fiorucci quei vantaggi competitivi che le permettono di essere più rispondente alle esigenze del mercato, valorizzandone la specificità, mettendo in comune conoscenze, esperienze e risorse». Scopriamo allora il “nuovo mondo” Fiorucci, attraverso le parole di ERIC VILLAIN, direttore marketing e R&D di Cesare Fiorucci Spa: «L’obiettivo è stato quello di creare un brand che contenesse all’interno i punti di forza di Fiorucci, per farne la marca vincente del futuro. Gli elementi essenziali che abbiamo voluto far emergere, infatti, sono

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sedimentati nel suo DNA, in oltre 160 anni di storia: la cultura della norcineria italiana, di cui Fiorucci è grande interprete, la genuinità e il saper fare come una volta con la continua ricerca ed elaborazione delle migliori ricette, l’importanza del legame tra il territorio e il consumatore e l’esperienza palatale unica che si prova assaporando i prodotti Fiorucci». E per comunicare la “rinascita”, prosegue Villain: «È stato

studiato un nuovo logo che esprimesse attraverso il segno grafico il rapporto inscindibile tra cultura e mestiere della norcineria italiana, ritrovare la nazionalità nei colori del “nastro” e tutta la qualità superiore di un’azienda che produce salumi dal 1850. Sono stati studiati nuovi pack per tutte le linee di prodotto, più accattivanti e coerenti con la nuova immagine, che raccontano in chiave moderna la storia dell’antica cultura della norcineria, e su cui la texture vi fa da padrona: un armonioso insieme di prodotti e oggetti tradizionalmente utilizzati per la produzione dei salumi, nonché di una serie di diciture, il cui obiettivo finale è quello di comunicare la cultura, la cura, il gusto e la ricetta Fiorucci». Le Ricette Fiorucci: il segreto di un successo È dalla scelta della carne migliore e dalle ricette frutto di tradizione ed esperienza norcina che nascono i prodotti Fiorucci: la mortadella, il prosciutto cotto, i salami, gli arrosti, il prosciutto crudo, le specialità stagionate, il guanciale, il würstel. Fiorucci non si è però fermata qui e ha lanciato nuove linee di prodotto rendendo la famiglia dei Cotti ambasciatrice del nuovo posizionamento dell’azienda sul mercato, un esempio su tutti il prosciutto cotto Naturissimo — che senza alcun conservante e ingrediente chimico risponde alle richieste dei consumatori attenti alla salute e al benessere — suggellando il salto di qualità dell’intera gamma di prodotti, oltre che con un nuovo packaging, con il marchio “La Ricetta Fiorucci”.

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Commercializzazione

Brendolan Prosciutti: oltre le Dop c’è di più Dolcegusto, prosciutto Gran Goloso e Altospeck: l’azienda vicentina va incontro al mercato con tre specialità accomunate da praticità al taglio, costanza qualitativa e altissima resa di Gaia Borghi

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eledo di Sarego, Vicenza. I Colli Berici ci indicano la strada che tante volte abbiamo percorso per raggiungere un’azienda che, con oltre 85 anni di esperienza, è da tempo un punto di riferimento in termini di qualità, gusto e sicurezza nel comparto della salumeria italiana. «Ci tengo a

sottolineare il fatto che il core business del Gruppo rimangono le 4 DOP» ci dice all’inizio del nostro colloquio GIUSEPPE ARTUSO, direttore generale di Brendolan Prosciutti. «Prosciutto di San Daniele, Veneto Berico Euganeo, Parma e, naturalmente, Carpegna: queste quattro referenze erano, sono e rimangono i prodotti di punta di que-

sto marchio, il cuore pulsante della nostra azienda» continua Artuso. «Da un anno a questa parte, però, complice un mercato che sta risentendo della crisi che ha colpito in generale anche l’economia del nostro Paese, abbiamo deciso di percorrere, accanto all’offerta tradizionale dei prosciutti a Denominazione d’Origine, la via

Dolcegusto, Gran Goloso e Altospeck Brendolan.

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Il direttore generale Giuseppe Artuso e Vania Mozzato, responsabile marketing. della cosiddetta “specializzazione”, attraverso il lancio di un prodotto completamente nuovo e il restyling di altri due già presenti nel nostro catalogo». Si tratta del Dolcegusto, del prosciutto Gran Goloso e dell’Altospeck, tre specialità accomunate da praticità al taglio, costanza qualitativa, grandissima resa e, soprattutto, da una materia prima eccellente, carni selezionate che rappresentano una garanzia assoluta per il risultato finale. «Una delle caratteristiche distintive di questi tre prodotti è proprio la qualità costante che siamo in grado di garantire, essendo le cosce suine private dell’osso all’inizio della lavorazione» continua Giuseppe Artuso. «Inoltre, venendo sempre meno la professionalità della figura del salumiere, soprattutto dietro al banco della GD e GDO, abbiamo pensato di investire in prodotti che abbiano una estrema facilità di gestione: una volta aperta la confezione, si asciugano e sono pronti per essere affettati». Dolcegusto è la vera novità di gamma per il marchio vicentino. Forma uniforme, sapore dolce, profumo intenso: Dolcegusto è il risultato di una produzione artigianale, una specialità dal gusto equilibrato, perfettamente proporzionato nella composizione tra la parte grassa e quella magra. Stagio-

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na tra i 6 e i 7 mesi ed è disponibile sia intero (5,5/6 kg) che tagliato a metà (2,5/3 kg). Gran Goloso rappresenta l’evoluzione della specialità Brendolan “Nudo e crudo”: la tradizionale forma a goccia, il gusto delicato, è un prosciutto che garantisce un’altissima resa in quanto le uniche parti da asportare sono il gambuccio e l’anchetta. Per l’affettamento, si consiglia di togliere di volta in volta lo stucco in superficie, così da mantenere inalterate le caratteristiche del prodotto. Altospeck, infine, è uno speck di fesa che si riconosce per il sapore delicatamente aromatico ed il profumo intenso; la tenue affumicatura è ottenuta a caldo con legno di bosco. Uniforme nell’insieme ed equilibrato nelle proporzioni grasso-magro, stagiona tra i 6 e i 7 mesi ed è disponibile sia intero (5,5/6 kg) che a metà. «Ogni prodotto Brendolan contiene da sempre due ingredienti esclusivi: la massima cura nella produzione e l’attenzione per il consumatore» sottolinea VANIA MOZZATO, responsabile marketing. Il mercato di riferimento per le tre specialità al momento è rappresentato dal Centro Italia, Lazio, Abruzzo, Marche e Campania, ma ci sono ottime prospettive di crescita, anche in virtù del prezzo estremamente concorrenziale. Gaia Borghi


Alla conquista del mercato della pasta fresca ripiena

Per Casa Modena nuova maglia e nuovo prodotto: i “Ripienotti” Teneroni

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resentazione ufficiale lo scorso settembre per Casa Modena stagione 2012/2013, che quest’anno indosserà anche una nuova maglietta, pensata e studiata appositamente da Macron e Pallavolo Modena. Nella sala “Ciam” di Grandi Salumifici Italiani, l’appuntamento era con la squadra, i dirigenti di Casa Modena e Pallavolo Modena e i partner commerciali. A fare gli onori di casa il presidente di GSI FRANZ SENFTER, il vicepresidente GIOVANNI LUPPI e il direttore generale MASSIMO ROMANI. Al loro fianco il presidente di Pallavolo Modena PIETRO PEIA e il direttore generale BRUNO DA RE. Con loro anche l’assessore allo Sport del comune di Modena ANTONINO MARINO. Naturalmente, presente al gran completo la squadra e lo staff tecnico, con Jakub Vesely unico assente perché volato in Repubblica Ceca ad assistere la moglie partoriente. «Sono un uomo di sport — ha detto Luppi — e ho fatto sport di squadra per tanti anni. Io ho molta fiducia in questa società, in questo allenatore ed in questi ragazzi». «È un onore essere sostenuti da un marchio come Casa Modena» ha detto il presidente Pietro Peia. «Noi vorremmo divertire il pubblico e mettere ogni giorno in palestra il 110% delle nostre possibilità per ripagare concretamente l’affetto e la fiducia di chi ci sostiene. Questo è il nostro imperativo: dare tutto quello che abbiamo in termini di impegno, applicazione ed entusiasmo. Ci piacerebbe essere la mina vagante del Campionato». A svelare la nuova maglietta di Casa Modena, oltre a Bruno Da Re,

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Ripienotti al prosciutto cotto e mozzarella. c’erano il direttore generale di GSI Massimo Romani e Fabrizio Corti, sport marketing manager di Macron. «È un anno nuovo ed un nuovo percorso e allora bisognava cambiare rispetto al passato e abbiamo deciso che in questa stagione la nostra prima maglia sarà quella blu», ha detto

Da Re. «Saremo coraggiosi anche in campo senza porci limiti: la squadra è decisamente rinnovata e giovane, sta lavorando tanto in palestra e dovrà farlo ancora ogni giorno. Quest’anno, ancor più del solito, sarà importante l’amalgama e la chimica che si creerà tra di loro».

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Ripienotti Teneroni: quattro nuove referenze e poi tutti a tavola! Nel corso della mattinata il responsabile marketing di Casa Modena AMEDEO VIDA ha quindi presentato i “Ripienotti”, il nuovo prodotto aziendale con il quale Teneroni si affaccia al mondo della pasta fresca. Particolarmente divertente e appetitoso è stato il momento della degustazione con due assaggiatori speciali in rappresentanza della cucina italiana e della cucina francese: Loris Manià e Guillaume Quesque. Una novità, quella dei Teneroni “Ripienotti” che mira a soddisfare la richiesta delle mamme di creare nuovi piatti divertenti e nutrienti per completare il pasto dei propri figli e che rafforza ulteriormente il posizionamento del brand Teneroni come “specialista del piatto per bambini”. Secondo un’indagine consumatore condotta da Casa Modena, l’84% degli acquirenti Teneroni consuma pasta fresca ripiena ed è per questo che i Ripienotti hanno mantenuto tutti i plus del mondo Teneroni: la morbi-

La presentazione della squadra di pallavolo Casa Modena stagione 2012/2013. dezza, la rotondità, la giocosità che tanto amano i bambini, insieme alla garanzia nutrizionale, la semplicità degli ingredienti e la praticità d’uso che soddisfano gli adulti. I ripieni riprendono gli ingredienti-base della famiglia dei Teneroni:

prosciutto cotto e mozzarella, pollo e patate, verdure (patate, carote e piselli), ricotta e spinaci. Senza glutammato né oli vegetali, basta un sugo leggero per accompagnare i Ripienotti e in 1-2 minuti di cottura... “tutti a tavola!”.

Teneroni “Ripienotti”: forma inconfondibile, originali, ripieni di bontà L’innovazione, l’esperienza e l’affidabilità di Teneroni debuttano nel mercato della pasta fresca ripiena con una nuova linea ideale per i bambini, ma che piacerà anche ai grandi. Con ingredienti semplici e la pasta fresca garantita da Casa Modena, il gusto è assicurato. Le ricette: 4 referenze • Prosciutto cotto e mozzarella • Petto di pollo e patate • Patate, piselli e carote • Ricotta e spinaci

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Eventi

A Mirandola lo Zampone Day Zampone Modena e Cotechino Modena insieme per la rinascita di Mirandola: domenica 2 dicembre, in piazza della Costituente, una giornata dedicata alle due eccellenze emiliane. Tra i tanti appuntamenti lo show cooking con Massimo Bottura e le “rezdore”

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omenica 2 dicembre si celebra la Festa dello Zampone Modena e del Cotechino Modena voluta dal Consorzio di tutela. Il fulcro della kermesse sarà proprio Mirandola, una delle città più colpite dal terremoto dello scorso maggio e che, ricordiamo, vide nascere lo zampone. Secondo la leggenda infatti, nel 1511, durante l’assedio dell’esercito papale di Giulio II, i mirandolesi per conservare la carne si inventarono questo insaccato, da cui poi avrebbe avuto origine anche il cotechino. Lo “Zampone Day”, come è stata denominata la festa, sarà interamente dedicata allo Zampone e avrà uno stretto collegamento con la tradizionale festa del Superzampone che si terrà in concomitanza a Castelnuovo Rangone. Alle 12.00 è infatti previsto un collegamento dalla piazza di Mirandola con la piazza castelnovese. L’anno scorso, il 3 dicembre, in occasione della manifestazione, i due prodotti di eccellenza emiliani furono sotto i riflettori di tutta Italia per la celebrazione del cinquecentenario della loro nascita, con festeggiamenti che coinvolsero la città di Modena attirando molti giornalisti della stampa e delle televisioni. Quest’anno, invece, il Consorzio ha voluto replicare un momento di grande attenzione che fosse sì per lo Zampone Modena e il Cotechino Modena ma, soprattutto, per il territorio. La volontà è quella proprio di ritrovarsi dopo qualche mese dal sisma, per una giornata di convivialità, di gioia e anche di solidarietà. Se 500 anni fa l’invenzione dello zampone ha aiutato i mirandolesi a

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La locandina dello Zampone Day 2012, la festa che si svolgerà a Mirandola il 2 dicembre in contemporanea con il Superzampone castelnovese. Tra i protagonisti, Massimo Bottura. resistere strenuamente all’assedio, oggi — dopo le violente scosse del terremoto — è ancora lo zampone, assieme al cotechino, che vuole venire in sostegno della città con un evento che mira a calamitare l’attenzione dei media nazionali su Mirandola, per incentivare la ricostruzione e la ripresa economica. La formula ideata per la manifestazione prevede lo svolgimento di uno show cooking con un abbinamento insolito: le “rezdore”, le massaie-cuoche da secoli custodi e simbolo stesso della cucina tradizionale modenese, animeranno l’evento insieme a colui che è stato definito il più grande ed innovativo chef della cucina mondiale, Massimo Bottura.

Zampone Day, il format Piazza della Costituente a Mirandola sarà il cuore pulsante, il “quartier generale” dell’evento. Le iniziative prevedono l’allestimento di una struttura polifunzionale (denominata “Cattedra Ambulante per la Preparazione e la Cottura dello Zampone, del Cotechino e dei loro derivati gastronomici”), protetta da idonea tensostruttura, ove troverà alloggio una performance del gruppo teatrale Koinè dal titolo “Dentro lo Zampone: se lo conosci, lo mangi”. I visitatori potranno così conoscere da vicino il prodotto, scoprirne tutti i segreti, ed essere successivamente in grado di cucinare abilmente — una volta a casa — lo Zampone Modena oppure il fratello più giovane, il Cotechino Modena. Ad essere coinvolto non sarà il solo senso del gusto, ma l’intera sensorialità dei visitatori che potranno toccare, annusare, osservare, bucare ed incidere in prima persona lo zampone. Il prodotto verrà poi avvolto in un telo di cotone, imballato in un contenitore di alluminio e portato a casa per consumarlo con amici e parenti. All’interno della tensostruttura sarà allestita una “Cattedra” con funzione informativa grazie alla quale, attraverso modalità interattive, si illustreranno gli aspetti produttivi, storici e culturali dello Zampone Modena IGP e del Cotechino Modena IGP, e che naturalmente ne proporrà una degustazione mirata, completa di un contributo educativo sulle proprietà nutritive e organolettiche dei prodotti.

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Il momento conviviale sullo Zampone Modena, peraltro, sarà celebrato anche dal Maestro Massimo Bottura che, al termine dello show cooking delle “rezdore” in piazza, coordinerà

personalmente una degustazione di preparazioni a base di Zampone e Cotechino Modena IGP, a beneficio di tutti coloro che vorranno partecipare alla festa.

Questo evento, infine, si concluderà con una cena di beneficenza ad invito, il cui ricavato verrà devoluto interamente alla città di Mirandola.

Intervista a Paolo Ferrari, presidente del Consorzio Zampone Modena Cotechino Modena Presidente, una giornata di festeggiamenti quella del 2 dicembre a Mirandola. Quali saranno i momenti clou della giornata? «La giornata del 2 dicembre sarà intensa e piena di avvenimenti. Sicuramente i due momenti clou saranno lo show cooking delle “rezdore”, le massaie-cuoche da secoli custodi e simbolo stesso della cucina tradizionale modenese, che animeranno l’evento insieme a colui che è stato definito il più grande ed innovativo chef della cucina mondiale, Massimo Bottura. L’altro momento a cui tengo molto è la cena benefica, il cui ricavato andrà per la ricostruzione. La festa dello Zampone in realtà vuole essere anche un modo per riportare l’attenzione verso il nostro territorio che è stato così duramente colpito dal sisma del 20 e del 29 maggio». L’anno scorso si festeggiavano i 500 anni. Ripercorriamo brevemente i 501 anni di queste due eccellenze nostrane. «La nascita dello zampone viene concordemente fatta risalire al 1511. In quel tempo le truppe di Papa Giulio II Della Rovere assediano Mirandola, presso Modena, la patria di Giovanni Pico, alleata fedele della Francia. Alla fine dell’assedio i mirandolesi erano alla fame. Restavano loro soltanto dei maiali. Non macellarli era un peccato: significava regalarli al nemico, ormai prossimo ad entrare in città. L’idea giusta venne ad uno dei cuochi di Pico della Mirandola, “Macelliamo gli animali, e infiliamo la carne più magra in un involucro formato dalla pelle delle sue zampe. Così non marcirà, e la potremo conservare. Per cuocerla più avanti”. E così nacque lo Zampone. Verso la fine del ‘700 nell’immaginario gastronomico collettivo lo Zampone Modena sostituì (insieme all’altrettanto famoso Cotechino) la salsiccia gialla che aveva reso celebre Modena già nel Rinascimento. Il 1800 consacrò il successo su larga scala del prodotto, come testimoniano gli scritti del gastronomo romano VINCENZO AGNOLETTI (“Novissima Cucina Economica”) e le numerose testimonianze letterarie (su tutte “Strenna del Giovedì Grasso” di LUIGI MAINI del 1850). Riferimenti si traggono, per esempio, anche dalle note lettere autografe di GIOACCHINO ROSSINI (1792-1868) al signor Bellentani di Modena: “Vorrei sei cappelli da prete (simili a quelli che mi mandò a Firenze). Quattro zamponi e quattro cotechini, il tutto della più delicata qualità. Nella vignetta che segue segno la sagoma a scanso di equivoci”». Ci tolga una curiosità, come mai lo zampone e il cotechino sono diventati i protagonisti sulle tavole italiane durante il cenone di capodanno? «Il tradizionale legame tra cotechino, zampone e le feste di Natale e Capodanno nasce come conseguenza della tradizione contadina di sacrificare il maiale a partire dal giorno di Santa Lucia (13 dicembre). Tra i prodotti del maiale da consumare in un breve lasso di tempo, ovvero tra quei prodotti che al contrario di salami e prosciutti non necessitano di un processo di stagionatura, cotechino e zampone sono sempre stati considerati prodotti particolarmente pregiati. Venivano quindi riservati proprio per le feste, accompagnati dalle altrettanto pregiate lenticchie. La presenza del cotechino e dello zampone anche sulle tavole dei nobili è confermata da alcune ricette tradizionali che prevedono di accompagnare questi prodotti con lo zabaione, una crema che, dati i suoi ingredienti — uova, zucchero, vino liquoroso — era destinata alle tavole dei più abbienti». È vero che la differenza sostanziale tra lo zampone e il cotechino Modena è nell’involucro, oppure c’è differenza anche nell’impasto? «Si, è vero, la differenza è principalmente nell’involucro. Le carni dellozampone sono racchiuse nella pelle del piede anteriore del maiale, il cotechino invece in un budello naturale o collagenico». In un’epoca in cui siamo sempre molto attenti alle diete, possiamo dire che zampone e cotechino possono essere inseriti tranquillamente in un’alimentazione equilibrata? «Dal punto di vista nutrizionale, lo zampone e il cotechino, si possono inserire in un’alimentazione razionale ed equilibrata. La salubrità di questi due

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Paolo Ferrari, presidente del Consorzio Zampone Modena Cotechino Modena.

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prodotti è stata riconfermata l’anno scorso dalla ricerca dell’INRAN, Istituto Nazionale per la Ricerca e Nutrizione, dalla quale è emerso che sono più magri rispetto al passato. È diminuita notevolmente la componente dei grassi, -34%, rispetto ai dati precedenti del 1993. In più la quota di grassi “buoni” è superiore a quella dei “cattivi”. Sono prodotti ricchi di proteine nobili e forniscono circa 260 calorie per etto, meno di un piatto di pasta scondita ed equivalenti a quelle di una mozzarella». Per valorizzare al meglio questi prodotti ha dei suggerimenti di abbinamento? «La massima resa, secondo me che sono un tradizionalista, si ha con il purè di patate e i fagioli. Ma per tutti coloro che volessero sperimentare nuove ricette, il Consorzio ha elaborato un ricettario che è scaricabile anche sul sito del Consorzio (www.modenaigp.it). Lì troverete tante ricette facili, veloci e gustose».

Ricettari per lo Zampone e per il Cotechino Modena a cura del Consorzio.

Come facciamo ad essere sicuri che stiamo acquistando un vero Zampone e Cotechino Modena IGP? «Dobbiamo fare attenzione ad acquistare prodotti contrassegnati dal tassello del consorzio e dal “marchio” IGP. Così il consumatore potrà essere certo di effettuare un acquisto sicuro e di alta qualità». >> Link: www.modenaigp.it

Franciosi e MecPalmieri: a Mirandola il buon gusto a tavola

I precotti firmati MecPalmieri nella vetrina della gastronomia-macelleria Franciosi Rino di Mirandola. Ed è già Natale!

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Chef e motori uniti in una gara di solidarietà di Clara Scaglioni

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l 14 settembre scorso AUTOTORINO ha inaugurato il nuovo showroom della Mercedes Benz di Modena e le sue eleganti, spaziose sale di esposizione sono diventate, per una sera, la vetrina di un appuntamento di solidarietà straordinario ed unico nel suo genere. Si sono saputi coniugare e mettere insieme, in modo perfetto, cucina e motori. L’idea di approfittare di questo evento per aiutare i terremotati della provincia modenese è venuta a FRANCO RABINO, responsabile della filiale di AUTOTORINO di Modena, che ne ha parlato allo chef MASSIMO BOTTURA della Francescana di Modena, insignito, l’anno passato, delle tre stelle Michelin. Massimo, che ha ben presenti i problemi della sua terra martoriata dagli eventi del maggio scorso, ha chiesto ad alcuni amici chef se potevano mettere a disposizione, per una sera, a titolo gratuito, il proprio talento culinario

contribuendo alla raccolta dei fondi necessari a realizzare un progetto sostenuto dalla CONFINDUSTRIA di Modena, che prevede la costruzione di residenze di accoglienza per anziani e disabili nelle zone colpite dal sisma. Alla chiamata hanno aderito ben 11 chef pluristellati: MASSIMILIANO ALAJMO, del ristorante Le Calandre di Rubano (Padova), ha servito il “mini cappuccino di seppia”; ANDREA BERTON, del ristorante Pisacco di Milano, ha preparato “carne cruda, crema di manzo ed amaranto croccante”; MORENO CEDRONI, della Madonnina del Pescatore di Senigallia, “polentina ai frutti di mare un po’ cotti e salsa al prezzemolo”; ENRICO CHICCO CEREA, del ristorante Da Vittorio di Brusaporto (Bergamo), “dolci selezioni”; GENNARO ESPOSITO (era presente la moglie), della Torre del Saraceno di Vico Equense (Napoli), “risotto con pomodori sangue di bue, limone candito e provola affumicata”; GIOVANNA

GUIDETTI, della Fefa di Finale Emilia, ristorante danneggiato dal terremoto, “crostata con marmellata di amarene brusche di Modena”; GIANCARLO PERBELLINI, della Locanda di Isola Rizza (Verona), “linguine alla carbonara d’estate”; BEPPE RAMBALDI, braccio destro di DAVIDE SCABIN del Combal 0 di Rivoli (Torino), “vitello tonnato alla maniera antica”; CICCIO SULTANO, del Duomo di Ragusa, “cannoli di ricotta che vanno mangiati con le mani”; MAURO ULIASSI, del ristorante Uliassi di Senigallia, “fritto misto di alici e calamaretto tandori, maionese al lime e zucchine”; MASSIMO BOTTURA, “tortellini di Castelfranco Emilia cotti nel brodo e serviti con una crema di parmigiano reggiano in purezza”. Gli chef, arrivati chi dal profondo Sud, chi dal Nord, sono tra i migliori cuochi d’Italia e la loro fama è riconosciuta a livello internazionale. Chi frequenta convegni e incontri di cucina prestigiosi sa che non è facile

Foto di gruppo degli chef a Modena.

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Il ricco buffet di salumi e formaggi dell’azienda La Fiorida. riuscire ad incontrarne tanti e tutti in una volta, perché, considerato il ritmo di vita frenetico che conducono, difficilmente riescono a rispondere alla stessa chiamata contemporaneamente. I loro impegni sono poliedrici: oltre al lavoro all’interno dei ristoranti che gestiscono, sono portabandiera dei piatti e dei prodotti tipici del territorio in cui vivono, che promuovono facendoli conoscere anche all’estero, e spesso sono chiamati a tenere corsi, in qualità di esperti, per trasmettere ai giovani le esperienze acquisite. Vederli servire tra i tavoli, parlare con gli ospiti, sempre pronti a dare spiegazioni e a rispondere alle domande loro rivolte; vederli svolgere con tanta gentilezza e, oserei dire, modestia un compito che nei loro ristoranti demandano ai camerieri, è stato un grande privilegio; come partecipare a un vero banchetto in chiave moderna. Nel Rinascimento, quando un principe voleva mostrare la sua potenza e la sua autorità specie in campo economico, lo faceva anche attraverso sontuosi banchetti. Lo scalco, che per conto del suo signore ne era l’organizzatore, aveva l’incombenza di mettere al lavoro tutti coloro che avevano un compito specifico. Era comunque il trinciante ad avere la parte più scenografica dato che, davanti ai commensali e al suo signore, sempre elegantemente vestito, doveva saper trinciare in aria e con maestria quanto

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arrivava dalla cucina. Il cuoco non era la figura più celebrata, anche se doveva comunque essere in grado di preparare dei buoni piatti per dare prestigio al suo padrone. Soltanto in epoca recente, intorno agli anni Cinquanta del secolo scorso, la figura del cuoco ha assunto, giustamente, una posizione di rilievo e il suo lavoro tra i fornelli, frutto di grande ricerca e fatica, è diventato tra i più prestigiosi. Fino a quel momento, cuoco importante e di valore era chi lavorava nelle case dei nobili, presso ricche famiglie o le ambasciate, oppure sulle grandi navi da crociera. NINO BERGESE ne è l’esempio lampante; iniziò il suo percorso lavorando presso le famiglie più blasonate d’Italia, dove acquisì quell’esperienza che gli consentì, di ritorno dalla guerra, di aprire a Genova il ristorante La Santa. Solo così si fece conoscere e apprezzare a livello internazionale. La figura del cuoco che si allontana dall’Italia, va all’estero per approfondire piatti e usanze di altri paesi, per imparare nuove tecniche, inizia ad affermarsi intorno agli anni Sessanta; è GUALTIERO MARCHESI, negli anni Ottanta, con la sua inventiva e originalità, a far comprendere la grande valenza di questa professione e a

darle la giusta fama. Fama meritata, raggiunta spesso con grande fatica. I cuochi presenti a Modena hanno dato prova di grande professionalità e la loro bravura giustifica la fama di cui godono. I piatti serviti hanno rivelato quanto diverse siano le loro personalità quando cucinano, ma le specialità proposte sono risultate perfette, specialmente se si pensa che sono state preparate senza l’ausilio delle attrezzate cucine in cui si muovono abitualmente. In un’ampia zona dello showroom era poi presente una bouvette, accanto a un ricchissimo buffet di salumi e formaggi, prodotti nell’azienda agricola valtellinese La Fiorida di Mantello (Sondrio). Cosa dire? Questa serata resterà, nella memoria e nel ricordo dei tanti che amano la cucina, un momento indimenticabile e farà dire con orgoglio: c’ero anch’io!, anche per il progetto che ne ha motivato l’organizzazione. La raccolta fondi per i terremotati ha avuto, infatti, un riscontro molto positivo, grazie alla generosità dei presenti che hanno vissuto una serata speciale e indimenticabile accanto a tanti cuochi stellati, che il mondo intero ci invidia. Clara Scaglioni

Delle qualità, che deve Havere il Cuoco È Necessario principalmente, che sia huomo da bene, fedele, e che sappia fare bene il suo Ufficio, con diligenza, e pontualità; che non sia amatore del vino; perché chi pecca di questo vitio, spesso tracolla la riputazione dello Scalco, facendo le vivande senza li necessarii condimenti; deve procurare di servire con ogni attentione, d’esser polito nella cottura delle vivande, non permettendo per quanto può, che li suoi ajutanti vi mettano le mani, di non scialacquare nessuna cosa di quelle, che gli vengono consegnate, per bisogno della Cucina, ricordandosi di haverne da rendere strettissimo conto allo Scalco; vada guardingo, che gli Ajutanti, e li Garzoni, non pongano in sospetto la sua fedeltà. Compartisca bene tutto ciò, che gli vien consegnato, per uso delle vivande, & ordini al più esperto degli Ajutanti, che faccia il simile, procurando di istruire bene nella professione qualcheduno degli Ajutanti, perché, succedendo qualche infermità al Cuoco, vi sia chi possa in tal congiuntura, supplire le sue parti: non ammetta in Cucina, il commercio di Gente domestica, o forestiera, perché simili commerci riescono dannosi, e biasimevoli; si regoli in tutto, e per tutto, secondo gli ordini, che riceve di giorno in giorno dallo Scalco, il quale nel scegliere il Cuoco, dovrà haver mira, che non sia, né troppo giovane, né troppo vecchio, acciò che la poca esperienza, ò la molta fatiga, non lo renda inabile; onde farà buona risoluzione, prima di riceverlo al servizio, l’esperimentarlo, nella Imbandigione di qualche Vivanda, nei lavori di Paste, e nel cucinare qualche cosa di Grasso, e di Magro. (ANTONIO LATINi, 1694, “Lo Scalco alla Moderna”)

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Eccezionale aperitivo al Principe di Savoia

Lo Champagne Rosé “Fleur de Flo” Marguerite Guyot e i grandi prosciutti di Parma selezionati da Ivan Albertelli Un eccezionale abbinamento tra lo Champagne Brut Rosé “Fleur de Flo” Marguerite Guyot e i grandissimi prosciutti di Parma a diversa stagionatura selezionati da Ivan Albertelli, patron dall’Hostaria da Ivan di Fontanelle di Roccabianca, in provincia di Parma (foto a lato), è stato celebrato il 23 e il 24 ottobre scorsi all’ora dell’aperitivo al Salotto dell’Hotel Principe di Savoia di Milano. «L’abbinamento tra Champagne Rosé e prosciutto di Parma — ha commentato Florence Guyot (in basso, Florence con Ivan Albertelli, Fabio Baldassarre, Unico Restaurant di Milano, Paolo Veronese e Isidoro Consolini del Ristorante Viola, Torre del Benaco) — esalta le caratteristiche di queste due eccellenze dell’enogastronomia mondiale: le raffinate bollicine dello Champagne infatti sono il massimo a cui si possa ambire per valorizzare le mille sfumature del gusto del prosciutto di Parma». L’eccezionalità dell’evento è stata sottolineata dall’utilizzo, per il prosciutto a stagionatura di 24/26 mesi, di un vero gioiello di tecnologia: un’affettatrice Berkel originale olandese (modello 8, prima versione), prodotta nel 1932. Il prosciutto di 32/33 mesi di stagionatura è stato invece tagliato a mano, al coltello. I salumi selezionati da Ivan Albertelli sono celebri, oltre che per la loro inarrivabile qualità, anche per la cosiddetta “salumoterapia”. «Si tratta — spiega Ivan — di un rito organolettico nato quasi per scherzo ma che da anni riscuote grande successo tra gastronomi e appassionati: da una prima fase visiva si passa a una olfattiva (che si svolge con il capo coperto, come per i suffumigi) a quella finale, degustativa».

Lo Champagne Cuvée “Fleur de Flo” Brut Rosé Marguerite Guyot, frutto dell’assemblaggio in parti uguali di Chardonnay, Pinot Noir e Meunier con aggiunta di Coteaux Champenois rosso affinato in barrique, unisce alla caratteristica piacevolezza degli Champagne della Maison, eleganza e freschezza che ne fanno un aperitivo ideale. Gli Champagne Marguerite Guyot nascono a Damery, nella valle della Marna, cuore della Champagne, da un’idea di Florence Guyot, che da anni è tra le protagoniste sulla scena italiana delle bollicine francesi. Un’idea che ha radici nella sua famiglia: frutto di un armonico assemblaggio di cultura italiana e francese, Florence ha respirato fin dall’infanzia, a Lione, i profumi dell’antica cave di proprietà del suo trisnonno e si è ispirata al nome floreale della nonna, Marguerite, vissuta nell’epoca dell’Art Nouveau, per dare vita al suo progetto. (www.champagnemargueriteguyot.com)

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Premio Montana alla Ricerca: 150.000 euro a giovani ricercatori di Lecce e Bologna Premiata una proposta innovativa applicabile su scala industriale per l’individuazione negli alimenti delle sostanze responsabili della celiachia, patologia molto diffusa e in aumento

È

stato assegnato a Roma, il 26 settembre scorso, presso lo Spazio Cremonini al Trevi, il Premio Montana alla Ricerca Alimentare (giunto quest’anno alla sesta edizione), istituito nel 2006 da Montana Alimentari (Gruppo Cremonini) con l’obiettivo di sostenere giovani ricercatori italiani, incoraggiare la ricerca scientifica sull’alimentazione e superare gli attuali confini delle conoscenze in questo campo. Il

Premio, pari a un valore complessivo di 150.000 euro, è stato assegnato a due progetti di ricerca selezionati tra una sessantina, giunti da tutta Italia. La giuria ha valorizzato le proposte progettuali indirizzate alla prevenzione dei problemi connessi alla celiachia, una malattia autoimmune indotta dall’assunzione di glutine. Si tratta di una patologia (oggi colpisce una persona su cento nel Nord Europa e Nord America) per la quale si

prevede la diagnosi di 5 milioni di casi nell’area mediterranea nei prossimi dieci anni. I sintomi includono diarrea, carenze nella diffusione di nutrienti come le vitamine, l’atrofia dei villi e iperplasia delle cripte nel piccolo intestino, manifestazioni extra-intestinali, come la dermatite erpetiforme o una gamma di disfunzioni neurologiche. Attualmente il solo trattamento disponibile consiste nell’adozione

Anna La Rosa, durante la premiazione, con Luigi Cremonini, il professor Paolo Aureli e il dott. Luigi Scordamaglia.

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di una rigorosa dieta senza glutine, che permetta il recupero e il mantenimento della funzionalità della mucosa intestinale. Si tratta dunque di un problema di rilevanza non solo sanitaria ma anche sociale. Il primo premio, del valore di 100.000 euro, per l’area Qualità degli alimenti e salute, è stato assegnato al gruppo di ricerca di Lecce costituito da GIANLUCA BLEVE, dell’Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari del CNR, FABIO CIMAGLIA, della Bio Tecgen Srl, e GIOVANNI POTENTE, dell’Istituto di Nano Scienze del CNR, per il progetto di ricerca destinato a realizzare un “immunosensore miniaturizzato basato su tecnologia di spettroscopia di impedenza elettrochimica per il rilevamento ultrasensibile di gliadina negli alimenti”. Il carattere innovativo della ricerca consiste nella messa a punto di una tecnica analitica immediata per l’individuazione in tempo reale anche in linee produttive industriali delle sostanze (gliadina) responsabili della celiachia. In tal modo si potrà intervenire con maggiore efficacia nei confronti di tale patologia connessa al consumo di alimenti contenenti glutine (grano ed altri cereali e soprattutto alimenti raffinati da essi ottenuti) la cui diffusione sta raggiungendo e raggiungerà nei prossimi anni livelli assolutamente impressionanti. Questo nuovo sistema consentirà infatti di testare rapidamente le materie prime in ingresso e di tenere sotto controllo l’eventuale contaminazione da glutine degli alimenti lungo tutto il processo di produzione industriale. Il secondo premio, del valore di 50.000 euro, per l’area Nutrizione e salute, è andato al gruppo di lavoro del Dipartimento di Biochimica “G. Moruzzi” dell’Università di Bologna, costituito dai ricercatori MARCO MALAGUTI, CECILIA PRATA, ILARIA MAROTTI, SARA BOSI, VALERIA BREGOLA, RAFFAELLA DI SILVESTRO, LOREDANA BAFFONI e IRENE ALOISIO. Il gruppo ha proposto una ricerca dal titolo “Pane funzionale per la prevenzione delle malattie cronico-degenerative”: l’interesse della ricerca risiede negli interventi combinati (impiego di vecchie varietà di frumento, identificazione di combinazioni ottimali di batteri lattici

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nell’impasto, ecc…) per la messa a punto di un alimento che abbia un effetto positivo sulle malattie cronicodegenerative e sulla prevenzione della celiachia. Negli ultimi anni, infatti, i recenti programmi di miglioramento genetico del frumento sono stati per lo più indirizzati a incrementarne le produzioni, peggiorandone invece il valore nutrizionale, funzionale, di digeribilità e il potenziale allergenico con effetto negativo sulle malattie cronico-degenerative e sulla celiachia in costante aumento. L’età media dei vincitori è di 33 anni. Le ricerche vincitrici sono state selezionate da una giuria scientifica indipendente, presieduta dal prof. PAOLO AURELI, past DG del Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma, che ha selezionato le ricerche provenienti da università e centri di eccellenza di tutta Italia. Gli altri componenti della giuria erano il prof. FULVIO MARZATICO (Fac. di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università degli Studi di Pavia, Lab. di Farmacobiochimica Nutrizione e Nutriceutica del Benessere), il prof. STEFANO CINOTTI (Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna), il prof. GIANCARLO PALMIERI (Dip. Medicina AO Niguarda-Ca’ Granda di Milano), il dott. CLAUDIO GARBELLI (ASL di Sondrio) e il dott. PAOLO BERSELLI (presidente di Salumi d’Emilia Srl e direttore operativo di Montana Alimentari Spa). Alla cerimonia di premiazione, presentata dalla giornalista ANNA LA ROSA, hanno partecipato il cav. LUIGI CREMONINI, presidente dell’omonimo Gruppo, e il dott. LUIGI SCORDAMAGLIA, AD di Inalca. I criteri attraverso i quali si è arrivati alla determinazione dei vincitori sono l’originalità della ricerca e il suo carattere innovativo, l’applicabilità del risultato della ricerca, la qualità della metodologia scientifica adottata e la vicinanza della ricerca alle esigenze concrete del consumatore. Anche questa edizione del Premio è stata accompagnata da un grande maestro dell’arte contemporanea: ai vincitori è stata donata un’opera dello scultore ACHILLE GHIDINI.


Prodotti tipici

Salame di Fabriano… che Risorgimento! di Antonella Malaguti

“I

l salame è una specialità fabrianese come di Bologna è la mortadella e di Modena è lo zampone”, scriveva a fine ‘800 l’intellettuale Oreste Marcoaldi, commissario governativo per la conservazione dei monumenti e oggetti d’arte della provincia di Ancona. Ancora oggi, il salame di Fabriano è uno dei salumi più nobili reperibili nelle botteghe alimentari italiane, un prodotto di estremo pregio, che viene realizzato con le parti migliori del maiale, nel rispetto del più rigoroso disciplinare di produzione. La sua qualità è attestata nei secoli attraverso numerose fonti storiche, che documentano con pre-

cisione come già tra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700 il salame fabrianese raggiungesse una quotazione perfino superiore a quella del prosciutto. Nel Libro delle tariffe dal 1690 al 1699, conservato presso l’archivio storico del comune di Fabriano, si può constatare come, in riferimento a dati specifici del 1692, il salame marchigiano venisse venduto al prezzo di 42 quattrini la libra, contro i 32 del prosciutto stagionato e i 28 di quello nuovo. Sul lungo periodo questo scarto non andò diminuendo e lo stesso tariffario, in riferimento ai dati del 1782, segnala come il salame avesse raggiunto i 60 quattrini per libra contro i 33 del prosciutto.

A queste fonti storiche che certificano il valore indiscusso del prodotto se ne aggiunge un’altra ben nota ai cittadini del comune marchigiano: è il 22 aprile del 1881 quando Giuseppe Garibaldi dal suo buon ritiro di Caprera (timbro postale de La Maddalena), impugna carta e penna e scrive all’amico marchigiano Benigno Bigonzetti ringraziandolo per aver ricevuto in dono un prodotto che il capo delle giubbe rosse giudicò di alto gradimento, il salame di Fabriano appunto. Oltre all’estrema qualità, questo salame garantisce la tracciabilità delle sue carni, in quanto viene prodotto esclusivamente con suini nati

Salame lardellato fabrianese.

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sull’Appennino umbro-marchigiano e allevati in gruppi di non più di venti capi. Gli animali vengono nutriti con cibo prodotto dalle stesse aziende che li allevano e negli ultimi 60 giorni di finissaggio sono sottoposti a un’alimentazione ricca di crusca di grano, orzo, ghiande e mais. La ricetta tradizionale di questo insaccato prevede l’utilizzo delle carni magre del maiale — coscia e fiocco di spalla — tagliate e tritate finissime, con l’aggiunta del 14% di lardo di schiena, che, salato a parte, viene utilizzato a cubetti della misura di un centimetro. L’impasto così ottenuto, amalgamato a mano con l’aggiunta di sale, pepe macinato e in grani (non più di 5 grani per kg) viene infine insaccato e pressato a mano nel budello naturale dissalato, lavato e imbevuto nel vino bianco, privo di additivi o trattamenti chimici. Il prodotto viene poi appeso in coppia e lasciato asciugare per due/ tre giorni in appositi locali riscaldati al fuoco lento del camino, così da consentire l’asciugatura delle parti acquose che il budello assume durante il lavaggio. La piena stagionatura si svolge in tre mesi, ma i salami devono essere conservati in appositi ambienti che mantengano costantemente la temperatura di circa 14°C con un’umidità relativa dell’80%. Solo qui il prodotto raggiunge una maturazione ottimale. Prima di essere commercializzati, i lotti di produzione vengono sottoposti alla Commissione Tecnica di Degustazione che, una volta valutata la rispondenza sensoriale e organolettica del prodotto, ne consentirà l’etichettatura con il contrassegno del Consorzio per la Produzione e la Tutela del Salame di Fabriano e con la certificazione di qualità realizzata su carta a mano stampata dal Museo della Carta e della Filigrana. Il Fabrianese è un salame dal sapore pieno, grasso al punto giusto e morbido al palato. Oltre che a Fabriano viene prodotto nei comuni di Arcevia, Cerreto d’Esi, Genga, Serra San Quirico, Sassoferrato, Matelica, Esanatoglia, Serra Sant’Abbondio, Pergola, Frontone, Fiuminata e Pioraco.

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Nello stand del Consorzio per la Produzione e la Tutela del Salame di Fabriano fotografato al Salone del Gusto 2012, il vicepresidente Giancarlo Bonafoni e il consorziato Sandro Gioia. Il consorzio che riunisce i produttori chiede da anni alla Comunità europea — per ora senza esito positivo — il riconoscimento del marchio DOP a tutela di questo alimento, in quanto il prodotto subisce numerosi tentativi di imitazione: in Italia e all’estero, infatti, sotto la generica denominazione di “Salame tipo Fabriano”, vengono etichettati dei salumi che non meritano di essere accostati all’originale. Non ci stupisce, dunque, che il salame di Fabriano sia stato uno dei primi alimenti selezionati da Slow

Food sin dalla nascita dei Presidi, a testimonianza di come la fama del “Fabrianese” sia garanzia di qualità ben oltre i confini marchigiani. A chi volesse gustare in modo semplice questo prodotto consigliamo di accompagnarlo con del fragrante pane di Chiaserna, tipico della provincia di Ancona, innaffiato da vini locali marchigiani, su tutti il “Lacrima di Morro d’Alba”, o, per chi preferisse i bianchi, il “Verdicchio dei Castelli di Jesi”. Diffidate dalle imitazioni! Antonella Malaguti

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I produttori consorziati Barbarossa Fabrizio Fraz. San Michele, 89 60044 Fabriano (AN) Telefono: 0732 676921 – 328 6567100

Marchese del Grillo Srl Fraz. Rocchetta, 73 60044 Fabriano (AN) Telefono: 0732 625690 – 335 5368641

Cofani Romualdo Fraz. Melano, 102 Loc. Chigne 60044 Fabriano (AN) Telefono: 0732 736099 – 329 5924094

Massaro Germana Loc. Masciano, 78 62023 Esanatoglia (MC) Telefono: 393 3362195

Serini Antonio Fraz. Sant’Elia, 16 60044 Fabriano (AN) Telefono: 0732 74002 – 333 5492370

Carsetti Massimiliano Via Santa Croce, 49 60044 Fabriano (AN) Telefono: 0732 627269

Salumeria Boccadoro Pierluigi Via Belisario, 133 60043 Cerreto D’Esi (AN) Telefono: 0732 677387 – 333 6423939

Pocognoli Renato Fraz. Collamato – Avenale, 50 60044 Fabriano (AN) Telefono: 338 1091997

M.L. Alimentari Snc di Mariani Simonetta & C. Fraz. Albacina 60044 Fabriano (AN) Telefono: 0732 678112

Sapori di Campagna Snc di Dell’Uomo Federica & C. Fraz. Campodonico, 49 60044 Fabriano (AN) Telefono: 0732 259597 – 328 9521554

F.lli Perini Snc di Perini Enzo e Rino Fraz. San Giovanni 46/A 60044 Fabriano (AN) Telefono: 0732 74093 – 392 1384201

Reginaldo Sentinelli Srl Via P. Miliani, 16 60044 Fabriano (AN) Telefono: 0732 251002 – 338 1608331

Gioia Michele Fraz. Arginano – Bassano, 42 60044 Fabriano (AN) Telefono: 0732 627439 – 339 5443553

Farneti Luigi Fraz. Campodiegoli, 69 60044 Fabriano (AN) Telefono: 0732 72095

Venanzetti Emanuela Fraz. Marischio, 104/B 60044 Fabriano (AN) Telefono: 0732 736099 – 0732 739182

Capesciotti Gianni & C. Snc Viale Serafini, 27/29 60044 Fabriano (AN) Telefono: 0732 3157

Salumeria Tritelli Snc di Tritelli P.&C. Viale IV Novembre, 142/144 60044 Fabriano (AN) Telefono: 0732 3229

San Romualdo Cooperativa Agricola Loc. Valdicastro 60044 Fabriano (AN) Telefono: 0732 74017 – 337 647340

Consorzio per la Produzione e la Tutela del Salame di Fabriano c/o Comune di Fabriano Piazza del Comune, 1 60044 Fabriano (AN) Telefono: 0732 709221 E-mail: info@salamedifabriano.it Web: www.salamedifabriano.it

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La salama da sugo alla conquista del marchio Igp È stato avviato l’iter per il riconoscimento da parte della UE. L’assessore all’Agricoltura dell’Emilia-Romagna Rabboni: «Soddisfazione per l’esito positivo della prima tappa. La Regione continuerà il suo impegno a fianco dei produttori» di Silvia Gibellini

L

a salama da sugo, eccellenza della tradizione alimentare che lega strettamente il proprio nome a Ferrara e alla sua provincia, si avvia verso la consacrazione gastronomica con la registrazione di Indicazione Geografica Protetta dell’Unione Europea (IGP) ai fini della tutela della sua unicità dalle contraffazioni e dai falsi. Il 18 ottobre scorso, infatti, presso la Camera di Commercio di Ferrara si è tenuta la riunione di “pubblico accertamento”, passaggio fondamentale, previsto dall’iter autorizzativo nazionale, per verificare l’effettiva adesione dei soggetti coinvolti nel processo produttivo locale al disciplinare di produzione elaborato dai proponenti. «Sono trascorsi anni dalla presentazione della domanda da parte dell’associazione che riunisce alcuni salumifici ferraresi — ha detto l’assessore regionale all’Agricoltura TIBERIO RABBONI — l’esito positivo di questa riunione ha confermato che, quando le istituzioni collaborano con imprese ben motivate e determinate, è possibile raggiungere risultati importanti. La Regione continuerà il suo impegno a fianco dei produttori verso il riconoscimento di un prodotto unico, espressione di un territorio altrettanto unico per storia, cultura e tradizioni. Salama da sugo e territorio ferrarese sono da questo punto di vista sinonimi assoluti. Verificheremo le eventuali osservazioni che potranno

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arrivare dall’Italia e dall’Europa, con l’obiettivo di superarle rapidamente nella certezza delle buone ragioni dei nostri produttori». Il Comitato promotore, insieme alla Camera di Commercio, alla Provincia di Ferrara e agli imprenditori

del settore, ha fermamente creduto nel progetto ben sapendo che la differenziazione delle produzioni basata sull’origine territoriale rientra tra le leve cui le imprese guardano per favorire la penetrazione su nuovi mercati e canali commerciali, nonché

La salamina da sugo. Tagliata in cima, viene servita bollente con un cucchiaio.

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1/2/3) Fasi della lavorazione della salama da sugo: insaccamento, legatura, produzione. La carne viene insaccata nella vescica del maiale e legata a spicchi in numero variabile di 6-8-10-12. 4) Trittico di salamina. per mantenere quote di mercato. I vantaggi del marchio IGP — fanno sapere dalla Camera di Commercio — sono essenzialmente quattro: i consumatori mostrano un crescente interesse verso i prodotti tipici, che giudicano normalmente di migliore qualità, più genuini e salubri rispetto ai prodotti di identità sconosciuta; il marchio IGP può essere utilizzato dalle imprese come strumento di differenziazione qualitativa per sfuggire alla concorrenza sul lato dei costi di produzione; l’elevata reputazione di cui molti prodotti tipici godono deve essere tutelata dalle imitazioni e usurpazioni per fornire ai consumatori un’informazione corretta e leale; grazie al loro legame con il territorio, i prodotti tipici esercitano effetti positivi sulle dinamiche di sviluppo rurale, contribuendo a mantenere vitali tradizioni, culture, sistemi sociali ed economici, soprattutto nelle aree svantaggiate e marginali, con effetti di volano sull’economia locale.

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Il piatto preferito di Lucrezia Borgia La salama (o salamina) da sugo conserva da ormai 500 anni un traguardo ineguagliato: buongustai, storici, critici la ricordano come una tradizione tipica ferrarese che, probabilmente, rimarrà nei secoli. Le prime notizie di questo piatto risalgono al XV secolo quando un tale Domenico venne accusato di usare sale di contrabbando per fare “salami alla ferrarese”. Lo storico FRIZZI ritiene che i primi produttori di tale piatto siano stati “porcaioli”, cioè montanari di Trento e di Bormio stabilitisi nella valle del Po. La sua forma tipica è testimone della sua età: la divisione a spicchi era infatti un motivo ricorrente del vasellame del XV-XVI secolo. Inizialmente pietanza forte nei pranzi alla corte dei duchi d’Este, in seguito divenne alimento dei contadini di molte zone del ferrarese e infine piatto delle grandi occasioni. La leggenda attribuisce il merito del suo prosperare a Lucrezia Borgia, sposa ad

Alfonso d’Este agli inizi del ‘500. In tale epoca di feste e banchetti, quando i primi grandi maestri di cucina come Cristoforo da Messisbugo cominciano a dare vita a quella che sarà poi la vera gastronomia italiana, Ferrara divenne uno dei principali centri della civiltà rinascimentale, attirando su di sé numerosi personaggi illustri che vi venivano a soggiornare, ospitati e nutriti a spese della corte. Salama: come, dove, quando Ancora oggi l’insaccato è prodotto dai norcini nei propri laboratori e stagionato in locali idonei usando le carni povere della scrofa adulta — come il guanciale, il capocollo, la pancetta, il fegato, la lingua — meticolosamente mescolate a mano con spezie naturali (sale, pepe, noce moscata, chiodi di garofano) e innaffiate con abbondante vino. La carne è poi insaccata nella vescica del maiale e legata a spicchi in numero variabile di 6-8-10-12, secondo le scuole di pensiero dei vari

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Il monumento alla salama da sugo a Madonna Boschi. norcini. La salama da sugo, tradizionalmente, è preparata in inverno — stagione in cui nelle aie si macellava il maiale — e stagionata per almeno sei mesi o, meglio, per un anno. Prima di essere consumata la salama va fatta bollire a fuoco lento,

in acqua abbondante, dalle 4 alle 7 ore in funzione della stagionatura, sospesa con una corda in modo che non tocchi né le pareti né il fondo della pentola. Una volta cotta, si pone sul caratteristico piatto tondo guarnita tutt’attorno con purè di patate. Viene

tagliata in cima e servita bollente con un cucchiaio. È ottima anche cruda con melone o fichi, oppure cotta e servita fredda. All’interno della provincia di Ferrara, i luoghi di produzione della salama da sugo sono i paesi di Buonacompra, Madonna Boschi, Poggio Renatico, Vigarano Mainarda e Portomaggiore che si “contendono” il primato in fatto di qualità di questo insaccato vantando ricette che differiscono tra loro per alcuni particolari. Fra gli eventi che la celebrano ricordiamo la “Sagra della salamina da sugo al cucchiaio” di Madonna Boschi, che si tiene nei mesi di settembre e ottobre, una vera e propria kermesse del gusto dedicata al tipico insaccato: qui, alle porte del paese, è stato addirittura eretto un monumento per celebrare il prodotto. La sagra è organizzata dalla Pro Loco che produce in proprio le salamine in ambienti idonei rispettando le norme vigenti e le tradizioni. Altre sagre sono quelle della “Salama da sugo tipica” di Buonacompra nel mese di luglio e la “Sagra della salama da sugo e dei sapori portuensi” a Portomaggiore nel mese di settembre. Silvia Gibellini

Addio a Sante Bortolamasi, re del Superzampone Sconfitto da un male incurabile, a soli 68 anni, il 23 settembre scorso ci ha lasciati Sante Bortolamasi, fondatore dell’Ordine dei Maestri Salumieri di Modena. «Il suo ritratto più vero è quello di un cittadino innamorato del proprio paese — ha detto il sindaco di Castelnuovo Rangone (Modena) Carlo Bruzzi — il suo impegno è sempre stato quello di valorizzare il suo paese anche all’estero. Cosa che lo aveva portato a fare tante amicizie e conoscenze». Un castelnovese da esportazione, le cui intuizioni lo hanno portato fino al Guinness World Record, legatissimo però al suo territorio, dove continuava a vivere e a lavorare nell’azienda familiare. Sante Bortolamasi era conosciuto infatti da tutti come l’inventore del Superzampone: nel 2000 i maestri salumieri avevano contribuito a creare uno zampone di 450 chilogrammi, record superato dalla stessa Castelnuovo nel 2006 con un insaccato da 751 chili. E di nuovo un record nell’edizione 2008 con l’incredibile peso di 942 chili. Il record stava per essere battuto nuovamente nel 2011 in occasione del “Cinquecentenario dello Zampone di Modena”, ma lo zampone si “restrinse”. Poco male visto che il suo peso era comunque di 810 chili. Insieme ai Maestri Salumieri, Sante era l’inesauribile motore della manifestazione, a cui dedicava energie e impegno per tutto l’anno. Grande appassionato di sport (in gioventù praticò il pugilato a livello agonistico), fu collaboratore e amico del noto pilota castelnovese Walter Villa e, negli anni, è sempre stato in prima linea per tenerne vivo il ricordo in diverse occasioni. La Redazione di Premiata Salumeria Italiana è vicina a famigliari ed amici in questo triste momento di dolore.

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Fidighin, la “vera” mortadella di fegato piemontese Si tratta di un insaccato tipico, prodotto con carni suine magre, grasso del sottogola e della pancetta, spezie, fegato. Il mix, macinato a grana media, viene insaccato in budello naturale e legato manualmente. È spesso consumato come ingrediente della “panissa” o “paniscia”, piatto tipico del vercellese di Giorgio Montanari

I

l Piemonte è una regione ricca di longeve tradizioni alimentari. Molte ricette di origine popolare, le cui procedure produttive furono tramandate oralmente, suscitano ancora oggi interesse agli occhi dei turisti… e stimolano l’appetito di chi già le apprezza. Oggi lo chef vi consiglia: fidighin. Sotto questo bizzarro nome si cela un insaccato a base di carne suina diffuso nella parte orientale del Piemonte; le province in cui è più facile da reperire si espandono fra il novarese e il vercellese (paesi collinari della bassa Val Sesia). Il termine fidighin richiama l’elemento distintivo del prodotto: il fegato suino. Presente in quantità variabili (da un minimo del 5-10%, ideale per ottenere un salume dolce, fino a un massimo del 20-30%, per favorire un sapore più piccante), questo ingrediente dona vigore e sapidità al prodotto. Nella restante parte del mix si trovano tagli magri di maiale (rifilature di prosciutto, presenti dal 45 al 65%) e parti più grasse (sottogola e pancetta, che rappresentano un terzo della carne presente nella ricetta). Dopo la macinatura l’impasto viene unito alla concia, composta da sale, zucchero, scorza di limone, vino rosso (il locale Barbera oppure il Marsala) e varie spezie (pepe intero e macinato, cannella, noce moscata, chiodi di garofano). A questo punto

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il tutto viene insaccato in involucro naturale e legato a mano. A seconda delle dimensioni che potrà raggiungere il prodotto finito (mediamente 200-350 grammi, pur essendovi versioni artigianali che rasentano il chilo!), si utilizza il budello più consono, sia suino o bovino, torto o filzetta, bondeana o crespone. Nel caso, appunto, in cui si voglia ottenere un bene che superi i 1.000 grammi da

stagionato, si può ricorrere al bindone equino. Terminate le operazioni di insacco, il fidighin è pronto per la fase di asciugatura. Tradizionalmente si teneva il prodotto alcuni giorni in maturazione, preferibilmente esposto al sole; oggi la fase di asciugatura si svolge in maniera tecnologicamente avanzata. Il gusto piemontese, è ben noto, predilige gli insaccati morbidi; an-

La “panissa” o “paniscia”, risotto tipico del vercellese. È un primo piatto particolarmente sostanzioso che, oltre alla mortadella di fegato, include fagioli, cipolla, lardo e vino. Esistono molte personalizzazioni di questa ricetta, tant’è che frequentemente il “fidighin” è sostituito dal “salam d’la duja”, altra leccornia gastronomica piemontese (http://lechategoiste.blogspot.com).

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che il protagonista di queste pagine, dunque, va consumato a stagionatura moderata, in genere di 4-5 mesi a seconda della pezzatura e delle proporzioni delle carni presenti nell’impasto. Storicamente la fase di affinage avveniva in cantine, magari grazie all’accensione di una brace che ne velocizzava il processo; oggi, ovviamente, si ricorre alle moderne celle, pur restando sempre decisivo il fattore umano e l’esperienza nella preparazione. È possibile reperire il prodotto affumicato o sotto grasso (in questo secondo caso si consuma crudo). Di colore rosso scuro tendente al marrone (la tonalità cromatica varia a seconda della quantità di fegato), riconoscibile per la classica forma a “ponte” o a ferro di cavallo, il fidighin si fregia della PAT, sigla promossa dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (in collaborazione con le Regioni), che racchiude i Prodotti Agroalimentari Tradizionali del nostro territorio. Al taglio si ammira l’omogeneità di distribuzione delle parti magre e del grasso, macinate a grana media. In bocca è un tripudio di scioglievolezza, favorita dalla percentuale di grasso presente nell’impasto; il profumo è caratteristico, il gusto può risultare più o meno “pungente” a seconda della percentuale di fegato adoperata (nella zona di Fara viene ancora preparata una versione che ne contiene il 50%… decisamente saporita!). La mortadella di fegato è talvolta inclusa come ingrediente nella panissa, risotto tipico della provincia di Vercelli. Un primo piatto particolarmente sostanzioso che, oltre al nostro salume tipico, include fagioli, cipolla, lardo e vino. Esistono molte personalizzazioni della panissa, tant’è che frequentemente il fidighin è sostituito dal salam d’la duja, altra leccornia gastronomica piemontese. Ma di questo secondo salume parleremo in un’altra puntata: per ora ci siamo soffermati sull’appetitoso mix di carni suine scelte (grasse e magre), fegato e spezie, il fidighin appunto, una specialità da accompagnare, perché no, a un buon bicchiere di vino rosso piemontese. Giorgio Montanari

Assaggianeuno... ...e li vorrai provare tutti! Alla tentazione Baròt è impossibile resistere. p

Sei magnifici gusti per sei salamini morbidi e invitanti, in cui riscoprire il sapore antico di una terra, ricca di tradizioni e sapori straordinari.

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Consumi

Gli hamburger di prosciutto cotto di Carlo Cantoni

L’

hamburger è il simbolo della cucina statunitense. È un prodotto carneo di pronta cottura, economico e consumabile ovunque, costituito da una polpetta di carne tritata e appiattita che può essere cotta alla griglia con aromi e verdure. Il termine hamburger è un prestito linguistico tra lingua tedesca ed inglese poiché è collegato con la città tedesca di Amburgo. Nel 1800, infatti, la carne tritata in forma appunto di polpetta veniva consumata da marinai ed emigranti verso gli Stati Uniti sulla linea navale della Hamburg-American Line. Il nuovo cibo, tutto americano comunque, fu denominato in un primo momento Hamburg steak, per poi ridursi solo ad hamburger. La prima comparsa della ricetta in un menu statunitense viene fatta risalire al 1836, anche se il primo uso documentato del termine come Hamburg steak è datato 1886. L’uso del termine hamburger comparve per la prima volta nel quotidiano di Washington WALLA WALLA nel 1889. Si dice che il primo ad inventare il classico panino con l’hamburger sia stato un ragazzo di 15 anni, Charles Nagreen del Wisconsin, ma l’ideazione del prodotto e la sua messa a punto sono state reclamate anche da Otto Kuase, Oscar Weber Bilby, Frank e Charles Menches, Flecter Davis, Louis Lassen. Attualmente, la categoria merceologica o famiglia dell’hamburger comprende diversi tipi di prodotti a base di: • carne di ruminanti (bovino, bufalo, cervo, daino); • carne di cavallo; • carne di suino; • carne di pollame (pollo, tacchino, struzzo); • carne di pesce (salmone, nasello, pesce spada, tonno, merluzzo, pa-

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• • • •

lombo, persico); mollusco (calamari); vegetali vari; proteine essiccate, ristrutturate e idratate; tofu.

Generalità ed uso L’hamburger classico ha mediamente un peso attorno ai 110 grammi ed è costituito da carne bovina con l’aggiunta di verdure (cetriolo, cipolla e pomodoro). Il suo apporto calorico è molto variabile e dipende: • dalla percentuale di grasso della carne utilizzata come componente fondamentale; • dall’aggiunta o meno di formaggio (cheeseburger) e di altri cibi come fette di pane e salsa; • dalla cottura o dalla precottura, cioè dagli oli aggiunti; • dal peso.

Fra le salse usate, occorre rilevare che il ketchup, di gusto piccante a base di pomodoro, aceto, sale, zucchero e spezie, ha un apporto calorico trascurabile. In Italia l’hamburger classico è costituito da sola carne, che può essere insaporita con altri ingredienti come cipolla, senape, altre spezie, oppure disponendovi una fetta di formaggio tipo sottilette. Gli hamburger possono venir cotti alla griglia, nella padella antiaderente, al forno, fritti. Ciclo di produzione Il ciclo di preparazione comprende alcune fasi, quali: 1. preparazione dei tagli carnei; 2. prima triturazione in cutter; 3. formulazione con l’aggiunta di altri ingredienti, coadiuvanti tecnologici, antiossidanti e conservanti, secondo la ricetta adottata; 4. secondo ciclo di triturazione omo-

Hamburger di prosciutto cotto.

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Tabella 1— Valori nutrizionali hamburger Paciocotti Beretta Valori medi per 100 g

proteine

grassi

carboidrati

Kcal/joule

Paciocotto hamburger di prosciutto cotto classico

16 g

10 g

3g

166/693

Paciocotto hamburger di prosciutto cotto con formaggio

22 g

11 g

1g

191/798

Paciomaxi maxi hamburger di prosciutto cotto

16 g

10 g

3g

166/693

Tabella 2 — Valori nutrizionali hamburger Teneroni Casa Modena Valori medi per 100 g Il prosciutto cotto si è confermato anche nel 2012 come la tipologia di salume preferita nei consumi degli Italiani. geneizzazione; 5. formattazione; 6. confezionamento. Le fasi delle operazioni possono essere effettuate con ciclo discontinuo o continuo con macchine apposite. Per conferire sapore ed aroma agli impasti carnei sono a disposizione dei preparati pronti con formaggio a granuli, cipolla, olive, funghi, aglio e pomodoro, asparagi, carciofi, bacon, spinaci, provola e speck. Diffusione Nel nostro Paese il consumo dell’hamburger è in espansione, non limitandosi solo a spazi ad esso interamente dedicati (Ham holy burger e simili) tanto da essere preparato anche da noti chef. L’hamburger più diffuso è, ovviamente, quello a base di carne bovina, ma da tempo anche l’industria salumiera ha messo a punto vari hamburger a base di carne suina, e precisamente: • hamburger di prosciutto cotto (specialità più diffusa); • hamburger di sola carne suina; • hamburger di carne bovina e suina. Hamburger di prosciutto cotto Producono hamburger di prosciutto cotto diversi salumifici, tra i quali Fratelli Beretta (Medolago, BG); Casa Modena (MO); Raspini (Scalenghe, TO); Gruppo Spiezia (San Vitaliano, NA). Vendono con marchio proprio

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proteine

grassi

carboidrati

Kcal/joule

19 g

12,5 g

0,7 g

191/797

Tenerone cotto e mozzarella

19,0 g

14,0 g

1,2 g

207/861

Tenerone cotto e parmigiano

20,5 g

14,0 g

0,7 g

211/878

Tenerone classico

Tabella 3— Valori nutrizionali hamburger HamCotto Raspini Valori medi per 100 g HamCotto

proteine

grassi

carboidrati

Kcal/joule

16,0 g

4,7

0,8

104/433

Tabella 4— Valori nutrizionali hamburger di prosciutto cotto Conad (Bologna) Valori medi per 100 g

proteine

Hamburger prosciutto cotto classico

19 g

grassi 12,5 g

carboidrati 12,5

Kcal/joule 191/799

Tabella 5 — Valori nutrizionali hamburger di prosciutto cotto Coop (Casalecchio di Reno, Bologna) Valori medi per 100 g

proteine

grassi

carboidrati

Kcal/joule

Hamburger di prosciutto cotto classico

19 g

10 g

1g

170/711

Hamburger di prosciutto cotto con mozzarella

17 g

8g

2,5 g

154/644

Tabella 6 — Valori nutrizionali hamburger di prosciutto cotto Il Gigante (Bresso, Milano) Valori medi per 100 g

proteine

grassi

carboidrati

Kcal/joule

Hamburger di prosciutto cotto classico

19 g

10 g

1g

170/711

Hamburger di prosciutto cotto con mozzarella

17 g

8g

3,5 g

154/644

i supermercati Conad; Coop; Il Gigante. I singoli produttori Fratelli Beretta La Fratelli Beretta di Medolago produce tre tipi di hamburger di prosciutto

cotto denominati Paciocotti: • Paciocotto, hamburger di prosciutto cotto classico (75 g); • Paciocotto, hamburger di prosciutto cotto con formaggio (75 g); • Paciomaxi, maxi hamburger di prosciutto cotto (130 g). Le composizione dichiarate sono:

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hamburger di prosciutto cotto: prosciutto cotto 72% (carne di suino, sale, destrosio, saccarosio, aromi naturali, carragenina, ascorbato di sodio nitrito) carne di suino, panna fresca, lattato di sodio, amido, fruttosio, aromi; • hamburger di prosciutto cotto e formaggio (mozzarella): prosciutto cotto 60% (carne di suino, destrosio, saccarosio, aromi naturali, carragenina, ascorbato di sodio, nitrito di sodio) carne di suino, mozzarella 12% (latte, fermenti lattici vivi, caglio, sale) panna fresca, proteine del latte, amido, burro, lattato di sodio fruttosio, aromi; • maxi hamburger di prosciutto cotto: prosciutto cotto 72% (carne di suino, sale, destrosio, saccarosio, aromi naturali, ascorbato di sodio, nitrito) carne di suino, panna fresca, lattato di sodio, amido di patata, fruttosio, aromi naturali, carragenina. Quest’ultimo prodotto è stato messo a punto assicurandogli una consistenza più simile a quella dell’hamburger di manzo, con un sapore più delicato. I valori nutrizionali degli hamburger di prosciutto Fratelli Beretta sono riportati in Tabella 1. Casa Modena Casa Modena è stata la prima produttrice di hamburger di prosciutto cotto immettendo nel mercato i Teneroni di prosciutto cotto originale. Oltre a questo sono prodotti: Teneroni al formaggio; Teneroni Baby classico; Teneroni carote e patate; Teneroni spinaci e patate; Teneroni al parmigiano; Teneroni alle zucchine. Il Tenerone originale (classico) è composto da prosciutto cotto 56% (coscia di suino, sale, proteine del latte, destrosio, zucchero, aromi, ascorbato di sodio, nitrito di sodio) carne di suino, panna, amido di mais, spezie. Il Tenerone cotto e mozzarella è composto da prosciutto cotto 44% (coscia di suino, sale, proteine del latte, destrosio, saccarosio, aromi naturali, ascorbato di sodio, nitrito di sodio) carne di suino, mozzarella 6%, panna, grassi vegetali, amido di mais, spezie. Il Tenerone cotto e parmigiano è formato da prosciutto

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cotto 51% (coscia di suino, sale, proteine del latte, destrosio, saccarosio, aromi, ascorbato di sodio, nitrito di Sodio) carne di suino, Parmigiano Reggiano DOP 5%, panna, amido di mais, spezie. Il “cotto baby” ha la stessa formulazione dell’hamburger al prosciutto cotto originale. I valori nutrizionali di alcuni dei prodotti sono riportati in Tabella 2. Salumificio Raspini L’hamburger di prosciutto cotto del Salumificio di Scalenghe ha il nome di HamCotto Raspini Disney e la casa produttrice ha nel catalogo altri tipi di hamburger a base di cotto come quello con carote, Parmigiano Reggiano, spinaci e Parmigiano Reggiano o con mozzarella fior di latte. Il valore nutrizionale è riportato in Tabella 3. Gruppo Spiezia Il Gruppo Spiezia produce hamburger di prosciutto cotto denominati Pizzicotti costituiti da: prosciutto cotto 65% (coscia di suino, sale, maltodestrine, destrosio, nitrito di sodio) carne di suino, panna, amido, spezie, addensanti. Conad (Bologna) Il supermercato Conad mette a disposizione con marchio proprio l’hamburger di prosciutto cotto così strutturato: prosciutto cotto 50% (coscia di suino, destrosio, saccarosio, aromi, acido ascorbico, glutammato monosodico, nitrito), carne suina, panna, amido di mais. Il valore nutrizionale dell’hamburger è riportato in Tabella 4. Coop (Casalecchio di Reno, Bologna) Il supermercato Coop commercializza due varietà di hamburger di prosciutto cotto: hamburger classico e hamburger con mozzarella. Il loro valore nutrizionale è riportato in Tabella 5. Il Gigante (Bresso, Milano) Il supermercato commercializza due tipi di hamburger di prosciutto cotto: hamburger classico e hamburger di prosciutto cotto e mozzarella. Il primo è formato da: 72% prosciutto cotto (carne di suino, sale, destrosio, saccarosio, aromi naturali, carragenina,

“Salame di San Felice”


L’Intermeat riconosce la qualità dei prodotti Raspini-Disney L’azienda piemontese Raspini, realtà imprenditoriale di spicco con una grande tradizione salumiera alle spalle, ha ricevuto una nomination per il premio Best Innovation 2012 durante la fiera Intermeat svoltasi recentemente in Germania. “Raspini — viene spiegato nelle motivazioni della nomination — propone un nuovo prodotto adatto ai bambini che, secondo le informazioni nutrizionali, è un pasto perfetto per i più piccini. La sapiente combinazione tra prosciutto e mozzarella è una piacevole sorpresa culinaria che attira l’attenzione anche per i personaggi Disney posti sulla confezione”. Il prodotto in questione è il nuovo HamCotto Raspini-Disney Prosciutto Cotto con Mozzarella Fior di Latte, realizzato con mozzarella ottenuta solo da latte vaccino italiano. L’HamCotto con Mozzarella Fior di Latte è un alimento davvero completo, sano e gustoso che piace alle mamme per questo, ma anche perché è facile e veloce da preparare (bastano 3 minuti in padella). Tutta la linea HamCotto, di cui fa parte l’ultimo nato, è vincente anche perché priva di glutine e glutammato e perché, come tutti i prodotti Raspini-Disney, presenta valori ottimali in termini di calorie e grassi, nel rispetto dei principi nutrizionali per l’alimentazione dei bambini messo a punto da The Walt Disney Company.

ascorbato di sodio, nitrito di sodio) carne di suino, panna fresca, lattato di sodio, amido, fruttosio, aromi. Il secondo è costituito da: prosciutto cotto 60% (carne di suino, sale, destrosio, saccarosio, aromi naturali, carragenina, ascorbato di sodio, nitrito di sodio, carne di suino, mozzarella 12% (latte, fermenti lattici vivi, caglio,sale), panna fresca, proteine del latte, amido, burro, lattato di sodio, fruttosio, aromi. Il valore nutrizionale è riportato in Tabella 6. Considerazioni La denominazione legale più pertinente degli hamburger citati è “specialità gastronomica a base di prosciutto cotto”, commercialmente comunque è prevalsa la denominazione di “hamburger di prosciutto cotto” abbinato, talvolta, ad un nome di fantasia. Queste specialità non fanno parte del gruppo RTE-Ready to Eat

Food (alimenti pronti per il consumo), ma rientrano nel gruppo di alimenti da consumarsi previa cottura con le caratteristiche indicate nell’Ordinanza Ministeriale del 7/12/1993 del Ministero della Sanità. Pur possedendo una aw superiore a 0,92 ed un pH compreso tra 6,0 e 6,1, sono prodotti assolutamente salubri per tutto il periodo di vita commerciabile (35 gg.) per la presenza di nitrito di sodio, del lattato di sodio, per la qualità igienica delle carni e per il confezionamento in atmosfera protettiva. Quanto alle caratteristiche organolettiche, gli hamburger presentano tutti un tipico colore rosa e un sapore/ aroma sempre delicato, più o meno accentuato a seconda del contenuto in prosciutto cotto. Gli hamburger hanno una consistenza compatta ma non elastica. Sono stati ideati per essere consumati

soprattutto da parte delle nuove generazioni, tanto è vero che la prima campagna pubblicitaria di Casa Modena per questi prodotti ha insistito in questa direzione, così come fanno del resto anche gli altri produttori. Ciò non toglie che siano utilizzabili anche da persone di maggiore età anche in virtù della velocità di cottura (3-7 minuti). Inoltre, la presentazione di confezioni con duplice contenuto di hamburger dal peso di 75 g, nel caso di diete a ridotto contenuto calorico, consente di consumarli anche come piatto unico, insieme a vegetali. L’unica critica alle dichiarazioni in etichetta è di avere indicato il loro valore nutrizionale in 100 g anziché in rapporto al peso dell’hamburger e ciò rende necessario ricalcolare il reale valore nutritivo in base a 75 g. Carlo Cantoni L.D. in Ispezione alimenti di origine animale, Milano

Vendesi Salumificio in provincia di Novara Vendesi Salumificio in provincia di Novara di m2 4.000 ulteriormente ampliabili (il complesso comprende un terreno di circa 11.000 m2 di cui 3.500 m2 di superficie coperta residua realizzabile). La struttura rispetta puntigliosamente tutte le norme sanitarie vigenti: l’impiantistica, di ottima qualità, si presta per la produzione sia di prodotti da stagionare sia di prodotti cotti. Il salumificio dispone di un fronte strada su una provinciale di grande passaggio e per questo costituisce un complesso di forte interesse commerciale. Per ulteriori informazioni Tel: 338/5745215

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gusta la freschezza Da oltre trent’anni il Caseificio Caputo produce mozzarella di bufala campana DOP lavorando a poche ore dalla mungitura solo il latte di bufale accuratamente selezionate e controllate. Il sapere della tradizione e le moderne tecnologie garantiscono una qualità costante e un gusto unico che rendono la Mozzarella Caputo buona, sempre.

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La Bottega del Macellaio, tempio del gourmand Nella sua bottega di Savigno, in provincia di Bologna, Guido Mongiorgi dispensa ogni sorta di bontà: carne marezzata di Fassona, Garronese, Modenese e Romagnola, salumi di produzione propria, prodotti tipici e preparati gastronomici che d’autunno si impreziosiscono con l’aggiunta di tartufo di Riccardo Lagorio

L

a signorina, vestita in modo succinto forse a causa degli ultimi colpi di coda di Caligola (che ha suggellato definitivamente l’ingresso nel giornalismo meteorologico della moda americana

di dare nomi anche alle sventure climatiche), si ferma con noi davanti al portone d’ingresso. Aspetta che suoniamo e, in attesa di una risposta dall’interno, ci dice che non può fare a meno della carne di Mongiorgi per

l’incontro programmato per questa sera; sarà grata se le diamo una mano per farla entrare anche se è mercoledì pomeriggio ed è chiuso per turno. Lui capirà. Aperto il portone la donna in pantaloncini e comoda, trasparente

La Bottega del Macellaio a Savigno, in provincia di Bologna. A banco Guido Mongiorgi, titolare dell’esercizio.

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A sinistra: in autunno il tartufo, passione di Guido, entra in vari preparati gastronomici. A banco i bomboloni con mozzarella e tartufo. A destra: Guido Mongiorgi con la moglie Anna. maglietta, sgattaiola dietro a noi e, intesa la familiarità con il padrone di casa, completa con rilassatezza la spesa. Guido Mongiorgi va nel retrobottega riportando un costato da cui taglia due enormi bistecche alte una spanna ciascuna. Ammicca alla signorina, che paga e se ne va verso il suo barbecue. «Per me si tratta di un fatto abbastanza normale che i miei clienti non possano fare a meno della carne che io vendo loro per occasioni che vengono considerate speciali. Gli animali che acquisto per la mia macelleria, pressoché sempre Fassona, sono cresciuti esclusivamente con fieno e farina dai contadini locali. Li scelgo con cura dopo che si sono presi accordi con gli allevatori. Le razze più diffuse sono la Garonnese, la Modenese e la Romagnola, perfette per fornire ottima carne marezzata». Di maturità e pratica ne ha questo ricercato negozio, fondato dall’omonimo nonno nel 1898, sotto i portici di mattoni lungo la strada che attraversa il centro abitato.Maturità e pratica potenziata in più di un secolo, tanto da essere considerato un tempio della carne, e della bistecca in particolare, ma che non ha tralasciato, in tempi di necessità di pranzi e cene rapidi e veloci, di attivare il reparto gastronomia. Ed ecco fatto: lasagne, tortellini, tortelloni, ma anche tigelle ed altre preparazioni della tradizione emiliana esposte nel banco frigo.

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«Abbiamo intuito, tra i primi nel Bolognese, che le famiglie non avevano più tempo da concedersi per cucinare il ragù e iniziammo a proporre noi stessi una cucina di buon livello, ma svelta e di facile esecuzione. Nel Meridione, e mia moglie Anna è catanese, le gastronomie erano già da tempo attive». Per rendere attuabile l’operazione, Guido ed Anna suggeriscono di vestire le paste di loro produzione, ripiene e non, con i sughi ed i condimenti che loro stessi preparano nell’attrezzata cucina. Certo, per i nostri tortelloni alle ortiche, ricotta e Parmigiano stagionato 36 mesi, suggeriamo semplicemente burro e salvia, che ciascuno si appronta da sé, magari affidandosi alla nostra vasta gamma di burro artigianale…». Ma la vera passione di Mongiorgi è il tartufo. Egli stesso cavatore, durante il periodo di raccolta, che interessa tutta la stagione autunnale e buona parte di quella invernale, fornisce il negozio di numerose pietanze a base del pregiato tubero, tra cui le cotolette ripiene di tartufo e gli spiedini di carne e verdure al tartufo, che fanno spostare, specie il sabato e la domenica, carovane di automobili da Bologna e dal Modenese per accaparrarsi le specialità che escono dall’ingegno dei Mongiorgi. Nondimeno, durante la stagione fredda nasce dalle mani di Guido

Mongiorgi uno strepitoso salame, della cui bontà le parole sono ben poco rappresentative: la semplicità degli ingredienti (sale, pepe, e vino rosso passato nell’aglio) è indice di genuinità, essendo privo di conservanti e stagionato nelle cantine sotto il negozio, lontano da celle frigorifere e condizionato esclusivamente dall’andamento meteorologico. Se poi ci si riesce a rifornire di ciccioli, si sappia che questi vengono prodotti in quattro ore nei paioli e, raccolti in un sacco di iuta dove perdono il loro grasso, diventano una leccornia che i buongustai assaporano lentamente davanti a un bicchiere di Sangiovese. Anche le salsicce sono straordinarie: davanti al fuoco Guido e Anna le propongono agli amici e alle persone di riguardo nel loro privée sotto il negozio, impreziosito da una bella collezione di pupi siciliani, arroventate dalle braci e accompagnate dalle goloserie della Casa. Un ritrovo per pochi intimi che trova nel calore dei Mongiorgi la sua stagione più propizia quando fuori il paesaggio ingiallisce e diventa subito sera. Riccardo Lagorio La Bottega del Macellaio Sas di Mongiorgi G. Via G. Marconi, 2 40060 Savigno (BO) Telefono: 051 6708152

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Tendenze

Finger Food, ecco le Linee guida Piccole cose da mangiare in un boccone e in “punta di dita”, ma seguendo regole e comportamenti ben precisi di Nunzia Manicardi

C

on l’espressione “finger food” (in lingua inglese letteralmente “dito” e “cibo”, traducibile anche con “cibo per le mani”) si intende un’esperienza gastronomica tipica del Terzo Millennio. Quello che una volta veniva più semplicemente definito “stuzzichino”, è ormai una consuetudine diffusissima ovunque; nella forma dell’happy hour (ex-aperitivo serale) è diventato addirittura un rito sociale. Rito contemporaneo, sebbene affondi le sue radici nelle età preistoriche. È cibo semplicemente mangiato con le mani, a differenza del cibo mangiato con un coltello, una forchetta o un cucchiaio, oppure con bacchette o con altri utensili. Però, obietterà qualcuno, che novità è? Mangiare con le mani ancora oggi rimane il modo abituale di ingerire cibo in varie parti del mondo e presso parecchie culture! Sì, è vero, ma il finger food ha caratteristiche tali da differenziarsi nettamente in senso moderno. Il finger food è infatti soprattutto strumento di convivialità e socializzazione, che si fondano proprio sulla particolare attrazione esercitata dalle intriganti e “piccole” ricette. Diventa così anche momento di relax, nonché di possibile connubio — come è stato giustamente detto — tra la cucina tradizionale e quella innovativa, tra il serio e il faceto, ma sempre uniti dal piacere di mangiare in compagnia e liberamente. Liberi anche dall’obbligo di dover consumare troppo di un solo piatto, con la possibilità di ampliare così gli orizzonti e dischiudere il palato alla variegata diversità alimentare che ci viene presentata. Anche curiosità, quindi, e conoscenza: non solo cibo.

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Le caratteristiche del finger food sono ancora poco conosciute ai più, anche se tanti sono quelli che abitualmente mangiano “in punta di dita” senza porsi troppi perché. Invece è importante conoscerle, perché il finger food non è affatto informale. Nella cultura statunitense, per esempio, il cibo mangiato con le mani è una vera e propria arte, un istante di cucina prestigiosa e rinomata. Oggi, anche in Italia sempre più chef si rendono disponibili per preparare gustosissimi manicaretti per festeggiamenti di ogni genere.

Il nostro Paese ha ospitato addirittura il Campionato internazionale di finger food, la cui prima edizione si è tenuta nel febbraio di quest’anno a Padova, in coincidenza con il terzo Campionato italiano (entrambi i campionati sono stati promossi dalla rivista ZAFFERANO MAGAZINE, da Sirman Spa e da Padova Fiere). Moltissimi sono stati i partecipanti, sia italiani che stranieri, le cui classifiche sono pubblicate nel sito dell’organizzazione (www.chefinpuntadidita.it). Cercheremo quindi di spiegare brevemente in questa sede le sue

Stuzzichino preparato in occasione del terzo Campionato italiano di finger food che si è svolto lo scorso febbraio a Padova (foto di Giulia Ceschi).

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Linee guida per un sistema Finger Food • • • • • •

Il finger food (F.F.) è una proposta gastronomica adatta a qualsiasi formula ristorativa; il F.F. può diventare un sistema di interscambio gastronomico tra le realtà di offerte ristorative di vendita e quelle prettamente legate alla produzione; il F.F. è una proposta gastronomica intesa come opportunità qualitativa per dare il via a qualsiasi tipologia di “menu”; il F.F. è un’opportunità di produzione e vendita di alimenti e prodotti che creano spettacolo per la loro preparazione, che si possono intendere come una filosofia dello Chef on Show; il F.F. è un’idea gastronomica di piccole dimensioni che si può mangiare con l’uso delle dita o con attrezzature adeguate, preferibilmente in un unico boccone; il F.F. non è mai inteso come dolce, o piccolo boccone dolce, perché già esiste una cultura codificata della pasticceria “mignonne”.

Definizione dei canoni per il Finger Food • • • • • • • • • • • • • • •

Il F.F. è un prodotto che si degusta in un boccone; il F.F. è costruito con una logica ben precisa; gli alimenti impiegati per la produzione di un F.F. possono essere accostati per analogia o per contrasto (dolce/più dolce; salato/più salato; morbido/croccante; dolce/salato; ecc…); un F.F. per la sua natura di essere gustato in un boccone deve prevedere una facilità d’esecuzione, senza richiedere tempi di realizzazione eccessivamente lunghi; il F.F. inteso come “boccone” può essere afferrato con le dita di una mano o con attrezzature minute e adeguate. Il F.F. può prevedere liquidi, gelatine, salse di accompagnamento, basta che siano in armonia con il principio del boccone e della presa con una mano; si ribadisce che il F.F. si degusta con una “mise en bouche” (“messa in bocca”); la struttura del F.F. deve prevedere un minimo di 3 ingredienti, armoniosamente messi insieme; il F.F. non è classificabile con un sistema di cottura unico; può essere cotto e crudo, ma nel contempo sempre articolato nell’accostamento alimentare; il F.F. può prevedere una dimensione calda e fredda, indipendentemente dai metodi di cottura impiegati; il F.F. è sempre preciso nella sua forma di presentazione, è regolare nei tagli, si presenta sempre in un insieme di precisione; il F.F. è a tutti gli effetti un elaborato culinario e deve essere costruito con un’attenzione ai principi di una sana ed equilibrata alimentazione; il F.F. deve essere presentato tenendo conto di una sua dimensione visiva, di conseguenza la struttura deve essere attenta alle forme ed alle policromie degli alimenti impiegati; il F.F. come espressione sensoriale deve permettere una percezione tattile e visiva definita, così come l’aspetto olfattivo dovrà essere riconoscibile; il F.F. è un modo di intendere la visione gastronomica, culinaria e, di conseguenza, è un fatto di gusto: per questo il F.F. è espressione chiara di un gusto equilibrato; il F.F. non è una qualsiasi ricetta ridotta nella quantità.

Il presente documento è stato realizzato dalla Commissione Tecnica per conto del Comitato di organizzazione del Campionato di Finger Food “Chef in Punta di dita” (fonte: www.chefinpuntadidita.it).

caratteristiche, allo scopo di poter utilizzare il finger food con maggior rispetto delle nuove regole sociali e, di conseguenza, goderne con maggior piacere grazie all’acquisita consapevolezza culturale. Innanzitutto il finger food non va confuso con quelle preparazioni da mangiare in un boccone che appartengono alla cultura gastronomica tradizionale italiana — soprattutto quella legata alle cucine territoriali — e che comprende, per esempio, le bruschette toscane, i fritti napoletani, le focaccine liguri, le piadine romagnole, i supplì, le crocchette e i filetti di

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baccalà della tradizione romanesca e via di seguito. Esempi generalmente accettati di finger food sono invece i salatini, salsicce e formaggi e olive su stuzzicadenti, ali di pollo, involtini primavera, quiche, samosa, bhajis alla cipolla, patate fritte, vol-au-vent e arancini di riso. Altri cibi conosciuti che vengono a volte considerati finger food includono la pizza, gli hot dog, la frutta e il pane. Ma il finger food, a ben vedere, è un’altra cosa! Che cos’è, allora, cosa fa la differenza? Cos’è che ci dice che un cibo è finger food e un altro no, benché entrambi si mangino a piccoli bocconi e tenendoli

in mano? Lo spiega, nel sito www. chefinpuntadidita.it, lo chef MARCO VALLETTA: «Il F.F. deve essere presentato in piccole quantità, ma non per questo qualsiasi cosa può diventare finger food. Inoltre, nelle articolate e policrome forme di finger food, il commensale, l’avventore, deve scorgere delle emozioni gastronomiche. È opportuno che ciascun finger food garantisca, una volta prelevato dal vassoio, l’opportunità di diventare un boccone per i cinque sensi» E ancora: «Nel mondo culinario professionale il termine finger food nacque formalmente tra il 12 ed il

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17 febbraio del 2002 nel contesto di Expo-Gast di Salisburgo dove, durante la classica competizione triennale, il regolamento della manifestazione prevedeva un programma specialistico di finger food per le squadre nazionali di chef di cucina che partecipavano. Nei parametri, del resto molto generalizzati, si indicavano i finger food come un’idea gastronomica collocabile ad inizio pasto, articolata, che poteva essere mangiata in punta di dita. Da qui in avanti si manifestò il grande entusiasmo di molti chef nel dilettarsi alla ricerca di ricette, spunti, leccornie, aperitivi, che meglio potessero esprimere l’idea del finger food. D’altro canto il patrimonio culturale enogastronomico della cucina classica già aveva un’idea di “Petites Bouches”: piccoli bocconi, aperitivi, privi di un’essenziale codifica legata non solo alla dimensione ma all’intera struttura».

In molti Paesi, tra cui l’Italia, ci sono aziende di catering che forniscono finger food per eventi come matrimoni, fidanzamenti, compleanni, feste di laurea e altre celebrazioni. Per i matrimoni, in particolare, il finger food sta diventando sempre più popolare sia perché è meno costoso sia perché offre più flessibilità di scelta di menu. Ci si diverte di più, anche, e si lascia pure più libertà ai commensali per socializzare. Ci sono poi antipasti da gourmet come pâté, caviale e sandwich più adatti ad un evento formale, mentre cibi più familiari come frutta tagliata, salatini, cracker e biscotti sono preferibili in celebrazioni più informali. Tutto questo, però, bene o male, lo si sa già. Quello che probabilmente non si sa è che ci sono anche delle “Linee guida” per la definizione del finger food e che vanno attentamente seguite qualora ci si voglia qualificare,

anche professionalmente, come chef del settore. Gli chef Roberto Carcangiu, Gianluca Tomasi e Marco Valletta, coordinati da Sonia Re (dottoressa in Scienze e Tecnologie Alimentari) e da Ferruccio Ruzzante (direttore esecutivo di ZAFFERANO MAGAZINE), tutti esperti del settore in differenti ambienti culinari, in occasione del Campionato italiano “Chef in punta di dita” hanno anche messo a punto una sorta di codifica contenente precise norme referenziate sul mondo del finger food che riportiamo nel box in alto. Un lavoro certamente condiviso da parecchi altri colleghi del settore della ristorazione, utile per fissare delle linee comuni per una corretta preparazione di un finger food e molto interessanti anche per noi, semplici consumatori. Nunzia Manicardi

Quando lo zampone entra in boutique È successo. E proprio nella capitale mondiale dell’haute couture. Recentemente la griffe di moda Ferragamo ha organizzato nel proprio atelier parigino una degustazione di zampone firmato MEC PALMIERI e tortellini emiliani. Regista dell’evento lo chef aretino di nascita ma modenese d’adozione LUCA MARCHINI, del ristorante stellato Erba del Re. I clienti, incuriositi da questo insolito abbinamento, si solo lasciati conquistare dalla bontà dei prodotti emiliani. Centinaia gli assaggi e le lodi a queste eccellenze della nostra cultura gastronomica.

Lo chef Luca Marchini tra borse e pentole nell’atelier Ferragamo di Parigi (foto Didier Teurquetil).

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un segreto che tramandiamo di generazione in generazione. ora potete scoprirlo anche voi.

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Street food

Cedroni e Uliassi, l’eccellenza marchigiana sposa lo street food di Stefania Monaco

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a quanto fortunati sono i senigalliesi? Quarantacinquemila abitanti che possono godere di due chef come MAURO ULIASSI e MORENO CEDRONI. Uno più pazzo-creativo dell’altro, possiamo dirlo. Ma di quella follia bella, da sognatori, che di questi tempi è oro colato, che ci fa sorridere e salivare con gioia. Baluardi nella tradizione e geniali nel cambiamento. Viene proprio da dire che nulla si distrugge… in mano loro! I due ristoranti “Uliassi” e la “Madonnina del Pescatore” non sono rivali, certo può piacere più uno che l’altro, ma ciò che conta è quel dito puntato verso la stessa direzione: preparazione, serietà (si può essere seri anche nella pazzia), creatività e, ultima ma non meno importante, cultura. Ed ecco che i due hanno messo a punto una formuletta carina e divertente, ognuno a proprio modo, a disposizione di chi, per pochi euro, volesse godere di tanta bellezza.

Moreno Cedroni e la prima salumeria di pesce al mondo Partiamo dalla A di Anikó, già il suono è piacevole, sembrerebbe un nome giapponese e invece è il significato di “ogni cosa” in marchigiano. Si trova in piazza Saffi, assomiglia ad una baita giapponese ed è invece la prima salumeria di pesce nel mondo. “È bello come un vassoio spaziale, come un vagone ferroviario arenatosi non nel deserto ma nel centro della balneare cittadella. E niente ci toglierà dalla testa che una delle ragioni per comprendere, per amare Anikó, diciamo una delle chiavi per ca(r)pirne le intenzioni, è proprio di apprezzarlo come se fosse un intervento d’arte contemporanea” dice la presentazione sul sito. L’equilibrio Yin & Yang di Anikó, dove il giorno si riversa nella notte, tempo assecondato dalla scelta: colazione, pranzo, aperitivo, cena o semplicemente poggiati al bancone d’affaccio sulla piazza per due chiacchiere davanti ad una scatoletta di pesce nella sua gelatina con delica-

tissime guance dei pesci con cipolla e pomodoro, oppure gustando lo spezzatino di tonno con patate, il panino con baccalà e maionese di baccalà, il prosciutto di tonno e melone con marmellata di fichi e sherry. Da bere energy drinks come lime e zenzero o lemongrass, abbinamento zen. Cibo da strada buono e anche da asporto, tutti i prodotti di Casa Cedroni sono inscatolati. “L’immortalità del cibo” lo chiama Moreno, sì, ma di quello sapientemente preparato con materia prima buonissima attraverso processi di sterilizzazione con cotture a vapore e a pressione, senza conservanti. Qualche esempio? Il trancio di pesce spada, la bresaola di tonno o di pesce spada, i sughi come l’arrabbiata di pesce e l’amatriciana, il fegato di coda di rospo, le seppie con i piselli, le uova di seppia con pomodori, granchietti e zenzero. Tra i prodotti anche sali e pepe, confetture in agrodolce, marmellate, paste e libri in vendita, anche sul sito di Anikò (www.morenocedroni.it).

Il fegato di coda di rospo in scatoletta di Moreno Cedroni. A destra: Anikò, in piazza Saffi 10, Senigallia.

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Trapizzino. A destra: la roulottina di Mauro Uliassi dotata di una cucina professionale con frigoriferi a doppia temperatura, friggitrici e forni. La roulotte di Mauro Uliassi Premetto che Uliassi dal vivo lascia pensare non solo per onomatopea ad un personaggio mitologico, a quell’Ulisse dantesco che attraversa i mari trasportando da una parte all’altra saperi e culture: “Fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtute e canoscenza”. La sua roulottina è il suo cavallo di Troia, lanciato nel bel mezzo della manifestazione Pane Nostrum dentro le mura della Torre, insieme alla sua cultura del cibo di strada, per fare educazione alimentare e proporre

una valida alternativa a snack in cellophane e hamburger. «Il ristorante deve tornare per strada per comunicare con i giovani» dichiara. La micro-cucina mobile con struttura in acciaio inox e alluminio è una cucina professionale a tutti gli effetti, con frigoriferi a doppia temperatura, friggitrici doppie e forni. Mauro dirige tra pubblico e cucina, tutti sono felici, fuori e dentro la roulotte. I cartocci di fritto vanno a ruba: fish & chips e confettura di pomodori verdi, pollo fritto con maionese al lime, trapizzini (quelli

di Stefano Callegari, 00100 Pizza a Roma, www.00100pizza.com), ripieni di cultura marchigiana: stoccafisso all’anconetana, trippa alla canapina, oppure con pollo alla cacciatora, seppie con piselli. Panino con porchetta e porchetta. Poi bomboloni caldi e tiramisù e granita di caffè, mojito e spritz frozen. Tutto a piccoli prezzi, dai 4 ai 5 euro. Lo street food ha due grandi maestri, speriamo possano aggiungersene presto altri per diffondere la cultura del buon cibo a disposizione di tutti. Stefania Monaco

Visto al Salone del Gusto 2012: lo street food marchigiano è anche quello proposto dall’azienda agricola Trionfi Honorati di Jesi (AN). Un negozio mobile, denominato “caciobus”, che propone prodotti propri e di stagione all’insegna di una ristorazione fresca, veloce e genuina (http://trionfihonorati.blogspot.it).

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Cotechino o monsignore? Una variante golosa al tradizionale cotechino e al cappello da prete

Il monsignore e il cotechino nello stand di La Casa del Maiale e dei Salumi di Zibello durante il November Porc 2012. Nella Bassa Parmense esiste una variante al cotechino tradizionale e al cappello da prete: è il monsignore, un insaccato di maiale prodotto da LA CASA DEL MAIALE E DEI SALUMI di piazza Garibaldi 40 a Zibello. L’impasto è il medesimo, un trito di carni suine (carne della testa, cotiche e gola) aromatizzate con sale, pepe, spezie e vino. Quello che cambia è l’involucro: l’impasto del cotechino viene insaccato in un budello naturale di maiale mentre il monsignore è insaccato nella cotenna del maiale. Questo involucro consente di realizzare un prodotto dal peso nettamente maggiore: il monsignore pesa in media sui 4 kg per pezzo. Partendo dal presupposto che l’impasto deve essere fatto con carni di prima scelta, anche il peso fa la sua differenza ai fini della resa qualitativa alla degustazione: più grosso è l’insaccato, maggiore è la bontà del prodotto. Per saperne di più su LA CASA DEL MAIALE E DEI SALUMI di Zibello c’è il bellissimo ed esauriente sito web. >> Link: www.boutiquedeisalumi.it

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Giorni di festa

I riti del Natale nel mondo di Clara Scaglioni

I

l Natale è la festa religiosa che il mondo cristiano, per commemorare la natività di Gesù Cristo, festeggia per tradizione il 25 di dicembre. La definizione di tale data, che risale al 350 d.C., coincideva presso i Romani con la cerimonia pagana del solstizio d’inverno e dei Saturnali e, successivamente, con quella della nascita del dio Mitra. Festività cattolica tra le più importanti fortemente sentita da tutti i fedeli, è vissuta con emozione nei giorni precedenti sia in chiesa, sia in famiglia, quando ci si appresta a preparare il presepe o l’albero, o entrambi, che con le loro luci colorate rendono luminose le abitazioni internamente e esternamente per l’intero periodo delle feste. Viene allora spontaneo domandarsi quali riti accompagnano questa ricorrenza nei vari paesi del mondo. In Polonia le feste natalizie iniziano con l’apparizione della prima stella la sera della vigilia. I bambini spiano ansiosamente il cielo e appena si scorge il primo brillio tutti si mettono a tavola. Prima di mangiare si fa circolare una sottile fetta di pane azzimo chiamato opłatek raffigurante le immagini di Maria, Giuseppe e Gesù Bambino. In campagna, un tempo, c’era l’abitudine di darne un po’ anche agli animali della fattoria, oggi invece se ne dà solo agli animali domestici che vivono in casa. La tavola, di norma, è festosamente apparecchiata, ma sotto alla tovaglia viene sparso un sottile strato di paglia per ricordare che Gesù è nato in una stalla e sempre, attorno alla tavola, vengono lasciati alcuni posti liberi per dare accoglienza alla Sacra Famiglia nel caso si presentasse all’improvviso. Anche in Cecoslovacchia i bambini aspettano l’arrivo della prima stella, ma lo fanno la sera del 6 dicembre, perché San Nicola scende dal cielo insieme a un angelo carico di regali e ad un diavolo munito di bastone.

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Uno degli elementi comuni a molti paesi dell’Europa orientale sono le calende, rito di allontanamento dall’inverno e dalle ambigue presenze degli spiriti. In Romania, nazione influenzata sia dalla cultura romana che da quella slava, i ragazzi, nel periodo tra Natale e Capodanno, girano per le strade cantando la colinda, una composizione lirica comprendente, oltre agli auguri, anche aneddoti e riferimenti epici ricavati dalla letteratura popolare apocrifa; lo fanno bussando ad ogni porta lungo il loro cammino e propinando scherzi a quanti incontrano. Il pranzo natalizio poi vede sulla tavola la presenza di piatti a base di carne di maiale, come il piftie de porc e il sarmale de porc accompagnati dalla mămăligă, una specie di polenta.

In Ungheria c’è una curiosa usanza, forse propiziatoria, che riguarda la “sedia di Lucrezia”. Si tratta di un sedile costruito nei mesi precedenti con grande attenzione e dovizia di particolari, utilizzando ben 13 tipi di legno differenti, che viene bruciato nei giorni che seguono il Natale per preservare da malanni e da pericoli. In Bulgaria una credenza popolare vuole che nei tre giorni precedenti il Natale ci si astenga dal fare il bucato per non inquinare le acque dei fiumi in cui Maria lava il corredo del suo bambino. In Francia la notte della vigilia i bambini, se nella casa c’è il camino, vi lasciano accanto le scarpe per ricevere il dono da Père Noël e se nella notte vi si brucia un ceppo, le sue ceneri

L’English pudding.

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La dinde ovvero il classico tacchino immancabile sulle tavole natalizie francesi. verranno conservate per le loro proprietà curative. Questa simbologia è trasmessa dal tipico dolce natalizio francese, la Bûche de Noël, il famoso tronchetto a base di cioccolato. Nell’America latina, che si trova nell’emisfero australe, il Natale si festeggia in piena estate e il Cristianesimo, inizialmente la religione dei conquistatori, col passare dei secoli si è trasformato in un grande contenitore in grado di unire sincreticamente le tradizioni indigene e quelle importate, fino ad assumere caratteri nuovi. In Messico il Natale viene anticipato da celebrazioni religiose che hanno luogo in tutte le più importanti chiese del paese nei nove giorni precedenti, chiamati las navidades, che simboleggiano la gravidanza di Maria. In ogni casa poi si allestiscono le pifiatas, grosse pentole in coccio rivestite di carta colorata, riempite di frutta, confetti e pezzi di canna da zucchero. Al termine dei nove giorni, in chiesa, in casa o in strada si inscena una breve rappresentazione detta la posadas, dal nome che un tempo veniva dato alle locande per pellegrini. Una coppia bussa a una porta chiusa recando delle candeline accese: impersonano Giuseppe e Maria che vagano alla ricerca di un ricovero; i padroni di casa tergiversano, ma venuti a conoscenza della gravidanza di Maria offrono loro alloggio. Poi tutti, a mezzanotte, in un clima festoso per la nascita di Gesù, cantano, ed è allora

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che i bambini rompono con dei bastoni le pifiatas. La cena che interrompe il digiuno vede trionfare, come in tutte le feste importanti, il tacchino ripieno di verdura o il cosciotto di maiale al forno accompagnato dal guacamole, la salsa tipica a base di avocado. Se in Europa è la Befana a portare nella calza i suoi regali, in Argentina sono i re Magi a elargire i doni ai bambini che mettono fuori dalla porta le scarpe accanto ad un catino pieno d’acqua e qualche filo d’erba per i cammelli. Le scarpe come le calze, che

contengono dolciumi e doni, hanno il potere di mettere in comunicazione l’uomo con il sottosuolo creando un ideale legame magico. Negli Stati Uniti si seguono le tradizioni tipiche della Gran Bretagna e il classico tacchino arrosto condito con salsa di mirtilli fa la sua apparizione per la gioia delle famiglie riunite a festeggiare. Interessante, invece, è trovare sulla tavola di molti australiani le specialità europee accanto a quelle di origine asiatica, come la zuppa di ostriche. Un accenno anche al Natale in Giappone, paese dove viene comunque festeggiato, nonostante la poca presenza di cristiani, e chiamato la “Festa dell’amore per i bambini”: per tale motivo gli alberi vengono addobbati, secondo il gusto nazionale, con delle lanterne di carta illuminate. In Egitto i cristiani ortodossi celebrano il Natale il 7 dicembre e durante l’Avvento non si mangiano né carne né latticini. In Italia i riti legati a questa santa festa e le sue secolari tradizioni culinarie cambiano da regione a regione, per motivi storici e climatici, mescolandosi in maniera più o meno pronunciata al senso del divino e del soprannaturale. Tutti desiderano trovarsi con i parenti e gli amici più cari intorno alla tavola, che in quel giorno deve essere la più ricca dell’anno.

I tamales, piatto di origine messicana a base di pasta di mais (la masa) ripiena spesso con carne di maiale o pollo.

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Natale in Umbria: crostini, salumi, cappelletti e cappone A Natale l’alimento carneo torna prepotente sulla tavola delle feste, complice il clima ormai decisamente freddo. Passata la pausa estiva, dedicata a frutta e verdura, e quella autunnale, dei frutti del bosco e dell’olio e vino “novelli” che vestiranno di nuovi sapori i piatti dell’inverno che verrà, abbiamo ora più bisogno di proteine nobili (quelle della carne) e di calorie. In Umbria il pranzo di Natale inizia con un antipasto a base di crostini con fegatini di pollo, le rigaglie, dal latino regalia, cose da re, anche se in realtà queste interiora di volatili storicamente erano destinate ai servitori; a seguire salumi del tipo ciauscolo e corallina, e la galantina, a far bella mostra di sé con la trasparente gelatina, arricchita dal nostro tartufo nero di Norcia: è adesso il suo momento di massimo splendore! Come primo piatto i cappelletti, trionfo della pasta ripiena dei giorni di festa, chiusi a cappello, senza foro centrale e rigorosamente cotti nel brodo di cappone. Preparato la sera prima, amorevolmente schiumato e se non bastasse, poiché non basta, accuratamente sgrassato il giorno seguente, il brodo di cappone è fantastico e insostituibile per il cappelletto con farcia rigorosamente di tre tipi di carne: vitello, maiale magro, pollo, in ordine crescente, con parmigiano, uova, noce moscata, scorza di limone, a creare un impasto profumato che regalerà succulenza, aroma, morbidezza, pastosità al brodo nella nostra fondina di Natale. A seguire la parmigiana di gobbi, parmigiano a strati, a regalare profumo d’Emilia ai nostri cardi (gobbi, perché curvi), unici nella loro altezza e nel loro biancore, fritti pastellati e conditi a strati con salsa al pomodoro, o meglio di carne, e poi infornati. Ottima servita tiepida, ma anche fredda, da prepararne tanta che duri anche per il giorno seguente. Arriva poi Sua Maestà il cappone, sulle tavole storiche di papi, cardinali e alti prelati, che a Natale lo consumavano arrostito sugli spiedi. Tradizione ancora oggi conservata sia nel cappone lessato, quello che regala il nostro brodo, che nel cappone arrostito, fasciato di un trito di verdure aromatiche, timo, rosmarino, finocchio fresco, tagliati, battuti a coltello con sale, pepe fresco, l’aggiunta di scorza grattugiata di limone e un poco di burro: composto ideale per farcire quella sottile lamina che esiste tra carne e pelle del nostro volatile, per dare morbidezza e sapore alle carni, aromaticità di gusto di orti, di verde sotto casa, di spazi umbri rustici e essenziali. Per i più fortunati Natale è anche cacciagione. Fagiani, starne, pernici si alternavano un tempo sulle tavole umbre regalando altre portate di carne, oggi cucinati in salmì, con cipolline dolci di Cannara, o arrostiti allo spiedo, fasciati di fette di pancetta nostrana, che da noi il maiale è di casa e i norcini di Norcia hanno regalato il nome all’arte della lavorazione suina. Insomma in Umbria non è Natale senza cappelletti in brodo, senza cappone, senza galantina, senza parmigiana di gobbi. A seguire i dolci, che variano da città a città: le pinoccate, dolci rombi di zucchero, pinoli e albume, al limone o al cioccolato, dall’allegro incarto a forma di caramella; gli amaretti, semplici o rivestiti di pinoli; le pinolate; il torciglione, mitologico serpentello di pasta di mandorle tritate, che ha per occhi due rosse ciliegie e per squame i pinoli; la rocciata o attorta, di antico retaggio longobardo, simile allo strudel, ma con due grandi varianti, l’olio nell’impasto e il cioccolato nel ripieno; il panpepato o panpapato, che di ex territori papalini parlano, con frutta secca, cioccolato, miele, uvetta, vino rosso e spezie nell’impasto. Marilena Badolato

Il pranzo di Natale, di norma, rappresenta il trionfo della carne. Quella di maiale, sotto forma di salumi, insaccati e arrosti vari, la fa da padrone, insieme al cappone (il pollo maschio castrato, di circa sei mesi d’età, dalla carne bianca, morbida, assolutamente unica anche se più grassa), al tacchino ripieno, importato dai paesi anglosassoni e diventato uno dei tanti simboli delle feste. In Liguria si inizia con gli antipasti e si trova uno dei capolavori della cucina genovese: il cappon magro, un trionfo di verdure, pesci

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e profumi di questa terra. Seguono i maccheroni di Natale in brodo e i ravioli con il tocco (ravioli con il ripieno di carne e verdure, conditi con il buonissimo e tipico sugo di carne chiamato tuccu), poi la cima genovese, il cappone lesso, il tacchino e il sanguinaccio, un salume a base di sangue di maiale. Il pandolce, superba creazione a base di canditi, uvetta e pinoli, delicatamente aromatizzata da acqua di fiori d’arancio e semi di finocchietto, è il dolce tipico che conclude in bellezza il pranzo.

Nel Veneto si servono vari salumi come la sopressa, poi brodo di cappone, risotto al radicchio, gnocchi con il sugo di anatra, lesso di manzo con la tipica salsa cren, realizzata con le radici di rafano grattugiate, e si conclude, in dolcezza, con il pandoro di Verona. In Emilia il pranzo, di norma, incomincia con gli antipasti; si portano in tavola i famosi insaccati tra i quali spiccano la coppa piacentina, il prosciutto di Parma e il culatello di Zibello. In quasi tutte le case, per la gioia dei commensali, subito dopo

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arrivano le zuppiere fumanti piene di cappelletti o di tortellini in brodo di gallina o di cappone oppure di buonissimi passatelli. C’è anche chi preferisce le lasagne o le tagliatelle al ragù, ma per secondo si può essere certi che non mancherà mai lo zampone con le lenticchie, emblema di questa terra. I dolci tradizionali sono il certosino di Bologna, il pane di Natale (preparato, in molte famiglie, settimane prima e religiosamente bagnato, per mantenerlo morbido, con la saba, mosto di vino cotto a lungo, fino a diventare una salsa densa e sciropposa) e la buonissima zuppa inglese. Nel Lazio il giorno di Natale si mangiano, dopo i cappelletti in brodo, il bollito misto, l’abbacchio al forno con patate e anche il tacchino ripieno. In Puglia la fa da padrone l’agnello cucinato al forno con i lampascioni, u cutturidd (portato cioè a cottura con spezie e verdure e cotto per tre o quattro ore in una particolare pentola di terracotta). I dolci tipici sono le pettole, frittelle tonde da immergere anche nello zucchero, le cartellate, dolci buonissimi sempre fritti e dalla forma di rosa guarniti di mosto cotto o miele, i porcedduzzi, piccole frittelle con miele o zucchero, e la pasticceria a base di mandorle. In Sardegna vengono serviti tra gli antipasti salsiccia, pecorino e olive a scabecciu, tra i primi i culurgiones de casu (ravioli ripieni di pecorino fresco, bietola, noce moscata e zafferano) conditi con sugo di pomodoro e pecorino grattugiato, poi agnello con patate al forno e il classico porceddu al mirto. Tra i dolci primeggiano le seadas, tortelli fritti al formaggio, e la semplice ma buonissima ricotta, entrambi gustati insieme al miele. Come si può notare, ogni regione ha le sue tradizioni e guai a discostarsene, perché il Natale rappresenta un giorno magico sotto tanti punti di vista. È giusto impegnarsi per vivere, insieme ai propri cari, in gioia e serenità quel giorno, legato anche a tradizioni culinarie, certi che il loro ricordo, a volte persino struggente, ci accompagnerà nel corso della vita. Clara Scaglioni

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Promotion

Il cotechino Modena Igp “fa più buone le tue idee” Torna la campagna stampa di un prodotto tradizionale, con suggerimenti creativi per le ricette di tutti i giorni

È

partita il 15 ottobre la nuova campagna informativa del Consorzio di tutela Zampone Modena Cotechino Modena, che si articolerà in diverse uscite stampa su riviste ad elevata diffusione. L’obiettivo della campagna è quello di evidenziare la versatilità del Cotechino Modena IGP (Indicazione Geografica Protetta), un prodotto della tradizione in grado di sposarsi anche con le ricette più moderne. Il COTECHINO MODENA IGP e lo ZAMPONE MODENA IGP sono prodotti solitamente consumati nel periodo natalizio, ma, grazie alle loro peculiarità uniche e al gusto inconfondibile, si dimostrano ormai alleati in cucina tutto l’anno, ispirando grandi chef e cuoche casalinghe in squisite ricette e fantasiose creazioni culinarie. Al fine di promuovere il consumo delle due IGP anche al di fuori delle festività di fine anno, la campagna propone in particolare il Cotechino Modena come protagonista di alcune ricette, grazie alle quali si rivela particolarmente indicato per tutto l’anno, come testimoniato anche dalla crescente richiesta sul mercato. La creatività è stata sviluppata dall’agenzia Nadler Larimer & Martinelli e conferma il “payoff” di successo già adottato negli ultimi anni dal Consorzio: “Cotechino Modena. Ogni giorno fa più buone le tue idee”. In occasione della stagione 2012/2013 le due IGP saranno protagoniste in due flight pubblicitari a cavallo di fine anno. Le uscite stampa vedranno protagonisti tre differenti soggetti, ovvero tre possibili modi per gustare il cotechino Modena IGP in abbinamento con altri prodotti:

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cotechino Modena con linguine al sugo di pomodorini; cotechino Modena alla carbonara; cotechino Modena con fusilli e pomodorini;

Negli ultimi anni la costante attività di informazione e valorizzazione svolta dal Consorzio ha portato a risultati apprezzabili, se si pensa che lo Zampone Modena si conferma il

Una delle immagini promozionali: le linguine al sugo di pomodorini con cotechino Modena Igp.

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prodotto principe delle tavole imbandite di fine anno, mentre il Cotechino Modena, grazie alla sua particolare versatilità in cucina, viene sempre più apprezzato anche al di fuori dei mesi freddi. Il Consorzio Zampone Modena Cotechino Modena Il Consorzio Zampone Modena Cotechino Modena si è costituito nel 2001 a Milanofiori (Milano), dopo un articolato percorso iniziato nel 1999, anno in cui i due prodotti hanno

ottenuto l’ambito riconoscimento europeo IGP (Indicazione Geografica Protetta) con il Regolamento della Commissione Europea n. 509/1999. Il Consorzio,che ha come scopo la tutela e la valorizzazione dello Zampone Modena e del Cotechino Modena IGP, conta oggi 20 aziende, che rappresentano i principali produttori dei due prodotti IGP. La sigla IGP (Indicazione Geografica Protetta) ha introdotto un nuovo livello di tutela qualitativa, che tiene conto dello sviluppo in-

dustriale del settore, evidenziando l’importanza delle tecniche di lavorazione impiegate oltre al rispetto del vincolo territoriale. Quindi, la sigla identifica un prodotto originario di una regione e di un paese le cui qualità, reputazione, ricetta e caratteristiche si possano ricondurre all’origine geografica, e di cui almeno una fase della produzione, della trasformazione o dell’elaborazione avvenga nell’area delimitata. >> Link: www.modenaigp.it

Cotechino Modena alla carbonara Ingredienti per 4 persone ½ cotechino Modena • 2 tuorli d’uovo • 250 g di pasta • 4 cucchiai di panna fresca • 4 cucchiai di parmigiano • scalogno • noce moscata • pepe Preparazione Mentre cuoci il cotechino, fai rosolare lo scalogno in un cucchiaio d’olio extravergine d’oliva. Sbatti i tuorli con la panna, spolverizza con parmigiano, un trito di noce moscata e pepe. Fai saltare la pasta in padella col cotechino spezzettato, spegni il fuoco e condisci con la salsa.

Cotechino Modena con linguine al sugo di pomodorini Ingredienti per 4 persone 1 cotechino Modena • 320 g di linguine • pomodori ciliegino • aglio • timo • rosmarino • alloro Preparazione Taglia a metà i pomodorini e aggiungili al soffritto di aglio e aromi, lasciando cuocere per 10 minuti. Taglia grossolanamente il cotechino e uniscilo al sugo. Aggiungi sale e pepe a piacere. Scola le linguine e falle saltare nel sugo prima di servire.

Cotechino Modena con fusilli e pomodorini Ingredienti per 4 Persone 1 cotechino Modena • 280 g di fusilli • 4 pomodori perino • 1 porro Preparazione Mentre fai cuocere il cotechino, metti a soffriggere il porro con un cucchiaio d’olio extravergine d’oliva. Sbollenta qualche secondo i pomodori per togliere la buccia, affettali e tienili da parte. Cuoci la pasta al dente, scolala e passala in padella con il porro, mezzo cotechino sminuzzato e il pomodoro. Servi con il resto del cotechino affettato.

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Salumificio Francesco Barabino Spa Strada Statale per Alessandria, 44 – Torre Garofoli – Tortona 78 Premiata(AL) Salumeria Italiana, 6/12 Tel.: 0131 861449, 0131 868396 – Fax: 0131 821016 – www.barabino.com – barabino@barabino.com


Turismo enogastronomico Cipro: un pezzo d’Europa che guarda il vicino Medio Oriente

Paese che vai, salume che trovi di Massimiliano Rella

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ipro è per grandezza la terza isola del Mediterraneo, un pezzo d’Europa che guarda il vicino Medio Oriente e le coste asiatiche della Turchia. La sua posizione lungo le rotte di navigazione ne ha fatto un crocevia di popoli e civiltà, con colonizzazioni, invasioni, scambi commerciali, che hanno determinato un’insieme di culture e tradizioni, ma anche ricette e usanze gastronomiche. A partire da carni, salumi, piatti di mare e, naturalmente, vini. La localizzazione geografica e il clima caldo favoriscono la produzione di frutta e altri prodotti mediterranei, verdure, ortaggi, legumi, cereali, erbe aromatiche, tipicità come i kolokasi, tuberi locali simili a patate dolci. L’allevamento di pecore e capre fornisce invece il latte per i formaggi, come l’anari, una ricotta che si può consumare fresca o stagionata, in questo caso anche grattugiata per i condimenti. Il mare offre pesce fresco e saporito, triglie, pagelli, spigole, acciughe, pesce spada, polipi, ingredienti di gustose preparazioni. Anche la carne, con le diverse specie, maiale, manzo, agnello, capra o coniglio, è protagonista di appetitose ricette. Con la carne di suino sono ottenute varie specialità, adatte anche alla conservazione. Paese che vai, salumi che trovi. E Cipro non fa eccezione. Una specialità è la loukanika, una salsiccia affumicata tipica dell’isola, fatta con carne di suino di alta qualità, marinata e aromatizzata, con un sapore leggermente diverso secondo il luogo in cui è prodotta e la quantità e qualità delle spezie utilizzate nella preparazione. Il nome ricorda la luganega veneta e non è certo un caso, poiché l’isola in passato fu a lungo governata dai Veneziani. Nella versione più diffusa della

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loukanika all’impasto sono aggiunti sale e semi di coriandolo schiacciati ma si usano anche altri aromi. Prima dell’affumicatura la salsicce sono lasciate a macerare nel vino rosso. Per affumicare la salsiccia si utilizza legno di carrubo o di olivo. Si cucina in padella o sulla griglia, come si vede spesso anche nelle tradizionali grigliate all’aperto che impegnano i ciprioti nel fine settimana. La lavorazione è artigianale e nei villaggi molte famiglie, quando in inverno si

uccide il maiale, le preparano in casa in vista del Natale. Un’altra specialità è la lountza. Simile al prosciutto affumicato, è prodotta con fine filetto di suino, o lonza di maiale, insaporita con sale e semi di coriandolo e marinata nel vino rosso per due settimane. Viene affumicata su un apposito camino, con legno di vari alberi e arbusti aromatici. Si mangia fredda, da sola a fette o con il pane, oppure grigliata o fritta.

Una specialità di Cipro, la lountza. La carne viene marinata nel vino per due settimane, poi affumicata. Si mangia fredda, da sola a fette o con il pane, oppure grigliata o fritta.

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Vigne ad alberello. Cantina Sterna, nel villaggio montano di Kathikas. L’abbinamento carne magra suina disossata e semi di coriandolo è usato anche nella ricetta dell’afelia, uno stufato di maiale al vino rosso. Olio extravergine d’oliva e un fantasioso e goloso repertorio di dolci completano il quadro di una gastronomia tutta da scoprire.

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E naturalmente c’è anche il vino. A Cipro il clima mite con lunghe estati calde e soleggiate ha da sempre favorito la produzione di uve e vini apprezzati già nell’antico Egitto, dai Greci e dai Romani. Il più antico vino di Cipro è la Commandaria, un passito prodotto con uve Mavro e

Ospitalità L’albergo Athena Beach Hotel di Pafos è un moderno 4 stelle sul mare con 420 camere, alcune con piscina privata, 5 ristoranti, centro benessere e Spa, piscine coperte e all’aperto, tre campi da bocce per campionati mondiali, area attrezzata con giochi per bambini (www.athena-cbh.com). Ospitalità di charme al Columbia Beach Resort, un lussuoso 5 stelle in una baia di Pissouri, con 94 eleganti suite, piscina, sauna, due ristoranti: uno italiano mediterraneo, il Baccus, affidato allo chef Yiannis Yiakounides, l’altro cipriota tradizionale, l’Apollo, che vede in cucina lo chef Therapon Therapontos. Campo da golf, piscina e sport acquatici (www. columbia-hotels.com). Napa Mermaid Hotel è un albergo nella località turistica di Ayia Napa, con 150 camere arredate in stile contemporaneo, vista mare e piscina, due ristoranti con cucina cipriota e internazionale, il Flavours e il White Linen Restaurant, quest’ultimo aperto da maggio a settembre (www.napamermaidhotel.com).

Xynisteri, fatte appassire al sole per elevarne il contenuto zuccherino. A questo vino è dedicato l’Itinerario enologico “Koumandaria”, che attraversa 14 villaggi di produzione, nei dintorni di Limassol, nel sud dell’isola. Da Kolossi, con il castello nel quale sono state ritrovate le più antiche

Agnello, cous cous, carciofi e yogurt alla menta al ristorante di cucina cipriota Apollo, nel Columbia Beach Resort.

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Le capre nella foresta di Pegeia, sulla penisola protetta di Akamas. testimonianze della coltura della vite nell’isola, si conclude ad Agia Fyla e collega diverse cantine da visitare e

curiosità, come il torchio di Laneia (www.visitcyprus.com). Molti vitigni europei sono considerati originari di

La casa di Dioniso Uve e vini sono stati anche celebrati da mitologia e arte, come si vede nei mosaici della Casa di Dioniso, all’interno di una villa romana nel Parco archeologico di Pafos, patrimonio UNESCO, a ovest dell’isola. I mosaici di epoca ellenistica (foto in basso) rappresentano Dioniso con la ninfa Acme che beve il vino, e al centro della scena Icarius, re di Atene, il primo uomo a cui Dioniso insegnò a fare il vino. Alla sua destra i primi bevitori, accasciati a terra per l’ebbrezza della bevanda. Pensando di essere stati avvelenati uccideranno Icarius.

Cipro e ancora oggi la viticoltura è una delle principali attività agricole ed economiche dell’isola. I vitigni autoctoni sono lo Xynisteri, a bacca bianca, il Mavro, l’Opthalmo, il Maratheftiko, a bacca rossa, ma sono coltivati anche il Cabernet Sauvignon e Franc, il Merlot, lo Chardonnay, il Sirah, il Mataro. Si producono vini bianchi e rossi, che a settembre, durante il Festival del Vino di Limassol, organizzato nel Parco Municipale, sono tutti in degustazione, anche in abbinamento a piatti tipici, in un’atmosfera di allegria e cordialità con musiche e balli tradizionali della vendemmia. Da non perdere una visita al Museo del Vino di Cipro, nel villaggio di Erini, vicino Limassol, che espone molti oggetti legati alla viticoltura, come vasi, anfore, calici e altri documenti, e fornisce informazioni sulle tecniche di produzione e sui vitigni locali (www.cypruswinemuseum. com). Massimiliano Rella Nota Fotografie di Massimiliano Rella.

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Sapori dal mondo

Sujuk, la salsiccia ottomana Carne macinata, spezie e profumi d’Oriente per un piatto versatile e veloce di Elena Benedetti

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i trovavo a Izmir, la grande città dell’Anatolia che si affaccia sull’omonimo golfo nel Mar Egeo, ricca di storia e crocevia di culture e commercio. Nel girovagare tra i venditori ambulanti di carne alla brace, spezie profumate, ristoranti e caffè mi sono imbattuta in un salume locale, tipico della cucina turca. È il sujuk (conosciuto anche come sudjuk, sucuk), una salsiccia asciutta, dal colore rossastro che, assaggiata cruda, ha buon sapore pieno, piccante e speziato. Tipica della tradizione salumiera turca, col tempo si è diffusa anche in Medio Oriente, nella regione dei Balcani fino all’Asia centrale. Si contraddistingue per la consistenza asciutta del prodotto e per la varia intensità delle spezie impiegate. La materia prima utilizzata è abitualmente carne di manzo, anche se ne esistono varianti con suino (nei paesi non musulmani) e addirittura equino in Kazakistan e Kyrgyzstan. Macinata con cura la carne è quindi mescolata con olio d’oliva e spezie, il cui dosaggio varia a seconda del grado di intensità del sapore desiderato. S’impiegano abitualmente sale, peperoncino, cumino, aglio e sommacco, quest’ultimo ricavato da una pianta con origini antichissime, utilizzata anche nella preparazione di medicinali. L’impasto così ottenuto, messo a riposo per circa 24 ore, è poi insaccato in budello naturale e fatto stagionare per alcune settimane. Il sujuk si può consumare sia crudo che, preferibilmente, cotto, soprattutto al mattino a colazione, magari con uova e una tazza di caffè

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nero bollente. In Libano e in Armenia si utilizza per farcire gustosi panini con aglio e salsa di pomodoro mentre

in Bulgaria, crudo e a fette, si mangia come antipasto accompagnato ad un bicchiere di vino.

Un venditore di sujuk al mercato di Izmir (foto Massimiliano Rella).

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Izmir, tutta da scoprire Secondo un detto turco Izmir è inaffidabile, come il tempo, spesso mutevole soprattutto in inverno e in primavera, e come le sue ragazze, sulla cui stabilità di umore pare si possa fare ben poco affidamento. La terza città della Turchia, Izmir (in origine mirra, dal greco antico), si affaccia sul golfo dell’Egeo con una moltitudine di identità e anime che tutte insieme catturano e affascinano il visitatore. Oggi esula dai percorsi turistici tradizionali, fatte salve le numerose navi da crociera che quasi quotidianamente attraccano al porto per consentire ai passeggeri una visita in giornata allo spettacolare sito archeologico di Efeso, distante solo un’ora di pullman. Ma anche Smirne è una vera sorpresa e merita senz’altro una sosta. Per la grande movida di giovani che nei mesi estivi affollano i locali, caffè e ristoranti aperti fino a tardi nel quartiere di Konak. Per gli itinerari culturali con l’Agorà edificata da Carlo Magno e ricostruita da Marco Aurelio dopo il terremoto del 178 d.C., la Torre dell’Orologio, simbolo della città, realizzata nel 1901 in stile ottomano per rendere omaggio al sultano Abdulhamid, e ancora gallerie d’arte moderna, chiese, moschee, musei e il divertente e caotico Kemeralti bazar. Si narra che Smirne diede i natali a Omero. Le prime fondamenta della città risalgono al III millennio a.C. e da allora la capitale è stata un susseguirsi di popoli e avvicendamenti, da Troia ai Persiani, passando per Alessandro Magno, e all’egemonia romana con Marco Aurelio. È stata sede dei Bizantini, degli imperatori macedoni, quindi colonia genovese e conquista degli Ottomani e dei Greci. Tante sono le popolazioni, anche non musulmane, che ancora oggi convivono a Izmir: armeni, ebrei, greci, levantini. Il suo spirito multietnico si ritrova negli edifici e nei tanti luoghi di culto della città, tra chiese cristiane, moschee e sinagoghe. Liberali e libertari, qui buona parte dei giovani cittadini di Izmir (l’età media rispecchia quella nazionale, che conta un 72% al di sotto dei 35 anni) vivono all’occidentale, tra internet, social network e una gran voglia di godere della città e dei suoi spazi di intrattenimento (primo fra tutti il cordón, ovvero il lungomare affollato di ristoranti e locali per tutte le tasche). Il mercato nel quartiere di Kemeraltı è una vera meraviglia, visitabile anche nelle ore più calde grazie a teli e lamiere che riparano dal sole. In questo labirinto di vicoli lo street food è eccellente, tra kebap, spiedini e polpette. Non può mancare un bicchierino di the o un bel caffè turco da gustare pigramente in uno dei tanti caffè del bazar, con iphone alla mano per dare un’occhiata veloce alla posta grazie alle reti wifi gratuite, disponibili ovunque. Qui si respira un’atmosfera più orientale, con tante famiglie musulmane indaffarate nelle spese e col sottofondo del richiamo del muezzin dal vicino minareto. A Izmir tutto scorre in una multiculturalità che apre la strada a nuove forme di convivenza espressiva fra Oriente e Occidente. Ci auguriamo che lo spirito di questa capitale rimanga a modello per il Paese.

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Convegni

Il firmamento delle bufale Le idee scaturite nel convegno “Bufale di Lombardia: da latte a formaggi” per l’utilizzo del latte di bufala di Corrado Barberis

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vremo presto un bufalardo o un lombardufolo? Così ci chiedevamo su PREMIATA SALUMERIA ITALIANA n. 5/2012. L’interrogativo nasceva dall’avere il censimento ISTAT dell’agricoltura 2010 accertato la presenza in Lombardia di oltre 10.000 capi bufalini: al cui latte bisogna pur dare una qualche destinazione. Si sa come sono andate le cose. L’abigeato, non del tutto scomparso nelle terre campane dove le bufale sono di casa, ha consigliato alcuni allevatori a trasferire le mandrie al nord. Accanto a questi fattori precauzionali, altri si sono fatti sentire: la possibilità di sfuggire alle complicate

norme che regolano la produzione del latte, con le relative quote. Già, perché la Comunità Economica Europea nega la qualifica di latte al liquido mammario delle bufale, esentandole quindi dai limiti produttivi imposti alle bovine. Partendo da queste premesse e dopo avere reso omaggio alla memoria di una eletta signora — INGRID SCHWENKE CAPRONI — la quale fin da lontani anni aveva trapiantato alcuni esemplari bufalini sulle rive del Ticino, l’Istituto nazionale di sociologia rurale ha approfittato dell’occasione fornita dalla ormai storica Fiera di “Franciacorta in Bianco”, organizzata dal Comune di

Castegnato (Brescia), per affrontare l’argomento attraverso un convegno intitolato “Bufale di Lombardia: da latte a formaggi”. Cinque sono infatti le soluzioni possibili: vendere il latte sfuso, a rischio che esso venga acquistato da produttori di mozzarella di bufala campana, contravvenendo allo spirito dei disciplinari che vogliono legare quella specialità ad una materia prima prodotta sul territorio designato dalle regole DOP. Un’operazione che ricorderebbe quanto avvenuto all’indomani dell’Unità d’Italia, allorché i casari napoletani produttori del provolone trovarono più conveniente acquistare il latte lombardo e fabbricare con esso

Il Testun, uno dei formaggi esposti alla Fiera di Castegnato (BS) “Franciacorta in Bianco”.

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il famoso prodotto meridionale. La seconda soluzione, che in fondo è una variante della prima, è di trasformare il latte in pasta filata direttamente sul luogo di produzione e di chiamarlo mozzarella di bufala: evidentemente non di bufala campana, perché sarebbe una truffa, condannabile in base a tutte le ordinanze italiane ed europee. Presentare come campana una mozzarella lombarda sarebbe un atto deplorevole, ma la materia del contendere è fornita dall’aggettivo “campana”, non dal sostantivo “mozzarella”. Tanto è vero che possono benissimo chiamarsi mozzarelle anche degli elaborati di tutto latte bovino, non bufalino: cosa che avrebbe fatto imbestialire il commissario campano della famosa “Inchiesta Jacini”, RAFFAELE DE SIERVO (1883), per il quale era inconcepibile una mozzarella che non fosse di bufala. Ma tant’è: complici le bonifiche e la lotta intrapresa contro tutto ciò che poteva sembrare anti-moderno, durante il regime fascista si venne a poco a poco creando una situazione per cui il termine mozzarella scivolò verso il mondo bovino, strappato dunque alle bufale. Sicché oggi solo i buongustai, quando parlano di mozzarella, intendono quella di bufala. Per gli altri, per la grande massa, l’unica garanzia è rappresentata da quella addizione “bufala campana” che consacra la genuinità della storia. Una terza soluzione è rappresentata dall’immissione di un po’ di latte di bufala nei locali formaggi lombardi. Non perché essi abbiano bisogno di questa immissione ma perché, pur essendo largamente autosufficienti, ricevono dal latte bufalino qualcosa non diciamo di “più” ma di “diverso”. Alcuni Grana Padano da noi gustati supportano questa tesi. Una quarta via è rappresentata dalla costruzione di formaggi lombardi in cui il latte bovino è stato totalmente soppiantato dal bufalino. Ci riferiamo a un Italico di straordinaria cremosità denominato “Buffello” dai Fratelli Massari di Izano (Cremona) o ad un “Blu di Bufala” dei Fratelli Gritti di Cologno Bergamasco, prodotto sulla scia del Gorgonzola. Per tacere degli stracchini di Antonio Caffi di Grumello Cremonese e dei Fratelli Facchi

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Il “Blu di bufala” Caseificio Quattro Portoni dell’Azienda Agricola Gritti Bruno e Alfio di Cologno al Serio (Bergamo). di Manerbio (Brescia). A completare il trionfo della bufala i Facchi si lanciano addirittura verso la creazione di un salame bufalino: integrato — è vero — per ragioni di conservazione, da qualche frammento di grasso suino. Ma i fratelli Gritti ci hanno riservato anche un’altra sorpresa: la comparsa di un elaborato cui forse può spettare la qualifica di bufalardo o di lombardufolo: una crema pannosa a cui è stato dato il nome di Casatica. Animato da FRANCESCO LECHI, che ha tirato fuori la grinta di vecchio professore per indurre i

bufalari alla confessione, il convegno ha avuto come ideale interlocutore quel VINCENZO CITRO da Battipaglia che anni orsono riuscì a tirar fuori dal suo stabilimento di Valtusciano (Salerno) un Mascarpone che avrebbe fatto invidia alla più celebre versione autoctona lombarda. Si domandava B RILLAT -S AVARIN se avesse fatto di più per l’umanità l’inventore di un manicaretto nuovo o lo scopritore di una stella. Se continua così, dalle bufale lombarde aspettiamoci un intero firmamento. Corrado Barberis

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Rassegne

So food!: spazio agli artigiani del gusto in Puglia Formaggi, carne, salumi, vini, pesce conservato, cioccolato: una vera e propria galassia del gusto ha preso corpo a Villa Camilla, Bari. Ideatore dell’evento Dante Martellotta, proprietario di CE.DA., agenzia di rappresentanza di specialità alimentari di Riccardo Lagorio

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on esistono solamente le grandi fiere, le rassegne che bucano il video a colpi di spot e cartellonistica, che occupano immensi spazi complessi da percorrere e capire. È vivo anche e soprattutto un mondo di eventi e presentazioni che possono contare su macchine organizzative contenute, spazi modesti per quanto riguarda la superficie occupata, sobri strumenti di propaganda. E questi eventi hanno valore almeno pari agli altri più noti, quantomeno perché dalla parte dei produttori riescono a radunare coloro che garantiscono un’elevata professionalità e da quella degli acquirenti un bacino di utenza estremamente interessato e coinvolto. Ben riuscita, ad esempio, la manifestazione dal nome evocativo, So food!, organizzata a Bari, il 30 settembre scorso, da CE.DA., agenzia generale di commercio di specialità alimentari. L’ideatore e proprietario di CE.DA., DANTE MARTELLOTTA, ha scelto per il suo evento gourmand, in clima tipicamente estivo, un palcoscenico assai intrigante come quello di Villa Camilla, nel quartiere Poggiofranco, a due passi dal centro del capoluogo. «Personalmente mi ri-

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tengo fortunato: svolgo un lavoro che mi entusiasma e dopo tanti anni spesi in giro per l’Italia e per l’Europa alla ricerca di storie, sapori e personaggi ho deciso di fondare CE.DA. La realizzazione del progetto è frutto della fiducia che abbiamo conquistato nel corso degli anni, costruendo un mosaico di relazioni e referenze gastronomiche che fanno di CE.DA. il fiore all’occhiello della distribuzione di alta qualità in Meridione». CE.DA. si fonda su una struttura familiare, e proprio per questo risulta particolarmente attenta a cogliere gli aspetti più reconditi richiesti dall’evoluzione del mercato. Se ne ha con-

ferma dallo stesso Martellotta: «Mia moglie e mia cognata si occupano dell’amministrazione della società, io gestisco la forza vendita costituita da 22 agenti, 12 dei quali operanti in Puglia, alcuni in Basilicata e gli altri in Calabria. Una struttura agile e capillare che ci mette ogni giorno in contatto con i migliori negozi delle Regioni dove siamo presenti. E anche i nostri collaboratori sono di casa: anche loro sono coinvolti in questo progetto di distribuzione di specialità alimentari». Esempio è Gino Zampogna, agente della prima ora e stretto assistente di Martellotta: «La gente crede di consumare salame o formaggio di

Foto di gruppo dei partecipanti a So food!

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A sinistra: lo stand della Corsini Biscotti Srl. A destra: il Prosciuttificio Dok dall’AVA di San Daniele del Friuli (UD). qualità; è successo a me in prima persona di capire però quanto sia fondamentale scoprire come un prodotto viene elaborato, quali sono le materie prime. Solo allora si può scegliere consapevolmente». È con questo criterio di determinazione dell’origine delle materie prime che CE.DA. sceglie i propri fornitori per sottoporli poi alla rete di distribuzione tradizionale. Alcuni casi emblematici tra quelli presenti nel paniere CE.DA. sono la Corsini Biscotti di Castel del Piano (GR), il Pastificio Artigiano Cav. Giuseppe Cocco in Fara S. Martino (CH), la Macelleria Oberto di Roddi (CN), il Prosciuttificio Dok dall’Ava di San Daniele del Friuli (UD) e l’azienda Vinicola Balan di Sant’Ambrogio (PD). Ciò che lega queste aziende, lontane l’una dall’altra sotto l’angolatura merceologica e geografica, è la tradizione produttiva su base familiare e la cura nella preparazione dei prodotti da lanciare sul mercato, come la tradizione familiare della Corsini Biscotti, che rappresenta il meglio della tradizione dolciaria toscana. Presente unicamente nelle macellerie e nei ristoranti di livello qualificato è la carne della Macelleria Oberto, la cui proposta non scende a compromessi per quanto riguarda l’origine della materia prima, unicamente Fassona di razza Piemontese. «Dal 1965 abbiamo con oltre 100 aziende agricole un rapporto più che commerciale di amicizia e da qualche mese garantiamo alle gastronomie

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la linea fresco frigo, confezioni monodose sottovuoto destinate a coloro che non sono provvisti di un reparto macelleria» afferma Daniele Oberto. E all’alta ristorazione ed alle enoteche si rivolge l’azienda Vinicola Balan, una presenza sul mercato di oltre sessant’anni che ritrae le zone vinicole più importanti del mondo e delle cantine ivi più rappresentative. Un’ampia gamma di proposte nel paniere di CE.DA., che va dai salumi al pesce conservato, dai prodotti da forno di Mario Fongo di Rocchetta Tanaro (AT) al sommo cioccolato Amedei di Pontedera (PI). Allo stesso modo fanno parte della galassia CE.DA. una serie di negozi scelti da Dante Martellotta: « per dare voce a questi straordinari artigiani del gusto presso una fascia di consumatori preparati e interessati», come dice lo stesso giovane imprenditore. Ovviamente tutti loro presenti il 30 settembre. Come Alessandro Capriati, 38 anni, al comando della salumeria e gastronomia specializzata nel centro di Bari (telefono: 080 5210584). «In questo momento anche i nostri clienti, di fascia di reddito medio alta, richiedono prodotti alimentari d’alto livello ma che non eccedano nel prezzo. Vogliono comunque e sempre stupire se hanno ospiti e in ogni modo hanno sedimentato nel palato un gusto, anzi il gusto e, attraverso questo, comparano le novità che si sottopongono loro. Grazie ad imprenditori preparati come Dante

Martellotta riusciamo a garantire prodotti d’alta fascia nella convinzione che per questo saremo premiati». Dello stesso tenore il racconto dei fratelli Francesco e Gaetano Papapicco raccolto durante quella giornata. I fratelli Papapicco conducono, terza generazione, un’attraente gastronomia nel cuore di Bitonto. «Abbiamo la fortuna di potere stagionare in una cantina di oltre 170 m2 per parecchi mesi prodotti già di per sé straordinari: salumi e formaggi soprattutto. Potrebbe sembrare strano, ma i nostri migliori clienti sono maschi e mariti che si sfiziano con una bottiglia di vino, i salumi ed i formaggi che Dante Martellotta ci procura. Anche se questo fenomeno, rispetto a qualche anno fa, si è ridotto, mantiene la propria rilevanza. A questo abbiamo affiancato la consegna a domicilio per mantenere e caratterizzare ancora di più il servizio». E alla salumeria si affianca a piccoli ma decisi passi il servizio gastronomia. Il mercato cambia; ci si ingegna con nuove modalità di acquisizione di spazi commerciali. Dante Martellotta, in questo, è anche un apripista. Riccardo Lagorio CE.DA. Sas di Martellotta Dante & C. Lungomare IX maggio, 54 70123 Bari Telefono: 080 5343633 E-mail: info@cedasas.it Web: www.cedasas.it

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cosa ci fa un pistacchio di bronte in un pecorino pisano? un sapore inimitabile.

custodito in una formula originale brevettata. Questo pecorino, prodotto solo con il pregiato Pistacchio Verde di Bronte D.O.P., è uno dei formaggi piĂš apprezzati dell’intera famiglia delle Delizie. La presenza dei pistacchi lo rende particolarmente adatto come aperitivo o antipasto.


Caseus Veneti 2012

Una sfida a tutto cacio Cà Vendri ha ospitato l’ottava edizione del concorso regionale dei formaggi del Veneto. 351 prodotti e 39 medaglie assegnate di Stefania Monaco

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na bella sfida di cacio veneto organizzato dalla A.PRO.LA.V. a villa Cà Vendri, Quinto di Valpantena, Verona. La splendida dimora cinquecentesca ha ospitato 351 formaggi provenienti da tutto il Veneto. 35 le categorie e 39 le medaglie assegnate per via di 4 ex aequo. Dopo Lombardia ed Emilia-Romagna, la regione veneta è terza in Italia per produzione di latte vaccino, con un volume di 11 milioni di quintali all’anno, pari al 10% della produzione a livello nazionale. Le medaglie d’oro sono state distribuite tra le province: Treviso è risultato al primo posto con 17 medaglie, Vicenza ne ha portate a casa 9, Verona 7 e Belluno 6. Tantissimi gli appassionati ed i visitatori tra gli stand con 11 caseifici, 7 consorzi DOP, 2 birrifici artigianali e 2 consorzi del vino. Anche per i più piccoli il Caseus Veneti ha organizzato due laboratori: la “Caccia al cacio”, una sorta di assaggio sensoriale guidato, e “Un’ora da casaro”, ovvero come imparare a fare il formaggio a cura di Lorenzo Maggioni. Assegnato da una giuria di giornalisti il “Premio Friuladria Forme di Solidarietà” al migliore tra 35 formaggi vincitori di categoria, che è risultato essere il Monte Veronese dolce del Caseificio Gugole di San Giovanni Ilarione (VR). Un formaggio eccezionale se si pensa ai soli 30 giorni di stagionatura che viene prodotto con latte crudo (cioè non pastorizzato), preservando e valorizzando in questo modo tutte le buone sostanze e gli aromi del latte di alpeggio. Si

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presenta con pasta morbida di un bel colore giallo, al naso manifesta sentori di burro fresco e fieno, in bocca si sentono piacevoli sentori di latte maturo, erbe aromatiche e frutta secca. Il latte viene raccolto da malghe e stalle che vanno dagli 800 ai 1400 metri di altezza nella zona di San Bortolo e Campofontana, all’interno del Parco Naturale della Lessinia. La lavorazione dei formaggi avviene ancora manualmente, in maniera artigianale, con caldaia di rame. Questo Monte Veronese ha vinto svariati concorsi anche internazionali come le Olimpiadi dei Formaggi con più medaglie per le varie stagionature. La

storia di Dario Gugole (classe 1944) è semplice ed antica: fa il casaro da quando era bambino ed ha acquisito la conduzione di questo caseificio nel 1982; attualmente gestisce caseificio, ufficio e punto vendita con i nipoti Antonella e Tranquillo. Gli altri formaggi arrivati in finale • Grana Padano DOP (oltre 20 mesi) del Caseificio San Rocco Sca di Tezze sul Brenta (VI). Con piccoli grani di sale dolce, persistente, profumatissimo di certo il formaggio più interessante. Difficile imbattersi in un 20 mesi di questa fragranza;

Il Caseificio Gugole di San Giovanni Ilarione (VR). Dario Gugole fa il casaro da quando era bambino ed ha acquisito la conduzione di questo caseificio nel 1982; attualmente lo gestisce con i nipoti Antonella e Tranquillo.

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Piave Vecchio Selezione Oro di Lattebusche Sca, Cesiomaggiore (BL), l’unico caseificio che produce questo formaggio così intenso: profuma di frutti e di fiori con un retrogusto lungo, persistente e piacevolissimo che invita subito a prenderne altro; • il Formaggio Affumicato di Ca’ Verde Soc. coop. agr. 8 Marzo di Sant’Ambrogio di Valpolicella (VR). Normalmente questi tipi di formaggi sono quasi fastidiosi perché le affumicature sono precarie ed impersonali. Questo formaggio è un’eccezione, sono anni che vince nella sua categoria e anche se la stagionatura non era ancora completata lascia intendere di affinarsi al meglio; • il Formaggio aromatizzato (pepepeperoncino) di Sapori del Piave, Battistella Luigi & C. Snc, a Ponte di Piave (TV), incastona pepe nero e peperoncino rosso. Del primo ve n’è un gran sentore, i grani scrocchiano e sono piacevolissimi, mentre il peperoncino dà una lieve nuance delicata e non piccante che gli conferisce profumo ed eleganza; • il formaggio aromatizzato (erbe, fieno e spezie) de La Capreria Soc. Agr. a Montegalda (VI) ribattezzato il formaggio di Heidi, pieno di erbe e fieno, delicatamente acido. Il formaggio adatto per tutto il giorno, dalla colazione alla cena; • il Monte Veronese DOP d’allevo mezzano (3/6 mesi) de La Casara Roncolato Romano Srl di Roncà (VR) è uno dei formaggi che arriva sempre in finale perché è semplicemente “accomodante”. Mezzano di stagionatura, si presta a lavorazioni in cucina, si scioglie, si mangia a pezzi e si può anche grattugiare. Sa di campi di pascolo, ha colore verdognolo e aspetto oleoso. Rasenta la perfezione! Fuori concorso tra i banchi d’assaggio una piccola forma di Monte Veronese d’allevo vecchio, anno 2010 di Malga Novezza. Preparato con latte estivo proveniente dal Monte Baldo per Roncolato. Un vero gioiello in mezzo a tante forme. Stefania Monaco

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La Mostra del Bitto a Morbegno

Centenari dall’aria sbarazzina È andata in archivio l’edizione numero 105 della rassegna secolare che esalta la tradizione casearia della Valtellina. A Morbegno, oltre 10.000 visitatori hanno reso omaggio alle eccellenze gastronomiche del territorio, in prima battuta Casera, Scimudin e Bitto, con quest’ultimo sugli scudi di Fabio Butturi

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uesta storia ha tre protagonisti, una sola e suggestiva location e due anniversari, che rievocano le prime luci del secolo scorso e “l’anno di grazia” 1995. Della triade di primi attori, il Bitto, il Casera e lo Scimu-

din, sarà il Bitto a occupare la scena della piccola città di Morbegno nella quinta incantata della Valtellina. Ed è proprio qui, nella bassa Valtellina, sotto la maestosa incombenza delle Alpi Retiche e delle Prealpi Orobiche, quasi in odor di Svizzera, che si è

L’asta del Bitto. A condurre Beppe Bigazzi, volto noto della televisione.

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Forme di Casera in mostra. tenuta l’edizione numero 105 della Mostra del Bitto. Abbandonato il polo fieristico di Sondrio, il Bitto ha celebrato se stesso proprio là dove poco più di un secolo fa si era ritualizzata la consuetudine dei casari di Valtellina e Valchiavenna di esporre le forme e procacciarsi i favori dei valtellinesi. E così l’evento caseario, anzi, più propriamente, l’apripista della vetrina gastronomica del territorio, consacrato da oltre diecimila visitatori, si è sviluppato a partire dalla casera (il tipico locale di stagionatura) allestita nel chiostro di piazza Sant’Antonio a Morbegno, dove le acque del Bitto, affluente dell’Adda, scorrono terse e prestano l’onomastica a quel formaggio dalla pasta morbida, friabile alla masticazione tanto da sciogliersi in bocca. Per chi non lo sapesse, il Bitto è considerato un formaggio da meditazione, che impegna le mandibole in un’operazione di accurata e preziosa liquefazione per foderare il palato e ottundere i sensi. Ma siamo già al finale, forse è meglio rivedere la pellicola dall’inizio, cioè alle ore 5,

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della mattina come della sera, quando in alpeggio casari e cascii, i garzoni, mungono non solo le vacche brune alpine; ci sono infatti pure le capre a passare sotto le mani dei valligiani più esperti, per fornire quel 10% di latte che sancisce la specificità del Bitto. Tutto quello che avviene dal pascolo alla stagionatura è impregnato di inflessioni e semantica dialettali. A partire dagli alpeggi, dove i calècc sono le tipiche costruzioni in pietra, scoperchiate, all’interno delle quali i casari (o casér) lavorano il latte, agli attrezzi, la culdèra, caldaie di rame a campana rovesciata, la fasèra dove depositare il formaggio fresco, la mela, coltello a serramanico ricurvo. Appena munto, il latte viene cagliato nelle culdère a 35-37°C, fino alla rottura, esercizio di stile e ancestrale competenza del casaro. A questo punto comincia l’opera di “vivisezione” della cagliata, prima in fette più grossolane, per separare il siero, quindi con la lira, o chitarra, per poi frantumarla con lo spino. I grumi così ricavati da quest’ultima operazione sono sottoposti a un’ulte-

riore cottura a 48-52°C, che porterà i granuli ad adagiarsi sul fondo della caldaia, addensandosi e legandosi. La cagliata viene successivamente depositata sullo spersore, all’interno delle fascere, e dopo un giro di lancette lungo una giornata durante il quale il formaggio viene pressato, finalmente si assiste alla genesi del Bitto, nella forma in cui lo conosciamo. La salagione può avvenire a secco o per immersione in salamoia, che conferisce sapore, oltre a formare la crosta che isola la pasta e determina un certo grado di asetticità. Alle premure del casaro è affidato il rush finale, nelle casere, dove controlla le forme, pulendole e visionandone lo stato di integrità, in condizioni ideali di temperatura, 12-16°C, e umidità, 80/90%. Esaurita la fase propedeutica dovrete però attendere almeno settanta giorni di stagionatura per avere l’imprimatur del Consorzio anche se alla pazienza, come alla bontà, non bisogna porre limiti, ed è così che abbinando le due virtù si può degustare un formaggio vecchio anche dieci anni. A quel punto potrete deliziarvi dei

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feedback sensoriali che hanno reso celebre il formaggio valtellinese, tutti aromi segaligni, alpestri ed essiccati, come burro, nocciola, noce, frutta secca e fieno. Si è parlato di inizio, anche se per raccontare la genesi bisognerebbe proiettarsi indietro nel tempo di oltre duemila anni, in un villaggio delle popolazioni celtiche scampate alla colonizzazione romana, e precisare che questa storia potrebbe non avere fine, almeno stando all’etimo della parola Bitto, che nell’idioma degli autoctoni significa “perenne”. Di sicuro concordano con questa esegesi quelli del CTCB, il Consorzio di Tutela dei Formaggi Valtellina Casera e Bitto, che attualmente in organico consta di 123 associati, trasformatori, latterie sociali e cooperative. Ed è a questo proposito che spunta una delle due date essenziali per capire questa narrazione, il 1995, che incrocia due eventi, peraltro tra loro correlati, il riconoscimento della Denominazione di origine controllata (DOC) al Bitto e al Casera, avallata successivamente dal DOP della CEE, a supporto della quale nasce il CTCB. Associazione locale, con sede a Sondrio, per un formaggio che è però uscito dai confini della regione alpina per diffondersi soprattutto nel NordItalia. Secondo le cifre del Consorzio, per quanto siano puramente indicative, essendo datate 2009, sono più di 186.000 le forme licenziate dagli ottanta produttori iscritti al CTCB (venti i caseifici che producono il Valtellina Casera), che ha margini per spingere ulteriormente l’espansione della rete distributiva, anche fuori dalla Val Padana. Una capacità dilatata che sarebbe supportata da 1.300 produttori di latte in qualche misura coinvolti nel Consorzio. Per il momento ci si accontenta (e si gode…) di quanto passa il convento (tanto…) e, a proposito di luoghi di culto — seppur sconsacrati —, è ora di tornare alla chiesa del 400 che funge da volano della Mostra. Evento caleidoscopico che ha coinvolto l’intera comunità di Morbegno, che è diventata per un fine settimana il centro di gravità della Vallata. Non sono quindi mancate le premiazioni,

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come quella del Bitto stesso e del Valtellina Casera dell’anno, forme messe all’asta da un volto noto al pubblico televisivo, Beppe Bigazzi, che introducono all’esplorazione dei sapori “indigeni” (“Alla scoperta dei sapori della montagna lombarda”), dalle mele (ci troviamo sulle Alpi e Trentino e Dolomiti in linea d’aria non sono certo distantissime) a vini e miele, al format delle disfide gastronomiche, con le nuove star catodiche, gli chef, all’interno della tensostruttura di Piazza Sant’Antonio, e i percorsi del gusto, con le degustazioni al buio a Palazzo Malacrida e i dodici luoghi di ristoro, dove immergersi nei menu a tutto tondo (sempre in ottica locale) che vedono i formaggi dire la loro a ogni riga, e masticare a ritmo di pizzoccheri (durante ognuno dei tre giorni dell’iniziativa è stato possibile assistere alla lavorazione dell’impasto da parte dell’Accademia del pizzocchero di Teglio), sciatt (frittelle di grano saraceno con ripieno fondente di Casera), taroz e bisciola, per continuare con i gnocchi di patate e Bitto con crema di ortiche selvatiche, l’orzo mantecato con crema di funghi porcini e Bitto o lo sformato di ricotta d’alpeggio con croccante di segale e mele rosse della Valtellina, giusto per citarne alcuni. Per andare a parare su meno impegnativi spuntini sono stati allestiti nove punti di degustazione, che alla voce “cheese hour” hanno offerto taglieri dove la triade casearia valtellinese — magari accompagnata da confetture bio — si sposa con la regina degli insaccati di qua, la bresaola, e gli altri salumi della tradizione, come cacciatorini di cervo e slinzega. Quelli di “Gustosando” hanno invece invitato a visitare quattro cantine storiche del centro cittadino, gestite per l’occasione dalle Latterie sociali Valtellina Delebio e Chiuro e dall’azienda agricola “La Fiorida”, dove non sono mancate le produzioni vitivinicole, come Inferno, Sassella, Grumello e Sforzato. Per curiosi e bambini (e non solo), nella tensostruttura di Piazza Sant’Antonio si è tenuta la passerella delle Bruno Alpine. Nessun concorso di bellezza però: ad occupare la scena sono stati i possenti bovini, mantello

Il Bitto è ottenuto con latte di mucca di razza Bruna Alpina e un 10% di latte di capra. per l’appunto bruno o variabile dal sorcino al castano, dai 550 ai 700 chili sulla bilancia, veri artefici del prodigio Bitto, insieme ai casér. E a coloro i quali non hanno voluto tornarsene a casa a mani vuote è bastato bazzicare il “mercatino a chilometro zero”, che si è snodato downtown Morbegno. Si è parlato di celebrità, di gastronomia, di tradizione: per far quadrare il cerchio basta citare i pizzoccheri, l’alchimia di grano saraceno — due terzi — e farina di frumento che origina le tagliatellone che guizzano nel Casera o nel Bitto, e, last but not least, l’eccentrica rielaborazione di Gianfranco Vissani in occasione della 95a edizione, nel 2002: le polpettine di verza con gamberi rossi e verza, Bitto, julienne di bresaola e porro fritto. Le divagazioni non mancano, in questa ricetta, ma ci sono il Bitto e la bresaola. Serve forse altro per candidarsi a gonfalone della Valtellina? Fabio Butturi

CTCB – Consorzio per la Tutela dei Formaggi Valtellina Casera e Bitto Via Bormio 26 (23100) Sondrio Telefono: 0342 210247 E-mail: info@ctcb.it Web: www.ctcb.it

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Premiata Salumeria Italiana, 6/12 OCCELLI AGRINATURA srl - Reg. Scarrone, 2 - 12060 Farigliano (CN) - Tel. +39 0173 74.64.11 - www.occelli.it

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IV edizione Premio il Mosnel “Questione di Etichetta”, vince la designer Laura Ferrario È Laura Ferrario la vincitrice della IV edizione del Premio il Mosnel “Questione di Etichetta”, promosso dalla storica cantina della Franciacorta in collaborazione con ADI, Associazione Design Industriale, partner del concorso fin dalla sua prima edizione. È l’ADI, infatti, che ha selezionato i designer da invitare, i cui lavori sono poi stati esaminati dalla giuria del premio presieduta dal giornalista Daniele Cernilli e composta da Luisa Bocchietto, presidente ADI; Camilla Baresani, scrittrice e giornalista del Corriere della Sera; Chiara Giovoni, sommelier e wine blogger; Giovanni Brunazzi, presidente onorario di Brunazzi & Associati e docente di Packaging all'Università di Parma; Stefano Cerveni, chef del ristorante Due Colombe e Lucia Barzanò della cantina Il Mosnel. Titolare dello Studio Ferrariodesign, Laura Ferrario è una creativa milanese con molteplici ed eclettiche esperienze e con idee innovative. Come quella che contraddistingue l’etichetta che vestirà il Franciacorta Pas Dosé “QdE” Riserva 2006 de Il Mosnel, un gioiello enologico frutto di un’eccellente annata, affinato per ben cinque anni sui lieviti, un vino da collezione, in edizione limitata e numerata: sono infatti 4.000 le bottiglie da 0,75 litri, 400 le Magnum (1,5 l) e 100 le Jeroboam (3 l) vestite ad arte con segni grafici originali e cromatismi in oro, che con dinamismo e movimento tratteggiano in un calice i contorni del lago d’Iseo. Così come il lago bagna le rive della Franciacorta, il Franciacorta bagna le pareti del calice con la potenza di una Riserva, il Pas Dosé “Qde” 2006. Secondo la giuria, quella disegnata dalla Ferrario è un’etichetta “ben riconoscibile, raffinata” che trasmette “in modo creativo le caratteristiche del prodotto. Tutti gli aspetti del packaging e delle varianti di colore proposte sono state risolte in modo coerente in una presentazione grafica di altissimo livello”. In sintesi: “un lavoro eccellente, che ha saputo coniugare le valenze del territorio alla comunicazione del marchio dell’azienda e all’unicità del prodotto”. La Ferrario ha presentato anche un interessante lavoro di packaging, una scatola semplice e d’impatto composta da due elementi “slive e tiroir” che formano un prezioso cofanetto, sigillato con un piccolo cordoncino e un piombino che include il marchio QdE. Tutti i lavori in concorso sono pubblicati sul sito www.ilmosnel.com: i navigatori internet sono chiamati ad esprimere il loro parere e a votare il progetto preferito.

Lucia Barzanò, Daniele Cernilli e Laura Ferrario.

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Salone del Gusto e Terra Madre edizione 2012

I cibi che cambiano il mondo invadono Torino di Gaia Borghi

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ltro che 50 sfumature di grigio, o di rosso, o di nero o, come direbbe Luciana Littizzetto, piemontese Doc, di un tristissimo “marron”… Il Salone del Gusto di Torino edizione 2012, svoltosi dal 25 al 29 ottobre in contemporanea con il congresso Terra Madre, la rete internazionale delle comunità del cibo, è apparso agli occhi degli oltre 220.000 visitatori come un bellissimo arcobaleno o, ancora meglio, una grande tavolozza

su cui hanno trovato posto tutti i colori esistenti, quelli della terra e dei suoi frutti, quelli degli agricoltori vestiti a festa e dei produttori, dei piccoli artigiani e degli allevatori. «Slow Food ha parlato al mondo e il mondo ha parlato a Slow Food» ha dichiarato Carlo Petrini, deus ex machina del salone e di tutto quello che vi gira intorno. Recentemente rieletto all’unanimità alla presidenza dell’associazione della chiocciolina, abbiamo più volte incontrato Carlin

che si aggirava orgoglioso tra gli espositori chiedendo, interessato, delle novità, delle problematiche, dei successi e dei progetti futuri. Un salone ricco, ricchissimo di culture differenti, storie, racconti, tradizioni da preservare, custodire gelosamente perché non vadano perse ma anche da divulgare, far conoscere, perché anche le nuove generazioni ne possano godere. A cominciare da quegli 8.000 studenti e i 3.700 bambini che hanno preso parte alle attività edu-

Fausto e Paola della Macelleria e Salumeria Savigni di Sambuca Pistoiese. Crema di lardo, prosciutto, salame e finocchiona di Cinta senese alcune delle prelibatezze gustate a Torino.

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1) Andrea Falaschi e il suo bondage di salsicce di San Miniato. 2) La porchetta Signoracci viene preparata utilizzando esclusivamente ingredienti naturali. Nello stand, il fondatore e titolare Vandro Signoracci. 3) Caterina BencistĂ Falorni della storica macelleria di Greve in Chianti. 4) La Tarese del Valdarno, pancetta extra large.

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1) Stefano Busti nello stand del Caseificio Busti di Acciaiolo di Fauglia. 2) Al British Pub Jeff Martin, responsabile Eblex Italia, insieme a Carlin Petrini. 3) Roberto Ribetto e la mustardela della Val Pellice. 4) Monica Taricco nello stand del Salumificio Rossi-Ca’ di Parma Srl.

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La mini mortadella di Prato. cative organizzate durante le cinque giornate della rassegna, affrontando temi importanti quali l’acqua, la salute e l’ambiente. Per non parlare dei 650 delegati provenienti da 95 Paesi che hanno partecipato al VI Congresso Internazionale di Slow Food discutendo di clima, sicurezza alimentare e biodiversità. «La fusione tra Salone del Gusto e Terra Madre ha reso questa edizione la più bella di sempre, permettendo uno scambio continuo tra i Paesi, mescolando profumi e nazionalità, in cui è stata notevole la partecipazione dei giovani, produttori, delegati e semplici visitatori» ha dichiarato Roberto Burdese, presidente di Slow Food Italia. «Nonostante il difficile periodo che stiamo attraversando, molti prodotti erano esauriti nel Mercato già domenica sera, denotando una sempre maggiore attenzione del pubblico ai cibi di alta qualità. È infatti tempo che lo stato di salute del comparto agroalimentare diventi la cartina di tornasole per comprendere la condizione del Paese». Tra i padiglioni di Lingotto Fiere e l’Oval erano 80.000 i metri quadrati di questo grande mercato, dove, oltre ai profumi di formaggi e salumi, salsicce e cotechini, oli e mieli, caffè e biscotti, gelati, hamburger speciali, piatti della tradizione offerti nelle gettonatissime baracchine dei cibi di strada e proposte più esotiche, si poteva passeggiare tra gli orti (quello africano era un vero spettacolo per gli occhi, tra banani, fiori di ibisco e alberi

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In alto: Lisa Pasqua nello stand della Regione Veneto invita a gustare un ottimo piatto di prosciutto Veneto Berico-Euganeo Dop. In basso: la mariola dei Fratelli Salini di Groppallo (PC). Come riconoscere un’ottima mariola? Al momento del taglio deve “lacrimare” ed avere un gusto sapido, complesso, leggermente speziato, con note di funghi.

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1) L’Occelli al Barolo del piemontese Beppino Occelli. 2) Un panino con le eccellenze del territorio è il Mac ’d Bra: salsiccia, pane, formaggio e insalata rigorosamente di Bra. 3) Dino Negrini e Vidmer Cantelli nello stand della Mortadella classica. 4) I salumi piemontesi Chiapella alla conquista del Lingotto. Ottimo il nuovo salame al Parmigiano.

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1) Lo stand del presidio Slow Food Vacca Bianca Modenese. 2) Sue Ellen Mannori presenta la mortadella di Prato per single. 3) La spagnola cecina de León. Si tratta di carne bovina seccata e affumicata, proveniente dalla parte posteriore dell’animale. 4) Il prosciutto Bazzone della Garfagnana.

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1) Gilberto, Daniele e Gianluca dell’Acetaia Del Cristo di San Prospero (MO). 2) Il Consorzio Tutela Formaggio Monte Veronese Dop. 3) Claire Farrell di Bord Bia, Irish Food Bord.

Piacere Modena, la valorizzazione di un territorio nasce a tavola Lo scorso 19 ottobre è stato presentato, presso la Camera di Commercio di Modena, il nuovo progetto di valorizzazione del territorio e delle sue eccellenze enogastronomiche “Piacere Modena”. La presentazione si è poi ripetuta a Torino, durante il Salone del Gusto. «Modena è la provincia Italiana più ricca di prodotti a denominazione di origine siano essi a DOP o Igp, tra questi alcuni sono tra i prodotti italiani più venduti e conosciuti sul mercato nazionale e internazionale» ha dichiarato Pierluigi Sciolette, presidente del CdA di Palatipico Modena. «Molti conoscono l’Aceto Balsamico di Modena, il Lambrusco e il Parmigiano Reggiano, ma ci sono anche lo Zampone e il Cotechino così come il Prosciutto di Modena che, insieme agli altri prodotti, costituiscono un menu affascinante e gratificante per il palato. Modena ha una proposta di ristorazione incredibile, con i suoi molteplici locali che spaziano dai blasonati 3 stelle alle semplici osterie dove i prodotti e i sapori di questo territorio vengono esaltati per il piacere della buona tavola. Modena, un’idea per un turismo importante attento ai dettagli, dai monumenti ricchi di storia e architettura romanica al glamour delle auto sportive più famose e vincenti come Ferrari e Maserati. Piacere Modena è tutto questo: un progetto di valorizzazione di un territorio, della sua tradizione, della sua storia». Piacere Modena è il brand della società Palatipico Srl, cui aderiscono tutti i consorzi di tutela e delle DOP e IGP provinciali, oltre al Consorzio Modena a Tavola, Modenatur e Artest. Il progetto Piacere Modena nasce con il contributo determinante della Fondazione Agroalimentare Modenese che promuove lo sviluppo del settore agroindustriale grazie al supporto della Camera di Commercio di Modena e dei Consorzi di tutela. Compito della società è quello di promuovere il territorio sul mercato nazionale e internazionale, accrescere la conoscenza dei nostri prodotti garantendo gli stessi sotto il profilo qualitativo. I Consorzi di tutela sono costantemente impegnati a valutare la qualità dei prodotti degli associati a tutela dei produttori stessi e dei consumatori (in foto, alla presentazione a Torino del progetto, Davide Nini, presidente del Consorzio Prosciutto di Modena Dop).

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1) Serena, Luca Benedetti e Fabrizio Natalizi a rappresentare i produttori del cicotto di Grutti. 2) La bresaola di bovino di razza Varzese dell’azienda la Cirenaica di Robecchetto con Induno. 3) Il prosciutto del Casentino. 4) Giuseppe Pedroni con l’eccellente Aceto Balsamico Tradizionale di Modena. 5) Il burro Occelli. 6) Castelmagno Dop.

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di papaia, realizzato per ricordare ai visitatori, meglio che con qualsiasi depliant illustrativo, il progetto “Mille orti in Africa”) o annusare le cassettine in legno colme di delicate piantine aromatiche posizionate ai lati dei corridoi. L’impressione che se ne ricava alla fine, comunque, è quella di una grande fiera commerciale (fermandosi anche solo pochi minuti agli stand è stato difficile non notare la grande quantità di vendite, anche piccole, realizzate dagli espositori, i quali mi hanno confermato la generale soddisfazione per la partecipazione) che, nelle parole dei suoi organizzatori, «a dispetto dello scetticismo di chi, nel 1996, guardava al recupero del patrimonio alimentare tradizionale come ad un capriccio di nicchia destinato a scomparire, ha dimostrato che il nostro patrimonio enogastronomico può creare sviluppo ed economia». Non a caso, all’inaugurazione era presente un parterre importante che vedeva in prima fila il ministro delle Politiche Agricole Mario Catania, il sindaco di Torino Piero Fassino e il presidente della Regione Roberto Cota. Una fiera, dunque, che sembra unire persino gli animi politici, condannando lo spreco e le “telegeniche opulenze alimentari, la TV dove l’alimentazione diventa pornografia” — ha detto qualche tempo fa Carlo Petrini — sostenendo la salvaguardia

del territorio e delle piccole comunità locali, educando ai valori positivi del cibo come “energia della vita” e, nello stesso tempo, come “piacere”, del palato sì ma anche dello stare insieme, della convivialità come condivisione di valori. «È qui — continua Burdese — che si vede la luce in fondo al tunnel di questa crisi, è qui che si trovano gli stimoli per ripensare il modello produttivo». Che dire? Speriamo che funzioni. Pride and products «Nel piccolo borgo medioevale di Grutti, una frazione di cinquecento abitanti del comune di Gualdo Cattaneo, c’è ancora un forno a legna comunale che veniva usato fino a poche decine di anni fa dalle famiglie del paese per cuocere la porchetta e, ovviamente, il cicotto». Così si presentano sorridenti e attivi già dai primi momenti di apertura del salone SERENA, LUCA e FABRIZIO, intenti a distribuire agli incuriositi e golosi visitatori questa leccornia — una sorta di “parente povero” della porchetta, in quanto realizzato esclusivamente da porchettai — riemersa dal passato delle tradizioni umbre. «Orecchie, zampetti, stinco, lingua, trippa e altre interiora sono lavorati e disossati a mano, accuratamente lavati e sezionati» racconta Fabrizio. «Le carni così miscelate sono poi poste all’interno di una vasca e quindi nel

Nello stand della macelleria norcineria Sergio Falaschi, Manuela, Andrea Falaschi e Tonino De Bernardi, cineasta underground di Torino.

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Giulio Malvezzi nello stand del mallegato, tipico sanguinaccio toscano. forno di cottura esattamente sotto la porchetta, in modo da raccogliere il grasso di questa e le spezie usate per la sua cottura, una miscela di rosmarino, aglio rosso della vicina Cannara, pepe nero e finocchio tassativamente freschi». La cottura è molto lenta, dalle nove alle dodici ore, ad una temperatura di circa 200°C, così che il cicotto rimanga morbido e ricco di aromi. Terminata la cottura, lo si lascia raffreddare, si scolano il grasso e i liquidi di cottura in apposite ceste ed è pronto per il consumo. Restiamo in tema di porchetta ma cambiamo regione per salutare VANDRO SIGNORACCI, fondatore e titolare della “Porchetta Marchigiana”, che dal 1979 realizza un prodotto tradizionale e nello stesso tempo all’avanguardia: una porchetta completamente disossata, che risulta più semplice da tagliare ed è quindi molto apprezzata dai negozianti. «La mia porchetta viene arrostita con tutta la pelle — ci racconta Vandro — così si crea quella bella crosta dorata e croccante che conserva meglio il sapore. E poi ha quel profumo intenso e appetitoso che fa venire voglia di mangiarla». Protagonista assoluto della tavola marchigiana è il salame di Fabriano, primo Presidio Slow Food della regione. Nonostante il periodo non consono alla preparazione del prezioso salume, i produttori sono

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Salami, salsicce e musetti del Salumificio Lovison di Spilimbergo (PN). riusciti a portare in questa kermesse internazionale una buona quantità di prodotto che ha riscosso un notevole successo. Il vicepresidente del Consorzio Giancarlo Bonafoni ed uno dei produttori che ne fa parte, Sandro Gioia, hanno allestito lo stand e si sono intrattenuti con i tanti visitatori curiosi di conoscere gli ingredienti e le modalità di preparazione del salame di Fabriano. Da assaggiare anche ciauscolo e soppressata. Alternativa slow per chi sceglie un pasto fast senza voler rinunciare alla qualità della carne è il MAC ’D BRA: salsiccia di Bra (carne magra di vitello di razza Piemontese unita ad un 2030% di grasso di maiale), cruda o cotta, pane di Bra a lunga lievitazione, BRA DOP, formaggio di alpeggio tenero e gustoso, e lattuga fresca degli orti… di Bra, naturalmente! In Piemonte conosciamo la MUSTARDELA, un tipico prodotto della ricca tradizione gastronomica della Val Pellice. «Ad un trito grossolano di carni suine lessate ricavate da testa, cotenne, orecchie, lingua, polmoni e rognoni, si unisce un soffritto di porri e cipolle e una piccola percentuale di sangue, che serve come legante» racconta Roberto Ribetto, dell’omonima macelleria-salumeria di Perosa Argentina aderente all’Associazione produttori di questo insaccato. «La mustardela ha più analogie con il cotechino che con

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In alto: Giorgia Cipolat Godet nello stand del Salumificio Lovison di Spilimbergo (PN). In basso: Fabrizio Vaccari di Coop Italia.

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1) Il Consorzio del Prosciutto di San Daniele Dop. 2) I prodotti de La Dispensa di Amerigo di Savigno (BO). 3) Il Parmigiano Reggiano da latte di vacca Rossa reggiana. 4) Da oltre settant’anni, Lenti è protagonista della grande gastronomia italiana. 5) Nello stand del Consorzio del Parmigiano Reggiano, in collaborazione con l’associazione Chef to Chef Emilia-Romagna, per tutta la durata della manifestazione cuochi di fama internazionale si sono esibiti preparando sfiziose ricette. 6) Il pecorino Foglia d’olio di Busti, gustosissima novità presentata al Salone. il classico sanguinaccio» continua Roberto. «Si consuma fresca, tagliata a fette accompagnandola con il pane oppure passata in padella con le cipolle o ancora bollita con purè o patate lesse». Davide e Sandro, impegnati nel ricchissimo stand della CHIAPELLA SRL di Clavesana (CN), ci fanno assaggiare il nuovissimo salame al Parmigiano. Squisiti i bocconcini al barolo, di bue o al finocchio.

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In Toscana ci aspettano tre macellerie storiche: l’ANTICA MACELLERIA FALORNI, la MACELLERIA NORCINERIA S ERGIO F ALASCHI e la M ACELLERIA SAVIGNI. Stefano e la figlia Caterina Bencistà Falorni sono letteralmente accerchiati dai salami e dalle finocchione, specialità di famiglia, appese alle pareti quasi fossero decorazioni natalizie. Il prosciutto di suino Grigio è il prodotto presentato ufficialmente quest’anno. «Il Grigio nasce da un in-

crocio genetico tra le due razze Cinta senese e la Large White» ci dice Caterina. Questo maiale era molto diffuso a metà del secolo scorso: oggi la famiglia Bencistà-Falorni ha contribuito alla sua rinascita, allevandone un centinaio di capi allo stato semibrado. Da Sambuca Pistoiese Fausto Savigni ci fa assaggiare la crema di lardo e il salame di Cinta senese. Recentemente la Macelleria Savigni ha ricevuto a Roma, nella sede del

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Ministero dell’Agricoltura, il premio “Nuovi fattori di successo”. «Per tutti noi un premio molto importante che ci riempie di orgoglio e ci incentiva a migliorare sempre», conferma Fausto. Un esempio da seguire quello di questa famiglia che con impegno, serietà e costanza oggi è conosciuta ed apprezzata da consumatori italiani, europei e persino giapponesi. Andrea Falaschi è un vulcano di energia. Mister “Good morning S. Miniato” ci incanta con i racconti dei suoi viaggi intorno al mondo ma poi si fa fotografare con le sue creazioni toscane che di più non si può: spuma di gota, il salame, il rigatino e la spalla di suino Grigio, la salsiccia con tartufo bianco di S. Miniato, gli incredibili fegatelli sotto lardo, la soppressata agli agrumi. Le scorzette di limone e di arancia nell’impasto donano freschezza al salume e lo rendono più digeribile. «Tagliate la soppressata a tocchetti e provate ad inzupparla nel Vin Santo» consiglia Andrea. Con Sue Ellen Mannori, della MACELLERIA MANNORI di Vergaio (PO),

impariamo tutto sulla mortadella di Prato, presidio Slow Food, la cui principale caratteristica è l’aggiunta di liquore alchermes nell’impasto. Quest’anno la mortadella, preparata secondo una vecchia ricetta dell’800, si presenta in una versione nuovissima, per single! «Si tratta di 150 grammi sottovuoto in una scatolina in plexiglas, chiusa da un nastro tricolore. Ottima anche come idea regalo» ci dice Sue Ellen. «Un giovane o un anziano che vive solo non può acquistare mezzo chilo di mortadella. La monoporzione permette che il prodotto possa essere consumato in giornata ed è un pasto di qualità». Artigiani del salumi dal 1903: con la sicurezza di un marchio che porta con sé oltre cent’anni di esperienza, il SALUMIFICIO LOVISON di Spilimbergo, Pordenone, presenta per la prima volta ad un grande pubblico l’eccellenza della sua produzione. Quattro nello specifico i prodotti di punta di questa importante azienda friulana: innanzitutto il musetto, un prodotto unico, il cui successo risiede nella qualità delle

carni utilizzate, tutte provenienti da allevamenti friulani situati entro una ventina di chilometri dal salumificio (le carni vengono lavorate “a caldo”, venendo l’animale ucciso dalle 4 alle 7 ore prima al massimo) e che sono stati rigorosamente selezionati dalla proprietà. «Controlliamo quasi quotidianamente gli animali in allevamento» ci dice Giorgia Cipolat Godet «perché teniamo moltissimo al loro benessere, fondamentale per la riuscita finale dei nostri prodotti». Il musetto, molto noto nel Triveneto, ma poco conosciuto nel resto d’Italia, viene venduto crudo e deve essere consumato entro 30 giorni. «Non vengono aggiunti conservanti, se non quelli previsti dalla legge» continua Giorgia. «Le altre specialità Lovison sono la salsiccia, con un leggero aroma di vino e pepe, il salame, anche nella versione a punta di coltello, più irregolare nella grana, e la sopressa». Appuntamento al 2014, per un altro Salone del Gusto e Terra Madre memorabili. Gaia Borghi


Far crescere la cultura della spesa per diventare consapevoli di ciò che si acquista

Milano Golosa: conoscere, fare, assaggiare… per non sprecare

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elice debutto per Milano Golosa con oltre 3.000 appassionati che hanno mostrato di gradire la formula proposta da DAVIDE PAOLINI, il Gastronauta, nella bella cornice di Villa Torretta, in un fine settimana di ottobre che anche il clima ha reso piacevole. «Poter passeggiare in mezzo a tante prelibatezze, conoscerne i segreti, apprezzarne la qualità, è un piacere e un modo per crescere nella consapevolezza di ciò che ci circonda», questo

il commento generale dei visitatori, ai quali ha fatto da controcanto la soddisfazione dei selezionatissimi produttori, «riuscire a far assaggiare e a far capire il lavoro che c’è dietro ad ogni ingrediente è spesso un’impresa improbabile nelle rassegne gastronomiche, Paolini ha centrato l’obiettivo di riunire prodotti eccellenti, in un contesto piacevole e accogliente, dove si riusciva a far cogliere il meglio della propria produzione senza dispersione». Si può proprio dire che anche in

Anche la Robiola di Roccaverano Dop presente a Milano Golosa.

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Un’idea originale per il Natale: delle palle trasparenti con una mini-confezione di formaggio e di aceto balsamico dell’Acetaia 176 di Montericco di Albinea (RE). questo Milano Golosa ha assolto alla missione dichiarata, “Conoscere per non sprecare”. Vivere in diretta la lavorazione manuale della Mozzarella di Bufala DOP, vedere le mani dei casari affondare nel bianco candore di questo tesoro di gusto. Imparare un pezzo di storia d’Italia, quella di Matilde di Canossa e dei Benedettini, in parallelo a quella del Parmigiano Reggiano, mentre il fuoco delle fascine di Bibbiano scalda il latte per far nascere una forma. Sentire per la prima volta il torrone tiepido, con la fragranza delle nocciole che esplode in bocca. Ascoltare dalla viva voce di esperti di alimentazione lezioni di economia domestica, ai corsi dell’Università della spesa. Grande soddisfazione per gli organizzatori, e la volontà di replicare un appuntamento che proietta Milano verso Expo 2015 nel modo migliore.

Come nasce una forma di Parmigiano Reggiano? Per poter riconoscere un prodotto di qualità è importante vederne le fasi di produzione, in modo da poterne individuare pregi e difetti e da poterlo così distinguere dalle imitazioni. Milano Golosa è stata teatro di un making show, una demo voluta dagli organizzatori per sottrarsi dallo show cooking dei grandi chef mediatici. Per sottolineare le capacità dei veri artigiani del cibo nella preparazione di prodotti tipici locali.

>> Link: www.milanogolosa.it

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1) Vilmo Del Rio e Fabio Ormelli dell’Acetaia 176 di Montericco di Albinea (RE). 2) Andrea Ballotta in rappresentanza dell’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense (PR), con culatelli, strolghini, lardi e coppe di Massimo e Luciano Spigaroli. 3) Maria Giovanna Breda de La Cà dal Non Acetaia 1883 di Vignola (MO). 4) Giovanni Sidoli di Casali Viticultori, la cantina di Scandiano (RE) specializzata in Lambrusco, spumanti, bianchi classici di Scandiano, riserve e Malvasie.

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A sinistra: Tiziana Nogara del Salumificio Macelleria Nogara di Sovizzo (VI) con Felice Alaimo, collaboratore della cantina Baglio del Cristo di Campobello di Licata (AG), ottima accoppiata tra ottimi salumi vicentini e vini agrigentini. A destra: Marco e Claudio Ronchei del salumificio La Parmigiana Salumi di Sala Baganza (PR) hanno portato a Milano Golosa la nuova linea di salumi naturali “3”: tra gli altri, salami, coppe, guanciali e lonzini ricchi di Omega 3: prodotti interessanti perché tutelano la salute del consumatore e sono garantiti dall’ente di certificazione francese Bleu Blanc Coeur.

Panettone tutto l’anno Il Panettone è stato uno dei grandi protagonisti della kermesse: trenta tra le pasticcerie più rinomate d’Italia hanno ribadito che non è più solo un prodotto legato alla tradizione del Natale, ma è sempre di più il dolce simbolo dell’Italia. DAVIDE PAOLINI ha approfittato di questo parterre per proseguire nella sua battaglia di destagionalizzazione, ma anche per capire se il panettone migliore sia solo il classico da mangiare tutto l’anno o, proprio perché le stagioni offrono profumi e aromi diversi, sia meglio nel corso dell’anno proporre varianti di panettone per gusto e per forma. Grandi pasticceri maestri ed emergenti condividono il piacere di osare, molti lo fanno da anni, ma come ha sottolineato CLAUDIO GATTI «da quando Paolini ne promuove il consumo sempre, ha quadruplicato le vendite». IGINIO MASSARI lancia un appello, «non limitiamo la creatività degli artigiani, la qualità è un processo evolutivo, i miglioramenti portano beneficio a tutti e ci aprono le porte all'internazionalità». ACHILLE ZOIA lo conferma, «il Panettone sta diventando il miglior ricordo d'Italia» e Paolini, sempre attento ai segnali del mercato, fa notare come ci sia anche una dimensione ideale per il panettone souvenir: quello da 500 grammi, facile da trasportare in valigia. Il panettone tutto l’anno, poi, risponde anche a un’esigenza pratica delle pasticcerie artigianali che usano il lievito madre, alcune lo stesso da decenni, lo alimentano ogni giorno, così viene naturale approfittarne e non sprecare tanta cura e dedizione dedicando parte della produzione quotidiana ai panettoni. Vere e proprie dichiarazioni d’amore per i lievitati si sono levate da più parti: ANNA CHIAVAZZO è innamorata da sempre del lievito madre, «una forma viva che da grandi soddisfazioni», CARMEN VECCHIONE sottolinea come «il caldo delle stagioni più miti fa sprigionare meglio profumi e aromi», la famiglia BUSNELLI chiama “Gigi” il proprio lievito antichissimo e lo coccola riuscendo ad ottenere panettoni straordinari. Tornando agli ingredienti, la caratteristica che accomuna i pasticceri presenti a Milano Golosa è quella di legare il panettone al proprio territorio sfruttando i giacimenti di bontà che l’Italia offre in grande quantità, così SALVATORE DE RISO, che fa un «panettone in riva al mare» con i profumi della costiera amalfitana, LENTI, che I panettoni di Alvin, produttore milanese, che quest’anusa le olive della sua Puglia, FRACCARO, che si spinge a dire che no a Milano Golosa ha presentato anche i panettoncini «il panettone è il minimo comun denominatore, un vero collante da passeggio, su stecco e ricoperti di cioccolato. nazionale, nel quale ognuno mette la propria storia ed esperienza».

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A Brè del Gallo e a Bottarelli il terzo Palio della Spalla di Palasone-Sissa La terza edizione del Palio della Spalla Cruda di Palasone-Sissa si è tenuta nello splendido scenario di Villa Marchi a Sissa, nel pomeriggio di sabato 3 novembre, nell’ambito della prima tappa di November Porc, la staffetta più golosa d’Italia che, organizzata dalla Strada del Culatello di Zibello, ha occupato i quattro fine settimana di novembre in altrettante località della Bassa Parmense, iniziando proprio da Sissa. Per il Palio di Sissa, che vuole valorizzare questo salume per ora poco conosciuto, ma di grande qualità e gradevolezza, sono state presentate 14 spalle di cui 3 dai professionisti e le rimanenti 11 dagli amatori. Va ricordato che il regolamento del Palio prevede appunto le due categorie, quella dei professionisti, ovvero chi prepara salumi per mestiere, e degli amatori, cioè persone che privatamente e per il proprio piacere preparano questo prodotto e non lo commercializzano. Per l’edizione 2012 del Palio, la giuria era composta dal “padrone di casa”, MARIA GRAZIA CAVANNA, sindaco di Sissa, la nostra ELENA BENEDETTI di Premiata Salumeria Italiana, JENNER MELETTI di La Repubblica, ANDREA ZANLARI, presidente della Camera di Commercio di Parma, PIERLUIGI FERRARI, vicepresidente della Provincia di Parma, AGOSTINO MAGGIALI, assessore provinciale al Turismo, la senatrice ALBERTINA SOLIANI, ENZO MALANCA, presidente di Alma, e dallo chef GUERINO MACULAN. La giuria ha esaminato le spalle “al buio”, cioè non conoscendo chi le avesse preparate essendo contrassegnate solo con numeri progressivi. Per ogni spalla doveva compilare una scheda con votazioni ai vari aspetti. La somma dei voti ha consentito di redigere la classifica finale. Per la categoria Professionisti ha vinto la Spalla Cruda di Palasone-Sissa, prodotta da Brè del Gallo di ALFREDO MAGNANI (Fontanelle), mentre per gli Amatori il Palio è andato, per il secondo anno consecutivo, a CORRADO BOTTARELLI di Sissa. >> Link: www.stradadelculatellodizibello.it

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una Granfetta! Salumificio Bordoni

s e d e e s t a b i l i m e n t o M a z z o d i Va l t e l l i n a ( S O ) I t a l y Te l . 0 3 4 2 8 6 2 0 0 2 - F a x 0 3 4 2 8 6 2 5 0 7 - s a l u m i f i c i o @ b r e s a o l a b o r d o n i . i t w w w. b r e s a o l a b o r d o n i . i t


Fiere Dal 23 al 26 febbraio 2013 a Rimini Fiera

RHEX Rimini Horeca Expo: un nuovo format unico per la ristorazione e l’ospitalità

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all’esperienza di SIA Guest e Sapore nasce a Rimini Fiera un nuovo progetto — RHEX Rimini Horeca Expo — che dal 23 al 26 febbraio 2013 raccoglierà in un format unico innovazioni, soluzioni e tendenze per tutto il mondo della ristorazione e dell’ospitalità. Non la sommatoria di due manifestazioni, ma un progetto fieristico innovativo, una precisa risposta all’evoluzione internazionale dei mercati di riferimento che richiedono maggior concentrazione e appuntamenti aggreganti. L’innovazione non sarà contenuta solo nei prodotti presentati in anteprima dalle aziende, ma deriverà anche e soprattutto dal

superamento della vetrina commerciale, con la costruzione di molteplici format dove contenitore, contenuto e innovazione di servizio sono letti nella loro valenza di soluzioni globali. L’evento sarà quindi un’occasione per presentare agli operatori nuovi modelli di business, format di locali facilmente replicabili, corsi di gestione manageriale per affrontare le sfide del mercato e dare risposta alle esigenze di consumo dell’immediato futuro. A Rimini le imprese avranno una più completa e numerosa platea di operatori: dal mondo dell’ospitalità a quello della ristorazione, dal mondo dei locali d’intrattenimento alla ristorazione collettiva, dai progettisti

dell’ospitalità e dei luoghi di consumo fuori casa ai distributori, con iniziative e proposte mirate per ogni target. Il progetto è pensato in un ambito d’intervento geografico internazionale: 500 buyers esteri incontreranno le aziende secondo un’agenda concordata prima dell’inizio della fiera. A rendere d’appeal il progetto anche il territorio riminese, in fiera e nel fuori salone, primo distretto nazionale dell’offerta e della domanda turistica, che da anni si distingue per essere concretamente innovativo e particolarmente dinamico in tutti i comparti dell’ospitalità e del leisure. >> Link: www.rhex.it

RHEX, acronimo di Rimini Horeca Expo, varerà un format unico sulle tendenze e i consumi del tempo “fuori casa”. Il nome del salone rimanda al leggendario passaggio del transatlantico immortalato da Federico Fellini in “Amarcord”.

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SIAL 2012, l’agroalimentare mondiale sotto la Tour Eiffel Grazie a una solida reputazione sulla scena internazionale e alla buona tenuta dell’industria agroalimentare SIAL si conferma la manifestazione fieristica d’eccellenza per il food mondiale. Oltre 180 imprese italiane hanno presentato al mondo l’eccellenza del settore alimentare made in Italy

L’

appuntamento era segnato in agenda da mesi: dal 21 al 25 ottobre tutti gli operatori dell’agroalimentare, carni e salumi compresi, si sono dati appuntamento al SIAL, il salone parigino che con frequenza biennale apre le porte al business mondiale del food. Una vetrina internazionale, un appuntamento imperdibile, dove il gusto e la tradizione dei migliori

prodotti dell’industria alimentare e del vino italiani sono di casa: ancora una volta il SIAL si è confermato un incontro biennale che richiama

buyer ed esperti non solo dall’Europa ma anche da Paesi d’oltreoceano come Cina, Giappone, America Latina, Asia e Stati Uniti. E nonostante la crisi mondiale e gli scenari di incertezza politico-finanziaria di quest’anno difficile che sta per volgere al termine, il Salone Internazionale dell’Alimentazione del Parc des Expositions de Paris-Nord Villepinte ha accolto 6.000 espositori e 150.000

Al salone parigino lo spazio SIAL TV ha proposto all’interno del suo programma dibattiti, tavole rotonde, conferenze, interviste, reportage e opinioni su numerose tematiche.

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visitatori professionisti, provenienti da 200 Paesi, confermando un andamento in crescita rispetto ai dati fatti registrare nella precedente edizione del 2010. Fitto anche il calendario di oltre 200 eventi collaterali, tra convegni, conferenze e attività promosse dal XTC World Innovation, TNS Sofres e dalla 29a edizione dei SIAL D’Or. Il tutto all’insegna della forte internazionalità e dell’innovazione dei prodotti agroalimentari esposti e promossi negli 8 padiglioni fieristici. Guillaume Garrot, il ministro francese dell’Agricoltura, si è dichiarato molto soddisfatto del salone e delle tematiche approfondite nel corso delle sessioni congressuali. Si è discusso parecchio sul futuro dell’agroalimentare, con dibattiti sulle nuove sfide commerciali, sulle politiche di gestione dei rifiuti alimentari, sulla nutrizione e sui nuovi prodotti. Gli italiani in prima linea La numerosa collettiva delle aziende italiane, coordinata dall’ICE-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, era composta da oltre 180 aziende provenienti da tutte le regioni, che hanno esposto i loro prodotti nella Hall 1, su una superficie di 3.000 m2. Ormai da molti anni il padiglione italiano al SIAL di Parigi rappresenta una delle più importanti presenze straniere, sia per superficie occupata che per numero di partecipanti: nell’edizione del 2010 l’Italia si è posizionata al secondo posto, subito dopo la Francia, seguita dalla Spagna e dalla Cina. L’ICE ha sempre affiancato, nel corso delle precedenti edizioni, le nostre aziende organizzando gli spazi espositivi e i servizi di assistenza in fiera. «La numerosa partecipazione italiana all’edizione 2012 del SIAL — ha affermato Riccardo Monti, presidente dell’Agenzia ICE — testimonia e conferma il grande interesse e la vitalità delle aziende del settore agroalimentare italiano, un comparto che si sta distinguendo come elemento trainante dell’economia e dell’export del nostro Paese. L’export alimentare cresce in Europa e nel mondo e abbraccia tutti i settori, dalla pasta e ai prodotti da forno ai latticini

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In alto: Ricordano Dodi e Marinella Guidetti. In basso: Francesca Marchesi nello stand della Regione Friuli Venezia Giulia. e ai derivati del latte fino alle carni lavorate e all’olio di oliva. Anche a livello extraeuropeo paesi come Russia, Cina e Brasile registrano incrementi di importazioni di prodotti alimentari italiani tra il 25 e il 28%. L’obiettivo della partecipazione italiana — ha concluso il presidente dell’Agenzia ICE — è di consolidare le posizioni già acquisite non solo in Europa ma anche sui mercati internazionali, nonché incrementare l’offerta italiana, attraverso la presenza sempre più qualificata e diversificata delle nostre produzioni tipiche». Un settore, quello dell’export alimentare italiano, che sembra non risentire troppo dell’attuale crisi economica, mostrando un trend in crescita e valori con segno positivo

per la gran parte dei prodotti che compongono la nostra bilancia agroalimentare: nel 2011 il valore complessivo delle esportazioni italiane di questo comparto è ammontato a 27.172 milioni di euro, evidenziando un incremento in valore dell’8,0% rispetto al 2010. L’Unione Europea, con 18.499 milioni di euro (+5,7%), si conferma il principale mercato di sbocco dei prodotti agroalimentari made in Italy; la Francia, in particolare, con 3.252 milioni di euro (+8,8%), è il secondo mercato di destinazione — subito dopo la Germania — delle esportazioni agroalimentari italiane. L’andamento positivo si conferma anche per i primi sei mesi del 2012, rispetto allo stesso periodo dello scor-

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1) Lo stand dell’Azienda Agricola Leonardi di Magreta di Formigine (MO). 2) Lo stand del Salumificio Montali Prosciutti Spa, con sede a Riano, nel cuore della Val Parma. 3) L’Associazione Formaggi Italiani DOP e IGP. 4) Alessandra Grosoli di Aceto Balsamico del Duca di Spilamberto (MO). 5) Non poteva mancare lo stand del Consorzio del Prosciutto di Parma. 6) Lo stand di Fumagalli Salumi di Tavernerio (CO). so anno, in particolar modo per due prodotti di punta del nostro export alimentare, come i vini e la pasta che hanno fatto registrare entrambi — a livello mondiale — un incremento del +7%, seguiti dal +4% dei prodotti lattiero-caseari. L’innovazione è di casa al SIAL L’innovazione, marchio di fabbrica del SIAL, è stata presente in modo

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naturale in tutti i settori e spazi chiave del salone: nella ristorazione con Cuisine by Sial, nel design culinario con l’esposizione Food Design, nel comparto del vino con il Wine Innovation Forum, nel segmento dei prodotti alimentari intermedi grazie a In-Food Centre, nella programmazione di SIAL TV, con reportage sui prodotti presentati dall’Osservatorio SIAL Innovation, e naturalmente con IPA, il

salone internazionale del process e del confezionamento alimentare dove si inventano i prodotti di domani. Per la prima volta, inoltre, nel padiglione 6, il Polo Innovazione, completamente dedicato all’innovazione, ha compreso SIAL Innovation e il suo Osservatorio, sempre al centro delle tendenze e dell’innovazione mondiale, e i SIAL d’Or, successi commerciali in 29 Paesi. Il Polo costituisce

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1) Rinnovata nello stile lo stand della Norcineria Fiorucci del Gruppo Campofrio. 2) Vincenzo Rota con Cesare Pedretti della IM.EX nello stand della San Vincenzo. 3) I Fratelli Beretta di Trezzo sull’Adda (MI). 4) Leoncini Srl di Lazise (Verona). 5) Lo stand del Salumificio Sorrentino di Mozzagrogna (CH). 6) Lo stand Renzini, Alta Gastronomia Umbra di Montecastelli Umbro (PG). una vera leva di crescita per i prodotti selezionati e un vivaio ideale per la curiosità e l’immaginazione di tutti i visitatori. La presentazione in un unico spazio dei vincitori SIAL d’Or — vero e proprio giro del mondo degli “hit” alimentari che ha raggruppato i vincitori dai 29 Paesi partecipanti — e SIAL Innovation ha sottolineato lo stretto legame del SIAL con i successi commerciali e le innovazioni.

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IPA 2012 Con 450 espositori di cui il 53% internazionali, IPA ha presentato un’offerta ricca di attrezzature e soluzioni per la trasformazione e il confezionamento di tutti i prodotti alimentari, richiamando oltre 18.000 visitatori (ovvero l’8% in più rispetto alla scorsa edizione) provenienti da oltre 130 Paesi. Questa nuova edizione ha valorizzato la

produzione responsabile e l’ecodesign attraverso una piattaforma di eco-fabbrica agroalimentare. IPA ha inoltre svelato soluzioni per l’investimento ed esempi da seguire per intraprendere un processo di sviluppo sostenibile. Il prossimo appuntamento con SIAL sarà nel 2014, dal 19 al 23 ottobre, a Paris-Nord Villepinte naturalmente.

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1) Lo stand dell’azienda San Vincenzo di Spezzano Piccolo (CS). 2) Marco Paese e Vincenzo Rota del Salumificio San Vincenzo di Spezzano Piccolo (CS) con Franco Renzini della Renzini Spa di Montecastelli Umbro (PG). 3) Lo stand dell’Acetaia Giusti di Modena. 4) CLAI, Cooperativa Lavoratori Agricoli Imolesi di Sasso Morelli, Imola (BO). 5) Lo stand dell’azienda Pini Polonia. 6) San Nicola Prosciuttificio del Sole di Ghiare di Corniglio (PR).

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Formaggio

I segreti e le proprietà del Gorgonzola Dop, tutti da scoprire Fermenti lattici e muffe tipiche rendono questo formaggio ideale per il riequilibro del nostro organismo. Ricco di minerali, vitamine e proteine nobili, essendo privo di lattosio è ottimamente tollerato da chi soffre di particolari intolleranze alimentari

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ià nel Medioevo, nelle pianure intorno a Milano dove è nato questo straordinario formaggio, si usava somministrarlo per curare alcuni disturbi gastrointestinali. Si raccontava anche che i casari dediti alla sua produzione godessero di ottima salute e fossero estremamente longevi. Il segreto di tutto ciò è da ricercare nelle muffe tipiche di questo formaggio erborinato, ma anche nei fermenti lattici, indispensabili nella produzione del gorgonzola, che sono simili sia ai bacilli contenuti nello yogurt sia a quelli presenti nei prodotti in vendita in farmacia ed utilizzati come antidiarroici. Le muffe, invece, appartengono alla specie Penicillum roqueforti, parente dei ben più famosi Penicillum notatum e chrysogenum da cui viene ricavata la penicillina. Ecco spiegato perché questo il gorgonzola fa così bene al riequilibrio del nostro organismo e può essere d’aiuto nei momenti delicati come i passaggi di stagione. Muffe e fermenti hanno anche un altro vantaggio: essendo molto sensibili all’ambiente che li circonda, affinché possano riprodursi è necessario che il gorgonzola venga prodotto esclusivamente con latte proveniente dalle mucche della zona prevista dal Disciplinare della DOP. Grazie a queste caratteristiche, proprie sia della materia prima che della lavorazione, il gorgonzola ha mantenuto costanti nel tempo i suoi

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valori nutrizionali: ricco di minerali e vitamine, contiene una notevole quantità di proteine nobili ed una percentuale di grassi non elevata se paragonata ad altri formaggi (ad esempio, 100 g di gorgonzola contengono 360 mg di fosforo, 420 mg di calcio, le vitamine A, B1, B2, B6, B12, PP e solo 27 g di grassi). Una recente ricerca commissionata dal Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola DOP al professor Mario Del Piano, primario di gastroenterologia pres-

so l’Ospedale Maggiore di Novara, conferma inoltre che il gorgonzola, essendo privo di lattosio, è tollerato da chi soffre di intolleranze alimentari (circa il 70% della popolazione adulta). «Il gorgonzola — ha aggiunto il prof. Del Piano — grazie alla triplice fermentazione cui è sottoposto il latte (lattica, con i lieviti e le muffe), è consigliabile a tutti coloro che, pur essendo intolleranti al lattosio, non vogliono rinunciare a mangiare un buon formaggio!».

All’atto dell’acquisto, il consumatore potrà avere la garanzia dell’autenticità del prodotto dal logo identificativo del Consorzio stampato in rilievo sull’alluminio che avvolge il formaggio. Questo, comunque, è solo uno dei due marchi che contraddistinguono la Dop gorgonzola: l’altro consiste nel numero di identificazione del caseificio, apposto all’origine su entrambe le facce piane.

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Gnocchi di polenta con salsa al gorgonzola Ingredienti per 4 persone 100 g di farina di polenta bramata • 1/2 litro di acqua • sale q.b. • 1 rosso d’uovo • 1 cucchiaino di Grana Padano grattugiato • Per la salsa: 200 g di panna • 120 g di gorgonzola dolce • noce moscata • 1 pera William • poco burro Preparazione Bollite l’acqua, salate, versate a pioggia la farina di polenta, cuocete per 40 minuti rimestando spesso e aggiungete il rosso d’uovo e il parmigiano. Con due cucchiai preparate i gnocchetti e disponeteli su una placca imburrata, tenendoli al caldo. Preparate la salsa facendo bollire la panna riducendola di un terzo, salate e aggiungete il gorgonzola lontano dal fuoco e mischiate fino a completo scioglimento. Aggiungete la noce moscata e correggete eventualmente di sale, passate al colino e tenete in caldo. Tagliate a dadini la pera dopo averla sbucciata, scottatela nel burro lasciandola al dente. Componete il piatto ponendo al centro la salsa, quindi gli gnocchi (5 a testa) a forma di fiore e al centro il mucchietto di pere, irrorando con il burro di cottura delle pere. Servite caldissimo. Cuoco: Luisa Vallazza, Ristorante Al Sorriso Relais & Châteaux di Soriso (NO), 3 stelle Michelin. Vino consigliato: Chardonnay.

Tournedos di manzo su crema di cannellini Ingredienti per 4 persone 4 filetti di manzo da 180 g cadauno • 300 grammi cannellini in scatola • 2 ceppi di radicchio tardivo di Castelfranco • 2 fette di gorgonzola piccante • 4 fette di lardo d’Arnad • 2 piccoli scalogni • 2 rametti di rosmarino • 2 cucchiai di farina • 1 bicchiere di vino rosso • sale e pepe nero • alloro • olio d’oliva Preparazione Sgocciolate i fagioli in scatola, lavateli in acqua fredda, scolateli e frullateli bene. In un padellino rosolare il lardo con cinque cucchiai d’olio, aglio, rosmarino, filtrarlo e unirlo alla crema di fagioli, mettete il tutto in una casseruola e tenete in caldo. Nettate il radicchio, unitevi il lardo rosolato e sistematelo in un cartoccio di carta forno bagnata e strizzata, cuocete in forno ad una temperatura di circa 120°C per almeno 25 minuti. Nel frattempo infarinate i filetti e rosolateli con un filo d’olio e una foglia di alloro in una padella scaldata precedentemente. Rosolate per circa 3 minuti da ambedue i lati, sistemate i filetti su di una placca (infornare a 210°C) eliminate l’olio dalla padella e sfumate con il vino, salate pepate e fate ridurre. Ricavate dalle fette di gorgonzola 6 medaglioni e poneteli in frigorifero. Sistemate sui piatti la crema di cannellini ben calda, posizionate al centro il filetto e posatevi sopra i medaglioni di gorgonzola. Salsate con il fondo al vino rosso e ultimate con il radicchio stufato. Vino consigliato: Dolcetto d’Acqui Superiore.

Per affrontare al meglio l’inverno perché non prepararsi dunque anche a tavola con ricette sfiziose che appagando la nostra golosità fanno del bene al nostro organismo? Sul nuovo sito www.gorgonzola. com, curato dal Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola DOP, è possibile trovate tante ricette e suggerimenti per portare a tavola al meglio questo delizioso formaggio. Gli utenti possono inviare all’indirizzo del Consorzio anche le proprie creazioni e, per non farsi mancare

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proprio nulla, è disponibile anche la pagina Facebook con aggiornamenti, ricette e curiosità sul gorgonzola. Il gorgonzola, riconosciuto dall’Unione Europea e registrato nella lista dei prodotti DOP il 12/06/96 con Reg. CE n. 1107, per beneficiare di tale denominazione deve sottostare ai requisiti di conformità dettati dal Disciplinare di produzione. L’ente designato ed autorizzato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali per il controllo di tali requisiti è il CSQA Certificazioni di Thiene;

unicamente al formaggio idoneo viene rilasciato il certificato di conformità che permette la commercializzazione del prodotto a denominazione di origine protetta “gorgonzola”. Delegato dallo stato italiano e sotto la sua supervisione, è stato creato nel 1970 il Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola che, con propri funzionari, vigila per il pieno rispetto e l’applicazione delle norme vigenti in Italia ed all’estero dove la denominazione di origine “gorgonzola” è protetta.

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Confronto fra il Parmigiano Reggiano ottenuto dalla Bianca modenese e quello dalla Rossa reggiana

Parmigiani di razza di Corrado Barberis

È

questo il titolo dell’appassionato confronto tra il parmigiano ricavato dalle vacche Rossa reggiana e quello uscito dalla Bianca modenese. Esso ha avuto luogo a Castegnato (Brescia) alla fiera “Franciacorta in Bianco” avendo, quale moderatrice d’eccezione, ELENA BENEDETTI. Un confronto che non ha proclamato vincitori, ma si è limitato a prendere atto della eccezionale bontà dei due prodotti presentati: ciascuno con le sue caratteristiche e le sue note par-

ticolari. Prima della guerra le stalle di Reggio Emilia e di Modena erano popolate da bovini di stirpe locale: tanto che in ciascuna delle due province le presenze oscillavano tra i 150.000 e i 250.000 capi. A contendere spazio alle razze locali c’era, allora, la Bruno-alpina, ma la predominanza della autoctona era comunque schiacciante. Arrivarono però gli Americani e, con loro, il culto della Frisona: capace di fornire un latte di quantità senza precedenti. A poco a poco le due razze locali

furono accantonate, ridotte a qualche centinaio di capi. Tanto da essere dichiarate ufficialmente estinte o in procinto di esserlo. Fu una ventina di anni fa che un giovane coltivatore diretto laureato in agraria, LUCIANO CATELLANI, ebbe l’idea di chiamare a raccolta le sfilacciate energie della vacca Rossa reggiana e di chiedere al Consorzio del Parmigiano Reggiano di caseificare in proprio il latte di quei superstiti esemplari. Motivo: battuta dalla Frisona per quanto concerne i

Il Parmigiano ottenuto dal latte delle Rosse reggiane (foto: www.targetcreative.it).

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Attilio Politi, ricercatore Insor, Luciano Catellani, rappresentante del Consorzio Valorizzazione Prodotti Antica Razza Reggiana, Corrado Barberis, presidente Insor e Graziano Poggioli, rappresentante del Consorzio Valorizzazione Prodotti Razza Bianca Modenese. litri, il latte della Reggiana aveva un contenuto più alto di caseina e si prestava meglio ad ottenere parmigiani di straordinaria qualità, invece di disperdersi come semplice complemento del succo frisonico all’interno della cagliata. L’iniziativa non mancò di sollevare qualche obiezione, perché turbava

equilibri già consolidati all’interno del movimento cooperativo, ma determinante fu l’appoggio del Ministero e di un suo direttore generale, VINCENZO PILO. Uscirono le prime forme interamente ricavate dal latte della “Rossa”, salutate con entusiasmo dai gastronomi e anche dai cultori di storia patria

perché l’evento faceva riaffiorare — se così possiamo esprimerci — tutta la crema della storia. C’erano le vacche rosse al tempo dell’Ariosto, il loro ritorno consentiva quindi un più intimo contatto con il grande poeta degli Estensi. Iniziativa di minoranza, evidentemente, perché interessante una frazione infinitesimale del complessivo mercato del parmigiano (12.000 forme appena su circa 3.500.00 ma con prezzi decisamente superiori alla media), il che ribadisce che l’Italia è una giustapposizione di prodotti di nicchia. Frattanto, chi aveva ancora nella sua stalla qualche superstite esemplare di razza reggiana, cominciò a considerare l’opportunità di conservarlo e di convogliarne il latte verso i nuovi orizzonti aperti da Catellani. Così, oltre a creare una ghiottoneria, si conservò una razza, grande vittoria in nome della biodiversità. L’esempio reggiano non mancò di trovare imitatori nella vicina Modena, dove la situazione si era fatta ancora più pesante, per la razza bovina locale, di quanto non fosse nella provincia finitima. Se a Reggio la Rossa aveva toccato il minimo attorno ai 1.000 capi, qui il patrimonio era ancora inferiore.

Una Rossa fuoriclasse La vacca Rossa reggiana ha origini antichissime, giunta nelle terre emiliane con i Longobardi intorno all’anno 1000. Negli anni ‘80 rischiò l’estinzione e fu allora che un gruppo di allevatori tenaci diede vita a un progetto di valorizzazione che favorì una ripresa costante del numero di capi. Gli allevamenti si trovano principalmente nella provincia di Reggio Emilia. Oltre 30 allevatori conferiscono il latte al C.V.R. dove viene trasformato in Parmigiano-Reggiano della vacca Rossa. Oggi la filiera è composta da 155 piccoli allevatori e da oltre 3.250 capi. La Rossa produce un terzo in meno di latte rispetto alla Frisona, ma ha una maggiore resa nella caseificazione. Per produrre un chilo di Parmigiano-Reggiano occorrono 14 litri di latte di Rossa oppure 15 litri di Frisone. Il tempo di stagionatura minimo del formaggio è di 24 mesi. Il latte della vacca Rossa reggiana non si ferma al Parmigiano-Reggiano. Ampia anche la produzione di latte, latte pastorizzato, burro, yogurt, panna cotta, formaggio fuso, mozzarelle e stracchino. Fonte: www.consorziovaccherosse.com

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Claudio Poggioli, presidente del Consorzio Valorizzazione Prodotti Razza Bianca Modenese, mentre batte una forma.

C’è voluto tutto il coraggio di due presidenti di cooperative, quella di Rosola di Zocca, guidata da ALESSANDRO MARCHI, e la Santa Rita di Serramazzoni, con a capo GRAZIANO POGGIOLI, per invertire la rotta e rimettere in valore un patrimonio genetico davvero afferrato per i capelli prima che fosse sommerso dalla storia. E ancora oggi la riscoperta dell’antico latte fa rivivere la leggenda di quella vacca Bianca che ebbe trenta figli, grazie ai molti gemelli. Un progresso tira l’altro. A Reggio il successo della Rossa ha per così dire imposto l’apertura di un ristorante. Dal latte si è passati al burro, ottenuto con lavorazioni a zangola, del tutto tradizionali. Anche lo yogurt e addirittura i gelati si affacciano lungo il nuovo percorso gastronomico. Persino i grissini — al formaggio, ovviamente — sono una conseguenza di quel passo avanti. E chissà come se li sgranocchia volentieri Fidel Castro che è — così assicurano — un ammiratore della vacca Rossa. Non solo per il colore! Corrado Barberis

Una Bianca di gran razza Meno di cent’anni fa nei consorzi zootecnici comunali delle province di Modena, Reggio Emilia, Parma, Bologna, Mantova erano registrati circa 52.000 capi, in continuo aumento. Negli anni ‘50 il numero dei capi superò quota 140.000, ma solo dieci anni dopo iniziò la fase discendente, di pari passo con l’inarrestabile espansione della razza Frisona. La fortuna del Parmigiano-Reggiano, infatti, convinse gli allevatori a sostituire le due razze autoctone (la Bianca modenese e la Rossa reggiana) con quelle provenienti dall’Olanda, famose per la loro produttività e con le mammelle perfette per la mungitura meccanica. Oggi della Bianca modenese, chiamata anche Val Padana per lo stretto legame col territorio, sono rimaste poche centinaia di capi diffusi in una ventina di piccoli allevamenti. La Bianca modenese è un animale dalla duplice attitudine che, in passato, oltre a essere destinato alla produzione di latte e carne, costituiva anche un valido aiuto nel lavoro dei campi. Produce un latte particolarmente adatto alla trasformazione in Parmigiano-Reggiano e alla caseificazione in genere. Ciò è dovuto al rapporto ottimale tra tenore di grasso e proteine, e dove la frazione k delle caseine, che favorisce una coagulazione lenta e più resistente del latte, è presente in quantità elevate. Questa razza, inoltre, ha mantenuto un patrimonio genetico che consente discreti tempi di accrescimento e buona resa al macello.

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Fonte: www.consorziobiancamodenese.it

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Vino Per festeggiare con ottimi vini, dai contorni nitidi e prezzi equilibrati

Brindisi sotto l’albero di Riccardo Lagorio

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erché almeno Natale non sia sotto tono e ci si possa permettere ottimi vini a prezzi equilibrati — che a stento raggiungono i 15,00 euro e che in taluni casi non raggiungono i 10,00 — ecco alcuni suggerimenti che abbiamo verificato e annotato nel corso dell’anno che sta per finire. Se non riuscite a reperire entro il prossimo Natale queste etichette, ogni momento di festa sarà comunque un’occasione per concedersi alcune delle bottiglie seguenti. Come il Dolcetto della CASA VINICOLA MONTOBBIO, di Castelletto d’Orba, Alessandria (telefono: 0143 830147), versione kosher, approvata dal rabbino capo competente e quindi adatto anche alla comunità ebraica. A torto il Dolcetto è spesso considerato un vino di pronta beva. La vendemmia 2001 è stata particolarmente generosa e i fratelli gemelli Armando ed Aurelio, due cavalli di razza dell’attività enoica piemontese, hanno tratto, con metodo tradizionale, un prodotto di eccezionale fattura, dalla grande struttura e complessità, ottimamente bilanciato nel rapporto tra acidità e tenore alcolico. Uve selezionate raccolte manualmente, pigiate con la separazione dei raspi e messe nelle vasche di vinificazione dove fermentano, in presenza delle parti solide (bucce, vinaccioli e polpa) e vengono torchiate solo alla fine della fermentazione alcolica. Se ne è ricavato un liquido dal pruno colore e aroma, selvatico anche, e dopo dieci anni, quando è stato versato in coppe larghe e spaziose, si è presentato con archetti lunghi e sottili. In breve: delizioso e puro. Giovane e asciutto, armonico e morbido è invece il vino che esce dai raffinati cancelli della FATTORIA DI PETROGNANO, in territorio di Capannori,

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sulle colline lucchesi (telefono: 0583 978038). La semplice osservazione alla luce diretta ha dato un rosso rubino intenso, vivaci riflessi viola, naso pieno e pronunciato. Uve, Sangiovese e Merlot, biologiche, raccolte nell’anno 2009 e che, malgrado la recente pigiatura, hanno suggerito una geometria già adulta e compiuta. Esaltante. Toscano pure il Carmina Arvalia, IGT Toscana, dell’AZIENDA AGRICOLA SIMONETTI in Castagneto Carducci, Livorno (telefono 0565 763787). Nasce in un rettangolo di circa 1 ettaro sdraiato alle pendici della collina di Segalari, all’interno di una delle più famose zone viticole d’Italia, la DOC Bolgheri, dalla tenacia di Maria Chiara Perrone. Giosuè Carducci amava concedersi i vini dello stesso podere, di Giovanni Trinci, avo dei proprietari attuali ed arguto fattore definito “intenditor di vini e ribottista eccelso”, come descritto nella elegante etichetta. La cura e la coltivazione del terreno e delle piante

esclude diserbanti, concimazioni chimiche e trattamenti sistemici, a favore esclusivo dell’estirpazione e del taglio delle erbe, dei concimi organici (favino) e organico-minerali, nonché di trattamenti di rame e zolfo di superficie. A completamento del ciclo produttivo e per l’arricchimento del terreno è stato scelto l’utilizzo agronomico dei sottoprodotti della vinificazione (vinacce e fecce) che vengono dispersi sui terreni dell’azienda. La raccolta e la cernita del frutto, che viene lavorato in azienda appena staccato dalla vite in modo da preservarne le assolute integrità e sanità, sono manuali. Tutto ciò procura un vino di corpo, generoso e rotondo, nobile al naso e purpureo agli occhi grazie ad uve Merlot (45%), Cabernet Sauvignon (20%), Sangiovese (20%), Cabernet Franc (10%) e un pizzico di Shiraz (5%). Un mix esplosivo di piacere. Primitiva, pedestre, spremitura delle uve quella di PEPPE RAFFAELE in località San Raffaele di Fondi (tele-

Cin-cin natalizio.

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fono: 0771 513649). Del vino cecubo ne era conquistato Plinio il Vecchio, che lo classificò persino migliore del Falerno; Columella stabiliva che il miglior vino dell’Impero si produceva ad Amyclae (sul litorale tra le attuali Sperlonga e Fondi) e Orazio, nell’ode dedicata a Postumo, lo reputa migliore di quelli destinati alle cene dei pontefici. Ma anche all’elezione dell’antipapa Clemente VII nel 1378, che sancì lo scisma d’Occidente, si bevve vino cecubo. Da uva Serpe, vendemmia 2006, un superbo, austero, avvolgente Abbuoto di Cesulo. Di colore rubino intenso con riflessi porpora, profumo di macchia mediterranea e pirite, gusto intenso e sapido, dal carattere minerale e speziato, l’Aglianico di Taurasi 2005 delle CANTINE TERRANERA di Grottolella, Avellino (telefono: 0825 671455). Le costanti correnti di aria fresca, alternate al caldo estivo, favoriscono la vitalità della vite, limitando al minimo i trattamenti alle uve. La scelta di un’agricoltura aristocratica, fatta sin dall’inizio da Aniello Quaranta e orientata dalle scelte enologiche di Massimiliano Spina, ne hanno esaltato la fitta maglia tannica ed il calore. La recente revisione delle DOC cosentine con la nascita della DOP Terre di Cosenza e di una dozzina di sottozone ha permesso di conoscere interessanti realtà che sono state costituite nell’ultimo decennio. Come l’AZIENDA AGRICOLA TERRE DEL GUFO in Donnici, frazione di Cosenza

Dosaggio Zero de La Fìoca.

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(telefono: 335 7725614). Magliocco dolce (70%), Mantonico nero (20%) e Greco nero (10%) su terreni a tessitura sabbiosa, permeabili e drenanti, caratterizzano la genesi di Portapiana, incantevole rosso ottenuto a 500 metri sul livello del mare. Il Magliocco dolce conferisce acidità sostenuta e incisività aromatica. Rubino profondo all’occhio, che preannuncia forza e calore alla bocca, il naso è colto da trama olfattiva intensa e complessa di spezie e incenso, amarena e cacao. La vena balsamica del lungo finale lo rende affascinante e garbato. Anche nei vini bianchi l’intraprendenza della nuova DOP si è fatta notare. È il caso di Lidia Matera che nella sua TENUTA TERRE NOBILI in Montalto Uffugo (telefono: 0984 934005) ha portato alla ribalta Santa Chiara, da uve Greco ed una minima percentuale di Pecorello, entrambe allevate con metodo biologico. Dal colore giallo paglierino di grande lucentezza, carico di aromi di zagara e susina, possiede corpo fresco ed equilibrato, sapido e di ottima persistenza. Serba un lungo finale gradevolmente nervoso. Anche i Fratelli Solano di Montegiordano (TENUTA DEL CASTELLO, telefono: 0981 935320), sulla costa ionica della Calabria, immersi in un panorama di vibrante bellezza, si sono cimentati da anni nel recupero e tutela dei vitigni locali. Il loro Greco, Soprano dello Ionio, si presenta con piacevole colore giallo paglierino ed equilibrato per freschezza e alcolicità. Ineguagliabile il finale minerale. Chi pure si è cimentato nel recupero di vitigni locali è ANTONIO COSSEDDU in Benetutti, Sassari (telefono: 079 796410). In quest’angolo di Sardegna a 400 metri sul livello del mare è l’Arvisionadu a farla da padrone. Melodia, Isola dei Nuraghi IGT, annata 2011, si identifica per il luminoso colore paglierino, bouquet fresco e marca fruttata di fiori di campo e miele d’asfodelo. Nel piacevole finale che armonizza acidità e zuccheri prende il sopravvento la banana, di lungo e carezzevole colloquio. E per iniziare nel migliore dei modi il 2013 si brinderà ovviamente italiano. Due le segnalazioni. La prima dalla Franciacorta, ormai considerata la patria del Metodo Clas-

Soprano dello Ionio Igp. sico. Qui una cantina dalle modeste dimensioni ha saputo trarre, da terreni di composizione ed esposizione ideali, ottimi risultati. Massimiliano Gatti, terza generazione di produttori di vino, cura LA FIÒCA (telefono: 030 9826313), che prende il nome dalla particolare conformazione del vigneto, a falce, volto a mezzogiorno. Modestia, caparbietà e meticolosità hanno permesso, nei pochi anni della sua regia, di selezionare terreni, impianti e regole di eccelso livello. Il Franciacorta DOCG Dosaggio Zero, da uve Chardonnay, risulta di colore giallo traslucido, dorato, caratterizzato da finissime e abbondanti, continue bollicine. Vino di straordinaria convergenza all’occhio, al naso e alla bocca: fragrante e quasi tagliente, vi emergono note agrumate, distinte e sapide. Dall’elevata mineralità grazie all’attento vaglio dei terreni, risponde alla filosofia aziendale della competenza e professionalità. A Fara Vicentino, area della Val Zaccona molto ricca di fossili e minerali, la SOCIETÀ AGRICOLA DI GIULIANO TODESCHINI (telefono: 335 256404) ha invece messo a punto un Metodo Classico da uve Vespaiola, varietà autoctona di Breganze. Contraddistinto da bollicine fine e persistenti, il naso percepisce note di miele d’acacia ed erbe balsamiche, con spuma cremosa e morbida. Contorni nitidi e precisi per ciascuno di questi vini: perfetti per un Natale al tempo della crisi. Riccardo Lagorio

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Palazzotto: un Cabernet trentenne Un grande vino dalla Cantina Maculan di Breganze: un classico per gli amanti del Cabernet Sauvignon la cui qualità è rimasta immutata negli anni, anche con l’avvento delle nuove generazioni

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alazzotto Cabernet Sauvignon Breganze DOC: un nome lungo per un vino che rappresenta appieno il territorio da cui proviene e l’azienda che lo produce, la Cantina Maculan. L’azienda di Breganze, nata negli anni ‘40 per opera di Giovanni Maculan, è diventata un punto di riferimento del mondo enologico nazionale ed internazionale a partire dagli anni ‘70 grazie a Fausto, figlio di Giovanni, che ha iniziato a guidare l’azienda di famiglia. Fausto ha trovato nel territorio di Breganze le potenzialità per creare grandi vini bianchi, rossi e dolci ed ha scelto di operare con varietà come il Merlot ed il Cabernet Sauvignon,

Maria Vittoria, Fausto ed Angela Maculan.

Palazzotto Cabernet Sauvignon Breganze DOC.

che si trovano in questo territorio da più di 150 anni. In particolar modo il Cabernet Sauvignon riesce a raggiungere qualità eccellenti grazie anche alla cura che la Maculan mette in tutte le fasi della lavorazione, a partire dal vigneto, dove viene effettuata una rigorosa diminuzione della produzione, per ottenere pochi grappoli, ma ben maturi. La fermentazione avviene in piccoli tini di acciaio e l’affinamento in barrique di rovere francese, dove il vino riposa per un anno. Lo troviamo espresso al meglio nel “Palazzotto”, vino che nasce nel 1982 e da allora è stato prodotto per 30 vendemmie così da rappresentare un grande classico per gli amanti del Cabernet Sauvignon. L’aroma è di frutta matura, con un leggero sentore di pepe e spezie, tipico della varietà, ed una dolce nota di caffè appena tostato,

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datagli dall’affinamento in barrique. In bocca è ricco, pieno e rotondo, con un tannino piacevolmente presente, giusto per ricordarci che stiamo bevendo un Cabernet Sauvignon. Si esprime al meglio se abbinato ad un piatto di carne alla griglia, ma è ottimo anche con salumi, arrosti e brasati. Un grande vino, la cui qualità è rimasta immutata negli anni, anche con l’avvento della nuova generazione di Maculan, rappresentata dalle figlie di Fausto, Angela, che si occupa della parte commerciale e Maria Vittoria, enologo. Entrambe hanno ereditato la passione del padre che le spinge a realizzare vini come questo. Maculan Srl Via Castelletto, 3 36042 Breganze (VI) Telefono: 0445 873733 E-mail: info@maculan.net Premiata Salumeria Italiana, 6/12


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Enologica 2012, l’eccellenza dell’Emilia-Romagna di Laura Franchini

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i è chiusa lunedì 19 novembre la kermesse Enologica di Faenza, Salone del Vino e del prodotto tipico dell’Emilia-Romagna, che ha visto la partecipazione di 134 produttori vinicoli e oltre 7.000 visitatori. Il finale della manifestazione, nella giornata riservata agli operatori, è stato dedicato alla solidarietà: con un’asta di beneficenza, infatti, è stata battuta la Pentola d’Oro Linea Luxury firmata Baldassare Agnelli, il cui ricavato è stato devoluto alla Cooperativa Sociale “La Lanterna di Diogene” di Bomporto (Modena), duramente colpita dal sisma dello scoro maggio. Degna chiusura di un salone che ha visto oltre 50 incontri, tra degustazioni e laboratori, e che ha raccolto un forte interesse non solo

sul territorio. Si è infatti assistito ad un forte incremento di operatori e visitatori extra regionali e stranieri, a testimonianza dell’attenzione verso la tradizione del gusto emilianoromagnola. Nell’ottica di presentare il meglio dell’eccellenza regionale si sono snocciolati numerosi appuntamenti con chef, produttori, operatori e giornalisti, così come approfondimenti e conferenze. A questo proposito riportiamo le parole del curatore di Enologica, Giorgio Melandri, mediate da una riflessione del filosofo francese MICHEL SERRES: «Possiamo essere rivoluzionari e tradizionali allo stesso tempo. Questa frase è diventata la linea guida dell’edizione 2012 di Enologica perché racconta bene chi siamo e dove vogliamo andare». Una scelta rappresentativa che è stata sottolineata durante tutta la manifestazione e che è stata affiancata dal concetto di “filiera certa”: «il 2012

è anche l’occasione per lavorare su un tema che ci è caro, la filiera, e per questo lo abbiamo scelto per il Teatro dei Cuochi. Non la filiera corta, ma la filiera certa, il rapporto tra chi produce e chi lavora e consuma il cibo» spiega Melandri. Concetto opportunamente sottolineato, vista l’importanza che ha il settore agricolo per la regione, che in un momento così particolare deve essere tutelato e doverosamente comunicato con professionalità. Molto soddisfatto Melandri ha dichiarato: «Enologica è sempre di più uno straordinario racconto dell’Emilia-Romagna, una piattaforma di contenuti e progettualità che può diventare strategica nella promozione della nostra regione in giro per il mondo. La presenza numerosa di giornalisti italiani importanti e dei giornalisti internazionali alza il livello relazionale della manifestazione che afferma

A sinistra: Glauco Malagoli, Villa di Corlo, Baggiovara (MO). Adestra: nello stand Fattoria Paradiso di Bertinoro (FC) di Graziella Pezzi il figlio Jacopo.

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1) Alberto Lini, Lini 910 di Correggio. 2) Carlo Piccinini, Cantina di Sorbara (MO). 3) Christian Bellei e Angela Sini di Cantina della Volta, Bomporto (MO). 4) Francesco Lambertini, Tenuta Bonzara, Monte San Pietro (BO). 5) Fabio Altariva, Fattoria Moretto, Castelvetro (MO). 6) Giovanni Sidoli, Casali Viticultori, Pratissolo di Scandiano (RE). il suo ruolo di vetrina regionale dell’enogastronomia. Enologica è oramai un patrimonio di tutti e questo senso

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di comunità è il bene più prezioso che abbiamo costruito in questi anni di lavoro. Siamo una casa per tutte e nove

le province della regione». Attendiamo trepidamente l’edizione 2013. Laura Franchini

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Casali Viticultori: la siccità condiziona la vendemmia. Nelle uve bianche acidità ideale per gli spumanti La Cantina di Pratissolo di Scandiano (RE) supera le difficoltà con l’anticipo della raccolta, un’attenta selezione delle uve e l’ingresso di due nuovi fornitori È stata una delle vendemmie più difficili degli ultimi anni per la zona di Scandiano (RE): condizionata dalla siccità, con forti differenze tra collina e pianura e quantitativi in calo, ha visto comunque l’arrivo in cantina di uve dal profumo e corpo particolarmente promettenti. È questo il bilancio tracciato da Casali Viticultori, storica azienda di Pratissolo di Scandiano (RE), al termine della raccolta e della produzione delle basi per i vini del 2012. È stata dunque la siccità a influire maggiormente sulla recente vendemmia, determinando un calo delle quantità che nelle zone collinari ha oscillato tra il 10 e il 50% in meno di uve bianche e rosse, mentre la tenuta in pianura è stata garantita dalla possibilità di irrigazione. Questa situazione ha imposto una vendemmia anticipata in particolare per i bianchi: la raccolta è iniziata subito dopo la metà di agosto, ricorrendo anche alla vendemmia notturna. La particolare situazione climatica ha inoltre richiesto un’attenta selezione delle uve già in campagna, per evitare l’arrivo in cantina di prodotto cotto, strinato o appassito. Accorgimenti che hanno consentito di portare negli ambienti di lavorazione uve profumate e adeguate alla vasta gamma di prodotti dell’azienda. Le bianche presentano un giusto grado di acidità, mentre le rosse, raccolte in collina, si caratterizzano per il colore particolarmente intenso. Le basi ottenute presentano note olfattive e gustative che inducono a previsioni positive per i vini del 2012. Buone notizie soprattutto per gli spumanti bianchi, che beneficeranno delle caratteristiche dell’uva Spergola raccolta quest’anno utilizzata nella produzione del Cà Besina Metodo Classico e del Villa Jano Metodo Charmat o nell’ultimo nato della maison, il Pomoria. «È stata una vendemmia molto complessa — ha commentato Iacopo Michele Giannotti, direttore di produzione di Casali Viticultori — a cui abbiamo fatto fronte con un lavoro attento e meticoloso dai vigneti alla cantina. Nonostante le difficoltà, abbiamo aumentato del 15% la quantità dell’uva lavorata, grazie all’ingresso di nuovi fornitori. Possiamo quindi confermare la nostra politica orientata alla crescita e alla qualità della produzione, sia per i prodotti consolidati che per le novità che presenteremo nei prossimi mesi». Tra le attività messe in campo da Casali Viticultori per migliorare la qualità della materia prima c’è anche l’introduzione di nuove pratiche di gestione dei vigneti, che consentirà di dare più equilibrio alle piante aumentandone la longevità. >> Link: www.casalivini.it

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I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: di Laura

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na degustazione trasversale, alcune proposte che renderanno più piacevole il Natale e le festività. Vini dolci, più precisamente passiti, adatti ad accompagnare i dessert della tradizione natalizia ma anche formaggi stagionati e erborinati, così come ad essere degustati da soli, in meditazione, magari davanti al camino acceso e all’abete addobbato. Una lunga tradizio-

ne, quella dei passiti italiani, che certamente non si può ridurre a soli sei vini, quelli della nostra degustazione, che infatti vuole solo essere una proposta di dolcezza. Una tradizione, quella dell’appassimento, che comprende diverse metodologie, dall’utilizzo di graticci, dall’appassimento in vigna a quello in cantina o in grotte, dal sole diretto al vento freddo gelido, dal “torcolare” —

Moscato giallo Passito Veneto IGT Dindarello 2011 Maculan

Recioto di Soave DOCG Col Foscarin 2007 Gini Sandro e Claudio

Albana di Romagna Passito DOCG Frutto Proibito 2008 Fattoria Paradiso

Un nome che è sinonimo di Torcolato, quello di Maculan e che, grazie al piglio di Fausto Maculan, ora ben coadiuvato dalla figlia Angela, si è imposto nel mondo e ha segnato la strada per tanti giovani produttori della zona di Breganze. Il vino che presentiamo testimonia, con la sua eleganza, come la filosofia produttiva che ha reso famoso il Torcolato abbia portato grandi risultati anche su altre produzioni, come appunto sul Moscato giallo. Un calice d’oro sciolto, brillante e pulito, che regala subito copiosissime note di caramello, frutta esotica, confettura di pesche e miele. Decisa la nota fresca, che dona a questo vino grande equilibrio. Un’armonia di degustazione decisa, per un vino dolce di facile abbinamento: panettoni e pandori, ovvio, ma anche piccola pasticceria, crème caramel e pesche al forno, amaretti e mandorlati.

Una denominazione storica, di grande fama, ottenuta non solo col tempo, ma anche e soprattutto con la qualità delle produzioni. Non fa eccezione questo calice, di sorprendente stoffa e complessità. Una bevibilità estrema e suadente, che si rivela sia al naso con eleganza, grazie a copiose note di frutta matura, albicocche e pesche, mandorle e spezie a corredo, scorze di agrumi in retrolfattiva. Raffinatezza e persistenza anche al palato, morbido e vellutato, sostenuto da sapiente note fresche. È ovvia e scontata la pasticceria secca come abbinamento, da provare con le sfogliatine al burro di Villafranca, per restare in zona. Si consiglia anche il matrimonio con formaggi a lunga stagionatura, parmigiano, pecorino e formaggi di fossa.

Un’azienda storica, che tanto ha fatto per l’enologia dell’Emilia-Romagna e tanti successi ha ottenuto negli anni. Gabriella Pezzi, donna del vino e donna di razza, gestisce con rigore e piglio l’azienda di famiglia sita a Bertinoro, città del vino. L’Albana Passito Frutto Proibito è una delle referenze più conosciute e amate della cantina, anche grazie alla fama che accompagna il ricordo del poeta ed artista TONINO GUERRA, che di questo vino, che tanto ha amato, ha disegnato l’etichetta. Un calice dorato, pulito, profumatissimo. Sono sentori di frutta matura esotica, melone ed ananas, su ricordi di miele d’acacia: Intenso, complesso, della trama ricca. Se ne consiglia l’abbinamento con pasticceria secca, con dolci ai canditi, come i panettoni artigianali e le spongate. Adattissimo anche alla meditazione, dopo un ricco pasto, come quello del Natale.

Maculan Srl Via Castelletto, 3 36042 Breganze (VI) Telefono: 0445 873733 info@maculan.net

Az. Agr. Gini Sandro e Claudio Via Matteotti, 42 37032 Monteforte (VR) Telefono: 045 7611908 info@ginivini.com

Fattoria Paradiso Via Palmeggiana, 285 47032 Bertinoro (FC) Telefono: 0543 445044 info@fattoriaparadiso.com

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Dolce Natale Franchini

attorcigliare i grappoli— all’aborto floreale. Molti i mezzi, secondo le zone e le consuetudini, per concentrare lo zucchero e i profumi. Molti i vini passiti, molte le denominazioni famose nel mondo. Perché quando il passito mantiene freschezza e profumi, frutto di grande selezione e di assiduo lavoro in vigna come in cantina, il risultato è esemplare e memora-

bile. Come detto non è possibile in una rubrica riassumere l’eccellenza italiana nella produzione dei passiti, proprio per questo in diverse occasioni abbiamo dedicato alle singole denominazioni rubriche mirate. Questa volta invece vi facciamo una panoramica, alcune perle del nostro paese, che sotto l’albero di Natale e a tavola non sfigurerebbero. Buone Feste e buona degustazione.

Invernaia Sauvignon dell’Emilia Passito IGT 2008 Casali

Picolit Colli Orientali del Friuli DOCG 2008 Sara & Sara

Passito di Pantelleria Liquoroso 2011 Carlo Pellegrino

Nelle pianure emiliane l’inverno è lungo, freddo e umido. Niente di meglio che un buon calice di vino, di vino buono, per superare questi pesanti mesi. Il passito Invernaia si presta mirabilmente allo scopo. Frutto di un sapiente appassimento di uve Sauvignon, il calice dorato è decisamente brillante, a ricordare i raggi del sole, che d’inverno son così rari. L’olfattiva si apre ampia, con note fruttate ma anche minerali, sentori di papaia e frutti esotici, note di albicocche appassite e mandorle. Spezie a contorno, decisa vaniglia dolce. La sorsata entra morbida, con equilibrio, lunga e avvolgente. Circolari i profumi. Vino certamente adatto a tutta la pasticceria, soprattutto alla pasta di mandorle, ma si presta anche ad essere abbinato a formaggi di media e lunga stagionatura e foie gras.

Una piccola cantina famigliare condotta, nella prosperosa provincia di Udine, dal giovane e caparbio Alessandro Sara, che propone vini di grande pulizia e piacevolezza. Un Picolit, vino famosissimo, prodotto con l’ausilio dell’aborto floreale spontaneo che permette la concentrazione degli zuccheri, pur riducendo drasticamente la quantità di uve raccolte, ma apportando sentori unici, spesso indimenticabili. Come in questo calice di grande intensità olfattiva, lindo e netto. Sentori decisi e affascinanti di frutta matura, pere cotte, mele cotogne, frutta in marmellata. Spunti salmastri in sottofondo, note candite piacevolissime e miele. Al palato è circolare, morbido e fresco, ottima l’armonia e l’equilibrio. Ideale con i dessert della tradizione natalizia, le note complesse lo rendono uno splendido compagno di formaggi erborinati, strutturati e intensi.

Una delle eccellenze vinicole del nostro Belpaese, il Passito di Pantelleria, qui proposto in versione liquorosa. Uve di Moscato d’Alessandria o Zibibbo vendemmiate a fine agosto per questo calice ambrato, di grande e brillante lucentezza. Intrigante e suadente la degustazione olfattiva, intensa e lunga. Sono note profumatissime di frutta matura, candita e in gelatina, soprattutto pesche e albicocche, fichi secchi e carrube. Miele e spezie dolci a contorno, circolari anche al palato. Una sorsata piena e intensa, assolutamente equilibrata tra parti morbide e dure, grande l’armonia e la persistenza. Adattissimo a dolci, crostate e paste frolle, è eccezionale accompagnato da formaggi stagionati a pasta dura.

Casali Viticultori Srl Via delle Scuole, 7 42019 Pratissolo di Scandiano (RE) Telefono: 0522 855441 info@casalivini.it

Azienda Agricola Sara & Sara Via dei Monti, 5 33040 Savorgnano del Torre (UD) Telefono: 0432 666365 cantinasaraesara@libero.it

Carlo Pellegrino & C. Spa Via del Fante, 39 91025 Marsala (TP) Telefono: 0923 719911 info@carlopellegrino.it

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Dolci

Il Bianco Natal del torrone sardo C’è un paesino in Sardegna, ai piedi del Gennargentu, dove la principale produzione locale è il torrone. Questa pregiata leccornia, che qui nasce come dolce pasquale, da più di duecento anni regge l’economia di una comunità, ma soprattutto rende famosa Tonara nell’Isola e nel resto del mondo di Sebastiano Corona

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on c’è Natale che si rispetti in Italia senza un assaggio di torrone. Da nord a sud questo dolce crea un’atmosfera di festa sulle tavole di tutto il Belpaese. Sarà la sua immagine meravigliosa o il suo gusto unico, ma ovunque riscuote sempre un grande successo. C’è un luogo, però, dove il torrone nasce come specialità pasquale. È Tonara, un piccolo comune arroccato ad oltre mille metri di altitudine, sulle montagne della Barbagia, al centro della Sardegna. In questa regione torrone vuol dire Tonara e Tonara vuol dire torrone, tale e tanta è la produzione e la storia che lega questa specialità al territorio. Ci sono anche altre località, per lo più limitrofe, dove il torrone è realizzato con uguale maestria, ma il suo comune di origine in Sardegna è questo. Chi lo ha provato sa che è diverso da quello che si trova comunemente in commercio. Non solo perché viene realizzato esclusivamente in laboratori artigianali, ma soprattutto perché viene fatto con ingredienti ed una lavorazione che lo rendono assolutamente particolare. Il primo elemento che caratterizza questa specialità è l’impiego di solo miele con totale assenza di zucchero o altri zuccheri aggiunti come sciroppo di glucosio o saccarosio. Il secondo elemento è che il miele utilizzato, stagione apistica permettendo, è sardo. Che sia di corbezzolo, agrumi, rosmarino, castagno, cardo, asfodelo, eucaliptus o macchia mediterranea,

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poco importa, per genuinità e varietà i torronai preferiscono il prodotto locale, la cui scelta non dipende solo dalla disponibilità, ma anche dalla dolcezza che si intende conferire al prodotto finito. Il terzo elemento che connota il torrone di Tonara è una presenza importante di frutta secca. Nel torrone di elevata qualità è possibile addirittura che mandorle, nocciole o noci compaiano in etichetta prima degli altri ingredienti, a sottolineare il fatto che la frutta secca è stata impiegata in maniera prevalente rispetto a qualunque altro componente.

La percezione di gommosità che talvolta si può provare nell’addentarlo è un altro elemento che caratterizza questa specialità barbaricina. Gli altri sono certamente il colore, che tende al bianco avorio, e la scadenza. Di norma è di dieci mesi per quello alle noci — componente dalla vita più breve — e di due anni per quello alle nocciole e alle mandorle. Il torrone di cui parliamo non è però solo gusto e folclore. Oggi è anche storia e tradizione. La sua produzione è iniziata nella seconda metà dell’Ottocento e in passato ha

Il torrone di Tonara viene proposto in diverse tipologie e aromi, sia in piccole confezioni che in blocchi da 5 kg circa, come si usava una volta (in foto, torrone del torronificio Marotto).

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L’impasto del torrone, sempre più denso con il passare delle ore, veniva girato per quasi mezza giornata e senza sosta. visto momenti di forte espansione soprattutto per le quantità prodotte. Tonara ha avuto nel secolo scorso sino a duecento piccoli laboratori che operavano in contemporanea. Ora sono solo una ventina, ma i macchinari utilizzati consentono di ottenere un fatturato importante. Sino ad una quarantina di anni fa il torrone veniva preparato esclusivamente a mano con fatica e impegno notevole, anche fisico. L’impasto, sempre più denso con il passare delle ore, andava girato per quasi mezza giornata e senza sosta. Dagli anni ‘60 le braccia delle torronaie sono state sostituite da macchinari e attrezzi che amalgamano meccanicamente l’impasto di miele e albume d’uovo, sebbene buona parte delle operazioni, anche nei laboratori più moderni, tuttora fatte a mano. Il riempimento delle forme, la selezione della frutta secca, la tostatura e la decorazione dei prodotto finito, per esempio, sono fasi della produzione che non contemplano l’ausilio di strumenti meccanici, e ad occuparsene sono ancora oggi le donne. Non c’è un perché, se non il fatto che questo vuole la tradizione. Gli uomini, pur utili in questo settore, sono impiegati con mansioni diverse dalla produzione vera e propria. Anche le pezzature sono piut-

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Fino a non molti anni fa il torrone veniva preparato esclusivamente a mano, con grande fatica. tosto originali. Qualunque sia il laboratorio, il torrone è proposto sia in piccole confezioni che in blocchi da 5 chilogrammi circa, un formato come si usava in passato. Oggi il torrone di Tonara viene proposto in diverse tipologie e aromi. Si trovano per esempio i torroncini confezionati uno ad uno come fossero caramelle. Così come esiste un ampio catalogo di specialità al mirto, al limoncino o al cioccolato.

Ma per i tradizionalisti e coloro che cercano la storia in ogni prodotto che assaggiano, il vero torrone è quello in grossi blocchi tagliati a richiesta sui banchi degli ambulanti. I sardi lo vogliono ancora così. Già, perché non c’è festa paesana in Sardegna dove manchino loro, sos carrettoneris del torrone, coloro che una volta, per ogni festa del patrono o sagra, si spostavano dalla Barbagia con il loro carretto per vendere questa prelibatezza.

“Oggi il torrone sardo è una specialità apprezzata anche nei mercati internazionali; quindi sono cambiati tempi e modi di produzione, per cui viene realizzato tutto l’anno, seppure con differenze a seconda del periodo. Dalla primavera all’estate si produce soprattutto per uso locale, mentre in autunno prevalentemente per il mercato nazionale” 141


I torronai di Tonara hanno fatto la storia e l’economia di un territorio per duecento anni e tuttora sono un elemento irrinunciabile del folclore regionale. La loro presenza nei paesi, quando avere un minimo di ospitalità era un dono prezioso, ha contribuito a far nascere amicizie e rapporti di straordinaria umanità. E anche oggi, seppure con altri mezzi e altre disponibilità, la tradizione continua: non c’è festa di piazza nell’Isola che non veda le abili mani dei torronai tagliare con velocità e maestria blocchi di torrone alti due spanne.

Questa meravigliosa usanza, che ha reso Tonara famosa ovunque in Sardegna e fuori, iniziava a marzo, con la Pasqua, per finire ad agosto, con il diminuire delle feste paesane, concentrate soprattutto nella bella stagione. Ormai il torrone sardo è una specialità apprezzata persino nei mercati internazionali. Le esigenze del mercato hanno cambiato tempi e modi di produzione e il torrone viene realizzato tutto l’anno, seppure con differenze importanti a seconda del periodo. Dalla primavera all’estate, infatti, si produce soprattutto per

Situata ai piedi del Muggianeddu (1.468 m.), Tonara è uno dei centri più elevati della Sardegna. Percorrendo i viottoli del centro storico, dove ancora si trovano le antiche case con i balconi in legno, si respira un’atmosfera d’altri tempi. In occasione del Lunedì dell’Angelo, si tiene la sagra del Torrone, giunta nel 2012 alla 33ª edizione.

Una venditrice di torrone. Per i tradizionalisti il vero torrone è quello in grossi blocchi tagliati a richiesta sui banchi degli ambulanti. I sardi lo vogliono così e ancora oggi, in Sardegna, nelle feste paesane sono presenti i “carrettoneris” del torrone, un elemento irrinunciabile del folclore regionale, coloro che una volta, in occasione delle sagre, per venderlo, si spostavano dalla Barbagia con i loro caratteristici carretti.

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uso locale, mentre da settembre a Natale prevalentemente per il mercato nazionale. Chi lo vuole assaggiare in loco, in un’atmosfera conviviale e festosa, magari assistendo direttamente alla produzione, può partecipare alla sagra, ormai giunta alla sua trentatreesima edizione. Ogni anno, in occasione del Lunedì dell’Angelo, i torronai di Tonara propongono la propria specialità a casa loro. È un’occasione non solo per gustare una leccornia pregiata, ma anche per assistere ai riti della Settimana Santa, vissuti qui con grande passione, in un contesto e una scenografia unici. Che sia realizzato da piccoli laboratori o da grandi stabilimenti che poi lo esportano, che venga gustato in loco o in altra parte del mondo, il torrone della Barbagia è sempre ottimo. Nessuno ha ceduto alla tentazione di rivedere la qualità del prodotto. Non c’è mai stato bisogno di migliorarlo, perché è già eccellente così. Sebastiano Corona

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Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar 144 Premiata Salumeria Italiana, 6/12 perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


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