Premiata Salumeria Italiana 2-2023

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Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98 Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori DALSALUMIFICIOALLASALUMERIANONSTOP Anno XXXV N. 2 Marzo-Aprile 2023 € 6,70

LA BRESAOLA RICCA DI SAPERE

SAPERE

/sa·pé·re/ sostantivo maschile

Dal latino sàpere “avere sapore”: intuire il gusto delle cose, ma anche insaporirle, renderle preziose. Possedere la conoscenza, la pratica e l’esperienza che permettono di riconoscere la qualità delle materie prime senza fermarsi alle apparenze.

Sapere è l’amore che mettiamo in ogni gesto.

PAGANONI.COM

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Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

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EURO ANNUARIO CARNE 2023

Euro Annuario Carne

La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni.

Edizione 2023

Copia cartacea: € 95,00

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 3
Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl
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International

Food Exhibition

In questo numero: Agenda Verona – Cittadella (PD) – Milano Rho 12 Fotografati e mangiati Salame Contadino riserva – Senape di rafano – Stuzzichino – 14 Salame senza conservanti Bottega moderna Un bosco in salumeria – Soffitto mosso 16 La copertina esplosa Bresaola della Valtellina IGP 18 Dietro al banco Tre domande a Guido Mongiorgi Gaia Borghi 22 Premiata Salumeria Italiana, 2/23 5 A pagina 30. N. 2
Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia € 6,70
Brevi storie di cibo lento Quando l’oste è sull’uscio, l’osteria è vuota Alessia Morabito 24 a velocità contemporanea Il food in rete Social food Elena Benedetti 26 Aziende Re Norcino: una questione di taglio Gaia Borghi 30 Tra artigianalità e innovazione 34 San Bono premiata per la prima volta dal Gambero Rosso 38 Meggiolaro: dal 1978 la ricetta di un’eccellenza italiana Gian Omar Bison 40 La Macelleria Pucci sceglie le vetrine per carne Eurocryor 44 La Qualità La Pizzetta Sfoglia Cagliaritana, un’istituzione vera e propria Guido Guidi 48 Sostenibilità Contro lo spreco alimentare carne e salumi sono senza rivali 52 Visual Cambiare per evolvere e crescere Elena Benedetti 58 Visual merchandising Elena Benedetti 60 Buona carne non mente Simone Fracassi, il patriarca della Chianina Elisa Guizzo 62 Locali di gusto Pane, prosciutto & mozzarella: il Gruppo Ciro Amodio apre a Milano Riccardo Lagorio 66 Speciale Bresaola Bresaolavuol dire Valtellina Massimiliano Rella 70 Il Consorzio di tutela Bresaola della Valtellina Massimiliano Rella 74 Bresaole Pini Massimiliano Rella 76 Paganoni, bresaola e creatività made in Italy Massimiliano Rella 80 Bordoni e l’evoluzione della bresaola Massimiliano Rella 84 Mottolini: diversificazione, sostenibilità e capacità Massimiliano Rella 88 imprenditoriale valtellinese Premiata Salumeria Italiana, 2/23 6 Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori DALSALUMIFICIOALLASALUMERIANONSTOP Anno XXXV N. 2 Marzo-Aprile 2023 € 6,70
In copertina: colazione con Bresaola della Valtellina IGP (photo © Massimiliano Rella).
A pagina 114.

La bontà dei salumi San Bono è passione, è il rispetto del territorio, è la tradizione di lavorare materie prime selezionate e ingredienti naturali, seguendo ricette sedimentate nel tempo. Aggiungiamo quel pizzico di creatività per rendere i prodotti unici.

Una collezione di prodotti, per soddisfare tutte le esigenze dei tuoi clienti, anche di quelli più esigenti.

Via Augusto Vaccari 28/30 29028 Ponte dell’Olio (PC) Tel. 0523-877625 www.sanbono.it
Premiata Salumeria Italiana, 2/23 8 www.premiatasalumeriaitaliana-online.com Prodotti tipici Grigio retica e Carne secca dei Grigioni Riccardo Lagorio 92 Ma perché il Tiròt è così buono?! Chiara Papotti 94 La Lucanica di Picerno Massimiliano Rella 96 Turismo enogastronomico Il cedro di Calabria Massimiliano Rella 100 Formaggi e vini della Val d’Aosta Riccardo Lagorio 102 Il gusto di camminare Sui sentieri calabresi del Romito: la primavera a piedi attraverso Elena Simonini 110 la Valle del fiume Lao Il buono secondo Lara La pasta: nuovi modi per cuocerla, nuovi modi per concepirla Lara Abrati 114 Tradizioni Com’erano belle le gite fuori porta con la Corallina Nunzia Manicardi 118 e la Torta al formaggio Italia paese delle carni salate Josette Baverez Blanco 122 A
A
pagina 38.
pagina 66.
A pagina 62.
Premiata Salumeria Italiana, 2/23 10 www.premiatasalumeriaitaliana-online.com Rassegne Un’edizione ricchissima! 126 Formaggio Caseificio Pennar: tutto avviene in montagna Gian Omar Bison 136 Lo chef dell’olio Olio Capitale 2023 Fabrizio Bertucci 140 Vino Raddoppia Slow Wine Fair 2023 Federica Cornia 142 Packaging Ecologia del packaging Sebastiano Corona 148 Tecnologie Gestione ricette ed etichettatura degli alimenti: tutti i dati dall’ERP 152 CSB-System, direttamente Dolci Graffa napoletana e krapfen austriaco Nunzia Manicardi 154 Alkermes n obile liquore rinascimentale Giovanni Ballarini 156 La zuppa inglese più bella del mondo Gaia Borghi 159 Tre libri Scarti d’Italia – Il suono dello Champagne – Buon Appennino 160 A
92.
pagina
A pagina 126. A pagina 136.

AGENDA

Verona

Veronafiere potenzia la propria offerta bio nel settore dell’agroalimentare di qualità e posiziona la terza edizione di B/Open, rassegna B2B dedicata al biologico, congiuntamente a Sol&Agrifood, salone internazionale dell’agroalimentare di qualità, nel 2023. L’obiettivo è quello di incrementare gli eventi che hanno come focus il food certificato, all’interno di un calendario in linea con le esigenze delle aziende del comparto. Dopo una prima edizione on-line nel 2020 a causa dell’emergenza sanitaria e una seconda in presenza nell’autunno del 2021, il terzo appuntamento di B/Open viene quindi programmato dal 2 al 5 aprile insieme a Sol&Agrifood e in concomitanza con la 55a edizione di Vinitaly. La sinergia tra manifestazioni da sempre simbolo della qualità agroalimentare permetterà la creazione di un hub che già con Sol&Agrifood comprende prodotti d’eccellenza quali olio evo, birra artigianale (Xcellent Beers), food tipico e che, attraverso B/Open, darà l’opportunità alle aziende che vogliano presentarsi con prodotti esclusivamente biologici di avere un’area dedicata all’interno del Padiglione C, favorendo così anche l’attività degli operatori professionali (photo © facebook.com/solagrifood).

www.b-opentrade.com

www.solagrifood.com

Cittadella

(PD)

Tra le mura di Cittadella, in provincia di Padova, da venerdì 14 a lunedì 17 aprile si svolgerà l’11a edizione di Formaggio in Villa. Le mura antiche, le atmosfere medioevali, i palazzi storici, le piazze e le piazzette saranno la coreografia di questa rassegna dedicata ai migliori formaggi italiani, ai salumi e ai prodotti di tendenza per la cucina. In contemporanea andrà infatti in scena anche il Salone dell’Alta Salumeria con le migliori specialità norcine italiane. Una bella occasione per far conoscere i salumi della tradizione e le produzioni di nicchia artigianali. Non mancheranno laboratori e masterclass con degustazioni di formaggi e salumi guidate da produttori e da esperti del settore (photo © ilviaggiatore-magazine.it). formaggioinvilla.it

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 12

Milano Rho

Sarà centrale il tema sostenibilità nell’edizione 2023 di Tuttofood — in calendario a fieramilano dall’8 all’11 maggio — con la prima edizione in condizioni pre-pandemiche che lascia già presagire numeri di grande rilevanza. Questo evento fieristico, il più importante e atteso dell’anno, non sarà solo una piattaforma internazionale di incontro tra domanda e offerta, ma anche un momento di formazione, condivisione e riflessione grazie a contenuti di qualità, che si esprimono in un ricco palinsesto di eventi e autorevoli partnership.

Ci sarà il ritorno di Retail Plaza by Tuttofood, un format unico in cui le grandi insegne della distribuzione italiana e mondiale interagiscono con le aziende e gli altri stakeholder in uno stretto dialogo difficilmente ottenibile in altri contesti. Confermata anche per quest’anno la collaborazione con il Retail Institute. Realizzata in collaborazione con Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, la Taste Arena sarà un luogo in cui incontrare i grandi protagonisti della nostra cucina, ma anche l’inizio di un viaggio internazionale che mixa i sapori del mondo con la genuinità italiana alla ricerca di uno stile alimentare più consapevole, responsabile e sostenibile. Guide di questa esplorazione saranno gli ambasciatori GIANFRANCO PASCUCCI, patron di Pascucci al Porticciolo (Fiumicino); GIANCARLO PERBELLINI, titolare di Casa Perbellini (VR); MARCO SACCO, titolare de Il Piccolo Lago (Verbania); ANDREA SCARPATI, patron di Sapori Restaurant (Leicester, UK). A sua volta, Evolution Plaza sarà il palcoscenico dove condividere le più recenti innovazioni delle tecnologie digitali riguardanti e-commerce, food delivery, app, tecnologie di supporto e blockchain. Su questi temi si confronteranno esperti di tecnologia, nuove applicazioni, soluzioni di ultima generazione in campo agroalimentare. La Start Up Area sarà invece una vetrina in cui le realtà più giovani e dinamiche presenteranno i prodotti innovativi, creando e raccontando gli sviluppi della loro gamma in continua evoluzione. È prevista anche la presentazione di implementazioni di prodotti nuovi, oppure significativamente migliorati. Infine, l’Enoteca a cura dell’Unione Italiana Vini: un’area evento dedicato al buon vino in cui sarà possibile partecipare a degustazioni, convegni e seminari per poter conoscere, riconoscere ed apprezzare al meglio la vite e alla viticoltura con un approccio nuovo improntato al networking, nell’ambito del settore Tuttowine

Quest’anno la manifestazione punta ai numeri pre-Covid in tutti i settori tra cui Tuttogrocery, Tuttoseafood e Tuttofrozen e con la partecipazione di tutti i grandi nomi del settore. Non mancheranno top player e forte presenza estera anche nei settori Tuttomeat e Tuttodairy, oltre alla presenza di consorzi italiani DOP e IGP e di collettive estere, che permetteranno un ancora più incisivo approccio collaborativo di filiera. I consorzi italiani includono, tra gli altri: Aceto Balsamico di Modena, Finocchiona, Formaggio Gorgonzola, Formaggio Montasio, Mozzarella di Bufala Campana, Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano, Pasta di Gragnano, Pecorino Toscano, Prosciutto Toscano

Nell’edizione 2023 Tuttofood riproporrà l’iniziativa Tuttogood, in collaborazione con Banco Alimentare e altre realtà del terzo settore, tra le quali Pane Quotidiano, che negli anni ha permesso di recuperare tonnellate di alimenti utilizzabili al termine delle giornate di manifestazione (photo © tuttofood.it). tuttofood.it

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Salame Contadino riservaSenape di rafano

È un salame tipico dell’Emilia-Romagna, ha una grana a macina media e viene prodotto da Clai con sole carni magre, quelle più pregiate dei suini 100% italiani della Filiera di allevatori Clai. Il salame del Contadino è insaccato in budello naturale e legato a mano. Stufato, asciugato e stagionato in speciali celle di mattoni, all’assaggio ha un gusto delicato ed è molto profumato. Per la foto l’abbiamo tagliato dritto ma regola vuole che sia tagliato in diagonale, ovviamente a coltello, con la fetta dello spessore di un grano di pepe. Da gustare con pane, piadina romagnola, gnocco fritto o crescentine calde.

>> Link: clai.it

Non solo salumi o prodotti da forno. Al giusto würstel, la giusta senape, in questo caso quella prodotta da Arthur’s Mountain Meat by Pretzhof. Questa senape al rafano biologica è perfetta per chi ama la piccantezza del kren. Dal sapore autentico e deciso, viene prodotta utilizzando acqua, semi di senape, aceto di spirito, rafano (13,5%), sale marino, spezie ed erbe aromatiche.

Perfetta in abbinamento ai Meraner sempre di Arthur’s Mountain Meat.

>> Link: mountain-meat.it

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 14 FOTOGRAFATI E MANGIATI

StuzzichinoSalame senza conservanti

Fa parte della linea “Piccoli salami” del salumificio Franceschini Gino & C. di Spilamberto (MO), azienda molto conosciuta per i suoi eccellenti salumi cotti (cotechini, zamponi, stinchi) oltre ai ciccioli (frolli e secchi) e ad un’ampia varietà di salami (tra cui il “Modena”). Qui l’assaggio del loro Stuzzichino, un piccolo salame dal gusto dolce e raffinato, che viene realizzato dai norcini modenesi con tagli di carne magre e delicate, macinate a grana medio/fine. Segue una breve stagionatura di 7/15 giorni.

È un prodotto piacevolissimo, perfetto per uno spuntino veloce o un aperitivo. In abbinamento ad un pezzo di gnocco fritto e un calice di Lambrusco di Sorbara DOC Rosato di Cantina della Volta.

>> Link: franceschinigino.it

Tra le colline del Monferrato astigiano, a Ferrere (AT), l’Agrisalumeria Luiset alleva suini, anche all’aperto, dai quali ricava sia carne di maiale fresca che tipici salumi piemontesi. Abbiamo assaggiato il loro Salame senza conservanti o Salame naturale senza salnitro. La sua realizzazione parte dalla selezione delle carni dei maiali di proprietà, aromatizzate prima della macinatura con sale e un misto di spezie. Segue l’insacco in budello naturale e una lenta stagionatura per parecchi mesi. In abbinamento ad un calice di bollicine piemontesi dà il meglio di sé.

>> Link: agrisalumeria.it

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 15

BOTTEGA MODERNA

Un bosco in salumeria

Il design d’interni per la ristorazione è da tempo in fase di rinnovamento. Oggi i clienti di ristoranti e bar cercano un’esperienza che va oltre il semplice piatto o cappuccino consumato a banco. Anche nelle botteghe alimentari è tempo di evolvere verso un allestimento più “creativo”, capace di accogliere il cliente in un contesto maggiormente identitario. La carta da parati per la salumeria e la bottega di gastronomia può essere un’ottima soluzione, dati i costi contenuti e il sicuro forte impatto visivo Basta anche solo un muro del locale o una porzione di parete per rinfrescare il look del negozio. Pratica da installare, di lunga durata e anche facile da pulire. Un’idea in più? Data la tendenza a rimarcare i temi della sostenibilità e della tutela dell’ambiente, battezzate una zona del locale e trasformatela in un bosco, magari al tramonto!

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 16

So

Che sia per una salumeria dal mood tradizionale o un locale dallo spirito più contemporaneo, certo è che l’allestimento del soffitto con prosciutti, culatelli, coppe o altri salumi appesi conferisce subito calore e un qualcosa che rimanda ad un’idea di casalingo, di fatto in casa, di homemade. Un giusto mix tra antichi sapori e modernità l’abbiamo trovato in questo allestimento ad opera di OMIF nella salumeria-macelleria Terra di Siena a Poggibonsi (SI). “Il fil rouge di questo allestimento ha un chiaro richiamo al nome di questa storica macelleria. La parte anteriore dei banchi è rivestita da montanti in legno con bozze e cornici ed è stato verniciato a mano con effetto sfondato. La vetrina refrigerante, novità introdotta negli elementi di arredo, è stata rivestita da un pannello in corten traforato con logo annesso. Un progetto pensato ad hoc riguarda la cassa mobile per poter accedere alla parte posteriore dell’arredo realizzata in stile industrial, con vetrina anteriore in ferro nero naturale”. Designed by studio OMIF (photo © omif.it).

ffitto mosso

LA COPERTINA ESPLOSA

Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori DALSALUMIFICIOALLASALUMERIANONSTOP Anno XXXV N. 2 Marzo-Aprile 2023
Autorizzazione d Consorzio d Prosciutto d Parma d 21-4-98 D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O Anno XXXV N. 2 18
Premiata Salumeria Italiana, 2/23
LA COPERTINA

Bresaola della Valtellina IGP, grazie al ridotto apporto calorico (50 grammi assicurano l’introito di 76 kcal) e all’elevato contenuto in proteine ad alto valore biologico e di facile digestione, è ritenuta il giusto ingrediente per una merenda genuina e nutriente. Un panino del peso di 40 grammi circa, accompagnato da 30 grammi di Bresaola della Valtellina IGP, fornisce 158 kcal, con 25 grammi di carboidrati e 13 grammi di proteine. Se fatto in questo modo, un break durante le lezioni garantisce ad un bambino i giusti apporti di energia, per il prosieguo della giornata, e di amminoacidi, fondamentali per la creazione di nuovi tessuti. Per chi preferisce una colazione salata, la Bresaola della Valtellina IGP è ideale magari accompagnata da un croissant integrale, qualche mirtillo e una bella spremuta d’arancia, come la copertina di questo numero. Un bilanciamento perfetto tra proteine e carboidrati per una partenza leggera e piacevole (fonte: bresaolavaltellina.it).

B inte una parte

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Premia

TRE DOMANDE a Guido Mongiorgi

di Gaia Borghi

La Bottega del Macellaio è una storica macelleria, salumeria e gastronomia, nonché ristorante, con oltre 120 anni di attività, che fa bella mostra di sé, fin dalla sua apertura, allo stesso indirizzo sotto i portici di mattoni della piazza principale di Savigno, in provincia di Bologna. Una piccola ma deliziosa cittadina che, insieme a questa bottega, è tappa obbligata per tutti gli appassionati del prodotto principe del territorio ovvero il tartufo bianco pregiato. La Bottega del Macellaio è un vero e proprio Tempio della buona carne e dei buoni salumi, annoverato fra le “Botteghe Storiche” della regione Emilia-Romagna e guidato con passione e grande professionalità da Guido Mongiorgi e dalla sua famiglia, con il figlio Amedeo a curare la

comunicazione, le pubbliche relazioni e la gestione del ristorante e la moglie Anna Amato , catanese di origine, padrona incontrastata della cucina, da cui escono ricette che spaziano dai classicissimi tortellini bolognesi ai tortelloni alle 3 ricotte della Valsamoggia fino alla parmigiana di melanzane alla siciliana passando per una indimenticabile torta di riso. “Quando mio padre ci lasciò prematuramente, avevo appena 16 anni: era il 1969. Nonostante la giovane età decisi che quello del macellaio sarebbe stato il mio mestiere. Con orgoglio ho portato avanti nel tempo il lavoro che fu dei miei nonni e di mio padre” racconta Guido sul sito labottegadelmacellaio.com. Appassionato tartufaio, Guido Mongiorgi si occupa in prima persona della selezione degli

animali che acquista per il reparto macelleria della bottega e, non di meno, è un esperto norcino, che produce in proprio salami, salsicce, ciccioli e altre golosità suine che si possono acquistare in negozio. Ed è a lui che abbiamo rivolto le tre domande che caratterizzano questa rubrica.

Quanto è cambiata la professione di salumiere negli ultimi 10 anni?

«C’è stato un forte cambiamento dovuto all’evoluzione di una società che è costantemente alla ricerca dell’esclusività e di prodotti che hanno una storia da raccontare. Trent’anni fa la mia bottega comprendeva un banco carni e un banco salumi, poi, grazie a mia moglie Anna, abbiamo introdotto un grande reparto gastronomia e pasta

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 22 DIETRO AL BANCO

fresca, fino ad arrivare ad aprire il ristorante nella cantina storica dove stagionavo i miei salumi. Tutto questo credo rappresenti una sorta di evoluzione dinamica e costante, che, però, non dimentica (almeno nel nostro caso) la tradizione, che ritengo sarà sempre la chiave per il successo di chi sceglie questa professione. Per le nuove leve, ma anche per chi come me da oltre 55 anni fa questo mestiere, lascio qui una grande citazione di BRUCE SPRINGSTEEN: “baby, we were born to run”».

Cosa cercano oggi i clienti?

«Posso dirmi soddisfatto sia dei clienti storici che di quelli nuovi: negli ultimi anni ho notato che c’è stato un ritorno alla tradizione e alla genuinità per quanto riguarda il cibo. Ritengo

che in generale siamo tutti un po’ saturi del ristorante o della bottega che serve una scatoletta di tonno con i cracker descrivendola con espressioni del tipo “tonno dei mari del nord adagiato su crostino di grani antichi”. Ovviamente lo dico con il sorriso, cercando di far passare il concetto. Per fortuna insomma tante persone oggi cercano il prodotto davvero genuino, a km 0 e frutto della passione di chi fa questo mestiere nel rispetto delle tradizioni».

Quanto è importante l’esposizione dei prodotti, dentro e fuori dal banco?

«Anche se il prodotto ha una forte base qualitativa, penso che l’esposizione e l’estetica, in particolare di questi tempi, rappresentino il 50% dell’impatto iniziale, che è solamente quello visivo.

È quindi per noi molto importante dedicare il giusto tempo anche alla parte “estetica”, che parte dalla preparazione del prodotto e finisce con il suo confezionamento. In tutto questo ci ha aiutato molto anche l’evoluzione del settore del packaging e di banchi frigo innovativi sempre più attenti alla valorizzazione di ciò che contengono. Ci tengo parecchio ad esporre bene i miei prodotti perché credo che una buona estetica, insieme al gusto, renda onore al mio lavoro».

La Bottega del Macellaio

Via Marconi 2

40060 Savigno (BO)

Telefono: 051 6708152

E-mail: info@labottegadelmacellaio.com

Web: labottegadelmacellaio.com

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Photo © Nikoboi

Quando l’oste è sull’uscio, l’osteria è vuota

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 24 BREVI STORIE DI CIBO LENTO A VELOCITÀ CONTEMPORANEA
di Alessia Morabito (illustrazioni di Alessia Serafini)

Quando i locali preferiti sono geograficamente lontani diventa un problema. Metti adesso, per esempio, due mesi di lavoro matto e senza sosta e, quando finalmente mi posso fermare, vorrei andare a passare una serata e ricaricarmi a 300 km di distanza. Sogno il tavolone condiviso dell’Osteria More e Macine a La Morra (CN), nelle Langhe, tra le colline ordinate del Piemonte. E no, non posso proprio andarci perché casa è diventata un magazzino caotico e devo riportarla alla decenza prima di diventare pazza.

Sotto l’etichetta generalizzata della ristorazione di sempre, abbiamo tutta una serie di sottocategorie specifiche a coprire i bisogni fisici e mentali anche del viandante contemporaneo: locanda, taverna, trattoria, osteria, enoteca, quante sfumature! E ognuna di queste attività è entrata di diritto tra le mie preferite quando ad aspettarmi, che fossi in compagnia o in solitudine, c’erano un tavolo comune o un bancone con gli sgabelli e un oste, non sempre di buon carattere.

Dalla cucina pochi piatti fatti bene, salumi e formaggi scelti tra i buoni, alla mescita bottiglie di vino scacciavoglie tra le quali

scegliere o da condividere con l’oste e gli altri clienti. Il servizio informalissimo, prevalentemente serale, ma questo dipende dalla vocazione di ogni gestore. In questi locali si entra da estranei e si esce da amici, non è più il tempo del discorrere di politica o poesia ma ancora può succedere, oppure si mette un punto alla giornata di fronte ad un bicchiere, il bravo oste non chiede, parli tu quando e se ne hai voglia.

In Toscana si dice “Quando l’oste è sull’uscio, l’osteria è vuota”. I miei osti preferiti son sempre affaccendati. Nei miei anni grossetani, finito il lavoro in cucina, prima di andare a letto, scappavo al bancone di Bea e Roberto: è dal loro locale che la mia curiosità per il vino è cresciuta di vita propria rivendicando indipendenza dal cibo strutturato e cucinato tipico della mia professione, mi mancano molto.

Dopo anni mi son sentita allo stesso modo nel tavolo comune del locale di Ito e Steve. Li avevo incontrati in una enoteca “chic” della mia attuale città, ho provato subito grande simpatia e forte curiosità per il loro locale. Sono arrivata a More e Macine durante una vacanza vera, col mio compagno. Sediamo, sorrisi. Per convenevoli Steve ci sceglie un vino e ci porta due fette spesse di salame rosa, tagliato al coltello: è salame cotto.

Il salame cotto, “salam cheuit”, è l’istituzione gastronomica popolare del Piemonte, era il “cibo pronto” per far cena dei contadini, lo scheletro portante della “merenda sinoira”, una sorta di apericena (parola tremenda) ante litteram.

Rifilature di maiale, grasso di gota o gola, aglio macerato nel vino e spezie dolci come cannella, chiodi di garofano e noce moscata ne tradiscono la radice molto antica. La procedura vede la carne macinata, salata e pepata, drogata, poi insaccata nel budello detto tascone e subito cotta (vapore o bollitura). Ce n’è una versione che si mangia calda e svariati fratelli in tutta Italia come la mortadella di Prato IGP o il salame rosa bolognese. È riconosciuto come prodotto agroalimentare tradizionale italiano (PAT) ed è in via di riconoscimento quello del Monferrato come futura IGP.

Il profumo è delicato e dolce, il sapore morbido ma di personalità, lascia la bocca pulita e risulta molto digeribile. Il mio abbinamento preferito è col peperone in agrodolce e un’acciughina dissalata, così, in contrappunto.

Penso che il successo vero di un locale sia la nostalgia e la voglia di tornarci, più che la soddisfazione dell’esperienza d’esserci stati una volta. L’oste è un mestiere potente ed io amo i posti che possono diventare un’abitudine. Oggi che sono a casa in burnout, di fronte ad un cumulo di vestiti da stirare, i grembiuli ingarbugliati, i libri per i corsi mollati all’ingresso, fatture e preventivi da inviare, guardo il vetro della finestra e la immagino bicchiere, con lo sguardo disegno linee astratte per colline al posto dei condomini, sogno Ito e Steve che mi versano Pinot nero e mi porgono fette di salame cotto volteggiando come farfalloni. Giovanni, apri un vino e facciamo merenda.

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 25

1. Savigni, passione di famiglia

La comunicazione dei Savigni, allevatori bio della montagna toscana di Cinta senese, Chianina e Sambucano, è da sempre inconfondibile, con quel bel colore rosa intenso che li caratterizza e la loro filosofia legata al territorio, alla qualità attraverso l’intera filiera, sempre una certezza! “Per noi la carne è passione, lavoro, impegno. Ed è soprattutto famiglia. Dietro ogni nostro prodotto, fresco o stagionato, ci siamo noi: Fausto, Paola, Nicolò e Mileto”: sul sito savigni.com potete scoprire la loro storia ed accedere allo shop on-line, mentre su instagram.com/savignilamacelleriaagricola seguirete il loro mondo (in foto, lonzino da suino Sambucano Savigni).

2. Olio evo, serie web con Massimiliano Ossini

Che cos’è? Una serie innovativa sull’olio extravergine di oliva, un viaggio in Italia alla scoperta del gusto e del patrimonio immenso di oli extravergine d’oliva presenti nel nostro Paese. MASSIMILIANO OSSINI, con l’esperta CARLOTTA PASETTO, nella prima puntata ci porta sul Lago di Garda, alla scoperta dei fruttati leggeri. “Olio extravergine di oliva-Lo Straordinario quotidiano” è una serie di tre episodi per il web realizzata dall’Ismea, Istituto di Servizi per il Mercato agricolo alimentare per conto del Ministero dell’Agricoltura, nell’ambito della campagna di comunicazione e informazione sul consumo di olio di oliva: www.youtube.com/@IsmeaServizi

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 26 IL FOOD IN RETE
SOCIAL di Elena
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FOOD

Benedetti

3. Sorsi di grappa

Su Grappa News (grappanews.com) è stata inaugurata Sorsi di grappa, una nuova rubrica in cui si propone questa eccellenza italiana secondo la formula innovativa del Codice Sensoriale Grappa e con la collaborazione del Centro Studi Assaggiatori. La prima puntata spiega perché la grappa è un’acquavite unica; seguono i ritratti delineati dalla legge, dalla chimica e dall’analisi sensoriale scientifica, andando alla fonte del suo aroma primario (territori e vitigni), del potenziamento che avviene con la fermentazione, della scultura generata dalla distillazione e dell’eventuale elevazione in legno o abbinamento con le piante officinali.

4. Jerky Club

carneseccaitalia.it è sviluppato da BEJERKY SRLS ed è il primo sito in Italia dedicato al mondo della carne secca, in cui è possibile reperire la migliore carne secca in circolazione. Ci si trova di tutto: carne secca italiana, beef jerky, biltong, barrette, ideali per gli sportivi, e coppiette. Snack proteici, poco calorici, perfetti per un aperitivo o una pausa diversa dalla solita pizzetta o panino. Sul sito c’è lo shop on-line e la possibilità di accedere al “Club” per ottenere crediti a fronte degli acquisti sostenuti, oltre a sconti personali, edizioni limitate e gadget e sorprese. Da seguire anche su instagram. com/carneseccaitalia

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 27
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Nasce

Academy Trust

Your Taste, nuova

iniziativa

di formazione di ASS.I.CA. rivolta a salumieri, banconisti e macellai

Se i consumatori diventano sempre più esigenti, i professionisti devono tenere il passo: quando si parla di carne di maiale la sostenibilità, gli aspetti nutrizionali e la sicurezza sono le tre domande più attuali, e salumieri, banconisti e macellai sono chiamati a fornire risposte adeguate. Per supportare la formazione e l’aggiornamento di questi operatori, ASS.I.CA., l’Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi aderente a Confindustria, ha ideato la sua nuova “Academy”: un articolato percorso di formazione on-line, con docenti d’eccezione e nove tematiche di approfondimento. I professionisti che la frequenteranno, dopo un test di valutazione, otterranno un attestato come professionista “Trust Your Taste Certified”. La nuova proposta formativa è interessante anche per tutti i consumatori consapevoli e attenti alle proprie scelte di acquisto e alimentazione. «Il settore si è evoluto moltissimo negli ultimi anni» ha dichiarato Davide Calderone, direttore ASS.I.CA. «Anche se le ricette tradizionali dei nostri salumi non sono cambiate, sono incredibilmente migliorati l’efficienza dei processi produttivi, l’attenzione all’ambiente e al benessere animale, e i profili nutrizionali, sia della carne che dei salumi. È giusto che tali progressi vengano conosciuti, in primo luogo dagli operatori che ogni giorno raccontano e propongono i nostri prodotti ai consumatori. Sono professionisti con un compito importante e di responsabilità, nei confronti dell’intera filiera. L’Academy nasce per rispondere ad una loro esigenza di aggiornamento e qualifica professionale che la nostra associazione aveva registrato da tempo e si focalizza proprio sulle questioni più attuali e dibattute». L’Academy vanta anche la partecipazione di Fabrizio Nonis, alias “el Beker”, macellaio gastronomo, volto e produttore TV, grande estimatore ma soprattutto divulgatore della carne. A lui sono affidati consigli pratici su come allestire il banco e proporre i vari tagli, con l’obiettivo di ridurre il più possibile lo spreco, sapendo proporre e valorizzare tutte le parti dell’animale per le loro caratteristiche peculiari. Ma Nonis lancia anche un appello ai macellai perché rivendichino con orgoglio la loro professione, un lavoro nobile, antico, che oggi riveste un ruolo notevole nel contribuire ad un sistema più sano, più etico e più sostenibile. Proprio alla sostenibilità è dedicata l’intera lezione di Monica Malavasi, direttore dell’Istituto Valorizzazione Salumi Italiani (IVSI).

Trust Your Taste, Choose European Quality

L’Academy nasce nell’ambito di Trust Your Taste, Choose European Quality, il progetto promosso da ASS.I.CA. e co-finanziato dall’UE volto a migliorare il grado di conoscenza dei prodotti agricoli dell’Unione attraverso la promozione della cultura produttiva di salumi e carne suina e la valorizzazione degli standard europei e della tradizione storica che contraddistingue questo comparto. La storia dei salumi, i salumi oggi, le denominazioni geografiche di qualità DOP e IGP, i controlli e la normativa relativi, i tagli di carne, i prodotti da banco, i consigli antispreco, la carne suina nella dieta e la sostenibilità sono i titoli delle 9 lezioni.

>> Link: www.trustyourtaste.eu

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il gusto di casa in ogni momento

Soave e Soavius

100% ARTIGIANALE SENZA CONSERVANTI PRODOTTO NATURALE SUINO NATO E ALLEVATO IN ITALIA

RE NORCINO:

UNA QUESTIONE DI TAGLIO

L’azienda di San Ginesio (MC) ha portato al Taste di Firenze la spalletta e il prosciutto crudo di maiale semibrado tagliati a coltello dal cortador italiano Mirko Giannella.

Qualche domanda a Giuseppe Vitali su questa novità e sul progetto allevatoriale che ne sottende la produzione

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Giuseppe Vitali, Mirko Giannella e Stefano Antognozzi. «Con Mirko ci conosciamo e stimiamo da tempo» mi ha detto Giuseppe. «Su suo stimolo abbiamo incominciato a fare delle prove di taglio sulla nuova linea di salumi semibrado (sale e pepe). Crediamo che il giusto taglio sia l’unica via per onorare e valorizzare un animale vissuto quasi due anni all’aperto e fino a tre anni di stagionatura naturale».

Re Norcino è un’azienda marchigiana di spicco nel settore salumiero, riconosciuta da tempo su tutto il territorio nazionale e oltre per la bontà e la qualità delle sue produzioni artigianali, a partire dal più noto dei salami tipici regionali, il ciauscolo. L’azienda è di proprietà della famiglia Vitali e, dal 1957, “coltiva, alleva, produce e vende”. Quattro fratelli, Giampiero, Gianluca, Massimiliano, Giuseppe, e le loro famiglie, insieme al cugino Stefano Antognozzi, che si giostrano tra allevamento, laboratorio di produzione, negozio, amministrazione e uffi cio vendite, garantendo alla propria clientela il controllo completo della filiera. Rigorosamente marchigiana.

In occasione di Taste edizione 2023 abbiamo incontrato Giuseppe, che al salone fiorentino ha portato, tra gli altri prodotti, la spalletta di maiale semibrado e il prosciutto semibrado

tagliati a coltello da Mirko Giannella, cortador romano maestro nel taglio dello Jamón spagnolo.

I due salumi firmati Re Norcino sono disponibili nella praticissima confezione sottovuoto da 100 grammi e permettono di capire davvero quanto il “taglio” sia importante nella degustazione di un salume, prosciutto in primis. Perché un taglio sbagliato può alterare la percezione corretta di un prodotto e, soprattutto, non valorizzarlo al meglio.

Giuseppe, come e perché è nata la collaborazione con Mirko?

«Con Mirko è nata un’amicizia e una collaborazione a Roma ormai dieci anni fa. Oltre ad essere una persona vera, con cui non occorre altro che una stretta di mano, Mirko è un grande professionista innamorato del proprio lavoro. Dette queste due cose, l’equazione è presto fatta e su suo stimolo abbiamo incominciato a fare delle prove di taglio

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sulla nuova linea di salumi semibrado (sale e pepe). Mirko si è specializzato nel taglio “spagnolo” ancora prima della pandemia. Crediamo che il giusto taglio sia l’unica via per onorare e valorizzare un animale vissuto quasi due anni all’aperto e fino a tre anni di stagionatura naturale Last but not least, la resa del prodotto è differente e molto più alta rispetto agli altri tagli».

Quali sono le razze suine utilizzate per la produzione dei due salumi e le caratteristiche del loro allevamento a carattere semibrado?

«Le razze che impieghiamo sono italiane. In particolare all’aperto mettiamo un nostro incrocio di tre razze autoctone che danno resistenza e la rusticità fondamentale per l’allevamento all’aperto dopo 6 anni di prove in collaborazione con Bottega Liberati di Roma.

Purtroppo il Nero marchigiano si è estinto fra le due guerre mondiali, in tempo di ristrettezze, a favore delle razze anglosassoni più produttive. Non essendo inclini ad allevare razze

autoctone con nomi che riportano ad un toponimo preciso, che non è quello marchigiano, abbiamo deciso di creare un nostro ibrido chiamato “Nero Renorcino”».

Coscia di suino, o spalla di suino semibrado, sale, pepe e aglio: un’aromatizzazione semplice che esalta il sapore della carne e una bella sapidità al palato. Il profumo di un salume fatto bene, come si deve, con una stagionatura che viene effettuata nel casale ottocentesco di proprietà restaurato negli anni ‘80: locali in cui si è creato quel microclima ideale per la produzione dei lieviti e delle muffe naturali che fanno maturare il salume. Approfondiamo meglio questo aspetto…

«Due tagli, prosciutto e spalla, stagionati a mille metri nei nostri Appennini, nel bel mezzo dei boschi di faggio che purificano e profumano l’aria che arriva da 2500 metri di altezza. La stagionatura dipende dalla grandezza del prosciutto, da un minimo di 24 mesi per le pezzature più piccole fino ai 36 ed

oltre dei più grandi, con sale pepe aglio sugna e tempo, nient’altro. Stagionatura di montagna in quei luoghi che hanno visto i natali della norcineria».

Con quale bevanda (vino o birra) abbineresti i due salumi per una degustazione perfetta?

«La bevanda giusta secondo me può essere qualsiasi bevanda che abbia acidità e struttura pronunciata per contrastare un grasso saporito e lunghissimo ed una proteina molto saporita di una sapidità intrinseca, al di là del sale di stagionatura. Potremmo spaziare da un Brut Nature “60” di Casa Caterina, passando per un bianco speciale marchigiano, lo “Stella Flora” dei nostri amici della cantina Maria Pia Castelli, a un rosato da Cerasuolo, mi viene in mente “Le Cince” della cantina De Fermo, per finire con un rosso, sceglierei una Barbera con una leggera carbonica, magari di Braida».

>> Link: www.renorcino.it

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La nuova linea di salumi Re Norcino viene realizzata con le carni di un suino ibrido chiamato “Nero Renorcino” allevato allo stato semibrado e stagionato a mille metri, nel bel mezzo dei boschi di faggio che purificano e profumano l’aria.

TRA ARTIGIANALITÀ E INNOVAZIONE

Alla scoperta del processo produttivo della pasta Mannetti: intervista al responsabile di produzione Attilio Marcozzi

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Il pastificio Strampelli di Amatrice dove oggi si produce la pasta Mannetti è l’esempio calzante di azienda italiana nella quale l'artigianalità ha sposato l’innovazione tecnologica. Una realtà che segue l’evoluzione del mercato in un’ottica di impresa moderna capace, attraverso una gamma di specialità sempre più ampia e diversificata, di crescere in Italia e all’estero. Abbiamo incontrato il suo responsabile della produzione, ATTILIO MARCOZZi, per approfondire il tema del

In alto: la storia della Pasta Mannetti nasce sulle Rive del Velino, su un’area immersa nel verde e posizionata tra due parchi nazionali. Non a caso, la pasta Mannetti può vantare su alcuni prodotti il riconoscimento PAT della Regione Lazio, che valorizza ancor di più l’unicità e il forte legame con il territorio in cui è nata. A sinistra: una pasta lunga, ruvida e porosa che raccoglie e trattiene i condimenti, i Bucatini bio Mannetti sono il formato tradizionale per preparare l’Amatriciana.

processo produttivo della pasta in un contesto di realtà artigianale, profondamente legata al proprio territorio e vocata all’efficienza tecnologica.

La produzione della pasta italiana è stata sempre molto apprezzata in tutto il mondo per i suoi processi di lavorazione autentici e che oggi vengono combinati alle tecniche all’avanguardia garantendo così un prodotto nazionale d’eccellenza. Qual è il segreto della vostra pasta Mannetti?

«Cominciamo dal nostro territorio. Ci troviamo ad Amatrice, nella provincia di Rieti. Siamo situati ad oltre 1.000 m s.l.m., in un ambiente incontaminato, immerso nel verde dei due Parchi Nazionali del Gran Sasso e Monti della Laga. La sua posizione strategica ci permette di sfruttare tutto ciò che ci circonda: aria purissima della montagna e acqua freschissima dalle vicine sorgenti

L’ingrediente principale è il nostro grano e per questo lo scegliamo sempre con molta attenzione, rigorosamente dai

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migliori campi, rigorosamente 100% made in Italy. Inoltre, per la linea Retail viene utilizzato esclusivamente il grano duro BIO, per garantire la massima purezza dei nostri formati: spaghetti e bucatini, con la particolare lavorazione ad archetto, e mezze maniche. Il grano viene unito all’acqua e miscelato per almeno 30-40 minuti, il tempo da rispettare per non rovinare i legami del glutine. Questo processo avviene nella pre-impastatrice centrifuga, la cosiddetta premix, che garantisce una perfetta idratazione dell’impasto senza provocare il riscaldamento del prodotto e assicura un basso consumo energetico».

Come si ottiene l’aspetto ruvido della pasta e perché è così importante?

«Dalla vasca premix si passa successivamente a quella di estrusione ed è grazie alle trafile che si determina anche il formato di pasta. È proprio qui che l’impasto assume la perfetta ruvidità e porosità. Tale aspetto è cruciale per una pasta artigianale che assorba perfettamente qualsiasi condimento. I formati della pasta corta si ottengono attraverso un taglio con un coltello in continuo movimento, mentre la pasta lunga viene predisposta su delle apposite canne, che ne determinano la sua tipica forma artigianale ad archetto. La

Una fase cruciale della produzione: «Il processo di essiccazione è davvero lungo, ma la pasta artigianale non ha bisogno di fretta, deve essere coccolata attentamente in ogni sua fase» dichiara Attilio Marcozzi

pasta viene posizionata sui telai, pronta per una delle fasi più importanti, e cioè la lunga e lenta essiccazione».

Come mai l’essiccazione richiede così tanto impegno?

«Questa è la fase di un’importanza cruciale per noi che ci distingue da tutte le altre paste. Lo step della lenta essiccazione consiste in un processo delicato e pieno di pazienza. A seconda dei formati, i telai di pasta vengono predisposti nelle apposite celle di essiccazione ad una bassa temperatura di 40-45°, per un periodo di tempo che varia da 24 a 52 ore. Il processo è davvero lungo, ma la pasta artigianale non ha bisogno di fretta, deve essere coccolata attentamente in ogni sua fase.

L’intero processo dell’essiccazione viene costantemente monitorato, e oggi, grazie alle innovazioni, anche da remoto. Tale processo è fondamentale, in quanto la pasta deve risultare elastica, di ottima consistenza e deve garantire

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L’essiccazione della pasta, una fase cruciale nel processo di produzione; un processo delicato e pieno di pazienza, costantemente monitorato, anche da remoto.

la perfetta tenuta in cottura. Conclusa la fase dell’essiccazione si procede con il controllo umidità con le termo-bilance, dove il valore deve essere uguale o inferiore a 12,5%».

E così la pasta è pronta per essere confezionata?

«Non esattamente. Prima di procedere con il confezionamento, è necessario eseguire le più scrupolose prove di cottura al fine di verificare una varietà di parametri, tra i quali: gli esatti tempi di cottura, la giusta consistenza della pasta e il suo mantenimento durante la cottura. Si verificano anche gli aspetti visivi e olfattivi del nostro prodotto finale: ci assicuriamo che il colore sia giallo ambrato e che la sua consistenza sia tenace ed elastica e che la pasta abbia un delicato profumo di semola. E solo ora, una volta approvate le prove cotture, si ottiene l’autorizzazione al confezionamento. Proprio in questa fase, l’innovazione usata nei

processi precedenti lascia posto al tradizionale metodo di confezionamento che avviene rigorosamente a mano, come una volta.

La pasta viene inserita in sacchetti a fondo quadro e completamente riciclabili nella carta, che vengono termosaldati, poi si procede alla stampa del numero del lotto e del termine minimo di conservazione ed infine al controllo con il metal detector, tutto nel rigoroso rispetto delle normative. Conclusa questa fase, i sacchetti vengono messi dentro ai cartoni di carta, predisposti su dei pallet e pronti per essere destinati ai nostri clienti».

La pasta Mannetti è certificata PAT del Lazio. Cosa significa e quanto è importante oggi possedere tale riconoscimento?

«I Prodotti Agroalimentari Tradizionali laziali (PAT) sono riconosciuti dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (oggi MASAF), su

proposta della Regione Lazio. È l’unica sigla di qualità che è attribuita dalla Regione: l’obiettivo è di valorizzare le specialità locali ottenute con metodi di lavorazione artigianali. E la nostra pasta Mannetti ne fa orgogliosamente parte con i suoi 3 formati da 500 grammi: spaghetti, bucatini e mezze maniche, perfetti per le ricette della tradizione culinaria italiana».

>> Link: www.mannetti.it

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@mannettidal1920

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Il confezionamento della pasta viene fatto a mano. I sacchetti sono a fondo quadro e sono completamente riciclabili nella carta. Dopo la termosaldatura si procede con la stampa del lotto e del termine minimo di conservazione.

SAN BONO premiata per la prima volta dal Gambero Rosso

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Lo storico salumificio San Bono , specializzato nella produzione di salumi tipici del territorio piacentino, è tra le cinque aziende di Piacenza e provincia recensite dalla Guida “Grandi Salumi 2023” del GAMBERO ROSSO, che raccoglie la miglior produzione norcina italiana. Nella nuova edizione, l’azienda si è distinta con tre dei suoi prodotti di punta: Pancetta Contadina, Salame Gentile Classico e Salame Piacentino DOP

La Pancetta Contadina si è aggiudicata 2 Fette — attribuite ai salumi molto buoni ed equilibrati — e viene descritta come “una promessa mantenuta al palato, dove la dolcezza incontra una buona sapidità e un ritorno di spezie in una struttura dal grasso particolarmente fondente”. La guida celebra uno dei prodotti più apprezzati dell’azienda pontoliese definita una pancetta stile rural-chic, verace e vivida.

Anche al Salame Gentile Classico, tra i cavalli di battaglia del salumificio, sono state assegnate 2 Fette grazie ai suoi “aromi vivaci centrati su carne

mediamente stagionata, leggeri sentori di aglio, pepe, spezie, vino, cantina e richiami agrumati”

Infine, il Salame Piacentino DOP, tra le eccellenze del territorio, è stato premiato con 1 Fetta per “il profilo aromatico verace e immediato”

Fondata nel 1940 da Gaetano Piazza, detto Tanino, e oggi portata avanti dalla terza generazione, l’azienda è stata in grado di unire la tradizione alle più moderne tecnologie, riuscendo così a crescere e distinguersi nel panorama italiano. Ogni prodotto della collezione San Bono è realizzato solo con materie prime di alta qualità, provenienti da fornitori selezionati, e lavorati rigorosamente a mano, secondo i dettami della cultura gastronomica piacentina. Mani esperte lavorano con passione, creatività ed estrema cura nei dettagli, mentre il rispetto dei corretti tempi di stagionatura permette di portare sul mercato e sulla tavola il gusto e il sapore unici di queste terre.

>> Link: www.sanbono.it

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Cotture

MEGGIOLARO: DAL 1978 LA RICETTA DI

UN’ECCELLENZA ITALIANA

Passare dall’umiltà della Porchetta di Nello e Marina a L’Arroganza (nome commerciale), prosciutto cotto Gran Riserva, dei figli ALESSANDRO e GESSICA MEGGIOLARO potrebbe suonare come un taglio netto e deciso col passato; un passaggio generazionale brusco verso una nuova visione produttiva e commerciale del salumificio artigianale di famiglia nato a Fiesso D’Artico (VE) nel 1978. «In realtà — sottolineano Alessandro e Gessica — c’è stata continuità e certamente un’evoluzione con gli anni per assecondare normative sanitarie e modalità di lavoro più stringenti e rispondere alle aspettative dei consumatori più esigenti. Tuttavia, se stiamo raccogliendo soddisfazioni e consensi (da ultimo le Tre Fette del GAMBERO ROSSO nella guida Top Italian Food 2023), lo dobbiamo a loro che, sin dalla prima ricetta, che già non contemplava l’utilizzo di additivi chimici e conservanti, hanno puntato a prodotti di nicchia e sperimentato le cotture naturali caratterizzate da lunghe ore a basse temperature».

Una storia quella della famiglia Meggiolaro che è iniziata nel mondo della ristorazione in Riviera del Brenta ed è proseguita come attività avviata per produrre porchetta sul modello della tipica coscia trevigiana. «Distribuivano nel territorio circostante, tra Padova e Venezia, e tutto sembrava funzionare. Con l’ingresso organico di mia sorella nel 2005 — ricorda Alessandro — e Alessandro e Gessica

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a bassa temperatura e assenza di conservanti per l’azienda di Stra (VE)
Meggiolaro.

poi col mio nel 2008, abbiamo cercato di ampliare e innovare sia il prodotto, che la sua promozione e distribuzione. Parliamo di un’azienda familiare piccola, snella, che piazzava i salumi col passaparola. In quel momento ci siamo trasferiti nella sede attuale miglioran-

dola, con gli anni, proporzionalmente alla crescita della quantità di materia prima lavorata e del numero di prodotti a listino.

Nuovi laboratori, nuova strumentazione e, da ultimo, la sala tasting e riunioni. Sembrava un vezzo fine a sé

In alto: coscia al forno con osso Gran Riserva. Questa selezione si caratterizza per l’utilizzo di soli prosciutti italiani PP, provenienti dai migliori allevamenti nazionali. Alle cosce viene aggiunto solo un pizzico di sale; nessun conservante o additivo. In basso: trancio di porchetta Gran Riserva. La cottura arrosto viene fatta a bassissima temperatura per circa 25 ore.

stesso ma in realtà si è rivelata un supporto importante a livello organizzativo e lavorativo».

Oggi come oggi lavorano in sei, tre dipendenti compresi, e dopo aver agganciato qualche nome grosso della ristorazione e della distribuzione sono

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Alessandro Meggiolaro: «I nostri prodotti più acclamati e premiati sono il risultato degli ultimi dieci anni di studi e sperimentazioni. D’altronde, nei periodi di crisi, invece di assecondare il cliente che ci chiedeva il prodotto più facile e meno costoso, abbiamo scelto il percorso opposto, elevando la qualità con affinamenti più lunghi e riserve»

presenti in tutta Italia e pure all’estero, soprattutto Germania e Regno Unito, Londra soprattutto. Sono acquistabili anche nella GDO, in particolare nella catena Lando. «Qualche anno fa avevamo iniziato a fornire più supermercati. Ad un certo punto ci siamo fermati non potendo assecondarne i tempi e le richieste: in particolare il fatto che i nostri prodotti non avendo conservanti hanno una shelf-life più breve e pretendono accortezze particolari». Volendo potrebbero attrezzarsi per la mescita di alimenti e bevande, gli spazi ci sarebbero. E non nascondono essere allo studio uno spazio che potrebbe diventare di fatto una sorta di locale. «Tuttavia — puntualizza Alessandro — quello sul quale più ci stiamo concentrando al momento è la possibilità di attivare dei corner in locali già esistenti e rinomati. In fin dei conti siamo in grado di spaziare tranquillamente dagli antipasti, cicchetteria, primi e secondi a seconda delle scelte e delle proposte del locale».

La rotazione per quanto riguarda la catena produttiva è piuttosto rapida. Producono quello che serve per una decina di giorni al massimo e con orari molto cadenzati e definiti dalle esigenze di ogni singolo prodotto in particolare sui tempi di cottura: i più lunghi arrivano alle 25 ore. Poi ci vogliono i giusti tempi di raffreddamento e per il confezionamento necessita una temperatura specifica.

Da Meggiolaro non lavorano solo maiale ma anche bovino, solitamente di razza Charolais, sotto forma di roastbeef, in due formati diversi, e di arrosto. C’è anche il tacchino preparato o in purezza o avvolto con pancetta di suino. Il core business resta comunque il maiale, dalla porchetta allo stinco, che copre l’80% della produzione

Ultimo nato per il quale cambia proprio la tecnica di cottura e va sottovuoto è L’Arroganza, un prosciutto cotto riserva di alta qualità che sta dando grandi soddisfazioni ed ha riscosso il plauso della critica nelle più importanti guide del settore.

« L’Arroganza , insieme alla porchetta, ci ha garantito considerazione in tutto l’ambiente e tra i consumatori. Per quanto riguarda la materia prima anche noi cerchiamo il cosiddetto km buono e non il km zero, soprattutto perché realizziamo prodotti sui quali vogliamo preservare la naturalezza e le caratteristiche organolettiche. In questo senso dobbiamo disporre della materia prima più adatta all’obiettivo finale, che non significa necessariamente quella proveniente dall’allevamento sotto casa.

A noi interessa che il prodotto finale sia il migliore possibile, non necessariamente che lo sia, in assoluto, la carne da trasformare. Per questo motivo deve avere delle caratteristiche particolari. Ad esempio, non facendo infiltrazioni di acqua o di brodi, abbiamo bisogno di una carne già tenera e morbida in partenza e piuttosto chiara e rosata.

Come razze usiamo il Gran Suino Padano per quattro prodotti e per la linea Riserva; usiamo inoltre un maiale selezionato olandese (circuito classificato UA, simile a quello che viene utilizzato per le DOP) che ha una proporzione tra grasso e magro adeguata alle nostre esigenze. Cerchiamo prodotti grassi che poi in cottura mantengano morbida la fibra.

Per quanto riguarda il bovino ci riforniamo dal Centro Carni Company di Tombolo (PD) e per il tacchino ci approvvigioniamo da AIA. Capiamo

che qualcuno vorrebbe sentirsi dire che abbiamo il contadino dietro casa che ci consegna quattro polli alla bisogna. Ma ci vuole anche costanza sulle forniture e soprattutto uno standard di qualità uguale per tutti. Da questo punto di vista, più grande è il fornitore e quindi il numero di capi allevati e più riesce a fare selezione. Più è piccolo e più ti da quello che ha, quando ce l’ha».

I prodotti di punta sono certamente la porchetta intesa in senso lato (con osso, trancetto, ecc…) che è il prodotto storico e di riferimento, il roastbeef, che è diventato molto importante, e da ultimo il prosciutto cotto L’Arroganza

Oltre a questo “schierano” un paio di birre a marchio “Meggiolaro”, versione 33 cl., preparate per loro dal birrificio SAN GABRIEL (www. sangabriel.it): una bionda lager stile bavarese che si chiama Bionda Facile e un’ambrata chiamata Ambrata Monella. «Lo abbiamo fatto perché il nostro lavoro si sviluppa soprattutto nei locali un po’ trendy e la birra da 33 viene bevuta anche da aperitivo. Il senso è quello di avere un biglietto da visita liquido sopra il tavolo. Ogni tanto la nostra etichetta va a finire anche in qualche bottiglia di Prosecco, però stiamo parlando di giochi di marketing privi di un vero interesse produttivo e commerciale».

Considerato che la domanda sul prodotto pronto e ancora meglio monouso è in aumento, stanno lavorando anche in questo senso. «Sperimentiamo in continuazione. Ora come ora stiamo facendo dei test sulla coppa, sul carré, sul pulled pork, su una seconda linea di prosciutti cotti.

I nostri prodotti più acclamati e premiati sono il risultato degli ultimi dieci anni di studi e sperimentazioni E d’altronde, nei periodi di crisi tipo il 2008, invece di assecondare il cliente che ci chiedeva il prodotto più facile e meno costoso, abbiamo scelto il percorso opposto elevando la qualità con affinamenti più lunghi e riserve. Abbiamo sempre inteso smarcarci dalla concorrenza, anche se riteniamo di non averne e non perché siamo più bravi ma perché siamo diversi. Il nostro prodotto si vede e si sente al gusto».

>> Link: meggiolarosrl.it

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Nasce Bresaolino, lo snack di bovino da mangiare in un sol boccone

Panzeri, storico salumificio della Valtellina, lancia sul mercato Bresaolino, salamino a base di carne bovina salata e stagionata ideale per aperitivi, antipasti e snack. Bresaolino ha un sapore delicato, leggermente aromatico e moderatamente saporito, consistenza soda ed elastica e un aspetto al taglio compatto e omogeneo. Prodotto senza glutine e allergeni, è OGM free. Grazie all’alto contenuto proteico e al basso tasso di carboidrati, inoltre, è ideale per gli sportivi. «Bresaolino è un vero salame realizzato con materia prima bovina» spiega Nicolò Panzeri, a capo dell’azienda di famiglia. «La materia prima viene trattata con la stessa cura che contraddistingue tutte le nostre produzioni: le migliori carni selezionate e gli stessi aromi della bresaola, la differenza sta nella lavorazione e nei tempi di stagionatura». Disponibile in pack da 85 g, due confezioni separabili da 42,5 g l’una, e una shelf-life di 90 giorni (55 alla consegna), Bresaolino si conserva anche fuori dal frigo, a 22°, fino all’apertura (dopo la quale si conserverà in frigorifero per tre giorni).

>> Link: salumificiopanzeri.com

Errata Corrige

Segnaliamo che nell’articolo “Gubana e Gubanerie” a firma di Riccardo Lagorio, pubblicato sul n. 1/2023 di Premiata Salumeria Italiana a pag. 130, è presente un errore. La frase “Qui il ripieno è di frutta secca, uvetta e biscotti legati dal burro” riporta infatti un’informazione errata riguardo la preparazione del dolce, che il Panificio Qualizza realizza senza l’utilizzo di biscotti. Ci scusiamo quindi con il Panificio Qualizza di Merso di Sopra di San Leonardo (UD) e coi lettori della Rivista.

La Macelleria Pucci sceglie le vetrine per carne Eurocryor

EPTA, con le soluzioni del suo marchio Eurocryor , dona nuova vita alla storica sede della Macelleria Pucci (macelleriapucci.it). Un negozio che è diventato un punto di riferimento per i cittadini di Terni, data la sua offerta autentica e originale, frutto di un’esperienza di 60 anni nel mondo della norcineria.

Con Eurocryor, il punto vendita si trasforma in un luogo dove l’essenza della tradizione si unisce alla tecnologia del futuro per assicurare la migliore conservazione e visibilità delle referenze.

La storia della Macelleria Pucci inizia negli anni Sessanta quando, con il boom economico, la carne arriva sulle

tavole degli Italiani. In quest’epoca, UGO PUCCI coglie l’occasione e intraprende la professione di macellaio, aprendo con i fratelli un primo negozio specializzato nel centro di Terni. A seguito degli ottimi risultati, crescono anche gli obiettivi: i Pucci decidono di rilevare l’attività di un commerciante di bestiame nel quartiere liberty della cittadina. Nasce

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Mortadelle, prosciutti cotti e tanti altri salumi artigianali trovano un’esposizione perfetta all’interno del banco frigorifero per carne Bistrot della famiglia Stili di Eurocryor.

così l’attuale Macelleria Pucci, il cui assortimento viene esteso anche alla pasta fresca e ai salumi.

Oggi, il giovane imprenditore ANDREA PUCCI, figlio e nipote di norcini, si affida ai banchi frigoriferi per la macelleria Epta per completare il progetto del padre. L’idea è quella di rinnovare il punto vendita per trasformarlo in un bistrot contemporaneo. Una nuova identità, interprete di uno stile di vita più slow, perfettamente tradotta dalle soluzioni Eurocryor create su misura per valorizzare l’unicità dell’offerta dello store.

Nel dettaglio, mortadelle e salumi artigianali trovano un’esposizione perfetta all’interno del banco frigorifero per carne Bistrot della famiglia Stili. Il banco presenta una sezione ventilata studiata ad hoc per la pasta fresca, preparata direttamente in loco. Un arredo i cui vetri extrachiari, l’illuminazione LED e la sovrastruttura Windows Opening ribaltabile verso l’alto esaltano la naturale freschezza dei prodotti. Bistrot è armoniosamente integrato con la Torre di maturazione Carni, un palcoscenico per le carni da griglia a km 0.

Un look accattivante per il punto vendita, che ben si coniuga con tecnologie all’avanguardia, come Dynamic System e Adaptive System. Le due innovazioni consentono di mantenere inalterate le caratteristiche organolettiche dei pregiati tagli. Inoltre, permettono di limitare il calo del loro peso medio al 0,12% in 24 ore (rispetto al 3% medio con un sistema ventilato). Grazie alla tenda notturna integrata, è possibile conservare le referenze all’interno del banco frigo senza doverle riporre nella cella frigorifera durante la notte.

Il racconto della Macelleria Pucci, iniziato oltre 60 anni fa, oggi prosegue grazie a Eurocryor, con un negozio di quartiere dalle mille sfumature. Non solo una macelleria di fiducia, ma anche un luogo di incontro tra amici. Uno store progettato per trasmettere un nuovo modo di vivere la città del XXI secolo, sotto il segno dello slow living

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>> Link: www.eurocryor.com
In alto: Bistrot è integrato con la Torre di maturazione Carni. In basso: l’illuminazione LED esalta la naturale freschezza di tutti i prodotti proposti dalla Macelleria Pucci.

Prosciutto di Parma DOP: la Commissione europea approva le modifiche al Disciplinare di produzione

Quattro anni dopo l’avvio dell’iter per il rinnovo del Disciplinare di produzione del Prosciutto di Parma, il Consorzio comunica con soddisfazione l’approvazione da parte della Commissione europea delle modifiche proposte con la loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. Il percorso di revisione risponde alla necessità, condivisa da tutti i componenti della filiera, di aggiornare il documento produttivo a circa trent’anni dalla sua prima stesura, per consolidare la tutela e la valorizzazione del prodotto in un contesto economico e sociale fisiologicamente mutato. Quattro sono gli obiettivi che il nuovo Disciplinare persegue: innalzare ulteriormente gli standard qualitativi del prodotto; consolidare la sua identità e distintività rispetto ai concorrenti; rafforzare le garanzie nei confronti del cliente; raccogliere le sfide della transizione ecologica. Si tratta di una scelta importante per il comparto, che delinea il futuro del Prosciutto di Parma sul piano produttivo, commerciale e su quello dell’immagine della DOP. La direzione seguita dal processo di modifica ha interessato aspetti distintivi, su cui si conferma l’attenzione inderogabile da sempre mostrata dal Consorzio: dalle caratteristiche della materia prima, alla genetica e alimentazione dei suini, fino alla riduzione del tenore del sale e al prolungamento del periodo di stagionatura minima, insieme ad una significativa apertura a nuove tecnologie e innovazioni che rendano la produzione più efficiente e sostenibile.

«Tutelare il bene del territorio, la stabilità del comparto e la fiducia da parte del cliente alimentano da sempre il nostro impegno per la realizzazione di un prodotto unico e riconoscibile, che sappia coniugare la tradizione che rappresenta con le attuali sfide legate alla sostenibilità e all’implementazione del Green Deal europeo. L’approvazione del nuovo Disciplinare di produzione, proposto dal Consorzio di concerto con il MASAF e con la Regione Emilia-Romagna, è per noi motivo di grande orgoglio; spetta ora all’organismo delegato al controllo mettere a punto un piano efficace, volto alla verifica del pieno rispetto delle modifiche introdotte da parte di tutti gli operatori della filiera» commenta Alessandro Utini, presidente del Consorzio. «Il nuovo Disciplinare di produzione ci fornisce gli strumenti necessari per continuare ad affermare con efficacia i valori della nostra DOP, rafforzandone la distintività e rispondendo in modo adeguato alle richieste di un consumatore che notiamo, con soddisfazione, essere sempre più consapevole delle sue scelte. Riconosciuta la significativa portata di questo solido passo in avanti per tutto il comparto, desidero esprimere sincera gratitudine al Ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste On. Francesco Lollobrigida, alla Direzione generale per la promozione della qualità agroalimentare e dell’ippica del MASAF, all’Assessore Alessio Mammi e alla Direzione generale Agricoltura, caccia e pesca dell’Emilia-Romagna, per la condivisione strategica e il fattivo contributo, volti ad assicurare un futuro di crescita a tutta la filiera della nostra DOP» sottolinea il direttore del Consorzio del Prosciutto di Parma, Stefano Fanti

Ecco alcune delle novità introdotte nel Disciplinare di produzione:

* la stagionatura minima del Prosciutto di Parma è stata portata da 12 a 14 mesi mentre il peso minimo del prodotto passa da 7 a 8,2 kg e quello massimo a 12,5 kg;

* si segnala la riduzione del tenore salino, il cui limite passa da 6,2% a 6%. Una diminuzione importante, anche alla luce del prolungamento della stagionatura, che garantisce i requisiti di salubrità con il consueto processo produttivo. Al riguardo, grazie alla corretta gestione del processo produttivo delle aziende e all’evoluzione

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 46

dei sistemi di lavorazione, negli ultimi 7 anni il contenuto del sale si è ridotto di più del 10% — in sintonia con le indicazioni dell’OMS che prevedono una riduzione dell’assunzione di sodio nella dieta quotidiana — senza alterare le caratteristiche del Prosciutto di Parma, ma anzi migliorandone spesso la qualità;

* ci sono poi alcune novità che potranno avere un impatto concreto sulle esportazioni, soprattutto verso i Paesi extra europei. I risultati positivi di prove scientifiche effettuate sulla shelf-life del preaffettato hanno permesso infatti di estendere il Termine Minimo di Conservazione (TMC) del prodotto preconfezionato.

Le modifiche hanno riguardato anche la materia prima:

* nell’ambito della genetica, l’elenco dei tipi genetici ammessi è stato riformulato ed è stata inserita una tabella esplicativa riguardante le possibili combinazioni di incroci riproduttivi, per sottolineare ulteriormente l’utilizzo del suino pesante italiano;

* l’elenco degli alimenti da somministrare in allevamento è stato oggetto di una significativa revisione. Particolare attenzione è stata data alla provenienza delle materie prime, poiché per un prodotto DOP come il Prosciutto di Parma il legame con il territorio rappresenta una condizione essenziale. Alcuni alimenti provenienti dall’estero pertanto sono stati sostituiti con quelli del comprensorio per supportare l’importanza di attenersi alle prescrizioni europee;

* si è deciso di estendere l’area di allevamento dei suini per la produzione di Prosciutto di Parma anche alla Regione Friuli-Venezia Giulia.

Nel 2022 sono stati marchiati circa 8 milioni di Prosciutti di Parma (il 33% destinato all’export), con un valore alla produzione di 800 milioni e al consumo di 1,6 miliardi di euro; la lavorazione del Prosciutto di Parma dà impiego a circa 3.000 addetti nella provincia di Parma, mentre l’intera filiera, inclusi gli allevamenti e i macelli, impiega circa 50.000 persone.

>> Link: www.prosciuttodiparma.com

LA PIZZETTA SFOGLIA CAGLIARITANA, UN’ISTITUZIONE VERA E PROPRIA

L’elenco PAT della regione si arricchisce di una nuova specialità.

Nasce nel Dopoguerra come raro sfizio in tempi di povertà e oggi regna nelle caffetterie e non solo

di Guido Guidi

ICagliaritani non ci credono che nei bar del Continente — come in Sardegna viene chiamato il resto del Paese che non sia l’Isola — la Pizzetta Sfoglia non si trovi.

Non è possibile che una simile delizia, né dolce, né salata, o, meglio, entrambe le cose assieme, sia un’invenzione locale che non ha ancora varcato il Tirreno.

Si presenta tonda, anche se alcuni produttori azzardano forme leggermente differenti, quadrate o rettangolari e di dimensioni diverse, comprese quelle mignon, che vanno via come salatini.

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 48 LA QUALITÀ
Normalmente consumata per colazione, la Pizzetta Sfoglia Cagliaritana è eccellente come street food, nei buffet, negli aperitivi o come snack, in qualunque altro momento della giornata.

La Pizzetta Sfoglia, meglio conosciuta come Cagliaritana, perché a Cagliari deve i natali, è, nella versione più comune, un prodotto da forno tondeggiante del diametro di 10/12 cm circa. Il nome stesso lo dice: è fatta di pasta sfoglia, due strati che racchiudono un ripieno semplice, quasi elementare, di sicuro molto povero, ovvero salsa di pomodoro, uno o due capperi e, facoltativamente, olio, acciughe, origano e formaggio. È alta due centimetri al massimo e prende un colore ambrato e lucido talmente stuzzicante che è quasi impossibile resisterle.

Come accade per la Focaccia genovese, si accompagna alla colazione classica con caffè o cappuccino, ma anche ad un aperitivo, al pari degli stuzzichini e delle patatine. Il suo gusto ibrido, una via di mezzo tra dolce e salato, la porta ad essere proposta tanto in pasticceria quanto in panificio, ma oggi è immancabile oltre che nei bar, nella gastronomia della Grande Distribuzione Organizzata e nel banco dei surgelati, pronta per essere cotta nel forno di casa e gustata calda.

Le sue origini non sono antiche, ma nemmeno certe in realtà. I pasticceri più anziani raccontano di un prodotto che non esisteva prima del Dopoguerra e che è nato negli anni ‘50, un po’ per caso, come spesso avviene in cucina, forse per impiegare un pezzo di pasta sfoglia di risulta da un’altra lavorazione. D’altronde salsa di pomodoro e olio erano alla portata di tutti, così come un pezzetto di acciuga e un cappero. Quelli della vicina Selargius erano e sono tuttora i più rinomati, ma anche Cagliari ne è piena. Pendono dai costoni di Castello, crescono in punti impensabili e pittoreschi, abbelliscono la città come fossero piante ornamentali messe lì da un giardiniere esperto.

La Pizzetta Sfoglia Cagliaritana si è diffusa rapidamente e non poteva essere altrimenti, sino a varcare i confini provinciali, sebbene resti un prodotto riconducibile prevalentemente al ca-

poluogo sardo e ora al Sud Sardegna, con una produzione limitata nel resto dell’Isola.

Si è talmente insinuata nel quotidiano, che lo scorso anno LAORE SARDEGNA ha chiesto e ottenuto che venisse inserita nell’elenco dei Prodotto Agroalimentare Tradizionale della regione. Non è stato facile ricostruirne la storia, seppur recente, ma si è potuto dimostrare, anche grazie ai titolari della storica Pasticceria Mariuccia di Pirri, che la Pizzetta era già ampiamente diffusa a fine anni ‘70.

Nel frattempo, quello che è uno dei prodotti più instagrammati della città, viene ora realizzata in versioni leggermente diverse da quelle originali. Il diametro si può ridurre, soprattutto se il consumo è in occasione di buffet o aperitivi, ma anche il ripieno può essere impoverito (non sempre si usa l’acciuga, soprattutto in tempi di allergie al pesce) o arricchito, magari con un pezzetto di prosciutto cotto. Qualcuno, anche sulla scia del successo dovuto all’inserimento nell’elenco dei PAT, ha iniziato a pro-

durne varianti dolci o salate davvero originali, sino ad arrivare a decine di tipologie diverse e talvolta modificandone la sagoma, come in occasione di San Valentino, quando la Pizzetta Sfoglia Cagliaritana ha preso la forma di un cuore e, seppure per un giorno soltanto, è stata intinta nel cioccolato.

La più amata resta però indubbiamente quella classica, senza sofisticazioni o variazioni sul tema. La stessa che la nota antropologa del gusto ALESSANDRA GUIGONI non esita a definire «unica al mondo, leggera, gustosa, friabile» e ancora: «è diventata Prodotto Agroalimentare Tradizionale d’Italia di recente, ma si produce da almeno 50 anni. Un vero e proprio totem identitario per i Cagliaritani».

Un totem che, oltre all’inserimento nei PAT, meriterebbe un altro riconoscimento. Ne sono convinti nel capoluogo isolano, dove si sta ragionando seriamente su uno strumento di tutela universale. Quella della IGP potrebbe infatti essere la strada più adatta per consacrare questa specialità sull’altare dell’Europa. Diversi, tra i maggior produttori nell’Isola, ne sono convinti e il supporto potrebbe arrivare anche dal Comune di Cagliari e da associazioni di produttori come la CNA Agroalimentare della Sardegna. Attendiamo, con l’acquolina in bocca.

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 50
Unica al mondo, leggera, gustosa, friabile, è diventata PAT di recente ma si produce da almeno 50 anni ed
è un vero e proprio totem identitario per i Cagliaritani
Nel ripieno della Pizzetta Cagliaritana non manca mai un cappero o due, possibilmente quelli pregiati di Selargius.

Coppa di Parma IGP: 70 mln di euro di fatturato al consumo nel 2022

I numeri del 2022 si confermano stabili per la Coppa di Parma IGP, con un fatturato al consumo che registra quota 70 milioni di euro, per un comparto che conta 550 occupati, tra addetti diretti e lavoratori legati all’indotto, e 21 aziende associate al Consorzio di tutela. Pressoché invariati anche i volumi di produzione: secondo i dati ECEPA – Ente di Certificazione Prodotti Agro-Alimentari, nel 2022 i kg di carne suina lavorata sono stati 4,21 milioni. La produzione etichettata registra una lieve crescita (+1%) a volume, passando da 1,85 milioni di kg nel 2021 a 1,87 milioni di kg nel 2022. Il preaffettato registra invece un incremento del 2,7%, con 452.000 kg di carne suina impiegati, una crescita in linea con quella dello scorso anno. In crescita nel canale GDO, la Coppa di Parma IGP preaffettata passa nel 2022 a circa il 33% di incidenza sul totale delle vendite (30% nel 2021). La Grande Distribuzione si conferma il canale di commercializzazione principale, mantenendo una quota pari al 70% del turnover del comparto. Guardando invece al segmento Ho.Re.Ca., la situazione rimane invariata rispetto al 2021. Rispetto all’export, l’incidenza delle esportazioni della Coppa di Parma IGP mantiene quota 8% sul turnover del comparto. Se i Paesi UE continuano a rappresentare la principale area di destinazione, con una quota del 52,9% e Germania, Francia e Benelux in testa come principali partner commerciali europei, è il Canada a crescere di importanza con una quota export che sale al 41,3% (38,6% nel 2021).

>> Link: www.coppadiparmaigp.com

Una sinfonia di prelibatezze

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CONTRO LO SPRECO ALIMENTARE CARNE E SALUMI SONO SENZA RIVALI

In occasione della Giornata Nazionale contro lo Spreco Alimentare, Carni Sostenibili ha dato alcuni suggerimenti su come ridurre gli sprechi alimentari domestici con un “consulente d’eccezione”: lo chef Antonello Colonna

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 52 SOSTENIBILITÀ

In Italia si registra una quantità di spreco alimentare domestico di circa 370 grammi a settimana per famiglia. Di carne si sprecano invece solo 11 grammi a settimana, una quantità sotto il 3% dello spreco medio

Si spreca ancora troppo cibo in Italia e nel mondo. Secondo i dati di uno studio CREA, con la collaborazione di REF Ricerche e il supporto di indagine e analisi di GFK-Italia, il Belpaese registra una quantità di spreco alimentare domestico che si aggira in media sui 370 grammi a settimana per famiglia. In questo contesto, le filiere della carne e del pesce risultano tra le più virtuose: sommando gli avanzi del cibo portato in tavola e gli alimenti buttati perché scaduti o andati a male, gli sprechi complessivi di carne e pesce arrivano infatti appena al 6% in peso dello spreco medio di una famiglia.

I risultati sono stati confermati da una recente pubblicazione dell’Osservatorio sugli sprechi alimentari del CREA, in cui si riporta uno spreco domestico della sola carne stimato in appena 11 grammi a settimana per famiglia, cioè solo il 3% dello spreco medio. Emerge, quindi, in termini assoluti, come i punti critici della filiera siano il settore primario, soprattutto il comparto ortofrutticolo, cerealicolo e della pesca, e la fase di consumo domestico, che risulta essere tra le principali cause dello spreco, con oltre il 50%, seguita da quello della produzione, per oltre il 30%. Il restante è riferito ai servizi di ristorazione e distribuzione all’ingrosso e dettaglio.

Maggiore spreco significa più impatto ambientale: diretto, perché le emissioni per unità nutritiva si raddoppiano, e indiretto, perché il trattamento della

FORSU è uno dei fattori di emissione in crescita per il metano. Infatti l’8-10% delle emissioni globali di gas a effetto serra proviene proprio dai prodotti alimentari non consumati

Questi risultati sono importanti, considerando che, secondo il Waste and Resources Action Programme, WRAP (wrap.org.uk), si stima che entro il 2030 lo spreco alimentare raggiungerà i 2,1 miliardi di tonnellate, per un valore di 1.500 miliardi di dollari. La consapevolezza del problema da parte dei consumatori può contribuire, quindi, a rendere tutti più attenti a sprecare di meno.

In occasione della recente Giornata Nazionale contro lo spreco alimentare, CARNI SOSTENIBILI ha lanciato un piccolo vademecum anti-spreco con un “consulente d’eccezione”, lo chef ANTONELLO COLONNA. «È necessaria una maggiore istruzione alimentare» spiega lo chef. «In Italia siamo dei cultori del cibo, viviamo di tradizioni e di abitudini, ma anche di cattive abitudini. Siamo infatti dei consumatori seriali. Soprattutto quello che manca è un’istruzione alimentare, siamo tanto informati, anche troppo, ma

non siamo istruiti. Spesso compriamo i prodotti senza farci delle domande. Servirebbe una campagna più aggressiva che evidenzi le perdite e i rischi dello spreco alimentare e insegni ai consumatori l’importanza della prevenzione, del riutilizzo e del recupero».

Ecco quindi 3 regole dello chef Colonna contro lo spreco alimentare:

1. tenere sotto controllo gli acquisti, senza eccedere nelle quantità, al fine di scegliere solo ciò che è davvero necessario;

2. andare al supermercato a “pancia piena” per evitare l’effetto compulsività;

3. leggere bene le etichette, facendo attenzione agli ingredienti, data di scadenza e indicazioni per la conservazione

Se è vero che il consumatore italiano si rivela ancora uno “sprecone”, c’è da dire che l’Italia è stato il primo Paese in Europa che ha scelto di dotarsi di uno strumento normativo di contrasto allo spreco alimentare con la Legge n. 166/2016 (“legge Gadda”) che prevede una serie di misure per ridurre la produzione di rifiuti ed estendere il ciclo di vita dei prodotti con finalità di riuso e riciclo, oltre ad incentivare la redistribuzione delle eccedenze alimentari. Un passo importante, considerando che a livello europeo i dati non sono incoraggianti: lo spreco alimentare, infatti, ha raggiunto 87,6 milioni di tonnellate di alimenti, per una media di 173 chili a persona.

Si stima che in media circa un terzo del cibo prodotto ogni anno nel mondo venga perso prima del consumo. E, secondo i dati, convertendo tale quantità in calorie, circa il 24% di tutto il cibo prodotto viene perso o sprecato tra il campo e la tavola. Inoltre, secondo una ricerca (eu-refresh.org) condotta su scala europea, solo 6 persone su 10 riadattano le ricette in base al cibo avanzato.

Maggiore spreco significa anche più impatto ambientale: diretto, perché si raddoppiano le emissioni per unità nutritiva, e indiretto, perché il trattamento della Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano, FORSU, è uno dei fattori di emissione in crescita per il metano. Infatti l’8-10% delle emissioni globali di gas a effetto serra proviene proprio dai prodotti alimentari non consumati.

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 53

Il Progetto Carni Sostenibili

La carne è un alimento di primaria importanza. Che, da almeno due decenni, è però soggetto a numerosi attacchi e critiche. Fra le principali accuse che le si rivolgono, spiccano il suo impatto ambientale e i supposti problemi a livello salutistico a essa collegati. Con la consapevolezza che la sostenibilità nel campo delle carni costituisce un argomento complesso e dibattuto, il Progetto Carni Sostenibili vuole individuare gli argomenti chiave, lo stato delle conoscenze e le più recenti tendenze e orientamenti tecnico scientifici. L’intento è quello di mostrare che la produzione e il consumo di carne possono essere sostenibili, sia per la salute che per l’ambiente. Al dibattito sulla produzione e il consumo di carne partecipano organizzazioni e stakeholder di vario genere, caratterizzati da scopi differenti: associazioni animaliste e/o ambientaliste, centri di ricerca, media. In questo contesto non si è mai inserito, almeno in Italia, il punto di vista dei produttori di carne, che hanno invece sentito la necessità di partecipare al dibattito fornendo informazioni, dettagli e dati oggettivi utili a correggere, dove necessario, alcune posizioni, a volte pregiudiziali se non completamente scorrette. Per far questo, dal 2012 un gruppo di operatori del settore zootecnico (aziende e associazioni) si è organizzato per supportare studi scientifici che, in una logica di trasparenza pre-competitiva, hanno permesso di arrivare, oltre che alla pubblicazione dello studio “La sostenibilità delle carni e dei salumi in Italia”, all’avvio del progetto “Carni Sostenibili” e, quindi, del portale carnisostenibili.it. Nato dalla comunione di intenti delle tre principali associazioni di categoria, ASSOCARNI, ASS.I.CA. e UNAItalia, il sito si propone di trattare in modo trasversale tutti gli argomenti legati al mondo delle carni: un progetto senza precedenti, in Italia, che con un approccio formativo e informativo vuole contribuire ad una informazione equilibrata su salute, alimentazione e sostenibilità.

>> Link: carnisostenibili.it

Anche qui il settore zootecnico ha da insegnare, perché è quello che consente di riutilizzare convenientemente i cibi scaduti attraverso la mangimistica intelligente, in una logica di economia circolare che valorizza ingredienti

circolari nei mangimi, aumentando l’efficientamento nutrizionale e riducendo gli sprechi.

È per questo che è fondamentale contrastare l’avvio diretto ai digestori di questi ex prodotti alimentari, che

possiedono ancora un importante valore nutritivo per gli animali. «Saper cucinare con creatività riutilizzando gli avanzi è un’arte» continua lo chef Colonna. «Ma oggi si ha poco tempo e spesso poca voglia, correndo il rischio di buttare cibo che avrebbe potuto avere una nuova vita. Per esempio, con la carne avanzata si possono realizzare tante idee gustose, dalle polpette alla carne in umido, rappresentando così le nostre abitudini alimentari. Bistecche, lombate o paillard, infatti, possono essere recuperate e trasformate con un taglio a punta di coltello in carne macinata per ottime polpette a cui aggiungere salsa di pomodoro o carne da spezzatino da fare in umido con i fagioli, tutti piatti gustosi, sani e veloci».

Non solo ricette per riciclare gli avanzi, ma anche gli avanzi stessi, se ottenuti con alimenti buoni all’origine e ben cucinati, resistono alcuni giorni in frigorifero e rappresentano uno smart food per una settimana ricca di impegni. E in questo, carne e salumi non hanno rivali.

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Le polpette realizzate con la carne avanzata sono un alimento gustoso e anti-spreco.

Il Culatello di Zibello diventa sempre più dolce

È stato recentemente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il nuovo disciplinare di produzione del Culatello di Zibello DOP. Il MASAF ha pubblicato il decreto di approvazione delle modifiche ordinarie che riguardano l’articolo 6 che stabilisce le caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche (pH, umidità e cloruro di sodio) della denominazione di origine. Si è provveduto ad aggiornare le caratteristiche analitiche del prodotto all’evoluzione delle razze suine e alle tecniche di allevamento e consente di produrre oggi con standard qualitativi sempre più elevati, anche e con particolare riferimento al valore del sale che è stato ulteriormente rivisto verso il basso

Il Culatello di Zibello è un prodotto di nicchia — ogni anno, poco più di 90.000 Culatelli di Zibello si possono fregiare della prestigiosa denominazione DOP — che sta riscuotendo ampi consensi sia in Italia che all’estero. Il comparto conta circa 300 occupati, con un giro d’affari che nel 2021 ha superato i 23 milioni di euro. Il Consorzio di Tutela del Culatello di Zibello associa tutte le 23 aziende produttrici e, nel giugno 2010, ha ottenuto il prestigioso riconoscimento da parte del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MIPAAF). Attualmente presieduto da Romeo Gualerzi, il Consorzio, con apposito marchio, garantisce al consumatore che il Culatello di Zibello DOP rispetti esattamente le tradizioni e venga fatto ancora “come una volta”. Dal 1996, a garanzia della meticolosità del procedimento di produzione e dell’unicità del prodotto, il Culatello di Zibello gode della Denominazione d’Origine Protetta (DOP), attribuita dall’Unione Europea, sulla base di precisi regolamenti comunitari.

>> Link: consorziodituteladelculatellodizibello.com

Speck Alto Adige: aumenta di 3 punti percentuali la quota IGP e crescono notorietà dell’Indicazione Geografica e le attività collegate

Continua a crescere lo Speck Alto Adige IGP, che nel 2022 registra un lieve eppure significativo aumento della produzione, soprattutto rispetto agli anni precedenti e, in particolare, alla situazione post pandemia. Ma non è questo il vero fulcro della crescita del salume più famoso dell’Alto Adige. Ad aumentare considerevolmente, infatti, sono altri dati interessanti: la quota IGP, per esempio, che ha registrato l’incremento più alto di sempre, di ben 3 punti percentuali; la qualità, grazie ai numerosi e rigidi controlli, che hanno reso — e continuano a rendere — lo Speck Alto Adige IGP sinonimo di bontà e allo stesso tempo sicurezza; infine, la notorietà dell’Indicazione Geografica, ormai conosciutissimo in Italia, in Europa e negli Stati Uniti.

Un bilancio decisamente positivo quello dei primi 30 anni del Consorzio, che si è ritrovato anche per festeggiare i numerosi traguardi di un trentennio fatto di grandi soddisfazioni. Il commento del presidente del Consorzio

Tutela Speck Alto Adige Paul Recla, al suo secondo anno di mandato, esprime tutto l’orgoglio e la fiducia che i 28 produttori ripongono nel simbolo altoatesino: «Il 2022 è stato un anno straordinario per lo Speck Alto Adige IGP. Non solo perché il Consorzio che lo tutela ha festeggiato 30 anni, ma anche perché sono stati raggiunti, in termini di business e comunicazione, risultati davvero importanti, che ci permettono di pensare ad un futuro ancora più roseo. Naturalmente, al primo posto ci sono sempre qualità e rispetto per la tradizione, due aspetti che ci danno la certezza di offrire un prodotto buono e sano, oltre che unico nel suo genere».

È l’Italia a riconfermarsi consumatrice numero uno di Speck Alto Adige IGP, con un dato di vendita del 68,8% e una preponderanza in Alto Adige e nel settentrione in generale. Tuttavia, da qualche anno, la richiesta sta aumentando costantemente anche nelle regioni centrali e meridionali. Anche il dato di esportazione è significativo, dimostrando che ancora una volta lo Speck Alto Adige IGP è uno dei salumi più amati fuori dall’Italia. È il 31,2% di tutta la produzione ad essere soggetto ad export, in particolare in Germania (24,7%), principale acquirente, e poi negli Stati Uniti (2,7%), in Francia (1,7%), in Austria (0,6%)e in Svizzera (0,7%).Crescono le attività di export anche in mercati finora debolmente esplorati, come la Polonia, la Svezia e il Canada.

La GDO si conferma il canale di vendita preferenziale (67%), seguita da discount (21,5%), punti vendita al dettaglio (1,7%) e grossisti (3,2%). Menzione d’onore alla ristorazione, che con un 5,4%dimostra una ripresa significativa dopo due anni difficili. Conferma anche per la modalità prediletta degli Italiani nell’acquisto e consumo: la confezione preaffettata da 100 grammi è stata anche nel 2022 la più venduta.

>> Link: speck.it

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 56
Photo © Stefano Cavada
Prosciutto di Modena Dop un capolavoro del gusto italiano Prosciuttificio Nini Gianfranco Srl Via Sicilia, 61 - 41056 Savignano sul Panaro (MO), Italy - Tel.: 059 730103 - Fax: 059 731599 E-mail: info@prosciuttificionini.it - Web: www.prosciuttificionini.it Tradizione e genuinità dal 1910

CAMBIARE PER EVOLVERE E CRESCERE

Botteghe, salumerie, gastronomie, negozi specializzati, gourmet shop magari con annessa cucina. È un patrimonio ricco, ricchissimo quello del nostro Paese, ma anche un universo fragilissimo che oggi deve seguire le tendenze e l’evolversi delle abitudini d’acquisto e di consumo dei suoi clienti. Quella clientela che va dall’immobilismo delle fasce di età più avanzata ai giovani che, smartphone alla mano, danno

per scontati servizi e modalità di spesa che hanno sempre più a che fare con l’e-commerce, un’esposizione fatta bene sui social, consegne a domicilio e ritiri in negozio, magari anche fuori orario negli armadi refrigerati, tipo i Click & Collect di Amazon. Insomma, è tempo di cambiamenti per crescere e per sopravvivere

Scriveva nel febbraio 2018 su LA REPUBBLICA LICIA GRANELLO che “…qualcosa sta cambiando. Non è tanto il percepito

della situazione economica a fare la differenza — i numeri della crisi continuano a essere vissuti come macigni dagli operatori — quanto un lento recupero di cultura alimentare, misto a una nuova sensibilità gastronomica. Ecco il senso della ri-nascita di vecchie e nuove botteghe alimentari, dove l’eccellenza non fa necessariamente rima con lustrini e paillettes. Certo, il rischio del ‘sotto il vestito niente’ (o pochissimo) abita tutte le stanze dell’offerta com-

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merciale, compresa quella alimentare: finte fattorie e lussuosi atelier, commessi travestiti da mugnai e grembiuli da alta moda, modalità contadine e bocconi come gioielli”.

A questo “lento recupero di cultura alimentare” noi crediamo tantissimo e, proprio attraverso le pagine di questa rubrica di PREMIATA SALUMERIA ITALIANA, ci prendiamo l’impegno di dare strumenti ai salumieri e ai bottegai, titolari di botteghe più o meno gourmet, più o meno chic del food territoriale. Come? Mostrando come si può evolvere nella maggior cura dell’esposizione dei prodotti, inserendo eventi di design creativo che spesso non richiedono granché in termini di spesa ma solo idee nuove e, appunto, creatività.

Perché forse è arrivato il momento di cambiare, evolvere ed entrare in un rapporto nuovo con la clientela, da conservare e conquistare.

“Al netto della forma che a volte non coincide con la sostanza, aumenta il numero degli artigiani appassionati che stanno rialzando la testa. Pensiamo alle latterie dove trovare il latte di pascolo, i formaggi a latte crudo, gli yogurt buoni e cremosi senza trucchi a base di panna e senza acido citrico per conservare una materia prima mediocre. Oppure i forni dove macinature a pietra e lievitazioni naturali non sono definizioni vuote ma scelte di vita e di lavoro.

E poi le gastronomie, che si accollano un enorme lavoro di selezione dei prodotti e di preparazione, vere

professionalità da Oscar dell’artigianato gastronomico” scriveva sempre Licia Granello.

Certo, poi è arrivata una pandemia globale e proprio quelle botteghe, quegli artigiani, hanno mostrato tutta la loro forza nel confermarsi punto di riferimento centrale per gli abitanti del quartiere, per i loro clienti, con la capacità straordinaria di adeguarsi alle necessità di organizzare consegne a domicilio, ricezione ordini su WhatsApp e un’accoglienza emotiva che andava oltre la semplice vendita dei due etti di crudo.

Dopo è arrivato l’aumento dei prezzi e delle bollette, con la guerra e l’inflazione. In questa nuova fase solo i discount hanno mostrato segni + ma, ciò nonostante, le botteghe artigiane hanno retto bene grazie alla selezione ed elevata qualità della loro offerta e alla relazione personale con il cliente.

Quello che in gergo retail marketing viene definito “canale tradizionale”, contrapposto al comparto GDO, nel nostro Paese è e resta un segmento straordinario. Il nostro mondo. E la sua crescita ed evoluzione sono il nostro lavoro.

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È arrivato il momento di cambiare, evolvere ed entrare in un rapporto nuovo con la clientela. Quello che in gergo retail marketing viene definito “canale tradizionale”, nel nostro Paese è e resta un segmento straordinario. Il nostro mondo. E la sua crescita ed evoluzione sono il nostro lavoro
Una tradizionale bottega di formaggi a Strasburgo, Alsazia (photo © Joan Vadell).

VISUAL MERCHANDISING

VISTA, CREATIVITÀ E STRATEGIA

Il retail merchandising è un tema tanto strategico quanto attuale soprattutto per i negozi di alimentari. In particolare il visual merchandising ha un ruolo importante e può far sì che i clienti vogliano acquistare di più o non lasciare il negozio a mani vuote.

Qui di seguito, riprendendo i contenuti di un articolo pubblicato sul blog tokinomo.com, ripercorriamo alcune tattiche di visual merchandising, oltre a strumenti e soluzioni che possono aiutare in modo pratico e veloce a ravvivare la propria bottega.

Che cos’è il visual merchandising?

Il visual merchandising è una strategia di marketing attraverso la quale i rivenditori sfruttano il loro spazio per disporre la merce in modo da attirare l’attenzione dei clienti. Visual merchandising significa disporre, promuovere ed esporre i prodotti in modo da invogliare i clienti ad acquistarli. Sono parecchi gli aspetti che i negozianti devono prendere in esame quando si tratta di retail merchandising, dallo spazio che hanno a disposizione alla tipologia e quantità di prodotti che vendono.

Nelle realtà più strutturate esiste il visual merchandising che si occupa dell’organizzazione dell’allestimento combinando l’esposizione dei prodotti con la creatività, in modo innovativo e positivo.

Il visual merchandising ha un impatto forte sulle vendite. Il 90% delle informazioni che trasmettiamo a livello cerebrale è di tipo visivo.

Come è facile immaginare, ciò che vediamo influisce sulle nostre decisioni di acquisto. Ad esempio, trovare un prodotto complementare nel negozio, vicino ad un prodotto che si intendeva

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di Elena Benedetti

Allestimento delle vetrine nei negozi alimentari

Grazie ad alcuni semplici criteri espositivi che potranno sembrare agli occhi dei meno attenti non così importanti, l’allestimento delle vetrine si rivela sempre basilare. È fondamentale ricreare degli ambienti stimolanti ed emotivamente coinvolgenti che permettano al cliente di orientarsi nelle scelte d’acquisto non trascurando un aspetto prevalentemente visivo. Sarà quindi opportuno scegliere i prodotti giusti da mettere in vetrina, in modo tale da attirare quanti più clienti sia possibile ad entrare. Per quanto riguarda l’interno, sarà essenziale mantenere ordine e coerenza nell’esposizione, suddividendo per categoria gli articoli (fonte: camerieri.it).

acquistare, aumenterà le probabilità di acquisto. Così come una bella vetrina attirerà un maggior numero di clienti in negozio. Ecco alcuni spunti per testare qualche strategia di visual merchandising all’interno della propria salumeria o bottega.

1. Cambia spesso l’esposizione dei prodotti I prodotti vanno e vengono, soprattutto in un negozio di alimentari. Per questo motivo è indispensabile cambiare gli espositori almeno una volta al mese. Collocate i nuovi arrivi proprio all’entrata, per catturare l’attenzione dei clienti fin dall’ingresso nel locale. Se avete nuovi arrivi che avevate previsto di vendere insieme ad altri prodotti non ancora arrivati, aspettate.

2. Focalizzatevi su ciò che le persone vogliono, non su ciò di cui hanno bisogno Sebbene sia importante dare ai clienti ciò di cui necessita, quando si tratta di visual merchandising è meglio concentrarsi sui desideri e non sui bisogni. Le persone sono più propense ad acquistare d’impulso prodotti che piacciono, non prodotti di cui hanno realmente necessità.

3. Aggiungete qualcosa di curioso

Se volete attirare potenziali clienti in negozio, provate ad aggiungere qualcosa di insolito proprio in vetrina. Può trattarsi di qualcosa che non si collega

al vostro negozio o di qualcosa di semplicemente strano. La curiosità sarà un buon motivo per entrare.

4. Concentratevi sulle vetrine e sulla facciata del negozio

La prima impressione conta, soprattutto nel commercio al dettaglio. I clienti che passano davanti al vostro negozio potrebbero non voler acquistare nulla, ma alla vista della vetrina potrebbero essere invogliati ad entrare per dare un’occhiata e magari comprare qualcosa.

Ricordate poi che la facciata, l’ingresso e i primi scaffali sono le parti più importanti del negozio. Cercate di catturare l’attenzione dei clienti fin dai suoi primi passi all’interno dello spazio di vendita.

5. Attenzione ai prezzi

Assicuratevi che ogni prodotto abbia un prezzo. Anche se avete un allestimento unico e i prodotti non sono disposti in modo regolare, non dimenticate di mettere un prezzo.

6. La comodità è un must Sebbene il visual merchandising sia una questione di creatività, non dovete dimenticare la comodità. È bello sorprendere i clienti con allestimenti unici, ma non bisogna esagerare. Collocate i prodotti in modo che siano comodi da prendere.

Fonte: tokinomo.com/blog/visualmerchandising-grocery-stores

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Premiata Salumeria Italiana, 2/23
Il mio ERP. Così ho tutto sotto controllo.

SIMONE FRACASSI, IL PATRIARCA DELLA CHIANINA

SIMONE FRACASSI è l’emblema in Italia di un mestiere antico quanto nobile, il macellaio per l’appunto. Simone è nato con le mani in pasta, nipote di commercianti di pellami e di macellai. «Sono cresciuto coi nonni materni, a nove anni sapevo tenere in mano un coltello, pulire le ossa e raspare il maiale» racconta con aria commossa. «Mio nonno mi diceva: il bianco va nel secchio e il rosso va venduto». La storia di Simone comincia dunque nella macelleria dei nonni materni a Chiusi della Verna, un paese immerso del territorio delle Foreste Casentinesi, famoso per ospitare il Santuario della Verna, dimora di San Francesco d’Assisi, dove egli avrebbe ricevuto le stigmate il 14 settembre 1224. Agli inizi degli anni 70’, Gianfranco, il babbo di Simone, abbandona il lavoro di autista per aprire insieme alla moglie Pina la loro macelleria, mantenuta tale negli anni da Simone con qualche piccola ristrutturazione. Tra gli anni ‘70 e ‘90 l’espansione della GDO, attraverso l’apertura di punti vendita in numerose regioni d’Italia, interessa anche il piccolo paese di Simone, creandogli non poche difficoltà. Questo, unito ai continui conflitti col padre che si fanno sempre più intensi, costringono Simone ad abbandonare l’attività di famiglia. «Avevo delle intenzioni diverse da mio padre, preferivo dire alla gente che bisognava usare tutto l’animale e non solamente i tagli nobili».

Simone decide di continuare la sua attività di macellaio in un supermercato di proprietà di un amico, «lavoravo come libero professionista perché volevo crescere ed essere sempre stimolato». Nel 1989 diventa responsabile della macelleria del piccolo supermercato e ci rimane fine al 1992, poi decide che era giunto il momento di rientrare

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Simone Fracassi.

casa. È possibile trasformare la propria passione in un lavoro ma le cose non sempre sono facili: inizialmente i clienti di Simone sono quasi un quarto di quelli del babbo Gianfranco, ma lui non si perde d’animo e la sua cocciutaggine lo premia. Simone da allora lavora solamente bovini di razza Chianina e suini di Cinta Senese, il cui grasso è destinato ai grandi produttori di lardo di Colonnata. «Il mio babbo mi diede del matto la prima volta che vide quei maiali così grassi».

Alla fine degli anni ‘90 Simone viene coinvolto in un progetto marchiato Slow Food con l’obiettivo di valorizzare il Suino Grigio del Casentino, un incrocio di suini Large White e di Cinta Senese, nati, allevati e macellati in Casentino, una filiera corta, di alta qualità, fatta di una rete virtuosa di piccoli allevatori.

Gli animali sono liberi di pascolare nei boschi, allevati secondo un rigido Disciplinare di produzione, istituito nel 2003, che esclude l’impiego di farmaci e alimenti geneticamente modificati,

quindi definisce i criteri di allevamento, alimentazione e tracciabilità. Il Disciplinare è stato realizzato in collaborazione con la provincia di Arezzo, la comunità montana, la Camera di Commercio e

“Nella dimensione carnale della Penisola italiana, tra i paladini per proverbiale affezione e conoscenza della materia nella sua lavorazione, troviamo Simone Fracassi: figlio d’arte di quattro generazioni di macellai che dal 1927, a Rassina di Castel Focognano nell’Aretino, promuovono e valorizzano razze o, meglio, patrimoni della cultura carnivora italiana” si legge nel sito di ALMA, la scuola di cucina internazionale che lo ha più volte chiamato in cattedra

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Simone Fracassi rappresenta la quarta generazione di una famiglia di macellai che opera nel territorio delle Foreste Casentinesi dal 1927.

Slow Food. Il Grigio del Casentino dona carni di indiscutibile qualità, ricche di gusto e grassi buoni: ne è un esempio il Prosciutto del Casentino, diventato presidio Slow Food, la cui stagionatura non deve essere inferiore ai 18 mesi.

Se Simone Fracassi si mette subito in prima linea per la valorizzazione, la tracciabilità e la sicurezza del Prosciutto del Casentino, il connubio vincente però ce l’abbiamo con la Chianina: sì perché Simone vanta l’appellativo di “Re della Chianina”. La Chianina del Fracassi ha una marcia in più, si sa. «Sono orgoglioso di questo soprannome, questo significa che la mia squadra lavora bene». Le carni dei bovini di razza Chianina, Marchigiana e Romagnola sono tutelate dall’Identificazione Geografica Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP della Comunità europea, che certifica e garantisce la carne di queste tre razze bovine italiane.

L’Indicazione Geografica Protetta (IGP) rappresenta un sistema tramite il quale l’Unione Europea riconosce e protegge i prodotti agroalimentari di pregio destinati all’alimentazione umana. Il termine “Vitellone” fa riferimento all’età dei bovini, tra i 12 e 24 mesi; “Bianco” si riferisce al colore del loro mantello; infine, “dell’Appennino Centrale” ne rappresenta l’indicazione di origine, ovvero la zona dove Chianina, Marchigiana e Romagnola sono allevate da oltre 1500 anni.

I bovini di razza Chianina hanno il manto di colore bianco porcellana, il tronco cilindrico e gli arti lunghi. Il gigantismo è una delle peculiarità della razza, i maschi possono arrivare fino ai due metri al garrese. Simone collabora con un allevatore di Chianine, VANNI FINOCCHI, che alleva secondo la linea vacca-vitello.

«Abbiamo una trentina di fattrici che pascolano in 435 ettari», il pascolo è destinato alle vacche e ai tori che ci rimangono per circa sette mesi l’anno (da aprile ad ottobre); la monta è naturale e i vitelli sono destinati all’ingrasso in stalla. «La Chianina non si alleva al pascolo poiché le sue fibre muscolari hanno cartilagini ben compatte che, se sollecitate col movimento del pascolo, tendono ad ispessirsi» puntualizza Simone.

La Chianina, oltre ad essere una razza longeva, quindi con curve di crescita lente, ha un’impalcatura scheletrica grossolana e questo implica una minor resa al macello; inoltre è dotata di un indice di conversione alimentare alto, quindi il suo fabbisogno alimentare è superiore a quello di altre razze bovine da carne. Tuttavia, allevare un animale in maniera ottimale significa rispettare i cicli naturali della crescita e scegliere le giuste materie prime di alimentazione. «La salubrità delle carni non va confusa con la qualità» mi spiega Simone. «La qualità che intendo è la stessa che produceva mio nonno, con le conoscenze profonde di tutta la filiera»

Oggi il consumatore ha forti lacune in termini qualitativi e non ha il tempo per cercare di capire che cosa sia e come si realizzi: molti infatti credono che la qualità della carne sia sinonimo di tenerezza. La salubrità dei cibi di cui ci nutriamo è fondamentale nella vita di un essere umano, mangiare bene significa donare valore alla nostra salute. «Quando la tristezza mi assale, mi rifugio in montagna a contemplare le mie Chianine, un posto sacro e magico che mi dona l’ossigeno di cui ho bisogno e che mi riporta alla mia infanzia, quando ci venivo con il nonno che gestiva la stessa stalla».

Di gusto in gusto, appuntamento ad aprile in Maremma

Segnaliamo una degustazione condotta da Elisa Guizzo a Terre di Sacra, in località Capalbio (GR), per giovedì 27 aprile alle ore 20.00. Il tema della serata sarà i “I segreti della Razza Maremmana” (e-mail: info@sacra.it).

>> Link: digustoingusto.it – www.terredisacra.it

Nonostante la piccola bottega di 60 m2 ubicata a quaranta chilometri dal casello autostradale, Simone ha collezionato premi e soddisfazioni a partire dai numerosi congressi di cucina italiana che l’hanno visto testimone a New York, Cina, Buenos Aires, Dubai, Abu Dhabi, Svizzera. Tra i premi si annoverano quello di Slow Food come Miglior salame contadino, di GOLOSARIA come Miglior macelleria italiana, del GAMBERO ROSSO come Miglior bottega italiana. Nel 2018 è stato nominato Ambasciatore nel mondo della “Spalla Cruda Suprema” e Miglior imprenditore dell’anno, nel 2020 invece ha ricevuto il premio più ambito: il MAM – Maestro d’Arte e Mestiere, premio promosso dalla Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte in collaborazione con ALMA, Scuola Internazionale di Cucina Italiana a Colorno (PR), che, attraverso una commissione di esperti, seleziona ad ogni edizione tredici maestri che condividono creatività, talento e passione. Non mancano poi le numerose partecipazioni televisive che l’hanno reso protagonista: La Prova del Cuoco, Linea Verde, Porta a Porta, Camper e TG5 Gusto. Tutti questi riconoscimenti lo hanno nutrito: «se tu hai qualcosa dentro e riesci a farlo, questo è ancora un paese che ti può dare delle soddisfazioni».

Simone Fracassi è docente delle migliori scuole di cucina in Italia: ALMA, INCIBUM, Scuola di Alta Formazione Gastronomica e Dolce & Salato, scuola di cucina e pasticceria. Tra clienti della macelleria Fracassi vi sono ristoranti pluristellati, trattorie e pizzerie: anche le pizzerie, mi spiega Fracassi, possono permettersi di mettere a tavola la Chianina o il maiale brado ottimizzando tutto l’animale e rendendo un piatto di grande valore.

Simone è lungimirante e sogna di realizzare un laboratorio per insegnare il mestiere ai ragazzi, «se ti chiami macellaio devi imparare a lavorare tutta la mezzena, con rispetto e precisione, in particolare rispettando gli allevatori: i miei primi amici». Simone applica esattamente ciò che il nonno materno gli ha insegnato e che lo ha reso tale: il patriarca della Chianina in Italia. «Il mondo è cambiato ma io sono rimasto lo stesso».

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PANE, PROSCIUTTO & MOZZARELLA: IL GRUPPO CIRO AMODIO APRE A MILANO

di Riccardo Lagorio

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 66 LOCALI DI GUSTO

In via Spadari 8 a Milano, a pochi passi dal Duomo, la nuova insegna del Gruppo Ciro Amodio è un negozio di circa 70 m2 che rievoca le botteghe dei pizzicagnoli: i prosciutti appesi, il cestino del pane, i formaggi, tantissimi, e i salumi tipici della Campania, insieme a tante altre cose buone in bella mostra: vini, olio, taralli e chi più ne ha….

L’apertura di Pane, prosciutto & mozzarella il 5 gennaio scorso a Milano, in via Spadari, la via del buongusto, ha segnato lo sbarco della merenda campana nel capoluogo lombardo. A vederlo da fuori si potrebbe scambiare questo ambiente per un museo del cibo. Un tripudio di colori e forme diverse nelle vetrine: pomodori in vaso gialli e rossi, paste e sughi, colatura, caci che riconducono all’orgoglio gastronomico campano ordinatamente sistemati quasi fossero sotto teca. Ma la storia di questa boutique è altrettanto interessante.

È l’ultima appendice in ordine di tempo dell’insegna campana GRUPPO CIRO AMODIO, che dal 1825 fa… mangiare Napoli coi suoi formaggi e salumi. Di tempo ne è trascorso, ma rimane

immutata quell’energia e quel desiderio di spensieratezza e abbondanza che nell’immaginario collettivo ricorda Napoli e la sua gente. L’idea base resta quella «di portare le persone a Napoli senza farle muovere da Milano» spiega MARIO NIRO, che coordina i numerosi punti vendita del gruppo, 53 solo a Napoli e provincia. «Nel banco si espongono giornalmente almeno otto varietà di prosciutto crudo e, a rotazione, più di 300 varietà di formaggio, oltre a carni che provengono da ogni angolo del mondo».

Ma non poteva essere altrimenti: gli ingredienti che hanno sancito il successo di questi primi mesi sono essenzialmente tre. Innanzitutto la mozzarella di latte di bufala, che arriva tutti i giorni appena formata dalle mani dei casari che lavorano nel caseificio di famiglia a Pollena

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Trocchia, il pane fresco elaborato con lievito madre e da farine rimacinate a pietra e i salumi prodotti in proprio come il salame Napoli o i prosciutti crudi Parma DOP o San Daniele DOP appositamente selezionati.

In particolare il salame Napoli esce «dal salumificio della famiglia Amodio, insaccato in budello naturale, legato a mano e caratterizzato dalla presenza di granelli di pepe interi e senza conservanti». La leggera affumicatura e la consistenza gradevole esigono che sia tagliato a fette spesse.

Anche la salsiccia curva al peperoncino fa parte della tradizione regionale ed è da sempre presente nel paniere del salumificio. Si distingue per la legatura a mano e l’aggiunta regolata di peperoncino, che rende gradevoli le carni senza mortificarne il gusto.

Coloro che hanno a cuore la sezione dei formaggi si soffermano su uno in particolare, il Fior di fuscella La consistenza è simile a quella di una ricotta. In verità non deriva dal siero portato ad alte temperature, ma dalla fioritura del latte che genera un prodotto cremoso e dolce.

Nel banco frigo anche ricotta, ma di latte di bufala, e il Provolone del Monaco DOP, stagionato per oltre 12 mesi nelle cantine Amodio. Le ciliegine di mozzarella di latte di bufala vengono proposte in versione da passeggio, servite nel tipico cuoppo ovvero all’interno di un cono di carta.

«I milanesi e i turisti apprezzano molto la merenda a base di panini che ovviamente riportano nomi campani» continua Niro. «Gennarino è il più gettonato con prosciutto e mozzarella. A seguire c’è Peppino, con provola

affumicata con fumo di paglia, friarielli e ciccioli. E poi Fattell’ tu, cioè l’invito a comporre il proprio panino, Fattell’ tu appunto». Tanto apprezzati anche i taglieri, che ciascuno sceglie come comporre. «Evocano caratteri e personaggi del teatro di Eduardo De Filippo: prosciutto crudo, salame di Napoli, pomodori secchi sottolio e Provolone del Monaco DOP fanno la parte del leone” spiega. “Nei primi mesi di apertura abbiamo constatato che non esiste una età prevalente: dallo studente universitario all’anziano, tutti hanno il merito di gradire la nostra innovativa proposta” afferma Niro.

Pane, prosciutto e mozzarella

Via Spadari 8 – 20123 Milano

Telefono: 02 38234435

Web: ciroamodio.it

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Il locale, progettato da Costa Group, si sviluppa su due livelli: il piano fronte strada si presenta come una drogheria di una volta mentre il piano superiore è pensato per chi desidera accomodarsi e mangiare sul posto panini, taglieri e focacce in teglia.

Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.

FRANCESCHINI GINO & C. SRL Via dei Marmorari, 38 - 41057 Spilamberto (Mo) Tel. + 39 (0) 59784037 - Fax +39 (0) 59784075 - info@franceschinigino.it - www.franceschinigino.it
ph: Franceschini Vincenzo

BRESAOLA vuol dire Valtellina

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 70 SPECIALE BRESAOLA
di Massimiliano Rella
Premiata Salumeria Italiana, 2/23 71

Se non esistesse la Valtellina non esisterebbe la bresaola, un salume nobile, di consistenza soda, privo di fenditure, rosso uniforme con bordo scuro appena accennato — bianco per la parte grassa (quasi inesistente) — e al naso delicato e leggermente aromatico, in bocca saporito e sobrio, gradevole, mai fuori misura. La “principessa” gastronomica della provincia di Sondrio è in tutti i sensi un’eccellenza unica ed esclusiva garantita dall’IGP (Indicazione Geografica Protetta). Un salume magro e nutriente, figlio di un territorio e di un’esperienza antica e codificata in anni recenti da un Disciplinare di produzione che, partendo da un’attenta selezione della materia prima, garantisce la zona (la Valtellina) e il metodo di produzione, dalla salagione fino alla stagionatura e al confezionamento finale. Insomma, la “vera” bresaola della Valtellina non va confusa con la famiglia allargata della “carne secca” e di quei prodotti — tanti, buoni, di qualità e non solo Italiani — ottenuti dall’essiccazione della carne bovina.

La bresaola non potrebbe esistere senza la Valtellina: è il territorio il suo primo ingrediente, quello “microclimatico”. L’ambiente montano e della valle, l’aria fresca e pulita che scende dalle Alpi, la conformazione orografica, sono condizioni ideali per una stagionatura graduale — e lenta — della bresaola. Gli altri fattori sono la materia prima, selezionata e di qualità, e l’esperienza e l’artigianalità dell’uomo, cioè il processo produttivo codificato nel tempo.

La materia prima prevede l’utilizzo selettivo di vari tagli della coscia del bovino adulto: la punta d’anca, la fesa, la sottofesa, il magatello e il sottosso (si veda box dedicato). Solo tagli muscolari di prima categoria, i più pregiati e teneri, che devono assicurare consistenza, morbidezza, gusto, colore, magrezza, assenza di nervature e dal punto di vista nutrizionale un minor contenuto di grassi. Tagli di razze selezionate d’età compresa tra i 18 mesi e i 4 anni, coi capi allevati preferibilmente all’aperto e al pascolo e correttamente alimentati; tutto per garantire carni idonee alla lavorazione.

I 15 produttori che aderiscono al Consorzio utilizzano principalmente carni da allevamenti europei e sud

americani, garantiti per sistemi d’allevamento e i controlli di filiera. Tra le razze europee, ad esempio, le francesi Charolaise, Limousine, Blonde d’Aquitaine e la Garronese. Tra le italiane la Piemontese, mentre dal Brasile arrivano le razze pure di Zebù, tra le quali spiccano il Nellore, dalle carni molto magre, lo Guzerat e il Brahman, due presenze comunque minoritarie.

Il metodo produttivo della Bresaola della Valtellina comincia con la rifilatura e il massaggio della carne in salagione, ricoperta da un mix di aromi naturali e piante aromatiche e spezie e si conclude con la stagionatura (da 4 a 8 settimane secondo le pezzature) alle giuste variazioni di temperatura e umidità. Il clima fresco e asciutto, la particolare conformazione della provincia di Sondrio, permettono di ottenere una bresaola conservabile anche con una salatura contenuta, quindi morbida e con una sapidità moderata.

La tecnica di produzione, che fu ideata per conservare a lungo la carne, si è perfezionata nei secoli fino a darci un prodotto, oggi rispetto al passato, più dolce, morbido e gradevole.

Quando parliamo di bresaola il salto nella storia è d’obbligo, come richiede la migliore tradizione agroalimentare italiana per ogni prodotto d’eccellenza. Le prime testimonianze e citazioni della bresaola risalgono al XV secolo, ma è indiscutibile che il salume nacque molto tempo prima per far fronte a necessità di conservazione e scorta alimentare.

Anche l’origine e l’evoluzione del nome è incerta: anticamente era chiamata brazaola, brisaola o bresavola nelle diverse comunità locali e secondo alcuni questa etimologia deriverebbe dalla voce germanica “brasa” (brace), legata all’utilizzo dei bracieri per riscaldare e deumidificare i locali di stagionatura. Secondo un’altra ipotesi il nome deriverebbe invece dal dialettale “brisa” che indica una ghiandola dei bovini fortemente salata.

Comunque fino al XIX secolo la bresaola era prodotta e consumata in casa. Le prime attività in senso imprenditoriale moderno risalgono al ‘900

Un importante passaggio storico si realizza nel 1996 con il riconoscimento IGP, riservato esclusivamente a produttori certificati della provincia di Sondrio, sottoposti alla “lente” del

Tutti i muscoli della Bresaola della Valtellina IGP

I tagli muscolari della coscia bovina, private di ossa, per fare la Bresaola della Valtellina IGP per disciplinare sono cinque:

1. fesa;

2. punta d’anca;

3. sottofesa;

4. magatello;

5. sottosso.

La fesa è la porzione posteromediale della muscolatura e comprende muscolo retto interno, muscolo adduttore e muscolo semimembranoso.

La punta d’anca corrisponde alla fesa senza il muscolo adduttore. La sottofesa corrisponde alla porzione posterolaterale della muscolatura della coscia (muscolo lungo vasto). Il magatello, più piccolo, corrisponde alla porzione posterolaterale (muscolo semitendinoso), mentre il sottosso coincide con la fascia anteriore della coscia, composta dal retto anteriore e dal muscolo vasto interno e intermedio.

CSQA, l’organismo terzo di controllo, e del Consorzio di Tutela. Il Consorzio ha il compito di salvaguardare la Bresaola della Valtellina IGP da imitazioni e contraffazioni, garantirne l’origine e promuoverne l’immagine.

L’area di produzione coincide con l’intero territorio della provincia di Sondrio, comprendendo quindi la Val Chiavenna, cui la tradizione attribuisce la paternità della bresaola. Un salume molto povero di grassi e ricco di proteine, ferro, sali minerali, vitamine. Un’eccellenza anche altamente digeribile, praticamente l’insaccato magro perfetto per soddisfare le esigenze alimentari, salutistiche e gli stili di vita contemporanei. Ma anche un prodotto che, con un pizzico di fantasia, diventa un buon ingrediente di cucina, per elaborazioni originali dall’antipasto ai secondi piatti. Suggerimenti? Quelli della Trattoria Olmo di Sondrio, ad esempio, oppure il ricco ricettario gastronomico pubblicato sul sito web del Consorzio (www.bresaolavaltellina.it/ricette).

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La prima caratteristica che si osserva nella Bresaola della Valtellina IGP è il colore, che deve presentarsi di un rosso uniforme. Può rilevarsi la presenza di una leggera marezzatura sotto forma di sottilissime striature di grasso di colore bianco. L’odore richiama la concia usata in salagione. La fetta deve essere servita con uno spessore sottile (0,6-0,8mm). Solo in questo modo sarà possibile apprezzarne morbidezza e fragranza, che si riveleranno alla masticazione (fonte: www.bresaolavaltellina.it).

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IL CONSORZIO DI TUTELA BRESAOLA DELLA VALTELLINA

Testi e foto di Massimiliano Rella

Iproduttori di Bresaola della Valtellina IGP hanno scommesso sul turismo attivo associando l’esperienza di un territorio così particolare al suo prodotto più famoso. Un prodotto tipico e destagionalizzato, i cui consumi salgono però in estate, che è poi una stagione perfetta per visitare la Valtellina e assaporare le sue specialità.

L’iniziativa del Consorzio di Tutela Bresaola della Valtellina si chiama appunto “Destinazione Bresaola” e consiste in un format lanciato nel 2021 per accompagnare i turisti nei territori

attraverso 10 percorsi di trekking geomappati abbinati a 10 panini “fai da te”, ideati dal Consorzio insieme ad un food blogger. Sono panini composti anche con altri ingredienti, locali e non, per esaltare la versatilità e gli abbinamenti possibili di un salume particolare come la bresaola.

Nel primo anno di lancio furono distribuite 25.000 guide tascabili sul territorio e sui panini “fai da te”, il secondo anno è stata invece creata una rete di ristoratori, ciascuno con una proposta di “spuntino della memoria” rivisitato, da acquistare in ristoranti,

enoteche, gastronomie. Per la terza stagione, nel 2023, si punterà sul cicloturismo con una serie di proposte a tema che coinvolgeranno il mondo del turismo e della ristorazione. «Siamo soddisfatti — ci dice la coordinatrice del Consorzio Paola Dolzadelli (in foto) — la campagna sta portando buoni risultati. Finito il lockdown nel 2020, c’è stata una riscoperta del rapporto con la natura e ci è venuto spontaneo valorizzare il prodotto all’interno dell’offerta turistica e delle risorse paesaggistiche che la Valtellina offre, all’insegna del benessere». Come dire: 2 + 2 fa 4. O no?

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Il mondo della bresaola è ampio, è un prodotto che si può fare ovunque, bresaola è un termine generico, ma in Valtellina, per tradizione, c’è una grande concentrazione di aziende e piccoli artigiani del gusto. «La bresaola è un prodotto ormai molto noto, pertanto come Consorzio ci siamo attivati per tutelarne l’identità, dandole una definizione normativa affinché ciò che è bresaola venga identificato e normato in modo chiaro, in quanto caratterizzato da un preciso processo produttivo. L’iter procedurale in vista della normazione è in corso. In ogni caso, solo nella provincia di Son-

Nel 2022 il comparto, già caratterizzato dalla variabilità di prezzo della materia prima, ha dovuto fronteggiare gli effetti perduranti della pandemia, il caro energetico e le ricadute sempre più gravose della crisi russo-ucraina, con un conseguente impatto importante. La produzione complessiva di Bresaola della Valtellina IGP riferita alle 16 aziende certificate si è attestata a 12.300 tonnellate (–8,20% sul 2021). Nell’ultimo anno, sono cambiate abitudini di consumo e comportamenti d’acquisto in risposta alle sopravvenute esigenze di spesa di una larga fascia di consumatori, su cui questa emergenza ha impattato a livello economico e di reddito in modo significativo. L’innalzamento complessivo dei costi di produzione non può più essere gestito dai soli produttori: la difficoltà ha investito l’intera filiera ed è necessario l’ascolto e l’intervento di tutti gli attori coinvolti, dalla distribuzione alle istituzioni. È urgente impegnarsi a garantire continuità a un settore strategico che rappresenta una realtà economica importante per la Valtellina e per l’intero sistema Paese nonché ad un prodotto premium nel profilo nutrizionale, nella praticità e versatilità, ideale per chi è attento a gusto, qualità e salute. Proprio per questo, nel 2023, tra gli obiettivi di comunicazione del Consorzio vi è quello di promuovere e valorizzare tutti i plus del prodotto (pratico, versatile, con zero scarti, ricco in proteine, vitamine e sali minerali), per far comprendere al consumatore quanto sia importante non rinunciare a questa grande fonte di piacere e benessere anche a fronte di un inevitabile aumento dei prezzi.

drio si produce quella contrassegnata dall’Indicazione Geografica Protetta. Fondato nel ‘98, il Consorzio di Tutela Bresaola della Valtellina aggrega 15 aziende che rappresentano il 99% dei volumi di produzione della IGP. L’IGP è la tipologia che muove i grandi volumi delle diverse bresaole prodotte sul territorio. La produzione complessiva di prodotto certificato supera le 12.000 tonnellate di vendite, assorbite per il 95% dal mercato italiano e per l’estero principalmente dai Paesi europei. Il Consorzio svolge attività d’informazione e divulgazione destinate principalmente

al consumatore nazionale, interagendo con il territorio attraverso sinergie con il Distretto Agroalimentare di Qualità della Valtellina, che mette in atto iniziative di marketing territoriali integrate che coinvolgono altri prodotti DOP e IGP come i pizzoccheri, il vino, le mele e i formaggi valtellinesi. In prospettiva, un’altra sfida per i produttori e il Consorzio sarà quella di ampliare l’ambito dell’export, dove ci sono importanti spazi di crescita dei consumi.

>> Link: www.bresaoladellavaltellina.it

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Il 2022 per la Bresaola della Valtellina IGP: tra inflazione e caro prezzi, la produzione arretra a –8,20%

BRESAOLE PINI

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Testi e foto di Massimiliano Rella

Bresaole Pini è un marchio che nasce nel 1982 come continuazione dell’antica tradizione di macelleria e salumeria che, per generazioni, è stata ed è tuttora tra i punti di forza del settore industriale valtellinese.

L’azienda è controllata da Pini Group, una holding famigliare che ha diversificato in varie società, in Italia e all’estero, ognuna su un segmento di specializzazione.

L’ultima nata, a marzo 2022, è La Leggendaria , una bresaola ottenuta dalla trasformazione di carne francese di razza Limousine. Un’etichetta che va ad aggiungersi a una gamma di prodotti che nel tempo ha saputo convincere e conquistare i mercati; un percorso non certo facile ma con una storia interessante.

Fondata dall’attuale presidente del gruppo, Piero Pini, Bresaole Pini nacque nel 1982 come piccola realtà artigianale a Grosotto (SO), in alta Valtellina. Oggi, a distanza di 41 anni, è a tutti gli effetti una delle imprese leader nel mondo della bresaola, con una quota di mercato che copre circa il 27% a livello nazionale, un centinaio di dipendenti e una solida presenza in tutti i canali distributivi (GDO, HO.RE.CA., ingrosso) con particolare attenzione alla Grande Distribuzione Organizzata e al discount. Il consumatore può trovare le bresaole della famiglia Pini su tutto il territorio nazionale, sia al banco con taglio assistito che a scaffale con prodotti a marchio e in veste di co-packer, come viene definita la produzione con imballaggio ed etichettatura in conto terzi.

Pini produce mediamente 30.000 bresaole a settimana e ha come core business lo sviluppo dei suoi prodotti a marchio, Bresaole Pini. L’azienda è controllata da Pini Group, una holding famigliare che ha diversificato in varie società, in Italia e all’estero, ognuna su un segmento di specializzazione. Ad esempio sul mercato nazionale opera con i macelli Pini Italia (ex Bertani) e Ghinzelli, mentre in Europa è presente col marchio Hungary Meat e in particolare in Spagna con Litera Meat; quest’ultimo è uno tra i macelli più importanti al mondo, pensate a circa 3,5 km di perimetro...

Al timone del gruppo, oltre a Piero Pini, i figli Roberto, Marcello e Francesco

Nel mercato della bresaola l’obiettivo dell’azienda è oggi di continuare, a livello industriale, l’antica tradizione di questo prodotto valtellinese, con un intreccio di conoscenza ed esperienza, l’impiego di moderne tecnologie e un’attenzione costante alla qualità, che gli ha consentito tra l’altro di ottenere l’IGP per la sua Bresaola della Valtellina.

Il processo produttivo comincia con un’accurata selezione della materia prima, seguita dalla rifilatura e dal corretto dosaggio di aromi e sale in fase di salagione. Finito il periodo di salamoia, il prodotto viene insaccato, legato e appeso per l’asciugatura a condizioni di temperatura e umidità costantemente controllate, condizione necessaria per la corretta maturazione della bresaola. La fase finale di stagionatura avviene, però, in tempi e modi che variano in funzione delle carni di origine, prestando attenzioni alle condizioni climatiche che, mutando, possono influenzare la formazione delle muffe sulla superficie dell’insaccato.

Ma è l’esperienza umana che permette di sapere quando la bresaola è finalmente pronta. In questo preciso momento il prodotto viene confezionato in vari formati e pezzature, in buste e vaschette in ATM, in condizioni di conservazione ottimale per mantenere a lungo sapore e aromi.

Nel tempo, per soddisfare un mercato che richiede prodotti di facile consumo, l’azienda si è specializzata nell’affettamento e nel confezionamento. Ad esempio, per la sua Bresaola della Valtellina IGP ha allestito una camera bianca con due linee tecnologiche all’avanguardia, lungo le quali i prodotti sono affettati e confezionati in buste/ vaschette, nel rigoroso rispetto delle norme igienico-sanitarie. Bresaole Pini si è anche specializzata nella produzione di varie tipologie di bresaola da affettamento, destinate all’industria di confezionamento. Vanta diverse certificazioni e una politica qualitativa rispondente anche alle aspettative della GDO.

I principali prodotti

Il Pedusc è una Bresaola della Valtellina IGP punta d’anca venduta in sacco, in sacco a metà e in vaschetta (70 e 90-120 grammi). Excelsa è la Bresaola delle Bresaole Pini, una punta d’anca d’eccellenza venduta a sacco (intero, metà) e a magatello; Favolosa è invece una sottofesa venduta a sacco (intero e a metà); l’Equina, come dice il nome, è una bresaola di carne di cavallo, ricca di sapore e gusto, venduta in sacco e in vaschetta da 70 grammi; la Bresada è una punta d’anca venduta in scatola, intera o con due metà. Inoltre, per i con-

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sumatori di fede islamica, Pini ha creato una linea Halal certificata dal comitato etico della Co.Re.Is italiana. C’è infine, come detto, l’ultima nata, La Leggendaria: una fesa pesante di circa 10 kg a cui viene tolto 1,5 kg di fianchetto (baby top) per ottenere una punta d’anca dal taglio vero binden, fondamentale per evitare spaccature e sfesature nel prodotto finito. Il prodotto ha una stagionatura minima di 7 settimane rispetto alle 4 della Classica

Tutte le bresaole Pini, da carni bovine o equine, sono senza glutine, nel rispetto dei requisiti richiesti dall’Associazione Italiana Celiachia, e sono quindi annualmente inserite nel prontuario dedicato. Come conservanti vengono utilizzati soltanto sodio nitrito e sodio nitrato.

Bresaole Pini Srl

Via Centrale 1 – 23034 Grosotto (SO)

Telefono: 0342 887350

E-mail: info@bresaolepini.it

Web: www.bresaolepini.it

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In alto: salagione. Attraverso il corretto dosaggio di sali e aromi naturali sono fissate le caratteristiche riguardanti sapore e colore della bresaola. In basso: finito il tempo in salamoia, il prodotto è avviato allo sgocciolamento attraverso l’insacco e l’appesa.

Stagionatura delle bresaole nello stabilimento di Bresaole Pini a Grosotto (SO). La stagionatura è da definirsi corretta solo se compiuta in modo paziente, rispettosa cioè dei tempi di maturazione del prodotto che variano in funzione delle carni di origine.

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Paganoni, BRESAOLA E CREATIVITÀ MADE IN ITALY

Testi e foto di Massimiliano Rella

Paganoni è una piccola azienda a conduzione familiare di Chiuro (SO) che fa bresaole di qualità e che negli ultimi si è molto concentrata sulla selezione e l’approvvigionamento delle carni bovine: carni in maggioranza francesi (75%) — più brasiliane (20%) e italiane (5%) — e in larghissima parte di fesa (98%), il taglio più adatto per fare prodotti di gamma medio-alta. «Il nostro obiettivo è fare prodotti di qua-

lità, sicuri e salubri — ci spiega Nicola Paganoni, responsabile commerciale, figlio del fondatore Paride Paganoni — ma in questi anni ci siamo anche molto concentrati sul miglioramento dell’azienda. L’ultimo intervento nel 2022 con l’installazione di un nuovo impianto fotovoltaico da 200 Kw, che soddisfa il 15% del nostro fabbisogno energetico. Inoltre, abbiamo messo in efficienza gli impianti più vecchi e ridotto ulteriormente i consumi grazie a nuovi

macchinari, a migliori gruppi frigo, all’illuminazione a risparmio energetico, ecc… Tutto questo — sottolinea con orgoglio Nicola — con un nostro investimento privato e contributi pubblici molto, molto contenuti». Adesso l’azienda ha in progetto un piccolo ampliamento degli spazi per depositi e magazzini e per adeguare la struttura alle necessità di una produzione cresciuta nel tempo. Paganoni trasforma carni acquistate principalmente in Italia e in Europa.

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Bresaola della Valtellina IGP e Bresaola di Wagyu firmate Paganoni.
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BresaolePaganoni di Chiuro (SO). Nicola e la moglie Paola Paganoni con il magazine PAGANONI LAB.
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Slinzeghe in stagionatura.

Il fiore all’occhiello della produzione è la GranBresaola, che insieme al Rosa delle Alpi (il cuore della bresaola), rappresenta oltre il 60% del totale della produzione, mentre la Bresaola della Valtellina IGP vale circa il 25%. Si prosegue con la Maestosa – Selezione Privilege, considerata una piccola riserva di famiglia, la Wagyu Selezione diamond da capi di razza Wagyu allevati negli USA, in Australia e Giappone e stagionata minimo 3 mesi, la Primitiva, bresaola biologica da carni esclusivamente italiane, e la Vestis, caratterizzata da una riduzione di sale.

Paganoni è una piccola impresa con 15 dipendenti, un fatturato annuo di 10 milioni di euro e una produzione di 2.500 bresaole a settimana. Vende il prodotto principalmente in Italia, da Nord a Sud, e ha un export di appena il 5% nella UE; valore che però intende incrementare. Rispetto alla distribuzione è molto forte sul normal trade —gastronomie, macellerie, salumerie — un canale che assorbe il 50% del volume; il resto del prodotto è presente in GDO e una piccola parte nell’Ho.Re.Ca. Produce infine una quota minima di vaschette, ad esempio la Vestis per garantire il valore nutrizionale del prodotto e stabilizzarlo

con la chiusura ermetica. Sulle vaschette lavora anche in conto terzi.

È un’azienda a cui non manca la creatività. Durante la pandemia, ad esempio, ha ideato un magazine di informazione cartaceo o digitale, il PAGANONI LAB, in uscita trimestrale, per mantenere la relazione con la clientela. Si tratta di un “foglio” che racconta la bresaola, l’azienda e le iniziative, cercando di fare cultura sulla bresaola e il suo territorio.

Paganoni nacque negli anni ‘80 quando il signor Paride aprì un piccolo salumificio a Caiolo (SO). Una decina di anni dopo cominciò a produrre con successo la bresaola, tanto che nel 2004 realizzò lo stabilimento di Chiuro, una struttura moderna e con una gestione informatizzata dei processi. È insomma il classico made in Italy a conduzione famigliare: Paride, la moglie Giuliana, il figlio Nicola e sua moglie Paola.

Nicola, che è laureato in Economia aziendale alla Bocconi, ha chiaro il quadro economico che ha vissuto il settore negli ultimi anni. «All’estero le vendite della bresaola sono state congelate con la pandemia perché eravamo presenti sul canale della ristorazione — racconta — e perché il personale commerciale

non poteva girare a causa delle restrizioni. Da qualche tempo sono ripartite, però la ripresa non è stata completa: la guerra in Ucraina e l’aumento dei costi energetici e della materia prima — prezzi mai visti prima! — hanno creato danni al mercato.

Tra il 2021 e il 2022 il settore ha sofferto la carenza di materia prima, dovuta al calo produttivo negli allevamenti per la contrazione della domanda durante la pandemia — sottolinea Nicola Paganoni — e questo ha dato spazio a dinamiche speculative. Si sono registrati rialzi del 30%, con aumenti forti nella prima parte del 2022 che hanno innescato un calo dei consumi, alimentato poi dalla ricerca del risparmio da parte dei consumatori, per la paura di ulteriori aumenti dei costi energetici. Questo ha creato danni al mercato della bresaola» conclude. «Da una parte c’è stato un azzeramento dei margini per continuare a presidiare le posizioni, dall’altra si sono ridotti i ricavi. Fortunatamente, questo inizio 2023 è stato caratterizzato da un andamento migliore rispetto all’anno scorso, il che ci fa ben sperare».

>> Link: www.paganoni.com

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Celle di stagionatura dell’azienda Paganoni a Chiuro (SO).

BORDONI E L’EVOLUZIONE DELLA BRESAOLA

Bresaola da spuntino, da passeggio e da cucina gourmet. La novità di Bordoni si chiama Bresaola 2GO ed è una simpatica confezione doypack di 50 grammi con una julienne di bresaola tagliata a listarelle, da mangiare come snack o come merenda oppure da utilizzare in cucina per comporre o completare un primo piatto, un contorno e, perché no, anche un secondo. Lanciata a marzo in

GDO, è l’ultima iniziativa commerciale di questa storica azienda dell’alta Valtellina, nata nel 1987 come continuazione di una macelleria di paese, che fu aperta da Pietro Bordoni. I tre figli Dario, Paolo e Gianpiero svilupparono il lavoro del padre e cominciarono ad ampliare la produzione, seppur allora limitata alla vendita in macelleria; che esiste ancora, ed è proprietà di un parente, Giuliano.

Nel ‘96 l’apertura del primo sito industriale a Mazzo di Valtellina e, a seguire, un primo ampliamento della superficie nel 2002 e un secondo — però in altezza — nel 2004. Proprio in quegli anni i Bordoni smisero di lavorare il suino per concentrarsi esclusivamente sulla bresaola. La carne di maiale è stata però reintrodotta nel 2020 per produrre il Fiocco di Valtellina, una quota ancora molto piccola sul totale produttivo.

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Bresaola 2GO, la nuova julienne di bresaola firmata Bordoni nel pratico formato doypack, perfetta per essere trasportata ovunque e per lo stile di vita “on the go”. «Il progetto Bresaola 2GO nasce con l’obiettivo di offrire al consumatore un prodotto facile, di uso comune, con la stessa qualità di sempre», commenta Barbara Bordoni.
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Barbara e Giorgia Bordoni. Il marchio Bordoni nasce nel 1964 con la macelleria di famiglia. Il legame col territorio, l’alta qualità delle materie prime, il valore delle tradizioni e la passione per il mestiere contraddistinguono questa bella realtà valtellinese (photo © Massimiliano Rella).
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In alto: le spezie utilizzate per la bresaola. In basso: la stagionatura della bresaola Bordoni.

L’ultimo ampliamento è avvenuto tra il 2017 e il 2019 con un importante investimento sulla tecnologia e l’automazione in tutti i campi: ad esempio, per la movimentazione dei carrelli in stagionatura e nel reparto di salagione, per la linea d’insacco; insomma, tutto automatizzato ma — contrariamente a quanto si potrebbe pensare — senza tagli di personale. Anzi: con l’automazione l’azienda ha avuto bisogno di qualificare, specializzare e ampliare il personale, passando dai 35 dipendenti del 2019 a 62 l’anno scorso. Sempre nel 2020 ha realizzato anche un reparto di affettamento per i preconfezionati.

In generale la razionalizzazione dei processi di lavoro ha sostenuto la crescita a valore, facendo registrare un aumento di fatturato, nel 2019, di 35 milioni di euro e, nel 2022, di 56 milioni di euro.

Di recente, con la cessione di quote dalla famiglia di Paolo, l’azienda è pas-

Bresaola creativa

sata interamente alla famiglia del fratello Dario Bordoni, che la gestisce insieme alle giovani figlie Barbara e Giorgia, la prima responsabile della direzione generale, la seconda del personale, della sicurezza e dell’ambiente.

Nel 2022 le bresaole Bordoni sono entrate nel network di imprese

“Le Famiglie del Gusto”, una rete di quattro aziende famigliari specializzate su un prodotto: la San Michele per il Prosciutto di Parma, Coati per i cotti, Felsineo per la mortadella e Bordoni per la bresaola. «In questo modo — spiega Barbara Bordoni — riusciamo ad agevolare la clientela con un’offerta che copre i quattro grandi insaccati italiani e possiamo partecipare uniti alle fiere con una proposta altrettanto completa».

La produzione complessiva ammonta a 20.000 bresaole a settimana, diversificata per provenienza e razze animali tra Bresaola della Valtellina IGP, bresaola Storica e bresaola Italiana

L’Identificazione Geografica Protetta rappresenta circa il 50% del volume, con pezzature medie di 4,5-6 kg per ottenere un prodotto finito, di forma cilindrica, di 3-3,5 kg.

La Storica è ottenuta da carni francesi: fese di circa 10,5 kg per un prodotto finito di 5-6 kg, a forma di goccia. Infine l’Italiana, da razze nazionali e vari incroci, con un prodotto finito di circa 5,5 kg.

Le bresaole Bordoni sono presenti in Italia, principalmente del Nord, in GDO e nell’H O .R E .C A L’export va forte in Canada, Giappone e nei Paesi arabi: Giordania, Arabia Saudita, Dubai, Libano, ecc…, mercati che sono stati approcciati a partire dal 2012 con l’ottenimento della certificazione Halal e che rappresenta una quota importante delle esportazioni.

Massimiliano Rella

>> Link: www.bresaolabordoni.it

Alla Trattoria Olmo di Sondrio (www.iolmo.it), il titolare Olmo Fumasoni lavora da sei anni su una bresaola di bosco d’alta qualità in collaborazione con Stefano Ciabarri, norcino, chef e proprietario di MA! Officina Gastronomica, la cui bresaola artigianale è stata premiata dal Gambero Rosso e da altre guide e riviste di settore. La bresaola di bosco (prima da sinistra) è il risultato di una ricetta esclusiva che prevede l’utilizzo di una mistura di mirtilli, sale, pepe, spezie e aglio spalmata sulla carne per far partire la salagione, senza budello né insacco, sostituito infatti da questa “pellicola vegetale” di 2-3 millimetri creata dalla mistura di mirtilli e spezie. Una bresaola senza nitriti e nitrati né conservanti. Appena 150 kg di carne fresca lavorata al mese, circa 10 quintali l’anno. «L’obiettivo — ci spiega Olmo Fumasoni — è di utilizzare esclusivamente carni dell’allevamento di mia sorella Cecilia, di varie razze allevate esclusivamente in Valtellina: Angus, Garronese, Piemontese, capi che danno carni pregiate con una marezzatura bilanciata e una resa elevata in macellazione, con poco scarto rispetto alla carne». Questa bresaola ha un colore rosso vivo, profumi intensi e pungenti di carne fresca. Si può assaggiare soltanto in trattoria o nell’agriturismo Olmo, 10 raffinate camere in B&B. Alla tavola di Olmo le bresaole sono utilizzate poi anche come ingredienti per alcuni piatti. Ad esempio per l’antipasto, Julienne di bresaola, julienne di bitto stagionato 2 anni e finferli rosolati (a destra), o per il Risotto al vino rosso Sassella, con formaggio Bitto e bresaola (al centro)

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MOTTOLINI: DIVERSIFICAZIONE, SOSTENIBILITÀ E CAPACITÀ IMPRENDITORIALE

VALTELLINESE

Testi e foto di Massimiliano Rella

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Più che ai numeri Mottolini punta alla diversifi cazione ricercando cose particolari. Il fondatore, Michele Mottolini, nel 1986, dopo l’esperienza fatta nei salumifici del territorio, decide di aprire un suo laboratorio sotto casa, a Poggiridenti, nella zona vinicola dell’Inferno, contando sul supporto della moglie Enrica e sull’aiuto dei fratelli Emilio, che subentra l’anno successivo dopo il servizio militare, e Diego, il più giovane dei tre. Oggi producono varie bresaole grazie a carni con origine e razze diverse; si spazia da razze italiane come

la Piemontese, francesi, sudamericane ed europee, con un’ottima selezione di carni irlandesi utilizzate anche per la produzione di Bresaola della Valtellina IGP (il 35% del volume totale di produzione).

Quindici anni fa, tra i primi sul territorio, i Mottolini creano una filiera 100% italiana utilizzando carne di Fassona, e nel 2015, in collaborazione con COLDIRETTI e CONFINDUSTRIA LECCO-SONDRIO, cominciano a produrre una bresaola di sola carne valtellinese, da capi nati, allevati e macellati in Valtellina. «Il problema era trovare allevatori con

A sinistra: Emilio Mottolini, proprietario coi fratelli Michele e Diego dell’azienda omonima a Poggiridenti (SO). Lo stabilimento Mottolini è ubicato alle pendici dei celebri terrazzamenti vitati denominati Inferno, che danno vita anche ad eccellenti vini e dove il territorio e l’eccezionale microclima contribuiscono all’unicità della produzione salumiera.

una fornitura costante» ricorda Emilio Mottolini. «L’idea suggerita da alcuni fu quella di utilizzare la carne di vacche da latte a fine carriera. È una piccola produzione di qualità, fatta con 2 capi ritirati ogni 15 giorni da una rete di una ventina d’allevatori».

Il prodotto si chiama Originaria ed è autoctono anche nella parte aromatica, grazie ad una miscela di piante aromatiche, secondo una ricetta di famiglia, oltre ad un “massaggio” in vino Rosso della Valtellina DOC durante la salagione. Insomma, l’Originaria nasce e finisce in Valtellina. Si trova solo in

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1) Slinzeghe. 2) La Casereccia, bresaola da carni europee stagionata in calza. 3) Bresaola in asciugatura.

Celle di stagionatura della Bresaola della Valtellina IGP punta d’anca nello stabilimento Mottolini a Poggiridenti (SO). Dalla scelta dei tagli migliori della coscia di manzo alla rifilatura della carne, dal massaggio in salagione al dosaggio di aromi e spezie, le fasi di lavorazione della bresaola Mottolini sono rituali che derivano da ricette di famiglia tramandate nel tempo. L’aria buona della Valtellina e le giuste variazioni di temperatura e umidità rendono ottimale la stagionatura e sono ingredienti indispensabili per la buona riuscita del salume, caratterizzato da colore intenso, naturale morbidezza e un gusto delicato.

negozi e ristoranti del territorio. «L’altra particolarità — sottolinea Emilio Mottolini — è che sull’etichetta dell’Originaria è indicato sempre il nome dell’allevatore, per trasparenza sulla tracciabilità del prodotto e per invogliare turisti e consumatori ad andare a trovare gli allevatori e provare altri loro prodotti».

Rassicurati dal successo di quest’iniziativa, adesso i Mottolini stanno per lanciare una nuova bresaola di “razza”, ottenuta dalle carni di capi di Chianina allevati in Val di Chiana dall’Azienda Agricola San Giobbe, con la stessa idea di creare una filiera dal campo alla tavola, ma da razza toscana allevata secondo il Disciplinare di allevamento del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP.

La storia dei Mottolini è un tipico esempio della capacità imprenditoriale italiana e lombarda. Figli di contadini, proprietari di qualche vigna e mucca, Michele decise di buttarsi a capofitto

nel mondo della bresaola, quando il mercato stava crescendo. Nel ‘96, col riconoscimento della IGP, cominciarono ad investire aziende extraterritoriali e il fenomeno si consolidò.

Tempismo perfetto: cinque anni prima, nel 1991, il laboratorio dei Mottolini si era già allargato alla dimensione di piccolo stabilimento, fino a raggiungere le dimensioni attuali, una struttura di 5.000 m2, compresa una linea affettati, in cui lavorano 35 dipendenti, più altri 60 nelle altre attività di famiglia, un’azienda di trasporti e 4 supermercati in franchising Le Rocce Carrefour, dove dedicano scaffali e corner a tanti prodotti valtellinesi.

Tornando alla bresaola, i Mottolini producono 400.000 pezzi l’anno (7-8.000 a settimana), oltre ad una piccola quota di prosciutto Fiocco della Valtellina

Complessivamente la produzione fattura 22 milioni di euro l’anno, il 24%

dei quali dall’export, un’alta percentuale. Tra i principali mercati, Svizzera, Francia, Canada e Libano. Le bresaole Mottolini sono presenti anche nei Paesi arabi, conquistati con la certificazione Halal già quindici anni fa.

L’azienda ha ottenuto altre certificazioni: IFS Food, BRC, la certificazione Bio per alcuni prodotti e la kosher per il mercato di religione ebraica (Israele). Ultima certificazione acquisita la ISO22005 che garantisce la tracciabilità delle razza Piemontese, comunicata nell’etichetta della Bresaola la Fassona

Mottolini è presente in GDO e nel canale HO.RE.CA., meno nel normal trade. Tra i nuovi investimenti, ricordiamo l’ampliamento del fotovoltaico di ultima generazione e il rinnovo del vecchio con pannelli più performanti.

>> Link: www.mottolini.it

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GRIGIO RETICA E CARNE SECCA DEI GRIGIONI

Èimpressionante guardarli al pascolo questi bovini dalle corna lunghissime e dal mantello grigio uniforme che cambia tonalità con la diversa esposizione all’inclinazione del sole. Non sembra possibile che l’uomo abbia permesso che siano stati decretati in via di estinzione. Per la loro possanza, per quanto hanno dato alle passate generazioni, per la loro bellezza. Eppure è così: anche la Grigio retica deve fare i conti con le razze cosmopolite malgrado sia parca e facile da accontentare con erba e fieno neanche dei migliori…

«Alcuni allevatori hanno iniziato a utilizzare le Grigio retiche per arginare

lo sviluppo delle foreste, mantenendo pulite le aree di frontiera tra pascolo e bosco. Consumano erbe e arbusti marginali, che gli altri animali non gradiscono» spiega FRANZ EMMENEGGER, presidente della Associazione allevatori della Grigio retica che possiede l’allevamento nel Cantone Lucerna.

A differenza delle razze moderne, la maggior parte delle specie in pericolo ha origini antiche, i capi sono più piccoli e hanno subito un’evoluzione genetica naturale. Di conseguenza, il loro sviluppo fisico è più lento e la produzione di carne è spesso inferiore. Questo è il motivo per cui molte razze tradizionali sono diventate impopolari

e alcune si sono addirittura estinte. Ma, a ben guardare, queste razze antiche hanno diversi vantaggi: sono più stabili geneticamente, si adattano più velocemente all’ambiente e al clima e sono più resistenti alle malattie. Un processo di erosione genetica che è iniziato 200 anni fa con l’industrializzazione dell’agricoltura e ha letteralmente fatto fuori quasi il 50% delle razze sopravvissute a migliaia di anni.

«Si parla tanto di sostenibilità, ma il primo anello di questo fenomeno sono proprio loro, le razze in via di estinzione, che si adattano a climi, alimentazione e patologie con rapidità» continua Emmenegger.

PRODOTTI TIPICI
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di Riccardo Lagorio

Manfredo Conte porta un tagliere con la Carne secca dei Grigioni, IGP svizzera. Tradizionalmente, la carne essiccata viene gustata come aperitivo, tagliata a fette sottili come un prosciutto o una bresaola tradizionale oppure è ingrediente di zuppe o del “Butter auf Brot zu streichen” (“pane spalmato di burro”), di cui è compagna ideale.

Dalle sue parole si viene inoltre a sapere che «gli animali iscritti al registro nazionale sono 888 al 30 novembre 2022, ma si stima che complessivamente gli animali al mondo siano 2.200 Nella mia fattoria vengono allevati circa 70 capi, di cui 35 vacche e 4 tori. Quando nascono dei maschi, questi vengono destinati al macello oppure venduti per l’ingrasso come manzi».

È ormai accertato che il bovino Grigio retico sia nato da incroci del Bovino delle palafitte (Torfrind), il bovino Grigioargento dei Reti e il bovino al seguito dei Walser e degli Alemanni: un animale che ha accompagnato i popoli nelle grandi migrazioni dal centro Europa verso le aree marginali del continente. Nell’isolamento delle valli grigionesi si svilupparono ceppi locali come il bovino Albula e il pesante Oberländer, usati come animali a triplice attitudine, soppiantati a inizio degli anni Venti del secolo passato dalla Bruna.

«Orgogliosa portatrice di corna, la vacca di razza Grigio retica trasforma l’erba degli alpeggi più ostici senza consumare cereali o alimenti concentrati. Per questo il suo allevamento è interessante soprattutto in alta montagna

d’estate. Gli animali sono allevati come vacche nutrici per i vitelli da macello o per la produzione di latte. I rappresentanti di mangimi sono meno contenti del bovino grigio retico perché non ha bisogno di foraggi da ingrasso» afferma un altro allevatore, ALDO ARPAGAUS di Cumbel, nel Cantone Grigioni. La buona quantità di latte sviluppata dalle femmine permette al vitello di crescere in forza e rapidamente. Ma la vacca Grigio retica viene ancora occasionalmente utilizzata per il trasporto o per lavori agricoli: un tempo era imbrigliata all’aratro per sostituire il cavallo, attività che avviene sempre meno per l’avvento della meccanizzazione.

«La fine tessitura della carne e la magrezza della carne sono elementi ideali per la produzione della carne secca dei Grigioni, una IGP svizzera. Di solito si ottiene con la carne di animali matura che non producono più latte, oltre i 6 anni di età» ricorda Arpagaus. La forma squadrata e il colore bruno la differenziano dalla bresaola che conosciamo al di qua delle Alpi, sebbene la procedura di produzione e gli ingredienti per aromatizzare la carne siano pressoché simili.

Per provarne una deliziosa in un luogo incantevole, bisogna prendere la cabinovia a cremagliera che porta ai 2.456 metri di Muottas Muragl, non distante dal confine italiano, e ordinarla come aperitivo al Ristorante Romantik, prima di una zuppa d’orzo. L’incanto del luogo e la veduta sulla valle di St. Moritz dalla vetrata vi faranno sentire in paradiso.

Riccardo Lagorio

Franz Emmenegger

6106 Werthenstein (Lucerna)

Telefono: +41 414902113

E-mail: praesident@grauvieh.schweiz.ch

Aldo Arpagaus |

Bio Hof Gudigliel

Entadem vitg 94

7142 Cumbel (Grigioni)

Telefono: +41 787037836

Web: www.bio-hof-gudigliel.com

Romantik Hotel Muottas Muragl

Punt Muragl 3

7503 Samedan (Grigioni)

Telefono: +41 818428232

Web: www.muottasmuragl.ch

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MA PERCHÉ IL TIRÒT È COSÌ BUONO?!

ASermide e Felonica, l’ultimo comune del Basso mantovano, ad un centinaio di chilometri di distanza dal Delta del Po, al confine tra Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, trova origine un presidio Slow Food che merita di essere difeso dalle imitazioni. Accanto

ai celeberrimi “tortelli di zucca”, al “risotto alla pilota” (il famoso riso condito con un pesto di carne di maiale), agli “agnolini in brodo”, al “luccio in salsa”, agli stracotti e alla “torta sbrisolona”, sfila il “tiròt”, una focaccia con cipolla, tipica della terra dei Gonzaga, che arricchisce la cultura del mangiar

bene. Il Grande Fiume ha reso i terreni di queste zone fertili e argillosi, perfetti per la coltivazione di una cipolla dolce e dorata. Un’antica leggenda vuole che sotto il fiume scorra una vena d’acqua leggermente salmastra, capace di dare alla cipolla di Sermide il suo caratteristico sapore; per questo, viene anche

Il tiròt è una focaccia a base di cipolla paglierina di Felonica. Il vero tiròt si dovrebbe preparare con “li sióli gustáni”, le cipolle d’agosto, quelle appena estratte dalla terra.

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chiamata “figlia del Po”. La cipolla ha una storia antica, è presente sulle tavole delle famiglie più povere già nel Medioevo, ma solo nel Rinascimento riesce a guadagnarsi un posto di tutto rispetto sulle tavole nobiliari, soprattutto perché considerata un potente afrodisiaco.

La sua coltivazione tra Sermide e Felonica risale a due secoli fa e rappresentava una delle principali fonti di reddito della popolazione. Durante il secondo Dopoguerra molte famiglie del paese affittavano piccoli appezzamenti di terreno per dedicarsi a questa coltura. La raccolta coinvolgeva tutta la famiglia, dai bambini agli anziani; si lavorava insieme per integrare con il raccolto i magri stipendi dell’epoca. In paese c’erano magazzini per la lavorazione, una fabbrica per la produzione di cassette di legno e un sistema di spedizioni che la inviava in treno verso l’estero, specialmente in Francia, in Germania e in Svezia. Alla fine degli anni ‘70, però, la produzione entrò in crisi, la tradizione familiare man mano si perse e i forni comuni cessarono la loro attività, mettendo a rischio la preparazione della gustosa focaccia.

Per portare avanti la tradizione di questo straordinario prodotto, Slow Food ha voluto fortemente mettere in campo azioni per il recupero della varietà di cipolla bionda di Sermide e Felonica, promuovendo una filiera locale che collega i fornai alle aziende agricole, al fine di recuperare i terreni dismessi e creare nuovi posti di lavoro. È grazie agli impegni presi dalla Fondazione e alla volontà della gente che vive questa amabile terra che la cipolla di Sermide resiste e viene ancora piantata in autunno come si faceva un tempo. Il suo colore giallo paglierino è inconfondibile, così come il suo sapore. Purtroppo, però, è un bulbo dalla vita breve, dato che dura solo tre mesi e questo ha portato molti coltivatori a preferire altre varietà ibride, a scapito di quella di Sermide, che rimane una produzione molto limitata.

La “bionda” di Sermide è la regina del tiròt, la focaccia che deve il suo nome al fatto di essere tirata a mano direttamente nella teglia. Tradizionalmente era consumata o durante il lavoro nei campi o a fine giornata, quando le famiglie

si riunivano nelle aie delle fattorie. Di primo mattino, le donne preparavano l’impasto a base di farina di grano tenero, cipolla, strutto, un poco di lievito, acqua e sale, per poi recarsi ai forni collettivi del paese per la cottura.

Ancora oggi per preparare le focacce è necessario alzarsi molto presto. Le cipolle, tagliate finemente, vengono aggiunte al resto degli ingredienti. L’acqua rende l’impasto soffice ed elastico, quasi liquido, ed è dalla sua morbidezza che nasce l’esigenza di tirarlo direttamente dentro alla teglia. Non si riuscirebbe altrimenti a stenderlo come si fa in genere con gli impasti più consistenti dei classici prodotti da forno.

Il tiròt viene lasciato lievitare almeno un’ora, poi cotto in forno per altri sessanta minuti. Il risultato è straordinario: tagliata tradizionalmente in forme rettangolari, la focaccia ha colore paglierino dorato e uno spessore di pochi millimetri. Ciò che la caratterizza è l’aroma intenso della cipolla, che al palato si presenta dolce ma sapido. Della bontà di quello che oggi è tutelato come presidio Slow Food parlavano già i testi culinari dei Gonzaga e alcuni trattati dell’Ottocento, oltre a comparire nel dizionario del letterato mantovano FRANCESCO CHERUBINI del 1827.

Nelle calde domeniche d’estate, da giugno a settembre, un fragrante tiròt viene distribuito agli abitanti del paese e ai borghi vicini per trasmettere la memoria della tradizione anche ai più giovani e scongiurarne l’estinzione. I volontari della Pro Loco cominciano ad impastare di buon mattino, sbucciano le cipolle tutti insieme perché la preparazione della focaccia diventa occasione per condividere ricordi e commemorare il passato.

Il tiròt racconta la storia del Basso mantovano meglio delle pagine di un libro. Ci sono tutti gli elementi che la caratterizzano: il periodo della coltivazione, lungo e paziente, la semplicità della vita dei suoi abitanti, la capacità di condividere i momenti di fatica con quelli di festa. Questi gli ingredienti di una ricetta preziosa che, come tale, non conosce lo scorrere del tempo. Non esiste una stagionalità per preparare il tiròt: è buono sempre. Tutto l’anno, in tutti i modi.

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41038 S. Felice s/P (MO) Via Palazzetto, 36

La Lucanica di Picerno

La norcineria della piccola Basilicata può vantare un nuovo prodotto IGP (Indicazione Geografica Protetta). È la Lucanica di Picerno, un salume a forma di “U” che prende il nome d’origine dal paese di Picerno, in provincia di Potenza, ma il cui disciplinare produttivo abbraccia un’area di 14 comuni; comuni che sono, oltre a Picerno, Tito,

Satriano di Lucania, Savoia di Lucania, Vietri di Potenza, Sant’Angelo Le Fratte, Brienza, Balvano, Ruoti, Baragiano, Bella, Muro Lucano, Castelgrande e Sasso di Castalda.

«La Lucanica di Picerno è diventata IGP oltre un anno fa» ricorda GIOVANNI LETTIERI, presidente del Consorzio, sindaco di Picerno, ma anche norcino e produttore. «Adesso siamo in attesa di

metterla sul mercato con la certificazione e attendiamo a breve di conoscere le procedure di bollinatura dalla Camera di Commercio di Potenza».

Questo salume a forma di U e dalle note di finocchietto selvatico — che è l’elemento più caratterizzante — è fatto con tagli nobili di suino nazionale: spalla disossata e denervata, collo, sottospalla, pancetta, punta di filetto

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e triti di prosciutto. I tagli sono ripuliti, secondo il metodo tradizionale, eliminando il tessuto grasso molle e le parti connettivali, infine macinati in tritacarne a grana medio-grossa. L’impasto viene poi condito con sale, pepe e finocchietto selvatico, una spezia che cresce rigogliosa grazie a estati calde seguite da mesi con piogge abbondanti e da inverni nevosi, tipici dell’Appennino lucano. L’essenza della pianta aromatica e degli altri aromi naturali è presente in proporzione del 4% del prodotto finito. Al termine della preparazione, l’impasto sosta da 4 a 24 ore ad una temperatura di 8 °C per favorire l’assorbimento completo degli ingredienti, prima d’essere insaccato in budello naturale. La successiva asciugatura avviene con doppio passaggio per favorire una naturale disidratazione: una prima fase di sgocciolamento ad umidità relativa del 90% e temperatura massima di 22 °C e un secondo stadio d’asciugatura, più lungo.

La stagionatura complessiva dura 20-30 giorni, «perché è una salsiccia di piccolo calibro: ha un diametro di circa 3 cm, una lunghezza di 20-35 cm e un peso di 250-350 grammi», elenca il sindaco-norcino.

Alcuni produttori la fanno in versione naturale, senza conservanti aggiunti, nitriti e nitrati, ma anche fresca da cuocere in padella, da sbriciolare nel sugo o grigliare sulla brace. Esiste poi una versione piccante ottenuta con aggiunta di peperoncino frantumato a scaglie.

Al taglio il salume ha una fetta compatta di colore rosso rubino e abbastanza magra, mentre al palato colpisce per il sapore intenso, caratterizzato dalle note di finocchietto; che è un bell’invito a berci accanto un rosso della Basilicata, come l’Aglianico del Vulture DOCG, tanto per rimanere in provincia di Potenza.

Il nome del prodotto ricorda le lucaniche venete o la luganega trentina, ma non va confusa, anzi: «Da ricerche dell’Università di Basilicata sono state rintracciati documenti descrittivi risalenti alla presenza di CICERONE in Lucania, il territorio d’origine delle lucaniche» tiene a precisare il presidente del Consorzio Lettieri. Il nome delle altre discenderebbe dunque dal salume nato in Basilicata e presente già in epoca romana.

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Produzione artigianale di Lucanica di Picerno (“insaccatura in budello”) presso Lucana Salumi, a Picerno (PZ).

La stagionatura della Lucanica di Picerno nei laboratori di Lucana Salumi. Il tipico colore rosso rubino dell’insaccato, la giusta consistenza, il profumo intenso ed armonioso sono il frutto di una paziente stagionatura. Le spezie, provenienti dalle coltivazioni locali, tra cui il finocchio selvatico, assieme al peperoncino a scaglie (nella versione piccante) regalano al palato un gusto intenso.

Le prime fonti che testimoniano l’origine sul territorio risalgono tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C.; fonti storiche quali MARCO TERENZIO VARRONE, MARZIALE, APICIO e CICERONE, che si riferivano appunto all’insaccato da loro trovato in terra lucana. Le citazioni nei canti popolari sono un’ulteriore testimonianza dell’evoluzione della ricetta, ma solo negli anni ‘70 del ‘900 la produzione esce dalla dimensione familiare e casalinga.

Oggi tra le principali imprese troviamo l’azienda della famiglia Lettieri, la Lucana Salumi (www.lucanasalumi. it), fondata dal signor GERARDO OTTAVIO nel ’69. Produce anche soppressate, capicolli, pancette e monoporzione di affettati per la GDO. I Lettieri

ritirano carni selezionate sul mercato nazionale, poiché la suinicoltura lucana non è sufficiente a garantire la produzione.

Trasformano in media 150 quintali a settimana, hanno 16 dipendenti, un fatturato di 7 milioni l’anno e un export di appena il 5%, poiché il mercato principale rimane il centro sud. Sono certificati ISO, BRC e IFS per la Germania e il Regno Unito, che è il maggior mercato d’esportazione. In Italia la Lucana Salumi è presente in GDO. Ad esempio in Coop vende tra gli affettati della linea “Buoni come al Banco” il capocollo, il salame Napoli, la ventricina, la spianata piccante, ecc… Al banco, invece, la Lucanica di Picerno.

Premiata Salumeria Italiana, 2/23

IL CEDRO DI CALABRIA

di Massimiliano Rella

La Calabria è terra sorprendente, ricca di curiosità e rarità.

Una è senza dubbio il “padre” di tutti i bovini europei, l’altro è il cedro, un frutto sacro per gli Ebrei che, infatti, vengono ad acquistarli sulla costa ionica, a Santa Maria del Cedro, per fare scorta in vista della festa delle Capanne, celebrata nelle comunità ebraiche di tutto il mondo.

Ma andiamo con ordine. Il progenitore preistorico dei bovini si trova nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, in un borgo curioso e isolato: Papasidero, il cui nome deriva dal greco Papàs Isidoros, un monaco bizantino basiliano

membro di una comunità che si ispirava alla regola di San Basilio (330-379 d.C.) e la cui presenza è testimoniata sul territorio dal Sentiero del Monaco, un’antica mulattiera. La principale attrazione di Papasidero è però la Grotta del Romito, risalente al tardo Pleistocene. Qui è custodito un grande masso inciso con un imponente graffito di un “toro”. Era il Bos primigenius, cioè l’uro, un grande bovino europeo estinto, originario del Paleolitico superiore e da cui discesero i bovini domestici. Accanto a questa che è considerata la più grande espressione d’arte verista del Paleolitico, in area mediterranea, sono collocate due se-

polture con due inumati. La penombra e la monumentalità della grotta, in cui in oltre 60 anni di ricerche sono stati individuate 9 sepolture, inducono allo stupore, così come la figura dell’uro che si trova all’ingresso della cavità, tra stalattiti e stalagmiti, disegnata con linee stilizzate a configurare quest’animale dalle gigantesche corna.

La cavità è la maggiore emergenza preistorica della Calabria: si trova in uno stretto canyon che offriva protezione e riparo alla comunità di Homo Sapiens che lo abitò, sfruttando il fiume Lao come via di comunicazione e fonte di risorse alimentari e litiche. Grazie all’uro inciso

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 100 TURISMO ENOGASTRONOMICO

sulla roccia migliaia di visitatori si accalcano curiosi nel sito contribuendo alla ricchezza del territorio. Nei pressi della grotta del Romito c’è un Antiquarium che ripropone con ricostruzioni e pannelli didattici il racconto del sito, dei suoi ancestrali testimoni e del Bos primigenius, a cui un pasticcere di Praia a Mare ha pure dedicato un dolcetto di ricotta e di cedro. Alcuni l’hanno battezzato “Bacio del Bos”. Papasidero si trova nelle aree interne e più impervie dell’Alto Tirreno Cosentino, ad una trentina di chilometri dalla costa e dalla Riviera dei Cedri, un territorio che prende il nome dal tipico agrume della varietà Liscio Diamante,

un frutto che attira ogni anno, tra luglio e settembre, decine di rabbini delle comunità ebraiche internazionali in arrivo in Calabria per raccogliere gli esemplari più puri e perfetti, scelti uno ad uno con una lente d’ingrandimento e spediti ai fedeli di tutto il mondo per le celebrazioni del Sukkoth, la Festa delle Capanne. Questa dura sette giorni e rievoca agli Ebrei il viaggio nel deserto verso la Terra Promessa. I cedri devono essere puri, cioè nati senza innesti, avere la buccia “liscia”, priva di fori e macchie, pesare tra gli 80 e i 250 grammi e avere una forma che assomigli il più possibile ad un muscolo cardiaco. Tra-

A pagina 100: il golfo di Policastro in direzione di Scalea (photo © Massimiliano Rella).

In questa pagina, in alto: il graffito del Bos primigenius (Uro) nel Riparo del Romito, sito archeologico paleolitico di Papasidero, Cosenza (photo © Massimiliano Rella)

In basso: rabbino che seleziona il cedro “sacro” per la festa delle Capanne (Sukkoth) a Santa Maria del Cedro (photo © Eugenio Magurno).

dizione vuole che durante le preghiere del Sukkoth il capo famiglia tenga nella mano sinistra un fascio di rami di mirto, salice di fiume e palma e nella destra un grande cedro a forma di cuore col peduncolo rivolto verso l’alto. Il paese di Santa Maria del Cedro, fondato nel XVII secolo, è la patria di questo frutto prezioso pagato dai rabbini da 30 a 50 euro l’uno. Possiamo scoprire di più su questa storia e sull’utilizzo del cedro in cosmesi, nell’alimentazione e nelle bevande al Museo del Cedro

Massimiliano Rella

>> Link: www.museodelcedro.com

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Formaggi e vini della Val d’Aosta

La Fontina DOP rimane sempre la regina dei formaggi valdostani, ma nella regione degli stambecchi si possono scoprire numerose altre declinazioni di forme del latte. Così la ricerca dei profumati prodotti caseari diventa anche un modo gustoso per conoscere le tante facce della Val d’Aosta. Al tempo stesso la viticoltura valdostana è assai variegata e i circa 20.000 ettolitri prodotti grazie a case vinicole sempre più giovani, amate dal pubblico e natural, è spesso definita

viticoltura eroica poiché attuata in condizioni particolarmente disagevoli come le inconsuete pendenze. Una viticoltura da resistenza umana, contraddistinta da una sola denominazione di origine, Vallée d’Aoste/Valle d’Aosta, e 31 sotto-denominazioni riferite ad aree di coltivazione o a specifici vitigni, molti dei quali autoctoni, altri acclimatati alle condizioni alpine, come accade per il Nebbiolo, che si presenta particolari caratteristiche e passa sotto il nome di Picotendro.

Appena entrati a Pont Saint Martin bisogna volgere lo sguardo ad uno dei più celebri monumenti della valle, il ponte di epoca romana, sul quale transitava la via consolare delle Gallie, per poi imboccare la Valle del Lys. È la valle del popolo Walser, di origine germanica, ma anche della Toma di Gressoney, un formaggio semigrasso a latte crudo che si può trovare all’azienda agricola di ROBERTO PERETTO (telefono: 0125804239). In estate lo produce sull’alpe Jatza, a 2100, metri e la stagionatura prosegue

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A sinistra: il castello di Aymavilles, alle porte del Parco Nazionale del Gran Paradiso, sede del Consorzio Vini Valle d’Aosta (photo © Regione autonoma Valle d’Aosta). A destra: in alto, toma di Gressoney, formaggio PAT a pasta semidura della regione; in basso, gli affreschi del castello di Issogne (photo © Regione autonoma Valle d’Aosta).

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per almeno 3 mesi, ma dà il meglio di sé da dicembre in avanti, quando aromi e gusti diventano più intensi. D’inverno questo è il centro del Monterosa Ski, che comprende anche la Val d’Ayas. Per apprezzare al meglio la Toma di Gressoney giunta a buona maturazione bisogna dirigersi verso l’acciottolato del villaggio di Ville, nel Comune di Arnad. Su uno slargo minimo si apre una porticina in legno quasi impercettibile, accanto alla cappella di Sant’Antonio abate. È il regno di DINO BONIN, che coltiva due ettari e mezzo in vista dei monti sopra Arnad: falsopiani arieggiati

da la loua il mattino (la brezza che scende da Aosta verso Ivrea) e da lo vent, in senso contrario, di pomeriggio.

“Il vino che parla da sé” è il motto di Dino, che dal 1987 ha raccolto il testimone del padre CESARINO, tra i primi contadini a dedicarsi completamente alla viticoltura in valle. Sincero ciascun bicchiere. Quello prodotto secondo i canoni della sottozona Arnad Montjovet, d’uva Nebbiolo che prevale, possiede colore rubino e riflessi granati, secco e austero profuma di viola e selce. Lo si può provare anche con la carbonada, il brasato di manzo o selvaggina cotto

nel vino sino ad assumere colore bruno che ricorda il carbone. Bisogna saperlo apprezzare con una Toma di Gressoney molto matura.

Una pausa va messa in conto al Castello di Issogne. Nell’androne gli affreschi del Cinquecento rappresentano con notevole realismo la vita quotidiana del borgo con la bottega del beccaio e del fornaio, il mercato di frutta e verdura, il sarto, lo speziale e il pizzicagnolo.

Poco distante, a Brusson, il fiore all’occhiello della FROMAGERIE HAUT VAL D’AYAS (fromagerie.it) è il Fromadzo DOP, un formaggio dolce quando è fresco ma il cui sapore diventa pronunciato e sapido quando raggiunge una maggiore stagionatura. Tremila le forme prodotte all’anno: una sciccheria rara.

Agli amanti dello sci da fondo Brusson offre 60 km di piste tra boschetti di larici e abeti. Alla CROTTA DI VEGNERON (lacrotta.it) di Chambave si può fare una sosta per provare i vini che accompagnano bene il Fromadzo DOP come il bianco Muscat o il rosso Nus per le forme

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La Fontina DOP resta la regina dei formaggi valdostani, ma nella “regione degli stambecchi” si possono scoprire tante altre declinazioni di forme del latte, dal Fromadzo DOP al Séras. Così la ricerca dei profumati prodotti caseari diventa un modo gustoso per conoscere le tante facce della Val d’Aosta
più invecchiate. A sinistra: Boën è il soprannome della famiglia Bonin, la cui attività vitivinicola inizia nel 1973 con Cesarino e prosegue dal 1987 con Dino Bonin. La cantina produce tra gli altri vini il Vallée d’Aoste Arnad Montjovet DOP, da uve Nebbiolo, e il Vallée d’Aoste Nebbiolo Picotendro DOP. A destra: il Vallée d’Aoste DOC Rosé Laetitia di D&D Maison Agricole di Denis Desaymonet.
SUINCOM S.p.a. Strada Comunale del Cristo 12/14 - 41014 Solignano di Castelvetro (Mo) - Italy tel. +39 059 748711 - fax +39 059 532038 - info@suincomgroup.it - www.suincomgroup.it Riconoscere la qualità, realizzarla e portarla sulla tavola di tutti
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1) Stefano Di Francesco. Avvocato e viticoltore ha iniziato la sua avventura nel 2009 sopra Saint Pierre su due ettari terrazzati da cui ricava un profumato Planchettes, di prevalenza Petit Rouge. 2) Piero Ballauri. Nel suo agriturismo, in cui è possibile pernottare, produce formaggi di capra, freschi e stagionati. 3) Danilo e Amedeo Thomain e il loro vino Enfer d’Arvier. 4) Lorenzo Quinson e Manuela Vierin, titolari dell’Azienda Agricola Quinson. Oltre alla Fontina DOP, producono il Vacheron, una toma semigrassa dal profumo erbaceo.

Neanche il tempo di salire in automobile che si arriva al castello di Fénis, un trionfo di torri e mura merlate, prestigiosa residenza signorile ricca di affreschi del Quattrocento.

Nel capoluogo, fondato dai Romani con il nome di Augusta Praetoria, bisogna fermarsi almeno mezza giornata e perdersi tra la Porta Praetoria e il teatro romano. Chi ama l’artigianato locale cercherà il negozio L’Artisanà sotto i portici di piazza Émile Chanoux (lartisana.vda.it).

Sulle alture che lo circondano, in località La Bioulaz, DENIS DESAYMONET ha dedicato il rosé, da uve Gamay e Petit Rouge, alla sua piccola bimba, Laetitia. Ha profumi floreali delicati, di carcadè, e incanta per il suo equilibrio tra tannico e amabile, sempre di buon corpo (maisonagricoleded.it).

Le piste da sci della vicina Pila a marzo non hanno ancora smesso di funzionare e si raggiungono in 20 minuti. Anche Aymavilles possiede uno spettacolare ponte romano sul torrente Grand Eyvia e un imponente castello

da poco restaurato che ospita anche il neonato Consorzio Vini Valle d’Aosta Dirimpettaio è DIDIER GERBELLE con la cantina che porta il suo nome. Un appassionato arch-enologo, archeologo del vino, Didier, al quale si deve la riscoperta di un vitigno pressoché dimenticato, il Neyret, rimesso in pista (pardon, in vigna) nel 2010. Ora le bottiglie di L’Aîné (“primogenito” in patois) sono 4.000 l’anno. È rubino scuro, con tanta spezia e frutti di bosco nel naso, dalla buona alcolicità mediata da tannini che scalpitano (Az. Vitivinicola Gerbelle Didier, gerbelle.vievini.it).

Per trovare l’abbinamento ideale bisogna bussare alla porta di DANIELE MORZENTI (Azienda Agricola Morzenti Daniele, www.danielemorzenti.it), due tornanti più in basso. Qui ci viene chi vuole fare provviste di formaggi di pecora.

Imperdibile il Figlio dei fiori, formaggio che il Morzenti affina almeno 100 giorni in botti di legno nei fiori di canapa, coltivata da lui stesso in monumentali vasi fuori la cantina di stagionatura. Si rimane incantati dal profumo intenso ed erbaceo e dalle grasse note che accarezzano il palato.

enoturismo in Valle d’Aosta

in cui la degustazione si abbina alla conoscenza delle tradizioni di questa regione dall’antica vocazione vitivinicola. Oggi guardando i vigneti strappati alla montagna e messi a dimora su pendenze da capogiro si comprende subito l’origine dell’attributo “eroica”

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A sinistra: L’Aîné di Didier Gerbelle. A destra: il “Figlio dei fiori” di Daniele Morzenti, formaggio di pecora a pasta non cotta. Le forme riposano per minimo di 100 giorni in botti di legno nei fiori prima scelta senza semi, una rarità nel panorama caseario fatto di affinamenti nelle più comuni foglie. L’affinamento nella canapa gli conferisce un odore intenso, gradevolmente erbaceo.
L’
è un’esperienza

Vendemmia nei vigneti di Donnas, piccolo paese della Bassa Valle d’Aosta. La viticoltura a Donnas ha tradizioni antichissime, anche se è una coltivazione difficile tenuto conto della forte pendenza della montagna. Ma i ripidi declivi sono vinti dai terrazzamenti secolari trattenuti da muri alti anche 4 metri (photo © Regione autonoma Valle d’Aosta).

Sull’altra sponda della valle, sopra Saint Pierre, anche STEFANO DI FRANCESCO ha iniziato ad imbottigliare nel 2009, affiancando l’attività di avvocato (Azienda Di Francesco-Gasperi Vino & Spiriti, difrancescogasperi.it). Nei 2 ettari terrazzati che coltiva, un’iscrizione riporta la data del 1792, in cui si presume già funzionassero come vigna. Il suo Planchettes (di prevalenza Petit Rouge) profuma di croissant al cioccolato e sprigiona un gusto che ricorda la confettura di ribes.

C’è da scegliere però l’amaricante Vallée d’Aoste Fumin, anche erbaceo e speziato, per accompagnare molti dei formaggi dell’agriturismo Les Ecureuils Bisogna affrontare una lunga serie di tornanti per sentire i belati delle capre di PIERO BALLAURI. Ai suoi tavoli il piatto forte è la degustazione dei formaggi, quelli freschi, anche aromatizzati con le erbe officinali dell’orto, e quelli stagionati come il Gros crottin, dalla pasta cremosa e pungente. Proprio questo dà

il meglio in abbinamento con il Fumin. Qui vale la pena passare anche la notte in una delle camere dalle pareti che profumano di legno (agriturismolesecureuils.com).

Verso il fondovalle, sosta al Castello di Saint Pierre, maniero da fiaba che ospita il Museo Regionale di Scienze Naturali. Ancora più a ovest, chi ha tempo si ferma nella cantina di DANILO e AMEDEO THOMAIN ad Arvier (telefono: 347 8646921) che coltivano le plantze (parcelle sostenute da terrazzamenti) costruite su anfiteatri naturali dove le temperature estive raggiungono livelli tali da conferire al vino il nome di Enfer d’Arvier. Profumato di liquirizia e incenso, vale la pena stapparlo con la raclette prodotta con il Barmettes, uno dei formaggi dell’azienda agricola Quinson di Morgex (quinson.it). Nello spaccio di LORENZO QUINSON e MANUELA VIERIN si può trovare anche il Vacheron, una toma semigrassa dal profumo erbaceo. Dalla lavorazione del siero che proviene

dallo scolo del formaggio ottengono il Séras, una ricotta dal sapore acidulo che accompagna bene la polenta. Ma a loro finalmente si possono chiedere anche tutti i segreti legati alla Fontina DOP, d’alpeggio o invernale. Speziata e fungina la prima, stagionata almeno 14 mesi, dolce e fragrante quella prodotta fondovalle in primavera e assaporata dopo 6 mesi.

A questa si marita al meglio lo spumante Metodo Classico Glacier della Cave du Mont Blanc, da uve Prié Blanc, profumato di mandorla amara; la prima vuole il vino fermo La Piagne, balsamico e fungino, dal finale maestoso di frutta secca, proveniente dall’omonimo cru e a disposizione per eventi e manifestazioni grazie al progetto Route des vignobles alpins finanziato nell’ambito del Programma di Cooperazione transfrontaliera Italia/Francia ( cavemontblanc.com ). Accostamento da (Gran) Paradiso.

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SUI SENTIERI CALABRESI

DEL ROMITO: LA PRIMAVERA A PIEDI ATTRAVERSO

LA VALLE DEL FIUME LAO

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 110 IL GUSTO DI CAMMINARE

Arriva la primavera, arriva, arriva sempre. Arriva anche dopo gli inverni più lunghi, cupi e noiosi, quelli con le giornate tutte uguali e sempre grigie, come dentro ad una scatola senza cielo. Arriva, arriva. E insieme alla primavera arriva anche la voglia di stare all’aperto tutto il tempo, da mattina a sera, di sentire il sole, finalmente tiepido, in faccia, di vedere posti nuovi e diversi, e di srotolare in lungo e in largo il nostro sguardo sul mondo. E, quando arriva la primavera, le scarpette da trekking subito cominciano a scalpitare dentro

gli armadi: non appena l’aria torna un poco a profumare di nuovo, infatti, ecco che loro smaniano per salire vette ancora sconosciute, per battere strade tortuose o per calpestare prati di erba ancora fresca e tenera, e insomma per incamminarsi nuovamente in mille e mille avventure

Ed è proprio al desiderio di avventura che ho pensato quando mi è venuto in mente di suggerire di muoverci in una stupenda zona della Calabria, a ridosso del Parco Nazionale del Pollino. Questo itinerario, partendo dalle più alte quote del Monte Ciagola, va piano piano e

meravigliosamente degradando verso il mare, in una varietà di paesaggi, scorci e panorami che saranno in grado di riempirvi gli occhi e di stancarvi le gambe, concedendovi contemporaneamente anche l’opportunità, se lo vorrete, di dedicarvi ad una serie di molto divertenti attività alternative al trekking quali, per esempio, rafting, canyoning e cicloturismo.

Incamminiamoci dunque per una strepitosa avventura sui Sentieri del Romito, attraverso la Valle del fiume Lao, un’ampia area di oltre 5.000 ettari di ampiezza, caratterizzata da una stra-

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 111
A sinistra: sentiero nel Parco Nazionale del Pollino. Coi suoi 192.000 ettari, tra il sud della Basilicata e il nord della Calabria, è l’area protetta più grande d’Italia. In alto: il Santuario di Santa Maria di Costantinopoli di Papasidero (CS).

Il tagliere calabrese

La punta dello Stivale italiano è una regione bella, anzi, bellissima, “spettinata” nel suo essere per buona parte ancora parecchio selvaggia e dotata di un’offerta gastronomica sincera, potente nella sua rustica solidità e decisamente, decisamente piccante! Un modo facile e goloso per coglierne tutta la varietà — che spazia dalle carni, maiale soprattutto, alla grande quantità di verdure, da cui derivano moltissimi prodotti sottolio, senza dimenticare il pane, i formaggi si pecora e capra, i meravigliosi agrumi —, è il classico TAGLIERE!

“Il tagliere è uno degli elementi più importanti del tipico antipasto calabrese, che si caratterizza per la presenza di pietanze sia calde che fredde” si legge sul sito www.bottegadicalabria.it “Il tagliere non può mancare nella cucina di ogni calabrese perché è l’utensile perfetto per affettare i salumi, che sono uno dei prodotti calabresi più caratterizzanti della gastronomia della nostra terra. Nei ristoranti, o anche a casa, servire un ‘tagliere’ significa mettere insieme dei salumi affettati e servirli sul tavolo o direttamente sul tagliere in legno: capocollo, prosciutto, salsiccia e soppressata sono quasi sempre presenti ma anche formaggi stagionati, conserve e confetture”. E quindi via con le 4 DOP “suine” regionali, ovvero Salsiccia, Soppressata, Capocollo e Pancetta di Calabria DOP, sicuramente in cima alla lista di salumi tipici da assaggiare in loco, per proseguire con il Pecorino silano DOP e la Giuncata, un formaggio fresco di pecora, o ancora le ricottine stagionate salate al peperoncino.

Altro elemento fondamentale del tagliere calabrese sono, come detto, le conserve sottolio e sottaceto. “Le conserve sottolio e sottaceto sono un elemento che impreziosisce il tagliere e consente di servire un antipasto freddo completo. Gli abbinamenti possibili sono innumerevoli, ad esempio i peperoncini ripieni alla ‘nduja o le cipolle rosse di Tropea sono eccezionali accompagnate ad un buon bicchiere di vino rosso dall’impronta decisa. In questo modo il tagliere diventa un momento di aggregazione e relax conviviale, con al centro il piacere di stare in compagnia delle persone a cui teniamo di più. Il tagliere può essere corredato anche da crostini sui quali spalmare direttamente la ‘nduja o, in alternativa, è possibile preparare delle bruschette calabresi con ingredienti sottolio quali pomodori secchi, peperoncino, cipolla e olive verdi”. Insomma, chi più ne ha, più ne metta… E poi, diciamocelo, nel suo essere un invito alla condivisione e alla socialità più semplice ed immediata, un “tagliere” non è mai soltanto un “tagliere”. “Preparare un tagliere ricco di salumi, formaggi, conserve e accompagnarlo con un buon vino, è un atto di complicità e amicizia” ci ricorda sempre il sito www.bottegadicalabria. it. “Nell’era dei social e della condivisione digitale, riunirsi attorno ad un tagliere può farci mettere in tasca lo smartphone e godere della compagnia degli altri come si faceva una volta, in modo più sano e genuino”.

ordinaria bellezza di grande interesse, sia storico che naturalistico

A proposito dell’interesse storico, come prima cosa si segnala che questi incredibili e sorprendenti sentieri devono il loro nome alla famosa Grotta del Romito, che potrete incontrare durante

il vostro cammino e che rappresenta un importantissimo sito archeologico, tra i più rilevanti in Europa, risalente al Paleolitico superiore. Questa stupefacente grotta, con i suoi graffiti e con il famosissimo Bos primigenius, incisione rupestre raffigurante un bove risalente

a 12.000 anni fa, è riconosciuta come Patrimonio UNESCO, e restituisce al presente una delle più antiche testimonianze dell’arte preistorica. Si tratta di una forma artistica primitiva davvero fondamentale per le ricostruzioni di tutta la nostra civiltà poiché ha consentito agli

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Un ricchissimo tagliere al Ristorante B&B Grotta del Romito di Papasidero, ai piedi del Monte Ciagola.

studiosi di desumere le abitudini sociali e alimentari dell’Homo sapiens: il mio consiglio è perciò di ricavarvi assolutamente un poco di tempo per una visita alla grotta, e quindi per una indimenticabile passeggiata nel tempo e nella storia, oltre che nella natura.

Tornando poi al nostro percorso, con i piedi sempre ben stretti nelle scarpe da trekking che passo dopo passo si avvicendano su questi meravigliosi sentieri, consiglio una sosta presso l’incantevole piccolo borgo di Papasidero*, sempre nei pressi della Grotta del Romito. Questo paesino, il cui nome quasi esotico si richiama al monaco basiliano Papas Isidoro, capo di una delle tante comunità religiose che popolavano questa valle, è caratterizzato da un ben conservato centro storico di impianto tipicamente medievale il quale è letteralmente abbarbicato su uno sperone roccioso a 210 metri sul livello del mare. Da questa posizione il borgo di Papasidero domina tutta la valle, restituendo ai camminatori una veduta indimenticabile, in una atmosfera quasi ferma e rarefatta, incorniciata da una luce abbagliante e indimenticabile.

Proseguendo sull’itinerario, sempre seguendo il corso del fiume Lao, all’interno di questa spettacolare vallata letteralmente incastonata tra rocce e boscate, con innumerevoli varietà di piante aromatiche che accompagnano il nostro cammino, piano piano ci ritroveremo a scendere giù attraversando ampi campi coltivati i quali è come se si addolcissero al nostro passaggio. E poi ancora più giù, verso l’inconfondibile blu intenso della costa tirrenica, incorniciata dalla profumata e avvolgente macchia mediterranea

E così, quasi senza accorgercene, come sempre capita durante il cammino, ci troveremo quindi ad alleggerire mano mano il passo e a giungere alla fine di questa prima avventura di primavera, mentre, con il pensiero sempre ancorato alle nostre scarpe da trekking, programmiamo la prossima destinazione e la prossima avventura

Nota

* Su Papasidero, la Grotta del Romito e il cedro calabrese si veda anche l’articolo di MASSIMILIANO RELLA a pagina 100.

Premiata Salumeria Italiana, 2/23
di M O D ENA A C ETO B A L SAMI C O CONSORZIO TUTELA L’ACETO BALSAMICO è DI MODENA Unico. Autentico. Di Modena.

LA PASTA: NUOVI MODI PER CUOCERLA, NUOVI MODI PER CONCEPIRLA

Quando la parola d’ordine è “idratare”, lo si può fare in modi diversi dal solito, anche con la pasta. Lo chef Alessandro Panichi e la sua sperimentazione fuori dagli schemi

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 114 IL BUONO SECONDO LARA
di Lara Abrati Pacchero rosso idratato e triglia.

Inizia con questo numero la collaborazione con Lara Abrati, giornalista enogastronomica ed esperta in comunicazione digitale con una spiccata empatia verso le cose buone del nostro patrimonio agroalimentare

Simbolo della cultura gastronomica e culinaria italiana nel mondo, la pasta è quella cosa a cui nel Belpaese è impossibile resistere. Ne esistono di diverse tipologie, in relazione alla presenza o meno dell’uovo, del loro formato e, soprattutto, del grado di umidità presente nella stessa. Questo ne differenzia la consistenza a crudo, la modalità di preparazione, ma anche le caratteristiche all’assaggio, in fatto di tatto, sapore e aroma.

Per riassumere al massimo, potremmo affermare che la pasta divide letteralmente la penisola in due: al Centro-Nord, con la tradizione della pasta fresca all’uovo ricca, ripiena e non, mentre al Sud si è radicata la cultura della pasta secca.

Proprio su quest’ultima, che si è trasformata nel tempo in una vera e propria commodity, Alessandro Panichi ha deciso di puntare tutta la sua attenzione e la sua ricerca.

Un aspetto cruciale della produzione di pasta secca riguarda la sua disidratazione, cioè l’eliminazione quasi completa dell’acqua presente all’interno

del prodotto. Di conseguenza, la sua cottura in acqua bollente ne permette una rapida idratazione, che la rende morbida, ma allo stesso mantiene la classica resistenza alla masticazione che dona al piatto la caratteristica che tutti ricerchiamo: la pasta deve essere cotta al dente

Lo chef Alessandro Panichi ha deciso di mettere a tacere la logica del l’abbiamo sempre fatto così, iniziando a sperimentare e giocare un po’ con questo sacro prodotto. Lo stimolo allo sperimentare con la pasta nasce però ormai alcuni anni fa, durante la sua esperienza lavorativa nella brigata dello chef GUALTIERO MARCHESI: «Rimasi estasiato dalla consistenza della pasta proposta nei suoi menu; avevo 23 anni, riuscii ad assaggiare dalla pentola un avanzo della porzione e mi vennero i brividi» racconta lo chef ricordando lo studio del Maestro sulle consistenze della pasta, un piatto composto da quattro formati di pasta diversa, condite con un filo d’olio extravergine di oliva. «Ogni formato aveva una consistenza diversa: ho percepito per la prima volta le diverse sfumature che la pasta sa

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Spaghetto idratato al frutto della passione, ostrica e alga nori.

regalare, per questo motivo ho iniziato poi a lavorare non solo sul sapore e l’aroma di un piatto di pasta, ma anche e soprattutto sulla sua consistenza e sulle trasformazioni che avvengono durante la sua cottura». Un lavoro atto a stravolgere usi e modi codificati, per giocare con le sfumature. La sua ormai grande esperienza in cucina, la sua innata curiosità e le continue prove l’hanno portato a sperimentare con la pasta secca in modo diverso dal solito, una messa in discussione continua con un risultato unico e creativo. Proprio così sono nati alcuni tra i suoi piatti a base di pasta, disponibili secondo stagione e momento dell’anno nel menu del ristorante di cui firma la proposta gastronomica: Sotto l’Arco a Bologna, all’interno della bellissima Villa Aretusi. Dallo spaghetto al pacchero idratato fino al dessert a base di pasta, piatti che stimolano sensazioni gustative e tattili diverse dal solito, un vero regalo per i nostri sensi e la nostra fantasia.

Il formato scelto non è sempre lo stesso, lo chef spazia dal pacchero allo spaghetto, dalla pasta corta fino a quella lunga. I formati vengono poi idratati a freddo alla moda cinese. Cambiano i liquidi utilizzati per l’idratazione, ma non il processo (ormai codificato), anche se, in funzione del formato e delle caratteristiche dei succhi scelti, lo sviluppo viene ri-bilanciato ogni volta soprattutto per quanto riguarda i tempi di contatto con i liquidi e il loro grado di concentrazione.

Lara Abrati si presenta!

“Dopo un’infanzia tra rotoballe e splendide vacche da latte, tra la produzione fai da te di una formaggella e l’altra e varie stagioni a coltivare ortaggi e a lavorare nella vigna, nel 2008 mi diplomo all’Istituto Agrario di Bergamo. Al fine di interessarmi più concretamente al cibo e a tutto ciò che racchiude la fantastica ‘esperienza del cibarsi’ stesso, mi iscrivo al corso di laurea in scienze gastronomiche attivo presso l’Università degli Studi di Parma. Mi laureo quindi nel 2011. Assaggio oli, salumi con ONAS e sono Maestro Assaggiatore ONAF. Ho seguito percorsi di formazione per l’analisi sensoriale. Infine, ho frequentato un Master dedicato alla comunicazione digitale del mondo enogastronomico presso IULM Milano. Lavoro da oltre 10 anni come libera professionista, occupandomi di giornalismo enogastronomico e comunicazione digitale”.

>> Link: laraabrati.com

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Lo chef Alessandro Panichi

Pastamisù, tiramisù a base di pasta, è il Dolce dell’Anno per la guida Emilia-Romagna a tavola 2023.

I tre piatti di Alessandro Panichi preparati con la tecnica dell’idratazione a freddo

Pacchero rosso idratato e triglia

Il pacchero viene lasciato in ammollo con tre succhi diversi: quello a base di lampone, poi il peperone crudo e infine il pomodoro. Dopo il periodo di riposo, la pasta rimane del suo colore originario, ma appena la si spadella, per finire la cottura con il suo liquido, assume piano piano il colore dei succhi: una magia unica. In bocca, dopo l’assaggio, i diversi ingredienti idratanti si percepiscono in un’alternanza di sapori e aromi che diverte: il peperone rosso, poi il pomodoro, infine il lampone. E poi da capo, così. Infine, la consistenza, diversa, più tenace, una pasta che si percepisce bene sotto ai denti, ma non al dente, mai dura. Il piatto viene finito con filetti di triglia appena scottati e il

suo sugo: un pesce dal carattere forte, a sostenere la complessità di questo pacchero magistrale.

Spaghetto idratato al frutto della passione, ostrica e alga nori Una pasta lunga, perfetta anch’essa da idratare a freddo. In questo caso lo chef ha scelto la complessità aromatica e gustativa del frutto della passione. Viene poi saltato in padella e mantecato al meglio con un poco di burro, servito con ostrica cruda e alga nori julienne. Il primo piatto che Alessandro Panichi ha ideato e preparato con questa tecnica. Un piatto con la giusta dose di aggressività, per palati esigenti, ove la nota vegetale, marina e la spinta acida si uniscono in sodalizio che funziona: «quando pensavo a questo piatto, non pensavo allo spaghetto, bensì a quando si mangiano i frutti di mare, al mare, con una spremuta di limone».

Pastamisù

Un dessert divertente, preparato a partire da un formato di pasta particolare che viene idratata al caffè: il risultato alla masticazione ricorda la consistenza del biscotto inzuppato.

Il piatto si compone di uno strato di pasta alla base, seguito dalla crema al mascarpone e, in ultimo, una spruzzata di cacao amaro: è pastamisù, il tiramisù a base di pasta con cui lo chef ha vinto anche il premio Dolce dell’Anno per la guida Emilia-Romagna a tavola edizione 2023.

Conoscenza, formazione, preparazione: elementi fondamentali per osare con curiosità e intelligenza. Anche con prodotti e in contesti in cui tutto appare già fatto e già codificato.

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Nota
Photo © Stefano Caffarri.

Da Norcia a Roma

Com’erano belle le gite fuori porta con la Corallina e la Torta al formaggio

Carne di suino magra e ben lardellata insaccata nel “corallo” budello gentile, aroma di pepe e odore di aglio si uniscono alla soffice fragranza di un impasto salato in cui si mescolano Parmigiano Reggiano, pecorino e groviera. Completano il tutto le uova sode, a ricordo di un’originaria usanza pasquale che da tempo si è estesa all’intero arco dell’anno

di Nunzia Manicardi

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 118 TRADIZIONI

A destra: Corallina romana, il salame della tradizione pasquale. Trae il suo nome dal corallo budello gentile che solitamente avvolge le carni.

In basso: Orvieto, in Umbria.

La piccola e verde Umbria, quasi nascosta fra Toscana, Lazio e Marche, offre panorami di incomparabile fascino. Le sue incantevoli città medievali attorniate da dolci colline e fitti boschi attirano il cuore e la mente e invitano chiunque ad andare a visitarli, sia pure per brevi momenti. Per chi viva nelle vicinanza sono i luoghi ideali per le classiche gite fuori porta. Che cosa può esserci di meglio, allora, che non accompagnarle con salame corallina e torta al formaggio?

Oggi, come ieri, sono ancora questi i due cibi per eccellenza da portarsi appresso per qualche ora lontano dai frastuoni della vita contemporanea. Due cibi semplici ma, soprattutto, nati da questa stessa terra. E, se non siete

di qua, a maggior ragione meritano di essere degustati. Per la loro genuinità e per i loro sapori, così in sintonia con gli scenari naturali e storico-artistici che li hanno visti nascere e con i colori e i sapori che ne sono parte integrante. A cominciare da Norcia, il comune in provincia di Perugia famoso per i suoi salumi tra i quali primeggia il Corallina che, in seguito, si è diffuso con analogo successo anche nelle regioni limitrofe e, in particolare, nella città di Roma.

Il salame Corallina

È un tipico salame umbro. Di più: è il salame norcino per eccellenza, interamente di suino pesante. Viene realizzato con un impasto fine di magro di suino di spalla (la parte più nobile) al 92% e l’aggiunta di una ridotta percentuale,

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La torta di Pasqua al formaggio è una ricetta della tradizione diffusa in numerose varianti nel Centro Italia. Ha come ingredienti principali Parmigiano Reggiano, pecorino romano e groviera. Si serve accompagnata da salumi.

appena l’8%, di lardelli di grasso tagliati a dadini grossolanamente in modo da formare grandi occhiature e creare un netto contrasto sia visivo che gustativo con la carne. Sale, pepe intero e aromi naturali completano l’insieme, conferendogli un leggero sapore di aglio e quell’aroma piacevolmente pungente e speziato e inconfondibilmente locale che si sente ovunque passeggiando per le strade antiche di questa bella località che alla fine del V secolo diede i natali a San Benedetto, fondatore del monachesimo occidentale.

Ma torniamo al profano… L’apporto nutrizionale, ogni 100 grammi di prodotto, è di 405 calorie, 33 grammi di grassi, di cui 13 di grassi saturi, 0 grammi di carboidrati di cui 0 zuccheri, 27 grammi di proteine e 4,4 grammi

di sale. Devono essere, naturalmente, ingredienti di prima qualità, lavorati con sapiente semplicità in modo da far sciogliere distintamente sul palato la parte grassa avvolta dalla carne magra macinata e speziata.

Anche il budello che contiene l’impasto non può che essere il migliore. Questo salame deve infatti il nome di Corallina al “corallo budello gentile”, cioè il primo tratto del colon del suino grazie al quale l’insieme di carne magra e di parti grasse si conserva naturalmente a lungo senza alterazione delle qualità organolettiche. Queste ultime vengono ulteriormente accresciute dalla stagionatura. Essa dura dai 3 ai 5 mesi in un luogo aerato che, secondo la tradizione, va riscaldato da una stufa a legna e, a volte, affumicato bruciando bacche di

ginepro. Al termine della stagionatura si ottiene un prodotto dolce e corposo, privo di glutine e lattosio.

Il Corallina è dunque un prodotto di grande qualità, risultato di un’antica esperienza contadina che ancora oggi si tramanda con tutti i segreti di un prodotto artigianale che, essendo così di pregio, un tempo veniva preparato soltanto nelle occasioni speciali e soltanto per chi poteva permetterselo. Era riservato al periodo pasquale, in cui era il protagonista delle gite fuori porta insieme con l’altrettanto tipica torta al formaggio, accompagnata dalle uova sode benedette dal prete, altro simbolo pasquale.

La fama del salame corallina si diffuse ben presto nel Lazio e, in particolare, a Roma, che finì per considerarlo a sua volta un proprio prodotto tipico per le altrettanto consuete gite fuori porta colà in uso. Roma ha poi unito alla torta al formaggio anche la consuetudine di un bel bicchiere (o due) di vino rosso. Nella sua terra d’origine rimane ancora adesso uno degli ingredienti principali dell’antipasto umbro per eccellenza.

Di solito il salame corallina si trova in pezzature da 400 o da 800 grammi, con una lunghezza pari a circa 70 centimetri. La diffusione è capillare sul territorio umbro e dintorni. È possibile trovarlo anche su scala nazionale nei negozi specializzati, poiché viene prodotto per molte marche di salumi che hanno radici in tutto il territorio italiano.

La torta al formaggio

Anche la torta al formaggio è una preparazione tipica dell’Umbria, ma presente pure in altre zone del centro Italia (Marche, Abruzzo, Alto Lazio) dove a volte viene chiamata torta o pizza di Pasqua. È una torta salata soffice, ricca e molto saporita a base di un misto di formaggi stagionati, di solito Parmigiano-Reggiano, pecorino, groviera o altri formaggi filanti tagliati a cubetti, abbondante pepe e olio extravergine d’oliva. Va cotta in una teglia, possibilmente d’alluminio, dai bordi molto elevati (10-12 cm). E così rimarrà anche una volta pronta per essere consumata: alta, soda, ma nello stesso tempo morbida e friabile. Gustosa sempre, sia calda che tiepida o fredda.

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ITALIA PAESE DELLE CARNI SALATE

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di Josette Baverez Blanco Bresaola artigianale: salume tipico della Valtellina, in Lombardia.

Da Nord a Sud della nostra Penisola sopravvivono tradizioni locali e lavorazioni artigianali che riguardano le carni salate. Essiccate o relativamente fresche, affumicate, conciate con aromi diversi, macerate nel vino, di manzo, cavallo, pecora, capra o animali selvatici, queste carni caratterizzano il patrimonio gastronomico di tante regioni.

La nostra carrellata parte dalle zone alpine e prealpine. Proprio al confine con l’Austria, nella zona friulana della Val Canale e di Canal del Ferro, si producono i pindulis, strisce di carne sottili ma consistenti dal sapore intenso. Sono di pecora o capra, conciate con sale, pepe, foglie di rosmarino e alloro. Devono stagionare almeno un mese prima del consumo. Nel Veneto, l’usanza è quella di aggiungere del vino per conciare strisce simili chiamate pendole. Nell’uno e l’altro caso, l’origine del nome è legata al fatto che i pezzi di carne vengono appesi per l’affumicatura. Nel Bellunese, oltre alla carne bovina e suina, viene usata anche quella di pecora di razza Alpagota.

Fatto un salto in Valtellina ad assaggiare la famosa bresaola, ritroviamo questo prodotto anche in Piemonte, nell’Ossolano. La brisaula della Val d’Ossola è un prodotto ottenuto da

tagli del quarto posteriore di bovino, in particolare dai muscoli della coscia. “Le spezie utilizzate sono il ‘segreto’ di ogni azienda” riporta l’Associazione Brisaula della Val d’Ossola. “In tutte le lavorazioni troviamo comunque il pepe a cui possono aggiungersi: aglio, noce moscata, macis, chiodi di garofano, alloro, rosmarino, cannella, peperoncino o altro secondo la propria ricetta aziendale. È previsto anche l’utilizzo di vino rosso e in alcuni casi liquore”. Come per tutte le bresaole, anche questo prodotto va tagliato sottile condendolo con olio, pepe e un po’ di limone e lasciandolo marinare per un’oretta prima del consumo. Se la si desidera più saporita, basta aggiungere alla bresaola cipolla e scalogno tagliati a fettine sottilissime.

Non lontano da Sondrio, a Strembo, in provincia di Trento, si produce la mocetta rendenera a partire da carni di capriolo, camoscio e cervo conciate con sale, bacche di ginepro, timo selvatico, rosmarino, salvia e grappa trentina. Segue una leggera affumicatura al fumo di legna di ginepro.

Rimaniamo in Trentino, nella zona della Val di Cembra. Qui troviamo la carne salmistrada o fumada, preparata con tanti diversi tipi di carne: suino, cavallo, asino, castrato, capra, cervo o

capriolo. Di un bel colore rosso scuro, è chiaramente fresca e tenera al taglio ma sorprende per l’aroma che emana. Cannella, bacche di ginepro, chiodi di garofano, vino bianco Müller Thurgau. Se sottoposta ad affumicatura con legno di vite o di faggio cosparso di aghi di ginepro prende il nome di “fumada”: si presenta esternamente più scura, ma di un bel colore rosso vivo all’interno, e col caratteristico profumo e sapore dei prodotti affumicati.

Sempre parlando di carne fumada, nella valle del Cismon, in provincia di Belluno, la ritroviamo con una lavorazione particolare. Il girello di manzo, esclusivamente, viene introdotto in una rete tipo arrosto per poi essere salato e affumicato in forno. Tutto al naturale per non rovinare e modificare la bontà della carne stessa.

Non dimentichiamo la pregiata motzetta o mocëtta della Val d’Aosta, carne essiccata di bovino, camoscio, cervo o cinghiale, ottima accompagnata da pane di segale magari condito con l’aglio, il burro o il miele. Alla vista si presenta tenace ma, in bocca, è tenera e gustosa.

In varie zone del Nord Italia si produce la bresaola di cavallo. Oltre che in Lombardia, e in particolare in Valtellina e in Val Chiavenna, viene

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Carne salada,salume caratteristico della provincia di Trento

prodotta anche in Piemonte, nel Monferrato e sulle colline tra Ticino e Agogna, nonché in Veneto, in varie province, in particolare in quella di Padova. Ogni norcino ha i suoi ingredienti segreti e cambia la ricetta della concia ma la carne è sempre di prima scelta.

In Val di Fiemme, nella provincia autonoma di Trento, viene lavorata la carne di capra e di pecora utilizzando i muscoli delle cosce o della schiena cosparsi con una miscela a base di sale, pepe, aglio, achillea, timo, ginepro ed altri aromi. Dopo alcuni giorni si crea una salamoia, alla quale si aggiunge vino bianco. Successivamente il prodotto è stagionato, ma può anche essere affumicato. Si ottiene una carne salata (salada)dal colore scuro, rosso, al taglio con bordo esterno violaceo.

Parlando di pecora, non possiamo che fare un salto in Sardegna, terra di pastorizia. Questa carne finisce spesso sotto sale e vi raccomando i filettini di pecora che potete assaporare a Ploaghe, in provincia di Sassari. Accuratamente disossati e puliti, sono sottoposti ad una salagione molto delicata ed essiccati in modo naturale, al sole e all’aria aperta.

E che cosa sono le coppiette? Siamo quindi nel Lazio, tra Roma, Latina e Frosinone. Oggi vengono prodotte soprattutto con carni bovine e suine mentre una volta erano di cavallo e d’asino. Le strisce di carne sottili sono conciate come al solito ma qui non manca mai il peperoncino. Vengono poi cotte al forno prima di essere stagionate e a volte affumicate, appese due a due. Ne

DIVERSI, MACERATE NEL VINO, DI MANZO, CAVALLO, PECORA, CAPRA O SELVATICI, QUESTE CARNI CARATTERIZZANO IL PATRIMONIO

GASTRONOMICO DI TANTE REGIONI

deriva il nome di coppiette appunto. A volte, in certe zone, possono essere macerate nel vino rosso e poi essiccate invece di essere cotte. Sono un ottimo spuntino, tipico delle osterie dei castelli romani.

Andando più a sud, eccoci in Puglia, in particolare nella provincia di Foggia, a Rignano Garganico. I numerosi turisti estivi non perdono l’occasione di osannare la muscisca o musciska durante la sagra annuale dedicata a questa specialità che si tiene nel mese di agosto. Si tratta di carne di pecora salata ed essiccata. Durante il periodo della transumanza, i pastori se ne servivano come cibo, nella lunga trasferta tra il Gargano e le montagne rigogliose dell’Abruzzo.

Il sapore della muscisca è forte e aromatico perché la carne, disossata e tagliata a striscioline, viene salata e insaporita con peperoncino, finocchietto selvatico, aglio ed esposta al sole o all’aria per qualche settimana fino alla completa essiccazione. Viene preparata anche con carne di vitello e maiale. Si mangia fresca o arrostita alla brace.

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ESSICCATE, AFFUMICATE, CONCIATE CON AROMI
Coppiette romane: strisce di carne suina (in passato equina) stagionata ed essiccata con l’aggiunta di spezie, sale e peperoncino.

Tutte le eccellenze del food protagoniste alla Fortezza da Basso

Un’edizione ricchissima!

RASSEGNE
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Ritmo, ritmo, ritmo! Con “Taste 2023. In viaggio con le diversità del gusto”, il salone di Pitti Immagine giunto alla sua 16a edizione, sono giunti nella splendida cornice della Fortezza da Basso di Firenze 538 espositori del comparto enogastronomico nazionale, tra piccole e grandi aziende, realtà familiari e storie di imprenditoria visio-

naria, storici produttori o rappresentanti di una generazione più innovativa. Un centinaio quelli che hanno partecipato per la prima volta, aziende selezionate tra le oltre 250 richieste di partecipazione pervenute.

Ne hanno “goduto” più di 7.000 operatori del settore, con buyer arrivati dall’Italia e dall’estero (oltre 50 Paesi, con una crescita delle presenze dai

principali mercati esteri, in testa Francia, Stati Uniti, Svizzera e Regno Unito), anche dai mercati emergenti. Entusiasti i partecipanti, davanti e dietro i banchi di presentazione e assaggio. D’altronde, Jazzy Taste era il tema di quest’anno, una celebrazione delle libere associazioni, degli accostamenti inediti e della voglia di sperimentare tipici di questo genere musicale.

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Mariangela Grosoli di Aceto Balsamico di Modena del Duca nonché presidente del Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena. 2) Margherita Palmieri del Salumificio Mec Palmieri di San Prospero (MO), produttore della famosa Mortadella Favola. 3) Il Lardo di Colonnata IGP delle Larderie di Gino Battella di Carrara, azienda premiata dal Gambero Rosso con le Tre Fette. 4) La carne, i salumi e i sorrisi firmati Savigni da Pavana, Sambuca Pistoiese (PT). In foto, Mileto Savigni. 5/6) Sergio Falaschi, dell’omonima macelleria-norcineria di San Miniato (PI), con alcuni collaboratori. La presenza al salone fiorentino di questa storica e magnifica realtà familiare toscana risale alla prima edizione. Tutti i salumi Falaschi sono prodotti e lavorati esclusivamente a mano e con la cura tradizionale che è la nota che li contraddistingue da quasi un secolo.

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1)

1) Picena Gastronomia di Montegiorgio (FM) a Taste ha portato una selezione delle sue galantine (e non solo), una specialità marchigiana di questa azienda a conduzione familiare, nata ufficialmente nel 2007 dalla volontà di Marco e Simona ma già con 20 anni di storia nella macelleria di proprietà. 2) Biodiversamente “colorate”: uova eccezionali per bellezza e bontà, prodotte da galline di razze speciali: è “The Garda Egg Co.” dal progetto di Federica Bin, di Lazise (VR). 3) Alessandro Meggiolaro, dell’omonima azienda di famiglia di Stra (VE), con il prosciutto cotto L’Arroganza. 4) La macelleria Fratelli Corrà di Smarano (TN) con la sua produzione in proprio di salumi, oltre 40 referenze di carne di suino, bovino, selvatici… realizzate con le antiche ricette di famiglia, e la gastronomia di montagna.

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1) Claudia Gonnelli di Rinci – Meraviglie di Gusto a Firenze con i mitici Paccasassi in olio d’oliva, le composte bio e le salse. Tutti i profumi della Riviera del Conero in vasetto. 2) Giovanni Bazza, dell’omonimo salumificio di Terrassa padovana (PD), e la sua “nuovissima” bondiola precotta. 3) La spalletta e il prosciutto crudo di maiale semibrado firmati Re Norcino tagliati a coltello da Mirko Giannella, cortador italiano. Per capire davvero quanto il taglio sia fondamentale nella degustazione di un salume. 4) A Taste le conserve di carne con tutto il sapore di Napoli grazie a Luciano Bifulco, macellaio di quarta generazione, selezionatore, allevatore e grill master, e alla sua Bifulco 1947.

1) Jamón Joselito: ottenuto dall’allevamento allo stato brado di suini di razza iberica, è considerato tra i prosciutti migliori al mondo. 2) Mortadella di Campotosto, salume tipico prodotto in quantità limitate nel territorio del comune di Campotosto, in provincia de L’Aquila. Al taglio la fetta è di colore rosso intenso, scuro, con il lardello bianchissimo. Buonissima. 3) I formaggi in degustazione della Tenuta Il Radichino – F.lli Pira, Le Chiuse, Ischia di Castro (VT). L’azienda alleva oltre 1500 pecore sarde e 80 capre e il latte viene impiegato per la produzione di 20 tipi di formaggio. 4) La Sculatta Birrata affinata alla birra del Birrificio del Molino firmata I Malafronte di Consandolo (FE). Il marchio I Malafronte è di proprietà di Molino Spadoni, che vanta una consolidata esperienza nella norcineria con il brand Officine Gastronomiche Spadoni.

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1) La mortadella classica e gli altri salumi rosa firmati Bonfatti Salumi del Gruppo Negrini di Renazzo di Cento (FE). Al centro, Dino Negrini. 2) Celeste Mannori del Salumificio Mannori di Prato con le sue specialità, dalla inconfondibile Mortadella di Prato al nuovo salame Il Magro. 3) Prosciutto di Parma Slega da Langhirano: l’evoluzione di un prosciutto. 4) La ricca gamma di proposte firmate da l’Acetaia Leonardi di Magreta di Formigine (MO). 5) “Alici di Menaica”, piccola azienda a conduzione familiare specializzata nella pesca e nella lavorazione di alici e di altri prodotti ittici tipici della costiera cilentana. In foto, Donatella Marino e la figlia Serena Rambaldo. 6) Le conserve ittiche e la colatura a marchio FISH DIFFERENT® di Calabraittica con Maria Grazia e Felice Alvaro.

Così A GOSTINO P OLETTO , direttore generale di Pitti Immagine: «Tre giorni di grande energia in Fortezza e in città con tanta voglia di scoprire le novità portate dai nostri espositori, e i tanti nuovi prodotti proposti a questa

edizione, assieme alla storia e alla tipicità delle aziende che li producono, che raccontano di un patrimonio gastronomico — quello italiano — che sembra inesauribile. Ancora una volta la selezione di aziende e lo scouting

fatto sono stati il punto di forza di Taste, giudicati di altissimo livello.

Una qualità e una selezione che hanno fatto crescere i numeri e il livello di operatori e buyer internazionali: presenze sempre più qualificate tra

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tra gli eventi imperdibili del FuoriDiTaste, segnaliamo l’aperitivo presso l’Alimentari del 25 Hours Hotel con i prodotti del Salumificio Mannori insieme ai vini del Castello Vicchiomaggio. Ad unire il tutto, l’olio del Consorzio Olio IGP Toscano, versato sul pane caldo.

negozi specializzati, aziende della distribuzione, department store, importatori di eccellenze italiane, molte delle migliori realtà internazionali del mondo del cibo di qualità, arrivati a Firenze anche da nuovi mercati lontani per incontrare i loro clienti e stringere nuove relazioni. E nei giudizi di tutti, il format espositivo e le caratteristiche della Fortezza da Basso, si riconfermano come aspetti unici del salone. Concludo con un apprezzamento per gli eventi di questa edizione, il focus tematico sulla pasta, i temi caldi e originali dei Taste Talk, e dei Ring curati da DAVIDE PAOLINI, i tanti e curatissimi eventi in città per il FuoriDiTaste, che hanno reso protagoniste le nostre aziende in luoghi speciali della città».

Tra le partecipazioni speciali di questa edizione, da segnalare quella di COLDIRETTI — la più grande associazione di categoria che riunisce i coltivatori italiani — che si è presentata con una speciale area lounge in cui si sono svolte masterclass dedicate all’olio, e che ha proposto alla UniCredit Taste Arena due seguitissimi incontri: uno dedicato a “Italian Sounding: un danno economico e qualitativo al made in Italy” e l’altro sul tema “L’origine della materia prima in etichetta: un must da difendere”

I numeri

In totale sono stati 7.050 gli operatori

II prodotti del Caseificio Il Fiorino protagonisti in Fortezza da Basso

«Come ogni anno — spiega Angela Fiorini, titolare del Caseificio Il Fiorino di Roccalbegna (GR) — siamo orgogliosi di partecipare al Taste. Per noi è sempre una grande gioia poter incontrare i nostri affezionati clienti. Questo evento costituisce, per tutti i produttori, un’occasione di confronto e di scoperta con le tantissime persone che ogni anno accorrono a degustare e conoscere i nostri prodotti».

Davanti allo stand di questa bella realtà toscana, conosciuta e tra le più premiate al livello internazionale, tanta gente interessata a conoscere l’unicità dei pecorini e degli altri formaggi di questa eccellenza della tradizione casearia toscana. La professionalità di Angela Fiorini e Simone Sargentoni ha accompagnato i visitatori del salone alla scoperta dei prodotti dell’azienda, facendo scoprire la storia del Caseificio Il Fiorino che da oltre 65 anni produce qualità e prelibatezza.

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del settore registrati (circa 6.000 dei quali buyer), in crescita del 40% rispetto alle presenze del marzo 2022: i numeri dall’estero hanno raggiunto quasi 600 compratori da 50 Paesi di provenienza; in crescita importante anche l’Italia, che ha totalizzato oltre 6.400 operatori, arrivati da tutte le regioni.

Nella classifica dei mercati di riferimento in testa la Francia, seguita da

Germania, Stati Uniti, Svizzera, Regno Unito, Austria, Spagna, Olanda, Belgio, Lituania. Bene i numeri delle presenze dall’area Scandinava; sono arrivati compratori e importatori di alto profilo anche da Giappone, Corea del Sud, Cina continentale e Cina – Hong Kong, così come da Australia, Sudafrica e da paesi dell’Asia centrale come Kirghizistan e Kazakistan. Complessivamente, consi-

derando anche il pubblico di gourmet entrati in Fortezza nei tre giorni, Taste ha superato quota 10.000 visitatori. Per concludere, numeri importanti anche per il Taste Shop, lo spazio dedicato agli acquisti sito alla fine del percorso espositivo, che in totale ha venduto 13.000 prodotti.

>> Link: taste.pittimmagine.com

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1) Il tonno rosso “IV Regia di Sardegna” è pescato solo nel Mediterraneo per poi essere lavorato a mano con la ricetta carlofortina. 2) Gin Giusto, stile London Dry Gin dalla Toscana, Distilleria Deta. 3) Biscotti, cantucci, dolci, lievitati e prodotti da forno fatti in Toscana da Massimiliano e Riccardo, i Fratelli Lunardi. I biscotti Fratelli Lunardi sono scelti dalle storiche gastronomie romane come Ercoli 1928 e Roscioli. 4) Le nocciole croccanti premiate con il SIAL Innovation al SIAL di Parigi e le altre specialità salate e dolci, originali e coloratissime firmate Kucino, L’Aquila.

Nuovi Agrodolci alla frutta Giusti: perfetti anche nei cocktail!

Gli Agrodolci alla frutta Giusti sono condimenti freschi, leggeri, ricchi di sapore e dal perfetto equilibrio tra l’agro dell’aceto di vino e il dolce del succo di frutta fresco e del mosto d’uva utilizzato nel blend. Una collezione caratterizzata da un ampio bouquet aromatico: dal gusto vivace dello zenzero alla dolcezza del fico, dalla delicatezza del melograno all’amabilità del lampone, fino agli intensi sentori fruttati della mela. Ideali in abbinamento a insalate, verdure cotte e crude, possono essere utilizzati in salse e marinature e in miscelazione per cocktail e bevande analcoliche.

Rappresentata oggi da Claudio e Francesca, che insieme a Luciano guidano l’azienda, la storia della famiglia Giusti è legata in modo inestricabile al proprio territorio. Qui per secoli la produzione del Balsamico ha avuto un carattere squisitamente privato, in seno alla famiglia, la quale lo destinava oltre che al consumo privato anche ai doni più importanti. Nel rispetto della propria storia, ancora oggi si producono nelle acetaie della famiglia Giusti Aceti Balsamici con le stesse caratteristiche del passato. Pur conservando l’artigianalità nei sistemi di produzione e preservando gli aspetti salienti della storia del marchio, Acetaia Giusti ha saputo evolvere dal punto di vista commerciale e gestionale, maturando nel tempo un’identità e uno stile di prodotto distintivo, che la rende unica e riconoscibile fra tutte.

>> Link: giusti.it

Asiago DOP e altri formaggi territoriali asiaghesi

CASEIFICIO PENNAR: TUTTO AVVIENE IN MONTAGNA

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Parlare di Asiago (VI) senza parlare di bovini al pascolo, di latte e derivati, è riduttivo quanto raccontare gli allevatori e i produttori di formaggio dell’altopiano senza citare lo storico Caseificio Pennar. La cooperativa che lo gestisce è nata nel 1927 e si sta avvicinando al secolo di attività con radici forti e ben piantate nella solida tradizione casara dell’Altopiano di Asiago dei Sette Comuni e lo sguardo rivolto al futuro. Una realtà di 50 soci tutti dell’altopiano nata come latteria turnaria e poi evolutasi nell’immediato dopo guerra, sulla spinta dei parroci del territorio, in un’unica azienda.

Da nove anni e per tre mandati consecutivi ne è presidente GIANCARLO RIGONI. «Ad oggi contiamo tutte aziende medio piccole — ci racconta Rigoni — considerato che, complessivamente, lavoriamo 115.000 quintali di latte circa per un totale di 1.800 capi. Solo un paio di queste si avvicinano ai 100

capi mentre le altre, per la maggior parte, arrivano ad una trentina e qualcuna neanche dieci. Come giro d’affari siamo sui tredici milioni di euro e occupiamo una cinquantina di dipendenti tra raccolta, trasformazione e vendita. Per quanto mi riguarda gestisco con mio fratello una realtà da una cinquantina di capi».

Le razze bovine storicamente più diffuse sono sempre state la Rendena e la Bruna alpina; da qualche anno a questa parte troviamo anche la Frisona e la Pezzata rossa, tutte vocate al pascolo. «Il pascolo — continua Rigoni — è una forma di allevamento che incentiviamo per quanto possibile. Ad esempio nel periodo estivo assegniamo un valore al latte in base alla percentuale di vitamine che aumenta quanto più i bovini mangiano erba fresca di alpeggio. I prati e i pascoli, che da noi si trovano ad un’altezza variabile tra i 1000 e i 1800 metri di quota considerate le malghe più alte, sono biologici.

Al Caseificio Pennar Asiago lavoriamo solo il latte dei nostri soci e produciamo complessivamente più di venti tipologie di formaggi, in particolare Asiago DOP Prodotto della Montagna nelle tipologie Mezzano, Vecchio e Stravecchio, ma anche Grana Padano e formaggi freschi.

Negli anni abbiamo cercato di diversificare e ampliare l’offerta con formaggi che definirei territoriali asiaghesi. In ogni caso, tutti vengono lavorati e venduti nei nostri tre punti vendita presenti nell’altopiano (due ad Asiago ed uno a Cesuna) e poi a rivenditori esterni: tre catene di GDO piuttosto grandi e poi tutta una rete di piccoli commercianti. Ci piacerebbe ampliarci con punti vendita nostri in pianura, nelle città, ma al momento non c’è nulla di concreto. Inoltre restiamo convinti che acquistare i prodotti nel luogo di produzione dia un valore aggiunto anche al cliente, oltre ad essere uno stimolo in più per venire ad Asiago».

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L’ultima ristrutturazione portata a compimento dalla cooperativa risale a fine anni ‘90 e da allora è aumentato del 30% il quantitativo di latte raccolto e lavorato integrando altre aziende e conseguentemente è aumentata la mole di lavoro. Nelle stesse strutture dove si lavoravano 70.000 quintali di latte oggi si arriva a lavorarne anche 120.000 con gran parte delle operazioni ancora manuali. «La priorità — sottolinea Rigoni — è quella di rinnovare le strutture, se non costruire uno stabilimento nuovo, anche perché da noi non funziona “entra il latte, premi un bottone ed esce la forma”. Lo stesso vale per i singoli allevatori. Un bell’impegno considerate le dimensioni aziendali. Ora come ora, considerato il caro energia e l’aumento del costo delle materie prime, è difficile fare programmi a media scadenza, figuriamoci a lunga. E siamo anche noi al punto che potremmo dire, considerato il prezzo del latte, fermiamo gli impianti. Tuttavia, crediamo nella professionalità dei casari, degli allevatori e del cooperativismo e vogliamo continuare a trasmettere la passione per questo lavoro convinti che abbia una prospettiva per tutti noi nell’interesse dei soci. Per ottenere bisogna dare, con l’obiettivo di avere sempre una qualità alta della materia prima, anche perché sulla quantità e sui costi non saremo mai competitivi. Ribadisco: considerati gli spazi attuali è impensabile riuscire ad aumentare la quantità di latte prodotto e

lavorato. Certo che creare una qualsiasi struttura in montagna è ben più difficile e dispendioso che in pianura. È bello per i turisti venire in montagna nei tre mesi d’estate quando in pianura ci sono 40 gradi, ma per chi ci vive poi ci sono anche gli altri nove mesi di freddo, neve e buio, con tutte le difficoltà del caso. Ciò detto, senza gli allevatori verrebbe meno un presidio importante sulle montagne e con esso una buona parte delle attività di manutenzione e salvaguardia del territorio. Nel nostro piccolo vogliamo farci carico, almeno in parte, di questa responsabilità, nonostante annate come la scorsa che, a causa della siccità, ci hanno messo in enorme difficoltà».

Uno degli investimenti che in Pennar stanno valutando è quello degli impianti per fare biogas. «Il nostro obiettivo è rendere la nostra economia il più circolare possibile ed essere sempre più sostenibili sotto tutti i profili: ambientale, sociale ed economico. Se ad esempio guardiamo all’alimentazione dei bovini siamo OGM free per quanto riguarda i mangimi utilizzati. In più, abbiamo ottenuto recentemente le prestigiose certificazioni ambientali secondo gli standard UNI EN ISO 140040 E 14044. E ci piacerebbe disporre di impianti per produrre biogas».

Dove si vede tra dieci o vent’anni? «Innanzitutto spero di continuare a vedermi. Battuta a parte, confido che la cooperativa continui a mantenere la

Costituitosi nel 1927, il Caseificio Pennar Asiago è un pezzo di storia dell’Altopiano di Asiago, che da anni testimonia la grande tradizione casearia di questo territorio montano. Tra i formaggi in vendita, una menzione speciale va dedicata all’Asiago DOP, prodotto di eccellenza che negli anni ha conquistato i palati più esigenti e diversi titoli nell’ambito delle competizioni casearie.

solita linea in grado di tenere insieme tradizione e innovazione. Tanti soci sarebbero da età pensionabile ma c’è in tutti noi l’orgoglio e l’impegno di voler lasciare a chi verrà dopo di noi quanto di buono ci è stato lasciato».

Sulle forme di Asiago DOP prodotte dal Caseificio Pennar Asiago viene apposto il marchio a fuoco “Prodotto della Montagna” . Questo marchio certifica l’adesione ad un più rigoroso disciplinare nel rispetto della tradizione e dell’ambiente. Tutto deve avvenire in montagna, dalla mungitura del latte alla sua trasformazione in formaggio e successiva affinatura

Nel periodo di pascolamento estivo viene sapientemente selezionato e miscelato il latte dei pascoli migliori. Da questa selezione nasce la linea produttiva “Filiera Pascolo Ecocompatibile GRÜN ALPE”, formaggi a latte crudo con eccezionali caratteristiche qualitative e sensoriali.

Tra i vari prodotti proposti dal caseificio c’è la Tosela,un formaggio dalle caratteristiche uniche che, cuocendo, non si scioglie ma resta in fetta… come una bistecca. Si prepara tagliandolo a fette di un centimetro e mezzo di spessore, le si cosparge di sale grosso lasciandole per cinque minuti, di seguito si pulisce il sale e le si fa rosolare su una teglia antiaderente.

>> Link: www.caseificiopennar.it

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Aceto Balsamico di Modena Aceto di Modena

ACETAIA

Acetaia Leonardi che da sempre coltiva le proprie vigne scegliendo metodi naturali, presenta una nuova gamma per rispondere alla domanda sempre crescente di prodotti certificati biologici. Nasce così LEONARDI , una famiglia completa di prodotti rivolta ai mercati specializzati che garantiscono al consumatore un metodo di coltivazione che consenta di trattare terreni e vigneti senza l’uso di pesticidi chimici, concimi sintetici e senza organismi geneticamente modificati, garantendone così la massima qualità e sicurezza.

Vi invitiamo a visitare la Corte, l’Antica Acetaia e il Museo, dove, da più di 130 anni, i migliori Balsamici invecchiano in una riserva di botti unica al mondo.

Visite guidate e Degustazioni tutti i giorni dalle 9 alle 19

www.facebook.com/AcetaiaLeonardi - www.instagram.acetaialeonardi1871.it
www.acetaialeonardi.it
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Olio Capitale 2023

15o SALONE DEGLI OLI EXTRAVERGINI TIPICI E DI QUALITÀ

Reduce dalla kermesse Olio Capitale 2023, svoltasi a Trieste dal 10 al 12 marzo, che ci ha salutati donandoci un meraviglioso tramonto, stanco ma felice, ve ne rendo subito conto al fine di porre la vostra attenzione su come l’asticella si stia alzando, su come il lavoro concertato che tutti svolgiamo quotidianamente e con passione (produttori, distributori, comunicatori, professionisti HO.RE.CA., chef, sommelier, assaggiatori, divulgatori, docenti, istituzioni) stia portando frutti.

Intanto complimenti agli organizzatori, che nella location del Porto Vecchio hanno saputo, mediante sapiente regia, mettere in scena uno spettacolo completo, dai 170 espositori ai tavoli di degustazione guidata, dall’Oil Bar ai cocktail evo, dai convegni all’intervento sapiente e puntuale delle istituzioni, dalle testimonianze sul campo alle interessanti prospettive dell’oleoturismo (descritte egregiamente nel testo redatto a quattro mani dal senatore

DARIO STEFÀNO, padre della norma di riferimento, e dalla giornalista FABIOLA PULIERI), dagli abbinamenti con i cibi all’attenzione rivolta ai buyer italiani e stranieri. Insomma una reunion molto interessante, tecnicamente ben riuscita, e, per usare termini organolettici, dal retrogusto che sa di futuro

Personalmente ho ritrovato tanti amici saltando di regione in regione e, tra una degustazione e l’altra, tra sentori di erba tagliata, foglia di pomodoro, cardo, carciofo, note mandorlate e finali persistenti dove i polifenoli ci ricordavano quali caratteristiche deve avere questo nettare, ho avuto il piacere di confrontarmi, per esempio, sulla funzione sempre più imprescindibile

dell’olio extravergine di oliva di qualità nei ristoranti e sulle prescrizioni base che dovrebbero richiedere anche gli ospiti fruitori, ovvero:

* basta olio non filtrato che, a parte i primi giorni di vita, dai residui solidi comincia ad ossidare cambiando colore, profumo e sapore;

* basta bottiglie aperte con etichetta (quando c’è…) unta e bisunta;

* basta bottiglie senza tappo antirabbocco;

* basta personale di sala che non sa descrivere i sentori e consigliare abbinamenti;

* sì alla Carta degli oli, purché snella e ben raccontata, magari privilegiando la regione di riferimento.

Interessante l’aspetto esperienziale e didattico in sala convegni, gestito dall’ Associazione Nazionale Città dell’Olio1, con rotazione al microfono di frantoiani, produttori (molti giovani!), sindaci e professori universitari pronti a raccontare nuovi progetti di recupero dei territori e opportunità di finanziamento e formazione.

Ed è stato bello vedere che quella che nasce come una tradizione ereditata, l’olio del nonno contadino che raccoglieva le olive tardi, moliva con sistemi tradizionali, le macine in pietra, i fiscoli, l’assenza di filtrazione e lo stoccaggio alla meglio, oggi diventa innovazione, perché il nipote agronomo ha introdotto raccolta anticipata, sistemi di estrazione di ultima generazione, filtrazione, stoccaggio con gas inerti, packaging accattivante e marketing mirato.

Il movimento dell’olio extravergine di qualità sta avanzando compatto. E, a proposito del recupero di vecchi oliveti abbandonati, una menzione speciale la riservo ad un progetto che ho trovato

molto interessante che si muove tra tecnica e romanticismo, tra cuore e riconoscimenti Slow Food e Gambero Rosso. È l’Oro di Capri2, un’associazione che ha lo scopo di recuperare le antiche produzioni capresi legate alla tutela del territorio stesso. Si parte dalla tradizione, nel Nord-Ovest del comune di Anacapri, prima degli anni Settanta, e dalle molteplici macine private che caratterizzavano la ricca produzione di varietà Minucciola, fino ad esportare sulla terraferma. Poi, con l’avvento del turismo, quello che era il teatro naturale degli oliveti a regime passa in secondo piano, fino a confondersi con il bosco. Nel 2014 inizia il percorso e, nel giro di pochi anni, si sono recuperati trenta ettari di terreno, demoliti abusi edilizi e, accanto ai vecchi olivi, piantato dei nuovi che, lavorati con moderne tecniche (sovescio, compost, raccolta dell’acqua piovana), danno un olio delizioso, con note di rosmarino uniche.

Senza però tralasciare iniziative solidali ed emotivamente coinvolgenti quali la Camminata tra gli olivi3, la raccolta didattica fatta dai bambini delle scuole e i talk sull’alimentazione neonatale con il progetto MammaEVO Seguiteli. Insomma, siamo sul campo. E ci resteremo. Studiando sempre, sperimentando, ricercando eccellenze e storie di lavoro duro fatto da persone vere da raccontarvi. Con l’obiettivo di sostituire quella bottiglia di olio che tutti abbiamo in dispensa, con una bottiglia di olio extravergine di oliva di qualità. Italiano.

Note

1. www.cittadellolio.it

2. www.orodicapri.com

3. www.camminatatragliolivi.it

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 140 LO CHEF DELL’OLIO

A sinistra: Massimo V. Ambrosio, produttore di olio evo. Con oltre 12.000 visitatori Olio Capitale 2023, fiera dedicata all’extravergine in Italia, ospitata al Trieste Convention Center nel Porto Vecchio di Trieste, è ritornata ai numeri pre-pandemia (www.oliocapitale.it).

In basso: Fabrizio Bertucci con Fabiola Pulieri, autrice, insieme a Dario Stefàno, del volume “Oleoturismo. Opportunità per imprese e territori” (Edizioni Agra, 2022), e Elisabetta Traldi, produttrice di olio del Lazio.

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Raddoppia Slow Wine Fair 2023

Oltre 10.000 visitatori, 750 cantine presenti, più di 100 i produttori internazionali. Tra le principali novità le aree espositive dedicate alla Fiera dell’Amaro d’Italia e alla selezione di produttori di soluzioni tecnologiche innovative, impianti, attrezzature e servizi connessi alla filiera del vino

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 142 VINO

Oltre 10.000 ingressi, la metà dei quali operatori del settore che hanno apprezzato l’omogeneità dei vini proposti, selezionati secondo i requisiti di qualità definiti da Slow Food nel Manifesto del vino buono, pulito e giusto. Significativa tra il pubblico specializzato la presenza dall’estero, tra cui alcune centinaia di buyer selezionati anche grazie alla collaborazione di ICE e del Maeci, in particolare da Stati Uniti, Gran Bretagna, Cina e Germania.

Dell’effervescenza del convegno inaugurale di Slow Wine Fair è rimasta traccia nell’aria, una scia inebriata di soddisfazione, in primis da parte di Antonio Bruzzone, direttore generale di BolognaFiere, che ha sottolineato: «Il successo della seconda edizione di Slow Wine Fair, insieme a Marca, SANA e al Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti che debutterà a novembre, conferma BolognaFiere come il principale polo fieristico per le esposizioni internazionali B2B del settore agroalimentare e come luogo elettivo in cui gli operatori non solo fanno business, ma tracciano le tendenze del mercato. Alla luce dei risultati ottenuti da Slow Wine Fair sia in termini qualitativi che quantitativi, siamo contenti di aver sposato da subito la felice intuizione di Slow Food, dando spazio e voce a un mondo vitivinicolo che guarda al futuro con coscienza e impegno».

Slow Wine Fair tra numeri, novità e impressioni

Per capire com’è andata questa seconda edizione di Slow Wine Fair basta dare un’occhiata veloce ai numeri: quasi raddoppiati i visitatori che, calice alla mano, hanno varcato lo scorso febbraio la soglia di BolognaFiere e partecipato

alla tre giorni del vino buono, pulito e giusto. Oltre 10.000 gli ingressi registrati, la metà dei quali operatori del settore. Cresciuto anche il numero delle cantine presenti, 750 in tutto, distribuite su una superficie espositiva raddoppiata per questa edizione. Più di 100 i produttori internazionali, in particolare da Francia, Cina e Macedonia del Nord. Grande interesse per le 9 Masterclass in programma e per gli incontri nella Slow Wine Arena. 4.000 le etichette del banco d’assaggio, tra le quali si sono mossi appassionati, osti, distributori, ristoratori, enotecari, sommelier e buyer.

Tra le principali novità di questa edizione, le aree espositive dedicate alla Fiera dell’Amaro d’Italia, promosso da Amaroteca e ANADI – Associazione Nazionale Amaro d’Italia, e alla selezione di produttori di soluzioni tecnologiche innovative, impianti, attrezzature e servizi connessi alla filiera del vino, i veri “partner” della sostenibilità.

Curiosità, interesse, entusiasmo a quanto pare sono stati avvertiti un po’ da tutti: organizzatori, produttori e distributori. Giancarlo Gariglio, coordinatore della Slow Wine Coalition, ha infatti dichiarato: «I numeri e le impressioni raccolte a caldo in questi giorni confermano che sono state comprese le

Soddisfatti produttori e distributori, anche esteri, contenti per l’atteggiamento di un pubblico attento e interessato sempre più a conoscere, approfondire, sensibile al tema della sostenibilità e del rispetto delle risorse naturali, dell’ambiente e dei territori

potenzialità della Slow Wine Coalition, che per rivoluzionare il mondo del vino parte dall’unione delle tre forze principali della filiera: i produttori, con i quali siamo in continuo confronto da anni per far crescere una viticoltura sensibile alla salute e all’ambiente;

il vino lo commercializza e svolge un ruolo fondamentale

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chi per la promozione del territorio 1) Angela Sini di Cantina della Volta, Bomporto (MO). 2) Fabio Altariva della Fattoria Moretto di Castelvetro di Modena. 3) Lo stand della Cantina Antonelli San Marco – Viticoltori in Montefalco (PG). 4) I vini di Vigna Madre – Famiglia di Carlo di Ortona, Chieti. 5) Dal cuore delle colline teatine, tra la Maiella e l’Adriatico, i vini della Tenuta i Fauri. 6) Agricolavinica di Ripalimosani, Campobasso, una scelta di vini naturali e biologici (photo © Federica Cornia).

e di un consumo consapevole; infine, i consumatori, con i quali è importante costruire momenti di sensibilizzazione ed educazione.

Al centro di tutto c’è la ricerca di un’autentica sostenibilità che qui non è sbandierata, ma si riempie di contenuti e soprattutto di azioni, che nel lavoro quotidiano di queste realtà sono un

prerequisito, un punto di partenza e non di arrivo».

Soddisfatti produttori e distributori, anche esteri, contenti per l’atteggiamento di un pubblico attento e interessato a conoscere, approfondire, sempre più sensibile al tema della sostenibilità e del rispetto delle risorse naturali. L’atmosfera vivace l’ho avvertita anche io, non so se

per colpa del vino nel bicchiere. Forse è vero che, come ho letto da qualche parte, tanto entusiasmo è dovuto al filtro etico svolto da Slow Food.

Al setaccio ci sono qualità, fattore umano, ambiente. Tutti valori condivisi che fanno ben sperare. Come si dice, chi vivrà vedrà. E berrà, speriamo, sempre meglio. L’importante, ad esempio,

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1) Dalla Sardegna I Garagisti di Sorgono (NU). 2) L’Astore Masseria di Cutrofiano, Lecce, vini biologici salentini. 3) La Sicilia è stata tra i protagonisti della seconda edizione di Slow Wine Fair: dalla provincia di Trapani Possente Wines, vini biologici e naturali nel territorio di Salaparuta e con vigneti ad Alcamo. 4) I vini dell’Azienda Agricola Buzzarone di Castelferrato (CH). 5) L’Azienda Agricola Luigi Vico di Serralunga D’Alba (CN).6) Dalla Cina Ningxia Huangkou Winery (photo © Federica Cornia).

sarebbe saper comunicare la qualità del vino made in Italy. Lo ha sottolineato Brunella Saccone, direttrice dell’Ufficio Agroalimentare e Vini di ICE che, nel suo intervento al convegno inaugurale, ha portato l’attenzione al tema dell’etichettatura irlandese. L’adozione di questo sistema, che prevede che entro il 2026 sulle bottiglie di vino e di altri alcolici venduti in Irlanda dovranno

essere apposte etichette che avvertano le persone dei rischi legati al consumo di queste bevande, non ci cambierà la vita, sostiene, perché in Italia abbiamo e possiamo puntare sulla qualità, ma dobbiamo promuoverla bene. E ha sottolineato poi il paradosso di un Paese, il nostro, che vanta un livello di export di 8 miliardi di euro ma che è fallace nel comunicare la qualità del proprio

prodotto, indicando un punto sul quale è necessario lavorare e investire energie.

L’appuntamento con la prossima edizione di Slow Wine Fair sarà dal 25 al 27 febbraio 2024. Sono già curiosa di rimettere piede in fiera e il naso nel bicchiere.

Federica Cornia

>> Link: slowinefair.slowfood.it

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1) L’Amaro Bologna della Formaggeria Barbieri dal 1968(BO). 2) Amaro del Tumusso, Ca’ del Conte Agrihouse, Padula (SA). 3) Grappe e distillati di Villa Laviosa, Terlano (BZ). 4) Paesani Liquori, Montorio al Vomano (TE). 5) Amaro Cardus, Az. Agr. Patea, Brancaleone Marina (RC). 6) Otium, a base d’erba luisa e alloro, Az. Agr. Andrea Barzaghi, Belluno (photo © Federica Cornia).

ANTICA CORTE PALLAVICINA

Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO”

43010 Polesine Parmense (PR)

Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416

www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza.

Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.

ECOLOGIA DEL PACKAGING

Entra in vigore l’obbligo dell’etichettatura ambientale, strumento per informare i consumatori sulla destinazione finale delle confezioni e per facilitarne raccolta, riutilizzo, recupero e riciclaggio

La natura incerta del materiale che compone un imballaggio non permette di dargli la giusta destinazione in fase di smaltimento. Da questo assunto parte il Decreto Legislativo 116/2020 che, in recepimento della Direttiva UE 2018/852, introduce, tra gli altri, l’obbligo, per i produttori, di indicare — ai fini dell’identificazione e della classificazione dell’imballaggio — la natura dei materiali utilizzati e impone che siano opportunamente etichettati secondo modalità stabilite dalle norme

tecniche UNI applicabili e in conformità alle determinazioni adottate dalla Commissione UE. Il Decreto Milleproroghe aveva sospeso sino al primo gennaio 2023 l’obbligo di riportare sulle confezioni destinate al consumatore finale le indicazioni che riguardano il fine vita delle stesse. Restava in vigore l’obbligo di apporre su tutti gli imballaggi (primari, secondari, terziari) la codifica identificativa del materiale, come indicata dalla Decisione 97/129/CE.

All’inizio di quest’anno la norma è però entrata in vigore e ora solo i

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 148 PACKAGING
di Sebastiano Corona

prodotti già immessi in commercio o etichettati precedentemente al primo gennaio 2023, pur privi dei requisiti, potranno essere commercializzati fino ad esaurimento scorte.

Nel frattempo, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha emanato le Linee Guida per l’etichettatura ambientale degli imballaggi, un lavoro realizzato in collaborazione con il CONAI e utile a supportare le imprese nella corretta applicazione della normativa. Il documento recepisce le indicazioni della Commissione Euro-

È obbligatorio per tutti gli imballaggi che sia indicata la codifica alfa-numerica prevista dalla Decisione 97/129/CE. Su quelli destinati al consumatore, devono essere presenti anche le diciture utili a supportarlo nella raccolta differenziata, previa opportuna verifica da parte del consumatore stesso delle disposizioni del comune in cui avviene il conferimento.

pea in tema di digitalizzazione delle etichette e, allo stesso tempo, si pone l’obiettivo di aiutare le imprese a fornire le caratteristiche dei propri imballaggi, aumentando la consapevolezza dei consumatori rispetto al destino finale dei rifiuti.

D’altronde, le scelte di fronte allo scaffale possono essere fatte da chi acquista anche partendo da valutazioni sulla natura della confezione del prodotto e sulla possibilità che essa possa essere riciclata, riusata o smaltita nell’indifferenziato.

L’etichettatura ambientale è prevista per tutte le componenti separabili manualmente e può essere riportata, alternativamente, sopra le singole componenti, sopra il corpo principale dell’imballaggio o sopra la componente che riporta già l’etichetta. Laddove ciò non sia possibile, è ammesso il ricorso a soluzioni digitali come QR-Code o apposite App.

È obbligatorio per tutti gli imballaggi — siano essi primari, secondari o terziari — che venga indicata la codifica alfa-numerica prevista dalla Decisione

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97/129/CE. Mentre, su quelli destinati al consumatore, devono essere presenti anche le diciture utili a supportarlo nella raccolta differenziata, sebbene a questo proposito sia opportuna altresì una verifica delle disposizioni del comune in cui avviene il conferimento. C’è, inoltre, la possibilità di fornire informazioni facoltative al consumatore per aiutarlo a fare una raccolta differenziata di qualità. Per esempio “svuota l’imballaggio”, “schiaccia per il verso lungo”, “separa l’etichetta” o diciture similari.

L’identificazione del materiale è possibile grazie ad un sistema già codificato di numerazione che utilizza le abbreviazioni di quelli usati — quali plastica, carta e cartone, metalli, ma-

teriali in legno, tessili e vetro — e che vanno posti al centro o al di sotto del marchio grafico che indica la natura riutilizzabile o recuperabile dell’imballaggio. Nel caso in cui invece si tratti di materiali composti, cioè a loro volta formati da più materiali (es.: carta e metalli vari, carta e plastica, ecc…), deve essere indicata la lettera “C” (composti), unitamente all’abbreviazione del materiale predominante, come da Decisione 91/129/CE.

Un’ulteriore novità si ha con riferimento all’etichettatura dell’imballaggio compostabile o biodegradabile, perché in questo caso l’etichetta deve riportare la menzione della conformità degli standard europei: EN 13432 per gli

L’etichettatura ambientale è prevista per tutte le componenti separabili manualmente di un imballaggio e può essere riportata sopra le singole componenti, il corpo principale o sopra la componente che riporta già l’etichetta. Laddove non fosse possibile, è ammesso il ricorso a soluzioni digitali come QR-Code o apposite App

imballaggi recuperabili tramite compostaggio o biodegradazione o EN 14995 per gli altri manufatti diversi dagli imballaggi.

Sino alla vigilia dell’entrata in vigore del Decreto, solo una confezione su tre dichiarava come essa potesse essere smaltita. Anche per questo motivo la raccolta differenziata è cresciuta, ma non come avrebbe potuto. Ogni anno gli Italiani producono circa 3,7 milioni di tonnellate di rifiuti plastici, ma nella differenziata ne finiscono 1,6 milioni, appena il 42% del totale, soprattutto le confezioni dei prodotti alimentari e non che ogni giorno vengono acquistate. Un problema dovuto, in buona parte, al fatto che su molte confezioni mancano le indicazioni su come smaltire correttamente gli imballi.

A complicare le cose, sia per l’ambiente sia per il consumatore, c’è la tendenza ad utilizzare materiali compositi. Un trend, questo, che accresce il grado di difficoltà con il quale i consumatori si confrontano quotidianamente nel differenziare i rifiuti. Lo segnala anche il primo osservatorio IdentiPack sull’etichettatura ambientale, frutto della collaborazione fra il CONAI e GS1 Italy, l’associazione che censisce la stragrande maggioranza dei prodotti in vendita nei super e negli ipermercati. L’osservatorio classifica anche molto altro, in particolare le indicazioni aggiuntive, come i marchi volontari legati alle caratteristiche di sostenibilità del packaging, la presenza di suggerimenti su come fare una raccolta differenziata di qualità o i sistemi digitali come QRCode e il GS1 Digital Link, che rinviano a pagine web, con le informazioni ambientali presenti sulla confezione. Un lavoro notevole, considerato che le referenze ispezionate sono ben 128.000! Un documento che evidenzia che sinora solo il 25,1% dei prodotti venduti riporta in etichetta la codifica del materiale usato per la confezione, sebbene su 45.000 referenze (il 36% di tutte quelle esposte), compaiano già le indicazioni sulla tipologia di imballaggio sul corretto conferimento per la raccolta differenziata.

La percentuale di etichette parlanti ora divenuta obbligatoria è salita di oltre 2 punti rispetto al 2020, ma rimane lontana dalla totalità e ci vorrà tempo perché — al di là dell’obbligatorietà

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Ogni anno gli Italiani producono circa 3,7 milioni di tonnellate di rifiuti plastici, ma nella differenziata ne finiscono 1,6 milioni, appena il 42% del totale. Un problema dovuto, in buona parte, al fatto che su molte confezioni mancano le indicazioni su come smaltire correttamente gli imballi.

del Decreto — l’obiettivo che la norma si pone venga effettivamente centrato. E a dimostrazione che le imprese sono ancora lontane dall’utilizzare strumenti come il QR-Code, si contano appena 4.268 etichette che recano almeno un’indicazione per visionare digitalmente le informazioni sul contenuto o sul packaging. Un paniere che include il 3,3% delle referenze a scaffale e di quelle vendute complessivamente. Si può fare ancora molto insomma.

Fra i settori merceologici analizzati, quello del Freddo si posiziona sul primo gradino del podio per la comunicazione delle informazioni ambientali dei packaging: gelati e surgelati si aggiudicano la leadership per incidenza di prodotti che riportano in etichetta la codifica identificativa del materiale, oltre alle indicazioni sulla tipologia di imballaggio e sul corretto conferimento in raccolta differenziata. Ma si distinguono anche per la presenza di certificazioni relative alla compostabilità del packaging e di suggerimenti per migliorare la raccolta differenziata a casa.

Bene anche la drogheria alimentare, un comparto in cui quattro prodotti su dieci indicano il materiale di cui è composto l’imballaggio e il modo corretto di differenziarlo.

A difesa delle imprese di ogni tipologia e settore, ma soprattutto di quelle agroalimentari, si può però dire che le novità, le integrazioni normative, le modifiche richieste ai produttori in sede di etichettatura sono davvero notevoli e oltremodo frequenti. Difficile reggere il passo, soprattutto per le aziende più piccole e poco strutturate che non possono contare su consulenti interni all’organigramma aziendale e sulla possibilità di rinnovare periodicamente il packaging o solo l’etichetta di un prodotto, anche sul piano grafico, oltre che di contenuto delle informazioni.

Oggi più che mai si fanno i conti con gli aumenti vertiginosi dei prezzi dei materiali per gli imballi, con una normativa in continua evoluzione, con le richieste perentorie dei clienti, GDO in testa, che talvolta impongono ulteriori adempimenti in comunicazione, oltre a quelli cogenti. Insomma, quello che manca non sempre è la volontà o il senso del rispetto dell’ambiente. Le questioni sono molte e tutte complesse.

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Gestione ricette ed etichettatura degli alimenti: tutti i dati dall’ERP CSBSystem, direttamente

La ricetta è il fulcro centrale nella produzione alimentare ed è un fattore di successo decisivo: anche solo piccoli cambiamenti nella composizione dei prodotti possono avere un grande impatto sul gusto, sulla qualità e sui margini di guadagno.

Il gruppo CSB-System, che da oltre 40 anni ormai fornisce soluzioni gestionali complete e modulari per le industrie alimentari, ha puntato molto sul potenziamento della Gestione e Ottimizzazione Ricette, anche grazie ai preziosi input ricevuti dai clienti.

Qualità riproducibile garantita

Produrre la stessa qualità ogni giorno è l’obiettivo di qualsiasi produttore. Nel caso ideale, le distinte basi, le descrizioni delle tecnologie e le istruzioni di lavoro sono accessibili in formato elettronico in area produzione, disponibili su un PC industriale, quale il CSB-Rack, o su un tablet. Data la connessione a bilance o silos, la gestione ricette dell’ERP CSB-System garantisce che i dipendenti seguano un processo definito e assicurino una qualità del prodotto costantemente elevata per ogni singolo lotto di produzione.

Gestione dei rischi

Il pericolo di costosi richiami di prodotti diminuisce considerevolmente perché, se gli operatori non possono fare altro che produrre esattamente secondo le specifiche e le normative legali, ci saranno meno scarti.

Le ricette forniscono un quadro completo della produzione e qui il software CSB-System registra tutto in modo preciso e verificabile per una documentazione trasparente: flussi di materiale, dati rilevanti per la qualità o cambiamenti nel processo.

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La Gestione Valori Nutrizionali del CSB-System gestisce con massima trasparenza l’etichettatura dei prodotti.
più
sicura
TECNOLOGIE

Miglioramento dei margini

Ottimizzando le ricette, le aziende alimentari hanno alte probabilità di aumentare i loro margini. L’ottimizzazione ricette del CSB-System calcola la composizione più economica dei prodotti, tenendo conto delle restrizioni chimiche e tecnologiche e nel rispetto degli standard qualitativi predefiniti. Clienti CSB riportano che, già in una prima fase di ottimizzazione, sia possibile ottenere un risparmio di circa il 5% sulle materie prime utilizzate. In media, vi può essere un ulteriore risparmio che va dall’1 al 4%.

Produzione agevolata di piccoli lotti o singoli prodotti Coi suoi dati su ingredienti e additivi, allergeni, valori nutrizionali e OGM, la gestione delle ricette costituisce la base per assecondare e facilitare la produzione di lotti esigui, al fine di evadere ordini sempre più piccoli ma più frequenti da parte dei distributori finali. Un modo per quest’ultimi di trasferire sul produttore i rischi di un mercato dalle richieste sempre più oscillanti.

Etichette ancora più sicure

Solo avendo il 100% del controllo

sulla composizione dei propri prodotti si possono soddisfare leggi e linee guida, così come i severi requisiti della commercializzazione.

Gestire le tabelle degli allergeni, valori nutrizionali e ingredienti in modo manuale significa dover affidarsi alle capacità del singolo operatore, lasciando correre all’azienda un rischio che l’uso dell’ERP CSB-System eliminerebbe. Il calcolo degli ingredienti inizializza automaticamente le etichette degli articoli e le specifiche di produzione per i prodotti. Gli elementi dell’etichetta (ingredienti, valori nutrizionali, allergeni, OGM) possono essere generati in più lingue; per ogni prodotto e lingua si possono rappresentare contemporaneamente fino a sei differenti unità.

È possibile inoltre integrare in modo rapido e agevole le banche dati nazionali ed internazionali dei componenti e dei valori nutrizionali.

Sfruttando appieno la Gestione Valori Nutrizionali integrata del CSB-System si ottiene massima trasparenza nell’etichettatura dei prodotti, assicurandosi così oltre alla fiducia dei consumatori anche vantaggi competitivi a lungo termine.

Spinta verso la fabbrica intelligente

La gestione ricette fornisce anche un contributo importante nel contesto della fabbrica intelligente. Ad esempio, oggi è già possibile collegare le ricette, le specifiche e le informazioni nutrizionali memorizzate nel CSB-System con i sensori delle macchine di produzione. Questa integrazione consente non solo una pianificazione della produzione più precisa e una gestione automatizzata della qualità ma aumenta anche la sicurezza alimentare.

Referente:

• Dott. A. MUEHLBERGER

CSB-System Srl

Via del Commercio 3-5

37012 Bussolengo (VR)

Telefono: 045 8905593

Fax: 045 8905586

E-mail: info.it@csb.com

Web: www.csb.com

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 153
Tracciabilità con smartphone.

La storia racchiusa in un dolce

GRAFFA NAPOLETANA E KRAPFEN AUSTRIACO

Comune è l’origine dei due prodotti, derivati entrambi dall’usanza di friggere un impasto a base di patate e farina. Anche il nome, che a Napoli è arrivato attraverso la dominazione austriaca e che allude alla particolare, originaria forma ad uncino, ha un’origine comune che risale addirittura all’epoca longobarda

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Le graffe sono morbide ciambelle, realizzate con un impasto a base di farina e patate, fritte e ricoperte di zucchero. Sono tipiche di Napoli e, anche se sono reperibili oramai tutto l’anno, si preparano solitamente nel periodo del Carnevale.

Potrà forse sembrare sorprendente, ma Napoli e Vienna sono unite più di quanto non sembri… E un piccolo elemento gastronomico lo dimostra ancora oggi: le graffe. Le graffe napoletane devono infatti il loro curioso nome non al fatto che possano assomigliare nella forma ad una fantasiosa elaborazione di una parentesi graffa, come molti credono, bensì alla loro diretta parentela con il più conosciuto krapfen di area germanica.

La graffa napoletana, a chiarimento di chi ancora non avesse avuto il piacere di gustarla, è uno dei dolci più tipici della tradizione partenopea, diffusissima anche nei chioschi all’aperto e, in particolare, sul meraviglioso lungomare cittadino.

È una ciambella fritta dall’aspetto caratteristico ottenuto sovrapponendo le parti terminali di una striscia di pasta, abbastanza lunga ma non troppo sottile, a base di farina e patate. Questo composto viene ottenuto schiacciando nel burro le patate appena lessate e aggiungendo gradualmente dapprima latte e poi farina, zucchero, uova, lievito di birra, un po’ di sale e una grattugiata

di buccia di limone. Si impasta rigorosamente a mano.

Una volta fritta nell’olio di semi, la graffa viene asciugata con cura, ricoperta abbondantemente di zucchero e consumata preferibilmente quando è ancora calda, croccante all’esterno e morbida dentro. Risultato, quest’ultimo, che si può ottenere nel miglior modo grazie alla lievitazione dell’impasto, che dura due ore.

Soltanto rispettando tale tempistica si riesce ad ottenere questo prodotto che ogni napoletano verace conserva nel cuore e che onora con un consumo che non conosce flessioni, anche perché le graffe sono reperibili durante tutto l’anno, nonostante il periodo tradizionale di preparazione sia quello carnevalesco.

L’arrivo di questi dolci in Campania si fa risalire al periodo della dominazione austriaca, in seguito al Trattato di Utrecht del 1713, con il quale terminò definitivamente il dominio della Spagna su parte del territorio europeo, tra cui il Regno di Napoli. Quest’ultimo, insieme con il Regno Lombardo-Veneto, passò sotto il dominio dell’imperatore Carlo VI del casato austriaco degli Asburgo. Con gli Austriaci arrivarono a Napoli

anche usanze e tradizioni, comprese quelle gastronomiche e, in particolare, il tondo krapfen ripieno di confettura di albicocche. Le graffe, infatti, sono una rielaborazione dei krapfen austriaci, originari della città di Graz, in Stiria, e anch’essi tipici del periodo carnevalesco.

Pur differendo per l’assenza nelle graffe del ripieno, i due dolci hanno comunque in comune non soltanto il fatto di essere entrambi a base di patate e farina (anche se nel krapfen le patate sono poi state abbandonate) e di essere fritti e ricoperti di zucchero, ma soprattutto di avere una stessa origine etimologica. Secondo alcuni dizionari (DELI e GRADIT), il termine graffa (o grappa), così come krapfen, deriverebbe dal longobardo krapfo (krappa in gotico), che significa uncino e che nel tedesco antico era utilizzato per indicare l’aspetto che la frittella di pasta dolce assumeva in

Aspetto ad uncino che la graffa napoletana, a differenza del krapfen germanico, mantiene tuttora, conservando così, insieme con la sua bontà, anche un pezzetto della storia più antica.

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origine. Ripieni di confettura alle albicocche e con una spolverata di zucchero a velo, i Faschingskrapfen, o più semplicemente krapfen, sono un classico della tradizione austriaca durante il periodo di Carnevale.

ALKERMES NOBILE LIQUORE RINASCIMENTALE

Liquori, invenzione italiana

La tecnica della distillazione, che risale agli alchimisti islamici del VIII secolo d.C., viene fatta conoscere in Italia da RAIMONDO LULLO (1232-1316) e ARNALDO DA VILLANOVA (1235-1311), permettendo di preparare bevande con alta gradazione alcolica. Alcol è una denominazione che l’alchimia araba medievale attribuisce a uno spirito assimilabile ad un demo-

ne, ottenuto da liquidi viventi con la distillazione, che permette di cogliere da questi l’essenza pura e aeriforme.

In Italia la Scuola Medica Salernitana sembra essere la prima che usa l’alcol per produrre un farmaco che trasmette le proprietà mediche e benefiche del ginepro diventando un antenato del gin. La storia dei liquori ha quindi le sue radici nel Medioevo, quando l’uomo non conosce le moderne medicine e per

curarsi usa soltanto sostanze vegetali e, se non c’è un inventore preciso di magici preparati alcolici che servono per guarire, da questi nasce la grande tradizione liquoristica italiana.

Quando CATERINA DE MEDICI (15191589) va in sposa ad ENRICO II di Francia (1519-1559) porta con sé cuochi, pasticceri e liquoristi italiani che fanno conoscere ed apprezzare i segreti dei liquori italiani alla Francia e da qui ad

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Photo © Francesco Marzovillo

altri Paesi europei. Da questa data i liquori sono sempre considerati non solo un toccasana, ma bevande da bere per il piacere del palato e dell’animo. Anche i monaci hanno in questo un loro ruolo divenendo inventori e produttori di liquori ancora oggi noti (Bénédictine, Chartreuse, ecc…) e questa novità dura almeno fino al XVII secolo quando nel Vecchio Continente penetrano bevande come il caffè, il tè e il cacao.

Rosolio, rugiada di sole Rosolio è un liquore o, meglio, una soluzione liquorosa che nasce nell’Italia rinascimentale e può essere definito come un preparato di alcol, zucchero e acqua nella stessa proporzione, con in più un’essenza che gli dà nome: Rosolio alla rosa, Rosolio alla menta, ecc… Il nome pare derivi dai termini latini ros e solis, rugiada di sole, più che dalle rose utilizzate per preparare una bevanda da

offrire agli ospiti e usare in preparati dolciari. I rosoli sono presenti in tutta Italia, diffusi soprattutto in Toscana, Umbria, Piemonte, Campania, Sicilia ed Emilia. Un rosolio particolare è l’Alkermes di Firenze o Rosolio dei Frati di Santa Maria Novella. Questo liquore dolce si ottiene per infusione e macerazione di varie erbe e spezie (garofano, cannella, vaniglia, noce moscata, coriandolo e altre) colorato con cocciniglia e aroma-

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Photo © Studio Gi

tizzato alla rosa, con una gradazione alcolica tra il 21 e il 30% in volume. La più antica ricetta per la preparazione dell’alkermes ancora in uso è proprio quella fiorentina, secondo la formula del 1743 di Fra’ Cosimo Bucelli, all’epoca direttore dell’Officina di Firenze. Dal colore rubino luminoso, è un liquore dal profilo avvolgente, secco e caldo, con note in primo piano di marasca e spezie dolci e piccanti. Nel 2003 all’Alkermes delle Officine è stato riconosciuto il marchio di Prodotto Agroalimentare Tradizionale (PAT).

Alchermes brillante colorante

A Firenze l’Arte dei Medici e Speziali era una delle sette Arti Maggiori, mentre i colori erano usati dagli appartenenti all’Arte di Tintori, che esercitavano l’importante attività della tintura nella produzione dei tessuti. Durante il Medioevo il rosso nei tessuti era apprezzato perché raro. Gli abili tintori medioevali riuscivano a produrlo, anche se era molto difficile da ottenere almeno in

forma duratura, dalle radici della robbia (Rubia tinctorum). Tinture rosse ottenute da insetti mediterranei sono note sin dagli antichi Egizi: il chermes o sangue di San Giovanni e il Rosso armeno sono coloranti rossi molto ricercati, ma difficili da ottenere da un insetto, il Kermococcide (Kermes vermilio ), comunemente noto come chermococco o grana vermiglio delle querce. Le femmine di questo insetto sono raccolte, essiccate e polverizzate e usate in tintoria.

La scoperta delle Nuove Indie porta alla scoperta di ricchezze sconosciute e tra queste un nuovo colorante rosso ottenuto dalle femmine essiccate della Cocciniglia del Carminio (Dactylopius coccus), noto agli Aztechi come Sangue del Cactus, che i Conquistatori spagnoli conoscono intorno al 1512 e lo denominarono Grana Cochinilla per non confonderlo con il meno pregiato colorante rosso europeo. Questo nuovo colorante è dieci volte più efficace dei precedenti divenendo noto in tintoria

come Grana Secca o Fine e insieme all’oro e all’argento è la voce più importante delle esportazioni spagnole dalle colonie del Nuovo Mondo. Importato dalla Spagna dei Mori per tingere di rosso i tessuti arriva anche in Italia e a Firenze con il nome di Qirmiz e, da qui, Al-qirmiz e poi Alkermes, storpiato nelle varianti dialettali in Alchermes, Archemus, Archemuse e derivati. Ed è proprio questo nuovo e costoso colorante di una tonalità rosso vivo brillante e duratura che uno speziale fiorentino usa per decorare il rosolio destinato alla Famiglia dei Medici.

Nel secolo XX dalla cocciniglia viene estratto l’acido carminico, un glucoside antrachinonico dall’intenso colore rosso che nella normativa europea è catalogato come additivo alimentare con la sigla E120. Dall’acido carminico si ottiene anche una lacca dal colore rosso brillante utilizzata come colorante alimentare. Il tipico colore rosso dell’alkermes, visto il costo elevato, è oggi in molti casi sostituito da coloranti azoici di sintesi.

Alchermes e Zuppa inglese

L’alkermes è utilizzato soprattutto in pasticceria per la sua colorazione intensa e in particolare per la preparazione delle Pesche di Prato e della Zuppa inglese. Quest’ultimo dolce, se non inventato, è stato divulgato dal liquorista romano VINCENZO AGNOLETTI, che, all’inizio del 1800, lavorava anche a Parma come credenziere e liquorista alla corte di MARIA LUIGIA D’ASBURGO-LORENA (17911847), già moglie di Napoleone. Agnoletti denomina Zuppa Inglese una zuppa di biscotti bagnati con il rum e sopra finiti con una marenga cruda o al forno, o con una crema, o candito d’uovo, o marmellata, e guarnita con confetture, spume, brillante, ecc… In tempi successivi la Zuppa Inglese non vede più la presenza di rum ma quella dell’alkermes.

Questa sostituzione avviene perché il rum è un liquore d’importazione più costoso del nazionale alkermes ma quest’ultimo ha soprattutto il non trascurabile pregio di un accattivante colore rosso, che ben contrasta con quello degli altri componenti del dolce. E si sa che, anche in cucina, il colore, quello rosso soprattutto, è importante.

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La Mortadella di Prato. Il salume, di origine medievale, è caratterizzato dalla presenza originale dell’alkermes nell’impasto.

La zuppa inglese più bella del mondo

Girato a Bologna, tra il portico di San Luca, la chiesa sconsacrata di San Barbaziano e il Pio Istituto delle Sordomute povere di via della Braina — un luogo in cui il tempo pare essersi fermato ma che riprende vita, almeno nella parte degli Antichi Orti, nel mese di maggio grazie alla manifestazione Peonia in Bloom e in estate grazie al trasferimento di sede del Ristorante Scacco Matto dello chef Mario Ferrara (che diventa Scacco Matto agli Orti, appunto) — “Le pupille” è un’opera della regista italiana Alice Rohrwacher. Un racconto poetico della durata di meno di quaranta minuti filmati in pellicola 35mm e Super 16. «Quando Alfonso Cuarón mi ha chiesto se volevo realizzare un piccolo film sulle feste di Natale, subito si è affacciata alla mia mente l’immagine di una grande torta rossa» ha raccontato alla stampa la Rohrwacher. «La torta era su un tavolo e tante pupille la guardavano affascinate. Quell’immagine era emersa nella mia memoria da una storiella che avevo letto molti anni prima: si trovava in una lettera che la scrittrice Elsa Morante aveva inviato all’amico Goffredo Fofi per augurargli buon Natale. La lettera raccontava le sorti di una zuppa inglese capitata in un collegio religioso durante le festività, tanto tempo prima».

E così il corto di Alice Rohrwacher racconta appunto i due giorni — la Vigilia e il giorno di Natale — di un piccolo gruppo di orfane e delle religiose che gestiscono la comunità rimaste sole durante le festività. Il periodo storico è quello della seconda guerra mondiale; la povertà e la miseria regnano sovrane fuori e dentro il cancello del collegio, dove le giornate scorrono noiose nella rigidità dell’etichetta e dell’obbedienza imposte dalla temuta Madre Superiore. Nessuna emozione, nessuna sorpresa, fino all’entrata in scena di una sontuosa zuppa inglese, preparata con “ben 70 uova!” —, una vera e propria epifania color rosso fuoco — il colore del “peccato” —, che scuote fantasia, desideri e appetiti delle bambine, così come quelli degli spettatori.

La locandina del corto “Le pupille”, che in latino significa proprio bambine, di Alice Rohrwacher. La regista l’ha dedicato “alle ‘bambine cattive’, che cattive non sono affatto, e che sono in lotta ovunque nel mondo”.

Italianissimo a dispetto del nome — come sottolinea la ricca signora che lo porta in dono alle orfane perché le loro preghiere si facciano “più forti”, così che il fidanzato che l’ha abbandonata ritorni presto da lei — “la zuppa inglese era il dolce classico e insostituibile per chiudere in bellezza sia la festa di famiglia che il pranzo in occasione della sagra paesana, specie in alcune città dell’Emilia, e la bravura della padrona di casa, cioè della ‘rezdora’, la si valutava proprio dopo avere assaggiato tale specialità” scrive Clara Scaglioni nell’articolo dedicato proprio a questo dolce (La zuppa inglese, in Premiata Salumeria Italiana n. 5/2001). E ancora: “Tale dolce al cucchiaio ha come base una crema pasticcera per metà gialla e per l’altra metà scura perché realizzata con il cioccolato. Va ricordato che sarebbe bene usare un contenitore a forma di “morule”, cioè scannellato per disporre i biscotti savoiardi, imbevuti in una bagna ottenuta con alchermes e sassolino, negli incavi dello stampo in modo da dare un bell’aspetto al dolce quando rivoltatolo verrà presentato in tavola. Dopo avere sistemati in bell’ordine i biscotti si dovrà riempire lo spazio interno con due letti di crema gialla e scura separati dai savoiardi e tenere in luogo fresco. Così spiegato sembrerebbe un dessert facilissimo da realizzare, ma, come sempre succede con le cose troppo facili, richiede invece tantissima cura per essere eseguito come si deve”

La zuppa inglese è una specialità apprezzata anche in Toscana e a Siena, dove viene chiamata “Zuppa del duca”, così come in Campania e in alcune città della Sicilia, dove si usa portarla in tavola in una versione più “ricca”, ovvero ricoperta con una meringa fatta con chiaro d’uovo e zucchero e passata velocemente a dorare nel forno caldissimo. Nel film, invece, dopo aver rotto gli schemi e gli equilibri interni al collegio, scatenando una piccola ma fondamentale “rivoluzione”, la rossa zuppa inglese della discordia avrà un destino inaspettato. Per saperlo, però, dovrete guardare “Le pupille” coi vostri occhi e, possibilmente, mangiarne una FETTONA con gusto e senza sensi di colpa o pentimenti durante o dopo la visione: soltanto così giustizia sarà fatta.

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VALENTINA RAFFAELLI, LUCA BOSCARDIN Scarti d’Italia

Da Nord a Sud, un’avventura culinaria dove non si butta via niente

Edizioni: Corraini

288 pp. – € 38,00

PIETRO PALMA

Il suono dello Champagne

Prefazione: Gabriele Gorelli, MW

Collana: Degustazione del vino

Edizioni: Ampelos

270 pp. – € 25,00

BAUDINO M., CENTOVALLI B., CONTI G., LUPO G., NIGRO R., NISINI G., PAGONE O., PETRI R., RICCARDI A., SAMMARTINO M., TETI V. Buon Appennino

La cultura del cibo nell’Italia interna Prefazione: PIERO e GIANNI LACORAZZA

Edizioni: Rubettino

162 pp. – € 16,00

Un viaggio in Italia a bordo di un furgone blu trasformato in casa mobile, filo conduttore la cucina del quinto quarto: milza, fegato, lampredotto, piedini di maiale, interiora da cucinare con ricette tradizionali come la trippa alla romana o la coratella brodettata. In dieci mesi on the road, VALENTINA RAFFAELLI e LUCA BOSCARDIN hanno esplorato il Paese alla ricerca delle tradizioni gastronomiche legate alle frattaglie e lo raccontano attraverso disegni, fotografie e ricette regionali. Hanno incontrato cuochi, ristoratori e allevatori, hanno assaggiato e cucinato, dedicandosi a quelle parti che qualcuno potrebbe definire “di scarto” e riflettendo sul ruolo che può avere la tradizione nel discorso attuale sulla sostenibilità. Libro di cucina atipico, Scarti d’Italia è una ricerca su quello che mangiamo e quello che sprechiamo, un’avventura culinaria dove non si butta via niente.

Per Valentina Raffaelli, designer, la cucina oggi è la principale attività e la sua passione più forte. Luca Boscardin è un tpy designer e illustratore con base ad Amsterdam.

Il volume Il suono dello Champagne, attraverso un racconto semplice e divulgativo, descrive i punti chiave che caratterizzano e danno forma al mitico spumante francese, li mette in sequenza e spiega in dettaglio la loro importanza nell’economia finale del prodotto che raggiungerà gli appassionati di tutto il mondo. Apprezzare pienamente uno Champagne significa infatti conoscerne anche la storia, le particolarità e i motivi di distinzione. Solo così l’assaggio regalerà emozioni che vanno oltre la sola componente organolettica, portando l’esperienza di degustazione ad una pienezza e ad un livello di comprensione superiori. Un libro per addentrarsi nel fantastico mondo dello Champagne, adatto sia per chi si avvicina al tema per la prima volta, sia per chi già è addentro alla materia ma desidera trovare nuovi spunti ed idee per un ulteriore approfondimento.

Pietro Palma, Ambassadeur du Champagne per l’Italia 2018 e Chevalier de l’Ordre des Coteaux de Champagne, si occupa di vino da quasi 20 anni come sommelier, formatore ed enotecario.

Esiste un rapporto assai stretto tra la geografia dell’Appennino e la tradizione del cibo, i suoi significati culturali, la multiforme profondità della tradizione a cui attinge per essere non soltanto un aspetto concreto della vita quotidiana, ma anche un elemento identitario e di forte impatto culturale. Sulla base di queste considerazioni, la Fondazione Appennino promuove questa pubblicazione in cui alcuni scrittori, nati lungo la dorsale che va dalle Langhe all’Aspromonte, raccontano il loro rapporto coi piatti e le pietanze dei territori d’origine, nel tentativo di comporre non tanto un elenco di ricette, quanto un’incursione a più voci sul cibo come memoria e antropologia. Un percorso dalle pianure di GUIDO CONTI alla memoria dei cibi di montagna di MIMMO SAMMARTINO, dalle antropologie silane di VITO TETI ai piatti lucani di GIUSEPPE LUPO e RAFFAELE NIGRO, dalle riflessioni di BENEDETTA CENTOVALLI e di MARIO BAUDINO sui cibi del Mugello e delle Langhe alle ricette dell’entroterra parmigiano di ANTONIO RICCARDI fino alle pietanze del Lazio settentrionale di ROMANA PETRI e GIORGIO NISINI, all’odore dei frantoi di ONOFRIO PAGONE

Premiata Salumeria Italiana, 2/23 160 TRE LIBRI

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