Premiata Salumeria Italiana 2-2015

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXVII N. 2 Marzo-Aprile 2015

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Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988 Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Renato Bergonzini – Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Redazione New York Stefano Spadoni 1732 1st Ave #27220 – New York, NY 10128 Tel. 001 212 956-8566 E-mail: Stefanony@stefanospadoni.com Consulenti scientifici Prof. Giovanni Ballarini (Parma) – Prof. Fausto Cantarelli (Parma) – Prof. Carlo Cantoni (Milano) – Prof. Giuseppe Caserio (Milano) – Prof. Giorgio Catellani (Napoli) – Prof. Eugenio Del Toma (Roma) – Dr. Emanuele Guidi (Modena) – Prof. Riccardo Monacelli (Roma) – Dr. Alfonso Piscopo – Piero Pittaro (Udine) – Prof. Andrea Strata (Parma) – Angelo Valentini (Perugia) Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.

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N. 2

In questo numero: Immagini

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Agenda

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Attualità

Indicazione dello stabilimento di produzione in etichetta

Sebastiano Corona

17

Il food in rete

Social food

Elena Benedetti

24

Aziende

Cinquanta e più sfumature di mortadella

Gaia Borghi

26

Paganoni: non tutte le bresaole sono uguali

Elena Benedetti

30

La startup dell’Alto Casertano Prodotti tipici

Indagini

34

Non chiamatelo Patanegra!

Massimiliano Rella

36

Il Ghiandaio, la tradizione norcina dell’Alta Val Tiberina

Riccardo Lagorio

40

Lardo di Colonnata, abbasso il colesterolo (cattivo)

Raffaele Bertolini

42

Turismo del vino: se l’Italia rischia di perdere il treno Consumi

Il salame salverà il pane?

48 Giovanni Ballarini

52

Acquisti domestici di carne suina e salumi in Italia

56

Mercati

Speck Alto Adige Igp, produzione da record

59

Sapori mediterranei

Sardenaira: Liguria da mangiare

Nunzia Manicardi

64

Sapori dal mondo

Foie gras: amico o nemico?

Giorgia Fieni

68

Locali di gusto

Sfoglia Rina, la passione emiliana per la sfoglia

Federica Cornia

70

Massimiliano Rella

74

Turismo enogastronomico Cipro: genuina, originale norcineria mediterranea Eventi

#ThinkFood 2015

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Rassegne

Bellezza, coraggio e determinazione

78

Pitti Taste, 10 anni e non sentirli

85

Fiere

Tuttofood, opportunità e sinergie con Expo

92

Vino

Vinitaly 2015, annata speciale ad un soffio da Expo

Laura Franchini

96

L’etichetta

Angelo Valentini

104

I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: costaiole di maiale, i vini più adatti

Laura Franchini

106

Olio

Si fa presto a dire extravergine

Riccardo Lagorio

108

Aceto

L’Aceto Balsamico contro la contraffazione di Dop e Igp

112

Formaggio

La riserva di Duilio

114

Jacky Quesnot, professione affinatore Tecnologie

Fare sempre di più e sempre meglio

Storia e cultura

Cacciatorino, tra tradizione e innovazione

Massimiliano Rella

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Giovanni Ballarini

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In copertina: salami al cubo (photo © Massimiliano Rella).

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Immagini

Il riposo dei maiali Iberici della Tenuta Llano Ventura a Segura de León, nella tipica dehesa dell’Extremadura. Il servizio di Massimiliano Rella è a pagina 36 (photo © Massimiliano Rella).

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Agenda Mogliano Veneto, Treviso Torna, dopo il successo della passata edizione, Formaggio in Villa, l’evento che ospita alcuni tra i migliori produttori di formaggi e salumi artigianali italiani e che chiama a raccolta un pubblico qualificato di selezionatori, distributori, giornalisti e appassionati. L’evento si svolgerà a Villa Braida, a Mogliano Veneto (TV), dall’11 al 13 aprile, dalle 10:00 alle 19:00. Non mancheranno banchi di assaggio, degustazioni guidate con abbinamento di vini e birre, un’area dedicata ai salumi e la premiazione della guida dei formaggi “Italian Cheese Award” (photo © lifetaste.tv). www.formaggioinvilla.it Polesine Parmense, Parma A dieci giorni esatti dall’inizio del l’Esposizione Universale di Milano, l’occasione per fare il punto sulle necessità alimentari e gastronomiche per il futuro, ma anche sulla gastronomia made in Italy, sarà a Polesine Parmense (PR). “A dieci giorni da Expo”, infatti, è il fi lo conduttore della quarta edizione di Centomani di questa terra, in programma lunedì 20 aprile dalle ore 10:00 alle 22:00. Un evento imperdibile che porterà nell’incantevole Relais Antica Corte Pallavicina della famiglia Spigaroli i 50 migliori chef dell’Emilia-Romagna e i 50 produttori delle eccellenze enogastronomiche che questa regione è in grado di esprimere, dal Parmigiano Reggiano alla Mortadella Bologna, dall’aceto balsamico tradizionale ai salumi DOP (M ASSIMO SPIGAROLI è stato tra l’altro eletto alla presidenza del Consorzio di tutela del Culatello di Zibello DOP proprio poche settimane fa), dalle farine alla pasta, dall’olio al pesce, fi no ai vini e alla birra artigianale. Chef e produttori, tutti soci dell’Associazione CheftoChef emiliaromagnacuochi, a cui va il merito di organizzare l’evento. La partecipazione è gratuita. www.cheftochef.eu

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Ascoli Piceno Se siete amanti dei fritti non potete perdervi l’edizione 2015 di Fritto Misto, dal 24 aprile al 3 maggio, ad Ascoli Piceno. L’undicesima edizione di Fritto Misto si presenta al pubblico all’insegna del nuovo claim “È tutto un friggi friggi”: poche parole che sintetizzano l’enorme diffusione di questa tecnica di cottura, ma anche l’esplosione mediatica del cibo di strada, fenomeno da qualche anno sulla bocca di tutti, alla cui diffusione la formula di Fritto Misto ha fornito un sostanzioso contributo. www.frittomistoallitaliana.it

Roma, Firenze, Bologna, Milano, Sarzana e Padova Dopo il successo delle due edizioni milanesi che hanno visto la partecipazione di quasi 50.000 persone, lo Streeat Food Truck Festival, il festival italiano interamente dedicato al cibo di qualità su ruote e a ingresso gratuito, è diventato itinerante. Da marzo sono infatti partite le tappe con destinazione Roma, Firenze, Bologna, Milano, Sarzana (SP) e Padova. Queste tutte le date in programma: 27, 28, 29 marzo a Roma (Città Altra Economia); 10, 11,12 aprile a Firenze (Piazzale del Parco delle Cascine); 24, 25, 26 aprile a Bologna (Parco 11 Settembre); 15, 16, 17 maggio a Sarzana (Piazza Matteotti); 29, 30, 31 maggio a Milano (Carroponte); 5, 6, 7 giugno a Padova (Gran Teatro Geox – Outdoor); 18, 19, 20 settembre a Milano (Carroponte). Prelibatezze italiane e internazionali dal dolce al salato incontreranno la praticità del cibo di strada. www.streeatfoodtruckfestival.com

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Milano C’è grande attesa per l’edizione 2015 di Tuttofood, il salone dell’agroalimentare organizzato da Fiera Milano in programma dal 3 al 6 maggio, sempre più al centro dell’interesse della aziende e dei buyer italiani e internazionali. Sulla valorizzazione e la cultura del prodotto di qualità, si confermano anche per l’edizione 2015 i concorsi che coinvolgeranno le aziende espositrici sui temi dell’innovazione e del sistema di certificazione. Il concorso dedicato ai prodotti più innovativi sarà realizzato con la collaborazione di Ipsos, che defi nirà 24 prodotti, 3 per ciascuna delle 8 categorie in gara (Carne e salumi, Lattiero-caseario, Dolciario, Surgelato, HORECA, Multiprodotto, Ittico e Green food). Per dare valore alle aziende che investono in produzioni DOP, IGP e Bio, Tuttofood promuove anche il concorso dedicato alla “Qualità certificata” in collaborazione con Qualivita. Non sono solo i prodotti a fare l’eccellenza, ma anche chi quei prodotti li sa valorizzare e presentare al cliente fi nale. Per questo, in uno dei settori dalla più forte tradizione, quello dedicato a carni e salumi, Tuttofood, in collaborazione con ASS.I.CA., organizzerà uno speciale contest dedicato all’abilità dei salumieri italiani, che si sfideranno a colpi di fette! www.tuttofood.it

Verona La 26a edizione di Eurocarne, in programma a Verona dal 10 al 13 maggio, si presenta totalmente rinnovata nel concept come unica fiera verticale del comparto carni in Italia. Tra le novità più attese segnaliamo “Meat Experience”, il primo banco di assaggio della carne con degustazioni comparate, all’interno del quale, per la prima volta, la carne bovina potrà essere sottoposta al giudizio dei buyer di carne secondo parametri oggettivi. Meat Experience, sotto la regia dell’Istituto Italiano Assaggiatori Carne – De Gustibus Carnis, e del Centro Studi Assaggiatori – Italian Tasters si rivolge alle oltre 35.000 macellerie presenti in Italia, ma anche alla ristorazione, alle gastronomie, all’hôtellerie e alla GDO. Per l’edizione 2015 è stata potenziata anche l’internazionalizzazione attraverso la promozione dei delegati esteri e i partner di Veronafiere e l’Istituto per il commercio estero (ICE). Nutrite delegazioni di buyer arriveranno dai Paesi dell’area Alpe Adria (Slovenia, Croazia, Bosnia, Macedonia), Russia, Polonia, Marocco, Egitto, Emirati Arabi Uniti. Sono stati coinvolti operatori interessati ai settori della macellazione, stoccaggio e movimentazione carne, attrezzature per la lavorazione delle carni, macchine per macellerie e banchi frigo per la vendita (retail, Grande Distribuzione, ristorazione, HORECA), ma anche buyer interessati alla carne e salumeria italiana. eurocarne.it

Expo Milano 2015, dove, come e quando. Expo Milano 2015 è l’Esposizione Universale che l’Italia ospiterà dal 10 maggio al 31 ottobre e sarà il più grande evento mai realizzato sull’alimentazione e la nutrizione. Per sei mesi Milano diventerà una vetrina mondiale in cui i Paesi mostreranno il meglio delle proprie tecnologie per dare una risposta concreta a un’esigenza vitale: riuscire a garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del Pianeta e dei suoi equilibri. Il sito espositivo è a Rho-Fiera e sarà ben collegato con mezzi pubblici (metropolitana, treni, auto), restando aperto tutti i giorni dalle 10:00 alle 23:00. Per accedere a Expo Milano 2015 occorre dotarsi di un biglietto, che può essere a data fissa, valido per una data specifica da scegliere tra il 10 maggio e il 31 ottobre 2015 (€ 27,00 per 1 adulto) o aperta (€ 32,00 per 1 adulto). Sono disponibili anche biglietti famiglia, per due giorni consecutivi e carnet di 2-3 giorni, oltre ad un ticket serale, che permette l’ingresso a Expo Milano 2015 a partire dalle ore 19:00 fino alla chiusura e un season pass, un abbonamento nominale e non cedibile, che consente l’accesso libero dal giorno dell’attivazione sino al 31 ottobre. Sono previsti sconti per over 65 anni, bambini, studenti e visitatori con disabilità. I biglietti si possono acquistare anche on-line al link: www.expo2015.org/it/biglietti

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Attualità

Indicazione dello stabilimento di produzione in etichetta Il Regolamento UE 1169/2011 ha generato disorientamento e aggravio di adempimenti per i produttori, ma ha anche acceso gli animi dei consumatori che rivendicano il diritto di sapere in quale luogo il prodotto è stato trasformato. La polemica corre sul web, sulla stampa e in Parlamento di Sebastiano Corona

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n tempo i consumatori più avveduti, con una discreta conoscenza del mondo alimentare, giravano sicuri tra gli scaffali dei supermercati cercando di individuare nei prodotti del private label quale fosse l’impresa che avesse realizzato l’alimento per conto della catena distributiva. Stesso accadeva nei discount, dove era possibile portare a casa un prodotto di marca a prezzo ridotto. Era sufficiente leggere in fondo all’etichetta quale fosse lo

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stabilimento di produzione, per capire l’esatta provenienza aziendale dell’alimento. Certo, era una pratica che si potevano permettere solo coloro che avevano una discreta cognizione del tessuto produttivo nazionale e che conoscevano le sedi operative delle imprese, ma oggi questo non sarebbe più possibile nemmeno per gli esperti. Il tanto discusso Reg. UE 1169/2011, in oltre 60 pagine di nuove norme, non prevede infatti l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione.

Questa, in realtà, è sempre stata una prerogativa nostrana, che evidentemente non si è ritenuto di dover imporre a tutto il mercato comune. L’eliminazione dell’obbligo però, che a prima vista poteva forse sembrare poco rilevante, sta accendendo gli animi di produttori e consumatori. Il disappunto sinora è valso un’infinita polemica sui media, un’interpellanza urgente al Ministro dello Sviluppo Economico, una petizione popolare sul web, e pare che non sia finita qui.

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Tra le questioni di cui si discute in seguito alla pubblicazione del nuovo regolamento c’è il diritto dei consumatori di fare scelte consapevoli per i propri acquisti. Scelte che possono incidere in misura significativa sull’economia e sull’occupazione nelle filiere agroalimentari nazionali (photo © www.greenleafpestcontrol.com). Nelle more della contestazione si è ingiustamente sostenuto a gran voce che sarebbe stato il Governo a fare questa infelice scelta. Gli addetti ai lavori sanno però che la norma in discussione è squisitamente comunitaria, pertanto il nostro Esecutivo non può che averne una responsabilità molto limitata. Non solo, come accennato sopra, l’obbligo di indicare la sede dello stabilimento di produzione era previsto dal Decreto 109/1992, come unico esempio del genere in Europa, e poiché il Regolamento UE 1169/2011 nasce soprattutto al fine di armonizzare la normativa comunitaria in materia di informazioni al consumatore, era improbabile che introducesse un obbligo che un solo ordinamento nazionale, tra i tanti, prevedeva. L’interpellanza ha però evidenziato posizioni diverse anche dentro il Governo. Il MISE ha sottolineato la necessità di una norma nazionale — che peraltro sarebbe urgente anche per quanto riguarda l’aspetto sanzionatorio — mentre il MIPAAF ha colto l’occasione per dire che deve essere data priorità all’origi-

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ne delle materie prime. Certamente si rileva un imperdonabile ritardo, visto che le imprese sono costrette, in questo momento, ad operare in assenza di una serie di indicazioni che sarebbero dovute provenire da tempo dai ministeri coinvolti. Se è vero che le imprese hanno avuto alcuni anni per adeguarsi — e nessuna o quasi l’ha fatto — è pur certo che negli stessi anni i governi che si sono succeduti avrebbero dovuto aprire una riflessione sui molti aspetti della normativa nazionale che andavano armonizzati con quella europea. La naturale conseguenza di una certa inerzia è che, a distanza di mesi, il mondo produttivo è ancora in attesa di chiarimenti. Insomma, andava fatto di più e meglio, però non si pensi nemmeno — come è stato detto — che l’assenza dell’indicazione dello stabilimento produttivo mini la salute del consumatore perché così non è. D’altronde, la salubrità del cibo è garantita da ben altre regole e da un impianto normativo ampio e complesso, che non può essere minimamente insidiato dall’assenza

dell’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione. Chi sostiene che solo questa indicazione “consente alle autorità di controllo di attivare facilmente le azioni correttive utili a mitigare il rischio per la salute pubblica in caso di allerta”, non ha una visione esaustiva della complessità delle norme in materia di sicurezza del prodotto alimentare. Oppure parla con l’obiettivo poco nobile di creare inutili allarmismi. È invece più che condivisibile la motivazione addotta da chi sostiene che l’indicazione dello stabilimento produttivo sia importante per consentire ai singoli di fare una scelta di acquisto consapevole e guidata anche da legittime motivazioni economiche, occupazionali e territoriali. Ergo: se voglio sostenere il mio territorio, acquisto prodotti realizzati in loco. Ma come posso avere la certezza della provenienza se l’informazione sul luogo in cui la trasformazione è avvenuta è stata omessa? La petizione lanciata su Change.org da GREAT ITALIAN FOOD TRADE e da IL FATTO ALIMENTARE è invece finalizzata a chiedere al

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La delocalizzazione produttiva avviene di norma per motivi gravi e seri, principalmente legati ai costi di produzione, non certamente a causa di una norma relativa all’etichettatura dei prodotti (in alto, biscottificio; photo © Bigstock®, www.heartland-paper.com). Governo di tutelare il made in Italy e la salute dei consumatori, proprio riaffermando l’obbligo di indicare, sulle etichette dei prodotti alimentari e delle bevande, la sede dello stabilimento di produzione. Anche in questo documento, che è già stato sottoscritto da decine di migliaia di persone, si sostiene — a torto o a ragione — che, nei casi di allerta alimentare, la disponibilità immediata della sede dello stabilimento consentirebbe alle autorità di controllo di risalire in tempo reale alla causa del problema. La seconda questione rappresentata è quella della sovranità alimentare, ossia del fatto che i consumatori hanno il diritto di fare scelte consapevoli che incidono in misura significativa sull’economia e sull’occupazione nelle filiere agroalimentari, scegliendo prodotti confezionati nel proprio Paese. “Senza l’indicazione dello stabilimento, i gruppi multinazionali dell’industria e della distribuzione possono trasferire le produzioni e

gli approvvigionamenti da un Paese all’altro — dentro e fuori l’Unione Europea — senza informare gli acquirenti”, si legge nel testo della petizione. L’ultimo aspetto è quello della protezione dei cittadini che, in assenza di informazioni sulla sede di produzione, possono più facilmente essere ingannati da gruppi multinazionali che hanno acquistato marchi legati ad un Paese o ad una regione, ma che hanno delocalizzato la produzione. Questo punto di vista è il più condivisibile, considerato anche che numerosi marchi italiani sono stati ceduti a gruppi imprenditoriali esteri che adesso producono in tutto o in parte lontano dall’Italia. È bene però ricordare che, se conoscere lo stabilimento di produzione è una cosa importante (è cioè la garanzia, ad esempio, che il prodotto è stato trasformato in Italia), non mette al riparo gli integralisti del prodotto locale sul fatto che si tratti di un alimento autenticamente italiano dall’inizio alla

“Indicare la sede dello stabilimento è considerata come un’opportunità importante da tanti punti di vista. Per questo moltissimi nomi della GDO e DO e diverse aziende produttive hanno dichiarato di voler mantenere l’indicazione sulle confezioni del prodotto, sebbene non sia più un obbligo” 20

fine, cioè proveniente da materia prima allevata o coltivata nel Belpaese. D’altra parte, ci sentiamo anche di tranquillizzare chi teme una delocalizzazione selvaggia, a causa di questa nuova apertura normativa. La delocalizzazione produttiva avviene di norma per motivi gravi e seri, principalmente legati ai costi di produzione. Per quanto riguarda numerosi grandi marchi italiani, che hanno fatto la storia dell’agroalimentare nazionale, purtroppo non è valso l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione in etichetta, per mantenere la lavorazione entro i nostri confini nazionali. Se fosse bastato il Decreto 109/1992 per tenere in Italia le nostre imprese, l’esodo degli ultimi anni non sarebbe avvenuto. Per tenere le aziende qui dove sono nate ci vuole ben altro che una norma sulle informazioni al consumatore. L’indicazione dello stabilimento di produzione è indipendente dall’origine delle materie prime e, se un passo avanti è stato fatto dall’Unione Europea in termini di chiarezza e trasparenza, da questo punto di vista è proprio nel Regolamento 1169/2011, che ha introdotto l’indicazione del Paese d’origine o del luogo di provenienza per certi prodotti e ha imposto alla Commissione di proseguire il lavoro in questa direzione per altre tipologie di alimenti. A rasserenare gli animi di coloro che temono che la nuova norma sia un ostacolo al diritto all’informazione interviene il MISE, il quale non esclude del tutto la possibilità di recuperare, con un decreto, l’indicazione dello stabilimento in etichetta. Il Regolamento lascia infatti spazio e modo agli Stati Membri, qualora lo ritenessero opportuno, di introdurre l’obbligo di riportare sulla confezione del prodotto ulteriori indicazioni. Ma è pur vero che più volte in passato i tentativi dell’Italia di introdurre norme più severe, in fatto di prodotti alimentari, sono stati respinti. Per questo motivo, in molti sottolineano la necessità di porre la questione sul piano politico a livello europeo ed evitando di procedere con decreti nazionali che rischiano di essere sonoramente bocciati o di dare origine a procedure d’infrazione.

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Bisogna però considerare che la questione è sentita soprattutto in Italia, dove un obbligo che già vigeva è venuto meno, mentre negli altri Stati europei la materia non appassiona granché. Allora c’è da chiedersi se si possa davvero fare una battaglia politica in sede comunitaria in piena solitudine, tanto più che le ragioni citate andavano presentate quando il Regolamento era ancora solo in fase di predisposizione, e non oggi. Qualunque strada si decida di percorrere, la questione verrà certamente presidiata a dovere, oltre che dalle associazioni dei consumatori, anche dallo stesso Ministero delle Politiche Agricole, che in una nota conferma: “Ci stiamo impegnando per salvaguardare in primo luogo la tracciabilità e l’indicazione dell’origine del prodotto. Riteniamo cioè sia più importante sapere innanzitutto da dove proviene la materia prima”. Il MIPAAF punta quindi più in alto e chiede che l’attenzione non sia posta tanto o solo sulla trasformazione o sul confezionamento del

prodotto, ma soprattutto sulla sua reale provenienza. E in una nota a firma del ministro MARTINA si sottolinea come il Decreto Legislativo 109/1992 abbia dimostrato negli anni una grande utilità, sia per garantire la correttezza e la trasparenza nei confronti dei consumatori, sia per agevolare l’attività dei controlli ufficiali, anche nel contrasto alle frodi. Mantenere l’obbligo di indicare in etichetta la sede dello stabilimento di produzione può quindi, a parere del dicastero dell’agricoltura, rafforzare la tutela e la credibilità dei prodotti made in Italy. L’indicazione dello stabilimento di produzione in etichetta è comunque ad oggi facoltativa. Pertanto le imprese non ne hanno l’obbligo, ma, se lo ritengono opportuno, possono riportarla nelle modalità consentite dal Regolamento. Chi ritiene di avere un dovere morale nei confronti del consumatore o semplicemente chi crede che questo elemento possa fornire al prodotto un elemento in più di successo nel mercato può fornire

questa informazione. Indicare la sede dello stabilimento è considerata come un’opportunità importante da tanti punti di vista e lo dimostra la politica recentemente adottata da decine di imprese della produzione e della distribuzione. Mentre si consuma la polemica, infatti, moltissimi nomi della GDO e DO e diverse aziende produttive hanno dichiarato di voler mantenere l’indicazione sulle confezioni del prodotto, sebbene ne sia venuto meno l’obbligo. Una scelta, questa, che sarà certamente letta dal mercato come una forma di rispetto e un segnale di trasparenza per chi compra. Sebastiano Corona Nota A pagina 17, salumi. Ricordiamo che, al di là degli aspetti inerenti questo specifico regolamento, la salubrità del cibo è garantita da un impianto normativo ampio e complesso, che non può essere minimamente insidiato dall’assenza dell’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione (photo © wall.alphacoders.com).


Expo 2015: regole speciali per gli alimenti di origine animale Sono circa 150 i Paesi che parteciperanno a Expo 2015. Considerato che saranno introdotti nell’Unione prodotti alimentari, anche di origine animale, provenienti da Paesi Terzi, la Commissione ha stabilito alcune deroghe in materia di sanità pubblica e animale. Nessun prodotto non conforme potrà essere consumato e commercializzato al di fuori della manifestazione. L’autorizzazione ad esportare prodotti di origine animale nell’Unione viene concessa ai Paesi Terzi in base ad una serie di prescrizioni stabilite dalla normativa dell’Unione, che tengono conto delle preoccupazioni per la sanità pubblica e animale. Non tutti i paesi partecipanti a “Expo Milano 2015” sono tuttavia pienamente autorizzati ad esportare prodotti di origine animale nell’Unione. Pertanto, il Regolamento di esecuzione 2015/329 del 2 marzo scorso fissa alcune deroghe alle attuali condizioni sanitarie all’importazione al fine di autorizzare l’introduzione di tali prodotti esclusivamente ai fini dell’utilizzo a Expo Milano 2015. Il Regolamento dettaglia gli obblighi di Expo 2015 Spa e degli espositori di Expo Milano 2015, nonché i compiti del posto d’ispezione frontaliero di entrata e delle autorità doganali competenti; dei posti d’ispezione frontalieri competenti per i depositi doganali; dell’unità veterinaria locale Milano Città presso il sito espositivo di Expo Milano 2015 e dopo l’arrivo dei prodotti al sito espositivo di Expo Milano 2015. I depositi doganali autorizzati sono pubblicati sul sito web ufficiale del Ministero della Salute italiano. Regolamento di esecuzione (UE) 2015/329 della Commissione del 2 marzo 2015 L’importazione nell’Unione di prodotti di origine animale che comportano un rischio di introduzione di malattie animali nell’Unione, come carni fresche e prodotti a base di carne, latte e prodotti a base di latte e altri prodotti di origine animale, è autorizzata solo se sono rispettate tutte le pertinenti garanzie in materia di sanità animale previste dalla normativa dell’Unione sulle importazioni. Lo stesso vale per i prodotti di origine animale in transito nell’Unione a condizione che siano trasportati in un Paese Terzo. Perché ne siano autorizzati l’importazione o il transito nell’Unione, i prodotti di origine animale devono provenire dai Paesi Terzi espressamente elencati nella normativa pertinente in materia di sanità animale applicabile alle importazioni ed essere stati sottoposti ai trattamenti specifici previsti da tale normativa. Per proteggere lo status dell’Unione in relazione alla sanità animale, solo i prodotti di origine animale che soddisfano le prescrizioni dell’Unione in materia di sanità animale applicabili alle importazioni o al transito potranno essere autorizzati all’introduzione nell’Unione ai fini dell’utilizzo a Expo Milano 2015. Le autorità italiane devono pertanto provvedere affinché nessun prodotto non conforme sia consumato e commercializzato al di fuori di Expo Milano 2015. Per garantire che i prodotti non conformi non siano immessi sul mercato dell’Unione, essi dovrebbero inoltre essere trasportati direttamente a Expo Milano 2015 o, se necessario per motivi logistici, trasportati in depositi doganali specificamente riconosciuti secondo quanto previsto dagli articoli 12 e 13 della Direttiva 97/78/CE per il loro magazzinaggio intermedio prima della consegna finale a Expo Milano 2015. Per ridurre i rischi connessi all’introduzione nell’Unione di prodotti di origine animale che non soddisfano tutte le prescrizioni dell’Unione in materia di sanità pubblica e animale, è opportuno che tali prodotti siano oggetto di misure rigorose di controllo, siano rintracciabili in tutte le fasi di trasporto, magazzinaggio, consegna e smaltimento dei loro resti o rifiuti e siano utilizzati esclusivamente ai fini di Expo Milano 2015, di modo che si eviti la loro commercializzazione nell’Unione. Per consentire che possano essere introdotti nell’Unione, evitando nel contempo che siano immessi sul suo mercato, tali prodotti dovrebbero essere vincolati al regime di ammissione temporanea fino a quando non siano stati consumati in loco sul sito di Expo Milano 2015 o fino a quando i loro eventuali resti non siano stati smaltiti in conformità alle disposizioni del Regolamento (CE) n. 1069/2009 come materiali di categoria 1 o riesportati. Al fine di garantire la rintracciabilità dei prodotti di origine animale non conformi, le autorità competenti dovrebbero utilizzare il sistema informatico veterinario integrato (TRACES) istituito dalla Decisione 2004/292/CE della Commissione per registrare i dati pertinenti relativi ai prodotti dal momento della loro introduzione nell’Unione al momento del loro consumo sul sito espositivo di Expo Milano 2015 o del loro smaltimento dopo la conclusione della manifestazione. Al fine di informare il personale e i visitatori di Expo Milano 2015 dei possibili rischi derivanti dal consumo di prodotti non conformi e di garantire che tali prodotti non siano consumati e commercializzati al di fuori del sito di Expo Milano 2015 a causa dei rischi che possono comportare per la sanità pubblica, le autorità italiane dovrebbero segnalare che determinati prodotti di origine animale provenienti da paesi terzi non rispettano le norme di sanità pubblica dell’Unione ma solo quelle del relativo Paese Terzo di origine e che il consumo e la commercializzazione di tali prodotti al di fuori del sito espositivo di Expo Milano 2015 sono vietati. (www.anmvioggi.it)

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Il food in rete

Social di Elena

1. I rischi alimentari nel web: un percorso formativo per food blogger L’ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELLE VENEZIE coordinerà a breve un progetto che promuove la circolazione di informazioni utili e corrette sulla sicurezza alimentare tra i consumatori che utilizzano il web per documentarsi, trovare consigli e ricette di cucina e informazioni sulla preparazione degli alimenti. In particolare, le attività del progetto coinvolgeranno il pubblico dei food blogger, divenuti figure di riferimento per la condivisione rapida e capillare nella rete di informazioni pratiche sulla conservazione, manipolazione e cottura degli alimenti. Per info: www.izsvenezie.it/i-rischi-alimentari-nel-web

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2. Vinci l’Alto Adige, riparte il concorso Dopo il successo dello scorso anno, è ripartito il concorso “Vinci l’Alto Adige” promosso dal CONSORZIO DI TUTELA SPECK ALTO ADIGE IGP. Partecipare è semplicissimo: a partire dal 1o marzo e fino al 31 dicembre 2015 basta collegarsi al sito www.speck.it e rispondere a tre domande sullo Speck Alto Adige IGP. Per avere la possibilità di scoprire tante particolarità relative al salume per eccellenza di questa terra, le domande cambieranno di mese in mese. I premi in palio sono golosissimi: ogni mese infatti un fortunato potrà vincere una baffa di Speck Alto Adige IGP e, a fine anno, l’estrazione finale regalerà al vincitore una settimana di vacanza in Alto Adige per due persone in un hotel del gruppo Vitalpina a sua scelta.

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food Benedetti

3. Food in Italy, la piattaforma delle Dop e Igp italiane che punta all’e-commerce FoodInItaly.com: segnatevi questo sito. Si tratta del nuovo progetto sviluppato da Italiaonline che mette in rete tutte le eccellenze agroalimentari del Belpaese, con l’obiettivo di diventare un’importante vetrina internazionale, oltre che il punto di riferimento digitale e, in divenire, anche una piattaforma di e-commerce, a supporto delle migliaia tra operatori e consorzi di tutela che compongono le filiere dei prodotti certificati. La piattaforma, realizzata con la collaborazione editoriale e scientifica di Fondazione Qualivita, raccoglie tutti i prodotti agroalimentari italiani di qualità certificata (DOP, IGP, STG), sia food che wine, oltre ai prodotti agroalimentari tradizionali. L’internazionalità è una delle chiavi di FoodInItaly: il sito è da subito disponibile anche in lingua inglese e sarà successivamente tradotto in cinese, russo e spagnolo. Sfruttando il volano offerto da Expo 2015, FoodInItaly rappresenta una “vetrina virtuale” attraverso la quale migliaia di produttori locali possono disporre di una straordinaria opportunità di business in un settore strategico per il nostro Paese, ancor più sotto i riflettori durante i mesi dell’Esposizione Universale.

4. Il Salumaio di Montenapoleone, la Milano da mangiare “Il maestro disse: non è grave se gli uomini non ti conoscono, è grave se tu non li conosci” (CONFUCIO). Questo l’incipit della sezione “Chi siamo” di una delle botteghe di salumeria più raffinate di Milano. Il SALUMAIO DI MONTENAPOLEONE non è solo una gran bella gastronomia, è anche un pezzo di storia della capitale della moda che quest’anno catalizzerà l’attenzione di migliaia di visitatori in arrivo da tutto il mondo. La salumeria è nella centralissima via Santo Spirito e anche a Lugano. Sul web la visitate (virtualmente) all’indirizzo www.ilsalumaiodimontenapoleone.it.

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Aziende

Cinquanta e più sfumature di mortadella Visita al Salumificio Negrini di Renazzo, da sessant’anni specialista nella produzione di mortadella di Gaia Borghi

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isalgono a fine marzo i dati ufficiali di produzione e di vendita relativi all’anno 2014 della Mortadella Bologna Igp diffusi dal relativo Consorzio di tutela: 37.0000.000 di chili prodotti, con un aumento del 6,9% dell’affettato (fonte: INEQ). Numeri

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che, facendo un piccolo gioco che ci suggeriscono gli stessi rappresentanti dell’associazione, avendo come base di partenza delle fette di Mortadella Bologna del diametro medio di 22 cm, ed immaginandole una a fianco all’altra, equivalgono ad una superficie di 55,770 km, pari a cinque volte il giro

della Luna! La mortadella che avvolge la Luna in un abbraccio: un’immagine evocativa, che si presta perfettamente a rappresentare un salume tanto amato in Italia e all’estero. Perché in fondo, la mortadella, dell’astro notturno ha anche la forma, quando, tagliata a fette sottili, pronta per diventare

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il ripieno profumato del più gustoso dei panini, si mostra in tutta la sua rotonda bellezza. Un fascino curvy che conquista al primo assaggio. Sessant’anni di mortadelle Per parlare di mortadella non potevamo che fare riferimento ad un’azienda che questo insaccato tipicamente emiliano lo produce da ben sessant’anni: è il Salumificio Negrini di Renazzo di Cento, in provincia di Ferrara. «La Negrini è stata fondata nel 1955 dal Cavalier Angelo Negrini, mio nonno. Si può dire che l’azienda sia nata con la produzione di mortadella e tuttora, a dispetto della vasta gamma di specialità che proponiamo, resta il nostro prodotto principale». Così mi dice DINO NEGRINI, che, dopo il padre Gianni — attivo anche oggi nella gestione del salumificio — insieme alle sorelle Annarita e Nicoletta e al fratello Carlo rappresenta la terza generazione della famiglia in azienda. Negrini: Mortadella Bologna Igp e Modella Il Salumificio Negrini produce diverse tipologie di mortadella, commercializzate attraverso i due marchi Negrini e Bonfatti. «Negrini ha aderito fin dall’inizio della sua creazione, avvenuta nel 2001, al Consorzio Mor-

tadella Bologna» puntualizza Dino Negrini. E proprio la Mortadella Bologna Igp è una delle proposte Negrini, acquistabile in diverse pezzature e anche nella versione arricchita con i pistacchi. Ricordiamo, a questo proposito, che secondo i recenti dati Nielsen, le vendite della Mortadella Bologna Igp hanno registrato un significativo aumento, pari ad un +4,3% a livello di volume e +6,6% in termini di valore. Nel nostro Paese la Mortadella Bologna Igp, sempre secondo la Nielsen, viene acquistata soprattutto nei negozi tradizionali, dove la cura nell’esposizione del prodotto e la formazione degli addetti alla vendita, in grado di informare e venire incontro alle esigenze più disparate dei consumatori, contribuiscono ad accrescere il valore del salume. «Per quanto riguarda il marchio Negrini il nostro prodotto di punta è rappresentato da Modella, una mortadella “magra” (ha il 50% di grassi in meno in riferimento ai valori medi nutrizionali INRAN della Mortadella Bologna Igp), che abbiamo lanciato sul mercato nel 2011» prosegue Dino Negrini. «Si tratta di un salume adatto ai consumatori che ricercano prodotti con un minor contenuto di grassi rispetto a quelli tradizionali, come

Dino Negrini il target dei giovani che solitamente scelgono il prosciutto cotto. La particolarità di Modella è però quella di mantenere inalterate le caratteristiche basilari di una mortadella in termini di piacevolezza e sapore. È un salume che soddisfa il palato, soprattutto quello di chi predilige i gusti delicati, più soft». Una mortadella magra, dunque, ma pur sempre una “mortadella”, riconoscibile come tale ed apprezzata anche dagli amanti della versione classica.

Modella, l’evoluzione “magra” della mortadella Ai sensi del Regolamento CE n. 1924/2006, relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari, e in riferimento ai valori medi nutrizionali dei salumi pubblicati dall’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN), Modella ha ben il 50% di grassi in meno della Mortadella Bologna Igp. Ma anche gli stessi grassi (e il relativo apporto calorico) di una stessa quantità di prosciutto cotto con grasso. Modella Negrini è quindi perfetta per chi vuole mantenersi in linea senza rinunciare al sapore, per gli anziani e gli sportivi che prediligono un’alimentazione leggera, per lo spuntino e la colazione dei ragazzi più giovani.

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Le mortadelle Negrini e Bonfatti in vaschetta. La Classica Bonfatti Proprio per i cultori della tradizione il Salumificio Negrini commercializza, con il marchio Bonfatti, la Mortadella Classica. «Si tratta dell’altro nostro prodotto di punta — dice Dino Negrini — agli antipodi rispetto a Modella, con cui condivide la provenienza delle carni (accuratamente selezionate partendo esclusivamente da suini italiani) e l’assenza di ingredienti OGM». Grazie a queste qualità del prodotto, dalle materie prime alla tipologia di lavorazione, la Mortadella Classica Bonfatti è annoverata tra i Presidi Slow Food. «La Mortadella Classica viene richiesta da chi cerca un sapore intenso, più “grasso”. Spesso si tratta dei consumatori più maturi, che ritrovano i sapori di un tempo». La novità: le vaschette I dati Nielsen relativi alla Mortadella Bologna Igp confermano anche il grande successo del preaffettato che, con 5 milioni di chili, ha raggiunto la

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quota più alta degli ultimi dieci anni. «Proprio l’anno scorso — continua Negrini — abbiamo deciso di investire nella realizzazione di due linee per la produzione di affettati, più una terza linea riservata al settore della gastronomia monoporzione, i cui prodotti hanno avuto un riscontro soddisfacente in termini di accettazione da parte dei consumatori. Relativamente agli affettati, anche in questo caso, vista la storia e la peculiarità del nostro Salumificio, abbiamo fatto scelte specifiche per valorizzare il prodotto mortadella. Ecco perché abbiamo acquistato un’affettatrice specifica che consente di tagliare delle fette intere di 22 centimetri di diametro: una scelta che, a discapito della produttività, va a valorizzare il prodotto». I prodotti principali disponibili in vaschette (dagli 80 ai 140 grammi di peso), sono, per il marchio Negrini, la Mortadella Bologna Igp, la Mortadella Bologna Igp con pistacchi, la mortadella Modella e, per Bonfatti, la

Mortadella Classica. Ma le specialità proposte in vaschetta sono anche altre, dalla Mortadella al Tartufo al Prosciutto cotto rustico alle erbe. «Nella scelta delle vaschette abbiamo optato per quelle preformate, più belle ed invitanti dal punto di vista estetico di quelle termoformate» conclude Dino Negrini. Belli e buoni i prodotti Negrini, insomma. E prontissimi per mettersi in bella mostra al Tuttofood edizione 2015. «Dopo Taste a Firenze, saremo presenti in fiera a Milano a maggio in collaborazione con Officine Cantelli, azienda di Renazzo, e le sue splendide affettatrici». Dal rosso intenso delle Berkel al rosa delle mortadelle: sono le sfumature che preferiamo. Gaia Borghi Negrini Salumi Sas Via Alberelli 28 – 44045 Renazzo (FE) Telefono: 051 6850011 E-mail: segreteria@negrinisalumi.com Web: www.negrinisalumi.com

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Paganoni: non tutte le bresaole sono uguali di Elena Benedetti

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ici Valtellina e pensi immediatamente ad una terra generosa: una natura incontaminata che, partendo dagli ampi e soleggiati campi coltivati a foraggio e mele del fondovalle, si caratterizza per vigneti terrazzati e boschi, che risalendo lasciano spazio ad alpeggi e praterie d’alta quota fino alle maestose cime ed ai ghiacciai. Il territorio valtellinese vanta quindi un ricco patrimonio agroalimentare ed enologico, la cui protagonista assoluta è senza alcun dubbio la bresaola. Un salume tipico di questa zona, molto nutriente,

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povero di grassi e ricco al contrario di proteine, ferro, sali minerali e vitamine, garantito dal 1996 dal marchio comunitario di Indicazione Geografica Protetta. La Paganoni Distribuzione Alimentare Srl nasce negli anni Ottanta, specializzandosi prima nella commercializzazione di prodotti alimentari freschi e, successivamente, integrando l’attività con la produzione di salumi tipici valtellinesi in un piccolo stabilimento situato a Caiolo, in provincia di Sondrio. Viste le aumentate richieste da parte del mercato, nel 2004 l’azienda ha

inaugurato un nuovo stabilimento a Chiuro, dotandolo di moderni sistemi informatizzati per la gestione della produzione, al fine di garantirne la qualità e la sicurezza senza intaccarne gusto e genuinità. Il fiore all’occhiello della produzione salumiera Paganoni sono le bresaole, ma la gamma aziendale delle proposte comprende prosciutti crudi, speck, salami, slinzeghe e altri insaccati tipici valtellinesi. Abbiamo incontrato NICOLA PAGANONI, a capo di questa azienda a conduzione familiare, per parlare con lui di bresaola, naturalmente, ma non solo.

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Quali sono i punti di forza della bresaola? Come fate a differenziare il prodotto nelle varie linee GranBresaola, Rosa delle Alpi e Igp? «La bresaola è un salume adatto ad uno stile di vita contemporaneo. È un salume poco calorico, ricco di proteine, vitamine e povero di grassi. È adatto per la preparazione di piatti veloci, ma si presta bene anche per preparazioni elaborate. Se ci si aggiunge la bontà, ecco spiegato il successo che ha avuto negli ultimi anni. Chiaramente, non tutte le bresaole sono uguali. Noi stessi abbiamo tra le nostre referenze, parlando solo di bresaola punta d’anca di bovino, oltre 10 prodotti diversi. La differenziazione riguarda principalmente la tipologia di materia prima, la selezione che viene fatta su di essa e la ricetta utilizzata per la salatura. Parlando del gusto delle nostre varie bresaole, partiamo da un’unica “ricetta base” e la adattiamo ai vari prodotti che andiamo a realizzare. Lo scopo è di dare una “impronta” di sapore uguale a tutti i prodotti e lasciare che siano la materia prima e i diversi tempi di stagionatura a regalare le differenti note e sfaccettature di sapore». Oltre alle bresaole, quali sono le specialità salumiere in produzione al momento? «Sebbene siamo, di fatto, un’azienda monoproduttrice di bresaola, questa definizione ci va un po’ stretta. Negli anni, più per rimanere fedeli a noi stessi che per ragioni commerciali, abbiamo sempre continuato a produrre salumi tipici locali, destinati principalmente ai consumatori valtellinesi. In questa linea ci sono ad esempio il prosciutto crudo fiocco, il salame gentile, i salamini di suino e di selvaggina. La nostra passione ci porta poi a sperimentare ogni giorno nuove idee: stiamo ad esempio lavorando su salumi piccanti, aromatizzati e, ovviamente, nuove bresaole». Lavorate anche carni di nicchia come cervo e asino? «Sì, anche se, come accennavo, si tratta di produzioni estremamente di nicchia. Abbiamo bresaole realizzate con carni di cervo e di equino. Inoltre,

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Bresaola con germogli di soia, radicchio ed erba cipollina. produciamo salamini di cervo, di equino e di asino». Cosa chiede oggi il cliente finale al produttore di salumi in termini di servizio e praticità? «Fino a qualche anno fa lo stereotipo voleva un consumatore alla ricerca di servizio e praticità anche a scapito della qualità. Molte aziende puntavano soprattutto sul prodotto preaffettato, sul libero servizio, in formati estremamente ridotti. Oggi è ormai assodato che questa concezione è ampiamente superata. La nostra azienda, in tempi non sospetti, ha adottato una strategia diametralmente opposta, che oggi sta dando i propri frutti. Ci siamo orientati su un segmento di clientela di fascia medio-alta, che cerca innanzitutto la qualità e la cerca, preferibilmente, nelle salumerie o, almeno, nei banchi taglio dei supermercati. Questo non esclude che aspetti di servizio e praticità, spesso “snobbati”, nel segmento premium, rivestano una notevole importanza, perché semplicemente le priorità del consumatore sono differenti. Per questo diamo ai nostri clienti trade importanti strumenti rivolti a soddisfare le esigenze del cliente finale in termini di servizio e praticità. Nello specifico parliamo, ad esempio, di degustazioni in-store anche su superfici medio-piccole e con personale qualificato, affinché il cliente abbia maggiore consapevolez-

za di come è fatto il nostro prodotto e quali plus offre. Un altro esempio molto importante sono le buste salvafreschezza che forniamo ai nostri clienti, riutilizzabili e realizzate con materiali altamente performanti. Sono appositamente studiate per preservare le caratteristiche superiori del prodotto fino alla tavola del consumatore». Avete novità in vista? Parteciperete a qualche fiera o evento di settore? «Per il 2015, al momento, abbiamo in previsione due importanti eventi. Il primo è Salumi da Re, evento organizzato da Gambero Rosso e dai Fratelli Spigaroli dell’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense dedicato alle eccellenze della salumeria italiana e alla tradizione norcina. Si tratta di un evento d’eccellenza, a cui partecipano operatori estremamente qualificati, al quale siamo onorati di partecipare per la prima volta. Il secondo è la partecipazione alla fiera Tuttofood a Milano. Un appuntamento quest’anno davvero imperdibile, in quanto sarà in contemporanea con Expo, quindi ci si attende un grande flusso di visitatori. Oltre ai nostri prodotti di punta (GranBresaola, Rosa delle Alpi, Bresaola della Valtellina Igp e Vestis), sicuramente avremo alcune novità interessanti che presenteremo, ma ora è presto per svelare anticipazioni». Elena Benedetti

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1) Bresaola della Valtellina Igp. 2/3) Composizioni a base di bresaola della Valtellina. 4) GranBresaola, una delle specialitĂ Paganoni.

La sede del moderno stabilimento inaugurato nel 2004 a Chiuro (SO).

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Paganoni Distribuzione Alimentare Srl Via Omobono Cenini 19 23030 Chiuro (SO) Telefono: 0342 484349 Fax: 0342 488354 E-mail: info@paganoni.com Web: www.paganoni.com

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Da mani esperte che lavorano le carni artigianalmente

La startup dell’Alto Casertano

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i troviamo a Caiazzo, un piccolo centro agricolo ad una quindicina di chilometri da Caserta. Dal paese, a 200 metri di altezza, si domina la valle del Volturno. Questa è una terra feconda di attività artigianali sia di piccola e che di grande dimensione legate soprattutto alla produzione di olio e vino di qualità. Prodotti la cui realizzazione si tramanda di generazione in generazione. Ma non solo latte e uve vengono trasformate per essere esportate fuori dalla regione. Anche le carni sono una materia prima di eccellenza, base per la lavorazione di salumi straordinari. Lo sanno bene ANTONINO IACOESSA ed ENRICO IAVARONE, il primo titolare della ma-

celleria e azienda di trasformazione carni “GM2” e il secondo maestro salumiere con all’attivo una vita tra i salumi, quelli buoni. Tre anni fa hanno deciso di intraprendere una nuova avventura imprenditoriale. Data la conoscenza del settore e la possibilità di accedere ad una delle razze suine locali più pregiate, il Nero Casertano che qui cresce allo stato semibrado, di questi maiali ne hanno fatto salumi speciali commercializzati con il marchio “Salumi Mastro Enrico”, in omaggio alla professionalità del signor Iavarone. «La mia famiglia è sempre stata molto legata alla terra e all’allevamento» ci racconta Antonino, spiegando che per fare un salume si parte sempre dalla

visita agli allevatori locali, presso i quali selezionano i capi migliori, con la massa magra e grassa più conforme al tipo di prodotto che si andrà a realizzare. «Qui — prosegue — facciamo tutto a mano, senza macchine, con i tempi e metodi dei nostri genitori». Artigiani veri per una startup che, nonostante tutto, si è aperta al mercato adeguandosi anche alla comunicazione del nostro tempo (sito web e pagina facebook sono attivi e visitati). La qualità del prodotto è stata subito riconosciuta ed oggi i salumi di Mastro Enrico sono utilizzati anche da un altro abitante di Caiazzo, l’amico pizzaiolo superstar FRANCO PEPE di “Pepe in grani”, che con le

Lonzarda di Nero Casertano “Salumi Mastro Enrico”.

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A sinistra: salsiccia di Nero Casertano “Salumi Mastro Enrico”. A destra: il maestro salumiere Enrico Iavarone nello spazio di “Salumi Mastro Enrico” al Salone del Gusto 2014 di Torino. mani in pasta di pizza esprime il suo territorio campano e a vero km 0. «I nostri prodotti sono al momento distribuiti soprattutto nel canale della ristorazione di qualità, anche se un altro sbocco naturale sul quale stiamo lavorando è rappresentato dalle gastronomie e salumerie italiane di fascia medio-alta» aggiunge Antonino Iacoessa. I prodotti di punta del salumificio sono sicuramente la lonzarda, la salsiccia dolce e il lardo stagionato. Non sono da meno i salami, le pancette e i prosciutti, oltre al guanciale e alla noce. Tutto è realizzato nei tempi e modi dell’arte norcina locale, utilizzando carni selezionate di Nero Casertano, senza impiego di additivi. Il risultato è un’azienda in crescita, che punta ad aumentare la produzione per farsi conoscere su nuovi mercati, anche esteri. Un’occasione per assaggiare i loro prodotti è Formaggio in Villa, l’evento che ospita alcuni tra i migliori produttori di formaggi e salumi artigianali, in programma a Villa Braida, Mogliano Veneto (TV), dall’11 al 13 aprile.

La razza Casertana è il ceppo suino autoctono più importante dell’Italia meridionale. Risalente ad epoca romana, il suino Nero casertano, negli anni ‘50, stava rischiando l’estinzione, ma, grazie ad attenti allevatori ed a politiche di salvaguardia della specie, oggi è stato ricuperato. Detto anche “pelatiello” per l’assenza di setole sulla cute, con un colore che va dal nero violaceo al grigio ardesia, il maialino Nero casertano è un animale rustico che viene allevato allo stato semibrado nei boschi del Casertano e del Sannio Beneventano. Si nutre principalmente di ghiande, castagne, noci e frutti selvatici, alimenti naturali che donano alle sue carni sapori e profumi selvatici di una volta. La caratteristica più pregiata del suino nero casertano è la “marezzatura” delle carni, la presenza cioè di abbondante tessuto connettivo adiposo intramuscolare (grasso nobile), che conferisce sapidità e morbidezza alle stesse. Il Nero casertano è molto ricercato sia per la carne fresca (prosciutti, costatelle, tracchie) ma, soprattutto, per i pregiati salumi che se ne ricavano (salsicce, capocolli, pancette, soppressate).

Salumi Mastro Enrico Via Caduti Sul Lavoro 42 81013 Caiazzo (CE) Telefono: 0823 615907 E-mail: info@salumimastroenrico.it Web: www.salumimastroenrico.it

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Prodotti tipici

Non chiamatelo Patanegra! di Massimiliano Rella

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resce nella dehesa e si nutre di ghiande ed erbe. Ecco perché il maiale Iberico più autentico dà un prosciutto di qualità superiore, dal gusto inconfondibile, il Jamón Ibérico. Nella

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Spagna meridionale boschi di querce, lecci, sughere e macchia mediterranea formano appunto la dehesa, un ecosistema adatto all’allevamento della razza suina autoctona dell’area compresa tra l’Estremadura, l’Anda-

lusia e Salamanca. In genere l’Iberico vive libero, muovendosi tra le piante e procacciandosi il cibo nei pascoli accoglienti delimitati soltanto da muretti a secco. Uno stile di vita e un’alimentazione che favoriscono

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il prodotto finale. L’animale entra nella dehesa intorno ai 12 mesi quando pesa dai 92 ai 115 kg, cioè 8-10 arrobas, secondo un sistema di misurazione locale basato su un’unità di misura (arroba) che equivale a 11,5

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kg, e prima della macellazione deve aumentare il suo peso di almeno 52 kg, cioè 4 arrobas. L’allevamento Llano Ventura, a Segura de León, vicino al villaggio di Cabeza La Vaca, in Estramadura, possiede 480 ettari

e alleva circa 250 maiali Iberici allo stato brado, riconoscibili per il colore grigio del mantello. ANTONIO ZAPATA, il direttore della tenuta, ci dice che «l’Iberico è un prodotto di qualità straordinaria, derivante da vari fattori, in

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Antonio Zapata, direttore della tenuta Llano Ventura. particolare la razza e l’alimentazione tipica della dehesa». El cerdo è libero di muoversi e ciascun esemplare ha in media un ettaro a disposizione. «Questa libertà di movimento — sottolinea Zapata — insieme all’alimentazione a base di ghiande, ricche di acido oleico, porta allo sviluppo di grasso nobile». Ce lo conferma anche ANABEL MULERO, la veterinaria del Consorzio dell’Iberico dell’Extremadura D.O. «Nell’Iberico la razza conta, come contano l’età, il peso e l’alimentazione. Un tempo era erroneamente chiamato dai contadini patanegra per il colore scuro delle unghie» sottolinea. «Ma non è una definizione corretta ed esauriente e non ha alcun significato scientifico. In realtà nel gruppo degli Iberici sono compresi sotto tipi che

hanno le unghie di un altro colore, altri con problemi di pigmentazione». L’anno scorso, per tutelare la qualità dell’Iberico, è stata approvata una nuova normativa sulla certificazione di qualità della carne, del prosciutto, cioè la zampa posteriore, e della paleta, la zampa anteriore, e anche della lonza. La normativa stabilisce inoltre regole che rendono più facile ai consumatori riconoscere il prodotto. Le denominazioni di vendita sono tre e si differenziano in base al sistema d’allevamento e di alimentazione: 1. bellota, indica i maiali nutriti soltanto a ghiande ed erbe; 2. cebo de campo, quelli allevati con mangime di campagna; 3. cebo, quelli alimentati con mangimi tradizionali.

"L’Iberico vive generalmente libero, muovendosi tra le piante e procacciandosi il cibo nei pascoli accoglienti delimitati soltanto da muretti a secco. Uno stile di vita e un’alimentazione che favoriscono la qualità del prodotto finale” 38

È previsto che ogni tipologia di prosciutto sia contraddistinta da un cartellino colorato, rilasciato dall’associazione interprofessionale, un’etichettatura che indica la percentuale di razza Iberica. La “targhetta nera” indica l’Iberico al 100%, di razza pura, alimentato a bellotas, cioè ghiande ed erba, e allevato libero nella dehesa. Con la “targhetta rossa” l’unico fattore a variare è la razza: l’animale è incrociato ed è Iberico al 50-75%. La “targhetta verde” indica il maiale di campo, alimentato non con ghiande ma con mangime, però crescendo libero in campagna. La “targhetta bianca” il suino che vive in piccoli allevamenti. Il coscio intero del nero con l’osso costa intorno ai 36,00–40,00 €/kg; disossato lo troviamo anche a 9,00–15,00 €/etto. Soldi spesi bene, ne vale la pena. Massimiliano Rella Nota A pagina 36-37 maiali Iberici dell’allevamento Llano Ventura nella tipica dehesa; photo © Massimiliano Rella.

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“Tramontana e Maestrale dan sapore al maiale”

Il Ghiandaio, la tradizione norcina dell’Alta Val Tiberina di Riccardo Lagorio

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a tradizione norcina toscana ha trovato linfa vitale una dozzina d’anni fa quando la famiglia FERRONI ha deciso di trasformare in proprio i suini che fino ad allora prendevano la strada delle macellerie di Città di Castello e Sansepolcro. Tradizione norcina dell’Alta Val Tiberina, feconda di animali allevati allo stato semibrado, per permettere che si nutrano davvero di quanto preferiscono (e trovano, terra di ghiande e prugnoli selvatici), atto che conferisce alle carni consistenza e sapore. Alle cui caratteristiche di base non fa difetto la straordinaria condizione atmosferica ed altimetrica, l’alternarsi di Tramontana e Maestrale a 450 metri sul livello del mare, per una successiva perfetta stagionatura e fedeli all’antico adagio secondo cui “Tramontana e Maestrale dan sapore al maiale”. A Pieve Santo Stefano GIOVANNI FERRONI ha per trent’anni allevato suini per fornire negozi e macellerie locali, ma lo spazio per rimanere negli steccati di quelle relazioni commerciali si era circoscritto, i margini erosi. La deriva di un mercato che privilegia l’aspetto prezzo sulle proprietà organolettiche dei beni scambiati. Così, ora, i 15 esemplari di Cinta senese che vanno ben oltre i 200 kg (per un anno e mezzo di vita) ed il centinaio di Large white incrociati con Landrace prendono ogni anno la strada del laboratorio vicino a casa. Con Giovanni Ferroni e il figlio Giuseppe si è discusso dell’importanza che hanno le razze locali nella cultura norcina. Eccome se ne hanno! Ma, sottolineano con disappunto (il medesimo che ha chi scrive), molto

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spesso ci si trova davanti a razze “antiche” architettate di sana pianta per accondiscendere ad un progetto, imbonirsi un finanziamento o un finanziatore… «E s’inventano le razze per accaparrarsi i contributi statali, regionali o comunitari e sciupano la nostra reale storia», chiosano. La macellazione avviene una volta alla settimana e si servono i mercati locali (Arezzo e Sansepolcro) ed alcuni ristoranti che desiderano offrire alla clientela carne fresca scelta. Ma sta prendendo piede anche la vendita in rete e quella diretta al pubblico: l’attività si trova poco fuori il casello di Pieve Santo Stefano sulla CesenaRoma («la vendita diretta è la miglior cosa: vendi e hai subito i contanti», affermano in maniera assai pragmatica). Ingegno toscano nella proposta dei nomi: sui banchi spunta la Fiorentina di maiale (si tratta in verità di un

hamburger), la Ciccia fresca (pasta di salsiccia fresca che si suggerisce di consumare con una generosa spruzzata di limone), il Ghiandaio fresco (il fiocchetto di prosciutto pronto per diventare arrosto o che viene impanato e fritto), il Rigatino (pancetta ideale per la griglia o per stagionarsi da sé, qualora si abbia la sorte di avere idoneo spazio). E pronti a cuocere che vengono sempre più apprezzati: i fegatelli avvolti nella reticella (tra una fetta e l’altra s’inserisce una foglia d’alloro con sale e pepe), i codennini (ottenuti macinando le parti di muscolo ed il fondo dello stinchetto con le cotenne ed insaporiti di finocchietto ed aglio) per la griglia invernale, il lombo di Cinta senese (messo sotto sale e pepe con vinsanto per due giorni, è pronto da consumare così com’è o rosolato in poco olio).

La pancetta prodotta da “Il Ghiandaio”.

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Giovanni Ferroni. Peraltro, in queste isole di territorio dove il tempo trascorre ancora lento, si possono fare incontri con modalità produttive e prodotti finali davvero inconsueti altrove. Così i prosciutti si producono esclusiva-

mente tra ottobre e marzo e non si utilizzano celle di stagionatura per la loro maturazione. È normale che siano venduti prosciutti di 24 mesi, ma nella cantina abbiamo scovato esemplari invecchiati 8 anni, dal peso approssimativo di 12 kg. Subiscono un mese di salatura a secco, poi vengono lavati con acqua e aceto, ed infine appesi nel sottotetto. Durante la fase di asciugatura e nei primi momenti di stagionatura, per permettere l’opportuno ricambio d’aria, di notte si aprono le finestre. Con solo le correnti d’aria i prosciutti e gli altri salumi acquistano il giusto grado di gustosità. C’è la salsiccia stagionata sotto crusca di grano tenero, che qui trascorre pochi giorni e poi viene messa sotto crusca in cofanetti di legno. Una variante prevede la permanenza in olio di oliva, dove si conserva anche per un anno. Si trovano i guanciali, il salame, che viene lasciato a stagionare davanti alla porta, in modo che respiri la Tramontana in piena roccia nell’ambiente che un tempo fungeva

da ghiandaio (luogo dove si stivavano farina e ghiande), anche in versione toscana con lardello. Poi la salsiccia, preparata con i ritagli di carne, odorosa d’aglio, la sopressata (che qui è il salume denominato altrove testa in cassetta), il lardo macinato di Cinta senese, impastato con aglio e poco pepe, ideale per condire gli arrosti. Prodotti che raccontano un territorio e stavano scomparendo. Il rifiuto della formula della grande distribuzione organizzata, di fatto impraticabile per i Ferroni, si è rivelato provvidenziale per garantire la trasmissione della tradizione. Fenomeno ancora in parte da investigare da coloro che si occupano di tali flussi e materie. Riccardo Lagorio Il Ghiandaio Località Casina Fuciano Via San Lorenzo 1 52036 Pieve Santo Stefano (AR) Telefono: 0575 799200 Web: www.ilghiandaio.it

Prosciutto di Modena Dop: la produzione è cresciuta dell’8% Il Consorzio del Prosciutto di Modena ha ufficializzato i dati della produzione del 2014, che con 82.000 cosce prodotte — contro le 75.000 dell’anno precedente — segna un +8% rispetto al 2013. Il giro d’affari si aggira intorno ai 6 milioni di euro. Stabile il valore del preaffettato, con circa 800.000 vaschette prodotte. Buoni risultati che proseguono anche sulle vendite on-line su “Piacere Modena”, l’e-shop che consente di acquistare direttamente sul portale multilingue numerose proposte alimentari dei Consorzi di tutela e delle Dop e Igp provinciali della società Palatipico. La piattaforma di commercio digitale, che è stata estesa anche a Germania, Francia, Spagna e Regno Unito, è diventato un canale preferenziale per la valorizzazione e l’acquisto anche all’estero delle tipicità culinarie della tradizione modenese. Circa il 70% delle vendite in Italia si registra nei circuiti della GDO e le grandi insegne spesso richiedono alle aziende produttrici per il proprio top di gamma stagionature più elevate che possono arrivare fino a 22–24 mesi, molto superiori allo standard minimo richiesto dal disciplinare. Positivi anche i numeri dell’export: si è registrato infatti un incremento del 5% nelle vendite verso l'Unione Europea. Francia e Germania i principali partner. «Sia l’anno scorso che quest’anno abbiamo ricevuto dal mercato segnali incoraggianti con significativi aumenti di produzione anche per un prodotto di nicchia quale il nostro» ha affermato Davide Nini, presidente del Consorzio del Prosciutto di Modena. La zona di produzione del Prosciutto di Modena corrisponde alla fascia collinare ed alle valli che si sviluppano attorno al bacino oro-idrografico del fiume Panaro, un’area che partendo dalla fascia pedemontana non supera i 900 metri di altitudine e comprende anche territori delle province di Bologna e Reggio Emilia. Il Consorzio del Prosciutto di Modena, che raggruppa oggi 9 produttori, ha sempre avuto una costante attenzione al prodotto, tanto da modificare qualche anno fa il Disciplinare di produzione in senso restrittivo per migliorare ancora di più il già alto livello qualitativo. La prima modifica ha eliminato la possibilità di usare conservanti. Le cosce di suino oggi si lavorano solo con il sale, senza l’aggiunta di spezie; l’aroma è dato dalla stagionatura. La seconda modifica ha stabilito un allungamento della stagionatura minima che è passata da 12 a 14 mesi, la più lunga tra i prosciutti Dop italiani. La materia prima utilizzata per la sua produzione è carne di suini italiani allevati in 10 regioni dell’Italia centro-settentrionale.

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Indagini

Lardo di Colonnata, abbasso il colesterolo (cattivo) di Raffaele Bertolini

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volte una battuta apparentemente di poca consistenza può trasformarsi, se la si sa coltivare, in una sorpresa entusiasmante. Tempo fa, mi è capitato di visitare una fiera enologica all’interno della quale vi erano anche stand alimentari. Tra questi, mi sono soffermato davanti a quello in cui dei bei pezzi di lardo bianco ricoperto da una cristallina coltre di sale ed erbe attiravano i famelici passanti con invitanti effluvi. Era il banchetto del lardo di Colonnata. Il signore addetto alla vendita stava perorando la causa, tanto cara ai noi cacciatori di tesori, del “grasso e salutare”, vale a dire la consolante credenza che un certo tipo di grasso, derivante da animali allevati “secondo natura” e stagionato secondo tecniche ataviche, possa assecondare un riequilibrio lipidico favorevole alla nostra salute. Il nostro osava spingersi un passo oltre: il lardo di Colonnata pare ridurre il colesterolo “cattivo”. Avendomi la cosa molto incuriosito, tornato a casa ho iniziato una ricerca e mi sono imbattuto in una tesi universitaria molto interessante, redatta dalla dott.ssa ANNA FRANCESCA PALAGI.

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La parte iniziale è una immersione storico-folcloristica nella Carrara dei marmi, degli scavatori, delle diatribe tra Consorzi di tutela, associazioni internazionali, Ministero e comunità locali, ognuna di esse volta a portare sotto la propria ala conche, prodotto e produttori, magari dando volontariamente o involontariamente fastidio a qualche altro ente con opposti interessi e visioni. Alcuni miti vengono sfacciatamente sfatati, sgomberando il campo da annose questioni di filologia epica e fondatrice: che le radici storiche di Colonnata siano da ricondurre agli onnipresenti Romani non sembra certo, così come non è certo che il paese sia stato sede di una colonia schiavista che traeva ricchezza dall’utilizzo di forza lavoro gratuita nelle cave di marmo. Cosa certa è che la prima testimonianza scritta dell’esistenza del paese di Colonnata (in cui risiedono al giorno d’oggi suppergiù 300 persone) risale al 1230, mentre le conche più antiche sono del 1600. Colonnata si trova a 550 metri sul livello del mare. Il suo microclima si caratterizza per un’alta piovosità e scarsi sbalzi termici. Brezze di monte

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Sfilati alle olive con lardo di Colonnata e porcini (photo © oliviaemarino.it). verso valle d’inverno e brezze marine in estate mantengono la temperatura al di sotto della medie stagionali. Le cantine delle case di Colonnata e le conche di marmo contribuiscono ad aumentare l’umidità all’interno delle conche stesse, favorendo la trasformazione del sale in salamoia. La zona di Colonnata (chiamata dei Canaloni) è punteggiata da un complesso di cave poste a ovest del paese da cui si estrae il Bianco di Carrara, la più nota delle varietà e anche quella presente in misura maggiore (50%). Come tutti i marmi è costituito di carbonato di calcio(1). Per quanto riguarda il bianco dei Canaloni, si tratta di un marmo molto compatto piuttosto restio a trattenere umidità e poco sensibile alle escursioni termiche, essendo costituito da carbonato di calcio quasi allo stato puro (insolubile in acqua). Ha una grana medio-fine e risulta altamente permeabile all’ossigeno(2). Durante il boom economico italiano conosciuto dalla fine degli anni ‘50 fino a tutti i ‘60 il consumo del lardo nel nostro paese è via via diminuito (il lardo da tempo immemore veniva utilizzato come insaporitore,

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usato cotto negli intingoli), in parte perché tradizionalmente legato, anche a livello immaginifico, alle classi subalterne e in parte per il mutato approccio dietetico delle classi borghesi. Di conseguenza, anche il numero delle conche in attività a Colonnata calò precipitosamente, e si ridusse, nel corso, degli anni a poche unità (anni ‘80). La decrescita venne provocata anche dallo spopolamento del paese. Dal 1951 al 1981, durante gli anni dello sviluppo economico, la popolazione di Colonnata passò da 844 a 429 abitanti, un po’ sopra i 345 nel 1861, ma ben lontana dai numeri raggiunti tra il 1911 e il 1941, quando superava le mille unità. Lo sviluppo tecnologico che caratterizzò il settore estrattivo rese superflua molta manodopera, sostituita da macchine all’avanguardia. Se vogliamo identificare il momento iniziale del lungo e tortuoso processo di popolarità vissuta dal lardo di Colonnata, lo possiamo fissare in quel 24 agosto del 1979, durante la Sagra del lardo (già sagra di San Bartolomeo, patrono del paese e dei macellai), organizzata per la prima volta da alcuni giovani della zona.

Di anno in anno la sagra iniziò ad attirare sempre più visitatori, le associazioni si cimentarono organizzando mercatini con bancarelle e giochi e i ristoratori del paese preparando piatti a base di lardo. Nel 1996 una direttiva europea impose la chiusura delle conche per motivi essenzialmente igienico-sanitari. L’ASL di competenza intervenne estendendo il divieto anche alle conche riservate all’uso familiare. La stampa nazionale mise in evidenza la notizia e accese i riflettori sulla questione. Fino ad allora conosciuto solamente nel territorio di produzione e zone limitrofe, nel giro di poco tempo il lardo di Colonnata venne catapultato sulla scena nazionale e internazionale. Fu per prima Slow Food, come associazione, ad intervenire a tutela dei produttori e del prodotto. Da un rimbalzo all’altro, spalleggiato da un ente e osteggiato da un altro, il riconoscimento dell’IGP venne concesso nel 2003. Tornando alla questione originale, cioè se il marmo di Colonnata possa avere un influsso positivo sul contenuto in colesterolo del lardo in questione, sintetizziamo i dati ottenuti nelle righe che seguono. L’esperimento condotto dalla dott.ssa Palagi vede protagonisti due razze suine molto conosciute ed utilizzate nel nostro paese, il suino Cinto toscano e il suino di razza Large White. Lo scopo della ricerca era di evidenziare, se ve ne fossero state, le differenze chimico-edonistiche tra lardi provenienti da due razze distinte, una tipicamente mediterranea e una originaria del Nord Europa. Spulciando tra i risultati, in cerca di una risposta, mi sono imbattuto in analisi molto interessanti. L’esperimento è stato condotto presso un’azienda sita a Colonnata. Si sono utilizzate otto conche di dimensioni relativamente più piccole rispetto a quelle usate tradizionalmente e in cui sono stati fatti stagionare 15 kg di grasso dorsale, suddivisi in tranci di 300 grammi l’uno. Lo strato di grasso dorsale era di 7/8 cm. Una parte delle conche conteneva lardo di Cinta e una parte lardo di Large White (provenienti dal comprensorio del Consorzio del Prosciutto di Parma). Questi ultimi

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erano stati allevati in modo intensivo con razione alimentare secondo disciplinare, ossia 40% di mais, 20% di orzo, 15% di farina di soia e 25% di crusca, oltre all’aggiunta di siero di latte. I suini di Cinta derivavano dal comprensorio del Consorzio di Tutela del suino Cinto toscano. Gli ultimi erano stati macellati nel mese di ottobre, per cui avevano assunto una quantità di castagne inferiore alla dose che avrebbero potuto assimilare normalmente (le castagne, rispetto ai cereali, presentano una quantità maggiore di acidi monoinsaturi, in particolare oleico, e minore quantità di saturi, in particolare stearico). Si trattava di suini macellati a 160 kg di peso vivo, con una fase di magronaggio (dai 30 agli 80 kg) a base di proteine e scarsi cereali, e una fase di finissaggio (dagli 80 ai 160 kg) a base di mais e orzo per il 55%, di favino per il 12%, di soia per l’8%, e per il rimanente 25% di crusca. I campioni sono stati analizzati a 0, 90, 180 e 360 g di stagionatura. Per ogni campione, da cui sono state prelevate delle parti centrali, si è analizzato: • composizione in acidi grassi (FA); • composizione in acidi grassi liberi (FFA); • prodotti dell’ossidazione secondaria degli acidi grassi; • contenuto in colesterolo; • prodotti dell’ossidazione del colesterolo (COPs).

Innanzitutto i risultati sottolineano che le differenze in termini di acidi grassi (acido palmitico, palmitoleico, stearico, oleico, trans vaccenico, cis vaccenico, rumenico) sono determinate dalla razza(3). La maggior presenza di acido oleico nel lardo di Cinta fa ridurre i livelli di LDL (Low Fat Lipoprotein, ovvero il colesterolo “cattivo”) senza intaccare quelli dell HDL (High Density Lipoprotein, il colesterolo “buono”). A stagionature avanzate (dai 270 ai 360 giorni) il lardo di Cinta senese (CS) mostra livelli più bassi di acido palmitico e più alti di oleico. Per il lardo ottenuto da suini di razza Large White, la stagionatura risulta essere un fattore di variazione significativo nei confronti degli acidi grassi liberi(4). La ricerca arriva all’importante conclusione che il contenuto di colesterolo nel lardo è influenzato solo dal fattore razza. Il lardo ottenuto da suini di razza Large White presenta un minor contenuto di colesterolo rispetto al lardo ottenuto da suini di razza Cinta senese (rispettivamente 68,45 vs 78,84 mg/100 g di lardo), presumibilmente perché esistono delle diseguaglianze strutturali nel tessuto adiposo dei due tipi genetici. Il lardo di Large White, rispetto al lardo CS, mostra d’altro canto un maggiore contenuto in sottoprodotti dell’ossidazione del colesterolo, COPs (1461,37 vs 898,06 µg/g di lardo) nonostante, come detto in precedenza, contenga

Cinta senese (photo © www.osteriadelmaistri.it).

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Insegna di un locale a Colonnata (photo © it.wikipedia.org). una minor quantità di colesterolo(6). Nel lardo ottenuto da suini di razza Large White sia gli acidi grassi che i COPs variano con l’aumentare della durata della stagionatura, aumentano nella fase iniziale per poi decrescere nelle ultime fasi. Nel caso del lardo ottenuto da suini di razza CS ciò non accade, non subendo variazioni significative durante la stagionatura. Il lardo LW risulta più facilmente ossidabile all’inizio della stagionatura, quando l’azione della salamoia è ancora blanda(7). Successivamente, l’ossidazione si arresta e si assiste ad un decremento dei prodotti dell’ossidazione (MDA e COPs), così che alla fine della stagionatura il contenuto di queste sostanze è analogo o addirittura inferiore a quello presente nel grasso dorsale di partenza; inoltre, con la stagionatura si perdono le differenze fra le due tipologie di lardo. La diminuzione del contenuto di MDA e di COPs che si osserva nel lardo col procedere della stagionatura deve essere considerata positivamente, in quanto prodotti come COPs e MDA hanno effetti negativi sulla salute umana. L’idrolisi dei trigliceridi, che rappresenta il primo step dell’ossidazione degli acidi grassi, aumenta durante la stagionatura in entrambe le razze. Il contenuto di acidi grassi liberi (FFA) è risultato però due volte più

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Il monumento al cavatore. elevato nel lardo proveniente da suini di razza Cinta senese, rispetto a quello ottenuto da suini di razza Large White. Ottenuti questi risultati, che incidono su una valutazione salutisticoedonistica del prodotto “lardo”, non bisogna dimenticare che la scienza insegna che dal punto di vista prettamente tecnologico la produzione di lardo richiede un rapporto acidi grassi saturi/insaturi(8) molto ravvicinato. In particolare i saturi(9) devono essere almeno il 41% mentre i polinsaturi non più del 13-15% e i monoinsaturi non più del 57%. Dopo questa spossante e cervellotica immersione in numeri, percentuali e statistiche, mi concedo volentieri del buon lardo di Colonnata IGP: me lo merito! Raffaele Bertolini www.tagliatoperilgusto.it

Note 1. Sono inoltre presenti percentuali più o meno significative, a volte anche infinitesimali, di carbonato di magnesio, ferro, manganese, bario, solfati, cloruri, silicati, ossidi, idrossidi, ecc…

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2. “Ciò favorisce, in modo costante, ripetibile e omogeneo, la formazione in microaerobiosi di un processo lipolitico enzimatico a carico dei grassi, tale da permettere la produzione di sostanze aldeidiche così particolari e tipiche del prodotto senza alcuna parallela ossidazione. Anche la piccola quantità di anidride carbonica presente nell’aria e nelle acque determina una certa solubilizzazione del carbonato di calcio, con conseguente microalcalinizzazione e sicura micromodificazione dell’ambiente stazionante nella conca, permettendo in tal modo una protezione o una produzione pressoché esente dal fenomeno di irrancidimento potenziale degli acidi grassi che i processi di maturazione potrebbero naturalmente causare. La liberazione del sale di calcio dalla conca che si mantiene in equilibrio nella soluzione, anche se in quantità microinfinitesimali, caratterizza altresì il prodotto, previa idrolizzazione delle catene degli acidi grassi del lardo, grazie a un impercettibile fenomeno di saponificazione, conferendo nel tempo alla materia grassa una trasformazione della sua duttilità che, a maturazione avvenuta, è tangibilmente identificabile con una maggiore plasticità e morbidezza al gusto” (CANTONI C. et al., 2001). 3. Il lardo di suini di razza Large White è risultato leggermente più ricco in acido palmitico (24,69 vs 23,48), stearico (14,23 vs 11,32), trans vaccenico (0,05 vs 0,03) e rumenico (0,15 vs 0,07). Il lardo di Cinta presenta una maggior quantità di pantoleico (2,65 vs 2,10), oleico (44,14 vs 40,67), e acido cis vaccenico (3,21 vs 2,36). Questi ultimi sono acidi grassi insaturi e possono derivare da desaturazione dei corrispettivi acidi grassi saturi o dalla dieta. Il lardo di Large White si contraddistingue per un maggior numero di acidi grassi saturi (41,31 vs 37,04 g/100 g di acidi grassi, FA) mentre quello di Cinta mostra un più elevato contenuto in acidi grassi insaturi, UFA (62,76 vs 58,54): ciò è dovuto

alla forte presenza di acidi grassi monoinsaturi nel lardo di Cinta (51,85 g/100 g) molto più alta di quella presente nel Large White (46,70 g/100 g). Contrariamente a ciò la presenza dei polinsaturi invece è più omogenea (11,84 vs 10,91), facendoci ritenere che non sia influenzata dalla razza. 4. Nel grasso dorsale di questa razza gli acidi grassi liberi (FFA) sono composti principalmente da acidi grassi saturi, SFA (47,15% degli FFA totali), seguiti da acidi grassi monoinsaturi (MUFA) (35,69% degli FFA totali) e, infine, dai acidi grassi polinsaturi, PUFA (12,84% degli FFA totali). Dopo 180 giorni dall’inizio della stagionatura la classe principale di acidi grassi risulta essere quella dei monoinsaturi (53,61% degli FFA totali), seguita dai saturi (25,79% degli FFA totali) e dai polinsaturi (20,05% degli FFA totali). L’andamento dei monoinsaturi è da attribuire all’acido oleico, mentre quello dei saturi è da attribuire all’acido stearico e all’acido miristico, e non come si potrebbe pensare all’acido palmitico, che è il principale acido grasso saturo del lardo. Infatti la percentuale dell’acido oleico nel grasso dorsale è pari al 24,23% degli FFA totali, dopo 180 giorni di stagionatura la percentuale aumenta quasi del doppio (44,57% degli FFA totali). L’acido stearico e miristico nel grasso dorsale rappresentano rispettivamente il 14,49% e il 3,51% degli FFA totali, ma dopo 180 giorni il loro contenuto decresce (7,45% e 1,61% degli FFA totali, rispettivamente). L’acido palmitico invece non subisce grandi variazioni, passando dal 19,94% degli FFA totali nel grasso dorsale al 19,85% degli FFA totali nella fase finale di stagionatura. 5. Il colesterolo è un costituente fondamentale delle membrane cellulari ed è noto che il suo contenuto nei tessuti è legato alle dimensioni delle cellule del tessuto stesso; maggiori sono le dimensioni, per unità di volume, minore è l’incidenza della membrana cellulare e quindi minore è il contenuto di colesterolo. Quindi

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se la seconda delle due ipotesi formulate in precedenza fosse esatta, starebbe a significare che il tessuto adiposo sottocutaneo dei soggetti di razza Large White dovrebbe essere costituito da adipociti di maggiori dimensioni rispetto a quelli costituenti il tessuto adiposo della razza Cinta senese. Al buio delle conche, a contatto con la salamoia, l’unico tipo di ossidazione che interessa il lardo di Colonnata è l’autossidazione (irrancidimento) provocata dalla presenza di aria. Avviene più velocemente negli acidi grassi polinsaturi, mentre è più lenta nei saturi. L’acido linoleico (diinsaturo) si ossida 10 volte più rapidamente dell’acido oleico (monoinsaturo) e 100 volte più rapidamente dell’acido stearico (saturo). Il colesterolo subisce gli stessi processi di ossidazione. Ma l’ossidazione di questo ultimo non si manifesta attraverso l’emissione di odori. È subdola. È stato dimostrato che la formazione di sostanze derivanti dalla degradazione del colesterolo e carcinogene è accelerata in presenza di acidi polinsaturi. Nel lardo di LW, durante i primi tre mesi di stagionatura, si assiste ad un aumento sia dei COPs che, da una quantità non rilevabile giungono a 3649,39 µg/100 g di lardo, che della Malonaldeide (MDA) che passa da 38,65 µg/100 g di lardo a 224,05 µg/100 g di lardo dopo 90 giorni. Gli acidi grassi insaturi (il più importante è quello oleico) sono fondamentali nella difesa dell’organismo dalla comparsa di malattie croniche perché proteggono la cellula dalla degenerazione, essendo parti dei suoi costituenti. Lo stearico è quello più importante per donare al prodotto finito una buona stabilità e si calcola la sua presenza sufficiente attorno al 12% del totale degli acidi grassi (cosa che avviene nel Large White).

Note immagini A pagina 42, lardo di Colonnata (photo © Fotolia); a pagina 43, conca di marmo (photo © de.wikipedia.org).

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Turismo del vino: se l’Italia rischia di perdere il treno Il primato italiano per numero di Dop, Igp, vitigni, siti UNESCO e patrimonio artistico è frenato da alcune debolezze storiche che non ci fanno decollare come sistema enoturistico. Occasione perduta? Forse no, ma basta perdere tempo, a partire dall’Expo

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iamo il Paese con maggiori siti UNESCO al mondo (50), seguiti di misura dalla Cina (47), e con circa il 50% del patrimonio artistico internazionale. Un Paese con un territorio variegato capace d’offrire paesaggi e microclimi diversi da Nord a Sud, dal mare alla montagna. Siamo anche il Paese con il più alto numero di vitigni utilizzati (200), seguiti dalla Francia (87);

quello con il più alto numero di DOP e IGP (270) davanti a Francia (217) e Spagna (179), ma anche il maggiore produttore di vino (con 44,4 milioni di ettolitri nel 2014), di misura dietro ai cugini francesi (46,2 milioni). Una dote così importante, fisiologicamente collegata al turismo del vino, dovrebbe costituire una straordinaria risorsa per l’Italia. In realtà, soffriamo di alcune debolezze croniche dovute

principalmente al pesante scarto tra attrattività e competitività, alla mancanza di un’intesa strategica tra istituzioni e operatori, alla scarsità di azioni sistemiche in linea con le vocazioni territoriali e alla mancanza di un approccio di marketing per target e segmentazioni di mercato, come osserva il XII Rapporto sull’Enoturismo realizzato dall’Università di Salerno per conto dell’Associazione

Montefalco, il comune umbro a forte vocazione vinicola noto per il Sagrantino di Montefalco e il Montefalco Rosso.

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Nazionale Città del Vino e presentato venerdì 13 febbraio alla Bit di Milano. Il turismo del vino si collega fisiologicamente ad altre attività ricreative sul territorio e può completare l’offerta esistente come elemento di differenziazione competitiva rispetto ad altre destinazioni prive di questa peculiarità. Invece, troppo spesso si lascia l’iniziativa a quelle cantine, relativamente poche, con un’efficace cultura della comunicazione. I punti di forza dell’Italia potrebbero proiettarci al primo posto nel mondo in campo enoturistico, tuttavia primeggiano altri Paesi, soprattutto quelli di matrice anglosassone (USA, Australia, Nuova Zelanda) ma anche i latinoamericani come Cile e Argentina, che hanno adottato un

modello sostanzialmente diverso, con imprese giovani e di dimensioni rilevanti, forte approccio al business e al marketing. Al contrario l’enoturismo italiano, anche sul fronte privato, è frenato da alcune debolezze competitive: la generale assenza di uno spirito di collaborazione “sistemico” tra i produttori; il mancato dialogo tra operatori turistici dei diversi settori; lo scarso utilizzo delle tecnologie e del web; la limitata capacità nella valorizzazione delle produzioni; la bassa notorietà e reputazione di alcuni territori, tranne le regioni più note. Secondo i dati della Wine Tourism Conference, gli arrivi turistici mondiali nel comparto enoturistico ammontano a circa 20 milioni,

di cui solo 3 milioni sono gli arrivi italiani. Il trend che sta caratterizzando da un po’ di anni il turismo nazionale non aiuta di certo il segmento enoturistico: il Paese, infatti, sta progressivamente perdendo posizioni rispetto ai concorrenti storici ed emergenti, Stati Uniti, Francia e Spagna in primo luogo. La nostra quota di mercato mondiale sul turismo, infatti, si è ridotta dal 6,6% al 4,5% negli ultimi venti anni (fonte: UNWTO) e, nonostante il potenziale di attrazione del Belpaese, non si intravede una capacità di invertire tale tendenza, anche a causa della mancanza di un approccio settoriale. Da una recentissima ricerca condotta dalla società di consulenza

Città del Vino, obiettivi e identità L’associazione fu fondata a Siena nel 1987, in pieno scandalo metanolo, per volontà di un gruppo di sindaci. L’idea di dar vita alle Città del Vino si fondava sulla volontà di rendere sempre più forte il rapporto tra vino e territorio, un rapporto che ancora oggi rappresenta l’unicità e originalità del vino italiano. L’obiettivo dell’associazione è quello di aiutare i comuni (con il diretto coinvolgimento di Ci.Vin Srl, sua società di servizi) a sviluppare intorno al vino, ai prodotti locali ed enogastronomici, tutte quelle attività e quei progetti che permettono una migliore qualità della vita, uno sviluppo sostenibile, più opportunità di lavoro. Le Città del Vino rappresentano il 6% dei comuni italiani (ad oggi sono circa 500 su 8.100 comuni), ma qualitativamente rappresentano il 70% del vigneto Italia, il 15% dell’offerta turistico ricettiva, l’89% dei vini a denominazione di origine. Qualità della vita, paesaggi e ambienti ben conservati, vino e prodotti tipici, insieme ad una maggiore capacità ricettiva, fanno dei territori del vino vere mete turistiche. Il turismo rurale nelle Città del Vino è in crescita costante. Con oltre 3 miliardi di euro di fatturato e 5 milioni di enoturisti stimati, il turismo del vino si pone al centro delle politiche di crescita locale. È questa una forma di turismo di esperienza che privilegia la sostenibilità, l’incontro con il territorio e la conoscenza diretta dei suoi protagonisti: i vignaioli e la gente che qui lavora e vive. Uno strumento per sviluppare il turismo enogastronomico sono le Strade del Vino e dei Sapori che rappresentano la filiera dell’offerta turistica integrata legata all’enogastronomia, al paesaggio, alle attrattive ambientali e culturali dei territori. Il vino è un prodotto culturale — oltre che della terra — è una bevanda che racconta una storia. La dimensione culturale, sociale, economica e ambientale della viticoltura e anche dei mestieri del vino sono un patrimonio da custodire e valorizzare. Il vino buono, infatti, è un prodotto che porta i segni di conoscenze consolidate e maturate nel corso del tempo. La terra produce sempre valori positivi ed è risorsa naturale che i viticoltori saggi sanno come far emergere nei loro vini. Per questo, come affermano i vignaioli, “il vino buono si fa in vigna, non si fabbrica in cantina”. >> Link: www.cittadelvino.it

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Premiata Salumeria Italiana, 2/15


La soluzione IT-Business per tutta la Vostra azienda

Il successo è una questione di sistema Il turismo del vino è fortemente attrattivo anche per un target giovane, che predilige il contatto con la natura e il vivere all’aria aperta. turistica Jfc (pubblicata nel febbraio 2015) sulla base di dati ufficiali ISTAT ed EUROSTAT emerge, in maniera abbastanza drammatica, la debole crescita del settore turistico italiano in generale. Lo studio, analizzando i dati relativi ai tassi di crescita turistici regionali nel periodo 2003-2013, ha parlato di un’Italia turistica “ferma al palo” e incapace di reggere il passo dei concorrenti. Nell’ultimo decennio, l’Italia ha visto incrementare i propri flussi turistici dell’8,6%, a fronte del +52,4% della Francia, del +45,3% della Croazia, del +40,7% della Grecia, del +17,5% della Germania, del +16,2% della Gran Bretagna, del +11,8% della Spagna e, infine, del +14% dell’Austria. In tale contesto assume però importanza la crescita costante dell’enoturismo, fenomeno che negli anni ha registrato un continuo sviluppo, generando nel 2013 un giro d’affari di 4-5 miliardi di euro. Ma siamo ben al di sotto del potenziale, in gran parte da mettere ancora a frutto. «Il caso Expo è emblematico: da grande opportunità a possibile ed ennesima occasione mancata» lancia l’allarme il direttore delle Città del Vino, PAOLO BENVENUTI. «Il palcoscenico offerto dall’Expo 2015 è una chance troppo ghiotta, soprattutto perché si tratta di un grande evento focalizzato su alimentazione e nutrizione. Tuttavia, bisogna evitare che Milano sia percepita come unico luogo italiano,

Premiata Salumeria Italiana, 2/15

paradossalmente un ponte verso altre destinazioni enoturistiche europee. Occorre invece rappresentare tutta l’Italia, anche quei territori con le viticolture minori che rischiano di essere penalizzati e dimenticati maggiormente». «Gli organi di governo istituzionale, territoriale e imprenditoriale devono attivarsi con più determinazione nel promuovere strategie e processi di collaborazione, cooperazione e competizione che facciamo emergere il notevole potenziale ancora inespresso dai nostri territori vitivinicoli, che la nostra associazione di oltre 400 comuni rappresenta solo in parte», osserva il presidente delle Città del Vino, PIETRO IADANZA. Un esempio di buone pratiche, oltre ai casi della Franciacorta, delle Langhe, del Barolo, di Barbaresco, di Marsala, del Salento, di Montefalco e di altri territori, arriva ancora una volta dalle Città del Vino. In particolare, dai comuni del Chianti Classico (San Casciano in Val di Pesa, Greve in Chianti, Tavernelle Val di Pesa, Barberino Val d’Elsa, Castellina in Chianti, Radda in Chianti, Gaiole in Chianti, Castelnuovo Berardenga, Poggibonsi) grazie ad una serie d’investimenti e politiche mirate ad accrescere la reputazione enoturistica del territorio. Il tutto valorizzando i rapporti di vicinato e le bellezze artistiche di città come Firenze e Siena, la natura, il paesaggio e l’enogastronomia.

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Consumi

Il salame salverà il pane? di Giovanni Ballarini

P

ane e acqua per i carcerati, pane e vino per il popolo, pane, vino e salame o formaggio per i più abbienti. Questa era l’alimentazione italiana del passato, con la distinzione del pane nero per il popolo e di quello bianco per ricchi e borghesi. Una distinzione tanto radicata che quando si diceva che un povero mangiava pane bianco significava che era tanto ammalato da far presagire una sua fine imminente. Consumi di pane ai minimi storici dall’Unità d’Italia Oggi sembra sia il pane ad essere in fin di vita, perché, per la prima volta nella loro storia, gli Italiani hanno quasi completamente eliminato quello che era uno degli alimenti principi della loro dieta quotidiana. Un record causato dalla crisi, ma anche, soprattutto, dal cambiamento degli stili alimentari. Se oltre un secolo fa il consumo medio giornaliero di pane di contadini e operai raggiungeva e superava il chilo, secondo una recente indagine

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della Coldiretti dall’inizio del 2013 l’Italiano medio ne mangia un decimo, ovvero meno di cento grammi. Il pane era considerato il maggiore fornitore di energia alimentare tanto che gli altri alimenti, come i salumi o i formaggi, erano detti “companatico” perché, appunto, accompagnavano il pane. Il pane univa e mangiare il pane insieme trasformava i lavoratori — quindi questo non avveniva nelle classi borghesi e ricche — in compagni (cum panis). Nel passato e in campagna il pane era preparato in casa e cotto nel forno casalingo, mentre in città spesso lo si portava al forno. In seguito, si è passati all’acquisto prima del pane artigianale, poi di quello industriale.

Un calo che parte da lontano Durante il primo anno dell’ultima guerra mondiale il pane viene “tesserato”, cioè distribuito consegnando al negoziante un talloncino di una tessera assegnata ad ogni famiglia dagli uffici annonari comunali. La razione giornaliera di pane per persona a cui la tessera dà diritto era definita nel settembre del 1941 in 200 grammi e nel marzo del 1942 in 150 grammi. Nell’immediato dopoguerra il consumo di pane ricresce, poi inizia a diminuire e, nel 1980, si aggira intorno agli 230 grammi a testa al giorno. Nel 1990 si scende a 197 grammi, nel 2000 si arriva a 180 grammi, nel 2010 si attesta a 120 grammi, nel 2012 crolla a 106 grammi e nel 2013 a 98 grammi giorno (una fettina di

“Mentre i consumi dei salumi restano costanti, quelli del pane sono in continua diminuzione e forse sarà il binomio pane e salame a salvare quello che era considerato il cibo base della popolazione italiana nel passato” Premiata Salumeria Italiana, 2/15


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pane pesa in media 50 grammi, come una rosetta piccola). Oggi la spesa familiare per pane, grissini e cracker in Italia ammonta a quasi 8 miliardi all’anno. Le famiglie italiane spendono in media 30,15 euro al mese, cioè appena il 6,4% della spesa alimentare familiare risultata di circa 468 euro al mese, mentre nel 2007 si spendevano 31,72 euro al mese. La diminuzione del consumo di pane è legata anche all’attuale crisi economica. Il prezzo del pane, infatti, anche se è calato il costo del grano in questi ultimi anni, ha paradossalmente continuato ad aumentare (+6% dal 2007 ad oggi). Coldiretti, su dati relativi al novembre 2014, indica un prezzo medio del pane di 2,69 €/kg, con grandi diversità lungo il Paese: si va, ad esempio, dai 3,51 €/ kg di Milano al 1,90 €/kg di Napoli, con differenze medie che vanno da 2,95 €/kg delle panetterie al 1,96 €/ kg dei supermercati. Non bisogna, infine, dimenticare che, a parità di potere nutritivo, considerando anche la diversa quantità di acqua presente nell’alimento, la pasta secca è molto meno costosa del pane. Ritorno al futuro Anche per il pane si sta riscoprendo il passato in un interessante “ritorno al futuro”. Non solo gli Italiani mangiano meno pane, ma lo risparmiano e, soprattutto, riducono lo spreco, come le loro nonne. Non è un mistero che nel periodo del boom economico circa un terzo del pane non era mangiato e andava in discarica. Sempre secondo l’indagine di Coldiretti, oggi più di quattro italiani su dieci (42%) mangiano il pane avanzato dal giorno prima, con una crescente, positiva tendenza a contenere gli sprechi.

Pane e salame, matrimonio d’amore! Diverse sono le tecniche utilizzate per evitare quello che una volta era considerato un vero sacrilegio, con il 44% degli Italiani che lo surgela e il 43% che lo grattugia. Vi è inoltre da rimarcare l’aumento del pane fai da te. Diversi Italiani (il 18%, dal rapporto COLDIRETTI/ CENSIS 2014) preferiscono prepararlo in casa, usando le sempre più diffuse macchine automatiche per uso casalingo. Questo pane, compreso il costo dell’elettricità, viene a costare dai 70 ai 90 centesimi al chilo. Nel pane fatto in casa si sta ritornando all’uso del lievito madre. Stanno inoltre ritornando di moda le ricette che usano il pane raffermo o il pane grattugiato, dalle zuppe ai passatelli. Pericolo obesità e diabete Il pane fa male? O meglio, il pane ingrassa e predispone o aggrava il diabete? A parte il caso delle persone colpite da celiachia, per le quali il glutine del

pane è tossico, oggi si è diffusa l’idea che mangiar pane aumenterebbe del 40% la possibilità di divenire obesi. Bastano sessanta grammi di pane per ciascuno dei due pasti giornalieri — ma in un’alimentazione non equilibrata — per incrementare il peso corporeo. Inoltre, il pane bianco, costituito solo di amido a rapida utilizzazione e con un elevato Indice Glicemico (IG), predispone o aggrava il diabete. Quando un alimento amilaceo come il grano è ridotto in farina, più le particelle di amido sono sottili, più l’idrolizzazione delle molecole di amido è favorita con il conseguente aumento dell’Indice Glicemico (si veda Tabella). Nel passato il grano era macinato a pietra e ridotto in particelle di grosse dimensioni. Anche setacciata, la farina rimaneva piuttosto grossolana, scura e ricca di fibra e dei componenti del germe di grano (farina scura). Il pane bianco del passato aveva un

Vincenzo Tanara, nel suo libro “L’economia del cittadino in villa” (Venezia 1658), indica l’origine del lievito del pane tradizionale dall’uva o, meglio, dalla sua fermentazione: “la schiuma del vino quando bolle, misticata con farina di miglio, da poi fattene pagnotte asciutte al sole si conservano in luogo fresco tutto l’anno, per servirsene da lievito”. Sempre Tanara precisa che: “ritrovandosi, come può avvenire, senza lievito si pigli il succo di quelle grane d’uva, che poste a molle il giorno avante sovranuotano, questo misticato con la farina, cagiona, che il pane si levi e lo rende gustoso”. Ancora Tanara indica come la pasta lievitante può essere ottenuta chiudendo con pasta azima il buco del cocchiume e delle botte dell’aceto (in foto: pasta madre, photo © blog.giallozafferano.it).

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Nutrienti

Farina integrale per 100 g Farina bianca (T55) per 100 g

Proteine

12 g

8g

Lipidi

2.5 g

1g

Glucidi

60 g

74 g

Fibre

10 g

3g

15.5 g

14 g

Grossolana

Sottile

40

70

Acqua Dimensione particelle Indice Glicemico

IG che andava da 60 a 65, un valore piuttosto ragionevole. Il pane scuro o pane integrale del popolo era fatto con una farina grezza non abburattata che conservava per intero i componenti del chicco di grano. Questo pane conteneva un’elevata percentuale di fibre e di proteine e aveva un IG molto basso (tra 35 e 45). Con l’invenzione del mulino a cilindro si diffonde la farina bianca di tipo 0 e 00. Queste farine sono sempre più pure, nel senso tecnico del termine e, nutrizionalmente parlando, hanno meno fibre, meno

proteine e micronutrienti (vitamine, minerali, acidi grassi essenziali…) e particelle sempre più sottili. Da ciò deriva un IG sempre più elevato in tutti gli alimenti di cui questa farina iper-raffinata è uno dei principali componenti. Pani e salumi In Italia vi sono almeno trecento varietà di pani tipici locali, in buona parte con IG contenuto o basso. Dalla Ciopa del Veneto al Pane cafone campano, dal Perruozzo del Molise al Pan rustegh lombardo, dalla Micooula

della Val D’Aosta fino alla Lingua di Suocera piemontese. Cinque sono i pani riconosciuti dall’Unione Europea: Coppia ferrarese (IGP), Pagnotta del Dittaino (DOP), Pane casereccio di Genzano (IGP), Pane di Altamura (DOP) e il Pane di Matera (IGP). Occorre riportare il pane in un giusto equilibrio nutrizionale, unendo i suoi valori energetici e di apporto idrocarbonato a quello delle proteine e dei grassi dei salumi e quindi rivalutando la tradizione dei diversi pani e degli altrettanto diversi salumi tradizionali italiani. La rosetta bolognese con la Mortadella Bologna Igp, il pane sciocco toscano con il saporito prosciutto di quella regione, il Prosciutto di Parma Dop con la micca parmigiana: sono solo alcuni dei tanti esempi nei quali il pane diviene un indispensabile elemento di valorizzazione del salume. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Nota A pagina 52, photo © Schiros.

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Acquisti domestici di carne suina e salumi in Italia

S

econdo i dati pubblicati da ISMEA, l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, nei primi undici mesi del 2014 gli acquisti delle famiglie italiane hanno registrato un calo consistente: la carne suina fresca si conferma il prodotto che subisce la contrazione più significativa

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dei consumi, con una flessione delle quantità acquistate del 6,2% e una diminuzione delle famiglie acquirenti del 3,2% rispetto allo stesso periodo del 2013. I salumi registrano invece un aumento dei volumi acquistati, con una crescita del 2,4%per i salumi non DOP/ IGP e dell’1,5% dei salumi DOP/

IGP. Purtroppo i dati confermano il fenomeno della deflazione: in diminuzione i prezzi della carne suina fresca “naturale” e quelli dei salumi. (Fonte: Osservatorio Anas, www.anas.it) Nota Photo © thefoodsage.com.au

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Differenza % genn-nov 2014 / genn-nov 2013 Consumi domestici

Quantità %

Carne suina fresca

Valore %

Famiglie acquirenti

– 6,2

– 6,0

– 3,2

2,0

– 0,8

0,0

di cui salumi non DOP/IGP

2,4

0,3

– 0,6

di cui salumi DOP/IGP

1,5

–1,6

0,9

Prosciutto di Parma

–1,0

–2,7

– 5,6

Prosciutto di San Daniele

1,3

1,3

3,3

Salumi

I consumi delle famiglie italiane – gennaio/novembre 2014

€/kg

Differenza %

Valori medi unitari al consumo

genn-nov 2013

genn-nov 2014

genn-nov 2014/genn-nov 2013

Carne suina fresca

6,04

6,05

0,2

naturale

6,00

5,91

–1,5

elaborata

6,10

6,28

3,0

Salumi non DOP/IGP

12,37

12,05

–2,6

Salumi DOP/IGP

16,87

16,37

–3,0

Fonte: elaborazione su dati ISMEA, trimestrale “Tendenze” panel famiglie GFK-Eurisko.

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Mercati

Speck Alto Adige Igp, produzione da record La produzione cresce e sfiora i 2 milioni e mezzo di baffe. Bene l’export in Germania, Austria e USA. Rinnovato il CdA del Consorzio, Andreas Moser confermato alla presidenza

U

n anno carico di soddisfazioni per lo Speck Alto Adige IGP, prodotto agroalimentare tra i più noti e apprezzati per la qualità, la genuinità e il legame con il territorio e la tradizione. Nel 2014 la produzione totale di speck a denominazione di origine europea IGP ha sfiorato i due milioni e mezzo di baffe, per la precisione 2.492.885 baffe contro le 2.372.845 del 2013. In valori assoluti è quasi un

record perché solo nel 2008 la produzione IGP registrò una cifra superiore. Un balzo in avanti significativo, confermato anche dal dato di produzione globale dello speck in Alto Adige che l’anno scorso ha superato la soglia dei sette milioni di baffe e registrato un incremento del 9% rispetto all’anno precedente. Nel dettaglio, sono state prodotte 7.039.604 baffe, vale a dire circa 31.700 tonnellate di speck. Ciò significa che il 35%

dello Speck Alto Adige si fregia del marchio IGP, il quale contraddistingue un prodotto ottenuto seguendo un rigoroso disciplinare di produzione a garanzia dell’origine, della tecnica di lavorazione tradizionale lungo tutta la filiera, della qualità e delle proprietà organolettiche. Non a caso lo Speck Alto Adige IGP è una delle eccellenze agroalimentari a marchio europeo più conosciuti sia Italia che oltre confine.

Lo speck vive grazie all’esperienza e all’intuizione dei contadini altoatesini e alla loro passione per il proprio prodotto. Ancora oggi a renderlo un salume speciale sono le antiche ricette, tramandate da oltre 100 anni.

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L’assemblea generale annuale del Consorzio dei produttori si è svolta nella birreria Forst a Lagundo. Un eroe locale con dimensione internazionale Con una quota di esportazione del 31%, lo Speck Alto Adige IGP è uno dei prodotti della salumeria italiana più venduti all’estero. La Germania è di gran lunga il mercato più importante, con un consumo del 26% di speck IGP, seguita da USA e Austria (a pari merito con il 2%), e da nuovi mercati come Francia, Belgio, Svizzera, Slovenia, Giappone, Svezia e altri ancora.

Novità per il Consorzio di Tutela A fine febbraio si sono tenute le elezioni per il rinnovo del Consiglio d’Amministrazione fra gli aderenti al Consorzio di Tutela dello Speck Alto Adige Igp, l’associazione dei produttori costituita nel 1992 per sovrintendere al percorso di qualità, promuovere il prodotto e collaborare con le istituzioni sia locali che nazionali. Alla presidenza è stato riconfermato Andreas Moser, che

nella sua attività sarà affiancato dai cinque consiglieri d’amministrazione, quattro dei quali al loro debutto: Walter Nocker (confermato, azienda Nocker), Helmuth Senfter (nuovo ingresso, Grandi Salumifici Italiani), David Recla (nuovo ingresso al posto del padre Franz Recla, dell’omonima azienda), Florian Siebenförcher (nuovo ingresso, G. Siebenförcher), Günther Windegger (nuovo ingresso, Macelleria Windegger).

Il 69% della produzione di Speck Alto Adige Igp viene venduto in Italia. Una grossa parte in Alto Adige e nelle regioni settentrionali. Ma dove viene acquistato lo speck? Nel nostro Paese il 61% viene venduto nei supermercati. Altri canali importanti sono i discount col 23%, l’ingrosso col 6%, le gastronomie col 4% e, naturalmente, la vendita al dettaglio col 6%, che è particolarmente forte in Alto Adige. In Germania la ripartizione dei canali distributivi è molto simile: nei supermercati viene venduto il 61% dello speck, il 28% viene venduto nei discount, l’8% all’ingrosso e il 2% al dettaglio. >> Link: www.speck.it

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Export Canada: apertura alla carne suina e a tutti i salumi senza limite di stagionatura Buone notizie dal Canada per il mondo dei salumi. Lo scorso febbraio, infatti, la Canadian Food Inspection Agency (CFIA) ha eliminato il limite minimo di stagionatura dei prodotti di salumeria esportabili nel Paese. L’iter, iniziato nell’autunno 2014, su richiesta di ASS.I.CA. (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi), dal Ministero della Salute italiano con il supporto della Commissione europea, era finalizzato ad ottenere l’eliminazione del periodo minimo di stagionatura di 30 giorni previsto per i salumi esportati dall’Italia e la conseguente apertura del mercato canadese alle carni suine fresche. Le autorità canadesi avevano sempre ritenuto necessario applicare finora nei confronti delle produzioni salumiere le cosiddette “extra measures” previste dall’Accordo UE-Canada e di introdurre ulteriori garanzie relative alla materia prima. Le nuove condizioni per l’esportazione di carni suine e di prodotti a base di carne suina proposte da parte della Canadian Food Inspection Agency non prevedono requisiti minimi di stagionatura dalle Regioni italiane indenni dalla malattia vescicolare del suino (MUS) ai sensi della Decisione della Commissione europea 2005/779. Questo importantissimo risultato, perseguito con tenacia da ASS.I.CA., è stato reso possibile dall’impegno profuso in questi mesi dal Ministero della Salute e dalla Commissione europea nel richiedere con forza alla CFIA il pieno riconoscimento dell’equivalenza tra le normative applicabili alle carni e l’abrogazione di ogni ulteriore “extra measure”. In questo contesto, l’Italia ha raggiunto l’obiettivo di liberalizzare le spedizioni dei nostri prodotti di salumeria, superando gli ostacoli discendenti dalla permanenza della malattia vescicolare in alcune parti del nostro territorio. Si completa così l’offerta dei prodotti esportabili nel continente Nord americano e in particolare in un mercato strategico quale quello canadese dove i salumi italiani sono già conosciuti ed apprezzati. Mercato che negli ultimi cinque anni (2008-2013), grazie all’apertura prima ai prodotti stagionati per più di 90 giorni e poi a quelli stagionati almeno 30 giorni, ha registrato un +60,8% in quantità per 791 tonnellate e un +63,6% in valore per 8,4 milioni di euro. Un dato, questo, che si è ulteriormente rafforzato nel 2014. I primi 10 mesi del 2014 registrano, infatti, rispetto allo stesso periodo 2013 un ulteriore +17,2 in quantità e un +16,1% in valore. (ASS.I.CA.)




Sapori mediterranei C’è il profumo della Riviera dei Fiori nella “focaccia” dell’ammiraglio Doria

Sardenaira: Liguria da mangiare di Nunzia Manicardi

P

er gustarla dovete venire fin qui, nell’ultima provincia della Liguria: quella di Imperia. Ultima nel senso che a pochi chilometri l’Italia deve cedere alla Francia. Ne vale la pena, e non solo per il paesaggio meraviglioso, ma anche per apprezzare un piatto unico saporitissimo e ineguagliabile, semplice ma che è un autentico trionfo di profumi e colori di Liguria e che

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nel 2012 ha meritato, ed era ora, la DE.CO. (Denominazione comunale di origine) da parte del Comune di Sanremo. È la sardenaira, termine in dialetto intraducibile ma nel quale a tutti è possibile rintracciare la presenza fondamentale delle sarde, pesce povero per eccellenza, con le quali un tempo veniva condita. Oggi sono state per lo più sostituite dalle acciughe sotto sale, ma la bontà è

rimasta la stessa. La sardenaira appartiene al genere delle focacce liguri di cui costituisce una specie condita con sugo di pomodoro, aglio, capperi (meglio se conservati sotto sale), olive taggiasche, origano e sarde fresche o acciughe e olio extravergine d’oliva. Il pomodoro non va soffritto con la cipolla ma deve essere crudo e tutti gli ingredienti devono essere rigorosamente locali.

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La pizza all’Andrea che pizza non è La sardenaira è, come abbiamo appena scritto, un prodotto tipico di Sanremo e del suo territorio, dove viene chiamata anche sardinara o sardenara nel dialetto intemelio, termine con cui si definisce l’insieme delle diverse varietà, alcune delle quali particolarmente arcaiche, della lingua ligure parlate e diffuse tra il Principato di Monaco, la Francia e la città di Sanremo (sono compresi quindi i dialetti di Ventimiglia ma anche quelli che risalgono profondamente nelle valli alpine fino al Piemonte, nelle valli del Roja, dell’Argentina e del Bevera). Veniva preparata dalle massaie soprattutto il venerdì, essendo considerata un piatto di magro. La sardenaira viene anche detta pisadala, pisciadela, piscadra o piscialandrea. Con quest’ultima denominazione, che significa “pizza di Andrea”, si fa invece riferimento all’ammiraglio Andrea Doria (più correttamente D’Oria) originario di Oneglia, che è un rione di Imperia, al quale una leggenda attribuisce l’invenzione di questa focaccia. Si ricorda in questo modo anche quello che a buon diritto può essere considerato, nella prima metà del ‘500, il più grande ammiraglio e politico della Repubblica di Genova e al quale sono state dedicate tante navi della Marina italiana sia mercantile che militare e perfino statunitense, anche se il nome di una di queste — il transatlantico Andrea Doria, la più grande e più veloce nave passeggeri della flotta italiana di linea — fu maggiormente ricordata per il naufragio nel 1956 al largo delle coste degli Stati Uniti dopo la collisione con una nave svedese, in quello che fu uno dei più famosi e controversi disastri marittimi della storia. La fama dell’ammiraglio Doria fu tanto grande che anche in Francia la versione locale di questa focaccia viene chiamata con un nome analogo e cioè pissaladière (pissaladiera in nizzardo). Non c’è il pomodoro ma le cipolle ed è uno stuzzichino tipico della cucina della zona intorno a Nizza (che, ricordiamo, fino alla cessione voluta da Cavour nel 1860, apparteneva al Regno di Sardegna e

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Sardenaira, anche detta “pizza all’Andrea” (photo © www.lecinqueerbe.it). che poi diventò francese, così come — da cittadino francese — vi nacque nel 1807 l’eroe del Risorgimento Giuseppe Garibaldi). Altri nomi della sardenaira, corrispondenti talvolta ad altrettante piccole varianti, si ritrovano nei vari paesi della Riviera dei Fiori: a Taggia viene chiamata figassa, a Bordighera e Vallecrosia pisciarà, a Buggio pisciarada, a Pigna vojun, ad Apricale figassun o machetusa. Quest’ultimo termine è particolarmente interessante perché deriva dal nome di una salsa tipica preparata con pesce azzurro (di solito filetti d’acciuga) che si chiama machetto. Il machetto si prepara stendendo i pesci a strati in un vaso di vetro dopo aver loro strappato via la testa e con essa le interiora (il ventrale); si ricoprono poi di sale grosso e, di nuovo, altro strato, sino alla fine, lasciandoli macerare schiacciati per circa un mese. Oggi il machetto viene impiegato anche altrove, spennellandolo sulla sardenaira a cottura ultimata, benché i puristi non siano molto d’accordo. L’importante è, comunque, salva-

guardare la tradizione e, soprattutto, impedire che la sardenaira possa venir confusa con la pizza, quest’ultima, ovviamente, non meno da celebrare. Però, anche in questo caso, bisogna “dare a Cesare quel che è di Cesare”. Per chiarire questo punto riportiamo quanto scritto da GIOVANNI NEZZO nel sito www.riviera24.it: “Hanno insultato la nostra benamata tradizione ligure paragonando la Sardenara, o in ricetta diversa andando verso Ventimiglia Pisciadela, alla pizza. Non ho nulla contro la sorella napoletana, ma queste tre ricette hanno storie e significato ben differente. Qui mi soffermerò solo sulla particolarità della Sardenara (…). La Sardenara, o meglio Sardenaira, innanzitutto ha una doppia lievitatura, la seconda dovrebbe essere fatta sul testo — (il “testo” è il tipico utensile, in argilla e oggi più spesso in ghisa, utilizzato per cuocerla, NdA) — e si inforna dopo che è lievitata e non durante la lievitazione. Poi la grossa differenza sta nella storia e nella preparazione del sugo e della pasta. L’impasto deve aver molto olio, diciamo un

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bicchiere intero, che nella pizza non c’è perché altrimenti la pasta perde di elasticità (non sono cuoco ma mi diletto a cucinare e rendo grazie all’Istituto Sociopsicopedagogico di Sanremo perché offre diverse attività complementari allo studio tra i quali l’analizzare la società e la storia del nostro entroterra anche sotto forma di queste curiosità molto carine), e in seguito la doppia lievitatura. Il tegame deve essere unto e coperto di farina di polenta perché, una volta cotta la Sardenaira (la pizza e la polenta invece non vanno d’accordo) deve avere il sotto molto croccante ed essere molto morbida e fragrante nella parte superiore coperta di sugo. Lasciando a parte peperoni e carciofi altrimenti si chiamerebbe in altro modo e quindi nella ricetta originale è un abominio metterli, il sugo non è come lo presentano. Certamente le cipolle vanno rosolate ma insieme ad esse devono andare le sardine, che in questa fase di preparazione devono disfarsi completamente nel pomodoro, e l’aglio. Una volta pronto il sugo si stende sulla pasta cruda nella teglia e si aggiungono i capperi. Solo recentemente sono state aggiunte le olive taggiasche (…). Tornando alla preparazione, una volta cotta si intinge un mazzetto di rosmarino e si spennella con questo l’olio sulla Sardenaira (…). Altra peculiarità

Olive taggiasche in salamoia (photo © food4thght.com).

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Pissaladière: senza pomodoro, viene considerata un classico stuzzichino della Costa Azzurra (photo © blog.francedc.org). quasi dimenticata: i vecchi sanremesi impastavano la farina con una patata bollita schiacciata”. Oggi il regolamento comunale che contribuirà a tutelare maggiormente la focaccia rossa di Sanremo vale anche per altri prodotti tipici: esso potrà infatti essere utilizzato per salvaguardare con il marchio di denominazione comunale d’origine anche le ricette di farinata, focaccia e pane di San Romolo, oltre che i “parmureli” (rami di palma intrecciati sapientemente in fogge tradizionali da distribuire ed esporre in occasione della Domenica delle Palme). D’altronde, la tutela e la valorizzazione dei prodotti tipici locali possono rappresentare una strategia vincente per la crescita economica del territorio e per la relativa potenzialità di promozione e sviluppo attraverso un riconoscimento di certificazione di qualità. Inoltre, è stato evidenziato che la nascita del marchio protegge non solo un patrimonio di tradizioni enogastronomiche a rischio estinzione ma garantisce anche i produttori, i consumatori e quindi attività agroalimentari presenti sul territorio. Lo schema di regolamento si può quindi adottare per la disciplina di ogni tipicità sanremese. Il mancato rispetto del disciplinare di produzione, il rifiuto a consentire controlli o a presentare la documentazione richiesta, la perdita anche parziale dei requisiti richiesti,

l’uso difforme del marchio DE.CO. e la violazione di normative igienico sanitarie e in materia di commercio comportano una sanzione pecuniaria da 100 a 500 euro. Una focaccia da Guinness? Dopo la DE.CO. Sanremo tenta ora di entrare nel Guinness dei primati. In vista del 2015, anno nel quale si svolgerà il contest visionato da un giudice del Guinness, il 28 agosto scorso hanno avuto luogo le prove generali in Piazza San Siro, con una sardenaira da mille porzioni distribuite gratuitamente per la gioia anche dei tanti turisti presenti. Lunga 25 metri, è stata preparata secondo l’antica ricetta dai mastri fornai del quartiere raggruppati nelle due squadre “Pasta Madre” e “Fornaio Saraceno” che per realizzare l’impresa hanno utilizzato quaranta chili di farina, cinque chili di olive, tre chili di aglio, un chilo di capperi e origano e un chilo di acciughe, il tutto condito con 10 litri d’olio per sfornare ben 45 teglie dalle quali hanno ottenuto le mille fette. I fornai hanno impastato anche una seconda versione della sardenaira lunga 10 metri e senza glutine, adatta ai celiaci. Nunzia Manicardi Nota A pagina 64 Porto Maurizio, Borgo Foce e il Parasio, Imperia (photo © Giacomo A. Turco, www.panoramio.com).

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Sapori dal mondo Dibattito aperto fuori e dentro la cucina

Foie gras: amico o nemico? di Giorgia Fieni

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erti tipi di alimenti proprio non ce la fanno a stare tranquilli in cucina: devono uscirne e diventare argomento di conversazione. Il foie gras va oltre, perché non si accontenta del comune chiacchiericcio: divide proprio l’opinione pubblica. C’è chi lo adora e non gliene importa nulla della filiera produttiva. C’è invece chi è troppo spaventato dal trattamento riservato alle oche e alle anatre. Per chi non lo sapesse, stiamo parlando di tre settimane per le prime, due per le seconde, di “sovralimentazione”: il mais (ma anche fichi secchi) viene spinto a forza nell’esofago mediante macchine pneumatiche così da ingrossarne il fegato (fino a 10 volte il normale volume). Segue di norma una morte dolorosa, causata dalla frattura

del collo e dalla perforazione dell’esofago, per il divincolarsi dell’animale. Tutto ciò fa sì che da anni ci si impegni attivamente perché tale procedimento sia sospeso oppure sostituito con uno più rispettoso o, almeno, meno crudele. È difficile però riuscire ad ottenere risultati definitivi, visto e considerato che si tratta di una tradizione antichissima, che coinvolge molti operatori del settore e che il risultato non è altrettanto soddisfacente (pure se il foie gras è stato bandito da alcuni ristoranti, anche di pregio, dai banchi di alcuni supermercati e dai negozi on-line). In Francia, dove gode della Denominazione d’Origine Protetta, nel 2005 è stato dichiarato “patrimonio culturale e gastronomico”. Intanto,

però, almeno è stato vietato l’allevamento di anatre e oche a scopo produttivo, perciò la materia prima è importata (soprattutto dall’Ungheria). Detto questo, non ci addentriamo oltre nel merito della questione e arriviamo direttamente al “problema” che in queste pagine spesso ci poniamo. Con cosa abbinarlo? Come presentarlo? Vediamo anzitutto con chi va d’accordo. Con la frutta: si può servire con l’ananas caramellato, con le ciliegie al kirsch (ulteriormente insaporite con aceto balsamico e cacao amaro), con le castagne (viene prima frullato con latte, panna, uova, poi cotto a bagnomaria in terrina e infine servito coperto di crema di castagne e pain d’épice), con le pesche noci (marinate al limone e presentate con

Confit di rabarbaro, foie gras d’anatra e pane speziato dello chef Daniel Galmiche.

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mandorle e miele di castagno), con l’uva asprigna (nella focaccia) ma è pure adatto come farcitura per le prugne, avvolte nel lardo. Coi legumi: sciolto nella pasta e fagioli. Col pesce: su un crostone con l’astice o a millefoglie con melanzane grigliate e capesante, oppure con tonno rosso scottato e una pioggia di chicchi di melagrana. Con le verdure: in insalata con patate, asparagi, misticanza, erbe aromatiche, tartufo nero e una vinaigrette arricchita da olio di noci e armagnac; con la mozzarella nel ripieno dei fiori di zucca, fritti e serviti con polvere di caffè di tarassaco su crema di carote. Con la pizza: in abbinamento con caprino, albicocche e miele alla vaniglia. Con la carne: sui tournedos alla Rossini, col piccione o col filetto alla Wellington. Con la pasta: gnudi verdi serviti con foie gras e pecorino toscano o paglia e fieno con crema di pisellini, foie gras e pisellini croccanti. Le ricette che ci lasciano più a bocca aperta arrivano però, come sempre, dagli chef e dagli esperti di settore, che trasformano il fegato grasso in un alimento da haute cuisine. ALESSANDRO GARZILLO (grazie ad una marinatura in sale affumicato, zucchero di canna, arance e a un passaggio in frigorifero) lo rende un salame, che serve affettato con fichi secchi, marmellata di cipolle rosse, pan brioche tostato e un passito (o una birra belga). RACHEL KHOO ne prepara dei tartufini da passare nel cacao magro o nei biscotti allo zenzero sbriciolati (ma ammette di aver preso l’idea da INAKI AIZPITARTE, che invece li rosola nel mukhwas indiano). ANTONINO CANNAVACCIUOLO lo cucina in torcione. GIANFRANCO VISSANI, dopo averlo scottato, aggiunge al fondo stracchino e ananas. ERRICO RECANATI lo usa come farcitura per le quaglie al cartoccio. LUCA MONTERSINO prepara la crème brûlée al foie gras e Sauternes e la serve su pane ai fichi con quenelles di composta di mele e pepe rosa secco. RENATO MARTINO prepara il bufalo cotto a bassa temperatura con zuppa di foie gras e salsa agli agrumi. ALESSANDRO BORGHESE, con cosce di pollo, rosmarino, salvia, patate les-

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Foie gras de canard (photo © lecoqgourmand.net). se, trasforma il foie gras in cremino. MASSIMO BOTTURA, sempre in tema “gelato”, in croccantino, aiutandosi anche con il “suo” aceto balsamico, le mandorle di Noto e le nocciole piemontesi per la copertura di granella. «Piatto creato nel 2000. Nessuno lo voleva. L’idea era un omaggio a George Togny. Creo un’intercapedine dove dentro metto l’aceto balsamico. Lo chiudo e ho il cubo di foie gras. La forma mi riportava a quella di un “oggetto” da bambino, il croccantino, il gelato. Da bambini il cibo ha una valenza diversa. Non c’è degustazione ma calore. Ecco che voglio che il mio croccantino si mangi con le mani. Metto lo stecco». NICOLA PORTINARI prepara la crema di fagioli borlotti con orzo perlato, fegato grasso e aceto balsamico tradizionale. ERNST KNAM il panino con insalata, foie gras, cioccolato fondente (poteva mancare?), crema ai frutti tropicali, burro. JOEL ROBUCHON l’amuse bouche con spuma di Parmigiano e foie gras. FREDERIC BAU il torrone di foie gras di anatra al cioccolato e al cumino. ANDREA ALFIERI i ravioli di patate di montagna con foie gras, porcini, cipollotti in consommé di funghi e pino mugo. MATIAS PERDOMO il sashimi di bue con foie gras, salsa bernese, prugne umeboshi e sesamo. SANDRO BONOMO la scaloppa di foie gras al porto con carciofi e mandorle pralina-

te. CRISTINA BOWERMAN il panino alla liquirizia con foie gras d’anatra, finto ketchup di mango, maionese al passito e tris di chips fritte. MARCO SACCO il foie gras, mou di carota, resina di pino e lavanda. LUCIANO MONOSILIO lo yogurt di foie gras, bitter e crescione di rucola. HESTON BLUMENTHAL il Meat fruit: una polpetta di foie gras coperta da gelatina al mandarino. La sua innata raffinatezza lo rende dunque perfetto anche per presentazioni eccentriche. A finto cappuccino con zabaione salato. Semicotto e mixato con succo di mela viene sifonato in tazzina su crema di sanguinaccio agli scalogni. Formato a lecca-lecca (grazie a un passaggio nell’abbattitore), con un cuore di sciroppo di cola, è intinto nel cacao fuso. Tanto pregio, infine, lo fa scegliere per la preparazione delle cosiddette “ricette da nababbi”: come nel tramezzino (di pane che fermenta 24 ore) con carne di Wagyu giapponese e tartufo nero, venduto a Londra per 85 sterline. O nell’hamburger di carne di Kobe, salsa wasabi, funghi italiani e pere asiatiche, alla modica cifra di 110 dollari, patatine comprese, al Four Season Hotel in Indonesia. A quanto pare, dunque, sembrerebbe che, almeno tra i benestanti, il foie gras non fatichi a trovare degli amici. Giorgia Fieni

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Locali di gusto

Sfoglia Rina, la passione emiliana per la sfoglia A Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, c’è questa piccola bottega, dove la pasta è fresca e servita espressa di Federica Cornia

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er le azdore, le massaie bolognesi che tirano la pasta all’ombra delle due torri, “hai fatto una buona sfoglia quando sollevandola controluce vedi San Luca”, il santuario che domina la città dal Colle della Guardia. Basta questo detto popolare a supportare la primogenitura della pasta all’uovo fatta in casa della dotta e grassa Bologna. Uova e farina: due semplici ingredienti, cosmologia basilare per dare forma all’universo pasta fresca che identifica immediatamente l’Italia nel mondo e

in particolare conduce in Emilia e in Romagna, patrie dell’arte della sfoglia, tra tortellini, tagliatelle, tortelloni, tortelli e agnolini. La paura di perdere questo gioiello della cultura gastronomica locale ha portato alle camere nel 2009 una proposta di legge per la valorizzazione e la promozione della sfoglia emiliano-romagnola e della sua ricetta originale, con la creazione di un Comitato per la sua tutela e la proposta di istituire e disciplinare la figura della sfoglina. Figura in via d’estinzione a quanto pare, nonostante il

rilancio della sfoglia con corsi e scuole di formazione come “La vecchia scuola” di Bologna, nata nel ‘93, che ha formato un certo numero di sfogline e sfoglini, soprattutto stranieri. Difficilmente in Emilia–Romagna si associa l’arte del tirare la pasta ad un uomo, ma ciò non significa che non succeda. A Casalecchio di Reno, il “Bois de Boulogne di Bologna” come lo definì Stendhal, si può vivere il felice inciampo di pranzare alla Sfoglia Rina, “Pasta Fresca dal 1963”, così recita la scritta del marchio che racchiude l’e-

Lasagne verdi con ragù e besciamella (photo © Simone Carlo).

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milianità tradotta in immagine nella proverbiale abbondanza delle forme femminili della sagoma di una azdora che regge, braccia dietro la schiena, un mattarello, e scoprire che tra i fautori dell’artigianalità della pasta sfoglia che dai banchi di bottega passa in teglie e sacchetti alle mani dei clienti, ma anche direttamente in piatti fumanti a lato del locale di vendita, ci sono il lavoro e la passione di un uomo. Passione per la cucina di stampo casereccio, per la tradizione gastronomica locale e per il lavoro di nonna Rina. Lorenzo Scandellari ha iniziato ad aiutare la nonna quando aveva 18 anni e da allora non ha fatto altro che tenere le mani in pasta, per dirlo con un gioco di parole un po’ scontato ma che rende bene l’idea. Da lei ha ereditato il sapere artigiano dell’arte di tirare la sfoglia e l’amore per un mestiere antico. Oggi Lorenzo si occupa principalmente di coordinare l’attività di questo piccolo tempio del gusto emiliano tenendone le fila e muovendosi tra laboratorio, punto vendita e ristorante. Ultimo nato, il ristorante, era il sogno nel cassetto che si è realizzato cinque anni fa, quando il locale a fianco della bottega si è liberato, dando il via al progetto “la pasta quotidiana”, vendita e consumo diretto, in loco, della pasta fresca, dalla bottega alla tavola senza soluzione di continuità. Ispirato ai bakery cafe, panetterie che fanno anche panini, locali tipici del Nord Europa, che ha avuto modo di visitare con la moglie belga, ne ha mutuato l’atmosfera informale e famigliare declinandola all’emiliana. Il community table nord-europeo inserito al centro della stanza è qui in realtà un omaggio alla tavolata tipica dei contadini. «Quella con la polenta e la saracca appesa sopra» ci dice Lorenzo. Ed echi materiali di civiltà contadina sono i vari oggetti appesi alle pareti che decorano il locale con semplicità rendendolo caldo e accogliente. La tradizione gastronomica locale fa capolino nella ricetta del ragù alla bolognese, scritta in dialetto a grandi lettere sul muro, o nella zuppa imperiale contenuta nei piccoli vasetti ad ornamento dei tavoli, quando ad ornare non sono presenti piantine aromatiche. Questa

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Tagliatelle al ragù. Ogni piatto è servito con un contorno, in questo caso a base di melanzane (photo © Simone Carlo). doppia anima fatta di tradizione e innovazione si palesa nel menu scritto sulla lavagna che campeggia appesa alla parete più grande della sala e in cui le due metà istigano il palato alla dicotomia con un menu tradizionale e un menu settimanale, variabile al ritmo delle stagioni e vergato a suon di gesso insieme al cuoco, alla ricerca di nuovi gusti e ricette da proporre a fianco dei soliti noti. Da una parte, primi della lista, tortellini in brodo, tortellini allo zabaione di parmigiano, specialità della casa, tortelloni burro e salvia, gramigna alla salsiccia e le immancabili tagliatelle al ragù e lasagne alla bolognese; dall’altra, la sfiziosità di sapori ricercati come quelli dei cappelletti di fave e speck in crema di scarola per esempio, degli gnocchi di castagne con noci e gorgonzola al profumo di arancia, dei passatelli con salsiccia e verza, o di un risotto con cachi e taleggio. E per chi non volesse proprio pasta, tigelle e salumi fanno comunque la loro apparizione in appendice al menu. L’ordine redatto personalmente, tagliare alla mano — perché leggendo dalla lavagna si trascrive ciò che si vuole su un blocchetto applicato ad un piccolo tagliere di legno a cui è legata con lo spago una matita —, il piatto, una volta servito, delizia la vista oltre che il palato con un boccone di accompagnamento. Un panino al

sesamo con un assaggio di melanzane alla parmigiana, per esempio, potrebbero essere l’appetitosa introduzione a lasagne o tortellini. Loro, i principini della regione, sono piccoli ma grandi nel contenuto. Dentro ci finiscono infatti gli ingredienti classici del ripieno, scelti con cura: insieme alla carne di maiale, Parmigiano Reggiano stagionato trenta mesi, prosciutto di Parma e mortadella Felsineo, la cui legittima appartenenza al tortellino pare garantita dal recente lancio della Mortadella Selezione Tour-tlen durante la manifestazione la Sfoglia Tira. Sfida gastronomica tra Bologna e Modena, che quest’anno ha visto la competizione allargata anche a lasagne e tortelloni, è una tenzone goliardica e mangereccia che mira al tortellino Igp, in lotta con l’omonimo di Valeggio sul Mincio. Sempre alla ricerca dell’ingrediente più buono e genuino, Lorenzo guarda a realtà locali e artigianali da poter mettere nel piatto, sia per i salumi che per i formaggi, in particolare la ricotta da usare nelle paste ripiene. Per il vino la scelta è tra Sangiovese, Barbera, Cabernet e Pignoletto. La birra c’è, è soprattutto bio e porta fuori regione, senza tralasciare però prodotti nostrani come “La Biolca” del birrificio Vecchia Orsa di San Giovanni in Persiceto che ha svilup-

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pato un progetto sociale attorno ad un birrificio artigianale. Il caffè vi arriverĂ nella moca, sempre servito sull’immancabile vassoio-tagliere, accompagnato da zollette di zucchero dentro vasetti di vetro, quelli dai tappi a chiusura meccanica tipici del sottovuoto casalingo, che nella versatilitĂ d’utilizzo che ne fa Sfoglia Rina potrebbero contenere anche la dolce sorpresa di zuppa inglese o mascarpone. Le torte sono un’altra applicazione pratica della ricerca di attraenti abbinamenti di gusto e per chi, passando al mattino per ritirare il chilo di tortellini, volesse lasciarsi andare a un peccato di gola, potrebbe trovarsi a scegliere tra una crostata con pere e cioccolato, torta di riso o di noci, torta di ricotta e fichi caramellati o crostata ai frutti di bosco o, perchĂŠ no, la scelta potrebbe ricadere sulla biscotteria. Aperto dal martedĂŹ al sabato dalle 8.00 alle 19.30, la domenica dalle 8.00 alle 14.30, chiuso il lunedĂŹ, coi suoi 26 posti a sedere che aumentano con l’apertura del dehors

Cappelletti salsiccia e carciofi (photo Š Simone Carlo). estivo, Sfoglia Rina è una piacevole sosta che chi si trovasse a passare per Bologna potrebbe concedersi trovandosi immerso nell’atmosfera stranamente vacanziera che Casalecchio si porta appresso, genius loci un po’ sbiadito di una consuetudine nata

alla fine dell’Ottocento e durata fino agli anni quaranta del secolo scorso, quando la località era il Lido piÚ conosciuto sul Reno e la meta preferita dai bolognesi nelle gite domenicali fuoriporta. Federica Cornia

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Saremo lieti di ospitarVi al TUTTOFOOD di Milano dal 3 al 6 maggio 2015 nel nostro stand G09 pad. 2 per proporvi la nostra vasta gamma di prodotti.


Turismo enogastronomico

Cipro: genuina, originale norcineria mediterranea Nel villaggio di Agrós, la norcineria Kafkialias dà vita a specialità salumiere dai nomi esotici che, piene di gusto, valorizzano la carne suina locale, come la Lountza, e di capra, come la Tsamarella di Massimiliano Rella

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ircondata dal mare azzurro e ricca di paesaggi che vanno dalle spiagge incontaminate alle montagne, con vette di tutto rispetto e panorami incantevoli, Cipro ci offre anche una gastronomia di territorio e di tradizione, tanto genuina quanto originale. L’allevamento di suini e caprini, per esempio, fornisce la materia prima per una

produzione di salumi che valorizza le carni locali, tramandando specialità piene di gusto. A cominciare dalla Lountza, preparata con filetto di maiale. La carne viene messa per due giorni sotto sale, in modo che assorba l’umidità, e poi per una settimana a marinare in vino rosso con spezie, in prevalenza coriandolo; quindi è sottoposta ad affumicatura

naturale su legni come mandorlo e carrubo. È così che la produce la norcineria Kafkialias di Agrós (sempre aperto, 36 Kyriakou Apeitou, Agrós, Limassol, telefono: + 357 25 521426), un piccolo villaggio conosciuto per la produzione artigianale di salumi nel sud dell’isola, alle pendici dei monti Troodos, tra Nicosia e Limassol, città più grandi lontane solo poche decine

Elpida e il marito Chrysostomos Kafkialia, norcini di Agrós. 74

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Affumicatura della Lountza. di chilometri. Nel negozio annesso al laboratorio la signora Elpida e il marito Chrysostomos Kafkialia la vendono a 17,00 €/kg. Magra, morbida e saporita, la Lountza affettata si può mangiare cruda o cotta alla griglia e spesso è proposta in piatti freddi insieme ad assaggi di Halloumi e Kefalotyri, golosi formaggi locali. La norcineria Kafkialias produce anche la Tsamarella, un presidio Slow Food preparato con carne di capra essiccata al sole da 7 a 10 settimane e ricoperta di sale e origano. Si utilizza la coscia, cioè la parte più magra dell’animale, aperta a farfalla e tagliata a strisce. Il sapore è forte, speziato, appena selvatico. La Tsamarella è un salume cipriota semplice, il cui segreto sta nella carne proveniente da animali di età non inferiore ai 9 mesi e nativi dell’isola: appartengono a popolazioni locali delle razze Damascus — importata a Cipro intorno al 1950 — e Machairas, oppure sono meticce. Di colore rosso scuro tendente al marrone, la Tsamarella ha tessitura Premiata Salumeria Italiana, 2/15

semi-dura e aroma di origano. Si produce principalmente nella regione di Pitsilia. Il Presidio Slow Food di Cipro si impegna nel promuovere la Tsamarella sul mercato locale, ma la vera scommessa consiste nel sostenere il progetto di recupero di una popolazione caprina autoctona, la Machairas, quasi estinta. L’obiettivo è di disciplinare l’allevamento di un certo numero di capre di questa razza che conta ormai di pochi esemplari, distribuiti principalmente nella zona orientale dei monti Troodos. Da provare anche l’Hiromeri, una specie di prosciutto marinato nel vino rosso e aromatizzato, ottenuto dalla coscia del maiale privata del grasso in eccesso, salata, pressata sotto peso per due giorni, affumicata e stagionata, procedimento che conferisce un gusto deciso. La Loukanika invece è la gustosa salsiccia fatta di carne di maiale speziata e marinata nel vino rosso, di sapore leggermente diverso a seconda delle spezie dell’impasto, il più delle volte semi di coriandolo schiacciati, oppure altri aromi come lentisco

e alloro, o ancora scorza di arancia grattugiata. Ottima da consumare cotta in padella come sulla brace, non va confusa con la Pastourma, una salsiccia con peperoncino e fieno greco, che dà un tocco piccante alla grigliata più assortita. Lountza e Loukanika, accompagnate con la Pitta, il delicato pane non lievitato di forma tonda e piatta, non mancano mai nel tipico Meze cipriota, pasto che include tante portate diverse a base di prodotti locali. Potremo sperimentarlo con ben 15 piatti alla Pezema Tavern, con la cucina tradizionale dello chef Andreas Yerolsiotis, in un locale semplice e accogliente, storico ristoro per i viandanti, che vi si fermavano per mangiare un boccone e far riposare i loro asini (€ 16,00, bevande escluse, sempre aperto; Stelios Hadjipetris 50 str., Agrós, Limassol, telefono: +357 99551381; pezematavern.weebly.com). Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella. 75


Eventi

#ThinkFood 2015

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i è tenuta, dall’1 al 4 marzo scorsi, all’interno della suggestiva cornice dell’area congressi dell’Hotel Regina di Stresa, l’edizione 2015 di G-PEXH, una full immersion di quattro giorni nel mondo del foodservice dal nome evocativo, #ThinkFood. L’obiettivo dell’evento

B2B era quello di promuovere un centinaio di prodotti agroalimentari selezionati destinati ad un target di

operatori e professionisti. Quattro le aree tematiche: ittico, dolci, pizza e anche le carni. Il tutto condito da personaggi di spicco tra cui lo chef napoletano Antonino Cannavacciuolo, vera e propria superstar della manifestazione. >> Link: g-pexh.emisfera.it

G-PEHX 2015, ovvero quattro giorni per “vedere, sentire, parlare di ristorazione, fare assaggi, esperienze, conoscenze, per pensare come fare cucina e come fare business”. 1) L’area congressi del Regina Palace. 2) Lo chef Cannavacciuolo. 3) Lorenzo Mottolini del Salumificio omonimo di Poggiridenti (SO). 4) Il Salumificio Val Rendena di Vigo Rendena (TN).

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Un Patto di Amicizia che profuma di prosciutto Un patto che unisce Emilia e Romagna, montagna e mare, appennino e costa, tutti elementi della stessa regione ma visti sempre come separati, per la valorizzazione del territorio: con questa finalità è stato recentemente firmato il Patto di Amicizia tra il comune di Guiglia (MO) e quello di Cervia (RA), rinomata località della riviera adriatica. Il primo cittadino di Guiglia, Monica Amici (in foto a lato, insieme al sindaco di Cervia Luca Coffari, a Giorgio Mongiorgi del Prosciuttificio Antica Pieve, agli assessori regionali e ad alcuni rappresentanti delle Associazioni che accomunano i comuni di Guiglia e Cervia), ha sottolineato come questa sia «un’iniziativa su cui contiamo per valorizzare due territori profondamente diversi tra loro, ma che esprimono entrambi situazioni ambientali di grande pregio come il Parco dei Sassi di Roccamalatina e il Parco del Delta del Po. Dai Romagnoli si può imparare tanto per quel che riguarda l’accoglienza e la promozione turistica. I Guigliesi pure hanno qualcosa da mettere sul piatto della bilancia negli scambi: paesaggio e prodotti di eccellenza dell’agricoltura come le castagne e le ciliegie, e da qualche tempo anche nel settore vitivinicolo ci sono sviluppi interessanti. Specialità del territorio come il Parmigiano Reggiano e il Prosciutto che accompagnano le crescenti e i borlenghi...». Sale prezioso ed antica abilità norcina: questo è il Dolce Maggiore Parlando di prosciutto non poteva mancare alla firma di questo legame il simbolo fattivo realizzato unendo il meglio di due territori, ovvero la sapienza artigianale norcina modenese e il prezioso sale proveniente dalle Saline di Cervia. Il Prosciuttificio Antica Pieve di Guiglia (www.prosciuttificioanticapieve.it), di cui la famiglia Mongiorgi è socio di maggioranza, da ormai 8 anni, infatti, ha intrapreso un progetto che ha portato alla realizzazione del “Dolce Maggiore”, un prosciutto al Sale Dolce di Cervia dalle caratteristiche uniche e dalla sorprendente delicatezza. Di un bel colore rosa, 100% italiano, si presenta con gusto persistente e poco salato. Ricordiamo anche che a rendere unico l’oro bianco di Cervia non è tanto la scarsa sapidità, quanto la limitata presenza di componenti amari come il cloruro di magnesio e solfati di magnesio, di calcio, di potassio: sostanze che danno al sale il retrogusto amarognolo meno gradito al palato. Ed è proprio questa caratteristica che consente di aggiungere sapore alle carni senza che risultino troppo salate, lasciando il prosciutto delicato, persistente e inconfondibile. Il Sale Dolce di Cervia, inoltre, viene raccolto ed essiccato con metodo tradizionale e lavato solo con acqua ad alta salinità senza additivi o sbiancanti. La sua lavorazione naturale fa sì che i grani siano irregolari e comporta che la salatura del Dolce Maggiore sia eseguita a mano.

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Rassegne

Bellezza, coraggio e determinazione È il messaggio di Identità Golose 2015, la rassegna della cucina d’autore che quest’anno ha registrato un record di partecipanti. Chef e produttori nuovamente protagonisti

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er chi ancora non lo avesse chiaro, Identità Golose Milano è il primo congresso internazionale di cucina d’autore realizzato in Italia con un’eco mondiale. Ideato e curato da PAOLO MARCHI, quest’anno si è svolto dall’8 al 10 febbraio, chiamando a Milano i più grandi cuochi italiani e internazionali e i migliori pasticcieri, pizzaioli e artigiani.

La parola a Paolo Marchi “Il 15 settembre 2008 falliva la Lehman Brothers e nulla sarebbe stato come prima. Noi di Identità avevamo già deciso a inizio primavera, archiviata la quarta edizione del congresso al Palazzo della Borsa in piazza Affari a Milano, di trasferirci nel ben più grande e comodo centro congressi di via Gattamelata dove siamo tuttora. Mi viene in mente

questo adesso perché siamo ancora ben lontani, soprattutto in Italia, dall’essere tornati ai livelli di vita precedenti al più grande fallimento nella storia degli Stati Uniti. E anche quando l’economia sarà ripartita, non solo non sarà l’anno prossimo, ma entreremo in una diversa forma di benessere. Questa perdurante incertezza è però una notevole opportunità per

Tartara di manzo con interpretazione dei formaggi della Valtellina, fiori e colori dello chef Antonio Borruso (photo © Brambilla–Serrani per Identità Golose).

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fare impresa per chi si affaccia sul mondo del lavoro adesso. Con le tanto invocate riforme strutturali, sono certo che i giovani avranno diverse opportunità per farsi finanziare da enti, regioni, ministeri, fondi europei, istituti di credito che dovranno rinunciare a nutrirsi di egoismo. Le parole d’ordine più attuali sembrano essere bellezza e coraggio. Io ci aggiungo determinazione. Si deve sognare, ma anche dannarsi perché i sogni diventino realtà, combattendo tutto quello che ha zavorrato e quasi affondato il sistema Italia. Se si arranca nelle retrovie dell’economia mondiale, in crisi anche come meta turistica, è per anni e anni di ruberie, furbizie, egoismi e mancanza di futuro per le nuove generazioni. (...) Se siamo ancora qui ad evocare la grande crisi economica è proprio per la sua grandezza e profondità. Non puoi fare i conti senza di essa e, allora, meglio aggredirla con nuove idee che scendere sempre più in basso con offerte che guardano solo al risparmio e non alla qualità di quello che viene servito. Come Italiani abbiamo dimostrato di saperci adattare e reinventare, creando locali a più volti che cercano di catturare clienti ad ogni ora del giorno e della notte, brioche la mattina e cocktail la sera. Però dietro ai primi che aprono la via, si infilano tanti mediocri orecchianti. Prendiamo la pizza gourmet. Lo hanno capito tutti che condividerne alcune con gli amici fa solo piacere. Se esistono i menu degustazione al ristorante, perché non anche in pizzeria? Però non si tratta solo di un modo diverso di servire, è diverso il concetto stesso di pizza. Ma chi non ha tempo e conoscenze si limiterà all’apparenza e la pizza plasticosa di prima rimarrà tale e quale, pronta a lievitarti nello stomaco. Non è che servendola a spicchi cambia la sua struttura. Più la crisi perdurerà e più il settore dovrà essere di esempio positivo, senza perdere troppo tempo con accuse e lamentele. Verrà il giorno che anche noi sapremo fare sistema, non è poi difficile visto quante nazioni sono brave come la Francia nella loro promozione. E magari non hanno tante eccellenze come noi.

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In alto: Bruno Barbieri al microfono di Tinto, uno dei conduttori di Decanter. Al centro: selfie con Massimo Bottura. In basso: Paolo Marchi e Claudio Ceroni, fondatori e curatori di Identità Golose, e Giulia Corradetti (photo © Brambilla–Serrani per Identità Golose).

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Animelle glassate, carciofi alla brace e menta cornuta di Enrico Bartolini (photo © Brambilla–Serrani per Identità Golose). Un giorno capiremo anche noi che per farsi belli, tra turismo e agroalimentare, bisogna sfruttare anche la fama dei nostri chef e dei nostri prodotti. E bisognerebbe capire che un conto sono le eccellenze da prendere a esempio perché diventino forza trainante e un altro il tran tran quotidiano. Un esempio: René Redzepi, da noi premiato nella prima edizione della Guida Identità Golose, quella datata 2008, ha imposto all’attenzione del mondo muschi e licheni. In Danimarca ne sono giustamente orgogliosi, però non c’è la coda davanti al Noma così come tutti continuano a prediligere uno Smørrebrød, la fetta di pane di segale imburrata e rivestita di qualsiasi cosa uno abbia a portata di mano. Idem in Italia con pasta e lasagne, margherite e cotolette, solo che i più si rifiutano anche solo di provare a capire la forza dirompente che i nostri grandi cuochi eserciterebbero se solo messi nelle condizioni di agire e vivere e non solo difendersi e sopravvivere, magari andandosene all’estero.

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E mentre assisto al via vai ai check-in degli aeroporti dei nostri chef che vanno a fare stage a Copenaghen, penso che debba cambiare la mentalità anche dei giornalisti che avranno un compito sempre più arduo: crollata la carta stampata, con il web in cerca di una vera, importante dimensione economica — perché senza ricavi non fai tanta strada — un tempo bastava leggere la Michelin per avere una mappa con la quale muoversi. Ora quel tipo di ristorazione, esclusiva e dorata, è in sofferenza, si affacciano nuovi protagonisti in paesi e continenti fuori dall’Europa ben più difficili da monitorare. E poi marcia brillantemente la cosiddetta cucina della salute piuttosto che le insegne vegetariane e vegane, snobbate regolarmente dalla critica tradizionale. In futuro bisognerà sapere giudicare nuove forme, senza più liquidarle con battute ormai superate e inattuali. Chi va per locali cercando ori e foie gras, capirà ben poco del nuovo. Questa sarà una gran bella sfida anche per noi di Identità che

al tema ci dedichiamo da tempo con diversi appuntamenti tra il congresso di Milano e il mondo. Fermo restando che pesce e carne non spariranno dalle nostre tavole”. Tra i distributori dell’edizione 2015 Selezionare i migliori prodotti alimentari da tutto il mondo è per Selecta Spa obiettivo primario. Da più di 20 anni, infatti, l’azienda di Occhiobello (FE) porta prodotti eccellenti sulle tavole dei ristoranti migliori d’Italia: gli inimitabili foie gras di Rougié, il caviale Caviar house–Prunier, il salmone affumicato Balik e Loch Fyne, l’Iberico de bellota di Sánchez Romero Carvajal, le ostriche Cadoret, il baccalà Rafols… Lo stand Selecta si è distinto anche in questa edizione per la creatività e la bontà delle proposte. Anche la Wörndle InterService di Bolzano ha partecipato nuovamente al Congresso, confermando il suo ruolo al servizio di grandi chef. L’azienda altoatesina vanta quasi 50 anni di attività, nel corso dei quali ha portato

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“LUI” & “LUI” armonia di sensi e sapori

Renzini S.p.A. Via Dante Renzini, 2 06019 Montecastelli (PG) Tel. +39 075 9418611 - fax +39 075 9418672 | www.renzini.it - info@renzini.it “LUI” il prosciutto di Norcia 18 e 24 mesi


bontà da ogni angolo del globo nelle cucine dei ristoranti della Penisola. Un’altra realtà leader nella distribuzione del food presente a Milano è quella del Gruppo Quartiglia di Roseto degli Abruzzi (TE): l’azienda, di recente completamente rinnovata, attraverso il nuovo progetto Quartiglia Go permetterà una sempre più tempestiva e capillare distribuzione della merce su tutto il territorio italiano, unendo qualità del prodotto a logistica distributiva. La macelleria Zivieri di Monzuno (BO), da qualche anno presenza fedele al Congresso, ha sviluppato una filiera della selvaggina cacciata per riportare nelle cucine carni dimenticate e non sempre di provenienza italiana come quelle di cinghiale, capriolo, daino e cervo.

Salumi e formaggi: presenti! Immancabile all’appuntamento di Paolo Marchi è anche Massimo Spigaroli, che ha portato con sé da Polesine Parmense le classiche specialità di Antica Corte Pallavicina, culatelli, capicolli, strolghini, coppe e salami, come l’Antico Spigaroli. In tema di latticini, erano presenti diversi consorzi di tutela di grandi formaggi italiani: organizzato dai Consorzi Asiago, Gorgonzola, Mozzarella di Bufala Campana e Pecorino Sardo DOP e finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, dal palcoscenico di Identità è stato lanciato il progetto “La DOP fa scuola”. Per l’occasione, lo stand dei Grandi Formaggi DOP era allestito come un’aula scolastica, dove

imparare ed assaggiare le eccellenze casearie nostrane. Non solo food La tre giorni milanese si è dimostrata sempre più contenitore di tutto ciò che ruota attorno alla ristorazione e alla tavola più in generale. Numerose le aziende e le iniziative attente alle problematiche della sala. Da un’idea di Joe Bastianich e della fashion designer Chiara Mosti, è nata Mise en Place, il cibo diventa arte, un progetto 100% italiano dedicato a moda, arte e cucina che coinvolge 12 chef uniti per una raccolta fondi il cui ricavato sarà devoluto alla Onlus Mani Tese (miseenplace.eu). >> Link: identitagolose.it

Gli chef entrano al Ministero con il primo Forum della cucina italiana Lo scorso 2 marzo si è svolto, presso la sede del Palazzo dell’Agricoltura, il primo Forum della cucina italiana. L’incontro, convocato dal ministro Maurizio Martina e coordinato da Paolo Marchi, ha visto la partecipazione di alcuni tra gli chef più importanti del panorama italiano. «Dobbiamo essere consapevoli della straordinarietà della nostra cucina che rappresenta — ha commentato Martina — già un grande attore economico e che ha ancora potenzialità formidabili da esprimere. Per farlo dobbiamo passare dall’esperienza individuale ad un vero e proprio progetto collettivo, che possiamo collegare in modo diretto a un evento eccezionale come Expo 2015. Faremo vivere agli altri Paesi partecipanti la nostra realtà incredibile enogastronomica non solo come fatto identitario, ma anche come leva straordinaria del sistema Italia. La ricchezza del nostro patrimonio gastronomico e le tante professionalità, la passione e il genio dei nostri chef saranno protagonisti del racconto del nostro Paese anche oltre l’Esposizione di Milano». Anche su questo fronte dobbiamo imparare a fare squadra, ha poi proseguito il ministro, partendo da un obiettivo comune: portare in alto la cucina italiana. «Abbiamo discusso con gli chef di alcuni dei punti fondamentali per il settore: dalla formazione scolastica al rapporto con la pubblica amministrazione, dal tema del lavoro a quello dell’internazionalizzazione e della tracciabilità dei prodotti sia all’interno dei confini italiani che all’estero. La lotta alla burocrazia inutile va fatta anche in cucina, così come diventa decisivo saper comunicare meglio i grandi passi avanti fatti dall’Italia. Abbiamo talenti straordinari, dobbiamo valorizzarli meglio e far sì che diventino ancora di più ambasciatori anche della nostra agricoltura. Tutte questioni che affronteremo in un secondo appuntamento del Forum, che si terrà il prossimo luglio proprio a Expo e che coinvolgerà non solo altri chef, ma anche altri Ministri del governo proprio per avanzare nel lavoro». Al primo Forum della cucina italiana erano presenti tra gli altri: Massimo Bottura, Carlo Cracco, Franco Pepe, Antonia Klugmann, Pietro Zito, Claudio Liu, Marco Reitano, Ugo Alciati, Cesare Battisti, Moreno Cedroni, Pietro Leemann, Enrico Cerea, Aurora Mazzuchelli, Antonio Santini, Norbert Niederkofler, Niko Romito, Gennaro Esposito, Corrado Assenza, Pino Cuttaia, Cristina Bowerman, Simone Padoan, Gianfranco Vissani, Antonello Colonna, Fulvio Pierangelini, Igles Corelli.

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Haripro, leader in Italia nella produzione di proteine e aromi naturali, fornisce le pi첫 importanti aziende produttrici di ingredienti per la salumeria. Haripro grazie ad una continua ricerca, ha sviluppato negl'anni prodotti sempre pi첫 all'avanguardia, come proteine funzionali ed aromi naturali anallergici ad alto valore nutrizionale. Haripro is a leading producer of proteins and natural flavours in Italy. It supplies the most important Companies which blend ingredients for the meat industry. Haripro, thanks to a continuous research, had developed through years more advanced products like functional proteins and hypoallergenic natural flavours with high nutritional value.

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Pitti Taste, 10 anni e non sentirli

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e volete scoprire alcuni tra i produttori più esclusivi e selezionati dell’artigianato agroalimentare di qualità all’interno di una cornice curata nei più piccoli dettagli, tra comunicazione, grafica e allestimenti creativi, allora non vi resta che segnare sull’agenda del prossimo anno l’appuntamento con Taste, il salone fiorentino dedicato alle eccellenze del gusto,

dell’Italian lifestyle e del design della tavola. L’edizione 2015, che celebra il decimo anno di vita dell’evento, ha avuto luogo da sabato 7 a lunedì 9 marzo. Taste è un appuntamento che ancora una volta ha confermato la propria identità personalissima nel panorama di questo genere di manifestazioni. Nato dalla collaborazione di Pitti Immagine con il giornalista Davide Paolini, Pitti Taste 2015 ha

presentato i prodotti e le novità di 320 aziende, selezionate tra le migliori produzioni di nicchia italiane, all’interno degli spazi della Stazione Leopolda e nell’area Alcatraz, allestiti dall’architetto Alessandro Moradei: dalle paste lavorate a mano dai più importanti pastifici italiani alla bresaola di suino, ai fagioli zolfini al tartufo, al sugo baccalà e zafferano e al fegato di pescatrice, fino ai cioccolatini ripieni

L’interno della Stazione Leopolda che ha ospitato la decima edizione di Pitti Taste (photo © AKAstudio-collective).

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1) Taglio a coltello del prosciutto Renieri da Poggibonsi, Siena (photo © AKAstudio-collective). 2) Culatello di Zibello Dop dell’Azienda Agricola Bré del Gallo di Fontanelle di Roccabianca (PR). 3) L’Acetaia Giuseppe Giusti di Modena. 4) La ’nduja, straordinario prodotto calabrese dell’Artigiano della Nduja di Spilinga, Vibo Valentia. 5) Lo stand del Caseificio Il Fiorino di Roccalbegna (GR).

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1) Il pecorino del Caseificio Fattoria Buca Nuova di Siena. 2) Il Salumificio Artigianale Thogan Porri di Casa Cucchi (PV) ha portato a Taste il salame di Varzi Dop. 3) Sue Ellen Mannori e collaboratori della Macelleria Salumeria Mannori di Prato. 4) Dalla Macelleria Zivieri di Monzuno (BO) Aldo e Fabrizio Zivieri insieme a Lorenzo Biagioni. 5) I formaggi de La Casera di Verbania.

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1) La Macelleria Salumeria Giacobbe di Sassello (SV) propone molti salumi tipici liguri, oltre al battuto di lardo con gli aromi, l’estratto di manzo per il brodo, la testa in cassetta con le mele, la spalla cruda e la pancetta cotta. 2) Castelmagno dell’azienda familiare La Meiro. 3) Prosciutto di Parma Gran Riserva 24 mesi Casa Graziano di Tizzano Val Parma (PR). 4) Mortadella classica Bonfatti della Negrini Salumi di Renazzo, Ferrara (photo Š www.scattidigusto.it).

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1) Il Consorzio di tutela del Bardolino (photo © AKAstudio-collective). 2) Aceto Balsamico di Modena Igp della società agricola Acetomodena. 3) Prosciutto di Parma “Al Naturel” e “Profumo Antico” di Italgroup Alimentari di Traversetolo (PR). 4) Acetaia La Bonissima della famiglia De Pietri di Casinalbo (MO). 5) I salumi artigianali della Villani Salumi di Castelnuovo Rangone (MO). 6) Prosciutto cotto “Cotto ’60” di Branchi Prosciutti, Felino (PR). di passito, passando per la confettura di peperoncino e la birra alle ostriche. Un viaggio dei sensi e delle idee, alla scoperta dei tanti modi in cui oggi si esprime e si sperimenta il gusto, attraverso le più diverse e originali tendenze e scuole di pensiero, attrezzature e tecniche professionali, food & kitchen design (area Taste Tools).

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Con uno spazio speciale, il Taste Shop, che in tre giorni ha totalizzato quasi 23.000 prodotti venduti. «Taste è sempre di più l’appuntamento di riferimento per gli operatori dell’alta gastronomia e della ristorazione e per il pubblico di appassionati di cibo di qualità» ha dichiarato Agostino Poletto, vicedirettore generale di

Pitti Immagine durante la giornata inaugurale. «Perché Taste ad ogni edizione è palcoscenico per le nuove idee, quelle che faranno discutere e diventeranno gli stili di vita di domani. Perché Taste presenta non solo “il meglio del meglio” del cibo italiano di qualità, ma ne esalta il suo grande valore nel sistema culturale: perché

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1) Prosciutto Saint Marcel tagliato a coltello. La particolare morsa in foto permette di tagliare la carne contro vena, esaltando al meglio le caratteristiche del prodotto. 2) La ventricina teramana presentata da Fracassa Salumi, affinata con il miele e insaccata in budello naturale. 3) Pecorini senesi a latte crudo Caseificio Pinzani di Volterra (PI). 4) Selezione del Frantoio Franci di Montenero d’Orcia Grosseto (photo © www.scattidigusto.it). il cibo è una cosa seria, ma al tempo stesso è fatto di idee, spettacolo e divertimento». I dati di chiusura dell’evento parlano di oltre 4.500 tra buyer e operatori del settore. Tra i compratori esteri, arrivati a Firenze da oltre 40 paesi del mondo, in cima alla top 10 c’è la Gran Bretagna, seguita da Germania, Stati Uniti, Francia, Giappone, Spagna, Svizzera, Russia, Norvegia e

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Olanda. Ottime performance anche per mercati in crescita del Far East (Hong Kong e Singapore) e per le presenze dagli Emirati Arabi. «Abbiamo spinto strategicamente sul fronte dei compratori e degli operatori, cercando di affinare il format di Taste per renderlo sempre più attraente per i professionisti dell’enogastronomia di fascia alta» ha sottolineato Poletto. «I nostri espositori ci hanno confer-

mato la validità di questa scelta, di aver incontrato buyer di altissimo profilo, i grandi department store, i più importanti food store e i distributori di enogastronomia di nicchia, sia italiani sia esteri, arrivati qui per fare ordini e avviare concrete collaborazioni di business». >> Link: www.pittimmagine.com/ corporate/fairs/taste.html

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Tuttofood, opportunità e sinergie con Expo 2015

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na superficie totale di 180.000 m 2 distribuita su 10 padiglioni, 4 in più rispetto al 2013: al Salone dell’Agroalimentare organizzato da Fiera Milano, in programma dal 3 al 6 maggio prossimi, saranno circa 2.500 le aziende espositrici provenienti da settori specifici ma sinergici che coinvolgono tutti i comparti della filiera insieme alle istituzioni locali provenienti da tutta Italia per un’edizione che si preannuncia intensa e ricca di novità. Tra i settori più vitali presenti in fiera si segnalano quelli dedicati a “Carne e salumi”, in forte crescita anche quest’anno e con aziende leader di mercato come Rovagnati, Beretta, Citterio, Fiorucci e Golfera. Interessante si preannuncia anche il comparto del “Dolciario”, Dolce Italia, a cui parteciperanno tra gli altri Caffarel, Galbusera, G.Cova & C., Balocco, Corsini Biscotti. All’interno dei comparti ormai “classici” per il Salone sono numerose le conferme di leader come Parmareggio, Galbani, Latteria Montello, Latteria Soresina, Parmalat e

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Zanetti per il “Lattiero-caseario”, mentre il “Multiprodotto” (che occupa tre padiglioni, il doppio rispetto al 2013) presenterà tra i suoi protagonisti Noberasco, Petti, Gruppo Lo Conte, Saclà, Pedon, Urbani Tartufi, Divella, Olio Dante, Amica Chips. Tra i tanti nomi di spicco si possono anche segnalare, McCain, Fresystem, Surgital, Italpizza, Rispo, presenti tra le aziende del settore “Surgelati”, e Metro, Partesa e Marra tra i grandi nomi della Distribuzione. Anche l’HORECA, comparto già molto sviluppato nelle edizioni precedenti, vedrà aziende leader come Riso Gallo, Conserve Italia, Sammontana, Galbusera, Illy, Nestlé, (Nestlé Professional, Nespresso, S. Pellegrino), San Benedetto Kimbo, Forst, Sammontana e metterà in campo un interessante ampliamento dell’offerta grazie alla collaborazione con Venditalia, con una sinergia unica in Europa con il mondo del vending. Se poteva essere prevedibile il successo e la crescita di comparti già presenti e “fidelizzati” a Tutto-

food, hanno dimostrato una risposta importante le aziende ospitate in spazi nuovi o meno presenti nelle scorse edizioni della manifestazione: così, il settore “Green food” ha triplicato i volumi grazie ad un’area dedicata che verrà completata da uno spazio show-cooking e che vedrà tra gli espositori protagonisti Alce Nero, Riso Viazzo, Demeter e Bontà Viva. Infine, novità assoluta, ma importante per un Paese come il nostro che vede nella pesca una risorsa tradizionale e ancora significativamente presente, il debutto dell’area dedicata ai “Prodotti ittici”, con realtà come Fiorital, Finpesca, La Nef, Riunione e Laberie e la presenza di uno spazio show-cooking che ospiterà interessanti dimostrazioni. Sul versante dei visitatori, in manifestazione, oltre ai 1.200 hosted top buyer scelti attraverso un’attenta profilazione che garantirà incontri produttivi direttamente allo stand, con ottimizzazione dei tempi e il massimo rendimento dei contatti, si aggiungeranno più di 11.000 buyer attesi.

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La sinergia con Expo 2015 Occasione unica di visibilità internazionale per le aziende e i visitatori presenti in manifestazione, è quella offerta da Expo Milano 2015, che aprirà il 1o maggio e sorgerà a pochi passi dal quartiere espositivo. Proprio domenica 3 maggio, Tuttofood sarà presente all’interno del Padiglione Italia di Expo Milano 2015, dando il via ad un legame profondo che caratterizzerà tutta la manifestazione. Infatti, grazie alla collaborazione con Expo, gli espositori in fiera, dopo la chiusura serale nei giorni del salone, avranno l’opportunità esclusiva di visitare l’Esposizione Universale. Inoltre, Fiera Milano offrirà alle aziende espositrici la possibilità di incontrare direttamente in fiera le delegazioni commerciali che nel corso dei mesi visiteranno l’Esposizione Universale con il progetto “Expo Business Matching”, che selezionerà i profili più interessanti per le aziende di Tuttofood, creando un’agenda di incontri mirati. Ma incontrarsi, per gli operatori, non è utile soltanto per fare business, ma anche per formarsi, aggiornarsi, mettere a valor comune esperienze e successi e scoprire nuove possibili strategie vincenti. Così, proprio per accrescere il know-how dei visitatori di Tuttofood, oltre che per valorizzare le aziende presenti, saranno realizzate speciali iniziative dedicate alla qualità in partnership con realtà leader. Tra queste, tre interessanti concorsi: grazie a IPSOS verrà scelto il prodotto più innovativo, con Qualivita si scoprirà il prodotto certificato di maggior qualità, mentre ASS.I.CA. organizzerà uno speciale “educational” dedicato all’Alta Salumeria. Ancora in fase di definizione il calendario di Tuttofood Academy, che completerà l’esperienza di visita con convegni e dimostrazioni per offrire ai visitatori le conoscenze più attuali e contatti altamente strategici per il loro business. Tuttofood la trovate anche sui social, in particolare su twitter — @TuttoFoodExpo, #Tuttofood2015 — e FB, www.facebook.com/TUTTOFOOD >> Link: www.tuttofood.it

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Selezione Modena, il progetto Lapam-Licom per la promozione delle eccellenze enogastronomiche del territorio In vista di Expo 2015, Lapam Confartigianato di Modena e Reggio Emilia ha avviato un processo di aggregazione e coordinamento di diverse realtà economiche di eccellenza, volto ad attrarre i visitatori che decideranno di far tappa nel cuore dell’Emilia per scoprirne la bellezza e le peculiarità gastronomiche. A questo proposito, nei giorni scorsi è stato presentato il progetto “Selezione Modena, eccellenze alimentari e turistiche in rete”, un’aggregazione di 30 imprese locali che coinvolge imprese turistiche, agriturismi e attività della produzione e trasformazione di prodotti agroalimentari. Grazie all’accordo che Lapam ha stretto con il Consorzio Produttori Antiche Acetaie di Vaciglio (MO), le imprese alimentari potranno esporre i propri prodotti artigianali all’interno degli spazi del Consorzio, creando una Hub-vetrina fisica permanente. «Il progetto mira ad aggregare le aziende del territorio per creare una vetrina di eccellenze alimentari per tutta la durata dell’Expo 2015 e fino al 31 dicembre 2015» ha sottolineato William Toni, presidente comparto Agroalimentare di Lapam. «È stato realizzato un sito internet dedicato, www.selezionemodena.it, con immagini e descrizioni delle imprese aderenti, proposte di itinerari enogastronomici (visite all’Hub, a cantine, acetaie e caseifici), collegamenti con siti delle più importante attrazioni turistiche e culturali di Modena e provincia». «Questo progetto e importantissimo per la nostra provincia — ha commentato Mario Gambigliani Zoccoli, presidente del Consorzio Produttori Antiche Acetaie — perché permette a tante piccole aziende del territorio di promuovere le proprie eccellenze in uno spazio dedicato nella nostra struttura. A Vaciglio, infatti, è stato predisposto uno spazio espositivo dedicato alle aziende alimentari rappresentanti le varie tipologie di prodotti tipici del territorio modenese, da Mirandola a Zocca fino a Montefiorino e Fanano. Questa rete di 30 imprese che compone un intero paniere di prodotti trova qui la sua vetrina permanente in occasione di Expo 2015». All’incontro di presentazione ha partecipato l’APT Servizi Emilia Romagna che, in collaborazione con le agenzie di viaggi aderenti all’iniziativa, promoverà i pacchetti turistici per i visitatori del nostro territorio. Modena sa farsi ammirare per i tesori architettonici, patrimonio UNESCO, sa accogliere grazie alla cucina e alla vita culturale, sa affascinare per quel misto di innovazione e tradizione che la caratterizza. Il visitatore può farsi coccolare a tavola dal gusto dell’aceto balsamico tradizionale accompagnato dalle tipicità, può passeggiare per le raccolte vie del centro o in Piazza Grande; può restare assorto di fronte alla mistica bellezza del Duomo o affascinato dalle meraviglie dell’ingegneria automobilistica di Ferrari e Maserati.

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Acetaia di Giorgio Acetaia Gambigliani Azienda Agricola Acetaia La Cà dal Non Acetaia Villa San Donnino Agenzia Snack Travel Agriturismo Aggazzotti Aia Vecchia Azienda Agricola Zanasi Caffè Borghi

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Cantina Formigine Pedemontana Caseificio 4 Madonne Distilleria Caselli 1860 Gigi Il Salumificio Hotel Central Park Hotel Daunia I Rodi Il tartufo italiano di L.D Jolly Prosciutti Opera 02 Agriturismo

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Panificio Zocchese Pasticceria Busuoli Pasticceria del Cimone Prosciuttificio Leonardi Ristorante Antica Moka Ristorante da Danilo Sapori dell’Appennino Torte Gualmini Trattoria Aldina Una Hotel

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Vino

Vinitaly 2015, annata speciale ad un soffio da Expo di Laura Franchini

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iù di 4.000 espositori presenti, operatori specializzati da 140 paesi e delegazioni commerciali da 52 nazioni, oltre 150.000 visitatori, 576.000 bottiglie stappate, 2,8 tonnellate di tappi di sughero, 200.000 tonnellate di vetro, 130.000 i bicchieri utilizzati. Sono questi i numeri di Vinitaly 2015, svoltosi dal 22 al 25 marzo in contemporanea a Sol & Agrifood, rassegna dell’agroalimentare di qualità, ed Enolitech, salone dedicato alle tecnologie per la viticoltura e l’olivicoltura. Il Salone dei vini e dei

distillati più importante del mondo, perché senza dubbio Vinitaly rappresenta la manifestazione massima del settore, è giunta alla vigilia delle sue nozze d’oro non senza polemiche. L’edizione 2015 è stata infatti anticipata di due settimane rispetto alla collocazione abituale, facendola così iniziare a pochi giorni del termine di un’altra kermesse fieristica decisamente importante, ProWein di Düsseldorf. Questo non solo ha costretto gli espositori ad un estenuante tour de force, ma ha anche limitato l’avvento dei buyers dal Nord Euro-

pa, che hanno in netta maggioranza optato per la manifestazione tedesca. A questo si sono, ancora una volta, aggiunti i problemi tipici ed oramai ben noti di Vinitaly: viabilità in stallo, parcheggi impossibili, code chilometriche, mancanza di mezzi e di navette, linee telefoniche e web intasate, bagni off limits e anche furti presso alcuni espositori. Insomma, Vinitaly è unico ed insostituibile, ma la mancanza di miglioramenti e di reazioni alle tantissime polemiche degli ultimi anni lascia certamente l’amaro in bocca agli addetti ai lavori.

Oltre 150.000 visitatori, operatori professionali da 140 Paesi, ben 20 in più rispetto al 2014: sono alcuni dei numeri del successo di questa edizione di Vinitaly (photo © Ennevi – Veronafiere).

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Lo stand del Consorzio Vino Chianti (photo © Ennevi – Veronafiere). Una presenza istituzionale importante È stato il Ministro Martina ad inaugurare la 49a edizione del salone, insieme al presidente di Veronafiere Ettore Riello, al sindaco di Verona Flavio Tosi, al presidente della Provincia di Verona Antonio Pastorello e al presidente della Regione Veneto Luca Zaia. «Siamo protagonisti del piano straordinario per l’internazionalizzazione che vedrà proprio l’agroalimentare al centro delle iniziative» ha dichiarato il ministro per le Politiche Agricole. Il comparto vinicolo è infatti decisamente importante per il made in Italy, rappresentando ben 14 miliardi di euro di business. «Il settore vitivinicolo è un patrimonio fondamentale per l’Italia, con oltre 14 miliardi di euro di fatturato e migliaia di aziende che rappresentano la ricchezza dei nostri territori. Vogliamo aiutare queste esperienze a crescere, liberandole dai lacci burocratici che le hanno appesantite in questi anni. In questi dodici mesi abbiamo messo in campo un’operazione di semplificazione che ha portato alla dematerializzazione di 64.000 registri, al taglio

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di burocrazia inutile e che ha iniziato davvero a mettere la pubblica amministrazione al servizio delle aziende. Abbiamo anche approvato il tanto atteso decreto per i diritti d’impianto e siamo stati protagonisti del piano straordinario per l’internazionalizzazione che vedrà proprio l’agroalimentare al centro delle azioni». Martina ha poi

aggiunto: «Vinitaly rappresenta un passaggio fondamentale di avvicinamento all’evento di Milano, dove con il Padiglione del Vino potremo esaltare per 6 mesi l’esperienza vitivinicola italiana». «Questa edizione di Vinitaly è stata caratterizzata da una presenza istituzionale molto importante — ha

Preziosa opportunità di business «Abbiamo registrato grande soddisfazione da parte degli gli espositori, per la capacità di Vinitaly di migliorare di anno in anno il numero di buyer esteri e la qualità dei visitatori, mantenendo alto il numero dei contatti, tanto che aziende private di grande rilevanza hanno già sottoscritto rinnovi triennali per le prossime edizioni» ha detto Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere, a chiusura del salone. «I grandi mercati di USA e Canada da soli rappresentano il 20% degli oltre 55.000 visitatori esteri. L’area di lingua tedesca, Germania, Svizzera e Austria, si conferma la più importante con il 25% delle presenze, il Regno Unito è al terzo posto con il 10%, seguono in termini numerici i buyers dei Paesi Scandinavi e quelli del Benelux». Nella top ten dei Paesi, impressiona la crescita della Francia, che precede il Giappone, mentre Cina, Hong Kong e Taiwan si collocano all’ottavo posto. La Russia, nona, è l’unica in controtendenza come conseguenza della difficile situazione geopolitica in atto. Chiude al decimo posto il Brasile. In aumento le presenze da altri Paesi dell’Unione Europea, in particolare da Polonia e Romania.

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1) Lo stand dell’azienda Bacio della Luna di Vidor (TV) che ha presentato a Vinitaly il nuovo Müller Thurgau. 2) «Per noi è stato un bel Vinitaly, con molto interesse per i vini della Valpolicella e l’opportunità di celebrare il Campofiorin, il vino inventato da mio nonno cinquant’anni fa» ha dichiarato Alessandra Boscaini di Masi Agricola, Gargagnago di Valpolicella (VR). 3) Nello stand di Cantina della Volta di Bomporto (MO) Angela Sini e collaboratori.

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1) Graziella Pezzi, donna del vino, manager e proprietaria dell’azienda vitivinicola Fattoria Paradiso di Bertinoro (FC). 2) Alessio Bompani della Cantina Garuti di Sorbara (MO). 3) Andrea De Sanctis della De Sanctis bio di Frascati (Roma). L’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica, in apertura della fiera, ha ricordato che consumatori di vino biologico sono in costante aumento. 4) Giovanna Freno, titolare della distilleria Il Mallo di Pozza di Maranello (MO).

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1) L’Azienda vinicola Mionetto, storica cantina di Valdobbiadene, presente in fiera con l’anteprima assoluta dell’innovativa Avantgarde Collection. 2) Lo stand del Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano. 3) Ermi Bagni e Pierluigi Sciolette, rispettivamente direttore e presidente del Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi. 4) Il Prosciuttificio-Salumificio Antica Foma di Nonantola (MO).

La rete internazionale di personaggi e opinion leader pronti a veicolare i principi legati al tema cardine dell’Esposizione Universale si arricchisce di un nuovo testimonial: Joe Bastianich diventa Ambassador di Expo Milano 2015. «L’evento rappresenta una potenzialità incredibile, non solo in America se ne parla tanto. Recentemente sono stato a Singapore e a Hong Kong, tutti parlano di questo appuntamento a Milano», ha detto Bastianich a Verona in occasione di Vinitaly. Secondo il giudice “cattivo” di Masterchef Italia, nel nostro Paese «è più difficile aprire un ristorante perché gli Italiani sanno cosa, dove, come mangiare. Gli Italiani proteggono, giustamente, il proprio patrimonio di prodotti alimentari, di artigianato, le cose che respirano l’aria italiana. Per questo siete più “chiusi”, e sono gli altri a proporre la vostra cultura nel mondo». Nato a New York il 17 settembre 1968, Bastianich è figlio d’arte: mamma Lidia, nata a Pola, è un’icona della cucina negli States. «Il tema del cibo oggi è importantissimo» ha dichiarato ancora l’eclettico imprenditore statunitense, apprezzato a livello internazionale, che ha ammesso che ammesso che il suo piatto preferito sono gli spaghetti al pomodoro. «Bisogna far passare il messaggio che nutrirsi tutti, in maniera corretta ed equilibrata, è un diritto, e non un privilegio. Noi del settore della ristorazione, poi, abbiamo la responsabilità di comunicare questo messaggio, perciò sono molto contento di diventare Ambassador di Expo 2015. Il mondo verrà qui e Milano è il posto perfetto per accoglierlo».

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1) Le specialità di alta norcineria Renzini di Montecastelli (PG). Tra gli originali abbinamenti proposti al Vinitaly segnaliamo l’Élite di cinghiale in agrodolce con bruschetta al pomodoro da gustare insieme alla novità di Cantina Museo Albea, Sol. 2) Lo stand dell’azienda Sanfelici di Piubega (MN), specializzata nella selezione di prodotti alimentari di alta qualità. 3) La Schenk Italia di Ora (BZ). 4) La Cantina Museo Albea di Alberobello (BA).

Il formaggio Blu di bufala e le paste prodotte con antiche varietà di farro e grano sono due dei 12 vincitori del Premio Golosario di Sol & Agrifood, il Salone dell’Agroalimentare di qualità che si svolge durante Vinitaly. «È questa peculiarità tutta italiana fatta di storia, tradizione, fantasia innovativa, materie prime di qualità e biodiversità alimentare ad essere da sempre la protagonista di Sol & Agrifood» ha dichiarato Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere. «Un assaggio “gustoso” e delle tematiche scelte per Expo». Molto soddisfatti gli espositori, con i birrifici artigianali e quelli di Assobirra che consolidano la loro immagine al di là delle mode. Tra i prodotti che quest’anno hanno riscosso maggiore successo c’è l’aceto balsamico e, naturalmente, anche un campione dell’agroalimentare italiano conosciuto in tutto il mondo, il Parmigiano Reggiano. «Registriamo la soddisfazione degli otto caseifici che si sono alternati in questi giorni di manifestazione» ha dichiarato Carlotta Barbieri, dell’Ufficio marketing del Consorzio «Hanno potuto sviluppare vari contatti interessanti, specie con operatori italiani. Il mercato italiano ha ancora spazi di crescita importanti per il Parmigiano Reggiano. Per noi è stato anche importante sviluppare sinergie con altri prodotti. Qui abbiamo potuto organizzare degustazioni in collaborazione con il Consorzio Valpolicella. Molto entusiasmo ha suscitato la degustazione con gli Champagne, dove abbiamo presentato Parmigiano Reggiano di varie stagionature, fino a un 132 mesi».

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L’aceto di AB Fine Foods di Carpi (MO). dichiarato Ettore Riello — segnale di un sistema che crede fortemente nel comparto vitivinicolo ed è pronto a sostenerlo per il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di crescita prefissati. Un percorso in cui Vinitaly fa e farà sempre la sua parte, come punto di riferimento per l’intera filiera, in Italia e all’estero. Per questo siamo stati scelti dal MIPAAF per la realizzazione del primo padiglione dedicato al vino nella storia dell’Esposizione Universale. Con Vino – A taste of Italy siamo orgogliosi di poter mettere a disposizione tutto il nostro know-how

maturato in oltre 100 anni di attività nell’organizzazione diretta di eventi dedicati all’agroalimentare». «Vinitaly rappresenta un momento di fortissimo impegno per la nostra città, che ha piena consapevolezza dell’importanza di questa rassegna per tutto il sistema fieristico nazionale, e che quest’anno rappresenta il biglietto da visita del nostro territorio per l’Expo» ha commentato il sindaco Tosi. «È con orgoglio che a Vinitaly porto l’espressione di un territorio che più di altri rappresenta la migliore vitivinicoltura» aggiunge Antonio

Pastorello. «La Provincia di Verona, infatti, conta 8.500 aziende impegnate nel settore, pari al 33% della produzione veneta e a più del 5% di quella nazionale. Nel Veronese quasi il 50% della produzione, ovvero più di 1.400.000 ettolitri di vino, è DOC o DOCG. Verona è la prima provincia italiana per export in termine di valore, sfiorando il miliardo di euro con una quota nazionale pari al 13%». «Il Veneto è la capitale del vino e il Vinitaly lo testimonia. Una manifestazione che valorizza il vino quale autentico gioiello di un’agricoltura vocata all’eccellenza come la nostra» afferma Luca Zaia. Molto interessanti e seguite anche le attività di contorno a Vinitaly, come Opera Wine, evento organizzato nel Foyer del Palazzo della Gran Guardia di Verona, che offre agli operatori specializzati di tutto il mondo la possibilità di conoscere i 100 produttori italiani selezionati da WINE SPECTATOR, e VinitalyBio, salone specializzato organizzato realizzato in collaborazione con FEDERBIO. Restiamo allora in attesa dell’importante cinquantesima edizione di Vinitaly, con la speranza di vedere risolte le problematiche del salone e di vedere implementate le tante caratteristiche positive che negli anni lo hanno reso il salone più importante del settore vinicolo del mondo. Laura Franchini

Buttrio capitale degli autoctoni Sarà il Friuli Venezia Giulia ad ospitare la prima Fiera nazionale dei vini da vitigni autoctoni. Il titolo in sé riassume il significato di questo importante progetto promosso dalla guida Vinibuoni d’Italia del Touring. Vino e vitigno (Wine & Vine) rappresenta l’impegno della guida che, in questi primi 12 anni di attività, unica in Italia, si è dedicata a promuovere la cultura vitivinicola della Penisola in stretto rapporto con la storia e le vocazioni tipiche del territorio. Nel progetto ci hanno creduto la Regione Friuli Venezia, Ersa – Agenzia di promozione regionale per lo sviluppo rurale, il Comune di Buttrio e il Consorzio delle Doc. Il Friuli è la regione nella quale, grazie alle intuizioni della famiglia Nonino, nacque quel grande movimento di opinione che portò in seguito alla riscoperta e alla rivalutazione del patrimonio nazionale dei vini da vitigni autoctoni. A Buttrio, all’inizio degli anni ‘30 del Novecento, alcune persone, tra le quali spicca il conte Cino Florio, si impegnarono per creare le condizioni per dare maggior rilievo possibile al “fare vino” in maniera valida e efficace e per creare uno spazio di confronto e dibattito tra produttori per arrivare a qualificare sempre di più il vino prodotto, determinandone l’affermazione sul mercato. Sempre a Buttrio, e negli stessi anni, era presente un vigneto ampelografico sperimentale, creato e voluto per gli stessi motivi: studiare le varietà di vitigni presenti, catalogare e sperimentare. Durante la manifestazione, in programma dal 6 al 14 giugno, Vinibuoni d’Italia si impegnerà per creare i presupposti necessari per dare avvio al progetto di Buttrio capitale italiana degli autoctoni. In fiera saranno presenti i vini di tutta la Penisola, a disposizione del pubblico, tecnici, esperti e curiosi, ma anche occasione di incoming e luogo di incontro con i buyer.

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L’etichetta di Angelo Valentini

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l marchio, logo o brand — argomento recentemente trattato su questa Rivista — fa seguito necessariamente un altro elemento importantissimo ai fini della comunicazione visiva di un prodotto, più ampio e descrittivo, ovvero l’etichetta. Nella Francia rinascimentale con “etichetta” si intendeva quel codice cerimoniale di usi e costumi da osservare a corte. Tuttavia, il risvolto etimologico più interessante del termine risulta dal parallelismo con l’etica, di cui con-

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serva la stessa radice di origine. Per l’uomo l’etica è il proprio costume, il modo di comportarsi nella vita di relazione, quindi, di riflesso, è il modo in cui appare agli altri; l’etichetta per un contenitore (sia esso di vino, acqua o altro genere alimentare) è la sua veste, il modo di presentarsi al consumatore, il suo apparire. Ma l’apparenza è quello schermo, cui sta dietro, nascosta, la reale natura: può rifletterla, ma può anche mascherarla. Così l’etichetta potrà essere menzognera ma potrà anche

porsi a risalto delle qualità del prodotto: aggiungo io, che non sempre l’abito fa il monaco. Considerando la recente edizione di Vinitaly (lo speciale sulla fiera è a pagina 96), prendiamo ad esempio una bottiglia di vino: solo con contenuto, vetro e tappo somiglia a quell’Adamo che fu costretto ad abbandonare il paradiso terrestre “vestito” solo dei suoi capelli, della sua anima e del suo corpo. Ma le abitudini si evolvono e così come i figli di Adamo si vestono, le bottiglie

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si etichettano, mostrando in bell’evidenza la data di nascita. Dietro ogni bottiglia di vino non c’è infatti soltanto il vignaiolo e l’enologo, ma studiosi di marketing e designer, frutto di un’evoluzione della comunicazione che consente all’etichetta di far parlare il contenuto cui fa riferimento col suo dialetto, la sua lingua straniera o il suo italiano perfetto e sofisticato e di esprimere i suoi caratteri distintivi. Lo stile, il colore e l’impostazione grafica in genere rispecchiano fedelmente il casato, il luogo di provenienza e l’appartenenza ad un ceto sociale in modo identico al mondo in cui viviamo: gotiche, serie ed austere sono le etichette del Nord Europa, castellane quelle Francesi, con lo sfoggio dei loro prestigiosi Châteaux, nette precise e pulite quelle del Nord Italia, con citazioni di fattorie e castelli, capitani di ventura quelle Toscane. L’Umbria mistica è ricorsa ai toponimi dei suoi dolci colli, ai suoi pittori, Giotto, Benozzo Gozzoli, il Perugino, Gerardo Dottori, Norberto, Alberico Morena. Calde e solari quelle del Sud e delle Isole, evocanti le testimonianze delle grandi civiltà ellenistica, romana, benedettina, nuragica. Le etichette europee, specie quelle di un tempo, si caratterizzavano per la monotonia, l’austerità e la monocromaticità, abbottonate come gli abiti tirolesi, ma la globalizzazione dei mercati ha fatto sì che il made in Italy colonizzasse anche questo campo, eccezion fatta per le etichette francesi delle zone del Bordolese e del Borgogna, caratterizzate da immagini classiche e ricorrenti nel tempo. La produzione americana e l’enocultura risentono in generale dell’influenza europea, che ebbe fra

i suoi pionieri il vichingo e navigatore norvegese Leif Erikson, figlio di Erik il rosso, che nell’anno 985 d.C., sbarcando sulla costa americana, la chiamò Vinland, per la grande quantità di uva che vi trovò. Seguirono poi nel 1564 i Pilgrim Fathers, poi i Gesuiti e i Francescani che nelle missioni impiantarono le varietà vinicole europee. Poche sono le testimonianze di etichette antiche e nulle quelle arcaiche, in quanto Etruschi e Greci conservavano i loro preziosi vini nelle raffinatissime oinochoe,recipienti in bronzo e ceramica finemente istoriate e scalfite con scene dinastiche. Nella Roma del II secolo d.C. fecero la loro comparsa le prime bottiglie di foggia quadrangolare, la cui etichetta anziché riportare l’anno di vendemmia citava il nome del Console in carica. Seguirono, nel tempo, caraffe, boccali, fiaschi impagliati. Un capitolo a parte meritano le etichette appartenenti a produzioni di famiglie nobiliari. Sono blasonate quelle originali con antiche tradizioni padronali ed agricole, lo diventano quelle che per scelte di marketing, unitamente alla qualità del prodotto, fanno assurgere il nome del produttore in quella élite esclusiva che non avrebbe avuto per origine. Artisti celebri, naturalmente non astemi, hanno contribuito ad esaltare il vino vestendolo con etichette ritenute veri capolavori d’arte, tanto da alimentare un collezionismo ed un mercato milionario. Ricordo la vendemmia 1973 del Barone Philippe de Rothschild con l’etichetta di Picasso, le altrettanto famose di Marc Chagall, Henry Moore, Balthus, Andy Warhol, Vassily Kandinsky, Antoni Tapies, ed altri. Tra gli artisti di casa nostra

La giuria del 19o Concorso Internazionale di Packaging, presieduta da Alberto Alessi e svoltosi a Veronafiere in occasione del Vinitaly 2015, ha assegnato l’ambito premio speciale “Etichetta dell’anno” al Rosso Piceno Doc 2013 della Cantina dei Colli Ripani di Ripatransone (AP). come non ricordare Forattini, Alberto Fremura, Renato Balsamo, Antonio Ligabue, Mario Madiai, Annigoni… Originalissime le bottiglie vestite da Giuseppe Agozzino. Lodevole l’iniziativa della Cantina Produttori Cormons che ogni anno affida ad artisti contemporanei l’esecuzione di un’etichetta per il Vino della pace, prodotto da varietà piantate nella zona del Collio provenienti da tutto il mondo. Angelo Valentini Note A pagina 104, photo © Ron Sumners.

Un’etichetta poliglotta che parla 42 lingue differenti dedicata ad Expo 2015 per un vino — un rosso prodotto con un mix di Barbera, Croatina e uva Rara — che nasce dalle colline di San Colombano, l’unica area vitivinicola della provincia di Milano, tra la Pianura Lodigiana e la Bassa Pavese, nell’azienda agricola Nettare dei Santi (www.nettaredeisanti.it). Dallo swhaili al persiano, dal tigrino al russo, fino all’arabo, al giapponese e al cinese. «Volevamo far conoscere a quanta più gente possibile l’unico vino di Milano — ha spiegato Gianenrico Riccardi, titolare dell’azienda vitivinicola — e così abbiamo pensato ad una sorta di “etichetta globale” con raffigurato il Duomo del capoluogo lombardo».

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I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: costaiole di di Laura

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n piatto che richiama i gusti contadini, la rusticità, la tradizione. Le costaiole, o costine di maiale, sono un taglio decisamente apprezzato ed altrettanto economico, amate soprattutto alla griglia, quando, grazie al tipo di cottura, perdono parte della loro grassezza, acquistando però i sapori tipici del barbecue. Una sapiente marinatura — il termine

corretto è rabbatura — a base di paprica, pepe, aglio e cipolla dolce, renderà la costina ancora più gustosa, senza coprire la morbidezza della carne. Grazie infatti ai nuovi sistemi di allevamento, negli ultimi decenni la carne suina ha acquisito morbidezza e facilità d’utilizzo, andando a conquistare nuovi livelli interpretativi della cucina, italiana ed internazionale. Inoltre, sempre grazie

Savignone Savignôn Ravenna Rosso 2012 IGT – Poderi Morini

Merlot Colli Bolognesi Doc 2013 Manaresi

Tintilia del Molise 2011 DOC Di Majo Norante

Siamo sui ridenti e verdi colli faentini intorno alla Torre di Oriolo, nel cuore della Romagna vinicola. Un’azienda da sempre orientata ad una produzione ben riconoscibile nei tratti gustativi, con radici nella tradizione e nel recupero di gesti e dei prodotti. A quest’attitudine appartiene anche questo vino, ottenuto con uve Centesimino, vitigno autoctono del territorio al quale l’azienda Morini ha da sempre dedicato particolare attenzione. Un calice di un deciso rosso rubino con leggerissimi riflessi violacei, che regala copiose note fruttate in fase di degustazione olfattiva, prugne e ciliegie sotto spirito, note mandorlate a contorno. Circolare anche in retrolfattiva, morbido, armonico ed equilibrato, presenta una leggera nota sapida dolce ben integrata, nota tannica vellutata. Un calice pieno e seducente, che si abbinerà splendidamente ad un piatto di costine in umido, magari accompagnate da un sugo di salsa di pomodoro e peperoni e ad un piatto di polenta fumante.

Con questo vino, prodotto dalla cantina Manaresi, siamo sui Colli Bolognesi, esattamente sul Bellavista. 12 gli ettari vitati che corrono intorno al podere su questo colle dal quale, nelle giornate più limpide, si scorgono le due torri e finanche le Alpi. Il Merlot in queste terre ha messo radice da tempo, diventando quasi un autoctono. È infatti un calice di uve Merlot in purezza che scegliamo. Le uve, vendemmiate nella seconda metà di settembre, un poco oltre quello che è il tradizionale periodo di raccolta, garantiscono una maturità totale e decisa, che ritroviamo tutta nel bicchiere. Il naso è particolarmente accattivante e fine, con note di liquirizia e cioccolato, piccoli frutti rossi, goudron e speziatura a contorno. Al palato è avvolgente, morbido. Bella la trama tannica, freschezza e sapidità in equilibrio. Un calice impegnativo, di carattere, che abbiniamo senza indugi ad un piatto dal gusto indimenticabile: costine di maiale con peperoncino e fave di cacao.

La cantina Di Majo Norante, fondata nel 1968, si è dedicata con costanza alla valorizzazione dei vini molisani, ottenendo successi e riconoscimenti, commerciali e di gusto. Un’attenzione, la loro, orientata anche al recupero dei vitigni autoctoni, come in questo caso. Le uve di questo calice sono infatti Tintilia in purezza, antico vitigno molisano. Visivamente presenta un color rubino rosso intenso, fitto, con un leggero riflesso granata. Al naso sorprende positivamente ed ampiamente. Sono soprattutto note fruttate, piccoli frutti di bosco e prugne, con ricordi di erbe officinali, balsamicità, cuoio, fave di cacao e spezie. È circolare al palato, dove entra morbido, intenso, lungo per persistenza, senza aggressività. Buona la spalla acida e la trama tannica, setosa, morbidezza e calore in equilibrio. Un calice di decisa armonia, intenso. Adattissimo a piatti di carne strutturati, si presta splendidamente a costine di maiale in umido, con grani di pepe e bacche di ginepro, su fette di pane molisano.

Poderi Morini Via Gesuita 4/B 48018 San Biagio Faenza (RA) Telefono: 0546 634257 info@poderimorini.com

Manaresi Agricoltura e Vini Via Bertoloni 14-16, loc. Bella Vista 40069 Zola Predosa (BO) Telefono: 051 751491 info@manaresi.net

Di Majo Norante Contrada Ramitello 4 86042 Campomarino (CB) Telefono: 0875 57208 vini@dimajonorante.it

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maiale, i vini più adatti Franchini

agli studi e ai moderni metodi di alimentazione, ha quasi dimezzato i valori di grasso e colesterolo, aumentando invece alcune componenti positive, come il contenuto di ferro. Certo, la costaiola non è propriamente il taglio più magro del maiale, ma è anche vero che la quantità di un piatto medio non è, o almeno non dovrebbe, essere mai eccessiva, accompagnata magari da differenti verdure e

dall’immancabile quota dei necessari carboidrati, come la fumosa polenta o il purè. Sono amatissime anche in umido, modalità di preparazione che le trasforma in un piatto gustosissimo e corpulento, spesso accompagnato a vini corposi. Alle costine, diversamente interpretate, e al “naturalmente carnivoro” che c’è in noi, è dedicata la degustazione di questo numero.

Sagrantino di Montefalco D OCG Chiusa di Pannone 2007 – Antonelli

Cesanese DOC Olevano Romano Consilium 2010 – Migrante

Vino Nobile di Montepulciano DOCG 2012 Crociani

Un secolo di storia per questa cantina, da sempre impegnata nella valorizzazione del vino umbro, con un occhio di riguardo alla tradizione. Sono solo le uve provenienti dal vigneto Chiusa di Pannone, da cui il nome, a concorrere alla composizione di questo calice prestigioso. Uve che fermentano per 20 giorni ad una temperatura massima di 28°C e che svolgono poi una fermentazione malolattica in legno. L’affinamento avviene in carati da 500 litri, con una tostatura leggera, per 6 mesi, poi in botti di rovere per 15 mesi, quindi il vino è assemblato e illimpidito per 3 mesi in vasche di cemento ed infine due anni in bottiglia. Il risultato è un calice di magnifica eleganza, strutturato con garbo, al naso intenso e fruttato, marasche e vaniglia dolce, note balsamiche in lontananza, goudron e pepe nero. Si presta ai sughi di carne, a piatti anche strutturati. Noi lo consigliamo con un piatto abbondante di costine grigliate, leggermente nappate con una salsa a base di paprica, pepe e cipolla dolce.

Un calice proveniente dal Lazio, regione nota soprattutto per la produzione di vini bianchi ma che annovera anche grandi vini rossi. L’azienda Migrante si trova ad Olevano Romano, un paese noto per la produzione vinicola, immerso tra il verde di vigneti e oliveti. Questo calice, che invecchia per 12 mesi in serbatoi d’acciaio e affina in bottiglia per altri 12, è prodotto con le uve omonime, il Cesanese appunto, unico vitigno autoctono rosso del Lazio. Un vino che stupisce subito positivamente per la ricchezza del bouquet olfattivo, ampio e tenace: frutta rossa matura su ricordi di balsamicità, cuoio e speziatura verde a chiusura. Trama tannica setosa, dolce, avvolgente ed armonica tra le parti. Un calice pulito e pieno, adatto ai piatti di carne, dall’agnello scottadito alla coda alla vaccinara. Perfetto per una grigliata, è pienamente consapevole della seduzione che esercita sulla costina di maiale, cotta a brace viva e servita bollente.

Susanna Crociani ha un carattere forte e volitivo. Una donna che, con grande dolcezza, non s’arrende mai. Non si arrese quando dovette farsi forza e reagire alla perdita prima del padre, fondatore della cantina, poi del fratello Giorgio. Nata astemia, col tempo ed intelligenza ha sviluppato gusto e capacità, ma soprattutto ha affrontato fatica e sacrifici per portare avanti l’azienda di famiglia. I risultati di questa tenacia si scorgono nei suoi vini, caratterizzati da un profondo rispetto delle uve e del territorio. Il Nobile di Susanna è prima di tutto eleganza e profonda, profondissima aderenza alla tipicità. Frutta vibrante al naso, marasca e ciliegia bianca, note leggere di spezie, pepe verde, tinte verdi e ricordi dolci di cannella, in grande armonia. Olfattiva circolare, per un palato decisamente setoso ma con una buona nota fresca, è l’equilibrio e ancora una volta l’eleganza, la filosofia alla base di questo splendido calice. Una grigliata con gli amici, una chitarra e un calice pieno.

Antonelli San Marco Località San Marco, 60 06036 Montefalco (PG) Telefono: 0742 379158 info@antonellisanmarco.it

Azienda Agricola Migrante Contrada Formale Snc 00035 Olevano Romano (RM) Telefono: 06 9563583 info@migrante.it

Azienda Agricola Crociani Via Del Poliziano 15 53045 Montepulciano (SI) Telefono: 0578 757919 info@crociani.it

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Olio

Si fa presto a dire extravergine di Riccardo Lagorio

«E

ssere vergini è facile, extra è più impegnativo… Come si fa?. Ci vuole impegno, modestia, bisogna mantenere la propria purezza senza mischiarsi con le altre (olive) e senza farsi avvicinare da insetti troppo molesti». Insomma, un modello di rigore e purezza che l’ironico monologo portato nei teatri dall’avvenente Lucia Palozzi su testo di Silvano Sbarbati accosta con delicata malizia la denominazione del prodotto alla speciale bellezza di una giovane donna. Del resto ci voleva una Vergine per darci l’extravergine: i Greci attribuivano la nascita dell’albero dell’ulivo alla dea Atena, illibata figlia di Zeus. Questa si contendeva con lo zio Poseidone il diritto di dare il nome alla città più

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importante ed entrambi offrirono un dono prezioso. La scelta della giuria cadde su di lei, che fece spuntare il primo ulivo della storia, un albero carico di frutti verdissimi. Nacque così Atene. Non poteva accadere altrimenti: è in Grecia dove il consumo pro capite di olio di oliva è maggiore al mondo. Tallonata da Spagna, Italia e Marocco. Insomma: Mediterraneo. In Italia sono a dimora 250.000 di piante di ulivo che producono circa 513 milioni di litri ed un reddito di 3,2 milioni di euro, il 3% del fatturato dell’agroalimentare tricolore. Ma non tutto ciò che brilla è una stella: da anni sono certe le sofisticazioni alimentari che hanno colpito questo settore. Tuttavia, l’olio extravergine, al pari di tanti altri prodotti italiani, rimane anche un’icona della

civiltà: l’ulivo e l’extravergine presidiano la nostra storia. Poco importa che la stagione olivicola appena conclusa sia considerata tra le peggiori degli ultimi trent’anni: diamo per inalterate le caratteristiche di base di alcuni oli che abbiamo assaggiato negli ultimi anni (6 per ogni macroarea più uno sloveno, che geograficamente e sotto il profi lo organolettico si trova prossimo alla penisola) e che proponiamo ai nostri lettori. L’unico rischio, semmai, sarà quello di non poterli reperire per scarsità. Mar Mediterraneo, ma anche laghi C’è in particolare un lago intorno al quale l’albero di ulivo ha messo radici da millenni: è il lago di Garda, un imbuto rivolto verso nord sulle cui sponde bresciana, veronese e trentina

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si produce un olio che alcuni hanno defi nito il “caviale” tra gli oli extravergini di oliva. E qualcosa di simile si avverte portando al naso e alla bocca l’FS17 dell’Azienda Agricola La Meridiana di Puegnago del Garda (www.lameridianaleali.com): intensi profumi erbacei, specie di carciofo e origano, con spiccate note amare e piccanti alla bocca, lungo e leggero. L’inerbimento dell’uliveto e il metodo di lotta integrato per sconfiggere i parassiti furono adottati dai Leali oltre vent’anni fa con l’obiettivo di utilizzare il meno possibile prodotti chimici in campagna. Le olive vengono cedute per la spremitura alla Cooperativa Agricola di San Felice del Benaco, un’istituzione da queste parti alla quale affidano le proprie anche Pietro e Rita Rocca, padre e figlia, che dal 1980 crescono nel Golfo di Salò 3.000 piante di Leccino, Casaliva e Frantoio in quantità opportuna per ottenere il Garda DOP (rita-rocca@cheapnet.it). Dalle drupe raccolte sulla collina Santa Caterina l’apprezzamento va al loro olio che presenta anche una percentuale di Pendolino, caratterizzato da un profumo fresco e da una modesta piccantezza. Pesce di lago e carni bianche sono l’ideale abbinamento, specie grazie all’ammandorlato leggero: le caratteristiche climatiche e ambientali contribuiscono a conferire all’olio Garda DOP in generale la peculiarità di un fruttato medio o leggero con un retrogusto di mandorla, che lo rende unico nel suo genere e facilmente riconoscibile. Infatti, i terreni collinari rivolti verso il lago e verso sud si riscaldano facilmente a fi ne inverno, permettendo la rapida ripresa dello stato vegetativo degli olivi. Allo stesso tempo, le condizioni climatiche del lago di Garda, di tipo mediterraneo, permettono di ottenere, nelle olive e nell’olio, sapori e profumi meno intensi e più delicati di quelli ottenuti in condizioni ambientali tipiche delle zone calde più meridionali. Per le stesse ragioni anche nella parte settentrionale del lago, a Gargnano, Valerio Giacomini (oliogiacomini.com) ottiene un olio monovarietale biologico di Gargnà (dall’oliva piccola) dove nelle pieghe

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L’assaggio dell’olio si svolge in due momenti, attivando due sensi: l’olfatto ed il gusto. All’olfatto l’olio extravergine di oliva può presentare svariate sensazioni olfattive positive riconducibili a carciofo, erba verde, erba sfalciata, mela verde, mandorla, mallo di noce, pomodoro acerbo o maturo. Sono invece negative le sensazioni che ricordano le note di muffa (derivate da olive ammassate e fermentate prima della frangitura), di aceto (pure dovuto al processo fermentativo delle olive), di rancido (segnale che l’olio si sta ossidando), di cotto (le olive hanno subito un lungo riscaldamento durante il processo produttivo) o di fieno (parte delle olive frante erano secche). L’intensità degli odori può essere leggera, media o intensa e da qui derivano differenti tipologie di fruttato nell’olio. Al gusto, che si percepisce attraverso una caratteristica modalità di aspirazione, l’olio deve presentarsi armonico ed equilibrato, fragrante e soave nelle sue note amare e piccanti o astringenti (photo © www.elaceiteolivavirgen.com).

del gusto piacevolmente amarognole si insinuano lievi graffi piccanti e di mandorla dolce. Il profumo, pure caratteristico, di erba appena sfalciata, è conseguenza anche della raccolta anticipata delle drupe, all’inizio dell’invaiatura. Il frantoio all’interno dell’azienda consente una rapida lavorazione delle olive ed una innovazione tecnologica permette di separare il nocciolo dalla sansa per produrre materia combustibile ecosostenibile. Vero e proprio cru invece il San Vigilio di Turri Fratelli Srl (www.turri.

com), sulla sponda orientale del lago. L’interessante giardino dell’azienda raccoglie oltre trenta diverse varietà di olivi mentre le olive del San Vigilio, quasi esclusivamente Casaliva, provengono dall’omonima romantica penisola. Fresco, mediamente fruttato e dallo sfuggente profumo di buccia di pomodoro: caratteristiche che lo rendono di fatto unico nel panorama degli oli che nascono sulle rive del grande lago. Certo non vanta la lunga storia gardesana l’olio della Val Tidone, nel Piacentino. Eppure dal Podere Cano-

Raccolta di olive sul lago di Garda (photo © www.gardapost.it).

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Olive varietà Leccino (photo © www.luigigozzo.it). va della famiglia Gualdana (telefono: 349 5319175) escono bottiglie niente male che hanno profumo ben distinto di carciofo e mela, fi ni e fluide, dal sapore moderatamente fruttato con venature di cardo. All’estremità nord dell’area mediterranea, nei pressi di Trieste, Starec (www.starec.it) lavora per portare alla molitura un’oliva perfetta, raccolta rigorosamente a mano, senza rastrelli, attrezzi vari o mezzi meccanici. La selezione avviene per cultivar separate, altrettanto vale per la molitura e lo stoccaggio dell’olio estratto. L’olio di Bianchera, non filtrato, viene lasciato riposare in botti di acciaio inox ad una temperatura costante di 15°C per cinque mesi; solo trascorso tale periodo si imbottiglia e si immette sul mercato dopo un mese. Fa trasparire profumo profondo, sapore quasi minerale e grande adattabilità alle pietanze. Non distante, tra Capodistria ed Isola d’Istria, Vanja Dujc (www. vanjadujc.net) possiede 1.200 piante suddivise in 4 varietà (Bianchera, Leccino, Maurino e Itrana e qualche Gigiolo piranese). Poche ore trascorrono tra raccolta e frangitura, uno dei segreti per l’ottenimento di buon olio extravergine. La combinazione delle varietà permette di raggiungere un equilibrio di dolcezza ed amarezza, gusto erbaceo e fruttato apprezzato da ristoranti e da un mercato di gourmet.

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Particolari cure nella produzione vengono adottate anche da Armando Manni (www.manni.biz). Sulle colline di Seggiano, monte Amiata, vengono raccolte le olive di varietà Olivastra seggianese: a mezza costa, quelle destinate a Per mio fi glio, danno un olio setoso, dai profumi delicati ed il sapore aggraziato, perfetto per gli infanti, crudo sulla pasta e sulle minestre; in montagna, al limite di sopravvivenza dell’olivo, il Per me è raffi nato e complesso di essenze balsamiche, deciso di mandorla. L’Università di Firenze contribuisce alla loro realizzazione con una ricerca applicata e sottoscrivendone le caratteristiche nutrizionali. Olive prodotte secondo l’agricoltura biologica, al pari di quelle che entrano a far parte di Campo Millenario, olio della Società Agricola di Omero Moretti (www.morettiomero.it). Si stima che alcuni alberi dell’appezzamento in Giano dell’Umbria raggiungano un’età di alcuni secoli, forse il millennio. Di certo, monumentali: di varietà Moraiolo, Frantoio, Leccino e l’autoctono San Felice. Estratto a freddo, l’olio possiede freschezza d’erba tagliata e carciofo, bocca piccante e leggera. Utilizzo a crudo su carni bianche, molluschi e pesci alla griglia. È invece conosciuto come l’Olio del Priore quello della Cooperativa Verdolio di Cingoli nelle Marche (www.verdolio.com), poiché sorse

grazie alla volontà di 15 agricoltori della zona sostenuti dal parroco locale che divenne il fulcro della cooperativa stessa. Grazie al loro sforzo gli uliveti, costituiti da piante secolari, hanno continuato ad essere ben mantenuti e nel panorama cingolano consolidano il fascino del territorio urbano. Si deve peraltro alla cooperativa il merito di avere valorizzato la cultivar locale, la Mignola, predisposta a concedersi in un olio profumato di carciofo ed alloro, marcatamente amaro e persistente. Di Carboncella è l’olio che abbiamo preferito tra quelli dell’Oleificio Angelini di Ascoli Piceno (www. olioangelini.it). Sentori di foglie verdi, carciofo e mandorla fresca che rimandano ad un piacevole equilibrio gustativo con tenue amaro a prevalere sul piccante. Prodotto biologico l’olio extravergine de La Riserva Bio di Tuscania (www.lariservabio.it), nel Viterbese. Qui la fa da padrona la Caninese, oliva che conferisce all’olio intenso aroma fruttato, sensazioni di erbaceo e carciofo, ma anche lunga conservabilità: poco untuoso, il gusto è ravvivato da un’allegra nota piccante che sposa bene zuppe di cereali, verdure e carpacci di carne. Utilizzo, ovviamente, a crudo. Sul nostro immaginario ed affollato podio sale anche un altro olio laziale, il monocultivar di oliva Marina della Cooperativa Produttori Valle di Comino, nel Frusinate (telefono: 0776 508106). L’olio extravergine di oliva Marina esiste praticamente solo in Ciociaria e dona un succo esuberante, dalle sensazioni olfattive di maggiorana, cardo e basilico, d’amaro e piccantezza profonde. La cooperativa ne sa trarre le doti migliori. L’olio gioisce accostato al pane abbrustolito sfregato d’aglio e condito con pomodoro e sale; miracoloso con la mozzarella di bufala campana DOP: acquistano vigoria a vicenda. Si chiama invece Igante ed è un monocultivar di Nera di Villacidro quello prodotto da Marco Fantone, Tenute dell’Olivastro, a ridosso del Monte Linas, in agro di Villacidro in Sardegna (tenuteolivastro. com). Le drupe sono frante nel moderno frantoio aziendale; ne esce un

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extravergine dalle ampie note olfattive che riportano all’eucalipto e al rosmarino, una nota vegetale di erba fresca e buccia di pomodoro, con sentori di zafferano. In bocca regala un carattere straripante, carezze appena piccanti e venature disinvoltamente amare utili a condire spaghetti alla bottarga e indispensabili per il pane guttiau. Coltivazioni biologiche, quattro generazioni di agricoltori, attenzione a un mercato sempre più esigente. Sono i paradigmi intorno ai quali si muove l’Azienda Agricola Paglione di Lucera (telefono: 0881 024905), che ha da qualche anno incluso nell’impresa i due giovani figlioli, Francesca e Nicola Faccilongo, tornati in Capitanata dopo le rispettive lauree. I migliori ristoranti della Capitale, del capoluogo meneghino e di Venezia ritirano i prodotti dell’azienda lucerina, che dal 2001 in poi ha fatto del bio il suo punto di forza. Il loro extravergine di varietà Nasuta ricorda all’olfatto erbe officinali (origano e fremiti di ginepro), la bocca ampia di minerali, mallo di noce e cicoria assai discrete che lo rendono adatto a condire la pasta e i carpacci di carni, anche grigliate al sangue. Inevitabile provarlo sul pane condito di pomodoro prunill, la varietà lucerina di cui i Faccilongo si sono fatti negli anni ambasciatori.

Anche la famiglia Marchese (www.olionovaposta.com), in Capitanata, presso la località Posta Nova ad Apricena, elabora da qualche anno, con varietà Sant’Agostino e Coratina, pianta poco rustica e di non facile adattamento, un olio extravergine rifiutando l’utilizzo di prodotti chimici. Su impulso della giovane figlia Rossella si è ottenuto un olio dal profumo lieve di mandorla, il gusto delicato di pomodoro maturo e risvolti di mallo di noce. Metodo del tutto singolare quello di estrarre olio nella Lacrima di Pietro D’Amico (www.ilfrantolio.it) di Cisternino (BR), attivo dal 1917. Le drupe di 7 varietà di alberi centenari (tra cui Pasola, Cellina di Nardò e Ogliastro) collocate più in alto sui rami vengono spremute a pressione e fiscoli dopo che si è proceduto alla frangitura con mole a pietra. Nella pasta vengono realizzate fossette da cui fuoriesce per affioramento, nei primi 30 minuti, olio. Luce e ossigeno fanno deperire rapidamente il prodotto e dopo la mezz’ora quanto emerge viene destinato all’industria cosmetica. Lacrima è 1 litro di olio per 100 kg di olive spremute, liquido vischioso e morbido al tatto, aroma di gambo di carciofo, gusto amarognolo e fragrante. Area di giganteschi ulivi sono le colline crotonesi che si stringono attorno a Strongoli. È qui, pochi passi dal mare, che Michele Rodi, giova-

nissimo, ha creato la sua azienda agricola Askos (telefono 320 3881221) mettendo a punto un extravergine monocultivar di Tonda di Strongoli, resa produttiva grazie ad oculati metodi agronomici. Dall’elevato contenuto di polifenoli con provata efficacia antiossidante e con un più lungo periodo di conservazione di aromi e sapori rispetto alla normalità, nel suo olio abbiamo percepito un profumo delicato di note di erba fresca, sentori di cardo e finocchietto. Il sapore poggia su base erbacea con armoniche presenze ammandorlate, di cicoria e lucida piccantezza. La sapiente mescolanza di varietà d’olive brucate a mano (Biancolilla 60%, Cerasuola 30% e Nocellara del Belice 10%) da parte dell’azienda Terre di Shemir (www.terredishemir. com), non distante da Trapani, dà infi ne vita a ‘U Trappitu, dal fruttato intenso. Con aroma di pomodoro verde e carciofo, veste gusto piccante ed amarognolo ben presente. Si presta bene su tagliate di pesce spada e tonno crude. Insomma, un extravergine che attrae a sé e sposa cibi intonsi, appena offerti dal dio Poseidone. Per mantenere la propria purezza. Riccardo Lagorio Nota A pagina 108, photo © Luis Carlos Jiménez, abidhayyoob.blogspot.it).

Extra vergine d’oliva e dieta mediterranea alleati delle nostre ossa Con l’età la nostra massa ossea diminuisce e lo scheletro diventa progressivamente più fragile, accentuando il rischio di fratture. Si tratta di una patologia chiamata osteoporosi, un problema dovuto al mancato sviluppo di nuovi osteoblasti, cioè delle cellule che elaborano la matrice extracellulare del tessuto osseo, causato da fattori genetici, ormonali e metabolici. Relativamente a questi ultimi, secondo una ricerca dell’ospedale di Girona e dell’Università Reus in Spagna, è possibile intervenire attraverso la dieta. È stato rilevato, infatti, che seguire la dieta mediterranea per due anni fa aumentare i livelli di osteocalcina nel sangue e le concentrazioni di P1NP, con effetti protettivi sulle ossa. Il beneficio salutistico dell’olio extra vergine d’oliva sarebbe dovuto all’oleuropeina, un fenolo caratteristico proprio dell’extra vergine, che migliorerebbe la differenziazione delle cellule staminali mesenchimali negli osteoblasti. Di particolare importanza il fatto che lo studio spagnolo si sia basato sull’esame clinico di uomini anziani ad alto rischio di malattie cardiovascolari. Coloro che seguivano una dieta con olio d’oliva avevano un assorbimento di calcio del 19% superiore al gruppo test (photo © Riccardo Bruni, tuttoggi.info; fonte: Servizio Stampa Veronafiere, www.solagrifood.com).

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Aceto

L’Aceto Balsamico contro la contraffazione di Dop e Igp

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l 97% degli Italiani conosce l’Aceto balsamico di Modena Igp, ma l’awareness riguarda anche Tedeschi e Francesi, per i quali la percentuale supera l’80%. Un dato sorprendente, su cui si è sviluppato lo scorso marzo a Roma al Ministero delle Politiche Agricole l’incontro — organizzato dal Consorzio di Tutela Aceto Balsamico di Modena Igp insieme ad AICIG e Fondazione Qualivita — su “Dop e Igp: politiche e strategie di tutela”. Ad aprire i lavori di quello che è stato un momento proficuo di riflessione e confronto a più voci per coinvolgere a vario titolo tutto il settore delle DOP e IGP, andando quindi oltre l’analisi del singolo prodotto Aceto Balsamico di Modena, è stato il presidente del Consorzio di Tutela Aceto Balsamico di Modena IGP STEFANO BERNI, a cui hanno fatto seguito gli interventi — moderati dal direttore del Consorzio di Tutela Aceto Balsamico di Modena IGP FEDERICO DESIMONI — del presidente dell’Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche G IUSEPPE LIBERATORE e del direttore Generale di Fondazione Qualivita MAURO ROSATI,

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oltre a EMILIO GATTO, MIPAAF, GIORBOCEDI, avvocato, SILVIA ZUCCONI, coordinatore dell’area agroalimentare di Nomisma, e STEFANO VACCARI, ICQRF. «Insieme ad AICIG e a Qualivita abbiamo voluto offrire il nostro contributo per stimolare una nuova “primavera” di tutela e rilanciare i nostri prodotti» ha dichiarato Berni. «La tutela non è solo un’azione, ma anzitutto una politica strategica da “pensare” e impostare con la collaborazione dei Consorzi stessi e delle istituzioni». Nel caso dell’ABM, come in molti altri, il patrimonio da tutelare è notevole: il settore ha vissuto una fase importante e, dopo la costituzione e il riconoscimento del Consorzio di tutela nel 2014, ha visto una crescita pari al 12%, arrivando ad una produzione di quasi 98 milioni di litri di prodotto certificato, con un fatturato alla vendita di circa 700 milioni di euro, di cui oltre il 90% di export, soprattutto in USA e Germania, già mercati principali e in costante crescita. «La situazione in cui quotidianamente opera il CTABM — ha ripreso Berni — ha imposto lo studio di una GIO

strategia di tutela con la quale abbiamo potuto approfondire il concetto di “evocazione” ed in particolare quel divieto di evocazione, previsto dall’Art. 13 del Reg. 1151/12, che apre un orizzonte di tutela dei nostri prodotti molto più ampio di quello che possiamo immaginare, anche perché è pensato prioritariamente per tutelare il consumatore prima ancora che per la difesa dei diritti dei nostri produttori e dei diritti di proprietà intellettuale legati alle DOP e alle IGP. Quest’idea ci ha guidato nella scelta di un maggior coinvolgimento del consumatore e lo abbiamo fatto realizzando con NOMISMA tre ricerche di mercato in Italia, Francia e Germania, per verificare a cosa pensa il consumatore quando incontra prodotti denominati come “balsamici”. Le risposte sono molto indicative. Tuttavia, non possiamo negare che il contesto in cui ci muoviamo sia complesso e problematico e che la questione dell’evocatività del termine balsamico debba essere prioritariamente chiarita in sede di giustizia civile e non attraverso procedure sanzionatorie di natura amministrativa».

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L’obiettivo dell’indagine Nomisma, presentata da Silvia Zucconi, ha riguardato la misurazione del livello di notorietà e conoscenze sull’Aceto Balsamico di Modena Igp nel consumatore dei tre paesi oggetto di studio — Italia, Francia e Germania — indagando su tre ambiti: la valenza evocativa del termine “balsamico”, la conoscenza dell’origine territoriale e le abitudini di consumo dell’Aceto Balsamico di Modena IGP. Le risposte (3.900 interviste realizzate) non lasciano spazio a dubbi: l’Aceto Balsamico è un prodotto noto e inconfondibile! Si tratta, infatti, di un prodotto che ha conquistato le tavole di molti Italiani, l’83% dei quali lo consuma costantemente, mentre la penetrazione dei mercati francesi e tedeschi si attesta tra il 60 e il 70%. Questa elevata conoscenza allarga enormemente la portata evocativa della parola, tanto che dall’indagine risulta che il termine balsamico, in Italia, chiama alla mente di 9 consumatori su 10 proprio l’Aceto Balsamico di Modena Igp e le sue caratteristiche organolettiche e metodi di produzione tipici. Sorprendentemente molto elevata è anche

l’associazione negli altri due Paesi, dove la percentuale arriva fino al 70%. Dal punto di vista del consumo del prodotto, l’indagine attesta che in Italia il 54% dei consumatori intervistati con domanda aperta riconduce spontaneamente il termine balsamico a prodotti che vengono realizzati nel territorio di Modena, più un altro 21% all’Emilia-Romagna. In Germania l’86% e in Francia il 61% dei consumatori attribuisce l’origine italiana al prodotto denominato balsamico. Sul fronte nazionale, l’83% delle famiglie italiane ha consumato l’aceto almeno una volta nel 2014; il consumo riguarda 2 famiglie su 3 sia in Francia che in Germania, ma ci sono anche consumatori affezionati, tanto che il 44% di quelli italiani lo usano almeno 2/3 volte a settimana, come il 35% dei Francesi e il 24 % dei Tedeschi. Sulla questione dell’evocatività, si è poi espresso Giuseppe Liberatore. «Imitazione ed evocazione delle denominazioni registrate sono due facce della stessa medaglia» ha spiegato. «In entrambi i casi, siamo in presenza di pratiche commerciali sleali che, oltre a tradursi non di rado in violazioni alle norme in materia

di tutela della proprietà intellettuale, perpetrano una sistematica opera di banalizzazione dei marchi e di svalorizzazione della reputazione e delle peculiarità qualitative dei prodotti a Indicazione Geografica, facendo leva sulla scarsa informazione fornita al consumatore finale. Appare dunque essenziale predisporre, parallelamente ad opportune iniziative di sensibilizzazione rivolte ai mercati al consumo, politiche e strategie idonee a rafforzare la tutela delle DOP-IGP in ambito nazionale ed internazionale, non trascurando altresì le problematiche presenti in modo crescente sui mercati virtuali. Incontri come quello odierno sono occasioni fondamentali per individuare le principali criticità riscontrate nel proteggere le denominazioni e predisporre azioni coordinate di sistema e strumenti operativi capaci di contrastare con efficacia le distorsioni messe in atto da soggetti che mirano unicamente a sfruttare il buon nome dei prodotti di qualità certificata». Nota A pagina 112 Aceto Balsamico di Modena IGP.

Il Balsamico Tradizionale di Modena Dop per gentiluomini dei nostri tempi Letteratura contemporanea e prodotti agroalimentari che raccontano la tradizione del territorio? Si tratta di un abbinamento perfetto oltre ad essere un’occasione per cogliere spunti e riflessioni di chi vive lontano dalle nostre terre. Si è svolto a Modena lo scorso 11 marzo, presso la sede del Palatipico, l'incontro con lo scrittore americano Wayne James, già senatore degli Stati Uniti, che sta lavorando ad un nuovo libro dedicato all'uomo moderno. Lo scrittore ha individuato nell'Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP un alto valore per cultura, tradizione e saper fare modenese, e ha deciso di inserire questo prodotto, unico al mondo, nella sua opera fra i prodotti must che non possono mancare sulla tavola del “giovane gentiluomo dell’era moderna”.

Classe 1961, Wayne James è originario di Saint Croix nelle Isole Vergine (USA). Con all’attivo una laurea in Belle Arti e una in Giurisprudenza, nel 2008 è stato eletto senatore. Designer e stilista di collezioni di moda, Wayne alterna la sua attività politica a quella di creativo e scrittore. Dal 2011 l’autore ha dedicato parecchio del suo tempo alla stesura di “Manly Manners: Lifestyle & Etiquette for the Young Man of the 21st Century”. Proprio all’interno di quest’opera si racconterà anche l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP. Per seguire il lavoro di Wayne ecco il link al suo blog: manlymanners. wordpress.com

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Formaggio Caseificio il Fiorino, la storia, le scoperte, i successi

La riserva di Duilio

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e è in gran parte merito dell’aristocratica famiglia degli Aldobrandeschi e delle sue possenti fortificazioni il fatto che Roccalbegna appaia nelle pagine dei libri di storia medievale, non c’è dubbio che, in tempi moderni, a portare in giro per il mondo il nome di questa suggestiva cittadina della Maremma siano stati i Fiorini, che in questa terra aspra e selvaggia hanno saputo far fiorire un’azienda modello: la loro produzione di pecorino è infatti un’eccellenza che fa tesoro delle più moderne tecnologie, non meno che di quell’antica e sapiente tradizione toscana che la famiglia ha nel sangue. Dal Casentino a Roccalbegna La famiglia Fiorini ha origini casentinesi e il suo arrivo in Maremma è legato alla transumanza, un fenomeno che portava i pastori del Casentino e di altre zone montane toscane a svernare in Maremma, al fine di poter offrire alle greggi pascoli ricchi e nutrienti anche nei mesi invernali. Presumibilmente i Fiorini giunsero nelle terre di Roccalbegna alla fine del Settecento, anche se la prima testimonianza certa è un documento datato

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15 giugno 1812 nel quale si legge: “… Io Luigi Bandi, arciprete della Chiesa di Roccalbegna, premesso l’atto civile, battezzai un bambino nato ieri da Silvestro del fu Natale Fiorini e da Rosa del fu (…) Pierini, coniugi di Roccalbegna, cui fu posto nome di Francesco…”. Tale Francesco Fiorini fu certamente il primo ad acquistare alcune proprietà agricole nella zona, poi ampliate dai suoi eredi, che si dedicarono all’agricoltura ma anche all’allevamento di ovini. Nel 1925 un discendente di Francesco, Ferrero, possidente agricolo e proprietario di un bel gregge, si sposò con Caterina Pandolfi di Roccalbegna ed ebbe due figli, Silvestro e Duilio, fondatore dell’attuale azienda “Il Fiorino” (nel volume “Cacio toscano” di Moroni Editore, è possibile leggere la storia di questa bella realtà ulteriormente approfondita, NdR). Una storica caldaia Ferrero, aiutato dalla moglie Caterina, donna con grande acume per gli affari e naturalmente portata al commercio, affiancò all’attività agricola un negozio in paese per la vendita di prodotti alimentari e di ferramenta.

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Il Caseificio Il Fiorino nelle immagini del passato. Dopo un periodo di crisi al termine della seconda guerra mondiale, grazie all’intraprendenza del giovane Duilio, i Fiorini — che già producevano in proprio il pecorino, oltre a commissionarlo a famiglie della zona — fecero un salto di qualità e nel 1957 fondarono il primo caseificio a Roccalbegna: il loro formaggio e la loro ricotta, già molto apprezzati in zona, cominciarono ad essere conosciuti anche dai compratori più

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lontani, che non mancavano di venire a rifornirsi nella loro piccola azienda artigianale di via del Moro 7. Grazie ad un’attrezzatura rudimentale, ma per allora modernissima (una grande caldaia e un generatore a vapore con una serpentina che scaldava il latte), avveniva la magica trasformazione in formaggio del profumato latte degli ovini locali. La vecchia caldaia, oggi cimelio d’antiquariato, è conservata con

affetto e nostalgia nell’attuale stabilimento e mostra lo storico punzone della fondazione della ditta, “1957”. Casa e bottega Nel 1962 l’idea di ingrandirsi: Duilio, intanto, aveva messo su famiglia. Il nuovo stabilimento sorse in via Amiata 365, al pianterreno di uno stabile abitato dai Fiorini. Un comodo “casa e bottega” ancora oggi vissuto con piacere perché, se è vero che nel

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Se il pecorino Riserva del Fondatore è il fiore all’occhiello del Caseificio, la vera “riserva” di Duilio Fiorini, il fondatore, è la sua splendida famiglia: la notorietà internazionale del Fiorino è infatti targata Angela e Simone, figlia e genero, che hanno deciso di continuare questa avventura con passione e professionalità immutate. 1989, per motivazioni legate alla nuova legislazione sulla conformità dei locali di produzione, in tempi brevi fu necessario realizzare appena fuori Roccalbegna un più moderno caseificio, dotato dei necessari depuratori, è anche vero che l’edificio di via Amiata non è mai andato completamente in pensione. E questo perché, anche se all’esterno pare una comune abitazione, in realtà dietro alla facciata nasconde una sorprendente realtà: la piccola palazzina è infatti come abbarbicata alle rocce. Rocce che garantiscono in ogni stagione temperature fresche e il giusto tasso di umidità, doti fondamentali per la conservazione del formaggio. Oggi, come detto, l’attività si è spostata nel nuovo e grande caseificio di Paiolaio. A pianterreno di via Amiata, intanto, si sta procedendo gradatamente alla ristrutturazione di alcuni locali, già un tempo adibiti alla stagionatura, che diverranno “museo vivo” per comprendere i segreti della tradizionale e artigianale tecnica di fabbricazione del cacio.

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La riscoperta del “marzolino” Dopo i primi anni di produzione generica di pecorino e ricotta, Duilio iniziò a comprendere la necessità di specializzarsi, mettendo a punto una produzione sempre più qualificata. Così, con passione, volle rilanciare agli inizi degli anni Ottanta l’antica tradizione del “marzolino”, formaggio fresco tipicamente toscano che, come dice il nome, veniva preparato a primavera e che già nel Medioevo godeva di straordinaria fortuna e di una diffusione addirittura europea. Il prolificare di piccole aziende casearie rese ben presto necessario regolamentare la produzione a garanzia dell’acquirente e Duilio Fiorini, nel 1985, fu tra i soci fondatori del Consorzio di tutela del formaggio pecorino toscano, che nel 1996 a seguire sarebbe stato insignito della Dop, riconosciuta nel 1996. In un’intervista realizzata da Roberto Tonini anni fa si legge: “Quando gli chiesi dei programmi futuri mi guardò negli occhi e mi

disse: C’ho una figliola, figlia unica, che ha 23 anni e la mattina presto va a ritirare il latte dai pastori… Non andò oltre, mi guardò come per dire: speriamo bene!”. Era solo una speranza. Duilio non sapeva ancora che alla figlia si sarebbe unito il genero, Simone Sargentoni, e che questa coppia avrebbe avuto quella marcia in più per lanciare l’azienda nell’orbita internazionale, riuscendo al tempo stesso a mantenere la tradizionale genuinità e l’eccellenza artigianale. In questi anni in Europa, ma anche in Giappone, America e perfino in Australia, non sono mancati i riconoscimenti ai formaggi del Fiorino, dal fresco “marzolino” al pluripremiato “Riserva del Fondatore”, che nel 2014 a Londra ha conseguito il Super Gold come miglior pecorino al mondo. >> Link: www.caseificioilfiorino.it Nota A pagina 114, un giovane Duilio Fiorini.

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Jacky Quesnot, professione affinatore Sono almeno 300 i formaggi che commercializza la Fromagerie Saint Nicolas, nella regione francese dell’Alsazia. In gran parte francesi, non mancano specialità spagnole, inglesi e italiane di Massimiliano Rella

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i fa presto a dire formaggio, ma per Jacky Quesnot non è così semplice né scontato. Stiamo parlando di uno dei quattro affinatori di formaggi autorizzati in tutta l’Alsazia, regione francese che nel suo paniere gastronomico vanta diverse eccellenze casearie, oltre a pregiati vini e altre tipicità. Quesnot incominciò ad interessarsi di formaggi e a documentarsi negli anni ‘70, quando faceva parte di un gruppo di amici appassionati gourmet. Finché nel 1982 non decise di impegnare la sua conoscenza e la sua esperienza in un’attività più sistematica e remunerativa, trasformando la passione in un lavoro, che in Alsazia è «un lavoro complesso, sottoposto a controlli e autorizzazioni, anche impegnativo economicamente. Ecco perché siamo così pochi» ci spiega. Ma ciò non gli ha impedito di dedicarvi tempo, di creare e sviluppare una solida impresa a conduzione familiare con centro di affinamento, furgone per la vendita ambulante e due negozi dedicati a Colmar. Il laboratorio aziendale si trova a Buhl, ad una trentina di chilometri da Colmar, ma la Fromagerie Saint Nicolas vende i suoi formaggi anche in un negozio del centro storico, in un locale ricavato in un edificio del XVII secolo, e in un banco dedicato all’interno del bel mercato coperto della cittadina alsaziana, costruito dai produttori sotto Napoleone III. Il mercato è aperto dal martedì al sabato. I formaggi affinati da Quesnot si possono comprare anche

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L’affinatore di formaggi Jacky Quesnot (photo © Massimiliano Rella).

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La Fromagerie Saint Nicolas a Colmar (photo © Massimiliano Rella). al mercato settimanale di Guebwiller, il venerdì mattina, e il giovedì e il sabato al Marché du Canal Couvert de Mulhouse (www.marchedemulhouse.com), il più grande della zona del Reno superiore, a meno di 50 km a sud di Colmar. Oggi la Fromagerie Saint Nicolas commercializza complessivamente 300 formaggi, in gran parte francesi, ma non mancano alcune specialità spagnole, inglesi, italiane. «È un lavoro difficile — ci dice Quesnot — perché durante l’affinamento i formaggi vengono toccati e spostati, quindi è necessario fare molta attenzione alla

salubrità del prodotto». La maggior parte è rappresentata da formaggi freschi; un centinaio, però, è sottoposto ad affinamento in celle, su scaffalature in legno. I formaggi di Quesnot sono di sei tipi: ci sono i freschi; i cremosi tipo Camembert e Brie; i formaggi alsaziani come il Munster, dal nome dell’omonima località, un formaggio a pasta molle prodotto artigianalmente nelle malghe dagli agricoltori e allevatori del massiccio dei Vosgi, stagionato per diverse settimane rivoltando le pezze ogni due giorni. E ancora: i formaggi blu, così chiamati dalla colorazione delle venature

In questa foto potete ammirare il formaggio Gouda al pesto, una delle specialità della Fromagerie Saint Nicolas. Il Gouda (in olandese Goudse kaas, formaggio di Gouda) è il formaggio più conosciuto e più consumato dei Paesi Bassi. Ha una forma rotonda, un peso di circa 15 kg ed un tasso di materia grassa del 48% (ma arriva anche fino al 51%). La stagionatura varia da un minimo di un mese ad un massimo di 3 anni (it.wikipedia.org).

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prodotte dallo sviluppo di muffe nella pasta, come il Roquefort, ottenuto da latte di pecora; i formaggi di capra, ben 55 tipi diversi come il Pouligny Saint Pierre, dalla caratteristica forma piramidale, o il Crottin de Chavignol AOC, cioè una denominazione d’origine controllata francese, venduto con diversi gradi di stagionatura, semi-secco, erborinato o molto secco. E, infine, Gruyère, Gouda e Comté e altre golose varietà. La Fromagerie Saint Nicolas organizza lezioni e degustazioni, in genere il mercoledì mattina, su prenotazione, interessanti per conoscere le origini dei formaggi, le forme, i gusti, i metodi di produzione. L’azienda è aperta tutti i giorni, esclusi domenica e lunedì mattina, con i seguenti orario: 09:00 – 12:30 e 14:00 – 19:00. Massimiliano Rella Fromagerie Saint Nicolas 18 Rue Saint Nicolas – 68000 Colmar Telefono: +33 3 89 249045 Web: fromagerie-st-nicolas.com oppure c/o Le Marché Couvert 13 Rue des Écoles – 68000 Colmar Web: marche-couvert-colmar.fr

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Masterchef, basta Parmesan! Nelle ricette proposte dalla trasmissione Masterchef nei diversi continenti si parla spesso di Parmesan invece che di Parmigiano Reggiano o di Grana Padano. È quanto denuncia Coldiretti Emilia-Romagna che, dopo aver portato in piazza a Bologna centinaia di allevatori casari e stagionatori di Parmigiano Reggiano e Grana Padano, sottolinea in una nota l’importanza di rispettare la tradizione produttiva italiana nella popolare trasmissione televisiva che è seguita da milioni di spettatori a livello internazionale. “La cucina — sottolinea Coldiretti Emilia-Romagna — ha un grande valore culturale ed è chiamata a svolgere un valore un ruolo determinante nel difendere far conoscere le tradizioni alimentari e con esse la vera identità dei prodotti impiegati che sono espressioni e della tradizione del saper fare di precisi territori. Invece, nei siti ufficiali della trasmissione Masterchef dei diversi continenti, dalle Americhe all’Oceania si fa spesso riferimento a piatti che hanno come ingredienti il Parmesan anche quando — precisa Coldiretti — fanno esplicito riferimento a ricette italiane. Sul sito ufficiale di Masterchef Australia, ad esempio, si parla di Pasta con mais, erbe e Parmesan e di Risotto al Parmesan con uovo cotto in camicia o, addirittura, di Pomodoro, basilico e bruschetta al Parmesan. La situazione non cambia in USA dove, tra le ricette di Masterchef USA junior, ci sono la Pasta condita con olio di oliva e Parmesan o il Pollo al Parmesan. Siamo di fronte — sostiene la Coldiretti — ad una situazione che alimenta una grave incertezza sulla reale origine dei prodotti utilizzati poiché il Parmesan è l’imitazione più diffusa del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano nel mondo, con una produzione che solo negli Stati Uniti, tra Wisconsin, California e New York, arriva a 120 milioni di chili all’anno! Elevati quantitativi si realizzano anche in Australia, dove si commercializza addirittura Parmesan con il marchio Perfect italiano, che non ha nulla a che fare con la realtà produttiva nazionale. Si tratta di imitazioni che fanno concorrenza sleale al vero Parmigiano Reggiano, realizzato secondo un disciplinare approvato dall’Unione Europea che prevede, ad esempio, per il Parmigiano Reggiano che il latte provenga da allevamenti nel territorio tra le sinistra Po e la destra del Fiume Reno, il divieto nell’uso di insilati, additivi e conservanti nell’alimentazione del bestiame, una stagionatura che varia da 12 a 36 mesi e oltre, l’impiego di 14 litri di latte per produrre un chilo di formaggio e 550 per produrre una forma dal peso medio di 40 chili”. Come hanno denunciato gli allevatori scesi in piazza a Bologna, confondere il Parmesan con il Parmigiano Reggiano e Grana Padano mette a rischio un sistema produttivo made in Italy che vale complessivamente quasi 4 miliardi. Il problema è soprattutto culturale e la Coldiretti sottolinea l’importanza che sul tema intervenga anche il pool di cuochi stellati chiamati giustamente a raccolta in vista di Expo 2015 dal ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina (argaemiliaromagna.blogspot.it).

Vecchio Varzi, qualità che vince anche con la Igor Gorgonzola Volley Novara Con l’obiettivo di rafforzare la propria visibilità sul territorio nazionale, Vecchio Varzi®, il maggiore produttore del salame di Varzi, ha attivato ufficialmente a metà febbraio la propria sponsorizzazione della squadra di pallavolo femminile AGIL Volley Igor di Novara. L’ingresso di Vecchio Varzi nella compagine degli sponsor ha portato bene: il team ha vinto infatti il 1o marzo a Rimini la 37a Coppa Italia di Serie A1 Femminile, battendo in finale 3-1 la Liu Jo Modena. L’azienda dell’Oltrepo Pavese da 40 anni produce il pregiato Salame di Varzi Dop. La scelta di sponsorizzare la nota squadra di volley novarese si spiega dunque proprio con la volontà di accrescere la visibilità del brand in tutta Italia, sostenendone così lo sviluppo in ambito distributivo. «Per un’azienda campione di qualità nel comparto dei salumi italiani, ricerchiamo contesti di visibilità per il nostro brand che ci proiettino in una dimensione di pari eccellenza: l’opportunità di sostenere come sponsor la AGIL Volley Igor è dunque rientrata perfettamente nelle nostre corde» ha commentato Franco Nulli, AD di Vecchio Varzi. «La vittoria della Coppa Italia di Serie A1 Femminile, giunta subito dopo l’attivazione ufficiale della nostra sponsorizzazione, ha confermato il nostro entusiasmo: è proprio vero che quando le eccellenze si uniscono i risultati non tardano ad arrivare».

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Haripro, leader in Italia nella produzione di proteine e aromi naturali, fornisce le pi첫 importanti aziende produttrici di ingredienti per la salumeria. Haripro grazie ad una continua ricerca, ha sviluppato negl'anni prodotti sempre pi첫 all'avanguardia, come proteine funzionali ed aromi naturali anallergici ad alto valore nutrizionale. Haripro is a leading producer of proteins and natural flavours in Italy. It supplies the most important Companies which blend ingredients for the meat industry. Haripro, thanks to a continuous research, had developed through years more advanced products like functional proteins and hypoallergenic natural flavours with high nutritional value.

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Tecnologie Il negozio Fratelli Castelli si affida al CSB-System

Fare sempre di più e sempre meglio

“C

hi non tiene il passo con il progresso è perso!” è solito ripetere PAOLO CASTELLI. E con questa filosofia ha cercato di promuovere il marchio Fratelli Castelli, mantenendosi in sintonia con le mutate esigenze dei consumatori moderni, restando pur sempre fedele alle aspettative della sua affezionata clientela. Ma partiamo dall’inizio. L’attività fu avviata 80 anni or sono nel mondo del commercio dei formaggi. Dapprima Giovanni, classe 1903, poi i suoi figli, Aurelio e Giampiero. L’arte del commercio appresa dal padre non poteva che fiorire nelle mani sapienti dei due fratelli. Così, nel 1965, Aurelio e Giampiero fondarono l’attuale società e aprirono un piccolo negozio a Mandello del Lario, in provincia di Lecco. Il successo fu tale che, dopo dieci anni, nel 1975, la società Castelli decise di ingrandirsi, avviando il negozio tuttora esistente. Nel 1996 si presentò l’occasione di un lungimirante rinnovamento del negozio e i due fratelli ebbero l’idea vincente di affiancare la distribuzione di salumi all’attività storica di vendita di prodotti lattiero-caseari. Il compito di gestire il reparto salumeria fu affidato a Paolo, figlio di Aurelio, che grazie alla sua forte determinazione, nel 2004, da dipendente è diventato socio. «Il primo passo compiuto è stato rivolto all’organizzazione degli spazi — racconta con entusiasmo Paolo — cosicché dalla ristrutturazione completa di un locale magazzino è nato un laboratorio per la lavorazione e la confezione degli alimenti. Poi, abbiamo introdotto la vendita del pane fresco che ci viene consegnato da un panificatore di fiducia. Una volta ottenuta la relativa

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autorizzazione sanitaria, ci siamo dotati della giusta attrezzatura per grattugiare il Grana Padano ed il Parmigiano Reggiano e per confezionare sottovuoto salumi e formaggi. Tutto ciò, unito ad un buon servizio, ci ha resi competitivi con la grande distribuzione». E continua: «nel rispetto della filosofia di qualità che ci contraddistingue, io credo che per lavorare bene ci voglia una buona organizzazione; e per una buona organizzazione ci voglia un livello di informatizzazione adeguato. Così, sul nascere di alcuni nuovi progetti, a fine 2012, abbiamo acquistato il software gestionale CSB-System, in modo tale da semplificare la gestione del negozio e del laboratorio ed anche ottenere una supervisione». Qualità a tutti i livelli Paolo Castelli si definisce un cliente un po’ atipico della CSB-System Srl, l’azienda veronese che da oltre 35 anni fornisce software gestionali

modulari e completi alle varie realtà del settore alimentare. Il 92% delle vendite, infatti, avviene con scontrino fiscale e solo l’8% con classica fattura, perché la Fratelli Castelli serve anche il settore HORECA. Nel primo caso è il CSB-System ad inviare il codice articolo con prezzo ai registratori di cassa e le casse, tramite EDI anch’essa gestita dal CSB-System, trasmettono al modulo Magazzino le quantità del venduto giornaliero. Questo dato è importante per ottenere una visione attualizzata delle giacenze di magazzino. Il modulo della Tracciabilità, invece, gestisce il codice articolo nelle fasi di lavorazione del prodotto, per garantirne in qualsiasi momento la rintracciabilità del lotto fino al fornitore iniziale, secondo gli standard nazionali. Idee vincenti e tanta intraprendenza «Dopo l’esperienza positiva delle prime piccole produzioni home-made,

Paolo Castelli nel negozio di Mandello.

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come il formaggio grattugiato o i salumi a trancio sottovuoto — spiega il titolare dell’azienda lariana — abbiamo visto che la strada intrapresa del farsi da sé il più possibile dei prodotti da vendere era proprio quella giusta. Così, nel 2011, abbiamo dato inizio alla produzione di yogurt in un locale che, sin da subito, però, si è rivelato essere troppo piccolo». È caduta dunque a pennello la proposta del sindaco di Perledo (LC), piccolo paesino molto turistico sopra Varenna (LC), rimasto senza negozi di generi alimentari. Anche se il percorso non è stato facile e tanti ostacoli si sono interposti tra l’inizio, il buon andamento e la conclusione dei lavori, Paolo Castelli è riuscito ad ottimizzare i grandi spazi costruendo innanzitutto un vero e proprio minimarket con tutti gli articoli destinati ad un paese e vi ha affiancato un laboratorio in cui preparare yogurt, budini, dessert e gelati. Il laboratorio misura circa m2 100 e la produzione riesce a soddisfare le richieste dei due negozi. Anche qui sono state duplicate e implementate le stesse soluzioni gestionali del negozio di Mandello. «La nostra attività — precisa Castelli — dà lavoro a 10 dipendenti, oltre a me stesso che sono il titolare. E come spesso accade nelle piccole realtà imprenditoriali come la mia, bisogna essere molto dinamici. Intendo dire che nessuno di noi ricopre una mansione fissa e svolge solo quella: il salumiere fa gli ordini dei salumi che andrà a vendere e imbustare, l’addetto al banco formaggi farà lo stesso; in altre parole ognuno è responsabile del suo settore nella sua interezza. Per velocizzare il lavoro di tutti e ridurre le possibilità di errori, ho chiesto ai consulenti CSB-System di semplificare al massimo la procedura ordini del modulo Acquisti. Così il CSB-System, ogni notte, grazie alle grandi possibilità offerte dal GPM (Graphic Print Management), tramite

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Al pianterreno il negozio Fratelli Castelli a Perledo. modulo job, invia in una determinata cartelletta una statistica del venduto di diversi periodi e altre informazioni utili sui fornitori che ogni lavoratore ha in carico, quali ad esempio articoli, quantità, prezzi, speciali condizioni, e così via. In base a queste informazioni il mio collaboratore esegue i nuovi ordini. Certo il CSB-System mette a disposizione delle procedure di riordino automatico incrociando i dati del venduto con le giacenze di magazzino. Su questo ci stiamo lavorando. Penso di implementare la procedura al più presto». Per il laboratorio è stato acquistato il modulo Produzione del CSB-System. «Ho già inserito molte distinte base. Il controllo dei costi è già attivo. Spero di arrivare a gestire quanto prima con il CSB-System la pianificazione nonché produzione di gelato. Il mio obiettivo è l’ottimizzazione degli acquisti di materie prime, al fine di ridurre sprechi e utilizzare ingredienti sempre freschissimi ma, soprattutto, voglio garantire ai miei clienti una qualità costante, cosa che ottengo solo monitorando di continuo la produzione». CSB-System partner affidabile La dedizione che Paolo Castelli pone nel suo lavoro si evidenzia ogni giorno nel voler offrire ai suoi clienti un servizio al passo coi tempi: prodotti di altissima qualità, aperture continuate e prolungate, pane sempre fresco

tutti i giorni dell’anno, produzione di gustosi dessert, ma le idee sono ancora tante e certo non gli mancano né lo spirito imprenditoriale né l’ottimismo per realizzarle. «Ho scelto il CSB-System — conclude Castelli — perché volevo fortemente un unico software per tutta l’azienda così com’è oggi, ma con una capacità innovativa in grado di supportarci anche nei nuovi progetti, proponendo al momento giusto funzionalità in grado di agevolare il nostro lavoro. Le potenzialità del CSB-System sono tante: abbiamo la Gestione Giri, il Controllo Qualità, la Contabilità Generale e Industriale, e mi tranquillizza molto l’idea che siano lì, a mia disposizione e che io potrò sfruttarle in futuro in qualsiasi modo si evolva la mia attività».

Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


Storia e cultura Paese che vai, salamino alla cacciatora o cacciatorino che trovi

Cacciatorino, tra tradizione e innovazione di Giovanni Ballarini

“L

ui ingannava l’appetito con cacciatorini di cavallo, freschi, pastosi, deliziosi, un capolavoro del Mainelli di Oleggio (…). Il cacciatorino era finito. Gigi pulì col tovagliolo, accuratamente, col temperino di nichel che gli avevo regalato tanti anni fa: lo chiuse e lo posò sulla tavola…” narra nel secondo dopoguerra MARIO SOLDATI, nella novella “I bei denti del sciur Dino” in “Tutti i racconti del maresciallo” del 1967. Un racconto, quest’ultimo, indubbiamente nato dall’esperienza dell’autore, che nel 1956, a due anni dalla nascita della televisione italiana, inventava il reportage enogastronomico divenendo ideatore, regista e conduttore dell’inchiesta televisiva “Viaggio lungo la Valle del Po alla ricerca dei cibi genuini”, una delle trasmissioni più originali della TV degli inizi, considerata un documento d’importanza antropologica. Paese che vai, salamino alla cacciatora o cacciatorino che trovi, si potrebbe dire. Ma anche molto altro. Cacciatorini non solo di carne di maiale o di cavallo, ma anche di bovino, piccoli ruminanti e animali selvatici, non ultimo l’alce. Si tratta di salumi di piccolo taglio, accomunati dal nome che riconduce appunto alla caccia. Un nome, cacciatorino, che è attribuito anche ad un particolare coltello, usato proprio dai cacciatori. Quali cacciatori? Ogni regione, come ha la sua “ricetta”, ha anche la sua versione sull’origine della denominazione di

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questo salume, che ha una comune caratteristica, la piccola pezzatura, che permette di portarlo nella sacca e mangiarlo durante una pausa della caccia, di una passeggiata o di un viaggio. In Lombardia, ma senza alcuna documentazione precisa, si fa risalire l’origine del cacciatorino al periodo delle invasioni longobarde. Queste popolazioni barbariche, grandi mangiatrici di ogni tipo di carne, avevano la necessità di con-

servarla nei loro spostamenti. Non è certamente un caso che, almeno inizialmente, questo tipo di salamino, indipendentemente dalla qualità della carne, si sia dunque sviluppato nell’area d’invasione e dominazione dei Longobardi. In seguito, si vuole sia stata la tradizione dei cacciatori a portare questi prodotti in quasi tutta Italia, determinando così sia il nome con cui sono comunemente conosciuti,

Pane tostato con salame cacciatore e uva. Salumi e frutta sono un abbinamento da provare, con esiti di gusto sorprendenti. Insomma, non solo formaggio con le pere… (photo © G. Malgarini, salumi-italiani.it).

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sia la piccola dimensione, richiesta perché facili da trasportare. Ma quali cacciatori dopo i Longobardi? Probabilmente quelli più ricchi, che potevano permettersi di mangiare pane e salame, e non quelli poveri di frodo. Tutte simpatiche leggende che tuttavia non trovano riscontri in documenti. Oggi, come in un non lontano passato ma ben presente nella memoria di molti, i cacciatorini sono in prevalenza di carne suina. Tuttavia, negli attuali prodotti tipici della Lombardia troviamo il cacciatorino di cavallo, con aree di produzione in Valtellina e Valchiavenna. Si tratta, in questo caso, di un piccolo salamino di carne equina, grasso di pancetta e lardo di maiale, pepe e spezie quali chiodi di garofano, cannella, e la classica forma del cacciatorino del peso tra i cento e i centoventi grammi. Il cacciatorino affumicato tirolese è una tipica salsiccia cruda di carne suina tipica del Tirolo e da sempre usata come provvista per il lavoro nei campi o nelle escursioni in montagna, da portare nello zaino e da mangiare con le mani, con o senza pane. Il cacciatorino d’alce è una specialità della provincia

Salame cacciatore Dop (photo © salumi-italiani.it). di Bolzano, prodotto con carne magra di alce, macinata insieme a grasso suino (solitamente pancetta) e condita con chiodi di garofano, ginepro, cannella, sale e pepe, con una

stagionatura dai tre ai quattro mesi. Altri cacciatorini hanno un impasto molto morbido aromatizzato con sale, pepe e vino rosso e, nel caso dei cacciatorini di cacciagione, con

Registrato il marchio Salame Cacciatore Dop negli Stati Uniti Soddisfazione dal Consorzio Cacciatore per la recentissima registrazione del marchio “Consorzio Cacciatore Dop” negli Stati Uniti. Il salame a denominazione più consumato dagli italiani, già protetto a livello europeo per effetto del Reg. UE 1151/2012, ora lo diventa anche in uno dei Paesi dove la contraffazione del made in Italy è un fenomeno sempre in aumento. La registrazione del marchio consortile consente al Consorzio una serie di attività a favore del prodotto quali: • la pubblicità legale della richiesta di proprietà del marchio; • una presunzione legale della titolarità del marchio e il diritto esclusivo di utilizzare il marchio nazionale o in connessione con i beni/servizi elencati nella registrazione; • la possibilità di adire la Corte federale nelle ipotesi di violazione del marchio; • la possibilità di attivare il servizio US Customs and Border Protection (CBP) per prevenire l'importazione di prodotti contraffatti stranieri; • il diritto di utilizzare il simbolo di registrazione federale; • l’inserimento nel database on-line Trademark dell'Ufficio, che consente a chi conduce delle preliminari ricerche di disponibilità di un marchio di verificare la preesistenza di diritti sul marchio oggetto della protezione. «Al momento le esportazioni nel Stati Uniti del nostro prodotto ancora devono decollare, ma grazie all’attività del Consorzio, che ha tra le proprie principali finalità quello di proteggere il Salame Cacciatore Dop dalla contraffazione, siamo già pronti a difenderlo» ha affermato Lorenzo Beretta, presidente del Consorzio Cacciatore Dop. Costituitosi a maggio del 2003, il Consorzio Cacciatore rappresenta oggi 23 aziende. I consorziati hanno un’etichettatura comune e uniforme (un tassello consortile di facile e d’immediata identificazione) per facilitare la riconoscibilità del prodotto per il consumatore. (IVSI – Istituto Valorizzazione Salumi Italiani)

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consente un consumo immediato. I Salamini Italiani alla Cacciatora DOP sono ottenuti dai suini italiani utilizzati per i Prosciutti DOP di Parma e di San Daniele. Sono suini pesanti padani, nati, allevati e trasformati nell’area prevista dal Disciplinare e che rispondono a precise regole per quanto concerne allevamento e alimentazione. Di questi suini sono utilizzati i tagli piÚ nobili: parti della muscolatura striata e grasso della migliore qualità , che conferiscono ai salamini il sapore dolce. I Salamini Italiani alla Cacciatora DOP si adeguano alle moderne esigenze nutrizionali, perchÊ sono prodotti con carni magre e sono adatti per un consumo sia durante il pasto sia per un veloce spuntino o un aperitivo con gli amici. Forniscono proteine nobili, vitamine, soprattutto del gruppo B, e minerali essenziali come lo zinco e il ferro. La zona di produzione comprende l’intero territorio delle regioni Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Umbria,

A new vision of the meat industry

Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio e Molise. I Salamini Italiani alla Cacciatora DOP sono tutelati da un consorzio, il Consorzio Cacciatore, che svolge attivitĂ di informazione, tutela, promozione e valorizzazione del prodotto, e di vigilanza contro le possibili imitazioni o usi impropri della denominazione. Cacciatorini di carne suina, bovina, equina, selvatica e piccoli ruminanti, da mangiare a bocconi, affettati o preaffettati, entrano anche in cucina, come ricorda il gastronomo GIOVANNI GORIA ne “La cucina del Piemonte collinare e vignaiolo. Storia e ricetteâ€? (2012, Orme Editori). Una lunga storia di tradizioni e di innovazioni, per alcuni anche tradimenti, non ultimo quello di un’industrializzazione che li presenta al consumatore affettati in buste con atmosfera modificata. Ma i tradimenti non sono forse una forma d’evoluzione delle tradizioni? Prof. Em. Giovanni Ballarini UniversitĂ degli Studi di Parma

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spezie varie, tra cui cannella, ginepro, chiodi di garofano ed erbe aromatiche. Il budello può essere di suino o di manzo. Il periodo di maturazione è di qualche giorno in ambienti caldoumidi, mentre la stagionatura, di qualche settimana, avviene in locali freschi e ventilati. Questo salume si conserva bene per lunghi periodi in luoghi freschi e asciutti, anche se il cacciatorino piĂš gustoso e classico è quello consumato freschissimo, ancora privo della tipica muffa bianca superficiale. Oggi in Italia si trovano i Salamini Italiani alla Cacciatora DOP, di forma cilindrica, consistenza compatta e non elastica. Al taglio la fetta si presenta compatta e omogenea. Il colore è rubino uniforme con granelli di grasso ben distribuiti, il profumo è delicato e caratteristico. Tipica è la particolare dolcezza del gusto, l’assenza di sapori acidi o legati a speziature e la morbidezza della masticazione. La stagionatura breve, ma di almeno dieci giorni, ne

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