Premiata Salumeria Italiana 2-2014

Page 1

Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N Anno XXVI N. 2 Marzo-Aprile 2014

S T O P â‚Ź 6,70


dal 1986

DELICATO PROSCIUTTO DI MANZO

A F F U M I C AT O & S T A G I O N AT O PER 16-18 MESI importata da

2

meat.giraudi.com

Premiata Salumeria merria ia IItaliana, tta ali lia an na na a,, 2 2/14 //1 14



CARNE

% 100 ITALIANA

DA SUINI NATI, ALLEVATI E MACELLATI IN ITALIA

Salumificio Mec Palmieri Srl Via Canaletto, 16/A - 41030 San Prospero s/S (MO) - Tel. 059 90 88 29 - www.mortadellafavola.it 2

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


FIERA CIBUS, PARMA - 5/8 MAGGIO 2014

PAD.2 STAND I038

Solo Favola è così. Favola è la prima e unica mortadella al mondo insaccata e cotta nella cotenna naturale. Un brevetto originale del Salumificio Palmieri reso inconfondibile dal timbro a fuoco e dalla tipica legatura a mano. Un prodotto veramente unico che si distingue dalle altre mortadelle ed è adatto anche a consumatori con intolleranze alimentari.

Delicata Digeribile Naturale

per l’armonioso equilibrio di spezie, aromi naturali e miele

grazie all’uso sapiente dei diversi tagli di pregiate carni italiane

senza lattosio, senza proteine del latte, senza glutammato e polifosfati aggiunti

Senza glutine

Favola è presente sul Prontuario dell’ Associazione Italiana Celiachia

Inconfondibilmente profumata e morbida grazie alla speciale cottura all’interno della cotenna

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

3



N. 2 Anno XXVI Marzo-Aprile 2014

€ 6,70 EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE – EURO ANNUARIO CARNE – EURO GENUINE FOOD ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA – US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA Stampa

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988 Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi

Veniteci a trovare a CIBUS: 5 – 8 maggio 2014 Vi aspettiamo!

Comitato di redazione Renato Bergonzini – Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Redazione New York Stefano Spadoni – Alessandra Rotondi P.O. Box 569, New York, NY 10101-0569 Tel./Fax +1 212 956 8566 E-mail: stefanony@stefanospadoni.com Consulenti scientifici Prof. Giovanni Ballarini (Parma) – Prof. Fausto Cantarelli (Parma) – Prof. Carlo Cantoni (Milano) – Prof. Giuseppe Caserio (Milano) – Prof. Giorgio Catellani (Napoli) – Prof. Eugenio Del Toma (Roma) – Dr. Aldo Focacci – Dr. Emanuele Guidi (Modena) – Prof. Riccardo Monacelli (Roma) – Dr. Alfonso Piscopo – Piero Pittaro (Udine) – Prof. Andrea Strata (Parma) – Angelo Valentini (Perugia)

Developer Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

5


(ora Visentin)


N. 2

In questo numero: Immagini

10

Lettere alla Redazione

12

Legislazione

Additivi impiegati nei prodotti alimentari: linee guida dall’UE

Attualità

La storia infinita del made in Italy

Sebastiano Corona

17

Expo 2015, non chiamatela fiera!

Sebastiano Corona

23

Il food in rete

Social food (europeo)

Elena Benedetti

28

Comunichiamo

Facebook, buone pratiche di comportamento

Chiara Russotto

30

Aziende

Perla d’Ampezzo: quel qualcosa in più che fa la differenza

Gaia Borghi

36

Sai che c’è di nuovo? Lo spaccio aziendale Busti

Riccardo Lagorio

40

Il Parmigiano Reggiano tiene alta la bandiera del made in Italy

Anna Mossini

46

Mercati

Prodotti tipici

14

Speck Alto Adige Igp, produzione stabile

50

Il prosciutto di Modena Dop impenna la produzione

52

Prosciutto carsico, rara bontà contadina

Giorgio Montanari

54

Il cicotto di Grutti: quintessenza della porchetta

Michele Bracieri

56

Ventricina vastese vanto della norcineria italiana

Michele Bracieri

59

Salame rosa, l’antenato sconosciuto della mortadella

Giorgio Montanari

62

Tendenze

Mangiare insetti: tanti i vantaggi, diversi gli aspetti da approfondire

Giulia Mauri

64

Sapori mediterranei

Un’indagine gustosa: il mistero “parmigiana”

Giorgia Fieni

66

Rassegne

Identità Golose: 10 anni di gusto e di successi

Laura Franchini

68

Taste, la vetrina più bella

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

75

7


Fiere

SIGEP e RHEX: per Rimini Fiera un successo da annali

82

Locali di gusto

Regalati un sorriso

Elena Benedetti

88

Formaggio

Blue di capra, nuova frontiera casearia made in USA

Raffaele Bertolini

91

Maccagno: a quando il riconoscimento europeo?

Nunzia Manicardi

97

Olio

Extravergine, l’oro d’Istria

Massimiliano Rella

102

Vino

Bacio della Luna: il Prosecco fa grande il Gruppo Schenk

Riccardo Lagorio

104

Incanto di vino con il Moscato di Terracina

Massimiliano Rella

106

Viaggio nella California d’Italia

Angelo Valentini

110

Anteprima Bardolino, Chiaretto e Custoza

Laura Franchini

112

I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: Franciacorta e tigelle

Laura Franchini

114

Storia e cultura

Zuppa inglese “invenzione” italiana

Giovanni Ballarini

116

Alla scoperta di Giuseppe Lamma, cuoco bolognese del XVII secolo Josette Baverez Blanco 120 Libri

In viaggio alla scoperta dei formaggi Dop italiani Una tranquilla città di paura

Raffaele Bertolini

124 125

Io mangio come voi

126

Ci salveranno gli Chef!

126

In copertina: crostini con pancetta coppata e pecorino (photo © Massimiliano Rella).

8

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


6-9 Aprile 2014 PADIGLIONE C - SOL&AGRIFOOD STAND 15

5-8 Maggio 2014 Padiglione 2 STAND C 043

CIBUS2014

Marzolino Pascoli del Chianti il risveglio del sapore.

Il Marzolino Pascoli del Chianti è un formaggio tipico toscano dalla particolare forma trapezoidale e inserito nella speciale categoria dei prodotti caseari da salvare. La pasta ha una consistenza tenera e un sapore dolce mentre la crosta è trattata con il concentrato di pomodoro che, oltre a garantirne una maggiore conservabilità, le conferisce il caratteristico colore rosso. Il Marzolino Pascoli del Chianti ha una maturazione di circa 30 giorni ed una pezzatura di circa 1 Kg.

info@caseificiobusti.it


Immagini

Riaprono le botteghe di generi alimentari di un tempo, con l’aggiunta di un tavolo e qualche sedia per una merenda, un aperitivo al volo. A Modena Giuseppe Palmieri ha aperto “Da Panino” in rua Freda, a pochi passi dall’Osteria Francescana di Massimo Bottura. All’insegna del gusto e dell’ottimismo. Scoprite il perché a pagina 88 (photo © Elena Benedetti).

10

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


www.acetobalsamicodelduca.it


Lettere alla Redazione Controllo del rischio botulino nella produzione di confetture artigianali Dott. Cappelli, un piccolo agricoltore e produttore di miele ha deciso di usare il laboratorio di smielatura, nei mesi di inutilizzo, per la produzione di confetture. Ha inoltrato regolare SCIA ed ha redatto un adeguato piano di autocontrollo dal quale si evince che, per escludere il rischio botulino, usa il sistema di monitoraggio del pH. Poiché si tratta di piccole quantità, inizia a riempire i vasetti appena terminata la bollitura, chiude con capsule speciali che garantiscono l’assenza di ossigeno e capovolge i singoli vasetti ancora bollenti. Ad avvenuto raffreddamento, misura il pH a campione su ogni lotto, e per maggiore sicurezza fa eseguire un’analisi presso il locale laboratorio dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale. Il medico del SIAN dell’ASL competente gli contesta la mancanza di adeguata attrezzatura per la pastorizzazione dei vasetti, rifacendosi al Capitolo XI del Regolamento CE 852/2004. Qual è il suo punto di vista? E-mail firmata La risposta al quesito Non sussistono problemi per la produzione di confetture in un laboratorio già registrato presso l’ASL per la produzione di miele. È importante che le strutture e le attrezzature siano adeguate, che sia effettuata la notifica di variazione dell’attività e che siano predisposte adeguate procedure di autocontrollo basate sui principi del sistema HACCP. Inoltre, nell’ambito delle procedure di igiene (GHP, buone prassi igieniche), deve essere effettuata la sanificazione del laboratorio tra una lavorazione e l’altra per evitare contaminazioni. Il “botulino” (Clostridium botulinum) è un batterio anaerobio sporigeno che produce la tossina botulinica, causa di rare ma gravi intossicazioni alimentari. Agisce sull’organismo inibendo il rilascio dell’acetilcolina, impedendo così la trasmissione degli stimoli nervosi, fino a provocare paralisi respiratoria. Le sue spore (forme non vegetative) resistono alla bollitura a 100°C per alcune ore, e al ripristino di condizioni ottimali (temperatura ambiente)

12

Confetture di frutta. danno luogo alle forme vegetative che possono produrre tossine. In una confettura, che ha subito la bollitura, le spore eventualmente presenti possono essere quindi sopravvissute. Nei contenitori sigillati è presente la condizione di anaerobiosi (assenza di ossigeno), utile per una corretta conservazione ma favorevole allo sviluppo del botulino. Non sono però generalmente presenti altre condizioni fondamentali per tale sviluppo, come l’abbondanza di acqua (che è stata ridotta mediante evaporazione ed è ancor meno disponibile all’attività batterica per la forte presenza di zucchero) e i valori di pH intorno alla neutralità. Tra i trattamenti con il calore previsti dal capitolo XI dell’Allegato II al Regolamento (CE) n. 852/2004, per l’eliminazione totale delle spore di botulino sarebbe necessaria la sterilizzazione a temperatura superiore a 120°C, raggiungibile nelle produzioni industriali in condizioni di alta pressione (autoclave). Un trattamento di pastorizzazione può essere efficace per eliminare batteri patogeni presenti nella confettura a seguito di ricontaminazione eventualmente avvenuta nella fase di confezionamento, ma se la chiusura dei contenitori avviene nel rispetto rigoroso dei criteri di igiene e con il prodotto ancora a temperatura vicina a quella di bollitura (letale per la maggior parte dei batteri) il problema non dovrebbe sussistere. La pastorizzazione non è invece efficace per la devitalizzazione delle

spore botuliniche, il cui passaggio alla fase vegetativa (con conseguente moltiplicazione e produzione di tossine), in un prodotto non destinato alla refrigerazione come una confettura, può essere inibito con un rigoroso controllo del tenore di zucchero, mantenendolo superiore al 35%, e ancor più dell’acidità, mantenendo il pH a valori inferiori a 4,6. L’applicazione del capitolo XI del Regolamento (CE) n. 852/2004 è limitata ai prodotti immessi sul mercato in contenitori ermeticamente chiusi, ma non può essere considerata sempre obbligatoria. La valutazione del rischio è comunque demandata all’operatore del settore alimentare, che deve dimostrare, su base scientifica, di aver predisposto ed attuato procedure efficaci per garantire la sicurezza alimentare. L’Azienda Sanitaria Locale, quale autorità competente individuata dal Decreto Legislativo n. 193/2007, ha il compito di verificare la conformità alla normativa, utilizzando le metodiche previste tra cui l’ispezione, con esame della documentazione e del piano di autocontrollo, e il campionamento, e può emettere provvedimenti ai sensi dell’art. 54 del Reg. (CE) n. 882/2004, dimostrando altrettanto scientificamente la non conformità in riferimento ai requisiti previsti. Per risolvere la non conformità è l’OSA che deve decidere le azioni correttive, dimostrandone la congruità in riferimento al rischio valutato. Marco Cappelli Tecnico della Prevenzione

Premiata Salumeria Italiana, 2/14



Legislazione

Additivi impiegati nei prodotti alimentari: linee guida dall’UE

S

ul sito dell’UE è disponibile una linea guida dal titolo “Guidance document describing the food categories in part E of Annex II to Regulation (EC) N. 1333/08 on Food Additive” che descrive le categorie di alimenti ove possono essere aggiunti gli additivi alimentari di cui all’allegato II del Regolamento (CE) n. 1333/08. La linea guida, reperibile al momento solo in lingua inglese, e scaricabile al seguente indirizzo: http://ec.europa. eu/food/food/fAEF/additives/guidance_en.htm, ha lo scopo di fornire alle autorità di controllo e all’industria uno strumento pratico per garantire controlli ufficiali uniformi sul territorio e favorire l’aggiornamento stesso della guida. La Nota ministeriale n. 1308 del 20-01-2014 dà diffusione della

pubblicazione e fornisce alcuni chiarimenti in merito ad alcuni punti del documento. La Nota ministeriale La linea guida è stata elaborata per fornire uno strumento pratico alle autorità di controllo e all’industria a cui spetta il compito di assicurare la corretta applicazione della legislazione sugli additivi alimentari. Il documento in questione, come tutte le linee guida, non è giuridicamente vincolante; ciò nonostante si ritiene utile la sua adozione per garantire controlli ufficiali uniformi sul territorio e per favorire il continuo aggiornamento della stessa linea guida. Inoltre, in considerazione del fatto che la “Guidance document describing the food categories in Part

E of Annex II to Regulation (EC) No. 1333/2008 on Food Additive” è un testo in continua evoluzione, si chiede alle autorità che svolgono ispezioni ed altre misure di controllo degli additivi alimentari di segnalare le categorie e sottocategorie per le quali, durante la propria attività, si rendono necessari eventuali ulteriori chiarimenti. Al riguardo si attira l’attenzione sulle preparazioni di carne nel box a lato. Il Direttore generale Dott. Silvio Borrello Dir. generale per l’Igiene e la Sicurezza degli alimenti e la nutrizione Dip. della Sanità pubblica veterinaria della Sicurezza alimentare e degli Organi collegiali per la salute Ufficio VI DGSAN Igiene delle tecnologie alimentari

Longaniza fresca.

14

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


08.1.2 Preparazioni di carne, quali definite dal Reg. CE n. 853/2004 In questa sottocategoria è stato chiarito che le salsicce fresche possono essere incluse tra le preparazioni di carne fresca macinata per cui, limitatamente agli additivi alimentari, già consentiti nelle “preparazioni preconfezionate di carne fresca macinata”, l’impiego degli stessi è legalmente autorizzato. Oltre a ciò si evidenzia come la stessa linea guida, oltre alla descrizione delle diverse categorie di alimenti, descriva anche i prodotti alimentari che sono elencati nell’allegato II del Regolamento CE n. 1333/2008 in corsivo. A tale proposito si ritiene opportuno ribadire che nella produzione dei prodotti denominati in lingua originale “Salsiccia fresca” e di “Longaniza fresca” possono essere utilizzati l’anidride solforosa e i solfiti, additivi alimentari non consentiti nella produzione di salsiccia fresca e di luganiga fresca. Infine si evidenziano nell’elenco sottostante alcuni esempi di prodotti alimentari nazionali che sono elencati/descritti nella linea guida più volte citata.

Mozzarella

01.7.1

Mascarpone

01.7.1

Provolone

01.7.2

Ricotta

01.7.4

Mostarda di frutta 04.2.4.1 Liquirizia

05.2

Marzapane

05.2

Torrone

05.2

Pasta

06.4

Gnocchi

06.4.4

SALUMIERI IN LANGA Premiata Salumeria Italiana, 2/14


16

NUOVABOSCHI_2010.indd 1

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

13-01-2010 13:03:30


3:03:30

Attualità

La storia infinita del made in Italy I più recenti regolamenti europei pongono una serie di importanti paletti sul Paese d’origine e sul luogo di provenienza dei cibi. La materia però, tutt’altro che semplice, è ancora in divenire e non chiarisce completamente gli innumerevoli dubbi che la quotidianità presenta di Sebastiano Corona

L

a bandiera tricolore d’ora in poi dovrà essere utilizzata con ponderazione, soprattutto quando viene mostrata allo scopo di vendere un prodotto alimentare. La nuova normativa che riguarda il Paese di provenienza di un cibo si fa infatti sempre più severa. I controlli a questo proposito sono frequenti e possono essere condotti da più soggetti con compiti differenti ma sempre con il fine di scovare chi — con dolo o senza — usa il nome dell’Italia per proporre un alimento che di italiano ha poco o nulla. La questione è annosa e complessa e, a dirla tutta, non è nemmeno una gran novità. Da tempo infatti, da quando le importazioni di materie prime nel Belpaese si sono fatte sempre più significative, è sorta l’esigenza di distinguere un prodotto trasformato

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

in Italia con l’impiego di materia prima locale da tutto il resto. Le sfumature e i casi di specie non sono sempre semplici e lineari. La realtà mostra situazioni complesse che non sono contemplate dalla norma. Ci sono cibi i cui ingredienti sono interamente importati ma la cui lavorazione finale, quella che ne determina la natura di prodotto edibile, avviene in Italia. Ci sono poi

cibi la cui trasformazione avviene in più fasi che si esplicano in Stati diversi e ci sono casi in cui la volontà di truffare il consumatore è reale, il riferimento al nostro Paese è fatto in maniera del tutto illecita e all’unico scopo di incrementare la vendita di un prodotto non ha nessun legame né lo ha mai avuto con il nostro Paese. Le casistiche sono tra le più disparate e complesse.

“Il marchio made in Italy, tra i più noti al mondo, non è che uno straordinario strumento di marketing per vendere bene prodotti di moda, design, cultura, artigianato d’alta gamma e una serie di altre produzioni di qualità, cibo compreso. Pertanto l’interesse ad utilizzarlo, anche quando non se ne avrebbe titolo, è una tentazione a cui molti cedono” 17


Prosciutto crudo. Si fa sempre più severa la nuova normativa che riguarda il Paese di provenienza di un cibo. La direzione presa a livello comunitario in tal senso è quella della massima evidenza del prodotto, della materia prima, sino all’ultima fase di trasformazione. La normativa di riferimento è ampia e articolata, sebbene ci sia un filo conduttore: quello di fare chiarezza per tutela del consumatore e dei produttori onesti. La scorrettezza in quest’ambito genera infatti concorrenza sleale e mette chi acquista in condizione di non poter fare una scelta consapevole ed oculata. La bandiera tricolore viene sempre più spesso utilizzata all’estero con il preciso intento di confondere o ingannare l’acquirente, cercando di spacciare un prodotto straniero, per

italiano. Del buon nome dell’Italia si fa però talvolta abuso anche in casa nostra. D’altronde il marchio made in Italy, tra i più noti al mondo, non è che uno straordinario strumento di marketing per vendere bene prodotti di moda, design, cultura, artigianato d’alta gamma e una serie di altre produzioni di qualità, cibo compreso. Pertanto l’interesse ad utilizzarlo, anche quando non se ne avrebbe titolo, è una tentazione a cui molti cedono. In attesa dell’entrata in vigore dei regolamenti europei, sono numerosi

“Il valore aggiunto dei nostri prodotti, al di là della materia prima con cui vengono realizzati, è il nostro modo di prepararli e trasformarli. Se non ci fosse un intervento determinante in termini di estro, manualità, ricetta, tradizione o semplicemente di capacità nella produzione, quel prodotto non sarebbe quello che è, né avrebbe quella qualità che induce all’acquisto” 18

gli esempi di situazioni equivoche. Non si placano i dubbi di chi produce, soprattutto quando gli alimenti sono frutto di trasformazioni complesse e quando riguardano materie prime provenienti dall’estero o da regioni italiane diverse da quelle in cui avviene la trasformazione finale. Il discorso non vale infatti solo per i riferimenti che si fanno in etichetta ad una nazione piuttosto che ad un’altra, ma anche ai richiami a territori più specifici e circoscritti dentro lo stesso Stato. In Italia, più che in altri Paesi, il legame tra prodotti e regioni è molto forte, pertanto utilizzare elementi che possano indurre in errore il consumatore, e che abbiano lo scopo di vendere una cosa per un’altra, si può configurare come un illecito e in certi casi come reato, quindi perseguibile dal punto di vista penale. In generale la regola è che il luogo in cui è stata realizzata l’ultima trasformazione del prodotto identi-

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


I Regolamenti che ordineranno il nostro made in Italy Il Regolamento (UE) 1169/2011 relativo alle informazioni sugli alimenti ai consumatori, norma destinata a modificare pesantemente la legislazione in materia di etichettatura in tutti gli Stati Membri, è ispirata da nobili principi. Sebbene non sia ancora entrato in vigore in ogni suo aspetto, il Regolamento si pone obiettivi importanti, tra cui quello di elevare il livello di tutela dei consumatori e di riconoscere a chi acquista, il diritto all’informazione sul prodotto. Ma ciò che si intende fare è anche generare una maggiore consapevolezza nelle scelte d’acquisto e condannare le pratiche che inducono in errore chi compra. Con questo spirito, il Regolamento stabilisce che l’indicazione del Paese d’origine o del luogo di provenienza di un prodotto alimentare è obbligatoria se la sua omissione può indurre in errore il consumatore e soprattutto se altri elementi che accompagnano l’alimento, nel loro insieme, possono far credere che abbia un diverso Paese d’origine o luogo di provenienza da quello effettivo. Tra questi elementi si annoverano richiami grafici o slogan che rievochino un Paese piuttosto che un altro. Un classico esempio può essere quello delle mozzarelle tedesche vendute nei supermercati italiani. Poiché l’Italia è la patria delle mozzarelle, e poiché nell’immaginario collettivo le mozzarelle vendute in Italia sono tutte italiane, nell’etichetta di questo formaggio deve essere opportunamente precisato che la provenienza è la Germania perché nessuno possa essere indotto in errore. Il Regolamento — che per ciò che concerne questo aspetto entrerà in vigore solo il 13 dicembre 2014 — prevede inoltre che il Paese di provenienza del prodotto sia obbligatorio quando si tratta di carni quali suino, ovino, caprino fresco, refrigerato o congelato, e pollame. D’altronde sulla carne, visti i numerosi scandali alimentari degli ultimi decenni, l’attenzione è massima. Ma il Regolamento prevede ulteriori casistiche. Quando il Paese di origine (o il Luogo di provenienza) non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario, va indicato anche il Paese di origine dell’ingrediente primario oppure il Paese di origine dell’ingrediente primario deve essere indicato come diverso da quello dell’alimento. Che l’attenzione su questo aspetto sia alta è inoltre intuibile dal fatto che entro il 13 dicembre 2014 la Commissione europea debba presentare, al Parlamento e al Consiglio, relazioni sull’indicazione obbligatoria del Paese d’origine o del luogo di provenienza per le carni diverse dalla bovina e da quelle citate, per il latte, per il latte usato come ingrediente di prodotti lattiero caseari, per gli alimenti non trasformati, per i prodotti a base di un unico ingrediente e per gli ingredienti che rappresentano più del 50% di un alimento. Insomma, le regole si fanno sempre più incalzanti. La direzione presa a livello comunitario è quella della massima evidenza della storia del prodotto, dalla materia prima, sino all’ultima fase di trasformazione. Sempre in ambito europeo è il Regolamento 450/2008, che istituisce il Codice Doganale Comunitario, a fare ulteriore chiarezza. Esso infatti, all’articolo 36, stabilisce che, in merito all’acquisizione dell’origine “le merci interamente ottenute in un unico Paese o territorio sono considerate originarie di tale Paese o territorio” e che “le merci alla cui produzione hanno contribuito due o più Paesi o territori, sono considerate originarie del Paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione sostanziale”. Queste disposizioni contribuiscono a chiarire le idee ai produttori. Non sono però solo le nuove norme europee, peraltro non tutte completamente applicate al momento, a valere nel nostro Paese. In attesa che il Regolamento 1169/2011 entri in vigore, infatti, gli organi di controllo stanno applicando leggi e decreti di casa nostra. Per ciò che concerne l’etichettatura ci si deve rifare al decreto legislativo 109/92 e, nei casi più gravi di frode in commercio, al Codice Penale. C’è però anche una lista di disposizioni più generali del Codice al Consumo, del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e quelle relative alla pubblicità ingannevole. Tutte indicazioni alle quali chi produce, vende e promuove prodotti alimentari non può che attenersi.

fica l’origine territoriale. Ma può un consumatore sentirsi offeso perché la materia prima di un prosciutto che dall’etichetta sembrava essere locale è di origine estera? Oppure perché la bottarga che ha acquistato e che pensava essere isolana — perché lavorata nello stabilimento siciliano indicato in

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

etichetta — è in realtà fatta con uova di cefalo proveniente dal Sudamerica? E ancora: il cioccolato lavorato nelle cioccolaterie di Torino, il cui cacao impiegato per la produzione è ovviamente d’importazione, può fregiarsi del marchio made in Italy? E come valutare i casi di prodotti realizzati con svariati ingredienti

tutti provenienti da Paesi differenti e poi lavorati, in ultima battuta, in Italia? A queste domande non è sempre facile dare una risposta chiara ed univoca. Se così non fosse non ci troveremmo davanti ad una serie di sentenze e di ricorsi avversi e a decisioni di organismi addetti al

19


controllo che, tra l’altro, talvolta si contraddicono tra loro. Chi acquista un salame dove in etichetta è riportata la sede dello stabilimento in cui è stato realizzato, è portato a credere che il prodotto non solo sia stato lavorato in quella regione, ma che anche la carne sia di un suino allevato e cresciuto nello stesso territorio. Se per gli addetti ai lavori questo aspetto non è affatto scontato, per chi acquista sapere che quel salame è fatto con suino estero, potrebbe essere una spiacevole sorpresa. Ma la lavorazione del prodotto, la tradizione nella produzione, la ricetta esclusiva, l’aggiunta dei giusti ingredienti, la miscela eseguita nelle dovute dosi e una stagionatura perfettamente portata a termine sono davvero elementi così trascurabili? Se l’aspetto della lavorazione finale fosse solo un dettaglio, saremmo forse noi Italiani — poveri di materie prime e di certa tipologia di risorse — famosi in tutto il mondo per la moda, per le macchine e per certi prodotti artigianali di alta gamma? La risposta è no. Pertanto il consumatore che acquista un prodotto lavorato nel Belpaese, ma realizzato completamente con materie prime di importazione, non dovrebbe sentirsi leso o offeso se, acquistando una scatola di cioccolatini preparati a Torino e venduti come made in Italy, scoprisse che il cacao con cui sono stati realizzati non è piemontese ma sudamericano. Il valore aggiunto dei nostri prodotti, al di là della materia prima con cui vengono realizzati, è il nostro modo di prepararli e di trasformarli. Se non ci fosse un intervento determinante in termini di estro, di manualità, di ricetta, di tradizione o semplicemente di capacità nella produzione, quel prodotto non sarebbe quello che è, né avrebbe quella qualità che induce all’acquisto. D’altronde, per tornare all’esempio del salame, la carne non viene venduta tal quale, ma dopo una lavorazione lunga ed impegnativa che da carne trasforma in salume e che cambia completamente la natura del cibo. Tuttavia, negli ultimi anni, nel nostro Paese, ma anche in altri Stati

20

Tometta Moncucco stagionata. Anche a causa del fenomeno della contraffazione, negli ultimi anni si è registrato un generalizzato aumento della richiesta di prodotti a forte identità locale (photo © eventoLive, Cheese 2013). Membri, è sensibilmente aumentata la domanda di prodotti a forte identità territoriale anche a causa della dimensione raggiunta, sia nel mercato locale che in quello estero, di fenomeni di contraffazione. È inoltre corretto e giusto — e questa è la direzione che stanno prendendo sia il legislatore europeo, sia quello nazionale — che il consumatore sia adeguatamente informato e che possa contare su elementi oggettivi che lo guidino nella fase d’acquisto. La sua scelta può essere tanto consapevole e responsabile quanto più gli vengono forniti dettagli su ciò che sta mettendo nel carrello. La rivendicazione, in parte condivisibile, del mondo agricolo nazionale affinché ci sia un ritorno all’utilizzo della materia prima dei nostri campi, porta in questa direzione. Indicare in etichetta il Paese d’origine della materia prima, soprattutto per prodotti di una certa tipologia come quelli realizzati con un solo ingrediente, può essere un primo passo verso il sostegno della nostra economia. Chi produce con materia prima locale innesca infatti una serie di mec-

canismi virtuosi che contribuiscono in maniera importante a sostenere il bilancio dello Stato. L’inserimento del Paese d’origine nell’etichetta dei prodotti trasformati è un ulteriore passo avanti che l’Italia ha già cercato in passato di fare, ma non senza problemi. A parte i paletti imposti all’epoca dall’Unione Europea, appare ancora troppo difficoltoso per i prodotti di seconda trasformazione inserire nel packaging informazioni specifiche sulla provenienza di ogni ingrediente utilizzato. Pur con tutti gli automatismi che le nuove tecnologie mettono a disposizione, si aggiungerebbe sulle spalle dei produttori, soprattutto dei più piccoli, un ulteriore carico burocratico ed amministrativo difficile da portare e non se ne sente francamente il bisogno. È necessario trovare la giusta misura delle cose che consenta un’effettiva tutela dei consumatori, in un contesto di concorrenza leale tra operatori e senza rendere la vita delle aziende oltremodo faticosa. È già infatti molto difficile così com’è. Sebastiano Corona

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Premiata Salumeria Italiana, 2/14

21


A

*

OMINAZ EN I

PROTETT

D

E D’ORIG I

NE

ON

*

AD 2 Cibus P 056 Stand H ci! Visitate

Una stagionatura così lunga ha un gusto tutto particolare È il territorio appenninico che segue il corso del Panaro, tra le province di Modena, Bologna e Reggio Emilia che dona al prosciutto di Modena Dop quel gusto assolutamente caratteristico dal sapore dolce e intenso. Come unici sono gli ingredienti che lo compongono: coscia di suino italiano, sale e i suoi 14 mesi di stagionatura minima. Perchè solo un prosciutto così è crudo, è buono, è Modena. 22

Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale: l’Europa investe nelle zone rurali

consorzioprosciuttomodena.it

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Expo 2015, non chiamatela fiera! Nutrire il pianeta, energia per la vita: è questo lo slogan della più grande esposizione che l’Italia abbia ospitato nella storia recente. È uno slogan che evoca nobili pensieri, sottolinea del cibo la sua funzione di sostentamento, ma richiama anche il diritto di mangiare di ognuno di noi di Sebastiano Corona

“Abbiamo condiviso la stessa visione, abbiamo percorso un tratto importante di cammino insieme. Un cammino che ci condurrà fino al 2015 e molto oltre, aprendo al mondo orizzonti nuovi, orizzonti di speranza. La speranza di un mondo più giusto, di un benessere che possa raggiungere tutti, liberando i popoli dalla fame, dalla povertà, dalle malattie” Letizia Moratti*

N

utrire il pianeta sarà il leitmotiv dell’Expo 2015 che, come è noto ormai a tutti, si terrà a Milano l’anno prossimo dal 1 maggio al 31 ottobre. Il tema portante è chiaro e condivisibile ed include tutto ciò che riguarda l’alimentazione, dalla mancanza di cibo per alcuni Paesi a quello dell’educazione alimentare per altri, passando per gli OGM e chiamando in causa tecnologie, innovazione, cultura, tradizioni e creatività legati al settore dell’alimentazione. Obesità e fame, accesso all’acqua potabile, malnutrizione, sicurezza e qualità: questi argomenti domineranno l’Esposizione Internazionale e saranno oggetto di studi, ricerche, dibattiti, mostre, documentari e simposi. Mangiare bene, mangiare tutti e mangiare il giusto, una filosofia non scontata nella realtà dei fatti che si pone alla base di una riprogrammazione delle politiche economiche dei principali Paesi, ma anche come

elemento focale su cui deve essere centrata l’affermazione dei diritti dei più deboli e la nuova distribuzione della ricchezza mondiale. Saranno questi i concetti su cui ogni soggetto partecipante si concentrerà a suo

modo e secondo il proprio punto di vista, nella più grande manifestazione sul cibo di tutti i tempi. In fondo il mangiare non è solo nutrimento ma anche accoglienza, cultura, economia, società, religione, medicina,

0

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

Il Duomo, simbolo di Milano nel mondo, col logo dell’Expo.

23


Giuseppe Sala, amministratore delegato di Expo Milano 2015, con il presidente della Fiat John Elkann e il presidente di Fiat Industrial e amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne, alla firma dell’accordo di sponsorizzazione tra Fiat e Expo Milano 2015 (photo © Giorgio Perottino, www.culturaeculture.it). benessere, identità e simbologia di moltissime altre cose. L’Expo si pone l’ambizioso obiettivo di non tralasciare nessuno di questi aspetti e di aprire un dialogo tra popoli che porti ad elevare la qualità e la sicurezza dell’alimentazione, al fine di garantire a tutti un sano nutrimento. Ognuno, infatti, ha diritto di vivere nella certezza di potersi sostentare e di poter sempre consumare cibo sano. La preoccupazione per la quantità e per la qualità del cibo in un mondo ogni giorno più popolato e destinato ad ospitare nel 2050 ben 9 miliardi di persone, richiede una riflessione immediata e un programma definito per il futuro. E l’Expo è la miglior occasione per far ripartire il dialogo su questi temi, in un contesto mondiale ed alla presenza dei principali attori del comparto. 24

Se in alcuni Paesi la fame non è stata ancora sconfitta, è pur vero che negli Stati occidentali vi è una forte necessità di lottare contro le malattie del benessere, passando in primo luogo per l’educazione al consumo, senza dimenticare che un diverso approccio agli sprechi è urgente non solo per una questione etica, ma anche per motivi di sostenibilità. Le nuove sfide dei mercati globali richiedono uno straordinario impegno sulla ricerca e la tecnologia per la diffusione dei prodotti ed il miglioramento delle loro caratteristiche nutritive, ma è altresì importante operare nella direzione della biodiversità, nel rispetto degli ecosistemi e della vocazione dei territori. La tutela dell’ambiente, il problema della desertificazione, dell’aumento della temperatura terrestre e della salvaguardia delle foreste

sono altre importanti questioni che non sfuggiranno alla riflessione che l’Expo 2015 intende avviare. Attraverso questi temi, il cibo diverrà protagonista di un evento destinato a dare a Milano ed all’Italia una visibilità mondiale straordinaria per almeno 6 mesi, dal momento che sono oltre 140 le nazioni che hanno già fatto richiesta di partecipazione. Sono invece 30 milioni i visitatori previsti ed un miliardo quelli virtuali, che si ipotizza entreranno in contatto con la manifestazione. Saranno presenti quali Organizzazioni Internazionali l’ONU, il CERN e la Commissione europea. Sono altresì coinvolte 10 organizzazioni della società civile e, in particolare, Organizzazioni non Governative. L’aderenza al tema proposto Nutrire il pianeta sarà garantita all’interno Premiata Salumeria Italiana, 2/14


dell’Esposizione dal comitato scientifico composto da numerosi membri di fama mondiale, tra i quali PER P INSTRUP -A NDERSEN , J OACHIM V ON BRAUN, ISMAIL SERAGELDIN, CLAUDIA SORLINI, FRANCESCO SALAMINI, GIAN MICHELE CALVI ed ENRICO PORCEDDU, solo per citarne alcuni. Un paesaggio unico e straordinario, da preparare! Milano si sta preparando da tempo, sebbene sia evidente un ritardo nella tabella di marcia. Praticamente un intero quartiere, nella zona a nordovest di Milano, adiacente a MILANO FIERE, deve essere completamente costruito a partire dalle fondamenta. L’area — uno spazio per il 90% facente capo al capoluogo lombardo e, per il rimanente, al comune di Rho — occupa una superficie di ben 110 ettari. La zona impegnata, adiacente al polo di Fiera Milano, era occupata un tempo da impianti di produzione industriale, il cui cambio di destinazione d’uso e l’acquisizione della proprietà ha comportato una serie di problematiche che hanno purtroppo ritardato l’avvio del masterplan. La gestione dell’evento è stata affidata alla Expo 2015 Spa partecipata dal Comune e dalla Camera di Commercio di Milano, dalla Provincia, dalla Regione Lombardia e dal Ministero dell’Economia. L’area espositiva, la

cui progettazione è stata affidata a giovani architetti neolaureati, ma anche a professionisti di fama mondiale come STEFANO BOERI, RICKY BURDETT e JACQUES HERZOG, prevede un’isola circondata da un canale d’acqua ed è strutturata secondo due assi perpendicolari che rievocano l’architettura delle antiche città romane. I padiglioni nazionali si affacciano tutti su un grande viale lungo un chilometro e mezzo e largo 35 metri. I due assi confluiscono su una enorme piazza, detta Piazza Italia, di 4.350 metri quadrati, mentre a nord sorge il Palazzo Italia che si affaccia su Lake Arena, un lago-arena di quasi cento metri di diametro. All’interno di questa vastissima area sono previste una grande collina artificiale e l’Expo Center, formato da tre blocchi quali l’auditorium, la performance area e il palazzo uffici, parte dei quali sono progettati per essere smantellati alla chiusura dell’Expo, come sempre accade per le Esposizioni Internazionali. Il sito sarà collegato alla città, oltre che dalle infrastrutture classiche, anche dalla Via d’Acqua, un progetto che prevede la riqualificazione della Darsena e di tratti del Naviglio lungo un percorso ciclo pedonale che attraversa il Parco delle Cave. I Paesi che non hanno modo o risorse per allestire un proprio padiglione saranno coinvolti — e questa è

una novità rispetto ai precedenti Expo — secondo criteri di identità tematica o di comune filiera alimentare**. Non è ovviamente tutto qui All’interno dei cinque padiglioni tematici si svilupperanno i temi della nutrizione e della sostenibilità. Il Padiglione Zero ospiterà il contributo delle Nazioni Unite e la Best Practice Area, ossia la raccolta delle migliori esperienze sul tema della nutrizione. Il Parco della Biodiversità sarà un grande giardino di circa 14.000 metri quadrati, posto nell’area nord e adiacente alla Lake Arena, finalizzato alla riproduzione della Varietà della Vita. Il Future Food District è in un’area formata da due padiglioni espositivi identici e da una piazza dove si tratterà il tema dell’evoluzione della filiera alimentare con l’uso delle tecnologie IT e prototipi di luoghi del futuro, compresa una Vertical Farm e una Algae Urban Farm. Nel Food in Art si esplorerà il rapporto con il cibo quale oggetto di riflessione simbolica da parte della specie umana nella storia. Infine, il Parco dei bambini, che verrà realizzato in collaborazione con la città di Reggio Emilia, sarà una straordinaria area ludica ed educativa per i piccoli e le famiglie. In un’area di più di 20.000 metri quadrati, in prossimità del Parco

Masterplan, veduta del canale che dovrebbe circondare l’area dell’Expo. Premiata Salumeria Italiana, 2/14

25


di cogliere sino infondo l’opportunità di mostrare al mondo il meglio di sé, investendo in attività di richiamo turistico, economico e culturale.

Si chiama Guagliò la mascotte disegnata da Disney Italia che rappresenterà l’Expo 2015. Il nome è stato scelto attraverso un contest on-line riservato ai bambini. Si tratta di undici prodotti ortofrutticoli (l’aglio, l’anguria, l’arancia, la banana, il fico, il mais blu, il mango, la mela, il melograno, la pera e i ravanelli), ciascuno con proprie individualità e caratteristiche. Tutti insieme formano una sorridente facciona che ricorda le teste composte arcimboldiane.

della Biodiversità, è progettato uno spazio dei partecipanti non ufficiali, dove sono previsti dei lotti per la realizzazione di auto-costruzioni, cioè padiglioni progettati e realizzati in autonomia dalle aziende, ma allo stesso tempo resi collettivi nell’allestimento secondo un modello a stand. Tra questi parteciperanno come partner globali ufficiali ACCENTURE, ENEL, FIAT, INTESA SANPAOLO, SELEX ES, TELECOM ITALIA, SAMSUNG, COOP ITALIA, CAME, ILLY, EUTELSAT, FIERA MILANO e CISCO. Il Padiglione Italia sarà distinto in due blocchi, uno dei quali dedicato alle Regioni, alle Province e agli altri enti territoriali, ma ospiterà anche il padiglione dell’Unione Europea. Sarà caratterizzato da 2.500 metri quadrati di spazi espositivi, 1.900 di spazi per eventi, 2.300 dedicati ad uffici e aree di rappresentanza e 1.500 per attività di ristorazione. La progettazione è stata fatta dallo studio Nemesis & Partners, insieme a Proger e BMS Progetti, aggiudicatari di un bando internazionale al quale hanno partecipato 68 concorrenti. Il Padiglione Italia sarà la porta d’ingresso del nostro Paese, una straordinaria vetrina e laboratorio di relazioni internazionali e quindi il biglietto da visita del Sistema Italia nel mondo. Una visione ancora “parziale” ma… Benché si tratti di un evento che potrebbe potenzialmente cambiare la nostra immagine a livello planetario, e quindi una manifestazione che per sua natura dovrebbe coinvolgere lo

26

Stivale da Nord a Sud, isole comprese, è evidente una visione lombardocentrica della programmazione che sovrintende alla gestione dell’evento. Nonostante gli sforzi, infatti, il risalto sinora dato alla manifestazione vede un coinvolgimento prevalente del Nord Italia. Il comune di Milano ha stipulato accordi di collaborazione con altre città italiane ed europee, al fine di coordinare iniziative di varia natura che diano all’evento un richiamo mondiale, ma nonostante l’impegno in questa direzione, per ora, tutto sembra convogliato su Milano e l’area metropolitana. La possibilità delle altre Regioni di avere un posto nella manifestazione pare rimanere in capo ad ogni territorio. Il Ministero dello Sviluppo Economico viene incontro alle Regioni mettendo a disposizione dei fondi specificamente dedicati, ma questo sostegno finanziario potrebbe non essere sufficiente per garantire a tutti una visibilità decorosa. I costi di partecipazione sono infatti proibitivi e, di questi tempi, appare ancora più faticosa una presenza qualificata che permetta ad un territorio di distinguersi in un contesto vastissimo dove ogni cosa si può confondere con l’altra. Rimane comunque il fatto che l’Expo sia un’opportunità da tutti i punti di vista e andrebbe sfruttata non solo a ridosso del semestre di apertura dell’Esposizione ma anche prima, durante e dopo e non solo a Milano. Pertanto le singole Regioni, pur nell’attuale drammatica fase economica, dovrebbero fare lo sforzo

…una grande opportunità da cogliere al meglio! Poiché l’area della manifestazione va costruita, allestita e, di seguito, gestita, al momento sono in corso di svolgimento centinaia di appalti e gare. Le occasioni per le imprese di ogni natura (da quelle edili a quelle di progettazione, impiantistica, artigianato, industria e molto altro) sono davvero innumerevoli. Ma ci troviamo già in una fase in cui si stanno assegnando gli spazi di ristorazione, le zone ludiche e i servizi annessi e si stanno definendo le partnership varie. Gli imprenditori del comparto agroalimentare, oltre a valutare le opportunità di lavoro generate dall’Expo, dovrebbero dare uno sguardo attento anche alle prime candidature per la presenza nei padiglioni tematici o in spazi di altro tipo ad essi dedicati. Il tempo corre e il fervore aumenta ma si evidenziano anche difficoltà operative. Prenotare una stanza d’albergo in un “3 stelle” a Milano per l’anno prossimo, e magari durante la manifestazione, potrebbe essere più faticoso e costoso di quanto si immagini. I prezzi per vitto e alloggio nel capoluogo lombardo iniziano, infatti, a schizzare alle stelle. Il peso della logistica su un evento di siffatta mole si fa sentire. La sfida sarà dunque riuscire ad amministrare aspetti di questo genere senza che il meccanismo si inceppi. Ma in una gestione centralizzata delle cose dove tutto deve essere fatto subito e fatto al meglio, fioccano le contraddizioni. In contrasto con lo spirito della manifestazione, in fase di assegnazione delle partnership per la vendita di alcuni prodotti alimentari, si intravede la tendenza all’omologazione e standardizzazione dei prodotti, cibi compresi. È evidente che le necessità di soddisfare grandi numeri (30 milioni di visitatori in 6 mesi, 26 milioni di pasti stimati, 46.000 tonnellate di cibo e 33.000 tonnellate di bevande) impongano una richiesta che solo multinazionali possano soddisfare,

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Siti internet di interesse per le imprese www.expo2015.org www.feedingknowledge.net www.expocantiere.expo2015.org www.padiglioneitaliaexpo2015.com/it www.fondazionemilanoperexpo2015.it/

ma forse uno sforzo in più nella direzione della diversità e nella varietà dell’offerta va fatto. In fondo, non è forse questo il messaggio che l’Expo intende dare al mondo? Problemi a parte, questa è per l’Italia la più grande opportunità di visibilità della storia recente. Questa è una straordinaria sfida che non possiamo perdere senza compromettere in maniera irreparabile la nostra immagine. Questa è un’irripetibile occasione di mostrare all’universo intero chi siamo e cosa facciamo. Mai come oggi dobbiamo quindi mettercela

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

www.tavoliexpo.it www.e015.expo2015.org

tutta per vincere la scommessa fatta alcuni anni fa. Sia l’Expo l’occasione per consolidare la nostra vocazione turistica, per potenziare gli strumenti al servizio dell’internazionalizzazione, per collegare di più e meglio le imprese agroalimentari ai circuiti mondiali di mercato, scienza, ricerca e tecnologia. L’Italia museo deve essere trasformata in laboratorio dell’innovazione, per offrire al mondo una visione nuova e forte dell’eccellenza italiana, una visione che diventi un modello per la salute, la qualità e lo stile di vita. Sebastiano Corona

Note * Dall’intervento a Parigi dell’allora sindaco di Milano e commissario straordinario Letizia Moratti alla cerimonia di registrazione del capoluogo lombardo come sede dell’Esposizione Universale. ** I Cluster sono spazi espositivi innovativi che sapranno raccogliere e organizzare numerosi Paesi all’interno di uno stesso progetto architettonico sviluppato intorno a un tema centrale condiviso da tutti e rappresentativo di ciascuno. L’esito di questo nuovo approccio alla progettazione e alla collaborazione ha portato all'individuazione di nove Cluster. Filiere alimentari — Riso, Cereali e Tuberi, Spezie, Cacao, Caffè, Frutta e Legumi — e identità tematica — Agricoltura e Nutrizione in Zone Aride, Mare e Isole, gli ecosistemi del Bio-Mediterraneo — sono i due criteri scelti per raggruppare i contributi che i Paesi partecipanti porteranno a Expo.

27


Il food in rete

Social food di Elena

1. www.dispensamagazine.com DISPENSA è una gran bella foodzine dedicata a tutti gli amanti del cibo e dell’universo che gli gira intorno. “Dispensa è un giornale da collezionare, di carta (un genere alimentare anch’essa: è carta prodotta con gli scarti di frutta e noci), da leggere con calma, da sfogliare ascoltandone il fruscio, fatto solo di storie (sì, avete visto bene, non ci sono pagine pubblicitarie, solo storie) raccontate con un registro doppio di parole e d’immagini, di generi umani e di generi alimentari”, come recita la testata. Attraverso il sito web www.dispensamagazine.com si accede ai contenuti e ai locali presso i quali è in distribuzione.

2. www.foodfromspain.com È un bel sito in costante aggiornamento su eventi, prodotti, reportage di aziende produttrici dell’eccellenza agroalimentare della Penisola Iberica. Si chiama foodfromspain. com ed è realizzato da ICEX SPAIN TRADE AND INVESTMENT, disponibile in lingua spagnola e inglese (in basso, uno scatto al jamón ibérico, photo © prosciuttopatanegra.it).

2 1 28

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


(europeo) Benedetti

4. www.tastingeurope.com

3. www.aifb.it Food Blogger d’Italia unitevi! Magari nella neo ASSOCIAZIONE ITALIANA FOOD BLOGGER (AIFB) — presente nel web con il sito aifb.it — costituita “dall’impegno di un gruppo di food blogger che, attraverso momenti di incontro e riflessione, hanno investito entusiasmo ed energie nel perseguimento di un’idea in cui credono. Scopo principale dell’AIFB, associazione senza scopo di lucro, è creare reali opportunità di incontro, condivisione, crescita e formazione per tutti coloro che amano il cibo e ne promuovono la cultura attraverso un blog. Degustare, cucinare, scrivere, fotografare, condividere idee e conoscenze sono attività in cui appassionati food blogger si impegnano quotidianamente con entusiasmo e interesse senza pari. Numerose le interpretazioni del ruolo del food blogger, molteplici e in continuo divenire le manifestazioni concrete della sua espressione” (photo © namelymarly.com).

Novità per i buongustai di tutta l’Unione Europea. È attivo da poche settimane il nuovo portale turistico-gastronomico europeo. D’ora in poi tutti gli appuntamenti, fiere, sagre e riunioni culinarie saranno raccontate al pubblico dei viaggiatori europei attraverso il sito tastingeurope.com. Turismo e cucina, da sempre legati a doppio filo, traggono entrambi grandi benefici economici dalla nuova rete disegnata dalla Commissione. Oltre alle nuove opportunità offerte sia all’industria turistica che all’industria alimentare, anche i consumatori posso beneficiare di questo nuovo strumento, sperimentando le particolarità di eventi genuini e collegando tra loro le identità e le tradizioni dei differenti Paesi europei (in basso, Dorset Blue Cheese, Dop inglese).

3

4 Premiata Salumeria Italiana, 2/14

29


Comunichiamo

Penultima lezione

Facebook, buone pratiche di comportamento di Chiara Russotto

N

on è vero che comunicare su social network porta solo dei problemi. I social network apportano grandi miglioramenti al buon andamento di ogni attività, anzi, danno la possibilità di far conoscere il nostro lavoro al di là delle nostre previsioni: perché

attraverso loro parliamo direttamente con i nostri clienti, conosciamo le loro impressioni, riceviamo i loro complimenti e, piano piano, aumentiamo il nostro fatturato. Perché trasformiamo il prodotto in produttore — persona — con la quale colloquiare, diventando referente diretto, vicino

e comprensibile; diamo il modo di conoscere la filiera della nostra produzione, tutte le ultime novità. Vediamo oltretutto — noi utenti — i volti delle persone che lavorano in un’azienda. E questo, nella mente di chiunque, resta, lasciando un ricordo positivo e

Chiara Russotto ha 36 anni, è consulente di comunicazione e titolare insieme a Federico Roveda di Smarti Editrice. Si occupa prevalentemente di food, adora i suoi clienti, cede al cibo per amore, lotta con la dieta, ride, ha due cani ed una passione per i libri che trattano argomenti dei quali, lei, non capisce assolutamente nulla.

30

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


memorabile. Ognuno di noi, infatti, acquista ciò che conosce e ama. Ma sui social network ci sono errori da non commettere MAI. E su questa regola sono ferrea e intransigente come la Rottermaier, pena la compromissione della vostra reputazione aziendale. Quindi signore e signori, come promesso, oggi parleremo del come comunicare e interagire con il vostro pubblico; per cui, senza indugi e incertezze iniziamo questo articolo leggendo i post dell’Immagine 1. Piccolo vademecum da ritagliare e attaccare al PC 1. Ricordati di rispondere sempre educatamente. Qualunque cosa succeda: rispondi sempre educatamente; 2. scrivi bene la tua netiquette aziendale: le regole di comportamento che gli utenti sono chiamati a rispettare sulla pagina Facebook della tua azienda; 3. se qualcuno ti fa innervosire, non rispondere subito, vai a bere una spremuta d’arancia, parla con la persona più simpatica che conosci, riprendi lucidità e, quindi, rispondi educatamente; 4. gli utenti maleducati possono essere bannati, ma non eliminare mai* le critiche costruttive; 5. ricordati che, quando rispondi ad un utente su un social, non stai parlando solo con lui, ma con tante persone!; 6. la fidelizzazione avviene lavorando bene, ma anche nella buona gestione delle criticità; 7. ammetti sempre l’errore. Se qualcuno ti critica, può essere che qualcosa sia veramente andato storto; 8. le critiche sono una risorsa: il cliente arrabbiato è il cliente che credeva nella bontà del tuo lavoro, cerca di recuperarlo, è questo il motivo per cui ti sta scrivendo; 9. le critiche sono una risorsa: ecco cosa migliorare!; 10. utilizza questa occasione per spiegare il tuo lavoro: sii serio e professionale, ribalta la situazione, spiega perché hai operato determinate scelte, assumiti le tue responsabilità.

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

Immagine 1. Case history: il peggio del peggio C’è un universo di storie che potrebbero essere raccontate sul “cosa è bene non fare MAI comunicando”. L’esempio del digital strategist (colui che comunica sui vari social network) di ATAF, l’Azienda di Trasporto Pubblico Fiorentina, ci aiuta a capire meglio il vademecum che vi ho appena lasciato. Ataf ha operato una scelta di grande intelligenza e coraggio aprendo una pagina Facebook ai commenti dei fan. Scelta intelligente, dicevo, a dimostrazione di disponibilità, apertura all’ascolto e all’offerta di un servizio più vicino ai cittadini; e coraggiosa, perché le aziende che offrono servizi di trasporto (o di telefonia) sono sempre

oggetto di grandi critiche da parte degli utenti. Motivo per cui bisogna avere un’ottima capacità di risolvere le criticità (problem solving), essere comunicatori intelligenti ed educati, e avere dalla propria parte una netiquette — ne abbiamo parlato nel numero scorso — ineccepibile. Devo però essere sincera: essere il digital di un’azienda così non è facile. Ogni giorno ci si trova a dover gestire critiche e rancori senza fine e si finisce spesso per dimenticare di essere l’Istituzione Ataf divenendo una Ataf persona (stanca di critiche indipendenti dalla propria volontà). Questa lancia va spezzata, perché, al di là di un comportamento deprecabile, a volte, ci sono ragioni

31


Immagine 2. di sfinimento. Che noi digital non ci possiamo permettere. Ataf, in seguito a questo evento, ha pubblicato un comunicato stampa di scuse e non escludo che nei prossimi mesi migliorerà esponenzialmente la propria attenzione all’utente finale.

seguire (il giorno che avete pubblicato quel determinato post) la vostra pagina, e quante invece vi hanno abbandonato per sempre. Sono informazioni utilissime per migliorare o ottimizzare la vostra comunicazione. Imparate a utilizzarle!

Contenuti di un post Mettiamola così, le fotografie piacciono a tutti e i post fotografici sui social fanno furore: attirano l’attenzione in un secondo, spingono a leggere le parole che li accompagnano! Noi siamo moooolto fortunati, lavoriamo in un settore nel quale le persone non smettono mai di stancarsi: il cibo. Lo so, anche voi la sentite la crisi, ed è difficile, ma il settore gastronomico è l’ultimo comparto a sentire la crisi ed il primo a riprendersi, quindi, tenete duro e comunicate! Chiusa questa parentesi, vi consiglio di fare diversi tentativi di comunicazione. Guardate cosa i vostri utenti gradiscono di più: Facebook ha dotato le pagine aziendali di uno strumento chiamato Insight (Immagine 2) dal quale è possibile capire i trend — il gradimento, l’andamento — dei vostri post, chi è il vostro target, l’età media dei vostri utenti e l’area geografica di provenienza. Non solo: è possibile anche vedere quali sono i post che i vostri utenti hanno bannato, nascosto o condiviso, quante persone hanno cominciato a

Tono di un post Facebook è il media della convivialità e della comunicazione informale. Create post di contenuto interessante e pertinente alla vostra attività, alcuni post su curiosità e altri con consigli, o ricette per valorizzare al meglio i vostri prodotti. Se non siete portati, fate svolgere questo lavoro alle vostre dipendenti più portate al rapporto clientelare, creative o estroverse… o ai vostri figli e nipoti, che per i nuovi media sono molto portati. Non postate troppe futilità, alternate e variate il tono, create un rapporto con i vostri utenti rispondendo sempre a tutti i commenti e messaggi. Perché? Supponiamo che Mario Rossi scriva sulla bacheca della vostra azienda qualcosa come “Ho provato per caso i vostri prodotti, sono buonissimi!!”. Rispondetegli subito e non solo con un Like. Mario Rossi è una grandissima risorsa: • primo, perché vi ha dedicato del tempo dimostrando il suo apprezzamento;

secondo, perché attraverso questa semplice azione ha dato la possibilità alla vostra azienda di essere conosciuta presso tutti i suoi amici, che in un istante vedranno quel post comparire sulla loro bacheca, permettendovi di fare conoscere la vostra azienda al di là di ogni vostra previsione. Per questo dovete avere cura di ogni utente che interagisce con voi, anche solo con un “Grazie Mario!” Questo discorso vale ancora di più se si sta parlando di criticità. Se Mario Rossi scrive una terribile critica alla vostra professionalità, tutti i suoi amici saranno attenti alla vostra risposta e al valutare, attraverso la vostra risposta, la bontà della vostra disponibilità e professionalità. Nel prossimo articolo parleremo del come pubblicizzare la vostra azienda su Facebook e dei concorsi a premio. Chiara Russotto Nota * Ho lavorato per sei mesi come manager di un ristorante in avviamento. Mi sono resa conto che il fatto che rispondessi positivamente alle critiche su Tripadvisor — il ristorante proponeva una cucina commovente — spingeva gli utenti a diffidare delle critiche, convincendoli a provare il ristorante per crearsi un’opinione propria… nel 90% dei casi, entusiasta.

Domandateci, chiedeteci, contattateci: ogni mese, attraverso questa rubrica, risponderemo alle mail che ci sembreranno più utili ad approfondire gli argomenti trattati. Vi preghiamo di darci più informazioni possibili, così da rendere i nostri consigli efficaci o nel caso siate interessati ad argomenti specifici, di comunicarcelo a info@pubblicitaitalia.com

32

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Premiata Salumeria Italiana, 2/14

33


34

SANPIETRO_2012.indd 1

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Premiata Salumeria Italiana, 2/14

35

1-12-2011 17:29:15


Aziende Da Felino alle valli della Carnia

Perla d’Ampezzo: quel qualcosa in più che fa la differenza di Gaia Borghi

L

i troveremo tra poche settimane a Cibus “sotto lo stesso tetto”: Nuova Boschi e Perla d’Ampezzo, due marchi sinonimo di salumeria d’eccellenza. L’uno da tempo affermato nella produzione di prosciutto di Parma in quel di Felino, l’altro nato solamente da un paio di anni ad Ampezzo, nei monti della Carnia, ma vantando già risultati a dir poco incoraggianti. Un unico stand per due realtà distanti territorialmente ma vicine per quanto concerne la filosofia produttiva e,

36

prima ancora, più concretamente, per ciò che riguarda la proprietà. Nuova Boschi è infatti la maggior azionista di Servus Spa, l’azienda da cui nascono i salumi a marchio “Perla d’Ampezzo”. Un piccolo stabilimento, con soli 5 dipendenti per il momento, che da poco più di sei mesi lavora a pieno regime, ma che ha portato una ventata di ottimismo in un’area che da tempo soffre di un progressivo spopolamento. «La riapertura di questo salumificio ha rappresentato un segnale davvero molto importante

per la comunità locale, che fa fatica ad offrire prospettive lavorative ai suoi giovani. Erano almeno dieci anni che nessun imprenditore investiva più in questa zona». Così ci racconta Enrico Delfini, amministratore delegato di Nuova Boschi e primo a credere e volere fortemente questo nuovo marchio che, già nel nome e nel logo associato (una perla che nasce tra i fiori di una delle tante vallate incontaminate della Carnia), evoca il forte legame con il territorio e le sue tradizioni salumiere, la sua splendida natura,

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Nello stabilimento di Ampezzo (UD) vengono prodotti diversi salumi; in particolare, speck e prosciutto affumicato. i suoi profumi, i colori, e il valore, l’unicità degli speck, dei prosciutti affumicati e degli altri salumi che rappresentano vere e proprie “vette della qualità”. Servus Spa nasce dunque dalla volontà di Enrico Delfini di implementare l’offerta di Nuova Boschi, incentrata nel solo prosciutto crudo, con nuovi prodotti, «la cui richiesta ci è stata segnalata dalla nostra rete commerciale, una cinquantina di agenti che operano in tutto il Paese» precisa Delfini. I salumi di cui stiamo

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

parlando, realizzati con le carni di maiali di provenienza comunitaria, sono lo speck (Più) e il prosciutto affumicato (Foresta d’Ampezzo); della gamma poi fanno parte anche il Perla d’Ampezzo, Gocciolo e il Dolce Carnia, «ma ne stiamo studiando anche altri, con particolari peculiarità, che lanceremo sul mercato molto probabilmente entro la fine dell’anno, sostenuti in questo anche dal successo che stiamo ottenendo» continua Delfini. I primi dati di vendita sono estremamente positivi e negli obietti-

vi di Enrico Delfini e del suo staff c’è la volontà di aumentare in un futuro decisamente breve gli attuali 1.600 pezzi settimanali. «Vede — prosegue Delfini — il nostro settore ha voglia di novità. D’altronde, non è che si possa stravolgere un prosciutto o uno speck nelle sue caratteristiche per così dire “essenziali”. Ciò che si può fare, però, è lavorare ad esempio sul sapore: gli speck in particolare, oltre ad un’estetica differente da quelli tradizionali, più alti e a doppia fesa, si distinguono per un’affumicatura

37


sua volta da un numero molto limitato di persone. A volte ci vuole solo un po’ di coraggio per proporre qualcosa di nuovo, un gusto differente, lontano dalle abitudini gastronomiche della nostra regione di appartenenza. Quello che garantiamo noi come azienda è l’eccellenza qualitativa dei nostri prodotti e il grande impegno profuso per ottenere il meglio». E non è affatto poco!

Enrico Delfini, amministratore delegato della Nuova Boschi di Felino (PR). Il prosciuttificio parmense è il maggior azionista della Servus Spa, da cui escono i prodotti a marchio Perla d’Ampezzo. molto molto leggera. Si tratta di un prodotto dolce e quindi ideale anche per quei consumatori che si stancano in fretta del gusto affumicato. Inoltre, dopo uno studio accurato e tante prove, abbiamo trovato delle bacche locali che donano al prodotto un aroma inconsueto, originale, che ha incontrato immediatamente il gradimento della nostra clientela». Il target a cui si rivolge Nuova Boschi attraverso Perla d’Ampezzo è infatti quello che già conosce e vende i prelibati prosciutti con l’an-

38

gioletto del Parmigianino. Sono le salumerie e gastronomie che ancora propongono le eccellenze del made in Italy salumiero e che in quel saper fare che ci contraddistingue — e fa sì che tutto il mondo cerchi, invano, di imitarci — ci credono davvero, proponendo ai propri clienti prodotti non omologati. «Il ruolo del “salumiere” tradizionale è fondamentale in questo» sottolinea Delfini. «Come per il prosciutto affumicato ad esempio: una produzione di nicchia conosciuta a

La ristorazione non è amica del prosciutto Sul ruolo di chi i nostri salumi li vende ci sarebbe molto da discutere. L’educazione alimentare del consumatore è infatti un elemento imprescindibile perché la salumeria italiana sia apprezzata come merita e quindi l’acquirente arrivato davanti al bancone o al tavolo di un ristorante sia disposto a pagare un prezzo equo perché quel prodotto lo conosce, sa come si realizza, riesce a percepire le differenze tra un salume di eccellenza e un prodotto di scarso valore. «Oggi tutti parlano solo di prezzo, la qualità è passata in secondo piano, e non è una questione legata solo alla crisi economica che il Paese sta attraversando» precisa Delfini. Manca, infatti, nella maggior parte delle persone una cultura alimentare di base, quella che ti consente di effettuare degli acquisti con consapevolezza e che sola nasce dalla conoscenza. «La stessa ristorazione italiana non difende il nostro prosciutto» racconta un po’ sconsolato l’amministratore di Nuova Boschi. «Pensi solo alle differenze con la Spagna che del suo Jamón ha fatto un vero e proprio simbolo nazionale!». Proprio per i ristoratoti a Cibus ci sarà una sorpresa, con i prosciutti Nuova Boschi e i salumi di Perla d’Ampezzo proposti nel piatto in maniera originale, accostandoli ad “elementi” inconsueti, per creare nuove sinergie di sapori. Come direbbe il topino-chef protagonista del film Ratatouille: dalla fusione di alimenti differenti può nascere un’esplosione di gusto che si trasforma in visione. Gaia Borghi Nota A pagina 36, una vallata della Carnia.

Premiata Salumeria Italiana, 2/14



Sai che c’è di nuovo? Lo spaccio aziendale Busti Completo di sala di stagionatura e futuristica sala di degustazione, è stato aperto nel nuovo caseificio a due anni dal trasferimento, portando a compimento un progetto che continua a guardare lontano di Riccardo Lagorio

A

due anni dal trasferimento nel nuovo caseificio, tecnologicamente avanzato, ma soprattutto concepito con criteri di funzionalità all’avanguardia, Busti ha appena completato il progetto con l’apertura di un nuovo punto vendita, dotato di emozionante sala di stagionatura ed una futuristica sala degustazione. Il caseificio ha permesso di ottenere una maggiore costanza nella qualità del prodotto, grazie ad un ambiente modernamente strutturato,

organizzato ed attento alla gestione delle temperature, facendo così venire meno la variabilità legata agli agenti atmosferici esterni ed enfatizzando semmai la mutevolezza del prodotto legata esclusivamente al ciclo stagionale del latte. A questo proposito l’esempio ci è dato da una primavera particolarmente piovosa: l’erba è opulenta ma il terreno è flaccido e potrebbe infastidire gli animali. È allora l’intervento dell’esperto casaro che deve sapere scendere in campo,

lavorando con abilità il latte. Così Busti si è rafforzato sul mercato, grazie all’offerta di prodotti qualificanti dell’arte casearia italiana. «Ci siamo imposti sul mercato con un incremento costante del 10% sui due ultimi anni, passando da 10 a 12 milioni di euro, un incremento studiato, mirato, ponderato per far fronte all’esposizione finanziaria degli ultimi grandi investimenti compiuti e dell’esposizione che è naturale nel nostro lavoro: il latte

Una parte della vasta gamma dei formaggi Busti in vetrina nel punto vendita annesso al caseificio di Fauglia.

40

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


lo paghi dopo 30 giorni mentre per vendere il formaggio devi aspettare parecchi mesi!» esclama STEFANO BUSTI, il motore di questo straordinario lavoro di rifondazione dell’azienda. In questa galleria casearia si contano circa 50 tipologie di formaggio tra freschi e stagionati, destinati alla vendita diretta nello scintillante spaccio, alla ristorazione ed alla Grande Distribuzione. Uno in particolare ci ha colpito, il pecorino affinato nelle foglie di tabacco e nei grandi orci di terracotta, in vendita esclusivamente nel punto vendita di Acciaiolo, per la peculiarità dei profumi, della persistenza, del piacevole pizzicorio finale del tutto simile al gusto della foglia di tabacco. Ma tanti altri meriterebbero attenzione perché unici di sapore e rinvenibili proprio nel punto vendita, come il pecorino affinato sotto cenere, il Pecorino toscano DOP stagionato e il Pecorino toscano DOP con muffe sulla crosta che lo rendono completamente edibile. Grazie allo spazio aperto della stagionatura, lo spaccio è un utile strumento per avvicinare il pubblico al mondo del formaggio, alla sfera dei pecorini di Casa Busti ma anche alle selezioni scelte come il Parmigiano Reggiano DOP, per mesi stagionato proprio quaggiù nel piano interrato sotto il negozio. Il pecorino al pepe, il pecorino Metello, il pecorino stagionato in fossa, quello denominato Frescoverde cosparso di erbe aromatiche (menta, coriandolo, santoreggia, rosmarino e salvia) ed immerso nell’olio, oltre al Pecorino del Parco di San Rossore ed il Transumanza, dal latte dei pascoli della Garfagnana. Sono solo alcuni dei più interessanti esempi che si possono trovare nei cataloghi dei Busti e per i quali l’azienda ha acquisito l’opportuna nomea sul mercato. Ma negli ultimi mesi gli scaffali Busti si sono arricchiti anche di prodotti freschi: il latte intero pastorizzato del Parco, il pecorino di fossa spalmabile e lo yogurt di vacca in insoliti vasetti bianchi e neri maculati. Mentre per l’estate è già in fase avanzata di studio per i ristoranti ed i bar la bottiglia di latte e menta, opportuna anche per le primavere e le estati

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

Oltre a 50 tipologie di formaggi freschi e stagionati, Busti mette in vetrina anche altri straordinari prodotti della tradizione italiana, dalla carne ai vini.

41


degli agriturismi. «Ma non vogliamo fermarci qui» afferma Stefano Busti. «Questo locale si candida a diventare una bottega italiana di grandi prodotti artigianali dove si troveranno paste, salumi, conserve di pesce, confetture e centinaia di prodotti sfiziosi». A dire il vero sembra quasi impossibile potere migliorare gli scaffali che già ora arricchiscono i frigoriferi dello spazio vendita. I vini, quasi tutti toscani, di grande fascino e tradizione, vengono ad esempio serviti a bicchiere con un particolare dispenser che funziona con carta dotata di microchip ricaricabile. Nel grande banco frigo anche carni di agnello massese e di suino allevato nel pisano, nutrito anche con il siero derivante dalla lavorazione del latte aziendale. Al piano superiore i tavolini, informali nello stile, sono disposti tutt’attorno alla grande apertura che permette di apprezzare lo spazio vendita con uno sguardo. Qui si organizzano percorsi didattici aperti sia a clienti che a diversi operatori e a scuole o si possono consumare merende insieme ai diversi produttori che si susseguono domenica dopo domenica illustrando le loro creature («mettendoci la faccia» suggerisce Busti). Nel futuro si ipotizza da parte dei Busti un importante ruolo del piano dedicato al ristoro, che sarà impostato verso la semplicità: sotto si possono acquistare i prodotti assaggiati. Già attivi la cucina ed il forno per grigliate e pizze. Tutto però lascia presagire ad un raggiante avvenire per il caseificio Busti: la casuale collaborazione con ‘ino il panino di Alessandro Frassica in via de’ Georgofili di Firenze (che utilizza i pecorini al pistacchio, allo zafferano, al pesto e fresco verde) ha catapultato Busti nei negozi Eataly di mezzo mondo. La giusta conquista per chi ha osato in un periodo di carenza di idee. Riccardo Lagorio

In alto: Stefano Busti con una forma di Pecorino Toscano Dop a pasta tenera. In basso: il nuovo punto vendita punta a diventare una bottega del prodotto artigianale d’alta qualità.

42

Caseificio Busti Snc di Busti Remo e C. Via Guglielmo Marconi, 10 56043 Fauglia (PI) Telefono: 050 650565 E-mail: info@caseificiobusti.it Web: www.caseificiobusti.it

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Premiata Salumeria Italiana, 2/14

43




Mercati

Il Parmigiano Reggiano tiene alta la bandiera del made in Italy Presentati alla conferenza stampa del Consorzio di tutela i dati relativi al 2013 e quelli previsionali per l’anno in corso. L’export del re dei formaggi italiani vola e in soli 5 anni la quota di prodotto andata oltre confine è raddoppiata. Dal 2014 in risalita anche le quotazioni di Anna Mossini

I

consumi interni tengono nonostante la crisi. Ma il +5% dell’export incassato nel 2013 dimostra che un altro gioiello dell’agroalimentare made in Italy ha tutti i requisiti per conquistare ulteriori fette di mercato estero. Stiamo parlando del Parmigiano Reggiano, il re dei formaggi italiani, che nelle scorse settimane è stato protagonista della conferenza stampa organizzata

dal Consorzio di tutela, incontro ormai consueto in cui vengono illustrati i dati relativi all’anno precedente e delineati i contorni dell’attività programmata per quello in corso. Obiettivi ambiziosi Partiamo allora dai primi. Oggi il 34% della produzione totale prende la via dei Paesi oltre confine, percentuale che equivale a 45.800 tonnellate di

prodotto (nel 2012 erano state 43.569) e che negli ultimi cinque anni è praticamente raddoppiata. Da qui al 2020 l’obiettivo è quello di arrivare a esportare il 50% della produzione totale, ma ancora di più per i vertici del Consorzio del Parmigiano Reggiano è importante riuscire a far percepire sempre meglio le caratteristiche e l’unicità del prodotto attraverso azioni informative/formative molto

Parmigiano Reggiano: il 34% della produzione, nel 2013, è stato esportato oltre confine. Da qui al 2020 il progetto è quello di riuscire ad esportare il 50% del totale.

46

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


articolate capaci di valorizzarlo al meglio, sia dove esistono margini di crescita legati ai suoi tratti distintivi, sia dove si manifesti la necessità di sottrarlo a una dinamica di consumi globali in recessione. Nel 2014 ben 13,7 milioni di euro, cioè parte del bilancio del Consorzio che ammonta ad un totale di 22,9 milioni, saranno destinati alla promozione del Parmigiano Reggiano sia in Italia che all’estero con azioni mirate. Un’altra parte del bilancio sarà poi destinata all’attività di controllo e vigilanza. Nell’anno che ci siamo lasciati alle spalle, di contro, sono state controllate singolarmente ben 3.500.000 forme nei caseifici, a cui si sono aggiunte le verifiche effettuate all’interno degli esercizi commerciali che in totale hanno interessato 1.748 punti vendita. «Un sistema obiettivamente oneroso — sottolineano dal Consorzio — ma necessario per assicurare ai consumatori e ai produttori quella tutela che non si può semplicemente rivendicare o delegare ad altri, ma che richiede un ruolo attivo da parte di chi rappresenta un sistema così importante per l’agroalimentare italiano, per migliaia di imprese e decine di migliaia di operatori». Tenuta dei consumi Dopo un 2013 che in fatto di quotazioni ha conosciuto due facce della stessa medaglia — con i primi sette mesi dell’anno ferme ben al di sotto di quelle registrate nell’anno precedente — mentre da agosto in poi la ripresa si è consolidata fino ad arrivare a dicembre incassando il miglior risultato dell’anno, 9,05 €/kg, l’inizio del 2014 non ha mai registrato minimi al di sotto dei 9 €/kg, con punte addirittura di 9,40 €/kg. «Si tratta di valori che non si toccavano dall’ottobre 2012 — ha spiegato il presidente del Consorzio, Giuseppe Alai — e che, associati a diversi altri elementi positivi, lasciano intravedere un futuro più soddisfacente per i produttori, alle prese con rilevanti aumenti di numerose voci che incidono sul costo di produzione complessivo». Nello specifico, tra i fattori positivi il presidente ha elencato in primis il calo delle giacenze che nel 2013 ha registrato un -4,3%, con un’ulteriore

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

Il tavolo dei relatori alla conferenza stampa. Al centro, il presidente Alai. accelerazione partita ad agosto; la flessione produttiva che lo scorso anno si è fermata a 3.279.156 forme a fronte delle 3.307.221 del 2012 e la tenuta dei consumi interni, che nella Grande distribuzione organizzata non ha superato l’1% «peraltro ben compensata dall’incremento delle vendite effettuate direttamente presso i caseifici o altri canali di vendita, al punto da registrare un saldo positivo soprattutto se si considera che le vendite di formaggi duri, nel 2013, a livello nazionale hanno registrato un -2,3%».

Tutela della redditività Ma è la redditività degli allevatori quello che sta particolarmente a cuore al presidente del Consorzio. «La stabilità dei redditi dei produttori è il nostro primo obiettivo — ha proseguito — e da questo punto di vista pensiamo che il 2013 sia stato un vero anno di svolta per il Parmigiano Reggiano. A settembre, infatti, con l’unanimità di tutta l’assemblea, è stato avviato il Piano di regolazione dell’offerta, norma contenuta all’interno del Pacchetto

Terremoto, già erogati quasi 5 milioni di euro Entro il prossimo mese di maggio, verosimilmente, tutti i caseifici non assicurati dovrebbero essere risarciti. Stiamo parlando ancora dei danni causati dal terremoto del 20 e del 29 maggio 2012. Il presidente del Consorzio, Giuseppe Alai, ci tiene a ricordare che gli effetti del sisma si sono completamente diluiti rispetto alle scorte; che complessivamente, ad oggi, sono stati erogati qualcosa come 4.823.429 euro nell’attesa di completare il percorso delle istruttorie per la quantificazione di danni e dei risarcimenti. Ma per arrivare a questi risultati, peraltro raggiunti in tempi che vanno considerati rapidi rispetto agli standard a cui il nostro Paese è purtroppo abituato, è come se si fosse mossa una grande onda oceanica fatta di solidarietà, voglia di ricominciare, ostinazione, attaccamento alla propria terra. «Dentro a un dramma come quello che abbiamo vissuto — ha voluto puntualizzare Alai — bisogna riuscire a vedere un altro aspetto positivo che non riguarda solamente la capacità dell’intera filiera nel rimettersi in piedi. Sappiamo tutti quanto i caseifici danneggiati dal terremoto siano stati pronti ad avviare le vendite on-line delle forme colpite per impedire che, lasciate a terra, si rovinassero irrimediabilmente. Ebbene, il 30-40% dei consumatori che hanno acquistato direttamente presso i caseifici dopo il terremoto si sono fidelizzati al prodotto. Non credo servano ulteriori commenti». A. Mo.

47


Con l’applicazione del Piano di regolazione dell’offerta, contenuto nel Pacchetto latte, quest’anno la produzione si fermerà a 3.250.000 forme, 29.000 in meno del 2013. Latte, che di fatto lega il nostro sistema e individualmente ognuno dei suoi 3.500 allevatori, ad un governo della produzione che ne sancisce un più diretto legame con il territorio e il mercato, proprio finalizzata ad

esercitare una tutela attiva dei redditi, altrimenti impossibile senza un’ordinata crescita che ponga fine a oscillazioni che anche nel recente passato, pensiamo solo al 2011 sul 2010, hanno determinato crescite

annue superiori al 7%. E per il 2014, in base al Piano approvato a settembre, la produzione si fermerà a 3.250.000 forme, 29.000 in meno rispetto allo scorso anno» Anna Mossini

Revoca degli arresti domiciliari per Riccardo Deserti, per il Tribunale del Riesame non ha sottratto i documenti al MIPAAF Il 3 febbraio scorso, pochi giorni dopo la conferenza stampa del Consorzio del Parmigiano Reggiano, le cronache davano la notizia che l’ormai ex direttore dell’ente, Riccardo Deserti (al momento di andare in stampa non risulta che il Consorzio lo abbia reintegrato nel suo ruolo manageriale, Ndr) era agli arresti domiciliari per una presunta sottrazione di documenti avvenuta all’interno degli uffici del ministero per le Politiche Agricole e Forestali. Un fulmine a ciel sereno, anche perché Riccardo Deserti, alla conferenza stampa, sedeva a fianco del presidente Giuseppe Alai. Successivamente, era il 19 febbraio, il Consorzio divulgava un comunicato in cui si annunciava che il Comitato esecutivo dell’ente aveva sospeso Deserti dalle sue funzioni di direttore. Dopo un mese dal provvedimento giudiziale, il 3 marzo, l’ex dirigente è tornato libero. Il Tribunale del Riesame di Roma, infatti, ha annullato in toto l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale capitolino che lo aveva confinato agli arresti domiciliari, disponendo la revoca di ogni misura precedente emessa nei suoi confronti. In una nota diffusa dai suoi avvocati difensori, Gian Luigi Pieraccini e Monica Guerzoni, si legge che nell’interrogatorio di garanzia l’ex direttore del Consorzio “ha spiegato con dovizia di particolari che i documenti non erano stati sottratti, bensì si è trattato di una detenzione del tutto inconsapevole in quanto asportati per errore, assieme a corposo materiale di lavoro personale che Deserti aveva accumulato nel corso di 6 anni di lavoro al Ministero e che aveva portato con sé al momento delle dimissioni dall’ufficio ministeriale”. Nel dicembre 2012 Riccardo Deserti finì una prima volta agli arresti domiciliari nell’ambito di un’inchiesta su corruzioni e appalti ai danni del MIPAAF, inchiesta che portò all’arresto di altre 10 persone. Il 4 gennaio 2013, però, l’ordinanza di custodia cautelare fu annullata e Deserti ritornò al suo incarico di direttore del Consorzio del Parmigiano Reggiano assunta il 5 giugno 2012. A. Mo.

48

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


iJ TBQPSJ HFOVJOJ EJ VOB WPMUB w - 1 " &%22!2) %2)/ #

3 P A

,-. "( +" “

- 1 ĂŠ/ * ĂŠ

Premiata 49 Salumi¿ cioSalumeria FerrariItaliana, Erio &2/14 C. S.p.a. – Via Canaletto Nord, 565/A – 41122 MODENA – ITALY Tel. +39 059 310015 – Fax +39 059 450251 – E-mail: info@salumiferrari.it


Speck Alto Adige Igp, produzione stabile Oltre 2,3 milioni di baffe vendute, soprattutto in Italia e Germania. Piace il prodotto preaffettato e confezionato pronto per l’uso

N

onostante la crisi dei consumi in Italia, si mantiene stabile la produzione dello Speck Alto Adige IGP. Nell’attuale congiuntura economica si registrano numeri importanti che confermano la scelta di investire sulla qualità e l’identità del prodotto. È significativa l’alta percentuale di Speck IGP sul totale della produzione: ben il 37% del prodotto è contraddistinto con l’ormai storico marchio di qualità di Indicazione Geografica Protetta. Positiva soprattutto la risposta dei

mercati esteri, a partire dalla Germania e dagli Stati Uniti, così come cresce l’interesse anche da parte di paesi come il Belgio e il Giappone. Lo Speck Alto Adige IGP raggiunge pertanto una vasta platea di consumatori, in larga parte affezionati al prodotto al punto da continuare ad acquistarlo con regolarità. Se nel 2012 lo speck complessivamente prodotto in Alto Adige, a marchio IGP e non, aveva mantenuto le posizioni e rafforzato l’export in Europa, nel 2013 la produzione ha

conosciuto un significativo balzo in avanti, rispondendo nella maniera adeguata a una domanda in costante crescita. Lo scorso anno sono state prodotte in Alto Adige 6.409.151 baffe, pari a circa 28.850 tonnellate, con incremento del 3% rispetto al 2012. In termini assoluti confermata la produzione dello Speck Alto Adige IGP, pari a 2.372.845 baffe, che rappresenta circa il 37% del totale e resta il prodotto più noto sia in Italia che all’estero. In Italia, e in particolare

Lo Speck Alto Adige Igp deve la sua unicità alla tradizionale regola di produzione “poco sale, poco fumo e molta aria”.

50

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Baffe di speck in fase di stagionatura. nelle regioni settentrionali, viene venduto il 62% della produzione di Speck Alto Adige IGP, mentre la quota di esportazioni oltre confine cresce, in particolare in Europa, facendo dello Speck Alto Adige uno dei prodotti italiani di salumeria maggiormente esportato. In Germania viene esportato il 33% dello Speck IGP prodotto, il 4% in più rispetto allo scorso anno. Dietro alla Germania troviamo l’Austria (2,5%) e gli Stati Uniti, con un significativo 2%, in costante crescita, seguiti da altri promettenti mercati come Belgio, Svizzera, Slovenia, Repubblica Ceca, Polonia e Giappone. Quasi la metà dello Speck Alto Adige IGP viene venduta in tranci sottovuoto (48%), mentre le baffe intere coprono il 21% del mercato. In costante crescita la quota di prodotto affettato, arrivata al 31% del totale. Confermato quindi in pieno il grande interesse per le vaschette di speck preaffettato e confezionato. L’affermazione di questa tipologia di confezionamento rispecchia la mutata esigenza del consumatore di

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

oggi, alla ricerca di soluzioni all’insegna della praticità e del risparmio di tempo in cucina, senza rinunciare a un prodotto di alta qualità. I tranci di speck sottovuoto mantengono la quota di mercato e si confermano la tipologia di confezione più venduta nel reparto libero servizio, soprattutto per i tagli più piccoli (⅛ e ⅟10). Il successo dello Speck Alto Adige e l’interesse che riscuote sui

nuovi mercati sono dovuti anzitutto all’impegno dei produttori sul fronte della qualità e della salubrità. Da oltre vent’anni, poi, il Consorzio di Tutela è in prima linea nel tutelare la produzione tradizionale e nel promuovere l’autentico Speck Alto Adige IGP, all’insegna della tracciabilità, della sicurezza alimentare e del gusto inconfondibile di un prodotto unico e straordinario.

Il Consorzio per la promozione dello Speck Alto Adige è stato costituito nel 1992 da parte di 17 produttori e sotto l’amministrazione della Camera di Commercio di Bolzano. Il Consorzio è autorizzato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali secondo il Decreto del 04/12/2003 a rappresentare gli interessi dei produttori di speck. Gli ambiti di attività del Consorzio Tutela Speck Alto Adige sono la politica di qualità, la tutela del marchio e le iniziative promozionali, regolamentati da chiare direttive contenute nelle leggi dell’UE (Reg. 510/2006), dello Stato Legge 526/99) e della Provincia Autonoma di Bolzano. Nello svolgimento di tali attività il Consorzio collabora attivamente con diverse istituzioni sia a livello locale che nazionale: la Provincia Autonoma di Bolzano, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, l’istituto indipendente Nord Est Qualità (INEQ), l’organizzazione export Alto Adige della Camera di commercio (EOS). >> Link: www.speck.it

51


Il prosciutto di Modena Dop impenna la produzione Il 2013 si chiude con il segno più: un traguardo reso possibile anche grazie alle iniziative promozionali e all’e-shop

C

on un aumento della produzione pari al 50% rispetto all’anno precedente, il Prosciutto di Modena DOP chiude in positivo il 2013 e guarda con ottimismo al futuro. Un bilancio incoraggiante (75.000 cosce prodotte contro le 50.000 del 2012) frutto di iniziative promozionali mirate, sia in Italia che all’estero, e del nuovo canale di vendita on-line “Piacere Modena”.

In fiera e nel web Questa specialità della tradizione salumiera emiliana, protagonista di varie degustazioni a livello locale nel corso del 2013, è approdata lo scorso ottobre ad Anuga, il salone mondiale dei prodotti alimentari e delle bevande di Colonia. Un’occasione significativa che, favorendo il contatto con buyer da tutto il mondo, ha permesso di esaltare le potenzialità del Prosciutto di Modena DOP, calamitando l’attenzione dei mercati esteri. I risultati positivi raggiunti incoraggiano il Consorzio a proseguire questa attività tanto che sarà presente alla prossima edizione di Cibus a Parma, in programma dal 5 all’8 maggio, presso il Pad. 2 Stand H 056. Oltre alle iniziative promozionali, ad incidere positivamente sulla crescita della produzione di questa prelibatezza gastronomica modenese si aggiunge la piattaforma di commercio digitale firmata “Piacere Modena”, canale preferenziale per la valorizzazione e l’acquisto anche all’estero delle tipicità culinarie della tradizione emiliana. Lanciato nei mesi scorsi, l’e-shop consente

52

Il prosciutto di Modena DOP dalla caratteristica forma a pera. di acquistare direttamente on-line sul portale multilingue numerose proposte alimentari dei Consorzi di tutela e delle DOP e IGP provinciali della società Palatipico, tra le quali anche il Prosciutto di Modena DOP. L’areale modenese è da tempo considerato un riferimento per la lavorazione della carne suina proprio grazie all’antica e radicata tradizione salumiera e gastronomica. La zona di produzione del Prosciutto di Modena corrisponde alla fascia collinare e alle valli che si sviluppano attorno al bacino oro-idrografico del fiume Panaro, comprendendo anche territori delle province di Bologna e Reggio Emilia, dove hanno luogo tutte le varie fasi di lavorazione. Questa specialità si presenta con la classica forma a pera, di colore rosso vivo al taglio e segue un rigido disci-

plinare di produzione che impone una stagionatura minima di 14 mesi, che in alcune versioni particolarmente pregiate presenti sull’e-shop può raggiungere anche i 30 mesi. «Il Prosciutto di Modena DOP è un prodotto premium realizzato da cosce di suino di prima qualità nel rispetto di un rigido disciplinare di produzione — sottolinea Anna Anceschi, direttore del Consorzio del Prosciutto di Modena — il marcato aumento della produzione è il riconoscimento degli sforzi compiuti per la tutela e la promozione della nostra DOP e dimostra come non solo i consumatori, ma anche i produttori, siano coscienti del valore aggiunto di questa specialità della tradizione salumiera emiliana». >> Link: consorzioprosciuttomodena.it

Premiata Salumeria Italiana, 2/14



Prodotti tipici

Prosciutto carsico, rara bontà contadina di Giorgio Montanari

C

on la specialità di cui andremo a parlare, percorreremo paesaggi del nord della nostra penisola. Eccoci in Friuli Venezia Giulia, regione caratterizzata da panorami dove si scorgono all’orizzonte le montagne, la “bassa” con un’interessante vegetazione e il mare. Siamo nella zona carsica, di confine con le nazioni della ex Jugoslavia, figlia di dominazioni asburgiche. Tanti sapori hanno dun-

54

que influenzato e arricchito la cucina locale: dalle tradizioni povere del Veneto si utilizza la farina di mais e la polenta (elemento base per il Paparot o lo Zuf), dalle culture germaniche si mutua l’abitudine di minestre, minestroni o gnocchi (Cialson della Carnia, Pistum con le verze). Nel campo dei salumi tipici sono decisamente famosi, anche fuori regione, due tipi di prosciutto stagionato: il San Daniele DOP e il Sauris

IGP. In pochi, invece, conoscono il prosciutto carsico (ribattezzato anche “carsolino”); ecco perché saremo noi ad avere il piacere di descriverlo nelle prossime righe. Questo salume viene prodotto nelle zone dell’altopiano carsico, territorio di confine fra Italia e Slovenia. Solo poche realtà semi-artigianali mantengono in vita questa tradizione: le principali cantine sono ubicate nella zona di Monrupino, che abbrac-

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


cia le località di Zolla, Rupingrande e Fernetti. Vi sono tracce di questo piatto anche nei paesi di Lokev o Kobjeglava. Gustare il Carso Sono le storiche procedure contadine, amalgamate con l’abilità individuale, a dare origine a un crudo di qualità. Si parte, ovviamente, dalla genuinità della materia prima. I suini sono allevati nei territori carsici, da sempre caratterizzati da condizioni climatiche particolarmente adatte alla lavorazione di salumi (clima costantemente ventilato, bassa umidità relativa dell’aria, escursioni termiche). L’alimentazione degli animali si basa su cereali, radici, semola e patate, tutti, ovviamente, reperibili in zona. Dopo l’uccisione dell’animale, l’operatore scarta le cosce imperfette (con ematomi od ossa rotte) e le rifila, donando al semilavorato la classica forma ovale, “a chitarra”. La carne viene quindi messa in salamoia per un mese; successivamente viene lavata con acqua e poi cosparsa con pepe (in alcuni casi si utilizza anche la paprica). La fase seguente è quella del riposo, che dura da uno a due mesi; avviene a temperature leggermente più alte rispetto al precedente step e porta la coscia a un calo peso del 15% circa. In queste settimane, in asciugatoio viene bilanciata la quantità di sale presente all’interno delle fasce muscolari, svelando le premesse per quello che sarà il prodotto finito. L’ultima fase riguarda la stagionatura, che può subire variazioni a seconda della pezzatura della coscia e a seconda del gusto del cliente: la tempistica media oscilla fra i dodici e i diciotto mesi (tradizionalmente il carsolino trascorreva i primi sei mesi in soffitta e poi, con l’arrivo

Le caratteristiche tecniche fondamentali che rendono unico il prosciutto del Carso, prodotto secondo la lavorazione tradizionale, sono la salagione a secco e la modica quantità di sale utilizzato. delle stagioni calde, sostava per altri sei-dodici mesi in cantina). Dopo aver svelato i segreti della produzione, soffermiamoci sull’invitante aspetto del prodotto finito. La superficie esterna, ricoperta da cotenna, è di colore nocciola chiaro tendente al rosa. Tagliando il prosciutto si apprezza la piacevole tinta rossa uniforme della carne, che non nasconde masse muscolari più o meno scure. La copertura di grasso è di un gradevole colore bianco tendente al rosa. La fetta è compatta, ben soda, in grado di sprigionare il tipico profumo di carne stagionata. La cucina friulana è vivacemente caratterizzata da prodotti saporiti, ecco perché si ritiene che il Carsico abbia un gusto più deciso rispetto ai crudi più blasonati (il Parma e il San Daniele, per esempio). Sia affettato in maniera piuttosto spessa e accompagnato a pane poco salato, sia tagliato a julienne e gustato insieme a pecorino istriano dolce, il nostro

“oggetto dei desideri”, indiscusso principe di queste pagine, fa venire l’acquolina in bocca. Ideale se abbinato a un vino bianco friulano non troppo deciso. La produzione del prosciutto carsico è molto limitata; per reperirlo è bene recarsi presso qualche negozio specializzato della zona, oppure contattare qualche artigiano che ancora, con la dedizione tramandata da generazioni contadine, per passione o per lavoro non vuole fare scomparire questa antica tradizione gastronomica. Giorgio Montanari Nota A pagina 54 il Castello di Predjama o Castel Lueghi. A pochi chilometri da Trieste, ma oggi in territorio sloveno, il castello cela l’ingresso ad un vasto sistema di grotte carsiche, che si snoda nel sottosuolo su più livelli (photo © giorgiaboitano.files.wordpress.com).

Il CARSO (Kras in sloveno e croato, Cjars in friulano), noto anche come Altopiano Carsico o Carsia, è un rilievo roccioso calcareo che si estende nel nord-est dell’Italia dai piedi delle Alpi Giulie al mare Adriatico (in provincia di Gorizia e Trieste), attraverso la Slovenia occidentale e l’Istria settentrionale, prosegue fino al massiccio delle Alpi Bebie (Velebit) all’estremo nord-ovest della Croazia, estendendosi così nell’Italia, nella Slovenia e nella Croazia. In particolare, il monte Carso è una modesta altura di 456 m che si trova all’imboccatura della Val Rosandra, in provincia di Trieste. Il Carso è ricco di migliaia di grotte di varie dimensioni, le più famose sono la grotta Gigante, le grotte di San Canziano e le grotte di Postumia. Il territorio del Carso comprende la riserva naturale delle falesie di Duino.

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

55


Il cicotto di Grutti: quintessenza della porchetta Si può ben dirlo, visto che questa specialità umbra raccoglie gli aromi e le spezie che colano durante la cottura della porchetta. Prelibatezza di cui si ha notizia già nei trattati di cucina del ‘500 di Michele Bracieri

N

el 2012 il Salone del Gusto di Torino ha celebrato due prodotti tipici provenienti dall’Umbria, una delle regioni italiane che maggiormente legano il proprio nome alla buona tavola e al rispetto per la tradizione. I delegati della fiera culinaria piemontese, infatti, sono stati accolti da due piatti tipici provenienti dalla terra d’origine del Santo Francesco: la “zuppa umbra dell’Alleanza” (realizzata con fagiolina del Trasimeno, roveja di Civita di Cascia, fava cottòra dell’Amerino) e il cicotto di Grutti. Grutti è una piccola frazione collinare di 500 abitanti situata nei pressi di Gualdo Cattaneo, in provincia di Perugia, un borgo medioevale che nel corso degli anni ha saputo mantenere intatto il suo fascino. Il nome del paesino è associato ad uno dei prodotti più particolari realizzati in Umbria: qui, infatti, fino a poche decine di anni fa, era ancora in funzione un forno a legna di proprietà comunale che le famiglie utilizzavano per cuocere la porchetta e, appunto, il cicotto. Ma se la porchetta è diventata alimento di fama internazionale, lo

stesso non si può dire del suo piatto gemello, tanto che Slow Food ha creato un presidio ad hoc per preservarne la tradizione anche negli anni a venire. Notizie di questa prelibatezza, infatti, sono già rintracciabili nei trattati di cucina del ‘500: il termine “cicotto” stava a indicare il cosciotto del maiale, da cui derivano alcuni ingredienti essenziali del prodotto, realizzato cuocendo tutti i tagli dell’animale e le sue eccedenze, stinchi, trippa, orecchie, zampetti e altre interiora. Le carni vengono poste all’interno di una vasca e lasciate cuocere in un forno che viene collocato proprio sotto la porchetta: gli aromi e le spezie che colano durante la cottura (miscela di rosmarino fresco, aglio rosso di Cannara, pepe nero e finocchio) conferiscono al cicotto quel sapore unico e accattivante che ha spinto alcuni a definirlo come “la quintessenza della porchetta”. Una simile preparazione veniva utilizzata anche in altre aree dell’Umbria, ma limitatamente allo stinco del maiale. Il cicotto cuoce alla temperatura di 200°C con un procedimento molto lento che varia dalle 9 alle 12 ore; la

L’ottimo cicotto di Grutti (photo © www.turismogualdocattaneo.it). morbidezza delle sue carni si deve alla grande attenzione che viene riposta in questa fase: quando non esistevano i forni elettrici e lo spiedo veniva ancora girato a mano, la preparazione della porchetta e del cicotto poteva addirittura raggiungere le 18 ore. Successivamente, questa specialità viene fatta raffreddare in ceste apposite, in modo che possa perdere i grassi e i liquidi della cottura, ma può

I produttori consorziati Luca e Mauro Benedetti 06035 Gualdo Cattaneo (PG) Località Grutti Via del Monte, 36 Telefono: 0742 98881

56

Maurizio Biondini 06035 Gualdo Cattaneo (PG) Località Grutti Via Torino, 41 Telefono: 0742 98163

Enrico Natalizi 06035 Gualdo Cattaneo (PG) Località Grutti Via Umberto I, 5 Telefono: 0742 98370

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


MODENA

IL TERRITORIO DEI LAMBRUSCHI DOP

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

Lambrusco di Sorbara Lambrusco Salamino di Santa Croce Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Lambrusco di Modena

www.enzopancaldi.it

essere anche conservato e riscaldato in un secondo momento. A Grutti oggi ci sono tre produttori che mantengono viva la produzione di cicotto e che utilizzano la tecnica di lavorazione originale che è stata tramandata di padre in figlio. Le carni per realizzare il prodotto provengono dagli allevamenti della media valle del Tevere, cresciuti in condizioni ottimali e senza ricorrere ad alimenti geneticamente modificati. Il prodotto viene infine distribuito nei mercati della zona o attraverso la vendita diretta in baracchine mobili. Il modo più comune di consumarlo è accompagnato con del pane casereccio, ma nella cucina tradizionale umbra viene utilizzato anche per preparare sughi, oppure abbinato a ceci e fagioli (i legumi costituiscono l’altra grande ricchezza culinaria del territorio), e in un ricetta tipica viene persino accostato alle lumache di terra. Per poter degustare il cicotto è quindi necessario recarsi in queste zone caratteristiche del Centro Italia. Il periodo migliore per visitarle è a maggio, mese in cui viene organizzata una speciale manifestazione culinaria denominata “Porchettiamo” (precisamente a San Terenziano, borgo medioevale nei pressi di Gualdo Cattaneo; quest’anno i giorni della fiera saranno il 9, 10 e 11 maggio; per ulteriori informazioni si veda il sito ufficiale: www.porchettiamo.com), un festival delle porchette d’Italia dove è possibile assaggiare anche il vero cicotto d’autore. Ogni anno, infatti, qui viene allestita un’area molto particolare chiamata la “Piazza della porchetta”, dove degustare e conoscere i differenti tipi di porchette realizzate nella zona; il visitatore potrà così sperimentare tutte le differenti tipologie esistenti, potendone cogliere specifici sapori e peculiarità. Ce n’è davvero per tutti i gusti! Michele Bracieri

www.lambrusco.net

57


58

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Ventricina vastese vanto della norcineria italiana Vincitrice dell’8a edizione del Campionato Italiano del Salame tenutosi a Cernobbio, per lei è stato ideato anche un festival di Michele Bracieri

I

l Vastese, zona in provincia di Chieti tra l’Abruzzo e il Molise, comprende circa trenta comuni che basano parte della propria economia sull’allevamento del maiale. Persino il grande BOCCACCIO in una pagina del “Decameron” evidenzia, attraverso un famoso dialogo con Frate Cipolla, come “in terra d’Abruzzi gli uomini e le femmine vanno in zoccoli su pe’ monti, rivestendo i porci delle lor busecche”, ovvero… insaccando la carne di maiale nelle budella. Anche se rispetto ai tempi dello scrittore di Certaldo la situazione è cambiata, nel Vastese la produzione di salami è ancora largamente praticata

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

e la lavorazione della carne di maiale è considerata un’arte che si tramanda di padre in figlio. Tra i prodotti più noti di questa zona citiamo la coppa di testa farcita con erbe aromatiche, i salsicciotti e i capocolli stagionati quattro mesi e il pregiato “prosciuttile”, ovvero il cosciotto di suino lievemente affumicato al fuoco di tronchetti di mandorlo, o, ancora, la salamella di fegato, i guanciali e le corate: tutti prodotti realizzati con il maiale nero autoctono di quest’area di confine. Ma nella colline e nelle zone pedemontane, che si estendono da Scerni-Cupello fino a Schiavi

d’Abruzzo, viene preparato uno dei salumi fiore all’occhiello della grande tradizione italiana: la ventricina vastese, fresca vincitrice (ma già nel 2009 si era aggiudicata lo stesso riconoscimento) del “Campionato Italiano del Salame” edizione 2013, manifestazione che per l’ottavo anno consecutivo si è svolta a Cernobbio, in provincia di Como. Per promuovere le qualità di questo pregiato salume, a Carunchio (CH) è stato ideato perfino un Festival dedicato alla Ventricina, giunto nel 2013 alla sua seconda edizione. La ventricina è uno dei prodotti in assoluto più ricercati delle norcinerie del Belpaese, perché viene realizzato

59


La ventricina è realizzata con i tagli più nobili del maiale: prosciutto, lombo, filetto spalla. Importante nella concia l’utilizzo del finocchio selvatico. La legatura, in genere a doppia briglia o per mezzo di una rete per alimenti, è realizzata interamente a mano con spago di grosse dimensioni. esclusivamente con i tagli più nobili del maiale: prosciutto, lombo, filetto, spalla. La carne magra rappresenta l’80% del totale di questo salume, ma anche il grasso utilizzato nel restante 20% è considerato di alta qualità, poiché proviene dal dorso, la parte più soda del maiale, o dalle guance. Parliamo di un insaccato di carne tagliata al coltello in cubetti difformi della grandezza variabile fra 2 e 4 cm, che viene preparato senza l’utilizzo di additivi chimici, zuccheri e derivati del latte. Gli anziani della zona consigliano di iniziare a lavorare il suino nelle notti in cui la luna è assente.

La carne per l’impasto, prima di essere tagliata a mano, viene perfettamente dissanguata, scotennata, disossata e privata delle principali frazioni connettivali. La parte magra e quella grassa vengono poi macinate insieme, e quando l’impasto è ormai pronto nella concia si aggiungono aglio, pepe bianco e pepe nero, peperone dolce (varietà “corno di capra” e “paisanella”) e, in percentuale minore, peperoncino; molto importante è l’utilizzo del finocchio selvatico, che cresce spontaneamente in queste zone. Per conservare il prodotto, la tradizione vuole che venga utilizzato esclusivamente sale; dopo un paio di

Ventricina campione d’Italia: al Campionato Italiano del Salame organizzato dall’Accademia delle 5T (territorio, tradizione, tipicità, territorialità, trasparenza) partecipano esclusivamente aziende che producono salami naturali. L’edizione 2013 è stata vinta con un ex aequo dall’azienda “La Noce” di Montazzoli (CH) e dall’azienda “Di Fiore” di Fresagrandinaria (CH), entrambi produttrici di ventricina. Al secondo posto, sulle 33 aziende ammesse a partecipare, si è classificata “Le tre Casette” di Gessopalena, anch’essa in provincia di Chieti, che proponeva il salsicciotto alle erbe. Insomma, quando si parla di salami e generalmente di insaccati quest’area dell’Abruzzo non teme confronti, anche con quelle zone d’Italia che negli ultimi 20-30 anni hanno beneficiato di strategie di comunicazione meglio strutturate. È dunque il caso di affermare che l’area del Vastese rappresenta l’eccellenza per la produzione di salame di qualità in Italia.

60

giorni di riposo il preparato è già pronto per essere insaccato nella vescica del maiale (in origine si adoperava soprattutto lo stomaco del suino, il “ventre” appunto, da cui il prodotto deriva il nome). La legatura, in genere a doppia briglia o per mezzo di una rete per alimenti, è realizzata interamente a mano con spago di grosse dimensioni. Alla fine il salame, di forma irregolare con tendenza all’ovale e il cui peso può raggiungere i 3 kg, viene bucherellato con aghi sottili in prossimità delle bolle d’aria e quindi appeso al soffitto a stagionare per circa quattro mesi in ambienti a temperatura non superiore ai 14°C.

Si stringono la mano Stefano Di Fiore, dell’omonima azienda teatina, ed Eliana Di Ciano, de “La Noce”, con le loro ventricine vincitrici del CIS 2013.

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Trascorsi i primi 40-50 giorni, si spalma intorno all’insaccato un leggero strato di strutto, al fine di limitare il calo di peso del salame, che solitamente si manifesta negli ultimi due mesi di stagionatura. Al termine del processo la carne del salame risulta di colore rossastro, con una grana grossa e disomogenea, tanto che si possono ben distinguere i vari pezzi di carne e le parti di grasso. Il sapore è leggermente dolce, o piccante (in base alle proporzioni inserite nell’impasto), e il suo aroma raggiunge una fragranza senza paragoni. La ventricina si accompagna molto bene con pane casereccio e con del Cerasuolo, un vino abruzzese dal color rosso ciliegia dotato di un odore gradevole, delicato e con un esile gusto mandorlato. Michele Bracieri Nota A pagina 59 ventricina appesa per la stagionatura (photo © www.visitterredeitrabocchi.it).

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

Giovane manifestazione per un prodotto storico della zona: il Festival della Ventricina del Vastese è nato appena nel 2012. Il Festival si candida sin dagli esordi ad essere itinerante: la prima edizione, infatti, si è svolta a Roccaspinalveti, mentre la seconda, nel luglio 2013, si è svolta a Carunchio, incantevole borgo del Vastese. Promossa dal Comune di Carunchio, Pro Loco Carunchio, Salumificio La Genuina Sas e Azienda Agricola Il Biancospino, con il patrocinio dell’Assessorato all’Agricoltura della Regione Abruzzo, l’edizione 2013 ha accolto i visitatori per una due giorni di degustazioni dedicati alla scoperta di questo salume fatto con cubi grossolani di carne e grasso di maiale, condito con peperoncino dolce e piccante, e insaccato nel ventre del suino, da cui il nome “ventricina”. Secondo la tradizione, è il salume dell’amicizia e della festa: quando ci si ritrova con gli amici o i parenti si “rompe” la ventricina. Tra degustazioni presso i vari stand di produttori del territorio e ristorazione gourmet, altri appuntamenti hanno arricchito l’appetitoso programma del festival: un convegno con autorità ed esperti sullo sviluppo locale legato a questo prodotto, un’asta del ghiotto salume il cui ricavato è andato alla Caritas, un concerto d’organo nella chiesa di San Giovanni, e la santa messa con la benedizione delle ventricine.

61


Salame rosa, l’antenato sconosciuto della mortadella di Giorgio Montanari

F

iglio di 500 anni di cultura contadina bolognese, il Salame rosa oggi rappresenta una “ultra nicchia” nel panorama alimentare, la cui sopravvivenza è affidata a pochissime realtà produttive. Le sue origini affondano nell’Emilia del XVII secolo; il consumo di questo prodotto è continuato fino all’inizio del Novecento, periodo in cui la convivenza con la ben diffusa mortadella si è resa più dura: quest’ultima, infatti, è stata in grado di conquistare progressivamente fette di mercato sempre maggiori, decretando così il lento tramonto dei consumi di salame rosa. Oggi la fabbricazione di questa specialità ha natura limitata ed artigianale. Risulta quindi indispensabile l’impiego di materie prime ideali. La scelta della carne di maiale in primis determina il successo di tutto il processo di lavorazione. La parte magra è ricavata dal trito di spalla e di prosciutto: l’operatore li macina grossolanamente o li taglia a punta di coltello al fine di ottenere cubettoni di due-tre centimetri per lato. Il segreto per ottenere un risultato “a regola d’arte” è impiegare tagli corrispondenti a muscoli più lunghi, che permettono di mantenere lo stesso colore chiaro anche dopo le fasi di cottura. Il colore delle carni magre caratterizza storicamente il prodotto finito tanto da averne ispirato il nome (“salame rosa”, appunto). Ogni ricetta necessita del giusto equilibrio di sapori e di consistenze così, anche nel caso di questo salume, la parte magra va bilanciata con la giusta percentuale di grasso: nella lavorazione del salame rosa si impiegano cubetti di guanciale, magari prediligendo l’area dove, accanto al tessuto adiposo, si deposita un sottile e chiaro strato muscoloso. Dopo

62

aver scrupolosamente selezionato e mondato le carni si passa alla fase di concia, composta da sale, pepe nero in grani ed aglio fresco (alcune versioni

prevedono l’uso del rosmarino). L’impasto viene poi insaccato in involucro sintetico e, successivamente, posto a cottura in un forno a secco, dove deve

Il salame rosa del Salumificio Bonfatti di Renazzo di Cento (FE), presentato a Taste 2014 (photo © Elena Benedetti). Premiata Salumeria Italiana, 2/14


sostare dalle 15 alle 24 ore. Ultimata questa fase il salame rosa è pronto alla vendita. Mortadella-salame rosa: trova le differenze Il salame rosa si presenta con una forma cilindrica, a sigaro, che rimanda subito all’icona del più celebre salume di Bologna: la Mortadella IGP. Si riscontrano, però, alcune differenze fra questa celebrità ed il meno noto “cugino”. Nella preparazione della mortadella, ad esempio, è presente la trippa, ingrediente che invece risulta assente nella ricetta del salame rosa. Al taglio, la mortadella presenta un colore roseo omogeneo ed uniforme, dato dalla densità dell’impasto prima della cottura; il salame rosa, invece, permette di distinguere, come in un goloso mosaico, l’alternanza fra carni magre, caratterizzate da diverse tonalità di rosa (dal rosso-aranciato al rosa tenue), e piccole parti di grasso bianco. Nel secondo salume è facile dunque distinguere i vari pezzi di carne, cosa che nella mortadella, vista la diversa macinazione dell’impasto, non è possibile. Dopo un’analisi visiva è bene passare ora ad un parere legato al gusto. Il salame rosa è appetitoso, delicato e lievemente aromatico. Potrebbe ricordare un arrosto di carne bilanciato col classico sapore della mortadella. Si consiglia quindi di servirlo come semplice farcitura di un ghiotto panino, oppure di sposarlo alla giardiniera di verdure (affinché si alternino consistenze e profumi complementari). Disponibile in commercio in pezzature variabili a seconda del canale di vendita, segnaliamo che ai privati sono generalmente riservate le produzioni di piccola taglia (attorno al chilogrammo per pezzo), mentre agli esercizi commerciali o ai ristoranti vengono invece destinati i formati “extra large”, dai cinque ai dodici chilogrammi. L’auspicio è che, anche grazie a queste pagine, la tradizione del salame rosa non scompaia ma, anzi, sia vista con curiosità e possa permetterne l’avvicinamento a nuove generazioni di appassionati gourmand. Giorgio Montanari

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

FRANCESCHINI_CASTELLO.indd 1

11-11-2011 9:59:56


Tendenze

Mangiare insetti: tanti i vantaggi, diversi gli aspetti da approfondire di Giulia Mauri

D

urante l’interessante seminario “L’altro cibo, il cibo degli altri – Negozi, ristoranti etnici, insetti e…”, che si è tenuto all’edizione 2013 della convention Sicura (Modena, 24 e 25 settembre), ha avuto occasione di intervenire con un’articolata presentazione anche VALERIO GIACCONE del Dipartimento di Medicina Animale, Produzioni e Salute dell’Università di Padova. Il suo compito è stato quello di presentare gli insetti come “alimento possibile” dal punto di vista normativo, di scoprire l’alimento insetto e gli aspetti di salute pubblica legati all’entomofagia. «Durante l’evoluzione l’uomo si è nutrito regolarmente di insetti e tutt’ora in Africa, Asia e Americhe questi animali sono visti come integratori della dieta» ha esordito Giaccone. Anche gli antichi Romani li apprezzavano: è passato alla storia il cossus, un piatto a base di larve di Lucanus cervus allevate su farina e vino. Ancora oggi si mangiano formaggi coi vermi, ad esempio il Furmai nis e il Casu marzu. Infine, esistono formaggi con gli acari (si tratta dei Tyroglyphus). In un caso e nell’altro (vermi e acari), la loro presenza favorisce la maturazione del formaggio in quanto producono degli enzimi lipolitici. Dunque l’utilità alimentare degli insetti è riconosciuta e va ben oltre la produzione di miele e melata. Eppure noi continuiamo a vedere gli insetti come fonte di pericolo per la sicurezza alimentare, come elementi che distruggono le derrate e le contaminano. Sicuramente esistono anche insetti che svolgono queste azioni di

64

deperimento del cibo. E sono tanti. Ma quanti sono invece gli insetti interessanti dal punto di vista alimentare? Oggi nel mondo si consumano regolarmente più di 1700 specie differenti di insetti. Il numero di insetti edibili è molto differente nei diversi continenti. Nel 2010 JOHNSON ha registrato le specie mangerecce e ha raggiunto questi risultati: nelle Americhe addirittura il 39% degli insetti sono commestibili (pari a 679 specie), mentre in Europa solo il 2% (41 specie). In Africa è il 30% (524

specie), in Asia il 20% (349), mentre in Australia si arriva solo al 9% (152 specie). Quando parliamo di insetti parliamo in realtà di un mondo vastissimo in termini zoologici. È dunque indispensabile dividerli ulteriormente in gruppi, detti Ordini: ad esempio ci sono i salterini Ortotteri (grilli, cavallette e locuste), gli Isotteri (le termiti), i bei Lepidotteri (farfalle e bachi da seta), gli Emidotteri (insetti arboricoli), i fastidiosi Ditteri (mosche e zanzare), i molto più simpatici

Lollipops di insetti.

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Coleotteri (maggiolini e coccinelle), gli strabilianti Imenotteri (formiche, api e vespe). In tutti questi Ordini si individuano specie edibili. Sono ben 468 fra i Coleotteri e 351 fra gli Imenotteri. I Ditteri sono appena 34, ma tanto, piccoli come sono, sarebbe più la fatica che altro… In totale, sommando le specie di tutti gli Ordini si arriva a 1681 specie commestibili. Adesso, non potete dire che in tutto questo bendiddio non trovate nemmeno un prodotto che vi piaccia! Inoltre, dovete ricordare che per molte specie è possibile mangiarle in vari stadi di crescita. Insomma, non è certo la varietà di gusto e forme ciò che manca nell’entomofagia! Appurato che gli insetti commestibili sono davvero parecchi, passiamo brevemente in rassegna alcuni vantaggi del loro allevamento (di cui abbiamo parlato nell’articolo “Insetti: perché sì, perché no”, in EUROCARNI n. 3/2014, pag. 72): questi animali hanno uno straordinario indice di conversione alimentare perché sono pecilotermi, ovvero consumano meno energia e convertono meglio i vegetali rispetto alle specie zootecniche classiche. Sono molto prolifici e a rapido sviluppo, come ben sa chi non li apprezza in casa propria. Necessitano di pochissimo spazio vitale ed emettono poca CO2. Hanno una resa al macello in media pari addirittura all’80% del peso vivo. Per convincerci del fatto che non sono poi così male Giaccone gioca anche un’ultima carta: di insetti ne mangiamo già. E parecchi. Senza saperlo ognuno di noi mangia circa 500 g di insetti all’anno sotto forma di coloranti e frammenti. L’americana FDA ammette fino a 60 frammenti di insetti nella cioccolata e 5 uova e 1/2 larve di mosca nei succhi di frutta. Bene. Ma quali sono gli aspetti igienico-sanitari che dobbiamo prendere in considerazione per accettare il consumo umano di insetti? Anche per quel che riguarda questi animali, infatti, non è tutto oro quello che luccica. A volte possono contenere metaboliti tossici per loro stessa natura o che sequestrano dall’ambiente. Le sostanze difensive che producono potrebbero causare irritazioni da

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

Alta cucina con gli insetti all’Aphrodite A Nizza, il ristorante Aphrodite di Boulevard Dubochage (premiato con una stella Michelin) è balzato agli onori della cronaca perché il suo giovane chef David Faure propone ai clienti più curiosi — e temerari — alcuni piatti composti anche da insetti. Tutti rigorosamente biologici, naturalmente. Grilli essiccati, grigliati e vermi della farina sono diventati gli ingredienti principali di diverse ricette che stimoleranno sicuramente nuove sensazioni. Nel sito del locale infatti si legge: “Aphrodite vi invita ad effettuare un viaggio sensoriale, attraverso una cucina tecnoemozionale, in cui si valorizzano i prodotti del mare e della terra, unendo tradizione e ipercreatività, al fine di apportarvi nuove e inaspettate tentazioni”. Vi lascerete tentare?

Francia: la vendita di alimenti a base di insetti è già una realtà È notizia di dicembre 2013 che in Francia i supermercati Auchan e Carrefour, sull’onda del successo di alcuni ristoranti di grido che hanno inserito nel loro menu gli insetti, hanno proposto ai loro consumatori “snack salati a base di cavallette e crema di cipolle”, “vermi insaporiti con la soia” e “larve di bambù al curry”. Fra il disgusto e la sorpresa dei consumatori, l’iniziativa è stata giudicata di successo, tanto che Carrefour ha deciso di inserire questi prodotti nell’offerta alimentare natalizia. L’articolo non riporta quali soluzioni normative siano state trovate per rispettare la normativa europea in campo alimentare, ma certamente questo aspetto è stato preso in considerazione e risolto dall’azienda. D’altra parte, la battaglia più difficile è quella dell’accettabilità, in Europa, degli insetti come cibo. Vinta questa, le altre sono quisquilie.

contatto e allergie per inalazione, ingestione o contatto. Ma questo non ci deve scoraggiare. Dobbiamo solo conoscere bene le specie adatte che possono essere destinate al consumo. Ci sono poi anche aspetti microbiologici da prendere in considerazione. Sono poco conosciuti e gli studi in merito sono pochissimi. Forse sono poco probabilmente vettori attivi di

patogeni, ma possono essere veicoli passivi di patogeni e di alteranti che prendono dall’ambiente. E non è una scoperta. Ma anche qui basta attivarsi correttamente: bisogna sottoporre gli insetti a efficaci trattamenti di lavorazione, quali sicuramente la cottura e poi forse anche l’essiccazione, la disidratazione e la marinatura. Giulia Mauri

65


Sapori mediterranei

Un’indagine gustosa: il mistero “parmigiana” di Giorgia Fieni

I

l nome può trarre in inganno, il sapore di certo no. Perché con qualunque tipo di verdura sia preparata è sempre gustosa, filante, capace di accontentare tutti i palati… Tranne nel caso in cui il titolo della ricetta sia “alla parmigiana”, e allora vi deve piacere per forza il celebre formaggio della Val d’Enza, visto che ne è l’ingrediente principe. Il termine in sé, parmigiana, invece non ha attinenze con la città: pare che derivi dal siciliano parmiciana, con cui si indicano le listelle che compongono la persiana, dal momento che il piatto viene realizzato “a strati”. Risolto l’enigma dell’etimologia, rimane quello della ricetta e risolverlo sarà difficile. Iniziamo dunque dagli elementi che abbiamo a disposizione e valutiamoli uno per uno. Mettiamo perciò sul tavolo l’ingrediente base, poi la sua preparazione, la cottura, la farcitura e la composizione finale. E, volendo complicarci la vita, consideriamo anche le varianti alla ricetta tradizionale. Ingrediente base: melanzana. Sul mercato ne troviamo di diverse qualità: Violetta di Napoli, Black Beauty, Tonda comune di Firenze, Gigante bianca di New York, Violetta nana precoce, Larga Morada, Bianca ovale, Precoce di Barbentane, Violetta lunga palermitana. I casi sono due: o le studiate con attenzione una ad una o vi fidate del vostro istinto e del punto vendita (traduzione: ne scegliete una che vi ispira e pace). Preparazione: le ricette più gustose richiedono tempo e dedizione, quindi bisognerebbe lasciare spurgare le melanzane con sale grosso sotto un peso per alcune ore. La cucina moderna ci insegna, però, che i tempi vanno ottimizzati, per cui è

66

permesso semplicemente tagliarla e concentrare la propria attenzione sul tenere o no la buccia…Se deciderete di scartarla, però, non buttatela: ci sono molte ricette del riciclo che vi delizieranno! Ma non divaghiamo. Cottura: ovvero si fa presto a dire frittura. Olio d’oliva o di semi? Farina, uova, tutti e due, nessuno dei due? Qui gli indiziati sono tanti, il mistero si complica eccessivamente e saremmo tentati di abbandonare le indagini. Ma per fortuna ad attenderci c’è la farcitura, un metodo di lavoro in cui tutto è concesso, per definizione. Pomodoro: fresco, passata, sugo, concentrato, con origano e/o basilico o anche no. Formaggio: mozzarella, parmigiano, pecorino, provola. Altre

aggiunte: prosciutto cotto, uova sode, polpette, rombo agli agrumi (suggerimento di BRUNO BARBIERI), ragù di manzo e besciamella al kefalotiri (tipo moussaka greca), capperi. Composizione finale: direi che, iniziando dal pomodoro e procedendo a strati con melanzane e formaggio, terminando con parmigiano, pangrattato e olio, per la giusta gratinatura, mettiamo d’accordo tutti. Varianti, ovvero una presentazione capace di stupire. La “palma d’oro” direi che la vince la coppa Martini riempita di salsa di pomodoro, spuma di melanzane e formaggio e completata con foglie di basilico fresco e cioccolato di Modica grattugiato. Alla pari con la parmigiana dolce:

Melanzane alla parmigiana (photo © polveredipeperoncino.com).

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


fette di melanzana fritte e cosparse di zucchero a velo, crema di ricotta e pinoli, cioccolato sciolto (magari alternando il fondente a quello al latte) e amarene. Molto curiosa è l’idea di frullare melanzane, pomodoro, basilico, parmigiano, olio extravergine di oliva, sale, pepe, latte e presentarla nei vasetti delle spezie su pezzettini di bufala (e in questo caso è perfetta come sugo per la pasta, come appetizer in cui intingere verdure fresche e come condimento per le bruschette). Mistero risolto? Forse sì, perché ognuno di noi di certo trova nascosta in ciò che ho scritto la sua ricetta preferita, quella che ha imparato dalla mamma, dalla nonna, su un blog o in un programma televisivo. Ma come in ogni libro giallo che si rispetti, ad attenderci dopo il finale c’è sempre un epilogo che ci fa saltare tutti sulla sedia e ribalta completamente le certezze che ci siamo finora costruiti. E il mio si chiama: “usiamo un altro ingrediente base ed altre farciture”. Finocchi con burrata e grana. Radicchio con provola affumicata, straccetto di manzo fritto, pomodori. Carciofi con pomodoro, fior di latte, basilico, parmigiano. Zucchine con: mozzarella, mortadella e salsa di pomodoro; scamorza, acciughe sottolio, pomodori cotti in forno; grigliate fino al punto di disidratarle e servite in barattolo con passata densa di pomodoro casalinga, dadini di fior di latte, basilico e cipolla, da cuocere a bagnomaria, privare degli ultimi due ingredienti e dorare sotto il grill; “inscatolate” in uno spaghetto di grano e servita con frittelle di alici, baccalà e ceci arrostiti (PINO LAVARRA). Bietole con salsa di pomodoro, mozzarella di bufala, basilico, grana. Cardi con besciamella, parmigiano, ragù di carne. Zucca con caciocavallo, mozzarella, salsa di pomodoro, grana, basilico. Nel bailamme delle ultime rivelazioni, con la confusione che si è creata magari qualcuno ne approfitta, ha estratto la teglia dal forno e sta scappando con tutti gli indizi della gustosa parmigiana che abbiamo cucinato oggi… Presto allora: all’inseguimento! Giorgia Fieni

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

67


Rassegne

Identità Golose: 10 anni di gusto e di successi Si è svolto dal 9 all’11 febbraio il famoso congresso di cucina ideato e curato da Paolo Marchi, con la collaborazione di Helmut Köcher, accompagnato dal Milano Food&Wine Festival di Laura Franchini

C

ompie 10 anni Identità Golose e lo fa con successo di pubblico e intelligenza. “Una golosa intelligenza” è infatti il tema della decima edizione perché, come ha dichiarato Marchi, «mai come in un periodo di profonda crisi economica serve essere intelli-

genti». Negli spazi di Fieramilanocity si sono succeduti chef italiani e stranieri, cavalcando, ognuno a modo suo, il tema del congresso. Numerosi gli appuntamenti suddivisi nelle sezioni Identità Naturali, Identità di Sala, di Pasta, di Pane e Pizza, di Acqua e di Birra, il Dossier Dessert, fino a

Identità Libri. Tanti i protagonisti e gli interventi: i tristellati Massimo Bottura e Heinz Beck, i bistellati Moreno Cedroni e Carlo Cracco, i colleghi Davide Oldani, Jeremy Bearman, Antonino Cannavacciuolo e molti altri. E visto che l’abilità in cucina è anche femminile, un focus

Lo chef Massimo Bottura ha portato sul palco di Identità 2014 la cucina vissuta come squadra, presentando il team femminile della Francescana: Sara, Virginia, Jessica, Mineko, Alessandra e Laura, ognuna con un piatto di sua creazione (photo © Brambilla-Serrani per Identità golose).

68

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Carlo Cracco e Davide Scabin all’opera (photo © Brambilla-Serrani per Identità golose). dedicato a due grandi donne chef: Lidia Bastianich e Nadia Santini. Paese ospite dell’edizione 2014 la Tailandia, rappresentata dagli chef Dylan Jones e Bo Songvisava del ristorante Bo.lan di Bangkok e da Chumpol Jangprai, vero e proprio ambasciatore della cucina tailandese in patria e all’estero, executive chef dell’impero gastronomico Blue Elephant. Jangprai ha proposto tre ricette: le polpette di gamberi — in cui i gamberetti di fiume secchi vengono sostituiti dai gamberi di mare freschi — sono una sinfonia di note piccanti e speziate (aglio, radice coriandolo, pepe), dove la croccantezza della panatura di fiocchi di riso contrasta con la morbidezza dei gamberi pestati con lardo e albume. Il profumato riso jasmin viene insaporito con brodo di pollo, lemon grass e zafferano e poi mantecato con latte di cocco cremoso. Il Gang Lian è un curry a base di zucca, funghi, erbe e pollo che accompagna di filetti di branzino rosolati in padella. Prin Polsuk, sous-chef dell’australiano David Thompson al Nahm di

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

Bangkok, presenta una ricetta ereditata dalla mamma, originaria della Birmania, che è quasi un omaggio al ragù italiano, un gustoso relish a base delle parti grasse del maiale e pomodori, con un ingrediente segreto: la pasta di fagioli fermentata, tipica delle sue zone. Henrik Yde, chef-patron del Kiin Kiin a Copenhagen e Bangkok, propone una ricerca delle sfumature gustative del cavolo fermentato, alla base della tradizione tailandese. Sfumature che riesce a far emergere anche dalla salsa d’ostrica che accompagna il manzo brasato con le spezie scure. Grande sensibilità verso le materie prime nell’intervento di Mauro Uliassi di Senigallia che prepara, in onore del pesce del suo mare, una zuppa di patate affumicate, pasta e pesce arrostito. Cervello di granseola come protagonista della seconda ricetta, accompagnato da menta e scorza di lime, a condire le linguine. Esaltazione del quinto quarto marino nei fusilli con fegato di seppia, ricci di mare, cicoria, acetosa, acetosella e rabarbaro. Interessante e inaspettato

l’abbinamento ciauscolo-alici-tartufo nero-broccoli che propone in chiusura, a testimonianza di una decisa e intelligente creatività. Interessante e tecnica la lezione di Jean François Piège che prepara una sella di capriolo rosolandola in padella con olio extra vergine d’oliva, poi su una griglia, dove, al posto dei carboni roventi, ci sono castagne calde. Completano il piatto alcune interpretazione della zucca. Maccheroncini corti in un brodo di pollo e alghe, riempiti con un mix di pollo tritato, scalogno ed erba cipollina, con porro fritto e crema di porro e pollo per Yasuhiro Sasajima, del Ghiottone, ristorante italiano di Kyoto. Caserecce con peperone di Anglet e baccalà per Josean Alija, chef di Nerua Guggenheim a Bilbao; pesce anche per Enrico Bartolini del Devero di Cavenago Brianza che si scatena con i “bottoni di lime con cacciucco” e un tocco affumicato con lo “spaghetto all’anguilla”. Presenta la pasta “nuda” Davide Scabin di Combal.zero, Rivoli, nel Torinese, da pucciare in una bagnacauda,

69


1) Il rognone cotto sul sale, salsa alla china, scorzonera e bacche di goji di Carlo Cracco. 2) Il maiale con fagioli di Oliveira Rodrigo. 3) Pluma iberica, salsa di finocchio e arance, aglio nero, preparazione di Moreno Cedroni (photo Š Brambilla-Serrani per Identità golose).

70

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Premiata Salumeria Italiana, 2/14

71


A sinistra: il “ricordo” di frisella con gamberi rossi di Heinz Beck. A destra: gli spaghetti all’anguilla affumicata di Enrico Bartolini (photo © Brambilla-Serrani per Identità golose). modellata e fritta come un arancino, rivisitata a tutto campo, così come Giuseppe Iannotti di Kresios a Telese Terme, che torna nei ruggenti anni ‘70 con le conchiglie panna e salmone. Linguine di kamut al ragù di vitello con ricotta affumicata, chips di latte, funghi e un’emulsione di erbe cipolline e prezzemolo e l’ennesima citazione della carbonara, ovviamente di montagna, con lo speck che sostituisce il guanciale e il Graukäse (questo formaggio della Valle Aurina, tradotto in italiano con la denominazione di “formaggio grigio”, appartiene alla famiglia dei “Sauerkäse”, i formaggi a coagulazione acida che non prevedono l’utilizzo del caglio, diffusi nell’arco alpino tirolese, Ndr) che subentra al pecorino, sono i protagonisti della ricetta di Norbert Niederkofler del St. Hubertus di San Cassiano in Alta Badia. Niko Romito ha trasformato lo scampo in tagliatelle, marinato il baccalà sette giorni nell’olio evo e

72

ha accompagnato la spigola agli spaghetti, chiudendo con una mandorla a braccetto della carne di manzo in un tortellino. Triglia alla livornese con dentro uno scampo per Massimo Bottura, seguita da capesante alla mortadella, con una pasta che simula la mortadella farcita di capesante e finocchietto, più una spruzzata di distillato di mortadella. Dalla montagna alla Sardegna con gli chef Achille Pinna, Roberto Petza, Luigi Pomata e Stefano Deidda, che hanno presentato un menu creativo dall’antipasto al dolce servito con bollicine Guido Berlucchi. Protagonista il muggine dello stagno di Sant’Antioco per la ricetta di Achille Pinna, massaggiato con Vernaccia e affumicato con legno di corbezzolo e leccio, abbinato ad un cubetto di mela trempa arrubia (in sardo significa “guancia rossa”) tipica del centro Sardegna candita a freddo. Completano il piatto la cipolla rossa agrodolce, la

crema di caprino e le chips fatte con la pelle del muggine. Uovo in due cotture per Stefano Deidda del ristorante Dal Corsaro, seppia e sapori del Mediterraneo per Luigi Pomata, mentre Roberto Petza presenta un biscotto al cioccolato senza farina con mandorle croccanti di Siddi accompagnato da un gelato di filu e’ ferru. Quinoa a corona di un tuorlo con gli asparagi per Gaston Acurio, che accompagna le patate disidratate nel fondo di maiale con pesce, cacao e arachidi. Massimiliano Alajmo farcisce il pane a base di farina di ceci con gamberi crudi e misticanza all’incenso, sotto l’occhio di Fulvio Pierangelini. Riso allo zafferano di Milano accompagnato dal brodo leggero allo zafferano col suo fiore, completato da un sincretistico riso di pasta croccante per Davide Oldani, mentre Enrico Crippa farcisce una sfoglia con carciofo e animelle di coniglio, un’altra

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


A sinistra: a Identità Golose Aldo Zivieri della Macelleria Salumeria Massimo Zivieri di Monzuno, Bologna, insieme a Fabrizio Zivieri e Giuseppe Palmieri, sommelier e direttore di sala dell’Osteria Francescana di Massimo Bottura, nonché creatore della nuova insegna modenese del gusto “Da Panino”. A destra: Massimo Spigaroli dell’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense al taglio di un prosciutto. con arancia, cocktail di gamberi con riduzione di pancetta, la terza con patata, triglia e acetosa. Concentrato ricchissimo di sapore per Assenza di osso buco, rivisitazione dell’ossobuco per Heinz Beck. Quique Dacosta dalla Spagna porta una ventresca ottenuta avvolgendo la ventresca di uno sgombro fresco attorno alla sacca delle sue uova e una pasta cotta in brodo di

piccione e condita con petto del medesimo. Pensa ai celiaci Davide Scabin con fritto di pasta deglutinata con prosciutto e mozzarella e a coloro che soffrono di intestino irritabile con un piatto ricco di triptofano, amminoacido “miracoloso”, a base di carré d’agnello e salsa d’uovo. Scampi del Quarnaro per Emanuele Scarello, che li prepara in zuppa con

pane raffermo e carote di Polignano, mostarda di cetriolo e mandorla amara per farcire tortelli adagiati su taleggio colato, con brodo di gallina per Fabio Pisani e Alessandro Negrini. Una rinnovata attenzione alle materie prime, alla carne, alla salumeria di tradizione, al pesce, che sottolinea l’eccellenza e contribuisce al successo dalla manifestazione. Laura Franchini

All’interno dell’aeroporto, abbiamo ricreato un angolo di Bologna dove potrete fermarvi e gustare i sapori della tradizione, come i nostri tortellini fatti rigorosamente a mano e altre tipiche prelibatezze. Inoltre, nel nostro negozio, potrete trovare tantissimi altri prodotti selezionati per offrirvi il meglio della tradizione enogastronomica locale e italiana.


ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar 74 Premiata Salumeria Italiana, 2/14 perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


Il salone evento dedicato alle ricchezze gastronomiche made in Italy

Taste, la vetrina più bella

L

a nona edizione di TASTE si è chiusa lo scorso 10 marzo alla Stazione Leopolda di Firenze mettendo a segno grandi numeri, sia come presenze che come qualità dei prodotti e degli eventi presentati. In tre giorni di salone, e in quasi una settimana di eventi in città per il calendario di FuoriDiTaste, il capoluogo toscano ha accolto un pubblico numerosissimo di professionisti dell’enogastronomia di qualità, arrivati da tutto il mondo, di personaggi legati al mondo della cultura del cibo, di appassionati di cucina e di mangiar bene, trasformandosi in città del gusto e delle nuove tendenze della buona tavola. Il salone organizzato da Pitti Immagine — nato da un’idea di Davide Paolini — ha avuto un’affluenza complessiva di 15.000 visitatori (erano stati oltre 13.500 un anno fa). Il dato più importante e significativo è però quello delle presenze dei compratori e degli operatori del settore: in tre giorni sono stati circa 4.600 i buyer

registrati al salone (erano stati 3.500 nel 2013), con un +30% sul fronte dei compratori italiani, e in crescita ancora maggiore (+43%) le presenze estere, con oltre 300 compratori provenienti da più di 40 paesi. Ottime le performance degli operatori da Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Russia e Australia, e presenze interessanti anche da alcuni mercati emergenti. Ottimi risultati anche per le presenze del pubblico di gourmand, che nei tre giorni del salone ha superato la boa dei 10.000 visitatori, con oltre 600 i giornalisti italiani ed esteri accreditati. «Questa edizione del salone — ha dichiarato Agostino Poletto, vicedirettore generale di Pitti Immagine — conferma ancora una volta il successo della formula Taste: è un riconoscimento del grande lavoro che abbiamo fatto assieme alle nostre 300 aziende nel presentare quanto di nuovo offre il panorama italiano dell’enogastronomia di qualità.

La presenza così consistente e in crescita di operatori del settore (nomi top tra i department store internazionali, ma anche i più importanti negozi di enogastronomia di nicchia sia italiani sia delle capitali internazionali) ne è una certificazione evidente. E poi la qualità nei progetti speciali, negli eventi ed i Ring alla Leopolda orchestrati dal Gastronauta, che hanno avuto apprezzamenti molto positivi da parte di un pubblico numeroso, che li ha seguiti attentamente. Concludo con una nota importante sulla città: Firenze è stata invasa dagli eventi del FuoriDiTaste, quasi un centinaio, sempre più originali e capaci di presentare al meglio i prodotti dei nostri espositori e delle eccellenze del gusto. E la risposta è stata incredibile: Taste era sulla bocca di tutti… e non è solo un modo di dire!». Ennesimo record di vendite del Taste Shop, il grande supermercato del gusto al termine del tour del salone: quasi 23.000 i prodotti venduti.

Installazione su legno posta all’entrata della Stazione Leopolda (photo © AKAstudio-collective).

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

75


Dopo la presentazione delle eccellenze spagnole dell’anno scorso, a questa edizione Pitti Taste ha dedicato un’area speciale nel percorso del salone a Formaggi dalla Svizzera, la società che riunisce produttori, esportatori e consorzi dei migliori formaggi elvetici. Ancora una volta Taste va oltre i confini delle eccellenze nazionali, e diventa una piattaforma di confronto tra il cibo di qualità made in Italy e il meglio del gusto internazionale. Per l’occasione il pubblico ha degustato formaggi come Emmentaler Dop, Gruyère Dop, Tête de Moine Dop e Sbrinz Dop (www.switzerland-cheese.it – photo © AKAstudio-collective).

76

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Nella pagina a fianco: 1) Nicolò Savigni con l’offerta di prodotti di Salumeria dell’Azienda Agricola Savigni di Pavana (PT). I prodotti di Cinta senese sono stati di recente presentati anche a Stoccolma. 2) Culatello di Zibello e Spalla cruda di Palasone dell’Antica Ardegna di Diolo di Soragna (PR). 3) Presente anche il Salumificio Villani di Castelnuovo Rangone (MO) con uno spazio dedicato al MUSA, il nuovo Museo dei Salumi inaugurato lo scorso novembre. 4) Le nuove confezioni dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop di AcetoModena. 5) Il Salumificio Fereoli Gino e Figli con una ricca offerta di salami. 6) Un trionfo di mortadelle Bidinelli, anche al tartufo, del Salumificio BBS di Novellara (RE). Nello stand Sonia e Marco Bartoli. In questa pagina: 7) La ‘nduja esposta da L’Artigiano della ‘Nduja di Spilinga (VV). Questo gustosissimo insaccato viene prodotto seguendo scrupolosamente l’antica tradizione sia nella scelta delle carni (essenzialmente lardello suino, guanciale e pancetta), che del peperoncino (del Monte Poro) e nella stagionatura naturale. 8) Lo spazio del Prosciuttificio Sant’Ilario con un crudo di Parma tagliato al coltello (photo © AKAstudio-collective). 9) La sublime pancetta del Salumificio Scherzerino di Itri (LT) è realizzata con pancia di suino di razza Nera Casertana, sale marino integrale di Nubia, vino moscato secco di Noto, erbe e spezie. Proclamati anche i vincitori della quarta edizione di “King of Catering”, l’unico premio internazionale dedicato alle società di catering e banqueting: quest’anno il massimo

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

riconoscimento del concorso — il “King of Catering Platinum Plus/ Ferrarelle” — è andato a Le Gourmet di Varese (per vedere tutti i premiati: www.kingofcatering.com).

Nota Dove non diversamente specificato, tutte le foto pubblicate in questo articolo riguardante l’evento Taste sono di Elena Benedetti.

77


1) Sue Ellen Mannori della Macelleria Salumificio Mannori di Prato (FI), con salumi della tradizione toscana, finocchiona, Mortadella di Prato e, tra le novità presentate a Taste, l’arista arrosto, prodotta con zero conservanti (solo lombo di maiale, sale, pepe e specie). 2) Mortadella Bologna di Bonfatti Salumi di Renazzo di Cento (FE). 3) Tra i suoi stupendi formaggi, Eros Buratti, affinatore di La Casera (Verbania). Tra le novità presentate a Taste il sasso, un formaggio a pasta acida, aromatizzato e forte. Tra i più fotografati dal popolo dei foodies. 4) Aldo Zivieri della Macelleria Zivieri di Monzuno (BO) con una marinata di capriolo. Tra i prodotti presentati dalla macelleria bolognese anche i sughi in vaso di selvaggina.

78

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


La nona edizione di Taste, svoltasi all’interno della Stazione Leopolda, ha registrato un’affluenza di oltre 15.000 visitatori super selezionati (photo © AKAstudio-collective).

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

79


In alto: il Consorzio di tutela del Bardolino presente con il Chiaretto proposto quest’anno dalle aziende Benazzoli e Zeni. In basso: durante la tre giorni fiorentina sono stati 4.600 i buyer registrati al salone, con un +30% sul fronte dei compratori italiani e in crescita ancora maggiore (+43%) nelle presenze estere (photo Š AKAstudio-collective).

80

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


A sinistra: Stefano Bencistà Falorni dell’Antica Macelleria Falorni di Greve in Chianti (FI). Macellai dal 1806, i Falorni producono artigianalmente da ben 9 generazioni salumi di altissima qualità. A destra: il prosciutto cotto a marchio Branchi. Un’istituzione!

La Fabbrica del Gusto: omaggio ai prodotti che regalano “gioia” I cibi d’eccellenza non nascono per caso: c’è dietro tanta esperienza, tanto lavoro, tanta attenzione. Gli artigiani alimentari presenti a Taste sono eroi della bontà che, giorno dopo giorno, si ingegnano a creare i loro piccoli grandi capolavori. La Fabbrica del Gusto è un omaggio a questi capolavori che ci regalano momenti di pura gioia: gioia gastronomica. La Fabbrica del Gusto è il tema-guida di Pitti Taste 9, che ha ispirato il progetto grafico di Gianluca Biscalchin — giornalista gastronomico di lunga esperienza e oggi uno dei più talentuosi illustratori di cibo della scena editoriale italiana — e quello dell’allestimento curato dall’architetto Alessandro Moradei.

Il progetto grafico della Fabbrica del Gusto 2014 è stato firmato da Gianluca Biscalchin, mentre l’allestimento è stato curato dall’architetto Alessandro Moradei (photo © AKAstudio-collective).

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

81


Fiere

SIGEP e RHEX: per Rimini Fiera un successo da annali 173.904 visitatori e un clamoroso aumento di quelli esteri: +32%. Affari, mode e tendenze protagoniste a Rimini Fiera, la vetrina “cool”del prodotto alimentare artigianale: gelato, pasticceria, panificazione, caffè e ristorazione

L

a realtà ha superato gli auspici. Da Rimini Fiera parte un segnale positivo per l’economia italiana in un settore strategico e fortemente orientato all’export, con il gelato artigianale quale straordinario ambasciatore del food italiano nel mondo. Un successo che conferma Rimini Fiera e il suo territorio protagonisti in questo settore e che, ancora una volta, con i fatti e i numeri, la porta

all’evidenza del Paese e dei mercati internazionali. Sono stati 173.904 i visitatori professionali (sottoposti a certificazione: norma internazionale ISO 25639, Ndr) in visita al 35o SIGEP e a RHEX Ristorazione, con un aumento che sfiora le 30.000 unità rispetto al 2013, quando si svolse in contemporanea a SIGEP la biennale A.B.TECH Expo dedicata all’arte bianca. Dunque un + 20,1% complessivo di visitatori e che contiene una

performance ancora più sostanziosa nella presenza di operatori esteri, saliti a 34.646, con un incremento del 32% dai cinque continenti. Altri numeri significativi: oltre 600 i giornalisti accreditati, 134 milioni i contatti raggiunti con articoli e servizi su agenzie, quotidiani, radio e TV, web, stampa specializzata… Eccezionale l’audience dello streaming da Pastry Arena (italiano e inglese) e Campionati caffè con 68.000 utenti

Successo inaspettato per l’edizione 2014 di SIGEP e RHEX con un + 20,1% dei visitatori (photo © Rimini Horeca Expo).

82

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


1) La mortadella “Favola” del Salumificio Mec Palmieri è stata molto apprezzata da visitatori ed espositori. 2) “LUI” il prosciutto di Norcia del Salumificio Renzini. 3) Valerio Sapucci con Giulia Minardi, brand manager del birrificio Amarcord di Apecchio (PU). unici collegati nelle cinque giornate di fiera, il 23% dall’estero (Argentina e Francia in primis), così come sui social network. Organizzate sull’intero quartiere, SIGEP e RHEX hanno rappresentato la proposta di mille aziende disposte su 110.000 m2 e dalle giornate di Rimini Fiera sono emersi i più avanzati trend, utili ad orientare le strategie del 2014 per il food made in Italy. L’evento espositivo è stato inaugurato

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

da Flavio Zanonato, Ministro per lo Sviluppo economico, che ha riconosciuto alle giornate di Rimini Fiera di essere «una vetrina internazionale nella quale la cultura imprenditoriale riesce a tenere insieme la tradizione artigiana e l’innovazione». Al suo fianco, al taglio del nastro, il sindaco di Rimini Andrea Gnassi e il presidente di Rimini Fiera Lorenzo Cagnoni, oltre ai vertici di tutte le associazioni di categoria.

Ottimo il bilancio della nuova sezione espositiva, Rimini Coffee Expo, che ha sancito la crescita di un settore che trova a SIGEP una collocazione ideale integrata con le altre filiere artigianali. Preludio ideale per World of Coffee, l’evento che dal 10 al 12 giugno prossimi si terrà sempre a Rimini Fiera. «I numeri parlano da soli» ha commentato Cagnoni. «Lo strumento fieristico in queste condizioni svolge pienamente il suo ruolo,

83


A sinistra: il Lardo di Colonnata Igp dell’Antica Larderia Mafalda. A destra: il premiato oleificio “Il Borgo del Melograno” di Montefiore Conca (RN). funge da moltiplicatore del business, genera relazioni, alimenta le strategie delle imprese con il contributo delle tendenze che emergono dai padiglioni. Siamo pronti a sostenere e sviluppare questo ritmo di crescita con un’operatività estesa a tutto l’anno, sia coi progetti in corso, sia con nuove iniziative da prendere di concerto con tutti gli attori della filiera». «All’eccezionale risultato riguardante i visitatori — ribadisce Patrizia Cecchi, direttore business unit Rimini Fiera — aggiungiamo il successo dell’intuizione di associare RHEX Ristorazione a SIGEP, costruendo una proposta fieristica pienamente coerente coi mutamenti dei format commerciali, dove troviamo esercizi in grado di integrare differenti offerte di ristorazione, modificabili anche nel corso della stessa giornata. La soddisfazione delle aziende presenti per il business prodotto nelle giornate di fiera ci sprona a continuare su questa prospettiva, sviluppando l’evento con contenuti che guardano ad innovazione e internazionalizzazione».

84

I grandi eventi SIGEP e RHEX Grande successo per Food Factor, straordinario show cooking con chef stellati organizzato dal mensile specializzato La MADIA TRAVELFOOD, in collaborazione con l’Accademia Nazionale Italcuochi, presieduta da Gianfranco Vissani. Chef stellati sono stati protagonisti nei seminari dimostrativi, incentrati sulla declinazione dell’alta cucina nei menu low cost e sul miglior utilizzo di prodotti surgelati e freschi. Ottimo riscontro per il seminario e la degustazione di vini condotti da Claudia Bondi, wine-consultant titolare di Perle&Perlage ed Ambasciatrice dello Champagne per l’Italia 2013. Nella sua presentazione, nell’ambito di Sei+Uno della sezione Divino Lounge, ha messo a confronto sei spumanti metodo classico e uno champagne. «Il nostro paese è famoso soprattutto per i grandi rossi — ha spiegato Claudia Bondi — ma, in realtà, siamo capaci di fare ottime bollicine: basti pensare che il primo spumante

Gancia è datato 1865. Il mercato va in questa direzione, anche perché si tratta di vini con una grande abbinabilità alla nuova cucina». I micro-birrifici artigianali italiani chiedono una revisione delle accise sulla birra: se ne è parlato in un convegno di UnionBirrai durante RHEX, l’evento dedicato all’alimentazione fuori casa. Da ottobre 2013 a oggi, l’accisa è aumentata da 2,35 euro a 2,70. E con due ulteriori ritocchi, a marzo 2014 e gennaio 2015, si arriverà a 3,04, con un aumento complessivo del 29,4%. UNIONBIRRAI — sigla a cui aderiscono oggi circa 600 piccoli birrifici — chiede inoltre alcune ulteriori semplificazioni: come introdurre un coefficiente di resa del mosto, in modo che le aziende non paghino l’accisa anche sulle perdite, e rimuovere l’obbligo di condizionamento esclusivo della birra prodotta in loco. Per quanto riguarda il SIGEP, un’area straordinariamente frequentata è stata quella del cake design. A partire dalla giornata inaugurale, col successo straripante di Buddy Vala-

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Nella sezione Divino Lounge, con una degustazione dal titolo “Sei + Uno”, spazio al vino e allo Champagne (photo © Rimini Horeca Expo). stro, il “boss delle torte” televisivo, che ha attirato l’attenzione di tutto il pubblico. Con il progetto “La Salute vien mangiando…gelati! Gelati funzionali nell’alimentazione moderna” i rappresentanti dell’associazione I Maestri della Gelateria Italiana hanno mostrato come i professionisti siano in possesso di una tale conoscenza delle materie utilizzate

nella produzione quotidiana del gelato artigianale, che tale produzione può ampliarsi nella preparazione di “gelati funzionali”. Si tratta sempre di gelati gustosi, ma che diventano pure alleati della salute grazie ad una studiata ed equilibrata aggiunta di elementi quali fibre, prodotti probiotici e prebiotici, erbe officinali, miele o pappa reale.

Una scultura di papa Francesco a grandezza naturale, tutta in cioccolata, è stata completata a SIGEP. L´iniziativa, che ha una finalità benefica, è stata realizzata da 20 corsisti dell’Accademia Maestri Cioccolatieri Italiani guidati da Mirco Della Vecchia e Paolo Moro. Il prossimo appuntamento con SIGEP e RHEX Ristorazione è dal 17 al 21 gennaio 2015.

La 6a Coppa del mondo della gelateria — la manifestazione all’interno di Sigep a cadenza biennale che coinvolge i professionisti della gelateria, pasticceria, cioccolateria, alta gastronomia dei 5 continenti offrendo loro un’occasione unica di confronto e stimolo — va alla Francia. Alla fine della gara hanno infatti prevalso i transalpini (la squadra in foto a destra) con l’elaborazione del tema l’Universo di Leonardo Da Vinci in prove di gelateria, cucina, scultura di ghiaccio e cioccolato. Seconda l’Italia con il Mondo floreale. Al terzo posto la Polonia, che aveva portato il tema Gli elementi. Erano undici le squadre provenienti dai 5 continenti in gara per aggiudicarsi la Coppa del Mondo: Argentina, Australia, Brasile, Canada, Francia, Italia, Marocco, Messico, Polonia, Spagna e USA.

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

85


“Salumi da Re” all’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense Un appuntamento da segnare in agenda è “Salumi da Re”, il primo raduno nazionale di allevatori norcini e salumieri, organizzato dal Gambero Rosso e dall’azienda Antica Corte Pallavicina della famiglia Spigaroli. L’evento si svolgerà da sabato 12 a lunedì 14 aprile a Polesine Parmense, nei locali e negli spazi esterni dell’Antica Corte Pallavicina, che ospiteranno convegni a tema, laboratori, realizzazioni dei salumi in diretta e show cooking di chef dell’alta ristorazione. Ci saranno, inoltre, la “Via dei Salumi”, un percorso tra gli stand dei produttori di salumi (che faranno assaggiare e venderanno le proprie specialità), associazioni ed enti del settore, e aziende legate al mondo della norcineria (sale, spezie, ecc…). Insomma, sarà grande festa e un momento di incontro tra i protagonisti della migliore produzione salumiera italiana. “Salumi da Re” è stato pensato come uno spazio di approfondimento per i produttori, i tecnici, la rete di vendita dei salumi italiani ma anche un’occasione per fare il punto su un settore trainante per il comparto agroalimentare italiano. In quello che sotto la guida dei fratelli Luciano e Massimo Spigaroli è ormai diventato uno degli avamposti riconosciuti del gusto e dell’enogastronomia made in Italy, e in particolare un laboratorio dell’arte della lavorazione del maiale, questa prima edizione mira a riunire il gotha della salumeria nazionale. Ma non si tratterà solo di stand con assaggi. Oltre alle mostre degli strumenti impiegati nella norcineria, a completare l’offerta non potevano mancare le cene con le varie declinazioni dei salumi nel piatto. Una “All Star” della cucina italiana sarà chiamata ad affiancare lo chef Massimo Spigaroli, padrone di casa, composta da Alda Zambernardi e Marco Negri, del ristorante Il Garibaldi di Cantù, vincitori dell’edizione 2014 del Festival della Cazoeula. E poi gli assaggi di pizza e salumi a cura di Gabriele Bonci e Stefano Callegari. L’evento sarà aperto al pubblico sabato 12 aprile, a partire dalle ore 14:00, con inaugurazione e partenza delle degustazioni fra gli stand alle ore 17:00 circa (a sinistra, Massimo Spigaroli e l’intera brigata di cucina del Ristorante Al Cavallino Bianco fotografati nella cantina dei culatelli dell’Antica Corte Pallavicina a Polesine Parmense; photo © www.ellastudio.it). >> Link: www.acpallavicina.com – www.gamberorosso.it

Burro, formaggi e bollicine: le Langhe tra alta moda ed eccellenza gastronomica Lo scorso primo marzo, presso l’antico Borgo di Monchiero, si è svolta una serata di gala per la presentazione di alcuni abiti della collezione primavera/ estate 2014 delle famose case di moda Gattinoni, Raffaella Frasca, Arnoldo Battois e Anton Giulio Grande. Lo spirito dell’iniziativa è stato quello di coniugare l’alta moda all’eccellenza enogastronomica del territorio piemontese delle Langhe. La serata è iniziata con un rinfresco impreziosito dal piatto della “Via del Sale”, composto dal cremoso burro Beppino Occelli e le acciughe, per proseguire con i più preziosi gioielli caseari Occelli: a partire dalla Tuma dla Paja, fino all’Occelli al Pepe, all’Occelli in foglie di Castagno, un formaggio dalla struttura organolettica complessa e per finire con un erborinato di solo latte vaccino, il Verzin. Durante l’aperitivo gli ospiti tra burro, formaggi e bollicine, hanno potuto assistere alla sfilata delle splendide modelle. La serata è proseguita con una cena a cura del grande chef Nunzio Campisi del ristorante Antica Filanda di Capri Leone (Messina) che ha proposto piatti al profumo di Sicilia e reinterpretazioni di tipici piatti piemontesi, abbinati a splendidi vini di Langa. Al giornalista enogastronomico Alessandro Felis il compito di introdurre piatti e vini protagonisti, mentre i formaggi e la storia del gusto di Beppino Occelli sono stati invece raccontati dal responsabile marketing Umberto Milano e da Elisa Occelli.

86

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Parma 05-08 Maggio 2014

Per informazioni: www.cibus.it | cibus@fiereparma.it

Follow us on:


Locali di gusto

Regalati un sorriso di Elena Benedetti

I

l cibo è suggestione, ricordo. Non è solo nutrimento e vita. È odori, frammenti di immagini, momenti di quotidianità che, anche (e soprattutto) attraverso un sapore, ci fanno tornare indietro nel tempo. GIUSEPPE PALMIERI, classe 1975, materano d’origine e modenese d’adozione con l’approdo nel 2000 all’Osteria Francescana di Massimo

Bottura, ha già percorso parecchia strada e ha metabolizzato tanti ricordi. Come quelli delle botteghe alimentari di un tempo, che quando entravi tenuto per mano da qualche adulto di casa, ricevevi subito il caloroso e scanzonato benvenuto del salumiere, che era anche fornaio, ma anche esperto di formaggi e di conserve. Era tutto. Un punto di riferimento

per gli acquisti, praticamente uno di famiglia, il suo negozio un luogo pieno di cose buone e misteriose, come le enormi affettatrici, i lunghi coltelli, le montagne di barattoli di conserva o di pasta, le pile di formaggi e una gran varietà di salumi. Colori, odori e quel calore intimo delle botteghe di un tempo che a Modena, nella piccola e silenziosa Rua Freda, Palmieri ha

Chi è Beppe Palmieri? Nato a Matera nel 1975, Giuseppe Palmieri è un autodidatta del vino e del servizio. Curioso pensare che il suo assalto al cielo gastronomico abbia preso le mosse così a sud: straziante per la bellezza dei sassi, le reminescenze pasoliniane, i brandelli di pane ancestrale. Non certo per le glorie gourmand. Irresistibilmente attratto dal cibo, grazie anche al nonno omonimo, «io sono un aspirapolvere — racconta — ciò che prediligo è condividere emozioni, reazioni, aspettative di quanti mi circondano». Dopo importanti esperienze a Villa Crespi e alla Locanda Solarola, nel 2000 è approdato all’Osteria Francescana di Modena, dove è entrato in simbiosi con un giovanissimo Massimo Bottura, di cui oggi è maître e sommelier. La loro crescita, parallela e instancabile, è sottesa al miracolo di un paradigma italiano finalmente vincente nel panorama mondiale (fonte: www.identitagolose.it; photo © Brambilla-Serrani).

88

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


ricreato nel suo Generi Alimentari Da Panino. Aperto lo scorso dicembre, Da Panino è nato subito con una doppia anima: da una parte riproporre il negozio tradizionale fatto con cose semplici (formaggi, salumi, pane, pasta, conserve e vino), in un’atmosfera famigliare, rispettosa e accogliente. Dall’altra un punto di ristoro, a tutte le ore, con panini gourmet, taglieri e qualche piatto caldo della tradizione locale. Il tutto attraversato da un comun denominatore: quell’ottimismo, spirito positivo e propositivo, che abbraccia il cliente già in strada, con un logo tanto semplice quanto potente, la facciotta sorridente che tutti abbiamo disegnato per raccontare un sorriso. E così capita di andare a far spesa Da Panino per comprare quell’etto di mortadella buona, cotta nel forno a legna, la burrata campana, i taralli pugliesi (quelli veri), il pane di Matera e una bottiglia speciale. Così come spesso poi succede di rimanere folgorati dagli ingredienti di un nuovo panino. E allora non resta che rallentare, ordinare spesa e cibo, accomodarsi al grande tavolo a fianco di perfetti sconosciuti (che qui sono già meno estranei), godersi l’attesa della preparazione e gustare il momento, dimenticandosi pure di fotografare l’oggetto della merenda, tanto era bello e invitante di aspetto. Nel mio caso il panino da immortalare con la macchina fotografica era parte del lavoro. Spero mi perdonerete, ma quando l’ho visto arrivare la foto mi è proprio passata di mente! Elena Benedetti Nota A pagina 88, simbolo del logo e della bottega è la rosea e sorridente mortadella, indiscussa regina del panino emiliano. Semplicità, colore e profumo autentici (photo © Elena Benedetti). Generi Alimentari Da Panino Rua Freda, 21 Modena Telefono: 059 8754382 Web: www.dapanino.it www.facebook.com/dapanino Orari di apertura: dal lunedì al sabato dalle 10.00 alle 22.00 e domenica dalle 10.00 alle 14.00.

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

In alto: Carlotta Lodesani e Daniele Reponi accolgono i clienti con un sorriso e un piattino di taralli. In basso: Da Panino non mancano salumi, frittelle di baccalà, vino e birra, latticini e formaggi, biscotti, conserve, sottoli e sottaceti.

89


www.studioimagine.net

Il nostro prosciutto è unico come una rosa e il suo profumo P R O S C I U T TO D I S A N DA N I E L E D O P ANCORA OGGI PREPARATO ARTIGIANALMENTE

PROSCIUTTI CORADAZZI SAN DANIELE DEL FRIULI (UD) - ITALY TEL. E FAX: +39 0432 957582 info@coradazzi.it www.coradazzi.it

Shop d’Autoree ACQUISTA ON-LINE

TRASPORTO ESPRESSO CONSEGNA IN ITALIA IN 24-48 ORE


Formaggio

Blue di capra, nuova frontiera casearia made in USA Notoriamente difficili da produrre, i caprini erborinati si stanno facendo strada Oltreoceano di Raffaele Bertolini

«L

a cosa peggiore è quel pizzico di fortuna tipica del dilettante». Sono le parole di Bob Stetson, titolare di Westfield Farm. In tono scherzoso richiama alla mente la nascita di Hubbardston Blue, il cavallo di battaglia dell’azienda. Un formaggio di latte caprino cremoso avvolto in una peluria bluastra. I precedenti titolari, Bob e Letty Kilmoyer, diedero vita all’Hubbardston Blue nel 1981 e da allora fece sempre parte dell’assortimento di Westfield Farm. Ma fin da subito la decisione di produrlo fu una scelta rischiosa. «Ciò che incoraggiò Bob e Letty, curiosamente, fu il fatto che gli venne detto che non sarebbero riusciti a farlo» rammenta Stetson. La famiglia Kilmoyer produceva già un Camembert di capra e gli era passata per la mente la bizzarra questione di cosa sarebbe successo se avessero

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

utilizzato una muffa blu piuttosto che bianca. Nonostante i risultati non fossero troppo entusiasmanti, le forme riuscite superavano quelle destinate allo scarto. Fu indubbiamente d’aiuto il fatto che Bob Kilmoyer fosse un matematico, con la propensione per il problem solving. La coppia teneva addirittura un refrigeratore in salotto dove stivava i risultati delle sperimentazioni. In seguito fu chiaro che non stessero perdendo tempo: l’Hubbardston Blue vinse il premio “Best in Show” nel 1993 elargito dalla prestigiosa American Cheese Society e il piccolo Bluebonnet della Westfield ricevette lo stesso riconoscimento tre anni più tardi. Dopo che Stetson e la moglie si appropriarono di Westfield Farm nel 1996 la produzione aumentò, passando dalle 250 forme settimanali di Classic Blue Log alle 2.000 prodotte oggi.

Nonostante il successo di Westfield, i formaggi erborinati di capra d’oltreoceano rimangono rari. Di fatto, la vera scarsità di prodotti del genere ne definisce la peculiarità. Durante la primavera del movimento culturale che portò con sé il rinnovamento caseario in America, il desiderio e il tentativo di produrre formaggi caprini erborinati era considerato un suicidio economico. La maggior parte delle donne pioniere in questo campo, 25 o 30 anni fa, tra le quali Allison Hooper della Vermont Butter & Cheese, Judy Schad della Indiana Capriole Goat Cheeses, Paula Lambert della Texas Mozzarella Company e Jennifer Bice della California Redwood Hill Farm, non produceva formaggi erborinati. Neppure oggi. Solamente Mary Keehn, della Cypress Grove, si cimentò con gli

91


L’Hopelessly Bleu prodotto dalla texana Luck Farm and Dairy (photo © www.purelucktexas.com). erborinati negli anni ‘80, ma allora mancava un mercato ricettivo. A quel tempo veniva fortemente sconsigliato l’inserimento all’interno di impianti di ridotte dimensioni di Penicillium roqueforti, una muffa blu pesantemente invasiva. La stessa Even Letty Kilmoyer dichiarò, durante una conferenza tenutasi nel 1994 sul tema dei blue, che non si sarebbero mai arrischiati a produrre un formaggio come il loro Hubbardston se la loro conoscenza in materia casearia fosse stata più matura. Per capire il perché ci sia questa timorosa distanza nei confronti di questo prodotto, bisogna capire dapprima come vengono prodotti i blue. La muffa chiamata P. roqueforti, per espletare il proprio compito all’interno di un formaggio (ovvero, trasformare la cagliata in latte e dare l’avvio alla formazione delle caratteristiche muffe blue), deve subire un processo detto lipolisi. Ha il compito di ridurre i grassi in particelle più piccole e convertire gli acidi grassi in

metilchetoni, le molecole distintive degli aromi e degli odori dei blue. Molti produttori di formaggio temono il P. roqueforti in quanto gli odori emanati durante la maturazione possono essere soverchianti. Oltre a ciò, le muffe del P. roqueforti hanno lo stesso colore di quelle che si formano sui cibi avariati. Il P. roqueforti diventa ancor più tosto quando si ha a che fare con il latte caprino, i cui grassi sono composti da molecole più piccole, di minor numero e minori dimensioni e di massa più omogenea di quelle del latte vaccino o ovino. Tutto questo, a detta del consulente alimentare Ivan Larcher, rende le molecole più sensibili nei confronti della lipolisi, e la rottura delle stesse molto spesso provoca sapori rancidi, saponosi e piccanti. Una volta entrata in azione la lipolisi non la si può fermare. Pertanto è fondamentale sapere quando il formaggio ha raggiunto il giusto grado di erborinatura.

“Così come qualsiasi innovazione che abbia davanti a sé un mercato ancora vergine, anche il settore dalla produzione di formaggi caprini erborinati presenta una lama a doppio taglio: da una parte è un modo per i produttori di distinguersi, dall’altra è ancora nelle fasi iniziali e ha bisogno di molta cura e di una conoscenza approfondita” 92

Quindi, oltre ad essere una scommessa dal punto di vista tecnologico, i blue di capra non hanno neppure un retaggio storico importante. Se diamo un’occhiata alla Francia, come fanno molti in America (che lo ammettano o no), non si trovano tracce di formaggi di latte caprino con erborinatura blu. Secondo Laure Dubouloz, l’export manager per gli Stati Uniti della famosissima casa Mons, rappresentante della terza generazione dedita a questo settore, la produzione di formaggi erborinati nella Loira e nel Poitou, regioni a prevalenza lattica caprina, non ha senso. Il clima in quelle zone è più mite e secco che nell’Auvergne, per esempio, regione nella quale la produzione degli erborinati ha radici molto profonde. Oltre a questo ci sono molte meno grotte naturali adatte per l’affinamento. I contadini francesi che normalmente producevano formaggi caprini vivevano secondo il ritmo dei loro vigneti, ricorda Laure. Erano obbligati a produrre un tipo di formaggio che se ne stesse cheto cheto per lungo tempo, mentre loro erano occupati in altre faccende. Il che spiega il motivo per il quale adottarono la coagulazione lattica acida, utilizzando un processo che produce cagliate meno legate (formaggi erborinati di capra a coagulazione acida non sono comuni, ma ne esistono: il Classic Blue Log della Westfield Farm ne è un esempio.

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Una panoramica dei più noti caprini erborinati degli Stati Uniti Classic Blue Log, Westfield Farm, Massachusetts Caprino pastorizzato. Questi cilindri lattici sviluppano una peluria grigio-blu molto folta che contrasta con il bianco latte della pasta. Raggiungono la completa maturazione nell’arco di poche settimane, durante le quali la peluria bluastra esercita la sua azione proteolitica sui grassi della pasta dall’esterno verso l’interno: il risultato è un flavour piccante con un retrogusto erbaceo, quasi pepato. Huckleberry Blue, Prairie Fruits Farm, Illinois Caprino crudo. Prodotto in primavera e autunno con latte particolarmente ricco di grassi, presenta una pasta molto cremosa. Almeno 6 mesi di stagionatura servono a questo prezioso prodotto per sviluppare un manto naturale (a volte avvolto in foglie di fico) che nasconde venature verdi e blue. Midnight Blue, Avalanche Cheese Company, Colorado Caprino crudo. Crosta pronunciata e naturale per un formaggio che stagiona dai 2 ai 4 mesi. La pasta è densa e sensibilmente asciutta, con venature blu intenso e sentori pepati pronunciati di una certa durata. Ziege Zacke Blue, LaClare Farms and Roelli Cheese Haus, Wisconsin Latte vaccino e caprino pastorizzato. Creato sull’esempio di Dry Jack, dimostra più complessità. Lo si lascia sviluppare una ridotta quantità di venatura durante la breve stagionatura di 4 mesi. Billy Blue, CarrValley Cheese, Wisconsin Da latte caprino pastorizzato. Stagionato per lo meno quattro mesi, se non fosse per le rigature blue assomiglierebbe molto al formaggio feta. Piace anche a chi non ama i caprini e a chi trova i blu inavvicinabili. Baraboo Blue, Carr Valley Cheese, Wisconsin Caprino pastorizzato. Il casaro Sid Cook unisce due cagliate diverse per ottenere forme di bianco lucente macchiate di muffe bluastre. I formaggi non vengono forati, e il Penicillium si incunea nelle increspature formatesi tra le due cagliate. Hopelessly Blue, Pure Luck Farm & Dairy, Texas Caprino pastorizzato. Uno dei più celebrati caprini erborinati degli Stati Uniti. Presenta una breve maturazione durante la quale muffe blu e bianche interagiscono. Soffice e cremoso, la pasta presenta venature argento-blu dai toni caldi, tenui e terrosi. Mountain Top Bleu, FireFly Farm, Maryland Caprino pastorizzato. Piuttosto morbido, questo formaggio viene inoculato sia con muffe blu che bianche. Prodotto a forma di piramide tronca, matura solamente qualche settimana. I sentori delicati dell’erborinatura trattengono note terrose di funghi. Black & Blue, FireFly Farms, Maryland Caprino pastorizzato. Dalla crosta cerata nera, questo formaggio ha una pasta soda e asciutta, che si sbriciola al taglio e fonde al palato. Stagionato tra i sei e i nove mesi, questo è un blu piuttosto forte, con una tonalità lievemente piccante, e tenui sentori caprini. Cayuga Blue, Lively Run Goat Dairy, New York Caprino pastorizzato o crudo. La pasta è un piacevole contrasto di bianco, verde e blu. Con una stagionatura minima di due mesi, il flavour non risulta mordace come in altri blu, mantenendo un delicata nuance di capra. Echo Mountain Blue, Rogue Creamery, Oregon Vaccino e caprino crudo. Prodotto con un 80% di latte vaccino e il rimanente caprino, questo blu viene stagionato per almeno 8 mesi. Muffe grigio-blu attraversano la pasta offrendo un che di pepato al nostro palato. Ogni boccone porta con se un insieme toni fruttati e cremosa dolcezza. Boonter’s Blue, Pennyroyal Farm, California Ovino e caprino crudo. Crosta naturale e venatura pronunciata fanno da sfondo a un sapore terroso e nocciolato, con una consistenza densa e adesiva. Prodotto con un 10% di latte ovino dalla primavera all’autunno. Dopo tale periodo soltanto con latte caprino.

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

93


Oggigiorno la maggior parte dei caprini erborinati proviene da coagulazioni presamiche, cioè utilizzando caglio naturale o vegetale, donando alla pasta una texture più elastica). Tornando alla Francia di oggi, esiste solamente uno sparuto gruppetto di produttori di caprini erborinati (Bleuet de Chèvre e Bleu du Bocage), e a quanto pare non sta facendo proseliti. Anche se la conoscenza e la tecnologia hanno conosciuto grandi passi avanti negli ultimi anni, i casari americani sono ancora piuttosto restii a produrre erborinati di latte caprino se nel contempo stanno producendo altri tipi di formaggio negli stessi impianti. Erika Scharfen della California Pennyroyal Farm si è sentita più volte invitata da tecnologi e colleghi a desistere dai suoi tentativi di elaborare il suo poi famoso Boonter’s Blue. Una voce dissidente è quella di Margaret Morris della Glengarry Cheesemaking and Dairy Supply: Margaret sostiene che se si conosce la materia e si presta scrupolosa attenzione al giorno d’oggi si possiedono tutti gli strumenti utili per poter produrre dei blue insieme ad una serie di altri formaggi non erborinati negli stessi impianti. Amelia Sweethardt, titolare della Pure Luck Farm & Dairy in Texas, invece è di parere contrario: sostiene che non c’è posto per tutto. «Tenden-

zialmente noi produttori di formaggi caprini iniziamo la nostra gavetta con formaggi freschi, proseguendo la nostra esperienza con formaggi molli e poi con il feta. Questo genere di formaggi ha un buon mercato; otteniamo dei buoni risultati economici, perché la resa è buona e il processo produttivo molto veloce. Contemporaneamente, però, sono produzioni che hanno bisogno di molte cure e attenzioni, non ti lasciano tempo e spazio necessari per pensare ad altro». Non è da dimenticare il fattore stagionalità. Molti casari producono erborinati da latte caprino solamente durante determinati periodi della lattazione. Leslie Cooperband, della Prairie Fruits Farm in Illinois, per esempio, limita la produzione del Huckleberry Blue al periodo in cui il contenuto di grassi nel latte arriva almeno al 5%, vale a dire durante i primi due mesi dopo il parto e di nuovo durante gli ultimi due mesi del loro ciclo di lattazione. «Se facessi altrimenti — conclude Leslie — il formaggio sarebbe troppo asciutto e farinoso». Altri produttori, come la FireFly Farms, preferiscono il latte di metà stagione. «Suona un po’ un controsenso se vuoi avere un prodotto cremoso — sostiene Matt Cedro, capo casaro — ma il latte più magro aiuta il formaggio ad ottenere una pasta più asciutta con tonalità più decise,

Il Boonter’s Blue della Pennyroyal Farm (photo © www.navarrowine.com).

94

I formaggi di latte di capra dell’americana Avalanche Cheese Company, Colorado, che produce l’erborinato Midnight Blue. soprattutto nelle versioni stagionate oltre i sei mesi». Questo tipo di novità è una caratteristica della produzione casearia artigianale americana. Così come succede per qualsiasi innovazione che abbia davanti a sé un mercato ancora vergine, anche il settore rappresentato dalla produzione di formaggi caprini erborinati presenta una lama a doppio taglio: da una parte è un modo per i produttori di distinguersi, dall’altra è ancora nelle fasi iniziali e ha bisogno di molta cura e di una conoscenza approfondita. Far avvicinare più pubblico a questo tipo di prodotto è una difficoltà ulteriore. «Agli inizi abbiamo dovuto lottare a lungo per far apprezzare i formaggi caprini al grande pubblico, — ricorda il casaro di Vermont Butter & Cheese — oggi si tratta di una sfida nuova, quella rappresentata dall’erborinatura. L’orizzonte culturale del grande pubblico si è allargato notevolmente durante gli ultimi 30 anni; tuttavia soltanto il tempo ci dirà se la strada su cui ci stiamo incamminando è quella giusta oppure no». Raffaele Bertolini Nota A pagina 91 Ziege Zacke Blue, formaggio di latte vaccino e caprino pastorizzato dalla breve stagionatura.

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Premiata Salumeria Italiana, 2/14

95


96

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Un “fiore all’occhiello” di Valsesia e Biellese

Maccagno: a quando il riconoscimento europeo? Era il formaggio prediletto dalla regina Margherita e da Quintino Sella, che andò su tutte le furie quando i ladri gliene rubarono una scorta. L’Associazione per la tutela e la valorizzazione si sta battendo per il marchio comunitario di Nunzia Manicardi

L’

origine del Maccagno (in piemontese “Macagn”) si perde nella notte dei tempi. Tra i suoi vari estimatori sono ricordati la regina Margherita di Savoia (che doveva essere davvero una buongustaia, visto che — durante una sua visita a Napoli — le venne dedicata anche l’omonima pizza!) e il ministro delle finanze del Regno d’Italia Quintino Sella, che usava offrirlo ad amici e conoscenti durante i propri soggiorni a Roma. Si racconta addirittura che andò su tutte le furie quando, nel 1863, di ritorno da un’escursione in montagna, si accorse che i ladri gli avevano sottratto una scorta di questo suo graditissimo formaggio. Ancora più gradito in quanto il Maccagno, sebbene ottimo anche da tavola, raggiunge l’apice quando si sposa ad un altro prodotto amatissimo dai piemontesi, la polenta, per formare quella “concia” che loro (e non soltanto loro) apprezzano tanto (com’è noto la “concia” è un particolare modo di condire la polenta, che consiste nell’alternare strati di formaggio a strati di polenta). Il Maccagno, questo particolare formaggio di montagna a pasta semicotta, appartenente alla vastissima e multiforme famiglia delle “tome” piemontesi (dalle quali si discosta però per alcune caratteristiche orga-

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

nolettiche, soprattutto il sapore dolce e gradevole che ricorda la crema di latte, che lo rendono apprezzabile da ogni genere di consumatore), nacque, chissà quando, da un alpeggio da cui prende il nome e che è situato all’altitudine di m 2.188, in provincia di Vercelli. L’alpeggio Maccagno, per la precisione, è collocato in Valsesia, nei pressi di una delle zone di transizione con la provincia di Biella, a due passi dal Monte Rosa. Qui, secondo la leggenda, avrebbe avuto

inizio la produzione di questo formaggio, tipica — per motivi tuttora inspiegabili — di questa zona e soltanto di questa. Motivi inspiegabili nel senso che la superficie a pascolo dell’alpeggio per i bovini adulti è sempre stata molto ridotta, così come pure la loro permanenza sul luogo (massimo 30-40 giorni) a causa dell’elevata altitudine che favorisce nevicate precoci dove l’erba, benché di ottima qualità, cresce in modo stentato. Ciononostante, è proprio

Il Maccagno. Formaggio a pasta semicotta, appartiene alla vasta e varia famiglia delle tome piemontesi.

97


Preparazione della polenta biellese “concia” con Maccagno. in questo luogo impervio e inospitale (non a caso caratterizzato anche da un’intensa emigrazione) che la tenacia, la laboriosità e la creatività dei pastori locali hanno saputo dar vita ad un tipo di lavorazione casearia che non ha eguali e che è sfociata in questo Maccagno, che a buon diritto ambisce al riconoscimento europeo. In che cosa consiste questa particolare lavorazione? Essa deriva con tutta probabilità dalla stessa penuria di risorse prime che avrebbe potuto “ammazzare” ogni forma di produzione. Paradossalmente, i pastori locali hanno trasformato in ricchezza (“ricchezza” si fa per dire, ma pur sempre fonte di sostentamento e reddito) la povertà del territorio a partire dalla scarsità, o addirittura assenza, del legname (essendo gli ultimi boschi posti parecchie centinaia di metri più sotto) e delle bestie da soma indispensabili eventualmente per approvvigionarsene. Fu così che, molto probabilmente, qualche produttore cominciò a cimentarsi con un tipo di fabbricazione del formaggio che, sfruttando il calore del latte appena munto, potesse consentire un concreto risparmio energetico, limitando con ciò l’utilizzo di prezioso legname. Il superamento delle difficoltà legate alla manipolazione del latte appena munto avrà certamente com-

98

portato errori e dispendio di energie non indifferenti, sfide e scommesse, ma anche alcune indispensabili vittorie, attraverso le quali è passato l’affinamento. Come sempre, poi, l’eccellenza del prodotto ha ben presto ampliato la cerchia dei suoi confini (entro i quali comunque, è bene ricordarlo, si producono anche altri formaggi). Quando parliamo di formaggio Maccagno, l’areale a cui vogliamo riferirci è la montagna biellese e valsesiana, nel settore nord-orientale del Piemonte, territorio di cui rappresenta sicuramente uno dei “fiori all’occhiello”. “Le razze bovine allevate nell’areale di produzione sono la Bruna e l’autoctona Pezzata Rossa di Oropa, distribuite sul territorio con assoluta dominanza della prima nella parte est e della seconda verso ovest. Il patrimonio di bestiame da latte è stimato nell’ordine dei 5.000 capi. Il tipo di alimentazione prevalente, adottato negli allevamenti, proviene dal pascolamento durante la bella stagione o dai foraggi affienati durante l’inverno; sono esclusi gli insilati. Attraverso un’analisi effettuata a partire dal regime di contingentamento europeo in materia di latte e prodotti lattierocaseari (quote), le produzioni stimate di Maccagno ammontano oggi a circa 100.000 kg di formaggio/anno, nell’areale considerato, per un totale di 50.000 forme, la metà circa delle quali prodotta da animali alimentati prevalentemente al pascolo. Tali dati potrebbero certamente lievitare non poco nel momento in cui il prodotto tipico e certificato fosse in grado di essere adeguatamente remunerato” (brano tratto da: “Gli speciali di Caseus Caseus”, n. 2/2002, di GIACOMO BERGAMO). La tecnica di produzione è ampiamente e dettagliatamente spiegata nel sito www.montagnapiemontese.it (al quale di seguito ci riportiamo integralmente) dedicato dalla Regione Piemonte alle proprie Comunità Montane ed è stato possibile ricostruirla e documentarla storicamente grazie ad un certosino lavoro di raccolta delle testimonianze di produttori locali che da almeno tre o quattro generazioni si dedicano a tale fabbricazione (la quale, come quasi sempre capita con

le eccellenze alimentari, è purtroppo soggetta a imitazioni). Sono stati inoltre effettuati innumerevoli riscontri nella zona tradizionale di produzione. Dall’insieme di tutti questi dati sono emerse le indicazioni tecniche per la produzione del Maccagno, di seguito puntualizzate e corredate da alcune note tecnico-esplicative, necessarie per meglio comprendere il perché di alcune scelte produttive. Tecnica di produzione Il formaggio viene prodotto esclusivamente con latte vaccino intero, proveniente da una sola mungitura. Il latte, prima della coagulazione, non può essere sottoposto ad alcun trattamento termico, sia di riscaldamento che di raffreddamento, eccettuato quello strettamente indispensabile per mantenere la necessaria temperatura di avvio della coagulazione. Al latte, appena munto, viene aggiunto di caglio di vitello sfruttando il calore della mungitura. Non è ammesso l’uso di additivi e/o fermenti che potrebbero alterare le caratteristiche originarie del latte. L’intervallo di temperatura per l’avvio della coagulazione è situato tra i 30° e i 36°C; nel caso in cui la temperatura scenda al di sotto di quella stabilita per l’avvio della coagulazione (cosa non infrequente nella stagione fredda o negli alpeggi più alti) si effettua un moderato riscaldamento per riportarlo alla necessaria temperatura di coagulazione. Per rispettare pienamente le caratteristiche produttive l’aggiunta del caglio deve avvenire quanto prima possibile e, pertanto, va effettuata non appena terminate le operazioni di mungitura utilizzando il periodo in cui non è presente alcun processo di moltiplicazione batterica a causa degli enzimi batteriostatici (lattenine presenti ed attive con modalità decrescente nelle prime due ore dopo la mungitura) secreti dalle ghiandole mammarie al momento della mungitura medesima. L’acidità titolabile del latte di partenza è quella fisiologica del prodotto appena munto e si aggira intorno a 3,3-3,5°SH/50. Il tempo di presa e rassodamento della cagliata si aggira tra i 45 ed i 90

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Premiata Salumeria Italiana, 2/14

99


minuti (tempo decisamente superiore alla media riscontrata in numerosi formaggi) a causa del latte di partenza, che è molto dolce. La presenza dei citati enzimi batteriostatici, tipica del periodo post-mungitura, inibendo la moltiplicazione batterica fa sì che la coagulazione parta con caratteristiche spiccatamente presamiche. Riguardo all’intervallo previsto tra il tempo minimo e massimo per l’indurimento della cagliata, c’è da rimarcare che, trattandosi di lavorazione “al latte crudo”, senza aggiunta di fermenti, si è dovuto tenere nella debita considerazione l’influenza che i vari fattori (temperatura ecc…) esercitano sulle componenti naturali che partecipano al processo di caseificazione. Quando la cagliata ha raggiunto la consistenza desiderata si procede, contestualmente alla sua rottura, al riscaldamento della medesima, effettuato a fuoco moderato, fino a raggiungere una temperatura che oscilla tra i 40°C ed i 52°C a seconda della stagione e dell’esigenza di ottenere un prodotto più o meno “fermo”. Tale ampio intervallo di temperatura si rende indispensabile soprattutto nella lavorazione stagionata in ambienti naturali; in tale contesto è indispensabile calibrare la temperatura di semicottura per impedire che le forme “scappino”, conservando il giusto grado di fermezza anche in presenza delle meno favorevoli temperature estive.

L’intervallo di temperatura di semicottura previsto consente di pervenire al giusto grado di sineresi della cagliata per l’ottenimento di una corretta maturazione del prodotto. La dimensione media dei grani di cagliata, al termine della rottura, è simile a quella del chicco di riso ed è conseguenza di un processo di rottura molto spinto al fine di ottenere una buona sineresi del coagulo, che è positivamente influenzata dalle più minute dimensioni dei grani, a compensare il minor peso, nel processo di sineresi stesso, apportato dall’acidificazione della cagliata. Lo sgrondo del siero avviene, dopo l’immissione della cagliata nelle forme, con la loro pressatura (effettuata rigidamente a mano), alcuni rivoltamenti, la stufatura e un periodo di riposo che si colloca tra una mungitura e l’altra e si aggira, pertanto, sulle 12 ore circa. Con la salatura, effettuata normalmente a secco e avviata dopo qualche giorno di asciugatura delle forme, inizia il periodo di stagionatura che può spingersi fino a oltre 4 mesi, anche se l’esaltazione delle caratteristiche organolettiche del prodotto può considerarsi ad ottimi livelli dopo 60 giorni circa. La stagionatura deve avvenire in particolari ambienti, detti “crutin” o in locali in cui si riproducono le medesime condizioni naturali, usando superfici in legno sulle quali vengo-

Crêpes al Maccagno e speck alle erbe (photo © http://tatanora.blogspot.it).

100

no poste le forme, girate e ripulite giornalmente o a giorni alterni per ottenere la miglior stagionatura del prodotto. Quando il formaggio viene prodotto in comuni al di sopra dei 900 metri di quota alla denominazione “Maccagno” viene aggiunta la dicitura di “alpeggio”. Tutela e valorizzazione Il Maccagno è utilizzato nella cucina piemontese per la preparazione di diversi piatti, primo fra tutti la polenta “concia”, ma è anche spesso gustato come formaggio da tavola. Dal 2001 è stata istituita l’Associazione per la tutela e la valorizzazione del formaggio Maccagno, organizzazione non lucrativa che ha lo scopo di unire i produttori e di promuovere tutte le attività legate a tali finalità. L’Associazione ha istituito un marchio specifico e sta procedendo per ottenere un riconoscimento a livello europeo. A dar sostegno a questa richiesta ci sono anche i dati storici, riportati sempre nel sito nelle Comunità Montane piemontesi, da cui risulta che già oltre 100 anni fa il nome Maccagno doveva essersi conquistato, sul campo, una dignità propria se, nel Catalogo predisposto in occasione dell’Esposizione Generale dei prodotti del Circondario di Biella, datata 1882 e tenutasi nella stessa Biella, tale formaggio veniva non solo citato con parecchi particolari ma anche premiato (i suoi due espositori ottennero rispettivamente la medaglia di bronzo e una menzione onorevole). Da quanto riportato in questo Catalogo traspaiono con particolare evidenza almeno tre considerazioni: che il nome riservato ai formaggi presentati è quello di Maccagno, senza altre aggiunte; che il sostantivo “toma” altro non è se non la traduzione volgare di “forma” di formaggio; infine che i dettagli ivi riportati dimostrano in modo inconfutabile — a chi ancora oggi sia convinto che il Maccagno si possa produrre solo nell’omonimo alpeggio — che già 120 anni or sono era chiamata con tale nome la produzione fabbricata in altre zone, seppure dalle medesime caratteristiche di territorio. Nunzia Manicardi

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


i t t o io d Pro arch am

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

101


Olio

Extravergine, l’oro d’Istria L’olivicoltura croata è in piena ripresa e in Istria sono diverse le realtà produttive interessanti. La regione conta circa un milione di ulivi e punta sul turismo enogastronomico affiancando viticoltura e olivicoltura per rilanciare il territorio a livello internazionale di Massimiliano Rella

L’

olio extravergine d’oliva di Cres, terza denominazione di origine riconosciuta dal Ministero dell’Agricoltura della Croazia, dopo il prosciutto istriano e il cavolo cappuccio Varazdin, qualche tempo fa ha ottenuto la certificazione DOP anche dall’Unione Europea. Il primo a riportare in etichetta il marchio Dop è il Mosaico Premium, un olio da olive Slivnjaca e Plominka, venduto a 120 kn, circa € 15,80 al litro e prodotto dalla Cooperativa agricola che associa i produttori di Cherso, una delle isole dell’arcipelago del Quarnero, distante pochi chilometri dalla costa istriana (www.pz-cres.hr). I dati pubblicati dal Ministero dell’Agricoltura indicano la presenza di un totale di 175 frantoi, con la grande maggioranza — 148 — considerati moderni, cioè dotati di tecnologie adeguate a produrre extra vergine di qualità. E queste sono buone notizie. Infatti, dopo anni difficili durante il grigio regime comunista e la guerra nei Balcani — storia abbastanza recente —, l’olivicoltura croata è in piena ripresa. L’olivo e l’olio sono prodotti in quattro aree: Istria, Kvarner, Dalmazia nord e Dalmazia centro meridionale. In Istria, ad esempio, le varietà principali sono: Buza, Istarska Bjelica, Carbonera, Leccino. Complessivamente il patrimonio varietale della Croazia comprende oltre 40 cultivar e una lunga tradizione. Già in epoca greca e romana l’olio istriano era considerato tra i migliori del Mediterraneo. Nel VII secolo d.C. i Croati arrivarono sulla costa

102

adriatica orientale e gradualmente adottarono la coltivazione dell’olivo, che durò nei secoli e ricevette un ulteriore impulso quando l’Istria e la Dalmazia appartenevano alla Repubblica di Venezia. Nell’Ottocento la coltivazione dell’olivo in Croazia

si sviluppò ancora con 30 milioni di piante e una produzione media di 20-30.000 tonnellate di olio l’anno, per poi regredire nel Novecento, per lo sviluppo della viticoltura, che sottrasse terra all’olivo, e per varie vicende storiche, come la distruzione

Il produttore di olio extravergine d’oliva istriano Klaudio Ipsa.

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Il produttore di olio extravergine Lorenzo Belci, dell’azienda Meloto di Dignano d’Istria.

Gli olivi di Klaudio Ipsa. degli oliveti con gli incendi durante la guerra tra il 1991 e il 1995. In vista dell’ingresso della Croazia nell’Unione Europea era stato programmato l’impianto di un milione e mezzo di nuovi olivi su 5.500 ettari di territorio, motivo per cui sulle nostre tavole nei prossimi anni vedremo arrivare anche gli extravergini croati. L’Istria, una bella regione che in piccola parte è situata in territorio sloveno, il lembo più settentrionale, possiede circa 1 milione di ulivi, con una produzione annua di 1.800 tonnellate di olio, un extravergine di alta qualità. È un prodotto che da tempo riscuote successi nei concorsi internazionali, ma è anche una risorsa fondamentale non solo per il comparto agricolo. Lo sviluppo economico in Istria punta sul turismo

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

enogastronomico, oltre che balneare, per rilanciare il territorio come meta attraente in ambito internazionale. Insieme alla viticoltura, che vanta la Malvasia istriana, l’olivicoltura ha un ruolo decisivo con il suo paesaggio, la cultura e l’olio extravergine di qualità. Sono diverse le realtà produttive interessanti in Istria. Ipsa, ad esempio, è la piccola azienda agrituristica di Klaudio e Irene Ipsa, nel villaggio di Ipsi, tra Livade e Montona (www.ipsamaslinovaulja.hr). I due possiedono 1.200 piante di olivo, più 2.300 in altre zone tra Umago e Plovanja, verso la Slovenia, e coltivano varietà autoctone come Cernica, Buja, Bianchera, Bugla, ma anche Leccino e Frantoio. La produzione di extravergine ammonta a 6.000 litri l’anno, 4 tipi di olio in bottiglie da 0,5 litri (prezzo €

13.00). Le olive sono raccolte presto quando cominciano a cambiare colore, ancora piene di acqua e sostanze polifenoliche, e spremute in giornata con processi a freddo. L’olio, fatto decantare in modo naturale, viene conservato in botti azotate e imbottigliato con l’azoto per evitare il contatto con l’ossigeno e ottenere un extravergine che mantiene inalterate le sue proprietà più a lungo. L’azienda ha un punto vendita sempre aperto e accoglie i visitatori con degustazioni di olio in abbinamento a salumi, formaggi e conserve dell’orto di produzione propria Anche Meloto, l’azienda dei fratelli Lorenzo e Livio Belci a Dignano d’Istria, produce da sempre extra vergine d’oliva e da 15 anni anche in bottiglia (www.meloto.com). Hanno oliveti in più parti, per un totale di 3.000 olivi, alcuni ultracentenari, e producono varietà autoctone come Busa, la principale, ma anche Zizzolera, Rossignola e altre. Fanno solo oli mono-varietali per circa 2.500 litri l’anno, ma prevedono di incrementare quantità e varietà. Il frantoio è esterno con molitura a freddo entro le 4 ore dalla raccolta, con punto vendita e sala di degustazione. Visite e degustazioni su prenotazione. Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella.

103


Vino Nel cuore dell’area del Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene DOCG

Bacio della Luna: il Prosecco fa grande il Gruppo Schenk di Riccardo Lagorio

A

driano Annovi ha le idee chiare di chi sa lavorare coi numeri e la visione dello stratega che in testa ha un obiettivo. Otto milioni di bottiglie, di cui poco più di 5 milioni di Prosecco e qualcosa meno di un milione a DOCG, di cui tre quarti prendono la strada per l’estero. Questi numeri a due soli anni dall’acquisizione dell’azienda. E le proiezioni per il 2014 sono ancora improntate al rialzo, dato che la domanda tira. A fronte di ciò il Consorzio, che nel 2013 per la prima volta ha potuto contare su una certa disponibilità di risorse, ha promosso una serie di collaborazioni volte da un lato a garantire una maggiore tutela

del Prosecco nel mondo, dall’altro a riposizionarne l’immagine a livello internazionale. Ed eccolo uno dei protagonisti assoluti di questa sfida: Bacio della Luna, il Prosecco che sta facendo grande il gruppo internazionale svizzero SCHENK, che ha sedi distaccate in tutta Europa. La partecipazioni a importanti eventi fieristici di settore (Prowein, Alimentaria, Vinitaly) e la selezione di distributori altamente specializzati nella ristorazione e nell’HORECA ha posizionato il marchio in una fascia medio alta, che si fonda su un rapporto tra prezzo e qualità indovinato. Tra le partnership avviate nel primo anno d’attività, quelle con l’International

Golf Corporation, ed in particolare con il Golf Club di Jesolo e con il Golf Club Villa Paradiso di Milano. Il Club di Jesolo, aperto tutto l’anno, ha un respiro internazionale che ben si sposa con le caratteristiche del marchio Bacio della Luna, e il Club di Milano rappresenta un’ulteriore possibilità di connubio tra l’alto livello della produzione e interlocutori che ne sanno apprezzare gli elementi caratterizzanti. In entrambi i casi, una partnership di valore. Per il gruppo internazionale Schenk — un’attività da 700 milioni di fatturato l’anno e cantine dislocate nelle aree del mondo più prestigiose per la produzione vitivinicola — il nuovo investimento ha significato

Bacio della Luna: Prosecco Superiore DOCG Millesimato, Prosecco DOC (Brut ed Extra Dry), Pinot Spumante Rosé Extradry.

104

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Adriano Annovi. dare ulteriore sviluppo a Schenk Italia e arricchirsi di un tassello mancante nella propria organizzazione, ovvero una cantina di spumantizzazione. Eleganza e autenticità per ogni occasione speciale. «In questa semplice frase si manifestano il nostro impegno ed il nostro obiettivo» dice Annovi, responsabile vendite Italia. Bacio della Luna si trova a Vidor (TV), nel cuore dell’area deputata alla produzione di Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene DOCG, dove l’esperienza e la tradizione vitivinicola hanno segnato il paesaggio, rendendolo unico al mondo. «Come unico al mondo — continua Annovi — è il Prosecco, vino spumante che all’estero ci invidiano. La maggior parte della produzione è dedicata al Prosecco spumante e una parte più contenuta al Prosecco frizzante. Le uve sono tutte rigorosamente acquistate in zona e la nostra lavorazione parte dal mosto, attenendosi al severo disciplinare previsto per il Prosecco DOCG». La collezione è composta da quattro tipologie di spumante. Al vertice della piramide, se così si può dire, ci sta il Prosecco Superiore DOCG Millesimato, ottenuto da uve di varietà Glera, dal colore giallo paglierino chiaro, perlage fine e persistente ed un bouquet che ricorda fiori d’acacia e glicine. Fragranza di pesca e pera gialla in bocca. In versione Extradry ed in versione Brut si ha il Prosecco DOC Spumante. L’uno e l’altro da uve Glera, il primo si caratterizza per il

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

Lo stand di Bacio della Luna a Vinitaly 2013. colore dorato e riflessi verdognoli, dalle bollicine continue e fini ed un profumo intenso con ampia mineralità in bocca; il secondo si presenta brillante con colore dorato e riflessi verdognoli, delicato e fruttato al naso, richiama fragranze di pesca e mela Golden al palato. C’è infine il Pinot Spumante Rosé Extradry, elaborato con uve provenienti dal Triveneto, vinificando in rosato uve Pinot, dal colore rosa tenue e riflessi ramati, perlage fine e continuo. Caratteristico retrogusto persistente. Bacio della Luna è inserita perfettamente nella logica di sviluppo dell’area a vocazione Prosecco, dove il Nord-Est è riuscito a dare origine ad un altro boom economico, questa volta in versione agroalimentare: oltre diecimila aziende produttrici, qualcosa più di 1.300 case vinicole e oltre 300 spumantizzatori. Numeri imponenti, come si vede, che sviluppano un prodotto con una

crescita annuale a due cifre. Un vino che preferisce essere bevuto giovane, per i giovani che vanno al ristorante, per i mercati emergenti. «Le frontiere — prosegue Annovi — sono un elemento che non ci frena, neppure fuori dall’Europa. Tanto che negli Stati Uniti, in Cina, Russia e Giappone siamo ben posizionati, anche grazie al buon assetto logistico che possediamo». Il tutto affidato ad un team affiatato e di grande carattere. A Vidor, per esempio, le buone pratiche della vinificazione sono affidate a Dario Dellamaria, esperto e di lungo corso, che sa calibrare l’intervento della mano dell’uomo per ottenere un prodotto finale di grande valore organolettico; in tutti i settori l’azienda punta al meglio. «Perché siamo soddisfatti di come stanno andando le cose, ma siamo ben consci che siamo solo all’inizio del percorso…». Riccardo Lagorio

105


Incanto di vino con il Moscato di Terracina Secco, amabile, passito e spumante: il Moscato di Terracina è tra le più recenti Doc del Lazio. Tra i produttori incontriamo Cantina Sant’Andrea e Terra delle Ginestre di Massimiliano Rella

N

ella fascia meridionale dell’Agro Pontino torna in auge il Moscato di Terracina, una delle più recenti Doc del Lazio, ottenuta dal vitigno Moscato coltivato nei comuni di Monte San Biagio, Sonnino e Terracina. Un territorio già noto per i vini della Doc Circeo. Tra le aziende che valorizzano la nuova denomi-

106

nazione c’è Cantina Sant’Andrea, a Borgo Vodice, frazione di Sabaudia. La cantina di Gabriele Pandolfo, gestita con l’aiuto del figlio Andrea, ha una lunga storia legata alla viticoltura ma in terre diverse e lontane. Andrea Pandolfo, bisnonno di Gabriele, cominciò a produrre vini da uve zibibbo nell’isola di Pantelleria, verso la metà dell’800. Nel 1880 vendette i terreni

in Sicilia e si trasferì in Tunisia, allora sotto protettorato francese. In pochi anni i Pandolfo, originari siciliani, acquisirono 700 ettari tra vigneti, oliveti e altre produzioni nell’area di Capo Bon e Grombalia, non lontano da Tunisi. L’attività, non senza sacrifici e con impegno, si tramandò di padre in figlio. Ma nel 1964, quando l’allora presidente della Tunisia Har-

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Giulio Maurini della cantina Terra delle Ginestre, di Spigno Saturnia (photo © Massimiliano Rella). bib Bourghiba decretò l’esproprio dei beni e delle proprietà degli stranieri, alla famiglia Pandolfo non restò che tornare in Italia. Praticamente da “profughi”. Arrivarono così in provincia di Latina dove, grazie a facilitazioni offerte dallo Stato Italiano, riuscirono a comprare un podere nei dintorni di Sabaudia, riprendendo nel 1968 la produzione di vino. Oggi sono proprietari di 30 ettari a Borgo Vodice e altri 15 ettari a Campo Soriano, sopra Terracina, a 500 metri sul livello del mare; altri 30 ettari sono in affitto in diversi punti della provincia pontina. I vigneti sono coltivati con vitigni internazionali e autoctoni, come il Merlot, il Cabernet, il Trebbiano, lo Chardonnay, il Cesanese e il Moscato di Terracina. La cantina, oltre al vino sfuso, fa due linee di etichette: Acquerelli, che corrisponde al 30% della produzione, con vini di alta qualità, e la Classica, con 15 tipologie, commercializzate esclusivamente nelle quattro enoteche aziendali, a Borgo Vodice, Latina, Sabaudia e Terracina. Sono vini delle DOC Circeo e Moscato di Terracina DOC, quest’ultima riconosciuta nel 2007, ma in realtà un vino della tradizione, un tempo molto più diffuso. Basti pensare che dopo la seconda guerra mondiale erano 1.300 gli ettari coltivati a moscato di Terracina, oggi

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

Cantina Sant’Andrea, Borgo Vodice, Sabaudia, i produttori Gabriele Pandolfo e il figlio Andrea (photo © Massimiliano Rella). sono appena 55 — iscritti all’albo DOC —, dei quali 44 gestiti da una cooperativa di vignaioli guidata da Gabriele Pandolfo, che ne acquista le uve. L’azienda ha inoltre impiantato una decina di ettari di proprietà a Moscato di Terracina, una piccola parte già in produzione. Fatto sta che Cantina Sant’Andrea oggi produce il 90% di tutto il Moscato di Terracina Doc in circolazione, nelle tipologie previste dal disciplinare: secco, amabile, passito, spumante brut e spumante dolce.

In tutto 90.000 bottiglie nella sola linea Acquerelli, più le bottiglie della Classica e lo sfuso. Inoltre, i Pandolfo sono gli unici a produrre il Moscato di Terracina spumante. E presto sarà presentata una sesta etichetta, un cru. L’altra denominazione è il Circeo Doc, che abbraccia la zona litoranea dalla penisola del Circeo fino alle porte di Latina. Cantina Sant’Andrea ne ha 4 etichette nella linea Acquerelli: un rosso, un rosato, un bianco fermo e un bianco frizzante, per un totale di 200.000 bottiglie. Punto vendita

107


e Abuoto. Il sesto vino è il passito Promessa da Moscato di Terracina, con raccolta tardiva e appassimento forzato di 5-6 settimane, affinato un anno in barrique. La produzione totale è di 12.000 bottiglie l’anno, ma con l’obiettivo di arrivare a 30-40.000 con altri 6,5 ettari di nuovi impianti in affitto. Dall’ultima vendemmia la metà della produzione è priva di solfiti. Visite e degustazioni su prenotazione. Massimiliano Rella

Il ristorante Trasparenze DiVino a Gaeta vecchia (photo © Massimiliano Rella). da lunedì a domenica, degustazioni e visite su prenotazione. Un’altra realtà vitivinicola che si dedica ai vitigni autoctoni è Terra delle Ginestre, la piccola cantina di un’azienda agricola cooperativa di Spigno Saturnia, vicino a Formia, nell’estremo sud del Lazio, in odor di Campania. Fondata nel 1998 da cinque soci, di professioni diverse ma tutti con la passione del vino, coltiva 2 ettari di proprietà e altri 2 in affitto tra

Formia, Spigno e Valle Marina, sopra Terracina. I vini sono ottenuti solo da vitigni autoctoni: il Bellone, che qui si chiama anche Ciciniello, è utilizzato in purezza per il bianco Lentisco; il Moscato di Terracina, per un altro bianco, l’Invito; mentre il Letizia è un uvaggio al 50% dei due vitigni. Sono prodotti anche un rosso da Abuoto in purezza, storico vitigno dal quale i Romani ottenevano il vino Cecubo; e un altro da un uvaggio di uva Vipera

Sant’Andrea Az. Agricola Strada del Renibbio, 1720 04010 Borgo Vodice, Terracina (LT) Telefono: 0773 755028 E-mail: info@cantinasantandrea.it Web: www.cantinasantandrea.it Terar delle Ginestre Piccola società a r.l. Via SS 630 Ausonia, 59 04020 Spigno Saturnia (LT) Telefono: 0771 700297 E-mail: info@terradelleginestre Web: www.terradelleginestre.it Nota A pag. 106 Terracina vista dal tempio di Giove (photo © Massimiliano Rella).

Verso Expo 2015: Vinitaly 2014, punto di partenza e arrivo per la promozione del vino sul mercato domestico e internazionale «Vinitaly è la massima espressione dell’eccellenza vitivinicola italiana e per questo non ho dubbi che sarà protagonista durante i sei mesi dell’Expo 2015 a Milano. Presto vedremo svilupparsi il potenziale cui abbiamo lavorato insieme finora. Nei prossimi giorni il ministero farà dei passi avanti con Expo in questo senso». Così il ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina, a Roma, durante la conferenza stampa di presentazione di Vinitaly 2014, in riferimento agli atti attuativi per il padiglione vino che verranno firmati a breve tra ministero ed Expo. «Riconosco la centralità di Vinitaly — ha poi aggiunto Martina — anche per lo stile, la capacità e la forza di promuovere all’estero il vino tricolore e le sue imprese». “Internazionalizzazione” è tra le parole chiave della 48a edizione di Vinitaly, presentata il 6 marzo scorso a Roma. Il più importante salone mondiale dedicato ai vini e ai distillati torna, infatti, a Veronafiere dal 6 al 9 aprile (www.vinitaly.com). La manifestazione si conferma network globale per la promozione del sistema vitivinicolo, con buyer in arrivo da oltre 120 nazioni. Uno strumento a servizio delle imprese del settore, soprattutto di quelle italiane che nel 2013 hanno totalizzato oltre 5 miliardi di euro di export. In contemporanea alla rassegna veronese tornano anche Sol&Agrifood ed Enolitech, i due saloni che completano l’offerta di Vinitaly con l’eccellenza del food e delle tecnologie per la viticoltura, l’enologia e l’olivicoltura made in Italy.

108

Giovanni Mantovani direttore generale di Veronafiere, alla conferenza stampa romana.

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Haripro, leader in Italia nella produzione di proteine e aromi naturali, fornisce le pi첫 importanti aziende produttrici di ingredienti per la salumeria. Haripro grazie ad una continua ricerca, ha sviluppato negl'anni prodotti sempre pi첫 all'avanguardia, come proteine funzionali ed aromi naturali anallergici ad alto valore nutrizionale. Haripro is a leading producer of proteins and natural flavours in Italy. It supplies the most important Companies which blend ingredients for the meat industry. Haripro, thanks to a continuous research, had developed through years more advanced products like functional proteins and hypoallergenic natural flavours with high nutritional value.

spa

41057 Spilamberto (Modena) - Italy - via Ghiarole, 72 - Tel. +39 059 78 41 11 - Fax +39 059 78 37 47 Premiata Salumeria Italiana, 2/14 www.haripro.it e-mail info@haripro.it

109


VIP, Visti Io Personalmente

Viaggio nella California d’Italia di Angelo Valentini

P

arto da Livorno, mi immetto sulla via Aurelia per raggiungere l’alta Maremma e arrivo nella zona del Bolgherese, detta anche la California d’Italia, una zona fertile, ricca, benedetta da Dio. Sosto a San Guido, da dove si dipartono i famosi cipressetti di carducciana memoria, che svettano nel cielo, immobili testimoni delle vicende del tempo, avendo assistito alla completa trasformazione del territorio, dalla scomparsa, nel 1970, del mitico rosé, alla proliferazione di ordinati vigneti specializzati essenzialmente a bacca rossa, che si perdono a vista d’occhio verso l’orizzonte dove il sole tramonta sull’arcipelago toscano. Il gotha della produzione vitivinicola internazionale ha scoperto la fecondità dell’alta Maremma, dove si possono produrre grandi vini rossi, tanto da offuscare i famosi Super Tuscan e i longevi Brunelli. Nomi e marchi prestigiosi

hanno investito capitali ingenti, realizzando cantine vanto dell’enologia mondiale. Troviamo ANGELO GAJA, sceso dal suo Piemonte per acquistare la tenuta denominata Ca’ Marcanda, che tradotto in dialetto piemontese significa “trattativa lunga e difficile”. A detta di Angelo si è trattato di un negoziato veramente sofferto, ma l’innamoramento ha fatto superare ogni ostacolo. Il primo vino lo ha denominato Magari, sebbene qualcuno gli avesse consigliato di chiamarlo Sassigaja. Tutto rispecchia la personalità del proprietario: cantina e territorio meritano una visita. Altro nome prestigioso: il marchese NICOLÒ INCISA DELLA ROCCHETTA, già presente in zona con una vasta proprietà. Questa terra generosa si presta a tutto, dall’allevamento di cavalli purosangue alla coltivazione di ulivi, viti e di qualsiasi albero da frutto, grazie al clima favorevole e

al terreno soffice e ben drenato. Uno dei gioielli di casa Incisa è il ricercatissimo Sassicaia, seguito da un altro rosso, il Guidalberto, dedicato a un personaggio della famiglia. I marchesi ANTINORI non sono da meno e presentano sul mercato altri due rossi di notevole importanza, l’Ornellaia e il Masseto, provenienti da vigneti esposti a mezzogiorno, con viste incantevoli. Seguono altri marchi degni di essere menzionati, prodotti da viticoltori che hanno creduto nella validità del territorio come MELETTI CAVALLARI, con Impronte, un Bolgheri superiore. Non ha resistito al fascino della Maremma e dalla sua cattedra universitaria ATTILIO SCIENZA produce vini rossi di alto lignaggio nel podere Guado al Melo. Non poteva mancare all’appuntamento un nome e un marchio internazionale come ZONIN, che ha aggiunto alle sue molteplici

Vigneti nella Tenuta Le Macchiole (photo © www.winetravel.se).

110

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


referenze anche i vini di Maremma prodotti più a sud, nella zona di Gavorrano, un tempo conosciuta come territorio minerario, oggi per il suo vino San Cristoforo. La via più suggestiva, dal punto di vista vitivinicolo, è quella che collega Castagneto a Bolgheri. Vale la pena fermarsi da MICHELE SATTA per assaggiare un insolito Syrah, oltre alla tenutella di Tua Rita per bere un Redigaffi. Sullo stesso percorso una menzione particolare merita CINZIA MERLI: imprenditrice agricola a tutto campo, enologa, sommelier, ha trasformato il suo podere di circa trenta ettari in una valle dell’Eden, dimostrando che la generosa terra di Bolgheri può produrre tutto, dagli agrumi a qualsiasi tipo di frutta e ortaggio; le vigne sono curate come il bene più prezioso ed altrettanta cura è riservata agli olivi frondosi, ricchi e rigogliosi. La proprietà è denominata Le Macchiole. I vini di spicco sono il Messorio e il Paleo rosso. Proseguo sempre sull’Aurelia e mi dirigo verso Suvereto. Da lontano scorgo la monumentale cantina denominata Petra, opera dell’architetto svizzero Mario Botta, committente VITTORIO MORETTI, che non finisce mai di stupirci per le sue intuizioni e i mirati investimenti in agricoltura, dettati da una visione proiettata nel futuro, molto diversa da quella dell’agricoltore tradizionale. Capace di individuare un territorio brullo fino a quel momento invaso dalla macchia mediterranea, lo acquista e vi realizza l’azienda vitivinicola più bella del mondo, dando vita a vini rossi prestigiosi quanto i suoi spumanti Bellavista. Mi piace descrivere anche la proprietà situata sulle dolci alture del golfo di Baratti, che gode di una vista di incomparabile bellezza: di fronte l’Elba, la Corsica, il mare con i suoi sapidi venti di maestrale e libeccio, bacianti i vigneti tutti convergenti verso la cantina come tante scacchiere geometriche, adornati da roseti multicolori messi a capofila, beneficiando del bacio del sole fino al tramonto. Da Petra ritorno sull’Aurelia, esco a Follonica, prendo la strada delle Collacchie e raggiungo Castiglion della Pescaia, delizioso borgo

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

Paolo Panerai. marinaro. Qui grandi distese di Pinus pinea collegano la cittadina a Marina di Grosseto; alcuni canali si intersecano abbracciandosi con ponti sopraelevati, al di sotto dei quali scorre tranquilla verso il mare l’acqua reflua della bonifica. Moretti, estasiato da tanta bellezza, ha acquistato un altro gioiello maremmano: la Tenuta Badiola, un territorio pianeggiante di terreno fertilissimo, sovrastato da una collinetta dove sorgono il complesso della vecchia fattoria e la villa padronale, ristrutturati ad albergo e centro benessere di altissimo livello, affidando la cucina allo chef Alain Ducasse. Mi dirigo di nuovo verso Gavorrano, inoltrandomi nella zona interna, dove la macchia mediterranea regna sovrana e i monti sono ricchi di giacimenti minerari ancora attivi. Ebbene, in questo territorio è avvenuto un incontro memorabile: la casa vinicola più prestigiosa del mondo si è spostata dalla sua sede di Bordeaux, approdando nella California italiana. È il 2001, anno di nascita di Rocca di Frassinello, una tenuta di 500 ettari circa che segna la prima joint venture Italia-Francia per la produzione di un vino italiano: un matrimonio davvero di…vino tra la Castellare di Castellina di Castellina in Chianti, di proprietà di PAOLO PANERAI, giornalista, editore, economista, viticoltore, e la Holding Baron de Rothschild, proprietaria della famosissima cantina Lafite, legata storicamente alla corte di Versailles ed a Madame Pompadour, che consideravano quel vino il loro personale elisir di giovinezza.

Il dottor Panerai, memore di una giovanile amicizia con l’architetto genovese Renzo Piano, gli affida la progettazione della cantina. Prima di eseguire i lavori, Piano sorvola con l’aereo la zona, la studia e, una volta scelto il sito ideale, inizia i lavori del “tempio-cantina”, manufatto in calcestruzzo a vista conficcato nella madre terra. Nasce così l’enopolio più originale e funzionale del mondo. Un lindo piazzale è luogo di ricevimento delle uve provenienti dai prospicienti vigneti; una torre a forma di parallelepipedo spunta dalla base stessa del piano di campagna ed ha la funzione di portare un suggestivo fascio di luce nella buia cantina, grazie ad un gioco di specchi rifrangenti. Mosto e vino cadono per gravità nelle sottostanti cisterne di fermentazione e decantazione, per poi passare in un anfiteatro quadrangolare, dove 2.500 barriques sistemate a gradoni ospitano il vino per l’affinamento. La sensazione che si prova è quella di trovarsi in uno stadio con le quattro gradinate degradanti verso il campo. Al posto dei tifosi, le piccole botti. «Valentini, la stanno osservando 2.500 occhi» mi dice infatti Panerai, come se le botti mi stessero esaminando da ogni lato. Al termine del viaggio mi concedo una tappa gastronomica da LUCIANO ZAZZERI a Marina di Bibbona, chef incontrastato nella preparazione di piatti di pesce, sostando a Marina di Castagneto presso I Ginepri degli amici PAOLA CARDELLINI e ALESSANDRO DUGHERA. Un’esperienza che suggerisco ai miei lettori. Angelo Valentini

111


Anteprima Bardolino, Chiaretto e Custoza Si sono svolte il 15 e 16 marzo a Lazise, accolte come sempre da un grande successo di pubblico ed addetti ai lavori di Laura Franchini

L

a primavera porta con sé giornate più lunghe, i primi caldi, la voglia di uscire. Ma porta anche le Anteprime del Bardolino, del Chiaretto e, per la prima volta, del Custoza. Nella splendida cornice della storica Dogana Veneta di Lazise, circondata dalla bancarelle del mercatino gastronomico, si sono svolte domenica 16 marzo (con un prologo anche il 15 per il Custoza) le degustazioni dell’annata 2013 di queste denominazioni così amate e riconosciute. Quest’anno la manifestazione si è addirittura sdoppiata,

andando a coinvolgere anche la DOC Custoza, in degustazione presso la vicina sala civica del municipio. Giunta alla sua sesta edizione, l’Anteprima di Bardolino e Chiaretto richiama sempre un folto pubblico, grazie anche alla splendida location nella quale si svolge. Va anche sottolineata la gratuità per il pubblico dell’evento, un dato importante e non banale, in un periodo di contrazione su più livelli e mercati. Immaginate dunque una meravigliosa giornata di primavera sul Lago di Garda, un’ambientazione

pittoresca e ben organizzata, circa 230 vini offerti in libera degustazione da 65 produttori delle denominazioni Bardolino, Chiaretto e Custoza. La macchina dell’organizzazione di queste anteprime di affaccio gardesano è ben rodata e non manca di offrire spunti interessanti di degustazione e di gusto. Particolarmente apprezzata la “verticale di asparagi” svoltasi presso il ristorante “Borsa” di Valeggio, in collaborazione con il Consorzio della valorizzazione asparago di Verona, durante la quale si sono potute apprezzare diverse preparazioni a base

Anteprima del Custoza a Lazise (photo © Renato Vettorato).

112

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Le donne del Bardolino. di asparagi, in abbinamento con i vini delle 3 denominazioni. Tre denominazioni importanti per il comparto vinicolo Veneto e non solo Bardolino, Chiaretto e Custoza: insieme costituiscono la quarta area vinicola del Veneto, totalizzando 4.500 ettari di vigneto specializzato. Vendono più di 40 milioni di bottiglie l’anno, con un fatturato intorno ai 100 milioni di euro. La Doc del Bardolino è specializzata nella produzione di rossi e di rosati (il Chiaretto), quella del Custoza nei bianchi. «Le nostre sono tra le pochissime Anteprime che propongono realmente i vini dell’ultima annata, pronti per andare in commercio» osserva Giorgio Tommasi, presidente sia del Consorzio del Bardolino che di quello del Custoza, entrambi caratterizzati da una massiccia adesione dei produttori: la rappresentatività supera il 90%. Un dato importante, per nulla banale, segno di coesione, di condivisione di energie, progetti, idee. Lazise è il comune che fa da raccordo fra la zona Classica del Bardolino e la porzione più a sud della denomina-

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

zione bardolinese, che coincide anche con l’area del Custoza. Nel 2013 il Bardolino ha visto arrivare in cantina 305.000 quintali di uva, con una diminuzione del 17% rispetto al 2012, a seguito della decisione del Consorzio di abbassare da 130 a 115 quintali per ettaro la quantità delle uve DOC. Positivi i dati di mercato: nel 2013 l’imbottigliato (28,5 milioni di bottiglie totali) ha segnato un incremento del 4% sul 2012. Più in dettaglio, sono salite del 5,8% le vendite del Bardolino, a quota 20,3 milioni di bottiglie (19,2 milioni nel 2012), mentre il Chiaretto si colloca stabilmente oltre gli 8 milioni. Il Custoza rappresenta la quinta area produttiva fra le DOC venete, con 172.000 quintali di uva rivendicata nel 2013, un valore sostanzialmente stabile rispetto al 2012 (+4%) e leggermente al di sotto del dato del 2011 (-5%). Nel 2013 l’imbottigliato del Custoza è salito del 10,2%, superando la quota di 12 milioni di bottiglie (erano state 10,9 milioni nel 2012). Quanto all’esito della vendemmia 2013, il presidente Tommasi commenta così: «È stata un’annata

stravagante sotto il profilo climatico. La lotta integrata, applicata ormai da vent’anni a tutto il nostro territorio, ci ha permesso di fronteggiarne le insidie. Lo stato sanitario e la qualità delle uve sono buoni, con tenore zuccherino leggermente inferiore alle annate precedenti, ma con un migliore quadro acidico». Il Bardolino si presenta elegante e non di tanto corpo, e dunque probabilmente necessita di un tempo di maturazione maggiore rispetto alle precedenti annate. Nel Chiaretto i classici profumi di piccoli frutti sono esaltati da un’annata particolarmente spinta sulla freschezza della beva. Il Custoza offre profumi di frutta bianca e di fiori, ma soprattutto una sapidità in rilievo e un considerevole potenziale di longevità. Insieme, Bardolino, Chiaretto e Custoza saranno protagonisti della presentazione in anteprima per i mercati esteri a Monaco di Baviera. Una ricca programmazione, che vede le denominazioni presenti anche a Vinitaly e che è testimone di impegno, presenza sul mercato, successo tra i consumatori. Laura Franchini

113


I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: di Laura

U

n titolo provocatorio? Un’idea trasversale? Sì, forse, ma cercare nuove strade e soddisfare la curiosità è un dovere. In realtà è un titolo realistico, perché è un abbinamento corretto e riuscito. Un matrimonio che può sembrare inconsueto ma che soddisfa pienamente il gusto e le regole dell’abbina-

mento cibo-vino. Le tigelle emiliane sono un’eccellenza gastronomica italiana, una grande tradizione, amatissima, non solo nella regione d’origine. Le crescentine (“tigella” in realtà è il nome dello stampo di terracotta con cui una volta si cuocevano le crescentine nell’Appennino emiliano, Ndr) sono una sorta di pane di forma rotonda, basse, cotte

Franciacorta DOCG Brut Contadi Castaldi

Franciacorta DOCG Cuvée Prestige Cà del Bosco

Franciacorta DOCG Non Dosato Coupé – Monte Rossa

Un sapiente blend di uve provenienti da diverse proprietà della cantina Contadi Castaldi, che può avvalersi di differenti vitigni in differenti zone della Franciacorta, garantendo prodotti poliedrici e peculiari. Un calice brillante composto da uve Chardonnay per un 80%, Pinot Nero per un 10% e Pinot Bianco per il rimanente 10%. La vinificazione è particolarmente attenta e pignola: la bollicina franciacortina affina per 7 mesi in acciaio e in barrique ed effettua una parziale fermentazione malolattica. Attenzioni che donano al prodotto eleganza e struttura, virtù pienamente riscontrabili in degustazione. Un perlage fine e continuo apre le danze, seguito da note olfattive piene, raffinate, fiori e note leggere di agrumi canditi, con leggera speziatura verde a contorno. Armonica la bocca, tesa e retta, equilibrata tra le parti, giusta freschezza. Banale suggerire il solo rito dell’aperitivo, il prodotto è giostrabile negli abbinamenti. Perfetto con una croccante tigella ripiena di San Daniele.

Un calice diventato un classico, entrato meritatamente nell’immaginario iconico dei winelovers. La Cuvée Prestige è composta da uve Chardonnay per il 75%, Pinot Nero per il 15% e 10% di uve Pinot Bianco, rigorosamente raccolte a mano e raffreddate prima di venire pressate. La fermentazione procede fino a marzo. Seguiranno 7 mesi di affinamento prima dell’assemblaggio con i vini riserva delle migliori annate. L’affinamento sui lieviti dura 25 mesi, a cui segue il dégorgement, che per Cà del Bosco — e solo per Cà del Bosco — essendo un metodo brevettato, avviene in assenza di ossigeno. La degustazione è ricca di soddisfazioni, a partire dalla valutazione del perlage, finissimo e persistente. Al naso è l’eleganza a farla da padrona, con tinte fruttate e agrumate, croccantezza che ritorna circolare, florealità. Imponenti l’armonia e l’equilibrio, freschezza precisa, sapidità corretta. Un tutto pasto, perfetto col pesce. Con un prosciutto di Parma, abbracciato da una tigella tiepida, sarà indimenticabile.

Coupé come un’auto sportiva e grintosa; coupé come “taglio” in francese, evocativo dei processi produttivi del Metodo Classico; coupé come energica ed elegante rappresentazione della miglior Franciacorta. Prevalentemente prodotto con uve Chardonnay, con una piccolissima aggiunta di Pinot Nero, questo brillante calice affina per il 56% in botti d’acciaio e per il 44% in legno. Il periodo d’affinamento sui lieviti dura 24 mesi. Al bicchiere il colore è di un bel giallo paglierino brillante con leggeri riflessi verdolini. Intrigante l’olfattiva, piena e rigogliosa di note floreali, lontani gelsomini e prati in fiore, con piccola frutta a contorno, pesca bianca e mandorle. Entra morbidissimo in bocca, grazie ad una raffinata schiuma, ben addomestica da un perlage di carattere. Armonico e equilibrato, ha una bella spalla acida e una nota sapida decisa, con punte salmastre a donare completezza e peculiarità. Ben si abbina a tutti gli aperitivi, da provare con una tigella ripiena di profumata mortadella.

Contadi Castaldi Via Colzano, 32 25030 Adro (BS) Telefono: 030 7450126 contadicastaldi@contadicastaldi.it

Cà del Bosco Via Albano Zanella, 13 25030 Erbusco (BS) Telefono: 030 776221 cadelbosco@cadelbosco.com

Soc. Agr. Monte Rossa Srl Via Monte Rossa, 1R – 25040 Bornato di Cazzago S. Martino (BS) Telefono: 030 725066 info@monterossa.com

114

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Franciacorta e tigelle Franchini

sulla pietra refrattaria. Vengono condite con un battuto di lardo, aglio e rosmarino, al quale viene aggiunto, volendo, una bella manciata di Parmigiano Reggiano. Accanto a questo condimento le tigelle si accompagnano anche con formaggi e salumi. Tradizionalmente vengono abbinate ai grandi vini emiliani,soprattutto frizzanti, ma i salumi con

cui vengono farcite permettono anche altri abbinamenti. Quello con i vini del Franciacorta è uno di questi, riuscitissimo. La tradizione norcina del nostro paese è adattissima a questi calici raffinati e se non avrete la possibilità di gustarli con le tigelle basterà una fetta di pane per apprezzare la perfezione di un abbinamento tra grandi eccellenze.

Franciacorta DOCG Extra Brut Cola Battista

Franciacorta DOCG Brut Millesimato 2008 Cellarius – Berlucchi Guido

Franciacorta DOCG Millesimato 2009 Brut Emozione – Villa Franciacorta

Stefano Cola e il padre Battista condividono la passione per le bollicine franciacortine e per il Metodo Classico, che declinano essenzialmente con uve di Chardonnay. Eccezion fatta per alcuni appezzamenti coltivati a Pinot Nero, i dieci ettari vitati di questa cantina sono infatti a Chardonnay. Non stupisce quindi che questo calice sia prodotto con uve di Chardonnay in purezza, declinate con sapienza. Di colore giallo raggiante, l’olfattiva è piena, pulita, raffinata. Spiccano note di pasticceria, mandorle e burro, leggera tinta verde di buccia di banana, gelsomini in lontananza. Circolare il palato, che apre con una bella morbidezza regalata dalla schiuma. Completa la degustazione una trama fresca precisa, equilibrata e note sapide leggere ma decise, piacevolissime. Un calice che si presta con grande facilità al rito dell’aperitivo nelle sue molteplici declinazioni, ma anche su abbondanti catalane di crostacei e piatti di pesce e, perché no, con una tigella ripiena di culatello.

Facile e banale dire che senza Berlucchi non ci sarebbe Franciacorta. Facile ma vero. Nasceva nel 1961 dalla lungimiranza e dall’impegno di Guido Berlucchi e Franco Ziliani quel calice che avrebbe tracciato il solco di una storia piena di successi, di gusto ed eccellenza, e che oggi è entusiasmante almeno quanto quei ruggenti anni ‘60, ma con una spiazzante modernità fatta di eleganza e stoffa. Sono uve di Chardonnay per il 70% e di Pinot Nero per il 30% a comporre il blend, fermentate in vasche d’acciaio nella quasi totalità. Una piccola parte riposa un po’ in barrique, dove svolge anche la fermentazione malolattica, così da portare più complessità al risultato finale. Sono 6 i mesi di riposo a contatto coi lieviti, seguiti dalla preparazione della cuvée e da altri 30 mesi di riposo, ai quali ne verranno aggiunti altri 3 dopo la sboccatura. Il risultato è un calice di rara armonia e freschezza, perfetto con piatti di pesce di ogni tipo e memorabile con una fragrante tigella ripiena di spalla cotta di San Secondo.

Una meravigliosa realtà vitivinicola che nasce nel 1960, quando Alessandro Bianchi decide di investire in questo splendido angolo di Franciacorta. Ora la conduzione Bianchi-Pizziol con piglio e passione porta avanti i valori dell’azienda e del territorio, producendo vini di qualità, con costanza. Questo calice, emozionante nel nome quanto nel gusto, è composto da uve di Chardonnay per l’85%, Pinot Nero per il 10% e Pinot Bianco per il rimanente 5%. Sono 36 i mesi di sosta sui lieviti. La degustazione si apre con entusiasmo, grazie a ricche note di grande raffinatezza. Croccantezza di pane appena sfornato accompagnato da florealità e fruttuosità morbida, pesche bianche e mandorle, leggera burrosità in chiusura. Fresco e sapido quanto equilibrato e dal perlage fine e persistente, chiude con circolarità, lunghezza e armonia. Adatto ad aperitivi gioviali come pasti completi, vi suggeriamo di farcire una tigella ancora calda con un battuto di lardo o un profumato lardo di Colonnata. Ci ringrazierete.

Cola Battista Via Indipendenza, 3 25030 Adro (BS) Telefono: 030 7356195 info@colabattista.it

Guido Berlucchi & C. Spa Piazza Duranti, 4 25040 Borgonato (BS) Telefono: 030 984381 info@berlucchi.it

Villa Franciacorta Via Villa, 12 25040 Monticelli Brusati (BS) Telefono: 030 652329 info@villafranciacorta.it

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

115


Storia e cultura

Zuppa inglese “invenzione” italiana La zuppa inglese, se non inventata, è stata divulgata a Parma da Vincenzo Agnoletti all’inizio del 1800, che la chiama inglese perché usa il rhum, liquore tipico della marina britannica di Giovanni Ballarini

U

n tormentone da tempo si agita nella gastronomia italiana, quello dell’origine e della denominazione della zuppa inglese, con diatribe oggi un poco assopite, forse perché sostituite dalla discussione su chi ha inventato il tiramisù. Attualmente per zuppa inglese s’intende un dolce al cucchiaio, presente nella cucina tradizionale della zona di Bologna, Parma, Modena, Forlì, Ferrara, Ravenna e Reggio Emilia, a base di pan di Spagna, imbevuto di liquori quali l’alchermes o il rosolio, con crema pasticcera, spesso con aggiunta di cioccolata. Sulle leggende, favole e dicerie riguardanti la zuppa inglese basta dare una rapida occhiata su internet, da dove risulta che per la maggior parte delle persone le sue origini sono dubbie, mentre molte città italiane ne rivendicano l’invenzione. Leggende sull’origine della ricetta e della denominazione Tra le varie leggende circa la ricetta della zuppa inglese, tutte prive di solide documentazioni, ve ne sono due di particolare seguito, una cinquecentesca e un’altra ottocentesca. Secondo la prima leggenda, la preparazione sarebbe nata nel XVI secolo presso la corte estense quale rielaborazione del trifle, dolce anglosassone di pasta lievitata, bagna alcolica (infusi, poi vini dolci come Madeira e Porto o simili), panna o crema di latte, pezzetti di frutta o frutti di bosco, confetture e biscotti, perfetto per recuperare gli

116

Moderna versione prêt-à-porter della zuppa inglese.

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


avanzi dei ricchi pasti dell’epoca. La ricetta avrebbe avuto origine a partire da quella portata a Ferrara da un diplomatico che operava presso la casa reale inglese. Inizialmente i cuochi estensi modificarono gli ingredienti del dolce straniero sostituendo la pasta di pane con una ciambella morbida: la bracciatella o brazzatella. In seguito, la zuppa venne ingentilita usando pan di Spagna e poi biscotti savoiardi, crema pasticcera e cioccolata che subentrarono a bracciatella e panna. Secondo la tesi ottocentesca, invece, la ricetta della zuppa inglese fece la sua comparsa in Italia, precisamente nell’area tosco-emiliana, verso la prima metà del XIX secolo, inventata dalla governante di una famiglia inglese residente a Fiesole, vicino a Firenze. La parsimoniosa donna avrebbe preparato la zuppa con gli avanzi dei biscotti ammorbiditi nel vino dolce, della crema pasticceria e del budino di cioccolato. Unico elemento certo riportato sul web è che la zuppa inglese è presente nel Canone della cucina italiana scritto da PELLEGRINO ARTUSI (Ricetta n. 675), pubblicato tra fine 1800 e inizio 1900. Altrettanto vaga è l’origine della denominazione, soprattutto dell’aggettivazione “inglese”. Per alcuni sarebbe, come prima accennato, una derivazione dalla ricca e creativa cucina del periodo elisabettiano, in particolare del trifle. Per altri, sempre a Firenze, sarebbe stato il pasticcere DONEY a denominare zuppa inglese quella che era prima zuppa del duca, perché il dolce piaceva molto ai turisti inglesi. Altre leggende da ritenere prive di fondamento raccontano che il dolce sarebbe nato in terra francese durante la guerra dei cent’anni. Il nome gli venne dato per schernire il rivale inglese ma la ricetta non trova riscontri nella culinaria francese dell’epoca. La presenza dei due liquori quali alchermes e rosolio supporta invece la tesi rinascimentale, poiché entrambi furono noti e molto usati nel Rinascimento, ma mantennero la loro importanza sino all’Ottocento, soprattutto a Firenze (da qui le leggende di mai documentate origini fiorentine del dolce).

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

L’utilizzo del liquore alchermes nella bagna dei biscotti regala un bel colore rosso intenso al dolce. Gli infusi di fiori erano già di gran moda nel basso Medioevo. L’alchermes è però probabilmente successivo alla riapertura delle vie commerciali con gli arabi, dai quali si importava l’ingrediente che lo rende rosso: la cocciniglia. Il nome, infatti, deriva da al quermez che, appunto, significa cocciniglia. Vincenzo Agnoletti, la zuppa inglese e il marangone al rhum VINCENZO AGNOLETTI, romano di nascita (1780 ca.), compie il suo apprendistato presso alcune case patrizie della sua città accanto al padre, capo credenziere, per più di trent’anni, della famiglia Doria Pamphilj. Apprende l’arte della cucina da cuochi italiani e francesi e viaggia in Europa esercitando per vent’anni la professione di cuoco, prima di assumere l’incarico di credenziere e liquorista alla corte di Maria Luigia d’Asburgo-Lorena, già moglie di Napoleone, duchessa di Parma. Nel gennaio 1821 Agnoletti giunge a Parma, dove prende servizio presso la confettureria ducale. L’attività di confetturiere-credenziere è una specialità separata dal lavoro del cuoco e consiste nel preparare dolci, gelati, sorbetti e bevande analcoliche o liquori. Sicuro nel riproporre le ricette già sperimentate, si merita i complimenti della corte, soprattutto per la preparazione dei gelati. A Parma, Agnoletti lavora intensamente e le sue ricette divengono note presso la

borghesia e le belle famiglie parmigiane, come dimostra la loro persistenza, ancora oggi, nei ricettari locali. Rientrato a Roma con la famiglia, nel 1830 prende servizio presso il cardinale Arezzo e cura la pubblicazione dei suoi più importanti manuali di cucina. Il primo è La nuova cucina economica, edito a Roma nel 1803. In seguito (fra 1822 e 1834), Agnoletti ne pubblica altri dedicati al credenziere, confetturiere, liquorista e pasticcere. Tra questi da segnalare: Manuale del cuoco e del pasticciere di raffinato gusto moderno, Pesaro, Tipografia Nobili, 1832-1834 (riproduzione anastatica, Bologna, Forni, 1983), dove troviamo una nuova chiave di lettura dell’origine della zuppa inglese, ripresa curiosamente per ben due volte. Nel tomo II del libro, a pagina 76, si legge quanto segue: «ZUPPA INGLESE – ANTREMÉ – Si fa come il marangone, ma i biscotti si bagnano con il rhum, e sopra si finisce con una marenga cruda, o al forno, o con una crema, o candito d’uovo, o marmellata, e si guarnisce con confetture, spume, brillante, ecc…». La zuppa inglese per Agnoletti è quindi un marangone al rhum. Ma che cos’è il marangone? Sempre nel tomo II, a pagina 75 del Manuale di Agnoletti, si legge: «MARANGONE ALLA MANTUANA IN PIÙ MANIERE – ANTREMÉ – Inzuppate dei biscotti di monache, o delle fette di pane abbruscato, ovvero del pane di Spagna con vino forestiere,

117


o rosolio buono: accomodatelo in più suoli nel piatto tramezzandolo, se volete, con filetti di mandorle, pistacchi e candito; coprite sopra con bianco d’uovo unito al zucchero fino, fate prendere un bel colore ad un forno leggerissimo, e servite. Si può ancora coprire con una glassa reale, e si fa asciugare in forno. Si può ancora farlo con arte dentro una cazzarola, e dopo levato glassarlo. Oltre del vino e rosolio, si varia con tramezzare una crema, e qualche marmellata di frutti». Nel tomo III (76-78 pp.), Agnoletti sviluppa un’ampia discussione, abbastanza critica, su “Marangoni gelati, detti ancora zuppe inglesi”. In breve sintesi i marangoni gelati «si possono fare con qualunque crema gelata o con panna o con qualunque crema sbattuta». Per fare le zuppe inglesi gelate «si trova un gattò di pan di Spagna, e si bagna leggermente con rhum o con qualche rosolio o con qualche vino forestiere dolce e gradevole, indi si riempie di panna battuta, condita con zucchero e odore, e si pone dentro una stufa da gelati in neve fino che la panna sarà ben gelata e ferma, e lo si serve naturalmente o guarnito di frutti sciroppati, pistacchi ecc… Invece di servire un gattò, si può guarnire una stampa con fette di pane bagnate con rhum o rosolio o vino; indi si tramezzano con panna battuta o qualche sorbetto gelato, e si pone in neve, servendolo poscia naturale

o guarnito con eleganza; invece del pane di Spagna, vi potete servire di cialdoni, ed allora gli si dà il nome di gattò alla Fiamminga, invece di chiamarlo zuppa inglese». A questo punto è opportuno fare alcune precisazioni. Se, infatti, il cognac è francese come il whisky scozzese, la vodka russa, l’arzente e la grappa italiana… il rhum è sicuramente inglese. Sulla tipicità inglese del rhum basta vedere la sua storia e il ruolo che ha avuto nella marineria britannica, tanto che dire “rhum” e “inglese” era quasi dire la stessa cosa. Non stupisce quindi che quando si prepara un marangone al rhum lo si chiami “zuppa inglese”. Allo stesso modo, se si usasse il cognac o la vodka avremmo la “zuppa francese” o la “zuppa russa”. Ma la zuppa inglese, ovviamente con il rhum, è quindi un’invenzione di Vincenzo Agnoletti? Probabilmente no, ma il grande pasticciere ha certamente il merito di averla recuperata — adattando l’antico marangone al gusto inglese usando il rhum — e diffusa attraverso le sue pubblicazioni (il fatto che il dolce sia molto diffuso in area padana, dove il nostro cuoco operò, fortifica questa tesi). Alla pagina 77 del tomo III del Manuale citato, considerando le zuppe inglesi, Agnoletti si lamenta (siamo nel 1854!) che molto è decaduta l’arte della credenza e che qualunque cosa fuori di regola e mostruosità va in voga,

I biscotti utilizzati nella preparazione della zuppa inglese sono soprattutto i savoiardi. Semplici e versatili, composti da un impasto spumoso che una volta cotto risulta morbido, leggero e gonfio, sono ideali per essere inzuppati o impiegati al posto del pan di Spagna.

118

L’English trifle. purché sia di moda e di economia (!). Tuttavia «non voglio entrare in dettaglio e critica, ma solo dirò le diverse maniere di apprestare questi ed altri simili piatti secondo il gusto tanto inglese che italiano; mentre questi antichissimi piatti sono tornati in uso, e si millantano per invenzione moderna, come tanti e tanti altri lavori che ora si dicono, di moda, quando si conoscevano da molti anni a questa parte, e forse ora invece di essere migliorati, sono sfigurati e meno ragionevoli di quell’epoca». Alchermes e cioccolata In tempi successivi, nella zuppa inglese il rhum viene sostituito dall’alchermes (già Agnoletti considerava la presenza di rosolio). Inoltre, compare la cioccolata. Il rhum è un liquore d’importazione molto costoso, certamente più del nazionale alchermes. Quest’ultimo ha inoltre il pregio di un accattivante colore rosso, che ben contrasta con il colore degli altri componenti del piatto. In modo analogo, la cioccolata aggiunge un briciolo di esotismo e un nuovo colore che impreziosisce la preparazione gastronomica. Sostituzioni che certamente Agnoletti avrebbe approvato, ma che avrebbero forse dovuto portare a un cambiamento di nome. Cambiamento comunque mai avvenuto, visto il successo della zuppa inglese. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Premiata P Prem Pr rem emia emia iata iata ta S Salumeria alum alum al mer eria IItaliana, ta ali lian ana a,, 2 2/14 //1 14

119 119 11


Uno sconosciuto salutista dell’alimentazione

Alla scoperta di Giuseppe Lamma, cuoco bolognese del XVII secolo di Josette Baverez Blanco

G

iuseppe Lamma… chi era costui? Lamma è rimasto praticamente sconosciuto fino alla scoperta casuale del suo ricettario negli archivi della famiglia Bentivoglio di Bologna, quella del ramo senatorio e “non dominante”. Prezioso ed inedito, questo documento, mutilato parzialmente, riesce però a darci un’idea dell’arte culinaria del passato e della storia della tavola imbandita all’ombra delle due Torri. Con Lamma, Bologna può finalmente affermare di avere avuto un suo trattato di gastronomia e un grande cuoco. Il fatto curioso è che Bologna ha sempre brillato di fama culinaria ed è bolognese la prima stampa delle edizioni italiane del “Cuoco francese” (“Le cuisinier françois”) di FRANÇOIS PIERRE DE LA VARENNE nel 1682, 1693 e 1695. Queste pubblicazioni rivelano un fatto culturale di grande spessore, ma anche quanto fosse intensa la vita aristocratica locale, con famiglie che gareggiavano per banchetti e ricevimenti, sempre alla ricerca di un vitto ricco, variato, persino esotico. Non sono mancati altri cuochi famosi nati a Bologna, ma andati a cercare fortuna sotto altri cieli: BARTOLOMEO SCAPPI, ad esempio, scoperto dal Cardinale Lorenzo Campeggi, gli fu affidato il sontuoso banchetto per Carlo V nel 1536; divenne il cuoco segreto di Papa Pio V e scrisse un corposo manuale, “L’Opera”, stampato a Venezia nel 1570. BARTOLOMEO STEFANI, attivo nelle corti dei più importanti principi italiani, nipote di Giulio Cesare Tirelli, suo maestro in materia, partito anche lui per la Corte d’Inghilterra e tornato a Bologna al servizio del Reggimento. Stefani rive-

120

Floris van Dyck, Natura morta con formaggio, 1613, Haarlem, Frans Hals Museum. stiva la funzione di capocuoco presso la Corte dei Gonzaga di Mantova alla metà del XVII secolo, città dove venne stato pubblicato nel 1662 il trattato gastronomico “L’arte di ben cucinare e instruire i men periti in questa lodevole professione”. Di Giuseppe Lamma e della sua famiglia nessuna traccia ma tutto ci porta a pensare che fosse proprio nativo del territorio bolognese: dalla scelta delle ricette con prodotti tipici locali all’uso frequente di espressioni dialettali, fino alla presentazione di se stesso e della sua attività nella terza parte del manoscritto culinario. La sua vita si svolse nel XVII e a cavallo del secolo seguente. Lo testimoniano le date trascritte nel terzo tomo del suo manoscritto. Nel 1670, divenne allestitore di banchetti in onore di gonfalonieri e cardinali legati, di sontuose feste nuziali, di

agapi conventuali sostanziose e di altre formidabili ed eccezionali occasioni per far bisboccia. Conteso dai notabili della città, seppe primeggiare sulla scena gastronomica bolognese per almeno quarant’anni, anche se non sono certe le sue date di nascita e morte. Chi erano i committenti di questo cuoco? In primo luogo i senatori che gli affidavano i pranzi gonfalonieri, i convitti nuziali in casa Ringhiera ma, soprattutto, in casa Zagnoni, le imbandigioni in villa che il marchese Ugo Pepoli possedeva a Casalecchio dei Conti, in particolare due pranzi in presenza del Cardinale Bonaccorso Bonaccorsi. Il marchese riceveva le famiglie Strozzi, Spada, organizzava importanti matrimoni, affidati sempre al Lamma, come quello tra Eleonora Pepoli e il marchese Mansi di Lucca.

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Budella naturali e artificiali Qingdao Richeldi Trading Ltd Xiazhuang Chengyang District, Qingdao CHINA

Proteggiamo il tuo prodotto Dal 1948 vestiamo i vostri salumi. Belli fuori… e buoni dentro! Collaborazione con:

Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari

Consorzio Tutela Budello Naturale

L. Richeldi S.p.A. Strada Castelnuovo Rangone, 200 • 41126 Portile (MO) • Italy T +39 059 460012 • F +39 059 460511 • info@richeldi.com www.richeldi.com

International Natural Sausage Casing Association


Giuseppe Lamma divenne sempre più famoso, venendo chiamato dalle autorità e dalla nobiltà bolognese là dove si trattava di colpire l’immaginario o l’inimmaginabile… Tutti i convitti nuziali erano fastosi, come lo fu anche il pranzo ordinato da Francesco Bottrigari, arciprete di Baricella, anche se apparentemente più rustico. Non fu meno impegnativo il menu del “desinare” destinato alle suore di clausura del convento della SS. Trinità in via S. Stefano in occasione della festa della loro Chiesa, mettendo in evidenza che anche le spose del Signore possono “gozzovigliare”, staccandosi per un attimo dalla regola conventuale. È probabile che il cuoco scrivesse un brogliaccio o dei fogli vaganti per appuntare nomi, menu, pietanze meglio riuscite o più richieste, tavole imbandite ed adornate… e che solo verso la fine della sua vita abbia deciso di raggruppare e ordinare il tutto in otto volumi ricordati nell’intestazione. Sono giunti a noi solo due fascicoli manoscritti. Lo stile piuttosto ruspante, l’uso di espressioni gergali e di termini dialettali, il dialogo asciutto, piacevole, diretto e confidenziale ci permettono di pensare che sia stato proprio lui a redigere il trattato, con l’intento di fare un’opera sistematica destinata a raccogliere la sua sapienza culinaria e ad ammaestrare quanti, per professione o per necessità contingente, dovevano mettersi ai fornelli. Nel suo “Libro di cucina”, Lamma mette in rilievo quella che era la gastronomia del XVII secolo, prima delle novità e delle sperimen tazioni che porteranno alla gastronomia il Settecento. Un vero cuoco con tanta esperienza sul campo, insomma, capace di elaborare delle teorie scientifiche, anche se in modo un po’ grezzo. Lamma guardò certamente al passato e ai maestri famosi come il Messisbugo, Rossetti, Scappi e Stefani, dai quali prese l’arte della cucina raffinata principesca per elaborare sontuosi menu, ma dai piatti più semplici, alla portata di tutti, emerge la sua anima popolare. L’igiene del posto del lavoro e la freschezza dei prodotti erano quasi

122

Joachim Beuckelaer, I quattro elementi: la Terra, 1570, Londra, National Gallery. un’ossessione per il Lamma che si mostrava un salutista nell’alimentazione. I piatti, “belli all’occhio e buoni”, mettevano l’acquolina in bocca sin dall’inizio del pranzo. Mancavano allora pomodori, patate e peperoni, tutti di origine americana e affermatisi sulle nostre mense alla fine del ‘700. Le melanzane, originarie delle Indie occidentali con il nome di “marignani”, vengono già usate da Lamma, che utilizza tutte le verdure comuni nei tempi odierni oltre ai luppoli, alla borragine, ai “gamboni di Giuda”, alle cocuzze di Genova, ai pampini di vite, alle ghiande… Non mancavano mai funghi e tartufi. Anche la frutta era tanta e varia. Qualcuna è scomparsa o quasi come le melangole o arance amare, i pomi di Adamo o lumia, i lazzeruoli, le corniole, le mele appie, le prugne “del meschino”, l’uva schiava, le pere bergamotte, le melerose, le pere cipolle… I fiori avevano un posto d’onore nei piatti, tendenza che si riprende ai giorni nostri. Soffermiamoci sulle pietanze principali, pesce e carne, il tutto cucinato e servito in abbondanza. Ci sorprende la grande varietà di pesci di mare e di acqua dolce che veniva utilizzata. In realtà, questo si spiega con la quantità di giorni di astinenza imposta dalla Chiesa e l’obbligo stretto di rispettarlo in qualsiasi ambiente

per non incorrere nei rigori del braccio secolare. Le pescherie di Bologna erano sempre ben rifornite di pesci in provenienza dall’Adriatico, dalle Valli della cosiddetta Bassa, dal Po e dai fiumi appenninici. Il protagonista delle ricette ittiche era lo storione, “il più astimato nelli nostri paesi per la sua rarità” afferma Lamma. Il Po ne offriva un gran numero di esemplari, tra i più squisiti. Occorreva però star attenti a non prenderlo troppo fresco perché risultava allora duro e stopposo. In una delle sue ricette, lui cucina a parte la pelle dello storione e la rimette! Anche il caviale veniva usato spesso, specie quello di Loreo nel rovigotto. Lamma propone con ambedue uno splendido “pastizzo brodoso” e tortelloni ripieni di polpa. Continuando con i pesci di acqua dolce, fiume, lago e valle, ritroviamo i “gobazzi”, le tinche, i lucci, le anguille, i carpioni, i barbi e i persici. Non mancano le trote e le loro uova da cucinare in fretta, le più prelibate essendo quelle dei Bagni di Porretta. Il pesce di Savena è raccomandato per le fritture mentre le “galane”, testuggini terrestri, abbondano nelle zone umide. Abbiamo citato le anguille; vanno distinte in tre categorie, quella molto grossa, il “miglioramento”, le “lamprede”, un tipo simile all’anguilla e

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


R

l’anguillina o “buratello”. Ma il Lamma usa per tantissime preparazioni la carpa, la “reina” o “regina”, da sola o assieme ad altri pesci, le sue uova e persino la cotica per avvolgere alcune vivande. Stupisce assolutamente un piatto ricercatissimo fatto a base delle sole lingue di “regina” e Lamma precisa: “non ti fare meraviglia se ti descrivi le lingue di regina perché nei nostri paesi ve ne sono abbondanti”. Largo spazio era fatto anche alle rane e alle tartarughe di mare. Fra le carni l’assortimento è amplissimo. Un grande spazio è dato alla selvaggina, com’è facile immaginare, data l’estensione boschiva e la facile reperibilità. Passeri, fagiani, pernici, tordi, lepri, piccioni, beccacce, quaglie… si confrontano agli animali di cortile, “polanche” o pollastrelle, oche, conigli, anatre, galline, faraone, tacchini, pulcini e soprattutto il cappone, un cibo “da gran signori” che necessitava anche di suppellettili, piatti e bacili in cucina detti “da cappone”, marchio della classe privilegiata. Molto consumato e apprezzato da chi se lo poteva permettere, il cappone era duttile e soggetto a varie preparazioni e modi di cottura per esaltare le sue morbidi carne. Ad esempio, Lamma propone deliziosi tagliolini di polpa di cappone cotti in brodo avvolti in una tovaglia, stando attenti a non farli bollire. Il condimento consigliato dal cuoco è burro e lodigiano (formaggio grana, Ndr) oppure midollo di bue disfatto. Nello stesso modo, Lamma offre la ricetta di pelle di cappone. Non mancano nelle ricette castrato, capretto, agnello e maiale ma a regnare sovrana è la carne bovina, in particolare vacca e vitello. Ecco che cosa scrive su quest’ultima: «Essendo questo animale più stimato fra li quadrupedi per la qualità della carne, abenchè nelli nostri paesi non è molto stimato tanti ve ne sono abondanti, ma in Roma o in Fiorenza e in altri paesi come la Francia viene assai gradita per la sua rarità». La parte più pregiata del vitello sono le interiora, le ricercatissime e costosissime animelle (i famosi “latti di vitello”), i rognoni, i “granelli” ossia i testicoli, il fegato, la ventresca e la lingua. Il ricettario fornisce anche varie preparazione per gli zampetti e

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

per la testa, ricordando che va disossata e pelata dai triparoli. I buongustai del ‘600 e ‘700 apprezzavano la mammella o “zinna”, “cinna”, “cina” detta anche “uvaro o “uvro”, l’ubero oltre al cervello e al midollo. La carne vaccina, di cui si faceva grande uso nei ceti abbienti — il Lamma propone di cuocerla con un mazzo di radice di ortiche per accelerarne la cottura — è all’origine della diffusione di gotta, vero flagello di quei secoli. Appaiono in quell’epoca i primi salumi, mortadella, salami, cervellati, salsiccia fine e comune, anche di tacchino di cui il ricettario fornisce la maniera di preparazione. Nel suo libro — come detto originariamente costituito da otto volumetti — Lamma riordinò e rielaborò le ricette e i menu di maggior successo, fissando sulla carta non soltanto le procedure di preparazione delle vivande, ma anche le modalità per un perfetto inserimento delle stesse all’interno dei banchetti. Come ricorda GIANCARLO ROVERSI in “La tavola imbandita da Giuseppe Lamma. Il ricettario di un cuoco bolognese del ‘600”, Casalecchio di Reno, Grafis, 1988: «Interessanti sono inoltre le citazioni riguardanti i numerosi “prodotti tipici” che egli stesso utilizzava, alcuni dei quali provenienti dall’estero, senza dimenticare la stessa Bologna. Per quanto riguarda quest’ultima, ovviamente la mortadella era protagonista, sia come cibo a sé, talora insieme a “coppa” d’inverno, salame e salsiccia comune o “fina”, sia come complemento di altre vivande; vi erano poi i bazzotti di Bologna (formaggi a pasta molle), i pesci del Savena, e le trote dei Bagni di Porretta. Fra i piatti troviamo infine la “torta di erbe alla bolognese”, la “minestra di piselli fresca cioè di rovilia all’uso di Bologna”, la “fiolata overo tortilione di monache di Bologna” e i “macabei” che in lingua bolognese si chiamano lasagne». Giuseppe Lamma! Chi era costui? La parodia della celebre frase di Don Abbondio va a pennello al nostro “Carneade cuoco” totalmente sconosciuto e mai ricordato nella bibliografia bolognese. Josette Baverez Blanco

La soluzione IT-Business per tutta la Vostra azienda

Il successo è una questione di sistema

ter® il CSB-Image-Mea Da gennaio 2014 to en m lia come stru è approvato in Ita lle carcasse suine de ne di classificazio

Più veloce Più affidabile Più produttivo Aziende di successo del settore carne si affidano in tutto il mondo al CSB-System. Migliorate anche Voi la Vostra competitività con le nostre soluzioni IT complete. Vantaggi: Processi preconfigurati in modo ottimale Copertura di tutte le richieste di settore Rapido ROI grazie ai brevi tempi

di implementazione

Per maggiori informazioni Cerchiamo personale: Contattateci! CSB-System S.r.l. Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Tel.: +39-045 890 55 93 Fax: +39-045 890 55 86 segreteria@csb-system.it www.csb-system.it


Libri

In viaggio alla scoperta dei formaggi Dop italiani di Raffaele Bertolini

I

l libro di Michele Grassi, scritto a due mani con l’ausilio di Giovanni Roncolato, cultore della tradizione casearia cimbra e pioniere evoluto della trasformazione avanguardista del latte, è una novità editoriale che mi interessa presentare a chi, come me, ama il buon cibo e i prodotti fatti secondo tradizione e le migliori consuetudini. L’impostazione dell’opera è chiara sin dalle prime pagine: il punto di partenza è il pascolo e con esso le mandrie. Un casaro sa che il buon latte proviene da un buon pascolo e da un animale di razza locale tenuta in buono stato di salute e a cui sia permesso vivere secondo le leggi ancestrali naturali. Da questi presupposti non ci si può allontanare se il proprio obiettivo è portare alla luce un prodotto di qualità indiscussa legato in maniera simbiotica al proprio luogo di nascita. E soltanto un casaro, fino a questo momento, ha marcato il punto di partenza di una trattazione didattica, in modo così esplicito. Ne consegue, a livello editoriale, che il manuale rivolto a un pubblico specializzato — ma anche a chi si avvicina per la prima volta alle tematiche del latte e della sua trasformazione — abbia come incipit una schematica rappresentazione geografica della presenza, sul territorio nazionale, delle razze bovine, caprine e ovine. Il nostro stivale allora, suddiviso da un leggero tratto di penna, in regioni e in province, brulica di simboli che richiamano la razza tipica del posto, o le razze, perché nella stessa provincia o nella stessa regione, convivono, da tempi remoti, razze più antiche e razze più moderne. L’intervento genetico operato dall’uomo sugli animali da lavoro e da produzione alimentare, difatti, ha influito in maniera marcata sulle

124

loro caratteristiche morfogenetiche e attitudinali, rendendoli via via sempre più prossimi alle nostre esigenze alimentari e culturali. Presa visione della dislocazione delle razze sul territorio italiano, il

manuale chiarisce il legame tra il prodotto e le razze, in una tabella riassuntiva, sottolineando ancora una volta che ogni formaggio deriva la propria originalità e caratteristiche distintive da molti più aspetti di quelli

MICHELE GRASSI Aroma – Un viaggio sensoriale alla scoperta dei formaggi Dop italiani Verona, Tamellini Edizioni Srl, 2012 – 204 pp. – € 26,50

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


che generalmente sono conosciuti. Il legame con la razza e con il territorio deve diventare un mantra, sembra volerci dire questa novità editoriale, non solo per rendere onore a tutti coloro che si battono per la difesa della originalità del prodotto italiano e dei suoi valori inimitabili, ma anche per inculcare nelle abitudini intellettive e consumistiche di noi tutti quei pochi concetti che fanno rima con tradizione, rispetto dei ritmi e delle leggi naturali. Volendo distinguere ulteriormente l’approccio intelligentemente tecnico-didattico del libro, vorrei soffermarmi sull’utilizzo, molto appropriato, di grafici sensoriali per la valutazione organolettica del prodotto di volta in volta trattato. Questi grafici sono l’elaborazione ragionata di anni di studi e confronti di assaggiatori competenti che hanno voluto mettere a punto un sistema chiaro, inequivocabile ed immediato per la trasposizione grafica delle diverse sensazioni organolettiche che invadono i nostri cinque sensi ogniqualvolta degustiamo un formaggio. In tale maniera possiamo comparare

Michele Grassi, tecnico, consulente e critico caseario, premio “Grolla d’Oro” 2009 per il miglior formaggio di malga a pasta molle, si occupa di ricerca relativa alla tecnologia casearia dei formaggi a latte crudo italiani. È Maestro assaggiatore e Docente ONAF (Delegato per Ferrara, Ravenna e Rovigo) e coautore della Guida ai formaggi del Veneto (Treviso, 2009) e della Guida ai formaggi di Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige (Treviso, 2010).

le conclusioni di molteplici esperti degustatori con le nostre ogni volta che volessimo tarare i nostri sensi durante l’assaggio di un formaggio DOP. La presenza di questo appunto tecnico non rende il libro assolutamente pedante, anzi, lo eleva dalla moltitudine della saggistica di settore che si è persa per anni nel qualunquismo e nella riproposizione degli stessi schemi e contenuti. A fare da appendice a questo interessante scritto una sezione tecnica dedicata a chi con il formaggio ci lavora. Una sequenza di esempi

di porzionatura con coltello e con archetto di diverse tipologie di formaggio, dalle paste fondenti fino alle paste dure, da quelle friabili a quelle più adesive. Perché, si sa, che ogni tipo di formaggio vuole un tipo preciso di lama, e il contrario. Trovo veramente accattivante l’ultima sezione, quella con cui il libro si congeda. Dedicata all’utilizzo dei nostri italici vanti in cucina, ci dispensa ricette sfiziose, a volte ricercate, a volte semplici e invitanti, ma mai banali o mancanti di originalità. Raffaele Bertolini

Una tranquilla città di paura

A

più di due anni di distanza dall’ultimo romanzo, “La morte ha mille mani”, è riapparsa in libreria in una nuova indagine del commissario Cataldo (la tredicesima), “Una tranquilla città di paura”. L’autore è Luigi Guicciardi, modenese con radici siculo-catanesi (proprio come il suo personaggio principale), laureato in lettere, insegnante di liceo e critico letterario. La tranquilla città di cui si parla è ancora una volta Modena, in un giugno afoso. Alla base dell’intreccio un intrico di passioni, di interessi, di omertà, e un assassino che continua a insanguinare la città di vittime senza alcun legame apparente. Il commissario Cataldo è costretto a ricucire tutto a forza di indizi insignificanti, di parole sfuggite inavvertitamente, di ipotesi azzardate, in una corsa di-

Premiata Salumeria Italiana, 2/14

sperata contro il tempo. E per arrivare alla soluzione si rivelerà piuttosto importante un vino. Ma non un vino qualunque: si tratta infatti di un Brunello di Montalcino Doc Riserva del 1967 della Tenuta Greppo di Biondi Santi. Una bottiglia rara, preziosa, anzi, un vero e proprio tesoro. “… Solleva una bottiglia appena aperta, la guarda in controluce. «È un Brunello del 1967, dei Biondi Santi, una vera delizia dei sensi… Bisogna gustarseli, sa, i pochi piaceri della vita. Sono così pochi…». Stringe le labbra in un sorriso che non gli riscalda gli occhi. Poi si versa mezzo bicchiere di vino, lo sorseggia assente, come dimentico di Cataldo”. Come scrisse il grande letterato JOHANN WOLFGANG VON GOETHE: “La vita è troppo breve per bere vini mediocri”. Mai parole furono più appropriate.

LUIGI GUICCIARDI “Una tranquilla città di paura” Roma, LCF Edizioni, 2013 392 pp. – € 17,00

125


Io mangio come voi

D

ai 6 mesi i bimbi iniziano ad assaggiare il cibo dei grandi, ma con omogeneizzati e minestrine non sempre lo fanno con piacere. Allora perché non iniziare subito a proporre loro dei cibi sani, semplici da preparare, ma allo stesso tempo gustosi e adatti a tutta la famiglia? Il ricettario “Io mangio come voi. 63 ricette gustose per mangiare bene da 6 mesi a 99 anni” aiuta i genitori che vogliono condividere da subito con i propri figli l’amore per la tavola e a preparare le ricette giuste, salutari e stuzzicanti, che costituiscono una dieta varia e ben bilanciata. Un percorso alimentare valido per tutta la famiglia Perché cucinare due volte se si può mangiare tutti insieme in modo sano e soddisfacente? Se anche tu ogni sera cerchi di infilare un aeroplanino di

pappa che non ha niente di appetitoso in bocca al tuo bimbo mentre con l’altra mano butti la pasta per il resto della famiglia, questo libro è quello che ti serve. Gli autori sono un gruppo di studiosi, nutrizionisti, pediatri, biologi, epidemiologi dell’Unità per la Ricerca sui servizi sanitari dell’ospedale materno infantile Burlo Garofolo di Trieste, a cui si sono aggiunti un artista cuoco e l’esperienza di tantissime mamme. Dalla colazione ai piatti unici, passando per primi, secondi e contorni, 63 ricette con l’indicazione chiara dei gruppi alimentari principali che contengono, e di come adattarle anche ai piccolissimi. Le dosi delle ricette sono state pensate per una famiglia di quattrosei persone, ma, come sostengono gli autori, sono solo indicative perché dipendono dal numero e dall’età dei bambini.

Io mangio come voi Unità per la Ricerca sui servizi sanitari dell’ospedale materno infantile Burlo Garofolo (a cura di) Sapori, Terre di mezzo Editore 88 pp. – € 9,90

Ci salveranno gli Chef!

U

n titolo spiazzante per il nuovo libro di Alessandra Moneti, giornalista dell’Ansa Agroalimentare, e Denis Pantini, economista e profondo conoscitore del settore alimentare. Fresco di libreria, “Ci salveranno gli Chef! Il contributo della cucina italiana alla crescita del sistema agroalimentare” descrive in dettaglio l’evoluzione e la direzione in cui stanno andando la gastronomia e la cucina italiane. In questi ultimi anni gli chef, prima chiusi nei loro spazi di lavoro off-limits, si sono messi in mostra attraverso le vetrate dei nuovi concept restaurant, invadendo letteralmente le trasmissioni sul piccolo schermo e le pagine dei giornali. Al tempo stesso hanno cominciato a viaggiare, diventando ambasciatori del nostro Paese.

126

Un quadro chiaro descritto da Pantini con un’analisi sul sistema del settore del food & beverage e dalla Moneti con un focus nella seconda parte del libro sulla cucina italiana nel mondo e sulle opportunità per il Belpaese, in termini di crescita del sistema agroalimentare. Tra i documenti inediti segnaliamo la ricerca NOMISMA sull’incidenza sui consumi della moda della cucina in televisione e su internet e poi il “Documento di Vico, con le richieste di chef stellati ed esperti del settore al Governo Letta. Insieme ai dati sul turismo esclusivamente legato ai giacimenti enogastronomici della destinazione Italia. In conclusione, un libro senza ricette di cucina, ma con tante ricette per sancire una più stretta alleanza tra cucina e produzione agroalimentare.

ALESSANDRA MONETI, DENIS PANTINI Ci salveranno gli Chef! Agra Editrice 136 pp. – € 15,00

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Haripro, leader in Italia nella produzione di proteine e aromi naturali, fornisce le pi첫 importanti aziende produttrici di ingredienti per la salumeria. Haripro grazie ad una continua ricerca, ha sviluppato negl'anni prodotti sempre pi첫 all'avanguardia, come proteine funzionali ed aromi naturali anallergici ad alto valore nutrizionale. Haripro is a leading producer of proteins and natural flavours in Italy. It supplies the most important Companies which blend ingredients for the meat industry. Haripro, thanks to a continuous research, had developed through years more advanced products like functional proteins and hypoallergenic natural flavours with high nutritional value.

spa

41057 Spilamberto (Modena) - Italy - via Ghiarole, 72 - Tel. +39 059 78 41 11 - Fax +39 059 78 37 47 Premiata Salumeria Italiana, 2/14 www.haripro.it e-mail info@haripro.it

127


Premiata Salumeria Italiana... goes to Russia!

SPECIAL EDITION 2014

we are working on a Russian issue, fully edited in русский, to be distributed to 1,000 selected top Buyers, Distributors, SUPERMARKETS, HOTEL & RESTAURANT food Purchasing Centres. “the right Magazine on the desk of the right People”

# Promote your Italian food excellence # Grow your business # Come to Russia with us!

IDEAS + TRENDS + EVENTS + MARKETS + LEADING PEOPLE COMPANIES + FAIRS + LABELLING + PDO + PGI + TSG + QUALITY COLD CUTS + CHEESE + PASTA + OLIVE OIL + WINE + BALSAMIC VINEGAR

Edizioni Pubblicità Italia Srl - Via Taglio, 24 - 41121 MODENA (Italy) - www.pubblicitaitalia.com - t. +39 059 216688


Il profumo della tradizione, il gusto della qualitĂ .

Bacio della Luna Spumanti s.r.l. Via Rovede, 36 31020 Colbertaldo di Vidor TREVISO info@baciodellaluna.it www.baciodellaluna.it Premiata Salumeria Valdobbiadene Pinot Italiana, 2/14 Prosecco Superiore DOCG Millesimato

Vino Spumante Extra Dry Rosè

Prosecco DOC Vino Spumante Extra Dry

129 Prosecco DOC Vino Spumante Brut


130

Premiata Salumeria Italiana, 2/14


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.