Premiata Salumeria Italiana 2-2018

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXX N. 2 Marzo-Aprile 2018

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Solo le cose buone nascono per essere condivise. In un piccolo angolo della Toscana, luogo di simbiosi perfetta fra uomo e natura, in mezzo alle colline pisane, nascono le idee ed i progetti del Caseificio Busti che continua a rinnovarsi a partire dall’anno della sua fondazione nel 1955. Nell’attuale e moderno sito produttivo di Acciaiolo vengono ideate le nuove ricette, frutto di un lavoro lungo e paziente, alla ricerca del perfetto equilibrio tra gusto, profumi e segreti di lavorazione, il tutto mantenendo invariati i tradizionali metodi di lavorazione artigianali, vero punto di forza dell’Azienda.

Busti Formaggi S.r.l. Via Marconi, 13 A/B, 56043 Loc. Acciaiolo - Fauglia (PI) Tel. +39 050 650565 - Fax +39 050 659057 commerciale@caseificiobusti.it


N. 2 Anno XXX Marzo-Aprile 2018

€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia Stampa

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988 Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi

Veniteci a trovare PAD 7 STAND C133 Vi aspettiamo!

Comitato di redazione Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Redazione New York Stefano Spadoni 1732 1st Ave #27220 New York, NY 10128 Tel. 001 212 956-8566 E-mail: Stefanony@stefanospadoni.com Consulenti scientifici Prof. Giovanni Ballarini (Parma) – Prof. Fausto Cantarelli (Parma) – Prof. Giuseppe Caserio (Milano) – Prof. Giorgio Catellani (Napoli) – Prof. Eugenio Del Toma (Roma) – Dr. Emanuele Guidi (Modena) – Prof. Riccardo Monacelli (Roma) – Dr. Alfonso Piscopo – Piero Pittaro (Udine) – Prof. Andrea Strata (Parma) – Angelo Valentini (Perugia) Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CC 2018. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2018.

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N. 2

In questo numero: Agenda

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Immagini

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Il food in rete

Social food

Elena Benedetti

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Aziende

Prosciutto di Sauris, Wolf lo produce dal 1862

Massimiliano Rella

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La porchetta nel Chianti

Gaia Borghi

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Parmacotto, presentata la nuova proprietà Prodotti tipici

24

Il salame di gamba di Coira

Roberto Villa

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La salsiccia pasqualora

Nunzia Manicardi

29

La Qualità

I bollini dell’eccellenza: lavoro, economia, benessere

Sebastiano Corona

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Marketing

Novità da Maison Bertolin: motzetta e salamino biologici. 100% bio. 100% buoni

42

Indagini

Doxa: olio extravergine principe dei prodotti

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Tutto il biologico, oggi

Biologico, sì è biologico

Francesco Procaccio

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A pagina 40.

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Analisi del food

Temperatura e sapore di grasso nella valutazione dei salumi

Giovanni Ballarini

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Sapori mediterranei

Lavanda: profumo & sapore

Giorgia Fieni

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Week-end

Benvenuti in Val Venosta tra malghe, masi e marmotte

Riccardo Lagorio

58

Il Museo del Culatello e del Masalén

62

Fenix Food Factory, cibo e architettura a Rotterdam

Massimiliano Rella

64

Tradizioni

La paskha russa vuole la ricotta

Nunzia Manicardi

70

Locali di gusto

Ferramenta, ristorante, bar, bottega nel cuore di Santarcangelo di Romagna

Eventi

Human Factor

76

Viva Taste, il salotto italiano del gusto e del food lifestyle

82

Fiere

74

Aspettando Cibus 2018

88

SIAL: da oltre 50 anni Parigi ispira il food business

Gaia Borghi

International Excellence: il meglio dal mondo affianca il made in Italy a Tuttofood Formaggio

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La vera Fontina Dop nasce solo in Val d’Aosta

Massimiliano Rella 100

Formaggi a denominazione tra problemi e straordinarie opportunità

Sebastiano Corona 104

A pagina 16.

In copertina: la porchetta artigianale di Francesco Mosca, tradizione del Chianti fiorentino (photo © Massimiliano Rella).

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Vino

Il ritorno del vermut

Riccardo Lagorio

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Pignoletto, la conquista che parte dai Colli Bolognesi

Laura Franchini

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Montefalco, un territorio al lavoro

Massimiliano Rella 116

Slow Wine, la viticoltura è l’avanguardia dell’agricoltura I vini di Premiata Salumeria Italiana

118

Degustazione: le nuove frontiere della pizza

Laura Franchini

Sono 180 grammi, lascio? Grammatura, qualità, provenienza Tecnologie

Più efficienza e meno spese con il CSB-System

Storia e cultura

La “napoletana” e altre macchine per il caffè

Libri

Un panino per tutti i gusti

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Giovanni Papalato 126 128 Giovanni Ballarini 132 136

A pagina 64.

A pagina 26.

A pagina 58.

www.premiatasalumeriaitaliana-online.com 8

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AGENDA

Polesine Zibello (PR) L’edizione 2018 di Salumi da Re, il raduno nazionale di allevatori, norcini e salumieri ideato e organizzato dal GAMBERO ROSSO con l’ANTICA CORTE PALLAVICINA, si svolgerà dal 7 al 9 aprile presso la splendida corte cinquecentesca dei fratelli Spigaroli. Il tema della manifestazione sarà “L’importanza del grasso”: la tre giorni, infatti, ospiterà incontri, convegni e laboratori dedicati all’importanza dei grassi nei salumi. Tra le conferme di questa edizione la cena di gala presso Il Cavallino Bianco, prevista per sabato 7 aprile, il consueto appuntamento dedicato ai protagonisti di Salumi da Re e riservato a produttori, buyer e stampa nazionale e per la prima volta anche ad un numero limitato di appassionati del settore. Non mancheranno inoltre incontri, degustazioni, convegni, focus e momenti di intrattenimento con il Concorso del Panino d’Autore e la Gara di taglio a mano del prosciutto dove le migliori gastronomie e botteghe del gusto si sfideranno in una gara di precisione a colpi di coltello nella magica arte del taglio a mano del prosciutto (photo © Premiata Salumeria Italiana). www.salumidare.it

Verona Dal 15 al 18 aprile torna Vinitaly, la più grande manifestazione dedicata al mondo del vino. Produttori, importatori, ristoratori, tecnici, giornalisti e opinion leader ogni anno si danno appuntamento a Verona per conoscere le tendenze del mercato, scoprire le innovazioni e creare nuove opportunità di business. Nel padiglione 8 anche quest’anno si ritroveranno il salone dei vini naturali ViViT – Vigne Vignaioli Terroir, realizzato da Vinitaly in collaborazione con l’Associazione VI.TE, e la collettiva FIVI – Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti. Lo sviluppo di questi due spazi espositivi è in linea con le tendenze di mercato e di quella parte del mondo produttivo italiano sempre più impegnato sul fronte dell’identità e della sostenibilità ambientale. Per i vini certificati biologici si arricchisce l’Enoteca di Vinitalybio, che propone tutte le etichette presenti in fiera all’interno degli stand delle cantine che, sempre più numerose, hanno fatto questa scelta produttiva. In concomitanza a Vinitaly ricordiamo anche Sol & Agrifood, il Salone Internazionale dell’Agroalimentare di Qualità, rassegna interattiva che attraverso cooking show, momenti educational e degustazioni valorizza in chiave business le peculiarità dell’agroalimentare. Il tutto all’interno del quartiere fieristico di Verona Fiere (photo © Ennevi-Veronafiere). www.vinitaly.com www.solagrifood.com

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Barcellona, Spagna Dal 16 al 18 aprile la capitale della Catalogna ospiterà Alimentaria, la fiera multiprodotto che con cadenza biennale chiama a raccolta gli operatori del food europei con un incoming anche da USA, Oriente e America Latina. Nella formula multiprodotto Alimentaria 2018 si articolerà attraverso 6 saloni tematici specializzati: Intervin, Intercarn, Restaurama, Interlact, Expoconser e Multiple Foods. Una formula vincente sia per gli espositori che per il pubblico di operatori e professionisti in visita, efficace per cogliere le opportunità di business di ogni settore, nell’ottica di export e di innovazione. Intercarn, l’area dedicata alle carni, sarà ospitata nei padiglioni 4 e 5, a dimostrazione della valorizzazione che gli organizzatori di Alimentaria vogliono dare alle carni e ai salumi. Il target dei visitatori di Intercarn comprende buyer spagnoli ed esteri della DO, GDO e canale HO.RE.CA. Non mancheranno operatori della trasformazione delle carni, macellatori e grossisti. Tra i focus di quest’anno ci saranno le carni di alta gamma, le nuove tendenze in tema di consumi, le lunghe frollature e le razze di qualità. La piattaforma dedicata alle proteine animali offrirà numerosi spunti di riflessione sulle attuali tendenze del commercio e del consumo delle carni, con attenzione a kosher e halal, all’innovazione di prodotto e alle DOP e IGP di salumi e carni. Ad Intercarn sarà rappresentato il 90% dell’industria spagnola di settore, per l’interesse dei buyer internazionali (photo © Pabkov – stock.adobe.com). www.alimentaria-bcn.com

Parma Anche Cibus intende celebrare alla grande il 2018, proclamato dal Governo italiano “Anno del Cibo”, e per favorire la crescita produttiva e l’esportazione dei prodotti alimentari made in Italy si prepara per un’edizione speciale. Sono infatti attesi a Parma, dal 7 al 10 maggio, più di 3.000 aziende espositrici e un numero crescente di operatori e buyer delle più importanti catene di distribuzione mondiale. Per questa edizione il programma di incoming dei buyer esteri è stato rafforzato. I mercati principali dell’export alimentare, oltre all’Europa e agli Stati Uniti d’America, saranno Canada, Giappone, Australia, Russia, e, per quanto riguarda l’Asia, Cina, Hong Kong, Corea del Sud, Tailandia, Taiwan. Ci sarà un’area dedicata ai più innovativi e originali prodotti alimentari immessi sul mercato, selezionati da una giuria di esperti, e sarà presentato un nuovo Padiglione. Per l’edizione di maggio sarà più esteso il programma dei convegni e seminari, con novità assolute come l’evento sul marketing in store organizzato da Università di Parma e IPSOS (photo © facebook.com/CibusParma). www.cibus.it

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Terra Madre Salone del Gusto 2018: le prime anticipazioni #foodforchange è l’hashtag e il tema della 12a edizione di Terra Madre Salone del Gusto, l’evento Slow Food che quest’anno si svolgerà dal 20 al 24 settembre in vari luoghi della città di Torino. «Un osservatorio privilegiato che ci permetterà di aprire una finestra sul futuro del cibo nel mondo e sull’evoluzione di Slow Food e Terra Madre, come associazione e movimento» ha detto Carlo Petrini, presidente e fondatore di Slow Food, in occasione del lancio della nuova edizione. Cibo per il cambiamento è quindi il fil rouge che accompagnerà tutte le iniziative, dal programma di conferenze e Laboratori del Gusto al grande Mercato e ai Forum di Terra Madre con la presenza di contadini, allevatori e artigiani da tutto il mondo, sino alle centinaia di proposte che arriveranno in risposta ai due bandi lanciati a inizio marzo. Tra le novità di quest’anno ci sarà il ritorno del Mercato al Lingotto, mentre le attività didattiche occuperanno il Palazzo della Giunta Regionale in piazza Castello, l’Enoteca sarà al Palazzo Reale, le conferenze, organizzate in collaborazione con il Circolo dei Lettori di Torino, avranno luogo nel centro della città. Incisiva e potente è anche l’immagine che guida la nuova campagna di comunicazione di Terra Madre Salone del Gusto. “Le mani rappresentano la cultura del fare, ed è questo il loro potere rivoluzionario: oggi come cinquant’anni fa, quando occupavano i manifesti del Maggio francese. Ogni mano, ogni persona, decide come utilizzare il suo pollice opponibile: quel dettaglio che ci definisce come specie umana e che si è evoluto per poter usare gli utensili, fino ad approdare ai like dei social media” scrive Slow Food. “La mano stretta in un pugno vuole rivendicare l’importanza del cibo come motore di cambiamento sociale e per la manifestazione di Slow Food evolve in una mano che impugna i frutti della terra o una forchetta, un cucchiaio, le bacchette”. I produttori del Mercato diventano ambasciatori della filosofia del movimento L’impegno di Slow Food nell’affiancare i produttori del Mercato nel loro percorso al fine di renderli ambasciatori della filosofia del buono, pulito e giusto e delle proprie campagne internazionali si concretizza, per la prima volta, nella pubblicazione di un documento di linee guida che si pone come uno strumento in continua evoluzione, con il duplice obiettivo della massima utilità per i produttori e della massima coerenza con i princìpi del movimento. Queste linee guida (salonedelgusto.com/wp-content/uploads/2018/01/ Terra-Madre-Linee-guida-espositori.pdf), prima ancora di essere strumento in mano all’organizzazione per operare la selezione tra le realtà che si candidano al ruolo di espositori, sono un punto di riferimento per gli stessi produttori, anche quelli che non saranno all’evento, che potranno usarle per orientare il proprio lavoro alla ricerca di una sempre maggiore qualità complessiva. Le linee guida sono vincolanti. Spetta in primo luogo ai produttori stessi verificare la propria conformità e confermarla all’atto della richiesta di partecipazione. Ad esempio, per la filiera salumi e trasformati di carne, hanno titolo preferenziale le aziende che producono salumi con carni da allevamenti allo stato brado o semibrado, da razze autoctone e che non fanno uso di nitriti e nitrati. Inoltre, non possono essere venduti salumi che contengano starter, saccarosio e destrosio, lattosio, siero di latte o caseinati e qualunque esaltatore di sapidità. >> Link: salonedelgusto.com

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Sincera nella lavorazione e negli ingredienti, Sincer che sono 1 0 0% naturali. Sincera nella qualitĂ dei tagli pregiati Sin di carne italiana e nel gusto inconfondibile. car La Sincera, come tut te le nostre mor tadelle, Sin nasce nasc da una ricet ta semplice e genuina.

Ve lo dico Sinceramente... sono 100% Naturale! w w w . f e l s i n e o . co m


IMMAGINI

Da qualche tempo a questa parte, in tutta Europa ma in modo particolare in Spagna, il vermut è tornato prepotentemente alla ribalta. Questo vino ottenuto macerando erbe, radici e fiori, assai popolare qualche anno addietro, insomma, è di nuovo tra noi! L’approfondimento e i consigli di Riccardo Lagorio li trovate a pagina 108.

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IL FOOD IN RETE

Social di Elena

1. La Strada del Vino e Sapori del FVG La Strada del Vino e Sapori del Friuli Venezia Giulia ha inaugurato il 2018 con un ampliamento degli operatori food & wine aderenti, un nuovo portale tematico pensato per gli enoturisti e una guida di accoglienza aggiornata. All’indirizzo www.tastefvg.it il gastronauta trova facilmente tutte le informazioni per costruire il suo itinerario enogastronomico, visionando ad esempio gli orari di apertura aggiornati in tempo reale delle cantine vitivinicole per prenotare le visite guidate. Utile anche la guida all’accoglienza della Strada che raccoglie una descrizione puntuale delle 200 realtà che oggi vi aderiscono, divise per categorie (Wine & spirits, Taste e Food & Co) e in sei diverse esperienze da vivere: “Da noi in montagna”, “Da noi sui colli”, “Da noi sul fiume”, “Da noi in pianura”, “Da noi sul Carso”, “Da noi in riviera” (in basso, stagionatura di prosciutti di San Daniele; photo © Silvana Comugnero).

2. Vigiliamo sulla Mortadella Bologna Igp Da 18 anni il Consorzio Mortadella Bologna si impegna per tutelare la MORTADELLA BOLOGNA IGP svolgendo anche un’attività di contrasto alle imitazioni e contraffazioni. Recentemente il Consorzio ha sviluppato un progetto denominato “Vigila anche tu sulla Mortadella Bologna IGP” che si rivolge a tutti i consumatori per coinvolgerli nella salvaguardia del prodotto. Come funziona? Basta andare sul sito www.mortadellabologna.com e segnalare direttamente al Consorzio eventuali anomalie in commercio, qualora si abbia il dubbio che non si tratti di una Mortadella Bologna IGP. Il Consorzio risponderà ai consumatori e, se opportuno, interverrà (photo © Lucky Dragon – stock.adobe.com).

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food Benedetti

3. Vivino lancia Vivino Market La app dedicata al vino più scaricata al mondo e il più grande marketplace on-line di vino annuncia la disponibilità in Italia di VIVINO MARKET, www.vivino.com/market, la nuova tecnologia implementata all’interno della app e del sito Vivino in grado di suggerire il vino in base ai gusti personali dell’utente. Vivino è il marketplace on-line di vino più grande del mondo, supportato da una community di 29 milioni di utenti che utilizzano la app Vivino, la più scaricata a livello globale, per interagire con più di 2.000.000 di vini ogni giorno (photo © vivino.com).

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4. Pasta, a difesa della tradizione italiana Sviluppata per promuovere la cultura della pasta, simbolo del made in Italy sulle tavole di tutto il mondo, e della Dieta Mediterranea, considerata patrimonio immateriale dell’Umanità, WE LOVE PASTA è anche un sito accessibile su www.welovepasta.it. Il progetto è stato realizzato dall’Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane (AIDEPI), le cui aziende iscritte coprono complessivamente circa l’80% del mercato (photo © tenkende/123RF).

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AZIENDE

Prosciutto di Sauris, Wolf lo produce dal 1862 di Massimiliano Rella

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auris, in provincia di Udine, è un piccolo borgo montano della Carnia, in Val Lumiei, formato da varie frazioni e case sparse collocate tra i 1.000 e i 1.400 metri di altitudine, tra boschi di abeti, faggi e larici, malghe e pascoli, dove si produce un prosciutto crudo leggermente affumicato secondo la tradizione saurana. Il prosciutto di Sauris, morbido, dal gusto delicato e raffinato, è tutelato dal 2009 dal marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta), che ne certifica il legame con il territorio. È prodotto con cosce di suino nazionale secondo il Disciplinare ma ciò che lo

contraddistingue da altri ottimi prosciutti è il particolare metodo di affumicatura a freddo con solo legno di faggio. L’azienda di riferimento è il Salumificio Wolf, fondato nel 1862, che per decenni ha tramandato la ricetta del norcino PIETRO SCHNEIDER. Ancora a conduzione familiare, occupa 60 dipendenti e, oltre allo stabilimento produttivo, gestisce un grande punto vendita in paese. A dirigere il tutto sono GIUSEPPE e il figlio STEFANO PETRIS. La Wolf è divenuta negli anni un’importante azienda di trasformazione delle carni suine per la produzione non solo di prosciutti ma anche di

speck, salami, pancetta, lardo, fiocco di Sauris — fatto con la parte nobile della coscia —, soppressa, cotechino, filetto alle erbe e altri insaccati. Fedele alla tradizione norcina locale, ha introdotto le innovazioni tecnologiche necessarie per far sì che le lavorazioni delle carni, un tempo eseguite a mano, conservassero le caratteristiche e i sapori del prodotto tipico. I controlli qualitativi e l´applicazione di un rigido disciplinare garantiscono invece la qualità costante di prosciutti e salumi. Tutte le operazioni produttive e di confezionamento sono eseguite a Sauris, nell’azienda di trasformazione

Con un ago in osso di cavallo detto “fibula” gli operatori del Salumificio Wolf, a Sauris, verificano eventuali imperfezioni del prosciutto in stagionatura.

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In alto: locali di stagionatura del Prosciutto di Sauris Igp. In basso: affumicatura degli speck al Salumificio Wolf. e stagionatura a 1.212 metri di altitudine. L’aria pura di montagna e la lieve affumicatura con legno di faggio sono tratti distintivi degli insaccati di Wolf. Fiore all’occhiello è il Prosciutto di Sauris IGP, il prodotto con cui l’azienda si è fatta conoscere. Le cosce di suino, accuratamente selezionate e provenienti da allevamenti e macelli italiani, sono insaporite con sale, pepe e aglio. L’affumicatura a freddo, dolce e lieve, viene fatta utilizzando caminetti dai quali il fumo, raffreddato e depurato, passa nelle celle dove i prosciutti sono lasciati per il tempo stabilito. La fase

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conclusiva del processo produttivo è la stagionatura, che dura almeno 12 mesi ed è monitorata con cura, utilizzando i classici aghi in osso di cavallo. Il prosciutto è prodotto nelle tipologie con osso e disossato. Esiste anche una versione stagionata di minimo 16 mesi, dal gusto più ricco e saporito. Lo speck invece è ottenuto da cosce magre di suino insaporite con sale, pepe ed erbe aromatiche e stagionate non meno di 14 settimane. Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella.

Wolf Sauris di Sotto 88 33020 Sauris (UD) Telefono: 0433 86054 E-mail: info@wolfsauris.it Web: www.wolfsauris.it

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La porchetta nel Chianti A Montespertoli, tra i vigneti e le dolci colline della provincia di Firenze, l’azienda artigianale di Francesco Mosca produce una porchetta “tutta italiana”. Profumata e fragrante, conquista al primo assaggio di Gaia Borghi

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confinati vigneti e castelli, ulivi e campi di grano: il Chianti ci dà il benvenuto con i suoi paesaggi morbidi, i viali di cipressi che conducono ad antiche dimore, i piccoli borghi ricchi di arte e storia. Situata proprio al centro della regione, Montespertoli è una graziosa cittadina di origine medievale ad una

ventina di chilometri da Firenze. In passato era considerata uno snodo viario importante per il commercio delle merci che dal capoluogo viaggiavano in direzione di Siena e Volterra; oggi è conosciuta soprattutto per la festa dedicata al Chianti, il vino simbolo della Toscana, che si celebra da sessant’anni tra la fine del mese di maggio e l’inizio

di giugno e che richiama ad ogni edizione migliaia di visitatori. “Qui il vino è presente in ogni casa, è uno stile di vita, è il primo, saldo legame dell’uomo con questa terra” si legge nel sito dedicato alla fiera. E cosa c’è di meglio per accompagnare un buon bicchiere di Chianti classico se non un fragrante e profumato panino con la porchetta?

Per la produzione della sua porchetta del Chianti Francesco Mosca utilizza solo maiali nati e allevati in Italia, aggiungendo spezie e aromi naturali toscani.

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La porchetta di Francesco Mosca, riccamente condita alla maniera toscana con aglio fresco, sale, pepe, salvia, rosmarino, coriandolo e finocchietto, viene legata a mano. L’ultima fase di lavorazione prevede la cottura arrosto della carne, come vuole l’originale ricetta regionale. Accompagnatela con pane sciapo e un buon Chianti classico: perfetta! Francesco Mosca con la nipote Deborah e la cognata Lucia. Un calabrese in Toscana Il quartiere artigianale di Montespertoli ospita anche la piccola azienda di Francesco Mosca, produttore della “vera porchetta toscana del Chianti”. Francesco, di origini calabresi, arrivò in Toscana a soli 19 anni, affiancando nell’attività di ambulanti specializzati nella vendita di porchetta alcuni parenti trasferitisi in zona qualche tempo prima. Da lì all’apertura di un laboratorio con bottega a Lastra a Signa, sempre in provincia di Firenze, il passo è stato breve. «Era il 1975 e la passione che ho provato quando ho iniziato a fare questo lavoro non mi ha più abbandonato» mi racconta Francesco. Nel 2003 la decisione di ampliarsi dettata dall’aumento delle richieste e il trasferimento a Montespertoli, nell’attuale stabilimento. «Vado molto orgoglioso di quello che faccio, che facciamo io e la mia famiglia: un prodotto “come Dio comanda”, tutto italiano, tutto naturale, come vuole la tradizione regionale più classica, con la carne massaggiata e legata a mano e cotta lentamente in forno». La fierezza di un artigiano In azienda oggi sono in quattro: Francesco, la moglie Antonietta, la cognata Lucia e sua figlia Deborah. Beato tra le

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donne! Lavorano su ordinazione tra le venti/venticinque porchette intere a settimana, più ottanta/ottantacinque busti di porchetta, realizzati con il lombo del suino disossato e la pancetta. Ideali per chi deve disporre di un prodotto sempre fresco, da affettare al bisogno. Solo materia prima nazionale, animali nati e allevati in Italia, da allevamenti del Nord e del Centro Italia, Lombardia e Umbria soprattutto, in particolar modo dalla provincia di Orvieto. «Sono maiali che hanno una percentuale di grasso ideale per la preparazione della porchetta» puntualizza Francesco. «Se fossero troppo magri la carne si seccherebbe eccessivamente e non riusciremmo ad ottenere il prodotto che desideriamo». Da tenere bene a mente quindi: i grassi, ogni tanto, servono. La qualità si paga ma nel tempo paga, eccome se paga I maiali interi arrivano in laboratorio con un peso di partenza che va dai 70 ai 75 chili: al termine della cottura le porchette peseranno circa la metà, così come i bustini, che dagli iniziali 22-23 chili circa arriveranno a pesare tra i 10 e i 12 chilogrammi. La concia della carne è ricca e profumatissima: aglio fresco, rosmarino, salvia, coriandolo, finocchietto, pepe e sale. Nessun

conservante, nessuna aggiunta chimica, solo spezie e erbe toscane. «Io sono il primo cliente della mia porchetta: pago qualcosa in più ma sono sicuro di quello che mangio» mi dice Francesco. È la nipote Deborah, in azienda da oltre dieci anni, ad occuparsi della distruzione degli aromi sulla carne, che poi vengono massaggiate e cucite a mano con precisione e piglio da abile sarta. Segue la cottura in forno a 210 °C per quasi sei ore. Il profumo invade pian piano la stanza; la crosta è di un bellissimo colore ambrato, croccante al punto giusto. La carne è morbidissima ma la fetta resta compatta al taglio. Davvero squisita. Mi piace fare le cose per bene La clientela di Francesco Mosca è rappresentata principalmente dalla Grande Distribuzione (Unicoop Firenze), da qualche grossista, dalle gastronomie, sia quelle toscane che delle regioni più settentrionali, e dagli ambulanti. «Il nostro prodotto ha molto successo, potrei ingrandirmi, ma questa è una dimensione che riesco a gestire nel migliore dei modi quindi non ho nessun motivo di cambiare» continua Francesco. «A me piace fare le cose per bene e poi la vita è una sola, no? Da qualche tempo, comunque, ho iniziato una collabora-

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Una cottura lenta al forno per quasi sei ore dà come risultato una crosta croccante e dorata. zione molto soddisfacente con una serie di locali che fanno capo al marchio La Prosciutteria e i cui proprietari sono proprio di Montespertoli. I taglieri e i panini con salumi e formaggi toscani sono la loro proposta principale: poteva forse mancare la nostra porchetta del Chianti?» conclude Francesco. Nella

Prosciutteria di Bologna, situata strategicamente nelle vicinanze della zona universitaria, a pochi minuti dalle due Torri, hanno fatto recentemente una Festa della porchetta. A riprova del fatto che anche nella città della mortadella alla porchetta proprio non si può dire di no. Gaia Borghi

Mosca Francesco Via dell’Artigianato 22 – Loc. Ripa 50025 Montespertoli (FI) Telefono: 0571 670950 E-mail: info@moscafrancesco.it Web: www.porchettatoscana.eu www.facebook.com/ PorchettaToscanaDelChianti

Chi non mangia la porchetta in compagnia, non si trova certamente in Prosciutteria Salumi, formaggi (e vini) toscani, con qualche sconfinamento fuori regione, ma comunque made in Italy, proposti su un tagliere o tra due fette di pane, sopra un crostino o dentro una schiacciata, una focaccia. Servizio informale, così come la comunicazione —seguiteli sui canali social, FB e Instagram su tutti, sono attivissimi —, tanti giovani, anche dietro il bancone, e conto leggero. “Peace, Ham, Love”: questa in sintesi la filosofia dei locali “La Prosciutteria”, marchio registrato di proprietà della famiglia Leoncini della Tuscan Farm di Montespertoli (FI). Ad oggi La Prosciutteria la trovate a Firenze, Brescia, Bologna, Milano, Siena, Cosenza e Marina di Massa, ma sono previste a breve altre aperture visto il loro crescente successo: perché, come si legge in un loro post, “la porchetta è cosa buona e giusta”. >> Link: www.laprosciutteria.com

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Parmacotto, presentata la nuova proprietà

È

una tra le più note aziende italiane nella produzione e commercializzazione di salumi e affettati pronti al consumo. La Parmacotto Spa ha annunciato lo scorso 15 marzo che l’imprenditore bolognese GIOVANNI ZACCANTI, già cofondatore di Saeco e Caffitaly, ha acquisito la maggioranza dell’azienda. Con un fatturato di 58 milioni nel 2017 e 140 dipendenti, Parmacotto opera da 40 anni sul mercato italiano, producendo e commercializzando salumi e affini nel canale GDO e dettaglio tradizionale. Negli ultimi due anni, la proprietà della società è passata ad un gruppo di fornitori della stessa, a seguito di un importante piano di ristrutturazione

che ha puntato sulla qualità a garanzia dei prodotti e sulla notorietà del brand. «L’acquisizione di Parmacotto è per me una nuova sfida» ha dichiarato Zaccanti, che assume la carica di presidente. «Ho lavorato tutta la mia vita nel settore delle macchine e delle capsule per caffè, ma quando mi si è presentata questa nuova avventura non ho esitato. Parmacotto sta riacquisendo la propria solidità: negli ultimi anni, nonostante la contrazione globale del mercato e le vicende che si sono susseguite internamente, è riuscita comunque a crescere e performare in maniera ottimale». «Questo è un momento di grande soddisfazione per tutta la Parmacotto e per tutte le persone che hanno lavorato a

questo progetto» ha proseguito ANDREA SCHIVAZAPPA, AD di Parmacotto dal 2017. «Il grande risultato ottenuto lo si deve al lavoro del team e alla condivisione di valori che contraddistinguono la nostra azienda: alta qualità nella preparazione dei prodotti, sicurezza alimentare, grande rispetto nelle relazioni umane, impegno etico e sociale. Questa è oggi la Parmacotto». I professionisti di RTZ e RTZ Legal, coordinati dal dott. Lorenzo Rutigliano, hanno assistito la nuova proprietà nella definizione degli accordi con le parti venditrici. La famiglia Vitali compartecipa in quota di minoranza all’operazione. >> Link: www.parmacotto.com

Giovanni Zaccanti e Andrea Schivazappa con Rossano Vitali e i figli Giorgia, Daria e Davide. La Parmacotto Spa ha due stabilimenti produttivi, a Marano (PR) e San Vitale Baganza (PR), e conta circa 140 dipendenti con una rete di vendita di 80 agenti, presenti in modo capillare su tutto il territorio nazionale.

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19° SALONE INTERNAZIONALE DELL’ALIMENTAZIONE

PARMA.7|10MAGGIO.2018

WELCOME TO FOODLAND


PRODOTTI TIPICI

Il salame di gamba di Coira Prodotto tradizionale da cuocere del cantone svizzero dei Grigioni, oggi sono solo in due a realizzarlo, ma il presidio Slow Food promette di difenderlo dalla scomparsa di Roberto Villa

L

a leggenda narrata dal cantastorie HERKULES (HÄRTLI) SCHWARZ nel 1898 — così come riferita nel 2006 da FRITZ VON GUNTENS nel libro Alles ist Würst (letteralmente “Tutto è salsiccia”)

— vuole che Crispino, più oltre Santo patrono dei calzolai, in pellegrinaggio verso nord, passasse per Coira e, affamato e stanco, chiedesse ospitalità al castello del Vescovo, ottenendo tuttavia dal castellano un rifiuto. Alloggiato

gratuitamente presso una locanda, dopo alcuni giorni per sdebitarsi entrò nel castello nottetempo e rubò la carne di un suino appena macellato, vino bianco e spezie. Tagliato e miscelato tutto insieme, lo insaccò in un budello

Il salame di gamba di Coira, chiamato Churer Beinwurst in tedesco e Liongia cun ossa in romancio, è un salume tipico della cultura contadina dei Grigioni, nato per recuperare tagli meno nobili del suino. Si consuma dopo averlo bollito in acqua o nella tradizionale zuppa d’orzo (photo © www.schweizerfamilie.ch).

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Nell’alta valle del Reno la tradizione di fare salumi è diffusa da secoli: si producono numerosi salami di puro suino o misti a cacciagione e una caratteristica carne secca di bovino. Ma il prodotto che vanta più secoli di storia è proprio il salame di gamba, citato già all’inizio dell’800 in un articolo di Heinrich Zschokke, che ne codifica fin d’allora la ricetta Affumicatura dei salami di gamba di Coira (photo © www.schweizerfamilie.ch). e lo lasciò affumicare: il risultato ebbe così successo che, prima di partire verso la Gallia settentrionale, Crispino lasciò al locandiere la ricetta tramandata fino ai giorni nostri. Sono rimaste solamente due macellerie a produrre ancora il salame di gamba di Coira (Churer Beinwurst in tedesco, Liongia cun ossa in romancio), un salume tradizionale tramandato per secoli nella cultura contadina dei Grigioni e ben descritto da un articolo di HEINRICH ZSCHOKKE del 1805 intitolato Über die Bündnerwürste (“Sulle salsicce dei Grigioni”), il quale riferiva con dovizia di particolari sulla ricetta per la sua fabbricazione. Questo salume da cuocere era, come spesso capita nella cultura delle campagne, un modo per recuperare tagli meno nobili e renderli grati alla popolazione rurale. Oggigiorno non vengono utilizzati tutti i tagli meno pregiati del suino che erano usi inserire secoli fa (persino codino, orecchie e ossa di gamba, secondo la ricetta antica), sebbene sia ancora un salume dal sapore autentico. Nel Cantone c’è ancora la tradizione di ingrassare i maiali in alpeggio, durante l’estate, somministrando loro il siero delle produzioni casearie di malga; i suini allevati in alpeggio si macellano all’inizio della stagione, mentre nei mesi

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successivi si procede con gli animali allevati in fattoria. I tagli utilizzati nella formulazione attuale sono grasso dorsale con la cotenna, guanciale, coppa, spalla; tagliati grossolanamente al coltello in pezzi da circa 2-3 cm, vengono speziati con sale, pepe, noce moscata, coriandolo e cannella, l’impasto viene lasciato a macero per una settimana a circa 8 °C nel vino bianco con aglio pestato: si utilizza il tipico Veltliner, un bianco prodotto nelle vicine valli ed anche in Austria e in Alto Adige, la cui storia ricorda l’esportazione del vitigno ai tempi dell’impero romano proveniente dalla confinante Valtellina. Successivamente, si insacca manualmente in un budello bovino e si lega con una cordicella dando una forma circolare; la pezzatura va dai 350 ai 600 fino ai 1.200 grammi, per terminare con una affumicatura di segatura di faggio o mista di faggio e di abete tra i 30° e i 40 °C per un periodo da 8 a 15 ore a seconda della pezzatura; conservato al fresco, si può mantenere per un mese all’incirca. Va consumato dopo averlo bollito a 80 °C per 3-4 ore a seconda del peso; ciò può essere fatto immergendolo in acqua oppure nella tradizionale zuppa d’orzo (Gerstensuppe) per farle assorbire sapori più intensi e al con-

tempo rilasciare prezioso condimento nella zuppa. Se bollito in acqua, viene solitamente accompagnato con Sauerkraut e con patate lessate. Dal 2010 è stato costituito in Presidio dalla locale sezione di Slow Food e grazie a questa ribalta sta tornando ad essere considerato dalle popolazioni locali e dai turisti, anche se la produzione dei due aderenti al presidio non eccede le 3 tonnellate all’anno, concentrata nel periodo tra ottobre e il carnevale. Tra gli obiettivi che si pone il presidio vi è anche quello di convincere altri norcini a riprenderne la tradizione e reinserirlo nella produzione gastronomica grigionese. Roberto Villa Nota Per informazioni si possono contattare i due produttori: • Alois Schlager Fleischtrocknerei Bischofberger Haupstrasse 64 7075 Churwalden Telefono: +41 813821139 E-mail: info@bischi.ch • Metzgerei Mark Altstadtmetzgerei Obere Gasse 22 – 7000 Chur Telefono: +41 812523543 E-mail: info@metzgerei-mark.ch Web: www.metzgerei-mark.ch

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Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.

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Tradizioni di Sicilia e prodotti PAT

La salsiccia pasqualora Nasce durante la Settimana Santa per essere consumata d’estate. Era apprezzata già dagli antichi Romani, tanto che Virgilio ne scrisse nelle sue “Georgiche”. Quella di Caccamo, sostenuta da un’associazione di tutela e una sagra annuale, è presidio Slow Food di Nunzia Manicardi

I

l nome non deve trarre in inganno. Questa salsiccia siciliana si chiama “pasqualora” perché, effettivamente, viene preparata con alcuni tagli — riservati appositamente per questo tipo di insaccato — di maiale macellato durante la Settimana Santa, però è destinata ad essere consumata durante il periodo estivo, dopo una

stagionatura di alcune settimane. È un prodotto tipico, inserito nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali Italiani (PAT) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. La zona originaria è quella dei comuni di Trapani, Erice, Valderice, Paceco, Calatafimi, Alcamo, Castellammare del Golfo, Buseto Palizzolo, San Vito Lo

Capo, Custonaci. La sua preparazione è diffusa però anche in tutto il resto della Sicilia, soprattutto nelle zone montane, e infatti tra le salsicce più rinomate compaiono quelle di Camporeale, sulle Madonie, e quelle delle colline ennesi. Particolarmente rinomata è quella di Caccamo, nel Palermitano, di cui parleremo a breve.

Dalla tipica forma a U, di carne mista di maiale e bovino, la salsiccia pasqualora si prepara e si mangia un po’ in tutta la Sicilia, soprattutto nelle zone montane. In foto, la salsiccia secca pasqualora, anche in versione piccante, della macelleria GS Carni di Caccamo, Palermo (photo © www.macelleriagscarni.com).

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Sagra della Salsiccia a Caccamo (photo © Vittorio La Rosa). Solo parti nobili La pasqualora è una salsiccia appassita insaccata in un budello grosso e dalla caratteristica forma a “U” allungata per la quale si utilizzano solo carni di maiale tagliate a grana grossa in punta di coltello e macinate con piatto a fori larghi. Dal punto di vista nutrizionale è un prodotto di pregio perché è composta principalmente da parti nobili del maiale per cui la quantità di grasso è assai minore rispetto a quella di analoghi prodotti siciliani. Era dunque, in origine, un prodotto riservato solo alle famiglie più abbienti, quelle che potevano permettersi non solo di allevare suini ma anche di destinarne le parti migliori al proprio consumo personale. L’impasto viene conciato con sale marino e una miscela di pepe nero e pepe bianco macinato a mezza grana. Prima di essere insaccata e stagionata la salsiccia viene insaporita con aggiunta di vino bianco, peperoncino rosso frantumato e semi di finocchietto selvatico proveniente dalla riserva naturale orientata del Monte San Calogero. È poi divisa in porzioni (tocchi), insaccate in budello di suino e legate con spago o, nei tempi passati, con strisce di foglie di palma nana. La stagionatura (da 16 a 20 giorni) avviene in luogo fresco e ventilato o in apposite celle. Al taglio si presenta di colore rosso vivo, consistenza tenera, con sapore delicato, aroma fragrante e caratteristico.

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Man mano che stagiona diventa meno morbida. La grana di colore rosso è nettamente distinguibile dalla parte bianca grassa. Si può consumare cotta sulla brace (avvolta in carta d’alluminio) o, secondo l’uso antico, posta in mezzo alla cenere, ma è ottima anche cruda, a fette, come se fosse un salamino. Perfetta per un robusto “apricena” o uno spuntino. Quella caccamese è elemento qualificante del territorio Particolarmente tutelata e valorizzata è la salsiccia pasqualora caccamese, dal paese di Caccamo, in provincia di Palermo, che ne rivendica i natali, la quale è stata inclusa nell’arca del gusto Slow Food. La “proclamazione” è avvenuta quasi dieci anni, nel 2009, quando a Caccamo venne firmato l’atto costitutivo e lo statuto che da allora regola la nuova Associazione di promozione della “salsiccia pasqualora

di Caccamo”, voluta fortemente dal veterinario FRANCO PECORARO e da alcuni macellai caccamesi: RAIMONDO CANZONE, TOTÒ NEGLIA e NINO SIRAGUSA, che poi in tale associazione sono andati ad occupare i ruoli direttivi. L’associazione, che condivide i principi ispiratori del movimento nazionale Slow Food, ha come scopo la realizzazione, la gestione e la promozione della filiera produttiva della salsiccia e di prodotti similari e derivati e anche dei relativi marchi commerciali allo scopo di rivalutare l’antica tradizione gastronomica del territorio di Caccamo. Si tratta quindi, prima di tutto, di un’operazione culturale, che riparte dai prodotti tipici d’eccellenza per salvare la sapienza artigianale dei produttori caccamesi e del loro prodotto più tipico, in una chiave non localistica che permetta di portare le eccellenze regionali nel mondo intero. La salsiccia pasqualora di Caccamo è infatti elemento qualificante del territorio caccamese visto che la tradizione si perde nella notte dei tempi. Era l’unico modo, d’altronde, per conservare la carne di maiale fino a due mesi dopo la macellazione, così come racconta già nel I secolo a. C. il grande poeta latino Virgilio nel suo poema Le Georgiche dedicato alla vita di campagna. Le successive tracce storiche, al di là della produzione domestica non documentabile se non indirettamente attraverso l’uso che si è mantenuto fino ad oggi, risalgono al 1865, quando la famiglia CANZONE di Caccamo aprì la prima macelleria (e un’altra nel 1920) dove la vendevano, quindi anche all’esterno della cerchia familiare. Le conoscenze artigianali, poi, si sono tramandate di padre in figlio e a questa “dinastia” di norcini locali, giunta oggi

Composta principalmente da parti nobili del maiale tagliati a punta di coltello o macinati con piatto a fori larghi, vanta una minor quantità di grasso rispetto ai simili prodotti siciliani. Prima di essere insaccata e stagionata, la salsiccia viene insaporita con aggiunta di vino bianco, peperoncino rosso frantumato e semi di finocchietto selvatico

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alla sesta generazione, si sono andati ad aggiungere altri produttori.

Salsiccia pasqualora dell’Antica Macelleria Canzone di Caccamo (photo © www. anticamacelleriacanzone.it). le nella zona dell’antico borgo ai piedi del castello, costruito su un basamento roccioso. Questo castello è uno dei più importanti d’Italia (sec. XII) e il più grande in Sicilia. Dalla salsiccia Pasqualora

al castello dei Normanni… Così, ancora una volta, sul suolo italiano riusciamo a compiere quel connubio fra gastronomia e arte che tutto il mondo ci invidia. Nunzia Manicardi

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La sagra nell’antico borgo medievale Caccamo dedica alla salsiccia (e non solo pasqualora) anche una bella sagra che si tiene annualmente in ottobre. Oltre alla salsiccia si possono degustare altre prelibatezze della gastronomia locale come il pane cunzato, ricotta, tuma e pecorino, la pasta ca’ frittedda o cu’ maccu, la sasizza chi qualuzzi, l’insalata di arance e cedri, il buccellato e tanto altro. Ma, al di là dell’interesse enogastronomico (perché di certo non vano dimenticati i vini locali!), la sagra può esser occasione per visitare Caccamo, con il suo borgo medioevale a soli 48 chilometri da Palermo: una terrazza sulla valle del fiume San Leonardo, sbarrato dal 1994 dalla diga Rosamarina dove è sommerso il ponte a schiena d’asino fatto costruire nel 1307 da MANFREDI I CHIARAMONTE. Nata come centro fortificato al tempo dei Cartaginesi, Caccamo si è sviluppata con i Normanni dai quali deriva l'impianto urbanistico medioeva-

Una sinfonia di prelibatezze

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LA QUALITÀ

I bollini dell’eccellenza: lavoro, economia, benessere Il sistema delle Indicazioni Geografiche si conferma, per il nostro Paese, lo strumento più importante per rafforzare la presenza delle produzioni nazionali, in Italia e nel mondo. Le IG non sono uno straordinario strumento solo per l’economia, ma anche sul piano sociale, dell’occupazione, della storia e della reputazione del nostro cibo ovunque di Sebastiano Corona

L

a parola d’ordine è qualità. Quella qualità che viene certificata e dimostrata dati alla mano. È questa la carta vincente che fa entrare il made in Italy dalla porta principale dei più importanti mercati mondiali del food & wine. Non che fosse necessario, ma per i più scettici che credono ancora che le denominazioni siano solo un fardello di carte e costi,

sono più che esaustivi i dati esposti lo scorso gennaio a Roma, in occasione della presentazione del Rapporto Ismea – Qualivita 2017. È il quindicesimo sulle produzioni agroalimentari e vitivinicole italiane DOP, IGP e STG. L’ultimo di una lunga serie che ha permesso di verificare, anche su base storica, come l’Italia si sia imposta nel tempo tanto nel mercato interno quanto in quello internazionale.

Con 818 prodotti riconosciuti — di cui 4 nel 2017 — conserviamo il primato a livello mondiale per denominazioni acquisite e guidiamo la prestigiosissima classifica con un valore della produzione aumentato, nel 2016, di oltre il 6%, e un fatturato all’export che lievita con lo stesso ritmo. Quella strada da tempo intrapresa di conservazione e valorizzazione di quanto il nostro patrimonio

L’Ossolano, formaggio di latte vaccino prodotto in Val d’Ossola. Il prodotto ha ottenuto la Dop nel 2017 (photo © www.lattenews.it).

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enogastronomico ci ha consegnato nei secoli si conferma quindi di successo e ripaga gli sforzi e costi che comporta. È un modello produttivo, quello italiano, che scommette sulla qualità, rispondendo ad una domanda che sempre più riconosce e apprezza l’origine come elemento di distintività riconducibile alle Indicazioni Geografiche. La reputazione di queste produzioni, infatti, si è consolidata intorno ad un concetto di “valore geografico” che sintetizza la coesistenza di una molteplicità di caratteristiche strettamente legate al territorio, come le risorse genetiche, le qualità organolettiche, l’ambiente, le tecniche di produzione tradizionali. Qualche numero Oggi le denominazioni rappresentano, per il nostro Paese, un patrimonio da 15 miliardi di euro. Un valore che in un decennio è aumentato del 70% e ha fatto crescere l’export del 143%. Ma non sono solo questi i numeri da record. Dal 2007 al 2017 i consorzi di tutela sono passati da 165 a 264 (+60%) e sono oltre 10.000 gli interventi annui effettuati dagli organismi di controllo pubblici. Nel frattempo, i prodotti food a denominazione sono diventati 295, con un incremento dell’80% e un aumento del valore del 47%. In questo scenario già di per sé ragguardevole, l’export del solo food è aumentato in dieci anni del 262%, facendo segnare un’incidenza sempre maggiore dei prodotti di qualità, su quelli agroalimentari complessivamente esportati nei Paesi esteri. Il food, che nel 2016 contava 83.695 operatori (+5% sul 2015), vale 6,6 miliardi di euro alla produzione e 13,6 miliardi al consumo, con una crescita del +3% sul 2015 e un trend che nella Grande Distribuzione supera il +5,6%, per il secondo anno consecutivo. Il comparto wine, invece — oltre 3 miliardi di bottiglie — vale 8,2 miliardi di euro alla produzione, con una crescita del +7,8% e quasi 5 miliardi di valore all’export (su un totale di 5,6 miliardi del settore). Sebbene sia evidente un maggior vantaggio per il Nord del Paese — è nel Nord-Est che si trova la maggioranza dei distretti più rilevanti economicamente (58% valore food, 56% valore wine), dalla Food Valley emiliana al Sistema Prosecco veneto-friulano — il positivo

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Il rapporto Ismea – Qualivita 2017. Presentato lo scorso gennaio a Roma, conferma il progressivo affermarsi dell’Italia nel panorama delle produzioni agroalimentari e vitivinicole a livello internazionale, con 818 prodotti riconosciuti. impatto del sistema delle denominazioni regala grandi soddisfazioni, anche nel resto dello Stivale, Isole comprese. Tutti i territori, seppur in misura diversa tra loro, hanno registrato i benefici derivanti dalle filiere coinvolte nelle denominazioni. Nel food, Parma si conferma la provincia che più di qualunque altra ha contribuito al valore della produzione con 1,45 miliardi di euro (+28%). Seguono Modena (583 milioni di euro, –6%) e Mantova. Quest’ultima, ha fatto segnare un record dell’81% in valore ed è oggi la terza provincia italiana per impatto economico (437 milioni di euro). Le altre posizioni più prossime al vertice, in graduatoria, sono sempre del Nord-Est, con Reggio nell’Emilia, Brescia e Udine. Nel Sud del Paese è invece Caserta a guidare la classifica. Per quanto riguarda le variazioni di impatto dell’anno 2016 sul 2015 sono altresì degne di nota Novara (+296%), Pavia (+119%), Bergamo (+112%), Bologna (+40%) e Salerno (+23%). Anche nel wine, il Nord Italia mostra il suo primato: è Verona la prima provincia, con 392 milioni di euro di valore, a cui seguono quella di Treviso (324 milioni) e Siena (250 milioni).

I prodotti che guidano il comparto Carni e prodotti a base di carne Facendo una disamina delle produzioni, sono i prodotti a base di carne a registrare la crescita maggiore. Rappresentano oggi la seconda categoria delle denominazioni per giro d’affari, con un valore alla produzione superiore ai 2 miliardi di euro, un’incidenza del 30% sul totale del comparto food e del 34% se si considera il valore al consumo (vicino ai 4,7 miliardi di euro). Sono oltre 4.000 gli operatori che trainano un settore che ha generato tra il 2015 e il 2016 un aumento della produzione certificata del 3,2% e di valore pari a +10,7% alla produzione e +4,5% al consumo. L’export assorbe una quota del 17% della produzione e anch’essa mostra, nell’anno considerato, un’ottima performance del +13,6%, per un totale di oltre 570 milioni di euro. È il Prosciutto di Parma DOP a trainare la filiera, assorbendo oltre il 40% della categoria per quantità e valore alla produzione e per quasi il 50% dell’export. A seguire, le altre grandi produzioni della categoria: Mortadella

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Prosciutto di Norcia Igp (photo © Alessandro Mari). Bologna IGP, Prosciutto di San Daniele DOP, Bresaola della Valtellina IGP che, ancora una volta sul fronte export hanno riportato crescite in doppia cifra, rispetto al 2015. Incrementi significativi si registrano anche per Prosciutto Toscano DOP e Prosciutto di Norcia IGP. Per stare in tema di carni, ma di quelle fresche, il valore alla produzione per la categoria nel 2016 superava gli 86 milioni di euro, mentre il valore al consumo ha sfiorato i 200 milioni di euro. Gli operatori impegnati nella produzione certificata sono 9.513. Le esportazioni di carni fresche certificate rappresentano una ristrettissima nicchia (meno dell’1% del totale della produzione DOP e IGP destinata ai mercati esteri), mentre oltre il 40% delle carni fresche DOP e IGP è immesso nel mercato nazionale, attraverso l’HO.RE.CA. e il dettaglio

tradizionale (invece — e questo è un dato interessante — per le altre categorie del food le IG non raggiungono il 10% su questi canali). Buone le performance del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP, sia per quantità certificata che per risultati di mercato, mentre sono altalenanti i volumi certificati del comparto ovino dove cresce l’Agnello di Sardegna IGP (+13%) e calano sensibilmente l’Abbacchio Romano IGP (–26%) e l’Agnello del Centro Italia IGP (–6%). Formaggi Sono e restano i formaggi la principale categoria del food per volume d’affari. Grazie a 27.933 operatori, le denominazioni del settore vantano un valore alla produzione che supera i 3,7 miliardi di euro, con un’incidenza del 57% sul totale del comparto. Con-

La lotta al falso cibo tricolore deve vedere operatori, istituzioni e addetti ai lavori impegnati nella stessa direzione. Solo così il nostro potrà tornare ad essere un grande Paese a vocazione (agro)industriale, dove comunità, mestieri, territori, capitale umano, saperi, siano tutti coinvolti a difendere una cultura rurale e un patrimonio enogastronomico senza uguali al mondo

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tinua a crescere la quantità certificata (+2,9%), che supera le 517.000 tonnellate di prodotto, con aumenti più che proporzionali in termini di valore alla produzione (+3,1%) e di valore al consumo (+3,8%). La quantità esportata, pari al 34% della produzione certificata complessiva, mostra risultati persino superiori a quelli già eccellenti del 2015: con quasi 1,65 miliardi di euro, l’export cresce del +3,3% e rappresenta oggi il 49% del totale delle esportazioni del comparto food. A guidare la classifica dell’export alcuni prodotti che sono diventati quasi un sinonimo del buon cibo italiano nel mondo: Grana Padano DOP (+4%), Parmigiano Reggiano DOP (+9%), Mozzarella di Bufala Campana DOP (+11%), Gorgonzola DOP (+7%). Ma tra i principali per produzione certificata e valore al consumo si segnalano anche Pecorino Romano Dop (+18% e +25%), Pecorino Toscano DOP (+32% e +10%) e Provolone Valpadana DOP (+12% e +9%). Ortofrutta Il maggior numero di prodotti riconosciuti è però nel settore degli ortofrutticoli, che vanta 111 riconoscimenti. L’altro primato del settore risiede nelle quantità certificate — circa 600.000 tonnellate — mentre, per quanto concerne il valore della produzione, questo

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ammonta a 310 milioni di euro e incide per il 5% sul totale del comparto food a denominazione. La categoria che vede impiegati 18.829 operatori ha registrato però nel 2016 una flessione del 12% delle quantità certificate e una battuta d’arresto addirittura maggiore in termini di valore della produzione, –25%. Anche in questo caso le esportazioni assorbono il 40% della produzione certificata complessiva. Tra i prodotti che maggiormente contribuiscono a rappresentare il settore sono comprese la Mela Alto Adige IGP e la Mela Val di Non DOP che rappresentano, da sole, l’80% della produzione certificata e il 67% del valore alla produzione. Tra le altre denominazioni, che tra l’altro vantano una crescita importante, il Melone Mantovano IGP (+250% in quantità e +170% in valore), il Pistacchio Verde di Bronte DOP (+54% e +51%) e la Cipolla Rossa di Tropea Calabria IGP (+19% in volume e +34% in valore). Aceti e oli Meritano una citazione a parte gli aceti balsamici che contano su 650 operatori e vantano, per il 2016, dinamiche positive sia in volume sia in valore. In particolare, il valore della produzione è pari a circa 385 milioni di euro (+1,8% sul 2015), per un’incidenza del 5,8% sul totale del comparto food certificato. In continua crescita il valore all’export — che assorbe circa il 90% dei volumi prodotti — che, con poco più di 881 milioni di euro (+1,8%), esprime circa il 26% del totale delle esportazioni del comparto food a Indicazione Geografica. È l’Aceto Balsamico di Modena IGP a guidare il comparto, con il 99% dei volumi certificati e con i valori alla produzione e dell’export. Nel settore degli oli, ai 43 prodotti registrati nel 2015, se ne sono aggiunti 3, ma il comparto limita a poco più del 2% i volumi certificati rispetto al totale del settore e, paradossalmente, fa registrare un calo delle tonnellate certificate, che si aggirano oggi sulle 10.000 annue. Altro Le altre produzioni agroalimentari a denominazione che comprendono categorie merceologiche anche profondamente diverse tra loro (es: prodotti della panetteria e pasticceria, paste alimentari, spezie, ecc…) e le STG, pur

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nel tentativo di affermarsi nei mercati, rappresentano, nel loro complesso, solo lo 0,2% del valore alla produzione del comparto food certificato. Tuttavia, nel 2016, la voce Altri Comparti ha mostrato una dinamica decisamente positiva in termini di volumi (+46% sul 2015, con poco meno di 57.000 tonnellate) e di valore (+47%, con circa 14,8 milioni di euro). In Vino Felicitas L’altro comparto che non smette di mietere successi è quello del wine. Nel 2016 il valore stimato della produzione imbottigliata a denominazione ha raggiunto gli 8,2 miliardi (+7,8%), mentre lo sfuso è salito a 3,3 miliardi di euro. La produzione è prossima ai 25 milioni di ettolitri (+6,6%), dei quali 14,5 DOP (+5,4%) e 10,4 IGP (+8,4%). I vini imbottigliati hanno superato così la soglia dei tre miliardi di bottiglie (+5,4%). Sono 14,6 i milioni di ettolitri di vino IG esportati nel 2016. Il valore all’export dei vini IG è stimato intorno ai 5 miliardi di euro (+6,2%)

su un totale di 5,6 miliardi del settore (+4,4%). Negli sfusi si conferma la leadership del Prosecco DOP e completano il podio il Delle Venezie IGP e il Conegliano Valdobbiadene-Prosecco DOP. Notevoli anche le performance del Chianti Classico DOP, dell’Asti DOP e il Veneto IGP. I numeri parlano da soli Per usare le parole del MINISTRO MARTINA (oggi dimissionario, Ndr), presente alla conferenza di presentazione del XV Rapporto Ismea-Qualivita, «le indicazioni geografiche rappresentano la storia e contemporaneamente il futuro dei nostri territori». Eppure, anche per quel comparto che in 10 anni ha quadruplicato l’export, raddoppiato il valore della produzione, aumentato sensibilmente i produttori coinvolti, ci sono ancora molti margini di miglioramento e di crescita. Sono numerosi i territori — soprattutto al Sud del Paese — che non riescono a cogliere di questo sistema, tutti i vantaggi e le opportunità. Sono molti i prodotti degni di tutela che non riescono

ad ottenere il riconoscimento, vuoi per disaccordi tra produttori, vuoi per difficoltà sul piano dei procedimenti dove la burocrazia appare insormontabile, costosa e sfiancante. Vanno coinvolti e responsabilizzati gli operatori, vanno consolidate le filiere e rafforzate le regole, ne va garantito il rispetto soprattutto nei mercati aperti, in cui oggi operiamo. C’è inoltre un’enorme fetta di mercato mondiale, al momento occupata dall’Italian sounding, che deve essere sostituita dai nostri prodotti più autentici. La lotta al falso cibo tricolore deve vedere operatori, istituzioni e addetti ai lavori impegnati a remare tutti nella stessa direzione. Solo così il nostro potrà tornare ad essere un grande Paese a vocazione (agro)industriale, dove comunità, mestieri, territori, capitale umano, saperi, siano tutti pienamente coinvolti a difendere una cultura rurale e un patrimonio enogastronomico senza uguali al mondo e che può offrire ancora molto, anche sul piano economico. Sebastiano Corona

Evviva i norcini, evviva la stortina veronese Morbida e profumata: la stortina è un piccolo salame dal peso inferiore ai due etti tipico del Basso Veronese. La tradizione prevede di conservarla sotto lardo in modo da mantenerla fresca per tutto l’inverno: essendo di piccole dimensioni, infatti, si asciugherebbe molto in fretta. Per la sua realizzazione le pentole di terracotta venivano riempite di piccoli salami immersi e alternati a lardo macinato e salato; un ultimo strato più spesso detto “cappello” ricopriva i salami fino a colmare la pentola che, una volta chiusa col coperchio, veniva riposta in cantina anche per alcuni mesi. Al momento del consumo il cappello veniva eliminato perché irrancidito, ma sotto le stortine erano perfette, fresche e pronte per essere gustate con pane fresco o polenta abbrustolita. Il nome “stortina” sembra derivare dalla forma leggermente ricurva che i salamini assumono appena insaccati. La caratteristica peculiare del prodotto è legata inoltre all’utilizzo di parti nobili del maiale nell’impasto (spalla, lombo, culaccia, prosciutto e grasso di pancetta) e alla speziatura con aglio macerato in vino bianco. A parte la produzione casalinga, la stortina oggi viene proposta solo saltuariamente e da un numero esiguo di produttori a causa della cura con cui deve essere fatta la lavorazione di questo salume di pregio. Il Palio della stortina Venerdì 23 febbraio, in occasione della prima edizione della manifestazione Pianura Golosa, sono stati 15 i mastri norcini, “stortinari” non professionisti, che si sono sfidati nel “Palio della stortina”, evento promosso dalla condotta Slow Food delle Valli Grandi Veronesi, col patrocinio del comune di Cerea. In foto, i produttori di stortina veronese del presidio Slow Food. Da sinistra: Angelo e Michele Boldrini, Claudio Poltronieri e Filippo Merlin (photo © Paola Giagulli).

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Non solo vino: l’Oltrepò pavese è anche salame di Varzi Dop Nel 2017 sono stati prodotti 485.167,37 kg di salame di Varzi Dop (+3% rispetto al 2016), pari a 530.243 salami certificati. Ma è soprattutto l’affettato che nel 2017 ha messo a segno un significativo incremento rispetto al 2016, facendo registrare una crescita a doppia cifra. L’affettato ha infatti raggiunto, nel 2017, 85.657 confezioni di prodotto, registrando così un +42,5% rispetto all’anno precedente. Ciò dimostra che questa tipologia di servizio continua ad incontrare in maniera significativa il favore dei consumatori coniugando l’alta qualità e il gusto con la praticità di utilizzo e una maggiore conservabilità. «Siamo contenti di questi risultati; significa che stiamo lavorando bene e che siamo nella direzione giusta» ha dichiarato Fabio Bergonzi, presidente del Consorzio di tutela del Salame di Varzi. «A piccoli passi stiamo raggiungendo il nostro obiettivo, che è quello di far capire al consumatore finale l’importanza di acquistare un prodotto come il nostro salame, che negli anni mantiene sempre alta la sua qualità. Questo è possibile perché continuiamo a lavorare per garantire ai consumatori un prodotto di eccellenza». Il salame di Varzi deve la sua qualità al dosaggio ottimale degli ingredienti accuratamente scelti, alle tecniche di lavorazione contadina che si sono affinate attraverso i secoli, pur mantenendo la loro originalità, e anche alla conformazione del territorio, favorito da quel microclima montano tipico della Valle Staffora, tra la brezza marina ligure e l’aria fresca di montagna. L’insieme di queste condizioni ha permesso ai produttori di sfruttare l’instaurarsi di particolari processi enzimatici e la trasformazione biochimica del prodotto per il quale vengono utilizzate le parti più nobili del maiale, secondo le proporzioni stabilite dal Disciplinare di produzione. Salame a grana grossa, compatta, con la parte grassa ben bilanciata e di colore bianco: per essere degustato al meglio, deve essere tagliato a fette spesse, per coglierne a pieno l’aroma fragrante, leggermente speziato, così come la sua morbidezza, la delicatezza e la dolcezza. >> Link: www.consorziovarzi.it

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Coppa di Parma Igp: un 2017 in crescita. La soddisfazione del presidente Fabrizio Aschieri Per il Consorzio di tutela della Coppa di Parma Igp, che riunisce 22 aziende e che è l’organo di tutela di un comparto che garantisce lavoro a circa 500 persone, il 2017 è stato un anno positivo. Nei 12 mesi appena trascorsi, la produzione di Coppa di Parma Igp si è infatti attestata su un volume di quattro milioni di chilogrammi, in crescita del 3% rispetto al 2016. Circa l’80% della produzione è assorbito dal canale della GDO. A livello di referenze, il prodotto intero incide per il 40% della produzione, mentre la Coppa di Parma in trancio e quella preaffettata pesano rispettivamente per il 25% e il 35%. Positive anche le performance a valore: il fatturato 2017 del comparto ha raggiunto il traguardo dei 60 milioni di euro, facendo registrare un incremento del 5% rispetto all’anno precedente. L’export incide per circa il 15% del fatturato. L’area geografica più sensibile è rappresentata dalla UE e i principali Paesi di destinazione sono Francia, Germania, Regno Unito, seguiti da Benelux e Polonia. Nell’area extra-UE i principali estimatori della Coppa di Parma Igp sono Russia, Svizzera e Canada: quest’ultimo, in particolare, da solo incide per il 30% circa dell’export. Esprime soddisfazione Fabrizio Aschieri, presidente del Consorzio di tutela. «I risultati fatti registrare dal comparto nel 2017 sono positivi: l’obiettivo per il 2018 è dare continuità a questo trend, replicando il +5% a valore dello scorso anno. Due le direttrici di sviluppo. Da un lato l’Italia: il Consorzio sarà sempre più impegnato a diffondere la cultura di prodotto, perché il mercato interno presenta ampi margini di crescita. Importante, sotto questo profilo, sarà l’attività di comunicazione al consumatore. Il secondo driver di crescita è rappresentato dall’export: gli sforzi del Consorzio sono ora focalizzati sull’ottenimento di tutte le autorizzazioni necessarie per penetrare nel mercato degli Stati Uniti, ancora chiuso all’import del nostro prodotto, per via di una normativa sanitaria in materia di salumi particolarmente severa. Nostra alleata, in questa sfida, è la SSICA – Stazione Sperimentale Industria Conserve Alimentari, la cui mission è quella di promuovere il progresso scientifico, tecnico e tecnologico dell’industria alimentare italiana, anche nel settore delle carni. Confidiamo che la situazione si possa sbloccare positivamente nel corso del 2018. Altra area obiettivo è quella dell’America Latina».

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Salame Cacciatore Dop: nel 2017 si conferma il più diffuso tra i salami tutelati. Per Lorenzo Beretta è stata vincente la strategia del Consorzio Nel 2017 sono stati prodotti e certificati oltre 3.500.000 kg di salamini italiani alla cacciatora, per un giro d’affari al consumo di oltre 50 milioni di euro, in linea con l’anno precedente. E anche sul fronte dell’export il dato è positivo: si stima infatti che oltre 980.000 kg di salami italiani alla cacciatora (28% sulla produzione totale) venga destinata ai Paesi oltre confine, Germania in testa, seguita da Belgio, Austria e Francia. Numeri davvero interessanti per questo piccolo salume, che tra i salami tutelati Dop e Igp mantiene saldamente il primo posto, rappresentando circa il 30% della produzione totale. «Il salame cacciatore è un prodotto che incontra il gusto di una platea di consumatori molto ampia e variegata, che comprende anche i più piccoli» commenta Lorenzo Beretta, presidente del Consorzio Cacciatore Italiano. «Si tratta di un salame a grana fine, dal sapore dolce e delicato, a stagionatura breve, tutte caratteristiche che ne fanno un prodotto molto apprezzato e facilmente fruibile. Questo sul fronte del gusto. Parallelamente, non dimentichiamoci dell’aspetto economico: il salame cacciatore, essendo di solito di peso pari a circa due etti, con una battuta di cassa unitaria bassa, viene indicativamente venduto intorno ai tre euro. Il 2017 inoltre — continua Beretta — è stato un anno particolarmente interessante per il nostro Consorzio che ha visto diverse novità. Prima fra tutte, il restyling dell’etichettatura e in particolare del marchio del Consorzio, con la finalità di renderlo ancora più riconoscibile agli occhi dei nostri consumatori. Abbiamo deciso di optare per colori molto incisivi, che richiamano la bandiera italiana, proprio per dimostrare, anche in caso di export, la provenienza del prodotto». Un’ulteriore e importante novità ha riguardato poi il Disciplinare di produzione della Dop: è stato infatti avviato un processo che ha portato all’eliminazione dei derivati del latte dagli ingredienti consentiti. Questa scelta ha l’obiettivo di offrire prodotti con uno standard qualitativo ancora più elevato, caratterizzato da una ricetta sempre più semplice e naturale e di rispondere alle richieste dei consumatori con problemi d'intolleranza o allergia verso il latte e i suoi derivati. Ricordiamo, infine, che dal 2003, il prodotto beneficia dell’attività di tutela, promozione e valorizzazione svolta dal Consorzio Cacciatore Italiano, appositamente costituito per fornire un’ulteriore garanzia per il consumatore che ne riconosce il marchio sul prodotto). (Fonte: Ufficio Stampa Consorzio Cacciatore Italiano)


MARKETING

Novità da Maison Bertolin: motzetta e salamino biologici. 100% bio. 100% buoni

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aison Bertolin, storico salumificio artigianale di Arnad (AO, arricchisce il già ricco paniere della propria produzione con due gustose novità: la motzetta e il salamino biologici. «Perché abbiamo scelto di produrre il salamino e la motzetta con materie prime 100% biologiche? Perché per noi produrre “biologico” significa seguire le tradizioni, lo stile di vita del nostro territorio, di questa straordinaria regione» ci spiega GUIDO BERTOLIN, amministratore dell’azienda. «Uno stile di vita fatto di rispetto della natura, e

quindi della montagna, degli animali e di noi stessi. Uno stile di vita sostenibile, che guarda al passato per garantirsi il futuro». Il salamino bio è realizzato con carni di bovino e suino e, come gli altri prodotti Bertolin, viene insaccato in budello naturale. La motzetta di bovino bio, invece, è prodotta esclusivamente con carne di bovino di razza Valdostana (Pezzata rossa, nera e castana), che cresce in allevamenti della Val d’Ayas, dedicati e senza l’utilizzo di prodotti di sintesi. Come le altre motzette prodotte da Maison Bertolin, è ottenuta dalla lavorazione dei tagli magri di coscia, posti a

macerare insieme alle erbe di montagna e spezie per almeno venti giorni, prima di essere essiccata naturalmente per un periodo variabile da uno a tre mesi, a seconda della dimensione. Tutti gli ingredienti di origine agricola sono certificati Bio e l’intera fiera è controllata da severi enti di certificazione. Questo prodotto è annoverato per la sua tipicità nella lista dei PAT (Prodotti Agroalimentari Tipici) valdostani. Tutta la produzione di Maison Bertolin la trovate allo Scrigno dei Sapori, la boutique enogastronomica annessa allo stabilimento dell’azienda di Arnad, in località Champagnolaz 10.

Motzetta bio.

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Salamino bio. Per il Gambero Rosso il lardo di Arnad Dop Bertolin tra i piĂš buoni d’Italia Il GAMBERO ROSSO ha recentemente stilato un elenco dei lardi piĂš buoni d’Italia e l’unico lardo di Arnad Dop presente è quello di Maison Bertolin. ÂŤĂˆ un risultato che premia il lavoro di tutta la nostra squadra, ci consente di guardare al futuro con il sorriso e di lavorare con l’energia di sempreÂť hanno commentato i titolari del salumificio. Ed ecco qui la recensione del Gambero Rosso: “Sei P: Presenza, Profumi, Pulizia, PastositĂ , Precisione di grassi, aromi e fine bocca, Prestazioni di alto profilo. Ăˆ il lardo di Arnad Dop, fiore all’occhiello della Maison Bertolin. Materia prima: spallotto (il lardo dorsale con il suo magro) di maiali di peso superiore ai due quintali provenienti da allevamenti del nord d’Italia. Tecnica: maturazione per almeno 3 mesi dentro i ‘doĂŻl’ (antichi recipienti in castagno, rovere o larice) insieme a sale, acqua, spezie e piante aromatiche della VallĂŠe, senza additivi e conservanti, secondo l’antica tradizione di Arnad. Perfetto, una bella traccia di magro marezzato sullo spesso strato adiposo di un bianco

caldo, il lardo Bertolin ha profumi e aromi caratteristici, freschi ed eleganti che richiamano il buon grasso suino e una concia discreta ed equilibrata, una sapidità non persistente che lascia spazio a una dolcezza generosa, una texture avvolgente di grande succosità e scioglievolezza�. Pane & Lardo, il romanzo che celebra i sessant’anni dei Bertolin Lo ha scritto GIACOMO SADO per Musumeci Editore — sulla base delle testimonianze della gente della Valle e di Arnad che ha collaborato con il salumificio negli anni — e racconta la storia della famiglia Bertolin, iniziata nel 1957 con il fondatore, Guido, e ora nelle mani di un altro Guido, il nipote, con la mamma Marilena PÊaquin e il fratello Alexandre. 60 anni di gusto orgogliosamente valdostano. Maison Bertolin Loc. Champagnolaz 10 11020 Arnad (AO) Telefono: 0125 966127 E-mail: info@bertolin.com Web: www.bertolin.com

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Cuor di Paese Ibis, il concorso che celebra l’unica mortadella col cuore al centro della fetta Chi non ricorda il celebre spot del 1993? Quando la mortadella Cuor di Paese (e la bellissima salumiera) facevano svenire un bambino in mezzo al negozio? Il brevetto, allora, venne subito depositato e il cuore diventò un segno distintivo e inconfondibile di Ibis. Ancora oggi il prodotto viene preparato nello stabilimento emiliano, uno dei tre stabilimenti italiani che appartengono a Italia Alimentari Spa. La firma col cuore, fetta dopo fetta, è il marchio di qualità dell’azienda, sinonimo della passione, continua e costante, che Ibis mette nel produrre le mortadelle della tradizione emiliana. Da pochi anni alla ricetta classica della Cuor di Paese è stata affiancata una ricetta “delicata”, per intercettare i nuovi trend di consumo. Cuor di Paese Ibis festeggia quest’anno il suo 25o anniversario e, per l’occasione, l’azienda di Busseto (PR) ha realizzato un packaging celebrativo, sia per il prodotto intero che affettato, e un concorso pensato per dettaglianti e grossisti. Un divertente gratta e vinci on-line per chiunque acquisti la mortadella Cuor di Paese, con in palio tantissimi premi. Per maggiori informazioni si può visitare il sito dell’azienda. >> Link: www.ibis-salumi.com

In alto: la mortadella Cuor di Paese classica. A sinistra: la Cuor di Paese “delicata”. Ibis Salumi è un marchio italiano storico, nato più di cinquant’anni fa a Busseto, nel centro della campagna parmense, in un territorio da sempre considerato la culla dell’alta salumeria italiana. Italia Alimentari ha scelto Ibis come marchio di riferimento per l’Italia, per raccontarne al meglio i valori: persone, territori e sapori.

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INDAGINI

Doxa: olio extravergine principe dei prodotti Il 98% degli Italiani ne ha una bottiglia in casa, il 63% lo sceglie bio

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I 72% degli Italiani consuma più di 1 litro di olio al mese (e il 44% dispone di 3 bottiglie di olio contemporaneamente); tra questi, il 98% dichiara di avere in casa olio extravergine, il 68% olio di semi e il 18% olio di oliva. La spesa media per l’acquisto di un litro d’olio si attesta sui 5,5 euro, mentre il 63% degli intervistati dichiara di comprare olio biologico. È quanto emerge da una indagine che la Pietro Coricelli, azienda che dal 1939 è impegnata a tramandare con cura e devozione l’arte dell’olio extravergine di oliva, ha commissionato a DOXA per indagare il comportamento e la conoscenza sul tema dell’olio. Secondo CHIARA CORICELLI, «come emerge dalla ricerca, i consumatori cercano più informazioni in etichetta. Purtroppo la normativa limita questa possibilità. C’è ancora molto lavoro da fare, anche a livello di leggi, per rendere l’olio un prodotto più trasparente per il consumatore». In effetti, per quanto riguarda la cultura dell’olio, il 76% degli intervistati dichiara di leggere l’etichetta, il

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68% considera molto importante la provenienza dell’olio e l’80% dichiara di affidarsi alla lettura dell’etichetta per distinguere le diverse tipologie di olio extravergine presente sugli scaffali. La ricerca, realizzata su un campione di consumatori italiani appartenenti alla community DOXA ROAMLER, evidenzia inoltre come il prezzo rimane centrale (54% sceglie in base al prezzo/promozioni) per i consumatori che acquistano al supermercato (il 58% degli intervistati), tra questi il 35% risulta sensibile all’estetica del packaging. Inoltre, gli intervistati ritengono importante, nel 67% dei casi, trovare indicazioni in merito all’utilizzo. Anche se gli Italiani conoscono le proprietà, i benefici e l’utilizzo corretto dell’olio in cucina, vi è ancora una bassa conoscenza sull’approccio sensoriale e sulle differenze di gusto. Solo il 19% sa che l’acidità dell’olio non si percepisce dal gusto, mentre il 50% ritiene erroneamente che l’extravergine di oliva “più è verde, più è buono”. «La degustazione — ha spiegato la Coricelli — è fondamentale per imparare a riconoscere

le qualità dell’olio, per percepire le differenze, imparare a scegliere quello più affine al proprio gusto o il prodotto migliore da abbinare ad un piatto. L’approccio sensoriale gioca un ruolo fondamentale per la conoscenza di questa preziosa materia prima e questi dati dimostrano che bisogna lavorare ancora in questa direzione. La nostra missione è da sempre quella di diffondere la cultura dell’olio e momenti come questi diventano occasioni uniche per condividere, con tutti gli appassionati e i curiosi, la nostra conoscenza, frutto di oltre 80 anni di esperienza, amore e passione, mia e della mia famiglia, per l’olio». I risultati sono stati presentati lo scorso febbraio a Milano in occasione di Olio Officina Festival durante la tavola rotonda “A tavola”, organizzata dall’azienda di Spoleto per un momento di confronto su quanto il settore sia cambiato nel corso delle tre generazioni che si sono alternate in azienda e sull’approccio che il consumatore ha verso il mondo dell’olio. (Fonte: EFA News)

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TUTTO IL BIOLOGICO, OGGI

Biologico, sì è biologico di Francesco Procaccio

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ei primi dieci mesi del 2017 si confermano i trend molto positivi dei prodotti biologici a peso imposto. Dopo sette anni di crescita a doppia cifra (+16,0% Iper + Super, periodo di riferimento: gennaio-ottobre 2017), quella del biologico è diventata una presenza importante nel carrello degli Italiani, arrivando a pesare il 3,4% delle vendite totali dell’alimentare (Food confezionato, Bevande, Freddo, Fresco, Pets). Da fenomeno emergente, il biologico è divenuto uno degli elementi principali della crescita dei fatturati della distribuzione: l’aumento delle vendite di prodotti biologici dà infatti un contributo di 0,5 punti al trend dell’alimentare (+4,2%). Importante sottolineare il ruolo della Marca del Distributore, che ha saputo subito rispondere alla domanda, ma che ultimamente vede calare la propria quota nel settore, da 41,3% a 41,1%, con un trend che rimane comunque positivo: +15,3%. Anche le promozioni sembrano giocare un ruolo sempre più importante, con un aumento dell’intensità da 21,0% a 22,2%, contro il 31%

Da fenomeno emergente, il biologico è divenuto uno degli elementi principali della crescita dei fatturati della distribuzione: l’aumento delle vendite di prodotti bio dà infatti un contributo di 0,5 punti al trend dell’alimentare. Importante il ruolo della Marca del Distributore, che ha saputo subito rispondere alla richiesta 48

Nel 2017 sono state 20,5 milioni le famiglie che hanno acquistato almeno un prodotto biologico, un milione in più rispetto all’anno precedente. dell’alimentare, dove l’incidenza è in calo di –0,7 punti. Un altro aspetto rilevante è quello dei prezzi: i consumatori considerano i prodotti bio più costosi dei corrispettivi non bio. In effetti, considerando le categorie principali per vendite bio, c’è una certa differenza di prezzo. Le uniche categorie dove i prezzi dei prodotti bio sono in linea con il non bio sono quelle legate alla salute e alle intolleranze, che hanno quindi dei livelli di prezzo già abbastanza elevati (e.g. gallette di riso, cibi di soia, bevande alla soia e prodotti senza glutine). Altra eccezione riguarda la frutta in composta, dove tutti i prodotti venduti sono biologici. Cosa è accaduto nel corso del tempo? In 9 di queste 20 categorie, il prezzo medio del biologico si è abbassato rispetto allo scorso anno; in molti casi questo è avvenuto in controtendenza rispetto al prezzo medio della categoria, che è in crescita: olio extravergine, yogurt ai gusti e farina di grano. L’indice di prezzo totale del bio su non bio è passato dal 192 del 2016 al 186 di quest’anno. Le scelte di prezzo e di promozione vanno di pari

passo con quelle assortimentali; in un supermercato il numero di referenze bio vendute è cresciuto del +21,9%. Negli Ipermercati, la spinta è ancora più forte: mediamente un punto vendita vende il +29,3% di referenze in più rispetto allo scorso anno. Dal punto di vista della domanda i numeri raggiunti sono elevatissimi. Sono 20,5 milioni le famiglie che hanno acquistato almeno un prodotto biologico all’anno (un milione in più rispetto all’anno precedente), di queste il 25,1% (5,2 milioni) acquistano bio almeno una volta a settimana, realizzando il 76,2% degli acquisti. Analizzando gli indici di penetrazione del bio nelle famiglie italiane, si riesce a delineare un’immagine abbastanza nitida del consumatore medio. Si tratta di famiglie provenienti dal Nord Italia, formate da 3/4 componenti, con una fascia d’età dai 35 ai 54 anni, principalmente new o maturing families, con un reddito vicino o superiore alla media. Gli indici più bassi sono quelli delle famiglie del Sud Italia, con componenti oltre i 65 anni e con reddito sotto la media. Osservatorio Nielsen www.nielsen.com Premiata Salumeria Italiana, 2/18



Tante storie, una sola Favola.

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ANALISI DEL FOOD

Temperatura e sapore di grasso nella valutazione dei salumi A quale temperatura si apprezza meglio un salume? Studi recenti confermano la tradizione di non consumare salumi freddi, troppo magri e con poco “oleogusto” di Giovanni Ballarini

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gradevole è un bicchiere di vino frizzante tiepido, mentre piacevole è il pane caldo; ma per i salumi, qual è la temperatura giusta? La risposta a questa domanda esige una breve premessa per ricordare come la temperatura permet-

ta di apprezzare le caratteristiche di consistenza, aroma e sapore del cibo. Temperatura e gusto del cibo L’influenza della temperatura sul gusto e sull’apprezzamento dell’aroma è ben nota per le bevande; per questo ogni

vino va servito ad una temperatura ideale. Il vino servito a temperatura bassa sprigiona profumi provenienti dall’uva e sentori fruttati, mentre il graduale riscaldamento accentua profumi più complessi. In un vino freddo il sapore dolce è meno accentuato, mentre è

Prosciutto crudo. I salumi, come i vini, vanno gustati alla giusta temperatura (photo © beats_ – stock.adobe.com).

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Prosciuttificio IL CONTE S.r.l. Via Sant’Ambrogio, 4 – Fraz. Bazzano 43024 Neviano degli Arduini (PR)


Per apprezzarne aroma e sapore è bene dare ai salumi il tempo di adeguarsi alla temperatura ambientale (photo © Africa Studio – stock.adobe.com). esaltato il sapore amaro. I vini rossi di grande struttura e quelli bianchi affinati in barrique sono ricchi di tannino, la cui astringenza è esaltata a temperature basse; per questo un grande vino rosso va servito a temperatura più elevata (circa 18 °C), per mitigare il senso di allappamento dato dal tannino, mentre i vini rossi di struttura leggera, come i novelli, con scarsa presenza di tannini, si possono servire freschi di cantina o di frigorifero. A 10-8 °C si servono i bianchi secchi aromatici, passiti, liquorosi, secchi, giovani e fruttati, e a 6 °C gli spumanti, secchi e dolci. Lo stesso vale per le birre: le più leggere vanno bevute fresche, non fredde o gelate, partendo da circa 7-8 °C per arrivare ai 12-

14 °C per le birre forti e complesse. La temperatura di un alimento influisce sulla percezione del gusto che avviene nelle papille gustative della lingua e si completa con l’aroma percepito dai ricettori della mucosa nasale. Nella bocca la temperatura del cibo o della bevanda modifica i canali microscopici delle papille gustative e l’invio del segnale inviato al cervello attraverso i nervi gustativi. Sotto i 15 °C le papille gustative sono quasi paralizzate, mentre a 37 °C la loro sensibilità è aumentata di più di cento volte; per questo il gusto dolce di un gelato è percepito soltanto quando si fonde riscaldato nella bocca. Allo stesso modo un cibo caldo emette vapori che facilmente arrivano alla mucosa nasale, che per circa l’80%

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’oleogusto risulta sgradevole quando è isolato, sostanzialmente simile al rancido: ma è la sua capacità di far risaltare gli altri sapori che lo rende gradevole al palato e, per alcuni, talvolta davvero irresistibile

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contribuisce alla percezione gustativa. Tuttavia, gli esperti dicono che la percezione del gusto potrebbe diminuire quando la temperatura del cibo è superiore a 35 °C, probabilmente a causa del fatto che la sensazione di bruciore della lingua nasconde le sfumature della degustazione. Anche la temperatura della lingua può dare allo stesso cibo un sapore diverso: se l’area frontale della lingua è calda si attiva una sensazione più dolce, mentre se è fredda si prova un sapore acido o salato; abbassando di quindici gradi la normale temperatura della bocca, la punta della lingua comincia a sentire un sapore lievemente amaro e se si scende di altri dieci gradi il gusto si fa salato. Questo è detto “gusto termico” che varia a seconda delle zone: sulla punta è più facile percepire il dolce; in fondo, invece, prevale l’amaro. Che la temperatura degli alimenti contribuisca all’apprezzamento del loro sapore è noto da tempo. Per questo nei grandi banchetti ottocenteschi, dopo una portata fortemente aromatizzata, ad esempio di selvaggina, si offriva un gelato o un sorbetto che anestetizzava le papille gustative e le rimetteva in grado di apprezzare una successiva portata di gusto completamente diverso, per esempio di pesce. Anche i grassi hanno un sapore Il palato umano, secondo ricerche ancora in corso, sarebbe in grado di percepire sei gusti, non cinque — dolce, aspro, salato, amaro e umami —, riuscendo ad individuare anche il sapore degli acidi grassi, il cosiddetto oleogusto, il che spiegherebbe la “voglia di grasso” di molte persone e il successo che hanno gli alimenti grassi. L’oleogusto, detto anche fat, sarebbe determinato dall’iperattività di un gene, il CD36, che regola la sensibilità ai cibi grassi. Quando questo gene è attivo, sono sintetizzate grandi quantità di proteine che localizzano i grassi e le persone che possiedono questa variante riescono più facilmente a regolare la propria alimentazione. Da solo questo sapore non è piacevole, essendo simile al rancido, ma quando è mescolato ad altri sapori li esalta; in modo analogo a quanto avviene all’a-

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Oleogusto e temperatura d’assaggio dei salumi I grassi alimentari hanno una composizione molto complessa e, soprattutto, una diversa presenza di acidi grassi, con un differente oleogusto che fortemente contribuisce al gusto finale. L’oleogusto dei salumi proviene dalla specie e dalla parte dell’animale, e indubbiamente il grasso della gola, del lardo di pancia o di dorso o perirenale hanno una diversa composizione in acidi grassi e quindi di aroma. Importante è anche l’alimentazione del maiale, in quanto i grassi di deposito risentono di quelli di cui l’animale si è nutrito. Determinanti sono i processi di fermentazione che i salumi subiscono durante la loro maturazione e che liberano gli acidi grassi che stimolano l’oleogusto, il quale, a sua volta, si armonizza con gli altri sapori, che possono essere apprezzati in modo ottimale soltanto ad una corretta temperatura. Per essere gustoso, un salume deve avere una componente aromatica che gli conferisca una presenza in giusta quantità di oleogusto; pertanto, i salumi troppo magri non saranno mai buoni! Inoltre i salumi, come i vini, vanno gustati alla giusta temperatura, che non è sicuramente quella di frigorifero. Ci sono salumi come gli zamponi e i cotechini, i salami o le spalle cotte, ad esempio, che devono essere mangiati caldi, ma tutti gli altri devono essere mangiati a una temperatura vicina a quella della bocca, cioè a circa 25 °C, che permette di apprezzarne l’aroma e il sapore. Da evitare quindi la purtroppo diffusa abitudine di mangiare un salume appena tolto dal frigorifero: bisogna dargli il tempo di adeguarsi alla temperatura ambientale. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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maro che da solo non è accettato, ma è gradito se mescolato, come avviene nel caffè e nella cioccolata. La scoperta dell’oleogusto potrebbe permettere di comprendere meglio il modo in cui i recettori organici percepiscono il grasso e, di conseguenza, aiutare le persone in sovrappeso a ridurre le calorie ingerite, ma anche meglio indirizzare le ricerche sulla qualità di alimenti, quali i salumi, nei quali l’oleogusto ha una indubbia importanza.

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SAPORI MEDITERRANEI

Lavanda: profumo & sapore di Giorgia Fieni

Campi di lavanda in Provenza (photo © Andreas G. Karelias).

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a un profumo riconoscibile alla prima sniffata. Talmente fresco che spesso viene usato come deodorante per i cassetti o l’automobile. Fino a qualche anno fa l’uso della lavanda si limitava a quello. Poi ci si è accorti che in cucina poteva esprimere grandi potenzialità e non solo per la recente diffusione dei fiori come decorazione. Possiamo innanzitutto metterla nel vaso dello zucchero, in modo che anche un semplice caffè diventi un’incredibile esperienza di gusto, o in quello del sale, per dare al pesce un nuovo significato di “brezza marina” (o su un’ostrica con gelatina di aneto come fa BRUNO BARBIERI).

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Lo stesso succede nelle insalate, se mariniamo la lavanda nell’aceto. Un passaggio nel caramello e i fiori canditi saranno uno snack originale e gradito, mentre lo sciroppo sarà una bagna perfetta per il Pan di Spagna. Ma sono tante le ricette a cui essa regala profumo e gusto, sia dolci che salate. Tra queste ultime segnalo la marinatura per il pollo o la carne alla griglia. La focaccia al rosmarino, coperta di formaggio di capra. Il risotto con zucca e tofu. I muffins noci e pere con cuore di Camembert. I biscotti al caprino, timo e lavanda. Le tartellette con pomodoro e acciughe (i fiori di lavanda sono posati sulla farcia prima di infornare). I gnocchi di patate allo squacquerone.

Il pesto, con rosmarino, menta, salvia e Parmigiano. In salsa, con le prugne, per la lonza di maiale al miele. È però con le preparazioni dolci che la lavanda si esprime al meglio. Nell’impasto e nella glassa di un plumcake. Nel sorbetto di fragole al Porto. Nel gelato alla grappa. Nei tortini con miele al mandarino. Nella ciambella alle mele. Nella confettura alle albicocche. Nella crème brûlée o nel crème caramel. Nella crostata: come ingrediente della frolla (anche integrale) e/o della crema. Nei biscotti. Nella tarte tatin. Nella torta di clementine con semi di papavero. Nella crema di mele usata come farcitura per le tartellette al cocco. Nei ghiaccioli. Nelle sfogliatine ai mirtilli.

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Nella farcitura dei fichi, poi infornati e coperti di miele fluido. Nella marinatura (con rosmarino e brandy) di pesche alla piastra, servite con crema di panna e mascarpone al brandy. Nel carpaccio di melone alla vaniglia. Nelle pere al miele. Nella cottura dei frutti di bosco. Infine, segnalo la presenza della lavanda nei cocktail. Con bourbon (ma in questo caso essa aromatizza il ghiaccio usato per rinfrescarlo). Con la limonata al miele. Nel caffè freddo. Nell’infuso. Con gin, finocchietto, sciroppo di zenzero, albume pastorizzato, acqua di cetriolo, liquore alla violetta, servito con granelli di lavanda e semi di finocchietto («è l’Aliante — commenta CLAUDIO PERINELLI — un drink leggero, delicato, profumato, un po’ afrodisiaco). Con sake, succo di pera e di lime, menta (MORENO CEDRONI lo chiama Mojito alla lavanda e lo serve con una striscia di crema di noccioline e fiori essiccati di lavanda). Noi però siamo sempre alla ricerca di ciò che è innovativo e gustoso allo stesso tempo, per cui sono andata a scavare fra le ricette degli esperti di settore: uovo al tegamino con succo di carote e lavanda (DAVIDE OLDANI); mini pie alle mele, mora e lavanda (SARA QUERZOLA); carne salada al vapore con broccoli di Torbole, lavanda e aceto di mele (MARCELLO FRANCESCHI); gelato di melanzana con gelatina di lavanda e mandorle idratate in olio e buccia di limone (ROY CACERES). Menù figli dei fiori: ricciola, baccalà e capesante si abbinano a petali ed essenze di viola, lavanda, orchidea, anice stellato, camomilla, rosa bianca e glicine (MORENO CEDRONI). Intima relazione: formaggio del Boscasso stagionato nella lavanda, chutney di rape e miele di castagne, pumpernickel ai semi di finocchio di montagna (PIETRO LEEMANN). Tapas di bocconcini al formaggio con miele alla lavanda (EMANUELE SCARELLO). Maialino morbido croccante con cime di rapa e lavanda (MARCO STABILE). Profumo di sì: Pan di Spagna farcito con crema pasticcera e decorato con praline di cioccolato bianco alla lavanda e pizzi e merletti in pasta di zucchero (RENATO ARDOVINO). Purè di patate, nocciole, lavanda e porri (MATTEO METULLIO). Timballino di topinambur al sovrano invecchiato 24 mesi in zuppetta di noci e con lavanda (VINCENZO VOTTERO

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Biscotti alla lavanda (photo © olhaafanasieva).

Mojito alla mora e lavanda (photo © www.designsofanykind.com).

VINTRELLO). Crema di zucca castagna con semi di zucca e ananas candito alla lavanda (CARLO CRACCO). Mezzo pacchero ripieno di caprino alla lavanda e patata viola (MAURO COLAGRECO). Infine, la nuova frontiera dell’alimentazione. GRANT

ACHATZ espone una sua ricetta su un piatto poggiato su un cuscino d’aria che, sgonfiandosi lentamente, emana profumo di lavanda… Chissà se l’avrà pensato in macchina o aprendo l’armadio! Giorgia Fieni

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WEEK-END

Benvenuti in Val Venosta tra malghe, masi e marmotte di Riccardo Lagorio

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e marmotte sono grasse a fine estate. Il loro fischio è costante attraversando la Valle del Braulio, fino al Giogo di Santa Maria, quando il silenzio prende il sopravvento. Sotto, gli infiniti tornanti nella foschia dopo il temporale e mandrie sparse portano a Santa Maria in Val Monastero, un paese incantato, case basse, legno ovunque e profumo di bosco. Verso la frontiera con l’Italia il caseificio cooperativo Chascharia Val Müstair (Strada Cantonale 28, Müstair Grigioni, Svizzera, telefono: +41 818 585429) è il punto ideale per gli acquisti di una merenda. Raccoglie il latte dalle fattorie sparse un po’ ovunque dal Passo del Forno. «In questo periodo molti

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valligiani sono ancora in alpeggio sullo Stelvio o sull’Alp Prasüra, così lavoriamo solo 400 litri al giorno», racconta SEVERIN CARATSCH, che da quasi quarant’anni si occupa della produzione di formaggio nella cooperativa. «La maggior parte dei bovini è di razza Bruna svizzera, adatta alla vita in montagna», dice. La consegna del latte da parte dei soci avviene in maniera indipendente: ciascuno è in possesso di una chiave che permette di immettere il proprio latte in un condotto che porta ai frigoriferi, sostando per breve tempo su una bilancia con l’obiettivo di calcolare il latte conferito. «Il fiore all’occhiello del caseificio è il formaggio grasso, che nel 2012 è stato premiato con la medaglia

di bronzo al Campionato mondiale che si teneva a Madison, negli Stati Uniti. È stato motivo d’orgoglio per tutta la valle». La stagionatura ideale di questo formaggio dalla pasta compatta ma malleabile è di 5 mesi. La crosta è lavata, il che produce sfumature rosa, il profumo è penetrante, dal retrogusto piacevolmente amarognolo. «Anche il burro ha costruito il buon nome del nostro caseificio e da qualche anno lo yogurt va letteralmente a ruba», dice soddisfatto. «Nello spaccio chiunque ami il formaggio trova le giuste ragioni per appagarsi». Verità! Poi si riprende la strada. C’è il monastero di Santa Maria da vedere, la chiesa d’epoca carolingia e il suo

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ciclo di affreschi che tolgono il fiato, come l’aria frizzante che si respira qui. La vicina frontiera è l’ingresso in Italia, a Tubre, nell’areale turistico della Val Venosta. Non chiedete dove si trova il maso di GOTTFRIED ed ESTHER HÖCHENBERGER: nessuno ve lo saprebbe spiegare, a meno che non abbiate la fortuna d’incontrare qualche signora tedesca che li ha conosciuti al mercatino settimanale di Malles. Tella si raggiunge da una deviazione che sale dall’incrocio presso la chiesa di San Giovanni, che chiede di essere visitata. La strada si aggroviglia tra i larici e dopo tornanti che non finiscono mai il maso della famiglia Höchenberger, Egghof (Tella, 7, 39020 Tubre, Bolzano; telefono:

A sinistra: il campanile sommerso del lago di Resia, Val Venosta (photo © Alexis Borg). In alto: Severin Caratsch. Da quasi quarant’anni si occupa della produzione di formaggio nel caseificio cooperativo Chascharia Val Müstair. In basso: stagionatura delle forme al caseificio Chascharia Val Müstair.

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Esther Höchenberger.

0473 832291, un belvedere sulla valle, si fa largo nel bosco. Una cinquantina di capre di razza ibrida nutrite con fieno durante l’inverno e al pascolo in estate. Inevitabile che l’unico formaggio che Esther prepara sia indimenticabile. Occhi azzurri, parlata alemanna. «Porto il latte a 32 °C e aggiungo il caglio di vitello. Dopo un’attesa di circa 40 minuti rompo la cagliata molto finemente e la scaldo sino a 44 °C. Raccolta la cagliata, la ripongo in formette perché scoli. Aspettiamo almeno 6 settimane prima di mettere in vendita il formaggio. Nel frattempo lo rivolto e lo spugno». Alla fine del periodo di stagionatura, la crosta ha ottenuto un colore arancione. Profumo intenso, gusto carico ma dal finale dolce e affatto ircino. «La quantità di formaggio che prepariamo varia in base alla stagione: la primavera è il momento in cui le capre hanno più latte. Così che nel mese di aprile, ogni due giorni, possiamo contare su 15 formaggette, ma solo della metà a settembre», racconta Esther. Si scende sino a Malles e si gira verso il confine austriaco. La strada si impenna, subito in modo deciso, ma prima del lago di Resia quasi si appiattisce. Il campanile sommerso è l’attrazione turistica più nota, oltre al vento. Paradiso per i surfisti. Direzione Valle Lunga, stretta e selvaggia. Termina

Vini di Val Venosta La Val Monastero si fa inghiottire dalla Val Venosta poco dopo Laudes. Se si fa attenzione, prima di arrivare nel piccolo borgo, un maso sfoggia attorno a sé terrazzamenti vitati. Cuore luminoso del maso Calvenschlössl è HILDE VAN DEN DRIES (calvenschloessl.eu, in foto). Belga di Anversa, frequentava questa valle da bambina, il padre innamorato dei paesaggi alpini. Poi nel 2004 il destino ha voluto che il maso diventasse di loro proprietà e la sua nuova vita, cominciata nel 2013, fosse di dedicarsi alla produzione di vini estremi. Per pendenze e altitudini, dai 970 ai 1.005 metri, insolite. «La vera qualità si fa in vigna, non in cantina», dice. Ha imparato bene Hilde. E, non contenta, è andata oltre. Ha ridato vita ai terrazzamenti sotto l’abbazia di Monte Maria, fuori Burgusio, a 1.340 metri. Difficile pensare di andare oltre. Il Cabernet Cortis subisce una fermentazione spontanea, l’uva perfettamente matura a fine ottobre, breve passaggio in barrique. La sensualità del Cabernet Cortis proclama armonia al naso, con ventate di mora e lampone. La bocca si scioglie nella ciliegia, calda e corposa. Irresistibile con lo Schafkopf.

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a Melago, un pugno di masi che guardano verso sud. Gamseeghof, della famiglia di KARL HOHENEGGER (Melago 11, 39027 Curon Venosta, Bolzano; telefono: 0473 633287), è un’arca di Noè. Le uova delle oche, dipinte, servono ad addobbare gli alberi di Natale o si usano come soprammobili. Poi capre, vacche, pecore. Da latte. E formaggio, a latte crudo e bio. ROBERT HOHENEGGER, trent’anni o poco più, segue la stalla. «Le capre sono le nipoti di un regalo che mio fratello Martin ed io abbiamo ricevuto: erano due caprette che dopo pochi mesi ci hanno regalato dei capretti. Abbiamo capito che sarebbe stata un’ottima occasione utilizzare il latte di capra, magari unendolo a quello delle nostre vacche, per ottenere del formaggio. 17 anni fa eravamo solo cinque masi a proporre formaggio di capra, ora siamo un’ottantina». Come il numero di capre, allevate in una stalla che è linda come una farmacia. Razza Camosciata delle Alpi e qualche intrusa di razza Passiria. Il latte, solo di capra, dà vita a un formaggio a pasta semi-molle. Porta il nome della vetta che a nord chiude Valle Lunga, Bärenbart (Barbadorso), cima che svetta a oltre 3.200 metri a nord del maso. Il formaggio a pasta semi-molle di latte bovino e un’aggiunta di 20% di latte di capra prende il nome di Bergnelke (vedovella), di cui

Robert Hohenegger. i prati sono particolarmente ricchi per tutta l’estate. Ma soprattutto quando si procede al secondo taglio, che servirà come provvista di fieno per la stagione fredda. Il latte di pecora Frisona è dolce e delicato. Lavorato, se ne ottiene un prodotto che è quanto di più distante vi sia dagli stereotipi del formaggio di pecora, benché la stagionatura sia al-

meno di 4 settimane: per nulla pungente e dal profumo aggraziato. «Anche a questo abbiamo dato il nome di una delle nostre vette, Schafkopf». Nulla è lasciato al caso. Noi la chiamiamo Cima Salèz, a 3.000 metri, sul confine con l’Austria, detta anche Cima delle Pecore per il suo profilo arrotondato. Riccardo Lagorio

Si percorre tutta laValVenosta, poi Bolzano e Renon. Dal maso di HEINRICH e MATTHIAS RIELINGER (rielinger.it) si apre il sipario sulla valle dell’Adige. «Le viti di uva Schiava e Blaterle sono state piantate più di ottant’anni fa da mio nonno», dice con orgoglio Matthias (in foto). Ma all’assaggio anche il Müller Thurgau risulta essere atipico, con il suo incalzante profumo di sambuco e pesca bianca e la bocca minerale lunghissima. La conferma arriva: «Il clone del Müller Thurgau è molto vecchio. Quasi un’arca di Noè, qui di vegetali. Dal 2014 abbiamo la certificazione biologica; in verità ciò che adottiamo è un metodo biodinamico con fermentazioni spontanee. Parte del vino che produciamo viene consumato nell’osteria del maso, ma alcune bottiglie arrivano anche negli Stati Uniti». Ma le due curiosità, il Kerner e il Blaterle, che ci hanno spinto fin qui sono quelle che danno senso al viaggio. Il Kerner, d’occhio giallo chiaro, naso di pepe ed erbe officinali, bocca di pietra focaia, finché si fa di frutti tropicali, si marita con il Bergnelke. Mix d’amore tra il Blaterle, nato sui terreni di porfido e morena dei ghiacciai, dal naso intenso di pesca e di ciliegia poco matura in bocca, con il caprino di Esther Höchenberger. Sensazioni irripetibili. Perché il viaggio, sempre, è una scoperta. E nell’alta valle dell’Adige si fa al quadrato.

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Il Museo del Culatello e del Masalén Apre nell’Antica Corte Pallavicina di Polesine Zibello (PR) il primo percorso espositivo permanente legato ad una tradizione scavata nel cuore e nello stomaco della Bassa

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ra il 1990 quando, con mamma e papà, decidemmo di acquistare l’Antica Corte Pallavicina, ormai un rudere irrecuperabile: così era definito dalle genti. Dopo 20 anni di restauro, nel 2010 l’apertura di gran parte della struttura: restaurata dalle maestranze del posto, con mille attenzioni, quasi in punta di piedi, come si dice dalle nostre parti, ma soprattutto

con tanto, tanto cuore. Da quel 1990 sono passati ormai 28 anni e i restauri non si sono mai fermati. Ormai l’Antica Corte è come la immaginavo quando l’abbiamo acquistata. Mancava ancora una parte importante per fissare il lavoro di tante generazioni di queste terre. Uno spazio da dedicare non solo alla nostra famiglia, ma alle genti del posto, che nei secoli, con il proprio lavoro, hanno mantenuto quelle tradizioni che

rendono celebre il nostro territorio in tutto il mondo. Contadini in estate, masalén (norcini) in inverno. La nostra famiglia era fra quelle e così un altro sogno si avvera in un percorso ricco di storia che si snoda nell’intero borgo della Corte Pallavicina. Un Museo del Culatello e del Masalén voluto dalla nostra famiglia, dedicato al territorio e a tutte le sue genti. Tanto dovevamo”. Così la famiglia SPIGAROLI spiega le

Massimo Spigaroli nei locali di stagionatura dei culatelli dell’Antica Corte Pallavicina.

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motivazioni che l’hanno portata ad intraprendere l’avventura dell’allestimento, all’interno dell’Antica Corte Pallavicina, del Museo del Culatello e del Masalén. A dieci minuti dal Museo del Parmigiano Reggiano di Soragna e a venti da quello dell’Arte Olearia di San Secondo, Polesine Zibello diventa così l’ideale chiusura di un triangolo dei sapori che giustifica un percorso nell’anima di un territorio ricco e generoso, anche in termini di diffusione delle proprie pratiche tradizionali, declinate e illustrate in una concezione contemporanea e multimediale, fatta di foto, disegni, mappe e touch screen. Il complesso dell’Antica Corte Pallavicina si staglia in uno scorcio di Bassa dominata dal suono del Grande Fiume, dai colori umidi e dai contorni tipicamente sfocati di quei luoghi in cui la nebbia è un elemento fondamentale del paesaggio che sa quando alzarsi e scendere, in una scenografica danza che contribuisce al fascino del tutto. È superando l’angolo a sinistra tra i due edifici che si arriva a un porticato, dove ad essere raccontato è il primo tema ovvero la Terra del Culatello. L’ambiente, i pioppeti, il Po sono protagonisti di una narrazione che conduce fino ad una sala incentrata sulla figura del maiale come animale addomesticato dall’uomo, con approfondimenti sul maiale nero tipico del Parmense e sul suo recupero, sul simbolismo e sull’im-

Il primo tema ad essere raccontato è la Terra del Culatello. L’ambiente, i pioppeti, il Po sono protagonisti di una narrazione che conduce fino ad una sala dedicata alla figura del maiale, con approfondimenti sul simbolismo di una creatura talmente legata all’uomo da essere scelta per evocarne vizi e virtù

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L’orto dell’Antica Corte Pallavicina. magine di una creatura talmente legata all’uomo da essere scelta per evocarne i vizi e le virtù: il maiale — che sfama la famiglia contadina — viene mostrato su cartoline illustrate che lo raffigurano in modi umani, come specchio dell’umanità, ma anche nei libri e nella satira, nelle monete e nei francobolli. Tra sacro e profano, un angolo del museo propone un riferimento a Sant’Antonio abate, eremita del deserto raffigurato inizialmente in compagnia di un maiale nero con le zanne, incarnazione del demonio tentatore che la cultura contadina trasforma invece in animale protetto dal Santo, a sua volta destinato a diventare, per estensione, protettore di tutti gli animali da cortile. La sala successiva è un itinerario attraverso la storia della famiglia Spigaroli, in principio mezzadri di Giuseppe Verdi, capaci di spostarsi sulle rive del Po per poi reinventarsi ristoratori: è in questa sezione che si comincia a parlare dei masalén, i norcini che tramandavano l’arte della corretta macellazione del maiale. Ci sono riferimenti storicoartistici, bassorilievi che dimostrano come quella dell’ammazzata fosse una festa cruenta, ma anche un rito festoso e grato che si rinnovava anno dopo anno. Una collezione di oggetti legati all’attività accompagna il ritorno all’esterno, per un’ideale boccata d’aria prima dell’immersione in un grande spazio

sotterraneo, dove alle pareti cosparse di pannelli illustrativi è affidato il compito di introdurre nel mondo segreto del culatello. Nella sala si snodano temi come le caratteristiche della carne di maiale, del sale (con riferimenti necessari a quello prezioso di Salsomaggiore), del pepe (dalle sue origini orientali ai risvolti economici) e dei principali salumi della Bassa Parmense. Si passa quindi alla storia del culatello, all’iconografia e alle citazioni di personaggi famosi, da GIUSEPPE VERDI a GABRIELE D’ANNUNZIO, a GIOVANNINO GUARESCHI e tanti altri, con un racconto puntuale delle fasi che dalla coscia del maiale portano a un prodotto caratterizzato anche da un preciso rituale di degustazione. In fondo alla parte dedicata al consorzio e agli altri “frutti” del territorio, un’immagine di Guareschi tra i culatelli introduce in una cantinetta dove sono appesi tutti i salumi originati da un maiale. E, di fronte, l’affascinante galleria dei culatelli che stagionano nell’umidità e nella penombra, uno spazio da penetrare in religiosa contemplazione, prima di risalire attraverso un ambiente allestito con attrezzi e strumenti legati alla navigazione sul Po, fino alla sala dell’Osteria, dove procedere alla degustazione finale. Nota Photo © Antica Corte Pallavicina.

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Fenix Food Factory, cibo e architettura a Rotterdam Un bel progetto che nasce dal recupero di un vecchio magazzino nella zona industriale del porto di Rotterdam, un ex quartiere malfamato e che oggi invece attira giovani, creativi e imprenditori. Un mercato con “food court” coperta che ospita le specialità di sette produttori locali di Massimiliano Rella

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vecchi magazzini portuali di Kop Van Zuid, il quartiere di Rotterdam sulla sponda meridionale della Nuova Mosa, nei pressi del ponte Erasmo, ospitano da qualche tempo la Fenix Food Factory,

un’aggregazione di sette imprenditori alimentari uniti da un progetto di recupero di archeologia industriale realizzato nel 2014 su spazi comunali e gestito in cooperativa da commercianti e produttori. La costruzione ha

mantenuto l’originaria struttura grezza in calcestruzzo. L’allestimento interno è composto di arredi volutamente poveri e riciclati: le pedane in legno degli imballaggi riadattate a tavoli e panche, i tavolini e le sedie di materiali e

La Fenix Food Factory a Rotterdam.

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Ogni venerdì Etienne Vermeulen, accanto ai tavoli dei clienti, mette in azione un piccolo impianto per fare 6 tipi di birre classiche e altre sperimentali. La produzione è offerta anche alla spina. Tra le più richieste la Gozer, una stout ottenuta da farina d’avena e diversi grani

stili diversi e accostati spesso in modo disordinato. Nell’insieme un ambiente informale ma accogliente. Qui si viene per mangiare, bere e comprare generi alimentari di qualità. I sette della Factory Uno dei principali negozi della Fenix Food Factory è la macelleria e norcineria Firma Bijten. Salsicce fresche e stagionate, patè di carne d’oca selvatica o maiale (in tutto cinque diversi gusti), ma anche le rillettes, una specialità francese di carne cotta a bassa temperatura, spalmabile e cremosa. Tutto preparato nel laboratorio retrostante utilizzando carne di animali ben allevati in Olanda (www.firmabijten.nl). Il Booij Kaasmakers è invece un negozio di formaggi gestito dalle sorelle DALINA e MASCHA BRAAM, che a 30 minuti da Rotterdam hanno anche un caseificio artigianale dove insieme alla famiglia producono 18 tipi di formaggio buuren, cioè “contadino”, fresco, stagionato, ma anche aromatizzato al cumino. Il Buuren-

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In alto: una delle birre del microbirrificio Kaapse Brouwers, prodotta all’interno della Fenix Food Factory. In basso: Jordy’s Bakery.

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Da Firma Bijten, salsicce fresche e stagionate, patè di carne d’oca selvatica o maiale in cinque diversi gusti, ma anche le “rillettes”, specialità francese di carne spalmabile. Tutto preparato nel laboratorio retrostante utilizzando carne di animali ben allevati in Olanda

Simon Droos di Firma Bijten, macelleria e norcineria all’interno della Factory. kaas overjarig, ad esempio, è affinato 30 mesi, un formaggio intenso, ricco, profumato, che non risulta secco grazie ad una quantità minima di sale. In vendita anche altri formaggi olandesi e internazionali (www.kaasboerderijbooij.nl). Rechtstreex seleziona e vende prodotti agroalimentari di qualità, freschi e di stagione, verdure, frutta, latticini, burro, carne e pollame, ma anche salse e condimenti, succhi e bevande, tutti forniti da contadini e piccoli produttori. Oltre alla vendita al dettaglio sono confezionate forniture giornaliere per la preparazione dei pasti dei dipendenti nelle mense aziendali della zona (www.rechtstreex.nl). Jordy’s Bakery è il panificio del giovane JORDY KLOOTWIJK, terza generazione di una famiglia con lunga tradizione nella panificazione artigianale. Pane e panini fragranti sono prodotti solo con selezionati ingredienti naturali, farina, acqua, sale e lievito ottenuto in proprio. Tanti i tipi di pane, dalle forme diverse, anche di farina integrale, oppure di grano duro, granturco e multicereale. L’impasto è lasciato lievitare

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fino a 24 ore e il pane è cotto in forno di pietra. Dei gustosi panini farciti si possono consumare anche sul posto (jordysbakery.nl). Eccoci arrivati alle bevande. In particolare alle birre artigianali del microbirrificio Kaapse Brouwers, dove il mastro birraio ETIENNE VERMEULEN ogni venerdì, in fondo al locale, accanto ai tavoli dei clienti, mette in azione un piccolo impianto per fare 6 tipi di birre classiche e altre sperimentali arricchite con spezie da tutto il mondo. La produzione è offerta anche alla spina. Tra le più richieste la Gozer è una stout di 9,8 gradi ottenuta da farina d’avena e diversi grani; la Karel, più gentile, è un’American bitter di 4,9 gradi; la Jaapie è un’Imperial red ale aromatizzata con barbabietola rossa, 9,4% di alcol. Il locale non serve cibo ma si possono consumare ai tavolini le specialità comprate nel mercato. I prezzi al boccale vanno da € 3,00 a € 6,50 (www.kaapsebrouwers.nl). Una curiosità è rappresentata dal Cider Cider, l’unico negozio specializzato sul sidro di tutta l’Olanda. Ad

aprirlo è stato WOUTER BIJL, un giovane estimatore di questa bevanda nordica ottenuta dalla fermentazione delle mele. Oltre un centinaio le etichette in vendita: francesi, olandesi, spagnole, tedesche, inglese, irlandesi, polacche, scandinave. E ancora una selezione di Calvados e “sidri di ghiaccio” francesi e spagnoli, ottenuti con mele ghiacciate all’aperto e raccolte al gelo invernale. Uno spazio è dedicato alle degustazioni e a far conoscere il sidro, le sue varietà e i migliori abbinamenti con il cibo (www.cidercider.nl). Non ultimo Stielman che vende caffè appena tostati utilizzando chicchi coltivati in Kenya, Ruanda e Brasile e forniti da importatori di fiducia. Massimiliano Rella >> Link: www.fenixfoodfactory.nl Nota La Fenix Food Factory è aperta dal mercoledì alla domenica (10:00-19:00); al sabato con i seguenti orari: 10:00-18:00; alla domenica: 12:00-18:00; area free WI-FI; photo © Massimiliano Rella.

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Bologna




TRADIZIONI La Pasqua degli “altri” e le tradizioni plurimillenarie

La paskha russa vuole la ricotta di Nunzia Manicardi

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a Pasqua è una delle feste più importanti del calendario liturgico ortodosso. Viene celebrata con grande sfarzo, accompagnandola con una lunga serie di riti e tradizioni che la differenziano dalla Pasqua cattolica. Durano per tutta la Settimana Santa e coinvolgono, naturalmente, anche l’aspetto gastronomico.

La Domenica dei Salici La Russia è l’unico Paese in cui l’entrata del Signore a Gerusalemme non si chiama Domenica delle Palme ma dei Salici. Del resto in Russia, dato il clima, le palme non crescono, mentre proprio nel periodo pasquale spuntano le gemme dei salici. Gli ortodossi conservano poi per tutto l’anno i rametti dei salici benedetti e li usano per adornare le

icone delle loro case, esattamente come i cattolici fanno con i rametti di ulivo benedetto. Il digiuno e i crostini di pane nero Alla Domenica dei Salici segue la Settimana Santa di Passione, in cui si osserva rigidamente il digiuno da lunedì a sabato compreso. Chi lo effet-

Il kulič, panettone pasquale russo. Si differenzia dal nostro panettone natalizio per l’impasto più denso e la forma più alta e stretta (photo © russianmomcooks.com).

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tua rinuncia non soltanto alla carne, al latte e al pesce, ma anche all’olio vegetale. Mercoledì e venerdì, quando si commemorano il tradimento di Giuda e la crocifissione di Cristo, è preferibile non mangiare nulla. In questo periodo si cuociono dei crostini di pane nero che si chiamano suchariki. Le celebrazioni del mercoledì e del giovedì La preparazione liturgica alla Pasqua inizia il mercoledì con la prima celebrazione importante, dedicata alla Passione del Signore. Il giovedì si tiene una celebrazione mattutina durante la quale si ricorda l’Ultima Cena e ci si comunica in chiesa in ricordo della prima Eucarestia. I preparativi in cucina del Giovedì Santo Durante il Giovedì Santo gli ortodossi si preparano alla Pasqua stando in cucina dove si dedicano ai cibi tradizionali: cuociono e dipingono le uova, preparano in una particolare forma di legno la paskha (un dolce a base di ricotta con frutta candita, mandorle e uva passa) e mettono in forno il kulič, un dolce a forma cilindrica molto simile al nostro panettone italiano. La sera vanno di nuovo a messa dove vengono letti i dodici passi del Vangelo che descrivono la passione di Cristo. I riti del Venerdì Santo con l’esposizione del sudario Tutto il giorno seguente, il Venerdì Santo, è dedicato esclusivamente alle liturgie: la mattina, al posto della messa tradizionale, si leggono le Ore, poi alle 14 inizia la compieta santa, durante la quale si ricorda la morte di Gesù e la sua Deposizione. Al centro della chiesa si espone un lenzuolo (preferibilmente un antico modello ricamato) con la raffigurazione del Cristo morto. La “piccola compieta”, che inizia alle 17:00, ha termine con la “sepoltura” del sudario che viene portato all’altare. La Via Crucis e la benedizione dei cibi pasquali Il sabato è il giorno in cui si commemora la presenza di Cristo nel sepolcro, ma l’atmosfera nelle case e nelle strade è lo stesso festosa e piena di eccitazione e coinvolge tutti, siano adulti, anziani

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La ricotta è l’ingrediente di base della paskha (photo © www.gastrosenses.com). o bambini. Il Sabato Santo i fedeli portano in chiesa i piatti tradizionali preparati in casa per farli benedire. Tra questi troviamo le uova colorate, la paskha e i kulič. Questi cibi sono posti in un paniere e decorati con fiori colorati (solitamente rose rosse). Al centro vengono infilati dei ceri che poi il sacerdote (il pope) benedirà dopo la messa della notte o quella del giorno dopo. Il sabato a mezzanotte i fedeli si

riuniscono, poi ognuno di loro accende il proprio cero. Tutti insieme seguono la croce che viene portata in processione. Quando le campane suonano, gli ortodossi si abbracciano tre volte, dopo di che inizia la liturgia pasquale che dura fino all’alba. Il pranzo di Pasqua Il pranzo di Pasqua vede la famiglia riunita anche, eventualmente, con gli

Paskha Ingredienti (per 8-10 persone) • 400 g di ricotta • 75 ml di miele • 125 g di burro • 150 ml di panna acida • 75 g di zucchero • 4 tuorli • 1 manciata di uvetta • canditi a piacere e/o scaglie di cioccolato • mandorle e ciliegie candite qb Preparazione Passate la ricotta al setaccio e fatela cadere in una ciotola grande. Amalgamate il burro morbido con la ricotta, poi unite panna acida, tuorli e zucchero (va bene anche quello a velo). Lavorate bene il tutto con una frusta fino ad ottenere un composto omogeneo. Sciogliete sul fuoco, in una casseruola, il miele, incorporate l’uvetta precedentemente ammollata e i canditi a pezzetti; infine incorporate il tutto alla crema. Distribuite la crema in tante coppette individuali e fate riposare 12-24 ore in frigorifero. Nella preparazione tradizionale si utilizza un’apposita forma di legno forato foderata di garza per scolare il siero in eccesso e rendere il composto più compatto. La forma tradizionale è quella di una piramide tronca. Fate tostare qualche minuto le mandorle in forno e, al momento di servire, distribuitele sulla crema. Decorate con ciliegine candite.

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La paskha, dolce al cucchiaio che in Russia si prepara esclusivamente per le festività pasquali. Fa parte dei piatti tradizionali preparati in casa che i fedeli portano in chiesa per la benedizione.

Kulič Ingredienti • 5 bicchieri e mezzo di farina • 50 g di lievito • 1 bicchiere e mezzo di latte • 10 tuorli • 3 albumi • 1 bicchiere di zucchero • 250 g di burro • ½ bicchiere di uvetta • 2 cucchiai di cognac • 2 cucchiai di canditi • 1 cucchiaino di noce moscata • 3 cucchiaini di zucchero vanigliato • sale qb Preparazione Mescolate mezzo bicchiere di farina con mezzo bicchiere di latte bollente fino a ottenere un composto elastico. Sciogliete il lievito in mezzo bicchiere di latte tiepido, mescolate con mezzo bicchiere di farina e lasciate riposare al caldo per 10 minuti. Unite i due composti, mescolate bene, coprite con un tovagliolo e lasciate lievitare al caldo. Mescolate i tuorli con lo zucchero e un pizzico di sale e montate fino ad ottenere una massa bianca di cui verserete la metà sulla pasta lievitata aggiungendo un po’ di farina e un quarto di bicchiere di latte; lavorate il tutto e lasciate riposare per un’ora. Versate il resto delle uova montate aggiungendo i restanti 5 bicchieri di farina. Poi lavorate la pasta fino a quando non si distacca dalle mani. Aggiungete lentamente il burro che avrete sciolto sul fuoco, il cognac e la noce moscata. Lasciate lievitare per la seconda volta. A questo punto mescolate l’uvetta, lasciandone però un po’ da parte, e i canditi in precedenza infarinati. Dopo la terza lievitazione versate il composto ottenuto nella forma prescelta riempiendola per metà. Metteteci sopra l’uvetta e i canditi rimasti e fate lievitare per l’ultima volta. Spennellate con il rosso d’uovo e mettete in forno a 180 °C per 45 minuti. Con gli albumi e lo zucchero vanigliato preparate la glassa che verserete sul kulič appena sfornato. Si tratta, come si vede, di una preparazione laboriosa e non facilissima.

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amici intorno a un grande tavolo, al centro del quale viene collocata la cesta con le uova colorate, che è ricoperto di zakuski, corrispondenti ai nostri antipasti. Caldi o freddi, sono serviti accompagnati da vodka, brandy o cognac. Fanno seguito le portate principali a base di pesce e carni fredde. I piatti della mensa di Pasqua non sono però molto regolamentati; quello che in genere non manca mai è il maialino da latte al forno farcito in vario modo, dalle mele acidule al grano saraceno. Ma quello che caratterizza il pranzo e ne costituisce il nucleo rituale più antico è la battaglia delle uova, simbolo queste ultime di rinascita e buon augurio: ogni commensale sceglie un uovo e lo terrà in mano in modo che se ne possa vedere soltanto un estremo che il vicino cercherà di colpire. Il pranzo, dopo le consuete abbondantissime libagioni nella più pura tradizione russa, si conclude con la degustazione dei già citati dolci tipici della festa pasquale. La paskha La paskha è un dolce al cucchiaio — una sorta di zuccotto — che si prepara a freddo e si serve freddissimo. È a base di tvorog, la ricotta russa. Si prepara soltanto per la Pasqua e non sarà mai portato in tavola in nessun’altra occasione. In questo dolce è forte il richiamo all’antica speranza di trovare un giorno “fiumi di latte e di miele”. Si tratta di un dolce antichissimo, le cui numerose versioni non hanno mai stravolto l’essenza originaria. Lo si può preparare facilmente anche in Italia perché gli ingredienti sono di facilissima reperibilità. Il kulič Anche in Russia c’è la tradizione di mangiare il panettone; solo che, a differenza di quanto succede da noi in Italia, là lo si mangia non per Natale ma per Pasqua. Ne esistono tante versioni: questa che pubblichiamo è relativa a quello chiamato kulič (il nome, derivato dal greco, significa “pagnotta”) che si differenzia dal nostro panettone natalizio per l’impasto più denso e la forma più alta e stretta; inoltre per il kulič viene in genere utilizzato lievito di birra anziché pasta madre e sono impiegati aromi più diffusi nelle cucine orientali come il cardamomo. Oltre che in Russia il kulič è ampiamente diffuso

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Il rito della benedizione del crisma Il Lunedì Santo, e soltanto in questa occasione lungo tutto l’arco dell’anno, il Patriarca russo celebra, presso il monastero Donskoj di Mosca, la cerimonia della benedizione del crisma, una miscela particolare di oli profumati, resine e altre sostanze. Esso viene distribuito a ciascuna parrocchia per compiere il rito del battesimo e della cresima (in quanto nel rito ortodosso i tre sacramenti dell’iniziazione — Battesimo, Cresima ed Eucarestia — si ricevono contemporaneamente da neonati) e dell’unzione degli infermi. Per questo esiste anche il detto: “Siamo tutti unti dallo stesso olio”, abbiamo cioè tutti qualcosa in comune. Nunzia Manicardi

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BEVI RESPONSABILMENTE

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in altri paesi a prevalente religione ortodossa (Bielorussia, Bulgaria, Georgia, Romania, Serbia e Ucraina). La sua particolarità è dovuta a una porzione di impasto che viene bollita nel latte con miele naturale e burro fuso. Questa porzione, circa un sesto del totale, viene poi mescolata con la totalità dell’impasto. Alla fine si forma un cilindro che si fa rotolare sullo zucchero rendendo così la pasta più soffice e leggera, con un colore giallo crema come deve essere un vero e proprio panettone di Pasqua. Il kulič è composto da un impasto lievitato di burro, farina, latte, uova e zucchero, in cui sono incorporate uvetta, frutta candita e mandorle sbucciate (o altra frutta secca), cotto in uno stampo cilindrico (o, più raramente, troncoconico) e poi ricoperto (nella parte superiore) con una glassa di zucchero e albume d’uovo cosparsa di zucchero o miglio colorato. In genere è aromatizzato con liquori (vodka, rum o cognac) e spezie (zafferano, cardamomo, noce moscata). Come la paskha, è tradizionalmente decorato dalle lettere cirilliche X e B, iniziali dell’augurio pasquale Христос Воскрес! (“Cristo è risorto”). Il kulič benedetto viene consumato ogni giorno, prima della prima colazione, tra il dì di Pasqua e quello di Pentecoste, mentre i suoi avanzi sono consumati come dessert insieme alla paskha. Quella che riportiamo nel box in alto è la ricetta del kulič tratta dal sito it.sputniknews.com (ex “La Voce della Russia”).


LOCALI DI GUSTO

Ferramenta, ristorante, bar, bottega nel cuore di Santarcangelo di Romagna

C

orreva l’anno 1850 quando, sulla storica piazza Ganganelli a Santarcangelo di Romagna, apriva i battenti la Trattoria del Commercio, in seguito in parte assorbita da due giovani coniugi santarcangiolesi che, in fuga dalla mafia americana che aveva distrutto la loro attività, aprirono la Ferramenta Semprini. Una delle più fornite di ogni tipo di utensileria, così colma di prodotti ed attrezzature di varia natura

da richiamare l’attenzione di pubblico da tutta la regione e ben oltre, tanto da diventare persino punto di riferimento territoriale per l’esposizione e la vendita di bestiame, con annessa asta pubblica. Oggi Ferramenta – Officina del gusto, dentro le sue spesse mura risalenti al 1400, mostra con orgoglio i segni del tempo pur nella sua nuova veste di fascinoso ristorante. Recupero e restyling sono opera di RINO MINI, presidente del Gruppo Galvanina, imprenditore inna-

morato del nostro patrimonio di storia e cultura, anche alimentare. Tutto fatto a mano, dai banconi di legno ai sontuosi lampadari realizzati con una cascata di bottiglie Century Galvanina, dalle teche per il vino in ferro battuto ai morbidi divanetti in pelle, Ferramenta unisce alle opere di artigiani locali sofisticate attrezzature di cucina e di conservazione degli alimenti. Per le carni, ad esempio, provenienti da 12 Paesi — dall’Argentina al Messico,

Rino Mini con lo staff di Ferramenta-Officina del gusto.

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dall’Olanda alla Francia, alla Polonia, all’Uruguay, alla Spagna… —, sono state acquistate celle, ben visibili nel locale, con un sistema di climatizzazione all’ozono che, oltre a garantire la non proliferazione dei batteri e quindi una salutare sterilità, a temperatura controllata permettono frollatura e mantenimento al massimo livello di sicurezza. Per la cottura è stato scelto un forno X-Oven che non produce fiamma e non emana esalazioni, così da evitare la dispersione nell’ambiente di particelle volatili o ceneri dannose per l’organismo. Il forno, con griglie sterilizzate ogni giorno, permette di ridurre i tempi di cottura ed evitare la pericolosa carbonizzazione delle carni, esaltandone nel contempo il sapore e le caratteristiche naturali. A legna è il grande forno circolare che offre la possibilità delle migliori performance al pizzaiolo napoletano MIMMO FABOZZI. In mano allo chef LEONARDO ROSSETTO, invece, tutta la cucina a vista che produce pasta fresca fatta in casa, primi, secondi e dolci della tradizione italiana. Grande ricerca anche per le materie prime: i polli di Bresse, i maiali bradi di SIMONE FRACASSI, quelli “Tranquilli” di GHIRARDI ONESTO, fino alla razza iberica alimentata a ghiande. Anche i pesci sono presenti nella carta di Ferramenta, in questo caso cotti su tavole di legno che ne rispettano le proprietà conferendo al piatto sapori e profumi straordinari, e tante verdure bio. Vino in cassaforte e birra in botte Una delle cantine nel locale conterrà, come in un vero e proprio caveau, una serie di cassette di sicurezza, le chiavi di ciascuna delle quali sarà unicamente nelle mani del cliente che creerà una propria riserva di bottiglie scelte dalla carta ad un prezzo ridotto. Menzione a parte merita la birra prodotta da Amarcord, su specifica ricetta di Rino Mini, che, contenuta in due capaci serbatoi da 500 litri l’uno, ben visibili al di là delle vetrate, ne consentono la spillatura in apposite crowler da 750 ml griffate, che vengono chiuse ermeticamente al momento del servizio al tavolo. Né pastorizzata, né filtrata, questa birra bionda e cruda, tipo Lager è particolarmente adatta a tutte le proposte gastronomiche del locale.

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Ferramenta è concepito come una bottega di generi alimentari di produzione propria collocati in bella vista sulle scansie del locale. Molto ampia la scelta dei salumi, con prosciutti dall’Italia e dalla Spagna, salami, coppe, mortadella, pancetta serviti con pane caldo e focacce preparate al momento. L’oyster, sushi e raw bar Punto focale di Ferramenta è il lunghissimo bancone in legno e marmo posto proprio all’entrata di fronte ad una ghiacciaia dei primi anni ‘50 perfettamente funzionante: direttamente dalla strada si possono richiedere le ostriche nazionali, dell’Adriatico e del Tirreno, dal plateau in bellavista, con una coppa di champagne in ghiaccio, mentre ORGES HAXHIU propone il sushi più raffinato. Poco più in là un barman che si destreggia con i cocktail dell’aperitivo serale al fianco di un oste che sforna pane caldo e focacce serviti con un’incredibile varietà di salumi da far invidia alle più fornite norcinerie: finocchiona, salame toscano e prosciutto di Norcia di Simone Fracassi, il salame Felino, la spalla cruda di Palasone, la mortadella Favola Palmieri, i Pata Negra spagnoli… Sul banco anche una nerissima Carpigiani per la produzione di gelato. Completano l’offerta due vetrine dove è esposta una meravigliosa coltelleria (un coltello per ogni carne), insieme a taglieri e carrelli in legno, pentole, piatti in ceramica e canovacci da acquistare per la propria casa o per i regali più originali.

Tute da lavoro e camici in bottega Ferramenta torna ad essere una straordinaria bottega di generi alimentari di produzione propria: dalle scansie occhieggiano invitanti vasi di prodotti conservati, dalla frutta sciroppata ai vegetali, ai prodotti ittici, sino a spezie, legumi secchi, condimenti vari, olio extra vergine, aceti, accanto a creme di vegetali e a un’importante collezione di sottoli e sottaceti. Pasta di Gragnano, caffè in grani e macinato, vini, bibite e succhi di un’ampia gamma in gran parte biologica costituiscono l’ulteriore offerta. Infine, per il personale di sala, tute da lavoro e camici da capo officina. Ristorante Ferramenta Generi Alimentari Piazza Ganganelli 19/20 47822 Santarcangelo di Romagna (RN) Telefono: 0541 626141 E-mail: info@ristoranteferramenta.com Web: www.ristoranteferramenta.com FB: /RistoranteFerramentaSantarcangelo instagram.com/ferramenta_generi_alimentari

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EVENTI A Identità Golose 2018 va in scena il “Fattore Umano”

Human Factor

«L’

anima nelle cose ce la mette l’uomo, non Dio». Così ARRIGO CIPRIANI racconta dal palco di Identità Golose edizione 2018 la sua idea di “Fattore Umano” — il tema scelto quest’anno dagli organizzatori del congresso di cucina internazionale d’autore PAOLO MARCHI e CLAUDIO CERONI — ad una sala gremita e incantata dall’eleganza di questo signore ottantacinquenne che con l’Harry’s bar di Venezia e i suoi 27 locali in tutto il mondo dà lavoro a oltre 3.000 collaboratori.

Di fattore umano in fattore umano sono stati tanti gli chef (più di 120 compresi pasticcieri, maître e sommelier) che si sono avvicendati negli spazi del Mi.Co Milano Congressi in via Gattamelata, sempre più ricco di presenze internazionali, espositori, visitatori (oltre 16.000 quelli registrati), originalità dei prodotti, capacità di creare incontri, scambi, relazioni fruttuose. «Non ci saremmo mai immaginati che il tema del “Fattore Umano” avrebbe avuto l’enorme riscontro che ha in effetti incontrato sia presso i relatori che sulla stampa e tra

i professionisti della comunicazione» puntualizza Ceroni. «A questo proposito, la copertura mediatica è stata senza precedenti e si è addentrata in profondità. In altri casi ci si limitava ad annunciare la nostra kermesse, a citarla sul taccuino degli appuntamenti seppur imperdibili; quest’anno, invece, prima ancora della tre giorni, il programma del congresso è stato sviscerato nei suoi aspetti, vi è stato un racconto diffuso di quanto noi stessi avevamo selezionato perché venisse illustrato sui palchi. Incredibile. E lusinghiero». Sarà anche

La prima giornata della XIV edizione di Identità Golose si è aperta con la Calabria, regione ospite per quest’anno. A rappresentare i sapori calabri, dall’intensità della ‘nduja ai profumi di bergamotto, cedro ed erbe spontanee, dal baccalà alla cipolla di Tropea, sono saliti sul palco quattro chef: Caterina Ceraudo, Luca Abbruzzino, Anthony Genovese e Francesco Mazzei. In foto, la preparazione dei “Ravioli di pancetta di maiale nero affumicato con cipolla, pomodoro confit, salsa di caciocavallo e salsa di pomodori secchi” di Anthony Genovese (photo © Brambilla/Serrani).

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Massimo Bottura sul palco di Identità Golose 2018 (photo © Brambilla/Serrani).

Internet, nelle sue innumerevoli forme, ha permesso la condivisione di saperi, note, conoscenze, tecniche, ricette come solo dieci anni fa era inimmaginabile, scrive Paolo Marchi. Quello che la rete non potrà mai offrire, però, è il fattore umano, la possibilità di un confronto facciaa-faccia, il parlare al cliente, ai fornitori, a chi lavora nel tuo locale

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per questo motivo che «tre giorni non ci bastano più» hanno dichiarato Marchi e Ceroni al termine del congresso, annunciando la nascita di un omonimo “hub internazionale della gastronomia”. Si chiamerà, appunto, Identità Milano, e avrà sede in via Romagnosi 3, dove una volta c’era la Fondazione Feltrinelli. Tre saranno gli ambienti principali: una sala eventi aperta agli chef e alle loro associazioni; uno spazio all’aperto nel cortile interno; un ristorante vero e proprio. «Diventerà la casa dei cuochi e delle persone che vogliono confrontarsi col cibo» ha sottolineato ANDREA RIBALDONE, che guiderà la brigata fissa del ristorante e coordinerà gli chef ospiti che nel tempo si alterneranno dietro ai fornelli. Il fattore “squadra” Tra gli interventi più applauditi della tre giorni c’è sicuramente quello di MASSIMO BOTTURA, lo chef modenese dell’arcinota Osteria La Francescana. «Le mura che ci contengono, quelle del nostro ristorante, sono quelle di una casa e di una famiglia. Pensate alle ore che trascorriamo insieme, alla forza

che occorre per sostenerla. È il fattore umano ciò che rende ognuna di queste giornate unica e irripetibile» ha detto Bottura. E ancora: «non si può parlare di “Fattore Umano” senza parlare di squadra. La “Squadra” è tutto. Oggi tutti vogliono fare gli chef. Ma il fattore umano è la somma di chi lavora nei caseifici, in campagna, nelle vigne. Vincere o perdere non importa, bisogna sognare l’impossibile insieme. Per questo cerco di dare a ognuno lo spazio, un centro. Ho sempre cercato di essere allenatore di idee, dando direzioni e lasciano spazio alla creatività, senza gerarchie… Ogni servizio è una finale di Champions: a volte siamo brillanti, altre meno. L’importante è essere autocritici e saper andare avanti. Vincere ogni sfida e non perdere la fiducia in se stessi. Tutto questo è nulla in confronto alla gioia di riuscirci assieme. È la soddisfazione più grande, quella di una vita vissuta appieno. E non sono soddisfazioni se non sono davvero condivise con gli altri». >> Link: www.identitagolose.it

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1) Eugenio Boni della Devodier Prosciutti di Mulazzano Ponte di Lesignano Bagni (PR). L’azienda, tra i fondatori del Consorzio del Prosciutto di Parma, ha portato a Milano i suoi favolosi prosciutti, la culatta, il culatello e la spalla cruda. 2) Tartuf’ó è la gamma di salumi al tartufo firmati dalla Villani di Castelnuovo Rangone, Modena: prosciutto crudo, salame, mortadella e il prosciutto cotto, realizzato con l’aggiunta di pezzi interi di tartufo estivo. Sapore delicato e profumo unico. 3) Andrea dell’azienda agricola Lucia di Palmanova (UD) con le meravigliose rose di Gorizia, il radicchio per eccellenza. 4) La carne bovina Joshu Wagyu dalla Prefettura giapponese di Gunma (photo © Francesco Mion). 78

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Il Consorzio per la Tutela del Formaggio Grana Padano durante la tre giorni milanese ha proposto diversi appuntamenti attraverso i quali raccontare “lo sguardo” sempre più internazionale di questo formaggio, dimostrandone la versatilità di impiego grazie al “Fattore Umano”. Come quello con Franco Pepe della pizzeria Pepe in Grani di Caiazzo, Caserta, che ha presentato la nuova creazione “Grana, Pepe e Fantasia”. La pizza viene realizzata in tre tempi: sull’impasto-base viene spalmata una crema di Grana Padano stagionato 12 mesi, scamorza di bufala affumicata e via nel forno; a metà cottura la pizza viene fatta uscire dal forno, spennellata d’olio sul cornicione e ulteriormente farcita ai bordi con una crema di Grana Padano 24 mesi; dopo una seconda ripassata in forno, la farcia viene ultimata con tuorlo d’uovo, bacon saltato in padella, pepe, chips di grana e zeste di lime (photo © Brambilla/Serrani).

Macelleria Oberto e il fattore Fassona Solo Fassona e solo capi femmina dai 36 mesi in su. Macelleria Oberto – Carni pregiate piemontesi dal 1965 di Roddi (CN) è sicuramente uno dei protagonisti indiscussi di Identità Golose. Dal cuore delle Langhe, Daniele Oberto e i suoi collaboratori hanno portano alla quattordicesima edizione del congresso milanese uno dei tesori del Piemonte, la Fassona, declinando questa carne dal gusto unico in tartare, motzetta, salame tipo Finocchiona e carpaccio affumicato. «Con il termine “Fassona” si indicano le femmine di razza Piemontese» ci spiega Mattia Gallina. «La parola Fassona è l’italianizzazione del vocabolo dialettale“fasun” che sta ad indicare la particolare conformazione muscolare della razza Piemontese». Una straordinaria resa al macello ed eccellenti proprietà gustative e nutrizionali. «Il grasso intramuscolare e l’assenza di tessuti connettivi rendono le carni di Fassona gustose, tenere e compatte e con un bassissimo contenuto di colesterolo» mi racconta Daniele Oberto. «Quando anni fa ho intrapreso questa scelta esclusiva mi davano del pazzo. Eppure il tempo mi ha dato ragione». Nei locali londinesi Macellaio RC (www.macellaiorc.com) del genovese Roberto Costa si serve solo la Fassona della Macelleria Oberto. Fattore Fassona? Vincente (photo © Mattia Gallina). >> Link: www.macelleriaoberto.it

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“Levoni ha trovato pane per i suoi salumi” grazie alla partnership avviata nel 2017 con Renato Bosco, più di trent’anni di esperienza nel mondo del pane, della pizza e della lievitazione. A Milano, allo stand della Levoni Spa di Castellucchio, Mantova, lo staff di Saporè, la pizzeria San Martino Buon Albergo di Renato Bosco, è stato sempre presente, proponendo al pubblico alcuni degli abbinamenti fra salumi e lievitati nati lo scorso anno. 1) Igles Corelli, Renato Bosco e Nicola Levoni (© BoscoRenato.it). 2) Lo stand Levoni. 3) Gli assaggi con i salumi Levoni (© BoscoRenato.it).

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Viva Taste, il salotto italiano del gusto e del food lifestyle Crescono i numeri del salone di Pitti Immagine dedicato alle eccellenze del gusto. Registrata quest‘anno una maggiore affluenza di professionisti della cultura food internazionale, per un totale di 5.750 presenze da 50 Paesi esteri. Performance ottime da Stati Uniti, Francia, Svizzera, Giappone, Spagna, Russia e Far East. In crescita anche l’Italia

L’

edizione 2018 di Taste, il salone del gusto, delle eccellenze e del food lifestyle, si è conclusa ancora una volta nel segno del successo, nei numeri del pubblico di operatori del settore arrivati a Firenze ma anche

in quelli degli appassionati di cibo di qualità e di cultura enogastronomica, che dal 10 al 12 marzo hanno affollato la Stazione Leopolda, scoprendo le novità e la ricchezza gastronomica di quasi 400 aziende espositrici e partecipando numerosi agli eventi in

programma al salone e in città, per il ricco calendario del FuoriDiTaste. L’affluenza complessiva dei buyer ha raggiunto le 5.750 presenze, mettendo a segno un +8% rispetto ad un anno fa (anche allora l’edizione era in crescita), con incrementi sia sul fronte italiano che

L’ingresso della Stazione Leopolda allestito da Pitti Immagine per l’edizione 2018 di Taste. La kermesse quest’anno si è concentrata sul tema del foraging, la raccolta del cibo spontaneo nel suo habitat naturale. Un trend contemporaneo sulla scia della sostenibilità ma anche un modo per riavvicinarsi al territorio e all’utilizzo (e al significato) più autentico di prodotti quali alghe, erbe, foglie e semi (photo © Pitti Immagine).

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1) L’Acetaia Leonardi di Magreta (MO) ha presentato un’ampia gamma di prodotti, dall’aceto balsamico tradizionale di Modena Dop all’Igp ai condimenti al balsamico. Nello stand, Deborah Marchi. 2) Marcello Palmieri e Paolo Veronese nell’affollato desk della mitica Mortadella Favola, prodotto di punta del Salumificio Mec Palmieri di San Prospero (MO). 3) Per l’Antica Macelleria Falorni di Greve in Chianti (FI) salumi realizzati seguendo metodi di lavorazione tradizionali e antiche ricette, unite a moderne tecniche di produzione.

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Il Caseificio Il Fiorino conquista Taste con un Pecorino al pesto Un’edizione “speciale” quella di Taste 2018 per il Caseificio Il Fiorino di Roccalbegna (GR) che ha presentato la collaborazione con Pesto Rossi, azienda genovese, specializzata dal 1947 nella produzione e vendita di prodotti gastronomici di alta qualità. Da questa partnership è nato un formaggio aromatizzato al pesto, maturato in cella per almeno 30 giorni, dal sapore morbido e ben equilibrato. Il nuovo pecorino al pesto Il Fiorino unisce alla cagliata di latte di pecora, proveniente esclusivamente dalla Maremma, il pesto prodotto da Roberto Panizza con basilico Dop e aglio di Vessalico, seguendo l’antica ricetta della tradizione ligure. Il pecorino si riconosce, già dalla crosta, per il colore giallo tendente al verde, per via delle foglie di basilico triturate. Al gusto si presenta con un sentore leggermente acido che richiama la salivazione e poi esplode in bocca grazie al basilico. Quello che più stupisce è il perfetto equilibrio tra i diversi sapori, ottenuto alla grande qualità di tutti gli ingredienti. Il nuovo formaggio è stato presentato in anteprima ad operatori del settore e giornalisti sabato 10 marzo durante un Apericheese nella meravigliosa cornice di Palazzo Strozzi. Sono stati oltre cento gli ospiti di Angela Fiorini e Simone Sargentoni che hanno potuto degustare, per la prima volta, il pecorino aromatizzato al pesto Rossi. Gli amanti del formaggio targato Il Fiorino hanno potuto inoltre assaporare alcuni dei prodotti che, nel 2017, hanno conquistato i più importanti premi a livello internazionale: dalla Riserva del Fondatore al Cacio Caterina, dal Tesoro di Giove al Fior di Natura semistagionato biologico con caglio vegetale, dalla Grotta del Fiorino al Pecorino Toscano Dop stagionato a latte crudo fino al Fior di Maggengo. >> Link: www.caseificioilfiorino.it

1) Il nuovo pecorino al pesto firmato Il Fiorino (photo © Gabriele Micheli). 2) Angela Fiorini con il marito Simone Sargentoni a capo dell’azienda che oggi vanta punti vendita a Londra, così come a Stoccolma, New York, Tokyo e Sidney. 3) Uno scatto all’Apericheese all’interno dello Strozzi Caffè, durante il quale è avvenuta la presentazione alla stampa del nuovo pecorino (photo © Gabriele Micheli).

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Passione per la carne per tradizione.


1) Nello spazio della Bonfatti Salumi e Gianni Negrini di Renazzo (FE), Dino Negrini e Pierluigi Ponzi hanno illustrato e fatto degustare le loro specialità. 2) Tra le aziende da sempre affezionate a Taste c’è il Gran Deposito Aceto Balsamico Giuseppe Giusti di Modena. Al centro, l’AD Claudio Stefani Giusti con Michele Sartori e Guido Nisi, rispettivamente referenti commerciali estero e Italia. L’antica acetaia modenese ha organizzato un bellissimo evento al fuori salone nella storica bottega fiorentina Procacci, con degustazione di piatti a base di tartufo e salmone affumicato di Claudio Cerati, impreziositi dal loro aceto balsamico. 3) Giovanni Bazza, con la moglie Nicoletta, titolare dell’omonimo salumificio di Terrassa Padovana (PD), bellissima realtà salumiera che da tanti anni porta avanti la filosofia del salumi 100% naturali. 4) Massimiliano Castro del salumificio Il Chiaramontano di Chiaramonte Gulfi (RG), dinamica azienda in piena espansione che sta conquistando il mercato con un’offerta di salumi della tradizione norcina siciliana.

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1) Sue Ellen e Celeste Mannori del Salumificio Mannori di Prato, giovani norcine affezionate all’appuntamento di Taste. Sono state parecchie le novità che le due ragazze quest’anno hanno presentato a buyer, clienti e visitatori: dalla Mortadella di Prato con tartufo nero al salame di tartufo, al loro prosciutto toscano da poco entrato all’interno del Consorzio di tutela del Prosciutto Toscano Dop, alla Mortadella del Mannaro, una versione simile alla Mortadella Bologna realizzata con tagli magri di suino, sale e pepe, insaccata in vescica naturale. 2) Simona e Francesco Scapin della bolognese Artigianquality, salumificio specializzato nella produzione di mortadella artigianale realizzata con carni di suino nazionale, senza additivi, emulsionanti e ghiaccio. estero, entrambi a +8%. Tra i mercati che hanno fatto registrare risultati migliori ci sono gli Stati Uniti (+15% nel numero dei negozi e department store presenti a Firenze), Francia (+45%), Svizzera (+72%), Giappone (+33% come negozi), Spagna (+6%); molto bene i numeri da Russia, Australia e dai Paesi del Far East, così come per i buyer dal Nord Europa e dai Paesi del Golfo. Cresciute anche le presenze dei compratori italiani (+8%). Complessivamente Taste numero 13 ha superato le 16.200 presenze totali.

A Firenze per mangiarti meglio «Una bellissima edizione di Taste, che si inserisce in una serie di edizioni in crescita, sia nei numeri che nella qualità, e di questo siamo molto soddisfatti» ha dichiarato AGOSTINO POLETTO, direttore generale di Pitti Immagine. «Da una parte per la selezione delle aziende partecipanti, a detta di tutti di altissimo livello, e al tempo stesso per le presenze di operatori del settore intervenuti, alcuni tra i migliori department store e rappresentanti della distribuzione

Taste, giunto alla sua tredicesima edizione, è luogo d’incontro per gli operatori internazionali dell’alta gastronomia, appuntamento per mangiare e stare bene. Una grande opportunità di fare un viaggio tra gusti nuovi, idee, tradizione e innovazione

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specializzata da tutto il mondo. Taste è sempre più piattaforma di business per i nostri produttori di eccellenze, una direzione su cui stiamo investendo anche con programmi mirati di invito ai buyer e agli operatori internazionali. Ma è anche un contenitore di tendenze e di idee sulla scena culinaria contemporanea, a partire dal successo raccolto dagli eventi dedicati al foraging, i cibi selvatici, tema di questa edizione. Grande partecipazione di pubblico ai Taste Ring animati da DAVIDE PAOLINI, insieme agli altri eventi in calendario alla Leopolda, e tanti gli apprezzamenti arrivati per la partecipazione speciale di Schönhuber Franchi & knIndustrie, e per gli oltre 70 eventi del FuoriDiTaste. Sempre più creativi, sorprendenti e gustosi». Numeri importanti li ha registrati anche il Taste Shop, dove in tre giorni sono stati venduti oltre 17.100 prodotti. >> Link: www.pittimmagine.com/corporate/fairs/taste.html

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FIERE

Aspettando Cibus 2018 In arrivo la 19a edizione del Salone Internazionale dell’Alimentazione. A Parma in esposizione l’intera gamma dei prodotti alimentari industriali, tipici e ad indicazione geografica

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ibus 2018 sarà la fiera delle novità. Oltre mille i prodotti nuovi che verranno proposti da circa 3.000 aziende espositrici agli 80.000 operatori attesi. E i prodotti più innovativi saranno presentati in un’area dedicata, allestita all’interno di un nuovo padiglione. Gli operatori potranno degustare le novità anche grazie al moltiplicarsi di show cooking, con i migliori chef impegnati tra gli stand, ma anche nello spazio destinato ai prodotti tipici del territorio italiano. La 19a edizione di Cibus (da lunedì 7 a giovedì 10 maggio, organizzata da

Fiere di Parma e Federalimentare) inaugurerà un nuovo padiglione (il n. 4,1) che ospiterà “Cibus Innovation Corner”, una selezione dei prodotti più innovativi, oltre a talk e dibattiti sui trend e sulle dinamiche di innovazione in ambito food e distribuzione. La lista completa dei nuovi prodotti sarà consultabile sul sito e sulla app di Cibus.it Chef, collettive e Gourmet Taste Cresce il numero dei top chef che negli stand proporranno modi creativi di cucinare i nuovi prodotti dell’alimentare

italiano. Il profilo gastronomico della fiera sarà arricchito dal nuovo format delle food court istituzionali, spazi degustazione e show cooking dei prodotti tipici del territorio, strutturati ed animati in modo continuativo nel Padiglione 8. Qui saranno presenti sia singole aziende locali, sia aziende associate nelle Collettive di Regioni, Camere di Commercio e Consorzi (da Campania, Calabria, Emilia-Romagna, Piemonte, Toscana, Lazio ed altre). Ad esse si aggiunge, per la prima volta, l’area Gourmet Taste, costituita da una selezione di aziende che permetteranno di degustare prodotti

Saranno oltre mille i prodotti nuovi che verranno proposti dalle circa 3.000 aziende espositrici.

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Il fuori salone Per quanto riguarda il fuori salone in città, Parma City of Gastronomy, dal 5 al 13 maggio, sotto i Portici del Grano, andrà in scena il racconto delle eccellenze gastronomiche del territorio attraverso un percorso multisensoriale di conoscenza dei prodotti che fanno di Parma la capitale della food valley. Un’occasione per un’esperienza emozionale, dove le delizie dei sensi (assaggiare, odorare, ascoltare, vedere, accarezzare) permettono di immergersi nella vita della città. Parma come racconto di storie, quelle dei produttori, orgogliosi eredi di una tradizione antica, che diventano, ambasciatori di un’arte del vivere. gourmet internazionali, con venti e più espositori provenienti da Europa e Asia. Uno spazio per coccolare i buyer esteri Collocata strategicamente accanto a food court e Gourmet Taste, la Buyers Lounge ospiterà i circa 2.500 top buyer esteri ospitati, per i quali è stato incrementato il programma di visite guidate nelle aziende alimentari della food valley emiliana. Sono buyer e manager delle più importanti catene retail provenienti da USA, Canada, Sud America, Europa, Medio Oriente, Asia. Saranno presenti anche i buyer della Grande Distribuzione operante in Italia e all’estero, tra cui il gruppo AUCHAN e COOP, che allestiranno un proprio spazio per sourcing e promozione. Una vocazione internazionale con ICE e Federalimentare Cibus è la fiera di riferimento del cibo italiano per i mercati internazionali, grazie anche al programma continuativo di Roadshow intrapreso da Fiere di Parma, con la collaborazione strategica di ICE Agenzia e di Federalimentare. Tra gli incontri più recenti, una delegazione di Cibus si è recata il 14 febbraio scorso al Rungis di Parigi, il più grande mercato agroalimentare di prodotti freschi del mondo. Altre missioni si sono svolte a Dubai, a Londra, per presentare Cibus al mondo della ristorazione e del retail, alla fiera Foodex di Tokyo, con una serata Cibus presso la sede dell’Ambasciata italiana. Quest’anno, al centro del salone, anche appuntamenti dedicati all’innovazione e ai rapporti di filiera nel settore alimentare.

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Le Indicazioni Geografiche, birre e olio Ampio spazio ai prodotti italiani a denominazione d’origine nello stand di AICIG (Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche), mentre nel padiglione 7 Multiprodotto troveranno spazio gli stand della Direzione Pesca del Ministero dell’Agricoltura e delle Politiche Agricole, di Micromalto che schiera decine di microbirrifici artigianali, delle produzioni d’olio presentate da Unaprol, nonché, per il primo anno, alcune best case del settore agricolo nazionale organizzate dal loro sistema di rappresentanza.

Cibus 2018 Salone Internazionale dell’Alimentazione Da lunedì 7 a giovedì 10 maggio Orari: 9,30-18,00 Web: www.cibus.it facebook.com/CibusParma

Costo del biglietto e prevendita on-line L’ingresso a Cibus è riservato ad operatori professionali ed è vietata l’entrata ai minori di 16 anni. Sul sito biglietteria.fiereparma.it è possibile acquistare in anticipo il biglietto per accedere ai vari padiglioni, evitando le code all’entrata. I prezzi vanno da € 60,00 per 1 persona, valido per 1 giorno, a € 80,00 per 1 persona e 2 giorni, fino a € 100,00 per 1 persona e 4 giorni. Pagamento con carta di credito e Paypal. >> Link: biglietteria.fiereparma.it

Il canale Medium Cibus Talks – Experience the authentic italian food business ospiterà contenuti di approfondimento realizzati da influencer che collaborano con periodici e portali specializzati, tra i quali DAVIDE BERNIERI, giornalista professionista esperto delle dinamiche del mondo retail, e LUCIANA SQUADRILLI, giornalista professionista e autrice di libri sul mondo del food. >> Link: medium.com/@cibustalks

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Grande apprezzamento per il Prosciutto di Modena Dop al Winter Fancy Food di San Francisco C’era anche un po’ di Modena al Winter Fancy Food di San Francisco. Al più grande evento commerciale della West Coast dedicato alle specialità alimentari, sotto la bandiera “The Extraordinary ItalianTaste”, ha preso parte infatti anche il Consorzio del Prosciutto di Modena, in partnership con il Consorzio del Lambrusco di Modena, portando quindi in California due prodotti tipici del territorio modenese. La manifestazione, che si è svolta dal 21 al 23 gennaio, ha avuto un buon successo e il Prosciutto di Modena Dop, che è ad una delle sue prime presentazioni negli Stati Uniti, ha ottenuto un ottimo riscontro richiamando l’attenzione di numerosi buyer. «I risultati sono molto soddisfacenti e rappresentano la conferma che gli Stati Uniti potranno diventare un mercato molto importante per il Prosciutto di Modena» ha dichiarato Giorgia Vitali, vicepresidente del Consorzio del Prosciutto di Modena e titolare dell’omonimo prosciuttificio. Non si arresta dunque la corsa del Consorzio del Prosciutto di Modena alla conquista di nuovi mercati. Infatti già nell’autunno 2017 aveva preso parte a Polagra Food prima e ad Anuga poi e il nuovo anno è subito cominciato con una trasferta oltreoceano. Occasioni imperdibili per sviluppare nuovi contatti ed espandere la conoscenza di un prodotto unico e di eccezionale qualità. >> Link: www.consorzioprosciuttomodena.it

Aria di Festa: dal 22 al 25 giugno torna lo storico appuntamento a San Daniele del Friuli che celebra il prosciutto Venerdì 22 giugno il Consorzio del Prosciutto di San Daniele darà il via all’edizione 2018 di Aria di Festa, celebre manifestazione che da oltre trent’anni si tiene nella cittadina di San Daniele del Friuli e che ha come protagonista indiscusso proprio il Prosciutto di San Daniele Dop. Appuntamento alle ore 19:00 con l’inaugurazione in piazza e il taglio della prima fetta, per proseguire durante tutto il week-end con eventi culturali, lezioni di cucina, degustazioni e attività per conoscere il territorio. Nei quattro giorni di kermesse, i ristoranti, i locali e i prosciuttifici aperti ai visitatori trasformano la cittadina friulana in un percorso enogastronomico alla scoperta del San Daniele Dop, con l’intento di far vivere in prima persona il profondo legame tra il salume e il territorio in cui viene prodotto. In programma, inoltre, corsi con maestri di cucina che illustreranno come utilizzare il Prosciutto di San Daniele per realizzare piatti raffinati e ricchi di gusto; immancabili anche gli appuntamenti con le degustazioni per imparare ad apprezzare al meglio il prodotto, come riconoscerlo, affettarlo e conservarlo. Le vie del piccolo centro saranno animate da caratteristici stand gastronomici che offriranno ai visitatori assaggi di San Daniele Dop in combinazione con altri prodotti tipici del territorio e in abbinamento a vini e birre. Ad anticipare la manifestazione friulana, dopo il successo della scorsa edizione, torna “Aria di San Daniele”, versione itinerante della manifestazione, che da maggio a dicembre porterà il Prosciutto di San Daniele Dop in selezionati locali delle principali città e più frequentate località turistiche italiane, con un calendario di oltre 50 appuntamenti. Partenza a maggio da Milano e poi a seguire Verona, Firenze, Torino, Bari e Napoli. Tutti gli aggiornamenti sul calendario delle tappe del tour, disponibili sul sito della manifestazione. >> Link www.ariadisandaniele.it – www.prosciuttosandaniele.it

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


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SIAL: da oltre 50 anni Parigi ispira il food business Si avvicina a grandi passi l’appuntamento col Salone Internazionale dell’Alimentazione di Parigi. Dal 21 al 25 ottobre SIAL Paris offrirà una visione a 360° del business alimentare di oggi e di domani. La presentazione alla stampa a FICO Eataly World di Gaia Borghi

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l Salone Internazionale dell’Alimentazione sceglie Bologna per presentare alla stampa l’edizione numero ventotto, che si svolgerà

a Paris Nord Villepinte dal 21 al 25 ottobre prossimi. E, più in particolare, sceglie la sala congressi di FICO Eataly World, che dalla sua apertura avvenuta

a novembre ha già incontrato il favore di tanti enti, associazioni, industrie, aziende, buyer legati al mondo del food che hanno deciso di organizzare

SIAL Paris si svolgerà dal 21 al 25 ottobre a Paris Nord Villepinte. Una posizione di primo piano avranno come di consueto i settori che presentano i prodotti emergenti e le start-up che propongono l’alimentazione di domani.

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Venire a SIAL Paris significa scoprire opportunità di crescita e decodificare le nuove tendenze, approfittando di un formidabile trampolino per raggiungere i propri ambiziosi obiettivi

Al salone parigino edizione 2018 l’Italia si conferma seconda per numero di espositori con oltre 800 aziende (photo © Dominique Fradin 2016). proprio qui convention, meeting, appuntamenti d’affari. «Il SIAL per noi è un punto di riferimento, perché riporta l’attenzione della business community mondiale del food & beverage su una parte del globo dove cibo fa rima con alti livelli di qualità, sicurezza alimentare e innovazione a livello industriale» ha dichiarato l’amministratore delegato di Eatalyworld TIZIANA PRIMORI, che ha fatto gli onori di casa trasformandosi per un giorno in cicerone d’eccezione di un breve tour guidato alla scoperta del parco. «Qualità, sicurezza e innovazione sono concetti che ci sono molto cari e

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ispirano anche le nostre attività a FICO» ha proseguito la Primori, sottolineando la forte presenza a Bologna di professionisti della GDO e della ristorazione italiana e straniera in questi primi mesi di apertura. Occhi puntati su Parigi capitale dell’alimentazione «Tra pochi mesi tutti gli sguardi dell’industria alimentare saranno puntati su Parigi» ha ricordato NICOLAS TRENTESAUX, direttore della rete SIAL. «Non dimentichiamoci che quella alimentare è una delle industrie più dinamiche nella

maggior parte dei Paesi del G20. E il SIAL, edizione dopo edizione, è diventato senza tema di smentita il luogo d’ispirazione e d’incontro irrinunciabile per l’industria agroalimentare, il luogo in cui viene presentata l’alimentazione di oggi e dove si inventa quella di domani». Prova ne è il fatto che, a sette mesi dall’apertura, circa il 90% della superficie del salone risulta prenotata e oltre 80 Paesi hanno confermato la loro presenza. «Abbiamo tante ragioni per essere ottimisti riguardo la crescita del mercato agroalimentare nei prossimi vent’anni» puntualizza il direttore di SIAL Group. Le cifre relative all’incremento demografico e all’aumento della classe media, con conseguente crescita del potere di acquisto di una grossa fetta di consumatori desiderosi di diversificare la propria alimentazione, fanno sì che il centro dello sviluppo delle nuove tendenze dell’industria alimentare si sposti verso Oriente, Cina e Paesi del Sud-est asiatico in primis e quindi verso l’India e l’Africa. E nei cinque giorni di fiera gli espositori avranno l’opportunità di presentare i propri prodotti a visitatori professionisti provenienti da tutto il mondo: nel 2016 erano stati 160.000, provenienti da 194 Paesi. «In base alla loro preferenza, alle loro aspettative e necessità, questi ultimi potranno esplorare il salone per settore o provenienza dei prodotti. Un’offerta che solo SIAL Paris propone» ha proseguito Trentesaux. «Venire a SIAL Paris significa insomma scoprire opportunità di crescita e decodificare le nuove tendenze; significa approfittare di un formidabile trampolino per raggiungere obiettivi

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ambiziosi. Una piattaforma unica sempre in crescita che consente di testare nuovi mercati, lanciare nuovi prodotti e incontrare i principali operatori del settore per discutere sulle sfide del futuro. Ed è anche un vero e proprio laboratorio: gli uffici R&S di tutto il mondo finalizzano le proprie innovazioni per poterle testare nelle corsie del salone: oltre 2.500 innovazioni saranno presentate in anteprima mondiale nel corso di SIAL Innovation». Italia protagonista L’Italia è un Paese importantissimo per il SIAL, secondo solo alla Francia come numero di espositori. «Riconosco ed ammiro il dinamismo dell’industria alimentare italiana e la sua capacità di penetrare con facilità i mercati esteri conquistandone la fascia della cosiddetta “quotidianità”» ha detto parlando del nostro Paese Trenteseaux. «Ad oggi contiamo sul 30% in più di iscrizioni di aziende italiane rispetto allo stesso periodo del 2016 e sulla presenza confermata di 13 regioni. Direi che le premesse per raggiungere ottimi risultati anche per quest’anno quindi ci siano tutte». 2018: le novità Forte del successo dell’iniziativa lanciata nel 2016, SIAL continuerà a promuovere i prodotti che riflettono i trend emergenti dedicando loro appositi spazi. All’interno della nuova area dedicata all’Alternative Food saranno raggruppati i prodotti biologici, i prodotti “sani” (la salute insieme al piacere si conferma uno dei motori di ricerca e scelta di acquisto dei prodotti alimentari), ecoresponsabili, sostenibili. Sempre qui troveranno posto anche tavole rotonde, conferenze e la proposta di visite guidate. E ancora, bevande in primo piano, prodotti made in France raggruppati sotto un’unica insegna, una zona tech per consentire alle microimprese e alle PMI di presentare le proprie tecnologie ed attrezzature e uno spazio dedicato a startup europee, studi mondiali e spazi esperienziali. Per finire, la cucina stellata sarà rappresentata in fiera dallo chef Yannick Alléno, padrino di questa edizione, che parteciperà al comitato di selezione dei premi assegnati da SIAL Innovation e creerà il proprio itinerario attraverso il salone sul tema “ristorazione”. Gaia Borghi

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Aceto Balsamico di Modena Acetaia Leonardi che da sempre coltiva le proprie vigne scegliendo metodi naturali, presenta una nuova gamma per rispondere alla domanda sempre crescente di prodotti certificati biologici. Nasce così LEONARDI BIO, una famiglia completa di prodotti rivolta ai mercati specializzati che garantiscono al consumatore un metodo di coltivazione che consenta di trattare terreni e vigneti senza l’uso di pesticidi chimici, concimi sintetici e senza organismi geneticamente modificati, garantendone così la massima qualità e sicurezza.

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International Excellence: il meglio dal mondo affianca il made in Italy a Tuttofood Il percorso verso la Milano World Food Exhibition sarà scandito da un calendario di eventi tra i quali spicca Milano Food City

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ome passare in pochi minuti dalle atmosfere bohémien del Boulevard du Fromage di una cittadina francese ai profumi del mare di una Plaza del Pescado iberica, o all’allegra convivialità di una Bierstraße mitteleuropea? E, naturalmente, all’unicità dei sapori italiani nella Via della Pasta? Basta visitare la prossima edizione di Tuttofood, in programma a Fieramilano dal 6 al 9 maggio 2019, dove debutterà International Excellence: un progetto che incrementa il livello della rappresentatività internazionale attraverso una selezione di prodotti agroalimentari dall’Europa e dal mondo grazie ad un Paese ospite per ciascun settore, facendoli dialogare col meglio del made in Italy agroalimentare di cui Tuttofood è appuntamento di riferimento. Una delle grandi novità di Tuttofood 2019 sarà infatti un layout espositivo totalmente rinnovato, nel quale il confine tra espositori italiani ed esteri verrà superato in favore di una compresenza nei diversi settori merceologici, per una crescita condivisa all’insegna della qualità. Un focus particolare sarà quindi rivolto all’autenticità e alla protezione dei marchi e delle denominazioni di origine, di cui sono ricche tanto la tradizione enogastronomica italiana quanto quelle dei Paesi ospiti. Nel dettaglio, il concetto, sviluppato attraverso aree espositive appositamente progettate per rendere protagonista la cultura agroalimentare del Paese, insieme con la categoria di prodotti che più lo caratterizza, prevede le aree:

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• La Via della Pasta (in collaborazione con Pasta Italia-Aidepi, Italia); • Boulevard du Fromage (Formaggi; Francia); • Plaza del Pescado (Ittico; Spagna); • Fresh Produce Route (Frutta e verdura; USA) • Bierstraße (Birra; Germania) • Place de la Chocolaterie (Cioccolato; Belgio) • Meat District (Carne; UK e Paesi del Commonwealth) • Tea Square (Tea; Mondo) In parallelo, sono previste attività per incrementare la presenza in manifestazione di buyer italiani e internazionali e di operatori professionali provenienti dai principali Paesi e dai mercati più dinamici. Per far conoscere e condividere il progetto sarà inoltre attuato un capillare piano di comunicazione internazionale. International Excellence consolida così il processo di crescente internazionalizzazione che Tuttofood sta vivendo ad ogni edizione, testimoniato dai numeri del 2017: 80.146 i visitatori professionali certificati (+2,5%), il 23% esteri da 141 Paesi, dei quali il 45% extraeuropei, che insieme con i 3.150 buyer profilati hanno incontrato in oltre 30.000 appuntamenti prefissati 2.850 espositori. Tutto il meglio del food in città Il percorso verso Tuttofood 2019 sarà scandito da un calendario di workshop ed eventi tra i quali spicca Milano Food City: il palinsesto di appuntamenti dove gli espositori di Tuttofood portano il meglio dei loro prodotti direttamente

in città nell’ambito della settimana del cibo di qualità che coinvolge la città di Milano con una miriade di eventi diffusi. Grazie al loro know-how specifico, Fiera Milano e Tuttofood sono stati individuati dalle istituzioni coinvolte (Comune di Milano, Regione Lombardia e CONFCOMMERCIO MILANO) come partner ideali per fare da aggregatori e registi di Milano Food City che, dopo il successo della prima edizione — lanciata lo scorso maggio proprio in occasione di Tuttofood 2017 — ritornerà ad animare la metropoli lombarda dal 7 al 13 maggio. A rafforzare sempre più il ruolo di hub dell’agroalimentare in tutte le sue declinazioni, si consolida inoltre la partnership di Tuttofood con Seeds & Chips: il Global Food Innovation Summit, focalizzato su temi quali l’impatto delle tecnologie sulle filiere, la sicurezza alimentare e la salute, i social network e le evoluzioni dell’esperienzialità, nel 2018 si terrà a Fieramilanocity dal 7 al 10 maggio, mentre nel 2019 tornerà a essere inserito nel contesto della manifestazione. Agenda alla mano: le date Tuttofood vi aspetta a Milano Food City dal 7 al 13 maggio prossimi e a fieramilano dal 6 al 9 maggio 2019.

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La vera Fontina Dop nasce solo in Val d’Aosta di Massimiliano Rella

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rodotta con latte di bovine valdostane Pezzata rossa e nera, alimentate in prevalenza con foraggio fresco degli alpeggi estivi e fieno locale il resto dell’anno, la fontina è un formaggio semiduro, grasso, a pasta semicotta,

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ottenuto dal latte di due mungiture, al mattino e a sera. È stato calcolato che a 1 chilogrammo di questo formaggio corrisponda il latte (100 litri) di 10 mucche. La produzione è controllata dal Consorzio Produttori Fontina e dalla Cooperativa Produttori Latte e Fontina.

Tra questi, abbiamo visitato l’azienda agricola e caseificio della famiglia QUINSON (LORENZO, la moglie EMANUELA e i figli DIDIER e ANDRÉ) con alpeggio in valle, sotto il passo del Piccolo San Bernardo, località Barmettes, a 2.000 metri nel comune di La Thuile, in un

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ambiente montano incontaminato, a 20 minuti a piedi dal confine francese. L’azienda “invernale” della famiglia Quinson, con i campi per la coltivazione di fieno e foraggi, si trova invece a Morgex (frazione La Ruine, telefono: 338 7288678 – 338 3600236).

A sinistra: vacche Pezzate rosse e nere valdostane dell’azienda agricola Quinson al ritorno dal pascolo in alpeggio a La Thuile. In alto: Lorenzo Quinson con la moglie Emanuela e i figli Didier e Andrè. In basso: degustazione di formaggi dell’azienda agricola Quinson con la Fontina Dop protagonista.

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Spazzolatura della Fontina Dop nel Magazzino Cooperativo dei Produttori di Fontina Pré Saint Didier, Aosta, vicino a Courmayeur. L’allevamento conta 150 vacche Pezzate rosse o nere valdostane, portate in alpeggio a giugno e riportate a fondovalle a fine settembre. Pascolando libere — e felici — si cibano di fiori ed erbe di montagna, con una piccola integrazione di fieni autoprodotti, che abbondano invece nel cibo dell’inverno. L’alimentazione d‘alpeggio è ricca di

proteine e influisce sul sapore del latte e del formaggio, rendendolo più gustoso e dalle sfumature erbacee. I Quinson producono principalmente Fontina DOP, dal sapore dolce, intenso, con sentori d’erba fresca quella d’alpeggio, più delicato e tendente al profumo di fieno quella invernale. Il colore è giallo paglierino, ma più carico se stagionato, e la

In un affresco del castello di Issogne, dimora feudale della bassa Valle d’Aosta, si trova la più antica testimonianza visiva dell’esistenza della fontina: nella pittura, risalente alla fine del XV sec., è rappresentata una bottega sul cui banco si nota una pila di formaggi praticamente uguali alla fontina prodotta ancora oggi

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pasta elastica con leggera occhiatura, di dimensioni variabili. La lavorazione a latte crudo, senza trattamento termico, si svolge due volte al giorno, al rientro degli animali in stalla subito dopo la mungitura, aggiungendo caglio animale e fermenti lattici selezionati direttamente in caldaia, mentre il latte scalda a 35-36 °C. Dopo la coagulazione e la rottura della cagliata — fino a ottenere dei “chicchi” di caseina —, si alza la temperatura della caldaia a 47-48 °C per circa un’ora. A fine cottura la pasta riposa sul fondo per 15-20 minuti prima di essere estratta con teli di cotone e messa in forma dentro fascere sotto pressa. Le forme, marchiate con numero progressivo e codice identificativo, sono girate 5-6 volte in 12 ore. A questo punto, tonde e schiacciate, vanno in cantina per la stagionatura: un mese sotto sale, spazzolate a giorni alterni per almeno tre mesi. La produzione del caseificio in alpeggio ammonta a 1.500 forme di Fontina DOP, più quella invernale. Un’altra interessante realtà è la Cooperativa Produttori Latte e Fontina Valle d’Aosta (www.fontina-valledaosta. it), che gestisce il Magazzino Cooperativo dei Produttori di Fontina, vicino a Courmayeur. Nata nel 1957 con l’obiettivo di raccogliere, stagionare e commercializzare il prodotto agricolo per eccellenza della Val d’Aosta, negli anni ha visto crescere i suoi numeri: i soci fondatori furono 46, oggi si contano 200 aziende private, caseifici cooperativi, latterie e alpeggi; mentre le forme conferite dai soci nel 1958, primo anno d’attività, furono meno di 40.000, oggi sono arrivate a 300.000. Il fatturato attuale è di 20 milioni di euro. La cooperativa, che tratta oltre il 65% della fontina prodotta in Val d’Aosta, commercializza il prodotto in prevalenza sul territorio nazionale e in particolare in Nord Italia, che costituisce l’80% del volume d’affari complessivo; seguono il Centro (8%) e il Sud, che, con le Isole, rappresenta il 2% del fatturato. I mercati esteri più importanti, che complessivamente costituiscono il 10% dei volumi di vendita, sono gli Stati Uniti, la Germania, la Svizzera, la Francia, il Belgio e la Gran Bretagna Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella.

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Formaggi a denominazione tra problemi e straordinarie opportunità I principali attori delle più importanti filiere del caseario in Italia si sono incontrati ad Alghero per discutere del futuro dei formaggi Dop nei mercati mondiali e per riflettere sul ruolo dei Consorzi di tutela. Ragguardevoli i numeri, brillanti le prospettive di Sebastiano Corona

Il Pecorino Romano Dop, sia in ambito nazionale che comunitario, è il formaggio ovino che vanta i maggiori numeri come produzione e come valore generato, rappresentando da solo l’85% della produzione dei formaggi di pecora a denominazione italiani e il 52% di quelli europei. Seguono il Roquefort, con il 28%, e il Queso Manchego, con il 20% (photo © www.sardegnadigitallibrary.it).

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C’è ancora moltissimo spazio per le produzioni italiane, ha sentenziato Angelo Rossi, della società di consulenza Clal. Trend di consumo in aumento si registrano a Taiwan, in Messico, in Corea del Sud. E anche Europa e USA sono mercati tutt’altro che saturi

Oggi la conoscenza dei mercati e delle tendenze di consumo è indispensabile, ha detto Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano, ma occorre anche conoscere bene il proprio sistema interno e i propri numeri. Solo così i Consorzi che vogliono avere un ruolo decisivo nel mondo economico possono prevedere e anticipare i tempi

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e l’aveva già detto a chiare lettere la Fondazione IsmeaQualivita nel suo Rapporto annuale del 2017 che nel mondo delle denominazioni in Italia i formaggi sono la principale categoria in termini di volume d’affari, con un valore alla produzione che supera i 3,7 miliardi di euro e con un’incidenza del 57% sul totale del comparto food. Quei numeri, che erano già ragguardevoli nel 2015, hanno continuato ad aumentare l’anno successivo. La quantità certificata è cresciuta del 2,9%, per oltre 517.000 tonnellate di prodotto e con incrementi più che proporzionali in termini di valore alla produzione (+3,1%) e al consumo (+3,8%). La quantità esportata, pari al 34% della produzione certificata complessiva, anche in questo caso mostra risultati che superano quelli già eccellenti del 2015: con quasi 1,65 miliardi di euro, l’export cresce del 3,3% e rappresenta oggi il 49% del totale delle esportazioni del comparto food in Italia. Le principali denominazioni (Grana Padano DOP, Parmigiano Reggiano DOP, Mozzarella di Bufala Campana DOP, Gorgonzola DOP) rappresentano, da sole, oltre l’80% della produzione della categoria, circa l’82% del valore (produzione e consumo) e oltre l’86% del valore all’export dei formaggi a denominazione. I primi dieci prodotti, invece, rappresentano la quasi totalità della categoria in termini di volume e di valore (96%). Fanno registrare trend particolarmente positivi, a livello di produzione certificata e valore al consumo, la Mozzarella di Bufala Campana DOP (+8%), il Pecorino Romano DOP (+18% e +25%), il Pecorino Toscano DOP (+32% e +10%) e il Provolone Valpadana DOP (+12% e +9%). Sul fronte export, buoni risultati per le quattro grandi filiere della categoria Grana Padano DOP (+4%), Parmigiano Reggiano DOP (+9%), Mozzarella di Bufala Campana DOP (+11%), Gorgonzola DOP (+7%). La Valle Padana, la Campania e la Sardegna sono le aree territoriali che vantano il maggiore impatto delle filiere casearie certificate DOP e IGP in Italia. Numeri che hanno aperto la discussione tenutasi nelle scorse settimane nella magnifica cornice delle Cantine Sella & Mosca di Alghero, tra i Consorzi di tutela del Parmigiano Reggiano,

del Pecorino Romano e del Consejo Regulador Queso Manchego DOP. Il tema era: Quale ruolo dei formaggi DOP nel mercato mondiale? L’occasione è stata propizia per parlare anche di altri pecorini che il nostro Paese vanta, non ultimi quelli siciliani, i toscani e i sardi, come il Pecorino Sardo DOP e il Fiore Sardo DOP. Ma la testimonianza dei colleghi spagnoli e i dati sul Roquefort francese hanno consentito di avere una visione allargata anche sull’impatto delle denominazioni in altre regioni europee. L’incontro, fortemente voluto nell’Isola, non è stato dunque casuale: il Pecorino Romano, sia in ambito nazionale che comunitario, è il formaggio ovino che vanta i maggiori numeri come produzione e come valore generato, rappresentando da solo l’85% della produzione dei formaggi di pecora a denominazione italiani e il 52% di quelli europei. Seguono il Roquefort, con il 28%, e il Queso Manchego, con il 20%. Con orgoglio sono stati esposti i dati della filiera del Romano, che riguardano ben 11.236 aziende zootecniche, circa 25.000 addetti complessivi (tra le attività agricole, della trasformazione e della produzione di beni e servizi, collegate alle prime due) e 41 caseifici produttori, di cui 34 associati al Consorzio. Il valore alla produzione, nel 2016, è stato di 250 milioni, con un valore generato nel commercio di 484 milioni di euro. Il Pecorino Romano DOP rappresenta in Sardegna la principale voce di esportazione di beni e valori, al netto dei prodotti petroliferi. L’export rappresenta la voce principale nella composizione del suo valore commerciale, con il 70% del totale. E, nonostante le ataviche difficoltà a solcare il mare, la principale area di destinazione è quella degli Stati Uniti, con il 63% del prodotto. Mentre il rimanente è distribuito tra il mercato europeo, Italia compresa, e altri Paesi, con prevalenza di Giappone, Canada e Australia. Queste cifre ragguardevoli sono presto giustificate, considerato che, seppure in flessione e in profonda crisi, il tessuto agropastorale isolano è il primo in Italia per numero di ovini da latte, con 3.158.000 capi (44% del totale del Paese) e 2.908.749 quintali di latte raccolto. In questa classifica la Sardegna stacca di gran lunga la

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Il Parmigiano Reggiano, prima Dop al mondo, con un volume d’affari di 1,6 miliardi di euro e consumi per 2,6 miliardi, rappresenta oggi una best practice, non solo per il mondo dei formaggi, ma anche per gli altri prodotti del food a denominazione (photo © Javier Somoza – stock.adobe.com). seconda regione, la Sicilia, che registra invece 878.000 capi, il 12% del totale nazionale. Tra i formaggi DOP ovini in Italia, il Pecorino Romano, con 356.324 quintali, esita la produzione maggiore (85,45%), seguita dal Pecorino Toscano con 36.500 quintali (8,7%), dal Pecorino Sardo con 16.000 quintali (3,84%) e dal Fiore Sardo con 7.595 quintali (1,82%). I fatti di cui essere orgogliosi però non finiscono qui. Nell’anno 2014, con 57.595 tonnellate di prodotto, l’Italia si posizionava al quinto posto al mondo per produzione di formaggio ovino. Davanti solo la Grecia (125.000 t), la Cina (108.000 t), la Spagna (65.544 t) e la Siria (60.500 t). Per quanto riguarda invece i Paesi produttori di formaggio in Europa, nel 2016 l’Italia è al primo posto con il 32,5%, seguita dalla Spagna col 30% e dalla Francia con il 28,3%. Eppure ci sono ancora enormi potenzialità inespresse. Il futuro è nei formaggi «C’è ancora moltissimo spazio per le produzioni italiane nei mercati mondiali, i numeri parlano chiaro», ha sentenziato

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ad Alghero ANGELO ROSSI, fondatore del CLAL, principale società di consulenza del comparto lattiero-caseario nazionale. «Tra i Paesi che mostrano un trend di consumo in aumento ci sono Taiwan, il Messico, la Corea del Sud. Ma anche mercati che si pensa essere saturi, come l’Europa e gli Stati Uniti», sostiene Rossi. Il contributo alla discussione del direttore del Consejo Regulador Queso Manchego DOP ha posto in evidenza gli importanti numeri della filiera, che dal 1990 al 2016 ha registrato un trend di crescita ragguardevole, passando da poco più di due milioni di chili prodotti all’anno a quasi 16 milioni, con un incremento delle vendite nei mercati esteri via via sempre maggiore e oggi di gran lunga superiore a quella del mercato interno. Anche qui, però, i problemi sono diversi e alcuni di questi, come accade anche in altre realtà, sono interni allo stesso consorzio. Restano poi le situazioni — e sono tante — delle contraffazioni, dei prodotti similari che generano confusione nel consumatore, di una normativa che ancora consente spiragli a chi, parassitariamente, utilizza

i nomi dei prodotti a denominazione, per commercializzarne altri privi di riconoscimento e di qualità nettamente inferiore. Molti problemi sono dunque comuni alle diverse filiere, per questo è utile osservare ciò che succede in casa d’altri e possibilmente seguire l’esempio di chi ha tanto da insegnare. Il Parmigiano Reggiano, prima DOP al mondo, con un volume d’affari di 1,6 miliardi di euro e consumi per 2,6 miliardi, rappresenta oggi una best practice non solo per il mondo dei formaggi, ma anche per gli altri prodotti del food a denominazione. «I Consorzi hanno un ruolo che va oltre la tutela e la vigilanza», ha detto ad Alghero NICOLA BERTINELLI, presidente del Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano. «Sono le regole l’elemento che porta all’eccellenza. E devono valere tra i soci, prima che nel mondo esterno al Consorzio. Se non fossimo rigidi, non avremmo un prodotto di qualità. Ma per essere forti, non possiamo che essere trasparenti. È la trasparenza a darci l’autorevolezza e la fermezza necessaria a sostenere le nostre scelte. Quello che serve in questo momento

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storico è un’approfondita conoscenza dei mercati e delle tendenze di consumo, ma occorre anche conoscere bene il proprio sistema interno e i propri numeri. I Consorzi che vogliono avere un ruolo decisivo nel mondo economico possono, con questi elementi, prevedere e anticipare i tempi, cosa oggi indispensabile per stare nel mercato». Questo è quello che i sardi hanno in animo di fare. Ma in parallelo vogliono lavorare ad una rete tra consorzi che abbiano le stesse caratteristiche e similitudini di prodotto. «I tempi sono maturi — ha dichiarato SALVATORE PALITTA, presidente del Consorzio del Pecorino Romano DOP — perché venga aperto un tavolo di filiera nazionale ed europeo del settore ovino. Il sistema delle DOP del settore deve assumersi la responsabilità che l’enorme peso economico delle proprie produzioni comporta. Responsabilità significa anche tracciare una linea, indicare una strada, porsi davvero alla guida della filiera. È necessaria una programmazione univoca, nella quale devono essere consolidati e reciprocamente riconosciuti i ruoli istituzionali dei produttori. Il tavolo nazionale ovino rappresenta uno degli strumenti utili e la sua attuazione non è più rinviabile». Il Ministero c’è Ci sono cose che non dipendono dai Consorzi, ma dalle istituzioni nazionali e comunitarie. «Bisogna continuare a rafforzare progetti di difesa del marchio, tutela legale nazionale e internazionale e il corretto uso dei canali di commercializzazione. Vogliamo che le DOP facciano sistema per la loro salvaguardia dalle evocazioni, imitazioni e contraffazioni», ha aggiunto Palitta, rivolgendosi al ministro MARTINA (oggi dimissionario, Ndr). La risposta è giunta al simposio, in video-messaggio. «Il Ministero c’è e intende garantire strumenti adeguati per tutelare prodotti e produttori», ha detto Martina. «C’è un enorme potenziale inespresso nella filiera ovina. È quello che dobbiamo enfatizzare e su quello dobbiamo lavorare, partendo dall’organizzazione della produzione, sviluppando strumenti per tutelare il reddito degli operatori, collocando al meglio la forza qualitativa nei mercati nazionali e internazionali». E noi staremo a vedere quali saranno gli sviluppi. Sebastiano Corona

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“La bottega è la nostra missione” – Sono queste le parole che racchiudono in sintesi la filosofia e lo spirito che animano le attività di “Vecchia Malga”, storica azienda nata nel 1969, che con la sua presenza sul territorio bolognese è diventata un vero e proprio punto di riferimento per l’attenta selezione delle materie prime, dei prodotti di qualità e per la peculiarità dei suoi negozi, unici nel loro genere. “La bottega per noi è un palcoscenico” – Basati sulla filosofia che “un buon prodotto lo si gusta mangiandolo ma prima lo si assaggia con gli occhi, i punti vendita del brand portano il prodotto in primo piano, valorizzandone quelle caratteristiche e qualità che lo rendono un’eccellenza gastronomica del territorio. Una sorta di palcoscenico, dove ogni elemento che vi compare, e ne è un componente essenziale, è un personaggio, col suo carattere, la sua precisa identità. E percorrendo questo palcoscenico, unendo i personaggi, possiamo vivere una straordinaria e coinvolgente esperienza, una sorta di viaggio visivo, olfattivo e gustativo unico. “Il commercio è conoscenza consapevole dell’autenticità dei prodotti” – Perfette guide di questo viaggio, i membri dello staff “Vecchia Malga” accompagnano il cliente in un percorso di storia, tradizione e valori di una volta che culmina con la degustazione delle eccellenze presenti nel punto vendita. Il commercio cessa di essere così una pratica e diviene conoscenza, del territorio, della qualità del prodotto, degli uomini e delle donne che quel prodotto lo lavorano, lo trasformano e, infine, lo consumano. “La bottega sarà anche on-line da metà gennaio 2018” – “Vecchia Malga” è diventata parte integrante dell’economia bolognese grazie anche all’ubicazione in zone strategiche della città quali il centro storico e l’Aeroporto Marconi, punto nevralgico da cui partire per far conoscere le eccellenze enogastronomiche locali in tutto il mondo. E da oggi è anche on-line, con il nuovo progetto di e-commerce: www.vecchiamalganegozi.com

Vecchia Malga Negozi Srl Via Roma, 55/A - 40069 Zola Predosa (BO) Tel: 051/6166687 - Fax: 051/6166686 info@vecchiamalganegozi.it - www.vecchiamalganegozi.com Zola 051/6166740 Via Roma, 55/A Zola Predosa (BO) La Baita 051/223940 Via Pescherie vecchie, 3A Bologna Mazzini 051/346508 Via Mazzini, 93 Bologna Negozio Aeroporto 051/6472198 Gastronomia - Aeroporto G. Marconi piano terra Pizzeria Vecchia Malga 051/6472196 Verace Pizza Napoletana - Aeroporto G. Marconi piano terra Vecchia Bologna 051/6472208 Ristorante/negozio/wine bar - Aeroporto G. Marconi sala imbarchi Bar Vecchia Malga 051/6472168 Bar - Aeroporto G. Marconi sala imbarchi Gastronomia Italiana 051/0060962 negozio - Aeroporto G. Marconi extra Schengen


VINO Un fenomeno presente nei locali più “in” di tutta Europa

Il ritorno del vermut di Riccardo Lagorio

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ppena si entra in una delle zone alla moda di qualsiasi città europea, quelle più hipster e di movida, ci si rende conto del fenomeno che, passo dopo passo, sta caratterizzando questo scorcio di decennio: il vermut è tornato prepotentemente alla ribalta nei locali in. Questo vino ottenuto macerando erbe, radici e fiori, assai popolare qualche anno addietro, è di nuovo tra noi. E

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questa volta pare abbia voluto occupare i piani alti della società. Ovviamente la base e la combinazione di assenzio e di altre erbe o radici varia da un produttore all’altro; la costante è che viene servito come aperitivo, aggiungendovi altre bevande o ghiaccio. Poi come accompagnamento, a seconda della tradizione locale, si trovano frutta secca, sottaceti o molluschi. Con altrettanta certezza sarebbe ardito citare chi per primo lasciò

macerare erbe nel vino bianco, anche se le fonti storiche aggiudicano il primato a IPPOCRATE, il quale, 400 anni prima di Cristo, avrebbe creato un’infusione alla ricerca di un tonico medicinale a base di vegetali. Secondo le cronache, l’antico greco mise nel vino fiori d’assenzio e origano dittamo, considerata una pianta sacra e divinatoria, tanto che ancora per 18 secoli la bevanda sarebbe stata definita vino ippocratico.

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A sinistra: Reus, comune spagnolo situato nella comunità autonoma della Catalogna, è considerato la capitale contemporanea del vermut. In alto: botti di affinamento del vermut dell’azienda Padró di Bràfim, Catalogna.

Appartenente alla sfera delle pozioni tonificanti è il vino all’assenzio che APICIO racconta, caratterizzato dalla presenza di assenzio, resina di lentisco, erba di San Pietro e zafferano. Consuetudine che si ritrova in pieno Rinascimento nelle parole di ALESSIO PIEMONTESE. Ma, ancora, le preparazioni che suggerisce ai lettori del 1555 si possono catalogare piuttosto come balsami e colluttori per mantenere la

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persona sempre sana e vigorosa che bevande fonte di piacere. Nel Settecento SEBASTIAN HERRENLEBEN, nella Raccolta di leggi e ordini austriaci, prescrive infusi di vino bianco a base di assenzio per i dolori addominali e i mali di stomaco. Tuttavia, le cose stanno cambiando. Nello stesso periodo, infatti, COSIMO VILLIFRANCHI dà alle stampe Enologia toscana. Pur definendo il vermut un vino

stomatico o medicinale, il medico della corte fiorentina sostiene che lo fanno alcuni dei nostri, i quali di tale gusto lo fanno perfettissimo, prefigurando un certo interesse nei confronti dell’aspetto organolettico. E continua ribadendo che i vini per fare buoni vermut devono essere bianchi, naturalmente dolci, ma insieme generosi, o come si dice volgarmente di polso. Una svolta verso il carattere voluttuario della bevanda.

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questi interventi legislativi si è regolato il vermut come bevanda alcolica che contenga almeno il 75% di vino, un agente amaricante principale le piante di genere Artemisia (a cui appartiene l’assenzio), un grado alcolico tra i 14,5% e i 21%. Ne vengono inoltre stabilite cinque categorie: bianco, rosso, rosè, dry ed extra-dry. Le prime tre con un grado alcolico minimo di 14,5%, le ultime due di almeno 16% e un residuo zuccherino che da 130 grammi/litro scende ad un massimo di 50.

In alto: la linea di vermut della Vins Padró di Bràfim. In basso: il podere dell’azienda. Attiva dal 1886, ha iniziato a produrre vermut solo nel 2016. L’infusione mantiene tuttavia la prevalente presenza di piante officinali. Le più ricorrenti: assenzio, enula campana, centaurea. Nel frattempo il commercio delle spezie viene monopolizzato dai porti di Genova, Marsiglia e in minor misura Barcellona. Si costituiranno di conseguenza alcuni poli che potevano contare anche su buona disponibilità di materia base: Piemonte, Savoia, Penedès e colline di Tarragona.

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Martini e Carpano, Dolin e Lillet, Yzaguirre e Rofes sono solo alcuni dei marchi che per decenni hanno contribuito a far crescere il mito del vermut in Europa. Di pari passo i governi prendono atto del fenomeno. Nei decenni Venti e Trenta del secolo scorso Francia e Italia mettono a punto un’apposta legislazione che norma la produzione di vermut, mentre risale agli anni Novanta l’attenzione dell’Unione Europea al tema. In base a

Bentornato vermut Dopo anni di splendore il consumo di vermut ha risentito di una brusca diminuzione negli ultimi due decenni del Novecento e all’inizio dei Duemila. A riportare in auge questa bevanda alcolica hanno senz’altro contribuito gli sguardi sensuali e le sequenze callipigie che videro protagonista CHARLIZE THERON, ingaggiata per la campagna pubblicitaria di Martini a metà anni Novanta. Dove il vermut si è trasformato in espressione idiomatica è nella zona di Tarragona: farsi un vermut ha assunto il significato più generale di prendere un aperitivo. Questo modo di dire è talvolta utilizzato in tutta la regione catalana. In effetti Reus è la capitale contemporanea del vermut, tanto da trasformarsi in attrattore turistico al pari degli edifici di foggia modernista che compongono la cittadina (peraltro vi nacque ANTONI GAUDÍ). Una moda che ha dilagato in tutta la Spagna senza confini di età e di genere, che va dalla mescita alla spina alla bottiglia di design, dall’extra-dry al semidolce. A fine Ottocento Reus poteva contare su oltre 30 aziende produttrici di vermut e una cinquantina di etichette. Oggi proliferano numerose tipologie di vermut artigiani, elaborati grazie ad un’ampia varietà botanica (assenzio, santoreggia, cannella, scorza d’arancia, genziana, cardamomo, chiodi di garofano, salvia, anice stellato, coriandolo e noce moscata quelle più diffuse) e diverse modalità di elevazione, ma vi ha anche sede il Museo del vermut (Museu del Vermut de Reus, museudelvermut.com). Migliaia di oggetti esposti, memorabilia di varie provenienze raccolti dall’appassionato JOAN TÀPIES e la possibilità di provare gli oltre 120 vermut

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Dopo anni di splendore il consumo di vermut ha risentito di una brusca diminuzione negli ultimi due decenni del Novecento e all’inizio dei Duemila. A riportare in auge questa bevanda alcolica ha senz’altro contribuito la straordinaria bellezza di Charlize Theron, protagonista della campagna pubblicitaria di Martini a metà anni ‘90 Yzaguirre è un’impresa familiare che si dedica alla produzione del vermut nel villaggio di El Morell, tra Reus e Tarragona. Come avviene quotidianamente nelle più antiche tabernas spagnole, il consumo ideale di vermut Yzaguirre è in un bicchiere basso, con qualche cubo di ghiaccio, una scorzetta d’arancia e un’oliva. che stanno dietro il bancone. Nello stesso edificio, progettato dall’architetto PEDRO CASELLAS negli anni Venti e un tempo fabbrica di cappelli, al di fuori dell’orario dell’aperitivo, ci si può anche fermare a pranzo o a cena.

Dove il vermut si è trasformato in espressione idiomatica è nella zona di Tarragona: “farsi un vermut” ha assunto il significato di prendere un aperitivo. La cittadina catalana di Reus, invece, è la capitale contemporanea del vermut, divenuto attrattore turistico al pari degli edifici di foggia modernista che ne compongono l’impianto architettonico

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Vermut di Spagna La commercializzazione dei vermut spagnoli non è molto diffusa in Italia. Eccone alcuni che potrebbero interessare al nostro mercato. Clima Anni Venti si respira nella bottega ristorante Rofes (vermutsrofes.com) con i mobili e le bottiglie monouso che contenevano vermut. SALVADOR ROFES rappresenta la quarta generazione e di vermut ne prepara due tipologie. Quello di categoria superiore si imbottiglia a 18%, possiede colore bruno dovuto all’aggiunta di zucchero caramellato e 65 erbe: la doppia macerazione idroalcolica dura complessivamente quattro mesi, in botti di quercia e rilascia un retrogusto amarognolo con sentori di noce moscata e assenzio. Padró, che ha sede a Bràfim, Tarragona, è un’azienda che produce vino dal 1886 (www.vinspadro.com, vermouthpadro.com). Il primo vermut risale però a tempi assai recenti, 2016. La partenza avviene da uve Parellada,

Macabeu e Xarel·lo, che rimangono in infusione con erbe, radici e fiori per almeno due anni. Il Rosso amaro contiene anche buone note di genziana, il che lo rende adatto a un consumo per intenditori e ottimo come aperitivo: le impressioni tostate e amare producono immediato desiderio di cibo. Yzaguirre (vermutyzaguirre.com) è una casa fondata nel 1884. Il vermut Selezione che riporta in etichetta questa data è ottenuto macerando per oltre due mesi 80 varietà di erbe e invecchiandosi per tre anni in botti di rovere per stabilizzare aroma e colore. La bottiglia si caratterizza per gradevoli note amare finali. Iris Dorado è il vermut che esce per il marchio De Müller (demuller. es), storico produttore di vino che da qualche anno è passato nella mani della famiglia MARTORELL, nota per avere fornito vino da messa ai pontefici, da Pio X a Giovanni XXIII. Iris Dorado possiede colore bruno con riflessi ramati, profumo di spezie dove si distinguono perfettamente vaniglia e cannella con un’impronta di salvia, liquirizia e rosmarino. Intenso e caldo in bocca, rilascia sensazioni speziate di camomilla, menta e coriandolo. Riccardo Lagorio

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Pignoletto, la conquista che parte dai Colli Bolognesi di Laura Franchini

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on si arresta il successo del Pignoletto che dai Colli Bolognesi, faro della denominazione, conquista sempre più mercati, anche grazie a sapienti sinergie e strategie lungimiranti. Se l’Emilia-Romagna è infatti, senza ombra di dubbio, la regione più nota per le tradizioni culinarie, in Italia e nel mondo, è altrettanto vero, ora più che mai, che la richiesta e l’attenzione verso l’enologia del territorio è sempre più forte. Una tendenza ben marcata per il Pignoletto, che esce sempre più

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dai confini locali per guadagnarsi quote di mercato, con ottime progressioni di vendita a volume. I dati parlano chiaro: la vendita di Pignoletto DOC e Colli Bolognesi Pignoletto DOCG sugli scaffali dei supermercati è aumentata del 13%, per un volume totale di circa 33.000 ettolitri ed un valore della produzione stimato in circa 13 milioni di euro. Nelle campagne che si estendono tra Modena e Faenza nel corso del 2016 i quintali prodotti sono stati 155.000, con un aumento della superficie coltivata a Pignoletto di circa 200 ettari. Certo,

come per tutto il Paese, nel 2017 si è dovuto fare i conti con una riduzione di circa il 30% delle uve, ma le richieste, come le aspettative, si mantengono alte. «Il trend di crescita conferma ancora una volta il valore del prodotto e l’indispensabile sinergia tra le cantine dei Colli Bolognesi e i grandi produttori del Consorzio Pignoletto» dice GIACOMO SAVORINI, direttore sia del Consorzio Vini Colli Bolognesi che del Consorzio Pignoletto Emilia-Romagna, a tutela di qualità e condivisione di missioni e filosofie produttive. «Sono dati che ci

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confortano e ci spingono a proseguire il lavoro sulla strada intrapresa». E se il Consorzio Pignoletto può contare su numeri importanti, con i 12 milioni di bottiglie di Pignoletto — per il 95% frizzante e spumante — prodotti ogni anno, è la produzione artigianale dei vignaioli delle colline che circondano Bologna a fungere da traino ad un riconoscimento del Pignoletto su scala nazionale ed internazionale. I gusti degli Italiani oggi si orientano sempre più verso i bianchi frizzanti, con una decisa e rinnovata attenzione

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In alto: con diverse altitudini, terreni e microclimi estremamente variegati, quella dei Colli Bolognesi è una terra vocata alla produzione di vini di qualità, dai grandi rossi al Pignoletto. Al centro e in basso: proprio il Pignoletto è un vino che sta conoscendo un successo internazionale e i dati Iri sulla vendita nella Grande Distribuzione Organizzata nel 2016 hanno visto il Pignoletto registrare un balzo in avanti del 13%.

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Nell’area collinare attorno a Bologna, in cui la coltura di quest’uva è più antica, nel 2011 il Pignoletto classico ha ottenuto la certificazione Docg. Qui, l’inseguirsi di paesaggi e climi esaltano in maniera particolare le caratteristiche organolettiche di questo bianco fresco e profumato dal finale amarognolo Il 96% dei produttori Doc e Docg dei Colli Bolognesi sono uniti per la tutela di un territorio unico e la promozione di vini tipici di grande qualità. alla qualità e all’acquisto di vini a denominazione d’origine. Un risultato ancor più positivo se confrontato con la generale contrazione dei consumi familiari, che conforta i produttori di Pignoletto DOC, riuniti nel Consorzio Pignoletto Emilia-Romagna, e della Colli Bolognesi Pignoletto DOCG, riuniti nel Consorzio Vini Colli Bolognesi, al vertice della piramide qualitativa. Sul fronte nazionale, la sinergia creatasi tra i vari protagonisti della filiera vino si è rivelata vincente: da un parte il deciso incremento del turismo nella zona di Bologna che ha visto un rinnovato impegno di ristoratori ed enotecari nella promozione del vino del territorio, così come una intensa e nuova richiesta da parte di un consumatore,

anche giovane, sempre più attento. I dati riguardanti le performances estere non sono da meno, a partire della Gran Bretagna: a ridosso delle festività le bottiglie di Pignoletto sono andate esaurite da Waitrose, blasonata insegna della Grande Distribuzione del Regno Unito, risultati oltre le aspettative anche da Sainsbury’s e inserimento del Pignoletto nella carta dei vini della catena di ristoranti italiani Carluccio’s. «Sono notizie che ovviamente ci fanno molto piacere» commenta FRANCESCO CAVAZZA ISOLANI, presidente dei due Consorzi. «Gli Inglesi, d’altronde, sono grandi amanti di spumanti e vini frizzanti italiani. Continuano a cercare le bollicine del nostro Paese e desiderano sperimentare qualcosa di diverso come il nostro Pi-

gnoletto. Interesse dimostrato anche nel corso degli educational per la stampa effettuati sul territorio e dimostrato da diversi articoli e approfondimenti sul Pignoletto, in Italia e all’estero». Sempre grazie a strategie e politiche lungimiranti abbiamo applaudito alla nascita della denominazione Pignoletto Emilia-Romagna. «Politiche che vedono consorzi e produttori impegnati a 360 gradi su molteplici fronti» conferma Francesco Cavazza Isolani. Continua il lavoro di comunicazione e conoscenza verso i mercati stranieri, visti gli entusiasmanti risultati, con il “tour europeo” di promozione dei vini del Consorzio Vini Colli Bolognesi, partito nel 2017 a seguito dell’assegnazione del bando regionale per lo sviluppo di

I due Consorzi in cifre Consorzio Vini Colli Bolognesi • Fondato nel 1971 • Comprende il 96% dei produttori di vini Docg e Doc del territorio dei Colli Bolognesi • 70 viticoltori • 40 cantine • 640 ettari di superficie vitata • 40.000 bottiglie in media per cantina • 10 tipologie di vini

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Consorzio Pignoletto Emilia-Romagna • Fondato nel 2013 • 8.000 viticoltori • 26 grandi soci • 1.500 ettari di superficie vitata • 12 milioni di bottiglie • 95% spumante e frizzante

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attività di promozione e informazione, nell’ambito del Programma di Sviluppo Rurale Europeo 2014-2020. Le prossime tappe sono il ProWein di Düsseldorf (1820 marzo), preceduto da un evento a Francoforte, ad InCantina, enoteca nata dalla partnership tra alcuni imprenditori privati e l’Enoteca Regionale EmiliaRomagna, l’immancabile presenza al Vinitaly (15-18 aprile) e la London Wine Fair (21/23 maggio). Un vino dalla personalità unica Prodotto nelle province di BolognaImola e Modena, così come in parte di Ravenna, il Pignoletto ha nella DOCG Colli Bolognesi il vertice di una piramide di viticoltori che puntano con decisione alla qualità. Il Pignoletto DOC viene prodotto per il 95% in versione frizzante e spumante, mentre nei Colli Bolognesi Pignoletto DOCG troviamo le versioni frizzante, spumante e ferma con il Superiore e Classico superiore e perfino Passito. Vini che esprimono il carattere di estrema versatilità del Grechetto gentile, peculiarità che lo rende unico nel panorama italiano. Laura Franchini

Rosso Bologna. Percorsi tra i vini di collina Un libro che ci fa immergere, con la sua lettura, nei Colli Bolognesi, alla ricerca di ottimi vini, seguendo la traccia della storia e dell’esperienza di vita in vigna e cantina dei suoi vignaioli. “Rosso Bologna. Percorsi tra i vini di collina” è un volume a cura di Elisa Azzimondi e Raffaella Melotti che nasce dalla collaborazione tra l’associazione FISAR Bologna e il Consorzio Colli Bolognesi. Il lettore può seguire veri e propri percorsi enologici, partendo dal cuore cittadino per poi proseguire percorrendo itinerari che attraversano le quattro grandi vallate bolognesi. Riscoprirà così i principali produttori, intervistati per l’occasione sulle caratteristiche dei propri vini. Infine, diversi chef consigliano l’abbinamento giusto in cucina.

Rosso Bologna. Percorsi tra i vini di collina E. Azzimondi, R. Melotti (a cura di) 2017, Minerva Edizioni, Bologna – Collana: Ritratti di gusto Ediz. italiana e inglese – 208 pp. – € 18,00

La vie en rose: Spumante Brut Rosé “Il Mattaglio” di Cantina della Volta La famiglia dei vini di Cantina della Volta di Bomporto, nel Modenese, si è recentemente allargata con la nascita del nuovo Mattaglio Rosé, che completa la gamma degli spumanti prodotti con le uve del vigneto di Riccò. Ottenuto da un uvaggio di Chardonnay e Pinot nero (vinificato in rosato), coltivate appunto nel vigneto collinare di Riccò di Serramazzoni (MO), a 650 metri di altitudine sul versante modenese dell’Appennino tosco-emiliano, lo Spumante Brut Rosé “Il Mattaglio” veste color rosa salmone, al naso oscilla tra fragranze floreali ed aromi fruttati, netti e freschi (lampone e ciliegia). In bocca l’attacco è spontaneo e morbido, con fragranze di confettura (pesca). Struttura ampia, con equilibrio perfetto tra ricchezza e freschezza. È ottenuto dall’attenta vinificazione delle migliori uve raccolte esclusivamente a mano in cassette da 15 kg. I grappoli sono trattati con cura per evitare qualsiasi danneggiamento durante il trasporto e l’arrivo in cantina. Le uve vengono pressate sofficemente e solo il mosto fiore viene fatto fermentare in tini d’acciaio a temperatura controllata. Nella primavera successiva avviene la spumantizzazione secondo il tradizionale metodo classico della rifermentazione in bottiglia. Dopo un’attesa di almeno sei mesi, viene addizionato di lieviti accuratamente selezionati e imbottigliato. Terminata la rifermentazione, le bottiglie rimangono coricate per un minimo 24 mesi. Il lungo affinamento sui lieviti esalta le caratteristiche del vino e gli conferisce maggiore complessità. • Vendemmia: 2013 • Gradazione alcolica: 12,5% • Formati disponibili: solo bottiglia 0,75 l • Servire a 8° C >> Link: www.cantinadellavolta.com

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Montefalco, un territorio al lavoro Dal test su Montefalco un progetto di gestione intelligente dei trattamenti in vigna che sarà esteso all’intera Umbria di Massimiliano Rella

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e condizioni meteo, è risaputo, hanno un impatto importante sull’agricoltura. Insieme alle condizioni colturali influenzano le più diffuse fitopatologie. Se non si può intervenire sul clima si può, però, con adeguate tecniche di coltivazione contrastarne o attenuarne gli effetti negativi, cercando di contenere i costi e ridurre la pressione delle attività agricole sull’ambiente. Avere informazioni attendibili e tempestive sull’andamento climatico stagionale è quindi di grande utilità per una gestione agricola consapevole e mirata, inclusi i trattamenti fitosanitari. L’agrometeorologia viene in aiuto dei produttori e le stazioni agrometeorologiche diventano fonti di dati per scelte adeguate. Il progetto Smart Meteo nasce nel territorio del Sagrantino

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di Montefalco, il più importante vino rosso della regione, grazie alla collaborazione tra il consorzio di tutela, CONFAGRICOLTURA UMBRIA, la start-up Leaf Srl e i tecnici dello studio agronomico Perleuve Srl. L’iniziativa ha coinvolto alcune cantine di Montefalco e dintorni nell’uso di sistemi DSS (Decision Support System) per accedere direttamente e in tempo reale alle informazioni per la gestione mirata e sostenibile dei trattamenti fitosanitari. Il risultato ha permesso una riduzione degli interventi e della quantità di principi attivi impiegati in vigna. Il nuovo modello di assistenza tecnica presto sarà esteso all’intero territorio umbro. Dall’area della denominazione Montefalco proviene il 16,7% della produzione di vino della regione. In

particolare il Montefalco Sagrantino DOCG rappresenta il 6,3% della produzione umbra; invece il Montefalco DOC il 10,4%. La DOCG ha registrato una crescita notevole dal suo riconoscimento nel 1992: la superficie di vigneto è passata dagli iniziali 66 ettari ai 760 attuali, mentre i produttori-imbottigliatori da 16 sono oggi una sessantina. Sempre nel 2017 sono state vendute 1.203.738 bottiglie di Montefalco Sagrantino Docg e 2.346.847 bottiglie della Doc. Il valore delle esportazioni è del 60%, in prevalenza in USA, Germania, Cina, Svizzera, Inghilterra e in oltre 30 Paesi nel mondo. Dati negativi, invece, sul fronte del turismo, in particolare per il forte calo registrato dopo il sisma del 2016. L’anno scorso, da gennaio a dicembre, i flussi turistici in Umbria hanno registrato

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2.125.693 arrivi e 5.484.573 presenze, con una flessione pari a –10,28% negli arrivi e –8,38% nelle presenze rispetto al 2016. Ma già da novembre 2017 si sono avuti i primi segnali di ripresa con un rialzo del +63% di arrivi di turisti italiani e del +8,18% di arrivi stranieri. Anche molte cantine del territorio di Montefalco fanno la loro parte con un’offerta enoturistica di qualità e una gestione aziendale attenta alla tutela dell’ecosistema. Per l’azienda Antonelli San Marco (www.antonellisanmarco.it) è totalmente bio: produce vini DOC e DOCG, olio extravergine d’oliva, salumi da suini allevati nel bosco della tenuta, offre ospitalità agrituristica e corsi di Cucina in Cantina. Anche Tenuta Bellafonte (tenutabellafonte.it), a Bevagna, sta puntando sul basso impatto

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A sinistra: paesaggio intorno a Montefalco (photo © Massimiliano Rella). In alto: il produttore di Sagrantino Filippo Antonelli, proprietario della cantina Antonelli San Marco (photo © Massimiliano Rella). In basso: uno scatto in vigna nella Tenuta Bellafonte a Bevagna (photo © instagram.com/tenutabellafonte).

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L’azienda vitivinicola umbra Di Filippo lavora il suolo e i vitigni secondo i dettami del biologico e del biodinamico seguendo un personale progetto di Agroforestry con cavalli e oche in vigna (photo © Click Art progetti fotografici).

ambientale ed energetico attraverso i pannelli fotovoltaici e una caldaia a biomassa che utilizza gli scarti vegetali delle vigne. E ancora: l’azienda Di Filippo (vinidifilippo.com) coltiva i suoi terreni in modo biodinamico — a partire dal cornoletame — seguendo un personale progetto di Agroforestry con cavalli e oche in vigna: i primi per i lavori d’aratura e semina; le seconde per “sfalciare” l’erba tra i filari. Infine, l’azienda Romanelli, che ha introdotto 40 nidi per i falchi nei suoi terreni. La cantina produce tre diversi Sagrantino da un vigneto di 3,5 ettari caratterizzato da tre suoli diversi e una selezione del bianco Trebbiano spoletino da viti a piede franco “maritate” con le querce in un campo di mezz’ettaro. Massimiliano Rella

Slow Wine, la viticoltura è l’avanguardia dell’agricoltura

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ncontrare i viticoltori, conoscere la viticoltura italiana è fondamentale per capire dove sta andando tutto il settore agricolo. Sono soprattutto loro che ci stanno indicando quale direzione sia necessario prendere per ridurre l’impatto dell’uomo e dell’agricoltura sull’ambiente. In questo i nostri vigneron sono l’avanguardia di tutto il settore agricolo. Perché sono riusciti più di tutti a valorizzare i terreni vocati, e a mettere in atto quella che per Slow Food è la strategia di marketing più efficace: il racconto minuzioso e senza veli di tutto il processo produttivo». GAETANO PASCALE, presidente di Slow Food Italia, saluta così la platea di oltre 400 produttori arrivati da tutta Italia per festeggiare insieme a Slow Food l’edizione 2018 di Slow Wine, la guida che racconta l’Italia del vino (e non solo) edita da Slow Food editore. «Il nostro giudice ultimo è il lettore finale. Per questo scriviamo una guida che vogliamo sia di facile accesso 118

anche per chi, per quanto appassionato, si sta avvicinando al mondo del vino e ha bisogno di qualche dritta. E poi Slow Wine può essere un compagno di viaggio: segnaliamo, infatti, anche quelle cantine che offrono accoglienza e ristorazione», sottolinea GIANCARLO GARIGLIO, curatore, insieme a FABIO GIAVEDONI, della guida. «È in questo contesto che si devono leggere le numerose indicazioni contenute nella nostra guida. Tra queste ci sta particolarmente a cuore quella del vino quotidiano: per noi queste etichette hanno pari dignità dei grandi vini, perché si rivolgono a tutti. Proprio quest’anno è stato più complicato individuarli: non è facile stare sotto la soglia dei 10 euro con situazioni climatiche e ambientali sempre più complicate soprattutto a Nord, dove si fa agricoltura di pendenza». In questo lavoro di ricerca e selezione è stata importante la collaborazione della FISAR (Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori).

Slow Wine guida 2018 Slow Food editore – 1120 pp. € 24,00 (€ 20,40 prezzo on-line; € 19,20 per i soci Slow Food) www.slowfood.it/slowine Premiata Salumeria Italiana, 2/18



Il vino in pillole Le strade si uniscono per fare sistema Promuovere e sviluppare il turismo rurale, enologico e agroalimentare con nuove ed efficaci sinergie: è l’obiettivo strategico del Coordinamento Nazionale delle Strade del Vino, dell’Olio e dei Sapori, nato nello storico Palazzo della Corgna a Castiglione del Lago, in Umbria. Al protocollo d’intesa hanno aderito 23 Strade di diverse regioni — Umbria, Toscana, Sicilia, Puglia, Trentino, Veneto, Piemonte, Lazio, Lombardia, Emilia-Romagna — che rappresentano migliaia di aziende agricole e cantine, imprese dell’accoglienza e della ristorazione, dell’artigianato tradizionale, oltre a enti locali e territori che custodiscono un patrimonio unico di cultura, tradizioni, risorse ambientali e giacimenti enogastronomici. L’accordo prevede lo scambio di buone pratiche, anche attraverso la partecipazione congiunta ad iniziative, la condivisione di materiali, informazioni e dati ritenuti di reciproco e generale interesse, la creazione di un gruppo di lavoro per studiare pacchetti turistici condivisi, attività didattiche e formative, attività promozionali, educational tour per buyer, educational per giornalisti ed altro ancora. Un Vigneto Italia da collezione Vigneto Italia è il primo Museo Ampelografico Italiano (un museo vivo) nato nell’Orto Botanico di Roma, grazie ad un progetto concepito e sviluppato dal critico enologico Luca Maroni insieme all’Università La Sapienza. Progetto che nasce per la conservazione, lo sviluppo e la diffusione della conoscenza della cultura vitivinicola italiana. A metà febbraio sono stati piantati i primi vitigni autoctoni italiani. La base di rappresentatività del Vigneto Italia è regionale, per un totale di 154 vitigni. Di ciascuno saranno piantate tre viti ad alberello. Il vigneto sarà condotto con tecniche di agronomia biodinamica, quindi con impatto zero. Responsabile agronomico dell’impianto il dottor Leonello Anello, tra i più importanti esperti italiani della viticoltura biodinamica. In basso: l’Orto Botanico di Roma (photo © Paolo Margari).

In basso: la strada del Franciacorta è tra le associazioni che hanno dato vita al Coordinamento Nazionale delle Strade del Vino, dell’Olio e dei Sapori (photo © Fabio Cattabiani).

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Serracavallo, gli spumanti della Sila La Cantina Serracavallo di Demetrio Stancati e Flaviana Bilotti coltiva i suoi vigneti (27 ettari in una proprietà di 60) sulle colline che dominano la Valle del Crati, vicino Cosenza. Ai vitigni autoctoni come il Magliocco dolce e il Pecorello, sono state aggiunte altre varietà, Cabernet sauvignon, Sangiovese, Riesling renano e Chardonnay. Tra le etichette più curiose c’è Alta Quota, uno spumante metodo classico ottenuto da uve Chardonnay e Riesling prodotte in un’unica vigna a oltre 1.200 metri di altitudine, nella Sila piccola, un’area montana con un ecosistema caratterizzato da fitti boschi e natura incontaminata. Le condizioni climatiche, che presentano inverni rigidi e nevosi ed estati dalle forti escursioni termiche con temperature che spaziano dai 34 ai 10 gradi, sono adatte alla produzione di uve di qualità. Per ottenere uve surmature in vigna — appena 1,5 ettari e rese bassissime di non oltre 20 quintali/ettaro — la vendemmia è tardiva e si conclude anche due mesi e mezzo dopo. www.viniserracavallo.com Il vigneto urbano di Frascati Là dove c’era un terreno abbandonato invaso da erbacce e rovi oggi c’è una vigna di qualità. Nella cittadina dei Castelli Romani, terra di tradizione vitivinicola, sorge uno dei vigneti urbani più grandi d’Europa, esteso su 4,6 ettari e distante 400 metri dal centro storico, vicino a tre ville tardo-rinascimentali. Il vigneto è destinato alla coltivazione delle uve del vino Frascati superiore Docg e il vitigno prescelto è la Malvasia del Lazio, unica varietà autoctona della denominazione. In realtà il progetto interessa 8 ettari totali: oltre al vigneto, 1 ettaro per un oliveto recuperando le piante presenti e 2 ettari e mezzo a bosco. È stato creato un campo dimostrativo con le varietà del Frascati Doc piantate su più portinnesti (Greco, Bellone, Bombino, Trebbiano giallo, Malvasia di Candia, Malvasia del Lazio e Trebbiano toscano) con piccoli vigneti rappresentativi delle diverse forme di allevamento utilizzate fin dall’antichità (vite maritata, alberello, conocchia, filaretti frascatani, tendone) ed esempi dei diversi sistemi di potatura (cordone speronato, guyot, guyot doppio, capovolto, ecc…). Il vigneto è gestito dall’azienda agricola Villa Simone, fondata nel 1982 da Piero Costantini, proprietari di una delle più rappresentative enoteche di Roma, Enoteca Costantini. In estate prevista l’inaugurazione. Massimiliano Rella (a cura di) In basso: è prevista per l’estate l’inaugurazione del più grande vigneto urbano dedicato alla produzione di Frascati Superiore Dop gestito dall’azienda agricola Villa Simone (photo © www.culturamente.it).

In alto: Cantina Serracavallo, barricaia (photo © melaò_design).

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I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA

Degustazione: le nuove frontiere della pizza di Laura Franchini

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a fatto il giro dei social e non solo la recente interpretazione della pizza di CARLO CRACCO, attirando le critiche dei puristi ma anche il sostegno di tanti fan dell’ex giudice di Masterchef. Al netto delle polemiche, la nuova frontiera del piatto italiano più famoso nel mondo è proprio rivolta alla rivisitazione, alle proposte creative e non scontate. Questo non toglie nulla, ovviamente,

alla grande tradizione della pizza, che resta un caposaldo della cucina italiana. Una nuova tendenza riconosciuta da critici e guide, che sempre più dedicano spazio alle ricette gourmet, sottolineandone particolarità, originalità e gusto. Ci siamo quindi dedicati alla ricerca di vini che potessero abbinarsi a queste proposte fuori dal coro, per una pizza, e una degustazione, diversa.

La pizza è entrata nel panorama della cucina d’autore, facendosi ambasciatrice delle eccellenze gastronomiche e del lavoro degli artigiani del luogo in cui viene realizzata, suggerisce la giornalista Tania Mauri. Quella gourmet presuppone ingredienti di altissima qualità e la condivisione con altri commensali

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Camera a sud, pizza con mozzarella fior di latte, caponatina siciliana, ricotta affumicata e origano di Pantelleria nata dalla creatività di DAVIDE FIORENTINI e MATTEO TAMBINI della pizzeria ’O Fiore Mio (photo © ofioremio.it).

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Lambrusco Spumante DOC Metodo Classico Rosé Brut 2013 Cantina della Volta Vinificazione in purezza di uve di Lambrusco di Sorbara per questo calice, affinato per almeno 36 mesi sui lieviti, brillante nei modi, nel tono visivo, nei risultati. Visivamente accattivante, con un bel rosa tenue tendente al rubino, sprigiona subito note intense e frutta di frutti di bosco, fragoline in primis, lamponi ed erbe di campo, finissime e nette. La sorsata è piena e morbida, oltremodo elegante il perlage, ancora una volta l’esperienza di CHRISTIAN BELLEI nella produzione di vini a Metodo Classico emerge con chiarezza e forza, soprattutto nell’armonia del bicchiere. Una freschezza intensa, in equilibrio, spada tagliente di acidità e nota precisa di salinità, accompagnate da un ventaglio gustativo intenso e deciso. Un vino da tutto pasto, che abbiamo abbinato, con grande successo, alla pizza Emilia-Romagna di SORBILLO AI TRIBUNALI di Napoli: Parmigiano Reggiano, prosciutto crudo di Parma DOP, pomodorini, mozzarella, olio evo biologico e basilico.

Cantina della Volta Via per Modena 82 41030 Bomporto (MO) Telefono: 059 7473312 E-mail: commerciale@cantinadellavolta.com Web: info@cantinadellavolta.com

Barolo DOCG Cannubi 2012 Cantina Borgogno Una cantina che è storia e protagonista della produzione vinicola del Piemonte e non solo, con una delle sue migliori e più note espressioni. Prodotto con solo uve Nebbiolo provenienti dal pregiatissimo vigneto Cannubi, abbiamo in questo calice la rappresentazione lineare e palese dell’eleganza. Siamo su toni raffinatissimi di fiori, viole e rose delicate, speziatura presente con garbo, pepe rosa, foglie di alloro, chiodi di garofano, frutta scura matura e china, ricordi balsamici a completamento. Sorsata armonicissima, ampia, suadente e al contempo decisa. Immediato l’abbinamento con piatti di carne strutturati, con ravioli del plin, con umidi e stracotti, brasato al Barolo. Un calice incisivo, che si presta anche alla degustazione meditativa, ma che non disdegna proposte più scapricciate. Riuscita e non scontata l’idea di abbinarlo ad una pizza gourmet di RENATO BOSCO della pizzeria Saporé di San Martino Buon Albergo, Verona: Pizza con fonduta, battuta di Fassona e fungo porcino.

Giacomo Borgogno e figli Via Gioberti 1 12060 Barolo (CN) Telefono: 0173 56108 E-mail: info@borgogno.com Web: www.borgogno.com

Falanghina Irpinia DOC Via del Campo 2016 Quintodecimo Siamo in Irpinia con questa bella realtà, che deve il nome al toponimo Quintum decimum, dato alla cittadina Mirabella Eclano perché distante esattamente 15 miglia dall’antica Benevento. La Falanghina Via del Campo è esempio di tipicità e rispetto del vitigno. Il calice presenta subito sentori varietali di tradizione, fruttati e minerali, mele e ricordi esotici, erbe aromatiche e fiori di campo, sentori di macchia mediterranea e tinte salmastre, piccola speziatura, anice e menta. Sapido e ben equilibrato, si presta ad accompagnare piatti di pesce, anche abbastanza strutturati, fritture e grigliate. La pizza gourmet in abbinamento è proposta dalla pizzeria Francesco & Salvatore Salvo di San Giorgio a Cremano (NA), su ricetta dello chef MAURO ULIASSI: mozzarella di bufala campana Dop, ricotta di bufala, formaggio erborinato di vacca Verzin, alici crude, misto insalata e rucola, noci di Sorrento, nocciole tostate, tartufo nero in salsa, olio extravergine d’oliva Dop Torretta.

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Quintodecimo Via San Leonardo 27 83036 Mirabella Eclano (AV) Telefono: 0825 449321 E-mail: info@quintodecimo.it Web: www.quintodecimo.it

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Bardolino DOC Chiaretto Spumante Graffio 2016 Cantina Caorsa

Azienda Agricola Cantina Caorsa Loc. Caorsa 14/A 37010 Affi (VR) Telefono: 045 7235522 E-mail: info@cantinacaorsa.com Web: www.cantinacaorsa.com

Siamo ad un soffio dal Lago di Garda con questa cantina di proprietà del Consorzio Agrario del Nord-Est, nata con l’intento di valorizzare la produzione vitivinicola della zona e che vinifica l’uva proveniente dagli oltre 800 ettari di vigneto dei suoi 350 soci. Presso la sede di Affi è possibile acquistare direttamente i vini della cantina, ma anche olio e altre specialità del territorio. Prodotto con uve Corvina al 65%, Rondinella al 25% e Molinara per il rimanente 10%, il calice si presenta di un bel rosato brillante, con un’olfattiva piena ed intrigante di piccoli frutti rossi e leggera fioritura, speziatura lieve ed elegante. Al palato è armonico tra le parti, persistente e con una bella schiuma morbida. Un calice adattissimo al rito dell’aperitivo e al tutto pasto, che si sposerà magnificamente con la pizza, anche una semplice e gustosa Margherita. L’abbinamento che proponiamo è della pizzeria Berberé dei fratelli ALOE: pizza con pancetta arrotolata, patate al forno, fiordilatte e formaggio Asiago.

Vigna d’Oro Albana Vendemmia Tardiva 2015 Torre San Martino

Torre San Martino 1922 Società Agricola Piazza Don Minzoni 36 47015 Modigliana (FC) Telefono: 0546 940102 E-mail: info@torre1922.it Web: torre1922.com

La cantina Torre San Martino si trova a Modigliana, sui primi declivi dell’Appennino romagnolo. Questo pregiatissimo vino è ottenuto con uve surmature di Albana, vendemmiate tardivamente e colpite da muffa nobile. Il risultato è un calice vibrante di freschezza e pienezza, olfattiva e di gusto. Sono note di ananas fresco e zafferano, papaia e pistacchio, scorze di agrumi e canditi. Fresco, lunghissimo, eccellente l’armonia, circolare, di immensa eleganza. Un vino assolutamente non scontato, gastronomico e di carattere, che si abbinerà magnificamente con formaggio stagionati e erborinati e piatti di crudité di pesce. La pizza gourmet che abbiamo scelto per l’abbinamento proviene dalla pizzeria I Tigli di San Bonifacio, Verona, dove lo chef SIMONE PADOAN propone Porca l’oca: impasto di pan brioche arricchito con semi di girasole e sesamo bianco e nero, oca sfilacciata cotta nel forno a legna, lardo, foie gras e composta di pere cotogne. Abbinamento riuscitissimo e indimenticabile.

Fiano di Avellino DOCG 2016 Tenute Altavilla Villa Matilde

Villa Matilde S.S. Domitiana 18 81030 Cellole (CE) Telefono: 0823 932088 E-mail: info@villamatilde.it Web: www.villamatilde.it

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Cantina di riferimento nata negli anni ‘70 per volere dell’avvocato FRANCESCO PAOLO AVALLONE, è ora guidata dai figli MARIA IDA e SALVATORE, che seguono con dedizione il progetto paterno. Una filosofia produttiva orientata al rispetto del territorio come dei vitigni, pur con un occhio attento alle innovazioni tecnologiche e alla pratiche agricole e di cantina. Questo calice, vinificato in acciaio, si presenta di un bel color giallo paglierino netto e luminoso, al naso sprigiona intense note fruttate di albicocca matura, scorze di agrumi, mandarini e cedri, tinte floreali di acacia e gelsomini, note sapide e note speziate di anice. Al palato entra morbido, intensa la sorsata, convincente e circolare. Si presta ad accompagnare piatti di pesce, dai primi alle fritture, ma è con una delle squisite pizze della pizzeria I Masanielli che vi proponiamo l’abbinamento. La scelta è andata su La Riccia di Mammà, con scarola riccia, pomodorino del piennolo del Vesuvio DOP, olive caiezzane, capperi di Salina, burrata di bufala Casa Madaio, alici di Cetara, olio evo Itran’s.

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SONO 180 GRAMMI, LASCIO?

Grammatura, qualità, provenienza di Giovanni Papalato

Inizia con questo numero una nuova rubrica. Carne e musica, nutrimento per il nostro spirito

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o, non stiamo parlando di carne in questo caso, anche se potrebbe sembrare, ma di dischi. Sì, quei cerchi pieni di solchi che, se fatti girare sotto una puntina, irradiano musica. E i sostantivi con cui abbiamo aperto queste righe sono importanti per darne un valore oltre che per definirli. Perché se un vinile pesa 180 grammi, ha una resa migliore ed è più longevo. Perché la qualità dell’incisione è direttamente proporzionale alla sua resa. Perché sapere da dove viene, quando è stato stampato e da chi ci danno informazioni importanti per avere un’idea esatta della sua identità. Proprio come la carne che scegliamo, n’est pas? Swordfishtrombones, Tom Waits Il disco di questo mese è “Swordfishtrombones” di TOM WAITS, il primo ad uscire per la Island Records. Al suo interno c’è un brano strumentale, “Dave The Butcher”, e quando ho pensato a questa rubrica, con che disco iniziare, proprio quello mi è suonato nella testa e quindi eccomi qua. È il 1983 ed è la linea d’ombra di Waits, un deciso e convinto cambio di direzione. Non più il cantante confidenziale e romantico di fumose e delineate atmosfere jazz, ma qualcosa d’altro, con radici sì nella musica americana ma aperto a contaminazioni tra le più diverse. Certo, i sintomi si erano palesati nel corso degli album precedenti, ma se ascoltiamo i dischi editi dalla Asylum Records il cambio è netto. Waits non è

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Giovanni Papalato (photo © Lucio Pellacani).

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un cantore populista del sogno americano, quella promessa di rivoluzionare la propria condizione economica e quindi sociale prima che esistenziale attraverso le infinite occasioni che vengono offerte (…). No. Non ci sono esaltazioni, non c’è retorica. Qui c’è consapevolezza, non rassegnazione, si noti bene. Il disco è fatto di penombre e crepuscoli, una luce filtrata che rivela certe cose nascondendone altre, per non tradirsi. Una necessità, quella di liberarsi da ciò che si è e con tutta probabilità si rimarrà, ma sotto forma di qualcosa di esterno, che lavi via, purifichi. Ed è

un’attesa irrazionale sì, ma concreta, a cui attaccarsi in certi casi o lasciarsi trascinare, in altri. E così non sono solo i testi a raccontare le storie della disillusione, della presa di coscienza della propria ineluttabile realtà, ma è soprattutto la musica che ne definisce l’immaginario. Marcette marziali (Underground), chitarre elettriche (16 Shells From A 30.6), ritmi afrocaraibici (Shore Leave), ritmiche claudicanti su cui si appoggia l’hammond (Dave The Butcher), il rock’n’roll, il blues, la psichedelia, la voce di Waits, fatta di mille sigarette e di alcool, che declama e poi sbiascica,

sussurra e urla, canta. “Swordfishtrombones” è il manifesto postmoderno sulla ridefinizione della musica americana per come la conosciamo: non una uniforme esecuzione di stili ma la molteplicità di suoni indigeni che si amalgamo in un’armonia fatta di contrasti. Così nasce la poetica di un autore che, a 10 anni dal suo esordio, sceglie chi essere. Giovanni Papalato La Barberia Records The Worst Taste In Music Radio Antenna 1 FM 101.3 Two Lonely Beards – Once We Were Kids Web: www.labarberiarecords.com

Meatopia 2018, carne, fuoco e musica Fondata negli USA da Joshua Ozersky e portata nel Regno Unito dallo chef Richard H. Turner, Meatopia è un evento unico nel suo genere che miscela magicamente la passione per le carni, il barbecue e le griglie roventi con tantissima musica dal vivo. Si tratta di un festival ad alto contenuto proteico nel quale i protagonisti sono la musica e le carni selezionate, cotte sulle braci da cuochi e macellai che giungono ogni anno a Londra da tutto il mondo. Tra le presenze abituali al Tobacco Dock c’è anche il nostro amico Dario Cecchini dell’Antica Macelleria Cecchini di Panzano in Chianti (FI). I biglietti per l’edizione 2018 di Meatopia, che quest’anno si svolgerà dal 31 agosto al 2 settembre, si possono acquistare on-line sul sito meatopia.co.uk. Vi segnaliamo anche la pagina Instagram, all’insegna della carne, della musica, delle griglie e del buon bere: instagram.com/Meatopiauk.

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TECNOLOGIE Logistica come processo integrato e collegamento indispensabile tra produzione e distribuzione

Più efficienza e meno spese con il CSB-System

Preparazione ordini.

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a logistica riveste un’importanza fondamentale nel settore agroalimentare e rappresenta il collegamento indispensabile tra produzione e distribuzione. Una logistica efficiente ha ripercussioni positive in tutti i settori aziendali perché consente di: • controllare i processi di acquisto di materie prime e componenti; • ottimizzare costi e tempi di produzione; • ridurre le giacenze di magazzino; • assicurare la “catena del freddo” e quindi mantenere intatta la qualità del prodotto; • migliorare il servizio al cliente. In altre parole, una logistica efficace consente di raggiungere l’equilibrio ideale tra qualità dei prodotti, controllo dei costi e prestazioni. Proprio in quest’area

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si nascondono spesso potenziali di crescita che vale la pena sfruttare. Per l’intero progetto di logistica sono di importanza rilevante dati aggiornati in ogni momento, indici, analisi dei percorsi critici e procedure di simulazione. Risulta chiaro, però, che elevati investimenti in nuovi sistemi tecnici non sono sufficienti da soli per ottenere il successo. Integrazione è la parola d’ordine. Copertura completa di tutti i processi logistici con il CSB-System Il software ERP CSB-System specifico per il settore agroalimentare copre totalmente tutti i processi logistici dell’azienda. Anche i sistemi di magazzino e preparazione ordini sono gestiti e controllati in maniera precisa e dettagliata. Non importa se in azienda si preferisce la

gestione di magazzino caotica o a posti fissi, oppure se la preparazione ordini avviene per cliente o per articolo. La logistica integrata nel CSB-System verifica costantemente la portata delle scorte degli articoli con proposte automatiche per il carico e lo scarico sulla base delle disponibilità aggiornate. Sono inoltre generati in automatico ordini di trasferimento e controlli delle date di scadenza. Grazie all’alto grado di integrazione del CSB-System, l’intero flusso di materiali, inclusi nastri trasportatori, deviatoi, traslo-elevatori, scaffalatori, può essere gestito con un unico modulo. Sistemi di etichettatura secondo gli standard internazionali Se l’azienda alimentare non può garantire etichette personalizzate per cliente nel

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Il software ERP CSB-System specifico per il settore agroalimentare copre totalmente tutti i processi logistici dell’azienda. Anche i sistemi di magazzino e preparazione ordini sono gestiti e controllati in maniera precisa e dettagliata Pianificazione Dispo.

Sia l’etichettatura esterna per la comunicazione con grossisti, discounter, spedizionieri e distributori, che quella interna, sono gestite automaticamente dal CSB-System. È possibile ottimizzare etichette per pallet o etichette per prodotti su ogni unità di confezione secondo le esigenze specifiche della catena commerciale

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Pianificazione della produzione.

rispetto degli standard internazionali, difficilmente può essere inserita tra i fornitori di una DO o GDO, perdendo così notevoli possibilità di guadagno. La sicurezza di poter accedere in ogni momento ai dati relativi ai processi è una garanzia per l’esecuzione precisa ed esatta di ogni procedura di etichettatura. Con il CSB-System anche questa parte dei processi logistici viene svolta in maniera affidabile. Sia l’etichettatura esterna per la comunicazione con grossisti, discounter, spedizionieri e distributori, sia l’etichettatura interna per velocizzare le procedure di identificazione in

azienda, sono gestite automaticamente dal CSB-System. È possibile ottimizzare etichette per pallet (SSCC) oppure etichette per prodotti su ogni unità di confezione a seconda delle esigenze specifiche della catena commerciale. Gestione giri, loro ottimizzazione e controllo dei costi di trasporto La pianificazione dei giri rappresenta in molte aziende un efficace strumento per una gestione ed un’evasione veloce degli ordini dei clienti, nonché un controllo dettagliato sui costi dei trasporti.

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possibilità: possono essere definiti avvenimenti come “Avvio” o “Fine” della preparazione ordini e i “tempi effettivi” sono determinati automaticamente dal sistema; oppure, il computer di bordo, equipaggiato con la “Presa Mobile Dati” e con una stampante, documenta tutte le particolarità del giro, come ad esempio scarico, resi, vuoti, itinerari, l’apertura delle porte come anche la temperatura delle superfici di carico dell’autocarro. Il mantenimento della catena del freddo e della chiusura delle porte viene documentato integralmente, ottemperando agli obblighi HACCP. Al termine del giro ha luogo la trasmissione diretta dei dati nel CSB-System. Se richiesto, i dati possono essere trasmessi on-line, così da poter visualizzare on-line in ogni momento la posizione dei camion e di volta in volta lo stato del parco mezzi. Sempre al termine del giro, un’analisi fondata e supportata dal software può fornire informazioni su quali scostamenti dai valori preventivati si siano verificati e per quali motivi, misurando così l’efficienza del giro. Come completamento, la possibilità di inserire tutti gli accordi contrattuali con gli spedizionieri (tariffe per tratte, stop, volumi, chilometri, ecc…) permette un controllo preciso non solo dei propri costi di trasporto ma anche delle fatture degli spedizionieri.

Preparazione ordini.

Logistica efficiente come strumento concorrenziale Per concludere, la scelta del giusto sistema di gestione della logistica, ancora meglio se integrato in un software ERP come il CSB-System specifico di settore, contribuisce in maniera decisiva alla soddisfazione della clientela e quindi al successo duraturo di un’azienda.

Pianificazione giri.

Il CSB-System mette a disposizione dei suoi clienti, oltre ai moduli completi per la gestione del parco macchine, una soluzione integrata per la pianificazione dei giri sfruttando potenziali di ottimizzazione per quanto riguarda itinerari, ripartizione, peso e volume di carico nonché impiego di personale e mezzi, con lo scopo di ridurre i costi e di aumentare l’affidabilità di consegna. L’idea di fondo della gestione giri è di definire tutti gli avvenimenti necessari per ottenere la perfetta gestione dell’ordine e di controllarli in sequenza. Tipici avvenimenti sono, per esempio, in

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quale finestra temporale debba essere consegnata la merce al cliente, quando e con quale ordine debba essere caricato il camion, quali mezzi siano disponibili, quanti conducenti siano necessari, e così via. Non importa che si tratti della consegna a clienti, filiali o sede aziendali di prodotti finiti o materie prime. Questi avvenimenti sono definiti in una scheda personalizzata per cliente. Per realizzare il controllo dei dati, il CSB-System segnala i “tempi teorici” per la consegna dell’ordine. Per la determinazione dei “tempi effettivi”, gli utenti hanno poi a disposizione diverse

Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

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STORIA E CULTURA

La “napoletana” e altre macchine per il caffè di Giovanni Ballarini

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Caffè alla turca (photo © Nostalgique Art Photography).

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unga e intricata è la storia del caffè e dei diversi modi di prepararlo. Sfatiamo subito l’idea che vi sia stato un inventore della macchina per farlo; al più, possono essere esistiti (o esistere) inventori di diversi tipi o modelli. I sistemi per ottenere questa nota bevanda sono diversi. Nella percolazione l’estrazione consiste nel fare defluire l’acqua attraverso la polvere di caffè; nella decozione l’estrazione sfrutta la bollitura dell’acqua; l’infusione è il metodo di estrazione attraverso il trattamento a caldo della polvere di caffè con l’acqua usata come solvente; la macerazione è l’estrazione condotta a temperatura ambiente o a freddo, ma molte volte i sistemi sono misti: nel caffè alla turca prevale la decozione, nelle macchine a stantuffo prevale l’infusione, la macerazione e la percolazione prevalgono in altri sistemi. La decozione delle drupe di caffè, più o meno frante o macinate, è indubbiamente il primo e più antico sistema usato dall’uomo, ma l’aroma deriva soltanto quando si usano i chicchi tostati. La decozione di caffè tostato finemente ridotto a polvere, un tempo nel mortaio e più recentemente in adatti macinini, è ancora oggi usata per preparare il caffè alla turca e JEAN ANTHELME BRILLAT-SAVARIN sosteneva che

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il caffè per tre volte deve prendere il bollore. Questo era il metodo in uso in molte famiglie fino alla metà del Novecento; spesso tostando il caffè in casa e lasciando depositare la sua polvere o posa prima di berlo. Prime macchine per il caffè Evitare di avere un caffè con i residui della polvere ha stimolato il genio creativo di molti e decine di brevetti presentati durante tutto l’Ottocento sono partiti dall’idea di una percolazione della polvere di caffè contenuta in un filtro attraverso il quale passa acqua calda. Nella percolazione inizialmente si sfruttava la gravità; così, nel 1802 HENRION brevettò una caffettiera a doppia intercapedine, perfezionata nel 1806 da HADROT, mentre il lattoniere MORIZE (1819) studiò una caffettiera che si capovolgeva e che in Italia divenne nota come “napoletana”. Caffettiera napoletana Ai napoletani va riconosciuto il merito di aver portato in tutte le case una bevanda riservata alle classi più benestanti. A fine Ottocento, infatti, gli artigiani di Napoli, sostituendo il rame con il più economico alluminio, costruirono la caffettiera dandole il nome di cuccumella e modificarono l’invenzione del francese

Morize inserendo dentro la caffettiera la capsula che racchiude la polvere di caffè. La cuccumella si diffuse rapidamente nelle case e Napoli divenne capitale mondiale del caffè. Un tocco di classe era dato dal cono di carta detto coppetiello che si poneva sulla sommità del beccuccio della caffettiera per preservare l’aroma della bevanda, come spiega benissimo EDUARDO DE FILIPPO. Altre macchine per il caffè Nel 1819 LAURENS brevettò una caffettiera munita di una pompa e nel 1837 madame JEANNE RICHARD propose il ricircolo del caffè per migliorare l’estrazione. Sempre durante l’Ottocento decine di brevetti riguardavano l’uso del “vuoto”, o meglio di una depressione, per “risucchiare” l’acqua calda e farla passare attraverso il filtro contenente la polvere di caffè tostato e furono pure presentati brevetti sull’uso della pressione idraulica (REAL,1830; LOYSEL, 1854), o della pressione a vapore (SAMUEL PARKER, 1838; ALEXANDER LEBRUN, 1857; GIOVANNI MARIA LOGGIA, 1857 e 1878; ANGELO MORIONDO, 1884; LUIGI BEZZERA 1901 e 1905) che arrivavano a due atmosfere, ma usavano acqua ad alta temperatura, che non favoriva il mantenimento degli aromi del caffè. Per questo motivo e per avere pressione

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La caffettiera moka ha via via sostituito la “napoletana” nella preparazione del caffè (photo © fabiomax – stock.adobe.com). a bassa temperatura, FRANCESCO ILLY (1935) brevettò una macchina ad aria compressa; poi ACHILLE GAGGIA, con un sistema di pressione a molla sull’acqua calda, raggiunse le otto atmosfere. Sulla stessa linea troviamo DESIDERIO PAVONI (1948), per arrivare alla FAEMA, che nel 1961 brevettò un sistema per la produzione del caffè all’italiana attraverso una macchina dotata di una pompa volumetrica che inietta acqua

La moka della Bialetti, la macchina del caffè tanto amata dagli Italiani, nel 2013 ha compiuto 80 anni ed è uno degli oggetti del design nazionale esposti in forma permanente al MoMa di New York e alla Triennale di Milano

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calda alla pressione di nove atmosfere sulla polvere di caffè preriscaldato, per ottenere un infuso ricco di sostanze aromatiche e dotato di una crema compatta. Macchine e acqua per un buon caffè Per avere un buon caffè bisogna usare alte pressioni (da 9 a 18 bar) e temperature limitate (al massimo 90°C). In questo modo nell’espresso si riesce a estrarre la giusta quantità di sostanze oleiche, aromatiche e body producer che realizzano la magia dell’espresso e consentono il formarsi della crema. Per avere un buon caffè anche l’acqua è importante. Un’acqua povera o addirittura priva di calcio, acida, fornisce caffè di scarso sapore, vuoti, con poca crema, scarsamente elastica. I migliori caffè si ottengono invece con acque mediamente dure, alcaline, parzialmente o totalmente prive di sali di magnesio dal sapore amaro. Per realizzare in casa un buon caffè è necessario usare un’acqua con una discreta quantità di sali minerali, senza che la percezione gustativa arrivi all’amaro e a un sapido marcato, utilizzando l’acqua del rubi-

netto correttamente filtrata, eliminando le impurità in sospensione, il cloro e riducendo in modo controllato la presenza dei sali minerali. Questo è possibile lasciando decantare l’acqua in un vaso aperto, in frigorifero, in modo da far scomparire il cloro. In alternativa è bene usare un’acqua oligominerale che abbia un discreto residuo fisso, normalmente indicato in etichetta, e valutabile con una degustazione personale. Il caffè degli Italiani oggi L’Italia è oggi il paese, in Europa, con più apparecchi automatici (sono circa 800.000) e un Italiano su due beve il caffè da questi distributori. Non quello fatto con la napoletana o la moka, come verrebbe da pensare, ma quello che scende da questi dispensatori tecnologici: in Italia ce ne sono 200.000 più che in Francia, e i bicchierini erogati in un anno sono quasi tre miliardi. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Nota A pagina 132 caffettiera napoletana (photo © blantiag – stock.adobe.com).

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LIBRI

Un panino per tutti i gusti

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rriva in libreria, edito da Gribaudo-Feltrinelli, “Un panino per tutti i gusti”, volume che raccoglie le ricette dell’eclettico barista sardo GIORGIO BORRELLI vincitore della 1a edizione del concorso “Artista del Panino”, la competizione promossa dal brand Agritech di Vandemoortele Italia e ideato da GIORGIO MONTEFUSCO in collaborazione con Bargiornale. Borrelli, insieme alla moglie VALENTINA LODDO, gestisce da quasi vent’anni il “Caffè Valentina” di Cagliari, locale specializzato in sandwich creativi. «Senza il suo apporto non avrei mai raggiunto il successo professionale» ha recentemente dichiarato l’autore. «Infatti, oltre a preparare i piatti per il nostro locale, mia moglie riesce a trasformare la mia immaginazione in un prodotto finito e apprezzato dai clienti. Per questo dedico il mio primo libro a lei». Il volume, adatto anche a chi non ha dimestichezza con i fornelli, si divide in cinque capitoli: nel primo è spiegato passo per passo come preparare in

casa le salse e i diversi tipi di pane mentre negli altri quattro, “Baguette”, “Croissant”, “Miniature” e “Ciabatte“, sono consigliate le farciture migliori per ogni categoria. Fra le ricette consigliate spiccano quelle dei panini che hanno conquistato il podio, come il celebre croissant salato “Tu si che vale” a base di ricotta affumicata (mustìa), patè di fave, zucchine, miele di corbezzolo e fette di guanciale vincitore di Artista del Panino 2016, e il “Gennargentu”, baguette con zafferano, zucchine trifolate, prosciutto di cinghiale, crema di pecorino, quinto classificato al Campionato mondiale di sandwich 2008. In più, uno dei cavalli di battaglia del Caffè Valentina: la focaccia ricoperta con topping di mozzarella e prosciutto crudo o con mortadella e pomodorini. Qualche dritta d’autore per chi vuole cimentarsi? «Nessun ingrediente segreto» conclude Borrelli. «Quando preparo i miei panini seguo solo una sola e semplice regola: trovare il giusto equilibrio fra materia prima, sapori e qualità».

GIORGIO BORRELLI Un panino per tutti i gusti I segreti e tante idee per farcire baguette, croissant salati, ciabatte, focacce e minipanini Gribaudo-Feltrinelli 160 pp. – € 14,90

“Crudi, cotti… e comprati in piazza!”: proposte per migliorare la sicurezza alimentare nei mercati rionali Rappresentanti dei comuni del Veneto, della polizia municipale, della Regione Veneto, delle Aziende ULSS e dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie hanno costituito un “tavolo di lavoro” con l’obiettivo di confrontarsi sulle problematiche sanitarie e organizzative connesse alla vendita di cibo presso i mercati rionali e individuare e condividere proposte e indicazioni per favorire le attività di prevenzione del rischio. Dal dialogo tra i soggetti sopra elencati nasce la pubblicazione “Crudi, cotti… e comprati in piazza!”. Sono in particolar modo gli operatori dei comuni i destinatari di questa pubblicazione che, unitamente all’inserto “Buono, sicuro… e su ruota”, è stata pensata principalmente per coinvolgere anche chi non ha specifiche competenze in materie sanitarie a collaborare attivamente per la sicurezza del consumatore, facilitando così sia il lavoro degli ambulanti sia quello delle autorità deputate ai controlli. Questa pubblicazione si propone come un punto di partenza per la costruzione di una strategia condivisa di prevenzione e controllo e per la realizzazione di iniziative future supportate sinergicamente da tutte le istituzioni coinvolte nella vendita di cibo su aree pubbliche. La pubblicazione è stata realizzata nell’ambito del progetto di ricerca corrente finanziato dal Ministero della Salute “Pericoli microbiologici, pratiche igieniche e percezione del consumatore associati ai venditori ambulanti di cibo in Italia” (RC 09/14). (Fonte: Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie; www.izsvenezie.it)

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Il profumo della tradizione, il gusto della qualitĂ .

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