Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXI N. 1 Gennaio-Febbraio 2019
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* in riferimento ai valori medi nutrizionali della Mortadella (fonte dati: CREA – Alimenti e Nutrizione)
N. 1
€ 6,70 Anno XXXI Gennaio-Febbraio 2019
Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi
Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Prof. Fausto Cantarelli Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata Prof. Sergio Ventura
Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Lorenzo Fiorentin
EURO ANNUARIO CARNE 2019
Fotografia Luigi Credi
Euro Annuario Carne La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2019 Copia cartacea: € 95,00
Abbonamenti Fioretta Fiorentin Amministrazione Andrea Tomassone
Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2018. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2018.
Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com — Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985
Premiata Salumeria Italiana, 1/19
Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910
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N. 1
€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
In questo numero:
Agenda
10
Immagini
12
Tendenze
14
Salumi & Co.
16
Calendario fiere
Fiere, eventi, convegni 2019
Memento
In ricordo di Clara Nese Scaglioni
Rossana Pioli
20
Il food in rete
Social food
Elena Benedetti
22
Aziende
Italiani brava gente
18
Filiera Uno Prosciutti: la scelta della famiglia Levoni per le lunghe…
Gaia Borghi
26
Da Bagnacavallo cereali, legumi e zuppe 4.0
Riccardo Lagorio
30
Terún, orgoglio del Sud a Palo Alto
Elena Benedetti
34
A pagina 104.
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5
Primo concorso nazionale di taglio del prosciutto crudo a coltello
Eventi
Raffaele Bertolini
La Maialata: tutto il buono delle tradizioni
38 42
Torresano, tradizione salumiera veneta
Gaia Borghi
44
Salumi selvaggi
Giovanni Ballarini
48
Rapporto Ismea-Qualivita: i numeri che ci rendono fieri
Sebastiano Corona
54
Italiani, una passione “zoppa” per la cucina
Gianluca Pacella
60
Analisi di settore
Cibo biologico scelta culturale
Giovanni Ballarini
64
Nutrizione
Paradossi alimentari smentiti
Giovanni Ballarini
68
Sapori dal mondo
Clifford’s Honey Farm, la dolcezza arriva dall’Italia
Massimiliano Rella
72
Il gusto di camminare
Basilicata Coast to Coast
Elena Simonini
74
Week-end
Vermeyden Delicatessen, tipicità olandesi e sapori mediterranei…
Massimiliano Rella
78
Sono 180 grammi, lascio?
Super Furry Animals
Giovanni Papalato
80
Rassegne
769 chili di Superzampone: trenta volte buono
82
Fiere
Sempre più MarcabyBolognaFiere
88
Cibus 2019: argine all’Italian sounding e al Local premium
94
Prodotti tipici
Indagini
Formaggio
Formandi, a Sutrio i sapori e i formaggi della montagna friulana
Riccardo Lagorio
Caciocavallo Dop, burrino e altre prelibatezze sull’Altopiano della Sila
Massimiliano Rella
96 100
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€ 6,70
A pagina 72.
In copertina: buon San Valentino con il Salam d’Giors di Giorgio Bertoli (photo © Massimiliano Rella).
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Vino
Sebastiano Gulino e il vino di Siracusa
Riccardo Lagorio
104
L’ospedale con cantina che custodisce il vino più vecchio del mondo
Massimiliano Rella 106
Vini naturali: informazioni per i consumatori
Stefania Chironi
108
I vini di Premiata Salumeria Italiana
Degustazione: vini rossi del Piemonte
Laura Franchini
110
Olio
L’oro giallo di Antiche Terre Pacella
Federica Cornia
114
Pasta
La pasta ripiena lungo la Via Emilia: forma e sostanza
Gemma Zubiani
116
La pagina scientifica
Listeria nei salumi: il pericolo è nel biofilm
Giovanni Ballarini 120
Tecnologie
L’etichetta è il DNA di qualsiasi prodotto
Storia e cultura
Friggere con lo strutto
Libri
L’appetito dell’imperatore
122 Nunzia Manicardi 126 130
A pagina 93. A pagina 38.
A pagina 22.
www.premiatasalumeriaitaliana-online.com 8
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AGENDA
Polesine Parmense (PR) A Polesine Parmense (PR), così come in molti luoghi che conservano e diffondono la tradizione dell’arte culinaria dei territori sulle rive del Po, quella del maiale è una vera e propria cultura. Per comprenderla a fondo è necessaria un’immersione totale nei rituali che compongono la lavorazione e la preparazione, secondo procedimenti antichi che godono delle innovazioni ma mantengono il loro carattere sacrale. Solo vivendo davvero a contatto con chi ogni giorno alleva e conosce i suini è possibile apprendere, prima ancora delle tecniche, il senso e il significato di un’attività radicata e inscindibilmente legata al territorio. L’Hosteria del Maiale dell’Antica Corte Pallavicina — nelle cui storiche cantine, le più antiche del mondo attive, viene stagionato il Culatello di Zibello, a cui è dedicato anche un museo — è uno dei punti nevralgici di questa storia. E per 6 giorni, dal 18 al 23 febbraio, il laboratorio enogastronomico dei fratelli LUCIANO e MASSIMO SPIGAROLI diventa il teatro di Pig Full Immersion, un viaggio nel mondo della salumeria nel luogo in cui la razza Nera parmigiana viene allevata con i cereali coltivati sul posto, tra bovini di razza Bianca, anatre e faraone, vigneti di uva Fortana, pioppi, frutta e verdure di stagione. Con l’obiettivo di favorire una visione olistica e integrata per una maggiore consapevolezza di gestione del prodotto, il corso si rivolge a professionisti e curiosi e intende approfondire alcuni aspetti relativi alla lavorazione del maiale senza trascurare l’importanza della conoscenza di molte altre variabili, tra cui la storia dell’agricoltura, con un focus particolare sulla zootecnica suina, le diverse razze suine e il comportamento delle loro carni una volta macellate, la produzione dei salumi, la loro conservazione e le tecniche di servizio. Le attività della settimana — che costituiscono il programma di un corso volto all’ottenimento di uno specifico diploma — prevedono la visita completa all’azienda agricola dell’Antica Corte Pallavicina, la lavorazione delle carni di maiale (sezionamento e salatura), la preparazione di salami, cotechini, ciccioli, cicciolata e mariole, la legatura dei culatelli, delle coppe, dei preti, delle spalle, dei lombi, dei fiocchetti e delle pancette e un corso di cucina dal tema. www.anticacortepallavicinarelais.it
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IMMAGINI
Si chiama Cave Historique Hospices Strasbourg ed è l’antica cantina situata sotto l’ospedale di Strasburgo, “capitale” dell’Alsazia, regione vitivinicola della Francia al confine con la Germania. In un lungo corridoio nei sotterranei del nosocomio, in circa 80 tra botti e tonneaux, sono affinati vini di qualità, tra cui anche il vino più vecchio al mondo, annata 1472. Ce ne parla a pagina 106 Massimiliano Rella. 12
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TENDENZE Fritto è… buono!
Non c’è niente da fare: quando è fatto bene è irresistibile. Vuoi che sia un dolce, del pesce, una verdura, un bocconcino di pasta tipico della cucina regionale in una qualsiasi parte del Belpaese. Durante il Carnevale raggiunge l’apice tra zeppole, frappe, chiacchiere e ciambelle varie. D’estate è protagonista sulle tavole dei ristoranti di pesce ed è fedele compagno in ogni stagione di burger e merluzzo. Come scrivono MARTINO BELLINCAMPI e MATTEO SANTUCCI nel loro libro Pastella (Edizioni Estemporanee, edest.it), “il fritto è il cibo più divertente, caldo e accogliente che ci sia. Il fritto racconta le tradizioni gastronomiche, dalle più popolari alle più raffinate, dalle più antiche alle più moderne. Il fritto è facile da preparare se seguirete i trucchi che vi sveleremo. Fritto è buono tutto!”. Impossibile dar loro torto (photo © Natasha Breen – stock.adobe.com).
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Senza Conservanti Senza Glutine Con Con Sale Sale Marino Marino no
Strada Comunale del Cristo, 12/14 41014 Solignano di Castelvetro - MO - Italy Tel. +39 059 532007 - Fax +39 059 532038 www.bpprosciutti.it - www.suincom.it
SALUMI & CO.
Biodegradabili Japan style Per stilose degustazioni in salumeria ecco una serie di piatti, scodelle e stoviglie monouso disegnate dalla giapponese WASARA CO., con sede a Tokyo (www.wasara-shop.jp), biodegradabili, a base di bambù, polpa di canna e bagassa (residuo della canna da zucchero dopo la spremitura). Da usare e poi gettare nel compostaggio (photo © instagram.com/wasaraofficial).
Pittura per papille Ecco un’idea originale per la vendita di confetture di frutta dell’azienda artigianale romagnola LUVIRIE (www.luvirie.com). Si tratta di confetture di prima scelta presentate in una confezione regalo originale in tutto e per tutto identica ad una piccola latta da pittura. Il prodotto è realizzato con un’attenta selezione delle materie prime, solo frutta tipica della Romagna. La lavorazione è naturale, senza uso di conservanti, gelatine, coloranti, pectine o acidi (photo © Luvirie).
Taglieri che passione Vanno bene per tutto, dal pane ai formaggi, salumi e dolci, come display sul banco della salumeria, come vassoio per assaggi veloci e calici di vino. L’azienda olandese HKLIVING (hkliving.nl), fondata da EMIEL HETSEN e SANDER KLAVER, ogni anno presenta taglieri con linee e materiali differenti ed è un buon riferimento per i nuovi stili e design di questo prezioso utensile che può diventare complemento d’arredo (photo © hkliving.nl).
Il des design che unisce terra e mare della Puglia Quanto ci piace la linea Pop Art di ANTICO FRANTOIO MURAGLIA Qu (www.frantoiomuraglia.it). (ww w w. Questi orci realizzati a mano dagli d gli artigiani pugliesi sono oggetti di design e da collezione. da Bella la linea con gli elementi marini colorati pop: toni accesi e cromie crom matt personalizzano polpi, calamari e pesci che si esaltano sulla ceramica bianca. Un mix di tradizione e contemporaneità, “terra e mare, colore e purezza” cont in un formato da 500 ml (photo © frantoiomuraglia.it).
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Per 400 anni, il segreto è stato non avere fretta
GIUSTI.IT
Aceto Balsamico di Modena dal 1605
CALENDARIO FIERE
Fiere, eventi, convegni 2019 Italia Taste Firenze, 9-11 marzo Organizzazione: Pitti Immagine Tel. 055 3693249 direzione.commerciale@pittimmagine.com www.pittimmagine.com/corporate/fairs/ taste.html Identità Golose Milano Milano, 23-25 marzo Organizzazione: Paolo Marchi e Magentabureau Tel. 02 48011841 info@magentabureau.it www.identitagolose.it IMeat Modena, 24-26 marzo Organizzazione: Ecod Srl Tel. 0331 518056 info@imeat.it www.imeat.it
Salumi da Re Polesine Zibello (PR), 30 marzo-1 aprile Organizzazione: Antica Corte Pallavicina – Gambero Rosso Tel. 0524 936539 segreteria@salumidare.it www.salumidare.it
Vinitaly – Sol&Agrifood Verona, 7-10 aprile Organizzazione: Veronafiere Tel. 045 8298111 www.vinitaly.com www.solagrifood.com
Organizzazione: BolognaFiere Spa Tel. 051 282351 sana@bolognafiere.it www.sana.it
Cibus Connect Parma, 10-11 aprile Organizzazione: Fiere di Parma Spa Tel. 0521 9961 cibus@fiereparma.it www.cibus.it Formaggio in Villa Salone dell’Alta Salumeria Santa Maria di Sala (VE), 25-28 aprile Organizzazione: Guru del Gusto segreteria@gurucomunicazione.it www.formaggioinvilla.it
Cheese Bra (CN), 20-23 settembre Organizzazione: Slow Food cheese.slowfood.it Host Milano, 18-22 ottobre Organizzazione: Fiera Milano Spa Tel. 02 49971 host@fieramilano.it – host.fieramilano.it Cibus Tec Parma, 22-25 ottobre Organizzazione: Fiere di Parma Spa Tel. 0521 9961 info@cibustec.it – www.cibustec.it
Tuttofood Milano, 6-9 maggio Organizzazione: Fiera Milano Spa Tel. 02 49976239 info@tuttofood.it www.tuttofood.it
Golosaria Milano, 27-29 ottobre Organizzazione: Comunica Tel. 0131 261670 info@comunicaedizioni.it www.golosaria.it
SlowFish Genova, 9-12 maggio Organizzazione: Slow Food slowfish.slowfood.it
SANA – Salone internazionale del Biologico e del Naturale Bologna, 6-9 settembre
Merano Wine Festival Merano (BZ), 8-12 novembre Organizzazione: Gourmet’s International Srl Tel. 0473 210011 info@meranowinefestival.com www.meranowinefestival.com
Le date e i luoghi delle fiere sono soggetti sempre a variazioni. Si consiglia chi è interessato a partecipare a una fiera ad accertarsi, presso gli organizzatori, del luogo e della data. Si declina pertanto ogni responsabilità per eventuali inesattezze.
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Estero SIRHA Lione (Francia), 26-30 gennaio Organizzazione: Eurexpo Tel. +33 (0)4 26204214 sirha@gl-events.com www.sirha.com Gulfood Dubai (EAU), 17-21 febbraio Organizzazione: Dubai World Trade Center Tel. +971 4 3321000 info@dwtc.com www.gulfood.com Alimentaria & Horexpo Lisbona (Portogallo), 24-26 marzo Organizzazione: Expo Consulting Srl Tel. 051 6493189 info@expoconsulting.it www.expoconsulting.eu alimentariahorexpo.fil.pt/en/
SIAL Toronto Toronto (Canada), 30 aprile-2 maggio Organizzazione: Comexposium Tel: +33 1 76771111 achats@comexposium.com www.sial-network.com
Summer Fancy Food Show New York (USA), 23-25 giugno Organizzazione: Specialty Food Association Tel. +1 646 8780301 membership@specialtyfood.com www.specialtyfood.com
IFFA Francoforte (Germania), 4-9 maggio Organizzazione: Messe Frankfurt Exhibition GmbH iffa.messefrankfurt.com PLMA International Amsterdam (Olanda), 21-22 maggio Organizzazione: Private Label Manufacturers Association Tel. +31 20 5753032 www.plmainternational.com
ANUGA Colonia (Germania), 5-9 ottobre Organizzazione: Koelnmesse Srl Tel. 02 8696131 info@koelnmesse.it www.koelnmesse.it – www.anuga.com
MEMENTO
In ricordo di Clara Nese Scaglioni
L
o scorso 25 novembre è mancata all’affetto dei suoi cari CLARA NESE SCAGLIONI. La Redazione di PREMIATA SALUMERIA ITALIANA e i collaboratori tutti si uniscono al dolore della famiglia per questa terribile perdita. La ricordiamo qui attraverso le parole dell’amica Rossana Pioli.
Queste poche righe per ricordare un’amica, collaboratrice preziosa di questa testata. Sono molto onorata di ricordarla a voi perché, come amica, sono stata testimone dell’impegno che sfoderava per preparare con dovizia di particolari gli argomenti degli articoli che avrebbe sottoposto al vostro attento e competente giudizio. Cercava di apportare valore aggiunto alle vostre conoscenze. Cercava sempre una chicca per rendere il suo articolo interessante, voleva catturare il sua lettore. La sua passione per la cucina era indiscussa. Profonda conoscitrice della storia della cucina era aperta a tutte le novità, che apprendeva frequentando anche le cucine e le lezioni di grandi chef stellati: una vera cultrice. Apprendeva sempre le nuove tecniche e le replicava per la sua famiglia, ma anche per i suoi ospiti. Il suo grande pallino era l’arte di ricevere, che applicava quotidianamente, mettendo in campo le regole della perfetta padrona di casa, in cui era già maestra. Aveva sempre un tono amichevole, sempre gentile nei modi e sempre molto attenta a non scontentare nessuno dei suoi ospiti. Il male si è presentato e l’ha rapita velocemente, non dandole il tempo di accomiatarsi da voi, ma sono certa che l’avrebbe fatto in questo numero. Sono certa che vi avrebbe salutato, come ha fatto “lucidamente” con tutti noi, perché la sua grande educazione non ammetteva eccezioni, visto che vi considerava amici. Non siamo tristi, ma ricordiamola per i valori e le conoscenze che ci ha trasmesso con la sua cristallina, sapiente, naturale semplicità. Rossana Pioli 20
Clara Nese Scaglioni si è laureata in giurisprudenza presso l’Università di Modena nel 1964, ma si è dedicata alla famiglia. Da sempre appassionata di cucina, nel 1985, quando i famosi cuochi come Gualtiero Marchesi, Angelo Paracucchi, Fulvia Sesani, Gianfranco Vissani aprirono agli allievi interessati le loro prestigiose cucine, iniziò a frequentarne i corsi ed in tanti altri in tutta Italia è stata presente come attenta allieva. Ha fondato a Modena, nel 1991, la delegazione del Club del Fornello, associazione senza scopo di lucro diffusa in oltre 50 città italiane che riunisce padrone di casa interessate alla cultura gastronomica e alla cucina del proprio territorio. Ha ottenuto il riconoscimento come Profilo Donna nel 1997. Ha vinto con la ricetta “La mia Caponata” il concorso dedicato al dott. Giorgio Fini nella sezione piatto di mezzo. Come delegata del Club del Fornello ha organizzato moltissimi corsi di cucina per le sue socie invitando chef importanti come Massimo Ferrari del ristorante Al Bersagliere di Goito, Igles Corelli e Massimo Bottura dell’Osteria Francescana di Modena, per avvicinare e comprendere le tecniche della moderna cucina destrutturata. Ha tenuto numerose lezioni di bon ton presso diverse aziende e associazioni. Nel 2011 si è aggiudicata il 1o posto per le ricette tradizionali realizzate con gli ingredienti a km 0 al concorso Delizie di Avanzi. Nel 2013 ha vinto il premio Donne del Nocino al XXXV Palio di San Valentino. Ha scritto per “Cucina Naturale” di Zanfi editori. È autrice del libro “Il quaderno di Nonna Clara. Ricette culinarie a base di Aceto Balsamico Tradizionale” e, per le edizioni Franco Cosimo Panini, dei due volumi “Cucinare con l’aceto balsamico tradizionale di Modena” e “Cucinare con il Parmigiano Reggiano”. Per più di vent’anni ha collaborato con le nostre testate Premiata Salumeria Italiana, Eurocarni e Il Pesce.
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IL FOOD IN RETE
Social di Elena
1. #cibografica Dal fascino per l’alta cucina e l’amore per il design, CATERINA PINTO e LORENZA NEGRI, titolari di Boombang Design, hanno creato “Sublime, Ricette in #CiboGrafica”, una bellissima mostra popup che ha raccontato la genesi filosofica e artistica che si nasconde dietro alla preparazione di un piatto. Un evento da cui ha preso forma la #cibografica: il ritratto illustrato delle idee che si trasformano in cibo. Ecco il loro sito web: www.boombangdesign.com. Da non perdere di vista (photo © boombangdesign.com).
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2. Salam d’Giors, in copertina e su Instagram Il suo salame è a pieno titolo il protagonista della copertina di questo numero. Premiato con la medaglia d’oro al concorso internazionale dedicato ai migliori salami, il Mondial Rabelais du Saucisson, che si è svolto in Francia lo scorso giugno, è prodotto in Piemonte da GIORGIO BERTOLI, nella sua azienda agricola di Macello (TO). Seguitelo su www.instagram.com/ isalamdgiors. Ne vale la pena (photo © instagram.com/ isalamdgiors).
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food Benedetti
3. Food stories da Berlino NORA EISERMANN e LAURA MUTHESIUS, la prima food stylist e la seconda fotografa, lavorano a Berlino e sono di ispirazione su Instagram per gli allestimenti e i loro lavori davvero molto suggestivi. Trovate i loro scatti nel loro sito web ourfoodstories. com e nella pagina Instagram www.instagram.com/_foodstories_/. Ogni foto, come vedrete, è un piccolo capolavoro (photo © instagram.com/_foodstories_/).
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4. Il Panino gourmet by ISIT e Max Mariola C’è in rete un e-book, scaricabile al link goo.gl/WJ4y1R, che raccoglie 15 panini golosi ed equilibrati dal punto di vista nutrizionale a base di salumi italiani DOP e IGP, realizzato da ISIT, l’associazione di riferimento dei Consorzi della salumeria tutelata (www.isitsalumi.it). Perché il panino? Perché, come scrive MAX MARIOLA nella prefazione dell’e-book, è “un piccolo mondo gastronomico che racchiude in sé la nobile popolarità della tradizione e la raffinata ricerca gourmet” (in foto: La Gustosa, con pane ai semi misti, Bresaola della Valtellina IGP, Valtellina Casera DOP, crauti freschi, olio evo, sale e pepe; photo © Francesco Vignali).
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Nasce l’e-commerce di Maison Bertolin: uno scrigno con tutto il meglio della Valle d’Aosta Lo Scrigno dei Sapori è il luogo goloso della famiglia Bertolin, il punto vendita di Arnad dove, da alcuni anni, è possibile trovare e degustare tutto il paniere della Valle d’Aosta. Non solo i prodotti del Salumificio Maison Bertolin (Lard d’Arnad Dop, Motzetta, Reinhold Speck, Coppa al ginepro, FranBon al Genepy e tanto altro), ma anche una grande selezione di prodotti 100% made in Valle d’Aosta. La famiglia Bertolin seleziona con cura le aziende e le prelibatezze da custodire nel proprio Scrigno. Tutta la Valle d’Aosta da portare in tavola: dai formaggi Dop, come Fontina e Fromadzo, ai vini eroici, come Fumin e Petit Rouge, passando dalle tegole dolci fino all’artigianato locale. Ora lo Scrigno dei Sapori diventa l’e-commerce di chi è innamorato della Valle d’Aosta: inizialmente sarà on-line solo una piccola selezione di golosità ma pian piano si potranno trovare tutti i prodotti presenti nel punto vendita. «Un ringraziamento particolare va a tutte le aziende che collaborano con noi e che ci permettono di promuovere la Valle d’Aosta e le sue specialità nel mondo» ci dicono i titolari di Maison Bertolin, che aggiungono: «l’e-commerce Scrigno dei Sapori segue una politica dei prezzi chiara e trasparente. Tutti i prodotti on-line possono essere acquistati allo stesso prezzo dei prodotti reperibili in negozio». >> Link: www.scrignodeisapori.it
Cioccolato di Modica: primo Igp con “passaporto digitale” È stato recentemente presentato in occasione del Sigep, il Salone Internazionale Gelateria, Pasticceria, Panificazione Artigianali e Caffè di Rimini (19-23 gennaio), il primo prodotto ad Indicazione Geografica con il “passaporto digitale”. Il progetto, avviato con il Consorzio di tutela Cioccolato di Modica Igp, è stato realizzato dal Poligrafico dello Stato con la supervisione di CSQA Certificazioni e la Fondazione Qualivita. Questa soluzione, su base volontaria, applicata sul Cioccolato di Modica Igp, è rivolta ai numerosi prodotti della filiera agroalimentare e si integra con i sistemi di identificazione e rintracciabilità previsti per le denominazioni di origine. Ha l’obiettivo di permettere ad aziende e consumatori una verifica immediata delle informazioni di filiera e dell’autenticità del prodotto, grazie anche a nuove funzioni di comunicazione. Strumenti centrali del sistema sono un contrassegno ed una APP con una soluzione tecnologica basata sulla combinazione di due elementi fondamentali: la stampa di sicurezza e le caratteristiche digitali. Il contrassegno personalizzato, realizzato con evoluti sistemi di stampa di sicurezza, è apposto su ciascuna confezione ed è collegato alla APP gratuita Trust Your Food, ideata per permettere al consumatore di accedere al passaporto digitale dei prodotti agroalimentari, verificando in modo semplice tracciabilità e genuinità del prodotto. La soluzione rappresenta un supporto ai sistemi di tracciabilità convenzionali e assicura un controllo puntuale della produzione e una comunicazione immediata ed efficace al consumatore. Inoltre, il sistema può essere integrato con soluzioni blockchain, anche di CSQA, garantendo il controllo dell’intera filiera, la qualità e la provenienza dei prodotti agroalimentari, una ottimizzazione nel sistema di gestione dei dati e assicurando la massima tutela per consumatori e produzioni agroalimentari di qualità (fonte: Fondazione Qualivita).
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foro Europeo per l’appendibilità La busta ricopre completamente il prodotto dandogli più appeal!
PESO FISSO Prodotto sottovuoto con finestra sul retro per poterlo visionare
Prodotto pastorizzato
100% CARNE ITALIANA PESO
90gr O S FIS
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AZIENDE A San Daniele del Friuli (UD)
Filiera Uno Prosciutti: la scelta della famiglia Levoni per le lunghe stagionature di Gaia Borghi
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iliera Uno è innanzitutto il nome di un progetto del Gruppo Alcar Uno di Castelnuovo Rangone (MO), realtà leader a livello nazionale nel settore della lavorazione della carne
suina di proprietà della famiglia Levoni. Filiera Uno significa gestione e controllo diretto della filiera, dall’allevamento dei suini nazionali leggeri passando per la trasformazione delle carni nei salumi della tradizione italiana, con la
garanzia di una qualità e tracciabilità controllata direttamente dalla società. Nel concetto di “filiera”, Filiera Uno Prosciutti rappresenta il settimo stabilimento di proprietà di Alcar Uno dedicato alla produzione di prosciutti crudi, in modo
La particolarità dello stabilimento Filiera Uno Prosciutti è quella di essere dedicato alle lunghe stagionature. La capacità produttiva è di 600.000 prosciutti in stagionatura.
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Filiera Uno Prosciutti è in possesso delle principali certificazioni nazionali e di quelle necessarie per l’esportazione dei prosciutti praticamente in tutto il mondo: UE, USA, Canada, Argentina, Brasile, Sudafrica, Russia, Cina, Giappone, Hong Kong e Australia
La quota produttiva destinata all’export è del 30% e il contenuto di servizio fornito da questo stabilimento è totale: prosciutti in osso, senza e affettati, oltre ad avere l’abilitazione per la produzione di prosciutto crudo bio, 100% Organic
In alto: Lorenzo Levoni e Gianpaolo Bolzonello, direttore dello stabilimento Filiera Uno Prosciutti. In basso: Leonardo Levoni con Gianpaolo Bolzonello e i giovani componenti dello staff del prosciuttificio di San Daniele.
Premiata Salumeria Italiana, 1/19
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In alto: il logo di Filiera Uno Prosciutti che richiama quello del progetto Filiera Uno, concept che guida le attività del Gruppo Alcar Uno a garanzia di un prodotto italiano allevato e lavorato secondo la tradizione. Al centro: la camera bianca. In basso: l’esterno dello stabilimento.
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specifico prosciutti a lunga stagionatura: prosciutti crudi di San Daniele DOP 18 mesi e oltre, prosciutti nazionali 16 mesi e prosciutti fuori dal circuito DOP. «Tre anni fa, nel 2015, abbiamo rilevato questo stabilimento da un concordato del Gruppo Brendolan» mi racconta LORENZO LEVONI, alla guida del Gruppo modenese insieme ai fratelli LUCA e LEONARDO dopo che il padre SANTE, fondatore di Alcar Uno e figura di spicco nel settore della salumeria, si è ritirato dall’attività. «Lo abbiamo ristrutturato completamente a livello di impiantistica, adattandolo in base a quelle che sono le nostre tecnologie ed esigenze produttive, un reparto alla volta, perché non potevamo fermare la produzione. Il reparto disosso che era già presente è stato riattivato mentre è stato aggiunto il settore dedicato specificatamente all’affettamento del prodotto. La capacità del reparto di stagionatura arriva fino a 600.000 prosciutti». Lo stabilimento, 20.000 m2 coperti, è sito a San Daniele del Friuli (UD), su di un’area di 11 ettari circa. Disposto su tre piani, occupa una cinquantina di persone tra assunzioni dirette e indirette. «Al momento dell’acquisto l’impianto era già in possesso delle principali certificazioni nazionali (IFS, BRC) e di quelle necessarie per l’esportazione dei prosciutti praticamente in tutto il mondo» continua Lorenzo. «UE, USA, Canada, Argentina, Brasile, Sudafrica, Russia, Cina, Giappone, Hong Kong e Australia. La quota produttiva destinata all’export è del 30% e il contenuto di servizio fornito da questo stabilimento è totale: prosciutti in osso, senza e affettati, oltre all’abilitazione per la produzione di prosciutto crudo biologico (100% organic)». «L’elevata qualità di prodotto si deve anche alla grande esperienza del direttore di stabilimento GIANPAOLO BOLZONELLO, che occupava questo ruolo anche nella passata gestione» aggiunge LEONARDO LEVONI. «Non abbiamo un nostro brand ma come Alcar Uno ci siamo focalizzati da sempre sul servizio dell’industria italiana e straniera e anche delle catene distributive con le private label» puntualizza Lorenzo. «Il concetto che portiamo avanti oggi come azienda è appunto quello di “filiera”: ciò significa che tutti i prosciutti sono realizzati dalle cosce di animali che alleviamo nelle
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L’accurata selezione e il rifilo delle cosce. aziende del Gruppo o che provengono da allevamenti controllati direttamente da noi, questo a favore di una tracciabilità e di una sicurezza totale per la nostra clientela. Per offrire prodotti adeguati alla crescente consapevolezza e attenzione dei consumatori in tema di benessere animale, inoltre, abbiamo creato il
progetto Wellbeing secondo il quale il nostro impegno inizia dalla selezione delle materie prime certificate e prosegue con investimenti consistenti fatti negli impianti di sezionamento e stagionatura del Gruppo per adeguarci ai restrittivi standard in campo bio e dell’animal welfare». Impegno da cui derivano prestigiose certificazioni e
la produzione di prosciutti crudi Bio/ Organic, prosciutti crudi ABF (Antibiotic Free), da allevamenti in cui gli animali crescono senza l’ausilio di antibiotici fin dalla nascita, prosciutti crudi AW (Animal Welfare), da allevamenti impegnati nel rispetto del benessere animale, e ABF&AW. Gaia Borghi
Alcar Uno, l’arte di lavorare la carne suina: prodotti personalizzati al fine di soddisfare le singole esigenze Alcar Uno nasce alla fine anni ‘50 nel cuore dell’Emilia-Romagna dove l’arte di fare salumi ha radici millenarie e la lavorazione delle carni suine assume un ruolo centrale, un valore che si tramanda di padre in figlio. Il suo fondatore, Sante Levoni, con la collaborazione dei figli, ha guidato la società fino alla sua affermazione tra i più grandi gruppi alimentari italiani, con una capacità di 300.000.000 kg di carne fresca lavorata in un anno. L’attività principale dell’azienda è la lavorazione dei quartini posteriori (15.000.000 all’anno), provenienti da macelli selezionati. Grazie ad una struttura flessibile, il Gruppo risponde alle esigenze delle industrie salumiere offrendo una vera e propria personalizzazione sartoriale dei tagli. La Divisione stagionati è specializzata nella stagionatura e nel disosso di prosciutti crudi, prosciutti di Parma e di San Daniele Dop e speck non affumicati. Stabilimenti produttivi innovativi e rispetto del sapere tradizionale sono garanzia di qualità e pregio del prodotto. >> Link: www.alcaruno.it
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Visita all’azienda romagnola Melandri Gaudenzio
Da Bagnacavallo cereali, legumi e zuppe 4.0 di Riccardo Lagorio
S
enza cadere nell’esasperazione del vegetarismo, i legumi e i cereali sono elemento fondante dell’alimentazione umana e rappresentano un utile mezzo per diversificare la propria dieta. «Solo 15 anni fa il mercato dei legumi secchi stava per scomparire, danneggiato dall’avanzata di Tetrapak e dei surgelati. Poi due azioni congiunte ne hanno ribaltato le sorti: la campagna negativa orchestrata contro la carne e l’apparizione della cosiddetta cucina salutistica» spiega ROBERTA COLLA MELANDRI, da 22 anni alla guida dell’azienda di famiglia, che commercializza legumi e cereali
essiccati. Benché il balzo verso nuove e più insigni orbite sia avvenuto ancor più di recente «con l’arrivo in cucina di semi oleosi, magari per la produzione di pane, e i prodotti da coltivazione biologica» continua. Un mercato che non ha conosciuto crisi nell’ultimo decennio. Il nonno, GAUDENZIO, aveva fondato nel 1947 l’attività a Bagnacavallo: tempi in cui «esisteva la territorialità per le lenticchie e per gli tanti altri prodotti. Il nonno era un mago negli acquisti e riusciva a interpretare il mercato». Ora la spesa si è globalizzata: «il fagiolo cannellino può essere acquistato in Argentina o
in Egitto, il maggior cliente al mondo è l’Algeria che influisce sul prezzo». Il mondo diventa villaggio, insomma. Con il beneficio che la globalizzazione mondiale dei mercati ha permesso di ottenere prodotti da poco raccolti in ogni periodo dell’anno. «La raccolta dei ceci avviene a marzo e aprile in Messico, ma bisogna attendere sino a luglio quelli italiani, che arrivano insieme ai cannellini argentini. E fare un buon acquisto rimane la regola principale di questo lavoro». In questo Roberta Colla Melandri ha saputo adeguarsi in breve tempo prendendo in mano le redini affidatele
La Melandri Gaudenzio, nata nel 1947 nel cuore della Romagna, ha come attività principale l’importazione, la selezione, il confezionamento e la commercializzazione di legumi, cereali, zuppe e semi oleosi ottenuti da agricoltura convenzionale e bio.
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Prosciuttificio IL CONTE S.r.l. Via Sant’Ambrogio, 4 – Fraz. Bazzano 43024 Neviano degli Arduini (PR)
In alto: il nuovo stabilimento Melandri Gaudenzio a Bagnacavallo. In basso: Roberta Colla Melandri e il sindaco di Bagnacavallo Eleonora Proni (photo © Naphtalina). dal nonno e aggiornando i metodi di ricerca, selezione e trasformazione delle materie prime. Così alle 20 referenze di fagioli se ne aggiungono altrettante di cicerchie, fave, lupini, ceci. Si combinano tra loro e nasce una sorprendete quantità di zuppe di legumi, legumi e cereali, con riso o farro od orzo. Un’interminabile sequenza di confezioni che sono una «bomba di proteine, valida alternativa alle più costose proteine di origine animale, prive di grassi e ricche di fibra, ideali per la dieta ipocalorica contemporanea» chiarisce la giovane imprenditrice. La nuova realtà produttiva, inaugurata a settembre 2018 appena fuori Bagnacavallo, consente a Melandri di dotarsi peraltro di una struttura innovativa ad alta efficienza energetica dal minimo impatto ambientale e racchiude al suo interno tutte le componenti operative: dagli uffici al punto vendita, da un’avanzata area dedicata alla
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Ricerca & Sviluppo, alla produzione caratterizzata da impianti e tecnologie innovative, robotizzate, digitalizzate e interconnesse, in linea con le logiche e gli standard dell’Industria 4.0. Per esempio qui arrivano legumi e cereali da tutto il mondo, con ottimo grado di lavorazione. Tuttavia, il contenuto dei sacchi viene controllato con cura prima di essere messo nel circuito produttivo. Per mezzo di apposite cappe aspiratrici si estrae l’eventuale pulviscolo mentre metal detector e macchinari a raggi X individuano e separano piccole parti di metallo, legno o plastica. Vengono identificate mediante l’assegnazione di un lotto che le accompagna durante tutto il processo produttivo e campionate per essere sottoposte ad analisi e controlli secondo i piani previsti da procedure interne. «L’automatizzazione di certe azioni, come la movimentazione dei sacchi da 25 kg, non ha significato sostituire
il personale, ma offrire un concreto aiuto a chi lavora» chiarisce meglio Roberta Colla Melandri. Con orgoglio racconta che «Il turnover è bassissimo e i dipendenti vengono al lavoro in bicicletta». Grazie ad un’indovinata operazione di mercato, l’imballo riveste inoltre il ruolo di informatore per il cliente, a differenza di molte aziende concorrenti che usano ancora la confezione “a cuscino”. Le linee di confezionamento permettono di realizzare diversi formati di imballi: tradizionali, sottovuoto o in atmosfera protettiva, a garanzia della migliore conservazione dei prodotti e inibendo qualsiasi tipo di alterazione. L’organizzazione logistica è in grado di soddisfare le esigenze dei clienti in ogni periodo dell’anno con consegne precise e puntuali. Infine, per garantire una migliore conservazione, tutte le materie prime, semilavorati e prodotti finiti sono stoccati esclusivamente all’interno di magazzini refrigerati fino al momento in cui vengono consegnati al cliente. «La richiesta del mercato ci ha spinto a proporre anche la versione bio accanto ai prodotti convenzionali: fagioli borlotti, neri, azuki, lenticchie rosse e nere ideali per zuppe, contorni, insalate. E farro, orzo, avena, sorgo e miglio tra i cereali, perfetti per primi piatti, insalate e dolci alternativi al riso». Le tendenze attuali della nutrizione salutistica insieme all’interesse per i cibi “esotici” hanno tracciato un mercato annunciato ai semi oleosi. Se ne possono usare come accompagnamento a verdure fresche e cotte, salse, zuppe, dolci, macedonie, pane, impanature e aperitivi. Ai semi di lino da aggiungere a yogurt e frutta o nell’impasto del pane, fanno da sponda i semi di chia ottimi in aggiunta all’acqua di rose o alle tisane, o i semi di girasole e di zucca come snack veloci e nutrienti. Questi i più noti, che non hanno lasciato indifferente neppure la Grande Distribuzione Organizzata. Riccardo Lagorio Melandri Gaudenzio Srl Via Boncellino 120 48012 Bagnacavallo (RA) Telefono: 0545 61278 E-mail: info@melandrigaudenzio.com Web: melandrigaudenzio.com
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Citterio presenta la nuova gamma de “Gli irresistibili” che si conserva fuori dal frigo Citterio, storica azienda di salumeria italiana d’eccellenza, lancia i suoi snack “on the go”, capaci di conservarsi fuori dal frigorifero. I nuovi prodotti fanno parte della linea “Gli Irresistibili” e sono perfetti da consumare in qualunque momento della giornata in modo facile e veloce. Diverse le proposte disponibili sia nella classica vaschetta che nella nuova confezione flowpack. “Gli Irresistibili” sono prodotti con carne 100% italiana, senza glutine e senza lattosio. Bastoncini di salame nella versione sia classica sia piccante, salamini e fettine di salame, si presentano in vaschette perfette per un rapido “spuntino”, a casa o in ufficio, con una grafica rinnovata e colorata. La linea “Snack”, invece, vede l’utilizzo di un nuovo e moderno sacchetto di carta con la combinazione di bastoncini di salame o salamini e grissini. Anche questi ultimi si conservano fuori dal frigo. «Sappiamo che il consumo degli snack sta vivendo una profonda evoluzione — dicono dall’azienda — e, secondo gli ultimi trend alimentari, questi devono non solo soddisfare il palato, ma devono anche essere facili da trasportare e condividere». “Gli Irresistibili” bastoncini di salame classici hanno un costo di € 1,79, i salamini € 1,89, il salame a fettine € 1,59 e i bastoncini di salame piccante € 1,79. Mentre le versioni “Gli Irresistibili” Snack in Flow Pack hanno un prezzo consigliato al pubblico di € 1,29. >> Link: www.citterio.com
ITALIANI BRAVA GENTE
Terún, orgoglio del Sud a Palo Alto di Elena Benedetti
“O
gnuno ha quel che si merita” recita un comune proverbio e a noi Italiani, in patria, tocca tollerare (anche se a fatica) le copertine di LIBERO, il quotidiano diretto da VITTORIO FELTRI e PIETRO SENALDI, che nelle ultime settimane ha davvero toccato il fondo per il razzismo e sessismo manifestato. Fortunatamente, poi, la realtà vince sull’ottusità e l’ignoranza e c’è chi con ironia sui “terroni” ha costruito una bella storia di business. Ne sanno qualcosa due fratelli di Scalea (CS), FRANCO E MAICO CAMPILONGO, che dalla Calabria sono partiti alla volta della California per lavorare e inseguire il loro sogno insieme al socio tarantino KRISTIYAN D’ANGELO. Un sogno che ha aperto i battenti nel febbraio del 2013 a Palo Alto, nel cuore della Silicon Valley a sud di San Francisco, con Terún, un locale che parla tutto italiano
e che in poco tempo è diventato un punto di riferimento per imprenditori hi-tech, tra cui MARK ZUCKERBERG e TIM COOK, professori e studenti della vicina Stanford University, ingegneri e tech kids che lavorano in zona, oltre a tutta la comunità italiana della Valley che qui ritrova un po’ di calore tra pizze cotte nel forno a legna, piatti della tradizione italiana e una bella carta di vini. «Abbiamo giocato sullo stereotipo della parola terrone-terùn e ci abbiamo costruito sopra la nostra storia, fatta di straordinarie tradizioni gastronomiche del Sud Italia unite alla professionalità che negli anni abbiamo maturato, prima con gli studi in economia e ingegneria e poi con l’esperienza nel campo della ristorazione» mi racconta Maico davanti ad una commovente pizza con prosciutto crudo di San Daniele e scaglie di Grana Padano che mi fa sentire a casa.
I soci fondatori di Terún, Maico Campilongo, Kristiyan D’Angelo e Franco Campilongo.
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È difficile reperire le materie prime per la vostra cucina? «No, riusciamo facilmente a trovare ottimi prodotti e, grazie ad eventi come il Winter e Summer Fancy Food Show e i recenti congressi oltre Oceano di Identità Golose, abbiamo attivato canali di importazione di paste secche, Felicetti e Rustichella d’Abruzzo, e salumi favolosi, tra cui Rovagnati e Levoni». In cucina c’è il socio Kristiyan che dirige la brigata e definisce la carta menù. Italico Appassionati di bicicletta, i fratelli Campilongo e Kristiyan D’Angelo, tra il lavoro al ristorante e gli allenamenti su e giù per i dislivelli del Palo Alto Foothills Park, hanno continuato a macinare idee, oltre che chilometri, e nel 2018 hanno aperto un secondo locale, Italico, a pochi passi da Terún. «Qui stiamo lavorando ad un progetto incentrato sulla pizza gourmet, che ci consentirà di sviluppare un discorso più ampio sugli ingredienti del nostro straordinario made in Italy». La California è parecchio lontana dall’Italia, non solo per la dozzina di ore di volo e le 9 di fuso orario che ci separano. Qui lo stile di vita è profondamente diverso dal nostro, dettato da una società profondamente multietnica e multiculturale, sicuramente più competitiva, nella quale il lavoro e la professionalità sono driver capaci di costruire business importanti, anche in tempi rapidi. E allora non ci resta che viaggiare, per aprire la testa, tenerci alla larga dalla volgare ottusità e conoscere belle persone come questi tre terún di Palo Alto! Terún 448 California Avenue Palo Alto (USA) Web: www.terunpizza.com www.facebook.com/terunpizza
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1) Maico e Franco all’esterno di Terún (photo © Nadia Andreini). 2) Le pizze sono cotte nel forno a legna e condite con pomodoro San Marzano, mozzarella fior di latte, burrata, salumi calabresi, prosciutto di San Daniele e prodotti freschi di stagione. 3) Uno scatto all’interno di Terún Palo Alto (photo © Nadia Andreini). 4) L’ingresso di Italico, sempre a Palo Alto (photo © Nadia Andreini). 5) Kristiyan D’Angelo a Italico, il wine bar e ristorante specializzato in pizza gourmet (photo © Nadia Andreini)
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Tante storie, una sola Favola.
www.mortadellafavola.it
Delicata. Digeribile. Naturale. Da piĂš di 20 anni i salumieri e gli chef che vogliono conquistare i loro clienti con un prodotto di assoluta eccellenza sanno di poter contare sulla nostra “Favolaâ€?: la buona mortadella artigianale che tutti riconoscono prima dalla cotenna naturale legata a mano e poi dal gusto incredibilmente delicato. Ogni Favola è unica col suo timbro a fuoco: inimitabile fuori e inconfondibile dentro.
EVENTI
Primo concorso nazionale di taglio del prosciutto crudo a coltello di Raffaele Bertolini
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omenica 18 novembre si è svolto a Roma, al Salone delle Fontane, il Primo concorso nazionale di taglio del prosciutto crudo a coltello. Fortemente voluto da MIRKO GIANNELLA, tagliatore romano di giovane età, capace e ambizioso, e dotato di spirito avveniristico, è stato ospitato dalla kermesse enogastronomica Il Simposio, figlia dei fratelli DE VENTURA, conosciuti a Roma e non solo per la loro approfondita conoscenza del settore. È il primo concorso in Italia ad avere un certo crisma scientifico, ovvero
organizzato nel dettaglio, prendendo largo spunto dai nostri colleghi e maestri tagliatori spagnoli, studiando il metodo e i contenuti del concorso stesso. Partendo da un questionario di conoscenza generale del settore norcino, con la volontà di fare una prima scrematura tra gli oltre 30 partecipanti, il concorso si è poi sviluppato nella più interessante parte pratica, ossia nel taglio a coltello di un prosciutto italiano, il San Daniele, gentilmente offerto dalla ditta Dall’Ava, e di un jamón iberico offerto dalla ditta Torreon.
Il concorso risulta interessante non solo per il suo esito finale, ossia l’elezione del migliore tagliatore iscritto (primo classificato SIMONE PONZIANI, secondo classificato MATIAS SANCHEZ, terzo classificato D ANIELE P ACIOTTI ), quanto piuttosto per verificare lo stato dell’arte di questa professione in Italia. Da un lato sono rimasto positivamente sorpreso dall’elevato numero di iscritti e, soprattutto, dalla giovane età di buona parte di questi; dall’altro, a volte sbigottito dal constatare quanto ancora questa tecnica, nel nostro
Il primo concorso nazionale per tagliatori di prosciutto a coltello si è svolto a Roma lo scorso 18 novembre, ospitato dalla kermesse gastronomica Il Simposio.
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Tradizione e genuinità dal 1910
Prosciutto di Modena Dop un capolavoro del gusto italiano
Prosciuttificio Nini Gianfranco Srl Via Sicilia, 61 - 41056 Savignano sul Panaro (MO), Italy - Tel.: 059 730103 - Fax: 059 731599 E-mail: info@prosciuttificionini.it - Web: www.prosciuttificionini.it
I partecipanti al concorso si sono confrontati col taglio a coltello di un prosciutto italiano, il San Daniele, offerto dalla ditta Dall’Ava, e di un jamón iberico offerto dalla ditta Torreon.
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paese, sia impantanata nel folclore. E non mi riferisco tanto alla mancanza di capacità pratica quanto piuttosto al modo di approcciarsi a questa tecnica, che se portata ai massimi livelli si può definire arte. Si sa che il sapersi arrangiare è un’arte italiana riconosciuta in tutto il mondo, ma in qualità di tagliatore e membro di giuria mi sento di poter dire che un’insipienza esibita e non stigmatizzata nuoce alla serietà professionale. Io mi sono formato alla scuola spagnola, come pochi altri tagliatori meritevoli presenti nel nostro paese. Non esiste al momento una scuola italiana di taglio riconosciuta. Esistono pochissimi tagliatori che organizzano corsi in autonomia. Non esiste un metodo italiano di affettare il prosciutto a coltello. Esiste una scuola professionalizzante spagnola, riconosciuta in tutto il mondo, grazie a professionisti che hanno creduto fortemente in questa tecnica, portandola ai massimi livelli, coinvolgendo i vari attori del settore, dai produttori di prosciutto, ai consorzi, ai produttori degli strumenti di taglio, alle municipalità che patrocinano i concorsi di taglio, ai mass media (TV e stampa) creando un sistema che produce formazione, marketing, ricchezza, turismo. Chi sostiene che esiste un modo spagnolo e uno italiano di affettare sbaglia. Esiste semplicemente una tecnica corretta e una non corretta. Quella corretta permette di ottenere il massimo rendimento da un prosciutto, di ottenere fette omogenee per quantità di grasso e magro, permette di creare piatti coreografici di assoluta bellezza che sottolineano l’estro del tagliatore ma soprattutto le caratteristiche sensoriali del prosciutto. Quella non corretta è un insulto al prodotto, al produttore e al cliente.
Foto finale con l’attestato di partecipazione. Al concorso ho visto giovani tagliatori dipendenti o titolari di bottega dare il meglio di sé con umiltà, ma ho visto anche tagliatori più anziani fieramente brandire coltellacci con i quali hanno massacrato il prosciutto. Ritengo che un tagliatore, così come ogni professionista, debba primariamente amare il proprio lavoro e, nello specifico, il prodotto su cui opera. L’amore deriva dal rispetto. Non occorre essere vegetariani o vegani per rispettare un animale. Non sono vegetariano, tanto meno vegano, ma il maiale è mia fonte di sostentamento economico e fonte di riconoscimento professionale. Quando mi approccio a un prosciutto lo faccio nel massimo rispetto. Io e qualche altro italiano appassionato di taglio a coltello, che ha imparato la tecnica in Spagna e sta contribuendo a farla conoscere in Italia, ci stiamo prodigando da anni portando in giro per l’Italia (e anche fuori) il nostro saper fare, utilizzando prosciutti di maiale bianco e maiale nero italiano e spagnolo.
Non esiste un modo spagnolo e uno italiano di affettare: esiste semplicemente una tecnica corretta e una non corretta. Quella corretta permette di ottenere il massimo rendimento da un prosciutto, con fette omogenee per quantità di grasso e magro, l’altra è un insulto al prodotto, al produttore e al cliente
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La congiuntura economica non è la migliore per aspettarsi successo immediato ma stiamo lavorando perché questa tecnica, questa professione, raggiunga un riconoscimento prima di tutto dagli stessi attori primari, vale a dire dalle aziende produttrici, e si estenda sino al cliente finale. Anni fa, quando cominciai a proporre il taglio a coltello alle varie aziende italiane, mi sentivo rispondere dai vari responsabili marketing che il prosciutto la loro clientela lo preferiva sottile, senza neanche darmi la possibilità di spiegare che anche a coltello era possibile tagliarlo sottile. Occorre semplicemente essere un professionista. Mancava la cultura del taglio professionale. Mancavano i tagliatori professionali. Così come è accaduto a me, oggi accade a qualche altro talentuoso di perseverare con l’offerta di questo servizio e mi accorgo che le aziende più propense ad utilizzare questa sapienza sono nel Centro-Sud Italia, sono per lo più produttori di prosciutti di maiale nero, con una clientela attenta al gusto, che non disdegna il grasso, una clientela che, seppur nell’ignoranza teorica, ha una tendenza naturale verso il buono. Grazie a questo primo concorso si getta luce su una professionalità che sgomita per uscire dall’ombra e che abbisogna di ancor più luce per ottenere il riconoscimento che merita. In attesa della seconda edizione del concorso, posso nel frattempo annunciare che novità importanti sono in arrivo in corso d’anno. Raffaele Bertolini
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La Maialata: tutto il buono delle tradizioni
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scriversi in palestra, meditare 15 minuti al giorno, mangiare più frutta e verdura, risparmiare, smettere di procrastinare e non arrabbiarsi mentre si è alla guida… Il 2019 è appena iniziato e voi avrete sicuramente già segnato sulle vostre agende nuove di zecca tutti i buoni propositi da mettere in pratica nell’anno nuovo vero? Ma per iniziare l’anno “come si deve” non si può certo perdersi la Maialata, la tradizionale festa che in passato accompagnava l’uccisione
del maiale nei mesi più freddi e durante la quale si preparavano i salumi da consumare nel resto dell’anno. A perpetuare questo rito ancestrale a base di salsicce fresche alla griglia e paioli fumanti in cui soffriggono i ciccioli ci pensano GUIDO e AMEDEO MONGIORGI, padre e figlio, punto di riferimento per carnivori e golosi della zona dei colli bolognesi con la loro Bottega del Macellaio di Savigno (labottegadelmacellaio.com). Martedì 15 gennaio, presso l’Agriturismo Mastrosasso, sempre a
Savigno, già alle 8:00 del mattino era tutto pronto per la lavorazione della carne di quattro maiali da cui hanno preso vita salsicce, costine, ciccioli e coppa di testa, pancette, il coppone, i fegatelli e ben 280 chili di salami! Le offerte dei partecipanti all’evento sono state raccolte a fine giornata e andranno a sostegno di ASEOP, associazione di volontariato che sostiene la ricerca e la cura per patologie oncoematologiche in età pediatrica. Perché le buone tradizioni fanno anche bene.
Amedeo e Guido Mongiorgi con alcuni partecipanti alla Maialata 2019. L’evento si è svolto a Savigno lo scorso 15 gennaio presso l’Agriturismo Mastrosasso.
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Fegatelli e salsicce sulla griglia, ciccioli e coppa di testa freschissimi: la Maialata è una tradizione contadina che si ripete ogni anno a gennaio, il mese in cui si celebra Sant’Antonio Abate, e ci ricorda che “del maiale non si butta via niente”.
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PRODOTTI TIPICI
Torresano, tradizione salumiera veneta di Gaia Borghi
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alame, sopressa, pancetta, coppa, cotechino, bondiola, lingual: il Veneto, come tante altre regioni del Settentrione italiano, vanta una lunga tradizione nella produzione dei salumi, profondamente radicata nelle sue comunità e legata alle tante eccellenze della sua agricoltura, molte delle quali riconosciute e tutelate anche a livello europeo attraverso le Indicazioni geografiche. Qualche esempio in campo salumiero? Il delicato Prosciutto Veneto Berico Euganeo e la Sopressa vicentina DOP, grosso e morbido salame dalla forma
arcuata preparata con le parti “nobili” del maiale, da mangiare fresca o passata in padella insieme a della buona polenta. A Torre di Mosto, graziosa cittadina affacciata sul fiume Livenza in provincia di Venezia, a pochi chilometri dall’affascinante laguna di Caorle, le tradizioni salumiere locali sono custodite gelosamente dal Salumificio Torresano, fondato dai fratelli RINO e ANGELO ROBERTO PANTAROTTO. Abbiamo chiesto a LUCA PANTAROTTO, responsabile commerciale dell’azienda di famiglia, di raccontarci qualcosa di questa bella realtà artigianale.
Come nasce la vostra azienda? «Il Salumificio Torresano nasce per sostenere la realtà artigianale della produzione salumiera locale: produciamo infatti salumi e insaccati — oltre allo spaccio e alla vendita all’ingrosso di carni fresche — lavorati e stagionati secondo le usanze storiche della nostra regione. Qualità del prodotto e grande attenzione alle esigenze del cliente rappresentano gli aspetti prioritari della nostra produzione: le carni utilizzate provengono da allevamenti che selezioniamo dopo aver valutato attentamente l’alimentazione
Sopresse. La legatura dei salumi è una vera e propria arte al Salumificio Torresano, un procedimento fondamentale: l’intreccio di spago compiuto da mani esperte ne permette infatti la corretta maturazione preparandoli all’importante fase della stagionatura.
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Obiettivo del Salumificio Torresano è di restituire ai consumatori i sapori di una volta attraverso una produzione artigianale potenziata da macchinari tecnologicamente avanzati e la crescita degli animali. Genuinità delle carni, lavorazione tipica e costo contenuto: queste sono le caratteristiche che distinguono le nostre produzioni. Il nostro obiettivo è quello di restituire ai consumatori i sapori di una volta, attraverso una produzione artigianale potenziata da macchinari ad alta tecnologia che sostengono la grossa produzione». Chi è il cliente del Salumificio Torresano? «La distribuzione dei nostri prodotti avviene secondo la modalità della vendita diretta (spaccio) e all’ingrosso. La clientela a cui ci indirizziamo spazia dunque dal singolo al gruppo familiare che consuma o è abituato a consumare periodicamente il genere insaccato: rientra nelle abitudini alimentari della zona e trova un consumo differenziato delle tipologie di prodotto a seconda del periodo dell’anno. L’obiettivo della nostra impresa oggi è quello di andare oltre la domanda locale, per arrivare a rifornire la grossa distribuzione (ristorazione, supermercati, punti vendita): l’aumento produttivo non andrà però a discapito del livello qualitativo del prodotto, che resta il punto di forza della produzione artigianale da noi proposta».
Zamponi. C’è quindi la volontà di ingrandirsi. Puntate all’estero? «Esatto. Inoltre, la strada che vogliamo intraprendere nel prossimo futuro è quella del biologico, un segmento in netta crescita anche nel settore dei
salumi. Infine, stiamo cercando di produrre insaccati con le carni di suini appartenenti a razze autoctone per garantire al cliente prodotti a km 0, che garantiscano ancora maggiore qualità e rispetto degli animali».
«Il cotechino al radicchio è un prodotto tipico del periodo invernale, soprattutto quello natalizio» mi racconta Luca Pantarotto. «Si parte dalla scelta delle carni, che vengono pesate e macinate. Gli ingredienti sono i seguenti: carne suina, sale, pepe, spezie e aromi e il protagonista di questo insaccato, il radicchio. Prediligiamo il radicchio originario di Chioggia, nel Veneziano, che viene impastato insieme alla carne, poi si procede all’insacco e alla legatura. Perché proprio quello di Chioggia? Perché ha la foglia larga, è di un rosso vivace ed è amabile al palato».
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A sinistra: guanciali in stagionatura. A destra: sopresse. Quali sono le vostre specialità? «Le nostre specialità sono il cotechino, in particolare quello col radicchio e quello con la lingua (el lingual), la salsiccia col radicchio, la sopressa, anche nella versione col filetto, la pancetta, anche quella col filone, il filone stagionato, la pancetta arrotolata, il lardo
aromatizzato, il guanciale stagionato e lo zampone. Di salami ne produciamo di diversi tipi: con e senza aglio, con cervo stagionato o con cinghiale stagionato,il salame tipo Milano, l’ungherese». Un’azienda solida che guarda ad un futuro di crescita. La vostra filosofia?
«Crescere sperimentando, senza dimenticare i sapori di una volta». Gaia Borghi Salumificio Torresano Via Triestina 3 – 30020 Torre di Mosto (VE) FB: www.facebook.com/Torresano-308446719943527
El lingual, il cotechino contro le malelingue Il lingual o linguale (el lingual) è una variante del tradizionale cotechino suino che nasce con l’intento di utilizzare anche la lingua del maiale. La sua diffusione risale all’epoca della Serenissima Repubblica di Venezia ed era consuetudine consumarlo per la cena nel giorno dell’Ascensione (Assènza), in occasione dell’arrivo dei nobili veneziani che, dopo aver concluso la Festa dello Sposalizio del Mare, si recavano in villeggiatura nell’entroterra. Anche le famiglie meno abbienti però lo preparavano e lo degustavano in occasione della festa: particolari credenze religioso-popolari ne legavano infatti il consumo alla possibilità di macellare un altro maiale entro l’anno (prosperità), di preservare dal morso di bisce (bìsse) e di esorcizzare le malelingue. Lo si definisce “salume di frontiera”, in quanto è presente sia in Veneto che in Friuli Venezia Giulia. La formulazione tradizionale dell’impasto prevede l’uso di carni magre della testa e del guanciale debitamente saporite, macinate e poi incorporate nel budello bovino. Al centro si posiziona la lingua del maiale scottata e insaporita a parte. Così ottenuto il lingual va incontro ad un processo di maturazione per un periodo minimo di tre settimane. Oltre al Salumificio Torresano, anche presso la Macelleria Salumificio Mio di Pravisdomini (PN) è reperibile il lingual. Per la sua cottura il titolare, Billy Mio, ci consiglia di immergere il lingual in acqua fredda, portare ad ebollizione senza aggiungere sale e aromi, abbassare poi la fiamma e far cuocere per circa 3 ore (il tempo di cottura si intende per un prodotto di circa 850 grammi). Al termine della cottura si elimina il budello e lo si taglia a fette. La tradizione vuole che ad accompagnare il lingual ci siano purè, polenta e cren e vini del territorio come Refosco e Cabernet Franc, ma si abbina benissimo anche con la birra.
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Salumi¿cio Ferrari Erio & C. S.p.a. – Via Canaletto Nord, 565/A – 41122 MODENA – ITALY Tel. +39 059 310015 – Fax +39 059 450251 – E-mail: info@salumiferrari.it
Salumi selvaggi Conservare la carne è una tecnica antichissima, iniziata con quella degli animali selvatici, dai quali ancora oggi ricaviamo ottimi salumi di Giovanni Ballarini
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elvaggina” sono gli animali selvatici, volatili e terrestri, che la nostra specie ha da sempre cacciato per procurarsi l’ambita carne, considerato un bene prezioso. Preistorica è la lavorazione delle carni degli animali cacciati, come antiche sono le tecniche inventate per la loro conservazione. Se
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nei paesi caldi prevale l’essiccazione, in quelli freddi è preponderante l’affumicamento, mentre diffusa un po’ ovunque è la tecnica della salagione con sale marino, di affioramento o miniera, associato anche a salnitro o spezie. Tra le carni conservate i salumi hanno un posto di rilievo, traendo la loro denominazione dal sale, il più diffuso
e principale agente di conservazione. La conservazione dei pezzi interi, come la coscia o la spalla degli animali di grande o media taglia, avviene con la salatura a secco, per immersione in salamoia o per iniezione della soluzione salina. La salatura a secco è il processo tradizionale e il più indicato per uno standard qualitativo elevato.
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Salumi di carne selvatica Oggi i salumi hanno origine dalla carne di diversi animali di allevamento. Il maiale è certamente il più usato nella produzione dei salumi e a questo fine sono utilizzate parti intere (cosce, spalle, coppe), oppure carni tritate insaccate crude (salami e salsiccia) o cotte (mortadella, zampone, cotechino). Anche le
A sinistra: salume di cervo (photo © Olesia Berlezova). In alto: salame di cinghiale (photo © www.enjoeat.eu).
Salumi di selvaggina • • • •
Salumi di alce: prosciutto. Salumi di camoscio: mocetta, salame, violino. Salumi di capriolo: mocetta, salame, violino. Salumi di cervo: mocetta, Hirschwurst (salsiccia affumicata), salame, salsiccia, prosciutto. • Salumi di daino: salsiccia, cacciatorini, filetto, prosciutto. • Salumi di cinghiale: salame, salamini, salsiccia, schiacciata, prosciutto. • Zebù: bresaola, violino.
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Salami di cervo e camoscio. Questi salumi ottenuti da animali selvatici rappresentano un importante patrimonio culturale, gastronomico ed economico per l’Italia (photo © Marion Lafogler). carni di altri animali sono usate nella produzione di salumi, mammiferi e uccelli. Tra i primi vi sono i bovini, la pecora, la capra, il cavallo e l’asino, le cui carni sono trasformate in diversi tipi di salumi (bresaole, salami, mocette e violini, carni salate, ecc…). Tra gli uccelli con carni e grasso trasformati in salumi un ruolo importate ha l’oca (prosciutto, salame, grasso e ciccioli). Da ricordare anche i salumi di pesce, presenti anche in Italia, come la ficazza di tonno siciliana, il musciame e i salami di trota trentini e piemontesi. Oltre alla grande e preponderante varietà dei salumi di animali domestici permangono i salumi ottenuti dagli animali selvatici, ruminanti e non, che rappresentano un’importante patrimonio culturale, gastronomico ed economico nostrano. Gli animali selvatici di produzione italiana dai quali si ricavano salumi sono camoscio, capriolo, cervo, daino e soprattutto cinghiale, ma non sono da dimenticare i salumi che si ricavano dall’alce, dalla renna e dallo zebù. Le carni di animali selvatici hanno valori nutrizionali molto diversi e non si può confrontare un’oca selvatica migratrice con un fagiano stanziale, anche se vi è una certa correlazione con i corrispondenti animali domestici
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(cinghiale — maiale; cervo e capriolo — bovini domestici; oca e anitra selvatica — oca e anitra domestica), ma con molta cautela, come dimostrano le grandi differenze che si sono create tra cinghiale e maiale domestico. Importante è ricordare che gli animali selvatici hanno un muscolo di solito molto magro. Inoltre, le condizioni di vita, cattura e abbattimento non controllate devono indurre a lavorare le carni di animali selvatici secondo la metodologia tradizionale e, per quanto riguarda i salumi, dopo un adeguato periodo di stagionatura, per evitare taluni rischi sanitari che devono essere evitati (ad esempio, le salsicce devono venire cotte al fine di inattivare pericolosi parassiti, come i toxoplasmi). Il prosciutto di cinghiale Il prosciutto di cinghiale toscano, secondo EMANUELE CUGOLA (EUROCARNI n. 5/2009), fin dal Medioevo è il protagonista indiscusso dei salumi ottenuti dalle carni di animali selvatici e ancora oggi è prodotto ai bordi della Maremma toscana, nelle province di Siena e Grosseto, da norcini dediti alla realizzazione di specialità a base di cinghiale. Nei cascinali e con il favore delle temperature autunnali il
rito di morte della caccia ancora oggi si trasforma in una resurrezione di prosciutti, pancette tartufate, speziate o affumicate, salami lunghi o ricurvi, soppressate, porchette e coppe. La selezione al ricevimento della materia prima è importantissima e la carne deve essere soda e ben riposata. Ogni coscia è controllata nel peso, colorazione, spessore e consistenza del grasso superficiale e lavorata in ambiente a temperatura e umidità controllata (massimo +6 °C). La ricetta della concia per la salatura è semplice: sale marino grosso, pepe tagliato in quarti, qualche spezia che ben si sposa con il profumo della carne di cinghiale, escludendo coloranti o aromatizzanti artificiali e certamente gli alteranti biologici (starter). Ciascuna coscia è salata e massaggiata a mano in modo da dosare esattamente l’aggiunta degli ingredienti della concia e rimane in salamoia per tanti giorni quanti sono i chili del proprio peso, generalmente da 4 a 6. Segue la docciatura, rigorosamente a freddo, per rimuovere i residui in eccesso di sale e ottenere un prodotto equilibrato per struttura e fragranza, mai troppo salato o troppo asciutto in superficie. Il sottile grasso di copertura, che contraddistingue i prosciutti di cinghiale, richiede
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meno sale di una coscia suina poiché, data la magrezza della carne, il sale penetra facilmente in maniera omogenea. I prosciutti hanno una stagionatura mediamente lunga, sino a 9 mesi, che, unitamente alle buone pratiche di lavorazione, preserva dal pericolo di contaminazione da patogeni. La flora vegetativa delle celle e dei locali di stagionatura serve da barriera contro muffe tossiche in superficie. Alla fine, lo stagionatore decide quali prodotti rilasciare per la vendita, dopo aver tastato e puntato ogni coscia nei punti ritenuti più critici. Il risultato è un prosciutto morbido, dalla fetta compatta, di colore rosso acceso, protetta da un bianchissimo grasso di copertura. In bocca, per effetto della masticazione, aldeidi, chetoni e nucleotidi sviluppano sapori con un aroma deciso e intenso che ricorda la naturalità della macchia selvatica; l’aroma di stagionato è dominante e concentrato soprattutto nel muscolo bicipite femorale, il più interno dei tre muscoli della coscia. Salame di cervo Il cervo è sempre stato un’importante fonte di cibo per l’uomo: già nelle pitture rupestri risalenti al Paleolitico si possono trovare numerose raffigurazioni di questi animali, solitamente in veste di preda o come entità spirituali. Il cervo è oggi allevato e riprodotto con successo dall’uomo per fini culinari, per l’uso della
pelle e dei palchi (che trovano impiego nella medicina tradizionale asiatica), come animale da cortile e per essere reintrodotto allo stato selvatico. Il salame di cervo è un prodotto caratteristico del Trentino-Alto Adige, le cui ricette possono cambiare da valle a valle, anche se viene lavorato e prodotto anche in altre regioni italiane. È un prodotto destinato agli amanti dei sapori forti tipici della carne di selvaggina, con il suo colore rosso scuro ed un sapore selvatico, deciso e intenso. Ottimo come antipasto, accompagnato o da una birra artigianale o da un tipico vino rosso del Trentino-Alto Adige come il Pinot Nero o il Lagrein. In diverse regioni italiane il salame di cervo è misto e contiene carne di cervo (40-50%) e carne di maiale (60-50%), oltre a sale ed eventuali altre aggiunte segnalate in etichetta. Mocetta di camoscio La mocetta (o motzetta) è una carne secca tipica della Valle d’Aosta. Ancora oggi, come in passato, viene confezionata con coscia disossata di camoscio o di stambecco e nella bassa valle è presente anche una produzione di mocetta d’asino (motzetta d’ane), cavallo e capra. Il cosciotto di camoscio è lavorato con sale integrale pestato, pepe nero, rosmarino, alloro, bacche di ginepro, timo, aglio e vino rosso. I pezzi devono avere uno spessore poco
accentuato per favorire la penetrazione della concia, che differenzia, tra l’altro, la mocetta dalla bresaola. La coscia di camoscio può essere disossata e legata strettamente, lasciandola riposare in frigorifero per 24 ore prima di passare alla salatura. La carne va massaggiata con la concia; dopo il massaggio il pezzo va ripulito dal sale in eccesso e lasciato riposare in frigorifero per 24 ore (tradizionalmente si utilizzano i cosiddetti doils posti in ambiente fresco). Dopo questo tempo la carne va massaggiata nuovamente, quindi occorre rimetterla in frigorifero per altre 24 ore circa. Se si tratta di un cosciotto intero disossato si ripeteranno le due fasi precedenti per un nuovo ciclo (24+24+24+24h). Alla fine il pezzo va pulito accuratamente dai residui della concia e asciugato. Eventualmente si può cospargere la superficie con un po’ di pepe nero macinato, ma non è strettamente necessario. Dopo una stufatura di circa 5-6 giorni la mocetta può essere trasferita in camera di stagionatura e appesa con un gancio da macellaio a circa 12 °C per almeno 90 giorni. Con il passare del tempo la mocetta diventa sempre più saporita e di consistenza tenace, fino a poter essere affettata in fettine sottilissime e quasi trasparenti, di consistenza simile alla pergamena, e dal sapore molto intenso. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma
Marchio di filiera della selvaggina emiliano-romagnola: si parte! In occasione della seconda edizione di Selvatica, appuntamento dedicato alla selvaggina e ai prodotti del bosco svoltosi lo scorso dicembre nella splendida cornice di Palazzo Albergati a Zola Predosa (BO), è stato presentato il marchio che identificherà la carne di Selvaggina di filiera dell’Emilia-Romagna. Animali selvatici abbattuti da cacciatori formati e informati la cui carne è in possesso di particolari requisiti, quelli che rendono tale una filiera per intenderci, ovvero tracciabilità, sicurezza e trasparenza della provenienza, a tutto vantaggio di consumatori, ristoratori e “conferitori-cacciatori”. Tutti gli operatori, dai cacciatori alle macellerie ai ristoranti, che aderiscono alla filiera della carne da selvaggina dell’Emilia-Romagna, saranno riconoscibili da questo marchio, che garantisce che il prodotto acquistato è di qualità eccellente, è sicuro da un punto di vista sanitario e proviene esclusivamente da territorio gestito. Una filiera corta, controllata e certificata di carni di selvaggina locale è un mezzo importante per tutelare l’ambiente, salvaguardare il benessere degli animali selvatici e ridurre il bracconaggio. Consumare la carne di selvaggina cacciata rispettando regole, ambiente e territorio è una scelta di valore, che contribuisce alla conservazione, alla promozione e allo sviluppo dell’Appennino e della montagna (info: galdelducato.it).
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Come resistere al freddo dell’inverno? I salumi, come lardo e pancetta, sono ottimi alleati delle basse temperature Pochi alimenti hanno il potere di darci conforto quando le temperature si abbassano: una minestra calda, una tisana o un piatto di quei salumi che ci fanno tanta “gola” come il lardo o la pancetta. Secondo un’idea ampiamente condivisa, d’inverno sarebbe meglio mangiare di più e scegliere gli alimenti più ricchi di grassi, specialmente quando il termometro precipita sotto lo zero. Il principio di una dieta ricca in inverno risale a tempi lontani, segnati dall’assenza dei comfort moderni (riscaldamento, auto, trasporti pubblici…) e la necessità per molti di svolgere un lavoro all’aperto qualunque fossero le condizioni meteorologiche. «Oggi, per la maggior parte di noi, sia che si tratti di estremo freddo o di estremo caldo, il dispendio energetico giornaliero complessivo rimane più o meno lo stesso e non è necessario compensare con un apporto supplementare di calorie. Se però le attività professionali o sportive si svolgono all’aperto o se si ha l’abitudine di camminare o usare la bicicletta per gli spostamenti abituali, in questo caso il freddo aumenta il dispendio energetico ed è indicato un surplus nutrizionale, anche derivato dai grassi o dai salumi» ci dice Elisabetta Bernardi, specialista in Scienza dell’Alimentazione, biologa e nutrizionista. La passione per lardo e pancetta ha radici antiche. In epoca imperiale i legionari romani ricevevano due volte a settimana una razione di pancetta o di lardo, nel Medioevo i muratori ne ricevevano una razione di 5 kg all’anno e il lardo è stato per secoli il companatico ideale dei cavatori di marmo perché forniva i nutrienti giusti per svolgere il duro lavoro nelle cave. Fino alla metà del ‘900, la pancetta, insieme ad altri grassi come lardo e strutto, è stata una delle principali risorse energetiche per l’uomo. Oggi pancette e lardi si sono evoluti, mantenendo gusto e profumi della tradizione. Come spiega la dott.ssa Bernardi, «il lardo è composto per il 99% da lipidi. Di questi la maggior parte sono del tipo monoinsaturo (37%), il tipo di grassi preminente nell’olio di oliva, il 29% polinsaturo, tipico degli oli di semi e il 33% del tipo saturo. La preminenza dei grassi insaturi dà quella sensazione di “grasso che si scioglie in bocca”, che piace tanto ai consumatori». Altro salume molto stuzzicante è la pancetta arrotolata, in cui, prosegue sempre la nutrizionista, «i grassi monoinsaturi sono più della metà dei grassi totali, i polinsaturi il 13% e i saturi il 32%. Anche qui i grassi insaturi sono in netta maggioranza coprendo il 63% dei grassi presenti». Dal punto di vista poi degli abbinamenti, se questi salumi li consumiamo con del pane integrale e aggiungiamo frutta e ortaggi, abbiamo un pasto completo ed equilibrato. Il lardo e la pancetta hanno anche ottenuto dei riconoscimenti comunitari: Lard d’Arnad Dop; Lardo di Colonnata Igp; Pancetta di Calabria Dop; Pancetta Piacentina Dop. (Fonte: IVSI)
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Finocchiona Igp dell’Antica Macelleria Falorni: eccellenza italiana La finocchiona Igp di Antica Macelleria Falorni è stata riconosciuta dalla guida I Salumi d’Italia delle Guide dell’Espresso 2019 come una delle eccellenze italiane col massimo punteggio. Si tratta di un riconoscimento molto importante per l’azienda, che da oltre 200 anni produce, nel cuore del Chianti, salumi di alta qualità, tramandando di padre in figlio i segreti di antiche ricette e il sapere artigiano delle lavorazioni. All’interno della vasta gamma di salumi prodotti, la finocchiona Igp è uno dei più rappresentativi, poiché porta con sé la tradizione e gli inconfondibili profumi delle campagne toscane. Viene preparata secondo l’antica ricetta con carni grasse e magre di suini allevati in Italia, aromatizzata con semi di finocchio selvatico — da cui prende il nome — stagionata naturalmente e insaccata in budello naturale. Dalla consistenza morbida e vellutata, rivela un gusto intenso ma molto equilibrato. «La finocchiona fa parte della storia della nostra famiglia da molte generazioni» racconta Stefano Bencistà Falorni (in foto, mentre ritira il riconoscimento). «Quando ancora eravamo bambini e nostro padre Raffaello produceva in bottega questo salume, andava a raccogliere il finocchio selvatico, che poi avrebbe utilizzato per l’impasto, nelle campagne intorno a Greve in Chianti. Spesso si fermava vicino al castello di Verrazzano. Fu proprio lì che un giorno venne scoperto dal cavalier Luigi Cappellini, ancora oggi proprietario del castello». Tra i due nacque un animato battibecco circa il fatto che Raffaello aveva violato una proprietà privata. «Erano tempi, allora, in cui le discussioni si risolvevano facilmente: un bicchiere di vino, un chiarimento e le dovute scuse. Anzi, fu proprio quell’incidente a diventare l’inizio di un duraturo rapporto di amicizia e di collaborazione professionale. Da quella “violazione di proprietà privata” nacquero infatti progetti e iniziative che hanno portato all’attenzione del mondo il nome, il volto e la fama di Greve in Chianti». >> Link: www.falorni.it
INDAGINI
Rapporto Ismea-Qualivita: i numeri che ci rendono fieri L’agroalimentare è una delle poche voci positive del bilancio nazionale, con ragguardevoli valori dell’export che lasciano ben sperare anche per il futuro. E che sul comparto abbiano un’importanza fondamentale e sempre maggiore i prodotti a denominazione geografica sono i dati del documento a dirlo di Sebastiano Corona
L’
andamento è positivo da tempo, ma sono le stime del 2017, riportate nella sedicesima edizione del prestigioso resoconto annuale, a darci elementi di ulteriore evidenza. Food & Wine DOP e IGP mostrano una produzione che vale oggi 15,2 miliardi di euro (+2,6% sul 2016) e un contributo
pari al 18% sul fatturato complessivo del comparto. Nelle esportazioni le denominazioni hanno un valore pari a 8,8 miliardi di euro, il 21% dell’export agroalimentare nazionale. E a conferma che quella delle indicazioni geografiche sia una strada vincente, dentro e fuori dai confini nazionali, nel 2017 si è registrata, come accennato, una crescita
del 2,6%, mentre il comparto nel suo complesso si è fermato al +2,1%. Non poteva essere diversamente, considerato che il sistema delle DOP e delle IGP in Italia, Food & Wine compresi, nel corso degli ultimi 10 anni ha consolidato il proprio peso economico sul comparto, con performance a doppia cifra per valore alla produzione e a tripla cifra
Prosciutto crudo di Cuneo Dop.
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sul fronte export, in costanza, tra l’altro, della peggiore crisi finanziaria internazionale della storia recente. Quest’anno il Rapporto Ismea-Qualivita, presentato di recente a Roma, si arricchisce con ulteriori dati sul comparto DOP-IGP (operatori Food & Wine, valore alla produzione complessivo per regioni e province), ma soprattutto di una nuova ed interessantissima sezione dedicata all’analisi dei cosiddetti big data web e social, che offre uno spaccato importante sulla presenza e diffusione delle DOP E IGP italiane nel mondo digitale e sulla reale percezione dei consumatori rispetto ai prodotti a denominazione. La fotografia di questo mondo è un quadro roseo che mostra numeri di cui andare fieri: sono infatti quasi 7 i miliardi di euro di valore alla produzione, il +46% nell’ultimo decennio. Il 2017 per il food è un nuovo record, considerato l’aumento del 3,3% alla produzione su base annua, rispetto al già positivo 2016. L’export vale invece 3,5 miliardi, un +234% in due lustri. Su base percentuale, la crescita è del +3,5% sul 2016. Oltre un terzo delle esportazioni in valore è verso Paesi extra-UE (36%), ma tra le principali destinazioni si confermano Germania (20%) e Francia (15%). A seguire gli USA con il 18%. Nel wine la situazione è differente, ma permane una performance positiva. Nel 2017, infatti, il valore della produzione di vino sfuso IG, secondo stime ISMEA, è salito a 3,4 miliardi di euro (+2,9%), mentre l’imbottigliato ex fabrica ha raggiunto gli 8,3 miliardi (+2%) sul 2016. Nonostante le potenzialità, va rilevato che, al contrario del food — dove la quasi totalità dei 299 cibi registra produzione certificata —, per il comparto wine a denominazione si riscontra un numero consistente di filiere “improduttive” (23%) o inutilizzate, che, pur avendo acquisito il riconoscimento, non vede l’impiego del prestigioso logo da parte dei produttori. Anche l’export mostra numeri interessanti e una dinamicità forte degli spumanti. Sono 15 i milioni di ettolitri di vino IG esportati nel 2017, di cui 8,2 di vini DOP. Il valore all’export appannaggio dei vini IG è di 5,26 miliardi di euro (+5,8%), su un totale di oltre 6 miliardi incassati dal vino italiano nel suo complesso (6,7%).
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Fonte infografica: Rapporto 2018 Ismea-Qualivita.
Formaggi Andando per settori ed esaminando il comparto per produzioni, i formaggi registrano tutti dati in crescita, con una performance positiva soprattutto per il valore al consumo. La categoria, che rappresenta il 57% del valore e il 51% dell’export del food DOP-IGP, registra in Emilia-Romagna e in Lombardia la gran parte delle ricadute economiche. Trend positivi per le prime 4 DOP (Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Mozzarella di Bufala campana e Gorgonzola) che trainano il settore. Frena il Pecorino romano. Carni fresche Nelle carni fresche aumenta nel 2017 il valore all’origine, malgrado i minori volumi in aumento dell’export di carni ovine certificate. Si sfiorano gli 88
milioni di euro di valore all’origine nel totale, per un +1,4% rispetto all’anno precedente. L’aumento dei prezzi medi alla produzione ha permesso ai fatturati di migliorare, malgrado la contrazione complessiva del volume di prodotto certificato. Straordinaria la performance dell’export, con un +184%. Sono state infatti determinanti alcune tecniche innovative di packaging del prodotto, che ne hanno facilitato conservabilità e preparazione. Prodotti a base di carne I prodotti a base di carne, pur mostrando un lieve calo produttivo, registrano valori dell’export in aumento con un +3,1%. Fra i prodotti di punta, bene il Prosciutto di San Daniele, la Bresaola e lo Speck. La categoria rappresenta il 29% del valore alla produzione e il 17% di quello all’export a denominazione, ma
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Oli d’oliva È positivo anche il bilancio dell’olio d’oliva, dove la produzione certificata e il valore alla produzione sono in crescita. Le quantità proposte col logo dell’UE sono infatti tornate sopra le 10.000 tonnellate, con un +1,3% rispetto al 2016. Il 2017 ha visto una crescita piuttosto significativa del Terre di Bari DOP, tornata prima, davanti al Toscano IGP. Quest’ultimo detiene tuttavia il primato fuori dai confini nazionali. I volumi esportati rappresentano infatti la metà circa della produzione. Nel complesso, comunque, l’export delle IG per l’olio d’oliva è in lieve flessione.
Fonte infografica: Rapporto 2018 Ismea-Qualivita.
la ricaduta non è equamente distribuita, considerato che l’Emilia-Romagna da sola concentra oltre la metà del valore economico. Sono il Prosciutto di San Daniele DOP, la Bresaola della Valtellina IGP e i Salamini Italiani alla Cacciatora DOP a segnare crescite sull’export a doppia cifra percentuale. Ortofrutticoli È un 2017 in calo, invece, quello degli ortofrutticoli, dove vanno comunque bene la frutta in guscio e gli agrumi. In leggera difficoltà la Mela Alto Adige IGP e della Mela Val di Non DOP, ma in controtendenza nel settore c’è la Melannurca Campana IGP, che arriva al settimo posto della Top 10. A mostrare dati interessanti sono anche la Nocciola del Piemonte IGP e il Pistacchio Verde di Bronte DOP, rispettivamente in terza
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e quarta posizione per valore, che mostrano incrementi importanti sia del fatturato sia delle quantità certificate. Apprezzabili anche le performance dell’Arancia Rossa di Sicilia IGP e del Limone di Siracusa IGP. Aceti balsamici Ragguardevoli i numeri degli Aceti balsamici, il cui distretto vanta 650 operatori per 400 milioni di euro all’origine. È del +2,5% la crescita della IGP, mentre è a doppia cifra (+16% e +10%) quella degli Aceti DOP. In questo scenario il 92% del prodotto è destinato all’estero, per un valore che supera i 900 milioni di euro. Territorialmente la ricaduta, come è noto, si concentra nelle due province di Modena e Reggio Emilia, per un valore all’origine di quasi 400 milioni e di un miliardo circa al consumo.
Dinamiche interessanti su alcuni specifici prodotti Sono in crescita pane, pasta e zafferano. La Piadina Romagnola IGP appare inarrestabile, con un incremento di 14.000 tonnellate marchiate e un ragguardevole +13%. Discrete anche le performance di pani e prodotti dolciari della Toscana, come Pane Toscano DOP, Cantuccini Toscani IGP, Ricciarelli di Siena IGP e Panforte di Siena IGP. La Pasta di Gragnano IGP segna un +7% di valore all’origine. Cresce considerevolmente lo Zafferano dell’Aquila DOP (+70% valore alla produzione), ma anche lo Zafferano di Sardegna DOP, che registra un aumento del +22% sia nelle quantità che nel fatturato, sebbene siano ancora considerevoli le ulteriori possibilità di crescita. Vino Una trattazione a sé merita il vino, che nel 2017 accusa un lieve calo, con un –0,6%. Resta comunque una domanda estera dinamica, soprattutto per gli spumanti. La produzione a denominazione è prossima ai 25 milioni di ettolitri. È infatti un –0,6% frutto di tendenze opposte: le DOP hanno superato i 15 milioni di ettolitri (+5,8%) mentre e le IGP si sono fermate a 9,4 (-9,6%). Per le IGP sono calati gli imbottigliamenti (–11,5%), mentre le esportazioni sfuse sono salite a 1,2 milioni di ettolitri (+6,3%). Secondo ISMEA, nel 2017 il valore della produzione di vino sfuso IG è salito a 3,4 miliardi di euro (+2,9%), mentre l’imbottigliato ex fabrica ha raggiunto gli 8,3 miliardi (+2%) sul 2016. Sono 15 i milioni di ettolitri di vino a denominazione esportati nel 2017. Di questi, 8,2 sono DOP.
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Instagram si conferma il canale privilegiato per le conversazioni on-line sul tema Food & Wine, ma hanno un peso tutt’altro che marginale anche News e Blog per la quasi totalità dei prodotti (fonte infografica: Rapporto 2018 Ismea-Qualivita).
Il valore all’export, nel complesso, è di 5,26 miliardi di euro (+5,8%), su un totale di oltre 6 miliardi incassati dal vino italiano (6,7%). In questo scenario è il Prosecco a fare da traino: l’asse Veneto-Friuli ha registrato 3,2 milioni di ettolitri di prodotto certificato (+5,5%). Ricaduta positiva di tutte le filiere Lo straordinario impatto delle IG in Italia non è però da ricondurre ai meri valori economici delle singole produzioni. Si tratta di un sistema ampio e complesso che porta enormi benefici a tutto il Belpaese. Non c’è provincia in Italia che non ne sia beneficiata, dove più, dove meno, dai positivi effetti delle denominazioni, tanto in ambito strettamente economico quanto sociale. Non c’è zona in Italia che non registri una ricaduta positiva da queste filiere: è un patrimonio immateriale che coinvolge capillarmente operatori e non. Corre però, allo stesso tempo, l’obbligo di sottolineare che alcune regioni, riescono, molto più di altre, a giovarsi degli innumerevoli effetti positivi di uno strumento che ha dimostrato negli anni di essere fortemente vincente, in Italia e all’estero, oggi più di un tempo. Le prime 4 regioni nella produzione di prodotti a denominazione generano infatti da sole, i 2/3 del valore complessivo IG e si trovano nel Nord Italia. È in Veneto, in Emilia-Romagna, in Lombardia e in
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Piemonte che si fa il 65% del comparto nazionale a denominazione. Merita una riflessione anche il canale di vendita, rappresentato per oltre il 56% del mercato dalla GDO, mentre si mostrano in forte calo i grossisti. Si ritaglia invece un suo ruolo il dettaglio specializzato e crescono in contemporanea l’HO.RE.CA., la vendita diretta e l’industria di trasformazione. Nella distribuzione, i prodotti a denominazione aumentano dello 0,9% le vendite a peso fisso e variabile e si incrementano del 5,8% quelle nella GDO. In questo contesto i formaggi mostrano comportamenti contrastanti. Con oltre 2,2 miliardi di euro di vendite a peso fisso e variabile cedono, nel complesso, il 3,4% in volume e il 1,6% in valore rispetto al 2016. Mentre il formaggio a peso fisso aumenta del 3,9% in volume e del 6,4%, in valore. Il Grana Padano DOP e il Parmigiano Reggiano DOP, insieme, incidono per il 58% sul volume e per il 65% sul valore delle vendite complessive di formaggi a denominazione. Si registra una flessione delle vendite a peso variabile, nonostante la crescita delle vendite a peso fisso. Il prezzo medio delle IG a peso variabile è risultato comunque del 20% più alto rispetto a quello dei formaggi generici. L’aumento del prezzo medio delle IG a peso fisso è doppio rispetto a quello dei formaggi generici (in uno scenario che vede il prezzo dei
prodotti IG su una fascia più alta del 70% rispetto ai generici). Ad ulteriore conferma — se mai ce ne fosse bisogno — di quanto valga la presenza del logo dell’Unione Europea sul prodotto. Nelle vendite, in generale, sono in crescita il Grano Padano DOP, il Parmigiano Reggiano DOP, il Gorgonzola DOP e la Mozzarella di Bufala Campana DOP. In rialzo anche quelle del Quartirolo Lombardo DOP e del Taleggio DOP. Le vendite dei prodotti a base di carne sono diminuite del 2,2% in volume, ma sono aumentate dello 0,6% in valore. Prosciutto di Parma DOP, Mortadella Bologna IGP e Prosciutto di San Daniele DOP confermano un livello complessivo di oltre 50.000 tonnellate di prodotto certificato, con un valore che oltrepassa il miliardo di euro. Quelle dell’olio di oliva a denominazione sono ugualmente cresciute, nella misura di un +8,3% in volume e un +12,9% in valore. Aumentano le vendite di Terra di Bari DOP, Toscano IGP, Val di Mazara DOP, Umbria DOP e Garda DOP. È invece di 1,4 miliardi di euro il giro d’affari del vino a denominazione, con un modesto +2,0% di incremento in volume e un discreto +4,9% in valore, mentre i vini comuni sono andati diversamente (–2,2% in volume e –1,9% in valore). Particolarmente significativo l’incremento delle vendite di vini DOP rispetto a quelli IGP.
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L’impatto sul web e sui social Quest’anno il Rapporto Ismea-Qualivita include un interessantissimo capitolo dedicato all’impatto dei prodotti a denominazione sul web e sui social. In due anni è infatti cresciuto del 60% il numero di prodotti a denominazione con social ufficiali. Il 52% dei prodotti IG ha almeno un profilo (420 contro i 268 del 2016 pari al +60%), mentre il 61% dei prodotti ha un sito ufficiale (501 contro i 412 del 2016 pari al +22%). Ma tra le cose più interessanti vi è il fatto che 64 milioni di utenti web sono stati raggiunti, in un anno, dalle conversazioni sulle denominazioni. L’analisi sulle prime 100 IG italiane Food & Wine mostra 2,4 milioni di menzioni generate in un anno da oltre 1 milione di autori in tutto il mondo. Per il food, Facebook si conferma driver, ma il cibo si comunica tramite immagine ed è infatti un successo straordinario per Instagram negli ultimi due anni. Anche da quest’ultima analisi è evidente quanto il comparto delle indicazioni geografiche contribuisca al consolidamento della reputazione del made in Italy. È poi più difficile da quantificare lo specifico valore economico che l’identità territoriale dei prodotti certificati può rendere, ma è sempre più evidente la richiesta e la disponibilità a pagare per trasparenza, origine, modalità di produzione, tracciabilità. Senza dimenticare l’enorme valore aggiunto che, per il nostro Paese, può derivare dal legame tra il turismo e l’enogastronomia, anche nei suoi aspetti culturali e ambientali. «Di certo non va tutto bene» dichiara RAFFAELE BORRIELLO, presidente ISMEA, che aggiunge «anche il comparto delle IG è fragile e bisognoso di attenzione: le aziende sono mediamente piccole, poco strutturate e ancor meno aggregate; in molti casi non esistono i consorzi di tutela o sono comunque poco organizzati ed efficaci nelle attività di promozione e gestione per le quali si sono costituiti». La vera sfida, come spesso accade in Italia, è dunque soprattutto interna e passa per l’effettiva capacità di aggregare, organizzare e fare sistema: questo deve essere un impegno di ognuno, produttori, stakeholders, istituzioni, associazioni, territori. Nessuno escluso. Sebastiano Corona
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Italiani, una passione “zoppa” per la cucina Nonostante l’interesse per i fornelli, solo un Italiano su 3 si dedica a preparare piatti made in home. Ad incidere è la mancanza di tempo. È quanto emerge da una ricerca FIPE di Gianluca Pacella
T
utti chef o papabili provetti cuochi in Italia, ma pochi si applicano e dedicano veramente parte del loro tempo ai fornelli, col risultato che trasmissioni televisive e magazine cartacei e digitali incentrati sulla cucina sembrano non avere l’effetto voluto se non quello di
mandare buoni messaggi culinari che restato inattuati. Tra i motivi principali ed ufficiali della “negligenza” sembra esserci la mancanza di tempo per preparare dei piatti made in home. Ad indicare l’atteggiamento in cucina degli Italiani è una ricerca della Federazione italiana pubblici esercizi
(FIPE) che svela lo stretto rapporto tra italiani e cibo. La mancanza di tempo — emerge dall’indagine presentata nel corso dell’ultima assemblea nazionale FIPE svoltasi a Roma — è causa quindi del cucinare sempre meno, con un solo Italiano su 3 che si dedica a questa attività tutti i giorni, mentre per la cena
Dall’indagine di FIPE emerge che molti Italiani vivono il momento del pranzo e della cena come momento di relax e come occasione per riunire la famiglia (photo © jackfrog – stock.adobe.com).
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le persone che si adoperano alla cucina sale al 53%. Ma non è tutto. Gli Italiani, spiegano infatti i ricercatori, oltre a mangiare sempre più in fretta (in media meno di mezz’ora al giorno viene dedicata al consumo dei pasti), tendono a mangiare “alla giornata”, con 3 connazionali su 4 che preparano i pasti giorno per giorno. Ecco quindi, segnala l’analisi, che il ristorante e il mangiare fuori casa ricoprono sempre più un ruolo fondamentale per riscoprire il valore del tempo. Il ristorante è il luogo dove rilassarsi per il 38,6%, con il 62,5% di chi pranza o cena fuori casa che si gode il pasto più di quanto non riesca a farlo tra le mura domestiche. L’approccio al mangiare e alla cucina — è spiegato ancora — si materializza inoltre nell’azione del fare la spesa e le provviste settimanali, con il 48,6% di coloro che fanno la spesa, da soli o in compagnia, che dedica agli acquisti da una a due ore alla settimana, mentre il 50,1% preferisce effettuare spese di piccola entità, acquistando pochi prodotti alla volta, giorno per giorno.
Entrando poi nel merito del consumo dei pasti, FIPE segnala che gli Italiani tendono a mettersi a tavola sempre negli stessi orari e il momento del pranzo e della cena viene vissuto in prevalenza come momento di relax dal 44,6% degli intervistati e come occasione per riunire la famiglia. Allo stesso tempo forte resta il legame con le tradizioni culinarie: il 75% tramanda di generazione in generazione i piatti tipici di famiglia, con un 98% che considera le ricette strumenti che “scaldano il cuore” e che evocano “ricordi ed emozioni”. C’è poi un 46,1% che dichiara invece di “porre maggiore attenzione alle ricette che prepara o agli ingredienti che utilizza quando cucina per i propri figli”. Fondamentale, infine, è l’aspetto salutare, prima caratteristica che i connazionali cercano in un alimento. La tendenza è confermata dal fatto che, tra coloro che hanno dichiarato di occuparsi personalmente della spesa, il 46,1% dice che sarebbe disposto a pagare un prezzo del 10% superiore alla media per acquistare un prodotto sicuro e di buona qualità. Il 71,8% degli
Italiani durante la scelta del piatto da consumare si informa invece sulla qualità e la provenienza dei prodotti utilizzati. Quanto al fuori casa, il 76% degli intervistati ritiene che i ristoranti rispettino la propensione a consumare alimenti salutari e tengano conto delle diverse esigenze nutrizionali. In ultimo, la ricerca evidenzia che sono meno della metà (il 41,6%) le persone che acquistano o consumano alimenti per motivazioni etiche o sociali, con la tipologia di prodotti biologici, a km 0 e rispettosi dell’ambiente che sono comunque al primo posto (53,9%) nelle scelte di acquisto. Solo al terzo posto la scelta di alimenti made in Italy, ritenuta prioritaria dal 42,4% degli intervistati. Non manca, tuttavia, chi sceglie in base al prezzo: il 45,6% dichiara infatti di scegliere un prodotto piuttosto di un altro sulla base di questo criterio. E sul legame di tipo “culturale” la tradizione vince sull’innovazione: il 64,4% del campione si dichiara conservatore nella propria relazione col cibo, mentre solo il 35,6% è orientato alla sperimentazione. Gianluca Pacella
Cresce l’export agroalimentare italiano negli USA I risultati provvisori della partecipazione italiana al Winter Fancy Food — la principale manifestazione della West Coast dedicata alle specialità alimentari che si è svolta a San Francisco dal 13 al 15 gennaio con 52 aziende nel Padiglione italiano (“The Extraordinary Italian Taste”), 23 nell’area USA e un’affluenza di oltre 30.000 professionisti del settore —, fanno ben sperare sul futuro delle nostre esportazioni. Ne è convinto Maurizio Forte, direttore dell’Istituto per il Commercio Estero di New York e coordinatore della rete USA. «Sarà un 2019 davvero importante per il sistema Italia negli Stati Uniti». Olio d’oliva, pasta, formaggi, acque minerali, vino e aceto balsamico sono i settori produttivi in cui l’Italia conferma la sua leadership mondiale come fornitore per gli Stati Uniti. L’ICE di New York ha fornito ad EFA News il quadro dei primi dieci mesi del 2018, certificando che il paniere agroalimentare italiano negli USA, rispetto al valore complessivo dei 4,8 miliardi di dollari raggiunto nel 2017, tra gennaio e ottobre del 2018 si è attestato intorno a 4,3 miliardi, confermando un trend di crescita del 9,5%. Molto interessante il trend positivo delle carni lavorate che, dopo un 2016 in sofferenza, hanno registrato incrementi del 20% nel 2017 e del 19% nei primi dieci mesi del 2018, portando l’Italia ad essere il terzo fornitore degli USA, sfiorando i 48 milioni di dollari nel 2017 e 47 milioni già nei primi dieci mesi del 2018. Sul settore del vino il valore dell’export italiano nel mercato americano è arrivato al 1,65 miliardi di dollari (+9,3%) nel periodo gennaio-ottobre 2018 (dati US Dept. of Commerce). Visti dall’Italia, gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato per il nostro vino, acquistando il 24% del nostro export (Istat). Negli USA prevalgono i vini bianchi (circa il 37% del totale), seguiti dai rossi (34%) e dai vini frizzanti (20%). (Fonti: cbe – 6185 San Francisco; © World Food Press Agency Srl)
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ANALISI DI SETTORE
Cibo biologico scelta culturale di Giovanni Ballarini
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ndubbio è il successo del cibo biologico che riguarda le carni, gli ortaggi e la frutta, il latte e suoi derivati, il miele e i vini e si può dire ogni tipo d’alimento. Oggi è reperibile quasi ovunque, mercati, supermercati, negozi specializzati e riscuote l’interesse di una parte crescente di consumatori.
Il biologico è in espansione Secondo Roberto Zanoni, presidente nazionale di ASSOBIO, Associazione nazionale delle imprese di trasformazione e distribuzione dei prodotti biologici e naturali, dal 2013 al 2016 il numero di aziende agricole biologiche è aumentato del 40%, mentre nell’agricoltura tradizionale in vent’anni l’ISTAT ha registrato un crollo del 46%. In Italia 2 milioni di ettari sarebbero dedicati alla coltivazione biologica, pari al 14,5% della superficie agricola complessiva, con settantamila aziende che praticano bioagricoltura (BIOFACH 2018). Secondo NOMISMA nel 2017
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le vendite di biologico in Italia hanno raggiunto i 3,5 miliardi nel mercato domestico (+15% rispetto al 2016 e +153% rispetto al 2008); cifra a cui si aggiunge un export del bio made in Italy che vale quasi 2 miliardi e pesa per un 5% (+16% rispetto al 2015, +408% rispetto al 2008) sul totale dell’export agroalimentare italiano (la cui crescita rispetto al 2008 si ferma al +45%). Le vendite di alimenti biologici (domestiche più export) hanno superato i cinque miliardi (+9% rispetto al 2016 e +218% rispetto al 2008). Secondo le più recenti rilevazioni (2018) il mercato del biologico è stimato in 80 miliardi a livello mondiale e in 30 in Europa (dati EUROSTAt); quello italiano varrebbe 5 miliardi (dati AIAB). Nella Grande Distribuzione Organizzata e secondo i dati NIELSEN, il 2017 è stato l’anno del boom dei prodotti biologici con +16,6% e un giro d’affari di 1 miliardo e 451 milioni, con un +14% di vendite negli ipermercati e un +18% nei supermercati. Un aumento
importante, soprattutto se confrontato con una crescita assai più limitata dell’intera categoria food & beverage (+2,8%) nonostante una pressione promozionale inferiore del biologico (media 21%) rispetto all’alimentare convenzionale (media 31%). La crescita emerge anche dal ruolo del biologico sul carrello della spesa: nel 2017 la spesa biologica incideva per il 3,4% sugli acquisti alimentari, quota più che quadrupla rispetto al peso registrato nel 2000 (0,7%). Secondo i dati ISMEA la fetta più rilevante della spesa è destinata alla frutta (24%); seguono gli ortaggi (18,9%), i derivati dei cereali (16,7%), il latte e i latticini (13,7%) e le carni (10,2%). Se invece si considera l’incidenza dei prodotti biologici in ogni settore, in testa vi sono le uova (una su cinque è biologica). Il principale canale di vendita del biologico è la Grande Distribuzione (ipermercati e supermercati) che ospita il 45% degli acquisti, contro il 24% dei negozi specializzati, e questo si
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spiega per la politica dei prezzi che permette alla Grande Distribuzione di mantenere prezzi più convenienti e perché i supermercati raggiungono un pubblico meno specializzato, che trova gli alimenti biologici sugli scaffali, anche in promozione, e li prova. Nonostante questi aumenti, il cibo biologico nel suo complesso e in rapporto al cibo convenzionale rimane un prodotto di nicchia legato ad una scelta consapevole sulla quale esistono diverse opinioni, anche in contrasto tra loro Perché mangiare biologico? Coloro che si dichiarano favorevoli al cibo biologico costituiscono un gruppo che, in base ai dati di consumo, non è molto ampio. Diversi sono i motivi a sostegno di chi sceglie l’alimento biologico e che può cambiare per prodotto o destinazione d’uso (bambini, gravidanza, anziani, ecc…). La scelta inoltre può non essere sempre continuativa e divenire saltuaria. Tra le motivazioni sostenute dai favorevoli al biologico è che, se veramente tale, questo cibo è meno contaminato e, se non privo, ha minori quantità di sostanze chimiche artificiali dannose alla salute, favorisce la biodiversità e la conservazione di specie vegetali e animali tradizionali, aiuta le popolazioni rurali di territori particolari. In sostanza, si sostiene che mangiare biologico sia più sano per il consumatore e l’ambiente, anche se più costoso. Coloro che si dichiarano contrari affermano che anche senza biologico, che riguarda una limitata parte della nutrizione (meno del 5% dei consumi), si vive bene, anzi la vita media è aumentata, concludendo quindi che si tratta di un artificio per sostenere produzioni agroalimentari di nicchia, una moda se non uno dei tanti trucchi dell’industria agroalimentare, una grande azione di marketing soprattutto del mercato e in particolare della Grande Distribuzione. La gran parte dei consumatori, infine, che si ritiene sufficientemente protetta dal cibo normale, dedica la sua prevalente attenzione alle caratteristiche organolettiche e al prezzo degli alimenti, concludendo che cibo biologico e convenzionale in fondo sono la stessa cosa e quello che conta sono la qualità, il prezzo e il rapporto tra qualità e prezzo.
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Sicurezza del cibo biologico Non sono molte le ricerche scientifiche ampie e correttamente condotte sull’impatto sulla salute umana del cibo biologico in confronto agli alimenti convenzionali. Sembra che il consumo di alimenti biologici possa ridurre il rischio di malattie allergiche, il sovrappeso e l’obesità, ma non è sicuro poiché i consumatori di alimenti biologici nel complesso tendono ad avere uno stile di vita più sano e perché esperimenti su animali danno risultati di crescita e sviluppo simili se si usano mangimi di origine biologica o convenzionale. Nell’agricoltura biologica l’uso di pesticidi di sintesi è bandito perché studi epidemiologici riportano effetti avversi di alcuni pesticidi sullo sviluppo cognitivo dei bambini e in quanto alcuni di questi sono sospettati di attività cancerogene. Pertanto, il consumo di questi alimenti sembra essere vantaggioso dal punto di vista della salute pubblica, sebbene le ragioni non siano chiare e gli effetti sinergici tra i vari costituenti all’interno del cibo siano soltanto probabili. Inoltre, nella produzione degli alimenti biologici non si usano concimi e ammendanti chimici ma solo naturali. Non bisogna però dimenticare che un prodotto cosiddetto “naturale” sia per questo innocuo, come dimostrano le tragedie degli “orti del cancro” coltivati
in terreni naturalmente ricchi di arsenico, nitrati o di altri minerali cancerogeni. In modo analogo è per il potere inquinante del tradizionale solfato di rame usato come antiparassitario in talune coltivazioni biologiche. Importante è anche ricordare che le coltivazioni biologiche non sono protette da contaminazioni aeree che si producono anche a distanza di decine di chilometri e che giustificano la presenza di sostanze chimiche di sintesi anche negli alimenti biologici, seppure in percentuali minori alle produzioni convenzionali. Importante è anche che negli allevamenti animali di tipo biologico non siano usati antibiotici (se non in caso di malattia) e questo è ritenuto un fattore chiave per ostacolare il pericoloso sviluppo dell’antibioticoresistenza che può coinvolgere anche l’uomo. Nutrizionalità del biologico Le differenze nella composizione tra colture biologiche e convenzionali sono limitate, anche se nella in frutta e verdura biologica si è visto un contenuto modestamente più alto di composti fenolici e nei cereali biologici anche un contenuto inferiore di cadmio. I latticini biologici, e forse anche le carni, hanno un contenuto più elevato di acidi grassi Omega-3 rispetto ai prodotti convenzionali, ma le differenti quantità rilevate hanno una marginale
Secondo i dati Ismea la fetta più rilevante della spesa biologica è destinata alla frutta (24%); ad oggi le carni rappresentano il 10,2%, con un ampio margine di crescita quindi (photo © wanessa_p – stock.adobe.com).
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Agricoltura Biologica (AB) e Prodotti Biologici (PB) vero o falso VERO
L’AB non fa uso di pesticidi
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L’AB ha rese simili a quella convenzionale
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I PB hanno migliori proprietà nutrizionali
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FALSO
DIPENDE
L’AB non fa uso di pesticidi di sintesi, ma ne usa alcuni d’origine naturale (solfato di rame ecc…).
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L’AB generalmente ha rese inferiori, ma questo dipende da molti fattori.
=== Non vi sono sostanziali differenze nutrizionali tra i PB e quelli convenzionali
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Nell’AB non si fa uso di pesticidi di sintesi che, tuttavia, possono essere contaminati da coltivazioni vicine.
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La certificazione biologica garantisce il metodo di produzione, ma nei PB possono essere presenti tossici ambientali, micotossine, microrganismi infettanti, ecc…
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L’AB ricupera varietà in via d’estinzione e favorisce la presenza nel terreno di organismi viventi.
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I PB vegetali sono più contaminati da micotossine
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Dipende dalle condizioni ambientali e di coltivazione
L’AB ha un minore impatto ambientale
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Dipende dal tipo di animale o vegetale e dai sistemi di allevamento o coltivazione.
Nell’AB non si fa uso di OGM
Nella AB non si coltivano vegetali OGM e gli animali non devono essere alimentati con mangimi OGM
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I PB hanno meno residui di pesticidi
I PB sono più sicuri dei convenzionali
L’AB promuove la biodiversità
importanza nutrizionale. Va inoltre aggiunto che i composti nutrizionalmente benefici di maggiore rilevanza per la salute pubblica sono i micronutrienti, in particolare ferro e zinco, i composti bioattivi come i carotenoidi (compresi i composti pro-vitamina A), i tocoferoli (compresa la vitamina E) e i composti fenolici e per questi nutrienti si osservano variazioni estremamente ampie che non riguardano il sistema di produzione (biologico o convenzionale) ma il genotipo, il clima, l’ambiente, le condizioni di coltivazione o allevamento, il tempo di raccolta, i metodi di confezionamento, i tempi di commercializzazione, ecc…
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Infine, è errato credere che consumare solo un certo tipo o categorie di alimenti biologici (ad esempio la frutta o la verdura) modifichi sostanzialmente il bilancio in entrata di inquinanti o di molecole a rischio, indipendentemente che siano naturali o di sintesi. Scegliere un prodotto biologico significa invece sostenere un sistema di produzione alimentare più naturale, con tutte le sue conseguenze, iniziando dal fatto che lo si può avere soltanto in taluni periodi dell’anno, anche perché spesso la produzione biologica si associa al cosiddetto km 0, e accettare cibi con caratteristiche che possono essere
diverse da quelle alle quali ci hanno abituato la produzione e la distribuzione agroindustriale convenzionale. Bisogna infine accettare un prezzo maggiore degli alimenti biologici rispetto a quelli convenzionali, perché la produzione bio ha rese inferiori con maggiori richieste di lavoro (diserbo manuale e non chimico, ecc…) e quindi con maggiori costi, ai quali si aggiungono quelli della certificazione. Sostenibilità dell’agricoltura biologica Per promuovere la sicurezza globale degli alimenti e degli ecosistemi, sono
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Questi studi non tengono conto dei costi ambientali (esternalità negative) e dei servizi ecosistemici da buone pratiche agricole che favoriscono l’agricoltura biologica. Nel mondo si calcola che solo l’1% della superficie agricola globale sia dedicata alla produzione biologica, ma si pensa che possa continuare ad espandersi, anche se i premi diminuiscono, per i suoi molteplici vantaggi in termini di sostenibilità. Mangiare biologico La produzione e il consumo di alimenti biologici aumentano in tutto il mondo, nonostante la minore produttività delle colture biologiche, perché la popolazione attribuisce loro proprietà più salutari, sebbene ancora insufficienti sono le prove scientifiche che provino che il loro consumo contribuisca in modo significativo al mantenimento di uno stato di salute ottimale riducendo il rischio di sviluppare malattie croniche. Pertanto sono necessari ampi studi a lungo termine per determinare se una dieta biologica sia più salutare di una dieta che comprenda alimenti coltivati
in modo tradizionale. Per una sana nutrizione indispensabile è il controllo di tutta la produzione agrozootecnica dalla terra alla tavola e l’equilibrio della dieta nel suo complesso. In base alle analisi che sono continuamente eseguite sugli alimenti consumati dagli Italiani, risulta che sia più importante l’equilibrio alimentare nel suo complesso che consumare o meno prodotti biologici, come dimostrano le moderne epidemie di obesità e sovrappeso e quanto ne consegue. Il consumo degli alimenti biologici ha invece un valore culturale, in quanto sostiene un certo tipo di agrozootecnia e, soprattutto, di civiltà contadina piuttosto che di una massiccia industrializzazione della produzione alimentare. Una scelta che ha un costo economico per il quale bisogna chiedersi chi e fino a che punto, siano i singoli individui o la società, se lo possano permettere. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Note A pagina 64, photo © Pixelbliss – stock. adobe.com.
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stati identificati diversi sistemi agricoli innovativi che bilanciano meglio gli obiettivi di sostenibilità e il più rapidamente crescente e controverso di questi sistemi è l’agricoltura biologica. Se questo tipo di agricoltura, che ora gode anche d’incentivi, possa continuare a espandersi sarà probabilmente determinato dalla sua competitività economica con l’agricoltura convenzionale. Analisi economiche sulle prestazioni finanziarie dell’agricoltura biologica e convenzionale su oltre cinquanta tipi di coltivazioni in cinque continenti mostrano che quando non vi sono premi per le coltivazioni biologiche, queste hanno rapporti tra benefici e costi inferiori dall’8 al 7%, con valori economici inferiori dal 27 al 23% rispetto all’agricoltura convenzionale. Tuttavia, quando sono applicati premi adeguati, l’agricoltura biologica risulta significativamente più redditizia (22-35%), con un rapporto tra beneficio e costo più elevato (20-24%) rispetto all’agricoltura convenzionale, soprattutto perché i costi del lavoro nell’agricoltura biologica sono significativamente più alti (7-13%).
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Paradossi alimentari smentiti Nuove ricerche stanno sfatando alcuni miti alimentari, contribuendo anche a chiarire certi paradossi e confermando antiche tradizioni di Giovanni Ballarini
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È stato il ricercatore Serge Renaud dell’Università di Bordeaux a coniare l’espressione “paradosso francese” e a rendere nota al pubblico la sua ipotesi scientifica nel 1991, durante uno show televisivo americano. Secondo Renaud, il basso tasso di malattie cardiovascolari e la longevità dei Francesi erano dovute all’abitudine benefica di bere ai pasti 20-30 grammi di alcool, che corrispondono a 2 o 3 bicchieri di vino rosso al giorno (photo © Adam Wasilewski).
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«N
on è la scienza dell’alimentazione la strada migliore per riconoscere il valore del cibo — , ha affermato lo scrittore e giornalista MICHAEL POLLAN in un suo recente intervento al Festivaletteratura di Mantova, aggiungendo che, — pur importante, questa disciplina è ancora relativamente giovane, paragonabile alla chirurgia del secolo XVII, e come tale può fuorviare. Ciò che conta davvero è la cultura, anche quella delle nostre nonne, che spesso ne sanno di più degli scienziati». Queste dichiarazioni si avvicinano alla celebre massima di WILLIAM SHAKESPEARE: “ci sono più cose in cielo e in terra di quelle che immagina la nostra filosofia”. Anche per questo non dobbiamo meravigliarci, anzi dobbiamo essere contenti dei continui miglioramenti delle conoscenze — sebbene a volte abbattano idee e opinioni che sembravano stabilmente affermate — perché ci permettono di superare difficoltà interpretative che a volte sembrano veri e propri paradossi. Ad esempio, oggi si sta rivedendo il significato stesso di caloria e vi sono nuove interpretazioni del cosiddetto paradosso francese. Le calorie alimentari, espresse sotto diverse forme (calorie o chilocalorie o Joule), in parole povere rappresentano l’energia fisica sprigionata da un alimento quando è completamente bruciato in uno speciale apparecchio, la bomba calorimetrica. Pur essendo utili, non rappresentano il vero e reale valore energetico alimentare, che dipende invece da come e in che misura l’alimento viene digerito e assorbito prima di essere “bruciato” dall’organismo, comprendendo anche le perdite connesse ai processi digestivi. Alcuni esempi in proposito. Tutti gli zuccheri hanno valori calorimetrici uguali. Il glucosio è assorbito tal quale, mentre altri zuccheri, per essere assorbiti, devono essere scissi o essere soggetti a fermentazioni intestinali che comportano delle perdite energetiche. Lo stesso avviene per gli oli vegetali: l’olio di oliva ha una percentuale di assorbimento molto elevata (95-98% dell’olio ingerito), più o meno analoga a quella di altri oli (95,9% per l’olio di mais, 96,5% per l’olio di girasole, 98,9% per l’olio di colza), anche se vi sono dati contrastanti e si giunge ad
affermare che l’olio di oliva è digeribile al 100%, quello di semi di girasole lo è all’85%, quello di arachidi all’81% e quello di semi di mais al 36%. I diversi risultati dipendono da come si valuta la velocità di passaggio nello stomaco, il tempo di transito nell’intestino, l’attivazione di diversi enzimi e l’attività dei sali biliari che ne facilitano la messa in sospensione, il trasporto intracellulare e altri fattori. Analogo comportamento hanno le proteine, che non sono tutte ugualmente digeribili: lo sono moltissimo quelle di origine animale, molto meno quelle di origine vegetale, fino ad arrivare alle proteine dei funghi, in particolare la chitina, quasi del tutto indigeribile, anche se una certa percentuale di individui ha una chitinasi intestinale che ne permette una piccola digeribilità. A volte, il “lavoro” digestivo e l’attivazione metabolica (anche attraverso una “azione dinamica specifica”) comportano un dispendio energetico superiore a quello portato dall’alimento stesso, che diviene pertanto un “antialimento”. Gli antialimenti impediscono di beneficiare appieno dei nutrimenti contenuti in un’alimentazione e con la loro presenza diminuiscono il valore calorico — e non solo — della dieta nel suo insieme. Una rilevante quantità di fibra vegetale indigeribile è un antialimento perché impedisce l’utilizzazione di diversi principi nutritivi della dieta. I fattori antitripsici ostacolano la trasformazione delle proteine in acidi amminici, le antivitamine impediscono l’assorbimento o l’azione delle vitamine e in modo analogo operano gli antiormoni e gli antimineralizzanti. Nel bilancio/equilibrio tra alimenti e antialimenti bisogna anche considerare i trattamenti operati in cucina. Per la maggior parte degli alimenti interessati, una semplice trasformazione (cottura, fermentazione, germinazione…) spesso migliora la disponibilità dei nutrienti. Il bianco d’uovo crudo, il latte crudo e numerosi vegetali ricchi di proteine contengono fattori antitripsici, ma la cottura per il bianco d’uovo, la bollitura o il riscaldamento per il latte crudo, la germinazione per i vegetali, permettono l’eliminazione dei fattori antitripsici. Le antivitamine si trovano per esempio nel pesce, contenente la tiamina, sensibile al calore, che distrugge la vitamina B1. Il mais contiene un’antivitamina
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Sono molti i fattori che contribuiscono a delineare il valore nutritivo degli alimenti. Una semplice trasformazione (cottura, fermentazione, germinazione…) spesso migliora la disponibilità dei nutrienti. Il bianco d’uovo crudo, il latte crudo e numerosi vegetali ricchi di proteine contengono fattori antitripsici, ma la cottura per il bianco d’uovo, la bollitura o il riscaldamento per il latte crudo, la germinazione per i vegetali, permettono l’eliminazione dei fattori antitripsici (photo © Rawpixel Ltd). PP, distruggibile unicamente tramite processi di fermentazione tradizionali. Infine, anche composti vegetali, come gli acidi ossalico e fitico, riducono la disponibilità di minerali (tra questi calcio, ferro e zinco) e alcuni enzimi hanno il potere di distruggere l’acido fitico, con l’aiuto, tra gli altri, della flora intestinale. Da quanto ora brevemente accennato si comprende quanto impreciso, se non a volte falso, sia il numero di calorie o Joule indicato dalla bomba
Con una dieta ricca di cibi fermentati, e tra questi anche formaggi stagionati, si può favorire il benessere del microbiota intestinale, il cui stato di salute è fondamentale per mantenere alte le difese immunitarie
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calorimetrica, perché il valore di un alimento dipende non solo dalla specie (i ruminanti si nutrono di cibi incompatibili con la digestione umana), ma anche dall’individualità (diversa è la dotazione enzimatica nei singoli individui), dal tipo di flora microbica digestiva (il sempre più interessante microbiota), da come gli alimenti sono trattati (importanti sono la cottura e la fermentazione) e, non ultima, dalla composizione della dieta nel suo complesso. Una semplice somma delle calorie degli alimenti costituenti una dieta non rappresenta la realtà, tanto che oggi si prospettano e si enfatizzano diete dimagranti per le quali si gridano in modo quasi paradossale i valori energetici “negativi”! Assegnando alle calorie il loro significato “chimico-fisico”, non bisogna dimenticare che la biologia dell’alimentazione è molto più complessa e variegata. Nella valutazione della qualità nutrizionale degli alimenti una particolare importanza sta assumendo la flora microbica presente nell’apparato digerente, dove il numero di cellule microbiche è superiore al numero di
cellule che compongono il corpo umano, conosciuta nel suo insieme come microbiota. La quantità e soprattutto la qualità del microbiota determinano molti aspetti salutistici, dal grado di immunità alla capacità digestiva e nutrizionale degli alimenti. Una scoperta non nuova, quest’ultima, se già negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso ci si era accorti che piccolissime quantità di taluni antibiotici erano capaci di migliorare efficacemente la nutrizione degli animali. Partendo da questi presupposti si è visto che taluni alimenti modificano il microbiota e con la loro presenza possono anche rendere comprensibili alcune contraddizioni, come il paradosso francese. È noto l’alto consumo, da parte dei Francesi, di alimenti ricchi in acidi grassi saturi; ebbene, nonostante questo, la Francia presenta un’incidenza di mortalità per malattie cardiovascolari inferiore rispetto ad altri paesi dieteticamente comparabili. Su tale apparente paradosso si è ipotizzato che il consumo di vino rosso potesse proteggere da malattie cardiache, per la presenza di polifenoli di cui il vino
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Nel 2012, Ivan M. Petyaev e Yuriy K. Bashmakov, studenti dell’Università di Cambridge, hanno pubblicato uno studio secondo cui i veri responsabili della salute dei cittadini francesi sarebbero i formaggi, erborinati soprattutto, grazie alla presenza di muffe benefiche (photo Š Africa Studio – stock.adobe.com). è ricco, in particolare il resveratrolo, e per un’altra sua proprietà , non correlata con i polifenoli, in grado, anche a bassi dosaggi, di inibire la sintesi del peptide endotelina (endothelin-1), che è un vasocostrittore correlato alle malattie cardiovascolari e all’aterosclerosi. Al ruolo positivo del vino rosso si aggiungerebbe quello del formaggio, di alcune varietà in particolare, il cui consumo sembra svolgere azioni protettive. Una particolare attenzione è data ai peptidi bioattivi che si liberano in seguito alla proteolisi cui vanno incontro le proteine del latte durante la maturazione del formaggio, iniziata da batteri e muffe. Negli animali da laboratorio, il formaggio a lunga stagionatura si è rivelato avere un impatto piÚ favorevole, sulla tolleranza al glucosio, la steatosi epatica e lo stress ossidativo del tessuto adiposo, rispetto a formaggi con stagionatura piÚ breve. Altri benefici potrebbero presentare i formaggi erborinati e a crosta fiorita (come Gorgonzola, Roquefort, Camembert) per la presenza di muffe che favoriscono la formazione di sostanze, come le andrastine A-D, ini-
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bitrici della farnesil transferasi, uno dei principali enzimi coinvolti nella sintesi del colesterolo. Di recente si è anche visto che, attraverso diversi meccanismi, un’alimentazione ricca di formaggio è capace di modificare e regolare il microbiota intestinale. In queste condizioni, nelle feci compaiono metaboliti che sono legati al metabolismo della microflora (acidi grassi a catena corta, come butirrato e propinato) e calano i livelli di ossido della trimetilammina (TMAO). Quest’ultimo, prodotto da una non ancora ben qualificata categoria di batteri intestinali, è ritenuto “non favorevoleâ€? perchĂŠ aiuta il trasporto del colesterolo alle arterie e comporta piĂš alti tassi di mortalitĂ . Fin dall’antichitĂ i formaggi, soprattutto quelli stagionati, erano ritenuti non solo buoni ma anche salutari, come pure talune carni fermentate, per cui non ci dovremmo stupire se la ricerca, in futuro, dovesse dimostrare i loro effetti benefici, anche e soprattutto nella regolazione del microbiota. Prof. Em. Giovanni Ballarini UniversitĂ degli Studi di Parma
Quanto ne sa il vostro software di carne? Il nostro davvero tanto. 3URFHVVL VSHFLĂ&#x20AC;FL GL VHWWRUH integrazione di macchine e LPSLDQWL PRQLWRUDJJLR H UHSRUWLQJ ULQWUDFFLDELOLWj RWWLPL]]D]LRQH ULFHWWH JHVWLRQH TXDOLWj H PROWR altro. CSB-System è il software aziendale per il settore Carne. La soluzione completa comprende (53 )$&725< (53 H 0(6 H LQFOXGH giĂ le Best Practice aziendali. Siete curiosi di sapere esattamente perchè i leader del settore si DŕŠ&#x2022;GDQR DO &6% 6\VWHP" CSB-System S.r.l. Via del Commercio 3-5 | 37012 Bussolengo (VR) 7HO _ )D[ info.it@csb.com | www.csb.com
SAPORI DAL MONDO
Clifford’s Honey Farm, la dolcezza arriva dall’Italia di Massimiliano Rella
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Kangaroo Island, in Australia, la dolcezza è arrivata dall’Italia. Fino al 1880 nell’isola, la terza australiana per estensione dopo la Tasmania e l’isola di Melville, non esistevano api produttive. Furono così importate dalla Liguria in questo territorio ancora integro, perfetto per la piccola specie di Apis mellifera ligustica. L’isola “dei canguri” è per lo più pianeggiante ed è attraversata da vari fiumi e centinaia di torrenti. Il 30% della superficie è ricoperto da parchi nazionali, come
il Flinders Chase, 70.000 ettari di boscaglia ed eucalipti. Un luogo ospitale per gli animali. Nell’isola vivono infatti oltre 250 specie di uccelli, tra i quali pappagalli e aquile, canguri e wallaby (dei marsupiali di piccola taglia), iguane, koala e leoni marini. Il microclima e la grande varietà di piante ne fanno un ambiente naturale adatto all’apicoltura e consentono alle operose api liguri di fare un miele di qualità. Nel 1885 il governo del South Australia proclamò l’isola area protetta per le api liguri e da allora è vietato importarne di
altri tipi. Questo vincolo, insieme alla distanza dalla terraferma, ha garantito la purezza delle api di Kangaroo Island, che godono un’ottima fama per produttività e non aggressività. Alla presenza delle api liguri è legata la storia della Clifford’s Honey Farm, piccola azienda familiare di miele e derivati, di proprietà di DAVE NOLAN e della moglie JENNY CLIFFORD. Il bisnonno di Dave, il signor JOHN TURNER, fu uno dei due agricoltori che ricevette le api liguri nel lontano 1880. Dai due alveari utilizzati nel 1973 si è passati ai circa 300 di oggi; quel-
Api sui fiori di bottlebrush, Callistemon selvatico, sull’isola di Kangaroo, Australia.
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lo che all’epoca era poco più che un passatempo oggi è un’impegnativa realtà imprenditoriale, che occupa anche le figlie BEV e SHARON, i generi TONY e GREG, le nipoti KELLY e JULIE e 8 dipendenti. Nelle diverse stagioni gli alveari vengono spostati secondo le zone di fioritura per ottenere miele di sapori diversi. La ricchezza della vegetazione di Kangaroo Island rende possibile questo procedimento per la maggior parte dell’anno, tranne che in inverno, e così la produzione può arrivare fino a 20 tonnellate di miele. Per fare 500 grammi di miele occorre che le api succhino il nettare di ben 2 milioni di fiori, il che richiede qualcosa come 100.000 ore di volo. E nell’isola le api liguri trovano fiori di vari tipi di eucalipti — se ne contano 50 specie diverse — di alberi del tè, di banksia — piante selvatiche autoctone presenti in 170 specie con caratteristiche spighe floreali ricche di nettare — dei rossi bottlebrush dalle infiorescenze a cilindro (che ricordano gli scopini per pulire le bottiglie), di colza introdotta per la produzione dell’olio e di varietà endemiche. Un’arnia può ospitare 80.000 api: in ciascuna troviamo una regina, qualche centinaio di “droni”, cioè i maschi privi di pungiglione, e migliaia di operaie che vivono e lavorano solo 6 settimane. Una regina può rilasciare 2.000 uova al giorno e vivere cinque anni, arrivando a deporre milioni di uova. Il negozio della Clifford’s Honey Farm, aperto nel 1993, è sempre ben rifornito di miele, propoli, salse al miele per l’insalata, di gelato al miele, biscotti, cosmetici, prodotti di cera d’api e oggetti d’artigianato. Una confezione di miele da 500 grammi costa 5,70 aud (€ 3,90). Accanto al negozio, una sala raccoglie documenti che raccontano la storia delle api liguri e del miele sull’isola. Visite su prenotazione per 3 aud (€ 2,00). I prodotti aziendali sono in vendita anche all’interno dell’Adelaide Central Market. Massimiliano Rella >> Link: www.cliffordshoney.com.au Nota Photo © Massimiliano Rella.
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In alto: affumicatura delle api nella fattoria Clifford in Australia. In basso: la vendita del miele nel negozio della Clifford’s Honey Farm.
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IL GUSTO DI CAMMINARE Dal Mar Tirreno al Mar Ionio
Basilicata Coast to Coast di Elena Simonini
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opo avervi suggerito, nelle precedenti proposte di cammino, itinerari tutto sommato convenzionali e allo stesso tempo piuttosto brevi, questa volta voglio condurvi per almeno un’intera settimana (se siete ben allenati), oppure anche più (se volete prendervela con calma), attraverso la Lucania, dal Mar Tirreno al Mar Ionio, in un meraviglioso percorso che si ispira al delizioso film Basilicata Coast to Coast. La pellicola, uscita nel 2010 per la regia di ROCCO PAPALEO, con ALESSANDRO GASSMAN, MAX GAZZÈ,
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GIOVANNA MEZZOGIORNO e con lo stesso Papaleo, racconta della avventura di quattro musicisti squinternati, componenti della band “Le Pale Eoliche”, i quali decidono di partire da Maratea per raggiungere a piedi, insieme ad un cavallo bianco che trascina un carretto con sopra gli strumenti e tutto quanto necessario, la località di Scanzano Jonico, dove annualmente si tiene un festival musicale cui intendono partecipare. Il film è di una bellezza e di una tenerezza commoventi e, se ancora non l’avete visto, sarà d’obbligo farlo prima
di partire, per entrare immediatamente nella autenticità di questa incantevole terra, ricca di panorami e di scorci davvero inaspettati. Non credo sarà facile che voi possiate realizzare la vostra impresa insieme ad un cavallo bianco con carretto per trasportare gli zaini, l’acqua e le derrate alimentari! Tuttavia, non appena vi incamminerete, se avete anche voi la passione del viaggio a piedi, vedrete che non vi mancheranno la forza e la determinazione per affrontare con tenacia questo lungo itinerario, alla
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scoperta di paesaggi unici e incantevoli, e arrivare così, esausti ma felici, alla fine della vostra avventura, il Mar Ionio. La motivazione, in fondo, sarà anche quella del film che, con la voce fuori campo di uno dei protagonisti, proprio dalla prima scena, recita: “Signori e signore, trovatevi una passione e andategli appresso fino in fondo”. Basilicata Coast to Coast è un cammino di circa 230 chilometri, eventualmente modulabile e modificabile e, in alternativa, praticabile anche in mountain bike. Vi consiglio di percorrerlo proprio come i protagonisti del film, in direzione da ovest a est, con partenza da Maratea, la quale è un po’ come la Rio de Janeiro italiana con la sua statua del Cristo Redentore, a braccia aperte, che si erge imponente (come dimensioni è infatti seconda solo alla statua brasiliana) sul Monte di San Biagio. Da lì, prima di partire, potrete vedere un panorama mozzafiato su tutto il Golfo di Policastro che, credetemi, non dimenticherete facilmente.
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Matera, cultura, arte e riflessioni su una nuova identità Era al terzo posto dei 52 luoghi da visitare dello scorso anno, 52 Places to go, la classifica redatta dal New York Times. Se nel 2018 era una meta curiosa da suggerire ai lettori del quotidiano statunitense, quest’anno è praticamente d’obbligo, dato che Matera è la Capitale europea della cultura nel 2019, insieme a Plovdiv in Bulgaria. La città dei Sassi, patrimonio mondiale dell’UNESCO, è pronta ad accogliere i visitatori in arrivo da tutto il mondo con un calendario ricco di appuntamenti, mostre e produzioni culturali originali. Sono cinque i temi che si svilupperanno nel corso dei mesi, l’analisi delle infinite possibilità del dialogo fra uomo e natura, il rapporto di Matera con la modernità — tutt’oggi conflittuale — quello delle riflessioni e connessioni, delle utopie e delle proprie radici. >> Link: www.matera-basilicata2019.it www.instagram.com/matera2019
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Il pezzente della montagna materana Già nel 1931 la prima edizione della Guida del Touring Club consigliava di soffermarsi nel Materano per gustare il pezzente. Il nome di questa salsiccia rimanda alle origini della vita contadina, alla necessità di conservare più a lungo possibile la carne e, soprattutto, di utilizzare al meglio ogni parte del maiale. Mentre le parti “nobili”, erano usate dai contadini per la produzione di soppressate, pancette e guanciali, al pezzente erano riservati i tagli poveri. Anche le parti della gola, invase dal sangue all’atto della macellazione, i nervetti, i muscoli più difficili da sminuzzare, lo stomaco, il grasso residuo delle lavorazioni precedenti: tutto quanto era tagliato a striscioline e poi tritato. Alla miscela di carni si aggiungeva peperone dolce di Senise, o peperone piccante, ridotto in polvere, finocchio selvatico, aglio fresco tritato e sale marino. Le stesse operazioni sono ancora compiute oggi in modo manuale. La fase più delicata è quella dell’amalgama tra carne e concia, chiamata localmente arricciatura: occorre premere l’impasto energicamente con i pugni chiusi sino a quando non diventi perfettamente omogeneo. A questo punto si usa prelevare una parte d’impasto e soffriggerla in un tegame (lo sartascnill) per verificare se il sale e gli altri ingredienti siano dosati al punto giusto o se occorra aggiungerne ancora prima dell’insacco. La produzione del pezzente avviene da novembre a marzo. La stagionatura minima è di due settimane per il consumo in cucina e di tre settimane per il consumo crudo. Si mangia comunemente a fette con un buon pane casereccio, ma il pezzente si utilizza anche per preparare il “sugo rosso” col quale si condisce la pasta fatta in casa o si unisce a verdure come cicoria, bietole, scarola, cuocendolo, come secondo piatto, nelle pentole di coccio (fonte: www. fondazioneslowfood.com; photo © Elena Benedetti).
Da Maratea a Scanzano Jonico il percorso, compreso tra i due mari, è molto vario ed affascinante e si svilupperà davanti ai vostri occhi nella splendida scenografia di una natura selvaggia, tra le montagne dell’Appennino Lucano (fra le quali svetta il Monte Sirino con i suoi oltre duemila metri di altitudine), i paesaggi rocciosi, i calanchi, i laghi, ed inoltre intorno al meraviglioso Parco Nazionale del Pollino. Non mancherete poi di imbattervi anche in stupendi e suggestivi borghi antichi, come ad esempio Trecchina, Latronico, oppure Lauria, con le sue case letteralmente aggrappate alle montagne, o Craco, stupefacente paese fantasma, abbandonato nel 1963 a causa di una frana, o ancora Aliano, luogo di confino del grande poeta, scrittore e pittore, CARLO LEVI. Ed è appunto ad Aliano che l’esperienza
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rocambolesca delle “Pale Eoliche” del film di Papaleo culmina in quel brindisi memorabile e simbolico, col celebre vino Aglianico del Vulture, in onore e in memoria di GIANMARIA VOLONTÈ il quale, nell’anno 1979, interpretò proprio Levi nel film “Cristo si è fermato a Eboli” di FRANCESCO ROSI. Il cammino di Basilicata Coast to Coast è lungo e faticoso, ma bellissimo e indimenticabile, e vi permetterà di godere di una avventura fantastica, immersi in paesaggi davvero unici e stupefacenti, per puntare così fieri ed orgogliosi, sempre e solo con la forza delle vostre gambe e della vostra testa, verso la costa ionica, verso cioè nientemeno che l’antica Magna Grecia, culla della civiltà occidentale. Se poi, proprio come i protagonisti del film, vorrete partecipare o assistere al Festival di Scanzano Jonico, il famoso
Scanzonissima, dovrete programmare di partire nella seconda metà di luglio, quando le alte temperature rischieranno di mettervi ulteriormente a dura prova. Tuttavia, se perseguirete l’obiettivo sempre concentrati sulla meta, non avrete problemi e sarete ricompensati dalla piazza di Scanzano vestita a festa e incredibilmente scintillante. E in ogni modo, qualsiasi sia la vostra prerogativa, nel viaggio come nella vita, “Signori e signore, trovatevi una passione e andategli appresso fino in fondo”. Elena Simonini Nota Alle pagine 74 e 75, Matera. Nota con gli appellativi di “Città dei Sassi” e “Città Sotterranea”, è una delle città abitate più antiche al mondo (photo © Andreas Edelmann – stock.adobe.com).
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WEEK-END
Vermeyden Delicatessen, tipicità olandesi e sapori mediterranei a Rotterdam di Massimiliano Rella
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Anja Sies, proprietaria della gastronomia Vermeyden di Rotterdam, con una forma di formaggio olandese Stompetoren.
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ai salumi agli arrosti di manzo, alle polpette, fino ai formaggi di città: uno scrigno di delicatessen tutte da gustare, tipicità olandesi e sapori mediterranei. È il negozio fondato nel 1908 a Rotterdam, nell’Olanda meridionale, dalla famiglia VERMEYDEN. Acquistato nel 2005 dalla famiglia SIES, originaria della città, oggi è gestito dalla signora ANJA, con il marito e 20 dipendenti. «Ho fatto per vent’anni la farmacista — ci confida la simpatica e sorridente Anja Sies — ma già allora sognavo un’attività che mi permettesse un contatto più facile e immediato con i clienti, di consigliare e presentare qualcosa di più gustoso e piacevole delle medicine. Così decisi di cambiare del tutto, abbandonando sciroppi e pillole per formaggi, salumi e altre specialità gastronomiche. Una scelta fin qui positiva». Sugli scaffali e nel bancone troviamo prodotti di provenienza europea e non solo: prosciutti italiani e spagnoli, oli extravergini d’oliva, vini, frutta secca, dolci. Tutti selezionati e di qualità, che possiamo comprare o degustare nel locale. Non abbiamo che da accomodarci nella saletta dedicata e scegliere oppure lasciarci consigliare. L’assaggio dei prodotti olandesi costa dai 10 ai 15 € a persona. Il negozio occupa uno spazio di 250 m2 con un concept originale e moderno, grandi scansie tutto intorno e al centro tavolini e sedie per consumare un caffè piuttosto che un’insalata o un tagliere di formaggi e salumi. Tra questi ultimi potremmo cominciare con il Gekookte Worst, uno spesso würstel di carne di maiale, oppure con i saporiti arrosti di manzo e le polpette, come quel-
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Interni dello spettacolare Markthal, il mercato coperto di Rotterdam, il cui edificio è stato curato da MVRDV, noto studio di architettura e urban design della città olandese. le al tartufo. Il bancone dei formaggi è così fornito da lasciarci a bocca aperta, appena il tempo di cominciare con gli assaggi. Sono stipati in bella vista tanti prodotti nazionali ed esteri a base di latte di mucca, capra, pecora o di bufala, da quelli con la crosta naturale, sapidi, piccanti o stagionati, ai più cremosi e delicati. Lo Stompetoren, per esempio, è un formaggio di latte di vacca o di capra del Nord dell’Olanda, dove sui terreni ricchi di argilla nascono erbe particolari per l’alimentazione degli animali, prodotto nelle versioni fresco di 3 mesi, oppure di 6, 12, 18 mesi, il
grand cru. A pasta gialla, ha un sapore leggermente dolce, con note erbacee, più intenso, pastoso e di colore ramato con l’invecchiamento. Il prezzo varia dai 12 ai 20 € al kg per il grand cru. Il Tynjetaler, originario della Frisia, è invece un formaggio che ricorda la groviera, con piccoli buchi, morbido e delicato; in bocca sprigiona note di fermenti lattici. Ultima novità è il Rotterdam Cheese, formaggio a marchio protetto voluto dalla città di Rotterdam in risposta all’Amsterdam Cheese; una bonaria rivalità e una sana competizione com-
Sugli scaffali e nel bancone di Vermeyden Delicatessen troviamo prodotti di provenienza europea e non solo: prosciutti italiani e spagnoli, oli extravergini d’oliva, vini, frutta secca, dolci. Tutti selezionati e di qualità, che possiamo comprare o degustare nel locale, in una saletta dedicata
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battute fetta su fetta. Il formaggio, fatto con latte di mucca, esiste anche in una versione stagionata 24 mesi. I vini? Tante le etichette interessanti che provengono da ottime cantine di Francia, Italia, Portogallo, ma anche Nuova Zelanda, California e Argentina. E ora rassicuriamo i più golosi: li aspettano dolci speciali. I Salmiak sono praline di cioccolato bianco e yogurt ripiene di crema di liquirizia salata; gli Stroopwafel con sciroppo di caramello; i graziosi Nijntje, coniglietti di cioccolata tipici olandesi. L’offerta include anche cioccolato e cioccolatini di produzione artigianale e del commercio equo e solidale, mentre i caffè, esclusivamente di qualità arabica, la più pregiata, lavorati da esperte torrefazioni, si distinguono per aroma intenso e sapore raffinato. In alternativa bella scelta di tè e infusi. Massimiliano Rella >> Link: vermeydendelicatessen.nl Nota Photo © Massimiliano Rella.
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SONO 180 GRAMMI, LASCIO?
Super Furry Animals di Giovanni Papalato
«Finché le leggi della matematica si riferiscono alla realtà non sono certe e, finché sono certe, non si riferiscono alla realtà» Albert Einstein 1922, Sidelights on Relativity
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uper Furry Animals, letteralmente “animali super pelosi”. A Cardiff, nei primi anni ‘90, c’era un collettivo chiamato così. GRUFF RHYS lo vide scritto sulle magliette che la sorella stava stampando in casa e decise che era perfetto per la sua band. Non è dato sapere a cosa si riferissero precisamente quando i musicisti di un gruppo alternative rock gallese scelsero quel nome. Io invece non ho dubbi ad associarvi il maiale di razza Mangalica. Lo so che sembra ridicolo, ma l’avete mai visto? Si tratta, infatti, di maiali tipici delle valli del Danubio, caratterizzati da un pelo folto e riccio, in genere biondo, che li fa somigliare più a pecore che a suini. Crescono lentamente, allo stato brado, e producono carni molto grasse ma con un basso grado di colesterolo (sono infatti ricche di grassi insaturi). Queste caratteristiche hanno fatto sì che in epoca moderna gli allevatori sostituissero la Mangalica — molto resistente al clima rigido —con razze più adatte all’allevamento intensivo e con caratteristiche di maggiore magrezza e crescita più rapida. Fortunatamente, dopo aver quasi rischiato l’estinzione, verso la fine degli anni ‘90 si sono riscoperte le qualità della Mangalica e l’allevamento di questo suino ha ripreso a crescere, tanto che in Ungheria, dal 2007, viene organizzato il Mangalica Fesztivál. La rinascita di questa razza suina è testimoniata anche dalla sua presenza nei menù di alcuni fra i più grandi ristoranti del mondo. Personalmente, ne ho assaggiato il prosciutto in un banco
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storico al Mercato delle Vettovaglie di Livorno, rimanendone entusiasta. Il giorno dopo, tornato a casa, ho messo sul giradischi Fuzzy Logic, appunto di Super Furry Animals. All’inizio dei Novanta, discostandosi dalla musica techno che suonavano in principio, i
Super Furry Animals pubblicano due EP per l’etichetta indipendente Ankst, il primo dei quali in gallese. Sono anni in cui, sull’onda del Welsh Language Act, band come Manic Street Preachers, Catatonia e Gorky’s Zygotic Mynci diventano l’espressione di un fermento
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culturale importante. È la fine del 1995 quando si concretizza l’occasione che cambierà la loro carriera: Alan McGee li vede suonare e li vuole per la sua Creation. Pochi mesi dopo esce il loro debutto Fuzzy Logic. Se facciamo un balzo in avanti di più di due decenni per arrivare ad oggi e, guardando indietro, scorriamo le immagini, troviamo un carro armato acquistato dalla band e utilizzato come sound system nomade in giro per i festival estivi, una raccomandazione parlamentare sul mancato utilizzo della lingua gallese, singoli di successo ultra profani e alcune delle più strane musiche pop mai finite in classifica. Il mondo di Super Furry è un posto strano e bellissimo e, a posteriori, possiamo dire che il quintetto gallese ci stava semplicemente invitando nel suo mondo più semplice. Semplice, non facile. L’iniziale God! Show Me Magic è una furia glamour di 110 secondi, punk e pop, uno sfrontato ossimoro che ci trascina in 40 minuti di canzoni su criceti, unicorni, signori della droga e annunciatori delle previsioni del tempo. Fuzzy Birds è una favola lisergica e irreale, di fiati, distorsioni, ritornello catchy e falsetto. Con Something For The Weekend siamo di fronte ad un brano che ha
tutto per essere un classico. Una corsa verso il ritornello beatlesiano, un solare e liberatorio singalong che non ti lascia quando il brano finisce. Quando parte Frisbee sembra di sentire Pavement e invece ci si muove tra reminiscenze Seventies. Hometown Unicorn è pura psichedelia distillata, poi mischiata col pop e infine rovesciataci addosso. Gathering Moss è una ballata quasi rinascimentale, una chitarra acustica e una voce lontana che sfociano in un epilogo puramente West Coast. Il primo lato si chiude con If You Don’t Want To Destroy You, forse l’episodio musicalmente più convenzionale in ambito britpop del disco, se non fosse per la coda che assomiglia più a una ironica provocazione. Sono velocemente trascorsi venti minuti ma carichi di stimoli e sollecitazioni. Il lato B si apre con un delirio fatto di Fuzz, mellotron, distorsioni vocali e loop che si chiama Bed Behaviour. La tastiera confidenziale con cui si apre Mario Man si perde nella voce filtrata dal vocoder e prende spazio con un giro di basso che si imprime e ci gira intorno, salendo di ritmo. Il protagonista di Hangin’ With Howard Marks è proprio Mr. Nice, uno dei più grandi spacciatori di marijuana degli
anni ‘80 (quando per la sua attività poteva contare 43 false identità) e ha il sapore di una celebrazione irriverente e compiaciuta. Ci sono archi marcatamente mediorientali a caratterizzare la litania di Long Gone e renderla insieme a una struttura veramente minimale qualcosa di inedito rispetto al resto dell’album. La conclusiva For Now And Ever è una pop song smaccatamente Sixties che ha il sapore del vero e proprio commiato e, mentre una voce fuori campo ribadisce il titolo del brano, tutto si conclude come alla fine di un party. E così ci si sente piacevolmente storditi. Fuzzy Logic è il primo disco di Super Furry Animals e, come già espresso, l’introduzione ha qualcosa di estremamente bello e non convenzionale in ambito Indie-pop. Proprio come Livorno, dove ho capito quanto mi piace il prosciutto di Mangalica. Da Carlo, se vi capiterà di andare, ditegli come vi garba Fuzzy Logic. Giovanni Papalato The Worst Taste In Music su Radio Antenna 1 FM 101.3 La Barberia Records Two Lonely Beards Once We Were Kids
La razza Mangalica — o Mangalitza, Mangalitsa — era molto diffusa in passato in Ungheria e nei paesi limitrofi (es. Romania) per la qualità delle carni, impiegate ad esempio per la produzione di salame ungherese. L’origine è incerta: deriverebbe direttamente dal cinghiale europeo (Cornevin), dall’incrocio tra il porco domestico europeo e quello indiano (Nathusius), dal maiale turco (Fitzinger) o dall’incrocio tra il maiale indiano e il cinghiale (Monostori). I suini di questa razza fecero la fortuna degli allevatori ungheresi e di altri paesi balcanici, che ne esportavano in gran numero, specialmente nella seconda metà del secolo XIX e nei primi decenni del XX, sino a quando le razze inglesi si diffusero con rapidità e gli animali molto grassi vennero sempre meno ricercati. Una caratteristica precipua della Mangalica è infatti quella di depositare un’enorme quantità di grasso, il cui spessore sul dorso può superare i 20 cm; anche la carne, gustosissima, è abbondantemente infiltrata di grasso. Il carattere tipico della razza è costituito però dal pelame, in genere biondo o bianco, ma anche nero o ventre di rondine. Le setole sono di due tipi: alcune, lunghe cm 6-8 e spesse 200-230 micron, sono comuni setole; altre, più corte (4-5 cm) e più fini (40-55 micron), sono crespe e conferiscono all’animale un aspetto particolare. Non sono animali di grande mole (l’altezza è di 70-75 cm), ma bene ingrassati possono raggiungere anche i 220-230 kg. Il numero di maialetti per parto è di 6-8 soltanto, ma la carriera riproduttiva è lunga e la resistenza ad avverse condizioni climatiche (freddi intensi) è accentuata (fonte: www.agraria.org; photo © Manfred Ruckszio).
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RASSEGNE
769 chili di Superzampone: trenta volte buono È stata festa grande per la trentesima edizione che celebra il gigante rosa di Castelnuovo Rangone e il suo ideatore, Sante Bortolamasi, a cui è stato intitolato il passaggio sotto il voltone a lato del palazzo municipale del paese
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a oggi a Castelnuovo Rangone, il paesino in provincia di Modena che il suo amore per il maiale lo ha messo in piazza, dedicandogli addirittura un monumento, c’è il vicolo “Cavalier Sante Bortolamasi – Re dello Zampone”. All’ideatore della festa infatti, scomparso nel 2012, è stato intitolato il vicolo che col-
lega il palazzo municipale al torrione, dove il Superzampone cuoce nei quattro giorni precedenti la manifestazione, all’interno della speciale zamponiera realizzata ad hoc. Trenta candeline e 3.000 porzioni di zampone servite gratuitamente, insieme all’immancabile contorno di fagioloni e ad un bicchiere di Lambrusco: migliaia di persone, lo
scorso 2 dicembre, non hanno voluto mancare all’annuale appuntamento con la sagra organizzata dal comune di Castelnuovo Rangone e dall’Ordine dei Maestri Salumieri Modenesi. «L’intitolazione a Sante — ha rimarcato il sindaco MASSIMO PARADISI — è un omaggio doveroso ad un castelnovese che ha fatto tanto per tante persone. È un onore e un
La bilancia ha segnato uno straordinario peso di 769 kg per il Superzampone edizione 2018, distante qualche quintale da quei 1.038 kg raggiunti nel 2014 ed entrati di diritto nel “Guinness dei primati”, ma i “Maestri” hanno identificato in queste dimensioni la stazza “perfetta” per poter servire in piazza lo zampone “più buono del mondo”.
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Festa dello Zampone e del Cotechino Modena Igp: il Consorzio di Tutela celebra le due specialità nella loro città d’origine Dal 7 al 9 dicembre scorsi, in pieno week-end natalizio, Modena si è ancora una volta trasformata nella capitale dello Zampone e del Cotechino Modena Igp. E, come per le precedenti edizioni, tutta la città è stata pervasa dai profumi delle ricette a base di queste due eccellenze della tradizione modenese realizzate, per questa ottava edizione della festa, dai giovani chef delle scuole alberghiere di tutta Italia che hanno preso parte al concorso “Lo Zampone e il Cotechino Modena Igp degli chef di domani”, promosso dal Consorzio Zampone e Cotechino Modena IGP. Per partecipare al concorso, al quale è stato possibile iscriversi da giugno a ottobre, ai giovani allievi è stato chiesto di creare dei piccoli capolavori del gusto a base di queste due eccellenze modenesi. Di tutte le ricette pervenute allo chef Massimo Bottura, numero uno al mondo con la sua Osteria Francescana, dopo un’attenta disamina ne sono state selezionate 10. Vincitrice, un po’ a sorpresa, Jennifer Massier, di una scuola tedesca (in foto). Assoluta novità del 2018 è stato il Concorso indetto dal Consorzio aperto anche agli studenti stranieri: l’opportunità è stata riservata agli alunni della JRE – Jeunes Restaurateur e della Dehoga Akademie grazie a una partnership nata nell’ambito della campagna “Autentico Piacere Europeo – European Authentic Pleasure”, cofinanziata dall’UE, cui ha aderito il Consorzio Zampone e Cotechino Modena Igp. Intento dei promotori è stato quello di valorizzare e incentivare la creatività degli alunni e giovani cuochi di domani nell’ideazione di ricette “che sanno di Europa” a base di Zampone e Cotechino Modena Igp, in abbinamento con altri prodotti Dop e Igp europei. >> Link: www.piaceremodena.it
orgoglio festeggiare questa trentesima edizione: il nostro ringraziamento va quindi a tutte le persone che in questi anni ci hanno permesso di raggiungere un traguardo così significativo. Essere qui oggi conferma che l’intuizione di Sante, quella cioè di celebrare in maniera divertente e popolare la nostra tradizione, è valida più che mai». La scopertura della targa ha preceduto l’inizio della festa, quando cioè, poco dopo mezzogiorno, il braccio meccanico ha sollevato il Superzampone, che quest’anno ha raggiunto il peso di 769 kg, e lo ha depositato sul palco
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della manifestazione, di fronte al numeroso pubblico accorso già dal mattino. Tanti gli ospiti presenti: la conduttrice RAI METIS DI MEO, l’attrice SANDRA MILO, madrina della rassegna, lo scrittore ed editorialista del CORRIERE DELLA SERA ANTONIO FERRARI e una nutrita rappresentanza dei sindaci dei Castelnuovo d’Italia uniti dal Patto di Fratellanza. A condurre le danze i due conduttori radiofonici Enrico e Sandro de La Strana Coppia e STEFANO BORTOLAMASI, il quale, commosso, ha voluto ricordare dal palco, oltre al padre Sante, tanti amici, maestri salumieri e volontari della manifestazione scomparsi
in questi anni. L’onore della prima fetta è toccato al sindaco Massimo Paradisi e a LUISA FALCHI VECCHI, presidente dell’Ordine dei Maestri Salumieri Modenesi, mentre il pubblico ha applaudito la Famiglia Pavironica ovvero SANDRONE, la maschera tradizionale della città di Modena, con la moglie PULONIA e il figlio SGORGHÌGUELO, che si è ritrovata per la prima volta a “sproloquiare” dal balcone del palazzo municipale di Castelnuovo. La festa è proseguita per tutta la giornata, con la musica della Banda Municipale di Fanano, i mercatini lungo le vie del centro, gli asinelli di
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Qualche immagine della trentesima edizione del Superzampone, con le tante persone che non hanno voluto mancare anche questâ&#x20AC;&#x2122;anno alla grande festa di Castelnuovo Rangone. La cittadina modenese ha reso omaggio al suo ideatore, Sante Bortolamasi, scomparso nel 2012, con una targa e lâ&#x20AC;&#x2122;intitolazione di un vicolo nel centro storico.
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Alcuni rappresentanti dell’Ordine dei Maestri Salumieri Modenesi con Sandra Milo e Metis Di Meo. Gombola, lo street food con specialità del territorio. E anche quest’anno il taglio ufficiale è stato preceduto da un’ante-
prima speciale: il taglio del Minizampone con i bambini delle classi quarte delle scuole Anna Frank di Montale e
Don Milani di Castelnuovo che hanno partecipato al progetto didattico “Per mangiarti meglio”.
L’invenzione della festa dello zampone più grande del mondo risale al 1989 ed è legata allo scherzo di un gruppo di castelnovesi che mise in mostra uno zampone di cartapesta lungo due metri. L’idea fu raccolta dal “re dello zampone”, Sante Bortolamasi, che, con alcuni amici, pensò di realizzarne uno vero farcito con il classico ripieno. Da allora la festa, che celebra in un clima carnevalesco e gioioso la tradizione dell’industria alimentare locale, è cresciuta di pari passo con lo zampone, arrivando ad attirare visitatori e curiosi da ogni parte d’Italia. Lo zampone gigante viene cotto in un’enorme zamponiera di acciaio inox lunga 4 metri. La preparazione e la cottura durano circa tre giorni. A mezzogiorno in punto, a cottura ultimata, viene “accompagnato” sul palco. “Lo zampone rappresenta il culmine della nostra tradizione, celebrando il maiale come simbolo del risultato raggiunto dalle famiglie dopo un anno di duro lavoro” scrivono sulla loro bella pagina web i rappresentanti dell’Ordine dei Maestri Salumieri Modenesi, un’associazione che ha dimostrato di potersi avvalere da tempo di una compagine numerosa e ben affiatata. “Nonostante negli anni siano venute a mancare numerose figure cardine, ultimo tra tutti Angelo Domati, ideatore della manifestazione assieme a Sante Bortolamasi e a Saverio Cioce, il presidente Luisa Falchi Vecchi è riuscita nell’intento di innestare nuova linfa tra le fila degli operatori. È merito di questi capitani delle storiche aziende salumiere presenti sul territorio modenese se ancora oggi è possibile continuare a celebrare con tanta imponenza, sua maestà il maiale”. La grande festa dello zampone vede ogni anno la partecipazione di ospiti dal mondo dello spettacolo e dello sport, oltre che la presenza delle maggiori autorità istituzionali, che hanno il compito di affettare il prezioso insaccato. >> Link: zampone.com
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Per la Fiera del Bue Grasso tutti a far l’aperitivo dai Chiapella! Anche per quest’ultima edizione della Fiera Nazionale del Bue Grasso di Carrù, giunta orgogliosamente alla sua 108a edizione e svoltasi il secondo giovedì antecedente il Natale, la famiglia Chiapella, proprietaria della storica macelleria-salumeria situata nel centro di Carrù e dell’omonimo Salumificio di Clavesana, ha invitato clienti ed amici, oltre ai visitatori di passaggio, al tradizionale aperitivo in bottega, per gustare insieme le specialità salumiere che i Chiapella esportano con successo da anni in Italia e nel mondo insieme ad un bicchiere di vino. Il plus dell’evento? Il contorno musicale dei simpaticissimi Trelilu, gruppo comico che si esibisce in dialetto piemontese (in foto, Alessandro e la sorella Elisabetta Chiapella, l’allestimento della bottega in occasione della fiera e il salame 100% razza Piemontese, prodotto, come dice il nome, con carni bovine piemontesi, senza aggiunta di altre carni. Insaccato a mano in un budello naturale di bovino, è di colore scuro, molto magro; al palato richiama il gusto delicato della bresaola). >> Link: www.chiapellasalumi.it
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FIERE
Sempre più MarcabyBolognaFiere Bologna si conferma occasione di networking internazionale coinvolgendo l’intera filiera produttiva e distributiva, strategica per analizzare i trend di mercato, anche attraverso gli strumenti a disposizione degli operatori per pianificare il business e attivare nuovi contatti commerciali
È
da poco iniziato il nuovo anno e puntualmente gli operatori si sono ritrovati a Bologna, il 16 e 17 gennaio scorsi, per due lunghe e intense giornate di incontri nel quartiere espositivo della città. MarcabyBolognaFiere è l’unica manifestazione italiana dedicata ai prodotti a Marca del Distributore. Giunta alla quindicesima edizione, MarcabyBolognaFiere si è accreditata
in questi anni come l’appuntamento d’eccellenza per la business community del settore, dove l’industria di marca ha l’opportunità di sviluppare relazioni con le principali insegne della DMO che in fiera espongono e promuovono annualmente le loro politiche di MDD. L’evento, organizzata da BolognaFiere, è patrocinato da ADM, Associazione Distribuzione Moderna. Questa edizione ha visto la presenza di 750 espositori
su 38.000 m2 di superficie suddivisa su quattro padiglioni (+8% rispetto al 2018). Il programma convegnistico era focalizzato sui temi di maggior interesse per gli operatori, con l’analisi dei trend di mercato, fondamentali per lo sviluppo delle strategie di business sui mercati nazionali e internazionali. La business community MDD È un segmento di mercato in grande
Il Prosciuttificio Leonardi di Marano sul Panaro (MO). L’azienda, nata nel 1988, fa parte del Consorzio del Prosciutto di Modena Dop.
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1) La Cooperativa Lavoratori Agricoli Imolesi di Imola (BO). 2) Marcello Palmieri, Salumificio Mec Palmieri di San Prospero (MO). 3) Ibis Salumi, Gruppo Cremonini, a Marca con novitĂ riguardanti salumeria tradizionale, libero servizio e linea snack.
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1) Esseoquattro di Carmignano di Brenta (PD), packaging alimentare per alimenti freschi. 2) A Marca anche “I Formaggi della Famiglia Busti”, il marchio distintivo dei prodotti del Caseificio Busti di Acciaiolo (PI). 3) Raspini, Salumieri Piemontesi dal 1946. 4) Il Salumificio Veroni di Correggio (RE). 5) La Marr di Rimini, società leader nella distribuzione di prodotti alimentari alla ristorazione extradomestica. 6) Nello stand del Salumificio Pavarotti di Castelnuovo Rangone (MO), Enea Pavarotti e Vincenzo Franceschini del Salumificio Franceschini Gino di Spilamberto (MO), in fiera con le specialità artigianali della salumeria emiliana.
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sviluppo, pesa ormai per 1 acquisto su 5 nella distribuzione moderna, fidelizza i consumatori, cresce in assortimento, linee e referenze e rappresenta la vera novità, rispetto ai prodotti di marca industriale, in un panorama dei consumi di beni alimentari e non alimentari a crescita zero. L’interesse per MarcabyBolognaFiere ha varcato i confini italiani accogliendo le delegazioni di buyer internazionali provenienti da 14 Paesi, grazie al programma di incoming sviluppato in collaborazione con ITA – Italian Trade Agency. I prodotti MDD I prodotti a Marca del Distributore sono ormai prossimi al 20% del mercato, sviluppano un giro d’affari di circa 10,3 miliardi di euro, cifra che si prevede raggiungerà gli 11 miliardi entro il 2020, e sono trainanti per l’industria alimentare italiana, come hanno evidenziato le anticipazioni emerse in due momenti centrali della manifestazione: il convegno inaugurale “Sicurezza, tracciabilità e qualità della Marca del distributore per la tutela del consumatore. Quale ruolo della Distribuzione Moderna e quali evoluzioni nel rapporto con i copacker”, organizzato da ADM in collaborazione con The European House – Ambrosetti, e la presentazione del XV Rapporto Marca sull’evoluzione dei prodotti a marca del distributore in Italia. Garanzie e valori della marca del distributore, organizzato da BolognaFiere in collaborazione con ADM, a cura di IRI e NOMISMA. Il balzo in avanti segnato dalla MDD vale circa il 30% della crescita totale dell’industria alimentare, sulla quale negli ultimi 14 anni ha più che raddoppiato la sua incidenza, oggi al 7,3%. Diversificazione e aumento delle referenze, personalizzazione delle linee produttive, innovazione nelle confezioni, chiarezza nella tracciabilità e garanzia nella sicurezza dei prodotti sono le caratteristiche che hanno dato slancio alla MDD nel guadagnare terreno, reputazione e fiducia dei consumatori. Lo scorso anno, per la prima volta, la quota di prodotti MDD premium ha superato quelli con primo prezzo. Ormai, per 1 consumatore su 2, la MDD è la prima scelta e non un prodotto sostitutivo della marca industriale, soprattutto nel fresco, categoria Carne e Salumi e Ortofrutta.
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In alto: Lorenzo Levoni, Vania Mozzato e Gesualdo Mastruzzo nello stand di Alcar Uno di Castelnuovo Rangone (MO), azienda specializzata nella lavorazione personalizzata della carne suina. In basso: Bresaole Pini di Grosotto (SO). Nato nel 1982 dalla tradizione di macelleria e salumeria valtellinese, il gruppo Pini è una realtà solida e molto conosciuta all’estero.
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Diversificazione e aumento delle referenze, personalizzazione delle linee produttive, innovazione nelle confezioni, chiarezza nella tracciabilità e garanzia nella sicurezza dei prodotti sono le caratteristiche che hanno dato slancio alla MDD
In alto: Felsineo di Zola Predosa (BO), leader nella produzione e commercializzazione della mortadella e Mortadella Bologna Igp. In basso: Casa Montorsi di Vignola (MO), a Marca con i migliori salumi della tradizione. Packaging strategico Il packaging è stato protagonista in fiera attraverso due iniziative: il convegno “Packaging design e innovazione: processi, comunicazione, mercati”, organizzato da IED Milano, Scuola Postgraduate in collaborazione con BolognaFiere, e la terza edizione del premio ADI Packaging Design Award, che ha valorizzato le soluzioni più innovative esposte negli stand, selezionate nel corso della prima giornata di fiera da una commissione di esperti. Sempre più bio La crescita dei prodotti biologici ha completato il quadro degli incontri, con l’appuntamento a cura di ASSOBIO nella seconda giornata di MarcabyBo-
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lognaFiere: il tema è stato al centro del convegno “Tutti assieme appassionatamente (come gestire una linea biologica e vivere felici)”. Secondo le analisi presentate, le linee bio con Marca del Distributore stanno riscuotendo un grande successo di pubblico, riverberando una delle tendenze più apprezzate sul mercato alimentare a livello globale, letteralmente esploso nell’ultimo decennio. Le rilevazioni di NOMISMA incrociano i dati delle vendite realizzate nella grande distribuzione e nel canale specializzato (di cui si conferma l’assoluto rilievo, anche se lo studio è prevalentemente dedicato alla GDO) in tutta Italia e forniscono un quadro esaustivo della costante crescita del settore biologico (profilo degli acquirenti, ripartizione
geografica, peso delle aree merceologiche, prodotti più venduti e in più forte sviluppo), evidenziando come i trend di acquisto riflettono un cambiamento delle abitudini dei consumatori. «I nuovi dati confermano una volta di più che non si tratta di una moda, ma che la scelta bio si sta consolidando in maniera consapevole a livello internazionale. Un fenomeno che sta prendendo piede sempre di più in Italia, in tutta Europa, ma anche ovunque nel mondo, basti pensare alle performance delle nostre aziende in paesi come gli USA, la Cina e il Giappone» dichiara ROBERTO ZANONI, presidente di AssoBio. La fiducia sempre maggiore per il biologico da parte degli Italiani è sottolineata dal continuo incremento degli acquisiti; quelli nella Grande Distribuzione rappresentano circa il 45% del totale, con un tasso di crescita del 14%. A rimanere trainanti sono supermercati e ipermercati, dove chi acquista bio lo fa per comodità (33%), convenienza (13%) e assortimento (12%). Dai dati si evince inoltre una progressiva attenzione nei confronti di un’alimentazione non solo sana ma anche ecosostenibile: il 52% acquista bio alla ricerca di maggiori benefici sulla salute o per consiglio del medico, il 47% ritiene che il marchio bio sia garanzia di maggiore sicurezza e qualità dei prodotti, il 26% motiva l’acquisto con l’attenzione alla salvaguardia dell’ambiente. Contano poi l’origine italiana delle materie prime (58%), la qualità degli ingredienti (54%) e il metodo di produzione (46%) nel suo complesso. >> Link: www.marca.bolognafiere.it
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Ibis Salumi entra nel segmento merende, lancia nuovi prodotti antibiotic free e valorizza le tipicità calabresi Ibis, marchio controllato da Italia Alimentari (Gruppo Cremonini), è stato presente a Bologna alla fiera Marca 2019 di Bologna con le novità di prodotto riguardanti la salumeria tradizionale, il libero servizio e gli snack. Nell’area della salumeria tradizionale, grazie all’acquisizione di uno stabilimento di produzione in Calabria, l’azienda ha presentato una linea di eccellenze e tipicità calabresi a marchio Montagna. Tra i prodotti: la ‘nduja, la soppressata dolce e piccante, la salsiccia calabrese e il capocollo. Inoltre, è già attiva una produzione di salumi di suino Nero di Calabria, una razza autoctona allevata allo stato brado e alimentata con prodotti naturali come ghiande, castagne e cereali. Per il libero servizio l’azienda ha presentato Piccoli e buoni Ibis (in foto): quattro referenze di salumi affettati, ideali per la merenda, provenienti da filiere di allevamenti senza antibiotici dalla nascita, con solo conservanti di origine vegetale. La gamma comprende: prosciutto crudo (60 g), mini cotto (80 g), salame Milano (80 g) e mortadella (80 g). La scelta antibiotic free ever consente di eliminare ogni tipo di antibiotico fin dalla nascita dei suini ai quali sono assicurate migliori condizioni di vita e di rispetto del loro benessere in ambienti ottimali. Un’opportunità che l’azienda propone anche alla salumeria da banco, per la quale è stato presentato il Gran cotto buono di natura Ibis, senza antibiotici e con solo conservanti di origine vegetale. Nel mondo degli snack sono infine due i nuovi sandwich/tramezzini per il libero servizio che vanno ad ampliare la gamma dei prodotti Ibis Gourmet, linea di snack preparata con una selezione di materie prime eccellenti: sandwich di pane integrale con pollo, bacon e maionese o con tonno e pomodori, entrambi da 160 g. I salumi Ibis premiati ancora dalla guida “I Salumi d’Italia” Ibis ha ricevuto 4 prestigiosi riconoscimenti nella nuova edizione della guida I Salumi d’Italia 2019 edita da L’Espresso, pubblicazione che raccoglie e giudica la varietà e l’unicità della salumeria italiana nel mondo. Un panel di degustatori composto da chef stellati, sommelier professionisti, esperti norcini e critici gastronomici ha assaggiato oltre 500 salumi, valutato per categoria e poi assegnato i tradizionali “spilli” d’osso di cavallo: da tre per i “salumi di buona fattura” a cinque per le “eccellenze”. Sono stati esaminati in tutto 65 tipologie di salumi, di cui 30 eccellenze tra Dop e Igp, e numerosi prodotti tradizionali con forti legami territoriali o di grande importanza per diffusione e consumo. In totale sono stati presi in esame oltre 200 produttori per un totale di 44 eccellenze recensite con 5 spilli. Ibis Salumi ha ottenuto il massimo riconoscimento d’eccellenza, con l’assegnazione dei prestigiosi 5 spilli ai seguenti prodotti: • Culatta di Busseto Ibis (in foto): “La fetta dal colore invitante sprigiona profumi delicati e nobili, al gusto porta con sé aromaticità e delicatezza. Grazie alla stagionatura esemplare, la persistenza gustativa è intensa e piacevole. È il regalo perfetto per i grandi gourmand!”; • Mortadella Bologna IGP Gran Ducato Ibis: “Subito convincente al taglio, la fetta emana profumi delicati e avvolgenti, è croccante, setosa e intensa. È il risultato di un impasto equilibrato e ben realizzato”; • Bresaola della Valtellina IGP Ibis: “Colore rosso uniforme, la fetta soda conserva una bella elasticità, all’olfatto ha un’intrigante quota speziata ben integrata anche al gusto, assaggio tonico, gradevole e leggiadro. Dal sapore persistente”. In ultimo, anche il concept store di Ibis, Gourmè Soragna, è stato premiato con i 5 spilli di eccellenza tra i locali italiani per la miglior selezione di salumi. >> Link: www.ibis-salumi.com
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Cibus 2019: argine all’Italian sounding e al Local premium
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iere di Parma e FEDERALIMENTARE hanno unito le forze per affinare la nuova strategia fieristica di Cibus Connect, in calendario i prossimi 10 e 11 aprile. Tra gli obiettivi c’è anche quello di tutelare le eccellenze italiane dell’agroalimentare dai due fenomeni che maggiormente insidiano le nostre quote di mercato sui mercati internazionali: l’Italian sounding e il Local premium. Se il primo è ormai noto (anche se le stime delle sue dimensioni variano, a seconda delle fonti, da 30 a 50 miliardi di euro), il secondo è molto più nuovo ed insidioso soprattutto nel medio-lungo termine. Si tratta di operatori locali di vari Paesi che, ispirandosi ai prodotti italiani, spesso utilizzando le nostre tecnologie, “inventano” prodotti premium sostituivi sul piano funzionale
dell’authentic Italian. Se il Reggianito o l’aceto “Pompeian” sono casi evidenti di Italian sounding, certi oli di oliva monovarietà “spremuti a freddo” o grandi forme di formaggi “naturali stagionati” diventano “alternative” locali e concorrenti a molti prodotti di punta dell’export italiano. Diviene dunque fondamentale divulgare l’unicità del nostro sistema agroalimentare, costruito sul rapporto di lungo periodo tra le produzioni e i loro territori, nonché sulla resilienza di generazioni imprenditoriali che sono oggi il vero asset distintivo del settore. «Nel 2018 oltre 3.400 imprese italiane hanno esposto a Parma i loro prodotti — ha spiegato ANTONIO CELLIE, CEO di Fiere di Parma — ma anche accompagnato oltre 10.000 operatori provenienti da tutto il mondo a conoscere direttamente
le loro produzioni e le nostre filiere». Questa attività di education on site si amplierà grazie a Cibus Connect e alla sua contemporaneità con Vinitaly. «Cibus 2019 diventa così una tappa importante per consolidare il nostro export agroalimentare — ha detto ancora Cellie — che, nonostante le turbolenze internazionali, ha continuato a crescere del 3% anche nei primi 8 mesi del 2018. Cibus è e sarà anche l’occasione per fare un bilancio sugli accordi bilaterali su cui sta lavorando il Governo, che sembrano essere l’unica strada per garantirci un accesso ai mercati strategici, come sembra dimostrare il +3,1% fatto segnare dal Nord America nel 2018 fino ad oggi, anche grazie al CETA». >> Link: www.cibus.it
Cibus Connect, in calendario presso il quartiere fieristico di Parma il 10-11 aprile, offre l’opportunità di incontrare top buyers nazionali e internazionali e partecipare a workshop sull’internazionalizzazione del made in Italy alimentare (photo © www.cibus.it).
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FORMAGGIO
Formandi, a Sutrio i sapori e i formaggi della montagna friulana di Riccardo Lagorio
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ello stesso anno in cui ALFRED NOBEL inventò la dinamite, al termine della terza guerra d’Indipendenza il Friuli venne annesso al Regno d’Italia. Dal 1866 a fine secolo le leggi nazionali favorirono la crescita di boschi a scapito dei pascoli con effetti negativi nella regione, il cui territorio montano rappresenta oltre il 40% della superficie totale. Come risultato, agli inizi del secolo scorso, si contavano comunque circa 350 malghe
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attive e il numero rimase elevato fino al secondo dopoguerra quando, anche in seguito all’espansione dell’industrializzazione e del terziario, iniziò un rapido calo. Durante il terzo millennio le malghe in Friuli Venezia Giulia si organizzano per fornire anche servizi legati al turismo, come ospitalità e corsi di cucina. Ora come allora, però, la malga è un’azienda agricola d’alta montagna ad apertura stagionale, diretta dal malghese che gestisce il pascolo, custodisce gli
animali affidatigli e ne trasforma il latte. Il fenomeno della valorizzazione delle produzioni casearie tipiche ha anche stimolato giovani e nuovi nuclei familiari ad investire nell’agricoltura di montagna, non solo producendo formaggi ma anche fornendo punti d’informazione ai trekkers, spuntini e pasti caldi, alloggi (come ampiamente riportato dal sito malghefvg.it). Tutto ciò ha in parte contribuito a frenare l’abbandono delle attività pastorali in alpeggio. Il
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Protagoniste a Formandi sono state 24 malghe carniche, del Canal del Ferro-Val Canale e del Pordenonese, a cui va riconosciuto il ruolo importante di tutela del territorio. I formaggi di malga, di latte vaccino crudo, si distinguono per la pasta gialla il sapore intenso, secondo le stagionature. Formandi è un evento organizzato da Friulmont nell’ambito del progetto “MO.MA, una montagna di Malghe” finanziato dalla Regione Friuli Venezia Giulia.
vivace caleidoscopio di vegetazione e varietà di terreni riassumibile nel termine di microclima si è ben prestato ad un mercato segmentato come quello odierno: ciascun alpeggio esprime note di aroma e gusto peculiari. Alle quali si sommano ovviamente le capacità distintive del casaro ed eventualmente dell’affinatore. Un’accurata selezione di formaggi di malga della montagna friulana è stata messa in mostra e degustazione dome-
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nica 16 dicembre a Sutrio, in Carnia. La rassegna, denominata “Formandi – Sapori e formaggi di montagna” ed organizzata da Friulmont, è stata ospitata nella cornice di Cjase dal Len, un’antica segheria da poco riaperta dopo un attento restauro. Oltre 20 le malghe che hanno messo a disposizione del pubblico le forme dell’estate 2018 provenienti dalla Carnia, dal Pordenonese, dal Canal del Ferro e dalla Val Canale.
A margine anche un assaggio di vini naturali friulani, per apprezzare al meglio i prodotti caseari. Tra i formaggi presenti, a seguito dei nostri assaggi, su un ipotetico podio ne sarebbero saliti cinque. Dolce, dal sottile retrogusto d’erbe, pressoché privo d’occhiature il formaggio della malga Montasio, sulle Alpi Giulie, prodotto dall’Associazione Allevatori del Friuli Venezia Giulia ad oltre 1500 metri d’altitudine avrebbe sbaragliato qual-
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siasi concorrente (malgamontasio.it). Anche dalla malga Lavareit, nella valle dell’Alto But, in comune di Paluzza, è stato portato un formaggio da record dall’aroma intenso, scevro di difetti, dalla sottile occhiatura uniforme. Del formaggio della malga Navas, monticata da LUIGINO ADAMI in comune di Ovaro, è stata appuntata la sua burrosità, la scioglievolezza, il piacevole senso d’erbe lasciato sin dal primo morso. Una malga che si trova ad “appena” 1054 metri, ma che ha dalla sua una marcata variabilità botanica. Al pari del formaggio della malga Pieltinis, che ricade nel comune di Sauris, essendo proprietario il comune di Enemonzo. I pascoli risentono in questo caso della presenza di codolina alpina, rabarbaro alpino e dente di
leone. La FAMIGLIA ADAMI, gestore della malga nel 2018, da quelle erbe ha tratto forme di grande equilibrio all’olfatto e al gusto. La malga Pura in Alta Val Tagliamento, non distante da Baita Torino, centro studi dell’Università di Trieste sulla flora alpina, ha proposto un formaggio altrettanto piacevole con leggera fermentazione propionica. Durante la giornata di domenica 16 un’apposita commissione ha giudicato i formaggi e ha eletto il formaggio di malga Montasio primo classificato. A seguire quello di malga Lavareit e di malga Pramosio, di proprietà della Regione in territorio di Paluzza. Giallo, intenso d’erbe, aromatico a suffragio degli oltre 1500 metri di altitudine dove ha sede la produzione. Detonatore di
profumi e gusto che invaderà nei prossimi mesi tutto il Friuli Venezia Giulia, lunedì 17 è stata la volta dell’Asta di formaggi di malga, che ha dato modo ai partecipanti di aggiudicarsi i prodotti della monticazione 2018 e di alcune forme particolarmente pregiate e solitamente irreperibili. 28 i lotti di 3 forme ciascuno in lizza, comprese 7 forme di alta stagionatura. Si è registrato un forte rialzo della base d’asta, con una media di 18,00 €/kg con punte, per i lotti di alcune casere, che hanno toccato i 25 per le forme di alta stagionatura. Oltre una trentina le palette presenti, principalmente di addetti ai lavori (ristoranti, agriturismo, negozi di formaggi ed alimentari). In attesa di un… pacifico botto di fragranze. Riccardo Lagorio
La musica influenza la stagionatura dei formaggi? Il visitatore che entra in una cantina di stagionatura può sentire immediatamente il profumo del formaggio che matura. Eppure, nella piccola cittadina svizzera di Burgdorf, quando ci si avvicina al formaggio è possibile avvertire distintamente anche una musica. L’ideatore di questa tecnica, che prevede di posizionare un piccolo dispositivo audio sotto alle grandi forme di Emmental in maturazione, è Beat Wampfler, appassionato produttore convinto che i suoni possano giocare un ruolo nel processo di stagionatura casearia. Così come piante e bestiame reagiscono positivamente alla diffusione di certi suoni, anche i batteri contenuti nel formaggio potrebbero trarre beneficio dalla presenza costante di un sottofondo musicale. I batteri sono direttamente responsabili del gusto del formaggio e durante il processo di trasformazione che mettono in atto causano l’alterazione del sapore. Di conseguenza, secondo Wampfler, se i batteri recepiscono un determinato tipo di musica quel formaggio avrà un sapore distintivo, diverso da quello maturato con un’altra “colonna sonora”. L’Alta Scuola d’arte di Berna (HKB), inizialmente scettica, sta aiutando Wampfler a svolgere uno studio in merito grazie alla sonochimica, disciplina fisico-chimica che studia gli ultrasuoni. I ricercatori hanno quindi messo in atto un protocollo sperimentale. Ogni contenitore ha il suo stile: un Emmental è cullato dal Flauto magico di Mozart, un altro è nutrito dalla musica hip hop, mentre i suoi vicini invecchiano al suono rock dei Led Zeppellin e, naturalmente, c’è un formaggio di controllo che stagiona senza musica. Per un periodo di otto mesi, gli Emmental — ciascuna forma è di circa 40 cm di diametro — verranno esposti ininterrottamente a questi suoni e a primavera, al termine dell’affinamento, saranno assaggiati da una giuria di esperti. Fonte: Accademia dei Georgofili, Agrapress; photo © AFP-JIJI).
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In visita al Caseificio Paese di Camigliatello Silano (CS)
Caciocavallo Dop, burrino e altre prelibatezze sullâ&#x20AC;&#x2122;Altopiano della Sila di Massimiliano Rella
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In alto: filatura della cagliata al Caseificio Paese. A sinistra: marchiatura a fuoco del Caciocavallo Silano Dop.
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gni mattina, sull’Altopiano della Sila, appena la luce del giorno comincia ad inondare rilievi, boschi, campi e pascoli, ANTONIO PAESE, allevatore e produttore di formaggi a Camigliatello Silano (CS), si mette al lavoro col papà FRANCESCO, il fondatore del caseificio artigianale, la moglie CATERINA e il fratello MARCO. L’azienda, che impiega anche cinque dipendenti, è una piccola realtà produttiva nata oltre vent’anni fa da una tradizione familiare molto più datata, ma che continua ad applicare metodi naturali di allevamento del bestiame e di lavorazione dei prodotti.
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Ad appena 1 km dal lago di Cecita, in un territorio incontaminato a 1.200 metri slm, la famiglia Paese produce formaggi solo col latte dei propri animali: una cinquantina di capi tra vacche Frisone, Jersey e Pezzate rosse e 30 capre di razza Saanen, di provenienza francese, e Nere di Calabria, che pascolano in libertà per 8 mesi l’anno nei 35 ettari di prati e macchia dei terreni aziendali. Il resto dell’anno sono tenute in stalla al riparo dal freddo rigido dell’altopiano silano. Per le vacche, per esempio, la temperatura ideale è tra +10 e –10 ºC e, alternando pascoli e stalla a seconda
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Antonio Paese e il “burrino”, che racchiude al suo interno un cilindretto di burro. delle stagioni e del clima, si evitano sbalzi termici che influirebbero sulla qualità e la quantità dell’allevamento. All’aperto vacche e capre si nutrono di erbe spontanee come trifoglio, festuca, ginestrino, loietto, erba mazzolina, alle quali si aggiungono fieno e cereali autoprodotti dai Paese. Due mungiture giornaliere consentono di ottenere 700 litri di latte. Ogni giorno il latte crudo munto la sera prima e al mattino viene lavorato senza l’uso di fermenti e con caglio di capretto per produrre una decina di tipi di formaggio:
mozzarella, ricotte fresche e affumicate, burrino, tomini di capra e altri. Ma il fiore all’occhiello del caseificio Paese è il Caciocavallo Silano DOP, il più alto dell’intera denominazione d’origine, fatto in piena montagna. È ottenuto da latte crudo con aggiunta di caglio di capretto, fatto coagulare fino a 40° gradi, quando avviene la rottura della cagliata che riposa per un’ora in siero prima della sgrondatura; non vengono usati fermenti, la cagliata matura in modo naturale fino ad arrivare all’acidità ideale.
Il fiore all’occhiello del caseificio è il Caciocavallo Silano Dop, il più alto dell’intera denominazione d’origine, fatto in piena montagna. È ottenuto da latte crudo con aggiunta di caglio di capretto. Non vengono usati fermenti, la cagliata matura in modo naturale fino ad arrivare all’acidità ideale
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La fase di lavorazione risente della temperatura esterna poiché il caldo favorisce una maturazione in tempi più brevi, mentre il freddo la ritarda. Così lasciata riposare qualche giorno, la cagliata è tagliata a fette, messa in acqua bollente a 90-95 °C per farla sciogliere, lavorata e plasmata a mano, quindi passata in acqua fredda a rassodare e tenuta in salamoia per 6-12 ore. A seguire le forme sono legate a coppia con dei legacci di rafia naturale e messe a stagionare appese “a cavallo” di una pertica, usanza che spiega il nome del formaggio. Dopo almeno un mese il caciocavallo è timbrato a fuoco con il simbolo della DOP e dotato di etichetta identificativa. Un’altra specialità del territorio è il burrino, ormai una rarità casearia. L’esterno è di formaggio lavorato come il caciocavallo, ma di forma piccola e affusolata che racchiude all’interno una “sorpresa”, un cilindretto di burro. Questo formaggio nacque proprio come antico metodo di conservazione del burro, essendo rivestito con un involucro di formaggio da mangiare all’occasione. Il tomino di capra invece è fatto con la cagliata raccolta in piccoli canestri in forme da mezzo chilo, insaporita in salamoia, quindi tolta dai cestini e tenuta per alcuni giorni a bassa temperatura finché la crosta si indurisce conservando un cuore di formaggio morbido e cremoso. Le forme, stagionate un mese, sono ottime da gustare scottate per un paio di minuti su una piastra calda e togliendo la crosta della parte superiore per mangiare l’interno come una fonduta. Circa il 60% della produzione è venduto sul mercato locale, il resto alla ristorazione locale. Qualche prezzo: la ricotta, affumicata con legno di ontano nero della Sila, è venduta al pubblico 6,50 €/kg; il tomino di capra a 13,00 €/kg; il Caciocavallo Silano DOP a 12,00 €/kg, come il burrino. Il caseificio con il punto vendita di Camigliatello Silano, in località Guzzolini, è aperto al pubblico per la vendita tutti i giorni con orario 8:00-14:00, escluso il martedì. >> Link: www.caseificiopaese.it Nota Photo © Massimiliano Rella.
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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com
Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.
VINO
Sebastiano Gulino e il vino di Siracusa di Riccardo Lagorio
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GALILEI fu uno dei più insospettabili ammiratori del vino di Siracusa. Durante il freddissimo e nevoso inverno del 1637, un’accorata lettera rivolta a BENEDETTO GUERRINI ricorda che tra i 40 fiaschi in ordine non debba mancare il vino della città del “maestro mio Archimede”. DONIZETTI fa versare al coppiere il vino di Siracusa nel secondo atto della
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ALILEO
Lucrezia Borgia, suscitando l’apprezzamento di tutti i presenti, certificando di fatto il favore incontrato da quel vino nella prima metà d’Ottocento. Di asso parla MARIO SOLDATI quando racconta l’incontro col vino Albanello di Siracusa durante il primo viaggio, nell’autunno 1968, che darà il via alla scrittura di una delle pietre angolari contemporanee della cultura alimentare in Italia,
Vino al vino. Così pure nel volume dedicato alla Sicilia, pubblicato negli stessi anni per la collana Guide Veronelli all’Italia piacevole (Garzanti ed.), il gastronomo-filosofo bergamasco fa un affresco dell’Albanello: “giallo dorato brillante, di profumo intenso, continuo ed elegante, stoffa calda e piena” definendolo “vino primo”. Vitigno, quindi, di elevatissimo rango l’Albanello, con
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In basso: i vini delle Cantine Gulino, tra cui una bottiglia di Pretiosa, vino prodotto con uve del pregiato vitigno Albanello. A destra: Sebastiano Gulino (photo © www.facebook.com/CantineGulino).
alle spalle una grande storia. Tuttavia, oggi è un vitigno quasi estinto, forse perché nei decenni appena trascorsi un mercato troppo frenetico, alla ricerca di consumi e guadagni immediati, ne ha penalizzato la natura di grande vino da invecchiamento. Grazie al coraggio di alcuni appassionati viticoltori si sta tentando di riportarlo al suo antico splendore.
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Si contano sulle dita di una mano e SEBASTIANO GULINO, stimato otorinolaringoiatra, è tra di loro. Medico dinamico, organizzatore efficiente, appassionatissimo della sua professione e del vino in generale, al tempo stesso è convinto recuperatore, nella modernità, delle buone tradizioni locali. «L’amore per la mia terra mi ha imposto di occuparmi di questa attività, tramandatami dalla mia famiglia» esordisce. Ma basta ascoltare le sue competenze in tema di geologia, applicate ai terreni da coltivare a vite, o visitare la cantina, quasi un museo della tecnica e della conservazione del vino in località Fanusa, di fronte a Ortigia, per intuire il suo reale trasporto. «La mescolanza tra sabbie e calcareniti, una particolare tipologia di antico deposito marino costiero costituito da arenarie e resti fossili, caratterizzano i nostri terreni e conferiscono sapidità alle uve. Probabilmente anche questo fattore incide anche sulla longevità e sulla struttura del vino». Oltre alle particolari condizioni meteorologiche, che si distinguono per una sufficiente piovosità autunnale e il caldo secco estivo. Alle bottiglie di Albanello, piccoli grappoli e foglia grande, Sebastiano Gulino ha affidato il nome commerciale di Pretiosa, «che ogni anno dedico alle donne, alla fecondità della terra». Nomen omen. «La coltiviamo in contrada Burgio, a Noto, con una resa per ettaro pari a 60 quintali» chiarisce.
Le uve vengono raccolte in sovramaturazione; il colore è giallo paglierino mentre le annate diverse (e il trascorrere del tempo) conferiscono alle bottiglie aromi e nuance sorprendentemente diversi. Nel 2017 prevalgono al naso note balsamiche, d’ortica e pesca bianca. In bocca una virgola di acidità viene surclassata dalla nocciola. Nell’annata 2015 le note balsamiche si convertono in note di liquirizia e il 2014 il profumo di ginestra lascia dietro di sé impronte calde di pasta di mandorla e zafferano in bocca. La bottiglia del 2011, dal color oro intenso, profuma di albicocca e si stampa sul palato con ampie volute di vaniglia, frutta secca e cannella. «Ma a dimostrazione che la terra garantisce longevità, proviamo una bottiglia di Fania, 60% di Fiano e 40% d’Insolia» lancia in segno di sfida. Annata 2007: giallo paglierino, naso di miele e mandorla, bocca di mandarino e cannella. Anche grazie a questo insolito mix capiamo meglio i desideri di Galileo Galilei e l’opinione del celebre operista bergamasco. Riccardo Lagorio Cantine Gulino Via Daniele Impellizzari 29 96100 Siracusa Telefono: 0931 721218 E-mail: info@cantinegulino.it Web: cantinegulino.it
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Un vino antico e prezioso nel cuore di Strasburgo
L’ospedale con cantina che custodisce il vino più vecchio del mondo di Massimiliano Rella
La cantina dell’ospedale civile di Strasburgo, datata 1395.
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n calice di vino al giorno fa bene alla salute — questo ce lo dice la scienza — ma se è affinato in un luogo di cura è ancora più salutare. Non è vero ovviamente, ma un ospedale con una cantina che trabocca di vini, in un’unica costruzione, sotto lo stesso tetto, è decisamente una rarità. Non a Strasburgo, la “capitale” dell’Alsazia, regione vitivinicola della Francia al confine con la Germania. Si chiama Cave Historique Hospices Strasbourg, l’antica cantina
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sotto l’ospedale di Strasburgo, edificio che fu ristrutturato nel 1721 dopo un incendio. In un lungo corridoio nei sotterranei del nosocomio, in circa 80 tra botti e tonneaux, sono affinati vini di qualità, poi commercializzati col marchio dell’ospedale, l’etichetta Hospices Strasbourg. I vini sono imbottigliati nel piazzale della “casa di cura”, coi malati spettatori sorpresi e incuriositi alla vista dei macchinari di imbottigliamento allestiti per l’occasione dopo la vendemmia e il rumore incessante in sottofondo.
La storia dei vini Hospices Strasbourg ha origini antiche La prima pietra dell’ospedale fu posata nel 1395 in una terra da sempre produttrice di vini, l’Alsazia. Nel tempo, i malati che non potevano pagare le cure in moneta contante, barattavano i servizi per la salute come potevano: chi con un pezzo di terra — e ciò spiega i grandi possedimenti di certe istituzioni — chi con oggetti d’artigianato e gioielli, chi con prodotti alimentari e vino. Intorno al 1990 la direzione ospedaliera pensò
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Le botti col vino più antico del mondo.
Philippe Junger, gestore della Cave Historique Hospices Strasbourg.
di allargare gli spazi dedicati all’attività sanitaria e cessare la produzione enologica. “Che c’entriamo noi col vino?”, era la domanda che cominciava a farsi qualche medico. Ma l’opposizione del personale, primo e più determinato fra tutti l’ex cuoco dell’ospedale PHILIPPE JUNGER, ha evitato che la storica cantina fosse trasformata in magazzino per apparecchiature mediche. Così, nel 1994, è stata rilanciata e aperta al pubblico grazie ad una convenzione con 30 cantine locali, che possono usare gli spazi per 50 anni, affinando qui i loro vini e utilizzando la prestigiosa etichetta Hospices Strasbourg, sulla quale cambiano solo l’indicazione dell’annata, il tipo di vitigno e il nome del produttore. Ogni cantina affina nelle botti dell’ospedale solo i migliori vini, selezionati da una commissione tecnica di assaggio con degustazione professionale. L’accordo prevede che una piccola parte della produzione di ciascuna sia ceduta all’ospedale, che la vende nel negozio annesso e col ricavato di vendite e visite con degustazione compra i medicinali.
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«Questo è l’unico dipartimento dell’ospedale che ha l’obbligo di fare soldi», ci dice Philippe, gestore della cantina. Lavora qui esattamente dal 1994, insieme a due dipendenti, lavoratori “atipici” in questa struttura con centinaia di medici e infermieri al suo servizio. La cantina ha una capacità di 2.400 ettolitri e “produce” ogni anno in convenzione con i 30 produttori 150.000 bottiglie di vini, alcuni premiati dalle guide francesi. L’80% è rappresentato da vini bianchi, il resto rossi; complessivamente rappresentano il 44% dei terroir alsaziani, dal sud al nord di questa famosa regione vinicola, terra di Riesling, Sylvaner, Pinot bianco, grigio, rosso e Gewürztraminer. L’Hospice de Strasbourg può vantare un altro interessante primato: il vino più vecchio al mondo, annata 1472, riposa da secoli nelle sue cantine, custodito in botti dietro grandi sbarre. «La cosa strabiliante — sostiene Junger — è che è stato analizzato con test tecnici e, dal punto di vista chimico, fisico e organolettico può essere considerato ancora un vino», e mentre lo dice toglie
il tappo della botte e ce lo fa annusare. In origine era un vino bianco, oggi ha un colore ambrato e profumi molto intensi. Gli appena 300 litri, conservati sotto chiave nelle cantine dell’ospedale, hanno un valore inestimabile. Le cantine custodiscono anche un vecchio torchio del 1727 e grandi botti adoperate per feste di matrimonio tra famiglie di viticoltori. Sono visitabili individualmente, senza guida, passando per il punto vendita. L’ingresso è gratuito (orario di apertura lun.-ven. 8:30-12:00 e 13:30-17:30, sab. 9:00-12:30). Sono possibili visite guidate con degustazione per gruppi di minimo 15 persone, su prenotazione, e visite serali per gruppi di almeno 30 persone. Nel negozio sono in vendita tutti i vini dei 30 produttori convenzionati, con prezzi che variano da € 6,00 a € 23,00-25,00 a bottiglia. Massimiliano Rella >> Link: www.vins-des-hospices-destrasbourg.fr Nota Photo © Massimiliano Rella.
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Vini naturali: informazioni per i consumatori di Stefania Chironi
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ino a 10 anni fa era impensabile parlare di vino naturale come di un prodotto che poteva fare tendenza sul mercato. Oggi, invece, se ne parla ovunque ed è sicuramente una di quelle tendenze che riescono a muovere masse e mercati. Ma quali sono le informazioni che hanno i consumatori sui vini naturali? È lecito porsi questa domanda quando si tratta di un argomento che è spesso controverso. Da qualche anno, infatti, tra gli addetti ai lavori è in corso un dibattito sulla correttezza o meno di affiancare il termine “naturale” alla parola “vino”. Poiché non esiste una normativa che disciplina la materia, accostare al vino il termine naturale può contribuire a rendere poco chiare
le idee al consumatore e rischiare, invece, di rendere banale tutto il lavoro, la dedizione e le convinzioni etiche che ci sono dietro la produzione di questi vini. Una definizione non troppo semplice, ma che neanche rischi di banalizzare l’argomento, può aiutare a delineare il campo: un vino è naturale quando per ottenerlo l’intervento dell’uomo, sia in vigna che in cantina, si limita al minimo indispensabile. La produzione di un vino naturale vuole essere l’espressione naturale di un terroir, di un gusto che deriva da una vinificazione avvenuta in maniera del tutto naturale. Un vino è naturale quando viene realizzato partendo dalla produzione di uve biologiche, mediante fermentazione spontanea del
mosto, senza aggiunta di altre sostanze, fatta eccezione, eventualmente, per piccole quantità di anidride solforosa. I trattamenti sono ridotti al minimo ed impiegati solo se strettamente necessari o, addirittura, non impiegati affatto. È quindi in vigna che nasce il vino naturale, stimolando la crescita delle piante senza forzarne la produttività ed aiutando il terreno a mantenere la propria naturale fertilità. È sostanzialmente un ritorno ai metodi di vinificazione dei nostri avi prima che l’avvento della tecnologia contribuisse, da una parte a semplificare il lavoro dei viticoltori, ma dall’altra a determinare il verificarsi di alcuni difetti, come l’appiattimento del sapore e la perdita di carattere.
Il vino naturale deriva da metodi di lavoro che prevedono il minor numero possibile di interventi in vigna e in cantina, l’assenza di additivi chimici e di manipolazioni da parte dell’uomo (photo © Andreas Mueller – stock.adobe.com).
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Il consumatore oggi, di fronte al continuo bombardamento mediatico che tratta allo stesso modo i vini naturali, biologici e biodinamici, certamente, se non è un consumatore esperto dell’argomento, non può che trovarsi di fronte ad una grande confusione che si ripercuoterà, inevitabilmente, sulle sue scelte e sulle sue convinzioni, giuste o sbagliate che siano. Data l’assenza di chimica nel processo produttivo, un consumatore si potrà chiedere se i vini naturali sono migliori di quelli convenzionali. Se da un punto di vista organolettico si trovano vini buoni e vini meno buoni, sia tra i naturali che tra quelli convenzionali, sicuramente è d’obbligo abituarsi all’idea che il vino naturale può avere connotazioni di colore o di sentori che possono risultare sgradevoli. Da un punto di vista salutistico, un vino prodotto da uva non trattata, con meno additivi chimici (o del tutto assenti), è sicuramente più digeribile e più sano rispetto a un vino convenzionale. Il vitigno trattato naturalmente è in grado di produrre un vino unico, legato al territorio, capace di cambiare di anno in anno, garantendo autenticità e spontaneità; il prodotto che arriva sul mercato è, quindi, un vino ben lontano dall’appiattimento produttivo a cui ci si è abituati in questi ultimi anni. Tutto ciò è sicuramente affascinante, ma allora perché spesso si sente parlare in negativo o c’è una certa reticenza riguardo ai vini naturali? E, soprattutto, l’assenza di regole di produzione disciplinate dalla legge che crea diffidenza nel consumatore. Ma, certamente, i vini naturali non vanno identificati con i vini biologici che, allo stato attuale, sono gli unici regolamentati dalla legge. E come può, allora, un consumatore fidarsi della naturalità di un vino, vista l’assenza di regole? Le diverse associazioni che promuovono e supportano i vini naturali sono associazioni di viticoltori che producono secondo le regole di un disciplinare interno (le prime sono nate in Francia, ma si sono poi diffuse anche nel resto del mondo), tutte seguaci di scuole di pensiero similari (STEINER, FUKUOKA). Per molti produttori, ma anche per la maggior parte dei consumatori di vini naturali, la presenza di un disciplinare in materia è superflua. Fare vino in modo naturale è un’attitudine che risponde ad una filosofia
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In Italia la tendenza al consumo dei vini naturali, così come nel resto del mondo, è in costante aumento, così come le sempre più numerose fiere a tema (photo © Robert Kneschke – stock.adobe.com). di vita e di lavoro. Non è un metodo riproducibile, né brevettabile poiché risponde alle competenze artigiane culturali e tipiche di un territorio, con clima, suoli e stagionalità che sono diversi da regione a regione. Oggi, in assenza di una specifica legge, la miglior certificazione per un vino naturale è il rapporto di fiducia e di conoscenza diretta che si instaura col produttore che, spesso, è ben più importante di qualsiasi certificazione. Il mercato dei vini naturali è un mercato difficile da quantificare poiché molti vini sono venduti senza alcuna menzione sull’etichetta. Nonostante non siano disponibili statistiche ufficiali a livello mondiale sull’effettiva produzione, vi è la possibilità di stimare volumi di vendite e trend, valutando altri parametri, come la crescita delle fiere di settore e l’aumentata consapevolezza da parte di quei consumatori che hanno deciso di sposarne la filosofia. In Italia la tendenza al consumo dei vini naturali, così come nel resto del mondo, è in costante aumento, ed anche qui lo testimoniano il numero di produttori, in aumento, presenti alle sempre più numerose fiere in tema. Le stime danno l’1,64% della superficie viticola italiana e lo 0,74%
della relativa produzione come vini naturali; numeri molto bassi, ma sicuramente cresciuti nel corso degli ultimi 10 anni e in costante crescita anche nel resto del mondo. Vinnatur, associazione che riunisce viticoltori naturali da tutto il mondo, conta oltre 170 produttori di 9 diversi Paesi, ognuno con una sua storia e un sogno comune: produrre vino naturalmente buono. L’associazione, fornisce qualche numero e, per l’Italia, intercetta 136 produttori distribuiti in 19 regioni (25% in Veneto, 19% Toscana, 11% Piemonte, 10% Sicilia ed Emilia-Romagna, 8% Lombardia, 5% Puglia, 4% Campania ed Abruzzo, 3% Lazio, 1% nelle restanti regioni). Maggior precisione nelle informazioni, attraverso comunicazione o marketing, si può tradurre in minor confusione e maggior consapevolezza nelle scelte di acquisto e nelle opinioni che ciascun consumatore si farà al riguardo. I vini naturali potranno essere considerati più una realtà produttiva, seppur di nicchia, e certamente meno una provocazione e riconosciuti ed apprezzati anche per i prezzi più elevati che assumo sul mercato. Prof.ssa Stefania Chironi Accademia dei Georgofili
Lo scorso 14 dicembre, a Marsala, si è svolto un incontro dal titolo “Vini Naturali, provocazione o realtà”, organizzato dalla Sezione Sud-Ovest dell’Accademia dei Georgofili, in collaborazione con l’Accademia Italiana della Vite e del Vino. L’articolo è l’abstract della relazione presentata nell’occasione dalla prof.ssa Chironi dell’Università di Palermo.
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I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA
Degustazione: vini rossi del Piemonte di Laura Franchini
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el descrivere le produzioni vinicole delle regioni italiane non si può non partire dal Piemonte, terra di vino per eccellenza, con una tradizione radicata nel tempo, importante riferimento dell’enologia nazionale e non solo. Sono oltre 50.000 gli ettari vitati e più di 3 milioni di ettolitri di vino prodotti, 18 le DOCG e 43 le DOC. Conosciuto soprattutto per la produzione di vini rossi, annovera anche ottimi vini bianchi e grandi spumanti. Le principali zone vinicole della regione sono Barolo, nelle cinque celebri località di Barolo, Castiglione Falletto, La Morra, Serralunga d’Alba e Monforte d’Alba; Barbaresco, nell’omonima località e a Treiso e Neive; Langhe e Roero, Monferrato, Astigiano, le zone al confine con la Valle d’Aosta, il Tortonese, le aree
a nord di Novara e Vercelli. I vitigni coltivati in Piemonte sono per lo più a bacca nera: il Nebbiolo, grande protagonista del Piemonte enologico, la Barbera, il Dolcetto, la Croatina, la Freisa, il Grignolino, la Bonarda, il Brachetto, le Malvasie a bacca nera di Casorzo e di Schierano. Troviamo anche vitigni a bacca bianca: Cortese, Erbaluce e Moscato bianco. Sono piemontesi alcune delle più grandi espressioni del mondo del vino, primo fra tutti il Barolo, affiancato dal fratello Barbaresco, entrambi prodotti con uve Nebbiolo, che protagonista anche di diverse altre denominazioni della regione. Ci concentreremo, in questa degustazione, sui vini rossi, presentando sei vini scelti, non senza difficoltà, tra la vasta e nobile produzione piemontese.
Il Piemonte è la regione per eccellenza per la produzione di vini rossi nobili, amata dai sommelier e dagli appassionati. La zona più conosciuta è quella delle Langhe, migliaia di ettari di vigna e tutt’intorno orizzonti di antichi paesi medievali con torri e castelli
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Risotto al Barolo, raffinato piatto della cucina piemontese. Lo stesso vino usato per la preparazione sarà l’accompagnamento perfetto del risotto (photo © Francesco83 – stock.adobe.com).
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Barolo DOCG Bussia 2014 Giacosa Fratelli Azienda ultracentenaria, vero e proprio vessillo della produzione enologica del Piemonte, viene ora seguita con passione dai fratelli MAURIZIO e PAOLO. La nostra scelta è andata sul Barolo Bussia, prodotto con le uve coltivate nella sottozona Bussia a Monforte d’Alba, utilizzando un metodo di vinificazione poco invasivo, una lunga macerazione e sottoposto ad un affinamento in botte da 30 e 60 ettolitri. Ne deriva un calice di grande nobiltà e armonia, caratterizzato da un’eleganza immensa. All’olfattiva porge copiose e finissime note di spezie dolci e pot-pourri, ricordi di viole e chiodi di garofano, anche in retrolfattiva. Ampia pure la sorsata, lunga con armonia, complessa ed equilibrata. Un vino austero nel tannino, adatto al lungo invecchiamento. Si presta agli abbinamenti di tradizione, carni rosse, grandi arrosti e brasati, primo fra tutti il brasato al Barolo.
Giacosa Fratelli Snc Via XX Settembre 64 12052 Neive (CN) Telefono: 0173 67013 E-mail: giacosa@giacosa.it Web: www.giacosa.it
Barbaresco DOCG Starderi 2015 Icardi Sono CLAUDIO e MARIAGRAZIA ICARDI a tenere saldamente le redini dell’azienda di famiglia, aiutati dai figli di Claudio, IVAN e SARA, e da LUCA, figlio di Mariagrazia. Una realtà fortunata, nella posizione e nella sapienza dei conduttori, difensori agguerriti della naturalità e dell’ambiente. Siamo di fronte ad un grande calice, dall’estrema bevibilità e ben radicato nella tradizione, ma con un incipit moderno e lungimirante. Indimenticabile l’olfattiva, di frutti di bosco e visciole, con ricordi di anice e spezie dolci. Al palato è morbido e avvolgente, con freschezza ed equilibrio. Un tannino deciso, come è giusto che sia, ne lascia intuire le grandi capacità di invecchiamento. Calice elegantissimo, dalla lunga armonia, che si presta alla degustazione meditativa, ma che sarà perfetto in abbinamento con i grandi piatti di carne della tradizione, arrosti, brasati e bolliti misti e, ovviamente, selvaggina.
Icardi Strada Comunale Balbi 30 125053 Castiglione Tinella (CN) Telefono: 0141 855159 E-mail: info@icardivini.com Web: www.icardivini.com
Barbera d’Alba DOC La Martina 2016 Broccardo Siamo nelle Langhe — che, ricordiamo, dal 2014 sono Patrimonio UNESCO —, con questa cantina, seguita da FILIPPO, LAURA e FEDERICA, eredi della stessa passione che portò nonni e bisnonni ad investire in vigneti e produzione vinicola. Una produzione dedicata ai soli vitigni autoctoni, fortemente radicata nella tipicità e nella tradizione, come questo eclatante calice di Barbera. Dal color rosso intenso, troviamo all’olfattiva un vino generoso, pulito, finissimo. Sono soprattutto note vinose e fruttate, con precisi ricordi di viole marzoline e intensa retrolfattiva ancora fruttata, prugne e ciliegie, cannella e leggera nota vanigliata, ben dosato il passaggio in legno. Armonia di sorsata, intensa ma dalle grande bevibilità, lunga ed equilibrata. Perfetto in abbinamento con i salumi, coppe e salami, si presta anche a primi piatti ricchi e formaggi mediamente stagionati.
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Fratelli Broccardo Località Manzoni 22 12065 Monforte d’Alba (CN) Telefono: 0173 78180 E-mail: broccardowines@broccardo.it Web: broccardo.it
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Grignolino d’Asti DOC Isolavilla 2017 Olim Bauda
Tenuta Olim Bauda Strada Prata 50 14045 Incisa Scapaccino (AT) Telefono: 0141 702171 E-mail: info@tenutaolimbauda.it Web: www.tenutaolimbauda.it
Il Grignolino è uno dei vini piemontesi più antichi. Si pensa che il nome derivi dal termine dialettale astigiano “grignole”, i vinaccioli, abbondanti in queste uve. Vitigno esigente e impegnativo, regali vini eleganti, dal colore leggermente scarico, caratterizzati da una straordinaria bevibilità. Non fa eccezione il Grignolino Isolavilla prodotto da OLIM BAUDA, intenso e sfarzoso di note olfattive lindissime: sottobosco e lamponi maturi, fiori secchi e rosa canina, mandorle e pepe bianco. Al palato è altrettanto convincente e armonico, dal tannino preciso e coerente, equilibrato di sapidità e freschezza, ritorni in retrolfattiva di frutta secca. Un calice pregevole e raffinato, abbinabilissimo a molteplici piatti, non solo della cucina piemontese. Certamente ottimo con pane e salame e con i tanti antipasti della regione, si presta perfettamente anche ad essere abbinato alle fritture di pesce.
Gattinara DOCG Riserva 2013 Travaglini Giancarlo
Travaglini Gattinara Strada delle Vigne 36 13045 Gattinara (VC) Telefono: 0163 833588 E-mail: commerciale@travaglinigattinara.it Web: www.travaglinigattinara.it
59 ettari nel cuore delle colline di Gattinara, per questa storica realtà fondata nel 1958 e seguita ora da CINZIA TRAVAGLINI e il marito, winemaker dell’azienda, MASSIMO. Un vino iconico, dalla bottiglia unica, voluta dal fondatore GIANCARLO TRAVAGLINI: una bottiglia particolare, che permettesse di decantare il vino senza utilizzare caraffe o decanter, e di trattenere l’eventuale sedimento che un grande vino può formare nel corso degli anni. Un vino prodotto solo nelle annate migliori, a conferma di quella ricerca di eccellenza che l’azienda persegue dalla sua nascita. Nell’annata 2013 troviamo un calice straordinario per eleganza ed austerità, lineare e retto. Sono intense e copiose le note olfattive, di rose e viole, liquirizia e leggere spezie. Sorsata coerente e altrettanto affascinante, per tipicità e intensità. Ottimo coi piatti di carne, anche strutturati, con la lepre in civet e la selvaggina tutta.
Dolcetto di Ovada DOC Superiore “Bocassa” 2007 La Signorina
Cascina La Signorina Loc. Mardelloro 15071 Carpeneto (AL) Telefono: 039 744027 E-mail: albe.monta@hotmail.it Web: www.lasignorina.it
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Sulle vocatissime colline di Ovada troviamo questa virtuosa realtà, fondata nel 1982 dalla FAMIGLIA MONTAGNA, tuttora proprietaria della struttura, che ama definirsi nature assistant e non winemaker, svelando così la decisa propensione al rispetto dell’ambiente, della natura e dei suoi tempi, che ben si rispecchia nella produzione vinicola. Il calice di Dolcetto proposto è di un bel rosso rubino intenso, pieno, mentre all’olfattiva regala decise e pulitissime note di frutti di bosco, ciliegie mature, erbe officinali, spezie e note minerali a contorno. Sapiente e dosato l’uso del legno, 14 mesi in barrique di secondo e terzo passaggio, a cui seguono sei mesi di bottiglia. Sorsata piena e netta, viva e avvolgente, ottima l’armonia tra le parti e la durata. Calice di grande bevibilità perfetto coi salumi del territorio: un salame naturale sarà perfetto.
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OLIO
L’oro giallo di Antiche Terre Pacella di Federica Cornia
T
erritorio dove l’ulivo risulta la specie arborea coltivata più diffusa per il clima temperato, condizione ideale sia per l’olivicoltura che la viticoltura, la Ciociaria rimane però l’unica zona del Lazio a non avere ancora la DOP territoriale per l’olio e in attesa di ottenerla. Eppure anche alle pendici dei Monti Lepini la qualità c’è e cresce sempre più, con la produzione di oli “eccezionali, emozionanti”, come definisce il GAMBERO ROSSO le produzioni a cui vengono assegnate le mitiche “tre foglie”. E del prestigioso riconoscimento è stata insignita ANTICHE TERRE PACELLA, azienda olivicola con sede a Sgurgola (FR). Sulla guida Oli d’Italia
2018 ha ottenuto il massimo punteggio che la pubblicazione attribuisce alle produzioni oleiche, con un olio multicultivar dal forte carattere, che rientra nella classificazione dell’extravergine con un valore dell’acidità inferiore all’0,8%, 100% made in Italy e ottenuto con le varietà Itrana per l’80% e per il rimanente 20% di Frantoio, Moraiolo, Leccino. Un olio le cui drupe vengono spremute a freddo, in modo da preservare inalterato il valore organolettico del prodotto, da un frantoio scelto, e non a caso. Un olio in grado di sprigionare gli aromi nutriti dalle caratteristiche tipiche del territorio: un terreno sassoso, a 500 m slm, che dà all’oliva partico-
I fattori che influenzano l’identità di un olio sono tantissimi, a partire dalla sanità dei frutti (photo © www.facebook.com/olio.lepini).
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lare leggerezza rendendolo amabile e con una bassa acidità. E, sull’onda di questo importante riconoscimento, la produzione dell’azienda nel 2019 si arricchisce con una new entry, un olio di Itrana in purezza. Qualità senza compromessi La qualità è l’obiettivo che Antiche Terre Pacella ha ben chiaro. Nessun cedimento di fronte alla seduzione da grandi numeri della GDO, perché per fare quei volumi, ci dicono, devi per forza produrre un olio ottenuto da una miscela di altri oli. È impossibile che un olio evo arrivi al consumatore a 4 euro al litro. E infatti, ci tengono a precisare, la lotta dei produttori dell’olio evo è sul fronte delle informazioni riportate in etichetta, dal momento che in Italia è possibile, per legge, utilizzare la dicitura “olio extravergine di oliva” anche se è presente solo l’1% di olio evo a comporre una miscela di oli vari, a partire dall’olio di semi, magari proveniente dal Marocco. Un’azienda dalla storia antica Piccolo gioiello dell’olivicoltura frusinate, Antiche Terre Pacella è una tenuta che vanta una lunga tradizione produttiva, di cui sembrano silenziosi testimoni due ulivi di origine francese, forse piantumati nel ‘600 da antenati provenienti dalla Liguria, singolare contrappunto alle varietà di ulivi della piantagione tipiche del Lazio: Itrana, Frantoio, Moraiolo, Leccino. C’è inoltre un blasone per meriti alla coltivazione dell’ulivo che fa capolino tra i documenti appartenenti alla famiglia. In pratica attiva da secoli nella produzione di olio, intorno agli anni ‘60 del secolo scorso arriva la decisione di sospendere l’attività, ad esclusione di quella ad uso famigliare. Lo stimolo a riprendere la produzione per la vendita è arrivato qualche anno
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fa con la partecipazione ad un evento organizzato da un ristorante italiano a Manchester, Olive Oil, insieme ad un trentina di altri produttori di olio di oliva. Oggi Antiche Terre Pacella conta 600 piante distribuite su due ettari e mezzo per una produzione annua di 800/1.000 litri. I filari piantumati a 6 metri di distanza l’uno dall’altro per permettere alle piante di crescere bene, da ogni pianta si raccolgono non più di 30-40 kg di olive. Con un quintale si ottengono 10-15 litri di olio. Si ripresenta l’annosa questione della scelta di una produzione di qualità che va a scapito della resa. Tasto dolente soprattutto quando si deve far fronte a cattive annate, come il 2018, in cui sulla produttività hanno inciso eventi atmosferici come il Burian, la gelata di febbraio. Situazione particolare che riflette un andamento generale perché il 2018 è stata un’annata magra in tutta Italia, con un calo stimato del 38% rispetto l’anno precedente in tutto il comparto, e che si è chiusa col riconoscimento dell’olio quale farmaco da parte della FDA-Food and Drug Administration, l’Agenzia per gli alimenti e i medicinali americana. Trasformazione e commercializzazione. Sfruttamento della naturale fertilità del suolo ed esclusione dell’utilizzo di prodotti di sintesi: sono i principi guida dell’agricoltura biologica ad ispirare l’attività produttiva di Antiche Terre Pacella, anche se la certificazione non c’è. Per fare di un raccolto un buon raccolto, in azienda ci si impegna a lavorare bene sin da gennaio, intervenendo con buone pratiche di coltivazione. Dopo la raccolta delle drupe in autunno, la pianta infatti è stressata e ha bisogno di particolare cure. Per questo l’azienda interviene con concime, fogliame e terra, pulizia del tronco. È un lavoro che dura tutto l’inverno e che si ferma a maggiogiugno, quando inizia la fioritura e si rimane in attesa che compaia il frutto. Da quando c’è la drupa si può nuovamente intervenire a supportare la pianta con concimi, disinfettante naturale, con la pulizia del tronco col ferro. Finché non arriva ottobre e si ripete la raccolta. Le olive vengono poi portate al frantoio di Sonnino e, tempo 30 giorni per la posa, l’olio è pronto. Viene commercializzato in latte da 3 litri e in bottiglie
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Olio extravergine varietà Itrana in purezza (photo © www.facebook.com/olio.lepini). di vario formato, 500, 250 e 100 ml, queste ultime destinate principalmente ad enoteche e ristoranti. Tra i principali clienti di Antiche Terre Pacella ci sono le oleoteche come Oleonauta a Roma, e Oliocentrica a Latina; cinque in tutto quelle che l’azienda rifornisce tra la capitale, la zona litoranea di Ostia e Latina. Il formato da tre litri trova un canale prediletto in questi piccoli shop dedicati alla vendita dell’olio extravergine d’oliva italiano di alta qualità. Luoghi in cui spesso si organizzano anche degustazioni e appuntamenti culturali per svelare tutti i pregi dell’olio d’oliva e i suoi possibili utilizzi, che non si limitano soltanto al
condimento. Nelle oleoteche non solo si vende, ma si cerca di fare formazione/ informazione, trasmettendo quello che c’è dietro la campagna olearia. E, visto che nell’ultimo anno l’aumento di questo tipo di attività ha registrato una crescita nella capitale, forse si può considerare un buon segnale per l’olivicoltura tutta, per la diffusione di una nuova cultura legata al consumo di olio evo e di una giusta valorizzazione di un prodotto di cui l’Italia detiene il primato a livello europeo per qualità con 46 marchi riconosciuti dall’Unione. Federica Cornia >> Link: www.oliomontilepini.it
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PASTA Un po’ di chiarezza sull’antica disfida tra Tortellini, Cappelletti e Anolini
La pasta ripiena lungo la Via Emilia: forma e sostanza di Gemma Zubiani
S
ono consapevole di inoltrarmi in un terreno scosceso, nella più appassionata discussione della storia dai tempi del Medioevo e che i lettori potranno essere
feroci commentatori di questo articolo: so che ci sarà un’inquisizione pronta a giudicare e sono preparata a sostenerne il giudizio perché è tempo che chiarezza venga fatta e che si esca una volta
per tutte dall’oscurantismo che avvolge uno dei temi più caldi della stagione invernale. Internet è pieno di disinformazione a riguardo, dobbiamo sgomberare il
Anolini, tortelli e ravioli (photo © ivanozinelli – stock.adobe.com). 116
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campo dalla nebbia che avvolge la differenza fra Cappelletti, Anolini e Tortellini. Un emiliano non può non essere incappato almeno una volta nella vita nell’imbarazzante momento in cui gli ospiti milanesi pretendono di mangiare i tortellini a Reggio Emilia o gli anolini a Bologna. Io personalmente ho parenti romani e c’è voluta molta pazienza per far capire che i cappelletti non sono tortellini. Del resto, chi non li ha fatti almeno una volta nella vita e crede che nascano già imbustati e confezionati, non può sapere di cosa stiamo parlando. Non lo sa che cos’è il profumo dello stracotto e le appassionate discussioni intorno al tavolo della sfoglia. Non lo conosce quel senso di soddisfazione quando la sfoglia viene proprio bene, dello spessore giusto.
Non sa neanche quanto fanno male le braccia quando si impasta e che cos’è quella stanchezza che ti porti a letto dopo che hai passato un giorno intero a far su dei cappelletti… Siccome io lo so, pretendo che le cose vengano chiamate col loro nome e quindi, brevemente e nei limiti di quanto la materia consenta, voglio fare chiarezza. Due doverose premesse: la prima è che lungo tutta la via Emilia ogni città ha le sue tradizioni, ogni paese le sue specifiche e ogni famiglia la sua ricetta quindi non aspettatevi il ricettario qui, non ho nessuna intenzione di condividere con voi il segreto della mia bisnonna Giuseppina. Ci sono mille versioni diverse dei vari formati e ripieni, quello che vedremo qui sono tre basiche linee guida che distinguono l’uno dall’altro.
Seconda premessa, ciò che identifica la pasta ripiena in questione è la stessa grande dicotomia che caratterizza gli uomini: forma e sostanza, corpo e anima, esterno e interno! Innanzitutto la forma In tutti e tre i casi parliamo di pasta sfoglia all’uovo rigorosamente fatta in casa e tirata al momento della forgiatura. Gli Anolini (da collocare geograficamente a Parma o a Piacenza) sono praticamente due dischetti rotondi accoppiati con in mezzo il ripieno, i Cappelletti (Reggio Emilia) e i Tortellini (Modena e Bologna) sono frutto di un triangolo ripieno con due vertici sovrapposti a chiuderlo in una forma che ricorda il cappello. Nel caso dei tortellini hanno un occhiello nella chiusura mentre i cappelletti sono preferibilmente chiusi.
Il Festival del Tortellino emiliano È giunto alla sua ottava edizione il Festival del Tortellino, in programma nel mese di ottobre nella splendida cornice di Palazzo Re Enzo, nella centralissima Piazza del Nettuno di Bologna. Organizzato dalla risto-associazione TOur-tlen (www.tour-tlen.it), che riunisce chef e ristoratori bolognesi e non, l’evento è l’occasione per assaggiare i tortellini nella loro veste tradizionale, in brodo di gallina o cappone, ma anche in veste “eclettica”: con verdure, al sapore di mare e in vari colori. Come i Tortellini Parma e Vino (tradizionali con un gel di Lambrusco), Rimini Rimini (tradizionali con piadina, squacquerone e rucola), tortellini di patate e mortadella in panna affumicata, con ripieno di vitello e mortadella in crema di brodo, parmigiano e porcini, ma anche con ripieno di razza e acciuga su bisque di porcini e champignon o interiora di agnello alla brace, aglio orsino, luppolo e miele. I tortellini sono tra le paste all’uovo ripiene più conosciute in tutto il mondo. Il nome è un diminutivo di tortello che deriva a sua volta dalla parola “torta”, ad indicare la possibilità del ripieno al loro interno.
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I tortellini sono una pasta all’uovo ripiena tipica di Bologna e di Modena e delle loro province. Valeggio sul Mincio, in provincia di Verona, ha una sua produzione di tortellini, che si differenzia da quelli emiliani. L’uso è di mangiarli asciutti con burro e salvia, senza il brodo. Sono inseriti nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali del Veneto (photo © Ryba Sisters – stock.adobe.com). Poi passiamo alla sostanza E qui sono dolori… Sono uno dei motivi di più aspre discussioni campaniliste: la Camera di Commercio di Bologna ha persino registrato una ricetta che prevede l’uso di lombo di maiale con mortadella e prosciutto come mescola ufficiale e una stagionatura del Parmigiano non inferiore a tre anni, al di fuori di queste prerogative non si chiamano tortellini. A Modena non sono arrivati a definire la ricetta univoca per non scontentare nessuno, ma una cosa è certa: il pangrattato è bandito e la stagionatura del Parmigiano deve essere di 18 mesi.
Sul tipo di carne da utilizzare non ci sono direttive, purché sia relativa alla tradizione modenese. Ancora più foschi sono i confini del cappelletto: la carne per lo stracotto è di certo in parte di manzo senza indicazioni sul taglio e sulla percentuale: va di certo tritata dopo la cottura e poi integrata con pane grattato, uova, parmigiano, noce moscata e il sugo di cottura della carne e delle verdure. Poi però qui le varianti individuali sulle altre carni da aggiungere sono talmente tante da non permettere una tracciatura: c’è chi ci mette il maiale, la salsiccia, chi
Bussate alla porta di una nonna e guardatela lavorare: dovrete imparare con gli occhi quello che non vi racconterà mai perché sul segreto delle ricette di famiglia, è più forte di loro, non riescono proprio a dire tutto!
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addirittura il cavallo, chi la mortadella e chi il prosciutto… Ed è in questi magici pentoloni che ciascuno custodisce gelosamente il suo segreto di famiglia affinato e perfezionato nel corso delle generazioni. Non è una tradizione da perdere, questo è certo, e se per caso nella vostra famiglia si è trascurata a beneficio dei mille laboratori di pasta fresca sorti in giro, non è tardi per recuperare! Solo due avvertimenti: questa è una di quelle materie su cui non è il caso di fidarsi di internet e per la procedura completa preventivate 2 giorni di lavoro. Bussate quindi alla porta di una nonna e guardatela lavorare: dovrete imparare con gli occhi quello che non vi racconterà mai perché sul segreto delle ricette di famiglia, è più forte di loro, non riescono proprio a dire tutto! Ah, un ultimo suggerimento: visto che vanno di moda e sono oggetti di design, munitevi di una bella e solida impastatrice! Gemma Zubiani
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LA PAGINA SCIENTIFICA
Listeria nei salumi: il pericolo è nel biofilm di Giovanni Ballarini
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ipetuti sono gli allarmi di Listeria monocytogenes negli alimenti vegetali e in quelli di origine animale. Tra questi ultimi, vanno segnalati anche alcuni salumi preaffettati e confezionati in atmosfere modificate, nei quali si possono creare biofilm pericolosi per la salute. Ancora oggi, la maggior parte della gente pensa che i microrganismi (e in particolare i batteri) vivano liberi nei liquidi o negli ambienti più diversi. Invece, già alla fine del 1600, ANTONI VAN LEEUWENHOECH, con un primitivo microscopio, aveva scoperto degli animalcula nella placca dentaria, oggi definita
biofilm o biopellicola o microfouling. Il biofilm è un’aggregazione complessa di microrganismi, contraddistinta dalla secrezione di una matrice extracellulare adesiva e protettiva formata da sostanze polimeriche, spesso di carattere polisaccaridico (Polisaccaride Intercellulare Adesivo – PIA), frequentemente aderente ad una superficie, sia di tipo biologico sia inerte, con eterogeneità strutturale e interazioni biologiche complesse. I biofilm, sui quali vi è un’ampia bibliografia, sono composti, per circa il 15%, da cellule di microrganismi e, per il restante 85%, dal materiale della matrice che protegge le cellule all’inter-
no e facilita la comunicazione tramite segnali chimici o fisici. In alcuni biofilm sono stati rinvenuti canali d’acqua che contribuiscono a distribuire i nutrienti e le molecole segnale. Allo stesso modo, questi canalicoli convogliano verso la periferia sostanze di scarto ed eventuali esotossine. I biofilm sono largamente diffusi negli ambienti, su tavoli e strumenti di lavoro, e negli organismi viventi. Microrganismi nei biofilm Nei biofilm le cellule microbiche che vi sono contenute assumono caratteri diversi da quelle che vivono libere e costituiscono colonie molto tenaci, che
I salumi stagionati non costituiscono un ambiente adatto allo sviluppo della Listeria, che può invece trovarsi nelle salsicce fresche. Un caso particolare è il prosciutto cotto conservato in un frigorifero casalingo, dove può essere contaminato da una verdura inquinata (contaminazione crociata) e dove possono svilupparsi pericolosi biofilm (photo © Gianluca Ciro Tancredi – Fotolia).
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i microrganismi costruiscono sulla base di geni coinvolti nel loro processo di differenziamento rispetto alle forme che vivono libere. I batteri che vivono in un biofilm, solitamente, hanno proprietà significativamente differenti dai batteri delle stesse specie che vagano liberamente, poiché l’ambiente denso e protetto del film permette loro di cooperare e interagire in varie maniere. Un esempio di questo mutamento è la possibilità, dei batteri dei biofilm, di manifestare colorazioni particolari o diventare bioluminescenti, un fenomeno osservato su pesci e su formaggi freschi. Per i batteri, il biofilm costituisce una protezione e in questo ambiente aumenta la resistenza agli antibiotici, dato che la densa matrice extracellulare e lo strato esterno delle cellule proteggono la parte interna della comunità. Per questo la resistenza agli antibiotici dei batteri contenuti in un biofilm può aumentare da 1.000 a 4.000 volte rispetto a quella dei batteri che vivono in ambiente libero. La natura della struttura dei biofilm, con meccanismi diversi, conferisce ai batteri che vi sono contenuti anche una particolare resistenza ai detergenti e ai disinfettanti, rendendoli particolarmente pericolosi. Un altro importante aspetto è che il biofilm protegge i batteri anche dagli acidi gastrici; di conseguenza essi possono arrivare nell’intestino e svolgere la loro azione negativa, perché penetrando nei tessuti e nel sangue diventano causa di malattia. Biofilm nell’industria salumiera Da tempo i biofilm sono noti agli operatori dell’industria salumiera, perché in questi ambienti, su tavoli, coltelli e altri strumenti di lavorazione, vi sono condizioni che favoriscono la moltiplicazione dei batteri, per l’esistenza di nutrienti, umidità, e per la presenza di microrganismi sulle superfici delle carni. Per questo i biofilm, dopo la loro formazione, rappresentano una fonte di contaminazione degli alimenti che può portare alla loro alterazione o alla trasmissione di germi patogeni. Inoltre, quando un biofilm si distacca dalla superficie abiotica, i singoli microrganismi possono diffondersi. Le superfici corrose, rotte, fessurate trattengono particelle di cibo e costituiscono siti ideali per la formazione di biofilm.
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Le superfici corrose, rotte, fessurate trattengono particelle di cibo e costituiscono siti ideali per la formazione di biofilm. Perciò l’igiene è fondamentale e tutte le industrie di lavorazione delle carni eseguono regolarmente accurate operazioni di pulizia e disinfezione Perciò l’igiene è fondamentale e tutte le industrie di lavorazione delle carni eseguono regolarmente accurate operazioni di pulizia e disinfezione. I principali batteri formanti biofilm, che interessano la salumeria in generale, sono: Salmonella spp., Klebsiella spp., Pseudomonas spp., Campylobacter spp., Escherichia coli, E. coli STEC, Listeria spp., Staphilococcus aureus. Listeria nel biofilm Moltissime specie di microrganismi, singolarmente ma più spesso come associazioni, costituiscono dei biofilm. Il batterio che però sta assumendo sempre maggiore importanza è la Listeria monocytogenes, un batterio ubiquitario molto diffuso nell’ambiente, dove resiste a diverse condizioni avverse, causa di malattie anche gravi e talvolta mortali, come la meningite. La Listeria m. è presente nel mondo vegetale (piante vive o morte), nell’acqua e nel suolo, e contamina molti alimenti. Le listerie, tuttavia, possono essere rapidamente inattivate dal calore, che le distrugge negli alimenti cotti. I biofilm di Listeria si sviluppano su vari materiali che possono essere messi a contatto con gli alimenti, quali polietilene, polipropilene e laminati. Qui il batterio può sopravvivere fino a 14 giorni a temperatura ambiente, ma in presenza di residui di cibo può rimanere vitale fino a 96 giorni. I sanificanti più efficaci sui biofilm sono innanzitutto un’adeguata pulizia e sgrassatura seguita dall’uso di acido acetico, acido lattico, sodio ipoclorito, ammonio quaternario e combinazioni con perossido d’idrogeno. L’attività dei sanificanti aumenta a temperature calde (25 °C) e con un tempo di esposizione di almeno 10 minuti. Per quanto riguarda la persistenza e la moltiplicazione delle listerie negli alimenti contaminati, bisogna ricordare che questo batterio ha la capacità di produrre biofilm, seppure lentamente, anche a temperature basse di frigorifero
(+4 °C). Questa caratteristica aumenta la sua pericolosità, perché durante la lavorazione e la conservazione degli alimenti accresce la probabilità di contaminazione incrociata tra i diversi alimenti. Da qui la grande attenzione che oggi si pone alla presenza di Listeria negli alimenti consumati crudi, come le insalate e taluni salumi. In ogni caso la conservazione in frigorifero deve essere a temperatura non superiore a +4 °C e gli alimenti vanno sempre protetti per evitare sia contaminazioni crociate, sia contaminazioni dello stesso frigorifero, sulle cui superfici si possono formare pericolosi biofilm. Per questo è necessario svuotare completamente il frigorifero e lavarlo con regolarità passando sulle sue superfici interne acqua e aceto (oppure acqua e bicarbonato di sodio) o, in alternativa, utilizzare detersivi non abrasivi, meglio se non generano schiuma in modo da facilitare il risciacquo. Va comunque ricordato che l’azione meccanica di lavaggio è molto più efficace dell’azione chimica di un disinfettante per eliminare i biofilm più pericolosi. Listeria nei salumi I salumi stagionati non costituiscono un ambiente adatto allo sviluppo della Listeria, che può invece trovarsi nelle salsicce fresche; quindi è bene consumare questo alimento dopo una cottura che inattiva e distrugge tale batterio. Un caso particolare è il prosciutto cotto (un salume con elevata umidità) conservato in un frigorifero casalingo, dove può essere contaminato da una verdura inquinata (contaminazione crociata) e dove possono svilupparsi pericolosi biofilm. Lo stesso può avvenire se il cibo contaminato è confezionato in buste in atmosfera condizionata conservate a una temperatura inadeguata (sopra i 4 °C) che permette lo sviluppo di dannosi biofilm contenenti la Listeria. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma
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TECNOLOGIE Organizzazione ottimale dei processi di etichettatura grazie al gestionale giusto
L’etichetta è il DNA di qualsiasi prodotto
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gni giorno milioni di consumatori acquistano generi alimentari e altri prodotti. La loro principale fonte di informazioni è l’etichetta, sulla quale trovano: • informazioni sulla provenienza; • valori nutrizionali; • allergeni; • data di scadenza; • peso e prezzo; • così come altre informazioni utili ma non obbligatorie.
Questi dati forniscono al consumatore l’orientamento necessario per scegliere i prodotti giusti da posizionare nel carrello. Oltre a una buona leggibilità, è necessario che gli ingredienti del prodotto siano menzionati correttamente se si vuole poi promuoverne, eventualmente, il carattere salutistico. Al produttore di alimenti è ben chiaro che anche piccole modifiche alle ricette comportano nuova etichettatura dei prodotti.
L’etichettatura non è un compito banale ed ogni errore ha il suo costo Le etichette, però, sono una possibile fonte di errore. Lingue e normative internazionali diverse portano rapidamente a oltre 2.000 varianti di etichette per soli 100 prodotti. Sempre più spesso vengono ritirati prodotti dal mercato, che in realtà sono perfetti e il cui unico problema è l’etichetta: a volte manca il prezzo, altre volte gli ingredienti non
Tutte le informazioni rilevanti sono trasmesse in modo sicuro sin dalla primissima fase a monte dell’intera filiera.
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Grafico 1 – Principali cause di richiamo degli alimenti nel quarto trimestre 2017 secondo la FDA
sono adeguatamente dichiarati o i pesi non corretti. Secondo l’americana FDA (Food and Drug Administration) gli errori di etichettatura sono tra le ragioni più comuni di richiamo dei prodotti dal mercato e ciò può avere ripercussioni molto negative oltre che costi elevati. Gli errori in etichetta gravano pesantemente, persino in presenza di prodotti che non hanno ancora lasciato lo stabilimento di produzione; basti pensare ai costi necessari per la rielaborazione: disimballare, eseguire un nuovo controllo qualità, imballare nuovamente, documentare. Il tutto possibilmente senza compromettere la routine lavo-
rativa; cosa davvero improbabile, visto il grande sforzo, spesso manuale, che una rielaborazione comporta. La tecnologia è importante Le cause di errori in etichetta possono essere molte: a volte i dipendenti non hanno prestato sufficiente attenzione oppure la gestione dei dati ha funzionato solo in modo limitato. Gli standard legali, i regolamenti e le linee guida, inoltre, stanno diventando sempre più numerosi e quindi più difficili da gestire. Basti pensare ad esempio all’International Food Standard (IFS), il regolamento UE sull’etichettatura delle carni bovine o la
Il CSB-System rappresenta la soluzione intelligente per le aziende del settore alimentare che devono organizzare in modo ottimale i processi di etichettatura. La capacità di soddisfare con successo le richieste del mercato e adeguarsi rapidamente agli obblighi legislativi è determinante restare competitivi
regolamentazione delle informazioni sugli alimenti. I rischi, però, possono essere minimizzati grazie a tecnologie moderne e processi trasparenti. Soprattutto la buona gestione dei dati ha un impatto diretto sulla qualità dei prodotti e sulla loro etichettatura. In altre parole, l’utilizzo del giusto software gestionale può aiutare il produttore di alimenti a proteggersi dagli errori in etichetta. Gestione dei dati efficiente con il CSB-System Rintracciabilità e garanzia di provenienza sono da anni competenze centrali del CSB-System, software gestionale
Tre consigli per evitare errori di etichettatura
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Alcune soluzioni CSB-System per l’etichettatura e l’identificazione Al fine di non ritardare il flusso di merci lungo la filiera, per evitare errori e per soddisfare un’ampia varietà di requisiti di conformità, ecco alcune soluzioni CSB-System che collegano il flusso fisico delle merci (lotti, imballaggi, contenitori logistici e prodotti finali) al flusso di informazioni associato.
completo ed integrato fornito dall’omonima azienda veronese, che da oltre 35 anni fornisce soluzioni specifiche per le industrie alimentari. Il CSB-System offre tutti gli strumenti necessari per ottemperare facilmente e con sicurezza a leggi, direttive e norme UE. Il CSBTraceability consente di gestire, documentare e controllare il flusso dei prodotti in modo preciso fino al lotto, lungo l’intera catena logistica: dagli acquisti delle materie prime, per tutti i livelli di lavorazione e gestione qualità, fino all’etichettatura completa di ogni prodotto. Tramite il modulo di Gestione Valori Nutrizionali del CSB-System poi è possibile calcolare, indicare in etichetta e gestire tutti gli ingredienti, i valori nutrizionali, gli allergeni e gli organismi geneticamente modificati (OGM) presenti in un prodotto, in modo trasparente ed efficiente secondo la legislazione vigente. I contenuti dell’etichetta possono essere generati in più lingue; per ogni prodotto e lingua si possono rappresentare contemporaneamente fino a sei differenti unità. Maggiore sicurezza con il CSB-Vision La riduzione degli sprechi riduce anche le spese per materiali di consumo
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come pellicole, vaschette, etichette e inchiostro. Per una totale sicurezza è possibile installare anche sistemi di controllo ottico. Il CSB-Vision rileva in modo affidabile i difetti sulla confezione e garantisce quindi che nessun prodotto con dichiarazioni erronee lasci lo stabilimento. Tuttavia è importante, in questo contesto, che tutte le informazioni rilevanti siano trasmesse in modo sicuro sin dalla primissima fase a monte dell’intera filiera, servendosi, solitamente, di tecnologie di etichettatura, come codici a barre mono- o bidimensionali, RFID o stampa a getto d’inchiostro. A tal proposito sono elencati qui alcuni esempi: • numero dell’unità di spedizione SSCC; • Global Location Number (GLN); • Global Trade Item Number (GTIN); • Codice a barre GS1 128; • Electronic Product Code (EPC); • GS DataBar Reduce Space Symbology; • GS1 XML/EANCOM; • fTRACE, mynetfair, ATC; • Cassa GRAI (Global Returnable Asset Identifier). Per concludere, il CSB-System rappresenta la soluzione intelligente per tutte quelle aziende del settore ali-
mentare che, indipendentemente dalle loro dimensioni, abbiano la necessità di organizzare in modo ottimale i processi di etichettatura. La capacità di soddisfare con successo le richieste del mercato e adeguarsi rapidamente agli obblighi legislativi in continuo cambiamento è fattore determinante per operare sul mercato e mantenere una buona posizione competitiva.
Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com
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EURO ANNUARIO CARNE 2019
STORIA E CULTURA Delizie della padella
Friggere con lo strutto Ormai “sdoganato” dopo decenni di ostracismo, questo grasso rimane l’unto ideale anche dal punto di vista dietetico per tante ricette tradizionali di ogni regione d’Italia, dal pinzino al gnocco, dai chisolini alle frappe, dagli struffoli alle zeppole… basta non abusarne di Nunzia Manicardi
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er anni e anni è stato demonizzato, ma adesso, per lo strutto, sembra davvero giunta l’ora della riscossa. Sul banco degli imputati era salito in quanto grasso di origine animale, in un’ottica nutrizionista che aveva messo al primo e non di rado unico posto il grasso di origine vegetale pri-
vilegiando l’olio sempre e ovunque (e spesso non d’oliva ma di semi), anche per la frittura. In quest’ultimo caso, invece, si sta rivalutando proprio lo strutto perché ha un alto punto di fumo (superiore pure a quello dell’olio d’oliva), è stabile e presenta grassi saturi e polinsaturi relativamente bassi. Inoltre ha il pregio, che solo lui può assicura-
re, di conferire morbidezza ad alcune preparazioni tradizionali irrinunciabili quali “il” gnocco fritto modenese (e i suoi “parenti” emiliano-romagnoli), il pane chiamato “coppia ferrarese” e alcuni dolci, presenti in quasi tutte le regioni italiane, che sono tipici del Carnevale, quali le zeppole, le chiacchiere o frappe e gli struffoli.
Gnocco fritto nello strutto (photo © francescodemarco – stock.adobe.com).
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Strutto e sugna Lo strutto non va confuso con la sugna, anche se molti pensano che si tratti dello stesso prodotto. Lo strutto è il prodotto finito dopo il processo di fusione del grasso dorsale (sottocutaneo), mentre la sugna è il grasso viscerale della zona surrenale (molto morbido e delicato, quasi del tutto privo di impurità; se ne ricavano 2 o 3 chilogrammi per ogni animale). La confusione deriva dal termine dialettale centro-meridionale ‘nzogna (sugna) con cui spesso vengono indicati entrambi. L’estrazione dello strutto Vediamo adesso come si arriva allo strutto (lo stesso procedimento, peraltro, può essere utilizzato per la sugna, per ottenere un grasso ancora più leggero). Privato della cotenna, il grasso è tagliato a cubetti che poi vengono messi a scaldare a fuoco lento finché non si sciolgono, anche se non del tutto, facendo evaporare l’acqua contenuta nei tessuti. Al termine di questa fase, in cui verranno ad assumere un colore tendente al giallo-rosato, i cubetti sono colati e pressati. Il liquido che ne deriva, filtrato delle impurità, è lo strutto (i residui cubetti di grasso costituiscono invece i ciccioli, altra prelibatezza da gustare con parsimonia dietetica, ma da mantenere assolutamente in vita per la squisitezza e l’antica origine contadina). Questo liquido è immesso in contenitori (tipo barattoli) e lasciato a raffreddare lentamente fino ad assumere il caratteristico colore bianco e la consistenza morbida. Lo strutto, da freddo, è pressoché inodore; quando è caldo, emana un odore tipico ma non molto forte. Fonde a circa 40-42 °C e si scioglie completamente, “dissolvendosi” in un liquido incolore, oleoso e trasparente. In commercio lo si trova generalmente nei supermercati, in tre formati: liscio, granuloso e a fiocchi. Tende a irrancidire facilmente, per cui bisogna conservarlo in frigorifero, ben avvolto nella sua confezione e in assenza di contaminanti, facendo attenzione alla data di scadenza. Se vengono prese queste precauzioni, può durare anche alcuni mesi. Può anche essere congelato ancora più a lungo, sempre all’interno di contenitori chiusi. Nella produzione industriale/artigianale (proprio perché, se esposto all’aria, tende a irrancidire facilmente per la
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Li connimenti (I condimenti) Sí, è bbona la cuscina co lo strutto; anzi lo strutto er barbiere m’ha ddetto ch’è un connimento che ffa bbene ar petto come fa er pepe c’arifresca tutto. S’addatta a li grostini cor presciutto… ar pollame…, a l’arrosto de lommetto… a lo stufato…, all’ummido…, ar guazzetto… ma addoprallo in ner fritto è un uso bbrutto. Vòi frigge er pessce co lo strutto?! Eh zzitto Er pessce-fritto in nell’òjjo va ccotto: l’òjjo è la morte sua p’er pessce-fritto. Che mmaggnà da stroppiati! io ne sò mmatto. E gguarda er Papa, che davero è jjotto: ce se lecca li bbaffi com’un gatto”. Giuseppe Gioacchino Belli, 1837
mancanza di antiossidanti naturali) non di rado si aggiungono antiossidanti e/o sale e talvolta si utilizza il vapore ad alta temperatura come fonte di calore. Forse furono gli Ebrei a decretarne la sfortuna Lo strutto, in passato, era assai utilizzato in cucina perché costava molto di meno rispetto all’olio, poi è caduto in disuso ed è stato sostituito con oli di vario genere (d’oliva, di mais, di arachidi, di girasole e di altri semi, oltre, da noi in tempi molto più recenti, al tanto bistrattato olio di palma) o con la margarina; il burro è stato, più che altro, un suo concorrente storico, a seconda delle zone geografiche e dei tipi di allevamento del bestiame. Lo strutto, tuttavia, è sempre rimasto abbastanza impiegato dall’industria per i prodotti da forno (grissini, cracker, pancarré, impasti per pizza e focaccia, pane confezionato) e per la pasticceria. Secondo CORRADO BARBERIS, che ne ha parlato nel suo libro Mangitalia: la storia d’Italia servita in tavola, l’uso di sostituire lo strutto con l’olio d’oliva potrebbe essere derivato dalla cucina ebraica, essendo gli Ebrei l’unico ceppo etnico già presente a Roma in età imperiale (basti, per tutte, ricordare la celeberrima ricetta dei carciofi alla giudia) e rifuggendo, per precetto religioso, dall’utilizzo di qualsiasi contatto con la carne di maiale. Essendo poi gli Ebrei diffusi un po’ ovunque, non è difficile immaginare come tale sostituzione abbia
potuto diffondersi, pur con le limitazioni date dal loro vivere appartati rispetto alle altre popolazioni locali. Il sonetto del Belli E proprio a Roma, guarda caso, nel 1837 il poeta romanesco GIUSEPPE GIOACCHINO BELLI dava alla luce il suo arguto sonetto Li connimenti (I condimenti) in cui, comparando lo strutto con gli altri condimenti in uso al suo tempo, lo definiva nettamente superiore per “i crostini con il prosciutto o il pollame o l’arrosto di lombo o lo stufato, l’umido, il guazzetto…”, ma non certamente per la frittura. “Vuoi friggere il pesce con lo strutto?! Eh, zitto. Il pesce fritto va cotto nell’olio, l’olio è la morte sua per il pesce fritto. Che mangiare da ingordi! Io ne vado matto”. E perfino il Papa, concludeva il Belli, “ne è davvero ghiotto. Ci si lecca il baffi come un gatto!”. In tanti casi rimane tuttora insuperabile Adesso però, come ricordavamo, per lo strutto è arrivato il momento della rivalutazione, in particolare quando si parla di frittura e anche per conferire a determinate specialità gastronomiche, che rimangono tuttora molto richieste e apprezzate, il giusto sapore e la giusta croccantezza e fragranza. Un altro motivo per preferirlo è che la sua presenza nell’impasto rende più friabile la massa del glutine all’interno del prodotto, aumentando il volume dell’impasto stesso e rallentando le perdita di umidità.
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Bocconcini di pasta fritta, le castagnole sono un dolce carnevalesco diffuso in tutta Italia. Fanno parte della tradizione culinaria ligure, emiliano-romagnola, marchigiana, laziale, umbra meridionale, abruzzese, veneta e lombarda (photo Š Antonino Dâ&#x20AC;&#x2122;Anna â&#x20AC;&#x201C; stock.adobe.com).
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Grassi polinsaturi e punto di fumo Il problema dei grassi utilizzati nella frittura è dato da due elementi: la presenza di grassi polinsaturi e il livello del punto di fumo. La resistenza e il deterioramento di un grasso alla cottura dipendono dalla sua composizione in acidi grassi: quelli con acidi grassi saturi sono più resistenti di quelli con acidi grassi polinsaturi. La differenza si fa notare soprattutto nelle fritture successive alla prima o nelle fritture prolungate, per cui grassi “buoni” a temperatura ambiente diventano “cattivi” ad alte temperature. Quindi, i grassi con maggiore quantità di acidi grassi monoinsaturi sono più sani per la frittura, quelli con più polinsaturi sono più sani nel caso di ingestione. Il raffronto in percentuale lo dimostra con chiarezza: l’olio di semi di girasole contiene il 50,22% di grassi polinsaturi, quello di mais il 50,43% (fonte: Tabelle di Composizione degli Alimenti, INRAN – Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione). Non va bene nemmeno per l’olio di soia (63%) e per quello di palma (49%). Il burro, a sua volta, ne contiene il 51%. Si salvano invece l’olio d’oliva (appena 8,84%) e l’olio di arachidi (27,87%), sicuramente più salutari. Ma si salva anche lo strutto, con il suo 32% di grassi saturi. Un livello accettabile, soprattutto se usato con moderazione. Inoltre lo strutto, durante la frittura, riesce sempre non solo a garantire temperature stabili, ma anche un punto di fumo elevato, di circa 250 °C (il punto di fumo è la temperatura a cui un grasso alimentare comincia a decomporsi e può formare sostanze tossiche come l’acroleina). Anche qui il raffronto è chiarissimo: olio di girasole (meno di 130 °C), olio di mais (160 °C), olio di arachidi (180 °C), olio extravergine d’oliva (210 °C; in questo caso però, al contrario di quanto comunemente si crede, è preferibile usare l’olio non extravergine perché l’extravergine, non essendo raffinato, tende a degradarsi più rapidamente). Comunque lo strutto va sempre consumato in piccole quantità e non frequentemente perché presenta un tenore di acidi grassi insaturi elevato, superiore a quello del burro (892 kcal ogni 100 g). Chi soffre di ipercolesterolemia è meglio che lo eviti, se non in rarissime occasioni.
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Coppie ferraresi. La lunghissima storia dello strutto in cucina Ma quando è nato, in Italia, l’uso di impiegare lo strutto? Ancora una volta il nostro Paese si presenta storicamente spaccato, e stavolta in tre aree: strutto e lardo in Emilia e Romagna, burro nel Nord Italia e olio d’oliva nel Centro e nel Sud. L’origine dell’uso dello strutto si perde nella notte dei tempi. Gli Etruschi, che pure preferivano l’olio d’oliva, lo utilizzavano per fare una specie di antenata dell’attuale piadina. Le antiche popolazioni latine, e i Romani pure, lo usarono finché, come ci ha scherzosamente ricordato il Belli, non fu surclassato dall’olio, anche a seguito della sempre più penetrante diffusione della coltivazione dell’ulivo (che comunque risale all’VIII-VI secolo a.C., quindi centinaia di anni prima dell’ottocentesco sonetto appena ricordato). Ma i barbari, e in particolare i Celti, che portarono con loro l’allevamento del maiale e tutti i suoi utilizzi alimentari, ridiedero importanza allo strutto fino a tutto il Medioevo. Gli Spagnoli, che lo chiamavano saim (e ancora, in siciliano, si chiama saìmi), durante la loro dominazione in Sicilia ne perfezionarono l’estrazione, specialmente nel mattatoio di Palermo, dando il via nel XVI secolo anche ad una fiorente esportazione in tutti i loro territori. Non esiste Emilia-Romagna senza strutto… Se non ci fosse lo strutto, non esisterebbero “il” gnocco fritto modenese né quello reggiano, la torta fritta par-
migiana, i chisolini piacentini, il pinzino ferrarese, le crescentine bolognesi… Non esisterebbe nemmeno la coppia ferrarese, il tipico pane, conosciuto fin dall’alto Medioevo, oggetto di un rigoroso disciplinare di produzione in cui lo strutto è elemento indispensabile. Ma, senza lo strutto, non esisterebbero nemmeno tutti quei dolci di Carnevale che soltanto con questo ingrediente possono essere fritti come si deve: le frappe o chiacchiere, le castagnole, gli struffoli, le zeppole, le meraviglias, le frittelle in genere… dolci che, grazie allo strutto, uniscono il nostro Paese da Nord a Sud senza alcuna distinzione. E, con buona pace del Belli, non esisterebbe più neanche il pandorato, quel piatto poverissimo della tradizione romana, tanto caro all’attore ALDO FABRIZI, che consiste in pane raffermo ammorbidito con latte e uova e poi fritto nello strutto. Il sapone con lo strutto C’è poi un uso dello strutto che i più giovani sicuramente non conoscono e che appartiene alla nostra tradizione contadina più antica: è quello di utilizzarlo per la produzione casalinga di sapone. Oggi non si fa più, ma un tempo lo strutto veniva messo a reagire in giuste proporzioni con soda caustica, talco e pece greca. Ne risultava un efficacissimo sapone tutto naturale, morbido ma solido, che veniva tagliato a pezzi, pronto per essere adoperato con l’acqua gelida del pozzo. Nunzia Manicardi
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LIBRI
L’appetito dell’imperatore
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all’ultimo pasto di S AN FRANCESCO — santo ma segretamente goloso! — alla sontuosa tavola di HONORÉ DE BALZAC, dai cibi raffinatissimi del banchetto del GRAN KHAN alle uova con cipolle e scalogno care a Napoleone, passando per tre deliziosi intermezzi sul caffè, le castagne e i tartufi, FRANCO CARDINI mette in campo la sua duplice esperienza di storico e di gourmet: e ci regala un libro appassionante, documentatissimo, pieno di profumi e di curiosità che solo lui poteva scovare tra le pieghe della grande storia. Spaziando dal Medioevo ai totalitarismi novecenteschi e non solo, Cardini torna alla narrativa con una serie di racconti gustosi, che sono anche un’illuminante testimonianza di come la cultura materiale sia specchio dello spirito di ogni popolo e possa essere per lo storico una lente speciale per comprenderne i segreti. Ogni racconto è, così, corredato tanto da un’indicazione delle fonti quanto dalle ricette che Franco
Cardini ha sperimentato, una per una, nella sua cucina fiorentina: dall’acquacotta al piccione glassato, dal cuscus magrebino alla crema Chantilly, ciascuno di noi potrà portare sulla propria tavola i sapori del passato e ritrovare intatte le emozioni che essi racchiudono. Invito alla lettura di Franco Cardini Nessuna di queste “storie” è propriamente e totalmente fedele alla Storia: quasi tutte sono, in differente misura, un insieme di “vero storico” — che s’incentra su un grande evento oppure si rifugia negli anfratti di alcuni particolari — e di libera immaginazione, tuttavia attenta quantomeno al verosimile. Sono storie che ora hanno un andamento quasi saggistico, ora chiamano al proscenio autentici personaggi storici, ora ne inventano alcuni; che ora si riferiscono a fatti davvero accaduti, ora ne propongono di immaginari; che talvolta provvedono a distinguere con cura e a sottolineare con evidenza il
vero, il verosimile e il falso, e talaltra si divertono invece a confondere le idee giocando con gli specchi e, come diceva Hermann Hesse, con le perle di vetro. Le note apposte a ciascun racconto servono a orientare il lettore più esigente, aiutandolo a distinguere tra storia e invenzione, tra legittima interpretazione e forzatura ludica. Il mio lavoro di docente universitario mi ha condotto — e io l’ho del resto assecondato con piacere — a viaggiare molto e anche a partecipare a varie esperienze gastronomiche e conviviali. D’altra parte non sono mai stato, non sono, non sarò mai un gourmet. E comunque a impedirmi di continuare a esserlo, se mai lo fossi stato, sarebbero quattro fattori obiettivi: primo, la terza età nella quale sono ormai entrato, ohimè, da qualche anno — in ciò, la carriera del gourmet è abbastanza simile a quella del tombeur de femmes, quantomeno per gli effetti pratici —; secondo, quello che eufemisticamente si potrebbe definire un evidente sovrappeso; terzo, il trio
Croccante alle mandorle (photo © StudioGi-2015).
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FRANCO CARDINI L’appetito dell’imperatore Storie e sapori segreti della storia Mondadori, Collana Omnibus 350 pp. – € 19,00
pressione-colesterolo-trigliceridi alquanto in disordine; quarto, e last but not least, la mia pervicace, profonda natura di contadino toscano, i cui cibi preferiti restano la panzanella, il pinzimonio, la bruschetta, i fagioli al fiasco e la zuppa di pesche gialle affettate nel vino rosso alla fine delle cene estive. Roba semplice e grossolana alla quale, senza disdegnar nulla d’altro, resto fedele. Insomma, non so se e quanto sia giusto l’aforisma feuerbachiano secondo il quale l’uomo è ciò che mangia: mi verrebbe piuttosto da pensare che l’uomo mangi quel che è, quel che vuol essere e quel che vuol diventare. Che si
debba mangiare per vivere è un fatto: ma che non si debba vivere per mangiare è una mezza verità che rischia di stravolgersi in una stereotipa, conformistica, moralistica e ipocrita menzogna. Gran parte della nostra vita ruota attorno al cibo, a quello concreto e a quello desiderato e sognato, a quello reale e a quello simbolico e metaforico (“ti mangerei di baci”, “bada che non ti mangio mica”, e così via). Parliamo sempre di cibo (e di vino), ben al di là delle nostre necessità e perfino della nostra fame e della nostra sete. Ne poetiamo, ne dipingiamo, lo traduciamo in suoni e in canti; occupiamo parecchio del nostro tempo pensando a come produrlo, a come procurarcelo, a come prepararlo e trasformarlo, a come conservarlo, a come (e magari a quando e con chi) consumarlo, a come rimediare agli errori quantitativi e qualitativi che appunto nel consumarlo commettiamo. Ci ammaliamo per il cibo, guariamo grazie a lui o nonostante lui. È fin da Platone (ma anche da Petronio) e dall’episodio dei Tre invitati da Abramo sotto le querce di Mamre — ma soprattutto dall’Ultima Cena — che sappiamo quanto profondamente spirituale sia l’esperienza del convivio; tutti noi abbiamo sperimentato almeno una volta nella vita il “mangiare insieme” come eros travolgente, oppure come fraterna concordia e amorevole condivisione, agape, scoperta dell’altro-da-sé in noi e di noi stessi in lui; o perfino come esperienza tremenda e limitanea, qualcosa come la sublime e terribile cena alla quale don Giovanni invita la statua del Commendatore, che accetta anche se “non si pasce di cibo mortale / chi si pasce di cibo celeste”. Del resto, il
legame tra festa, amore, cibo, sesso e morte è ben noto agli antropologi. Il cinema ha saputo rappresentare molto spesso, e in modo straordinario, questi differenti aspetti dell’uso e del significato del cibo e del senso del banchetto: l’eros nel greco-turco Un tocco di zenzero di TASSOS BOULMETIS, del 2003, ambientato in una Istanbul immersa in un mare di struggenti sapori dolci e piccanti; l’agape ne Il pranzo di Babette di GABRIEL AXEL, del 1987, grazie soprattutto alla superba interpretazione di una Stéphane Audran fasciata di pomeridiano splendore; il discensus ad Inferos nella golosa, lugubre disperazione de La grande abbuffata di MARCO FERRERI, del 1973, con il prestigioso, tragico ed esilarante bouquet di Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni, Michel Piccoli, Philippe Noiret e Andréa Ferréol, perduti nella loro orgia di lucido suicidio sessuale e bulimico. Cibo e morte. Ma anche cibo e resurrezione, cibo e vita eterna. Nel cristianesimo, la religione del pane e del vino, s’insegna che la gola è un vizio capitale; eppure il più grande dei santi, in punto di morte e sulla soglia della vita eterna, elevò a Dio una preghiera altissima fatta di desiderio di un semplice cibo, una boccata di miele e di mandorle profumata d’arancio: non senza un accenno di nostalgia per la fragile e bellissima avventura della vita mortale con i suoi colori e i suoi profumi, con la gioiosa certezza della luce che non si estinguerà mai. Ed è proprio da qui che cominceremo la nostra avventura semistorica, al margine della “grande” Storia, quella con la S maiuscola, e al confine con la fantasia: o forse nel cuore profondo di entrambe.
FRANCO CARDINI, nato a Firenze nel 1940, è Professore Emerito dell’Istituto Italiano di Scienze Umane (Scuola Normale Superiore). Da circa mezzo secolo si occupa principalmente di crociate, pellegrinaggi, rapporti fra Europa cristiana e Islam, anche trascorrendo lunghi periodi di studio e d’insegnamento all’estero. È stato membro dei Consigli d’Amministrazione della RAI e di Cinecittà. Continua a collaborare con la RAI e con vari giornali tra cui Avvenire, il Quotidiano Nazionale, Il Sole-24 Ore, Il Secolo XIX, Il Mattino. Per Mondadori ha pubblicato Il Barbarossa (1985), Francesco d’Assisi (1989), La vera storia della Lega lombarda (1991), Quell’antica festa crudele (1995), Alla corte dei papi (1995), Giovanna D’Arco (1998), L’avventura di un povero crociato (1998), Il guardiano del Santo Sepolcro (2000), Il signore della paura (2008), La scintilla (con S. Valzania, 2014). >> Link: www.francocardini.net
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GASPARE BUSCEMI Guida pratica al piacere del vino Pilota Green Editore, Treviso, 2018 € 10,00
CARLO MANTOVANI Le radici del gusto. Emilia-Romagna Itinerari dendro-gastronomici tra grandi alberi e grandissimi piatti Edizioni del Loggione, Modena, 2018 254 pp. – € 15,00
MICHELE LEONE Viaggio tra le confraternite enogastronomiche d’Italia Edizioni Odoya, Bologna, 2018 312 pp. – € 22,00
Un’ottantina di pagine che scorrono velocemente e piacevolmente ma dalle quali emerge la profonda competenza e conoscenza di G ASPARE B USCEMI , “enologo vinificatore artigiano in Cormons” come lui stesso si definisce, personaggio noto e stimato nel settore enologico e non solo. La sua filosofia è fare il vino con sapienza artigiana, con cura amorevole, diversamente da ciò che è industriale e non naturale. Ed è con l’animo semplice ma appassionato di un artigiano che illustra in questa guida tutto ciò che si deve sapere per conoscere e quindi apprezzare il vino, come si intuisce dalla successione dei diversi capitoli: “Da alimento a piacere”, “Sentire il piacere”, “Comprendere l’etichetta”, “Bottiglia, tappo e cantina”, “Dalla cantina alla tavola”, “A tavola”, “I formati del vino”, “Termini spesso usati impropriamente”.
Le radici del gusto è una guida turistica dell’Emilia-Romagna diversa dal solito: propone infatti una formula turistica inedita, tra grandi alberi, quelli monumentali e grandissimi piatti, quelli di feste fiere o sagre. Itinerari che vengono chiamati dendro-gastronomici, simboleggiati dal magnifico esemplare di broccolo che domina la copertina: un alimento che ricorda tantissimo una quercia secolare e quindi coniuga perfettamente i due cardini della guida. Un modello di turismo tutto en plein air che unisce natura e cultura, intelligente e piuttosto economico, alla scoperta dei tesori (fin troppo ben nascosti) del territorio regionale. Una proposta, tra l’altro, molto adatta al cicloturismo.
Le confraternite enogastronomiche sono un vero e proprio universo di associazioni, gruppi informali ed organizzazioni di solida tradizione, che tra amore per il buon cibo ed il buon vino, identità, legami col territorio e sana goliardia, contribuiscono a mantenere salde quelle radici culturali che sono parte integrante della nostra identità nazionale. Dall’Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini d’Alba alla Confraternita del Pampascione Salentino, dall’Accademia del tartufo del Delta del Po all’Accademia Gonzaghesca degli Scalchi, fino alla Venerabile Confraternita del Baccalà alla Vicentina ed alla Confraternita degli Amici del Porcello. MICHELE LEONE è un viaggiatore divertito e divertente, che ci accompagna a ritrovare una parte della cultura schietta dei luoghi, della quale ci riporta anche le più autentiche ricette.
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Il profumo della tradizione, il gusto della qualitĂ .
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