Premiata Salumeria Italiana 2-2013

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXV N. 2 Marzo-Aprile 2013

Premiata Salumeria Italiana, 2/13

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FIERAMILANO 19_22 maggio 2013

PADIGLIONE N. 24 STAND L08 - L10

È il pascolo che fa la differenza .

Il pecorino fresco Pascoli di Pienza viene prodotto con latte di pura pecora proveniente da greggi che pascolano nel territorio del comune di Pienza, famoso fin dai tempi antichi per la sua ricchezza di erbe profumate che donano al latte la propria fragranza. A suggellare il legame tra gli allevatori e l’esperienza di trasformazione del Caseificio Busti, con lo scopo di garantire l’originalità del prodotto, esiste dal 2004 un Consorzio a tutela del formaggio “Pascoli di Pienza”. La rintracciabilità della filiera è certificata da Certiquality (UNI EN ISO 22.005:2008).


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ECCELLENZA, IN TAVOLA. y al

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2013 Bicentenario Verdiano Marco Berti e Langhiparma

www.langhiparma.it


N. 2 Anno XXV Marzo-Aprile 2013

€ 6,70 EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE – EURO ANNUARIO CARNE – EURO GENUINE FOOD ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA – US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA Stampa

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988 Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910 In esclusiva gli articoli di Euposia

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Renato Bergonzini – Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Redazione New York Stefano Spadoni – Alessandra Rotondi P.O. Box 569, New York, NY 10101-0569 Tel./Fax +1 212 956 8566 E-mail: stefanony@stefanospadoni.com Consulenti scientifici Prof. Giovanni Ballarini (Parma) – Prof. Fausto Cantarelli (Parma) – Prof. Carlo Cantoni (Milano) – Prof. Giuseppe Caserio (Milano) – Prof. Giorgio Catellani (Napoli) – Prof. Eugenio Del Toma (Roma) – Dr. Aldo Focacci – Dr. Emanuele Guidi (Modena) – Prof. Riccardo Monacelli (Roma) – Dr. Alfonso Piscopo – Piero Pittaro (Udine) – Prof. Andrea Strata (Parma) – Angelo Valentini (Perugia)

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N. 2

In questo numero: Immagini

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Il food in rete

Il meglio del web e delle app

Elena Benedetti

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Aziende

Lini910: il valore della costanza

Laura Franchini

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Beppino Occelli il gusto nuovo della tradizione

Gaia Borghi

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Una Igp profumata dal gradevole odore di affumicato

Carlo Cantoni

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Speciale speck

Speck Alto Adige ambasciatore di qualità

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Alta Pusteria: Bauernspeck Igp e tradizione

Riccardo Lagorio

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I sapori del Trentino si affacciano sul lago

Fabio Butturi

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Mercati

Indicazioni geografiche UE: un patrimonio che vale 54 miliardi di euro

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Commercializzazione

Fiorucci: a ognuno la sua fetta

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Il Vallèe d’Aoste Jambon de Bosses Dop sbarca in Cina

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Nutrizione

La personalità vien mangiando (per strada)

Josette Baverez Blanco 51

Locali di gusto

Dalla macelleria all’osteria: la filiera corta dei Tagliavento

Massimiliano Rella

Pane Vino e San Daniele: da oggi anche a Ferrara

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Champagne e salumi, attrazione fatale

Riccardo Lagorio

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Tendenze

The day after ovvero la cucina del riciclo

Clara Scaglioni

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Sapori dal mondo

Würstel: dall’Austria con sapore

Raffaele Bertolini

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Convegni

Parmigiano Reggiano: obiettivo equilibrio tra domanda e offerta

Anna Mossini

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Rassegne

Il valore rivoluzionario del rispetto

Laura Franchini

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Taste 2013, Firenze sogna

Gaia Borghi

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Fiere

RHEX Rimini: tutti a bordo

Formaggio

La scienza del formaggio artigianale

Raffaele Bertolini

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U Cabanin, un formaggio come dovere morale

Giulia Mauri

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Charta del lago di Caldaro: selezione superiore per la Doc dell’Alto Adige

Massimiliano Rella

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Lo stile italiano del bere moderno: Bacio della Luna, il Prosecco è servito

Riccardo Lagorio

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Vino

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Bollicine griffate Albea

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I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: Grillo Sicilia

Laura Franchini

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Birra

Anche per la birra ritorno all’artigianalità

Riccardo Lagorio

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Aceto

Mariangela Grosoli nuovo presidente del Consorzio Aceto Balsamico di Modena Igp

Arti e mestieri

L’immagine femminile nella comunicazione

Manrico Murzi

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Légami!

Raffaele Bertolini

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Storia e cultura

Invasione del mangiar crudo: nuova cultura o incultura?

Giovanni Ballarini

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Libri

La cucina ampezzana di Rachele Padovan

Angelo Valentini

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Tecnologie

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Dal filo d’Arianna al filo d’olio

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Ottimizzazione dei processi, automatizzazione e soluzioni mobili

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In copertina: baffe di Speck Alto Adige Igp (foto di Massimiliano Rella).

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Figlio unico.

San Leo è il primo e unico DOP nato, coccolato e cresciuto da Carpegna. N el c u o r e d ell ’A p p ennin o marchigiano, a 750 metri di altitudine, si apre una valle dal microclima unico, cullata di giorno da venti marini e alla sera da brezze profumate di muschi e resine. È l’aria che da secoli si respira a Carpegna. È uno dei segreti del Prosciutto

di Carpegna DOP San Leo, figlio di una natura materna, di un clima favorevole e di una lavorazione artigianale appas sionat a. Una qualit à riconosciuta dall’autorevole certificazione DOP solo al San Leo, unico a Carpegna, unico nel mondo. Un tesoro di prosciutto.

www.carpegnaprosciutti.com


Immagini

Scelte assolutamente non commerciali, nel vino come nell’aceto balsamico, portate avanti con costanza: è questo il segreto del successo della cantina Lini910 di Correggio, Reggio Emilia, che ha compiuto da poco cent’anni. Il servizio di Laura Franchini a pagina 19.

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Una nobile tradizione Il grande aceto che viene dalla tradizione della nobiltà e aristocrazia modenese

Nel 1839 il conte Giorgio Gallesio scriveva che a Modena esistevano due aceti prodotti direttamente dal mosto; uno è quello famoso nel mondo, detto oggi “Aceto Balsamico di Modena”, economico e adatto all’uso quotidiano. L’altro è il raro “Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP”, detto anche “Ambrosia Deorum”, prodotto con solo mosto cotto e seguendo un antico e laborioso processo. È un aceto che non ha eguali, prezioso e dalle nobili origini. Nasce dalle uve di Modena, secondo una tradizione antica che risale al tempo dell’Impero Romano. In passato veniva citato nei lasciti testamentari ed era dote prestigiosa per le giovani spose di aristocratiche origini. Era gelosamente conservato nei sottotetto e amorevolmente curato di generazione in generazione. Era considerato una sorta di Panacea dai principi medicamentosi in grado di curare tutti i mali. Solo di rado era ceduto in dono ma, nell’occasione, era il regalo degno di “Re e Principi”.

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Una meraviglia di processo Che l’aceto invecchi è un dire tutto modenese. In realtà chi invecchia è il padrone, mentre l’aceto balsamico tradizionale matura nelle botticelle e sublima a pura essenza attraverso un lunghissimo processo produttivo. Quando la batteria delle botti inizia la sua attività si devono attendere almeno 12 anni per il prodotto DOP normale ed almeno 25 per quello Extravecchio. È prodotto ancora oggi partendo dal mosto delle uve tipiche che viene cotto a fiamma diretta in caldaie a cielo aperto. Il mosto cotto viene poi messo nella più grande di una serie di botticelle di legno a volume decrescente e fatte di legni diversi. Di anno in anno una parte dell’aceto è travasato da una botte a quella successiva. Inizia così il processo produttivo che solo dopo almeno 12 anni, certificati, permetterà di prelevare dall’ultima botticella un aceto di qualità e dopo solo 25 anni potrà distinguersi come “Extravecchio”. Solo però dopo aver superato l’attento esame degli assaggiatori esperti potrà essere imbottigliato, rigorosamente presso il consorzio e sotto il vigile controllo dell’ente di Certificazione...

Aceto Balsamico Tradizionale di Modena D.O.P. con incarico di “Tutela” dal Ministero Politiche Agricole e Forestali per DM 16/10/2009, Gazz.Uff. 4/11/09 Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Viale Virgilio 55, 41123 Modena tel. 059 208604 fax 059 208606 consorzio.tradizionale@mo.camcom.it www.balsamicotradizionale.it


Taste, il food event più modaiolo dell’anno, organizzato come di consueto da Davide Paolini e dai creativi di Pitti Immagine, dal 9 all’11 marzo ha ospitato produttori d’eccellenza, operatori del settore e amanti dell’enogastronomia all’interno della Stazione Leopolda di Firenze. A pagina 78 un servizio a firma di Gaia Borghi.

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L’Umbriaco L ’U Nasce dall’unione del prosciutttoo ““LUI” stagionato 18 mesi nel nostro prosciuttificio p rosc di Norcia all’aria incontaminata m inata d della verde Umbria, con una speciale ubriacatura alle vinacce. Il risultato è un prodotto davero speciale e dal sapore inconfondibile. Vieni a scoprire tutte le nostre novità su www.renzini.it

Maestri dell’arte norcina e delle specialità gastronomiche Premiata Salumeria Italiana, 2/13 Renzini S.p.A. Via Dante Renzini, 2 06019 Montecastelli (PG) - Phone: +39 075 9418600 - fax +39 075 9418672

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Il food in rete

Il meglio del web e delle app di Elena Benedetti

www.foodiedrivers.it

www.asiagocheese.com

www.exedo.it

Il club di chi ama guidare e mangiare bene È nata a marzo una nuova iniziativa targata cronachedigusto.it, un sito che si rivolge al pubblico dei foodies, ovvero di coloro che cercano in ogni luogo cose buone da mangiare e da bere. Si chiama www.foodiedrivers.it ed è il frutto di una sinergia tra cronachedigusto. it e quattro concessionarie di auto di Palermo. Un club virtuale rivolto a chi ama guidare, mangiare e bere bene. «Il sito www.foodiedrivers.it consentirà — ha spiegato Fabrizio Carrera, direttore di cronachedigusto. it — di leggere consigli su dove mangiare, cosa bere, dove dormire oltre a proporre itinerari turistico-gastronomici». «Ma proporrà anche notizie dal mondo dell’auto, descrizione di nuovi modelli, offerte dell’usato, informazioni sulla guida sicura e tanto altro» ha aggiunto Iolanda Riolo, titolare delle concessionarie che partecipano all’evento. Tra le iniziative in programma anche l’organizzazione di visite e degustazioni presso diverse aziende agroalimentari. Form on-line

Il panino moderno con Asiago Dop Dal 1 marzo al 5 maggio 2013 è possibile iscriversi ad ASIAGO CHEESFIDA, la competizione on-line organizzata dal Consorzio Tutela Formaggio Asiago, che reinterpreta il panino secondo le moderne tendenze del gusto. Il panino è il nuovo simbolo del mangiare veloce, sano e gustoso dei nostri tempi. Capace di racchiudere fantasia e cultura, il panino è tendenza, stile e gusto insieme. E proprio il panino abbinato al formaggio Asiago DOP, fresco o stagionato, è il protagonista di Asiago CheeSfida, la competizione proposta su www.asiagocheese.com che mette alla prova quattro categorie di partecipanti: ristoratori (proprietari e collaboratori di pubblici esercizi: bar, ristoranti, paninoteche, pizzerie, ecc…), negozianti di prodotti alimentari, food blogger e appassionati. Informazioni e regolamento di partecipazione al concorso disponibili sul sito. Form on-line

Enogastronomia italiana di qualità a casa con un click EXEDO è un sito di e-commerce fondato nel 2012 per mettere in contatto i produttori alimentari italiani di qualità con una rete di consumatori estesa su tutto il territorio nazionale. Attraverso le “offerte del giorno” gli utenti possono acquistare i prodotti della tradizione enogastronomica e riceverli dal produttore direttamente a casa, attraverso una procedura semplice, veloce e sicura. Per effettuare un acquisto basta entrare in www.exedo. it e visionare l’offerta o entrare nella “bottega”, dove scegliere tra formaggi di malga valtellinesi o tagli di carne 100% piemontese, oli biologici pugliesi e salumi marchigiani e così via. Per l’acquisto basta la registrazione al sito e la compilazione di un formulario con i dati per il pagamento, la fatturazione e la spedizione. A tutto il resto pensa Exedo, che dall’azienda produttrice fa recapitare il pacco acquistato direttamente a casa. info@exedo.it

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www.fromagesditalieaop.com I Consorzi di tutela dei formaggi Dop Mozzarella di Bufala Campana, Asiago, Gorgonzola e Parmigiano Reggiano hanno approntato un nuovo piano che per tutto il 2013 promuoverà queste eccellenze presso l’alta ristorazione e la gastronomia francese. Un progetto di comunicazione comune, grazie al quale sarà possibile far conoscere e valorizzare il ricco patrimonio produttivo, geografico e culturale di questi formaggi simbolo del made in Italy. Sotto l’egida “Fromages d’Italie”, Asiago, Gorgonzola, Mozzarella di Bufala Campana e Parmigiano Reggiano daranno vita ad una piattaforma comune di comunicazione on e off line con la quale sviluppare idee, strumenti e contenuti specifici per gli operatori e i professionisti della ristorazione d’Oltralpe. Molte le attività in programma: dalla partecipazione a manifestazioni di altissimo pregio come i congressi di cucina d’autore OFF Omnivore e Paris des Chefs, all’organizzazione di una “semaine gourmande” a Parigi e Lione, ad incontri con la stampa e giornate di presentazione e approfondimento sui quattro formaggi protagonisti. Il sito www.fromagesditalieaop.com costituirà il principale mezzo di comunicazione oltre alla presenza sui social network. «Nei prossimi mesi — ha spiegato Antonio Lucisano, direttore del Consorzio — saremo a Parigi con un evento assai glamour. Daremo vita, infatti, ad una giornata di degustazione presso il Bistrot Septime, punto di riferimento della “bistronomie” francese e regno di Bertrand Grébaut, considerato oggi uno dei maggiori talenti della nuova ristorazione d’Oltralpe. Accanto a lui, in una non stop che certamente allieterà i palati dei gourmet parigini, ci sarà Fabrizio Ferrara, chef del bistrot “Caffè dei Cioppi”, sempre a Parigi, locale cui è stato assegnato il premio “Best Emerging Italiani Restaurant of Europe” dalla giuria “The World 50 Best”. Insomma, la Mozzarella di Bufala Campana Dop sarà a Parigi in grande stile».

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Aziende

Il valore della costanza Approfondiamo le ragioni di un successo internazionale, tutto italiano, o meglio, tutto emiliano di Laura Franchini

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re anni fa la cantina Lini910 ha festeggiato il centenario. Una ricorrenza importante, che racchiude in sé tutta la filosofia produttiva dell’azienda. Se infatti non è semplice creare un prodotto degno del miglior made in Italy del vino, l’aspetto più difficile sta nel mantenerne la qualità, mantenere il più alto livello d’eccellenza nel tempo. In questo caso, per 100 anni. Una sapienza che ha attraversato un secolo e sembra che appartenga alla famiglia Lini per genetica. Alberto e Alicia sono la quarta generazione in azienda, protagonisti impegnatissimi, ma ben coadiuvati dai rispettivi padri, i fratelli Fabio e Massimo Lini, e dalla zia Anita. Ben consapevoli che gran parte della forza della cantina sta

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nella conoscenza e nell’esperienza, condividono e dividono in famiglia scelte, oneri e onori. Scelte continue e non sempre facili, soprattutto in un periodo così duro per il nostro Paese, in cui capire, intuire come sarà il futuro economico e produttivo è quasi impossibile. Ma è in momenti come questi che l’imprenditore lungimirante e coraggioso capisce che il successo, e alle volte la stessa sopravvivenza, ha radici nel rischio, nell’investimento. Lini910 non ha mai smesso di investire, in persone come in tecnologia, nei prodotti come nelle strutture. È così partita una ristrutturazione importante del casale attiguo alla cantina, che ospiterà, tra l’altro, una sala degustazione ed un punto vendita. Accanto a questo impegno, cer-

tamente non banale, la famiglia Lini ha voluto investire anche nella linea produttiva, implementando le tecnologie di packaging: una nuova linea di etichettatura e imballaggio che garantirà sempre una bottiglia perfetta, sotto tutti i profili. L’azienda poteva già da tempo fregiarsi della certificazione ISO 9001, a garanzia del prodotto e della tracciabilità di filiera, ma è nell’attenzione verso le esigenze del mercato e della clientela, verso i particolari dell’offerta e del prodotto che Lini910 dirige molte forze. È infatti anche grazie alla cura dei dettagli che Lini910 ha ottenuto così tanto successo, in Italia ma soprattutto all’estero, dove anche l’estetica è fondamentale. Una bottiglia curata, un’estetica riconoscibile,

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1) Lambrusco Scuro, Metodo Classico, Metodo Classico Rosso. 2) Alicia e Alberto Lini. 3) Acetaia. elegante e raffinata, un imballaggio attento. Certo, non è solo nell’esteriorità, nella cura della presentazione, che si trovano le ragioni del successo della cantina Lini910. La prima e fondamentale ragione della riuscita

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sta nella qualità, nella mancanza di compromessi, nella costanza delle scelte. Nel vino come nell’aceto balsamico è profonda la volontà di mantenersi lontani dalle facili scelte commerciali. Tipicità e tradizione, dunque, e scelte difficili.

Nel Metodo Classico, uno dei fari illuminanti della produzione aziendale, il rémuage si fa obbligatoriamente a mano. Solo così si possono monitorare con precisione le evoluzioni della bottiglia. Il dégorgement non lo si fa à la glace bensì alla volée, perché così

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Aceto balsamico tradizionale Lini910 con dosatore. si stressa meno il vino, non importa se la quantità che si perde è superiore. E scusate se è poco. Scelte certamente non da tutti. Lo stesso vale per l’aceto balsa-

mico, declinato essenzialmente nella sua massima espressione, la denominazione “tradizionale”, e nell’unico condimento presente in gamma si è, ancora una volta, scelto di proporre un prodotto di alto livello, senza l’aggiunta di coloranti e caramello. I risultati di queste scelte, quasi eroiche, sono tutti nelle caratteristiche organolettiche dei prodotti Lini910 e nei grandi successi e risultati ottenuti negli USA, Canada, Brasile, Russia, Giappone, ecc… Ottimi piazzamenti nelle riviste e nelle guide di settore, tra le quali, solo per citare l’ultima, emerge l’eccellente giudizio dato da WINE SPECTATOR al Lambrusco LaBrusca, un prodotto della linea base, ma non per questo meno curato, anzi: la filosofia dell’eccellenza aziendale coinvolge tutta la produzione, in maniera maniacale. Una produzione che vede nel Metodo Classico la sua massima espressione, declinata in bianco, rosso e rosè. Un trittico di grande tessitura, più volte protagonista di degustazioni di

livello, accanto a grandi Champagne e Metodi Classici, d’Italia e del mondo. Un trittico con un capitano: la Gran Cuvée. Accanto al Metodo Classico Lini910 affianca 4 Charmat di spessore e carattere: il Lambrusco Scuro, il Lambrusco Rosè, il Pinot Spumante, il Moscato Spumante. Nel mondo de LaBrusca sono tre i vini: il Lambrusco Rosso, Rosato e Bianco. Una produzione che ricopre molteplici esigenze, ma volutamente contenuta, volutamente curata in tutte le sue referenze. Un rigore che permette a questa piccola azienda di pensare in grande e guardare verso orizzonti sempre più lontani. Non mancate di visitarli al Vinitaly 2013: la cantina sarà presente al Padiglione 3, Stand C6. Laura Franchini Lini910 – Lini Oreste e figli Spa Via Vecchia Canolo, 7 42015 Correggio (RE) Telefono: 0522 690162 E-mail: info@lini910.it Web: www.lini910.it


Beppino Occelli il gusto nuovo della tradizione Intervista a Beppino Occelli e visita al Borgo dei Formaggi, dove stagionano centinaia di migliaia di forme all’anno. Tante novità su Valcasotto, Castelmagno e, naturalmente, burro di Gaia Borghi

È

una boccata d’aria fresca quella che si respira varcando i cancelli dell’azienda di Beppino Occelli in quel di Farigliano, cittadina langarola in provincia di Cuneo. Come se la crisi, il crollo dell’economia, il calo dei consumi avessero trovato le porte sbarrate o una guardia all’entrata che avesse impedito loro l’accesso, rimandole indietro, lontano lontano. Attraversiamo il bel giardino che circonda lo stabilimento produttivo, una specie di Eden dove le tentazioni abbondano ma non ci sono serpenti nascosti, né dannazioni senza ritorno, se si esclude una certa dipendenza che si crea al momento del primo assaggio. Tentazioni multiformi che qui si chiamano Valcasotto, Castelmagno, Cusiè o, più semplicemente, burro. L’articolo potrebbe chiudersi qui, con l’invito ad uscire di casa e a raggiungere il più velocemente possibile uno dei tanti punti vendita, dalle più eleganti gastronomie agli scaffali della Grande Distribuzione, che offrono i prodotti firmati Occelli. Ma qui non ci si ferma, guai a riposare sugli allori. Perché ci sono tante novità nell’aria ed è giunto il momento di raccontarle. «Iniziamo dal Valcasotto» ci dice Beppino Occelli, l’artefice, il deus ex machina della Beppino Occelli, marchio che raggruppa tutte le attività aziendali, dal burrificio all’azienda agricola. «Si tratta del nostro brand principale: Valcasotto è un antico borgo dove hanno sede le nostre meravigliose

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Beppino Occelli nelle cantine di stagionatura a Valcasotto.

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cantine di stagionatura, con la mitica “fabbrica delle muffe”, dove vengono stagionate tutte le grandi forme che superano i 2,5 chilogrammi di peso. Si tratta di un vero e proprio villaggio del formaggio, nel quale l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo tiene annualmente stages e lezioni e ha trovato casa a livello nazionale l’Associazione degli Stagionatori ed Affinatori Italiani. Inoltre qui troviamo la Locanda del Mulino che è anche bar e foresteria, il mulino vero e proprio e lo spaccio, dove è possibile acquistare i nostri prodotti». A Valcasotto da quasi mille anni sorge la Certosa, celebre per la bellezza dei boschi che la circondavano e che ancora oggi rendono straordinaria questa zona. In seguito alla soppressione degli ordini religiosi in epoca napoleonica e alla conseguente dismissione della proprietà ecclesiastica, venne acquistata dal re Carlo Alberto con lo scopo di trasformarla in castello di caccia e residenza estiva. Il castello reale di Valcasotto venne utilizzato come riserva venatoria soprattutto da Vittorio Emanuele II, che veniva qui spesso con la moglie e i figli, e sappiamo che nelle sue cucine si preparavano formaggi sopraffini. Dal recupero di quelle antiche ricette, è nato il Valcasotto Occelli, che da questi luoghi prende appunto il nome. «Il Valcasotto — continua Beppino Occelli — fatto con buon latte crudo di vacca e dalla caratteristica forma quadrata che ben si adattava in passato al basto dei muli durante il trasporto, ha le stesse caratteristiche del formaggio Raschera, oggi tutelato con il marchio europeo della DOP, ma a livello qualitativo è incomparabilmente migliore.

Castelmagno d’alpeggio.

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Valcasotto. Ciò che abbiamo constatato — continua Occelli — anche attraverso degustazioni alla cieca (blind tasting), è che la maggior parte del Raschera Dop oggi in commercio non possiede una qualità eccelsa, soprattutto a causa di modifiche della metodologia di produzione e stagionatura volute dal Consorzio di tutela. Si pensi ad esempio che mentre il Valcasotto Occelli, prodotto in forme da 5 kg, ha una stagionatura che va dai 3-4 mesi (Valcasotto Selezione) fino ai 6-7 mesi per il Valcasotto Gran Riserva, il Raschera arriva sul mercato dopo un solo mese di stagionatura, due se si tratta del Raschera d’alpeggio che, comunque, sui banchi della GDO viene proposto a prezzi assolutamente insostenibili per un formaggio d’alpeggio». La scelta di Occelli è stata dunque quella di continuare ad acquistare, in quanto selezionatori, un numero limitato di forme di Raschera solo da alcuni malgari, mentre, a livello

produttivo, di puntare su di un prodotto con una qualità eccelsa come è appunto il Valcasotto. «In autunno è nostra intenzione organizzare una due giorni di studio e degustazione proprio a Valcasotto alla presenza dei food blogger più significativi e di importanti chef al fine di presentare ufficialmente un prodotto di cui andiamo molto orgogliosi» precisa Occelli. Gusto pieno, profumo intenso e persistente come quello che ricordava ai re il sole e le erbe dei pascoli della loro cascina più amata, il Valcasotto non è l’unico prodotto su cui ci sono novità da raccontare. «Dopo il Valcasotto, a partire da questa estate avremo il Castelmagno di Castelmagno» ci dice con entusiasmo Occelli. Il nostro interlocutore ha infatti risistemato una vecchia casa in pietra situata nel capoluogo del comune di Castelmagno, Campomolino, a 1.200 metri di altitudine, che diverrà sede della stagionatura e affinatura dei

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Castelmagno, e in futuro anche di una piccola casera per la trasformazione del latte in formaggio. Realizzato con latte vaccino crudo, il Castelmagno presenta una pasta asciutta, granulosa e friabile. «In quest’area, sempre nell’ottica di dare completezza alla filiera produttiva, abbiamo acquistato alcuni pascoli abbandonati e stiamo tentando di recuperarli» ci racconta Beppino Occelli «per potervi mettere i nostri animali, come le nostre vacche di razza bruno alpina e pezzata rossa o come le bianche capre Saanen — che hanno avuto un riconoscimento per la purezza e la qualità della razza — oltre ai capi bovini pascolati da pastori amici». Qualche cenno merita naturalmente anche il Cusiè, letteralmente “quello che c’è” nel dialetto locale, «sempre ottimo, ma mai uguale a se stesso, può essere fatto per esempio con latte di pecora e vacca o con latte di capra e vacca» prosegue Occelli. Il Cusiè è la base per la realizzazione di quei prodotti che rappresentano “La Gran Riserva di Beppino Occelli”: si tratta di formaggi selezionati appositamente per essere affinati nelle vinacce (e trasformarsi poi negli Occelli al Barolo), nelle foglie di castagno o di tabacco, o per essere arricchiti da frutta, grappa e altri distillati di pregio. Unici, per complessità di profumi e gusti insoliti, nuovi, inaspettati, sono formaggi da degustazione e, soprattutto, da meditazione, che trovano spazio nel canale di vendita tradizionale.

Cusiè. «Alla nostra clientela più esigente, più informata, capace di apprezzare tipologie di formaggio più particolari, sarà dedicato anche un nuovo reparto, “La Formaggeria di Beppino Occelli”, caratterizzato da una particolare cura nella selezione e nel confezionamento» conclude Occelli. Dulcis in fundo, il burro, quello speciale, che ha persino una pagina Facebook a lui dedicata, con fan in

Il burro Occelli con il calco della mucca.

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visibilio come le grandi star, quello che ha reso famoso il nome di Beppino Occelli nel mondo. Un burro fatto con una selezione di panne freschissime. Sui panetti in rilievo un simbolo della montagna impresso a mano, una mucca o le stelle alpine, come vuole la migliore tradizione casearia. «Il burro rappresenta la metà del nostro fatturato — ci dice sorridente Occelli — e posso tranquillamente affermare che non abbiamo concorrenti per questo prodotto. Per quello che riguarda l’estero, le vendite sono dirette soprattutto in Germania ma anche gli USA sono un mercato importantissimo. Pensi che, quando hanno aperto Eataly a New York, il primo prodotto venduto nel settore lattiero caseario è stato proprio il burro Occelli». La Grande Mela è stata stregata! Gaia Borghi Occelli Agrinatura Srl Regione Scarrone 2 12060 Farigliano (CN) Telefono: 0173 74 64 11 E-mail: info@occelli.it Web: www.occelli.it

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Speciale speck

Una Igp profumata dal gradevole odore di affumicato di Carlo Cantoni

L

o speck è un prosciutto crudo, lievemente affumicato, tipico del territorio sudtirolese, in Italia, ma prodotto anche nel Tirolo austriaco. Nel nostro Paese speck tradizionali sono preparati in Trentino, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Val d’Aosta ed Emilia. Lo speck dell’Alto Adige è protetto dall’Unione Europea con il marchio IGP. La tradizione e gli storici fanno risalire la produzione di cibi a base di carne conservata, quindi anche di speck, al periodo delle invasioni longobarde. Le prime testimonianze storiche sullo speck dell’Alto Adige risalgono però ai primi del Trecento, quando già erano utilizzate le tecniche per la produzione di un salume che veniva chiamato bachen. Diversi sono i riferimenti: lo riportano fonte latine, viene definito “lardum” dall’Ordinamento dei macellai di Trento del 1307 e trova menzione in documenti medioevali. Il termine speck si impose nel linguaggio comune solamente a partire dal XVIII secolo, specificando che si trattava di prodotto affumicato. La

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sua produzione permetteva di coprire il fabbisogno di carne e di grassi necessario per superare il lungo inverno e svolgere il duro lavoro dei campi. Nel corso dei secoli si sviluppò e si perfezionò l’arte della marinatura e dell’affumicatura con ricette segrete e trucchi particolari. Disciplinare di produzione dello Speck dell’Alto Adige Indicazione Geografica Protetta (IGP) Articolo 1 – Denominazione L’Indicazione Geografica Protetta “Speck dell’Alto Adige IGP” (lingua italiana), ”Südtiroler Markenspeck g.g.A.” o “Südtiroler Speck g.g.A.” (lingua tedesca) è riservata al prodotto che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2 – Zona di produzione La zona di elaborazione dello “Speck dell’Alto Adige IGP”, “Südtiroler Markenspeck g.g.A.” o “Südtiroler Speck g.g.A.” comprende l’intero territorio della Provincia Autonoma di Bolzano – Alto Adige (Südtirol).

Articolo 3 – Materia prima Lo Speck dell’Alto Adige IGP è prodotto con cosce di suino disossate, rifilate con o senza fesa. Articolo 4 – Metodo di elaborazione Lo Speck dell’Alto Adige IGP si ottiene dalla coscia di suino disossata — moderatamente salata ed aromatizzata “a freddo” in locali appositi, ad una temperatura massima di 20°C — ben stagionata secondo gli usi e le tradizioni locali. Le cosce utilizzate per la lavorazione dello Speck dell’Alto Adige IGP sono consegnate allo stato fresco ed in perfetto stato igienico-sanitario; devono essere ottenute da suini i cui riproduttori non sono portatori dei requisiti della stress-sensibilità e le carni, esclusi i requisiti PSE e DFD, rispettano le seguenti caratteristiche: 1. le cosce intere consegnate con osso devono pesare, prima della disossatura, non meno di 10,5 kg; 2. le cosce disossate e rifilate (dette anche baffe) devono pesare almeno 5,2 kg; 3. devono essere prive degli esiti di pregressi processi flogistici, patologici e/o traumatici;

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4. sono perfettamente dissanguate e prive di micro-emorragie puntiformi nella porzione muscolare; 5. la cotenna è perfettamente priva di setole, non presenta un reticolo venoso marcato o eccessivamente esteso, ovvero sussistenza di ematomi o delle tracce della relativa asportazione; 6. la porzione grassa non è untuosa, ovvero di consistenza molle, ovvero di colore giallo/arancione; 7. la porzione magra è priva di smagliature o di strappi tra i fasci muscolari; 8. registrano (misurate “al cuore” al momento della consegna) temperature comprese tra 0°C e 4°C; 9. i suini sono nati in allevamenti ubicati nei paesi dell’UE Per l’elaborazione dello Speck dell’Alto Adige IGP la coscia suina disossata deve: • essere rifilata secondo il metodo tradizionale cioè: ¤ con fesa intera o parziale, ovvero previa rimozione integrale della fesa; ¤ con un taglio parallelo dal muscolo Fricandeau all’osso della “noce”; ¤ con un taglio arrotondato dal lato dello scamone, dal “pesce” fino alla “noce”, in modo che non residuino porzioni di parte grassa senza porzione magra; nel caso in cui la coscia sia munita di fesa intera o parziale, deve essere praticato un taglio diritto anziché arrotondato; ¤ in modo che il grasso intermu-

scolare residuato tra la sottofesa ed il “pesce” sottostante la fesa possa essere rimosso; ¤ in modo che il nervo esistente tra il Fricandeau e la “noce” non sia lesionato o reciso, a seguito della rimozione del femore; ¤ senza la cartilagine dell’anca; ¤ senza ferite profonde, tagli o spaccature sulla superficie esterna della coscia; ¤ in modo che la cartilagine del femore rimanga parzialmente attaccata alla coscia per garantire la compattezza dei muscoli; ¤ senza il grasso sul lato esterno della “noce”; • essere salata ed aromatizzata a secco; • essere affumicata e stagionata ad una temperatura non superiore a 20°C; • essere maturata ad una temperatura ambiente da 10 a 15°C e con un’umidità compresa fra il 60 ed il 90%; • non essere assoggettata a nessun genere di zangolatura; • non essere assoggettata a nessun genere di siringatura. Salatura ed aromatizzazione avvengono a secco, al massimo entro quattro giorni dall’inizio della lavorazione, la cui data deve essere fatta constare in modo indelebile direttamente su ogni singola baffa, consentendo la rilevabilità fino alla fine del processo produttivo. L’affumicatura avviene in appositi locali, con l’utilizzazione di legna non

resinosa e ad una temperatura non superiore a 20°C. Per l’aromatizzazione sono utilizzate erbe aromatiche naturali. È escluso l’uso di prodotti di sintesi. Articolo 5 – Stagionatura Lo Speck dell’Alto Adige IGP deve essere stagionato secondo gli usi e le tradizioni locali in locali ove sia assicurato un sufficiente ricambio di aria a temperatura da 10 a 15°C ed un’umidità compresa fra il 60 ed il 90%. Il tempo di stagionatura, comprensivo di tutte le fasi disciplinate, varia in funzione del peso finale delle baffe stagionate, che alla fine dell’elaborazione non deve essere comunque inferiore a 3,4 kg. Deve essere inoltre raggiunto il calo peso minimo del 35% in funzione delle diverse classi di peso come riportato in Tabella 1. Per l’intero periodo di stagionatura dello Speck dell’Alto Adige IGP la temperatura del prodotto, misurata al cuore, non può variare in misura maggiore dell’intervallo definito fra 10 e 15°C. Le operazioni di confezionamento, affettamento e porzionamento devono avvenire sotto la vigilanza della struttura di controllo indicata all’articolo 7 esclusivamente nella zona delimitata dall’articolo 2. Articolo 6 – Caratteristiche Le caratteristiche dello Speck dell’Alto Adige IGP, all’atto dell’immissione al consumo, sono costituite e valutate sulla base dei descrittori, dei requisiti e dei fattori ponderali di seguito indicati:

Tabella 1 – Diverse classi di peso dello Speck Alto Adige Igp Peso della baffa in kg

Tempi minimi per il calo peso del 35%

Tempi minimi di stagionatura in settimane

da 3,4 a 4,3

almeno 15 settimane

almeno 20 settimane

da 4,3 a 4,9

almeno 17 settimane

almeno 22 settimane

da 4,9 a 5,5

almeno 18 settimane

almeno 24 settimane

da 5,5 a 6,0

almeno 20 settimane

almeno 26 settimane

da 6,0 a 6,5

almeno 21 settimane

almeno 28 settimane

da 6,5 a 7,0

almeno 23 settimane

almeno 30 settimane

da 7,0 a 7,5

almeno 24 settimane

almeno 32 settimane

I pesi sono riferiti sia al peso delle singole baffe sia al peso medio del lotto di lavorazione relativo.

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Il 5 e 6 ottobre venturi potrete assaggiare lo speck e godere del panorama delle Odle alla Festa dello Speck Alto Adige edizione 2013 in Val di Funes. 1. l’aspetto esteriore (della crosta superficiale e della cotenna dello speck intero, di colore marrone): 1.1 assenza di macchie di catrame; 1.2 assenza di fessurazioni; 1.3 rifilatura secondo le prescrizioni dell’articolo 4; 1.4 affumicatura omogenea; 1.5 assenza di piegature e deformazioni; 1.6 assenza di setole; 1.7 assenza di muffe estese; 1.8 assenza di lieviti in eccesso; 1.9 assenza di acari; 1.10 colore della cotenna e dell’incrostazione superficiale non nero o sbiadito (chiaro); 1.11 assenza di ematomi significativi sulla cotenna; 1.12 consistenza resistente e sufficientemente elastica; 2. l’aspetto interno al taglio (della sezione muscolare visibile, di colore rosso con parti in biancorosato): 2.1 assenza di rilevanti fessurazioni tra i fasci muscolari; 2.2 assenza di incrostazioni superficiali con bordi secchi e scuri, rilevanti o diffuse; 2.3 assenza di macchie di colore grigio o verde scuro non cangiante; 2.4 assenza di aloni grigiastri e sviluppo omogeneo del co-

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lore rosso-rosa del muscolo; assenza di aloni verdastri di origine ossidativi o microbica; 2.6 assenza di macchie o di aloni iridescenti, rilevanti o diffusi; 2.7 assenza di plurime macchie di sangue nel magro o nel grasso; 2.8 assenza di ematomi significativi nel magro o nel grasso; 2.9 assenza di grasso di copertura di colore grigiastro (nella porzione centrale); 2.10 assenza di grasso di colore giallastro (nella porzione centrale); 2.11 spessore del grasso di copertura tendenzialmente inferiore ad un terzo dello spessore della baffa, nella porzione sottostante al muscolo bicipite femorale; 2.12 colore non eccessivamente chiaro o non troppo sbiadito della porzione muscolare; 2.13 limitate infiltrazioni di gras so intramuscolare o intermuscolare; 2.14 assenza di rilevanti striature di colore grigiastro nella porzione muscolare centrale; 3. la consistenza e la composizione della porzione muscolare (valutata dopo sosta a temperatura 2.5

ambiente di almeno due ore): 3.1 tendenziale elasticità della superficie di taglio soggetta a compressione; 3.2 tendenziale indeformabilità della superficie di taglio soggetta a compressione; 3.3 grasso non untuoso o molle; 3.4 porzione muscolare non appiccicosa al tatto; 3.5 assenza di cartilagini plurime o di dimensioni elevate; 4. l’odore ed il gusto (relativi alla porzione magra, privata della crosta esterna per la valutazione del gusto, caratteristico, intenso e saporito; l’odore è aromatico e gradevole): 4.1 presenza di profumi, compresa una moderata percezione dell’odore di fumo; 4.2 assenza di odore catramoso, rancido, “di pesce”, di muffa e di alterazioni putrefattive; 4.3 gusto garbatamente salato; 4.4 assenza di gusto dolciastro, ovvero acido, ovvero amaro, ovvero di sapone; 4.5 masticabilità netta, che non “incolla” (priva di un effetto “gommoso”); – i requisiti organolettici sopra descritti sono valutati mediante l’attribuzione dei seguenti fattori ponderali: Caratteristica Fattore organolettica ponderale Aspetto esteriore 1 Aspetto interno 3 Consistenza 2 Odore e gusto 4 la valutazione viene effettuata su una scala composta da 100 unità di valutazione; – tutti i singoli descrittori, applicati i fattori ponderali sopra descritti, devono concorrere almeno alla totalizzazione dell’80% delle 100 unità complessive di valutazione; 5. le caratteristiche chimico-fisiche rispettano la seguente composizione: • proteine totali: pari o superiori al 20%; • rapporto acqua/proteine: pari o inferiore a 2,0; • rapporto grasso/proteine: pari o inferiore a 1,5; • cloruro di sodio: pari o infe-

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riore al 15%; potassio nitrato: inferiore a 150 mg/kg; • sodio nitrito: inferiore a 50 mg/kg; 6. le caratteristiche microbiologiche, infine, ammettono una carica microbica mesofila a norma UNI ISO 4833:2003, con batteri lattici nel limite massimo di 1·108 unità formanti colonia/grammo (UFC/ grammo) ed assenza di infestazioni di parassiti nella porzione superficiale. •

Articolo 7 – Controlli Il controllo per l’applicazione del presente Disciplinare è svolto da una struttura di controllo autorizzata conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Regolamento (CE) n. 510/2006. Articolo 8 – Designazione presentazione Lo speck intero rispondente ai requisiti prescritti dal presente disciplinare è identificato con un contrassegno indelebile, al termine della stagionatura prescritta e dopo il raggiungimento di un calo peso minimo del 35%, almeno quattro volte sulla cotenna; il contrassegno reca la parte centrale del logo dell’IGP Speck dell’Alto Adige ed un codice alfanumerico che identifica il produttore presso il quale è stato apposto. Il predetto contrassegno inserisce all’interno di un contorno lineare nella propria parte inferiore un disegno stilizzato di montagne, mentre nella parte superiore la scritta “SÜDTIROL”. La designazione dell’indicazione geografica protetta “Speck dell’Alto Adige IGP” (lingua italiana) o “Südtiroler Markenspeck g.g.A.” o “Südtiroler Speck g.g.A.” (lingua tedesca) non può essere tradotta in altre lingue. Essa deve essere apposta sull’etichetta in caratteri chiari ed indelebili, nettamente distinguibili da ogni altra scritta ed essere immediatamente seguita dalla menzione “Indicazione Geografica Protetta” e/o dalla sigla “IGP” che deve essere tradotta nella lingua in cui il prodotto viene commercializzato. È vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista, com-

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Tabella 2 – Composizione chimica e valore nutritivo medio dello Speck dell’Alto Adige Igp Acqua (g)

39,6

Ferro (mg)

1,1

Proteine (g)

31,4

Calcio (mg)

12

Lipidi (g)

23,3

Fosforo (mg)

Colesterolo (mg)

90

Magnesio (mg)

20

Carboidrati disponibili (g)

< 0,5

Zinco (mg)

2,3

Amido (g)

Rame (mg)

0,13

Zuccheri solubili (g)

< 0,5

Selenio (μg)

Fibra totale (g)

Tiamina (mg)

0,14

Fibra insolubile (g)

Riboflavina (mg)

0,14

Fibra solubile (g)

Niacina (mg)

Alcool (g)

Vitamina A retinolo eq. (μg)

1,14

Energia (kcal)

335

Vitamina C (mg) Sodio (mg) Vitamina E (mg) Potassio (mg) prese le espressioni geografiche che individuano un territorio compreso nella zona delimitata all’articolo 2 del presente disciplinare se diverse da “Alto Adige” e da quelle che indicano la sede legale o lo stabilimento di produzione. È tuttavia consentito l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a marchi privati purché non abbiano significato laudativo ovvero significato discriminatorio degli altri produttori. Lo Speck dell’Alto Adige IGP può essere immesso al consumo sfuso ovvero confezionato sottovuoto ovvero in atmosfera modificata, intero,

— 2.396 — 480 in tranci od affettato. Tutto lo speck immesso al consumo, in qualsiasi forma, con l’uso della denominazione “Speck dell’Alto Adige IGP” (lingua italiana) e “Südtiroler Markenspeck g.g.A.” ovvero “Südtiroler Speck 6 di 7 g.g.A.” (lingua tedesca) deve essere accompagnato da apposita etichetta conforme alla vigente disciplina generale ed ai requisiti di seguito descritti dal presente disciplinare. Ogni etichetta deve riprodurre il logo dell’IGP dello Speck dell’Alto Adige. Il logo della denominazione Speck dell’Alto Adige IGP può essere riprodotto solamente completo di

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Sformato di polenta con la verza e lo speck. Lo speck è caratterizzato da un elevato contenuto in proteine nobili, che ne fa un prodotto perfettamente in linea con le esigenze alimentari, indicato per la fase della crescita e per chi pratica sport. tutti gli elementi grafici come di seguito descritti: l’illustrazione di una “pettorina” recante al centro un’area rettangolare a lati bombati contenente la scritta “SÜDTIROL” in carattere stampatello stilizzato, sovrastante una catena di montagne stilizzata composta da varie aree colorate affiancate, affiancata ad ambo i lati da due ghiande stilizzate disposte lungo l’asse orizzontale della “pettorina”; seguendo il bordo superiore ondulato della “pettorina” figura la scritta “Speck Alto Adige I.G.P. Südtiroler Speck G.G.A.” in caratteri stilizzati, mentre seguendo il bordo ondulato inferiore figura la scritta in caratteri stilizzati “Indicazione Geografica Protetta Geschützte Geographische Angabe”; lungo i bordi della “pettorina” corre un ornamento costituito da una linea parallela al bordo e da una sequenza di tre petali raggruppati; il tutto circondato da un bordo bianco parallelo ai contorni della “pettorina”. Il logo dell’IGP Speck dell’Alto Adige deve rispettare la seguente disciplina: 1. il logo deve essere sempre riprodotto sull’etichetta frontale

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ovvero principale del prodotto; 2. il logo deve essere riprodotto sulle etichette con una larghezza nel senso dello sviluppo orizzontale di almeno cm. 4 in modo da occupare al massimo il 25% della loro superficie dell’etichetta; 3. è obbligatoria l’indicazione del nome, della ragione sociale oppure del marchio principale di almeno uno dei soggetti che aderiscono al sistema di controllo della denominazione protetta. Il simbolo comunitario dell’Indicazione Geografica Protetta può essere utilizzato ai sensi del Regolamento CE n. 1898/2006 e successive modifiche. La designazione accessoria di “Bauernspeck” può essere riportata per il prodotto ottenuto con la carne di suini allevati e macellati nella zona delimitata dall’articolo 2. Sono inoltre ammesse le denominazioni accessorie tradizionali di “Schinken”, ovvero “Schinkenspeck” o “prosciutto di speck”, ovvero “mit Kaiserteil” o “ con fesa”, “mit Oberschale”, o “Handwerkliche Herstellung” e “di produzione artigianale”, a condizione che la relativa menzione sia effettuata disgiuntamente dal logo dell’IGP Speck dell’Alto Adige. È, inoltre, ammessa la menzione aggiuntiva “prodotto di montagna” qualora la produzione avvenga in territori situati ad altitudine almeno di 600 m slm e pertanto geograficamente classificati di montagna. Articolo 9 – Prodotti trasformati I prodotti per la cui preparazione è utilizzata la IGP “Speck dell’Alto Adige” (lingua italiana) o “Südtiroler Markenspeck” o “Südtiroler Speck” (lingua tedesca) anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, sono immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla predetta denominazione, senza l’apposizione del logo comunitario, a condizione che: • il suddetto riferimento sia fatto in modo tale che non possa sussistere dubbio per il consumatore circa il fatto che la protezione IGP concerne esclusivamente l’ingrediente e non il prodotto elaborato o trasformato; • gli utilizzatori della IGP “Speck

dell’Alto Adige” (lingua italiana) o “Südtiroler Markenspeck” o “Südtiroler Speck” (lingua tedesca) siano autorizzati dal Consorzio incaricato della tutela dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. Lo stesso Consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri e a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In Tabella 2 riportiamo la composizione chimica ed il valore nutritivo medio dello Speck dell’Alto Adige IGP. Lo speck trentino tipico Caratteristica rifilatura della coscia di maiale affumicata da consumarsi allo stato crudo. Ingredienti: carne di suino; sale e pepe; ginepro o altre spezie; conservanti a norma. Per quanto riguarda le metodiche di lavorazione e la conservazione, la coscia del maiale viene arrotondata alla punta, rifilata e mondata, poi messa in una vasca in salamoia secca, costituita da sale, pepe e ginepro (tale composizione può variare con aggiunta di altre spezie, a seconda di chi lo produce) e conservanti per un periodo di almeno tre settimane, con continue massaggiature e rivoltamenti. Terminata la salatura si procede all’affumicatura in apposito locale con specifica segatura e ginepro, dopodiché lo speck viene introdotto nei locali di stagionatura a una temperatura che per tutto l’anno deve rimanere costante tra i 10 e i 15°C. Il periodo di stagionatura varia a seconda del prodotto che si vuole ottenere e cioè: un periodo minimo di sei mesi per il prodotto stagionato; un periodo minimo di 100-120 giorni per quello semistagionato. Dopo tali periodi di stagionatura lo speck è pronto per la commercializzazione. Per quanto concerne l’attrezzatura utilizzata si fa riferimento alle vasche alimentari per la salatura e i forni in acciaio per l’affumicatura. Carlo Cantoni Libero docente in Ispezione degli alimenti di origine animale Milano Nota A pag. 26 lo Speck dell’Alto Adige Indicazione Geografica Protetta (IGP).

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Speck Alto Adige ambasciatore di qualità

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el corso del 2012 lo speck ha mantenuto le proprie posizioni di mercato, soprattutto per il prodotto a marchio IGP, e rafforzato l’export in Europa rispondendo ad una domanda in costante crescita. In totale, lo scorso anno sono state prodotte 6.193.603 baffe di speck in Alto Adige, pari a circa 27.500 tonnellate, con una flessione del 3% rispetto all’anno precedente. Confermato soprattutto il buon risultato produttivo per lo Speck Alto Adige con il marchio IGP, che rappresenta circa il 38% del totale e ha registrato una flessione marginale dell’1%. In Italia, e in particolare nelle regioni settentrionali, viene venduto il 65% della produzione di Speck Alto Adige IGP; il restante 35% viene invece esportato all’estero. Lo Speck Alto Adige è infatti uno dei prodotti italiani di salumeria maggiormente esportato. In testa troviamo la Germania con il 29% della produzione totale, seguita dall‘Austria (3%) e da nuovi mercati quali Belgio, Slovenia, Repubblica Ceca, Polonia, USA e Giappone. Molto significativo, inoltre, il boom delle vaschette di speck preaffettato e confezionato: nel 2012 ne sono state prodotte 28,2 milioni, il 24% in più rispetto all’anno precedente. L’affermazione di questa tipologia di con-

Lo Speck Alto Adige è uno dei salumi italiani maggiormente esportati.

Canederli allo speck Ingredienti 100 g di Speck Alto Adige IGP a cubetti • 200 g di pane bianco tagliato a cubetti • 40 g di farina • 50 g di cipolle brasate • un cucchiaio di erba cipollina o prezzemolo tagliato finemente • 3 uova • latte • sale Preparazione Per l’impasto dei canederli allo speck occorre amalgamare bene i pezzettini di pane e speck, la farina e le cipolle brasate, il sale e il prezzemolo (o l’erba cipollina). Dopodiché aggiungere le uova e un po’ di latte e lavorare fino ad ottenere un impasto omogeneo. Lasciare risposare l’impasto per i canederli per 10 minuti. Modellare palline con un diametro di circa 6 cm, i canederli, con le mani bagnate e farli cuocere per 8-10 minuti in acqua salata. Quando i canederli sono pronti, toglierli dall’acqua di cottura. Servire i canederli con speck in brodo di carne e decorare con erba cipollina.

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fezionamento rispecchia la mutata esigenza del consumatore di oggi, alla ricerca di soluzioni all’insegna della praticità e del risparmio di tempo in cucina, senza rinunciare ad un prodotto di alta qualità. I pezzi di speck sottovuoto mantengono la quota di mercato e si confermano la tipologia di confezione più venduta nel reparto libero servizio, soprattutto per i tagli più grandi. «Il bilancio per il 2012 è più che positivo e il motivo principale va ricercato nello sviluppo dell’export, la cui percentuale per il 2012 si aggira intorno al 35%, circa il 1,5% in più rispetto all’anno precedente» spiega il presidente del Consorzio Tutela Speck Alto Adige ANDREAS MOSER. Lo Speck Alto Adige IGP è un prodotto tutelato dall’Unione Europea attraverso il marchio IGP, Indicazione Geografica Protetta, che sottolinea il chiaro legame tra la zona d’origine e il metodo di produzione tradizionale di un determinato prodotto. Lo Speck Alto Adige IGP deve la sua unicità alle particolari condizioni climatiche delle valli alpine altoatesine e al tradizionale metodo di produzione: “poco sale, poco fumo e molta aria fresca” assieme ai segreti gelosamente tramandati di generazione in generazione donano al prodotto un gusto unico e inconfondibile. A garanzia della sua qualità e autenticità, la produzione dello speck viene controllata in ogni sua fase, dalla materia prima al prodotto finale e solo quando tutti i criteri di produzione sono stati soddisfatti, può fregiarsi del marchio europeo IGP. Lo Speck Alto Adige IGP viene proposto in commercio nelle forme più svariate, dalle baffe intere ai tranci alle confezioni preaffettate. A seconda del taglio, infatti, lo Speck Alto Adige IGP assume un sapore leggermente diverso: alcuni lo amano tagliato a macchina in fette sottili, altri lo preferiscono tagliato a mano a listarelle secondo il metodo di affettatura tradizionale. Versatile in cucina, è ottimo assaporato da solo al naturale, ma anche come ingrediente protagonista di antipasti, primi piatti e secondi appartenenti alla cucina tradizionale altoatesina e non. >> Link: www.speck.it

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Alta Pusteria: Bauernspeck Igp e tradizione La Macelleria Steiner di Anterselva, Bolzano, è specializzata nella produzione di salumi. Oltre allo speck tradizionale, nel suo paniere troviamo anche i kaminwurzen, gli ottimi salami di solo bovino, i würstel, la pancetta stesa e i salumi selvatici di Riccardo Lagorio

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erto, se ti tocca di avere come Virgilio sul tema dello speck e della conservazione della carne sotto forma di salume in Alto Adige WERNER BEIKIRCHER, non si possono avere dubbi che l’esposizione alle fine risulterà

estremamente chiara e completa. Beikircher è il direttore di produzione (ma tale definizione risulta quantomeno riduttiva per via dei compiti a lui affidati) della Macelleria Steiner, un’azienda dell’Alta Pusteria specializzata nella produzione di

salumi. E va da sé, di speck. In gergo comune per speck s’intende la parte anatomica corrispondente alla coscia del suino disossata, aperta e debitamente lavorata. Tuttavia, il termine contrassegnava in origine il generico lardo di suino elaborato con aromi ed

Gli speck della Macelleria Steiner.

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A sinistra: Werner Beikircher, direttore di produzione della Macelleria Steiner. A destra: cella di stagionatura. affumicato, tanto che se ne dovesse specificare l’origine: Nachenspeck corrisponde al capocollo, Rüchenspeck al carré, Schulterspeck alla spalla, Bauchspeck alla pancetta e Schinkenspeck al prosciutto, cioè allo speck di prosciutto come si è poi affermato. Questa distinzione è tuttora utilizzata nell’etichettatura del Bauernspeck, lo speck IGP proveniente da animali allevati nei 37 masi dell’Alto Adige aderenti al programma e quindi meritevoli di aspirare piuttosto al marchio comunitario DOP. Poiché il Bauernspeck, per sua natura, risulta essere quello più vicino alla cultura ed alla tradizione altoatesina, i produttori (Steiner compare di diritto tra questi) hanno creato un’apposita etichetta che specifica l’origine anatomica dello speck (capocollo, pancetta o altro ancora). «Un istituto che lavora fianco a fianco con il Consorzio di tutela controlla e certifica la genetica degli animali, i mangimi e l’allevamento, la lavorazione in tutte le sue fasi e il tempo di maturazione dei prodotti. Soltanto dopo aver superato tutti questi controlli lo speck riceve il marchio di qualità di Bauernspeck Alto Adige» dice Beikircher. «Sono un migliaio i capi che utilizziamo per ottenere il Bauernspeck e molti di questi ci vengono forniti dal maso Bachpeinte, di proprietà di Josef Schuster, qui ad Anterselva».

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Fa davvero riflettere che, ben prima degli schiamazzi del cosiddetto “chilometro zero”, qualcuno lo avesse già realizzato… Scritto quanto sopra per fornire un quadro più ampio del criterio riduttivo di intendere oggi lo speck, la modalità di produzione prevede che la parte anatomica venga salata e adagiata in salamoia a contatto con spezie quali ginepro, cumino, rosmarino, pepe. Non era raro affidarsi anche al coriandolo, che oggi non è più comunemente utilizzato. Per almeno tre mesi la carne era lasciata in apposite vasche ad insaporirsi, even-

tualmente aggiungendovi anche del vino, e opportunamente massaggiata. La tradizione voleva che di tanto in tanto, in base alle esigenze familiari, si potessero attingere fette di carne dalla vasca e consumarle dopo cottura al braciere. Quelle stesse parti anatomiche venivano appese in cucina o nel camino per alcuni mesi e infine riposte nel sottotetto del fienile. Trascorsi almeno sei mesi lo speck (doverosamente preceduto dal prefisso che ne caratterizzava l’origine anatomica) era pronto, ottenendo un prodotto simile a quello ricavato in Italia, in Germania o in Francia

Il Bauernspeck è uno speck prodotto da suini selezionati e allevati in piccoli gruppi nei masi dell’Alto Adige. Disponibile in quantità limitate, il Bauernspeck ha caratteristiche ricercate anche grazie ad un’adeguata quantità di grasso. La sua produzione segue minuziosamente il metodo tradizionale ed è soggetta a rigidi controlli, che iniziano dalla scelta dei mangimi e accompagnano l’intero processo produttivo. Solo nel momento in cui tutti i criteri di qualità sono soddisfatti viene impresso a fuoco il marchio di qualità. I controlli sono effettuati dall’istituto INEQ in collaborazione con l’Assessorato all’agricoltura della Provincia di Bolzano.

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A sinistra: la medaglia d’oro vinta da Steiner all’edizione 2009 della fiera Süffa di Stoccarda. A destra: i kaminwurzen. dove però non era così diffusa l’affumicatura come metodo di conservazione, qui necessario per gli sbalzi di temperatura stagionali (ma anche quotidiani durante il periodo estivo). Le modalità produttive alla Steiner non sono cambiate molto, anzi sono pressoché identiche a quelle storicamente tramandate nei masi. Se non fosse per l’impossibilità, al momento, almeno, di utilizzare determinate essenze durante la fase di affumicatura. Infatti, un tempo erano ampiamente diffusi il ginepro, il pino cirmolo ed il pino mugo, ora vietati per il contenuto di oli essenziali probabilmente dannosi alla salute. Quindi ci si è orientati al faggio come unico legno opportuno ad ardere nel comignolo della Steiner. A tale riguardo andrebbe sottolineato che quegli oli essenziali incriminati si trasferirebbero al prodotto finale solamente a determinate temperature e se si protraesse il contatto per lungo tempo. In particolare da Steiner la spirale di fumo non supera mai i 20°C, giungendo a contatto con lo speck dopo un lungo percorso in opportuni condotti. L’operazione consente di ottenere un gusto dolce e non acido, come sarebbe se il fumo appena creato dalla combustione del legno venisse a contatto con la carne. «La diversità tra speck prodotto al di qua o al di là delle Alpi è la presenza di muffe, muffe nobili come diciamo noi

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in Alto Adige» spiega Beikircher. «In Germania, ad esempio, anche qualora tentino di copiare il nostro prodotto, le muffe nobili, che vengono lavate prima della vendita e che proteggono la bontà del nostro speck, sono inesistenti». La stagionatura, che si protrae per almeno 22 settimane, avviene a circa 13°C con un tasso di umidità pari al 70%, forzando il ricircolo dell’aria esterna almeno 4 volte per notte. «Molti dei nostri speck di prosciutto mantengono la tradizionale forma a cuore, che altre aziende hanno tolto dalla produzione perché meno facile al taglio. Del resto il mercato ha imposto una trasformazione rispetto all’originale forma, obbligando a togliere parte della fesa dalla coscia in molti dei nostri esemplari per non avere uno speck troppo alto». La fesa viene lavorata in salamoia e affumicata: magrissimo e dolce il risultato. Steiner, guidata oggi da Josef, terza generazione di salumieri, ha un occhio privilegiato nei confronti della tradizione, nel suo paniere anche i kaminwurzen, piccole salsicce affumicate ed elaborate con parti del suino che non diventavano speck, talvolta con l’aggiunta di carne bovina. Interessante il salame di solo bovino, di non facile produzione per la totale mancanza di grasso suino. Poi anche salame piccante, würstel,

salame, pancetta stesa. Ma soprattutto salumi di selvatici: Steiner è l’unica azienda dell’Alto Adige che è autorizzata a lavorare la carne di animali cacciati in bosco da cui si ottengono salami di cervo, prosciutti di camoscio, salsicce di cinghiale. Un record è il fatto che sotto uno stesso tetto coesistano cinque autorizzazioni tra macellazione (anche di equini) e produzione e confezionamento di grigliate, canederli e contorni. Un palmares conquistato nei vari concorsi internazionali da fare invidia. Steiner, insomma, vola alto, come l’aquila che è rappresentata come simbolo della macelleria. Riccardo Lagorio

Macelleria Steiner Rasun di Sotto, 32 39030 Rasun Anterselva (BZ) Telefono: 0474 496849 E-mail: info@metzgerei-steiner.it Web: www.metzgerei-steiner.it

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I sapori del Trentino si affacciano sul lago Presidente del Consorzio operatori del centro storico di Arco, nei pressi di Riva del Garda, Bruno Lunelli è l’organizzatore del mercatino prenatalizio. Trasferito lì dal vicino negozio, nel suo chiosco si affolla ogni ben di Dio, che da queste parti vuol dire mortandela, speck, anche in versione “light”, würstel, Meraner, Weiss e Servelade, salame cotto, kaminwurst, salame di cinghiale e altro ancora di Fabio Butturi

D

a diciassette anni il grazioso centro storico di Arco si anima con il mercatino di Natale fin dall’epilogo di novembre e sotto i chioschi di legno quelli del Consorzio operatori centro storico mettono in mostra le specialità alimentari e artigianali del

territorio. Il loro presidente è Bruno Lunelli, parlantina sciolta e bottega lignea agghindata da trecce di kaminwurst, salsicce e salami penzolanti. La bottega si trova lì a pochi passi, in via Segantini, ma è il chiosco, la casetta che la domenica attira frotte di turisti, molti trentini, qualche

altoatesino e bresciano, proprietari di seconde case, nostalgici di Franz Joseph (anche se quelli si fermano oltre la linea dell’Isarco, in Tirolo) e infatuati dai mercatini che imperversano in Trentino-Alto Adige a ridosso delle festività natalizie per adescare epigoni e aficionados di Santa Klaus.

Il chiosco di Bruno Lunelli nel centro storico di Arco (TN).

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Premiata Salumeria Italiana, 2/13


Nei minuti che ho speso in attesa di udienza, peraltro gentilmente concessa e farcita di aneddoti ed elogi ai prodotti della terra trentina e del Lago di Garda, l’esposizione della norcineria era assediata da turisti bolognesi, pisani e milanesi. Sono due le colonne portanti del palinsesto di Bruno Lunelli: la Casearia Trentina e Marchiori. Giusto negli immediati paraggi di Rovereto si trova la prima, che forse non potrà competere con le altre glorie cittadine, il Mart (Museo di arte moderna e contemporanea) e Fortunato Depero, ma di sicuro è in grado di procurare alla faretra di Lunelli frecce come il lardo salato alle erbette (che a queste latitudini compaiono spesso tra insaccati e prodotti caseari) e la pancetta affumicata, un must quasi alla pari dello speck, quest’ultimo fornito nella sua versione più schietta dall’altro oligopolista del banco, Marchiori. Di Luis Moser, invece, quella alchimia che Bruno taccia come “stravaganza del mercato”, lo speck magro. Per le signore di mezz’età in rotta con la bilancia e gli adepti delle diete caloriche, lo speck magro viene deprivato dei grassi e della cotica, stagionato da sei a otto mesi, salmistrato e affumicato in Val Sarentino comprimendo il lonzino, di cui conserva il “mood” più pallido rispetto al genitore fedele alla linea. Veniale eresia commerciale per Luis Moser, titolare del marchio SARNTALER, che nel carniere annovera solo paladini della tavola tirolese. Ancora dalla Casearia Trentina la variante pancettata del lardo, i salami di cinghiale e i salamini affumicati tirolesi, i kaminwurst. Entra ora in gioco l’altro console dell’identità trentina, Marchiori, appena citato in riferimento all’emblema stesso della gastronomia tirolese, lo speck, non quello “magro”, s’intende… E Marchiori alla voce “specialità tipiche” non poteva certo cancellare la mortandela della Val di Non. Presidio Slow Food, quasi omonima della ben più rinomata rosacea bolognese (ma non per questo meno saporita, anzi…), si compone dell’impasto della luganega e, una volta passata nella farina gialla di grano saraceno o di mais, viene affumicata

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In alto: i kaminwurst, i salamini affumicati tirolesi. In basso: speck trentino. (a una temperatura di circa 25°C), rigirando ogni singola mortandela per garantire un’affumicatura uniforme, e stagionata una ventina di giorni. Prima di queste operazioni bisogna però disossare le carni, sgrassarle, snervarle, macinarle e insaporirle con alcune spezie. Una volta amalgamato l’impasto lo si fraziona in parti di circa due etti l’una. Questa specie di bonbon carnivoro appallottolato viene adagiato su assi di legno, su uno strato della farina gialla di cui già sappiamo, per asciugare, procedura che richiede circa mezza giornata. A proposito di luganega e presidi Slow Food, questo insaccato di carne magra di suini pesanti, in alcune

varianti mescolate a carni di cavallo, di capra o di manzo, viene “corretto” con grasso morbido in percentuale variabile, sale, pepe macinato e aglio tritato. L’impasto finisce nel budello rigorosamente naturale (4-5 centimetri di diametro) confezionando salamini di una quindicina di centimetri. Tra una luganega e l’altra si fa una doppia legatura, per separare le mortandele in fieri da un pezzo di budello vuoto. L’asciugatura, in una sala climatizzata a temperatura e umidità controllate, dura una settimana. Dopo altri venti giorni circa a stagionare sono pronte per il taglio. Fabio Butturi

39


Mercati

Indicazioni geografiche UE: un patrimonio che vale 54 miliardi di euro

L

a Commissione europea ha pubblicato lo scorso 4 marzo uno studio sul valore del sistema di tutela delle denominazioni di prodotti agricoli e alimentari (indicazioni geografiche o IG). Il 60% dei prodotti IG europei è stato venduto nel paese di produzione, il 20% in altri paesi dell’UE e il restante 20% è stato esportato al di fuori dell’UE. Le esportazioni extra-UE, per un valore di circa 11,5 miliardi di euro, erano dirette principalmente negli Stati Uniti (30%), in Svizzera e Singapore (7% ciascuno), in Canada, Cina, Giappone e Hong Kong (6% ciascuno). Dacian Cioloş, commissario per l’Agricoltura e lo sviluppo rurale, ha espresso soddisfazione per questi risultati: «I nostri IG valgono 54,3 miliardi di euro in tutto il mondo e rappresentano il 15% delle esportazioni totali di alimenti e bevande. Ciò dimostra la loro importanza per l’economia dell’UE e il valore del nostro impegno per promuovere e difendere questo sistema. Gli IG sono fondamentali per generare valore aggiunto — e occupazione — a livello locale, rendendo più redditizia l’attività agricola. La nuova regolamentazione sulla qualità, entrata in vigore

di recente, consoliderà ulteriormente questa situazione». Nel periodo 2005-2010 i vini rappresentavano il 56% delle vendite complessive di prodotti alimentari e agricoli a denominazione protetta prodotti nell’Unione Europea (30,4 miliardi di euro), i prodotti agricoli e alimentari rappresentavano il 29% (15,8 miliardi di euro), le bevande spiritose il 15% (8,1 miliardi di euro) e i vini aromatizzati lo 0,1% (31,3 milioni di euro). Lo studio analizza inoltre il valore premio dei prodotti recanti un’indicazione geografica, ossia il premio che si può prevedere sul mercato per un prodotto IG rispetto a prodotti simili non IG: secondo le stime, un prodotto IG viene venduto a un prezzo mediamente 2,23 volte superiore rispetto a un prodotto non IG. In Italia, nel 2010, il valore delle vendite dei prodotti IG ammontava a circa 12 miliardi di euro, ripartiti quasi equamente tra prodotti e alimenti agricoli (che rappresentano il 51% del volume di vendita) e vini (il 48%). Le bevande spiritose rappresentavano invece solo l’1% delle vendite. È il settore vinicolo quello che vanta il maggior numero di prodotti a indicazioni geografica (complessivamente 521 prodotti DOC e IGP),

Salame Felino. seguito dal settore dei prodotti e alimenti agricoli (193) e dalle bevande spiritose (39). Per quanto riguarda i mercati di destinazione, il 57% degli IG italiani risulta venduto sul territorio nazionale, il 24% è destinato a mercati di altri Stati Membri e il 19% è invece esportato al di fuori dell’UE.

Il Salame Felino e la Mela Rossa Cuneo ottengono l’Igp La Commissione europea ha recentemente aggiunto due prodotti alimentari italiani all’elenco delle indicazioni geografiche protette (IGP): il salame di maiale “Salame Felino”, specialità della provincia di Parma, e la “Mela Rossa Cuneo”, coltivata in parte della provincia di Cuneo e della provincia di Torino. Questi due nomi vanno ad aggiungersi all’elenco di oltre 1000 prodotti già protetti in virtù della legislazione sulla tutela delle indicazioni geografiche, delle denominazioni d’origine e delle specialità tradizionali. • Per ulteriori informazioni: http://ec.europa.eu/agriculture/quality/schemes/index_en.htm

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Tabella 1 – Valore delle vendite per tipo di prodotto Valore .000 €

Quantità 2010 Carni fresche

2005

2006

2007

2008

2009

2010

3

s

s

s

s

s

s

Prodotti a base di carne

32

1.612.464

1.534.137

1.592.915

1.673.677

1.875.520

1.871.477

Formaggi

36

2.847.933

2.836.454

3.047.407

3.107.308

3.006.295

3.426.053

1

s

s

s

s

s

s

Oli e grassi

38

60.873

64.771

60.402

60.112

73.495

72.583

Ortofrutticoli e cereali, freschi o trasformati

68

178.694

233.259

325.696

268.865

230.155

320.279

Pesci, molluschi, crostacei freschi e prodotti derivati

2

0

0

0

0

s

s

Altri prodotti dell’Allegato I *

7

s

6.559

23.123

8.523

5.724

s

Prodotti di panetteria, pasticceria, confetteria o biscotteria

5

215

s

3.169

1.485

1.169

1.306

Birre

0

0

0

0

0

0

0

Acque minerali naturali e acque di sorgente

0

0

0

0

0

0

0

193

4.734.945

4.711.917

5.089.822

5.161.095

5.232.347

5.982.211

Altri prodotti di origine animale

Totale (inclusi i prodotti non segnalati in tabella) **

Tabella 2 – Volumi delle vendite (tonnellate) e numero di DOP/IGP per tipologia di prodotto Quantità 2010 Carni fresche

Volume (t) 2005

2006

2007

2008

2009

2010

3

s

s

s

s

s

s

Prodotti a base di carne

32

193.366

187.545

190.533

195.652

196.327

192.687

Formaggi

36

424.798

455.778

448.856

465.590

442.282

449.209

1

s

s

s

s

s

s

Oli e grassi

38

7.072

7.771

7.160

8.509

10.362

10.413

Ortofrutticoli e cereali, freschi o trasformati

68

218.681

397.067

536.926

430.188

347.080

502.961

Pesci, molluschi, crostacei freschi e prodotti derivati

2

0

0

0

0

s

s

Altri prodotti dell’Allegato I *

7

s

13

1.743

11

10

s

Prodotti di panetteria, pasticceria, confetteria o biscotteria

5

153

s

1.003

990

735

799

Birre

0

0

0

0

0

0

0

Acque minerali naturali e acque di sorgente

0

0

0

0

0

0

0

193

850.146

1.055.309

1.193.370

1.108.591

1.003.746

1.232.096

Altri prodotti di origine animale

Totale (inclusi i prodotti non segnalati in tabella) ** s: segreto statistico. * Spezie, condimenti, sidro e perry, tè…

** Prodotti non segnalati in tabella: bevande a base di estratti di piante, gomme e resine naturali, pasta di mostarda, paste alimentari, fieno, oli essenziali, sughero, cocciniglia (prodotto grezzo di origine animale), fiori e piante ornamentali, lana, vimini, lino stigliato.

Fonte: statistiche pubbliche, indagini e stime.

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Mortadella Bologna Igp: nel 2012 stabili produzione e vendite. In autunno un grande evento a Bologna per celebrarla Nonostante il periodo di crisi e la corsa al risparmio delle famiglie per la spesa alimentare, i dati di produzione 2012 della Mortadella Bologna si mantengono sui valori dell’anno precedente. Il Consorzio di tutela ha infatti reso noti i dati del 2012 del salume rosa: 38.400.000 kg prodotti, numeri che confermano la Mortadella Bologna IGP al secondo posto fra i salumi tutelati più consumati in Italia. È interessante però analizzare anche il comportamento di acquisto degli Italiani relativo all’anno 2012 che, secondo i dati NIELSEN, preferiscono acquistarla attraverso il canale della cosiddetta Distribuzione Moderna, ovvero negli ipermercati, supermercati e superette; un dato che si attesta attorno al 65% del totale delle vendite. Inoltre, in netta controtendenza rispetto ad altri salumi, la Mortadella IGP viene venduta prevalentemente al banco taglio (80% delle vendite totali), mentre il 20% viene commercializzato al libero servizio, in vaschette preconfezionate, in tranci o in piccoli formati. Si tratta di dati di tutto rispetto, se si pensa che il totale delle vendite ammonta a 34.200.000 kg. «Siamo soddisfatti dei risultati della Mortadella Bologna perché, nonostante il periodo di difficile congiuntura economica che stiamo attraversando, ha mantenuto sostanzialmente stabili le vendite. Il rapporto che i consumatori hanno con la mortadella è di grande familiarità e questi dati lo confermano. La mortadella è riconosciuta come vero prodotto tipico italiano, che può contare sulla tutela dell’indicazione geografica protetta dal Consorzio, sia in Italia che all’estero. In questo periodo, più che mai, una garanzia di qualità riconosciuta» ha affermato CORRADINO MARCONI, presidente del Consorzio Mortadella Bologna. Ma la Mortadella Bologna è molto amata anche dai consumatori stranieri ed è sicuramente uno dei prodotti alimentari made in Italy più conosciuti nel mondo. Il presidente, infatti, rivela che «l’export incide circa per l’8% delle vendite: i nostri principali destinatari sono i paesi dell’Unione Europea, come Germania, Francia e Spagna». Questo successo oltre confine la porta ad essere molto imitata: il Consorzio avvia ogni anno azioni volte a contrastare la falsificazione della Mortadella Bologna IGP e l’uso improprio della sua denominazione, per garantire che quando si acquista Mortadella Bologna si tratti di quella originale italiana IGP. E proprio il Consorzio, che da oltre dodici anni lavora per garantire ai consumatori una Mortadella Bologna sicura e controllata in ogni fase del processo di lavorazione, conta oggi 31 consorziati, che rappresentano il 96% del totale dell’IGP prodotta. Il grande evento: “MortadellaBO” Con l’intenzione di celebrare uno dei capolavori della produzione alimentare italiana, il prossimo autunno la mortadella sarà al centro di una festa che coinvolgerà l’intera città di Bologna, in un evento di proporzioni invidiabili, destinato a lasciare il segno. La manifestazione, dal nome “MortadellaBO”, è in programma nel capoluogo emiliano il secondo weekend di ottobre, da giovedì 10 a domenica 13: l’evento vedrà la partecipazione attiva di esponenti del mondo dell’economia, della cultura e delle istituzioni di tutta la Regione Emilia-Romagna e attirerà in città consumatori da tutta Italia.

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Commercializzazione

Fiorucci: a ognuno la sua fetta Tutti mangiano. Alcuni più di altri. Scatta Prosciuttopoli: la prima campagna sulla corruzione in stile “mockumentary” pensata da McCann Worldgroup per il rilancio del brand Fiorucci, marchio acquisito lo scorso anno dalla spagnola Campofrio, leader europeo nella lavorazione delle carni

U

na campagna incentrata su un caso di grande attualità, il primo fenomeno in Italia di campagna pubblicitaria in stile “mockumentary”, che con estrema lucidità e ironia prende spunto dal numero impressionante di scandali e di vicende legate a fatti di corruzione che si susseguono nel nostro Paese. Ma questa volta le tangenti hanno la forma ed il sapore di un’irresistibile tentazione: i salumi. L’innovativa campagna Fiorucci, firmata da McCann Worldgroup Italia, ha visto l’on air in TV in un formato insolito da 90” il giorno successivo alle elezioni — oltre a una campagna digitale integrata con l’utilizzo delle principali piattaforme social. Nel sostenere quanto questa campagna integrata sia importante per il rilancio del brand, ATHOS MAESTRI, amministratore delegato della Cesare Fiorucci Spa, sottolinea l’impegno e il sostegno dell’intero Gruppo nella realizzazione dell’operazione. «Campofrio Food Group è arrivata in Italia con obiettivi ambiziosi che puntano a trasformare l’azienda Fiorucci nel breve e medio termine. Una trasformazione che intende apportare modernizzazione e innovazione e, allo stesso tempo, vuole custodire e sviluppare la tradizione di oltre 160 anni di storia della mar-

Premiata Salumeria Italiana, 2/13

ca in Italia e nel mondo. In questa nuova visione, di un’azienda europea di tradizione italiana totalmente rinnovata, passa il forte concetto del cambiamento e lo sviluppo di un nuovo modo di intendere e fare business a livello internazionale, compresa la comunicazione». L’idea della nuova campagna Fiorucci nasce da quelle che oggi sono considerate, purtroppo anche all’estero, due peculiarità italiane: l’Italia è sicuramente il Paese con il più straordinario patrimonio culinario, di cui Fiorucci e la tradizione norcina che rappresenta sono accreditati ambasciatori, ma è anche uno dei paesi più corrotti d’Europa. Durante lo scorso anno e nei primi mesi del nuovo, gli scandali legati alla corruzione si sono susseguiti ad un ritmo impressionante.

Abbiamo masticato più corruzione che mortadelle e questo ha offerto lo spunto per una campagna innovativa. «La comunicazione deve essere sempre perfettamente inserita nello spirito dei tempi e mai, come oggi, deve far parlare, per guadagnare lo spazio di attenzione che una volta bastava comprare» dice ALEX BRUNORI, direttore creativo esecutivo di McCann Worldgroup Italia. Basta sostituire — in una storia di piccole e grandi corruzioni che sembra un sunto degli ultimi anni del nostro Paese — il denaro e il potere con dei salumi irresistibili per capire l’effetto di questa campagna, che con il suo on air in un formato insolito in un momento topico (quello delle elezioni appunto) rappresenta un unicum nell’ambito della comunicazione pubblicitaria. «Per il rilancio di

Il frame iniziale di “Potere e salumi”, pubblicità realizzata per Fiorucci da McCann Worldgroup Italia.

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“Potere e salumi” è un’inchiesta che indaga sulla corruzione che dilaga in Italia a suon di mortadelle, prosciutto e salame. Brillante e ironica la pubblicità Fiorucci è un’amara parodia del Belpaese di oggi. Fiorucci siamo partiti da una considerazione sulla corruzione dilagante in Italia, una corruzione culturale prima ancora che penale, un nervo scoperto del Paese che ci riguarda tutti. Parafrasando Gaber: “non temo la corruzione in sé, temo la corruzione in me”» sottolinea GIANLUCA RUGGIERO, chief operating officer di McCann Worldgroup Italia. «Il messaggio è chiaro e forte» conclude ERIC VILLAIN, direttore marketing e R&D di Cesare Fiorucci Spa. «Il budget limitato, l’iper frammentazione del mercato e la difficoltà di emergere, ci hanno fatto puntare, per annunciare il nuovo posizionamento Fiorucci, sull’impatto e la creatività, scommettendo tutto su una comunicazione che va ben oltre la semplice e

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banale tradizione, sia per la scelta dei messaggi che dei mezzi, arrivando in maniera dirompente sul pubblico italiano non solo con uno spot TV, ma anche attraverso impattanti attività con i social network. Tutto questo senza però dimenticare la nuova

norcineria, di cui Fiorucci è grande interprete, la genuinità e il saper fare come una volta con la continua ricerca ed elaborazione delle migliori ricette e l’esperienza palatale unica che si prova assaporando i prodotti Fiorucci».

Ma qual è l’inchiesta nata sotto il nome di “Potere e Salumi” realizzata per Fiorucci da McCann WorlGroup Italia? Trenta chili di mortadella sono scambiati per trasformare un’intera zona agricola in area turistica, dieci chili di prosciutto finiscono nell’inchiesta di calcio-scommesse, fino all’accumulo illegale di salumi nascosti anche in località offshore. Partono le indagini e scattano 312 arresti. Vengono sequestrate 98 attività legate al traffico di mortadella, emesse 520 ordinanze di custodia cautelare, si arriva all’incredibile cifra di 852 tonnellate di salumi confiscati. >> Link: www.poteresalumi.it

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Prosciutto di Modena DOP: la produzione nel 2012 raggiunge le 140.000 cosce, per un valore di 10 milioni di euro «Il nostro è l’unico prosciutto DOP con una stagionatura minima di 14 mesi. Questo lo rende un prodotto particolarmente profumato e con un aroma intenso. Inoltre, il Prosciutto di Modena, per il suo contenuto minerale e vitaminico, ed il suo limitato contenuto di colesterolo, inferiore ad altri tipi di carni, rappresenta un alimento più che bilanciato nell’apporto di grassi e proteine» ha affermato Davide Nini, presidente del Consorzio del Prosciutto di Modena (in foto a lato, all’interno dello stand del Consorzio durante Cibus 2012). Il Prosciutto di Modena DOP, apprezzato principalmente in Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Puglia, inizia a essere conosciuto in tutta Italia grazie alle campagne promozionali organizzate da importanti catene della GDO. Le particolari caratteristiche organolettiche e qualitative del Prosciutto di Modena rispondono ai seguenti requisiti: • forma a pera, con esclusione del piedino ottenuta con l’eliminazione dell’eccesso di grasso mediante rifilatura e asportazione di parte delle cotenne e del grasso di copertura; • peso a fine stagionatura è di norma tra 8/10 kg. • colore rosso vivo del taglio; • sapore sapido ma non salato; • aroma gradevole, dolce e intenso. (www.consorzioprosciuttomodena.it)

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PROSCIUTTIFICIO & SALUMIFICIO


Il Vallèe d’Aoste Jambon de Bosses Dop sbarca in Cina Il 2013 inizia guardando ad Oriente per questo gioiello gastronomico italiano: ben 60 cosce con una stagionatura di 18 mesi sono state spedite a Pechino per il Capodanno cinese

L’

aumento del potere economico dei consumatori cinesi degli ultimi anni è il motore del cambiamento e mutamento degli stili di vita e delle abitudini alimentari di questi “nuovi” cittadini del mondo. Una grande trasformazione, questa, per la cultura cinese da sempre molto legata alla tradizione, che ha provocato una conseguente richiesta di “nuovi” prodotti. Per l’Italia il patrimonio gastronomico è un po’ come il turismo, un’enorme e splendida ricchezza ancora da valorizzare e “sfruttare” (nel senso migliore del termine) pienamente. Il nostro Paese vanta un indiscusso primato per concentrazione archeologica e patrimonio architettonico, bellezze naturali e ambientali e la stessa cosa avviene per il settore enogastronomico. La Cina rappresenta quindi un mercato di sbocco ideale per i nostri prodotti tipici: vino, olio d’oliva, pasta, formaggi e prodotti della norcineria italiana, tanto diversi l’uno dall’altro per tradizione, lavorazione e consumo. L’Italia è il più grande produttore di salumi al mondo, una realtà costituita da grandi, piccole e piccolissime realtà produttive capaci però, ciascuna con la sua peculiarità, di rappresentare il nostro Belpaese. Il Vda Jambon de Bosses DOP è una di queste, conosciuto fin dal Medioevo è arrivato sino a noi grazie alla tradizione e alla sapienza artigiana di poche persone. Le caratteristiche uniche del territorio, la materia prima selezionata e un processo produttivo che ha saputo coniugare le migliorie offerte dalla tecnologia con la storia.

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Jambon de Bosses Dop. L’occasione ideale per gustare questa prelibatezza è la sagra che si tiene annualmente a Saint-Rhémy-en-Bosses nel mese di luglio. La lavorazione, seppur nel rispetto della normativa attuale, impone il massaggio manuale precedente alla salatura per rimuovere eventuali tracce di siero e sangue, la salatura con le erbe del territorio e la stagionatura protratta oltre i dodici mesi stabiliti dal disciplinare. Proprio questi piccoli gioielli della tradizione enogastronomica italiana vengono apprezzati sempre più all’estero e, grazie alle azioni di formazione e divulgazione e alla dinamicità che caratterizza il settore agroalimentare cinese, si conferma un incoraggiante trend di crescita del comparto. Le 60 cosce di Vda Jambon de Bosses Dop partite per la Cina sono destinate alla ristorazione di fascia

alta dell’area di Pechino e sono state volute espressamente per i festeggiamenti del Capodanno.

Comitato per la Promozione e la Valorizzazione del Vallèe d’Aoste Jambon de Bosses DOP Hameau de Saint-Léonard, 10 11010 Saint-Rhémy-en-Bosses Aosta Telefono: 0165 78082 Web: www.jambondebosses.it

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Prosciutto Toscano: registrato il marchio negli Stati Uniti Un altro importante risultato ottenuto dal Consorzio del Prosciutto Toscano in un’ottica di valorizzazione e tutela della denominazione: l’ufficio brevetti e marchi statunitense ha infatti ufficialmente registrato il marchio figurativo e verbale del Prosciutto Toscano. Un iter di registrazione che è stato lungo e complesso, iniziato a fine 2008. A questo si affianca l’esportazione del Prosciutto Toscano proprio negli USA: nei prossimi mesi, infatti, un’azienda consorziata inizierà ad inviare i primi lotti di prodotto negli Stati Uniti. Insomma, il Prosciutto Toscano è sempre più internazionale ed il Consorzio è impegnato in un processo di espansione e tutela del prodotto senza dimenticare l’attività nel mercato interno per far crescere ulteriormente la conoscenza e notorietà del prodotto, unico per la sua storia ed il suo gusto. Rinnovato il consiglio di amministrazione: Ludovici nuovo presidente Il Consorzio del Prosciutto Toscano ha comunicato il rinnovo del CdA che, per il prossimo triennio, sarà composto da nove membri uno dei quali appartenente alla categoria dei “Porzionatori e confezionatori”. È stato eletto presidente Cristiano Ludovici, già consigliere nel precedente mandato ed attuale vicepresidente dell’ISIT (Istituto Italiano Salumi Tutelati), e vicepresidente Maurizio Ghelli. Gli altri consiglieri sono Fabio Viani, Aldo Neri, Giovanni Cappellini, Filippo Renieri, Marco Pisoni, Giuseppe Mugnaioli e Willy Cruciani. «Ringrazio il consiglio per la fiducia — ha dichiarato Ludovici — mi impegnerò con determinazione e con la collaborazione di tutti i consiglieri per consolidare ed implementare l’ottimo lavoro fatto fino ad oggi e cercare di rafforzare l’immagine del Prosciutto Toscano all’estero». Il Consorzio ha chiuso il 2012 confermando i buoni risultati degli ultimi anni soprattutto nel comparto del preaffettato che continua a crescere segnano un +4,6% rispetto all’anno precedente. >> Link: www.prosciuttotoscano.com

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Nutrizione Adolescenza e street food

La personalità vien mangiando (per strada) di Josette Baverez Blanco

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ddentare un hamburger mentre si è a spasso con i compagni? È un atteggiamento e un piacere tipico dell’adolescente, che afferma in tal modo la sua emancipazione dalle regole tradizionali. Accontentarsi di uno snack tra amici permette al gruppo di stare assieme, con il proprio codice, e questa fase è essenziale alla presa di autonomia. Contrariamente al parere di tanti quindi, lo street food, il cibo mangiato per strada, soprattutto nell’età adolescenziale, non porta solo calorie in eccesso, e perciò è contrario ad un’idea di alimentazione sana e bilanciata, ma risulta molto importante nella costruzione della personalità dei ragazzi. Dal punto di vista nutrizionale, numerose ricerche e statistiche hanno evidenziato che comunque questa generazione street food rimane molto legata alle tradizioni familiari, in particolare alla cucina delle nonne con i suoi richiami atavici. Dunque, pur essendo agli antipodi, l’una non esclude l’altra, ma si presenta solo occasionalmente in alternativa. È un buon test di indipendenza Le città offrono sempre di più ai giovani novità alimentari che non trovano a casa e che spesso fanno sognare orizzonti lontani… Strade, piazze, centri commerciali, parchi, sono tanti luoghi dove incontrarsi e stare assieme. Un mezzo per iscriversi nello spazio, segnarlo e differenziarlo con stili, alimenti e mode specifiche a questo gruppo. Quando si trovano per condividere la pausa del pranzo, imparano a gestire tempo e denaro, a relazionarsi, affrancandosi da certe

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regole e, soprattutto, dallo sguardo spesso critico degli adulti. Dal punto di vista psicologico, essendosi oggi molto modificata la composizione della famiglia di provenienza, gli adolescenti sono spesso costretti ad arrangiarsi sempre prima in termini di età anche se, in apparenza, soprattutto in Italia, rimangono molto dipendenti dal nucleo familiare ben oltre la fine del percorso di studi. Cercano presto il gusto della libertà, inventandosi punti di riferimento o stili di vita ai quali non sono preparati. Provano, in questo mondo nuovo per loro, ad esplorarne tutte le strade e le opportunità, per poter poi scegliere in quale direzione orientarsi e trovare risposte ai loro quesiti. Lo fanno quindi anche attraverso l’alimentazione, occasione magnifica di

testare e testarsi, scoprire e scoprirsi insieme in un mondo continuamente in movimento. È l’occasione di creare codici sociali Offerti in porzioni individuali, questi cibi si possono facilmente manipolare e condividere. Quello che preme agli adolescenti, infatti, è lo stare assieme per ridere e sentire il calore e la comprensione del gruppo. A quell’età, il gruppo è più importante dell’individuo. I ragazzi sviluppano le loro regole, mangiano con le mani, si siedono per terra, bevono a collo dalla stessa bottiglia. Si vogliono cool, liberati dalle solite costrizioni di “buona educazione”, senza però chiudere totalmente con quanto hanno imparato a casa. Mangiare per strada è innanzitutto un momento di

Durante l’adolescenza compaiono grandi disagi e paure e il rapporto con il cibo e con il proprio corpo può diventare conflittuale. Anche attraverso l’alimentazione infatti si cerca di affermare la propria autonomia.

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propria infanzia ancora presente, ma già persa in qualche modo. Mangiare con le mani cibi caldi, zuccherati e morbidi ricorda senza dubbio piaceri orali della primissima infanzia.

In età adolescenziale, il gruppo è più importante dell’individuo. convivialità che necessità l’elaborazione di un sistema di valori propri al gruppo, oltre che il riconoscimento dello spazio occupato. Sotto l’aspetto psicologico, gli adolescenti hanno deciso di affrancarsi ogni tanto dall’obbligo di mangiare in famiglia. Di conseguenza, devono inventare un nuovo gioco sociale attorno al pranzo e sono loro i responsabili di quelle regole. In realtà, l’adolescente si sente e si vuole escluso dal mondo dell’infanzia che non riconosce più come suo, ma teme e contesta il mondo dell’adulto familiare vissuto come troppo rigido. L’adolescente si costruisce quindi il proprio mondo, con le sue regole e i suoi codici, i suoi giochi o interessi vari. Per allontanare l’angoscia e l’ansia, si divertono con barzellette, racconti che sembrano futili o superficiali, ma necessari a loro quanto lo sono altri che accennano alla ricerca filosofica. Sembrano voler essere tutti uguali nel vestirsi come nel comportarsi: queste similitudini permettono a loro di trovare un’identità pur mantenendo le proprie differenze. Nell’ottica psicologica si può confermare che si sentono rassicurati dalle abitudini del gruppo, dai loro codici sociali, dalla sensazione di appartenenza in un momento nel quale si stanno “staccando dall’albero”. Temono in effetti questo mondo sconosciuto che li aspetta, ma anche quello familiare nel quale non si riconoscono più e dal quale si

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sentono esclusi uscendo dall’infanzia. Cercano quindi di creare un nuovo gioco sociale attorno al cibo, dato che i pranzi in famiglia diventano per loro pesanti. I loro codici, le mode, i vari giochi sono tutti sistemi che permettono di raggirare un’angoscia di fondo. L’importante è per loro il poter riconoscersi e condividere. Niente di più simbolico che il mangiare in modo informale. È uno strumento di crescita “in dolcezza” Certi alimenti, soprannominati “traghetti” come i dolciumi, i prodotti a base di latte e tutto quello che è impanato, sono sinonimi di calore, coccole e benessere. Aiutano gli adolescenti a passare dal mondo dell’infanzia a quello dell’adulto. Altri piatti sono entrati a far parte dei menù familiari, che si sono modernizzati con certi finger food. Qualche sandwich, pizza, frittelle, tartine sono considerati alimenti “mediatori”, che eliminano la rigorosa frontiera tra quello che piace ai giovani e la cucina tradizionale. Sono quindi, a volte, i genitori stessi che si sono emancipati per avvicinarsi ai figli. Entrano in casa le cucine orientali che rallegrano le serate riavvicinando varie generazioni, a volte con una sensazione di trasgressione rispetto alle regole. Dal punto di vista psicologico, è senz’altro nelle caratteristiche gustative dello street food che si ritrovano le tracce e i ricordi della

È un apprendimento fisico Si dice che gli adolescenti siano spesso maldestri: lo street food permette loro di sviluppare abilità e destrezza. La coordinazione dei movimenti, l’attenzione alla gestualità quando si mangia camminando svelti, chiacchierando con gli amici e osservando quel che succede attorno: non è così immediato addentare un sandwich pieno di ketchup o un hot-dog spalmato di senape senza riempirsi le mani di condimenti o macchiarsi in qualche modo! È un vero e proprio apprendimento schiacciare il sandwich nel modo giusto, né troppo né troppo poco, prendendolo a piene mani, misurare la propria abilità e confrontarla con quella degli amici, ridere assieme degli eventuali errori o ammirare chi ha più pratica. Il fatto di mangiare camminando implica anche il movimento molto necessario a quell’età, la scoperta della città per potersene appropriare. Secondo la psicologia, l’adolescente fa fatica a prendere possesso del proprio corpo in continuo mutamento. L’abilità manuale diventa quindi una palestra giocosa nella quale si può anche competere o confrontare, elementi fondamentali per il proprio sviluppo. Non è così facile mangiare in pubblico o per strada quando per anni l’alimentazione è stata vissuta nell’ambito familiare o in luoghi privati intimi. Ancora una volta, tramite il gioco e la sfida, l’adolescente supera l’angoscia dello sconosciuto e della novità misurando la propria destrezza. Lo street food rappresenta quindi per l’adolescente non solo un piacere condiviso e un momento di libertà, ma anche una vera e propria crescita interiore in un corpo che richiede di essere sempre più armonico e disinvolto. Dato che vivere è saper tenere svegli i nostri cinque sensi, diamo agli adolescenti il merito di divorare, insieme allo street food, anche la vita! Josette Baverez Blanco

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Locali di gusto

Dalla macelleria all’osteria: la filiera corta dei Tagliavento di Massimiliano Rella

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agliavento è un ottimo indirizzo per le specialità di norcineria locale. Sia da comprare in macelleria che da mangiare sul posto, nella vicina e nuova osteria di famiglia. Siamo in Umbria, nella bellissima Bevagna (Perugia), un antico borgo con un piccolo centro storico quasi invariato da secoli. Il laboratorio artigianale si trova a pochi passi dalla medioevale piazza Silvestri, dal Palazzo dei Consoli, del 1270, con la grande scalinata esterna e il Teatro Torti al suo interno. Vicino ammiriamo anche

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le chiese romaniche di San Michele Arcangelo e San Silvestro. L’attività di macelleria e norcineria di Rosita Cariani e del marito Marco Biagetti iniziò nel 1991, quando i due, sposati da poco, rilevarono la macelleria del papà di Marco, il signor Renato, detto “Tagliavento” perché molto veloce nel tagliare la carne. Rosita rappresenta la quarta generazione di una famiglia bevanate di macellai e norcini, Marco la terza generazione di una famiglia originaria della vicina Foligno. La passione di Marco per la norcineria li ha portati

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Rosita Cariani e il marito Marco Biagetti nell’Osteria Scottadito. a sviluppare la produzione di salumi, autentici sapori di un tempo ottenuti con un uso esperto di ingredienti selezionati. Le salsicce marinate nel Sagrantino, per esempio, sono insaporite con il vino rosso ricavato dall’omonimo vitigno autoctono e simbolo enologico di questa zona, frullando l’aglio fresco nel vino per dare alla carne un retrogusto e un colore più vinoso. La coppa di testa è un altro prodotto del territorio con varianti di ricette familiari. La versione fatta propria da Rosita è la ricetta della madre di Marco, che prevede una bollitura di 7-8 ore dei ritagli della spolpatura del maiale, come naso, orecchie, cartilagini, muscoli, tendini, che vengono stracotte e scolate, condite con aglio, sale e pepe, noce moscata e buccia di arancia e limone, il tutto raffreddato e consumato a fette sottili. Da non tralasciare la porchetta, ottenuta da un intero maiale con sale, pepe ed erbe aromatiche e arrostito in forno, da consumare a fette, anche per farcire golosi panini. E ancora, prosciutti, salsicce fresche e secche, pancetta tesa e arrotolata, guanciale, ciauscolo, lonze, capocolli: sono tante le tipicità da gustare. La carne è condita con sale, pepe e aglio fresco schiacciato al momento della preparazione, senza

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conservanti, né additivi e con una lunga stagionatura al naturale in appositi ambienti freschi e asciutti, rispettando i tempi di maturazione: 4 mesi per la lonza, quasi 2 anni per il prosciutto e così via. Un’attenzione particolare è riservata alla scelta delle carni, utilizzate per la vendita in macelleria e per i prodotti della norcineria, che sono tutte di provenienza umbra, di Bevagna o comuni limitrofi, senza oltrepassare Todi e Norcia. Tra i capi scelti da una rete di fornitori di fiducia e allevati con cura ci sono maiali Large White cresciuti allo stato semibrado — una razza originaria dell’Inghilterra, ma molto diffusa a livello mondiale — che formano circa il 70% della materia prima. Sono animali molto robusti dal mantello roseo, che raggiungono un peso fino a 550 kg i maschi e fino a 400 kg le scrofe, con alte rese di macellazione e carne dal giusto rapporto tra parte grassa e parte magra, ideale per la salumeria ma anche per il pronto consumo. In misura minore, per il 20%, Tagliavento utilizza carne di maiali di Cinta senese, una razza allevata in Toscana fin dal Medioevo, dalla caratteristica cinghiatura bianca su un mantello di colore nero-ardesia: rustica e frugale dà carne di qualità, adatta per fare salumi tipici. Infine,

qualche suino umbro, sempre allevato allo stato brado, per il 5-10% dell’approvvigionamento. La carne bovina è ottenuta da vitelli di razza Chianina e Chevrolet in purezza, oppure da incroci di Chianina e Chevrolet. La razza Chianina è allevata nelle regioni centrali dell’Italia dai tempi degli antichi Romani, con animali di grandi dimensioni e dal mantello bianco, che danno ottima carne, come per esempio le gustose bistecche alla fiorentina. La Chevrolet, invece, è una razza francese originaria del cantone di Charolles, dalla quale si producono carni molto apprezzate per l’ottimale infiltrazione di grasso. La vicina Osteria Scottadito, aperta nel giugno del 2011, a pochi passi dalla norcineria, durante la tradizionale manifestazione enogastronomica del Mercato delle Gaite, rappresenta la filiera corta di Tagliavento. Il locale rustico ma ben curato, con interni di pietra e legno e una cucina a vista sul fondo, può ospitare 55 coperti. La cucina offre primi piatti umbri e tanta carne della macelleria di famiglia, frollata almeno 20 giorni. Si può scegliere tra fiorentina, tagliata, costata, filetto, salsiccia, agnello alla Scottadito, cioè alla brace, o tamanta, un termine dialettale per indicare un taglio particolare del maiale, in sezione trasversale, che unisce in un pezzo unico la bistecca e la costata. Il tutto accompagnato da una buona selezione di vini del territorio, il Rosso di Montefalco DOC e il Montefalco Sagrantino DOCG, con una discreta offerta al calice (conto medio € 25-30,00). Massimiliano Rella Macelleria Norcineria Tagliavento C.so Amendola 15a 06031 Bevagna (PG) Telefono: 0742 360897 Osteria Scottadito C.so Amendola 28 06031 Bevagna (PG) Telefono: 345 2438361 Nota A pag. 54 gli interni della macelleria Tagliavento; a pag. 55 Marco Biagetti; foto di Massimiliano Rella.

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Pane Vino e San Daniele: da oggi anche a Ferrara In un suggestivo edificio d’epoca un locale di oltre 150 metri quadri suddiviso in tre aree bar: sala ristorante e zona degustazione con cucina a vista. Arredi Costa Group e vini Fantinel

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ane, vino e la fantasia di creare un format con la sola aggiunta della variabile San Daniele. Marchio di qualità, già presente in tutto il territorio nazionale con i suoi tradizionali ristoranti mono-brand, innovativi ambienti di ristoro e punti vendita enogastronomici, Pane Vino e San Daniele ha aperto di recente un nuovo locale nel centro di Ferrara, in un suggestivo edificio d’epoca. Costa Group progetta l’arredo, sulla scia di una consolidata partnership con la prestigiosa azienda vinicola Fantinel.

Oltre 150 m2 di locale suddivisi in tre aree: zona bar all’ingresso, sala ristorante e zona degustazione con cucina a vista. E poi una corte interna, con pozzo annesso, le piante aromatiche e l’atmosfera sospesa, tipica degli interni ferraresi perché se “esprimi il desiderio che vuoi, fra il pozzo e la tavola lo esaudirai”, come recita lo stendardo scenograficamente appeso al muro. Tradizione e differenza nelle scelte d’arredo, rispetto agli altri ristoranti. Tra le differenze, il caratteristico monolite in legno del bancone

d’ingresso è stato sostituito da un piano in marmo bianco con inserti di mosaico retrò. Poi la vetrina tapas refrigerata per i prodotti take-away, che strizza l’occhio al target tipico di una città universitaria. Poco più avanti, una quinta di vetro incornicia i salumi di casa Testa Molinaro, rendendo la preparazione dei taglieri un’operazione scenografica, cui assistere prima della degustazione. Omaggiano la tradizione i colori del marchio Pane e Vino, diluiti su tutto l’arredo, e il tessuto a parete “griffato”, come fil

La scenografica preparazione dei salumi di casa Testa Molinaro da Pane Vino e San Daniele a Ferrara.

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1) Finger food a banco. 2) Zona ristorante. 3) Il cortile interno con il pozzo. Tra tradizione e design il locale offre la possibilità di degustazioni, aperitivi e cene con menu tradizionale. rouge dell’ambientazione. Nella zona cucina, una cabina climatizzata per vini, salumi e formaggio. Menu a base di cibi tradizionali e specialità locali, senza mai far mancare il crudo di San Daniele. Si possono degustare taglieri di salumi e formaggi accompagnati da focaccia e grissini,

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leggeri piatti unici oppure succulenti primi e secondi, caldi o freddi. Tra le specialità da segnalare, il frico friulano e i taglieri con San Daniele, nelle mille declinazioni possibili. Infine, per la carta dei vini, ampio assortimento di bottiglie provenienti dai vigneti Fantinel, come i rossi del

Collio, i Sauvignon, il Tocai friulano, i Merlot, la Roncaia e lo Zuccolo. Nota Studio Progettazioni e arredi Costa Group, architetto Flaviana Rimondi. Progetto Grafico: Costa Group, Maurizio Benassi.

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Ogni zona del locale Pane Vino e San Daniele è ben curata: all’ingresso un bancone con piano in marmo con inserti di mosaico introduce nelle zone del ristorante e di degustazione dove la cucina a è vista con cabina climatizzata.

Costa Group Srl Via Valgraveglia Zai 19020 Riccò del Golfo (SP) Telefono: 0187 769309/08 Web: www.costagroup.net

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Pane Vino e San Daniele Via Scienze 8/a 44121 Ferrara Telefono: 0532 206175 Web: www.panevinospa.it

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Champagne e salumi, attrazione fatale All’Hostaria da Ivan, a Roccabianca, in provincia di Parma, l’effervescenza francese accompagna la cucina tradizionale. Il titolare, Ivan Albertelli, affianca le cinque tipologie di Champagne di Florence Guyot ai salumi e ai piatti storici che hanno reso noto il locale, come il tosone fritto, le lasagne o il guanciale di manzo stracotto di Riccardo Lagorio

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osa accomuna lo Champagne che per la sua delicatezza e sottile fragranza è stato uno dei prodotti più premiati negli ultimi anni ed un liquore vigoroso e travolgente come

l’Arquebuse? La risposta d’acchito è: nulla. Tuttavia, dopo un incontro con Florence Guyot, le coordinate possono cambiare, si possono dipanare altri percorsi, avverarsi diverse suggestioni. Florence è un’affascinan-

te rampolla di un’antica dinastia di viticoltori. Ma con nonna toscana. Il che spiega anche il nome proprio, che la associa alla città medicea. Un avo di Florence sin dai primi anni dell’Ottocento lasciava macerare

L’abbinamento tra Champagne Marguerite Guyot e salumi di Ivan Albertelli è parte delle famose sedute di “Salumoterapia”, percorso sensoriale “terapeutico” alla scoperta dei prodotti tipici del territorio ideato proprio dal patron dell’Hostaria.

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Culatelli, strolghini, prosciutti e mortadella Favola del Salumificio Mec-Palmieri, sono alla base della “Salumoterapia”. le 33 essenze necessarie per ottenerne un liquore molto simile all’Arquebuse, di cui i frati Maristi fuggiti a Carmagnola dal Rhone-Alpes erano stati i primi depositari. Sotto la scorza elegante e raffinata Florence Guyot mostra una pienezza di carattere simile a quel distillato dell’avo. Ci è arrivata con tenacia all’obiettivo che per anni l’ha tenuta impegnata: riproporre uno Champagne di famiglia dopo che il padre aveva dismesso le vigne e le cantine. È stato tutto un crescere di appuntamenti ed incontri per far conoscere il frutto del lavoro imbastito insieme a Johan Casters, un amico viticoltore. Sino al successo nell’ottobre 2012 a Roma, nella classifica stilata da Scatti di Gusto, quando l’Extase Blanc de Blancs Grand Cru si è aggiudicato il primo posto assoluto tra duecento etichette. La filosofia alla base di questo successo è una miscela di razionalità e fantasia, di trascendenza e sensualità che spesso porta al trionfo. Grande attenzione a non vani-

ficare l’originalità di ogni vitigno con l’utilizzo oculato di liqueur d’expédition e accuratezza nei tempi di affinamento sono i due pilastri tecnici e materiali con cui Florence si è presentata al pubblico italiano. La persuasione che l’appeal muliebre suscita e lo spirito battagliero della viticoltrice gli aspetti immateriali della sfida. Anche Ivan Albertelli, patron dell’Hostaria da Ivan, quasi nascosta tra le campagne padane a pochi passi dalla casa natale di Giovannino Guareschi, non ha saputo resistere all’attrazione fatale per un’esperienza coinvolgente come quella di Florence. I suoi culatelli, i suoi strolghini e prosciutti, che sono alla base della ricostituente Salumoterapia, il metodo ideale per sconfiggere, secondo l’autore che l’ha immaginata, la noia e la tristezza, finanche l’accidia, sono ideali con le sottili bollicine Guyot. Ma anche gli storici piatti che hanno reso nota questa formidabile osteria si accompagnano in maniera perfetta alle cinque tipologie di

Hostaria da Ivan Via Villa, 24 43010 Roccabianca (PR) Telefono: 0521 870113 Web: www.hostariadaivan.it

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Champagne proposto da Florence. Il tosone fritto, il guanciale di manzo stracotto, l’anatra al forno, le lasagne al ragù sono l’espressione di una creatività che scova nella tradizione il suo punto di riferimento e che non aspetta altro di potere essere, con conviviale duttilità, plasmata all’infinito con le bottiglie dello “Champagne italo-francese”. Nelle sue cinque accezioni. Il Cuvée Desir, 100% Pinot Meunier dall’etichetta verde; la Cuvée Séduction, 100% Chardonnay Blanc de Blancs Grand Cru; la Cuvée Passion, 100% Pinot Nero dall’etichetta rossa; la Cuvée Fleur de Flo (Pinot Nero, Chardonnay e Pinot Meunier ciascuno al 30% ed un 10% di Champenoise affinato in barrique); la Cuvée Extase 100% Chardonnay. Florence parla delle sue cinque Cuvée come i cinque petali di un bouquet d’émotions floreale. I fiori, i fiori, i fiori. Ecco cos’altro accomuna lo Champagne Marguerite Guyot all’Arquebuse. Riccardo Lagorio

Champagne Marguerite Guyot 37, Avenue Denis Delorme 69260 Charbonnières les Bains Telefono: 333 9375125 Web: www.champagnemargueriteguyot.com

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Champagne Marguerite Guyot Da una “perla” si aprono i petali, come da una passione secolare di famiglia fiorisce uno Champagne. Marguerite Guyot fonda le sue radici nei vitigni di Damery, terra di antica tradizione champenoise. Una gamma di Cuvée originale, caratterizzata da una personalità raffinata ed elegante che si riflette in una veste creativa, ispirata all’armonia della natura ed alla sensualità della donna, come nella visione poetica di Alphonse Mucha e dell’Art Nouveau. La firma Marguerite Guyot, grazie al suo design unico ed innovativo, fonde senza precedenti l’estro di Mozart e l’istinto di Mirò. L’ornamento si articola in un anello floreale dove il cerchio, simbolo universale, evoca la perla e la bollicina. Una sinfonia di sensazioni, che si fondono in uno Champagne unico, per un viaggio attraverso le varie culture e i colori del mondo, in un’atmosfera di allegria e convivialità.

Bouquet d’Emotions Cuvée Séduction — La Margherita Bianca, simbolo di purezza e seduzione, è in perfetta armonia con gli aromi delicati del Blanc de Blancs. 100% Chardonnay. Cuvée Passion — La Margherita Rossa, simbolo di calore e passione, è in perfetta armonia con gli aromi fini e nobili del Blanc de Noirs. 100% Pinot Noir. Cuvée Desir — La Margherita Verde, simbolo di speranza e desiderio, è in perfetta armonia con gli aromi fruttati e sensuali del BIanc de Noirs. 100% Pinot Meunier. Cuvée Fleur de Flo — Brut Rosé, un viaggio di emozioni tra colore, raffinatezza e sensualità (assemblaggio dei 3 vitigni). 30% Pinot Noir 30%, Chardonnay 30%, Pinot Meunier, 10% Coteaux Champenois. Cuvée Extase — Gli aromi espressivi di frutta fresca (mela, agrumi) e la persistenza del nostro Blanc de Blancs Grand Cru, riflettono l’eleganza ed il carattere di questa cuvée d’eccezione. Blanc de Blancs Grand Cru 2002. 100% Chardonnay.

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Tendenze

The day after ovvero la cucina del riciclo Come reinventare gli avanzi a tutto vantaggio di gusto e portafoglio di Clara Scaglioni

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rovandosi a dover cucinare per molte persone, che siano parenti o amici, per timore che le quantità di cibo non siano sufficienti ad appagare tutti gli ospiti nel migliore dei modi, è facile preparare più del necessario. Possono allora rimanere degli avanzi che, specie in tempi economicamente precari come quelli attuali, è bene saper riciclare. Per di più, spesso si tratta di preparazioni o ingredienti buonissimi, in perfetto stato di conservazione, che è un peccato buttare

perché si possono trasformare in gustose ricette: è sufficiente un po’ di impegno e fantasia. L’elemento che avanza più facilmente è il pane: mai buttarlo, perché lo si può utilizzare in mille modi. Grattugiato serve per impanare gustosissimi fritti, dalla cotoletta alle verdure; unito a uova e parmigiano grattugiato, può trasformarsi nei famosissimi passatelli; ridotto in pezzi, tenuto a cuocere a lungo con poco brodo e poi condito con un goccio di olio crudo, diventa il pancotto:

pietanza povera ma buonissima. Il pane raffermo toscano è essenziale per preparare specialità tipiche regionali famose nel mondo, come i crostini, la panzanella, la ribollita, la pappa con il pomodoro, l’acqua cotta. Per non parlare delle polpette, dove il pane è presenza fondamentale: bagnato nel latte o nel brodo, conferisce morbidezza ai vari ingredienti che le compongono, mentre grattugiato le rende croccanti, dopo che, abbondantemente impanate, vengono immerse nell’olio caldo.

La frittata di spaghetti è ideale da realizzare non solo se intendete effettuare qualche scampagnata ma anche come appetitoso antipasto o addirittura, unendo salumi e formaggi, come sostanzioso piatto unico.

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Sono avanzati degli affettati che servivano per un importante antipasto? Si possono riciclare come ripieno di una focaccia, mentre tritati, con l’aggiunta di una besciamella, diventano la base di una torta salata. Oppure si possono adagiare, insieme a qualche erba aromatica come il rosmarino, su una pasta sfoglia pronta all’uso, arrotolata e tagliata in tante fette che, messe in forno e gustate tiepide, sono adatte per una merenda o un rapido spuntino serale. È avanzata della pasta? Vi si aggiunge una buona besciamella, del parmigiano grattugiato e, dopo una breve cottura al forno, diventa un nuovo, ottimo primo piatto. Gli spaghetti avanzati hanno, specie nelle famiglie napoletane, una tradizione secolare. Miscelati ad uova e formaggio pecorino grattugiato diventano la base delle buonissime, classiche frittate adatte a sostituire il primo piatto nella colazione del mezzogiorno o nella cena della sera. Per i napoletani non devono mai mancare nelle scampagnate fuori porta o nei pic-nic in riva al mare. Il risotto avanzato ha tante possibilità di utilizzo: passato in padella diventa il famoso riso “al salto”; miscelato a pane grattugiato, formaggio e un poco di farina, fritto in abbondante olio bollente, si trasforma in ottime frittelle che possono sostituire un primo piatto. Si possono anche fare, con le mani, delle palline che si farciscono al loro interno con pezzetti di mozzarella, ragù, magari avanzato, e si passano prima nell’uovo sbattuto poi nel pane grattugiato, ottenendo dei supplì: una vera squisitezza. Poniamo il caso che avanzi della carne lessa o arrostita (succede abbastanza frequentemente). Se si dispone di un certo tempo, si può tritare, miscelare con formaggio grattugiato, uova e noce moscata e farla diventare un buon ripieno per i ravioli, da gustare in brodo o conditi con burro e salvia. Non si vuole perdere troppo tempo? Si prepara un battuto di cipolla, sedano, carota, con aggiunta di passato di pomodoro, si taglia la carne a pezzetti, si aggiunge qualche patata a tocchetti, ed ecco

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La preparazione di una torta salata o di una quiche può diventare un’ottima idea svuota frigo! pronto uno spezzatino da leccarsi i baffi. Per non parlare delle classiche polpette e dei polpettoni, che si possono insaporire aggiungendo alla carne tritata prosciutto cotto o mortadella, buoni sia fritti che passati in umido. Altre preparazioni che riescono a mettere insieme avanzi di vario tipo sono le insalate. E qui la fantasia e l’esperienza della cuoca si possono veramente sbizzarrire, miscelando verdure e carni cotte, insalata fresca e frutta secca, opportunamente condite. Con le verdure cotte si possono preparare anche dei tortini da mettere in forno oppure delle superbe frittate. Un altro modo per dare nuova identità a verdure e formaggi è preparare degli sformati o dei deliziosi soufflé. Capitolo a parte quello dei dolci, che si possono spesso riciclare in modo semplice e gustoso. Emblema della categoria è, secondo l’opinione

di noti studiosi di cucina, la zuppa inglese, dolce nato, a quanto si dice, dall’arguzia di una domestica a servizio presso una famiglia inglese di Firenze, abituata a offrire il tradizionale tè delle cinque con una certa varietà di biscotti che molto spesso non venivano tutti consumati. Sembra che la domestica, saggiamente, abbia pensato di riutilizzarli unendoli alla crema pasticcera dopo averli bagnati con il famoso liquore alkermes, che si preparava nella farmacia di S. Maria Novella. Lo stesso si può fare con fette di panettone o di pandoro: è sufficiente tostarle, spruzzarle con un liquore dolce, e si potranno riportare in tavola insieme ad una crema pasticcera, o inglese, o a base di cioccolato. E ancora: i cioccolatini, sciolti a bagnomaria, rinasceranno sotto forma di buonissime mousse, per la gioia di grandi e piccini. Clara Scaglioni

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Sapori dal mondo

Würstel: dall’Austria con sapore Di carne rossa o di carne bianca, a pasta più o meno fine, da consumare cotti e caldi oppure freddi: è enorme la varietà di würstel proposti sul mercato. Un viaggio alla scoperta di questo insaccato nella sua terra d’origine, l’Austria di Raffaele Bertolini

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ndispensabili durante la stagione fredda, quando il nostro corpo sente la necessità di alimenti proteici e, soprattutto, grassi, ma perfetti anche per le scampagnate primaverili ed estive: andiamo a conoscere i würstel da vicino nella loro terra d’origine, ovvero l’Austria. Uno, nessuno, centomila Ne esistono tantissime tipologie, tutte però accomunate da alcuni caratteri permanenti ossia l’insacco in budello (artificiale o naturale), la preparazione dell’impasto tramite macinatura di carne suina o bovina con l’aggiunta di ghiaccio per facilitare l’omogeneizzazione del prodotto finito, e la speziatura più o meno piccante. Inoltre, deve essere rigorosamente accompagnato da senape, cavoli o purè di patate e gustato insieme ad una birra, preferibilmente chiara. Volendo suddividere l’enorme varietà presente sul mercato possiamo iniziare considerando la qualità della carne e quindi avremo una tipologia rossa (da carne di manzo) o bianca (con carne di maiale). Un’ulteriore ripartizione la si fa in base alla consistenza dell’impasto. Esistono würstel con pasta più o meno fine detti Bratwürste (da consumarsi previa cottura), come gli Extra, i Frankfurter, i Leberkäse, le varietà piccanti, ecc…, oppure i Fleischwürste (da consumarsi fred-

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di), come i Krakauer, i Polacchi, i Viennesi, quelli al formaggio, ecc… La peculiarità dei Brühwurst è che non vengono stagionati bensì cotti in acqua o a vapore, e talvolta affumicati. Con la cottura la parte proteica coagula e gelifica, rendendo la pasta adatta al taglio. In Austria esiste una tradizione secolare dedicata alla produzione di

würstel e la miriade di produttori arricchisce l’offerta immettendo sul mercato continuamente novità. Alcuni würstel sono dei classici che fanno gioire i palati locali da oltre 150 anni: come gli Extrawurst, conosciuti nell’ambiente alpino come Frankfurter, o i Nürnberger da griglia, la cui ricetta pare risalga agli inizi del XIV secolo.

Bratwürste. Con questo termine generico si indicano i würstel con pasta più o meno fine da consumarsi cotti.

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Un cosa è certa: non c’è nessun produttore, si tratti di industria o di artigiano, che non presenti, nel proprio assortimento, anche dei Brühwürste. Aufschnittwürst o würstel da affettare In questa tipologia rientrano diverse singolarità, come i piccanti, quelli ai funghi champignon, alla mortadella e altri. Le loro ricette sono disparate ma una cosa l’hanno in comune: si consumano freddi e devono essere affettati non troppo sottili. Bosna o Bratwurst Anche se ne esistono varianti crude, la maggior parte deve essere cotta prima del consumo. La speziatura è piuttosto piccante e prevede l’utilizzo di cipolla. Il Bosna, tipico di Salisburgo, viene impreziosito da senape e cipolle ed è servito con del pane bianco. Cabanossi Si contraddistingue per la piccantezza; è un insaccato cotto non molto stagionato, speziato a volte con paprica, a volte con aglio, peperoncino o cumino e consumato a merenda. Il nome proviene da “cabanos” termine con cui si indicavano i cappelli di protezione per l’equipaggio di imbarcazioni commerciali. È cosa risaputa che i salumi stagionati sono sin dall’antichità parte delle provviste dei viaggiatori. Ne esistono varianti con carne di tacchino per il mercato kosher. Debrecziner Così come è estremamente complessa la sua pronuncia, così è estremamente ineffabile il suo sapore. Lievemente affumicato, composto di carne bovina e suina, speziato con peperone dolce. Viene apprezzato dagli estimatori per la consistenza morbida e succosa, che rimane tale anche con cotture prolungate. Extrawurst Il classico per antonomasia. Di forma rettilinea o circolare, viene menzionato per la prima volta nel 1820. Sebbene la radice del nome rimanga nascosta, si ipotizza che ci si riferisca all’estrema finezza dell’impasto. La

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Nürnberger. Questi salsicciotti di carne suina, sale e maggiorana tipici di Norimberga sono una Igp. ricetta per la sua produzione non è rimasta immutata negli anni. All’inizio si presentava principalmente di carne bovina e piuttosto grasso. Oggi si utilizza molto di più la carne suina. Frankfurter La sua origine è da ricercare nel settimo circondario viennese. Si dice che sia per mano di un macellaio proveniente da Francoforte, un tale Johann Georg Lahner, stabilitosi nella cittadina austriaca nel 1805. I salsicciotti sottili Frankfurter di carne bovina e/o suina, unita a grasso, vengono insaccati in budello ovino. Con senape dolce o piccante, cren, ketchup o brodo di gulasch e un panino, in qualsiasi modo vengano serviti, i Frankfurter mostrano dignitosamente il loro volto gustoso. Großglockner Non stiamo parlando dell’omonimo passo montano austriaco, almeno non direttamente. Ma ovviamente il passo del Großglockner ha concesso il proprio nome a questo salsiccia da cuocere di mezza stagionatura. Spiccano il coriandolo, il cumino e l’aglio tra le note di questa leccornia, non di esclusivo consumo degli amanti della montagna. Hauswurst Quando si parla di Hauswurst si pos-

sono intendere due cose: con la prima si sta ad indicare una salsiccia simile alla Wiener tagliata sottilissima, speziata e affumicata. Nel secondo senso si indicano delle salsicce piuttosto gustose e aromatiche, che si consumano preferibilmente calde con senape o cren o con cavoli e purè di patate. Jagdwurst Principalmente composto di carne suina, soltanto in alcuni casi anche di carne bovina. Lo Jagdwurst è una salsiccia lievemente affumicata. Il sapore tipico lo si deve alla presenza di pepe, zenzero e coriandolo. Talvolta lo si trova anche con semi di senape o pistacchi. Questo salsicciotto gustoso è il perfetto accompagnamento per un pane croccante da consumarsi come merenda. Knacker Lo Knackwurst deve il suo nome al suono secco che provoca la masticazione del suo budello. Si suppone che questo termine fosse già in uso nel XVI secolo. Questi salsicciotti con pasta molto fine non sono troppo dissimili dai Frankfurter, tuttavia sono più corti e con uno spessore di 3,4 volte superiore. Kalbsbratwurst Solo carne di vitello e pasta molto morbida.

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Käsekrainer Ciò che ormai è un’istituzione in Austria ha ottenuto la denominazione di origine in terra slovena con la dicitura di Krainer Wurst. In Austria viene commercializzato come Käsekrainer, leggermente affumicato, con impasto grossolano di carne suina, da cuocere, con una percentuale dal 10 al 20% di formaggio. Si usa come pasto. Krakauer Originario della Polonia, di carne suina macinata grossolanamente. In Germania lo si conosce anche come Bierschinken. Lyoner Originario della cittadina francese di Lione, da cui deriva la ricetta originaria. Si tratta di impasto di carne suina, a volte unito a carne bovina, grasso e spezie; sia in Germania che in Austria fa capolino sulle tavole con diversi nomi e seguendo diverse ricette. Leberkäse Al giorno d’oggi, a dispetto del nome, questo salsicciotto da cuocere non contiene né fegato né, molto spesso, formaggio, bensì carne bovina o suina insieme a spezie dolci o piccanti. Lo si consuma come snack, con un panino croccante. Weißwurst di Monaco Posto che il colore grigio-biancastro non stimoli l’appetito di tutti, si tratta tuttavia di un prodotto con un carattere ben definito. Carne di vitello finemente macinata, lardo di schiena suino e svariate spezie, come prezzemolo, pepe o limone in polvere. La sua storia si perde nel secolo scorso. Esistono dicerie sulla modalità corretta del suo consumo relative alla necessità o meno di mangiare il budello o di succhiare l’impasto dopo averlo addentato e privato del budello. La tradizione vuole che vengano consumati a mezzogiorno con bretzel, senape e birra chiara. Oggi la gente lo consuma a tutte le ore. Nürnberger Rostbratwurst Stiamo parlando di una IGP. Soltanto quei salsicciotti che provengono dalla cittadina di Norimberga e si attengo-

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I Weißwurst di Monaco. Nell’insacco carne di vitello, lardo di schiena di suino e spezie varie. Da accompagnare rigorosamente con bretzel e birra. no al disciplinare possono fregiarsi di tale dicitura. Carne suina, sale e maggiorana. Parigino Si tratta di una versione nobilitata e più elegante dell’Extrawurst, un’istituzione austriaca. Vengono utilizzati ingredienti e budelli di maggiore qualità. Si può servire non cotto o, se in budello, fatto friggere in strutto, tagliato a rondelle dello spessore di un dito. Con questo tipo di cottura lo ci conosce famigliarmente come la salsiccia-scodella, in quanto durante la cottura i bordi tendono a inarcarsi. Piccante Extrawurst Una variante piccante dell’Extrawurst. Si uniscono all’impasto vegetali essiccati o conservati in aceto come peperoni rossi o verdi, o cetriolini piccanti. Polnische Da consumarsi arrostito, questo salsicciotto di mezza stagionatura si contraddistingue per il sapore deciso, contenendo a volte cardamomo, pepe, coriandolo o aglio. Rinderwiener Soltanto la carne bovina migliore entra a far parte dell’impasto di questa specialità. La speziatura robusta non è per tutti i palati, bisogna ammetterlo.

Fuori dall’Austria lo si incontra sia nella versione convenzionale sia in quella di origine biologica. Gli entusiasti lo apprezzano caldo con senape, arrostito in padella o grigliato. Schinkenwurst Questa denominazione è comprensiva di un gran numero di varietà di salsicciotti. Ogni regione ha il proprio Schinkenwurst, prodotto con carne suina e bovina oppure composto da spalla salmistrata e tagliuzzata grossolanamente, simile a un ToastSchinken. Teewürstel Chiamati anche Partywürste. Dall’impasto sodo, perfetti come aperitivo, i mini frankfurter sono apprezzati soprattutto dai bambini, grazie alla loro maneggevolezza. Di carne suina e/o bovina con l’aggiunta di grasso e spezie. Wiener Quando un austriaco parla di Wiener sicuramente si riferisce a qualcosa d’altro rispetto a ciò a cui penserebbe un tedesco. In Austria si intende con questo nome un salsicciotto di mezza stagionatura da consumarsi grigliato, con sentori di aglio e pepe nero macinato. Buon appetito! Raffaele Bertolini

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Convegni

Parmigiano Reggiano: obiettivo equilibrio tra domanda e offerta All’annuale conferenza stampa le conseguenze produttive ed economiche del terremoto del maggio scorso sono state al centro del dibattito. Per il presidente del Consorzio di tutela, Giuseppe Alai, occorre garantire redditività a tutti gli anelli della filiera senza inseguire il prezzo più elevato. Intanto vola l’export, con un +7,7% sul 2011. In cinque anni l’incremento è stato del 94,4% di Anna Mossini

«L’

obiettivo primario per dare valore al lavoro e ai rischi dei produttori è l’equilibrio tra domanda e offerta». È partita da qui l’analisi che GIUSEPPE ALAI, presidente del Consorzio di tutela

del Parmigiano Reggiano, ha avviato durante la conferenza stampa sull’andamento del comparto registrato nel 2012 svoltasi di recente a Bologna. Un anno contrassegnato da un prima e un dopo. E in mezzo a questo prima e a questo dopo si è insinuato, con tutto

il suo carico di distruzione e dolore, il terremoto del maggio scorso. Ma, nonostante i danni che hanno superato i 100 milioni di euro, i 37 caseifici e i 600 allevamenti colpiti, le 630.000 forme cadute di cui 120.000 distrutte o avviate alla fusione, il

Le scalere con le forme di Parmigiano Reggiano in stagionatura. Dopo il terremoto del maggio scorso delle 630.000 stoccate nei magazzini ben 120.000 sono andate distrutte.

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bilancio del sistema imprenditoriale dell’anno che ci siamo lasciati alle spalle si è chiuso con una soddisfacente tenuta dei consumi, anche se con un sensibile calo delle quotazioni. Siamo infatti passati dai 10,76 €/kg del 2011 ai 9,12 €/kg del 2012, con una flessione del 15%. Un andamento che rimanda ai livelli del 2010, quando un chilogrammo di Parmigiano Reggiano incassava una quotazione media di 9,14 euro. Produzione in calo «Il dato non può che essere letto negativamente — ha spiegato Alai — perché incide sulla redditività dei produttori, soprattutto in un anno in cui le imprese hanno subito in maniera significativa un aumento dei costi, a cominciare dall’energia e dai cereali, che si lega anche ad alcuni fattori strutturali che possono e devono essere governati meglio dal sistema, in particolare un maggiore equilibrio tra domanda e offerta». Ed ecco qui il nodo cruciale: equilibrio tra domanda e offerta. Archiviato come un episodio isolato l’exploit produttivo del 2011, quando si registrò un incremento del 7,1% di forme, pari a un totale di 3.231.915, la tendenza più contenuta del primo semestre 2012, +2,3%, seguita nei sei mesi successivi da una flessione con 24.000 forme in meno rispetto allo stesso periodo del 2011, viene confermata anche in questo primo scorcio del 2013, effetto secondo Alai «anche dell’adesione ai piani produttivi varati dal Consorzio in ossequio a quanto previsto dal Pacchetto Latte approvato nel febbraio dello scorso anno che, tra gli altri, prevede per l’appunto la possibilità per gli enti di tutela di programmare la produzione». La lieve ripresa delle quotazioni sembra quindi dietro l’angolo, favorita da una riduzione dei flussi produttivi, da una sostanziale tenuta dei consumi interni (–0,2%), a cui risponde un soddisfacente incremento della quota export (+7,7%), il ritiro di 80.000 forme per progetti all’estero e una minore disponibilità di prodotto legata anche agli effetti del terremoto. «Difficilmente comunque si tornerà alle quotazioni del 2011» ha sottolineato Alai.

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Giuseppe Alai, presidente del Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano. Exploit in Cina E quindi l’export, una voce sempre più importante per il Parmigiano Reggiano. Una voce che nel 2012, come abbiamo visto, ha segnato un +7,7%, portandosi ad una quota di prodotto uscita dai nostri confini nazionali pari a 42.700 tonnellate. «Negli ultimi cinque anni — ha spiegato RICCARDO DESERTI, direttore del Consorzio — la crescita dell’export è stata pari al 94,4%, un dato che non ha bisogno di commenti e che è frutto degli investimenti effettuati e degli accordi di collaborazione stipulati con gli esportatori». Più nel dettaglio, si conferma il buon andamento all’interno

dell’Unione Europea con un +7,65% sul 2011; un’ottima crescita (+6,68%) negli Stati Uniti che rimane il secondo importatore dopo la Germania; un altrettanto positivo incremento in Oceania (+10,4%) e in Asia, dove l’aumento ha superato il 33%. «Proprio in quest’ultimo continente — ha sottolineato Deserti — il Giappone ha fatto segnare un +48,8% di tutto rispetto, ma il +277% della Cina è la percentuale che spicca su tutto il resto e se attualmente i quantitativi esportati non superano le 140 tonnellate, quindi è giusto parlare di quota modesta, non si può ignorare che si stia verificando quello che abbiamo previsto con un

La pianificazione produttiva va rispettata Giuseppe Alai ha affermato che il 2012 è stato senza ombra di dubbio un anno anomalo. Il terremoto e le sue conseguenze prima di tutto, poi le variazioni di prezzo, i cali produttivi, i caseifici distrutti o danneggiati, con un’economia che in buona sostanza è andata a due velocità. «Ma forse proprio per questo merita una valutazione ancora più approfondita» ha dichiarato. «Prendiamo ad esempio la pianificazione produttiva introdotta dal Pacchetto Latte. Sarebbe sbagliato ritenerla un divieto alla produzione; più giusto invece interpretarla come una crescita controllata in base alle probabili espansioni dei consumi. Ad ogni caseificio quindi sarà assegnata una sorta di previsione produttiva a cui attenersi. Se non verrà rispettata, nel momento in cui produrrà il 5% in più rispetto a quanto assegnato scatterà la cosiddetta “marchiatura aggiuntiva” (in pratica il caseificio dovrà pagare 50 euro per ogni forma prodotta in più). Sarebbe sbagliato ritenere questo provvedimento una multa perché, in effetti, non lo è. Quei soldi saranno invece destinati allo smaltimento delle eccedenze».

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Un aiuto concreto dalle vendite dirette e on-line I contributi pubblici non sono ancora arrivati e per evitare il default delle aziende coinvolte il Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano ha anticipato ai caseifici 2,5 milioni di euro dei contributi raccolti grazie all’intervento straordinario di tutti i consorziati, alle donazioni spontanee, alle vendite solidali nei caseifici e a quelle messe in atto da catene distributive. Si tratta delle prime risorse arrivate ai caseifici dopo il sisma dello scorso maggio. La parte restante dei contributi, in proporzione al danno subito, verrà erogata dopo la ripartizione dei fondi pubblici e gli indennizzi delle compagnie assicurative. Le vendite cosiddette “solidali” o direttamente nei caseifici hanno riservato grandi sorprese e dimostrato quanto il Parmigiano Reggiano rappresenti un importante elemento di italianità sentito da tutti. «Potremmo davvero parlare di effetto sisma — ha sottolineato Giuseppe Alai — se pensiamo che ben 6 milioni di punte di formaggio sono state vendute senza transitare dalla Grande Distribuzione Organizzata». Grazie alla norma ex officio inserita nel Pacchetto Qualità approvato a Bruxelles nel settembre scorso, gli Stati Membri, e quindi anche l’Italia, hanno la possibilità di intervenire a tutela delle loro produzioni DOP e IGP. piano di investimento di lungo periodo e che va oltre il 2020, secondo il quale stiamo assistendo a un ritmo di crescita molto elevato in un Paese sino a ieri legato a una cultura alimentare in cui i formaggi non erano considerati». Investimenti oculati All’export il Consorzio del Parmigiano Reggiano destinerà investimenti per 6 milioni di euro e altri 7,4 mi-

lioni andranno indirizzati a strategie per ampliare i consumi interni. Ma verranno rafforzati anche i canali HORECA, vending e i prodotti innovativi come le barrette e/o le sottilette senza escludere progetti rivolti ai giovani consumatori. «Se il 2012 verrà ricordato dalla nostra filiera come il più tragico a causa delle scosse telluriche del 20 e del 29 maggio — ha concluso il presidente Alai — va anche ricordato però che è stato caratterizzato da una serie di momenti molto importanti a cominciare dall’approvazione del Pacchetto Latte, seguito dal Pacchetto Qualità che grazie alla norma ex officio in esso contenuta favorirà

La lavorazione del Parmigiano richiede impegno, tempo, pazienza, passione e grande professionalità.

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una maggiore tutela delle produzioni DOP come il Parmigiano Reggiano, dal momento che dal 13 settembre scorso gli Stati Membri, attraverso i loro funzionari pubblici, sono tenuti ad adottare tutte le misure necessarie a questo scopo». Provvedimenti importanti «Dal 1 marzo scorso poi è entrato in vigore l’obbligo del confezionamento in zona, mentre da alcuni mesi funziona la Borsa comprensoriale. In pratica, a differenza di quanto avveniva prima, quando presso la Camera di Commercio delle città interessate veniva avviata una trattativa per stabilire le quotazioni del Parmigiano, oggi tutto questo avviene a Parma dove, insieme, si riuniscono 17 commissioni provenienti dalle diverse province coinvolte. Il 2013 è iniziato da poco e dopo un anno così tribolato come quello precedente era necessario pensare al futuro dando delle priorità strategiche che per noi partono innanzitutto dalla crescita dell’export, dall’equilibrio di mercato che vuol dire garantire la giusta redditività all’intera filiera senza inseguire il prezzo più elevato, promuovere e comunicare bene la qualità del nostro prodotto. Sono questi i nostri obiettivi per il 2013 e siamo certi di poterli raggiungere grazie a un sistema consolidato che anche nei terribili giorni del terremoto ha saputo reggere a un’onda d’urto di particolare violenza». Anna Mossini

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Parmigiano Reggiano: per Facebook è un “caso di successo” La campagna di web marketing “I Love Parmigiano Reggiano” è stata consacrata da Facebook come uno dei tre “casi di successo” del mercato italiano. La fan page del Consorzio del formaggio più amato dagli Italiani ha avuto, infatti, un’impennata di visite grazie ad un piano redazionale — arricchito anche da un concorso on-line che ha messo in palio una Fiat 500 — che ha saputo attirare l’attenzione e conquistare nuovi fan attraverso la pubblicazione di notizie sui valori nutrizionali, curiosità, ricette in cui il Parmigiano Reggiano viene usato come ingrediente in cucina. I risultati sono stati talmente buoni da spingere Facebook a citarla come una delle campagne che hanno avuto più successo in Italia. In poco più di tre mesi, gli utenti che hanno cliccato “mi piace” sulla pagina di Parmigiano Reggiano sono stati quasi 100.000, trasformandola nella Pagina italiana di prodotto a denominazione di origine protetta con più fan in assoluto. Oggi la pagina www.facebook.com/parmigianoreggiano conta infatti oltre 200.000 fan. Aicod, la web agency che ha ideato e seguito il Parmigiano Reggiano in questo percorso di crescita sul web, si occupa della gestione dei social network di importanti realtà italiane come il Consorzio del Prosciutto di Parma, Academia Barilla, ALMA, La Scuola Internazionale di Cucina Italiana di Gualtiero Marchesi, Fiere di Parma, Maserati e Lorenz. «Stiamo andando nella direzione giusta e intendiamo continuare a parlare direttamente con i nostri fan e consumatori su Facebook. Siamo orgogliosi di avere lanciato sui social un prodotto come il Parmigiano Reggiano: un’icona del made in Italy che ha una storia antichissima e caratteristiche inimitabili» ha dichiarato Giuseppe Alai, presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano. «Comunicare l’eccellenza del Parmigiano Reggiano con le nuove armi del web 2.0 è stata una sfida esaltante che ha dato ottimi risultati. Il popolo della rete è infatti sempre più attento alla qualità dei prodotti alimentari e mostra un crescente interesse per tutte le informazioni che riguardano la filiera, le fasi di lavorazione, le caratteristiche nutrizionali e la sicurezza alimentare» ha commentato Alessandro Riccomini, CEO di Aicod.

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Rassegne Identità Milano 2013

Il valore rivoluzionario del rispetto Il rispetto per la natura, per le materie prime, per i clienti e il rispetto dei clienti verso cuochi e ristoratori: questi i temi del congresso milanese, che ha visto la partecipazione di numerosi chef, specialisti del settore e produttori di qualità di Laura Franchini

S

i è svolta dall’11 al 13 febbraio scorsi, presso gli spazi di FieraMilanoCity, l’annuale congresso di cucina d’autore. Un’edizione il cui leitmotiv, “Il valore rivoluzionario del rispetto”, ha sottolineato tutti gli interventi e i numerosi laboratori. Affiancato dalla kermesse collaterale Food&Wine Festival, il congresso ha visto la parteci-

pazione di numerosi chef e specialisti del settore, ma anche di produttori di qualità, in veste di sponsor. Tra gli highlights di quest’anno, domenica si sono esibiti i giovani leoni e non sono mancati i focus sulla pasta e sulla pizza, come nelle passate edizioni. Ma anche i libri, la sala, i dessert e le tradizioni (soprattutto dalla Sardegna, regione protagonista

dell’edizione 2013), attraverso gli interventi di decine di relatori d’Italia, d’Europa e del mondo. I quali hanno dato decisa importanza al valore del Rispetto: rispetto per la natura, per le materie prime, per i clienti e i loro soldi e il rispetto dei clienti verso cuochi e ristoratori che sono liberi professionisti e rischiano il loro. Una visione trasversale, che partendo dagli

Il dessert a base di pasta di Alessandro Gilmozzi con fusilli, rum e sambuco. Il piatto si ispira al Rumtopf, un metodo tedesco di conservazione della frutta che viene messa a macerare in un recipiente con rum e zucchero (foto: Brambilla–Serrani).

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chef abbraccia la materia prima, vera protagonista di tutte le elaborazioni di gusto e di cucina. Si sono così potuti apprezzare i singoli ingredienti, anche grazie alle attività e laboratori organizzati dai numerosi sponsor presenti. La Macelleria Zivieri di Monzuno (BO) ha snocciolato un programma ricchissimo, puntinato di prosciutti, salame di cervo e capriolo, pancetta, selvaggina e Mora romagnola. Non da meno la Macelleria Falaschi di San Miniato (PI), accompagnata dallo chef Stefano Pinciaroli, che ha presentato degustazioni a base di fegatini di pollo e tartare di Chianina, corredati da diverse suggestioni di sapori. Le Coltellerie Sanelli, già al secondo anno di partecipazione, hanno invece esposto un’ampia selezione di lame adatte a tutti gli usi di cucina, pesce, carne ed altro, così come ha fatto il Gruppo Kai, giapponese, presentando articoli di ispirazione orientale, nell’uso come nel design. Per le pentole professionali l’azienda Baldassare Agnelli ha presentato il meglio della sua produzione, mentre il Gruppo CHS ha dato il suo contributo fornendo tutti gli accessori monouso utilizzati per i servizi di catering dell’evento. Tra i molti vini hanno riscosso particolare successo quelli di Cavit, anche grazie a sapienti e diversi abbinamenti presentati nel corso delle tre giornate ed elaborati dallo chef Davide Oldani. Presenti anche i vini della Valpolicella e Lugana, grazie a Zenato, ed i vini del Consorzio Tutela del Bardolino, accompagnati dalle mostarde e composte dell’azienda Le Tamerici di Mantova. Nota dolce con il bergamasco Moscato di Scanzo; indimenticabili bollicine di razza con Berlucchi; il gruppo GIV era presente con i vini Nino Negri e Tenuta Rapitalà; Duca di Salaparuta si è accompagnato a Florio e alle cuvée Lanson; Fontanafredda non poteva mancare, in quanto main sponsor della manifestazione. Immancabile la birra, oggetto anche del libro di LEONARDO ROMANELLI “La Birra in tavola e in cucina”, presentato nel corso di Identità Libri, rappresentata dalla Moretti, così come le grappe, portate dal marchio storico Nonino. Ricca l’offerta ca-

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In alto: Aldo e Fabrizio Zivieri dell’omonima macelleria di Monzuno, Bologna. In basso: Andrea Falaschi, Norcineria Macelleria Sergio Falaschi di San Miniato, Pisa (foto: Fabio Lombrici). searia: dalla Mozzarella di Bufala Campana DOP al Grana Padano, dai prodotti di Beppino Occelli ai Castelmagno proposti da Valsana. Identità di Pasta ha visto tra i relatori nomi del calibro di Davide Scabin, Antony Genovese e Christian Milone, mentre tra i pastifici sponsor non potevano mancare Monograno Felicetti e il Pastificio dei Campi. Un tuffo nella tradizione, veicolata verso il futuro, con l’intervento dello chef romano LUCIANO MONOSILIO dedicato alla carbonara, ma anche con MASSIMO BOTTURA, che ha portato la farina di ciccioli ad accompagnarsi con un cappuccino di cipolle e patate e un cotechino cotto al vapore di

Lambrusco, uno dei piatti del menu “Viaggio da Modena a Mirandola” dedicato alle aree terremotate della nostra amata Emilia. Carlo Cracco fa il pienone con Matteo Baronetto; Fabio Barbaglini e Massimiliano Alajmo omaggiano Ezio Santin nella mattinata d’apertura del congresso. Questi solo alcuni dei tanti professionisti protagonisti dell’edizione 2013. Soddisfatti gli organizzatori, Paolo Marchi e Claudio Ceroni, patron di MAGENTA BUREAU, che già pensano alla prossima edizione, concentrata sul rapporto tra gola, salute e cucina. Noi rimaniamo in trepidante attesa. Laura Franchini

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Taste 2013, Firenze sogna E sognando trasforma in un’isola di gusto e bellezza gli affascinanti spazi della Stazione Leopolda, sede dell’ottava edizione del salone organizzato da Pitti Immagine. Compratori e buyer da oltre 40 Paesi di Gaia Borghi

L

a Bellezza salverà il mondo o, quanto meno, salverà il nostro Paese, così ricco di arte, storia e cultura da lasciare senza parole anche il visitatore più distratto. Una certezza, questa, a cui sono giunta al rientro del mio viaggio a Firenze, destinazione Taste, il salone dedicato alle eccellenze del gusto e del food lifestyle ospitato negli spazi della storica Stazione Leopolda. E dove se non a Firenze potrebbe prendere il via questa battaglia ispirata alla dea Venere, non a caso ospitata nella sua celebre versione botticelliana proprio nel più importante museo del capoluogo toscano? Unione sapiente

di bello (l’organizzazione porta la firma di Pitti Immagine) e buono, nel senso di produzioni eccellenti realizzate dalle mani sapienti nei nostri artigiani del gusto, Taste 2013 ha conquistato più di 15.000 persone, tra operatori, buyer o semplici appassionati. «Taste ha dimostrato senza tema di smentita di essere la manifestazione di riferimento per i professionisti dell’enogastronomia di qualità» ha dichiarato Agostino Poletto, vicedirettore generale di Pitti Immagine. «Le oltre 280 aziende di questa edizione hanno incontrato compratori di altissimo livello, come i rappresentanti di department store

del calibro di Harrods, Eataly a New York, e dei giapponesi Isetan e Takashimaya, ma anche tanti altri operatori delle maggiori enogastronomie di nicchia italiane e internazionali. Anche il pubblico di foodies è stato numeroso e di grande livello, così come molto seguiti sono stati gli eventi e i Ring alla Leopolda, orchestrati dal Gastronauta. Una nota sul ricco programma di oltre 120 eventi targati FuoriDiTaste, che ha avuto l’ennesimo record di partecipazioni, proponendo appuntamenti sempre più coinvolgenti per il pubblico». Marzo 2014 non è poi così lontano: chiudo gli occhi e ricomincio a sognare.

Oltre 13.500 visitatori per i tre giorni del gusto alla Stazione Leopolda di Firenze.

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Erano 283 gli espositori presenti a Taste 2013, a rappresentare il meglio dell’enogastronomia italiana.

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Impossibile fotografare tutti i protagonisti del salone fiorentino: queste le nostre scelte!

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar Premiata Salumeria Italiana, 2/13 81 perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


Fiere

RHEX Rimini: tutti a bordo 53.115 visitatori professionali alla prima edizione di RHEX, l’expo di Rimini Fiera dedicata al “fuori casa”. Ampio apprezzamento per il format che ha unito il mondo della ristorazione e dell’ospitalità

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ochi numeri bastano per descrivere e testimoniare la prima edizione di RHEX, Rimini Horeca Expo, il nuovo evento incentrato sul comparto Hotellerie-Restaurant-Cafè (HORECA), ideato da Rimini Fiera per esaltare le esperienze degli ex SIA Guest e Sapore: 53.115 visitatori professionali, 7.000 business meeting con buyer internazionali, 357 giornalisti

accreditati, grandi nomi della cucina stellata, dell’hospitality design, del comparto alberghiero, del mondo del vino e del giornalismo, che hanno incontrato il pubblico e anticipato le tendenze del futuro. La manifestazione, svoltasi da sabato 23 a martedì 26 febbraio, ha ospitato chef, grossisti, food & beverage manager, barman, albergatori, architetti e gestori di

locali pubblici, che hanno espresso apprezzamento per il format, che unisce i comparti della ristorazione e dell’ospitalità. RHEX si connota infatti e si differenzia come appuntamento internazionale capace di raccogliere in un solo contesto non solo prodotti, ma anche e soprattutto iniziative culturali: casi di successo, mostre con nuovi format, concorsi ed aggiornamenti

Uno dei produttori presenti alla prima edizione del salone riminese.

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professionali per tutte le categorie all’insegna di innovazione, soluzioni e tendenze del mercato, offrendo dunque una formidabile vetrina per gli espositori dell’industria alberghiera, dell’ospitalità, della ristorazione e dell’intrattenimento. E poi, ancora, degustazioni, dibattiti, convegni, tavole rotonde, avvincenti talk show, memorabili eventi internazionali. Business internazionale Registrata la presenza di centinaia di buyer stranieri provenienti da Australia, Arabia Saudita, Bielorussia, Bosnia, Bulgaria, Cina, Croazia, Emirati Arabi, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Lettonia, Lussemburgo, Marocco, Qatar, Romania, Russia, Slovacchia, Slovenia, Svezia, Tunisia, Turchia, Ucraina e Ungheria con manager di primo livello, attirati dalla manifestazione che ha messo in mostra il meglio dei comparti del fuori casa, con vere e proprie eccellenze del made in Italy. «RHEX è nata dalla grande esperienza di due nostre manifestazioni storiche che godevano di oltre 100 edizioni in attivo e che si sono sintetizzate qui al meglio per offrire al mercato una soluzione in sinergia con l’evoluzione dei mercati internazionali di riferimento» ha commentato LORENZO CAGNONI, presidente di Rimini Fiera. «Oggi la richiesta è infatti quella di una maggiore concentrazione di eventi, una razionalizzazione di tempi e di risorse e di appuntamenti operativi. La prima edizione di RHEX ha mantenuto fede a tale promessa, aprendo la via a nuove potenzialità per idee e tematiche future». «Dal mondo imprenditoriale del fuori casa e dell’intrattenimento abbiamo ricevuto un’ottima risposta in termini di qualità dei partecipanti, attenzione da parte dei visitatori e contatti oltre le aspettative, attivati soprattutto dal business estero», sintetizza PATRIZIA CECCHI, direttore di Business Unit di Rimini Fiera. «Abbiamo potuto verificare che RHEX è come fosse l’hardware del sistema su cui poggia il comparto turistico, un settore in cui l’Italia gioca ancora un ruolo da protagonista e con ampi margini di ripresa».

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Nuovi format per la ristorazione Il ristorante all’interno del supermercato per battere la crisi: la proposta arriva dal professor DANIELE TIRELLI, presidente di POPAI Italia (Associazione internazionale per lo sviluppo del Retail Marketing), che nel corso di un convegno (“Horeca vs. Retail: quando il gioco si fa duro… vecchi e nuovi attori a caccia del business ristorativo”) ha fotografato le “reazioni” di retail e fuori casa alla difficile situazione economica e alla conseguente modificazione dei consumi alimentari. Tra le soluzioni più innovative, appunto, il ristorante integrato in un supermercato. Il primo esempio c’è già ed è quello di Sicil Conad a Villaseta, in provincia di Agrigento. Un’area di 250 metri quadri e 60 posti disponibili, nel quale è possibile consumare direttamente ciò che si acquista. Un esperimento coraggioso, che nei primi mesi di attività ha fatto registrare dati incoraggianti in tema di fatturato e marginalità. Raccolti sotto il cappello dei “Nuovi format per la ristorazione”, di grande interesse “Il locale tematico”, Salumeria Rosi Parmacotto, o il “Fast Food Gourmet” di Prosciutteria Dok Dall’Ava. Gastronomia regionale per rilanciare il made in Italy Promuovere la gastronomia regionale e la sua affermazione a livello nazionale ed internazionale, valorizzando i grandi prodotti del made in Italy con un’offerta gastronomica al passo con il progresso delle tecniche di elaborazione e di analisi sensoriale in cucina. È quanto emerso della tavola rotonda “Comunicare la Ristorazione: innovazioni di impresa per uscire dalla crisi”, organizzata dall’associazione Chef to Chef emiliaromagnacuochi. Oltre ai vertici dell’associazione — il presidente Igles Corelli e il vicepresidente Massimo Bottura — sono stati protagonisti dell’incontro il direttore editoriale de LE GUIDE DE L’ESPRESSO Enzo Vizzari, IL GASTRONAUTA Davide Paolini e il direttore di GUIDA MICHELIN Fausto Arrighi. La prossima edizione di RHEX si terrà a febbraio 2014. >> Link: www.rhex.it

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Formaggio

La scienza del formaggio artigianale È il titolo di una conferenza che si è tenuta a Londra da Neal’s Yard Dairy, tempio della cultura casearia d’Oltremanica, in difesa delle tecniche tradizionali di caseificazione del vecchio continente di Raffaele Bertolini

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l 28 e 29 agosto dello scorso anno si è tenuta a Londra una conferenza intitolata “La scienza del formaggio artigianale”. Organizzata da Randolph Hodgson, titolare del tempio della cultura casearia d’Oltremanica qual è Neal’s Yard

Dairy, ha riunito docenti universitari, tecnici caseari e ricercatori, americani ed europei, accomunati dall’intento di difendere le tecniche tradizionali di caseificazione da un’urgenza sociale igienizzante e standardizzante a volte paradossale.

Tutto ha inizio con l’approvazione di una legge, il 4 giugno del 2011, da parte del Congresso americano, che abilita la Food and Drug Administration ad implementare misure di controllo e di prevenzione sui prodotti caseari importati. Questo significa

Neal’s Yard Dairy compra il formaggio da una settantina di casari nelle aziende agricole in Gran Bretagna e Irlanda. Due i punti vendita a Londra: Borough market e Covent Garden. In foto la produttrice di formaggio Anne Hasting mostra la sua partita di St James (foto: www.culturecheesemag.com).

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Joe Schneider e Randolph Hodgson con lo Stichelton, versione a latte crudo del re dei formaggi inglesi, lo Stilton (foto: www.cheesechap.com). che alcune tecniche tradizionali di produzione dei formaggi artigianali del vecchio continente, come l’utilizzo di utensili o di scaffalature in legno per il deposito dei formaggi, potrebbero essere a rischio perché ritenute non sicure dal punto di vista igienico. L’allarme fa seguito ad una recente indagine secondo la quale, negli Stati Uniti, quasi un impianto di produzione caseario su tre (il 23% per l’esattezza), industriale o artigianale, è risultato contaminato da ceppi di Listeria monocytogenes. Ciò che i sostenitori della salvaguardia delle tecniche tradizionali di produzione ritengono preoccupante è che gli ispettori della FDA focalizzano l’attenzione e i controlli sull’ambiente di lavorazione e di stoccaggio, dove

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la presenza di batteri è frequente, e non piuttosto sul prodotto finito, nel quale non si è mai riscontrata presenza di batteri dannosi per la salute umana. Ma nella logica della FDA la presenza di Listeria m. nell’ambiente di lavorazione induce a ritenere quell’impianto non sicuro. Pastorizzare e sanificare è la regola che gli ispettori ritengono più opportuna per tutelare la salute del consumatore. Fino agli anni ‘70 del secolo scorso era impensabile parlare di batteri presenti nel latte o nel formaggio all’opinione pubblica. Già allora si facevano ricerche sulle componenti biologiche dello yogurt ma i risultati delle ricerche erano banditi dai media perché si pensava che l’idea stessa che esistessero dei batteri nel latte

o nello yogurt potesse suscitare una reazione di repulsione nel pubblico. Sempre secondo questa indagine, la percentuale più rilevante di presenza di Listeria è stata riscontrata nei formaggi a stile messicano, di pasta morbida. Il Canada, paese confinante con gli Stati Uniti, ha adottato una politica di prevenzione più lungimirante e razionale. Ha definito per ogni tipo di specie batterica le quantità massime permesse per ogni litro di latte, abolendo il limite di 60 giorni di maturazione per i formaggi a pasta morbida. Il 70% della popolazione batterica presente nel formaggio è presente nella stessa quantità anche nel latte di partenza, per questo motivo si è posto l’accento sul controllo del latte. Prendendo in esame alcuni territori di produzione di alcune DOP europee: si evince che certi tipi di latte sviluppano un sistema protettivo verso la Listeria monocytogenes. Da un’analisi condotta tra il 2004 e il 2009 in Francia risulta che nei formaggi morbidi e semiduri prodotti con latte crudo la percentuale di Listeria è inferiore a quella che si riscontra nello stesso tipo di formaggio prodotto con latte pastorizzato. Esattamente il contrario di quanto riscontrabile nei formaggi a pasta dura. Le conclusioni del team di studiosi presenti alla conferenza è che è auspicabile mantenere un consortium di batteri lattici e non acidi (no acidic bacteria) per contrastare il rischio di Listeria monocytogenes. Gli stessi risultano tuttavia meno potenti nel controllo dello Staphylococcus aureus e dello Shiga toxin E. coli. Il mercato francese ha già sostenuto a modo suo questa proposta: nel Paese il valore del latte è proporzionale alla quantità di batteri in esso contenuta, senza discriminare tra quelli filocaseari o anticaseari. Ripercorrendo a ritroso l’origine della presenza di batteri nel latte si arriva alle mammelle dell’animale sottoposto a mungitura; sono il punto cruciale in cui confluiscono i vari fattori contaminanti, vale a dire l’alimentazione, gli strumenti di mungitura, l’ambiente della stalla o del pascolo.

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L’85% delle specie batteriche riscontrate sulle mammelle è stato rinvenuto anche nel latte. Inoltre, la varietà microbica è maggiore nelle mammelle di animali al pascolo rispetto ad animali in stalla. Il Corynebacterium, per esempio, è un genere di batteri presente nell’alimentazione a fieno; lo Staphylococcus, il Bacillus e il Clostridium sono quelli presenti nel pascolo. Per quanto riguarda i formaggi artigianali, i ceppi batterici che suscitano le maggiori preoccupazioni sono la Salmonella typhimurium, la Salmonella Newport, la Listeria monocytogenes, l’Escherichia coli e lo Staphylococcus aureus. Al giorno d’oggi i casi di Listeria sono in diminuzione rispetto a quarant’anni fa; i casi di Salmonella invece sono in aumento. Negli Stati Uniti e anche nel Regno Unito, laddove vent’anni fa la percentuale di consumatori a rischio era il 15%, oggi è salita al 30%. All’interno di questa categoria si annoverano gli anziani, le donne incinta, le persone con immunodeficienze. Da test di laboratorio si conclude che il limite minimo di maturazione per i formaggi a pasta morbida, di 60 giorni, non è affatto sufficiente per scongiurare i rischi da intossicazione di Listeria. Difatti, in questa fase del processo di maturazione i

Latte. Prima dell’utilizzo diffuso della pastorizzazione tutto il formaggio era prodotto con latte crudo.

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Lancashire prodotto da Graham Kirkham con latte crudo. batteri di Listeria, se presenti già nel latte di partenza, si trovano in uno stadio del loro sviluppo alquanto progredito. La conclusione a cui si arriva, seguendo l’intervento finale di Randolph Hodgson, è la necessità di trovare anche a livello semantico un punto di condivisione, per non rischiare di creare delle categorie fuorvianti. Parlare di latte crudo o latte pastorizzato e relativi prodotti, per esempio, è limitante. Il concetto di formaggio a latte crudo nasce successivamente all’utilizzo della pastorizzazione nella produzione casearia. Prima di allora tutto il formaggio era prodotto a latte crudo. Nel XIX secolo negli Stati Uniti non esiste più alcun formaggio a latte crudo. L’ingresso della pastorizzazione è stato più un escamotage commerciale che di natura igienico-sanitaria. La sicurezza alimentare deve passare attraverso una interrelazione comunicativa di quattro soggetti: i produttori, gli ispettori, i consumatori e gli affinatori. Servono categorie semantiche che siano condivise e intelligibili. La sicurezza alimentare non è insita nel prodotto; dipende dalla modalità produttiva, da quando, da come viene commercializzato, e, da ultimo, dallo stato di salute e dalla capacità biologica di chi lo consuma.

L’intervento di Randolph Hodgson chiarisce quali sono i punti di slittamento tra la tecnica tradizionale di produzione e l’intervento della scienza utilizzando l’esempio di un produttore artigianale di un formaggio tipico inglese chiamato Lancashire. Graham Kirkham era conosciuto come il miglior produttore di Lancashire. Conduceva una piccola fattoria. Seguendo le richieste del mercato decise qualche anno fa di ammodernare tutto. Rifece completamente gli impianti; cambiò anche la razza allevata, dalla Frisona passò alla Holstein. Da quel momento per diverso tempo non fu più in grado di produrre del Lancashire che valesse la pena vendere. Quando chiamò dei tecnici per aiutarlo a identificare i problemi, li sentì parlare di pH e di altre sigle che non aveva mai sentito nominare. Graham aveva sempre valutato lo stato della cagliata con le dita, attraverso il calore, la consistenza e l’odore. Ciò che auspica Randolph, e con lui questo movimento di antagonismo all’ingerenza ottusa della scienza nel mondo della produzione casearia tradizionale, è l’utilizzo di un linguaggio comune e di buon senso, per non correre il rischio di perdere conoscimenti, tecniche che trovano la loro legittimazione nella tradizione, in nome di una millantata omogeneizzazione e sanificazione che impoveriscono la nostra cultura e il nostro piacere. Raffaele Bertolini

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U Cabanin, un formaggio come dovere morale Visita all’azienda Petramartina, uno dei soli tre produttori al mondo di questa specialità ligure di Giulia Mauri

U

n formaggio come dovere morale. Come strumento per non sprecare la fatica dei propri vecchi, delle generazioni passate che sono riuscite a sfruttare un territorio aspro come quello ligure e ad allevare bovini in una terra da capre. È innanzitutto questo il formaggio U Cabanin per UGO CAMPODONICO e la moglie SIMONA CESARI, che nel 2007 hanno deciso di “scendere in campo” e giocare la loro parte per non veder perso un patrimonio genetico e gastronomico ormai a rischio di estinzione. Cinque anni fa Ugo e Simona hanno acquistato un podere abbandonato da quasi vent’anni a 1.050 m slm nell’entroterra ligure, fondando l’azienda agricola Petramartina, con chiaro in testa l’obiettivo di salvare l’autoctona vacca Cabannina e continuare a produrre il tipico formaggio (allora senza nome), sempre presente nelle case degli allevatori. Nel 2007 è stato scritto anche il Disciplinare di produzione del formaggio U Cabanin, al 100% di latte crudo di vacca di razza Cabannina: si è trattato di un passo decisivo — frutto anche dell’Associazione Allevatori e della Camera di Commercio di Genova — perché ha permesso di porre la prima pietra per un programma di recupero e valorizzazione di questa razza bovina. Formaggio e vacche formano ora un connubio indissolubile e l’uno costituisce la salvezza delle altre. Oggi sono tre gli allevatori che aderiscono al Disciplinare e producono il Cabanin, e sono tutti raccolti a Rezzoaglio, un paese nella Val d’Aveto, ai piedi di monti che superano i 1.200 metri, ma sufficientemente 88

vicini alla costa per presentare una flora particolarissima, con influssi di macchia mediterranea. Proprio a Rezzoaglio la valle si apre nella piana di Cabanne, il paese che dà il nome alla razza di queste vacche piccole, longeve e generose. «Oggi la popolazione di questi bovini si aggira sui 250 capi, l’80% dei quali vive in questi dieci chilometri quadrati» spiega Ugo Campodonico. «Sono animali che producono un latte di elevata qualità, facilmente digeribile e molto ricco di acido miristoleico, che è dimostrato essere valido nella prevenzione delle neoplasie». Visitiamo l’azienda Petramartina, 3,5 ettari di terreni recuperati a pascoli e a prati stabili. Le strutture sono quelle di un tempo, ma rimesse a nuovo e adattate alle esigenze di igiene e benessere animale. In cinque

anni Ugo e Simona hanno avviato da zero l’azienda, ricomponendo le proprietà estremamente frammentate che caratterizzano queste zone, costruendo i recinti e portando gli abbeveratoi fin sui pascoli. Hanno passato al vaglio le diverse stalle che stavano chiudendo e comprato le vitelle più belle e promettenti. Oggi sui pascoli — piccoli fazzoletti verdi ritagliati nel folto del bosco — ruminano tranquilli 18 capi. «Contiamo di arrivare entro il prossimo anno a 14 vacche in lattazione: a quel punto l’azienda avrà una dimensione tale da cominciare a dare anche soddisfazioni economiche rilevanti. Quelle morali (con riconoscimenti anche tangibili a fare da corollario) le raccogliamo fin dall’inizio», racconta Simona. Per il lavoro di selezione e salvaguardia della razza Cabannina e

U Cabanin è l’unico formaggio di latte crudo di capi di razza Cabannina. Premiata Salumeria Italiana, 2/13


valorizzazione del prodotto ad essa legato l’organizzazione Slow Food ha concesso il titolo di Presidio: «Siamo l’unico Presidio della provincia di Genova», dice Ugo. Come da Disciplinare di produzione del formaggio U Cabanin, le vacche della Petramartina pascolano da aprile a novembre, ricevono solo aggiunte di fieno e di materie prime riconducibili a quelle utilizzate nella tradizione locale. Due volte al giorno vengono munte dai due operatori di stalla e massimo entro 48 ore il latte viene trasformato in formaggio. È Simona stessa che se ne occupa, nel moderno caseificio ricavato da una vecchia rimessa per mezzi agricoli, proprio accanto alle stalle. Infatti, pur essendo molto vicine fra loro, ciascuna delle tre aziende agricole che producono U Cabanin segue in autonomia tutta la sua produzione, dalla mungitura alla stagionatura delle forme. «In questo modo la tracciabilità è facilitata e ciascuno si assume la responsabilità per il rispetto delle procedure di lavorazione e igieniche», spiega Ugo. Nel Disciplinare, infatti, l’attenzione alla qualità è massima e ciascuna fase della caseificazione è monitorata. Ogni settimana vengono effettuati i controlli per la qualità e la quantità del latte prodotto nella stalla. Il latte crudo viene lavorato a mano, le singole forme vengono numerate, la stagionatura di sessanta giorni viene garantita dai controlli. Simona Cesari mostra con orgoglio il caseificio: «Le forme in plastica microforata le abbiamo fatte venire dalla Spagna. La pressa invece è una nostra invenzione — dice Ugo Campodonico — l’abbiamo commissionata ad un fabbro locale per sottoporre le forme a un peso corretto e omogeneo». Da circa 20 litri di latte fresco si ottiene una forma di poco meno di 2 kg, che viene poi salata a mano, marchiata, numerata e portata nel locale di maturazione. Stagionato due mesi al fresco della Val d’Aveto, U Cabanin è un formaggio a pasta compatta ed elastica, poco solubile, di colore dal bianco all’avorio, con rade occhiature. All’olfatto evoca sentori lattici di burro e di fieno maturo, accompagnati da nocciola e miele. Il gusto è appena acidulo ed estremamente saporito. «Quest’anno abbiamo prodotto in media una Premiata Salumeria Italiana, 2/13

ventina di forme a settimana, dunque abbiamo raggiunto circa le 3.000 forme all’anno». In totale la produzione di U Cabanin si aggira sulle 7.000 forme all’anno, il che rende l’azienda Petramartina il produttore più importante per questo formaggio e per la tutela della vacca Cabannina. Ogni due giorni Simona porta a valle le forme ormai stagionate per consegnarle ai suoi clienti affezionati: ristoranti, bar, gastronomie e banchetti concentrati soprattutto a Chiavari, Rapallo e Genova, ma anche nelle province limitrofe. «Le possibilità di espansione sul mercato sono numerose e concrete: a Genova contiamo fra i clienti abituali anche il punto vendita di Eataly. Quanto a Slow Food, essere entrati in contatto con questa associazione è stata una grande opportunità per farci conoscere e stringere nuovi rapporti commerciali. Abbiamo anche partecipato a Cheese e al Salone del Gusto; sebbene la nostra produzione sia limitata, abbiamo raccolto molte soddisfazioni. Ci siamo conquistati uno spazio nelle guide gastronomiche e siamo stati citati ne Il Golosario», racconta Ugo. In azienda non si disdegna neppure la vendita al dettaglio, tanto che è di quest’anno l’apertura del punto vendita diretta in un piccolo edificio, che forse nei prossimi anni ospiterà i visitatori desiderosi di vivere l’esperienza dell’allevamento. Infatti, sia il progetto della fattoria didattica, sia quello dell’agriturismo sono una sfida — l’ennesima — che Ugo e Simona raccolgono volentieri. Già oggi ospitano studenti dell’Università di Milano per tirocini del corso di laurea di “Allevamento e benessere animale”. Ed è grazie a questo gioioso spirito imprenditoriale che la visita all’allevamento e al caseificio viene coronata da un amichevole e graditissimo invito a pranzo: pasta al pesto di basilico dell’orto, verdure, ricotta, assaggi di formaggi Cabanin e caciotta Nina, e per finire crème caramel con latte di Cabannina e miele della casa. «Una prova generale di agriturismo», si schermisce Simona. Anche se il Cabanin si è conquistato la sua clientela fissa, da buon imprenditore Ugo sta pensando di diversificare la produzione. «Forti delle soddisfazioni che anche la ricotta

Ugo Campodonico con una delle sue Cabannine. Velleia ci ha dato, abbiamo iniziato a produrre yogurt: lo abbiamo chiamato Yocab e lo commercializziamo in vasetti, al naturale o con l’aggiunta del miele di nostra produzione (ne raccogliamo 12 quintali circa all’anno, ne vendiamo cinque varietà). Si tratta di uno yogurt saporito e poco acido, che va incontro al gusto dei consumatori di oggi. Inoltre vendiamo, con il nome di caciotta Nina, le forme stagionate una sola settimana. Ma la richiesta di Cabanin è tale che stentiamo ad avere il latte per gli altri prodotti! Comunque produciamo anche il primosale e la crema spalmabile e stiamo valutando se valga la pena cominciare la produzione di un formaggio arricchito con bacche di ginepro stagionato nella cenere». Infine, se stagionato per un tempo superiore ai quattro mesi, il Cabanin acquista una grana tale da permetterne l’uso come formaggio da grattugiare. «Noi lo usiamo per preparare il pesto alla genovese con ottimi risultati — dice Simona — Chissà, magari potremmo cominciare a produrre il pesto di basilico e U Cabanin», dice subito Ugo. Giulia Mauri Azienda agricola Petramartina Località Scabbiamara, 4 Rezzoaglio (GE) Telefono: 335 6299577 E-mail: info@petramartina.com Web: www.petramartina.com 89


Vino

Charta del lago di Caldaro: selezione superiore per la Doc dell’Alto Adige di Massimiliano Rella

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el 2011 in Alto Adige sono stati prodotti circa 330.000 ettolitri di vino, il 75% da 17 cooperative; il resto è uscito dalle cantine di circa 140 produttori-imbottigliatori. Nella provincia autonoma si fa appena lo 0,7% del vino italiano, ma quasi tutto a marchio DOC (98%), in base a una scelta di qualità. Una delle principali aree produttive è attorno al lago di Caldaro, che con oltre 600 ettari di vigneti è il comune più vitato subito dopo Appiano. Attorno al pittoresco lago, meta di bagnanti durante l’estate, la regina delle vigne è la Schiava, un vitigno a bacca rossa da cui si ottengono vini leggeri, freschi, poco tannici, dagli aromi di ciliegia e da bere come aperitivo o in accompagnamento a piatti di pesce, carni bianche, formaggi non stagionati. Sono oltre 260 gli ettari coltivati a Schiava, varietà che a Caldaro trova un microclima “mediterraneo” e terreni di origine vulcanica. Il vino ricade nella denominazione Lago di Caldaro DOC (Kalterersee in tedesco).

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Negli anni ‘90 gli ettari iscritti alla DOC erano 1.290, ridotti alla metà nel 2008. Ma dalla vendemmia 2010, grazie all’accordo tra 19 cantine, è nata la Charta del Lago di Caldaro che promuove una maggiore qualità rispondendo a criteri di produzione più severi. Alla base l’idea di un rosso Schiava con una personalità più forte, moderna, piacevole e fruttata. La “Charta” consiste in un disciplinare autonomo che garantisce al consumatore una selezione di qualità superiore. Il vino prodotto secondo le nuove regole si riconosce dalla capsula con il sigillo di qualità con la denominazione Selection Kalterersee DOC, le cui prime bottiglie sono in commercio dallo scorso maggio. Viene prodotto solo con le uve dei migliori vigneti che circondano il lago, coltivati fino a 450 metri di altitudine; la vendemmia è manuale e selettiva con una resa del 10% in meno rispetto a quella prevista dal disciplinare della DOC. A Caldaro, ovviamente, non si coltiva solo la Schiava. Tra le altre

varietà a bacca rossa troviamo il Lagrein e la serie dei Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon, ideali questi per vini più strutturati e invecchiati. Da qualche anno, inoltre, si è fatta largo la produzione dei bianchi, che impiega vitigni come Pinot Bianco, Pinot Grigio, Sauvignon e altre varietà introdotte di recente e frutto di ricerca scientifica oltre confine, dal Solaris al Bronner. La “conversione” dai rossi ai bianchi ha cambiato la composizione delle vigne attorno al lago. Se fino a dieci anni fa, infatti, la Schiava primeggiava anche in quota, oggi oltre i 430-450 metri sul livello del mare troviamo in grande maggioranza vitigni a bacca bianca. Tra i 19 protagonisti della Charta del Lago di Caldaro c’è la Cantina di Caldaro, una cooperativa di 450 soci con un moderno Wine Center aperto a visite, degustazioni e acquisti, situato lungo la strada che conduce in paese. Il Wine Center è una struttura moderna su più piani, con interni dal design lineare ed essenziale, progettato dallo studio di architettura viennese Felt

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Esterni del Wine Center di Cantina di Caldaro. 72. Le cantine, invece, sono due: una per invecchiare le migliori partite di Schiava e le selezioni di Lagrein e Merlot; l’altra per il resto della produzione.

Forte di 300 ettari di vigne, la Kellerei Kaltern (questo il suo nome in tedesco) nacque nel 1992 dalla fusione di 2 cantine sociali. Oggi produce 45 etichette in diverse linee (classica,

Situata lungo la Wein Strasse (Strada del Vino dell’Alto Adige), la zona del Caldaro DOC offre molti luoghi di interesse anche per i turisti del vino. Le cantine, gli alberghi, le enoteche e i musei del sistema di promozione turistica locale sono segnalati dal logo “wein.kaltern – il punto giusto”. >> Link: www.wein.kaltern.com Ecco i produttori che dalla vendemmia 2010 hanno sottoscritto la Charta del Lago di Caldaro: Cantina Castel Sallegg, Cantina Kellerei Kaltern, Cantina Erste + Neue, Cantina Josef Brigl, Cantina Lieselehof, Cantina Ritterhof, Cantina Peter Sölva e figli, Cantina Kettmeir, Cantina Oberpreyhof, Cantina Manincor, Cantina Morandell Dominikus, Cantina Niklaserhof, Cantina Klosterhof, Cantina Andi Sölva, Cantina Steflhof, Cantina Prälatenhof, Cantina T. Unterhofer, Cantina T. Pichler, Cantina Baron Di Pauli. Il vino si riconosce dal sigillo di qualità Selection Kalterersee DOC riportato sulla capsula delle bottiglie.

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media e cru) per una produzione complessiva di 30.000 quintali di uva, 2 milioni di bottiglie e un altro milione di bottiglie di diverso formato (1 litro e mezzo litro). Le vigne dei soci sono situate tra i 230 metri e i 700 metri d’altezza e per il 30% sono coltivate a Schiava. Meno di dieci anni fa l’uva rossa rappresentava circa l’85%, «ma abbiamo avuto una grossa crescita dei bianchi — ricorda l’enologo Andreas Prast — dovuto in parte alle nuove preferenze del mercato e in parte al fatto che anni fa si produceva Schiava non di qualità. Poi la maggiore attenzione ha portato i produttori a piantare vitigni a bacca bianca nelle zone collinari più alte, meno adatte alla Schiava, che vuole invece ambienti più caldi e bassi». Tra le nuove sfide della Cantina di Caldaro, e dell’enologo Andreas Prast, ora ci sono i vini biodinamici di un gruppo di viticoltori associati chiamato Solos (www.kellereikaltern.com). Erste & Neue è un’altra realtà cooperativa che ha sottoscritto la Charta. Nata nel 1986 dalla fusione

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Il produttore Werner Morandell ha un’esperienza più che trentennale nella vite e negli innesti. L’azienda Lieselehof di Caldaro oggi vanta un grande vigneto-museo della biodiversità, con oltre 300 vitigni del mondo, dai più famosi ai più sconosciuti, come vitigni russi, afgani, libanesi e varietà ottenute da incroci, come il Solaris (da Riesling, Pinot Grigio e Muskat Ottonel) resistente al freddo, o il Bronner, una varietà a bacca bianca autorizzata in Italia dal 2009. L’albero genealogico del Bronner copre ad esempio un periodo di 150 anni, tra il 1828, data di un incrocio tra due varietà lontane parenti, e il 1975, anno di nascita della varietà a bacca bianca. Il produttore Morandell a giugno 2011 ha pubblicato un libro dal titolo inequivocabile, “Le mie viti”, che ha destato l’interesse di molti centri di ricerca internazionali. In collaborazione con l’Istituto di ricerca vitivinicola di Friburgo, Wener Morandell coltiva nella sua azienda 10.000 viti sperimentali che non necessitano di trattamenti. Da dieci anni vengono testate varietà — note e meno note — che si sono dimostrate resistenti in modo naturale agli attacchi fungini, grazie a incroci tra diverse viti nel corso degli anni. Complessivamente sono presenti 310 varietà: 70 italiane, 44 francesi, 50 tedesche, e varietà insolite come il Gouli Mtsvane, un clone georgiano, il Mitschurinski, una varietà russa di uva da tavola, e vitis vinifere pure destinate al vino, come l’austriaco Blaufränkisch, il Muskat Lunel dall’Ungheria, il Fateasca Regala dalla Romania; il Booskop Glorie, un’uva da tavola dell’Olanda, il Kyo-ho dal Giappone, con acini grandi come prugne, anche questa da tavola; e il più noto Pinotage del Sudafrica, una varietà da vino ottenuta da un incrocio all’Università di Stellenbosch nel 1925. L’azienda Lieselhof ha 4 ettari di vigne, più un ettaro di vigna sperimentale. Ogni pianta è accompagnata da una targhetta che riporta il nome scientifico e il Paese di provenienza.

Particolari della cantina artistica di Erste & Neue a Caldaro. Gli affreschi sono di Robert Scherer.

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A metà strada tra Caldaro e Merano c’è la Cantina Provinciale Laimburg, nel territorio di Vadena. Laimburg nacque come cantina di produzione e cantina sperimentale all’interno del Centro di Sperimentazione Agraria e Forestale della provincia di Bolzano. Di proprietà pubblica, questa curiosa realtà vitivinicola è organizzata in modo tale da finanziare la ricerca con i proventi della vendita del vino (circa 180.000 bottiglie l’anno). Nella sede di Vadena sono da visitare le sue spettacolari cantine scavate nelle pareti di porfido della montagna (in foto). Le nuove etichette di Laimburg sono firmate dall’artista altoatesino Robert Bosisio, che gli ha donato i colori e le sfumature dei suoi quadri che ricordano i paesaggi dell’Alto Adige. I vini sono raggruppati in due linee: Vini del Podere e Selezione Maniero, differenti nello stile. I Vini del Podere sono prodotti d’annata monovitigno, vinificati in acciaio i bianchi e solo parzialmente lasciati maturare in grandi botti di rovere i rossi. I vini della Selezione Maniero sono invece cru affinati in grandi botti di rovere o in barrique. >> Link: www.laimburg.bz.it

Il produttore Thomas Unterhofer di Caldaro.

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di due ex cantine sociali, oggi conta su 450 soci e 275 ettari, in buona parte coltivati a Schiava. Produce 1,4 milioni di bottiglie, più una produzione di bottiglie da 1 litro per il mercato locale. In totale 36 diverse etichette tra bianchi e rossi. Sebbene la Schiava rappresenti un terzo del vino anche in casa Erste & Neue si è assistito al fenomeno della crescita dei bianchi, nelle vigne più alte. «Dobbiamo valorizzare la vitivinicoltura di Caldaro e farla conoscere di più — sottolinea l’enologo Gerhard Sanin — soprattutto per il Pinot Bianco e il Sauvignon, altre varietà che assieme alla Schiava trovano condizioni ideali attorno al lago». Un altro spunto di promozione la cooperativa altoatesina l’ha trovato nella creatività dell’artista Robert

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Scherer, che ha affrescato le pareti e le volte della cantina con immagini mitologiche, leggende locali e scene di vita contadina (www.erste-neue.it). A Caldaro ci sono ovviamente anche i piccoli produttori, una delle “voci” del sistema vitivinicolo altoatesino. Con 5.200 ettari di vigne la provincia autonoma di Bolzano vede come protagoniste principali le grandi cooperative, che da sole realizzano i 3/4 della produzione. Il secondo attore locale è rappresentato invece dall’Associazione delle Tenute dell’Alto Adige, che riunisce i produttori privati storici. Terzo attore: la rete delle piccole cantine, spesso nate per iniziativa di viticoltori che hanno cominciato a fare il proprio vino. Tra questi a Caldaro c’è Thomas Unterhofer, ex cantiniere con una vera passione enologica. La sua cantina conta su appena 5 ettari di vigne (3 vinificate in proprio, altre 2 per le coop), coltivate a Chardonnay, Bronner, Sauvignon, Kerner e Schiava. Tra i suoi 7 vini meritano attenzione lo Chardonnay, minerale e con sentori floreali; il Sauvignon, con aromi più erbacei; e il Vernatsch, da uve Schiava, con aromi di ciliegia, fresco e leggero (www.weingut-unterhofer.com).

Georg Morandell, davanti all’ingresso della cantina di famiglia Barentalerhof, a Caldaro. Altro firmatario della “Magna Charta” di Caldaro è il produttore Dominikus Morandell, che insieme al figlio Georg, fa Schiava e altri vini a marchio Barentalerhof. L’azienda nacque negli anni ‘70 e oggi ha 3 ettari di vigne, dalle quali ottiene 30.000 bottiglie. Due le versioni del Lago di Caldaro DOC: la Schiava “base” e la Selezione. Altri vini sono il bianco

Gewurztraminer e il rosso Lagrein. La cantina fa solo vendita diretta e merita di essere visitata anche per l’opera spettacolare e un po’ visionaria che in anni di fatica Dominikus ha realizzato sotto terra: un dedalo di passaggi e cunicoli, il tutto rivestito in pietra, con vecchi strumenti in esposizione e una sala circolare con una tavola rotonda sotto un lucernaio. Il turista

A Merano, la cittadina del Wine Festival, gli appassionati di vino non possono mancare una visita ai Giardini del Castello di Trauttmansdorff, conosciuti anche come “giardini di Sissi”, in ricordo della visita dell’Imperatrice d’Austria Elisabetta d’Asburgo, nel 1870, per accompagnare la figlia in quella che all’epoca era tra le principali stazioni termali e di cura dell’ex Impero Austro-Ungarico, di cui il territorio faceva parte. Nel 2001, con un grande investimento pubblico, l’area attorno al Castello di Trauttmansdorff è stata trasformata in un sorprendente giardino botanico, ricco di 7.000 specie del mondo. Tra colorati fiori estivi, piante autoctone, felci esotiche e cactus riparati in serra durante l’inverno, troviamo una collezione di oltre 100 vitigni del mondo (in foto vitigni comuni dell’Alto Adige), più un pergolato avvolto dai rami delle viti native dell’Alto Adige. E dal 2009 c’è il Tabernacolo, una “camera del tesoro” che custodisce vinaccioli altoatesini di 2.400 anni di età; un seme della vite forse più antica del mondo (il Versoaln); e un replicato d’oro di un vinacciolo ultramillenario della Georgia (7.000 anni fa). Alla “periferia” di Merano possiamo visitare invece il Castello Rametz, una bella realtà vitivinicola con 700 anni di storia. Era il 1314 quando i conti di Tirolo ricevettero dalle vigne di Rametz 27 carri di uva da 500 kg l’uno. Da tre generazioni appartiene alla famiglia Schimd, che l’ha valorizzata come destinazione turistica e gastronomica. Il bel Museo del Vino e le cantine storiche del 1850, tutelate dai Beni Culturali, attraggono oltre 20.000 visitatori l’anno. Tra i vini bianchi e rossi interessanti il Sauvignon Rametz e il Pinot Nero. Tra le bollicine il Monreale Rosè, ottenuto con le uve che Castello Rametz coltiva nelle tenute di proprietà in provincia di Trento. >> Link: www.rametz.com

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A sinistra: Werner Morandell accanto alla sua “vigna dell’assemblaggio”. A destra: la “vite prezzemolo”. del vino degusta qui, in un ambiente scavato a mano (www.dominikus.it). Una cantina che fa invece un interessante lavoro di sperimentazione in vigna è Lieselehof, del produttore Werner Morandell. In collaborazione con l’Istituto di ricerca viticola di Friburgo, in Germania, Morandell gestisce all’interno della sua azienda una vigna da collezione, il cosiddetto “vigneto dell’assemblaggio”. Questo

custodisce oltre 300 varietà del mondo: molte italiane, francesi, austriache, ma anche spagnole, romene (es. Fateasca Regala), sudafricane (Pinotage) e addirittura varietà da tavola giapponesi (Kyo-ho), olandesi (Booskop Glorie) e russe (Mitschurinski). Tra le curiosità botaniche c’è un’insolita “vite prezzemolo”, dalle foglie piccole e caratteristiche, imparentata con lo Chasselas, una varietà bianca

Si chiama Versoaln ed è probabilmente la vite più grande e antica del mondo. Si trova sulle colline di Prissiano, tra Caldaro e Merano, nei giardini del Castello di Katzenzungen. Questa vecchia e spettacolare pianta (in foto) abbraccia con i suoi rami e le sue foglie una pergola di ben 350 metri quadrati. E tutto grazie a un unico “tronco” le cui diramazioni si attorcigliano ai pali di castagno. Il Versoaln se la contende con la ultracentenaria vite di Maribor, in Slovenia, un’altra pianta da campionato mondiale, registrata nel libro dei Guinness per la sua età. Il Versoaln è sotto il controllo dei Giardini del Castello di Trauttmansdorff, di Merano.

di origine franco-svizzera. La ricerca di Werner Morandell è rivolta allo sviluppo per innesto di varietà resistenti in modo naturale alle malattie della vite, come oidio e peronospera. Le sue viti ottenute attraverso innesti e selezioni oggi non necessitano di trattamenti chimici in vigna, un risultato interessante per gli amanti del Bio (www.lieselehof.com). «Spero che si faccia sempre più ricerca» ci dice Morandell. «Queste viti che non necessitano di trattamenti rendono tutto più semplice e si inquina di meno. Sono una moda intelligente che spinge verso un bere più sano e di qualità». Morandell fa anche vini interessanti, come il Pinot Bianco, da uve non trattate (resistenti naturali) e coltivate su una vecchia pergola del 1972, un sistema di coltivazione caratteristico del Trentino Alto Adige. Da uve non trattate c’è anche il Vino del Passo, un bel bianco minerale e profumato, con sentori di sambuco: è ottenuto da 900 viti di Solaris coltivate a 1.300 metri d’altezza al passo della Mendola, con rese di appena 200 kg d’uva. E naturalmente la Schiava, che nonostante l’assalto dei bianchi conserva pur sempre la scettro di regina di Caldaro. Massimiliano Rella Nota A pagina 90 il paesaggio e le vigne intorno al Lago di Caldaro (Bolzano). Fotografie di Massimiliano Rella.

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Lo stile italiano del bere moderno: Bacio della Luna, il Prosecco è servito Dalla selezione delle migliori uve dei piccoli produttori della zona di produzione del Prosecco superiore Conegliano Valdobbiadene DOCG nascono quattro spumanti dal sottile perlage di Riccardo Lagorio

L

a luna ha ispirato poeti, condotto navigatori, stimolato i miraggi delle arti divinatorie. Si è manifestata musa ideale di canzoni e dichiarazioni d’amore. Anche il vino contribuisce a rendere

il nostro satellite qualcosa di più che un ammasso di crateri e pietrame, attraverso il suo selenico fascino. Tra chi lo evoca, un’azienda di Vidor, area del Trevigiano, in zona di produzione Prosecco superiore Conegliano Val-

I vini Bacio della Luna: Prosecco DOC Spumante Brut, Prosecco DOC Spumante Extra Dry, Pinot Spumante Rosé Extra Dry, Prosecco Superiore DOCG Millesimato.

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dobbiadene DOCG, che s’è data nome “Bacio della Luna”. Due spicchi di luna che si riflettono, ecco il suggestivo logo che la contraddistingue. Disposti lungo un anfiteatro sposto a sud dal clima mite e favorevole, i vigneti hanno contribuito a costruire nel tempo uno stile italiano del bere moderno, informale e allegro, apprezzato e amato in tutto il mondo. Alla punta della piramide della qualità secondo i dettami dell’Unione Europea, la DOCG viene conseguita dal territorio nel 2009 e comprende 15 comuni che occupano un’area di 20.000 ettari. Bacio della Luna si inserisce così in un mercato dalle grandi potenzialità e, in generale, in grande crescita, specie in Russia e in Asia poiché, nella famiglia degli spumanti, appartiene ad una fascia di spesa abbordabile. «La creazione di una macro-zona della DOC ed una sottozona con la DOCG, a cui noi apparteniamo, hanno decretato un incremento nel livello d’immagine ed un tangibile salto della qualità» dichiara ADRIANO ANNOVI, responsabile commerciale. «Bacio della Luna si inserisce giocoforza in un mercato internazionale in quanto all’estero si può contare sull’entusiasmo e sulla curiosità nei confronti del vino». La capacità di stoccaggio di circa 45.000 ettolitri e una linea d’imbottigliamento di 8.000 bottiglie l’ora sono biglietti da visita non trascurabili per la missione che ci si prefigge. 6

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milioni le bottiglie di cui si dispone al momento. Almeno l’85% della varietà d’uva caratteristica del Conegliano Valdobbiadene Prosecco è il Glera, vitigno rustico e vigoroso, dai grappoli spargoli, lunghi ed alati. Tuttavia, altri vitigni come il Verdiso (che contrassegna l’acidità e la sapidità del vino), la Perera (che conferisce aroma) e la Bianchetta (dalla maturazione precoce ed utilizzata per ingentilire il vino) possono completarne la struttura caratterizzandolo per freschezza, vitalità ed aromaticità. Le uve di “Bacio della Luna” sono scelte dagli specialisti della società tra le migliori che piccoli produttori locali possono immettere sul mercato. Ne risultano quattro tipologie di vino, destinato quasi esclusivamente al canale HORECA, cosicché in Italia e all’estero ci si affida a validi grossisti, in grado di assicurarne adeguata distribuzione. Il Prosecco DOC Brut, dall’etichetta argento, viene elaborato con uve Glera. Possiede colore giallo chiaro dal continuo e fine perlage, fruttato al naso, alla bocca ricorda note di mela e pesca mature che lo rendono ideale con pesce e frutti di mare. Contraddistinto dall’etichetta oro, il Prosecco DOC Extradry è riconoscibile per il colore più pronunciato e dal profumo intenso. Al palato fonde note fruttate e minerali adatte a paste o riso condite da verdura. Il Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene DOCG Millesimato è

largo in bocca, complesso al naso, dal perlage persistente e sottile. Il suggerimento d’utilizzo è per gli aperitivi, ma anche primi piatti e secondi a base di pesce. Interessante l’abbinamento con i dessert, dove i guru della comunicazione del vino chiamano sempre in causa gli champenoise. Sostiene invece anche carni bianche il Pinot spumante Extradry, dal colore rosa trapunto da riflessi ramati e spuma bianca e cremosa. Dall’abboccato sapido e con bouquet intenso che ricorda i frutti di bosco. Risulta di estrema piacevolezza accostato a formaggi a pasta morbida e mediamente saporiti, come il Taleggio DOP maturo. «Le ricerche di mercato effettuate per il lancio del nostro marchio non lasciano spazio a dubbi: i nostri vini sono assai apprezzati; anche nel Centro e Sud Italia i riscontri sono molto positivi. In questo ci ha aiutato molto anche l’esperienza e la capacità di Martina Chistè, che ha progettato per noi sito, gadget e stand che presenteremo al Vinitaly 2013, banco di prova e momento fondamentale per l’incontro con la clientela estera» conclude con orgoglio Adriano Annovi. Riccardo Lagorio Bacio della Luna Spumanti Srl Via Rovede, 36 31020 Vidor (TV) Telefono: 0423 983111 E-mail: info@baciodellaluna.it Web: www.baciodellaluna.it

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Bollicine griffate Albea Una nuova impresa enologica per la Cantina di Alberobello del cavalier Dante Renzini: il brut “Donna Gislena”, frutto di quattro vitigni autoctoni, va ad aggiungersi ad altri assi dell’azienda come LUI, l’Igt Puglia Rosso Nero di Troia che si è fatto notare a Sanremo insieme all’altro LUI, il prosciutto crudo di Norcia Igp della casa

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ove meno te l’aspetti, nel regno delle bacche rosse, tra vini grintosi e sanguigni dal nome evocativo come Negroamaro, Nero di Troia, Primitivo, ecco spuntare un bianco fruttato, addirittura spumante, dal perlage delicato: impensabile, ma vero. Ad Alberobello di Bari, patria di rossi corposi, la Cantina-Museo Albea, dopo anni di ricerca e lavoro intenso, ha ricavato un raffinato brut da uve autoctone, attraverso la spumantizzazione secondo il metodo classico champenoise: “Donna Gislena Medici”. «Da tempo pensavo di affiancare al nostro ormai famoso fuoriclasse LUI (IGT Puglia Rosso Nero di Troia) un bianco dello stesso livello che fosse espressione del territorio, senza per forza dover copiare gli analoghi vini blasonati di altre zone più vocate», rivela Dante Renzini, titolare della struttura pugliese. «Per questo spumante della Valle d’Itria, abbiamo utilizzato quattro vitigni autoctoni, Verdeca, Bianco d’Alessano, Fiato Minutolo e Maruggio, che conferiscono al brut sentori di frutta gialla matura e fragranza di fiori freschi. Alla finezza delle nostre bollicine doveva corrispondere un nome di pari eleganza per cui ho dato allo spumante quello della mia nonna paterna, persona di carattere e, al tempo stesso, dolce, autorevole ma gentile: esattamente come il Donna Gislena Medici!». All’incredibile risultato, in grado di rimarcare in modo inconsueto l’identità territoriale di questo angolo di Puglia, non si è arrivati per caso, come riferisce l’enologo Claudio

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Sisto, responsabile di Albea: «Il brut nasce da un progetto ben definito. Alla cantina volevamo lavorare sui vitigni a bacca bianca della valle d’Itria per trovare una base spumante che potesse caratterizzare la produzione di questo territorio sotto un aspetto diverso rispetto alle due DOC, Locorotondo e Martina Franca, storicamente riconosciute. La nostra scelta è stata fatta anche grazie agli studi dell’Istituto di Ricerca di Locorotondo che si occupa da tempo della valorizzazione dei vitigni minori». Dopo un primo periodo sperimentale di lavorazione del brut, che ha permesso l’annata 2009, Albea ha l’obiettivo di incrementarne la quantità, ma solo fino a un certo punto: «Oggi volutamente ci limitiamo a 2.000 bottiglie di spumante all’anno» conferma Dante Renzini. «In programma abbiamo l’aumento della produzione del Donna Gislena fino a raggiungere nel 2016 le 6.000 bottiglie annuali, numero che però non intendiamo superare per poter garantire sempre una qualità costante e di pregio». Intanto, LUI, l’IGT Rosso Nero di Puglia, continua la sua strada di successo e, a febbraio, si è presentato ad un appuntamento a cui da anni non manca mai: il vino di Albea ha preso infatti parte al 63° Festival della Canzone Italiana, a Sanremo, abbinato a LUI IGP, il prosciutto crudo di Norcia, riserva “24 mesi”, al pepe rosa, del Salumificio Renzini. In una location prestigiosa, i due “campioni” hanno conquistato un parterre di tutto rispetto, formato da addetti ai lavori, personaggi celebri e pubblico.

Il brut “Donna Gislena” è ottenuto da quattro vitigni autoctoni. A questo mix di uvaggi si devono i sentori di frutta gialla matura e fragranza di fiori freschi. La squisita sapidità delle rosee fette di prosciutto, leggermente aromatiche, e le piacevoli note fruttate e speziate del vino, morbido ed equilibrato, sono state apprezzate da tutti. LUI e LUI si sono dimostrati i migliori testimonial dell’arte di Dante Renzini. >> Link: www.renzini.it www.albeavini.com

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Dalla terra al vino: il legame tra prodotto e territorio Un’impronta digitale che dal terreno passa attraverso la vite, all’uva ed infine al vino. È così che si può immaginare il percorso che intraprendono le sostanze che vanno a caratterizzare in maniera unica e definitiva un vino. È seguendo questo percorso che i ricercatori del Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia in partnership con la Fondazione Edmund Mach – Istituto Agrario di San Michele all’Adige e con il Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari ICQRF stanno studiando e mettendo a punto un modello per la tracciabilità dei prodotti oggetto del loro studio: i Lambruschi Modenesi e il Trento DOC. Tracciabilità dei prodotti alimentari e tutela del consumatore È a questi traguardi che punta il progetto di ricerca denominato “New Analytical Methodologies for Geographical and Varietal Traceability of Oenological Products” avviato nel luglio 2011 con il sostegno e il finanziamento di un consorzio di tredici fondazioni italiane che punta a proporre un modello scientifico in grado di descrivere il legame fra territorio e alimento e a individuare così strumenti per riconoscere i prodotti alimentari in maniera certa e garantita. Si può capire l’origine geografica o la varietà di un alimento dalla sua composizione? È possibile dare certezza ai consumatori che ciò che stanno bevendo o mangiando proviene effettivamente da un certo territorio? Secondo i ricercatori modenesi-trentini è possibile e di questi temi si è discusso lo scorso 13 febbraio durante una giornata aperta al mondo scientifico e agli esperti della produzione agroalimentare dal titolo “Dalla terra al vino: il legame tra prodotto e territorio”. Ospitata presso la Sala Leonelli della Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura a Modena, l’iniziativa è stata l’occasione per conoscere e discutere in merito ai risultati finora ottenuti dalle ricerche ad un anno e mezzo dall’inizio del progetto nonché delle importanti ricadute in termini scientifici e soprattutto commerciali di questi studi. «Gli obiettivi di medio termine del progetto — ha precisato il coordinatore della ricerca prof. Andrea Marchetti — sono stati in larga parte raggiunti e i dati preliminari presentati confermano come lo sviluppo di modelli basati su criteri oggettivi in grado di descrivere il legame territoriale di alimenti sia una possibilità concreta capace di descrivere i processi della filiera produttiva. Capire l’origine geografica o la varietà di un alimento dalla sua composizione è sicuramente possibile. Esistono tecniche analitiche il cui principio di misura consente di determinare un fingerprint caratteristico del prodotto in questione: una sorta di carta d’identità identificativa dell’alimento». La metodologia che puntano a definire i ricercatori è basata sull’analisi chimica (metalli, isotopi radiogenici e stabili e metaboliti organici) e molecolare (analisi del DNA) dei prodotti enologici. «Diverse — ha precisato il prof. Marchetti — sono le tecniche che possono essere utilizzate: la distribuzione isotopica degli elementi leggeri, il profilo degli elementi minerali, il profilo proteico o quello dei polifenoli, la composizione zuccherina, ecc… Tuttavia, tutte queste grandezze sono, chi più e chi meno, influenzate da diverse variabili tra le quali quelle meteo-climatiche che impongono un continuo aggiornamento dei dati caratteristici. Nondimeno, complementare agli isotopi leggeri, il settore di ricerca ad oggi maggiormente innovativo è quello degli isotopi di elementi “pesanti”. La vite, come tutte le piante, assorbe dal terreno le sostanze minerali per il proprio metabolismo. Pertanto, è possibile individuare un’impronta digitale che dal terreno si trasferisce prima alla vite, poi al grappolo e infine al vino. In questo modo la tracciabilità scientifica dell’origine geografica diventa valorizzazione dell’economia reale e del territorio oltre che tutela del consumatore. La conoscenza e la capacità di innovazione sono da sempre il motore strategico per la crescita della società; quindi, occorre saper comunicare su base scientifica il nostro savoir-faire».

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I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: di Laura

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a Sicilia è una terra ricca e meravigliosa che regala splendidi frutti. Non fanno eccezione i vini: tanti sono i vitigni autoctoni, tante sono le can tine che propongono splendide interpretazioni di queste uve di tradizione. La degustazione di questo numero è dedicata al Grillo,

vitigno a bacca bianca presente prevalentemente nella Sicilia occidentale, soprattutto nel marsalese, dove da origine, in concorso con Inzolia e Catarratto, alla sua evoluzione più conosciuta: il Marsala. Assieme alla vocazione al lungo invecchiamento, questo vitigno è stato utilizzato per la produzione di

Grillo Sicilia IGT 2011 Tasca d’Almerita

Kheirè Grillo Sicilia IGT Tenuta Gorghi Tondi 2011

Fileno Grillo Sicilia IGT 2011 Viticultori Associati Canicattì

Una tenuta antica e nobile, come nobile è la famiglia di cui porta il nome, parenti, per la precisione cugini, dei Tasca d’Almerita, che ne curano ora la produzione. Un vino che si presenta brillante nel colore, giallo paglierino con leggerissimi riflessi verdognoli. È al naso che questo bel calice siciliano tira fuori carattere e particolarità: sono copiose e nette le note di frutta esotica, ananas, banana e papaia, corredate da altrettanto finissime note fiorite, in particolare zagara, acacia e fiori bianchi. Ottimo l’equilibrio tra parti morbide e dure, decisa la freschezza e buona la lunga nota sapida. Un vino armonioso, adattissimo ai ricchi piatti di pesce della cucina siciliana, da provare con zuppe di pesce e triglie in umido con couscous.

Kheirè in greco significa “benvenuto”, a ricordo di quei tempi lontani nei quali la Sicilia era parte integrante della Magna Grecia. Un affinamento di quattro mesi sui lieviti in vasche d’acciaio, seguito da un paio di mesi di bottiglia, per questo vibrante calice di sole siciliano. Il colore è pulito, giallo paglierino con leggeri riflessi verdognoli. Ma è all’olfattiva che dona piacevoli note di fiori e frutti, soprattutto acacia e biancospino, scorze d’agrumi e bacche di vaniglia, corredate da fresche tinte salmastre. In bocca è fine, equilibrato, persistente. Uno splendido calice, da servire freddo come si conviene e da abbinare a piatti di pesce, anche strutturati, o a pesci al forno. Ottimo col pesce spada affumicato o sulle tartine imburrate con salmone.

Il caldo sole della Sicilia regala frutti poderosi che, se sapientemente addomesticati, acquistano un’eleganza unica. È il caso di questo bel calice, fulgido nel colore come nei profumi: sono note pulite di frutta, ananas e susine, mele verdi e scorze di agrumi in retrolfattiva, circondate da fiori, soprattutto ginestre. Circolare in bocca, al palato entra morbido, rilevando subito una bella sapidità unita ad una chiara vena fresca. Un vino intenso, molto elegante, intrigante e piacevole. Immediata la scelta del pesce come compagno ideale, delle grigliate a bordo spiaggia, degli spaghetti con le vongole o con i ricci, assaporati a bordo di una barca a vela, nell’azzurro mare siciliano.

Tasca d’Almerita-Tenuta Sallier de La Tour – Contrada Pernice 90043 Camporeale (PA) Tel: 091 6459711 hospitality@tascadalmerita.it

Tenuta Gorghi Tondi Contrada San Nicola 91026 Mazara del Vallo (TP) Telefono: 0923 719741 info@gorghitondi.com

C.S. Viticultori Associati Soc. Coop Contrada Aquilata 92024 Canicattì (AG) Telefono: 0922 829371 info@viticultoriassociati.it

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Grillo Sicilia Franchini

vini liquorosi grazie alla sua peculiarità di raggiungere un’elevata gradazione alcolica. Ma il Grillo non è solo Marsala. Dà infatti origine a vini di grande carattere, con un buon potenziale di longevità. A seconda delle differenti zone di produzione ogni vino ottenuto da uve Grillo presenta caratteristiche

organolettiche diverse, pur mantenendo tratti costanti. Le denominazioni in cui troviamo il vitigno Grillo sono: Alcamo, Contea di Sclafani, Contessa Entellina, Delia Nivolelli, Erice, Mamertino di Milazzo, Marsala, Menfi, Monreale, Salaparuta, Sambuca di Sicilia, S. Margherita di Belice, oltre che, ovviamente, l’Igt Sicilia.

Tenuta Grillo Sicilia IGT 2011 Tenute Rapitalà

Mozia Grillo Sicilia IGT 2011 Tasca d’Almerita

Opera al Bianco Grillo Sicilia IGT 2011 12 Chiavi

Solo quando si ha la completa padronanza dei propri mezzi si possono fare scelte rischiose. È il caso di questo vino, le cui uve sono state vendemmiate con un certo anticipo, intorno alla seconda metà del mese di agosto. Il risultato è eccellente e allo stesso tempo particolare. Un vino dal colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, che regala tinte fresche di piccoli fiori bianchi e scorza di cedro. In bocca si rivela equilibrato ed armonico, senza indulgere in stucchevolezza. Una necessaria e presente vena acida che si accosta con stile alla morbidezza rendono questo calice persistente e intenso. È evidente che si accosta con grande facilità ai piatti di pesce; primi e secondi, ma anche a piatti a base di carne bianca. Ottimo con una ricca e unta frittura di pesce.

Dalla Tenuta Whitaker, piccola isola museo sita nello stagnone di Marsala, arriva questa splendida espressione di uve Grillo. Sono intense e di grande fascino le note olfattive, nette di frutta bianca, ginestre e salsedine, di pepe e pietre focaie, di sole e di mare. Un calice assolutamente armonico, grazie ad una bella vena sapida, corredata da una freschezza intensa, che vanno a bilanciare alcolicità e morbidezza. Lungo e intenso, da servire alla giusta temperatura, è un vino di grande e facile bevibilità, ottimo in abbinamento con i piatti della tradizione siciliana, soprattutto a base di pesce. Affiancatelo ai frutti di mare, ai tranci di pesce servito crudo, agli involtini di pesce spada.

Un’azienda di piccole dimensioni ma di grandi intenzioni a giudicare dai vini che propone: puliti, netti, coerenti. Non fa eccezione questo calice di Grillo, cristallina la nota giallognola. La degustazione olfattiva è di grande tipicità: emergono nette e fini le note di frutta esotica, ananas e kiwi, così come di frutta ancora leggermente acerba, mele e pere, scorze di agrumi. A contorno leggera la nota floreale, con una tinta minerale in chiusura. Al palato è circolare, ancora coerente, suadente e armonico. Buona la vena fresca, sapido quanto serve e quanto in linea coi terreni, ricchi. Armonia in questo calice, ottimo compagno delle cene a base di pesce. Ovvio l’abbinamento con la gastronomia siciliana, non sfigura su piatti più settentrionali, come le moeche fritte. Indimenticabile abbinamento, vincente.

Tenute Rapitalà Spa Contrada Rapitalà 90043 Camporeale (PA) Telefono: 0924 37233 rapitala@giv.it

Tasca d’Almerita-Tenuta Whitaker Isola di Mozia 91025 Marsala (TP) Telefono: 091 645 9711 hospitality@tascadalmerita.it

12 Chiavi Sas Via Marsala 61 91027 Paceco (TP) Telefono: 0923 883927 info@12chiavi.it

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Birra

Anche per la birra ritorno all’artigianalità di Riccardo Lagorio

È

facile sostenere che il vino risvegli, nel nostro Paese, una seduzione maggiore rispetto alla birra ed alle altre bevande alcoliche: numerose le guide ai vini, scarse quelle alle birra, malgrado negli ultimi anni le quotazioni di questa siano in deciso rialzo. Anche i testi latini non danno grande credito alla birra, tanto che TACITO nel “De origine et situ Germanorum” non esita a definire la bevanda ottenuta dalla fermentazione di orzo o frumento simile ad un vino andato a male (corruptum).

Sorprendentemente le vestigia della più antica fabbrica di birra giunta sino al XXI secolo appartengono proprio ad un edificio romano, costruito nei pressi di Castra Regina, l’attuale Ratisbona, sulle rive del Danubio, e riportato alla luce alla fine degli anni Settanta. Nei Paesi del Nord e Centro Europa la produzione di birra ha avuto nei secoli anche un risvolto sanitario: in tempi remoti, l’acqua utilizzata doveva essere bollita e quindi sterilizzata, per ovviare ai frequenti problemi di infezione che da questa provenivano.

Uno dei maggiori esperti in campo internazionale sulla birra è stato proprio un giornalista britannico, MICHAEL JACKSON, che tratteggiò una possibile classificazione della birra basata sulle località d’origine ed in relazione alle abitudini locali. Anche se quella di Jackson, contenuta nella sua “Guida mondiale alla birra”, “The World Guide To Beer”, edita nel 1977, non è l’unica modalità per catalogare le birre, rimane tuttavia una delle più autorevoli e gode di grande credito soprattutto nel Nord America.

Belfast Blonde, Molly’s Stout, Headless Dog, tre delle birre prodotte dalla “Hilden Brewery” di Belfast. Il microbirrificio è gestito dalla famiglia Scullion.

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A sinistra: Owe Scullion. Il microbirrificio della famiglia Scullion ha il merito di avere riportato in Irlanda del Nord la tradizione della birra artigianale. A destra: la birra alle castagne del Birrificio bolognese Beltaine. Gran Bretagna, Irlanda e Germania indicano con il termine ale le birre ad alta fermentazione, cioè quelle che impiegano durante il processo produttivo lieviti che prediligono elevate temperature e che salgono in superficie del tino di fermentazione. Se ne ottiene una birra dal gusto dolciastro, corpo pieno e fruttato e vi si aggiungono luppolo o spezie per conferire l’opportuno bilanciamento di aroma. Brown ale e old ale sono due tipologie di birra ad alta fermentazione. La prima viene prodotta con malto marrone o scuro, la old ale viene maturata di solito un paio d’anni prima del consumo. Le lager, al contrario, sono ottenute con lieviti che necessitano di più basse temperature e durante il processo si depositano sul fondo del fermentatore. Sono molto diffuse nel sud della Germania, ma in verità sono le più consumate al mondo. Esistono infine le birre ottenute da lieviti a fermentazione spontanea, dette lambic, che talvolta necessitano di correzioni per abbassarne il grado di acidità. Vengono prodotte quasi esclusivamente nel Belgio meridionale. A Lisburn, pochi chilometri a sud di Belfast, dall’inizio degli anni Ottanta è attivo l’Hilden Brewery, il microbirrificio della famiglia Scullion

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che ha il merito di avere riportato in Irlanda del Nord la tradizione della birra artigianale. Una porzione dell’immobile, utilizzato per la produzione e come pub, faceva parte della più importante fabbrica di tessuti di lino al mondo, dismesso qualche decennio prima, la cui proprietaria andò in sposa a Thomas Andrews, l’architetto navale progettista del Titanic. La Hilden Brewery partecipa attivamente all’associazione indipendente di volontariato del Regno Unito CAMRA, Campaign for Real Ale, finalizzata alla tutela della birra tradizionale. Manco a dirlo, la punta di diamante degli Scullion, Seamys, Ann ed il figlio Owe, è la Titanic Quarter Beer, una pale ale, ovvero una birra ambrata ed amarognola. Molto gettonata dal mercato locale la Molly Malone, che si può definire come una porter rosso scuro, dal gusto complesso che unisce l’amaro del luppolo ed il gusto tostato del caffè e del cacao. La porter è una birra scura, in voga nel Settecento nel Regno Unito e in Irlanda, dove ha continuato ad essere prodotta dai grandi birrifici industriali, specie sotto il nome di stout come sinonimo di birra scura. La Hilden Halt, da 6,1% alla spina, è una birra premium rossa dal gusto

dolce di malto che prende il nome dalla fermata del treno che serviva la fabbrica di lino. Il termine premium beer fu usato in origine, in maniera indifferenziata, per tutte le birre che avessero un grado alcolico superiore a 4,2% ed oggi è un termine assai abusato che in realtà non definisce una precisa qualità di birra. Al fine di migliorare la conoscenza della birra artigianale irlandese e del Regno Unito, gli Scullion organizzano in agosto l’Hilden Beer Festival, che si tiene ospitando oltre 30 microbirrifici provenienti anche da Oltremanica. Un bel modo per garantire la crescita a questo settore che stava scomparendo sotto il peso delle birre industriali. Anche in Italia il processo di inversione verso l’artigianalità ha fatto passi da gigante negli ultimi 15 anni. All’inizio del Novecento le fabbriche di birra erano oltre 150, poi vi fu la quasi totale scomparsa e oggi si riaffermano prepotentemente i microbirrifici, poco meno di 400. Come la Birra del Borgo di Borgorose, nel Reatino. Aperta dal 2005 si è conquistata un’apprezzabile quota di mercato nelle birrerie della capitale, tra cui l’Open Baladin ed il Bir e Fud di Trastevere, ma anche negli Stati Uniti grazie all’estro di Lorenzo Di Vincenzo che, abban-

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donando la ricerca accademica si è lanciato verso la passione di sempre: fare la birra. Nascono così tra le altre la Reale Extra, una Indian Pale Ale, cioè una birra piuttosto alcolica e luppolata sullo stile delle birre nate nell’Ottocento nel Regno Unito e destinate all’esportazione in India, e la Duchessa, una Saison dal dorato carico elaborata con il farro locale; Saison perché tradizionalmente la birra viene fermentata in autunno o inverno. Con il termine Saison vengono definite quelle birre dall’aroma pepato, che evoca il profumo del vino Bordeaux, ed una gasatura fine e compatta. Un altro microbirrificio, la Beltaine di Granaglione, sull’Appennino bolognese, ha saputo valorizzare un altro prodotto del territorio: la castagna. I due terzi delle birre prodotte nel microbirrificio nascono proprio dalla collaborazione in atto con l’Associazione castanicoltori e l’Università degli Studi di Bologna, utilizzando anche castagne affumicate mediante la lenta combustione di legni di castagni nei metati: creatività unita alle potenzialità di materie prime che solo l’Italia offre. Come la American rye del Birrificio Leonessa di Botticino, nel Bresciano. Al malto ed al luppolo vi si trova aggiunta per la produzione una discreta percentuale di segale, rye in inglese, coltivata in Valcamonica. Il risultato è un prodotto secco e beverino, con evidenti note speziate e terrose del cereale. Per non parlare della Filo di fumo di Pasturana, nata dalla geniale intuizione di Sandro Merlano, o della

Birra bionda quasi ambrata, la Filo di Fumo Pasturama, come dice il nome stesso, è una birra affumicata. Torbata della Almond ‘22 di Spoltore (PE), entrambe ispirate ai barley wine inglesi, l’una ambrata, l’altra dal colore rame scuro. La Torbata è corposa, con schiuma compatta e persistente; subito la bocca colpita dall’affumicato, in seguito sopraffatta da sentori di frutta secca e cuoio. Prende così sempre più corpo l’idea che anche nella birra, se si

vuole un prodotto non canonico, si debba viaggiare in Italia. Con i pregi e i difetti di cui il Paese soffre, come i costi strutturali e l’accisa, che non fanno differenza se a produrre è una multinazionale o un birrificio da poche migliaia di bottiglie all’anno. L’Italia si distingue anche per questo… Riccardo Lagorio

Hilden Brewery Lisburn, Contea di Antrim Irlanda del Nord, Regno Unito Telefono: (0044) 028 92660800 Web: www.hildenbrewery.co.uk

Birrificio Beltaine Via Guglielmo Marconi 4 40030 Granaglione (BO) Telefono: 051 6551044 Web: www.beltaine.it

Birra Pasturana Via Poggio 4 15060 Pasturana (AL) Telefono: 014358541 Web: www.birrapasturana.it

Birra del Borgo Srl Loc. Piana di Spedino 02021 Borgorose (RI) Telefono e fax: 0746 31287 Web: http://birradelborgo.it

Birrificio Leonessa Via Giuseppe Garibaldi 21 25082 Botticino (BS) Telefono: 338 9637768 Web: www.birrificioleonessa.it

Almond ‘22 Via Dietro le Mura 38 Spoltore (PE) Telefono: 392 3330333 Web: www.birraalmond.com

Birrifici artigianali

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Aceto

Mariangela Grosoli nuovo presidente del Consorzio Aceto Balsamico di Modena Igp Nomina in linea con la precedente gestione. Obiettivo principale: unificare le varie realtà produttive in difesa dell’oro nero

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assaggio di testimone alla guida del Consorzio Aceto Balsamico di Modena: lo scorso 27 febbraio, durante l’Assemblea unanime che ha anche approvato il bilancio del passato esercizio, la base consortile ha rinnovato il Consiglio di Amministrazione e ha nominato nuovo presidente del Consorzio Mariangela Grosoli, vicepresidente uscente che succede a Cesare Mazzetti, il quale lascia l’incarico dopo due mandati e rimane vicepresidente insieme a Angelo Giacobazzi. La nomina di Mariangela Grosoli, titolare di Aceto Balsamico Del Duca — dove produce sia Aceto Balsamico IGP che il Tradizionale di Modena DOP — si presenta come soluzione di continuità con la precedente gestione, che durante il suo doppio mandato ha condotto il Consorzio e il prodotto rappresentato verso importanti traguardi, primo fra tutti l’ottenimento dell’IGP nel 2009. «Obiettivo principale del mandato — ha commentato la neopresidente — sarà il completamento del percorso di unificazione delle varie anime produttive già avviato dal Consiglio uscente. Ritengo infatti che non sia più procrastinabile, per il bene del prodotto, la costituzione del Consorzio di Tutela: i dati relativi alle contraffazioni e imitazioni dell’Aceto Balsamico di Modena sono ogni anno più allarmanti. Come ci insegna l’esperienza dei maggiori e più antichi Consorzi (come ad esempio quello del Parmigiano Reggiano), solo un Consorzio fortemente rappresenta-

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tivo delle diverse realtà produttive può sperare di attuare efficacemente le azioni di difesa, promozione e miglioramento della qualità. Credo sia importante — ha aggiunto — che noi produttori acquisiamo la consapevolezza che non solo abbiamo l’onere di non disperdere il patrimonio produttivo che altri imprenditori modenesi prima di noi hanno saputo creare, ma anche di valorizzarlo e farlo progredire nel rispetto della tradizione e con uno sguardo attento alle nuove richieste dei mercati». Il precedente Consiglio ha sviluppato importanti progetti in tema di tutela e di valorizzazione del prodotto in un periodo in cui sono cresciuti i volumi sia sul mercato interno che su quello estero attestandosi nel 2012 a quota 90 milioni di litri prodotti e 72 milioni di litri confezionati per un valore di circa 300 milioni di euro — di cui il 75% derivante dall’export in oltre 100 Paesi. Inoltre, per due anni consecutivi l’Aceto Balsamico di Modena IGP si è anche aggiudicato l’Oscar Qualivita tra le eccellenze gastronomiche made in Italy. Risultati ottenuti in un momento in cui l’economia nazionale e internazionale si è dimostrata particolarmente fragile e che hanno messo in luce quanto vitale e pieno di risorse sia invece questo comparto, messo a dura prova nel corso del 2012 da gravi eventi sismici che hanno provocato ingenti dispersioni di prodotto. Una sorprendente vitalità e capacità di reazione, dimostrata anche con l’ampio consenso e la partecipazione — a pochi

Mariangela Grosoli, nuovo presidente del Consorzio Aceto Balsamico di Modena Igp. mesi di distanza dal terremoto — a un altro dei tanti progetti voluti di promozione voluti dal CdA uscente, ovvero la ripartenza, dopo anni di stop, della manifestazione Acetaie Aperte, evento aperto al pubblico che ha condotto migliaia di visitatori in numerose acetaie del territorio, alla scoperta dei segreti dell’oro nero di Modena. Il cambio alla guida del Consorzio Aceto Balsamico di Modena cade in un momento molto delicato per il prodotto: l’unificazione in un unico organismo di tutti i produttori per dare maggior slancio alla tutela di un prodotto che ha un ruolo determinante nell’economia modenese.

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Arti e mestieri

L’immagine femminile nella comunicazione Riflessioni sul ruolo e l’evoluzione della donna attraverso le oltre 100 cartoline originali della collezione di Attilio Montorsi, firmate anche da grandi artisti del Novecento, nella mostra “L’immagine femminile nell’arte della comunicazione del XX secolo” di Manrico Murzi

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Vignola, in provincia di Modena, lo scorso 2 marzo, nel Salone del Circolo Paradisi, si è inaugurata la mostra di cartoline pubblicitarie “L’immagine femminile nell’arte della comunicazione del XX secolo”. Organizzata dal Gruppo di documentazione vignolese Mezaluna Mario Menabue (associazione di volontariato che si occupa della valorizzazione e divulgazione di documentazioni di storia locale, operando ricerche anche in collezioni pubbliche e private nello stesso territorio di Vignola), è stata presentata dal presidente della Provincia Emilio Sabattini, dal sindaco della stessa cittadina Daria Denti e dal sottoscritto. Ha introdotto la dott.ssa Lucia Miodini dell’Università di Parma, illustrando la stessa esposizione con note critiche relative al periodo storico e allo spirito del materiale esposto. È il secondo anno che, in occasione della festa della donna, l’Associazione Mezaluna pesca dal ricchissimo archivio delle Attilio Montorsi Collections. Di certo l’imprenditore vignolese si rivela dotato di un innato fiuto per le cose belle. L’anno scorso, dal suo prezioso fondo di conoscenza era uscito un gruppo di cartoline relative alla figura delle donne al lavoro. Attilio Montorsi, ancora generoso, ha concesso ora la selezione di cartoline, segno della presenza femminile nella pubblicità in un periodo storico particolare, dalla fine dell’Ottocento

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Cartolina che reclamizza le Feste di Primavera di Bologna (autore Franzoni R.). Premiata Salumeria Italiana, 2/13


L’immagine scelta come icona della mostra e copertina del catalogo. ai primi del Novecento, quando i manifesti erano spesso opere d’arte, molti in stile Liberty. La figura in copertina, felicemente scelta per essere icona della mostra, è sintesi dei vari significati che ci nutrono: colori di un’Italia operosa e inventiva, contorni nitidi dei prodotti, decoro artistico, crescita dal nulla verso l’alto in uno slancio vitale e sereno, fino al fiocco che lega e tiene insieme, fino al grande cappello, nicchia ad uno sguardo innocente e ad un sorriso celestiale, suggestione di vita dolce e sana, che riesce a nascondere la fatica e la durezza del vivere: il mondo del lavoro e i suoi risultati comunicati al consumatore con gentilezza ed efficacia. Fare annunci o propagandare un prodotto, frutto di ricerca e operosità nei laboratori o sui campi, è attività antica: tra le rovine dell’egizia Tebe, è stato ritrovato un avviso, vecchio di tremila anni, diffuso da un padrone che avrebbe ricompensato con una moneta tutta d’oro la restituzione di un suo schiavo fuggitivo di nome Shem. In generale, nei tempi andati, vi erano soprattutto gli urlatori per piazze e strade a proporre le merci, includendo anche offerte di schiavi, capi di bestiame e persino novità importate. L’impiego di urlatori continua nel Medioevo e oltre, anche dopo la scoperta della stampa (GUTENBERG, 1450 circa), che rese possibile la pubblicità con annunci

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Oltre 100 le cartoline originali della collezione di Attilio Montorsi in cui la figura femminile è utilizzata per promuovere prodotti ma anche eventi e turismo. stampati e diffusi. Ma è alla fine del secolo XIX che la produzione grafica e l’arte decorativa comprese tutte le arti, architettura inclusa. Nel XX secolo, poi, la pubblicità è divenuta, prima negli Stati Uniti d’America e subito dopo un po’ ovunque, un fattore vitale nel commercio: in area limitata, ricordate gli uomini sandwich? Il manifesto, disegnato in modo che sia capito al primo sguardo, lancia una comunicazione concisa: sfida per l’autore, che spesso dà esiti di notevole interesse estetico. Alcuni pittori più in vista degli anni recenti

si sono dedicati alla composizione di poster, facendo pubblicità a fiere, mercati, libri di nuova stampa, liquori, prodotti della terra… Trasmettere informazioni su un prodotto vuol dire attrarre l’attenzione, stupire lo spettatore al fine di persuaderlo, creare una strategia di convincimento. Propagandare qualcosa per venderlo esige un tramite gentile o accattivante, e allora niente di meglio che provocare con l’immagine di una donna l’emozione durevole per il tempo necessario a dire qualcosa di un prodotto in modo che nasca subito l’esigenza di possederlo. Il tutto con rispetto della dignità della

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Manrico Murzi, l’imprenditore Attilio Montorsi, il presidente della Provincia di Modena Emilio Sabattini e il sindaco di Vignola Daria Denti all’inaugurazione della mostra. donna, almeno nel periodo al quale le cartoline di questa mostra appartengono. Non vi è ancora l’uso della femmina-oggetto nel mercato, né si proponeva un oggetto provocando il desiderio con segni e immagini volgari. Il sessismo non aveva ancora preso il sopravvento. Osservando bene la raccolta, uno si rallegra per la mancanza dell’abuso del corpo femminile, tanto che il linguaggio del disegno e del colore è riguardoso. Era il tempo in cui il messaggio trasmesso non era il prodotto di studi specialistici o di scuole di psicologia che si occupano di indovinare i mezzi migliori di persuasione. Bravi disegnatori usavano il colore come linguaggio, mentre le pose o gli abiti lasciavano che il prodotto dominasse con la tentazione espressa entro limiti decenti. Vi sono cartoline dove i materiali pubblicizzati, auto o stoffe, sono al servizio delle belle dame; talora l’approccio è “monumentale”, quasi si trattasse di patriottismo, anche se quel che interessava era il ricavo. La figura ha sì un qualche inizio di miscela della bellezza-eleganza con qualsiasi prodotto a portata di mano. Incontriamo poi la raffigurazione della giovinezza, della primavera, segno che il pubblico si serve dell’arte per i suoi bisogni. Potente il ritratto del Mutuo Soccorso che si fa natural-

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mente artistico, con passaggi indolori. Continuando, compare un modo filosofico per un’offerta generazionale: il vecchio dietro il quale compare la giovinezza, pronta a proseguire l’opera. E ancora l’uso della cultura, la dignità floreale per esemplificare e illustrare un tipo di artigianato specializzato. Così vediamo la bellezza semplificata con cenni di poesia conosciuta e la pubblicità si fa pedagogica e istruttiva. Esaltazione del lavoro, altrove, garanzia data dall’essere italiano: un concetto dell’Italia dell’epoca. Si incontra anche un drammatico approccio ai nuovissimi tessuti prodotti con materiale nuovo e moderno, mentre altrove si celebra la soddisfazione tratta dalle stoffe tradizionali in un naturalistico modello della natura. Ed è pungente la figura di una giovane invalida che risorge, si rialza perché rassicurata dall’aiuto di un istituto di assicurazione. Poi la rappresentazione sognata di un torrente di denaro sgorgante dal lavoro serrato nelle fabbriche e nei campi: industria e agricoltura si presentano come base per un avvenire prospero e sicuro e il fantasma della bellezza gentile ne dà l’annuncio. Evocazione lirica, quando una sorridente e fiduciosa bellezza si mette al servizio dell’agricoltura, pubblicizzando il rimedio contro la peronospora.

Purtroppo alcune cartoline, pur nella loro preziosa espressione, ci ricordano anche il fermento di esaltazione popolare nel periodo nefasto del fascismo: vittoria sicura nelle imprese belliche, futuro glorioso delle iniziative sociali ed economiche. Nella cartolina pubblicitaria dell’hotel Portofino Kulm incantano le figure idealizzate delle donne, proprio come fanno il mare, gli ulivi e le coste del golfo. Volti gentili, corpi delicati, suscitano sensazioni di dolce pacatezza, intanto che si stagliano e fondono nel paesaggio che le circonda, raggiungendo così, spesso, l’apice del lirismo espressivo. Notevoli le cartoline che reclamizzano le esposizioni dedicate all’arte e alla scienza, al giardinaggio e alla cura dell’orto, agli animali domestici e a quelli di cortile, all’industria e all’arte della ricezione, ai concerti e alle lotterie: con una raffigurazione spesso euforica ma sempre ispirata. Senza eccitare emozioni di bassa natura, il prodotto diventa mito e vince la resistenza dell’acquirente. Si fanno suonare le corde dell’emozione, e di certo il maschio è sensibile alle curve e alle grazie delle femmine, pudicamente esposte. È il razionale che sommuove l’irrazionale. Le immagini di questa mostra provengono da un mondo scomparso, che apprezzava bellezza e rigore. C’è da augurarsi che i grafici e gli specialisti, produttori di spot pubblicitari su media, giornali, riviste e cartelloni che dominano il paesaggio stradale urbano ed extraurbano, abbiano visitato questa mostra interessante e raffinata, traendo l’insegnamento a moderare l’irritante insistenza ai continui richiami sessuali che umiliano la dignità della donna e sviliscono l’uomo. La mostra è soprattutto un richiamo al buonsenso e al buongusto, ad una rappresentazione non offensiva dell’immagine femminile, che riesce ugualmente a trasmettere il messaggio e a favorire l’acquisto di un prodotto. Se la cultura si occupa di valori, mentalità e priorità, essa può essere più potente ed efficace della politica. Il riscatto sarà solo un fatto culturale. Manrico Murzi

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Légami! Nella provincia tra Verona e Vicenza, terra di sopresse e altri salumi, un maestro salumiere ci mostra l’arte per ottenere una perfetta legatura che metta al riparo i prosciutti disossati dall’ossidazione di Raffaele Bertolini

L’

Italia, lo sappiamo, è il paese delle arti e dei mestieri. L’ingegno italico ha accompagnato le alterne vicende della nostra storia, è stato ed è volano di insperati successi. Anche nelle piccole cose, nel fare quotidiano, a volte un input di ingegno può influenzare positivamente il risultato

finale, disvelando nuove opportunità. Quello che vedrete è il risultato dell’incontro di una tecnica e di una necessità, vale a dire una tecnica di legatura originaria dell’ambiente della pelletteria applicata al settore della gastronomia, in particolare della salumeria. Ci troviamo in provincia di Verona, sul limite orientale del suo

territorio, a ridosso della provincia di Vicenza. Terra di sopresse, ma anche di prosciutti. Si sa che il miglior amico del prosciutto è l’aria, che giova alla sua stagionatura e al formarsi della sua individualità; ma, contemporaneamente, la stessa aria ne diventa nemica qualora venga disossato. La perizia di ogni salumiere sta anche

Il prosciutto disossato manualmente nella foto conserva nel gambuccio ancora parte della tibia, evitandole classiche infiltrazioni d’aria.

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1) L’eliminazione delle parti meno nobili e ossidate. 2/3) Riutilizzando le parti di magro rimaste dall’operazione di disosso, si restituisce di nuovo corpo alla coscia. 4/5) La legatura viene effettuata con lesina e spago per alimenti, forando il prosciutto da parte a parte. Si tratta di una tecnica adottata in pelletteria e applicata al settore della salumeria. nel mantenere il prodotto disossato quanto più al riparo dall’ossidazione. Per questo si ricorre alla legatura dello stesso, per chiudere la carne su se stessa, in modo da creare una barriera naturale contro l’agente ossidante. Rispetto ad una legatura classica,

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esterna, aderente alla cotenna e alla parte sugnata del crudo, la particolarità del sistema che presentiamo oggi sta nel fatto che la legatura è interna alla carne e chiude la cavità creatasi dopo il disosso (anch’esso manuale) in modo pressoché perfetto, evitan-

do infiltrazioni d’aria. Unico neo è la foratura del prosciutto da parte a parte, di cui tuttavia si possono evitare gli effetti negativi con apposita stuccatura. I materiali utilizzati sono uno spago per alimenti e un ago da calzolaio (lesina).

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1/2/3) Con questo tipo di legatura, immediatamente successiva al disosso, la carica aromatica del prodotto viene salvaguardata il più possibile. Segue la stuccatura del prosciutto. Al momento del taglio con affettatrice la fetta risulta composta, quasi priva di fessurazioni. Nelle immagini a corredo dell’articolo vediamo il signor Arturo operare su un prosciutto disossato manualmente che conserva nel gambuccio ancora parte della tibia. Questo particolare permette di evitare le classiche infiltrazioni d’aria nella zona del gambuccio e, affettato il prosciutto fino a questa parte, di riuscire a maneggiarlo con maggiore stabilità. Altra caratteristica peculiare è la possibilità di sfilare, quando si affetta il prosciutto a macchina, solamente l’arco di spago corrispondente alla parte di taglio interessata, senza incidere sulla tenuta di tutta la legatura.

Il sistema è composto da elementi tra di loro correlati, ma ognuno di loro è indipendente. Proseguendo, osserviamo come l’operatore pulisca il prosciutto dalle parti meno nobili e ossidate e come vengano riutilizzate le parti di magro residuali dell’operazione di disosso, mondate e incorporate nella cavità, dando di nuovo corpo alla coscia. Tutta l’operazione, compreso il disosso, viene effettuata nell’arco di una quindicina di minuti. Nel sistema tradizionale di legatura, quella esterna per intenderci, solitamente si lascia riposare il

“Mentre la legatura classica è esterna, aderente alla cotenna, questa legatura è interna alla carne e chiude perfettamente la cavità creatasi dopo il disosso, evitando infiltrazioni d’aria” Premiata Salumeria Italiana, 2/13

prosciutto in cella per 24 ore dopo il disosso, per permettere alla carne di rassodarsi, agevolando la successiva legatura; in questo caso, invece, la legatura è immediatamente successiva al disosso, non necessitando nessun rassodamento. La carica aromatica del prodotto viene così salvaguardata il più possibile. Al momento del taglio con affettatrice la fetta risulta composta, quasi priva di fessurazioni. L’unica accortezza richiesta da questa tecnica è l’asportazione dello spago al momento opportuno; togliendolo prima si rischia di perdere la compattezza della fetta, togliendolo dopo si rischia di affettare anche lo spago. Raffaele Bertolini Nota Si ringrazia per la cortesia la ditta “La Casara” di Roncolato Giovanni di Verona.

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Storia e cultura

Invasione del mangiar crudo: nuova cultura o incultura? Carne ma anche pesce, vegetali e latte: il trend dell’alimento crudo è oggi sempre più diffuso di Giovanni Ballarini

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entre alcuni antropologi e storici dell’alimentazione pensano che l’evoluzione degli ominidi e la nascita della nostra specie sia stata, se non dovuta, almeno aiutata dalla cottura degli alimenti, oggi assistiamo al diffondersi dall’abitudine di mangiare crudo o, per lo meno, poco cotto. Un’abitudine che è giustificata con una voglia di tornare alla “natura”, o, quantomeno, ad una natura che viene idealizzata e in buona parte precede la nostra cultura (quindi una sorta di

“incultura”). Tutto questo riguarda ogni tipo di alimento, dai vegetali alle carni al pesce e, non da ultimo, anche il latte, che è richiesto “crudo”. A ben guardare, la cottura degli alimenti è molto antica: non altrimenti si spiegherebbe il forte piacere che suscita l’odore del pane che esce dal forno o della carne arrostita o grigliata. Attraverso la cottura siamo stati capaci di rendere commestibili alimenti di difficile digestione, come i grani di frumento o di altri cereali, che sono diventati nutrimento solo

cotti, anche dopo altre manipolazioni. Non si dimentichi che in un antico racconto, quello di Omero, sono considerati uomini solo i “mangiatori di pane”! Troppo spesso, inoltre, non si ricorda che una delle nuove epidemie, se non creata certamente diffusa dalla nostra società, e cioè la celiachia, ha tra le sue cause un’insufficiente cottura di farine ottenute da cereali ricchi di gliadina, una particolare proteina tossica e allergizzante, in parte inattivata dalla fermentazione lattica e, soprattutto, da lunghe e

Tartare di manzo al tartufo (foto: http://ilpreboggion.blogspot.it).

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intense cotture del pane tradizionale, assenti, ad esempio, nella pasta al dente, quasi cruda. In particolare per le carni, la cottura inattiva gran parte dei pericoli di trasmissione di infezioni, parassiti e malattie. Se una loro esatta identificazione è indubbiamente recente, non si può negare che anche in passato i nostri antenati non si fossero accorti di alcuni rischi del “mangiar crudo”. La cottura degli alimenti ha però altri “vantaggi”, tanto evidenti quanto spesso dimenticati o per lo meno sottovalutati. Con la cottura, ad esempio, si possono dare agli alimenti aromi e sapori nuovi, come si fa mescolando carni e vegetali, ed è con la cottura che nasce la cucina, un’attività tipica dell’uomo e che la nostra specie ha portato ai più alti livelli. Una delle prime ricette di cottura elaborata dei cibi è quella seguita ventimila e più anni fa dai nostri antenati, ancora raccoglitori e cacciatori, che percorrevano le vaste pianure dell’odierna Asia centrale. Una volta catturato un animale di piccola o media taglia, come una pecora, esso veniva scuoiato e nella pelle, trasformata in un sacco, venivano messi visceri e muscoli, ridotti in pezzi, con l’aggiunta di erbe aromatiche. Su una fossa riempita di sassi veniva acceso un fuoco, mantenuto vivo fin quando le pietre fossero divenute roventi. A questo punto vi si seppelliva il sacco con il suo contenuto. Dopo diverse ore il cibo era pronto per essere mangiato. A ben guardare si trattava di una cottura in ambiente chiuso e privo di ossigeno, prolungata per molto tempo a temperatura limitata, proprio come è sempre più di moda oggi. Con pietre roventi immerse in un sacco di pelle contenente acqua, pezzi di carne e vegetali, si ottennero anche i primi brodi della storia umana. In questo modo nacque la cucina, che si sviluppò quando i nostri antenati da migratori divennero stanziali e iniziarono a costruire tegami, che pesanti e spesso fragili mal si confacevano alla precedente vita di continui spostamenti. Non solo le carni, ma anche molti dei vegetali antichi erano di difficile uso alimentare se non cotti, questo perché ricchi di sostanze anti-nutri-

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È dal procedimento della cottura, conseguenza della scoperta del fuoco fatta risalire al paleolitico inferiore, che nasce la cucina intesa come insieme di pratiche legate alla preparazione di cibi e bevande. zionali e talvolta tossiche, inattivate o controllate dalla cottura: è il caso di patate, melanzane e pomodori. Di pari passo, nei vegetali sono state selezionate le varietà più tenere, gustose e scarse di fibra di ridotta o difficile digestione come quelle odierne, che per questo motivo possono essere mangiate poco cotte e crude. In questo caso mangiare crudo non significa tornare alla natura, ma ad una cultura che ha modificato i vegetali. Un proverbio che dal Medioevo è arrivato sin quasi ai giorni nostri dice che “acqua di pozzo, erba cruda e donna nuda uccidono l’uomo”. Un saggio detto che, almeno per i primi due elementi, fa riferimento agli orti, in passato concimati con le acque dei pozzi neri delle abitazioni e causa di pericolosi inquinamenti. Bere acqua di sorgente o vino e cuocere gli ortaggi erano allora importanti norme igieniche. Crudi si potevano invece mangiare i frutti degli alberi e quanto raccolto nei boschi (non inquinati dalle deiezioni umane) o dai campi in periodi lontani dalle concimazioni. Se si guarda il passato, quasi nessuna carne veniva mangiata cruda o poco cotta e preparazioni di questo tipo erano considerate “barbare”, tanto da essere definite “alla moda dei

Tartari”, popolo ritenuto tra i meno civili, anche se a torto. Oggi le cose sono cambiate, gli allevamenti degli animali e le loro carni sono ben controllati, prima e dopo la macellazione, e per questo è possibile ridurre i tempi di cottura e realizzare preparazioni “al sangue”. Tuttavia, bisogna continuare ad osservare una certa attenzione per le carni che ancora oggi sono considerate “naturali” come quelle degli animali selvatici. Non è certamente un caso che in Italia la recente epidemia di trichinellosi (o trichinosi) sia stata causata da salsicce di cinghiale mangiate crude o poco cotte, quando per tutta la selvaggina la tradizione è sempre stata di lunghe cotture. Da ultimo, va segnalato che talvolta il termine di “crudo” è usato per alimenti non cotti ma che sono stati sottoposti a trattamenti che provocano modificazioni per taluni aspetti analoghi a quelle della cottura. È questo il caso dei salumi lungamente stagionati, come il prosciutto crudo, nel quale l’azione congiunta del sale, del tempo e degli enzimi endogeni della carne porta ad una specie di digestione e ad un’inattivazione di virus eventualmente presenti. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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Libri VIP, Visti Io Personalmente

La cucina ampezzana di Rachele Padovan di Angelo Valentini

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O r m e E d it o r i il merito di avere proposto ai suoi lettori la ristampa del libro “La cucina ampezzana” di RACHELE PADOVAN. Un testo uscito alle stampe per Franco Muzzio nel lontano 1981, introvabile e raro sotto il profilo bibliografico; ne conservo gelosamente una copia con dedica dell’autore. Il volume, in oltre 110 pagine, descrive una novantina di ricette ampezzane, a testimonianza e documentazione di cibi perduti, che esprimono i sapori di un paesaggio montano ricco di erbe odorose frutti di bosco e mandrie pascolanti sul verde tappeto erboso. Tantissimi sono i personaggi di cui è ricca Cortina nei vari periodi dell’an-

no e molti di essi ambivano ad essere invitati alla tavola di Rachele. Dice il Vangelo: “molti i chiamati pochi gli eletti”. Ebbene, io sono uno di quei fortunati ospiti. Una donna con il senso innato del convivio Rachele: un’arte culinaria semplice la sua, fatta di prodotti poveri, resi importanti da nozioni apprese a sue spese, dalla terra che amava e coltivava attorno alla sua grande casa ampezzana in legno. Si trattava di cucina calendariale che seguiva le stagioni, come si dice oggi a chilometro zero: ortaggi e frutti adattati al microclima montanaro, mentre la produzione di burro, formaggi, latte e dei suoi derivati rappresentano tuttora l’elemento por-

tante dell’economia silvo-pastorale del territorio. Memorabili le colazioni del mattino con burro e latte di malga, le confetture di rabarbaro, di more e mirtilli, le marmellate di arance, abbinate a dolci appena sfornati ricchi di profumi dimenticati. Non facevo a tempo ricordare un piatto a me caro, che il desiderio era presto esaudito. Le pause in cucina erano intervallate da qualche deliziosa tazzina di caffè e da una sigaretta fumata furtivamente, all’insaputa di sua nipote Mina. La cucina di Rachele e quella degli chef del nostro tempo si differenzia esclusivamente dal metodo: l’una di

Rachele Padovan (1916-1999) è sempre vissuta a Cortina d’Ampezzo, dove era nata, e per lunghi anni ha lavorato la terra come i suoi genitori. È poi passata dall’attività agricola a quella turistica,cominciando a fare qualche cena e a ospitare personaggi come Giovanni Comisso, Filippo De Pisis, Goffredo Parise, Andrea Zanzotto, Mario Luzi, Neri Pozza e altri, così che la sua casa è diventata a poco a poco un punto d’incontro di un mondo di cultura e di arte. Rachele ha riempito i cuori di un grande numero di scrittori perché, stare da lei,voleva dire stare in cucina, poiché l’ospitalità di Rachele era di ricevere gli amici in quella grande stanza con la stufa, il tavolo, le provviste, le due grandi finestre che danno sulla valle. Così scrive Giuseppe Maffioli: “La cucina ampezzana diverrà, ce lo auguriamo con tutto il cuore, una specie di coscienza alimentare, per ritrovare i rapporti più diretti con ciò che producono i declivi erbosi, i boschi e i campicelli: dolcezza di crema e profumi di lamponi, di fragole e di mirtilli, e tante cose buone per comporre un cibo in cui la realtà viene trasfigurata in poesia per le papille gustative”.

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RACHELE PADOVAN La cucina ampezzana. Storia e ricette 2012, Orme Editori Collana Tarka 116 pp. – € 13,50 conservare la semplicità legata alla civiltà del territorio, l’altra falsata da raffinatezze mitteleuropee di anonima delicatezza. Rachele, no! Conosce il miracolo della fecondità della terra madre, scopre profumi, sapori, colori, dall’embrione del seme al concepimento del frutto e matura una sua filosofia, tanto che la sua casa diventa salotto letterario e gastronomico insieme. A Cortina era conosciuta meglio come “donna” Rachele, a me era concesso chiamarla zia, e tale licenza la ritenevo un grande privilegio. Un aspetto, il suo, di grande fierezza e nobiltà, che incuteva soggezione; lo sguardo di Rachele era penetrante, tanto da leggere nel volto dei suoi ospiti, che aiutava ad aprirsi con il coinvolgente conversare. Una volta entrati in sintonia si scopriva la dolcezza intrisa di sicurezza e austerità; una donna colta, dotata di un linguaggio sintetico e divertente. Quanti personaggi del mondo culturale hanno fatto parte della sua agape! Da Filippo De Pisis, a Goffredo Parise, da Andrea Zanzotto a Mario Luzi. Lo stesso Gualtiero Marchesi, incuriosito dalla fama di Rachele, chiese di essere ammesso

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alla grande cucina-salotto, arredata con utensili in rame, pendagli di agli, trecce di peperoncino e pomodorini, adornanti il focolare rialzato in prossimità della classica stube. Anche Riccardo Muti nelle sue brevi soste ampezzane rifocillava lo spirito e il corpo al suo desco. La notorietà della nostra anfitriona aveva valicato i confini ampezzani: quando si arrivava a Cortina la meta da raggiungere diventava la casa di Salieto, verso cui accorrevano tanti uomini noti, dal mondo giornalistico allo spettacolo, come Montanelli, Forattini, Vittorio Sgarbi, Vittorio Gassman, l’industriale Pietro Barilla, Zoran Music. La fama giunse anche a Torino, tanto che l’avvocato Gianni Agnelli e la sua consorte Marella fecero richiesta al fine di essere ospitati alla mitica e favolosa tavola, ma non conosco l’epilogo (o, meglio, non voglio rivelarlo). Rachele ha lasciato un grande vuoto a Cortina, ma il patrimonio culinario non è andato perso, dal momento che sua nipote Mina — felicemente sposata con il grande maestro dei pennelli Renato Balsamo — è depositaria di tanta saggezza; è stata sempre vicina alla zia e, con la stessa filosofia, la stessa velocità, esegue piatti dagli ingredienti cosiddetti poveri della valle ampezzana, esaltandone i sapori grazie alla maestria del dosaggio, elemento basilare al fine di raggiungere armonia ed equilibrio, doti essenziali per la bontà di un piatto. Alla serietà della cucina montanara Mina aggiunge una nota in più, il colore e la musicalità di quella partenopea, poiché Balsamo, “pittore coatto” a Cortina, è nativo della bella Sorrento che ama di un amore struggente e il richiamo della terra natia lo costringe ad attraversare il nostro stivale con nostalgica frequenza. Ho la fortuna di essere ospitato spesso nella sua villa a ridosso di Santa Agata dei due golfi, dove si ammira uno scenario di incomparabile bellezza, e di gustare ancora le ricette di zia Rachele in versione originale e rivisitate con la fantasia e la bontà dei prodotti della Campania felix. Angelo Valentini


Se hai un orto e una biblioteca non avrai altro desiderio

Dal filo d’Arianna al filo d’olio

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ngelo Valentini è agronomo, enologo, erborista, enobibliofilo ed oxologo, cioè esperto di aceti. Ma è soprattutto un divulgatore appassionato. Lo dimostra, ancora una volta, nel suo ultimo libro, “Dal filo d’Arianna al filo d’olio – L’albero dell’olivo e la sua umanizzazione”: un lungo excursus dalle origini della coltivazione fino ai dati della raccolta in tutte le regioni d’Italia, con tabelle e classificazioni, fondamentali da visualizzare e conoscere per chi produce olio o per chi ne è solo consumatore. Il volume è ricco di proverbi, aneddoti e storie tratte dalle Sacre scritture e dalla Bibbia dove il frutto è citato dai tempi dei tempi. Valentini scrive delle mitologiche civiltà mediterranee, in cui l’olivo (olea) ha avuto le sue origini: “Dall’Asia Minore si sarebbe successivamente diffuso in tutta l’area del Mediterraneo”. Non mancano accenni all’uso dell’olio nel mondo dell’arte. E affascinanti analogie tra questi alberi generosi con l’uomo: “Gli ulivi di Puglia assomigliano agli uomini pugliesi: ruvidi, levantini, ciclopici, cavi dentro, con sembianze antropomorfe, conficcati nel terreno tufaceo che scavano con le loro radici nodose…”. E gli ulivi dell’Umbria? “Sono miti, bassi di statura come San Francesco, con i rami rivolti al cielo come tante mani oranti; il loro olio è fine, delicato, liturgico e dalle spiccate qualità salutari”. Non poteva non mancare un capitolo sui grandi chef che Valentini ha incontrato in tutto il mondo. Alla domanda rivolta all’amico Gualtiero Marchesi su quale sia il suo rapporto con l’olio, il celebre cuoco risponde: “Oliato o condito? Ho imparato molte cose dai miei genitori, soprattutto da mia madre, che mi diceva sempre: ricordati che il condimento serve per condire la pietanza non il piatto”.

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La seconda parte, più tecnica, offre statistiche sulle cultivar italiane, sui consumi, sul numero per regione dei frantoi, in totale più di 4.500. Tra le pagine si accavallano curiosità ed aneddoti di vita vissuta, da leggere tutti d’un fiato: un libro prezioso che è anche un’agile guida di consultazione per far conoscere ancora di più nella vita di tutti i giorni il frutto così caro ad Atena. Prefazione di Cesare Manfroni “Angelino” — è questo l’appellativo con cui chiamo da sempre l’amico fraterno Angelo Valentini — non finisce mai di stupire. E quanto da lui scritto in questo libro ne è la prova. La sua fantasia senza briglie, il suo profondo attaccamento ai tradizionali valori “Dio, Patria, Famiglia”, la sua creatività inesauribile ed eclettica, l’entusiasmo contagioso e travolgente caratteristico del suo modo di essere, la sensibilità ai temi della cultura e dell’arte, la grande capacità di relazionarsi con le persone di ogni gradino della scala sociale, la sua insaziabile curiosità e soprattutto l’amore per la sua “terra” e per tutto ciò che questo concetto sottintende, ne fanno un personaggio eccezionale — direi unico — nel cerchio non certo piccolo delle mie amicizie. Tra le tante, l’olio ed il vino sono due grandi passioni che coltiva da sempre e ne è conoscitore così profondo tanto che il mio amico dott. Leandro Pesca — stimato medico ed appassionato “gastronomo” — lo chiama “Maestro”. Siamo nati sotto lo stesso “tetto” — io sei anni dopo di lui — in quel meraviglioso Paese alle falde del Monte Cucco che risponde al nome di Sigillo, nell’alta Umbria. E da allora non ci siamo mai persi di vista, nonostante spesso ci fossimo trovati ad operare in ambienti geografici distanti tra loro. Abbiamo anche

ANGELO VALENTINI Dal filo d’Arianna al filo d’olio L’albero dell’ulivo e la sua umanizzazione Modena, Arbe editoriale 2012, pp. 72 vissuto insieme delle interessanti ed entusiasmanti esperienze di lavoro realizzando iniziative che ci hanno molto gratificato. Sono pertanto felice di formulare queste poche righe di compiacimento e di augurio per il successo di questo ennesimo lavoro letterario di Angelino — una vera autobiografia pur nella sua sinteticità, considerate le multiformi esperienze maturate — che dimostra l’amore dell’autore per l’ambiente naturale e il suo modo poetico di affrontare certi temi. Angelino, “alla sua tenera età”, è la dimostrazione vivente di una “gioventù” senza tempo: in lui prevale ancora, nonostante gli ottantatré anni suonati, l’interesse per la progettualità del futuro sul restare ancorato ad un passato pieno di successi e di esperienze le più diverse. Angelino, avanti con la passione di sempre verso nuovi traguardi! Hai ancora tanto da dire e tanto da dare!

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Tecnologie CSB-System ancora una volta a IFFA 2013

Ottimizzazione dei processi, automatizzazione e soluzioni mobili

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al 4 al 9 maggio avrà luogo a Francoforte la tanto attesa IFFA. Anche quest’anno la CSB-System sarà presente alla più importante fiera internazionale del settore carne. Al padiglione 11.1, stand B-81 presenterà il suo portafoglio prodotti, che è il risultato di più di 35 anni di esperienza diretta sul campo. Al centro vi è la “nuova soluzione per il settore carne”, contenente molte nuove features sviluppate per l’ottimizzazione dei processi e l’automatizzazione, nonché applicazioni software mobili integrate. Allo stand D-70b, padiglione 11.1, l’azienda affiliata CSB-Automation fornirà esempi e informazioni

e totalmente automatizzata in spazi contenuti.

sia su sistemi completi integrati, che su soluzioni personalizzate messe in opera per l’automatizzazione dei singoli processi del settore dell’intralogistica: dalla gestione intelligente del flusso dei materiali, fino all’efficiente gestione di un magazzino a scaffalature, passando per la preparazione ordini flessibile

Ottimizzazione dei processi lungo la catena di creazione di valore aggiunto Per ogni azienda è importante controllare costantemente i processi aziendali, continuare a migliorare l’efficienza dei processi esistenti, ottimizzandone contemporaneamente l’impiego delle risorse. CSB-System fornisce un contributo basilare in questa direzione: Il suo gestionale, infatti, consente di gestire e ottimizzare in modo integrato tutti i processi della catena di creazione di valore aggiunto, dall’allevamento alla macellazione,

Picking.

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dai differenti livelli di lavorazione e trasformazione fino alla vendita. Inoltre, al centro della partecipazione fieristica della CSB-System vi sarà la presentazione di nuove soluzioni per la rintracciabilità completa di prodotti e componenti e per una gestione della qualità garantita, che risponda a tutti gli standard richiesti. A queste soluzioni vanno aggiunte l’ottimizzazione ricette integrata nel gestionale, con il calcolo dei valori nutrizionali, il nuovo piano di ottimizzazione del sezionamento gestito con IT e la classificazione delle carcasse suine attraverso un’analisi per immagini con il CSB-Image-Meater. Soluzioni automatizzate per produzione e amministrazione Anche il tema dell’automazione conquisterà grande spazio allo stand CSB-System dell’IFFA. Il pensiero dominante è incrementare produzione e qualità grazie all’uso della tecnologia informatica in tutte le aree, riducendo allo stesso tempo i costi. Gli esperti CSB mostreranno come questo possa avvenire, sulla base di diversi scenari di applicazione, sia nella produzione sia nell’intralogistica. Altri temi centrali saranno le nuove soluzioni per la pesoprezzatura, le applicazioni OEE e quadro di controllo e gli efficienti metodi per la preparazione ordini. Nel settore amministrativo saranno presentati nuovi sviluppi nel Document Management, Customer Relationship Management e Business Process Management. Mobile Business come fattore di successo Il desiderio di gestire in mobilità i propri processi aziendali è un trend chiaro anche nel settore carne. Il Mobile Business, grazie ai suoi effetti economici positivi, diventa sempre più un fattore tecnologico di successo. A IFFA saranno esposte le numerose possibilità d’impiego delle soluzioni mobili CSB all’interno e all’esterno dell’azienda. L’attenzione sarà rivolta tra l’altro alla “Presa Mobile Dati” per esempio in entrata merci, nel processo produttivo o in magazzino. Con il CSB-System tutti i dati aziendali e sulla qualità sono registrati direttamente durante il processo, in questo

In alto: il CSB-Image-Meater. In basso: linea di pesoprezzatura. modo si migliora non solo la qualità delle informazioni, ma anche la loro elaborazione diventa più rapida. Tra le altre soluzioni mobili CSB in primo piano all’IFFA vi sarà la gestione servizi esterni, il sistema informativo e di ottimizzazione giri supportato da GPS e il CSB-CloudCenter. Robotik-Pack-Line: gestione e monitoraggio grazie al quadro di controllo CSB-System Anche nell’ambito della Robotik Pack Line, presso il padiglione 11.1, stand C71, sarà possibile vedere l’alto livello d’integrazione raggiungibile dalla CSB-System. Qui il quadro di

controllo CSB si assume il compito della gestione e del monitoraggio diretto di una linea d’imballaggio per salumi affettati totalmente automatizzata. Venite a trovarci. Saremo lieti di costruire un altro caso di successo: il vostro. Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: segreteria@csb-system.it Web: www.csb-system.it


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