Premiata Salumeria Italiana 3-2014

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXVI N. 3 Maggio-Giugno 2014

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N. 3 Anno XXVI Maggio-Giugno 2014

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Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988 Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Renato Bergonzini – Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Redazione New York Stefano Spadoni – Alessandra Rotondi P.O. Box 569, New York, NY 10101-0569 Tel./Fax +1 212 956 8566 E-mail: stefanony@stefanospadoni.com Consulenti scientifici Prof. Giovanni Ballarini (Parma) – Prof. Fausto Cantarelli (Parma) – Prof. Carlo Cantoni (Milano) – Prof. Giuseppe Caserio (Milano) – Prof. Giorgio Catellani (Napoli) – Prof. Eugenio Del Toma (Roma) – Dr. Aldo Focacci – Dr. Emanuele Guidi (Modena) – Prof. Riccardo Monacelli (Roma) – Dr. Alfonso Piscopo – Piero Pittaro (Udine) – Prof. Andrea Strata (Parma) – Angelo Valentini (Perugia)

Developer Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.

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N. 3

In questo numero: Immagini

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Il food in rete

Social food

Elena Benedetti

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Comunichiamo

1o Epi(c) contest: è tempo di CONCORSO ad Edizioni Pubblicità Italia!

Chiara Russotto

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Aziende

BP Prosciutti: Miss Mondo

Gaia Borghi

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Bernardini: i nuovi orizzonti della norcineria italiana

Riccardo Lagorio

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Santa Barbara, laboratorio di golosità norcine

Massimiliano Rella 30

Speciale Cibus

Cibus, la miglior difesa è l’attaccamento al territorio

Gaia Borghi

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Interviste

Valtidone, i signori di coppe e pancette

Gaia Borghi

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Mercati

Export in USA: le nuove regole

Tendenze

Senza? Con! I semi, più sapore e croccantezza in cucina

Giorgia Fieni

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Prodotti tipici

Il capocollo di Martina Franca, gioiello della Val d’Itria

Roberto Villa

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Prosciutto di Faeto, la tradizione foggiana che sopravvive

Giorgio Montanari

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Della Brisaula e di altre bontà norcine della Val d’Ossola

Riccardo Lagorio

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Street food

Cornish pasty, un simbolo della Cornovaglia

Nunzia Manicardi

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Eventi

Salumi da Re & Chef to Chef: all’Antica Corte Pallavicina va in scena la festa dei norcini

Gaia Borghi

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Rassegne

Tanta voglia di buono

Fabio Butturi

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Fiere

Italia del vino, Vinitaly c’è!

Laura Franchini

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ViniVeri e VinNatur, un altro vino è possibile

Riccardo Lagorio

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Venti positivi su SIAL Paris

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Eurocarne 2015: integrazione di filiera e gestione diretta

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Nutrizione

Bresaola della Valtellina Igp, l’anti-age nel piatto

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Formaggio

Masseria Bellimento: in tavola mai formaggio così a km 0

Massimiliano Rella

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Pasta

Filindeu, la pasta come non l’avete mai vista (fare)

Sebastiano Corona

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Vino

VIP: Visti Io Personalmente al 46o Vinitaly

Angelo Valentini

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Un’altra volta per la Cantina della Volta

Laura Franchini

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Vini del Salento: degustazioni a 360 gradi

Massimiliano Rella

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I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: speck e vino

Laura Franchini

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Tecnologie

Ottimizzazione della filiera con la completa integrazione dei processi

Storia e cultura

Sapore di sale

Libri

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Giovanni Ballarini

116 120

La caseificazione compie (almeno) 7.000 anni

Raffaele Bertolini

Memorie gastronomiche

Josette Baverez Blanco 122

Ricette fatali: donne velenose in cucina

Nunzia Manicardi

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In copertina: bresaola artigianale con aceto balsamico tradizionale di Modena Dop (photo © Massimiliano Rella).

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Il food in rete

Social di Elena

1. Asiago Dop a portata di smartphone Da maggio il CONSORZIO TUTELA FORMAGGIO ASIAGO è ancora più vicino ai foodies con una nuova applicazione per smartphone e tablet: la App permette a tutti di entrare nel mondo di questa DOP veneto-trentina, migliorando la conoscenza della zona d’origine, distinguendone le diverse tipologie di prodotto, accedendo a tante ricette a cui ispirarsi. La App propone anche una funzione di ricerca geolocalizzata del progetto “Asiago Network”, un gruppo selezionato di ristoratori, bar, paninoteche, pizzerie ma anche gastronomie e punti vendita GDO dove acquistare o gustare l’Asiago DOP in tutta Italia: basterà selezionare la zona di proprio interesse per veder apparire i locali del network più vicini. Con questo strumento, il Consorzio di tutela prosegue nella sua vocazione social, giovane e moderna. La App Formaggio Asiago DOP è scaricabile gratuitamente su App Store e Play Store, disponibile per i sistemi operativi iOS 7.0 e successive versioni di iPhone e per gli smartphone con sistemi operativi Android 4.0 e successivi.

2. Crudo, Buono, Modena e anche bello Hanno fatto un ottimo lavoro gli amici del CONSORZIO DEL PROSCIUTTO DI MODENA Dop. Nuovo restyling grafico e di contenuti per il portale www.consorzioprosciuttodimodena.it che, attraverso immagini, video, testi e notizie, racconta un prosciutto crudo tutto da scoprire e valorizzare. Dall’origine del prodotto, risultato di mani esperte delle zone collinari dell’Appennino modenese, ai giorni nostri, con un Consorzio di tutela e prosciuttifici che, a pieno titolo, vantano il marchio di tutela della denominazione d’origine del Prosciutto di Modena. La vocazione ai social qui è ampiamente confermata, con link alle pagine Facebook, Twitter, Linkedin e Gmail+.

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food Benedetti

4. Po, Expo e distretti enogastronomici

3. Bullipedia.com Cosa bolle nella pentola di Ferran Adrià e del suo team di EL BULLI? La risposta è già accessibile a tutti dal 15 maggio, data in cui c’è stata la release ufficiale del suo nuovo progetto: Bullipedia Lab. Accessibile via web al link Bullipedia.com, questo hub innovativo, con forte vocazione professionale, si pone come obiettivo la promozione della creatività e della conoscenza in cucina. Si tratta di un contenitore di idee, nozioni, ricette, tecniche e cultura gastronomica di facile accesso per cuochi, professionisti della gastronomia, studenti, aziende alimentari, appassionati di cucina e non solo. Anche studiosi di storia, linguisti, antropologi e creativi possono trovare stimoli e idee in questo grande contenitore di esperienze filtrate negli anni da Adrià e dalla sua squadra.

In vista di Expo 2015 il gruppo di lavoro del Distretto Centrale Emilia-Lombardia ha iniziato a lavorare a un bel progetto — presente anche su unpoxexpo2015.org — che vede protagonista il fiume Po, da Torino a Venezia, come meta per i 20 milioni di visitatori che Expo 2015 saprà coinvolgere. L’obiettivo è duplice: attrarre i turisti di EXPO e promuovere in una veste nuova la pianura padana fluviale non solo come area produttiva, industriale, ma anche come destinazione per un turismo innovativo e unico al mondo. Turismo lento, sport non agonistici, buon vivere, benessere, buongusto a tavola, ambiente e natura, civiltà e cultura verso il cibo e i vini: ecco le finalità che coinvolgeranno 200 comuni rivieraschi e 300 comuni confinanti in 15 province e 4 regioni.

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Comunichiamo

1o Epi(c) contest: è tempo di CONCORSO ad Edizioni Pubblicità Italia! di Chiara Russotto

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i sembra che Edizioni Pubblicità Italia si faccia scappare la tendenza degli ultimi mesi?? IM – POS – SI – BI – LE! E allora sotto… Vi spieghiamo cosa ci è venuto in mente. Negli ultimi mesi avrete sentito parlare fino allo sfinimento di “selfie” e, a dire

il vero, ne dovreste avere visti a centinaia ovunque: sui social network, su riviste patinate, nei quotidiani e alla televisione. Ce ne facciamo noi, se li fanno i bambini quando mettono le mani sui nostri cellulari, se li fanno i ragazzini e i nostri amici e conoscenti. Li facciamo per mostrare chi siamo,

cosa stiamo facendo, cosa ci piace o ancor più spesso li facciamo con le persone a cui vogliamo bene. Al di là di ogni narcisismo e senza scendere in analisi pesanti come macigni che annoino fino allo sfinimento, eccoci all’idea che ha entusiasmato tutta la Redazione: indire il primo concorso

Chiara Russotto ha 37 anni, è consulente di comunicazione e titolare insieme a Federico Roveda di Smarti Editrice. Si occupa prevalentemente di food, adora i suoi clienti, cede al cibo per amore, lotta con la dieta, ride, ha due cani ed una passione per i libri che trattano argomenti dei quali, lei, non capisce assolutamente nulla.

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destinato a voi lettori di EUROCARNI, PREMIATA SALUMERIA ITALIANA e IL PESCE! Note dolenti Partiamo dalle “note dolenti”: in questo concorso non si vincerà null’altro che la “gloria”. Gloria Stanotte ho giusto sognato che ridevo felice e senza riuscire a fermarmi con una mia amica di nome Gloria, ma per quanto simpatica sia non vincerete lei, sia chiaro. La “gloria” di cui parlo saranno le vostre foto più belle pubblicate sulle nostre riviste e sulle nostre pagine Social, cioè su Facebook (Eurocarni Magazine, Premiata Salumeria Italiana Magazine ed Il Pesce Magazine), Instagram (Redazioneepi) e Pinterest (Redazione Modenese)! Soggetto del Contest Voi, voi e sempre VOI con una delle tre Riviste! Regole? Vi potete fotografare dove, come e con chi volete, basta che ci siamo anche noi! Non ci sono altre regole: in verità vi potete anche far fotografare (il selfie è un pretesto per conoscervi meglio), potete fotografarvi mentre lavorate, fotografare la vostra macelleria, i vostri dipendenti mentre lavorano (e tengono una copia di PREMIATA SALUMERIA ITALIANA in tasca) o magari farci vedere il vostro ristorante, un piatto di carne e salumi appena preparato, i vostri prosciutti (?!) mentre li affettate (??!!), mentre leggete compunti, mentre il vostro postino vi consegna la copia della rivista, potete fotografare la mascotte del vostro negozio avvolta nel magazine… Oppure il capofamiglia addormentato in poltrona mentre legge un mio articolo… Insomma, siete liberi. Partecipo, ho fatto la foto, dove la pubblico? Se potete postatela su Instagram con gli hashtag e i tag che troverete sotto a questo paragrafo (se non sapete come farlo leggete gli ultimi miei due articoli!). In alternativa, postatele sulle bacheche Facebook di Eurocarni Ma-

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In alto: Immagine 1. In basso: Immagine 2.

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Domandateci, chiedeteci, contattateci: ogni mese, attraverso questa rubrica, risponderemo alle mail che ci sembreranno più utili ad approfondire gli argomenti trattati. Vi preghiamo di darci più informazioni possibili, così da rendere i nostri consigli efficaci o nel caso siate interessati ad argomenti specifici, di comunicarcelo a info@pubblicitaitalia.com

gazine, Premiata Salumeria Italiana Magazine ed Il Pesce Magazine, e di tutto il resto ci occuperemo noi! Le più belle foto verranno pubblicate sulle riviste cartacee. Hashtag e Tag • HASHTAG: #1epicontest #ilnomedelvostronegozio (oppure ditta,

azienda, brand o ristorante) #igersitalia #igers_vostraprovincia (e se volete regione e città) #Food. • TAG : @redazioneepi @chivoletevoi. Il fatto di utilizzare l’hashtag #1epicontest ci darà la possibilità di trovare in un attimo le foto indirizzate a noi e condividerle (Immagine 1)!

Concludendo Come potete ben vedere, tutti noi della Redazione di Edizioni Pubblicità Italia (Immagine 2) siamo in fermento e accoglieremo con curiosità, divertimento e mille sorrisi ogni vostra fotografia che ci manderete. A presto! Chiara Russotto

Dop e Igp sul web, nuovi strumenti per tutelare e promuovere le eccellenze italiane Lo scorso 7 maggio il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ha reso noto che è stato firmato il Protocollo d’intesa per la tutela e la valorizzazione delle produzioni agroalimentari Dop e Igp sulla piattaforma on-line eBay. L’accordo è stato siglato tra il MIPAAF, eBay e l’Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche (AICIG). L’obiettivo del protocollo è rafforzare la tutela, la promozione, la valorizzazione e l’informazione delle produzioni italiane Dop e Igp anche tra i consumatori che si avvalgono della piattaforma eBay, favorendo la presenza nel mercato on-line dei prodotti italiani autentici e di qualità. I prodotti Dop e Igp italiani, infatti, rappresentano il 40% dell’intera produzione a denominazione comunitaria, con un fatturato complessivo alla produzione di circa 7 miliardi di euro. Si tratta di un patrimonio che istituzioni, associazioni e imprenditori intendono garantire ulteriormente anche su eBay, uno dei più grandi marketplace on-line del mondo e il primo in Italia, con oltre 4,5 milioni di utenti attivi. Sul web, infatti, sono sempre più frequenti i fenomeni di contraffazione e di vendita di falso made in Italy agroalimentare, soprattutto di prodotti Dop e Igp. Il protocollo assegna un ruolo centrale al Programma di verifica dei diritti di proprietà (Verified Rights Owner – VeRO), un sistema che può contare su oltre 37.000 utenti attivi e che consente ai titolari di diritti di proprietà intellettuale (come copyright, marchi registrati o brevetti) di segnalare eventuali violazioni. Tramite il Programma VeRO, il Dipartimento dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, insieme all’AICIG, si impegnano a inviare a eBay “notifiche di violazione di diritti di proprietà intellettuale in relazione alle produzioni Dop e Igp”. eBay si impegna a rimuovere gli annunci dove vengono riscontrate violazioni relative ai prodotti Dop e Igp. Contestualmente l’Ispettorato repressione frodi (ICQRF) attiva le procedure di protezione ex officio dei prodotti su tutto il territorio dell’Unione europea per il blocco della commercializzazione dei prodotti rilevati. «Questo Protocollo — ha dichiarato il ministro Maurizio Martina — si inserisce nel più ampio contesto di azioni strategiche che stiamo mettendo in campo per la tutela e la valorizzazione del made in Italy agroalimentare. Con l’intesa con eBay interveniamo su due fronti: fermare i falsi e promuovere le eccellenze autentiche. Avremo la possibilità di segnalare tempestivamente le violazioni sulle indicazioni geografiche, lottando anche contro l’Italian sounding. Allo stesso tempo promuoviamo la conoscenza da parte degli utenti della rete dei nostri prodotti di qualità e la presenza commerciale delle nostre vere Dop e Igp. Non dimentichiamo che l’Italia è leader in Europa con 264 prodotti riconosciuti, con un fatturato al consumo nazionale di quasi 9 miliardi di euro. Queste cifre possono crescere ancora se recuperiamo gli spazi occupati ora dai falsi».

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Aziende Gruppo Suincom, la forza di una filiera del crudo dalla A alla Z

BP Prosciutti: Miss Mondo di Gaia Borghi

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l titolo di un vecchio album del noto cantautore emiliano Luciano Ligabue mi è sembrato l’incipit ideale per la mia conversazione-intervista realizzata durante l’ultima edizione di Cibus, il Salone internazionale dell’Alimentazione di Parma svoltosi all’inizio di maggio, con Roberto e Valentina Agnani e una parte dello staff commerciale di BP Prosciutti, una delle maggiori realtà dell’industria della salumeria italiana. L’azienda, la cui sede legale è a Solignano di Castelvetro, in provincia di Modena, può a giusta ragione definirsi leader nel comparto

del crudo, con una presenza capillare sul territorio italiano attraverso la Grande Distribuzione (GD e DO), il canale industria e una forte vocazione all’export; presenza qualificata e capacità esportativa resa possibile e supportata dal controllo completo della filiera di prodotto — dalla coscia fresca fino al prosciutto stagionato finito, pronto per essere consumato — che possiede in quanto parte del Gruppo Suincom, un colosso dal fatturato che si aggira intorno ai 250 milioni di euro annui. Come Ligabue, la BP è dunque emiliana, ma il suo sguardo è rivolto verso l’Europa

e, oggi più che mai, verso gli Stati Uniti, l’Australia, il Sud America, l’Oriente… «Soprattutto in questo particolare momento storico, l’export per noi è divenuto un “elemento” fondamentale» mi dice Valentina Agnani, Amministratore Delegato di Suincom. «Stiamo parlando del 30% delle vendite, sia intracomunitarie che extra-CEE, ma il nostro obiettivo è quello di aumentare questa quota. Mi riferisco soprattutto al mercato statunitense, che da un anno a questa parte ha aumentato moltissimo la richiesta di prodotti. Si tratta di un mercato in cui crediamo fortemente e

Il Gruppo Suincom a Cibus.

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Fasi di lavorazione del prosciutto nello stabilimento di Sala Baganza.

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nel quale abbiamo investito e stiamo indirizzando buona parte delle nostre risorse ed energie: abbiamo tanti clienti ed è notevole la loro richiesta di prosciutti, della tipologia Mec e Prosciutto di Parma». Come avevamo avuto modo di scoprire lo scorso anno — rendendo conseguentemente partecipi i nostri lettori attraverso l’articolo pubblicato su PREMIATA SALUMERIA ITALIANA n. 3/2013, p. 22, “Royal: un’azienda al servizio della filiera del prosciutto” — la Royal Prosciutti ha ottenuto le certificazioni volontarie IFS e BRC ai massimi livelli ed è inoltre fra i pochi stabilimenti ad essere abilitati all’export verso i principali Paesi Terzi (USA, Canada, Australia, Giappone, Messico) e sudamericani (Argentina, Brasile, Cile). «La modernità della struttura di Sala Baganza, le sue caratteristiche tecniche —18.000 m2 di superficie coperta disposti su di un unico piano e una capacità di stagionatura di circa 1.000.000 di pezzi — ci consentono di ottenere una tipologia di prodotto in grado di rientrare con successo nei rigidi standard imposti dal mercato USA: mi riferisco in particolare alla “tolleranza zero” nei confronti della Listeria (ricordiamo che per il Governo americano il riscontro di L. monocytogenes comporta il ritiro dell’alimento dal consumo, Ndr). Solo pochissime realtà sono in grado di garantire questo tipo di servizio» puntualizza Valentina Agnani. «La capacità di esportare in USA è un biglietto da visita perfetto anche per tutto il resto del mondo» prosegue la responsabile dell’ufficio commerciale e logistica di BP Prosciutti Stefania Bonfiglioli, senza nascondere la soddisfazione che nasce dalla certezza e dalla conoscenza del duro lavoro quotidiano che sta dietro il raggiungimento di determinati, importanti traguardi. «In questo mercato non ci si può improvvisare: è necessario un supporto tecnico adeguato, sia di personale che a livello logistico, una qualità produttiva che solamente determinate strutture, come è appunto lo stabilimento di Royal Prosciutti, e quindi il nostro Gruppo, sono in grado di offrire».

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BP Prosciutti fa parte del Gruppo Suincom, il quale, prima nel 2007 con le due realtà Panini e Balugani, poi nel 2009 con la fusione delle stesse in un’unica realtà, ha compiuto e continua a realizzare importanti passi nel progetto di controllo con precisione e metodo dell’intera filiera produttiva del prosciutto crudo. Suincom da oltre 15 anni ricopre un ruolo strategico d’intermediazione in quanto seleziona e acquista carne suina dai principali Paesi della Comunità europea (principalmente Olanda, Polonia, Francia, Germania, Danimarca e Spagna) — e oggi anche dai maggiori macelli italiani — la lavora e la rivende alle imprese che ne curano la cottura e la stagionatura, fino alla messa in vendita al consumatore finale. L’esperienza ed il posizionamento di Suincom fra le aziende del settore a livello nazionale, determina una filosofia di Gruppo di costante attenzione all’elevato livello di qualità del prodotto, che va dalla materia prima, alla sua lavorazione e taglio quando ancora fresca, alla stagionatura negli impianti di proprietà del Gruppo di Felino e Sala Baganza (Parma), fino al disosso, confezionamento e distribuzione operato da BP Prosciutti. >> Link: www.bpprosciutti.it

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Una mappa che evidenzia la presenza sui mercati della BP Prosciutti. «Il modo di lavorare con gli Stati Uniti è un plus che torna a vantaggio, a beneficio di tutta la clientela di BP Prosciutti» interviene giustamente Valentina. Clienti che, parlando di extra CEE, sono rappresentati dall’Australia, dal Brasile e tutta la zona di Panama, Messico, ecc…, dall’Argentina e dal Cile, e dal mercato asiatico, Hong Kong e Giappone soprattutto. «Destinazioni che richiedono specifiche certificazioni» prosegue Stefania Bonfiglioli. «Sono stati stretti anche recentemente nuovi accordi a livello internazionale per il mercato asiatico. Quello che di positivo abbiamo notato comunque — prosegue Stefania — è, in generale, un grande interesse per il made in Italy e per il prodotto alimentare italiano in particolare». «Non dimentichiamoci dell’Europa — riprende Valentina Agnani — dove siamo cresciuti molto. I nostri commerciali interni e i rappresentanti stanno facendo davvero un ottimo lavoro». In Europa, oltre al Mec, il

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cavallo di battaglia di BP Prosciutti, c’è una forte richiesta del prosciutto nazionale e del prosciutto di Parma. «Come per gli altri mercati extra-CEE, anche nelle vendite intracomunitarie abbiamo riscontrato una grande attenzione al “prodotto italiano”». E per quanto riguarda l’Italia? «Lo sguardo sul mercato italiano è un pochino meno roseo» interviene Stefano Serdini, Direttore Commerciale di BP Prosciutti. «Il Gruppo non può lamentarsi, ma certamente le prospettive di crescita sono più orientate all’export. L’obiettivo attuale dell’ufficio Italia è quello di mantenere le posizioni e le quote di mercato raggiunte nei canali in cui siamo presenti, con particolare attenzione alla GD, DO ed industria. Si è resa necessaria una selezione della clientela a priori: sto parlando del problema dei pagamenti (vedi Art. 62) e delle questioni legate al rilascio dei fidi assicurativi. Per il nostro Paese, infatti, non c’è un problema di concorrenza: come già rimarcato per l’estero, la capacità

produttiva, l’elevato livello qualitativo dei prodotti e le certificazioni di cui disponiamo sono la grande forza del nostro brand e tutto questo ci è assolutamente riconosciuto. Sono i consumi ad essere cambiati, a causa della difficile congiuntura che caratterizza il nostro Paese e che ha portato anche ad un cambiamento nelle abitudini alimentari; nonostante queste circostanze ci riteniamo soddisfatti della tenuta del nostro mercato nazionale». Un’ultima battuta con Roberto Agnani, presidente del CdA di Suincom, sulla presenza del Gruppo a Cibus. «La fiera Cibus è un’occasione fondamentale per incontrare gli agenti, i clienti… Non abbiamo mai messo in dubbio la nostra presenza a Parma, anche perché, d’accordo con i responsabili commerciali, riteniamo le fiere un’occasione di marketing importante. Ho rimarcato comunque interesse tra gli operatori, da parte del settore c’è la volontà di non mollare». Gaia Borghi

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Bernardini: i nuovi orizzonti della norcineria italiana Cervi, camosci, alci, agnelli, oche e anatre, ma anche Pata negra e suino toscano e tanti pesci: sapori e accostamenti insoliti per questo salumificio pisano che parte dalla tradizione e la trasforma con creatività di Riccardo Lagorio

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e vi faranno una domanda sulla norcineria italiana, vi verranno in mente mortadelle, prosciutti, salami. Tutti di carne suina. Forse qualcuno penserà a bresaole e salsicce bovine se ci rifletterà un po’ sopra. Solo pochi azzeccheranno a quanto la Bernardini Gastone Srl (Gastone era il babbo di Mauro e Marco, i fratelli che svi-

luppano giorno via giorno l’attività) sta realizzando per segnare nuovi orizzonti della salumeria e norcineria del nostro Paese. Le sue realizzazioni, benché si inneschino a pieno titolo nella tradizione norcina italiana e vi attingano a piene mani, non hanno nulla a che fare con quanto da voi pensato! Pesci, cervi, camosci, alci, agnelli sono le carni da trasformare

Prosciutto crudo di Montalcino con osso. Premiata Salumeria Italiana, 3/14

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Particolari dello stabilimento a Cenaia Crespina, in provincia di Pisa.

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per Bernardini. E se si tratta di suini, ecco che vengono chiamati in causa razze come il Pata negra spagnolo o singolari accompagnamenti come noci o tartufo. La sua storia inizia tempo fa nel retrobottega di una macelleria, «perché ho sempre desiderato proporre gusti e sensazioni nuove, ma solo nel 2001 decido di lasciare la macelleria e dedicarmi appieno alla preparazione di questi insoliti salumi. Soprattutto perché avevo notato nel corso degli anni che la ristorazione apprezzava sempre più questi salumi e c’era un mercato tutto da scoprire», dice Mauro. Ora i salumi Bernardini rappresentano il punto di riferimento per grossisti e GDO, che approfittano dell’esperienza dell’azienda di Cenaia Crespina per avere anche prodotti a proprio marchio. Accurate e speciali lavorazioni permettono di ottenere infatti prodotti di alto livello. Per quanto riguarda l’elemento ittico, quelli più utilizzati sono tonno, spada e marlin. Da questi pesci si ricava il lombo e, una volta sfilettati,

Mauro Bernardini. viene utilizzata solo la parte centrale. Da Bernardini troverete sia gli affettati che i tranci. L’affumicatura avviene grazie alla combustione di legno di faggio, banditi i liquidi. È la ristorazione che acquista per lo più il pesce. Questo arriva congelato e proviene dai mari più alti, che sono

anche i più ricchi e che garantiscono il miglior prodotto ittico. Così si intuisce che il lavoro dei Bernardini non è solo quello di vendere, pure importante, ma soprattutto quello di scegliere le materie prime che possono diventare salumi. Anche l’approvvigionamento di oche ed anatre è delicato. E se i

Black Angus affumicato e fesa marinata di Black Angus: sono alcune delle proposte firmate Bernardini Gastone realizzate con la carne di questa razza bovina nota in tutto il mondo. Si tratta di una carne pregiata, particolarmente tenera e succulenta, caratterizzata da una diffusa marezzatura (l’infiltrazione del grasso) che dona ai prodotti un gusto e un sapore ricco e deciso.

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Dall’alto, tonno, pesce spada e marlin. petti affumicati e cotti non conoscono crisi, il fegato è sempre meno richiesto. L’aspetto più interessante è che il periodo di macellazione dei volatili si concentra tra aprile e luglio, proprio quando la domanda flette. Così c’è la necessità di conservare adeguatamente le carni prima che siano lavorate per dar vita a deliziosi salumi. Due

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volte l’anno, invece, si provvede ad importare carne di alce dalla Scozia per farne, da semilavorati, gustosi salumi o prosciutti. Mocette e salametti sono ottenuti con carne di camoscio che proviene dai Paesi alpini. Con il cervo si ottengono invece prosciutti e salametti, ma anche sughi, che contengono il 70% di carne. «È im-

portante sottolineare la salubrità delle carni selvatiche, poiché non si tratta di carne che proviene da allevamenti, dove si utilizzano antibiotici contro malattie e per la crescita degli animali, ma da cacciagione, che consente di essere attenti e vicini al consumatore». Per i ristoranti che utilizzano i prodotti di Bernardini Gastone si sono studiati taglieri da 5 chilogrammi adatti per 100 porzioni, dove i prodotti sono riconoscibili grazie a colori diversi. «Anche la vendita di questi prodotti segue la nostra filosofia di base, che è quella di non distribuire direttamente, ma affidarsi a grossisti che hanno rapporti commerciali diretti con i rivenditori» mi informa Mauro Bernardini. La carne marinata di Black Angus, che si distingue per una piacevolissima marezzatura, è un altro pezzo forte dell’azienda: «con questa carne si possono servire ottimi antipasti oppure creare sfiziose ricette». L’agnello proviene invece dalla Nuova Zelanda, che sa assicurare la quantità necessaria con le caratteristiche adatte per ottenere prosciutti. Suini toscani, con l’unico salumificio di Montalcino, permettono di avere nel catalogo Bernardini salametti alle noci e al tartufo mentre il ritorno alle origini è rappresentato dai cacciatorini di cinghiale. Il papà Gastone iniziò proprio con un laboratorio dove il cinghiale era prediletto dai consumatori di allora. Con Bernardini Gastone la norcineria italiana si trasforma e si arricchisce di nuovi gusti. Riccardo Lagorio Bernardini Gastone Srl Via Lavoria 83/85 56040 Cenaia Crespina (PI) Telefono: 050 644100 E-mail: info@bernardinigastone.it Web: www.bernardinigastone.it

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Santa Barbara, laboratorio di golosità norcine Capicollo, pancetta, guanciale, soppressata e ‘nduja sono solo alcuni prodotti esemplari della qualità del Salumificio Santa Barbara, attivo già dal 1948 come macelleria e dal 2006 specializzato nella produzione di salumi artigianali di Massimiliano Rella

N

el piccolo centro di Casabona, meno di 3.000 abitanti in provincia di Crotone, il Salumificio Santa Barbara è un laboratorio di golosità norcine, una realtà produttiva che della qualità ha fatto la sua bandiera. La piccola azienda artigianale, e a conduzione

familiare, è del norcino Camillo Palmieri, 45 anni, che la gestisce con la moglie Alessandra e alcuni dipendenti. I Palmieri lavorano e trasformano le carni di suino e vacca Podolica che arrivano dagli allevamenti di famiglia, in particolare da quello del fratello Alessandro, 43 anni, che al-

leva una trentina di scrofe Landrace Large White, un tipo di maiale magro, robusto e non troppo pesante; e poi suino Nero calabrese, Cinta senese e incroci tra Nero e Cinta. Altri capi il signor Camillo li acquista dallo zio Antonio, appena fuori il paese, sulle colline di Casabona.

Camillo Palmieri e la moglie Alessandra, norcini del Salumificio Santa Barbara di Casabona (KR).

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Il Suino Nero calabrese, in particolare, è una razza rustica, autoctona diffusa oltre che in Calabria anche in Puglia. Dal mantello nero con setole ispide e orecchie rivolte in avanti a coprire gli occhi, ha rischiato l’estinzione in periodi in cui si guardava più alle dimensioni e alla possibilità di ingrasso che alla tipicità e qualità della carne. Carne che, infatti, è adattissima per fare soppressate e ‘nduja, un salume ricco di peperone e peperoncino rosso, morbido e spalmabile. E, naturalmente, piccante. Anche i suini di Cinta senese, dal mantello scuro con la caratteristica fascia bianco-rosa intorno al tronco, allevati allo stato brado, danno il meglio in termini di qualità. Una scelta coerente quella della famiglia Palmieri, che parte dalla selezione delle razze animali e prosegue nell’alimentazione, fatta per il 60% da farinacei di territorio, mais, orzo, frumento, integrati con nuclei vitaminici. Grande cura anche negli ingredienti utilizzati. Escluso l’uso di coloranti e conservanti, la carne è condita e insaporita soltanto con sale marino, pepe, peperoncino rosso e finocchietto selvatico. Tutto locale. La stagionatura avviene inizialmente in apposite celle e si completa in ambienti naturali idonei, a temperatura e umidità controllate. L’azienda, fondata nel 1948 dal nonno Camillo, produce salumi artigianali solo dal 2006. Prima di allora era una macelleria e basta. Il laboratorio di trasformazione delle carni si trova nel centro abitato e poco distante il punto vendita, dove i Palmieri offrono la loro carne e i loro salumi. Veniamo ai prodotti. Il capicollo è speziato con peperoncino rosso, sale, oppure pepe nero, e stagiona per un periodo variabile tra i 150 e i 180 giorni. La stessa durata della stagionatura è prevista per il filetto, speziato con gli stessi ingredienti. Pancetta e guanciale maturano per 120 mesi, mentre la soppressata rossa, condita con peperoncino, e la soppressata bianca, per 60 giorni. La salsiccia è prodotta nelle versioni dolce e piccante, speziata anche con finocchietto, ed è pronta a 30 giorni, come del resto la ‘nduja.

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Lavorazione di pancette e capicolli nella norcineria Santa Barbara. I prodotti del salumificio sono apprezzati anche fuori regione: per due volte finalisti al Campionato Italiano del Salame, organizzato dall’associazione culturale Accademia delle 5T, fatta di aziende i cui prodotti sono riconducibili ai concetti di Tradizione, Tipicità, Tracciabilità, Territorialità, Trasparenza. Per ora gli ottimi salumi di Camillo Palmieri sono venduti sul mercato locale e a qualche bottega del gusto di Milano e Torino. «Cerchiamo nuovi sbocchi commerciali per un prodotto di qualità ad un ottimo prezzo — dichiara Palmieri — ma dopo alcune scottature nel Centro-Nord Italia ormai li vendiamo solo dietro pagamento anticipato».

Ne vale la pena, perché la qualità c’è, il prezzo pure. La salsiccia fresca costa 8,00 €/kg, la salsiccia stagionata, il capicollo e il filetto 18,00 €/kg, fino ad arrivare ai 20,00 €/kg per la soppressata. Prezzi competitivi, tanto più se si considera l’originalità e la bontà del prodotto, più che abbordabili anche in tempo di crisi. Massimiliano Rella Salumificio Santa Barbara Via Luparella 10 – 88822 Casabona (Kr) Telefono: 0962 889072 E-mail: info@salumificiocasabona.it Web: www.salumificiocasabona.it Nota Photo © Massimiliano Rella.

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Speciale Cibus

Cibus, la miglior difesa è l’attaccamento al territorio 67.000 visitatori, 2.700 aziende espositrici e 950 giornalisti accreditati per la 17a edizione della fiera internazionale dell’alimentare di Parma. E sull’export c’è ancora molto da fare di Gaia Borghi

“L

a miglior difesa non è l’attacco. È l’attaccamento al territorio”: lo slogan scelto dalla Cassa Rurale di Trento per promuovere la propria attività — che ho letto di recente su un manifesto durante un viaggio da quelle parti — a mio parere sintetizza perfettamente lo spirito che ha animato la 17a edizione di Cibus, il

Salone internazionale dell’alimentare che si tiene a Parma ogni due anni e che si è chiuso lo scorso 8 maggio dopo quattro giorni intensi di eventi, appuntamenti ed incontri. «La qualità italiana, grazie al suo stretto legame con il territorio, è un biglietto da visita importantissimo a livello internazionale ed è fondamentale che venga sostenuto e promosso da iniziative di

alto livello come Cibus» ha dichiarato tagliando il nastro inaugurale del salone l’on. Paolo De Castro, presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo. A dispetto di menagrami e dei detrattori ante-fiera per partito preso, quindi, l’interesse per quella che resta una piattaforma importantissima per la promozione del made in Italy alimentare c’è stato,

Meritato successo per Cibus, che ha chiuso la 17a edizione registrando la cifra record di ben 67.000 visitatori.

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Lo stand del Gruppo Levoni: Cibus è una vetrina che il Salumificio di Castellucchio, Mantova, utilizza per consolidare i rapporti con i clienti, in particolare i negozi tradizionali di alta qualità. «Spesso approfittiamo della vicinanza — spiega Marella Levoni — per portarli in azienda e mostrare come lavoriamo: è il nostro migliore biglietto da visita».

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Allo stand del Consorzio del Prosciutto di Parma tre chef hanno preparato un “Panino da Re”. Sono Beatrice Petrini del Ristorantino 1928 di Noceto, Alberto Rossetti di Al Tramezzo e Franco Madama dell’Inkiostro. Come dire, tradizione e territorio in evidenza. Panino da Re rientra nella più ampia manifestazione de “La Cucina Italiana nel Mondo verso l’Expo 2015”, iniziativa che ha l’obiettivo di promuovere e sostenere in Italia e all’estero la cucina italiana e i prodotti certificati in vista dell’Expo e di valorizzare la conoscenza dei vari territori da dove i prodotti provengono. eccome! Dare però un giudizio definitivo sull’esito di una fiera a poche settimane dalla sua conclusione sarebbe invece impossibile e decisamente poco realistico. «Se i contatti raccolti in fiera andranno a buon fine lo sapremo solo tra qualche mese», mi dice uno degli espositori interpellati, interpretando immagino il pensiero di molti. Ad oggi, comunque, i dati finali trasmessi dall’ente organizzatore appaiono assolutamente positivi, almeno per quanto concerne il numero dei visitatori, circa 67.000, quello dei giornalisti accreditati, 950, e, cosa da non sottovalutare, quello delle aziende espositrici, 2.700, in notevole crescita rispetto all’edizione del 2010, quando furono 2.100. Tantissimi anche i buyer stranieri: 12.000, vale a dire mille in più rispetto all’edizione del 2012. Una presenza, questa, molto apprezzata dagli operatori italiani, consapevoli che in questo momento, in cui la ripresa degli acquisti da

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parte dei consumatori italiani non ha ancora raggiunti livelli definibili come soddisfacenti, puntare sull’export sia basilare per una tenuta del settore. «Abbiamo preparato con cura questa edizione» ha commentato in proposito Elda Ghiretti, Cibus Brand Manager. «Il dato sulla presenza di operatori commerciali stranieri, ad esempio, è il risultato di due anni di Cibus Market Check, cioè di incontri delle aziende italiane nei punti vendita della distribuzione straniera e della partecipazione espositiva ad alcune delle fiere internazionali dell’alimentazione. Una strategia per l’export originale ed esclusiva di Cibus». Dello stesso avviso Franco Boni, presidente di Fiere di Parma: «vedo premiato il grande sforzo organizzativo della nostra struttura che ha messo in evidenza la fiducia delle aziende alimentari italiane in un possibile ulteriore sviluppo del mercato estero».

«Per esportare di più le strategie sono diverse» ha commentato infine Antonio Cellie, CEO di Fiere di Parma. «Noi di Cibus abbiamo pensato che la cosa migliore fosse portare le imprese italiane ad incontrare i buyer della distribuzione estera direttamente dentro i loro punti vendita. E di questo rapporto diretto hanno beneficiato sia le imprese sia Cibus. Co-organizzeremo la grande fiera alimentare di Pechino in novembre — ha proseguito Cellie — portando almeno 300 imprese italiane ad esporre, grazie alla partnership con Anuga/ Fiera di Colonia e Federalimentare, replicando quindi la partecipazione di successo alla fiera alimentare di Bangkok lo scorso anno. E questo modello andremo a seguire ed ampliare nei prossimi mesi, cioè sostenere i nostri clienti all’interno delle fiere più consolidate nei mercati obiettivo non disperdendo risorse in costose start up o rischiose acquisizioni».

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Il Paese fa fatica a ripartire? E noi puntiamo tutto sull’export! Lungo i corridoi di Fiere di Parma, in tutti i padiglioni, l’atmosfera era decisamente frizzante, sotenuta anche dai messaggi decisamente positivi emersi da uno dei tanti convegni sulla promozione del made in Italy organizzati durante il salone: l’export alimentare italiano potrebbe aumentare dagli attuali 26 miliardi a 70 miliardi di euro nell’arco di 10 anni ed il cibo italiano uscire dal ruolo di “nicchia” per diventare un prodotto acquistato tutti i giorni o quasi. La domanda proveniente dai mercati giapponese, cinese e, più in generale, da tutti i Paesi del Sud Est asiatico risulta in continua crescita. Ma i nostri prodotti continuano a volerli fortemente anche Germania, Francia, Regno Unito, Stati Uniti e, sempre di più, anche la Russia e il Brasile. «Il consiglio alle imprese italiane è quello di individuare i mercati prioritari — ha sottolineato Andrea

Petronio di Bain&Company, società che a Cibus ha presentato una ricerca sull’export italiano — evitando dispersioni, di studiare bene i comportamenti di consumo locali, e di individuare il modello distributivo più confacente, scegliendo tra un intervento nel nuovo mercato tramite distributori locali, oppure tramite partnership locali, oppure con un rapporto diretto ed autonomo». Assicurazioni sul fronte del sostegno istituzionale alle imprese sono giunte da tutte le personalità politiche arrivate a Parma per visitare la fiera. La strategia governativa prevederebbe azioni sia in difesa sia in attacco. «La difesa — ha detto il viceministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda durante il convegno inaugurale di Cibus — riguarda soprattutto il riconoscimento delle indicazioni geografiche e la difesa dalla contraffazione. Non dobbiamo essere più disponibili ad accordi con paesi che

aumentano le barriere non tariffarie. Da questo punto di vista un importante passo in avanti è stato l’accordo siglato con il Canada. Abbiamo poi restituito in quattro paesi i desk anticontraffazione, gestiti da Italiani che lavorano in studi legali stranieri e che in questi giorni stanno facendo formazione proprio al Cibus. Bisogna poi diffondere il “divieto di evocazione”, ovvero proibire i segni che facciano pensare che un prodotto sia prodotto in Italia quando non lo è». L’attacco, invece, riguarderebbe in particolare la grande distribuzione, mezzo attraverso il quale, ad esempio, si potrebbe “aggredire” il mercato americano. Seguiamo quindi il consiglio del nuovo guru della patatina Carlo Cracco, lo chef bello e impossibile che campeggiava sui manifesti posizionati tutti intorno alla fiera: se in cucina c’è bisogno di audacia, proviamo ad essere tutti più coraggiosi. Gaia Borghi

A Parma il Festival Internazionale di Fotografia Culinaria Non solo pietanze cucinate o macro di ingredienti, ma momenti e interpretazioni della realtà raccontati attraverso la lente del cibo: è questa la forza della Mostra del Festival Internazionale di Fotografia Culinaria che, in occasione di Cibus, fa tappa a Parma con una gallery di foto originale che ha conquistato foodies, appassionati di fotografia e business man in trasferta nella città ducale in occasione del Salone internazionale dell’Alimentazione. La mostra è stata inaugurata il primo giorno della fiera Cibus, ai Portici del Grano, alla presenza di Parma Alimentare, il consorzio che ha organizzato la Mostra, grazie al sostegno e al contributo della Camera di Commercio di Parma. In mostra la selezione di 30 opere tratte dalle cinque precedenti edizioni del Festival (www.festivalphotoculinaire. com) che ha la sua base a Parigi: fotografie di artisti provenienti da tutto il mondo che hanno scelto di esprimersi muovendosi nel mondo del cibo. All’inaugurazione ha partecipato Jean-Pierre Stéphan, presidente e fondatore del Festival che ha dichiarato: «l’atmosfera di Parma è unica. Sono molto felice che Parma Alimentare ci abbia invitato ad esibire le nostre foto in quella che è la città gourmet per eccellenza, famosa in tutto il mondo per l’eleganza e la ricercatezza delle proprie opere d’arte culinarie. Quella che abbiamo portato qui è una selezione di trenta opere estrapolata dalle cinque edizioni del Festival di Parigi, e non potevamo scegliere una città migliore in un periodo più azzeccato. È un privilegio essere qui ad esporre quelle che hanno l’ambizione di essere le immagini culinarie più belle del pianeta». «Per la Camera di Commercio l’attività di Parma Alimentare è parte fondamentale del proprio programma di promozione integrata dell’economia e del territorio che ha tra i punti centrali la valorizzazione del nostro settore agroalimentare nel mondo» ha commentato Andrea Zanlari, presidente della Camera di Commercio di Parma e di Parma Alimentare. «Si tratta di dare forma e contenuto all’etichetta Food Valley, un posizionamento di marketing territoriale in cui crediamo fermamente».

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Enrico Delfini, AD di Nuova Boschi Spa, storico prosciuttificio che ha sviluppato la filosofia Art of food a garanzia della qualità del prosciutto lavorato con amore artigianale. Con la stessa filosofia, Nuova Boschi gestisce una nuova realtà produttiva con sede nella Carnia, specializzata in prodotti di altissima qualità a marchio “Perla d’Ampezzo”.

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1) All’interno dello stand del Consorzio del Prosciutto di Modena la direttrice Anna Anceschi, il presidente Davide Nini e Marco Valmori insieme ad uno storico collaboratore. 2) Massimo Spigaroli nello stand dell’Antica Corte Pallavicina (PR) con la nipote. 3) Branchi Prosciutti di Felino (PR). 4) Il Salumificio Golfera in Lavezzola (RA). 5) La San Vincenzo Salumi di Spezzano Piccolo (CS).

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1) Simone Tintori dell’Acetaia La Vecchia Dispensa di Castelvetro (MO). 2) Tiziano Parmeggiani e il figlio Marcello insieme a Daniela Borgi dell’azienda Jupiter, località Le Campora, Oricola (AQ). 3) Il prosciuttificio Gualerzi di Pilastro di Langhirano (PR). 4) Il Salumificio Gianoncelli di Poggiridenti (SO). 5) Il Salumificio Rossi di Fontanellato (PR). 6) Lo stand dell’azienda Tanara Giancarlo di Langhirano (PR).

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1) Nello stand del Caseificio Busti di Fauglia, Pisa, Stefano Busti insieme ad alcuni collaboratori. 2) La Leoncini Srl Industria Salumi di Lazise (VR). 3) La Negrini di Renazzo (FE). 4) Il Prosciutto Toscano Dop, vincitore del premio per la miglior comunicazione per la valorizzazione del prodotto tipico conferito da Salumi & Consumi. 5) Nello stand di Alcar Uno, Santino, Luca e Lorenzo Levoni insieme ad ospiti e collaboratori.

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1) A Cibus anche Costa Group, leader nella progettazione e realizzazione di locali e arredi per la piccola e grande distribuzione. 2) Lorenzo e il padre Santino Levoni con alcune ospiti nello stand dell’azienda Alcar Uno. 3) Lo stand della Beppino Occelli di Farigliano (CN). 4) Nello stand della SanDan prosciutti di Aonedis, San Daniele del Friuli, Maurizio ManfrÊ e alcuni membri della famiglia Aimaretti. 5) Pietro Borroni della perugina Urbani Tartufi.

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1) La Casale Spa di Casale di Felino, Parma (PR), a Cibus insieme al Salumificio San Pietro di Lesignano Bagni e alla Selva Alimentari Spa di San Daniele del Friuli. 2) Lo stand del Gruppo Suincom. 3) Il Salumificio Bernardini Gastone, Cenaia Crespina, Pisa. 4) Nello stand del Salumificio San Vincenzo Pamela Grandinetti con Concettina Rota. 5) Nello stand del Salumificio Vitali di Castel d’Aiano (BO), Giorgia e Davide Vitali.

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1) Marcello Palmieri del Salumificio Mec Palmieri di San Prospero (MO). 2) Lo stand dell’azienda del Gruppo Cremonini Inalca di Castelvetro (MO), leader in Europa nella produzione di carni bovine e prodotti trasformati a base di carne. 3) Presente in fiera il Salumificio Veroni di Correggio (RE) con la mortadella da primato. 4) Il Salumificio Vecchi di Castelnuovo Rangone (MO).

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A sinistra: Mariangela e Alessandra Grosoli, Aceto Balsamico del Duca, Spilamberto (MO). A destra: il Gorgonzola Dop.

Entra nel vivo la lotta alla contraffazione per l’aceto balsamico La lotta alla contraffazione dell’Aceto Balsamico di Modena Igp è entrata davvero nel vivo. A pochi mesi dalla sua costituzione, il Consorzio di Tutela dell’Aceto Balsamico di Modena Igp ha già dimostrato con un esempio concreto quello che sarà il ruolo del neonato organismo, portando a casa importanti risultati su attività illecite individuate e segnalate dagli “007 del Balsamico” alle autorità preposte alla vigilanza in alcuni Paesi dell’Unione Europea. Di questo e di quanto è già stato messo in piedi dal Consorzio in collaborazione con il MiPAAF si è parlato anche a Cibus nello spazio Dop e Igp di Aicig–MIPAAF durante l’approfondimento “Azioni di tutela dell’Aceto Balsamico di Modena Igp: case history e istruttorie ex officio avviate dal MiPAAF”, a cui sono intervenuti anche il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Maurizio Martina e il Capo Dipartimento Ispettorato Centrale Repressione Frodi Stefano Vaccari. «L’Ispettorato Repressione Frodi del MiPAAF — ha precisato Vaccari — sostiene e plaude l’attività “investigativa” del Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena, che ci sta mettendo in condizione di andare a colpire le frodi direttamente laddove queste si verificano e quindi non in modo generico, evitando così di disperdere energie. Grazie all’attento lavoro di questi “007 del Balsamico” abbiamo scoperto casi specifici di cui ho già visionato e inviato agli organismi internazionali preposti tutta la documentazione perché possano intervenire. A livello istituzionale, l’impegno e la pressione esercitata da Consorzio e autorità messe insieme si rivela dunque vincente per la salvaguardia del prodotto, la tutela del consumatore e, in questo caso, anche dell’economia di un intero territorio come quello modenese». «La strada che abbiamo iniziato a percorrere sarà lunga — ha precisato il direttore del Consorzio Federico Desimoni — ma il messaggio che intendiamo trasmettere anche in questa sede è quello della necessità di chiarezza in etichetta per educare il consumatore ad una scelta consapevole. La nostra missione è e sarà quella di individuare in rete e verificare direttamente nei punti vendita i casi di imitazione ed evocazione della nostra Igp che rischiano di confondere il consumatore impedendogli di fare acquisti consapevoli e di percepire le differenze tra i prodotti offerti negli scaffali. Una brutta abitudine che si manifesta soprattutto all’estero, dove le differenze linguistiche rendono la situazione ancora più confusa ed ingannevole. Serve quindi un organismo che vigili sulla massima trasparenza e che sia di supporto alle istituzioni atte ad imporre rigore a chi non rispetta le regole. Il Consorzio di Tutela lavora proprio questo». >> Link: www.balsamicotradizionale.it

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Interviste Le tradizioni artigianali salumiere dell’Oltrepò pavese protagoniste di una realtà industriale vincente del made in Italy alimentare

Valtidone, i signori di coppe e pancette di Gaia Borghi

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i troviamo tra le colline vitate dell’Oltrepò pavese, dove nasce quel nettare eccezionale che è il Bonarda, o, come ha recentemente dichiarato il patron di Eataly, Oscar Farinetti, dove si producono «il miglior Pinot nero spumante d’Italia e il salame migliore del mondo, il Varzi DOP». Qui, negli uffici del moderno stabilimento di Rovescala, un piccolo comune in provincia di Pavia, incontriamo DANILO FRANZONI, che ci presenta una delle realtà più interessanti operanti nel settore dell’industria della salumeria italiana ed, in particolare, nella produzione di pancette e coppe: la Valtidone Holding Spa. «La Valtidone Holding Spa possiede quattro società che detengono importanti marchi della salumeria del nostro Paese: Valtidone Salumi, Il Colle, Pontenure Salumi e Monpiù. Tre di queste società operano in immobili di proprietà della controllante Valtidone Holding Spa mentre la sola Pontenure Salumi lavora in uno stabilimento in affitto», ci spiega Danilo Franzoni. Con un capitale sociale di 16 milioni di euro e 125 dipendenti nei vari stabilimenti, la holding è controllata per l’85% dalla Alimvest Spa, il cui capitale è detenuto in quote quasi paritetiche dalle famiglie Lonati, Ambrosi e Franzoni. I primi due sono industriali bresciani di primissimo piano nel comparto dell’industria meccanica e casearia ed il terzo è il socio operativo storico. Il restante 15% è posseduto dal sig. Gianbattista Paroletti, che da anni ha affiancato efficacemente il rag. Danilo Franzoni

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Danilo Franzoni negli uffici della Valtidone Spa. nella gestione operativa delle società. Il sig. Ettore Lonati è il Presidente della controllante Alimvest Spa, mentre le funzioni gestionali sono

state delegate al rag. Danilo Franzoni che è Amministratore Delegato di Alimvest e Amministratore Unico della Valtidone Holding Spa e delle

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società industriali Valtidone Salumi Srl, Salumificio Il Colle Srl, Pontenure Salumi Srl e Salumificio Monpiù Srl. «Con i marchi di cui la holding è proprietaria, possiamo senza tema di smentita definirci leader a livello nazionale nella produzione di pancette arrotolate e coppe — continua Danilo Franzoni — sia legate che da affettamento: praticamente serviamo quasi la totalità dei grandi produttori della salumeria italiana. Produciamo tutte le tipologie di coppa: dalla Coppa di Parma, che si fregia del marchio europeo di tutela IGP-Indicazione Geografica Protetta, alla pregiata Coppa Piacentina DOP. Con il Salumificio Monpiù, acquisito nel novembre del 2012, produciamo anche il prosciutto crudo di Parma DOP e le altre produzioni salumiere tipiche della provincia: il salame Felino, il Culatello Classico, il Culatello con cotenna, il fiocco di prosciutto. Il Salumificio Monpiù opera prevalentemente con la Grande Distribuzione e recentemente ha esteso la propria competenza commerciale anche al segmento ingrosso, avvalendosi delle reti di vendita delle altre aziende del Gruppo». Le produzioni del Gruppo sono indirizzate per l’85% al mercato italiano e per il 15% ai mercati esteri. Il fatturato complessivo viene stimato intorno ai 60 milioni di euro a fine 2014: 40 provenienti dalla produzione di coppe e pancette e 20 dalle produzioni tipiche di Parma. «La Pontenure Salumi, in particolare, attivata nel gennaio del 2010, è specializzata nella produzione di coppe, circa 8.000 alla settimana, di cui 3.000 Coppe Piacentine DOP, e 3.000 pancette alla settimana, di cui 1.000 Pancette Piacentine DOP. Per quanto riguarda invece la Valtidone Salumi Srl, dallo stabilimento di Rovescala escono 6.000 pancette

Valtidone Salumi Srl Via Frascati 27 27040 Rovescala (PV) Telefono: 0385 756275 E-mail: info@valtidonesalumi.com Web: www.valtidonesalumi.com Salumificio il Colle Srl Via Creta 64 29010 Vicobarone di Ziano Piacentino (PC) Telefono: 0523 868121 E-mail: ilcolle@salumificioilcolle.com Web: www.salumificioilcolle.com Pontenure Salumi Srl Strada di San Gregorio 2 – 29010 Pontenure (PC) Telefono: 0523 504419 E-mail: pontenuresalumi@gmail.com Salumificio Monpiù Srl Via della Resistenza 8 43013 Loc. Costa di Castrignano, Langhirano (PR) Telefono: 0521 357072 E-mail: info@monpiu.it

arrotolate alla settimana, fra coppate e non, oltre alle pancette tese dolci e bacon e 25.000 coppe per settimana, tra Coppa di Parma IGP, Coppa rete, capicollo dolce e piccante e da affettamento». Nel Salumificio Il Colle si producono circa 5.500 pancette arrotolate alla settimana, coppate e non, oltre ai dadini di pancetta dolce e affumicata. «Produciamo il più bel dadino di pancetta che c’è sul mercato» commenta soddisfatto Danilo Franzoni. «Il risultato di un’altissima qualità del prodotto che deriva da un’ottima materia prima di partenza e da una stagionatura più prolungata rispetto alla media, ci consente di ottenere una shelf-life di oltre 4 mesi. Come già accennato, invece, alla

“Le nostre aziende vantano livelli di produttività invidiabili, spiega Danilo Franzoni. Il mercato ci riconosce un target qualitativo medio-alto ed un adeguato rapporto qualità/prezzo. Stiamo realizzando un ulteriore consolidamento dei volumi di coppe e pancette con una consistente crescita all’estero” Premiata Salumeria Italiana, 3/14

Monpiù produciamo 2.000 prosciutti di Parma alla settimana e 100 quintali alla settimana tra culatelli, fiocchi, culatelli con cotenna e salami di Felino IGP. Sia Valtidone Salumi che il Salumificio Il Colle vantano una propria rete di vendita, che si rivolge all’ingrosso e alla Grande Distribuzione. Le nostre aziende vantano livelli di produttività invidiabili. Il mercato ci riconosce un target qualitativo medio-alto ed un adeguato rapporto qualità/prezzo. Stiamo realizzando un ulteriore consolidamento dei volumi di coppe e pancette con una consistente crescita dei volumi all’estero dove ci viene riconosciuto un target qualitativo superiore alla media. Il nostro sogno nel cassetto? Aggiungere al nostro Gruppo altre realtà e non solo nel segmento pancetta e coppa o, ipotesi meno facile da concretizzare, entrare a far parte di una realtà molto più grande ed articolata dell’attuale, con delega alla produzione di coppe e pancette e dei prodotti che negli anni abbiamo dimostrato di saper fare bene». Gaia Borghi

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Il Salumificio Franceschini di Castello di Serravalle compie 50 anni Grazie all’impegno e all’innegabile passione per il proprio lavoro, il 2 giugno 1964, in un paesino del bolognese denominato Savigno, due fratelli, Primo e Pasqualino Franceschini, crearono il loro primo esercizio commerciale. L'attività svolta principalmente era quella della lavorazione delle carni suine, a partire da animali acquistati da allevatori della zona. Fin dal primo momento, l’alta qualità dei prodotti ricavati dai fratelli Franceschini fece dell’allora piccolo salumificio un punto di riferimento per la vendita diretta al pubblico. Macellate, lavorate e seguite in tutte le fasi, le carni del salumificio Franceschini diventarono presto di casa sulle tavole dei bolognesi. Divenuto piccolo il locale di Savigno, i due fratelli decisero allora di acquistare un terreno fuori dal paese e di costruirvi uno stabile adatto alle mutate esigenze lavorative. Così, nel 1970, Primo e Pasqualino si trasferirono nello stabile a Castello di Serravalle, dove ancora oggi si prosegue nella lavorazione artigianale dei prodotti di salumeria e nella loro vendita sia all’ingrosso che al dettaglio. Salame campagnolo, ciccioli e coppa di testa, cotechino e zampone, strolghino al tartufo, prosciutti, salsicce, pancette e coppe… Domenica 8 giugno la famiglia Franceschini ha organizzato una grande festa per celebrare i suoi primi 50 anni: sul prossimo numero di PREMIATA SALUMERIA ITALIANA vi mostreremo qualche foto della bella giornata. Per il momento, auguriamo al Salumificio Franceschini altri 50 anni almeno di successi! >> Link: www.salumificiofranceschini.it

Cesare Fiorucci sponsor dello Spazio Eccellenza a Linkontro Nielsen Linkontro Nielsen, in programma quest’anno dal 22 al 25 maggio al Forte Village Resort di Santa Margherita di Pula, Cagliari, è il tradizionale appuntamento che riunisce i migliori rappresentanti del mondo dell’industria, della distribuzione e della comunicazione. È un appuntamento irrinunciabile per l’analisi degli scenari, per la valutazione delle tendenze dei mercati, per il confronto di idee e di esperienze. Qui si ricercano nuove strade per potenziare la collaborazione, si intercettano i segnali per delineare il futuro prossimo e si studiano le strategie per condurre le imprese al successo. Ma, soprattutto, questo è un momento di incontro, di nuove conoscenze, di relazioni professionali di livello e prestigio. Cesare Fiorucci, marchio che dal 1850 è sinonimo di alta qualità del made in Italy nel mondo, era presente nella galleria dello Spazio Eccellenza con un’installazione ispirata alla linea Amarsi d+, la nuova gamma di prodotti a ridotto contenuto di sale e di grassi, fiore all’occhiello dell’offerta Fiorucci e raccomandato dal dipartimento di Scienze cardiovascolari, respiratorie, nefrologiche, anestesiologiche e geriatriche dell’Università la Sapienza di Roma. «Siamo felici di potere essere tra gli sponsor di questo prestigioso evento che riunisce in prima linea l’industria del nostro Paese e della Grande Distribuzione» ha dichiarato Alberto Alfieri, Amministratore Delegato di Cesare Fiorucci Spa. «Un momento fondamentale per noi per allacciare e consolidare relazioni istituzionali di rilievo e far conoscere la nostra azienda, oggi impegnata in un momento di rilancio e accreditamento nazionale. Linkontro si inserisce all’interno di un programma di eventi e sponsorizzazioni annuali che abbiamo intrapreso per sostenere l’eccellenza del nostro business e l’alta qualità della nostra gamma prodotti». La cura degli ingredienti selezionati, l’attenzione ai valori nutrizionali e la capacità di rispondere in modo concreto alle esigenze dei consumatori con soluzioni pratiche, convenienti e pronte all’uso sono i fattori che determinano il successo dei salumi Fiorucci e che hanno permesso all’azienda — oggi appartenente al Gruppo Campofrio — di evolversi e di rimanere al passo con i tempi per adeguarsi e rispettare le esigenze del consumatore moderno. >> Link: www.fioruccifood.it

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(ora Visentin)

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Mercati

Export in USA: le nuove regole L’incontro organizzato a Parma dal Ministero della Salute con la collaborazione di ASS.I.CA. e dei Consorzi del Prosciutto di Parma e San Daniele ha illustrato le nuove regole per l’export dei prodotti a base di carne negli USA

A

ffluenza record all’incontro organizzato a Parma il 7 marzo scorso dal Ministero della Salute con la collaborazione di ASS.I.CA. e dei Consorzi del prosciutto di Parma e San Daniele — insieme ai vertici dei Servizi veterinari di Emilia-Romagna, Lombardia e Friuli Venezia Giulia — per illustrare le ultime disposizioni ministeriali in materia di esportazione dei prodotti a base di carne negli USA. L’evento

rientra nell’ambito delle iniziative adottate dal Ministero per consentire alle Autorità statunitensi di continuare a considerare equivalenti i sistemi di ispezione dei prodotti a base di carne adottati nel nostro Paese e negli Stati Uniti. Dallo scorso autunno, infatti, sono in vigore misure che rendono difficoltoso per le aziende l’accesso al mercato americano. «Tra marzo 2012 e settembre 2013 — ha spiegato Anna Beatrice Ciorba del

Ministero della Salute — ai Port of Entry (POE) americani sono state rilevate sette positività per Listeria monocytogenes su prosciutti crudi disossati provenienti dall’Italia. Ciò ha comportato la richiesta del Food Safety and Inspection Service statunitense (FSIS) di un confronto con il nostro Ministero della Salute». In particolare, FSIS ha chiesto alle Autorità sanitarie italiane di intensificare i controlli e di mettere in atto

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Export Cina: via libera ai salumi cotti Prosciutto cotto, mortadella, cotechini e altri prodotti trattati termicamente potranno finalmente varcare il confine cinese. Con la nota del Ministero della Salute diffusa il 27 marzo scorso, infatti, si è concluso il lungo iter di negoziazioni per l’apertura del mercato cinese ai prodotti cotti della salumeria italiana avviatosi nel 2004 tra il Governo Italiano e quello di Pechino, con l’abilitazione di un primo gruppo di aziende italiane che potranno esportare i salumi cotti ottenuti da carne di suini nati, allevati e macellati in Italia. Il via libera si riferisce agli stabilimenti visitati 8 anni fa dalle Autorità sanitarie cinesi e approvati oggi da parte dei Servizi veterinari di Pechino. «Questa è un’apertura significativa, sebbene purtroppo ancora limitata, per le nostre aziende» ha affermato Lisa Ferrarini, presidente di ASS.I.CA. «Ringrazio il Ministero della Salute, e in particolare il Dipartimento della Sanità Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza Alimentare, per il continuo impegno per le specifiche negoziazioni con le autorità sanitarie cinesi. I nostri prossimi traguardi sono due — ha proseguito la Ferrarini — di riportare a breve le Autorità cinesi in Italia per una nuova missione al fine di ottenere l’autorizzazione ad esportare per altre aziende italiane, e di ampliare la gamma esportabile agli altri prodotti a base di carne suina stagionati, quali salami, coppe, pancette, nonché l’esportazione di carne suina fresca». Ricordiamo che il prosciutto crudo stagionato almeno 313 giorni ha ottenuto il via libera già nel 2008. Nel 2013 l’esportazione in Cina dei prosciutti crudi ha creato un giro d’affari di circa 700.000 euro, con l’invio di circa 59,7 tonnellate di salumi (dati ASS.I.CA.). Un mercato potenziale di 25 milioni di euro Ma quale sarebbe il potenziale del mercato cinese se ci fosse un’apertura completa dell’esportazione a tutti i salumi e a tutto il sistema produttivo italiano? Per fornire una prima valutazione delle potenzialità oggi inespresse dell’export in Cina, l’ufficio economico di ASS.I.CA. ha considerato il dato di Hong Kong, dove è oggi possibile esportare tutta la salumeria italiana, moltiplicato per 5, che sono per le principali aree di penetrazione commerciale, così come individuate dallo studio “Esportare la Dolce vita 2013” di Confindustria e Prometeia. Queste aeree, particolarmente favorevoli all’importazione di prodotti di fascia medio-alta come i salumi italiani, sono state selezionate tenendo conto del livello di urbanizzazione, del reddito disponibile, del consumo pro capite delle famiglie urbane e delle condizioni geografiche. Si tratta di tre municipalità (Shanghai, Pechino e Tianjin) e due province (Zhejiang e Guangdong). Ordinando le provin-

Mortadella (photo © www.piadinafattaconamore.it).

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ce e le municipalità cinesi in base a quota di popolazione urbana, reddito disponibile pro capite e consumo pro capite delle famiglie urbane, infatti, queste cinque aree selezionate risultano sempre occupare le prime cinque posizioni. A Hong Kong, nel 2013, sono stati esportati oltre 5 milioni di euro. Ciò significa che, potenzialmente, una completa apertura dell’export verso la Cina potrebbe comportare un aumento dell’export di almeno 25 milioni di euro nel breve periodo. A questo andrebbe aggiunto il fatturato che potrebbe generare l’export di carne fresca e congelata: già oggi la Cina e Hong Kong (considerati insieme) sono i principali importatori di carne suina dall’Unione Europea: oltre 1 milione di tonnellate di carne suina viene inviato dai paesi europei nei porti dell’estremo oriente. Un business a cui l’Italia partecipa molto marginalmente a causa della persistenza in alcune regioni di patologie veterinarie che gli allevatori non paiono in grado di debellare. (Fonte: IVSI – Istituto Valorizzazione Salumi Italiani)

azioni specifiche per evitare queste situazioni, stabilendo nel frattempo il campionamento di tutte le partite in arrivo negli USA, esportate da tutti gli stabilimenti italiani. L’insostenibilità di tale situazione per le nostre esportazioni è evidente: il sistema organizzativo americano, infatti, prevede che le partite di prodotti stazionino per moltissimi giorni presso i magazzini doganali prima di essere campionati, le spese di deposito sono ingentissime e mettono a rischio la redditività delle nostre esportazioni negli USA. In una situazione di mercato in cui i consumi interni dei nostri prodotti sono in preoccupante calo da ormai molti mesi, le esportazioni rappresentano una risorsa vitale per il settore e in particolare le esportazioni verso gli Stati Uniti, che rappresentano ormai un mercato insostituibile, giungendo in alcuni casi ad essere la principale destinazione per alcuni nostri prodotti. Tenendo in considerazione tutti i prodotti della salumeria italiana, l’export verso gli USA nel 2012 è stato pari a 5.890 tonnellate (+21,5% rispetto al 2011), per un controvalore di 68,1 milioni di euro (+ 29,7%): questi dati fanno degli Stati Uniti il nostro primo partner commerciale extra UE. Al fine di normalizzare nuovamente i fondamentali flussi commerciali verso gli USA, il Ministero ha avviato una serie di iniziative tra le quali, in particolare, l’importante revisione dei regolamenti di esportazione e la conseguente organizzazione

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di corsi di aggiornamento e formazione per il personale coinvolto nei controlli sugli stabilimenti approvati per l’esportazione negli USA. Ai numerosissimi intervenuti, i relatori hanno esposto e spiegato le recenti novità della legislazione USA e le conseguenti nuove determinazioni nazionali emanate in tema di autocontrollo aziendale e controllo ufficiale, con particolare riferimento al piano per i campionamenti e alle linea guida sui controlli per Listeria monocytogenes. Sono state fornite istruzioni operative sulle attività da effettuare a seguito del riscontro di positività per Lm a carico di superfici e di prodotti e sulle modalità di effettuazione dei campionamenti volti ad individuare l’eventuale fonte di contaminazione degli ambienti interessati, nonché per l’applicazione di linee guida per l’utilizzo di tecnologie produttive innovative. Unitamente alle novità in materia di autocontrollo aziendale, sono state illustrate ai numerosi veterinari presenti, le nuove disposizioni relative all’attività di controllo ufficiale presso gli stabilimenti esportatori. «Dobbiamo dimostrare agli USA la serietà del nostro sistema di campionamento e di controllo sull’export dei prodotti carnei — ha commentato Marco Pierantoni, direttore del Servizio veterinario igiene alimenti di origine animale dell’AUSL di Parma — in particolare, la capacità degli stabilimenti di gestire questo problema con serietà. Il rischio è troppo grande per fallire». (Fonte: ASS.I.CA.)

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Tendenze

Senza? Con! I semi, più sapore e croccantezza in cucina di Giorgia Fieni

D

a molto tempo leggo ricette che raccontano l’evoluzione della gastronomia, quindi posso affermare con sicurezza che mai come nell’ultimo anno ho trovato i semi tra gli ingredienti principali di una pietanza e non relegati in un misero spazio tra due parentesi in cui era scritto “togliere” (escludendo ovviamente i semi di malto, da cui si ottiene la birra, e quelli di cacao, fondamentali per la produzione di cioccolato). I semi sono diventati elementi portanti in quanto capaci di conferire sapore e croccantezza: ecco perché sono spesso utilizzati nelle panature o come copertura di pani, focacce e

cracker, o nei muesli da colazione. In Appunti dalla mia cucina, GWYNETH PALTROW trita i semi di zucca, girasole e lino con mandorle e bacche di goji e scrive: “Ecco un modo fantastico per dare a voi ed ai vostri figli gli elementi nutritivi essenziali. Potete aggiungerli al porridge, alla granola, alla salsa di mele — o a qualsiasi altra cosa — per rendere tutto più croccante. Potete anche aggiungere questo mix alla pastella dei pancake, ai muffin e ai biscotti. Conservatelo in un barattolo in frigo: si mantiene per settimane”. Ho trovato miriadi di utilizzi per le singole specie di semi, ancora più curiosi se si mischiano tra loro. Vediamo qualche esempio,

iniziando scegliendo i nostri semi preferiti e utilizzandoli nel condimento per la pasta: con cipollotto, tofu, salsa di soia nel soffritto per gli spaghetti; con taccole, germogli di fagiolo, peperone rosso, salsa di chili, burro di arachidi per i noodle; insieme a porri e triglie fritte per accompagnare la pasta integrale; o, ancora con nocciole e succo d’arancia per rendere più appetibili i tagliolini. Lino e sesamo, con farina di ceci, acqua, olio, prezzemolo e rosmarino, diventano cialde croccanti, da alternare a cavolo rosso e taleggio. Girasole e zucca sono gustosi con petto d’anatra e fichi (cotti in forno e coperti di zucchero di canna), ma

Zucca ripiena e spiedo di rosmarino con vitello, pancetta e semi di zucca (photo © leleccorniedidanita.blogspot.it).

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sono anche la guarnizione perfetta per muffin alle mele renette e fichi secchi (ammorbiditi con succo di mela in cui è stato lasciato in infusione tè affumicato Lapsang Souchong). Sesamo e finocchio, assieme al riso soffiato, avvolgono scaloppe d’anatra, immerse in uovo sbattuto col curry e fritte, e tutti questi sapori, anziché contrastare tra loro, contribuiscono ad esaltare quello della carne. Papavero e senape, mischiati a chicchi di grano saraceno tostati e formaggio di pecora stagionato, arricchiscono il già corposo sapore dei broccoli cotti a vapore con cipolle rosse e conditi con una salsa di succo di limone, salsa di soia, senape dolce e olio di noci (o di nocciole, pistacchi, arachidi). Sesamo, girasole e zucca, in padella con olio di semi, aglio tritato, zenzero grattugiato, bastoncini di zucchine e carote, funghi spezzettati, crescione d’acqua (o foglie di spinaci), menta fresca, salsa di fagioli neri, salsa di soia chiara, zucchero di palma e aceto di riso, diventano una croccante insalata tailandese, che può essere trasformata facilmente in mediterranea unendo allo stesso mix di semi spicchi d’arancia pelati a vivo, carote grattugiate, sale e olio extravergine di oliva. Sempre la medesima combinazione, frullata con semi di lino, noci, nocciole, olio extravergine e un goccio d’acqua, diventa una cremina con cui condire i bucatini al tonno e pomodoro fresco. Nigella e finocchio, in vaso assieme a chiodi di garofano, scorza di lime, vino bianco secco e alcol a 95°, lasciati riposare 15 giorni al buio (mescolandoli un paio di volte al giorno con un cucchiaio di legno), consentono di ottenere un liquore che, filtrato e imbottigliato, può essere degustato dopo un mese. Anice e coriandolo, con olio d’oliva, carote, scalogno, zafferano, aceto di vino bianco, zucchero e vino bianco secco, sono la marinata calda con cui coprire filetti di sgombro e,

Una merenda ideale: panini dolci ricoperti con semi di papavero ripieni di formaggio e prosciutto cotto (photo © www.the-girl-who-ate-everything.com). una volta raggiunta la temperatura ambiente, potranno essere serviti su pane croccante. L’apertura gastronomica verso i semi si è però talmente ampliata che ora racchiude varietà praticamente a noi sconosciute o semplicemente mai usate prima, come: mela (per la marmellate), papaia (per i cocktail), miglio (per la panatura — assieme a pangrattato e scorza di limone — del rombo, cotto in burro chiarificato e miele d’acacia), fieno greco (in Egitto ne fanno bollire i semi in acqua, filtrano, zuccherano e bevono la mistura ben fredda chiamandola Helba; nello Yemen, invece, una volta ammollati per 4-5 ore, li frullano con pomodori pelati, cipolle, aglio, cardamomo, curcuma, coriandolo, sale, pepe nero, peperoncini freschi e ottengono la Hulba, da spalmare sul pane), melone

“I semi sono diventati elementi portanti in quanto capaci di conferire sapore e croccantezza: ecco perché sono spesso utilizzati nelle panature o come copertura di pani, focacce e cracker o nei muesli da colazione” Premiata Salumeria Italiana, 3/14

(stavolta la bibita è messicana, con mandorle sbollentate e tritate, acqua, zucchero, scorza di limone grattugiata), loto (tipici della cucina cinese e indiana), melograno (arricchiscono la zuppa, preparata col succo, brodo di pollo, sale, pepe e foglie di menta) e soia (dalla cui idrolisi si ottiene il glutammato). Lo chef ARMIN MAIRHOFER è un vero esperto di semi strani: si è sempre spostato nelle zone attorno al suo ristorante, a Ortisei, per andare alla ricerca di quelli di faggio o di lidrone e poi si è lasciato da loro ispirare per creare pietanze che rispecchiano il territorio (filosofia di cucina che ha anche portato RENÉ REDZEPI ai vertici della gastronomia mondiale). I semi acquistano dunque un valore che da gastronomico diventa di mercato… E chissà se un giorno, con 4 di essi, si potrà acquistare una zucca, con 10 un coniglio e con 12 una notte d’amore, proprio come suggerivano i Maya. Post scriptum: ma dopo che hanno “lisciato” la data della fine del mondo, possiamo ancora fidarci dei Maya? Giorgia Fieni

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Prodotti tipici

Il capocollo di Martina Franca, gioiello della Val d’Itria Già nel Settecento i norcini della zona producevano e vendevano per tutto il Regno borbonico questo saporito salume di Roberto Villa

L’

Itria è una vallata carsica che si estende tra il Mare Adriatico e lo Ionio, divisa tra le province di Taranto, Bari e Brindisi. Viti, olivi e macchia mediterranea fanno da contrasto al bianco dei trulli e delle masserie disperse nella campagna, i centri di Martina Franca, Locorotondo e Cisternino rappresentano piccoli gioielli barocchi resi fiorenti dall’attività agricola del passato. Martina Franca è il centro di maggiore importanza, con una vivace vita culturale che culmina ogni anno in luglio nel Festival della Valle d’Itria: nel 2014 verrà festeggiato il 40o anniversario (dal 18 luglio al 3 agosto; www.festivaldellavalleditria.it).

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Le particolari condizioni climatiche, la ricchezza di boschi e la tradizionale attività di allevamento suino ne hanno fatto da lungo tempo una terra in cui le abilità artigianali nella lavorazione delle carni suine sono state sviluppate e gelosamente tramandate. L’apprezzamento per i salumi di Martina Franca e dei comuni contermini risale al periodo dei Borboni, quando la fama si diffuse in tutto il Regno delle Due Sicilie, al punto che le prestazioni degli artigiani esperti erano richieste anche fuori dall’area di produzione, un po’ come per Norcia nel Centro Italia. La presenza del fragno (Quercus trojana), un tipo di quercia sopravvissuto all’ultima glaciazione che si

rinviene in Italia solamente in questo lembo di terra pugliese, costituisce la particolarità della locale macchia mediterranea: con le sue ghiande sono stati tradizionalmente alimentati i suini destinati alla produzione dei salumi locali; inoltre, la corteccia viene usata nell’affumicatura del capocollo per conferirgli un aroma caratteristico. Di origine balcanica, un tempo il suo areale di diffusione era sicuramente più ampio e il fragneto ricopriva tutta la Murgia pugliese mentre ora è ristretto nell’altopiano itriese. I produttori — allevatori, macellai, piccoli salumifici artigianali — si sono riuniti nel 2007 in un’associazione con lo scopo di difendere e

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promuovere la tipicità del capocollo e valorizzare con iniziative il territorio di produzione. La successiva adesione a Slow Food ha portato a far riconoscere il capocollo di Martina Franca come presidio agroalimentare. Attualmente la produzione di capocollo di Martina Franca si attesta intorno alle 35-40 tonnellate all’anno. La produzione e le caratteristiche organolettiche Gli ingredienti che vengono utilizzati per la manifattura di questo storico salume sono pochi e semplici, come si conviene ai cibi più genuini: capocollo di suino (noto nell’Italia settentrionale come coppa), cioè il taglio anatomico corrispondente ai fasci muscolari in corrispondenza delle vertebre cervicali, sale marino grosso, pepe, spezie, erbe aromatiche locali e vincotto. La lavorazione comincia con la mondatura del pezzo, che viene successivamente salato a secco ed aromatizzato; la sosta sotto sale ha una durata di circa 10-15 giorni, segue una lavatura per eliminare il sale in eccesso. Il capocollo viene quindi lasciato a marinare nel cosiddetto vincotto, ovvero vino bianco tipo Martina o Locorotondo al quale si aggiungono mosto cotto e concentrato di bianco d’Alessano e di Verdesca insieme alle erbe locali (che nell’insieme vengono denominate “erbe della Murgia dei Trulli”). Infine, dopo opportuna sgrondatura del liquido, si procede all’insacco in budello naturale e alla legatura con corda. I pezzi vengono avvolti in panni e posti su assi ad asciugare per circa 10-15 giorni in locali in pietra

Il capocollo di Martina Franca. Le testimonianze storiche descrivono questo salume tipico della Murgia dei Trulli, conosciuto e richiesto già nel XVIII secolo in tutto il Regno di Napoli, come il salume più rappresentativo della produzione norcina di questo territorio (photo © terradidelizie.it). ben ventilati, dopodiché, quando sono perfettamente asciutti, passano alla fase dell’affumicatura naturale: la corteccia di fragno, le bucce di mandorlo e le piante aromatiche della macchia mediterranea conferiscono un particolare aroma al capocollo. La stagionatura, realizzata in ambienti ventilati attorno ai 13°15°C, può durare dai 3-4 mesi tipici fino all’anno, con un prodotto che intensifica via via le caratteristiche organolettiche ed aumenta la consistenza. La tecnica produttiva — con la lunga salatura, la concia nel vincotto e l’affumicatura — rappresenta il frutto dell’esperienza per ottenere un salume sano e integro in condizioni climatiche poco favorevoli alla conservazione delle carni.

L’aspetto al taglio è compatto, di colore rosso vivace, più cupo nel prodotto stagionato, con le tipiche cordonature bianche di grasso che avvolgono i fasci muscolari. Il profumo è costellato da sentori minerali e da un bouquet di macchia mediterranea. Al palato restituisce il gusto dolce-agro del vincotto insieme al corpo dell’affumicatura e delle erbe aromatiche, che si uniscono al sapore della carne suina. Taluni, sebbene affumicato, lo accostano per complessità aromatica al culatello parmense oppure al prosciutto francese delle Ardenne. Roberto Villa Nota A pag. 60, paesaggio con trullo in Val d’Itria (photo © www.pugliablu.com).

Informazioni e contatti Associazione produttori Capocollo di Martina Franca Via Capuccini, 35 74015 Martina Franca (TA) Telefono: 080 4805792 E-mail: info@presidiocapocollodimartinafranca.it Web: www.presidiocapocollodimartinafranca.it

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Angelo Costantini Referente dei produttori Telefono: 333 7403370 E-mail: costantiniangelo@libero.it

Informazioni sul Comune di Martina Franca www.martinafranca.info

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Prosciutto di Faeto, la tradizione foggiana che sopravvive In una terra protetta dai monti, l’aria salubre e asciutta del luogo e la naturale stagionatura conferiscono al prosciutto di Faeto un sapore inimitabile di Giorgio Montanari

L

a Puglia è una regione dalle infinite specialità culinarie. Se avessi una casa in questa terra, ricca di storia e cultura, vi inviterei sicuramente a pranzo. Come primo cucinerei le immancabili orecchiette, con le cime di rapa, insaporite dal buon olio locale, particolarmente deciso. Nei calici verserei il Primitivo di Manduria o il Negramaro. Per continuare il pasto, però, servirebbe un secondo piatto naturale e gustoso, magari a base di carne. Che ne dite di un buon salume? Se vi piace la mia idea, allora vorrei presentarvi il prosciutto di Faeto. Questa nicchia gastronomica proviene della parte settentrionale di una regione che si estende per oltre 350 chilometri. Faeto è infatti un paese di poche centinaia di abitanti situato sui monti del Sub Appennino Dauno, in provincia di Foggia. Il nome della località deriva da “faggio” perché quella zona era storicamente ricca di boschi (non a caso nello stemma comunale è raffigurato proprio un albero). In una terra protetta dai monti e caratterizzata da un ambiente distintivo si sviluppò e diffuse, parecchi anni fa, la produzione artigianale del locale prosciutto crudo stagionato. Oggi, oltre a qualche anziano contadino, questa tradizione è portata avanti solo da pochissimi salumifici di piccole dimensioni (ognuno dei quali produce annualmente circa 25.000 cosce). Spesso sono i prodotti semplici quelli più apprezzati dal nostro palato.

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I tipici prosciutti di Faeto (photo © www.montidauniturismo.it). Per produrre il prosciutto di Faeto, infatti, non occorre altro che carne suina e sale marino. Cosa lo rende

dunque così speciale? Per prima cosa, la selezione delle carni. Si scelgono esclusivamente suini nati, allevati e

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macellati in Italia. Le cosce posteriori sono salate a secco manualmente, rifilate da operai specializzati, ristuccate finemente con sugna naturale. La fase di stagionatura cui il semilavorato viene sottoposto si prolunga, dalla data di prima salatura, per almeno 12-14 mesi (almeno un mese per ogni chilogrammo di carne fresca); tendenzialmente gli ultimi due mesi vengono trascorsi in locali non climatizzati, situati ad un’altitudine ideale per godere del microclima della zona (oltre 700 metri sopra il livello del mare). Le stanze destinate alle ultime settimane/mesi di riposo sono realizzate in muratura, senza impianti artificiali; sono adibite con rastrelliere e supporti di legno e di metallo che riescono a sostenere le pesanti cosce durante la fase decisiva della maturazione. Terminato questo lungo rituale, il prosciutto è disponibile sul mercato. Esiste la classica versione con osso (dal peso superiore ai kg 8,5 e in grado di arrivare anche a kg 11) e anche la versione disossata (con pezzatura kg 7,5-8 circa, comunque non inferiore a kg 7 alla conclusione del periodo minimo di stagionatura). Il prosciutto di Faeto è riconoscibile per tante piccole caratteristiche distintive. In primis, la sua forma è tondeggiante, “a pera” o “a coscia di pollo”, con esclusione dello zampo (parte distale); la faccia frontale vede un’ampia zona scoperta che si estende verticalmente fino ad oltre la metà dell’altezza della coscia (questa caratteristica viene definita “rifilatura alta”). Al tatto, la consistenza della carne risulta compatta: la fetta si dimostra elastica e soda, nonché dotata di ottima tenuta. Al taglio se ne apprezza il colore tendenzialmente rosso mattone, inframmezzato dal bianco rosato del grasso di marezzatura. Il prosciutto sprigiona un profumo delicatamente marcato, gradevole, dolce e al contempo intenso anche nella fase di spillatura (eseguita, come “da copione”, con l’osso di stinco di cavallo). Eccoci al momento fatidico, quello che tutti aspettiamo, l’assaggio: in bocca si esalta il gusto naturale, saporito, ma non salato; la masticazione risulta piacevole grazie alla morbidezza delle fibre muscolari. È ideale

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Il Bosco Difesa di Faeto rappresenta uno dei boschi più importanti, dal punto di vista naturalistico, dei Monti Dauni (photo © www.montidauniturismo.it). come secondo piatto, accompagnato con valeriana e radicchio conditi da un filo di aceto, oppure come protagonista di una bruschetta realizzata col pane di Altamura. Si potrebbe azzardare un abbinamento con il localissimo Ortanova rosè, vino che solitamente si beve insieme a piatti a base di carni (sia meno saporite, sia più piccanti). Se la voglia di gustare questa specialità si concilia con una vacanza in Puglia nel periodo di agosto, sappiate che, da oltre 50 anni, proprio nel paese di Faeto si svolge un’importante sagra del salume locale. Per l’occasione potreste concedervi una bella gita fra paesaggi rigogliosi, dominati da colori suggestivi e caratterizzati da tradizioni e costumi di altri tempi. In queste terre, infatti, alcuni parlano ancora il franco-provenzale, lingua di origini medievali. La sagra ribadisce il fatto che è proprio il fortissimo legame fra la terra d’origine e l’antica produzione di salumi a rendere speciale il prosciutto di Faeto. Tanto speciale da

essere già registrato nella lista dei prodotti tradizionali della Regione Puglia riconosciuti ai sensi del DM n. 350 del 08-09-1999 del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. L’andamento meteorologico e le particolari condizioni ambientali ed ecologiche della zona incidono infatti ancora oggi sulle peculiarità degli alimenti: il vento del sud (la bora — o Wàjrie in franco-provenzale — e il maestrale, chiamato Scorciacràpe nel dialetto locale), quando attraversa i boschi di cerri e faggi, si colma dei profumi tipici della montagna e ne esce incontrando l’umidità generata dai fiumi (Celone, Cervaro, Fortore): ecco la genesi di quel microclima particolare, così utile per la stagionatura del prosciutto di Faeto. La pazienza e la bravura dei mastri salumieri completano ciò che la natura ha reso squisito. L’invito a pranzo rimane valido. Intanto, nell’attesa della sagra, spero abbiate apprezzato queste pagine dove abbiamo descritto il presutt’ de Fait’ (come si dice da quelle parti). Giorgio Montanari

Associazione per la valorizzazione del Prosciutto di Faeto c/o Confcommercio Imprese per l’Italia – Provincia di Foggia Via L. Miranda 10 – 71122 Foggia Telefono: 0881 560210 E-mail: export@confcommerciofoggia.it Web: www.prosciuttofaeto.com

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Zivieri e Pasquini presentano la prima mortadella di Mora romagnola RoManzo, il nuovissimo food-corner della carne recentemente inaugurato negli spazi del Mercato di Mezzo in via Clavature 12 a Bologna, ha ospitato, giovedì 15 maggio, un evento tutto in rosa: è stata infatti presentata ed assaggiata la prima mortadella ottenuta con le carni di Mora romagnola, suino autoctono allevato allo stato semibrado dalla famiglia Zivieri nei territori dell’Appennino bolognese. Lo squisito salume è nato dalla collaborazione tra lo storico salumificio Pasquini & Brusiani, re indiscusso nella produzione della mortadella sotto le Due Torri, e la macelleria Zivieri di Monzuno, impegnata da sempre a valorizzare la filiera della carne di qualità. Ad accompagnare la degustazione le bollicine nobili dello champagne Laurent-Perrier. Ricordiamo che RoManzo è gestito da Fabio Fiore, patron del ristorante Quantobasta, e dalla macelleria Zivieri, da tempo protagonista di grandi eventi gourmet e fornitrice di alcuni tra i migliori chef della città e non.

Al centro, Graziano Zivieri ed Ennio Pasquini mostrano orgogliosi la prima mortadella di Mora romagnola.

Marconi confermato alla presidenza del Consorzio Mortadella Bologna L’assemblea generale del Consorzio Mortadella Bologna ha confermato all’unanimità, alla carica di presidente, CORRADINO MARCONI per il triennio 2014-2016. Per Marconi — in carica dal 2011 — si tratta del secondo mandato al timone del Consorzio: «Sono ovviamente molto onorato e soddisfatto che l’Assemblea mi abbia confermato alla presidenza. Quello che si è appena concluso è stato un triennio molto importante su diversi fronti» ha affermato Marconi. «Infatti, il Consorzio negli ultimi anni, attraverso svariate iniziative e attività, ha voluto dimostrare, sia al consumatore finale sia al mercato, che la Mortadella Bologna IGP “vale di più”. Questo è stato possibile attraverso tre tipologie di interventi: in primis, continuando a lavorare per garantire ai consumatori una Mortadella Bologna sempre più buona, sicura e controllata in ogni fase del processo di lavorazione, grazie all’implementazione del sistema di controllo sulla IGP. La seconda linea di intervento da parte del Consorzio ha voluto dimostrare quanto sia importante il legame con il territorio. Proprio per sottolineare questo legame, il Consorzio si è fatto promotore di una nuova grande iniziativa: MortadellaBò — l’evento interamente dedicato alla Mortadella Bologna IGP — che si svolge a Bologna ad ottobre, con l’obiettivo di consolidare e accrescere il prestigio internazionale del rinomato prodotto felsineo. Infine, la terza linea di intervento è stata quella di comunicare gli ingredienti di prima scelta utilizzati per la Mortadella Bologna IGP, che si produce esclusivamente in Italia, attraverso una mirata campagna TV» ha concluso Marconi. Corradino Marconi, laureato in Economia e Commercio all’Università di Bologna, dal 1997 lavora alla Villani Salumi dove attualmente ricopre il ruolo di direttore esecutivo. Prima di arrivare in Villani, Marconi ha avuto un’importante esperienza nella divisione Bakery di Barilla.

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Della Brisaula e di altre bontà norcine della Val d’Ossola di Riccardo Lagorio

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n Lago Maggiore a forma d’azzurro coltello, la grigia ombra della prima rossa fetta di brisaula sul tagliere. Immediato è il desiderio di allungare la mano per un tangibile incontro con questa carne delicata e morbida, percepirne l’aroma rigoglioso e il gusto spontaneo. Da settembre 2011, grazie ad un progetto di finanziamento internazionale, la Camera di Commercio del Verbano Cusio Ossola si è fatta interprete delle istanze popolari per creare un’associazione avente come compito precipuo quello di promuovere il consumo di un prodotto della tradizione valligiana arrivato sino ai tempi nostri

grazie al saper fare dei norcini locali. Brisaula: il nome richiama alla memoria un altro grande portavoce della salumeria italica e fa senz’altro parte di quella famiglia a cui appartiene anche la carne secca dei Grigioni. Metodo di conservazione della carne assai radicato quindi nella cultura alpina. Tra i convinti sostenitori di prim’ora del programma di diffusione della brisaula GIORGIO BERINI, che di macelleria e di salumeria se ne intende di sicuro, incarnando la terza generazione di una famiglia da sempre dedita a queste attività. Il nonno suo, che ha affidato al nipote il nome ed il mestiere secondo tradizione, aprì la macelleria con

ghiacciaia nel 1925 e da allora i Berini non hanno mai lasciato l’immobile. E neppure la pratica di elaborare la brisaula. Si parte da magatello o sottofesa di bovini che possono avere dai 24 mesi ai tre anni di età. La parte anatomica, che non deve presentare una fitta marezzatura, viene lasciata per due settimane a riposo in sale e pepe, aglio, rosmarino e alloro. Così com’è: mai insaccata. Una volta estratta dai contenitori, la brisaula viene lavata e appesa per un periodo di almeno 60 giorni per l’asciugatura. Di norma le sottofese provengono da animali macellati in proprio e d’origine regionale (ossolani o comunque piemontesi); le

Giorgio Berini, nei locali di stagionatura della sua macelleria, mostra le brisaule.

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brisaule ricavate da magatello hanno origine spesso estera, comunque riconoscibile dal lotto di produzione. La tendenza del mercato dei nostri giorni è per un prodotto poco stagionato, il cui consumo è suggerito con pane al cui interno la farina di segale amalgamata con lievito madre prevale su quella di grano. Ma nella macelleria Berini non mancano altre preparazioni davvero interessanti e, al tempo stesso, non viene meno la cura e la dedizione nella scelta della miglior carne da esibire nel banco frigo. La mortadella ossolana, ad esempio, nulla ha a che spartire con la più nota Mortadella Bologna IGP. Alle carni di suino locale (l’allevamento a cui i Berini fanno riferimento è di Suno, nel Novarese) vengono aggiunte una dose di fegato di maiale (in percentuale variabile tra il 5 e il 10%, oggi molto più realisticamente vicina al primo dato), spezie e vino o, in alternativa, vin brulé. La legatura avviene a mano con spago e la forma è quella di una bisaccia compressa lateralmente del peso variabile tra 300 e 500 grammi. Di conseguenza le fette avranno una vaga rassomiglianza al numero 8. Si può consumarla bollita (in carta stagnola per 45 minuti in maniera tale che gli umori rimangano a contatto con il salume) e servita con patate lesse o polenta, oppure cruda, quando ha subito almeno 60 giorni di stagionatura in cantina. Molto apprezzata è anche la carne di suino conciata ed affumicata. Poiché tutte le fasi di lavorazione e preparazione dei salumi e delle carni avvengono in ambito familiare, alla moglie di Giorgio, Giuliana, spetta il compito di preparare il lardo. Un lardo tutto speciale, che prevede tra l’altro un massaggio con aglio e prezzemolo e la sovrapposizione di due parti anatomiche, legate tra loro. La pelatura manuale dei suini avviene con uno strumento mediato dalla cultura elvetica, la campana, che sfregata sulle setole ne comporta la rimozione. La macelleria-salumificio prepara anche prosciutti da animali pesanti tra i 150 ed i 170 kg, curati personalmente da Gianni, il diciottenne figlio di Giorgio e Giuliana. Salati e lasciati riposare per 40 giorni con

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sale, pepe, alloro e tanto rosmarino, vengono fatti stagionare per almeno un anno. Se ne producono un centinaio all’anno per clienti affezionati e alcuni ristoranti locali. Utilizzata per la produzione di salumi è anche la carne di capra: con le cosce si prepara il violino, che rimane almeno 15 giorni in salamoia e viene stagionato per almeno tre mesi, mentre le altre parti anatomiche, una volta lasciate in salamoia, vengono vendute per essere consumate previa bollitura e servite con le patate. La selvaggina va forte in questa zona. In parte proveniente da abbattimenti locali, in parte dalla Slovenia. Con cervi e caprioli si producono salametti con poco significativa aggiunta di carne suina al fine di favorirne l’amalgama. Grazie alla possibilità di usufruire di un proprio macello accanto al negozio ed alle sale di stagionatura, i Berini possono garantirsi la scelta dei migliori bovini di origine piemontese, ossolana o cuneese, selezionati personalmente da Giorgio, che avranno le caratteristiche considerate idonee dal mercato. La consuetudine vuole che i capi siano venduti entro 15 giorni; quindi poca o niente frollatura, che non sarebbe peraltro gradita

da parte dei consumatori. Carne ben rossa insomma, ecco cosa piace… Semmai la capacità commerciale è proprio quella di sapere accontentare i clienti, gestendo le diverse parti anatomiche e provvedendo anche in questa valle lontana dai grandi centri urbani a proporre piatti semi-pronti. Allora anche la creatività di Giuliana diventa strategica. Accanto ai popolari tagli anatomici nel banco frigo (lonze, costate, filetti), tutti i giorni polpette, tramezzini (impasto di carne con mozzarella ed origano), sofficioni (carne macinata e sigillata a mo’ di portafoglio) ed un celebre figlio della cucina piemontese, il vitello tonnato. Per i dì di festa si può contare anche su polli già ripieni, roastbeef pronto e affettato e qualche sorpresa che non manca mai. Anche qui lontano dalle città le persone sono avide di tempo e hanno bisogno di praticità. Non rimane che adeguarsi. Riccardo Lagorio Macelleria Berini Via Guglielmo Marconi 13 28851 Beura Cardezza (VB) Telefono: 0324 36291 E-mail: macelloberini@tiscali.it

La Brisaula della Val d’Ossola è un prodotto tipico del territorio che si è mantenuto nel tempo con caratteristiche organolettiche che ne fanno un prodotto di eccellenza. Brisaula-Associazione Produttori del Verbano Cusio Ossola nasce nel settembre 2011 nell’ambito del Progetto Interreg. “Il Lago Maggiore, le sue Valli, i suoi Sapori”, di cui la Camera di Commercio del VCO è capofila di parte italiana. Scopo principale dell’associazione è quello di garantire, attraverso il rigoroso rispetto di un disciplinare, l’impegno dei produttori in tutte le fasi di lavorazione della brisaula: dalla selezione della materia prima alle fasi di trasformazione, asciugatura e stagionatura (in basso la fascetta di certificazione). Ne risulta un prodotto dal gusto equilibrato e finemente speziato, di alta qualità e con un bassissimo contenuto di grasso. Altro scopo, naturalmente, è quello di promuovere il consumo del prodotto tipico, tra residenti e turisti. Ad oggi hanno aderito all’Associazione Brisaula della Val d’Ossola nove tra i più rilevanti produttori della provincia, sia per dimensione che per qualità. L’associazione è in ogni caso aperta ad accoglierne altri, mossi dalla stessa passione, professionalità e impegno.

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Street food

Cornish pasty, un simbolo della Cornovaglia A base di carne bovina, patate e cipolle, nasce come pranzo al sacco di pescatori, minatori e contadini. Poi, ottenuto nel 2003 l’Igp, è diventato un cibo di strada sempre più diffuso di Nunzia Manicardi

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ella continua riscoperta di cibi semplici da trasportare e anche da gustare al di fuori delle comodità offerte dalla tavola e dalle sue suppellettili, e che oggi vengono genericamente indicati con il nome di street food, ci dedichiamo stavolta al Cornish pasty. Il Cornish pasty è un tipico pasticcio (che potremmo tradurre anche come “fagottino”) originario della Cornovaglia, la stretta penisola sud-occidentale della Gran Bretagna. Il suo nome lo dichiara infallibilmente, poiché Cornish significa “della Cornovaglia” e pasty vuol dire “pasticcio”. Dall’agosto 2003, a livello europeo, la denominazione Cornish pasty è stata anche riconosciuta Indicazione Geografica Protetta (IGP). Per la tutela di questo cibo esiste un’apposita associazione, la Cornish Pasty Association (www.cornishpastyassociation.co.uk), nel cui sito è presentata la ricetta autentica che è quella che qui riproponiamo (si veda box a pagina 70). Se gli Inglesi, come si sa, sono molto conservatori e tradizionalisti, gli abitanti della Cornovaglia lo sono forse anche di più, poiché non tutti si riconoscono nell’unità del Regno britannico, considerando la propria patria come ducato autonomo. Non pochi, tra l’altro, rifiutano assolutamente l’attuale collocazione amministrativa, sostenendo che sia illegale per quanto riguarda la particolare storia e natura di questo territorio. La Cornovaglia, infatti, fa parte delle cosiddette Na-

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zioni celtiche e a questa sua origine etnica tiene moltissimo: non a caso, nel XX secolo c’è stata anche una rinascita del Cornico, cioè l’antica lingua (originariamente varietà meridionale del Gallese) che si era estinta nel 1777 con la morte dell’ultima persona che la parlava. Attualmente, invece, è usata, a livello elementare, da circa 3.500 persone, mentre per altre 550 è addirittura la lingua principale. Tutto questo per dire quanto questa specialità, oltre che un cibo, sia anche un elemento fondamentale di identità della popolazione. Se a ciò uniamo il fatto che la Cornovaglia è la zona più povera del Regno Unito e che fornisce il contributo più basso

all’economia nazionale (la voce più importante è il turismo), possiamo capire il valore ulteriore che assume l’attribuzione della IGP. Un po’ di storia Considerato il piatto nazionale della Cornovaglia, il Cornish pasty è nato nel Medioevo, diffondendosi nel resto del mondo sulla rotta dei viaggi degli emigranti. Oggi è considerato un antipasto tipico della cucina inglese, che in questo modo l’ha ulteriormente propagato, ma in origine era la colazione al sacco per pescatori, minatori e contadini locali, che mangiavano quando potevano allontanarsi un attimo dal duro lavoro

Tipico antipasto della cucina inglese, il Cornish pasty si distingue per la sua forma a mezzaluna e il bordo piegato. La pasta può essere frolla, semi-sfoglia o sfoglia in base alla ricetta utilizzata da ciascun panettiere.

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Cornish pasty, street food d’Oltremanica Ingredienti: carne magra di manzo g 350 • farina g 300 • patate g 250 • burro g 150 • 150 g cipolle • 1 uovo • brodo • prezzemolo • timo • salvia • sale • pepe

Elaine Ead, del negozio The Chough Bakery, presidente della Cornish Pasty Association. per riposarsi almeno un po’. Qualcosa che potessero mangiare con le dita non proprio pulite e che fosse nello stesso tempo nutriente e il più possibile economico, facile da conservare e da trasportare. Letteralmente un pranzo al sacco, visto che corrisponde proprio a un “fagottino”. Il Cornish pasty si distingue infatti per la sua forma a mezzaluna e il bordo piegato (sempre di lato, mai in cima) e in questo non differisce sostanzialmente dai saccottini rigonfi presenti presso molte rosticcerie anche di tutta Italia. La differenza, in questo caso, la fa il ripieno. La pasta può essere frolla, semi-sfoglia o sfoglia in base alla ricetta utilizzata da ciascun panettiere. Gli ingredienti del ripieno sono carne bovina, ortaggi (patate, cipolla) e condimenti. La consistenza deve essere grossa, costituita da carne cruda (non meno del 12-13%) tritata o tagliata a blocchi e poi dalle immancabili patate con aggiunta di cipolle e con un leggero condimento di vari odori. Deve essere cotto lentamente, senza aromi artificiali o additivi. Anche l’involucro ha la massima importanza: deve risultare dorato, leggermente salato, glassato con latte o uovo e abbastanza robusto da mantenere la propria forma durante la cottura e il successivo processo di raffreddamento senza subire spaccature

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Esecuzione Per la pasta, si impasta la farina con il burro fino ad ottenere un mucchio di grosse briciole. Si aggiunge un po’ alla volta l’acqua con un pizzico di sale e si lavora l’impasto finché non sarà liscio, omogeneo e abbastanza sodo, poi lo si avvolge nella pellicola e lo si lascia riposare in frigorifero per almeno mezz’ora (c’è anche chi dice per l’intera notte). Nel frattempo, si iniziano a sbucciare le patate e le cipolle e le si affetta sottilmente. Si riduce a dadini la carne di manzo, la si raccoglie in una ciotola e la si mescola con le patate e le cipolle. Unite gli odori (prezzemolo, timo e salvia), salate e pepate bagnando con un po’ di brodo. Togliete dal frigorifero l’impasto e dividetelo in alcuni dischi del diametro di circa 15 centimetri, sottili ma sufficientemente spessi per contenere il ripieno di cui posizionerete una o più cucchiaiate al centro di ogni disco. Attenzione a non esagerare perché, se il ripieno è eccessivo, durante la cottura sarà un disastro, soprattutto perché tenderanno a fuoriuscire gli umori della carne. Ma è anche vero che i fagottini non possono mica essere riempiti di nulla… Spennellate i bordi con un po’ di uovo battuto, poi chiudete i dischi di pasta, pizzicandoli con l’aiuto di una forchetta per sigillarli perfettamente. A questo riguardo fate attenzione, se volete rispettare la ricetta tradizionale protetta dall’Igp, a chiuderli a forma di D (cioè a mezzaluna) e a pizzicarli solo su un lato, anche se in realtà se ne trovano ormai anche di forme diverse. Disponete i fagottini su una teglia coperta con carta da forno, spennellateli in superficie con latte o con rosso d’uovo sbattuto e infornateli a 200°C per circa 10 minuti, poi abbassate la temperatura a 180°C e cuocete per altri 20 minuti o comunque finché la pasta non sarà ben cotta e dorata in superficie. Vanno serviti caldi, ma sono buoni anche freddi. L’intera preparazione dura un’ora abbondante, compreso il tempo minimo di riposo dell’impasto.

o fessurazioni (teniamo conto, infatti, che il ripieno è piuttosto pesante e grossolano, quindi difficile da tenere racchiuso all’interno). Come viene scritto, sottolineandone l’importanza, nel sito dell’Associazione che lo tutela, gli ingredienti

dovrebbe essere tutti prodotti in Cornovaglia, ma, per non perdere il piacere di questa per noi recente scoperta gastronomica, proveremo a prepararlo a casa nostra, senza dirlo a nessuno però…. Nunzia Manicardi

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Eventi L’eccellenza salumiera italiana a Polesine Parmense

Salumi da Re & Chef to Chef: all’Antica Corte Pallavicina va in scena la festa dei norcini di Gaia Borghi

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1) I culatelli dell’Antica Corte Pallavicina. 2) I gioielli del Salumificio Squizzato di Vigonovo (VE). Da segnalare gli affumicati, su tutti lo speck e il guanciale, indimenticabile servito su un crostino caldo. 3) Una selezione di vini presentati nelle cantine del Relais di Polesine Parmense dal Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi.

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n’occasione per conoscere, parlare, confrontarsi con alcuni tra i migliori produttori italiani di salumi artigianali di qualità, assaggiarne le specialità guardando negli occhi chi in quelle produzioni crede, resistendo alle tentazioni omologatrici del mercato. E poi quei salumi deliziosi, dai profumi antichi, dalle grasse e morbide consistenze, simbolo delle differenti tradizioni regionali della

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nostra Italia, portarseli a casa, per continuare la degustazione tra le mura domestiche, possibilmente coinvolgendo gli amici e le persone che ci sono care. Non bastasse, il tutto perfettamente integrato nel contesto magnifico dell’Antica Corte Pallavicina di Massimo e Luciano Spigaroli, regno incontrastato di Sua maestà il culatello, che in quella terra di nebbie e umidità è nato, vive e prospera. Questo voleva essere Salumi da Re,

la prima edizione della manifestazione svoltasi da sabato 12 a lunedì 14 aprile dedicata alle eccellenze norcine organizzata da Gambero Rosso, nata — come leggiamo sul sito www.gamberorosso.it — “come naturale evoluzione della Guida Grandi Salumi del Gambero Rosso, in cui sono stati selezionati, assaggiati, confrontati e, infine, schedati e recensiti oltre 1.000 prodotti, la prima pubblicazione del genere in

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1) Il Consorzio Salumi Dop piacentini. 2) Lo stand del Consorzio di tutela del Culatello di Zibello Dop. 3) A presentare i vini dell’Azienda Agricola Cantina della Volta di Bomporto (MO) Angela Sini. 4) Evento nell’evento, non poteva mancare alla celebrazione delle prelibatezze norcine presso l’Antica Corte Pallavicina Massimo Bottura, qui in compagnia di Fausto Savigni con i figli Mileto e Nicolò dell’Azienda Agricola Savigni di Pavana, Sambuca Pistoiese.

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1) Il Salumificio Corte Buona. 2) Il Consorzio Parmigiano-Reggiano, sponsor principale dell’evento. 3) Una vera e propria esplosione di sapori: è il prosciutto cotto in crosta di pane firmato Masè, azienda specializzata nella salumeria cotta triestina. 4) A Salumi da Re non poteva mancare Re Norcino, con i salumi dell’entroterra maceratese e le Marche, primo fra tutti il ciauscolo Igp. 5) Il Prosciuttificio Ruliano di Langhirano, Parma: l’eccellenza del crudo.

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Italia”. La celebrazione dei prodotti salumieri italiani si è felicemente sposata, nella giornata di lunedì, con “Centomani, di questa terra 2014”, l’evento pensato, voluto e organizzato da CHEFTOCHEF, associazione regionale emiliano-romagnola che raggruppa cuochi, produttori e gourmet, e che ha riunito nelle campagne parmensi, più precisamente sull’argine del Grande fiume, chef internazionali prestigiosi, a cominciare dal modenese Massimo Bottura, portabandiera della più alta espressione della cucina italiana nel mondo. Il nastro inaugurale della kermesse, un originale spago da salame, è stato tagliato dai padroni di casa, i fratelli Spigaroli, insieme alla brava Mara Nocilla, curatrice della guida del Gambero Rosso, che durante le tre giornate ha presentato convegni, moderato dibattiti, dimostrando ancora una volta ai presenti la propria competenza e professionalità. Interessantissimi i momenti dedicati allo studio dei salumi con l’intervento di esperti qualificati: a partire dall’analisi sensoriale alla possibilità di una produzione senza additivi, dai valori nutrizionali dei prodotti al loro consumo all’interno di una dieta equilibrata e salutare, fino alle prove di abbinamento. Immancabile all’appuntamento di Polesine uno dei maggiori esperti del settore, antropologo alimentare e firma storica delle testate PREMIATA SALUMERIA ITALIANA ed EUROCARNI, il prof. Giovanni Ballarini, tra i protagonisti dell’incontro su Salumi e salute. Gaia Borghi Nota A pagina 73 l’inizio della Via dei Salumi, un percorso fatto di realtà produttive di eccellenza che conduceva gli ospiti direttamente al Relais Antica Corte Pallavicina. Centomani, di questa terra 2014 si è rivelato un importante momento di confronto sul futuro del cibo, che ha toccato tematiche come la formazione dei cuochi, le relazioni internazionali, la cultura gastronomica e il futuro della ristorazione. E, insieme a Salumi da Re, ha rappresentato un’occasione di incontro indimenticabile tra le eccellenze gastronomiche italiane e gli chef più noti della regione Emilia-Romagna.

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Rassegne Fa’ la cosa giusta 2014. Lotto Fiera, Milano

Tanta voglia di buono Le sirene vegane echeggiano negli spazi della rassegna milanese, ma gli insaccati raccolgono la sfida e portano avanti le battaglie della filiera corta, dell’allevamento estensivo, dello stile di vita dei capi di bestiame e della qualità del prodotto finale di Fabio Butturi

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a carne è scivolata leggermente sotto il profilo dell’orizzonte, tra i 29.000 m2 di Lotto Fiera, nei padiglioni scampati al progetto City Life (palestra di archistar del rango di Isozaki, Libeskind e la Hadid), se si pensa a quanto fossero recentemente à la page temi come la filiera corta e l’alleva-

mento in alpeggio o, comunque, allo stato semi-brado. L’agenda green sta declinando il paradigma “eco” e “bio” sempre più nelle forme vegane, che si stanno istituzionalizzando nella narrazione del “consumo altro”. E così le 70.000 presenza dichiarate dagli organizzatori (leggasi “Terre di Mezzo”) alla “Fiera nazionale del

consumo critico e degli stili di vita sostenibili” si sono trovate di fronte a laboratori e incontri a tema “veg”, a show cooking a base di legumi e al trionfo della pasta madre. La parziale emorragia di frattaglie, costate e filetti è stata compensata dagli insaccati, in un florilegio di tagli, budelli e stagionature, spesso accom-

Salame di prosciutto dell’azienda agricola Cascina San Lorenzo, Capriolo (BS).

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In alto: salumi dell’azienda agricola Tresgal di Campo Ligure (GE). In basso: Parmigiano Reggiano di Bianca modenese del Caseificio Santa Rita, Serramazzoni (MO). pagnato da antologie di formaggi, in prevalenza di allevatori e aziende casearie delle Prealpi lombarde e, in misura minore, della Provincia Granda (Cuneo). Tra i puristi della carne “bio”, osannati dai cultori dell’alimentazione responsabile, incontriamo un volto noto ai lettori, quello di Valentino Campana, che al riparo del baffo curatissimo si azzarda a dire che le cose non vanno così male. E visti i tempi che corrono è un manifesto di ottimismo. Dai pascoli di Bore all’ombra del monte

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Carameto, sull’Appennino parmense, dove un centinaio di mucche si muove in branco, senza costrizioni, allevando i vitelli col latte materno fino a quattro-sei mesi, scende a valle confezionando rigorosamente sottovuoto per conciliare durata, qualità, profilassi igienico-sanitaria e per valorizzare i tagli. Se rispetto a un paio d’anni fa i capi sono cresciuti di numero, la varietà delle proposte non è cambiata: pacco convenienza da kg 10-2 e anticrisi da kg 5-6 (per farsi un’idea, questa formula prevede: kg 1 di brasato oppure di arrosto, 2

kg di bistecche, kg 1 di macinato e hamburger, 6/7 etti di biancostato e mezzo chilo di ossobuco). In esposizione in quel di Milano c’erano polpa da brodo, biancostato, brasato, ossobuco, roast-beef, girello, noce, filetto, costate e spezzatino, rigorosamente di bovino. Stabilmente in pianura quelli dell’Agricola Tenca, spaccio a Curtatone, a cinque chilometri da Mantova, nome evocativo dell’epopea risorgimentale, e quartier generale a Casalmaggiore (Cremona), che si affaccia sul Po incuneato tra cremonese, mantovano e parmense. L’esposizione delle buste di pasta di salame rimanda alla tradizione gastronomica del riso alla pilota, squisitamente mantovana, dove la salsiccia s’incontra con il riso vialone nano. Anche qui — e sarà il leit motiv della sezione “Mangia come parli” che ospita il coté gastronomico — salumi in evidenza, a partire dalle confezioni di ciccioli a scaglie e dalle varianti del salame, senza aglio oppure del tipo mantovano, che di solito con l’aglio va a nozze ma, precisano da dietro il bancone, “noi non ne usiamo tantissimo”. Il lonzino stagionato fa capolino insieme alle mezze coppe. Paladini della citata filiera corta, oltre ai prodotti esposti macellano suini dell’allevamento locale, alimentati al 60% con prodotti a km 0 e, per la parte rimanente, di agricoltori della zona, nei classici tagli di macelleria oltre a cotechini, porchette, cosciotti e altri insaccati e qualche incursione nel “pronto”, come spiedini, saltimbocca, fiori di zucca farciti. Risalendo verso Nord ci si ferma alle porte della metropoli, in quel di Chiaravalle, dove si trova la Cooperativa Sociale Borgo di Chiaravalle. Cooperativa di tipo B (in minima parte di tipo A), che agisce all’ombra ideale della secolare abbazia nel parco agricolo sud di Milano, fondata il 22 gennaio del 1135. Ogni anno instaurano una collaborazione per valorizzare una specifica tradizione alimentare; quest’anno la scelta è caduta sulla Calabria. Idea sicuramente equa e certamente solidale, considerando che questa manifestazione parla dialetti quasi esclusivamente del Settentrione (la partecipazione dal Mezzogiorno è

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Formaggio di Langa

stimata al di sotto del 10%). Il sodale si chiama Salumificio Geca: a ridosso del versante tirrenico, tra Tropea e Amantea, sciorina tutta la memoria storica della norcineria calabra. Capicollo docet, il più tipico degli insaccati silani, pronto alla degustazione dopo tre mesi di stagionatura, la ‘nduja, la soppressata e la spianata piccanti (va da sé, il peperoncino da quelle parti è ineludibile), la coppa, il guanciale, la salsiccia catena, di grana media, da un impasto di spalla di maiale e pancetta, peperoncino, peperone e finocchio selvatico. I semi di finocchio finiscono invece nella ventricina, che nel corso del tempo ha sostituito il guanciale con altri tagli più pregiati, come collo e spalla. Sul banco dell’Agriturismo Le Radici, legato all’Azienda agricola Gaddi, l’ospite d’onore è di quelli che non s’incontrano tutti i giorni: la capra Verzasca. Siamo sull’Alpe di Blessagno, Valle Intelvi, quasi baricentrico tra il Lago di Como (a breve distanza dal quale incombe una vertiginosa veduta dal bordo di una rupe) e il Lago di Lugano. In questo remoto anfratto comasco brucano in assoluta libertà circa 140 animali, una quarantina di vacche e pecore e un centinaio di capre, razza Verzasca, per l’appunto, che si alimenta prevalentemente di Ginestra dei carbonai e altre essenze. D’inverno la dieta viene regolata dall’uomo per ovviare al rigore del meteo (l’alpeggio è a circa 1.100 metri) ed è a base di foraggio coltivato in loco e di orzo, che serve come integratore. Altezza al garrese di 80 centimetri, kg 60/70 di peso, pelo corto e mantello nero, la Verzasca è

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La schiera di operatori della filiera casearia della Provincia Granda è storicamente nutrita in questa sede. Schiavini Davide è uno degli alfieri ed espone una partitura antologica di formaggi langhigiani. Il barricato è stagionato con il mosto di vino, il Babau delà foja, macerato sotto foglie e spezie, il Generaj del fen e il Castelmagno, orgoglio di una comunità intera. Prodotto dalla Coop. Alta Valle Grana a Pradleves (la denominazione di origine protetta è riconosciuta solamente nei comuni di Monterosso, Pradleves e Castelmagno, adagiati sulla Val Grana. Malignamente si potrebbe osservare “nomen omen”, grana docet) da latte di Brune alpine, per ricavare sette chili di formaggio occorrono settanta litri di latte crudo, che origina una pasta perlacea, o avorio, delimitata da una crosta che sfuma dall’ocra al rossastro. Le radici affondano in epoche di menestrelli e giullari, era il Duecento, e originariamente veniva stagionato in forme da 2 e 6 chili: è sopravvissuta solamente la pezzatura più grande. All’epoca il valore simbolico del Castelmagno era tale da farne una moneta di scambio. “Tanta roba”, come si dice in slang, anche da Sabaco d’Oc. Sabaco in occitano significa gerla, contenitore magico che sulle spalle dei contadini portava il fardello e il sostentamento alimentare, ed è rimasto a memoria antropologica e linguistica. Corredate da generose didascalie si ammirano la Sabauda, toma a latte crudo di capra, il Ghitin famù (in occitano indica le margherite di primavera), lievemente piccante, la Sola mista, dove capra e vacca convivono armonicamente, il Ciabot, di latte crudo vaccino, dal retrogusto tartufato, il Lelot famù, di latte bovino e dalla forma quadrata, il Castelmagno, il Fiur, il Testun del fen (in foto), il Ciarafi di stroppo.

originaria dell’omonima valle svizzera e popola l’alto Verbano a cavallo tra Varesotto, Comasco e Canton Ticino. O meglio, si sta riproducendo nel territorio transfrontaliero luineseticinese dopo i danni dell’incuria e il rischio estinzione. L’inzega rappresenta l’esotismo più marcato sul banco “montanaro”, ed è un prodotto tipico di quelle parti, filetto magro di manzo con erbe aromatiche. Un salume così fuori

dal circuito commerciale da sfuggire addirittura alle maglie investigative di Google. I salami sono sia di carne di maiale, col budello più lungo, sia di capra, formato cacciatorino. A rimorchio, si fa per dire, anche i formaggi. Di capra, ça va sans dire. Spostandoci a est, a Costa Serina, nelle Prealpi Orobiche (San Pellegrino Terme non è troppo distante), una quarantina di camosciate delle Alpi

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Sola mista, Ciabot e Nostrale dell’azienda cuneese Sabaco d’Oc. adatta la tempra ai rigori alpestri e viene allevata dall’Agriturismo La Pèta essenzialmente per la produzione di formaggi, solo con latte crudo, robiola, caprino, taleggio e crosta fiorita, maturata con il carbone vegetale. Una minima quantità di capi, compreso qualche suino, viene riservata alla macellazione per i salumi. Si scollina nella estesa provincia di Brescia e i formaggi diventano protagonisti. Il caseificio Tomasoni si trova Gottolengo, sul confine con il cremonese, e si distingue per essere l’unico produttore di Grana Padano biologico del lombardo-veneto. Certificato bio dal 2000 utilizza latte di due stalle, una bergamasca, l’altra cremonese, munto da mucche pariteticamente divise in razza Alpina e Frisona, lasciate al pascolo da marzo a novembre e alimentate senza insilati. Sui banchi di Tomasoni hanno fatto sfoggio di sé anche taleggio, fontal, robiola, crescenza, scamorza e ricotta. Si risale verso i crinali alpini e dalle brume della Bassa Padana ci si ritrova a Ceto, in Val Camonica, sulla strada per il Tonale. Sono 200 le capre camosciate e le bionde dell’Adamello (circa 4.000 capi censiti, secondo le

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stime di Slow Food) che forniscono la materia prima per i salumi, alla pari di qualche maiale, ugualmente liberi al pascolo. Le salamelle e i salami sono in vendita allo spaccio e presso i mercati contadini battuti dalla famiglia Bonomi, proprietaria dell’Azienda agricola San Faustino. Le capre sono in questo caso la risorsa per il latte, col quale cagliano (anche al vegetale) e stagionano in malga lo stal de cavra, la robiola in foglia, di porro, verza e radicchio trevigiano, i caprini, la ricotta affumicata, il Fatulì (“piccolo pezzo”, nel dialetto locale), ricavato dalla bionda dell’Adamello e il Cadolet, anch’esso tipico della Val Camonica. Si cambia valle, non provincia, con Le Tese, azienda agricola che a Collio Val Trompia alleva 120 capre, che d’estate diventano 450 (quelle in surplus sono in affitto), e 40 vacche, solo per la trasformazione casearia. Anche loro vantano il Fatulì, affumicato con ginepro, quadrato ed erborinato di capra, tal di capra, taleggio di mucca, Bagass, aromatizzato con lo zafferano come il Maniva, disponibile a banco nella versione stagionata 14 mesi e in quella 48

mesi, l’ubriaco, stagionato in marzo nelle vinacce. Nella chiusura della rassegna norcino-casearia incontriamo l’Azienda agricola Daffara Pierangelo, che ci costringe questa volta a una brusca virata verso ovest: Cascina San Lorenzo, nei paraggi di Casale Monferrato. Non manca una fiera biologica che sia una, e varca i confini nazionali per partecipare ad alcuni eventi internazionali a Nizza, Parigi e Berlino. Non c’è traccia di nitrati e sieri di latte sia nei salumi di maiale della linea tradizionale sia nei cosiddetti “monferrini”. A Lotto Fiera l’assortimento di salami prevedeva cacciatorino crudo, Piemonte, puro prosciutto di sola coscia, lonzino stagionato, crudo all’aglio, al tartufo e quello cotto. Da qui al Tresgal il passo, questa volta, è decisamente più breve, Campo Ligure, nell’entroterra genovese, un’ottantina di chilometri via Alessandria e Ovada. Su 19 ettari si sviluppano il pascolo per le galline livornesi che producono uova a guscio bianco e polli razza Bresse, per i tagli di carne avicola, e il bosco, dove si muovono i suini, razza Duroc e Large White. I conigli completano l’offerta di carni bianche. Sul banco gli insaccati: salami, pancette, coppe e salsicce. Scompaginando qualsiasi ordine geografico, ultima parola al caseificio Santa Rita, da Pompeano di Serramazzoni, sul Appennino modenese (da quelle parti, Stella, per la precisione, proviene il bomber azzurro Luca Toni, attualmente capocannoniere dell’Hellas Verona). Da quelle zone ci si aspetterebbero insaccati o braciole di maiale e invece è il turno della Bianca Modenese, altrimenti conosciuta come Valpadana, razza bovina tutelata da un apposito consorzio. Nessuna traccia di costate, solo forme di Parmigiano Reggiano di qualità eccelsa: la Bianca produce metà del latte della Frisona (soprattutto le primipare), fornendo lo spunto per un formaggio dal sapore più intenso e corposo, con un eccellente rapporto tra tenore di grasso e di proteine e la caseina (1:1). Fabio Butturi

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar Premiata Salumeria Italiana, 3/14 83 perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


Fiere

Italia del vino, Vinitaly c’è! Nonostante la crisi, i dubbi e le difficoltà, la manifestazione veronese nel 2014 si conferma momento di particolare importanza e punto di riferimento per il comparto vinicolo italiano di Laura Franchini

V

initaly resta un punto di riferimento per il mondo del vino italiano, nonostante tutto. Nonostante le difficoltà logistiche e strutturali, il traffico, la mancanza di infrastrutture e di organizzazione. Nonostante ciò, la manifestazione quest’anno ha segnato una crescita dei visitatori, in particolare esteri, che hanno raggiunto ben il 36% del totale (fonte Vinitaly). Conta, da una parte, il forte investimento che i produttori fanno verso i mercati esteri, come conta la congiunzione economica globale e il richiamo che il made in Italy continua ad avere in tutto il mondo. Ha

contato anche un certo impegno da parte dell’organizzazione di Vinitaly, che ha messo a disposizione aree e appuntamenti, come Vinitaly Buyer’s Lounge e Vininternational, dedicato agli espositori esteri. Successo di presenza anche per Vinitalybio, dedicata al mondo biologico. Per FRANCESCO ZONIN, vicepresidente della Casa Vinicola Zonin è stato un Vinitaly positivo. «Molto buona l’affluenza italiana, di livello. È stato coinvolgente anche il clima, grande ottimismo. Positiva la presenza del ministro per tutto il periodo della manifestazione così come la partecipazione del pre-

mier, perché significa che il Governo ha posto la propria attenzione sul settore». JACOPO BIONDI SANTI, vincitore del Premio Internazionale Vinitaly 2014 per la sezione Italia e titolare dell’omonima azienda, afferma: «per noi è andata benissimo. Abbiamo visto tutti gli importatori, con una buona presenza dalla Cina al Brasile, dal Canada agli Stati Uniti». «Tanta Italia di ottima qualità e molto estero, anche tedeschi» per CHIARA LUNGAROTTI, ma anche per LUISA MARINONI, responsabile ufficio marketing Italia di Cavit, questa edizione di Vinitaly si è caratterizzata per

L’edizione 2014 di Vinitaly si è chiusa registrando un incremento delle presenze, in particolare dei visitatori esteri che hanno segnato un +36% (photo © Ennevi-Veronafiere).

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«un numero di buyer esteri maggiore rispetto agli altri anni». Per MARTA GASPARI, responsabile marketing di Donnafugata, «le presenze estere sono buone e la manifestazione è andata bene». Per ENRICO VIGLIERCHIO, direttore generale di Castello Banfi: «è stata un’ottima fiera, sia per il mercato nazionale, con una presenza di operatori sempre più qualificati, sia per l’estero, con buyer dagli Stati Uniti e da tutti quei mercati che guardano con interesse al vino italiano». «Crediamo molto in Vinitaly, per noi momento topico dell’anno, esattamente come la vendemmia e l’assemblea dei soci» ha detto FABIO MACCARI, direttore generale Gruppo Mezzacorona. «Quest’anno abbiamo deciso di rinnovare totalmente lo stand ed è stato un successo di visitatori italiani ed esteri». Per MICHELE BERNETTI, titolare di Umani Ronchi, «Vinitaly si conferma una manifestazione di livello, con un numero interessante di contatti stranieri, dall’Australia alla Svizzera: fondamentale per noi, che esportiamo il 75% della produzione». Molto bene anche le degustazioni dedicate alla denominazione “Roma”. Nata nel 2011, frutto di una lungimirante visione di marketing territoriale, la nuova denominazione ha saputo superiore i dubbi di alcuni facendo leva sulla qualità e sulla tipicità dei vitigni ammessi per la produzione. FILIPPO ANTONELLI ha riscosso successo di pubblico ed addetti ai lavori con i vini di Castello di Torre in Pietra, dove la DOC Roma, 25.000 bottiglie di produzione, si è riservata un posto di protagonista nelle degustazioni. Presto uscirà anche la tipologia bianca della denominazione, che verrà prodotta con uve Bombino e Malvasia puntinata del Lazio. Grande affluenza anche nel padiglione della Regione EmiliaRomagna, particolarmente gremito di consumatori ed addetti al lavori. Le tipologie regionali sono infatti molto amate, non solo in Italia, ricordiamo che è il Lambrusco il re delle esportazioni del nostro paese, che traina tutte le denominazioni emiliane e romagnole, grazie anche a tradizione e qualità. Un padiglione vivace, che

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In alto: Bacio della Luna spumanti a Vidor (TV). Al centro: Schenk Italia, Ora (BZ). In basso: Ermi Bagni, direttore del Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi.

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1) Christian Bellei e Angela Sini della Cantina della Volta di Bomporto (MO). 2) Lo stand della Tenuta Bonzara di Monte San Pietro, Bologna. 3) Francesco De Sanctis dell’azienda De Sanctis, Frascati, Roma. 4) Graziella Pezzi, proprietaria dell’azienda vitivinicola Fattoria Paradiso di Bertinoro (FC).

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Dalla Puglia al Veneto qualche buona novità dal Vinitaly 2014 L’azienda agraria Duca Carlo Guarini, vignaioli nel Salento da 25 generazioni, con nove secoli di storia e 700 ettari di proprietà, ha presentato il Taersìa, un Igt Salento ottenuto dalla vinificazione in bianco di Negroamaro in purezza. Un bianco molto chiaro, pieno e rotondo, da abbinare a piatti di pesce e crostacei. La cantina pugliese ha creato anche una nuova linea di vini con l’etichetta 900, il numero degli anni della produzione vitivinicola della famiglia. Per ora è in commercio il Sauvignon, da uve Sauvignon blanc raccolte verso la fine di agosto da una vigna di oltre 30 anni. Un vino ricco e intenso, sia nei profumi che al palato, consigliato per accompagnare piatti di pesce, aragosta, frutti di mare, asparagi e uova. Le prossime etichette in uscita saranno tre rossi da vitigni autoctoni: un Primitivo, un Negroamaro e una Malvasia nera. Le fermentazioni e l’affinamento dei vini 900 avvengono nelle antiche cisterne con intonaco in cemento, scavate sotto la cantina, con controllo della temperatura (www.ducacarloguarini.it).

Il produttore Giovanni Guarini, proprietario della cantina Duca Carlo Guarini, nel suo nuovo B&B di charme a Scorrano

Dal Salento ci spostiamo in Veneto per ritrovare un altro gioiello dell’enologia italiana. È il Gioè, un Amarone della Valpolicella Doc Classico prodotto dall’azienda Santa Sofia di Pedemonte di Valpolicella (VR), un rosso intenso ed elegante che quest’anno compie cinquant’anni. Ottenuto da uve Corvina, Corvinone, Rondinella e Molinara appassite per circa 100 giorni, è sottoposto a una maturazione e a un affinamento lunghi: 24 mesi in botti di rovere di Slavonia, 18 in botticelle da 225 litri di rovere francese e due anni in bottiglia. Fu prodotto per la prima volta nel 1964, quando il produttore Giancarlo Begnoni ottenne un Amarone di speciale qualità dalle uve coltivate nella zona del Monte Gradella. Da allora ne sono state imbottigliate soltanto 17 annate e in un numero di bottiglie limitato, per esempio dell’annata 2007, la più recente, solo 14.779, numerate e rilasciate quest’anno. Molto originale l’etichetta piena di simboli: in controluce reca le 17 annate in rilievo, le date sono disposte come le colonne della villa palladiana sede delle storiche cantine, il logo del cinquantenario rimanda a un particolare del fregio della copertina dei Quattro libri dell’architettura Le cantine di Santa Sofia, produttori di Amarone. di Andrea Palladio (www.santasofia.com).

ospitava anche la francese FLORENCE GUYOT e la sua gamma di champagne in un tourbillon di musica, degustazioni, chef e colori. Soddisfazione anche a Vivit, con FEDERICO PIGNATI, presidente del consorzio Terroir Marche e fra i soci di Aurora. «È stata la nostra prima volta a Vinitaly ed è stata una grande sorpresa per noi. Un vero boom per interesse, affluenza, contatti, visitatori italiani ed esteri, con una grande affluenza di buyer da Nordamerica, Germania, Danimarca, Olanda e Nord Europa». Per BRAD JENSEN, fondatore dell’americana Bon Vivant, «a New York, ma anche in altre città, i consumatori stanno scoprendo e iniziano a guardare oltre al Pinot grigio e al Chianti. Io cerco cantine familiari, biologiche, sostenibili e di tutti i prezzi, fino al top».

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Affollatissimo lo spazio di Florence Guyot, titolare della Maison Marguerite Guyot, che ha ospitato Simone Fracassi, titolare dell’omonima macelleria di Castel Focognano (AR) e Ivan Albertelli dell’Hostaria da Ivan di Fontanelle di Roccabianca (PR). I due hanno presentato piatti a base di carne e salumi.

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1) Marina Danieli e Giorgio Grai, enotecnico consulente presso varie aziende, che ha portato i suoi vini a Vinitaly. 2) Anche a questa edizione di Vinitaly l’azienda agricola Masi. 3) Frantoio Franci, Montenero d’Orcia (GR). Nello stand Giorgio Franci. 4) I salumi di Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense (PR). 5) Gian Antonio Visentin del Prosciuttificio Crosare, Crosare di Pressana (VR). 6) Presente Busti, l’azienda di Fauglia (PI), con l’ampio assortimento dei suoi formaggi. Per la canadese BARBARA PHILIP, portfolio manager per la distribuzione e responsabile per le selezioni di vino europei del British Columbia Liquor Branch–Bcldb (con un volume di affari di un milione di dollari), già a Vinitaly nel 2012, il Salone veronese «è un momento importante per conoscere piccoli produttori e per partecipare ai seminari organizzati da Vinitaly, perché è importante imparare e capire i prodotti».

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La grande varietà di territori e vini italiani è stata una scoperta anche per ESTHER LEE, executive director di Amber Wines, aziende distributrice con base ad Hong Kong: «Ho trovato molta più diversità di quanto mi immaginavo. Una volta eravamo orientati sulle regioni vinicole più importanti d’Italia, ma ora sappiamo molto di più delle regioni meridionali della penisola». YVONNE CHEUNG, sommelier di Upper House di Hong

Kong ha messo l’accento sulla varietà dei vini italiani: «C’è così tanto vino qui a Vinitaly che mi piacerebbe poter rimanere un mese intero. Ho trovato molti vini di tutti i tipi e di tante regioni». Di Hong Kong anche JAMES ELLIOT FABER, sommelier al Yardbin/ Ronin, che «cercherà di essere a Vinitaly ad ogni opportunità, perché ci sono ancora molti vini da conoscere e a cui dare visibilità». Il

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MODENA

IL TERRITORIO DEI LAMBRUSCHI DOP

Lambrusco di Sorbara Lambrusco Salamino di Santa Croce Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Lambrusco di Modena

grande interesse del mercato di Hong Kong per i vini italiani è testimoniata anche da CHRISTIAN PILLSBURY, managing director di Applied Wines: «Conosco abbastanza bene i vini più noti a livello internazionale, non vedevo invece l’ora di scoprire nuove regioni. Non mi aspettavo però di scoprire cose nuove delle regioni più famose che già amo. I tasting che ho seguito hanno davvero aperto la mia mente al concetto di qualità. Venire a Vinitaly è stata per me una grande opportunità». «L’affluenza di buyer dall’estero a Vinitaly in costante crescita negli anni — ha infine dichiarato GIOVANNI MANTOVANI, direttore generale di Veronafiere — è una dimostrazione della centralità della nostra manifestazione per gli operatori professionali di tutto il mondo. Con 56.000 presenze estere quest’anno su un totale di 155.000 saliamo al 36% di buyer internazionali. Nella top ten abbiamo al primo posto la Germania, con gli USA quasi a pari merito; seguono Gran Bretagna, Canada, Russia, Svizzera, Asia con Singapore, Hong Kong e Cina, la Francia al settimo posto, Austria, Giappone. All’undicesimo posto i Paesi Scandinavi con Danimarca, Svezia e Norvegia». L’appuntamento con la 49a edizione di Vinitaly è a Veronafiere dal 22 al 25 marzo 2015. Laura Franchini

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www.enzopancaldi.it

La Cantina d’Isera di Isera, Trento.

www.lambrusco.net


Oltre Vinitaly

ViniVeri e VinNatur, un altro vino è possibile di Riccardo Lagorio

A

manifestazioni chiuse, tutte vantano successi clamorosi. Almeno quelle che possono contare su uffici stampa strutturati (spesso asfissianti, enfatici e, di conseguenza, inefficaci). Chissà cosa scriveranno nell’ottobre del prossimo anno riguardo ad Expo 2015, che proprio in questi giorni risulta nell’occhio del ciclone per appalti ed infiltrazioni in odore di mafia… Esistono poi manifestazioni che scivolano via quasi in sordina e di cui i mezzi di comunicazione sono restii a dare informazione perché davvero sono successi ottenuti con risorse contenute e sprechi inesistenti. Durante i giorni di Vinitaly si è ad esempio celebrata l’undicesima edizione di ViniVeri 2014, vino secondo Natura, tenutasi presso l’Area espositiva di Cerea, nel Veronese, dal 5 al 7 aprile. Un successo non scontato, visto la (rituale) concomitanza di fiere parallele, volte ad intercettare le migliaia di persone, consapevoli e curiose, che

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dimostrano crescente consapevolezza e propensione verso prodotti ecosostenibili. Un’edizione affollatissima, stavo per scrivere: un’ottima annata, con il record di vignaioli partecipanti (oltre 150) e 14 espositori del mondo agroalimentare. Toccante l’intervento di EMMANUEL GIBOULOT, viticoltore francese condannato dal tribunale di Digione per essersi rifiutato di utilizzare pesticidi nelle proprie vigne (in un mondo normale avremmo dovuto aspettarci semmai il contrario…). La grande risposta del pubblico di appassionati e dei tanti addetti del settore (importatori, distributori, ristoratori, enotecari) è il sintomo più

evidente della necessità di ripensare i modelli economici e di produzione alimentare. La norma di produzione dei vignaioli invitati e presenti tende qui a ripristinare l’equilibrio con la natura e nel pieno rispetto del paesaggio per raggiungere, senza l’uso della chimica di sintesi e di stabilizzazioni forzate in cantina, il miglior equilibrio tra l’azione dell’uomo e i cicli della natura. A Cerea quindi, come ormai sembra assistere ad una tradizione, un altro mondo è possibile, un mondo che premia la biodiversità e l’indipendenza dai poteri forti, dalle lobby monopolizzatrici, dai risultati scontati in bottiglia. Difficile fare

“Biodiversità e Natura sono i temi portanti delle due manifestazioni che si tengono nel Veronese e nel Vicentino. Soddisfazione da parte degli organizzatori, tanto più se si considera lo svolgimento dei saloni paralleli al più noto Vinitaly” Premiata Salumeria Italiana, 3/14


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A sinistra: Mattia ed il padre Odilio Antoniotti dell’omonima azienda di Sostegno (BI) a ViniVeri. A destra: Michele Laluce ha presentato il suo Aglianico a VinNatur. una classifica dei vini che abbiamo assaggiato. Tuttavia, a pari merito, ne vogliamo ricordare alcuni (che meriterebbero tutti essere citati nella rubrica “Vini di Natale”, in uscita a dicembre). Bella scoperta il Cupersito di Casebianche (www.casebianche. eu), Aglianico del Cilento, rubino intenso, naso ampio con note di ciliegia e mora. Note lontane di menta, pepe, liquirizia e un non so che di agrumato. Alla bocca polposo il morso al bicchiere, lungo e delicato. Sorprendente il Pramartel dell’Azienda Agricola Antoniotti di Sostegno (BI), vino d’invecchiamento da uve (70% Nebbiolo, 20% Croatina più Vespolina ed Uva Rara) fermentate per 12 giorni in vasche vetrificate completamente interrate. Bel colore rosso mattonato, profumo di frutti rossi e rosa, abboccato ancora giovane con mineralità accentuata, da ricercare profonda e lunga. Mattia e il padre Odilio portano avanti una tradizione familiare di oltre trecento anni. Al femminile invece sono gestite le Fattorie Romeo del Castello di Randazzo (CT; www.romeodelcastello. it). Chiara Vigo rappresenta l’ultima generazione. L’eruzione vulcanica del 1981 ha sepolto alcune decine di ettari e oggi rimane lo straordinario spettacolo di una colata lavica che miracolosamente ha deviato il suo corso davanti alla vigna vecchia. Da qui l’Allegracore (Nerello mascalese e, in

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piccole quantità, Nerello cappuccio), rosso rubino, dal naso di amarena e spezie, minerale e complessa la bocca. Secolare esperienza la famiglia di Irene Cameli nella preparazione di vino è assodata. Ma solo per uso familiare. Al 2002 risale la prima bottiglia di Ozio, Montepulciano serioso e denso, profumato e tannico, raccontato da Giovanni Allevi, omonimo del giovane musicista marchigiano. Altrettanto sinfonico (www.vinorossomarche.it). Da vecchi vigneti a Borgo Mozzano (LU) uno splendido Campo Caturesi IGT, elaborato anche con vitigni non riconosciuti. Dal 2003 l’azienda Macea (www.macea. it) lavora in regime biodinamico, vinificazioni spontanee senza utilizzo di lieviti selezionati e quantità minime di solforosa. Se ne ottiene un vino unico, dall’ampia personalità e spettro olfattivo infinito. Negli stessi giorni a Villa Favorita (Sarego, VI) con VinNatur (www. vinnatur.org) si sono riuniti oltre 140 produttori da 7 diversi Paesi, dando vita ad un policromo incontro con tema il vino naturale. Qui i visitatori sono stati oltre tremila, ma il dato da sottolineare è il continuo incremento, anno via anno, di distributori, ristoratori ed enotecari che scelgono di venire per trovare vini interessanti (e novità) da proporre ai loro clienti. Tanti gli stranieri che preferiscono avvenimenti di questo tipo, specie con

l’inserimento di una sala d’assaggio riservata ai professionisti dove ci si può avvicinare al vino a temperatura adeguata, lontano dal trambusto. Un’anteprima, se così si può dire, dei due eventi la si era avuta dal 15 al 17 febbraio a Reggio Emilia con “Sorgentedelvino”, dove avevano partecipato oltre 150 vignaioli consapevoli che l’uva sana e ricca di sapori ottenuta senza l’utilizzo di chimica di sintesi si sa trasformare in ottimo vino. Banditi anche da loro quegli interventi che permettono facili scorciatoie in cantina. Rispetto alle due iniziative primaverili abbiamo notato un approccio più politico nell’incontro “Finanza sana e agricoltura etica”, poiché i comportamenti messi in pratica ogni giorno dai vignaioli presenti rispecchiano un’etica profonda di rispetto per l’ambiente e per i consumatori che assumono il loro vino. Scelte strategiche che impongono riflessioni su come relazionarsi con il territorio, come distribuire i vini e come finanziare la propria azienda agricola. In questo la prima Mutua Auto Gestione MAG6 ha giocato un ruolo fondamentale. Per quanto riguarda i vini, ovvero l’aspetto fondamentale dell’evento, la Malvasia di Candia aromatica di Andrea Cervini di Travo (PC; telefono: 335 7597119) dal colore di buccia di cipolla si distingue per

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REGGIANO prima che

LAMBRUSCO

Giovanni Allevi con una bottiglia di “Ozio”.

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A.D. ANAM CARA COMUNICAZIONE

FOTO: CARLO GUTTADAURO

l’aromaticità propria del vitigno dove si percepiscono profumi che vanno dal melone all’albicocca essiccata ed infine l’arancia. Bocca contrassegnata da tannini in equilibrio tra loro sino ad avvolgersi intorno ad un lungo finale di mandorla amara. Davvero sorprendente l’Aglianico Le Drude di Michele Laluce (www. vinilaluce.com) per la sua trama larga ed avvolgente, tannica pure, lunga e odorosa di spezie. Le ultime propaggini del Vulture sono percepibili nella mineralità lavica. Magliocco canino invece quello presentato da Casa Comerci di Nicotera (VV; www.casacomerci.it) nell’etichetta Libìci, rosso rubino con spiccate note floreali, fresco e lontano dall’opulenza di certi vini del Sud, dal sapore rotondo e strutturato. Da un’area che ha riscosso notevole impatto mediatico, la Franciacorta, Casa Caterina di Aurelio Del Bono (telefono: 328 2123573) dimostra come si possa essere sganciati dagli stilemi imperanti e fare ottimi vini. Numerose le etichette proposte da Del Bono, tutte senza dosaggio e con almeno 60 mesi di passaggio sui lieviti, apprezzate da un pubblico certo più accorto di quello massificato e mistificato che scodinzola di fronte ai nomi più diffusi. Proprio questo l’obiettivo di iniziative con la volontà di dare voce ad un saper fare altrimenti occultato. Riccardo Lagorio

www.vinireggiani.it


Venti positivi su SIAL Paris 6.000 espositori e 150.000 visitatori qualificati: SIAL Paris 2014, l’appuntamento business della filiera agroalimentare mondiale, si terrà dal 19 al 23 ottobre al Quartiere delle Esposizioni di Paris Nord Villepinte-Francia

A

pochi mesi dall’inizio del SIAL, il più importante appuntamento fieristico per il comparto alimentare in Francia a livello internazionale, gli indicatori segnalano una situazione positiva, con dati che lasciano prevedere un’annata eccezionale. «Sono 50 anni che SIAL Paris offre opportunità di business agli operatori dell’agroalimentare. Anche quest’anno il salone si presenta come una vetrina del dinamismo imprenditoriale dell’industria mondiale del food, uno spazio di networking esemplare, un saldo punto di riferimento dell’innovazione mondiale! Vera e propria piattaforma commerciale, SIAL Paris è, soprattutto in

un periodo di crisi, una leva efficace per sviluppare la propria attività» dichiara NICOLAS TRENTESAUX, direttore di SIAL Group. Punti forti di questa edizione saranno: • la presenza massiccia della Francia, primo paese espositore; • una copertura del 100% della filiera agroalimentare con il lancio di un settore, “Attrezzature e Servizi”, che completerà l’offerta tradizionale di materie prime, semi-trasformate ed elaborate; • un’importante dinamica nell’ambito dei settori Freschi, come la Frutta e gli Ortaggi al posto d’onore nell’ambito di SIAL Innovation.

• • •

oltre 150.000 compratori internazionali, di cui il 54% proveniente dalla distribuzione mondiale; 100% delle insegne mondiali rappresentate nel 2012; 18% provenienti dalla ristorazione food; 24% provenienti dalle IAA.

>> Link: www.sialparis.com

Il SIAL è una delle più importanti fiere dell’agroalimentare. Sono 6.000 gli espositori che parteciperanno nel 2014.

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Eurocarne 2015: integrazione di filiera e gestione diretta

I

nternazionalizzazione, storicità e integrazione verticale di filiera. Sono i pilastri su cui poggia EUROCARNE, alla vigilia della sua 26a edizione, in programma dal 10 al 13 maggio 2015. Da domenica a mercoledì, con una formula inedita e molto più business-oriented, senza tuttavia dimenticare lo spettacolo e l’attenzione verso i consumatori. Il salone triennale dedicato alla filiera e all’industria della carne accelera sulle novità, per abbracciare innanzitutto la trasversalità della filiera, un valore aggiunto per potenziare il business network e pianificare politiche di innovazione e sviluppo in maniera sinergica. Eurocarne 2015 coinvolge tutti gli attori del comparto meat, dall’allevamento al banco vendita. Non soltanto macchine, dunque, anche se l’area delle new tech avrà chiaramente una forte attenzione come elemento chiave anche per promuovere la sicurezza alimentare, la salubrità e l’igiene degli alimenti, l’efficienza economica e la sostenibilità ambientale. Eurocarne di Verona si candida a diventare l’unica vera piattaforma di Expo 2015 per il comparto carneo, grazie all’elevata specializzazione, alla dinamicità e

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all’attenzione esclusiva che viene rivolta a tutta la filiera. La gestione diretta La rivoluzione di Eurocarne passa anche dalla cabina di regia, che sarà unica e in mano a Veronafiere, aspetto già in passato sollecitato da numerosi player della filiera. Tra i vantaggi della gestione diretta, in particolare, l’utilizzo di database integrati su più manifestazioni che si svolgono a Verona, da Fieragricola per l’allevamento a Vinitaly, Sol&Agrifood per quanto concerne i settori bar ristorazione, fino alle peculiarità specifiche di Eurocarne. La rete internazionale La gestione diretta, inoltre, ha già permesso di attivare i delegati esteri di Veronafiere, presenti in oltre 60 uffici nel mondo. Ed è stato messo a punto un sistema di trade matching e una selezione più accurata per i buyer di alto profilo. I Paesi target sono già stati in larga parte individuati, sulla base delle indicazioni delle aziende del settore. Eurocarne si è attivata sottoscrivendo specifici accordi con mobility partner internazionali, non soltanto per favorire l’incoming di

operatori esteri, ma anche per offrire un pacchetto comprensivo di visite tecniche in aziende di produzione, tour enogastronomici e percorsi culturali sul territorio. Mercato, b2b e show cooking Eurocarne si rinnova potenziando l’approccio al mercato e organizza le “Giornate del business per la GDO”. Lo scopo è quello di favorire un dialogo più diretto fra espositori e grande distribuzione, che rimane uno dei canali di più ampio respiro per la vendita di carne, proiettato sempre più a qualificarsi con figure professionali al servizio della clientela. Durante il Salone internazionale della carne di Veronafiere, inoltre, verranno organizzati specifici servizi di intermediazione, senza dimenticare i focus sui grandi temi, dalle certificazioni all’etichettatura. Un’attenzione specifica sarà assicurata ai nuovi segmenti emergenti, come le carni certificate Halal e Shecḥitah. E siccome non esiste fiera senza spettacolo, Eurocarne affianca al business anche gli show-cooking, per scoprire come valorizzare al meglio la carne. Eventi resi possibili grazie ai macellai, veri maestri artigiani della grande tradizione italiana.

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La filiera della carne si dà appuntamento a Verona: dall’allevamento al piatto, Eurocarne sposa la linea della filiera verticale ad alta specializzazione. Un valore aggiunto non indifferente, a partire dalle opportunità di dialogo, accanto al business. «Nessun’altra manifestazione italiana sul settore carneo vanta la medesima integrazione», osserva il direttore generale di Veronafiere Giovanni Mantovani. Fra i settori presenti ci saranno le società di mediazione e import export, gli impianti e le attrezzature per la macellazione, la lavorazione, la trasformazione delle carni e la refrigerazione, attrezzature, piccole macchine, accessori, additivi e materiali per la lavorazione delle carni, attrezzature e materiali per l’igiene e la sicurezza ambientale, allestimenti per gli ambienti di lavoro e i punti vendita, macchine e attrezzature per i punti vendita, sistemi e attrezzature per la movimentazione interna e il magazzinaggio, la pesatura industriale, macchine, accessori e attrezzature complementari, tecnologie e materiali di imballaggio e confezionamento, carni fresche e congelate, servizi. E poi i consorzi di tutela e il mondo allevatoriale, perché la qualità delle carni parte dalla zootecnia, filiera nei confronti della quale l’Italia assicurerà grande attenzione, con una dote sugli aiuti accoppiati nel primo pilastro della PAC superiore ai 300 milioni di euro.

I numeri dell’edizione 2012: la 25a edizione di Eurocarne ha registrato numeri significativi, 318 espositori, di cui 93 esteri provenienti da 21 paesi; 16.067 visitatori, di cui 1.934 esteri provenienti da 67 paesi; oltre 200 buyer internazionali provenienti da 18 paesi; più di 20 convegni, dibattiti, approfondimenti tecnici e scientifici in soli 4 giorni. La superficie espositiva si è attestata su m2 12.489 di superficie netta utilizzata, di cui 1.119 dedicata agli special show; 4 i padiglioni occupati; 3 le aree dimostrative all’interno del Meat District. Per l’edizione 2015 sono previsti circa 20.000 visitatori, in aumento rispetto alla precedente edizione, anche per effetto di un’integrazione verticale di filiera e di una politica di internazionalizzazione gestita direttamente da Veronafiere, in completa autonomia. La Fiera di Verona detiene il 45% dell’offerta fieristica dell’agroalimentare italiano e, nel suo complesso, genera un volume d’affari che, con l’indotto, tocca il miliardo di euro.

Le associazioni di categoria Il Salone internazionale della carne sollecita le associazioni di categoria verso una partecipazione dinamica, legata ai contenuti dell’evento, ma soprattutto con l’obiettivo di instaurare un rapporto durevole, anche negli anni in cui la manifestazione non ha luogo. Veronafiere al servizio della manifestazione Non soltanto procedure più snelle e veloci grazie all’organizzazione diretta dell’evento. Eurocarne 2015 potenzia i servizi e la logistica al servizio degli espositori e dei visitatori. L’innovazione, infatti, passa anche da un rinnovato lay-out espositivo, che coinvolge tre padiglioni (9, 11 e 12), per un totale di oltre m2 16.000 espositivi. Ai visitatori della manifestazione sarà dedicato un ingresso specifico (Re Teodorico), mentre per gli espositori sarà messo a disposizione il servizio di parcheggio interno al quartiere fieristico.

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Comunicazione più mirata La comunicazione di Eurocarne sarà strutturata con una forte accelerazione sul versante internazionale, raggiungendo i paesi target individuati dagli espositori. Per la prima volta sarà disponibile un magazine on-line — “Eurocarne Post” — per rimanere aggiornati sulle tematiche più attuali del comparto 365 giorni l’anno, indipendentemente dalla durata della manifestazione, e sui prodotti proposti dalle aziende espositrici, grazie a interviste e approfondimenti tecnici. A supporto della comunicazione tradizionale sarà integrata un’attività sui principali social network, accanto alla promozione dell’evento sulle principali testate di settore e website in Italia e all’estero con redazionali di approfondimento, azioni di “direct mailing” e “newsletter”. Un’attività di promozione diretta è prevista anche durante le principali manifestazioni e gli eventi del settore a livello italiano e internazionale.

Note A pagina 96, The meat district (photo © Ennevi-Veronafiere).

Informazioni utili • • • • •

• • • •

Padiglioni 9 - 11 - 12 Superficie espositiva: m2 16.040 Ingresso dedicato: Re Teodorico Parcheggio interno riservato agli espositori: (area C e D) Parcheggi riservati visitatori adiacenti agli ingressi: Multipiano e Re Teodorico Date: 10-13 maggio (nuova formula da domenica a mercoledì). Orari: 9:00 – 18:00 Ingresso singolo: € 15,00 in cassa, € 10,00 in prevendita on-line Abbonamento valido per tutti i giorni di manifestazione: € 28,00 in cassa, € 18,00 on-line

>> Link: www.eurocarne.it

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Nutrizione

Bresaola della Valtellina Igp, l’anti-age nel piatto La bresaola garantisce un adeguato apporto proteico, fondamentale per il mantenimento dello stato di salute nel corso della terza età

L

e proteine hanno una funzione strutturale che le rende fondamentali in ogni fase della vita: dall’infanzia fino alla terza età. A partire dai 65 anni, soprattutto, si va incontro ad una riduzione progressiva del proprio peso, con conseguenti serie ripercussioni sulla salute fisica. Muscoli meno allenati e ossa più fragili aumentano infatti le probabilità di andare incontro a limitazioni dei movimenti e osteoporosi. Uno studio pubblicato nel 2010 su International Journal of Obesity ha evidenziato come una perdita uguale o superiore al 15% del peso corporeo sia associata a un aggravamento delle condizioni di salute di uomini e donne: anche nei soggetti in sovrappeso o obesi. Si tratta di un dato che fa riflettere e che ribadisce quanto sia importante, nel corso della terza età, seguire una dieta equilibrata e bilanciata in tutti quanti i nutrienti. Un’ampia ricerca epidemiologica, i cui risultati sono stati appena pubblicati su THE JOURNAL OF NUTRITION ha evidenziato come un adeguato intake proteico nel corso della terza età prevenga la perdita di peso e, di conseguenza, i possibili effetti negativi per la salute. Secondo le indicazioni diffuse attraverso i recenti LARN (Livelli di Assunzione Raccomandata di Nutrienti), con l’inizio della terza età — dai 65 anni in poi — la Società Italiana di Nutrizione Umana raccomanda, nello stesso modo a uomini e donne, di consumare 0,9 grammi di proteine al giorno, per chilogrammo di peso corporeo. Ciò vuol dire che un uomo che pesa 70

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chilogrammi dovrebbe consumare quotidianamente almeno 63 grammi di proteine. Livelli che, in un target di popolazione che tende a mangiare in maniera meno variegata, non appartengono alla dieta di molti anziani e

che, se non rispettati, li espongono a diversi rischi per la salute. «Una dieta equilibrata per un soggetto anziano deve prevedere che il 15% dell’energia introdotta arrivi dalle proteine», afferma GIUSEPPE PAOLISSO, professore

Fagottini di bresaola con burrata (photo © cuocavvenente.blogspot.it).

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Micronutrienti contenuti in 100 g di bresaola della Valtellina Igp MINERALI

Possibili secondi piatti e relativi apporti nutrizionali per porzione

Secondo piatto

Porzione equivalente a 100 g di carne, di pesce o di formaggi freschi, 50 g di salumi o di uova Energia (kcal)

Proteine (g)

Grassi (g)

Calcio (mg)

6

Fosforo (mg)

269

Prosciutto cotto senza grasso visibile

54

8,5

1,8

Magnesio (mg)

26

1 uovo

64

6,2

4,4

Potassio (mg)

630

Prosciutto cotto

69

7,9

3,8

Sodio (mg)

1.600

Merluzzo

71

17,0

0,3

Ferro (mg)

2,6

Bresaola della Valtellina Igp

76

16,6

1,0

Zinco (mg)

4,5

Prosciutto crudo senza grasso visibile

85

153

2,6

Rame (mg)

0,07

Petto di pollo

100

23,3

0,8

Manganese (mg)

0,02

Trota, filetto

118

20,3

4,1

Cotechino Modena Igp

126

11,8

8,1

Filetto di bovino

127

20,5

5,0

Zampone Modena Igp

131

11,9

8,7

Mortadella Bologna Igp

144

7,9

12,5

Spigola, filetto

146

21,3

6,8

Selenio (μg)

7 VITAMINE

B1 (mg)

0,41

B2 (mg)

0,13

B3 (mg)

2,74

Ricotta

146

8,8

10,9

B6 (mg)

0,52

Speck Alto Adige Igp

150

15,4

9,6

B12 (μg)

0,77

Orata, filetto

154

19,7

8,4

E (mg)

0,14

Mozzarella

253

18,7

19,5

Fonte: INRAN.

ordinario di Medicina Interna e Geriatria alla Seconda Università degli Studi di Napoli, nel pamphlet “Dieta per anziani in tempi di crisi”, presentato nel corso dell’ultimo congresso della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria. Non tutte le proteine, però, sono uguali. Quelle “nobili”, ritenute di maggiore qualità perché in possesso di tutti gli amminoacidi essenziali, sono una prerogativa della carne, in grado di apportare, prontamente e nelle proporzioni adeguate, tutti i “mattoncini” che saranno poi coinvolti nella sintesi di nuove proteine. Oltre alla regolare

Fonte: elaborazione dati INRAN.

pratica di attività fisica, dunque, l’organismo degli anziani ha bisogno di ingerire cibi ricchi in amminoacidi essenziali che l’uomo non è in grado di sintetizzare. L’allungamento della vita media ha reso necessario adeguare l’alimentazione alle particolari esigenze di un gruppo crescente di persone mature e anziane, fornendo loro alimenti con limitato apporto calorico, ma al contempo nutrienti e ricchi di fattori plastici. Per queste persone è importante scegliere alimenti gustosi, nutrienti e facilmente conservabili, come la Bresaola della Valtellina IGP: in gra-

do di apportare più di 33 grammi di proteine, di elevato valore biologico e di facile digestione, per cento di prodotto consumato. Per l’anziano è essenziale soddisfare il fabbisogno di alcuni micronutrienti: come calcio, fosforo e zinco. Anche il selenio è un minerale importante per contrastare l’invecchiamento, insieme a vitamine antiossidanti come la C e la E. Il gusto allettante e l’ottima appetibilità, insieme alla facile masticabilità delle sottili fette di Bresaola della Valtellina IGP, aiutano a soddisfare le esigenze nutrizionali di questa fase così delicata della vita.

Nato il 23 maggio 1998, il Consorzio per la tutela del nome Bresaola della Valtellina associa 15 produttori di Bresaola della Valtellina Igp. La denominazione protetta e il simbolo IGP sono utilizzati esclusivamente dai produttori della provincia di Sondrio, che si attengono al rigoroso Disciplinare di Produzione. In stretta collaborazione con l’Organismo di controllo CSQA Certificazioni Srl di Thiene (Vicenza) e con l’Ispettorato per il Controllo della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari, facente capo al Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, il Consorzio garantisce la provenienza del prodotto, ne promuove l’immagine e lo salvaguardia da imitazioni e contraffazioni. >> Link: www.bresaolavaltellina.it

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Formaggio

Masseria Bellimento: in tavola mai formaggio così a km 0 Da questo caseificio con annesso agriturismo in provincia di Lecce escono caciotte, mozzarelle, caciocavallo, cacioricotta e ricotta con mirto, timo e lentisco. Così tradizione e creatività prendono forma dalle mani dei fratelli Presicce e in un attimo il formaggio è servito di Massimiliano Rella

I

formaggi di Masseria Bellimento, curioso caseificio con ristorante nel Parco di Porto Selvaggio, Salento, fanno un viaggio brevissimo per arrivare in tavola. Preparati nel laboratorio della porta accanto, ogni fine settimana accompagnano i piatti della cucina agrituristica. Siamo nella campagna di Nardò (Lecce), a due passi dal mare e nell’area protetta di Porto Selvaggio e Palude del Capitano. Qui i fratelli Vincenzo e Giuseppe Presicce allevano mucche e capre ioniche, circa 60 bovini di varie razze e 350 ovini, tenuti tutti i giorni a brucare le erbe spontanee della macchia mediterranea per avere latte fresco e genuino. Gli animali pascolano in un ambiente sicuro e incontaminato, a pochi chilometri da piacevoli località come Porto Cesareo e Gallipoli. L’area del Parco, che con il suo bellissimo paesaggio di pinete e macchia mediterranea lambisce lo Ionio, fu sottratta alla speculazione edilizia degli anni ‘80 grazie all’opera di una politica locale, Renata Fonte, uccisa anche per aver denunciato strane operazioni che avrebbero compromesso il territorio. Fortunatamente per l’ambiente, e per i turisti alla ricerca di luoghi autentici, oggi questa zona è una bellissima riserva con poche costruzioni nella fascia di rispetto, pochissime nell’area protetta, e comunque preesistenti all’istituzione del Parco con legge regionale della Puglia nel 2006.

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La ricotta del caseificio di Masseria Bellimento viene “infarinata” di macchia mediterranea: mirto, timo e lentisco (photo © Massimiliano Rella).

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A sinistra: capre ioniche nel Parco di Porto Selvaggio e Palude del Capitano (Lecce). A destra: primosale farciti di essenze naturali (photo © Massimiliano Rella). Alla Masseria Bellimento, sulla strada per Sant’Isidoro, la famiglia Presicce realizza artigianalmente le sue specialità casearie: oltre a caciotte e mozzarelle, in formati diversi — dai nodini alle trecce — caciocavallo, cacioricotta, ricotta fresca, ricotta marzotica (di marzo), stagionata su uno strato di graminacee. Che nel 2007 è stata premiata a Cheese, la fiera dei formaggi che si svolge ogni due anni a Bra, Cuneo. Nel complesso il caseificio offre un bell’assortimento che include molto della pregiata e golosa tradizione pugliese in fatto di formaggi. In altri prodotti, invece, Masseria Bellimento ci mette del suo in termini di novità e creatività, come nella squisita ricotta Mediterranea, insaporita da una spolverata di mirto, timo e lentisco seccati e triturati, le tipiche erbe della macchia che danno al formaggio un profumo e un gusto particolari. Questa ricotta, asciugata per qualche giorno in cella, viene avvolta in un “trito di macchia”, che oltre a essere aromatizzante è anche un ossidante naturale e gli da una durata di 6-8 mesi. Più si lascia stagionare, più sviluppa muffe nobili. «La Mediterranea è una nostra specialità, nata in ricordo di nonno Mario, che amava la macchia e i profumi di Porto Selvaggio», ricorda la giovane Laura Presicce. Tra le specialità della casa troviamo anche vari primosale aromatizzati

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con peperoncino, mandorle, rucola e altre essenze naturali. In un territorio sottoposto a vincoli di tutela ambientale e ventilato dalla brezza marina, il latte ricco di proteine e carotene trasferisce ai formaggi anche salinità e profumi erbacei. Per la cagliata viene usato caglio dello stomaco di capretti o vitello, a seconda del prodotto che si vuole fare. Non si usano conservanti, tutto anzi è molto naturale. I prodotti sono venduti direttamente. A prezzi ottimi come i sapori: 11,00 €/kg per la Mediterranea, € 8,50 per la mozzarella, 12,00 €/kg i semistagionati, € 15,00 gli stagionati. Masseria Bellimento, tramite Slow Food, è nella comunità del cibo del Parco di Porto Selvaggio e Palude del Capitano, costituita per creare un nuovo interesse verso i piccoli coltivatori, allevatori e artigiani dell’area,

invogliarli a continuare le attività tradizionali e rivalutare le produzioni con iniziative che ne valorizzino le qualità organolettiche. Il ristorante di Masseria Bellimento è aperto solo nei fine settimana — sabato sera e domenica a pranzo — e ci si può fermare per assaggiare l’ottima cucina casalinga: le orecchiette fatte a mano condite con sugo e cacioricotta, la parmigiana di melanzane, la carne alla griglia e la verdura di campo. E ovviamente i formaggi di casa. Prezzo per ricco antipasto, frutta e dolce € 15,00, menu completo € 25,00. Massimiliano Rella Masseria Bellimento Litoranea Santa Caterina Sant’Isidoro, Strada Cucchiara 177 73048 Nardò (Lecce) Telefono: 0833 579963 Web: masseriabellimento.jimdo.com

All’Agriturismo della Masseria Bellimento di sera si cena all’aperto d’estate e d’inverno nella saletta con il soffitto a volte, là dov’era l’antico granaio. Oltre al formaggio, sempre all’insegna della genuinità si portano in tavola le verdure dell’orto, pasta fatta in casa e naturalmente piatti a base di carne. Il tutto annaffiato da buon vino: Negroamaro delle vigne neretine e Chardonnay (photo © Massimiliano Rella).

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Pasta

Filindeu, la pasta come non l’avete mai vista (fare) Con un nome altisonante che rievoca il creatore e gli angeli, questa specialità tipica di un paesino del nuorese conferma di quali rarità culinarie sia fatto il panorama gastronomico nazionale. Trovarla è una caccia al tesoro, ma nessuno si è mai pentito di portarla sino in fondo di Sebastiano Corona

T

rentacinque euro per un chilo di pasta secca non sono pochi, anzi. Eppure qualcuno è disposto a spenderli e senza lamentela alcuna. I fortunati che riescono a procurarsi un piatto della specialità tipica di cui parliamo fanno poche storie. L’unica cosa di cui si lagnano è che non si possa fare il bis per mancanza di prodotto. Su filindeu è così: più simile ad un gioiello che ad un cibo e del gioiello ha tutte le caratteristiche, dalla bellezza alla rarità. Sulla storia, il nome e la provenienza di questo tipo di pasta esistono diverse scuole di pensiero. In tanti sostengono che quei fili di Dio in realtà altro non siano che capelli di Dio. Ma per la loro finezza e raffinatezza altri ritengono che il termine si riferisca invece ai capelli d’angelo. In ogni caso il nome è di origine araba e significa proprio “capello”, ad indicare e sottolineare la sottigliezza della pasta. Nel metodo di preparazione si intravedono invece similitudini agli spaghetti di riso cinesi. Non si creda però che il pregio di questo piatto risieda nella materia prima. Certo, la semola di grano duro utilizzata deve essere di ottima qualità, ma ciò che fa la differenza è la lavorazione, un processo lungo ed impegnativo che riesce solo a mani con abilità non comuni. Non è infatti un caso se questo particolare formato di pasta, dopo l’essiccazione,

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assomigli ad uno scampolo di stoffa o, meglio, ad un fazzoletto di lino chiaro che del tessuto porta la caratteristica eleganza sobria e la finezza delle trame. Ogni processo di lavorazione ha qualcosa di attraente: il fascino di ciò che lentamente, passaggio dopo passaggio, si crea sotto gli occhi dello spettatore incuriosito. Ma in questo caso la lavorazione è davvero scenografica, ai confini con il liturgico. Assistere a questo rito ha infatti un non so che di sacrale a cui, per dovuto rispetto, si assiste in religioso silenzio. Niente deve distogliere la massaia

dal lavoro in cui è assorta perché la concentrazione deve essere massima. Ma si è certi che ad interromperla non sarà il pubblico presente. Sbalordito e allo stesso tempo stregato da quello spettacolo raro, non riesce infatti a proferire parola. Nemmeno la descrizione più particolareggiata renderebbe giustizia ad un momento che, più che un processo produttivo, sembra una cerimonia in cui la pasta trova la sua massima commemorazione. Vedere una donna preparare su filindeu rende l’esatta idea della ritualità di certi cibi ricchi di storia e di identità. Vale la pena

L’impasto di su filindeu è costituito da semola di grano duro, acqua e un pizzico di sale e viene lavorato rigorosamente a mano.

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di cercare su internet dei video che illustrino quale impegnativo lavoro manuale comporti preparare un chilo di questa specialità. L’impasto, costituito da semola di grano duro, acqua e un pizzico di sale, manco a dirlo, viene fatto rigorosamente a mano. Solo dopo una faticosa opera di amalgama si divide in piccole porzioni che vengono ulteriormente lavorate sino a prendere la forma di grissini lunghi e fini, del peso di un etto circa. Lo “spaghettone” che si ottiene viene così tirato con entrambe le mani, perché diventi di mezzo metro circa e assuma le sembianze di un filo più sottile. È così che si uniscono le estremità e si ottengono due spaghetti ancor più fini. Poi si ripete l’operazione e i fili diventano 4, poi 8, poi 16, e via discorrendo sino a 256. Giunti a questa fase del procedimento, la pasta ottenuta viene adagiata su una base di legno che ha una forma circolare e il diametro di una settantina di centimetri. Dopo aver ripetuto per una seconda, per una terza e una quarta volta tutto il procedimento, altri fili vengono aggiunti, sino a coprire l’intera forma. Ed è così che viene creata una fitta trama orizzontale a cui verrà sovrapposta un’altra rete di uguale dimensione, ma in senso diagonale rispetto alla precedente, e poi una terza ed ultima che andrà a completare la prima fase dell’opera. A questo punto l’intera base con la pasta è messa al vento ad asciugare, sino ad essiccarsi e ad assumere la consistenza vitrea, ideale per la conservazione.

Più simile ad uno scampolo di tessuto che ad una lasagna, questa pasta meravigliosa viene trattata con delicatezza per evitare che, una volta essiccata, si sbricioli e perda consistenza. Viene infatti tagliata a mano per essere cotta e consumata. La preparazione classica prevede un connubio con brodo di pecora nel quale non viene messa a bollire come si fa in maniera classica, ma è frantumata dentro il liquido caldo in cui è stato aggiunto formaggio pecorino fresco. Quest’ultimo si fonde nel brodo bollente e dopo un solo minuto il piatto è servito. Il lavoro che questa preparazione implica mal si concilia con la nomea di piatto povero che gli è stata attribuita nel nuorese. E certamente il termine di “minestra” cozza con quanto in tanti sono disposti a pagare per gustarne una porzione. Il prezzo però, secondo le leggi economiche, non è fatto solo dal lavoro e dal costo che implica la produzione di un certo bene, ma anche dall’offerta e dalla domanda. In questo caso — l’abbiamo già ampiamente detto — la produzione, seppur povera in termini di ingredienti, è lunga e laboriosa e per questo motivo il prodotto è difficile da reperire. Raramente troverete infatti questo capolavoro culinario nei ristoranti o nei negozi, compresi quelli specializzati. Ed è altrettanto difficile assaporarne un piatto nei contesti domestici delle famiglie isolane perché solo poche massaie del centro Sardegna lo sanno ancora fare. Tuttavia, le donne che preparano su

Per “comporre” questa specialità come vuole la tradizione, si prepara un robusto brodo di carne di pecora nel quale si frantuma letteralmente la rete de su filindeu. A cottura ultimata, si condisce con pecorino fresco che il calore rende filante. filindeu ancora ci sono e questo ha permesso al prodotto di diventare presidio Slow Food. Di sicuro lo troverete alla festa di San Francesco, a Lula (si veda box), in occasione della quale su filindeu non deve e non può mancare. Non a caso lo si prepara con settimane d’anticipo per i pellegrini. Nel rito della sua preparazione è custodito il segreto della lavorazione che speriamo le donne barbaricine non smettano mai di tramandarsi. Sarebbe un vero sacrilegio non avere più la possibilità di assaporare un piatto di minestra di filindeu, a qualunque prezzo ci venga proposto. Sebastiano Corona

Quello del 1º maggio, per il Santuario di San Francesco di Lula, a qualche chilometro da Nuoro, è un evento rinomato in tutta la Sardegna. È una sagra campestre che conferma ogni anno la devozione della popolazione di Lula verso il santo. Ma tale devozione va ben oltre i confini territoriali di Lula, tanto da aver richiesto la costruzione delle cumbessìas: gli edifici che fungono da foresteria per i pellegrini provenienti da lontano. Come sempre, devozione fa rima con leggenda e i partecipanti alle celebrazioni di San Francesco di Lula il 1º maggio, così come il 4 ottobre (altra data della sagra campestre), sentiranno raccontare la storia della fondazione del santuario. In essa si narra che la chiesa è stata voluta da un brigante, come proscioglimento di un voto che lo legava al santo. «…Era notte; le lampade oscillavano davanti all’altare, spandendo ombre e luci tremule nella chiesa deserta: il gran Santo, cupo, pareva assopito tra i suoi fiori d’ogni mese…» Così GRAZIA DELEDDA, la scrittrice di Nuoro, Nobel per la letteratura, descrive il Santuario di San Francesco nell’opera Elias Portolu (1900). E così appare la statua lignea, di secentesca fattura napoletana, che rappresenta il santo ed è tuttora impiegata durante la lunga processione verso Nuoro. Dopo i riti spirituali e folcloristici previsti dalla novena di San Francesco di Lula, parte il pellegrinaggio dei fedeli che si recano a Nuoro portando il simulacro del santo. Lungo la processione non viene trascurato l’aspetto culinario. Quelle del 1º maggio e del 4 ottobre, a San Francesco di Lula, sono le due migliori occasioni in Sardegna per assaporare piatti molto particolari come su filindeu e su zurrette (sanguinaccio).

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Vino

VIP: Visti Io Personalmente al 46o Vinitaly di Angelo Valentini

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ome mio solito, ho partecipato anche quest’anno al Vinitaly, in occasione della sua quarantaseiesima edizione: affluenza di pubblico qualificato, tanti operatori, provenienti soprattutto dai mercati emergenti di origine asiatica (in particolare cinese) e da quelli brasiliano e americano. La qualità del vino italiano rassicura i palati più esigenti: ho avuto modo di degustare vini da meditazione all’altezza dei grandi Sauternes, uno fra tutti il Vino Santo della Cantina Toblino (via Longa 1, 38072 Sarche di Calavino, Trento; telefono: 0461

564168, www.toblino.it), un’emozione unica, per la sua eleganza, espressa dal colore ambrato e dai complessi profumi di nocciola tostata, per il gusto pieno, oserei dire grasso, ricco di glicerina, in virtù dell’appassimento delle uve su graticci di acciaio inossidabile, dove sostano circa otto mesi per la disidratazione delle acque di vegetazione. Si vendemmia l’uva Nosiola in settembre e si ammostano i chicchi appassiti nella settimana santa; la sanità dei grappoli è favorita dalla ventilazione garantita dall’Ora del Garda che si infila lungo la valle dell’Isarco. Il prezzo, rispetto a uno

Château d’Yquem, è addirittura ridicolo, e magari c’è anche chi, per uno strano scherzo dell’umana psiche, data la sua convenienza, lo ritiene un prodotto scadente. Io lo conoscevo bene per avere visitato la cantina qualche anno fa e non lo avevo dimenticato. Provatelo dopo un lauto pranzo o nella siesta pomeridiana, rilassati in una comoda poltrona. Dall’estremo nord vado in Sicilia in quel di Marsala, dove assaggio altri vini da dessert di nobile lignaggio proposti dalla cantina Baglio Baiata (Contrada Amabilina, via Salemi, 752, 91025 Marsala, Trapani; telefo-

Ottimi contatti, molto estero, Asia soprattutto, e tante pubbliche relazioni: ecco la fotografia di Vinitaly 2014 scattata dalla maggioranza dei produttori italiani presenti alla storica rassegna veronese (photo © Ennevi-Veronafiere).

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no: 0923 981022, www.alagnavini. com); anfitrione del frequentatissimo stand ETTORE ALAGNA, proprietario da alcune generazioni e valente enologo. Lo spirito della famiglia Alagna è rivolto alla conservazione delle tradizioni, legate al portafoglio ampelografico locale, avvalendosi della moderna tecnologia, che preserva i valori organolettici del prodotto, un tempo dispersi, causa la scarsa conoscenza tecnologica e la mancata introduzione del freddo nei processi della fermentazione. Tralascio di descrivere i vini da pasto legati ai vitigni autoctoni, quali il Grillo e il Nero d’Avola, per soffermarmi sul classico Zibibbo, vino da dessert da sposare con tutti i dolci da forno. Gli Alagna, in quel di Marsala, hanno sempre prodotto vini, in particolar modo il Marsala (o la Marsala), nella versione dolce e vergine, quest’ultima indicata per l’abbinamento a formaggi di qualsiasi tipo, o come aperitivo naturale, originata dai classici vitigni, Grillo, Catarratto e Inzolia. Strepitoso l’assaggio di un Vermouth, prodotto d’altri tempi realizzato con l’unione di vini bianchi scelti e di una grande varietà di erbe aromatiche. Mi ha ricordato quello della mia infanzia, sempre presente nei conventi e monasteri, dove veniva offerto, dopo la messa, al sacerdote celebrante, e un goccio veniva concesso anche al chierichetto. Sempre nell’immenso padiglione della Sicilia, rimanendo nella zona di Marsala, ho degustato vini da pasto di grande struttura ed eleganza assieme all’enologo GIACOMO ANSALDI, della Cantina Fazio di Erice (via Capitano Rizzo 39, 91010 Fulgatore – Erice, Trapani; telefono: 0923 811700, www. casavinicolafazio.it), esperto di altissimo livello e ricercatore, in possesso di una fornitissima biblioteca, che da bibliofilo gli invidio. La cantina si avvale di un‘altra presenza d’eccezione: BRUNO ALVISINI, direttore commerciale, con un passato di tutto prestigio, un uomo dotato di forte carisma, grande conoscitore del mercato e delle persone che sceglie come collaboratori. La filosofia di questa cantina è quella di produrre vini che si pos-

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sono bere tutti i giorni, quindi con un rapporto prezzo qualità più che giusto. Come, ad esempio, un MüllerThurgau coltivato a 450 metri sul livello del mare, che ha trovato lo stesso habitat del natio Trentino; un Nero d’Avola denominato Pietra Sacra, pluripremiato dalle giurie di degustazione, e uno Zibibbo denominato Ky, immagino, dal greco Kylis. Fuori della fiera molte cantine hanno organizzato serate di degustazione a tema. Il tutto esaurito lo ha segnato la casa vinicola Santa Margherita del conte MARZOTTO (Via Ita Marzotto 8, 30025 Fossalta di Portogruaro, Venezia, telefono: 0421 246111, www.santamargherita.it), presso il Palazzo della Gran Guardia in piazza Bra, con la partecipazione di migliaia di clienti e operatori del settore, allietata da un piacevolissimo sottofondo musicale, vini di varie regioni italiane, scelti in giusto abbinamento alle specialità gastronomiche. Altro appuntamento importante in un palazzo gentilizio del centro storico di Verona, organizzato dalla cantina salentina Feudi di San Marzano, produttrice di vini rossi importanti, dove il Primitivo ha dato il meglio di sé con il Sessantanni, insieme al Negroamaro in purezza denominato F. Due grandi vini da vitigni autoctoni, un tempo esportati per dare forza agli anemici vini del Nord Italia. Chiudo la carrellata degli assaggi con il Centro Italia, descrivendo la cantina BroGal Vini (via degli Olmi, 9, 06083 Bastia Umbra, Perugia; telefono: 075 8001501, www.brogalvini. com), situata all’ombra della città di Assisi, che produce vini mistici e francescani, in perfetta armonia col territorio, dove convivono assieme agli ulivi piccoli di statura come Santo Francesco vini comprensibili come il Cantico delle creature, da bere in ogni occasione. Su tutti spicca un Grechetto chiaro come Chiara d’Assisi: non per niente le vigne fanno parte della Strada dei Vini del Cantico. Tornando alla manifestazione veronese, devo dire che produttori, enotecnici e sommelier hanno tradotto la scienza enologica al top. Anche gli architetti che hanno disegnato

Fuori casa il vino è donna a tutte le età, mentre gli uomini bevono di più tra le mura domestiche: questo è ciò che emerge da una delle ricerche realizzate da Vinitaly e presentate nel corso della manifestazione (photo © Ennevi-Veronafiere). gli stand hanno creato vere e proprie opere d’arte, che hanno contribuito visivamente a magnificare la produzione e il marchio (stavo per dire brand). Quello che invece non ha funzionato, purtroppo, sono stati i servizi logistici, i servizi interni e le infrastrutture. Ci rattrista aver visto le piccole auto elettriche rimaste ferme ai parcheggi anziché essere utilizzate dagli operatori. Ci dispiace aver dovuto affrontare ingorghi e intasamenti per entrare e uscire dalla fiera e avere impiegato ore per percorrere pochi chilometri. Non parliamo poi degli alberghi che scarseggiano, delle loro quotazioni triplicate per l’occasione, tanto che molti operatori sono stati costretti a pernottare al Lago di Garda, a Mantova, o anche a Modena. Molti operatori, infuriati, hanno abbandonano la fiera prima della chiusura. Ma vi pare giusto? Lo dice uno che ha fatto tutti i Vinitaly e le fiere agricole di “bettiana” memoria. Ogni anno dicono che dal prossimo le cose cambieranno. È difficile crederci. Angelo Valentini

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Un’altra volta per la Cantina della Volta Di nuovo l’Emilia dell’entusiasmo e della qualità è esempio d’eccellenza. La Cantina della Volta presenta il suo ultimo nato, Labase, frutto dell’entusiasmo e della ricerca qualitativa, valori fondanti di questa splendida realtà vitivinicola modenese di Laura Franchini

A

ngela Sini ci accoglie con il sorriso aperto e gioviale che abbiamo conosciuto già durante la prima visita. Questo sorriso che non si è mai oscurato, nemmeno nei momenti bui, i momenti bui della nostra terra, perché chi scrive è emiliana come Angela, per la precisione modenese

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come Angela. Il terremoto prima, l’alluvione poi, hanno messo a dura prova il territorio della Bassa. Quest’ultima piaga, l’esondazione del fiume Secchia avvenuta nel mese di gennaio, è stata l’ennesima tragedia, per aziende e privati. L’acqua distrugge, anche quando se ne va. I danni reali, dopo la devastazione immediata, si scoprono

solo col tempo. Un metro e ottanta d’acqua in cantina, per 5 giorni, 17.000 le bottiglie perdute, numerosi i danni alla struttura, agli impianti, ai macchinari, questo è parte di quello che deve affrontare la Cantina della Volta. Anche la Bucher, la pressatrice di champognotta filosofia che sovrana osserva la cantina, ha subito danni

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alla centralina, fortunatamente reversibili e contenuti, al solo impianto di controllo elettrico. Lei, la Bucher, ha “tenuto botta”, come si dice nel modenese. E anche la Cantina della Volta ha tenuto botta. Anzi, ha reagito con energia e carattere. Come i modenesi sanno fare. Ha rimesso mano ai progetti e la cantina subirà diversi cambiamenti, investimenti atti a migliorare l’attività e i lavori, anche alla luce dell’esperienza. Forza d’animo e volontà per questa realtà, che ha tirato fuori le unghie e ha reagito con grinta. Nessuno è mancato all’appello e, con grande fatica e dedizione, tutti hanno ripulito, riordinato, ristrutturato uffici e locali, acquistato nuove macchine, riorganizzato procedure e dinamiche. Per non farsi mancare proprio niente, la Cantina della Volta ha presentato anche un nuovo nato, un nuovo vino. Con due mesi di ritardo. Con SOLO due mesi di ritardo è uscito il Labase, vino fermo da uve Chardonnay. Un vino fermo per una cantina che fonda la sua impronta produttrice e i suoi successi sulla tradizione spumantistica di famiglia. La famiglia è quella di Christian Bellei, che eredita dal padre Giuseppe la passione per le bollicine. Passione ed eleganza nel DNA di Christian. Quando siamo stati testimoni dei primi vini prodotti dalla Cantina della Volta non abbiamo nascosto ad Angela e Christian il nostro entusiasmo. I successi che sono arrivati dopo ci hanno dato ragione e, soprattutto, hanno dato ragione alla volontà, agli sforzi, al duro lavoro della Cantina della Volta. Così, uno dopo l’altro, dalla cantina che ha creduto nelle grandi

possibilità del Lambrusco di Sorbara come base spumantistica sono usciti vini di grande eleganza e riconoscibilità: il Lambrusco di Sorbara DOP Rimosso, il Lambrusco Rosè di Modena Doc, lo Spumante Doc Lambrusco di Modena, che nascono con le uve di Lambrusco di Sorbara, mentre Il Mattaglio, spumante Brut, e Il Mattaglio dosaggio zero hanno come base le uve di Pinot nero, Chardonnay e Pinot meunier. A questa nobile famiglia si unisce ora l’ultimo figlio, il primo vino fermo della Cantina della Volta. Un’esigenza di mercato? Forse, non ci sarebbe niente di male, anzi, seguire le esigenze del mercato è un dovere. Ma se la volontà di garantire un’offerta sempre più completa alla clientela è legittima, ciò che ha spinto la Cantina della Volta a creare questo vino è essenzialmente la volontà di valorizzare un territorio e le sue uve. E il territorio per questo vino e per le sue uve è quello del podere di San Lorenzo Dietro il Monte, a Riccò di Serramazzoni (Modena). Questo terreno collinare calcareo, a ridosso di un bosco, fu scelto e voluto, molti anni fa, dal padre di Christian, Giuseppe Bellei, per lo specifico terroir e per il microclima, particolarmente adatti alla coltivazione degli stessi cloni utilizzati nella regione francese dello Champagne: Pinot noir, Chardonnay e Pinot meunier. Un vigneto importante, fondamentale per la Cantina della Volta, che verrà incrementato in grandezza, passando dai 4,5 ettari odierni a 10 ettari in totale. Impronta biologica per questi nuovi filari; impronta che coinvolgerà anche le piante già presenti tramite una profonda riconversione agricola.

Ed è lo Chardonnay in purezza il protagonista di questo calice, che ancora una volta non tradisce la nota più riconoscibile dell’azienda: l’eleganza. Un vino di grande bevibilità, fresco e immediato che vede solo acciaio per il suo affinamento e che viene messo in commercio dopo 8/9 mesi dalla vendemmia. Anche la bottiglia è di nuova con concezione, senza però tradire la linea e la riconoscibilità aziendale. I sentori del campione che abbiamo la fortuna di provare sono galvanizzanti: florealità e freschezza, note vegetali e di buccia di banana acerba, intensità e freschezza, grande piacevolezza. Una conferma, non solo delle capacità produttive dell’azienda, ma anche della voglia di investire nel futuro. Un futuro ben impregnato del passato però, con tutto ciò che rappresenta: tradizione, sapienza, storia. Grazie a questi valori, a una progettualità di grande respiro, la Cantina della Volta guarda al futuro con ottimismo e con vini capaci di far ritrovare il sorriso. Laura Franchini

Cantina della Volta di Christian Bellei & C. Srl Via per Modena, 82 40123 Bomporto (MO) Telefono: 059 7473312 E-mail: info@cantinadellavolta.com

La storia: erano gli anni Ottanta quando Giuseppe Bellei decise di esplorare tutte le assonanze ed affinità esistenti tra il più nobile dei vini francesi, lo Champagne, e uno dei più poveri e bistrattati vini italiani: il Lambrusco di Sorbara DOC rivisitato in chiave Spumante Metodo Classico. Da qui ebbero inizio i confronti e gli scambi di informazioni tecniche con la stazione enologica di Épernay, in Francia, per individuare una modalità di vinificazione con rifermentazione in bottiglia, simile a quella dello Champagne che, anche senza l’ausilio dell’autoclave, potesse garantire un vino limpido in bottiglia, privo di fondo. Christian Bellei ha iniziato a muovere i primi passi nell’azienda vinicola di famiglia, la Francesco Bellei & C. di Bomporto (MO), nel 1986 al termine degli studi in agraria. Ricoprendo le mansioni più disparate ha acquisito una visione a tutto tondo della gestione della cantina e a fianco del padre, appassionato di vini spumanti, ha affinato il palato acquisendo sensibilità e attenzione verso le sfumature e i dettagli che rendono unico e irripetibile un vino. Proprio questa eredità è la pietra miliare di una nuova storia a lieto inizio, che ha visto la luce a marzo del 2010: quella della Cantina della Volta.

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Vini del Salento: degustazioni a 360 gradi Vini e abbinamenti gastronomici con cibi di qualità in ambienti moderni, funzionali ed esteticamente attraenti: così promuovono i vitigni autoctoni Schola Sarmenti e Cantele, due belle cantine in provincia di Lecce di Massimiliano Rella

U

n modo nuovo per promuovere il Primitivo, il Negroamaro e gli altri vini del Salento. Arriva direttamente dalle cantine e gioca con gli abbinamenti gastronomici, in ambienti moderni, funzionali, anche

esteticamente attraenti. Esperienze a 360 gradi, che passano tanto per l’occhio quanto per la lingua. Schola Sarmenti winebar Il primo caso arriva da Nardò (Lecce), dove Schola Sarmenti ha aperto nel

2011 un’enoteca e winebar accanto alle cantine di affinamento, con un accogliente giardino di olivi, trasformando quella che era una semplice sala degustazione in un locale raffinato e piacevole per degustare vini al calice, come per abbinarli ai piatti

Il winebar di Schola Sarmenti, cantina di Nardò, Lecce.

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e alle specialità salentine dello chef Guglielmo Dell’Atti. L’azienda vitivinicola appartiene ai fratelli Lorenzo e Ivan Marra e al cognato Alessandro Calabrese. Nei 33 ettari di vigneti Schola Sarmenti coltiva vitigni in prevalenza autoctoni, come Primitivo, Negroamaro, Malvasia nera, Fiano, oltre allo Chardonnay. La produzione complessiva è di 240.000 bottiglie suddivise tra 11 etichette. Ci sono diversi rossi ottenuti da uve vinificate in purezza oppure in uvaggio. Il Diciotto, ad esempio, è un Primitivo Salento IGT, produzione limitata con bottiglie numerate, dalle uve di una vigna di 80 anni, e invecchiato 14 mesi in botti di quercia francese e almeno un anno in bottiglia. Il Nerìo è invece un Nardò DOC Riserva da uve Negroamaro e Malvasia nera, affinato 8 mesi. La cantina produce anche i bianchi Fiano e Candòra, quest’ultimo da uve Chardonnay in purezza; un rosato da uve Negroamaro, il Masserei, e un rosso dolce naturale, il Corimei, una vendemmia tardiva di Primitivo coltivato in una vigna che conta 65 annate, con leggero appassimento dei grappoli in pianta. Vino sfuso e olio extravergine d’oliva da Cellina di Nardò completano la produzione. I vini sono presentati al pubblico in un ambiente dal design suggestivo, tra pareti con vasetti di semi o terra e piante di vite, uno spettacolare bancone con una parete rivestita di bottiglie, volte a stella, luci rosse, divanetti e arredi in stile country chic in legno sbiancato, con lampadari fatti di bottiglie in vetrofusione, musica di sottofondo, spesso anche dal vivo. Per accompagnare i vini la scelta è tra piatti gustosi, come i pomodori gialli arrostiti, i lampascioni, ma anche i taglieri di salumi e formaggi e i piatti di pesce crudo, come il salmone affumicato con agrumi, erba cipollina e crostini di paté d’olive, oppure il carpaccio di baccalà con lime e pepe rosa. Conto medio € 15,00 vini esclusi, un calice di vino da € 3,00 in su. Da non perdere una visita alla bella barricaia, al piano interrato, all’interno dei vecchi cisternini.

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La cucina a vista de iSensi, il laboratorio sinestetico della cantina Cantele, a Guagnano (Lecce). Il laboratorio sinestetico, scrivono i titolari di Cantele Vini, è un ambiente in cui la ricerca della multisensorialità ha trovato una casa e un territorio. A Guagnano iSensi, un luogo dell’anima Un’altra proposta originale è iSensi, laboratorio sinestetico all’interno della cantina Cantele, una moderna masseria bianca nella campagna di Guagnano (Lecce). iSensi è un luogo dedicato all’abbinamento di vini di qualità — quelli dei fratelli Cantele — e cibi altrettanto buoni e sani attraverso un’interessante esperienza multisensoriale fatta di manualità, tradizione, ricerca, gusto; da sperimentare anche nelle lezioni di cucina salentina. Bel design minimalista, tutto in bianco, un’ampia e moderna cucina a vista e terrazza sulle vigne formano lo scenario di degustazione in abbinamento ai piatti di un menù stagionale, che include ricette pensate per diverse esigenze dietetiche. La cantina è di proprietà dei fratelli Gianni e Paolo Cantele e coltiva 200 ettari di terreni, di cui 50 di proprietà, con una produzione annua di 1,8 milioni di bottiglie. Sono 14 i vini tra rossi e bianchi e un rosato da uve Negroamaro, con diverse etichette premiate e apprezzate dalle guide di settore. Troviamo l’Amativo, un rosso Salento IGT da un uvaggio di Primitivo (60%) e Negroamaro (40%), con affinamento di

12 mesi in barrique nuove di rovere francese; e poi Le Passanti, un passito di Fiano fatto con raccolta tardiva e appassimento controllato in fruttaio; e ancora il Salice Salentino DOC Riserva, da uve Negroamaro, utilizzate in purezza anche nel Teresa Manara Negroamaro, una delle due etichette — l’altra è il bianco Chardonnay — dedicate alla moglie di Giovanni Battista Cantele, che fondò l’azienda nel 1950. Visite e degustazioni sempre ma su prenotazione. Massimiliano Rella Schola Sarmenti Via G. Cantore, 37 73048 Nardò (LE) Telefono: 0833 567247 E-mail: info@scholasarmenti.it Web: www.scholasarmenti.com Azienda Vinicola Cantele S.P. 365 Salice SalentinoSandonaci Km 1 73010 Guagnano (LE) Telefono: 0832 705010 E-mail: cantele@cantele.it Web: www.cantele.it http://isensi.cantele.it Nota Photo © Massimiliano Rella.

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I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: di Laura

L

o speck è un salume di grande fama, dal sapore unico e caratteristico. Un abbinamento non semplicissimo quello con il vino, ma non per questo non riuscito. Un salume nato nel Nord Europa, dove la tecnica dell’affumicatura è di lunga tradizione. I primi documenti contenenti la parola “speck”, che deriva

dal tedesco e significa “grasso, spesso”, risalgono al XVIII secolo, ma pare che appaia nei regolamenti dei macellai e nei registri contabili dei principi tirolesi già dal 1200. Pietanza principale della tradizione altoatesina, lo speck nasce dall’unione di due metodi di conservazione della carne: la stagionatura e l’affumicatura. Il disciplinare di

Ciso 2013 I Dolomitici

Franciacorta DOCG Rosè Brut Faccoli

Alto Adige DOC Schiava Menzenhof Cantina Colterenzio

“I Dolomitici” sono undici viticoltori trentini che hanno deciso di salvare il vitigno autoctono “Ciso”: Castel Noarna, Cesconi, Dalzocchio, Elisabetta Foradori, Eugenio Rosi, Fanti, Francesco Poli, Gino Pedrotti, Maso Furli, Molino dei Lessi e Vilar. Undici vignaioli coraggiosi per un solo nome, il Ciso, dal contadino, Narciso, che consegnò loro la vigna di Lambrusco in questione e alla cui memoria hanno voluto dedicare questo vino. Il vigneto, piantato ad inizio del Novecento, detto anche zicolada o ‘mbrosca, è composto da 727 ceppi di Lambrusco a foglia frastagliata franchi di piede. Il “Ciso” si presenta di un intenso color rubino con sfumature porpora; al naso si apre ampio con nette note fruttate e di mosto, prugna e marasca, fragola matura, ben piena la nota speziata a contorno, soprattutto pepe verde. In bocca è circolare, con una decisa freschezza, equilibrata, che lo rende adatto a piatti succulenti e di buona grassezza. Un calice armonico che si presta al panino con lo speck, merenda ottima, per qualità e abbinamento.

L’azienda Faccoli spumantizza questo calice di brillanti bollicine rosate dal lontano 1984. Una lunga esperienza che ha permesso loro di aumentare la produzione, in virtù di un sempre crescente successo. L’uvaggio è composto dal 60% di uve Chardonnay, 10% Pinot bianco e 30% Pinot nero. Un affinamento di 24 mesi sui lieviti per questo vino, capace di reggere pienamente il tutto pasto. Visivamente si presenta di un bel color rosa salmone, con un perlage continuo, costante, fine. Al naso è molto elegante, con note fruttate di piccola frutta rossa e fragranti di lieviti, un naso dolce, raffinato, coerente. A contorno leggere note speziate, pepe rosa in lontananza. Al palato entra morbido, con circolarità e armonia. Equilibrato tra le parti, leggermente sapido, con una buona freschezza e una lunghezza non indifferente. È sicuramente adatto agli aperitivi, ma si presta benissimo per un pasto completo. Favoloso con un risotto speck e asparagi, ma anche con una fetta di pane accompagnata da morbido speck dell’Alto Adige.

Sono vecchie pergole di Schiava media, grossa e grigia a comporre questo calice di bella tipicità. Impianti antichi, conservati e curati con meticolosità, che danno a questo vino freschezza e intensità. Si presenta visivamente di un rosso rubino intenso, mentre al naso si apre con note intense di frutta, marasca e piccoli frutti rossi, con note di spezia a contorno, lontane tinte fiorite. In bocca entra morbida, felpato il tannino, bella freschezza, sapidità in equilibrio. Un vino che si presta anche ad un invecchiamento di qualche anno, ma che sarà perfetto in abbinamento con formaggi di media stagionatura e con canederli al burro. Assolutamente perfetto, ed anche filologicamente corretto, in abbinamento con lo speck, magari tra due fette di pane di segale.

I Dolomitici – Vigneto storico Via Damiano Chiesa 1 38017 Mezzolombardo (TN) Telefono: 0461 601046 info@idolomitici.com

Az. Agr. Faccoli Lorenzo di Faccoli Claudio & C. Via Cava 7 – 25030 Coccaglio (BR) Telefono: 030 7722761 aziendafaccoli@libero.it

Produttori Colterenzio Soc. Agr. Coop Strada del Vino 8 39057 Cornaiano (BZ) Telefono: 0471 664246 info@colterenzio.it

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speck e vino Franchini

produzione dello Speck Alto Adige Igp prevede un’affumicatura leggera della coscia salata, una stagionatura media di 22 settimane e un contenuto di sale non superiore al 5% nel prodotto finale. Realizzato in cinque fasi — selezione della materia prima, speziatura, affumicatura, stagionatura, controlli/marchio di qualità — per la sua produzione

vengono utilizzate solo cosce suine magre provenienti da allevamenti riconosciuti appartenenti ad uno Stato dell’Unione. Nell’universo speck segnaliamo anche un prodotto valdostano, il “ReinHold Speck”, affumicato alle piante aromatiche alpine, e lo speck di Sauris, prodotto nel paesino in provincia di Udine noto per l’ottimo prosciutto crudo.

Vigneti delle Dolomiti IGT Rosato La-Vis

Terre di Breccia Lazio IGT Cantina Castello di Torre in Pietra

Verduno Pelaverga DOC Comm. G.B. Burlotto

Ottenuto da uve Lagrein e Schiava prodotte sulle colline di Lavis e della Valle di Cembra su terreni siltitici, profondi, ricchi d’argilla in un caso, e porfirici, sciolti particolarmente drenanti nell’altro. La raccolta delle uve avviene manualmente e l’affinamento sulle lisi dura circa 5/6 mesi, in serbatoi d’acciaio. La vinificazione in rosato enfatizza le caratteristiche di freschezza e fragranza tipiche di queste varietà. Visivamente si presenta color rosso cerasuolo tenue, limpido. Al naso è fine di frutta, soprattutto, fragole, ribes e prugne, con note floreali a completamento. Buona la tessitura della materia, elegante e raffinata ma precisa e presente, circolare nelle note, fresca ed armonica. Un calice che va bevuto freddo, adatto al tutto pasto e al rito dell’aperitivo, eclettico negli abbinamenti. Ottimo con uno spaghetto speck e robiola, o con una morbida fetta di speck, accompagnata da grissini fragranti.

Sono uve di Cesanese, Montepulciano e Sangiovese che compongono il blend di questo calice, pregevole. Visivamente si apre con un bel rosso rubino netto, mentre al naso regala copiose note di frutta rossa, amarena, vaniglia e cannella. Un vino che affina in carati di rovere, grazie al quale acquisisce complessità e struttura, con un buon tannino, vellutato. Equilibrio tra alcolicità e trama glicerica, sono una buona sapidità e una nota fresca presente, non aggressiva. Un’armonia generale precisa, che denota una sapiente gestione di vigna e cantina. Un calice che si presta perfettamente all’abbinamento con piatti di carne e primi conditi con ragù di carne, succulenti e saporiti. Accostatelo a tagliatelle con ragù di speck oppure ad un pane di farina di mais sempre ripieno di questo profumato salume.

Vino rosso prodotto con le uve Pelaverga piccolo, vitigno autoctono piemontese, proveniente dalle zone intorno al comune di Verduno. Effettua un passaggio in legno grande per due mesi e completa la sua maturazione in vasche d’acciaio. È intenso al naso, vibrante e coerente, con ricche note di frutta rossa matura ma non stucchevole, note vegetali a completamento, copiosa e raffinata nota di pepe, decisa e assolutamente caratteristica, piena di tipicità. Circolari le note olfattive, che riportano con decisione le essenze vegetali e speziate. Una boccata piena, morbida, con una spalla fresca precisa e necessaria, ben armonizzata. Intenso ma assolutamente bevibile, con grande facilità, si immaginano con facilità gli abbinamenti. Ideale con carne alla griglia, si troverà perfettamente a suo agio accanto a piatti di speck affettato sottile,con fette di pane nero.

La Vis Sca Via Carmine 7 38015 Lavis (TN) Telefono: 0461 440111 cantina@la-vis.com

Cantina Castello di Torre in Pietra Via di Torrimpietra 247 00050 Torrimpietra Roma Telefono: 06 61697070 cantina@castelloditorreinpietra.it

Az. Agr. Comm. G.B. Burlotto Via Vittorio Emanuele 28 12060 Verduno (CN) Telefono: 0172 470122 burlotto@burlotto.com

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Tecnologie La gestione allevamenti nel CSB-System

Ottimizzazione della filiera con la completa integrazione dei processi

L

a tendenza del mercato, che esige in misura sempre maggiore prodotti sezionati, porzionati e confezionati, costringe l’industria di settore ad una più attenta analisi di marginalità, considerate anche le pressanti richieste della distribuzione organizzata in materia di prezzi di vendita, offerte promozioni, sconti e premi. Se a questo aggiungiamo che il settore carne è da sempre altamente competitivo, si evince come un’organizzazione aziendale all’avanguardia, che sfrutti le potenzialità di razionalizzazione presenti lungo la propria

catena di creazione di valore aggiunto, rappresenti la condizione base per garantirsi dei vantaggi competitivi a lungo termine. Ma prima di procedere ad una razionalizzazione, è necessario conoscere i dati relativi ai flussi pro-

duttivi e ai costi operativi. Purtroppo, però, essere in possesso di dati e numeri non significa avere a disposizione delle informazioni che ci permettano di scegliere la giusta strategia: solo l’integrazione attiva e l’analisi di insieme dei diversi processi, dagli allevamenti fino alle vendite, ci permette di scegliere la giusta strategia. CSB-System software integrato: i dati diventano informazioni Con il software CSB-System ottenere tutto questo è possibile. Basti pensare al valore aggiunto di

Con il modulo per la Gestione allevamenti del CSB-System l’utente può documentare, visualizzare ed analizzare tutti i processi e i costi di allevamento e ingrasso dei propri animali da allevamento e da macello, ottenendo in questo modo sicurezza, standardizzazione e la qualità desiderata negli acquisti dei capi vivi.

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Il CSB-System, con la sua costruzione modulare, è estremamente flessibile e cresce insieme all’azienda. poter incrociare i costi di acquisto (costi di allevamento e ingrasso, costi medicinali oppure prezzo del vivo, provvigioni intermediari, trasporto vivo...), i dati di macellazione (cali peso, rese di macellazione, classifica, costi dei macchinari, costi di smaltimento, capacità della catena di macellazione, personale…), i dati di produzione (valo rizzazione delle distinte di taglio, rese di lavorazione, costi dei macchinari, personale, tempi e tipi di lavorazione) con tutti i dati che derivano dalla contabilità industriale (ammortamenti macchinari, costi reparto acquisti, costi reparto commerciale, costi di magazzino, logistica e amministrazione), tenendo sempre conto anche di tutte le condizioni dirette applicate (ad esempio, sconti e abbuoni) nella vendita a terzi o fatturazione del servizio di macellazione conto terzi. Gestione allevamenti I dati da gestire sono parecchi e la CSB-System fornisce una soluzione specifica, integrata nel gestionale ERP e che copre efficientemente i processi di allevamento e ingrasso degli animali. Con il modulo per la Gestione allevamenti del CSB-System l’utente può documentare, visualizzare ed analizzare tutti i processi e i costi

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di allevamento e ingrasso dei propri animali da allevamento e da macello, ottenendo in questo modo sicurezza, standardizzazione e la qualità desiderata negli acquisti dei capi vivi. Che si tratti di messa in stalla, gestione dati RIN (nascita, ingrasso, macellazione), coordinamento di proprietà e attributi, spostamento, esami veterinari, alimentazione, controlli del peso, imputazione dei costi, calcolo delle vendite e degli utili, l’azienda interessata potrà approfittare di un’unica soluzione completamente integrata nel gestionale. L’elevato grado di specializzazione del CSB-System si nota soprattutto nella trasparenza delle informazioni e nell’efficienza della gestione anche di processi parziali. A seconda del tipo di animale (pollame, suino, bovino, ovino, caprino), tutti i costi risultanti e gli esami veterinari effettuati vengono orientati alla partita o associati al singolo animale, in modo tale che questi possano essere messi in conto, visualizzati ed analizzati. Inoltre, la gestione allevamenti fornisce automaticamente la documentazione di prova di tutti i controlli effettuati come richiesto dal sistema QM specifico per nazione. La completa integrazione dei processi fornisce una base dati coerente senza interfacce ed un elevato

grado di automazione. Tutti i dati rilevanti per la rintracciabilità sono sempre a disposizione dell’azienda, in ottemperanza delle norme nazionali ed internazionali. I vantaggi diretti: • gestione ottimale di tutti i processi di allevamento e ingrasso; • sicurezza, standardizzazione e la qualità desiderata negli acquisti di materie prime; • integrazione completa dei processi; • accesso diretto a tutti i dati rilevanti; • rappresentazione trasparente dell’upstream e downstream della rintracciabilità; • efficienza in tutti i processi. Macellazione integrata Per le aziende che, oltre ad allevare, si occupano anche di macellazione e sezionamento, l’utilizzo del CSBSystem può fornire notevoli vantaggi: i due processi non sono più isolati ma integrati nella completa gestione aziendale. L’apposito modulo Macellazione copre dagli acquisti fino alla fatturazione. La pianificazione degli acquisti tiene conto delle capacità della linea di macellazione. In relazione ai dati di vendita e produzione, l’azienda effettua un acquisto mirato dei capi vivi. Anche l’impiego di personale

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L’elevato grado di specializzazione del CSB-System si nota soprattutto nella trasparenza delle informazioni. viene così pianificato sulla base delle rispettive qualifiche. Con i tagli predefiniti, che prendono in considerazione le esigenze del reparto vendite, è possibile ottenere sempre la quantità ottimale come resa per ogni singolo acquisto e per ogni singolo dipendente. Contemporaneamente tutte le informazioni inserite, a partire dall’arrivo dei capi vivi e proseguendo con abbattimento, esame veterinario, classificazione fino al carico a magazzino, sono completamente integrate nel sistema, riducendo così al minimo la documentazione cartacea. Il risultato ottenuto sarà che in qualsiasi momento saremo in grado di stabilire rapidamente e con assoluta precisione il prezzo reale delle materie prime, il prezzo industriale, il punto di pareggio e il prezzo di vendita consigliato. Si possono, inoltre, inserire ulteriori dati per statistiche personalizzate, che costituiranno la base per la valutazione dei fornitori, degli animali da macello e della produttività dell’azienda. Sezionamento integrato Anche il processo di sezionamento e la sua pianificazione sono supportati in maniera completa dal CSB-System che, con l’obiettivo di una maggiore trasparenza nel confronto tra preventivo e consuntivo della resa di

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materiali e processi, prende in considerazione tutte le scomposizioni in maniera integrata. Grazie alla gestione, in fase di programmazione, di tutti i dati relativi alle disponibilità, l’utente ottiene automaticamente in tempo reale, un dettagliato piano di sezionamento che tiene conto del fabbisogno e che determina i valori teorici per gli ordini di sezionamento ottimizzati sulla base delle giacenze di magazzino. Nell’analisi dello scostamento rese per partita avviene il calcolo per la valorizzazione degli articoli risultanti dal sezionamento sulla base di un confronto preventivo/ consuntivo. Tale continuo confronto ha come obiettivo una costante ottimizzazione volta ad una pianificazione migliore e maggiormente orientata al fabbisogno dell’uscita del processo di sezionamento. I vantaggi, quindi, derivanti dall’utilizzo dell’apposito modulo Sezionamento del CSB-System sono: • controllo più dettagliato delle rese di lavorazione e confronto con il pianificato; • riduzione delle giacenze di magazzino; • pianificazione a lungo termine del sezionamento con determinazione delle risorse e capacità necessarie;

generazione automatica degli ordini di sezionamento sulla base dei dati di produzione e di vendita; • supervisione costante delle disponibilità tenendo conto di prenotazioni, ordini e pianificazione; • calcolo a ritroso del sezionamento per la determinazione del fabbisogno di carcasse e tagli principali; • gestione integrata della manutenzione dei macchinari e delle attrezzature. Per concludere, vale la pena ricordare che il CSB-System, con la sua costruzione modulare, è estremamente flessibile e cresce insieme all’azienda, mettendo a disposizione anche i seguenti moduli: Controllo Qualità, Rilevazione presenze, Gestione della manutenzione e del parco macchine, Archiviazione elettronica, strumenti di Business Intelligence, EDI, Pianificazione, Integrazione di bilance, scanner, pesoprezzatrici, Contabilità cespiti, ecc… Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: segreteria@csb-system.it Web: www.csb-system.it

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Budella naturali e artificiali Qingdao Richeldi Trading Ltd Xiazhuang Chengyang District, Qingdao CHINA

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International Natural Sausage Casing Association


Storia e cultura

Sapore di sale di Giovanni Ballarini

L

a saliera era una volta il simbolo della ricchezza della mensa e un artista come BENVENUTO CELLINI ci ha lasciato un artistico esemplare. Il sale è un potente appetitogeno (questo spiega ad esempio come molti snack siano salati o dolci-salati al tempo stesso, due gusti che possono coesistere ed essere ugualmente apprezzati, Nda), invita a bere e, da quando l’uomo è divenuto agricoltore, è sempre stato ricercato, fino a divenire un bene prezioso. La paga data ai soldati romani e ai lavoratori dei campi era detta salario, in quanto destinata all’acquisto del sale. Sappiamo anche che nelle stazioni di sosta lungo le strade romane il sale era una delle merci sempre presenti. Al sale sono state dedicate molte strade, la più nota delle quali è la Salaria, e non è improbabile che Roma debba

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la sua iniziale fortuna economica dai prelievi di gabelle sopra il sale che transitava sul guado tiberino proveniente dalle saline tirreniche e portato nell’interno dell’Etruria. Oggi il sale è oggetto di una duplice considerazione: da un lato lo si teme e si vuole ridurne l’uso, dall’altro si sta sviluppando una gastronomia del sale. Cum grano salis Vi è chi sostiene che la saliera dovrebbe scomparire dalle nostre tavole perché del sale stiamo abusando, con rischi gravi per la nostra salute. Secondo le ultime indagini, il 97% degli uomini e l’87% delle donne italiane assumono troppo sale (rispettivamente circa 11 grammi e 8,5 grammi), mentre sono sufficienti solo 6 (sei!) grammi. I danni che possono derivare da un’elevata assunzione

di sodio (principalmente cloruro di sodio) nella dieta sono da collegare in particolare ad un aumento della pressione arteriosa, con tutte le sfavorevoli conseguenze del caso. Bisogna tuttavia precisare che, al riguardo, è importante, se non decisiva, una predisposizione genetica. Il sale entra nella dieta per molte vie. In vista di una sua riduzione (ed arrivare ai 6 grammi giornalieri), si pensa di intervenire diminuendolo del 16% nei cereali da colazione, del 10% nelle minestre e salse, e anche nel pane e nei salumi. Su questa linea si consiglia di preferire quello iodato, di insaporire i cibi con erbe aromatiche e spezie e di esaltare i sapori degli alimenti con limone o aceto. Si preconizzano anche altri sali “sostituti” che hanno gusti diversi (Tabella 1).

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Tabella 1 – Caratteristiche gustative del sale e suoi sostituti Sapori prevalenti Sale Salato Sale marino (cloruro di sodio)

X

Cloruro di potassio

X

Cloruro di calcio Cloruro di ammonio

Amaro

Acido

Amminico

X X

X

X

X

Lattato di sodio

X

Glutammato di sodio

X

X

Idrolizzati proteici

X

X

5-ribonucleotidi

X

X

Fonte: PAROLARI G., GIORGI M. (2005), Sale e alimenti. Un tema aperto, in INDUSTRIA CONSERVE; 80, 2; 189-194; Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari-Fondazione Collegio Europeo di Parma.

Tabella 2 – Sale e salumi, che cosa è cambiato (dati SSICA) Sale (g/100 g)

Variazione %

Salumi 1993

2011

1993/2011

Pancetta arrotolata

5,7

3,0

–47%

Prosciutto di San Daniele Dop

7,0

4,5

–36%

Prosciutto crudo di Parma Dop

6,4

4,4

–31%

Zampone Modena Igp, cotto

2,5

1,7

–32%

Cotechino Modena Igp, cotto

3,2

2,2

–27%

Mortadella Bologna Igp

3,0

2,4

–20%

Speck dell’Alto Adige Igp

5,1

4,1

–19%

Salamini italiani alla Cacciatora Dop

5,1

4,2

–18%

Salame Milano

4,6

3,9

–15%

Salame ungherese

4,7

4,0

–15%

Prosciutto crudo nazionale

7,0

6,0

–15%

Salame Napoli

4,7

4,1

–13%

Prosciutto cotto

2,3

2,1

–9%

Coppa

5,1

4,9

–4%

Il ricorso a particolari tecniche di lavorazione ha consentito di limitare il contenuto di sale nei salumi italiani. Il trend di miglioramento è generale e consiste in una riduzione di sale che va dal 4% fino a oltre il 45% a seconda del prodotto. La disomogeneità della variazione tra i prodotti è dettata da diversi fattori quali: il contenuto nella materia prima iniziale, l’impatto delle tecniche di produzione sul prodotto, nonché il rispetto delle ricette tradizionali. Sorprendente è la riduzione del 47% registrata nella pancetta arrotolata o di circa il 35% nel Prosciutto di San Daniele Dop e nello Zampone Modena Igp. Da evidenziare è, inoltre, anche la riduzione registrata nel cotechino Modena Igp, di circa il 27%, nonché nella Mortadella Bologna Igp e nello Speck dell’Alto Adige Igp dove la variazione rispetto al 1993 è di circa il 20%. >> Link: www.salumi-italiani.it

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Tabella 3 – Contenuto di sale in alcuni alimenti (valori arrotondati) Alimento

Sale (mg/100 g)

Sale (mg/porzione)

CEREALI E DERIVATI Pane tipo comune

730

350

(50 g)

Biscotti secchi

1.025

340

(50 g)

Pizza con pomodoro

1.940

3.880 (200 g)

VEGETALI CONSERVATI O PREPARATI Patatine fritte in busta

2.675

4.012 (150 g)

Fagioli in scatola

1.077

2.160 (200 g)

890

1.780 (200 g)

Filetto di vitello

222

222 (100 g)

Petto di pollo

115

115 (100 g)

Bistecca di maiale

210

210 (100 g)

Lenticchie in scatola CARNI FRESCHE

CARNI TRASFORMATE 1

Bresaola

3.735

1.120

(30 g)

1.265

380

(30 g)

5.100

1.530

(30 g)

5.750

1.725

(30 g)

Prosciutto crudo intero (con sostitutivi del sale)

3.670

1.100

(30 g)

Salame Felino1

3.820

1.145

(30 g)

777

390

(50 g)

4.725

1.420

(30 g)

Mortadella 1

Prosciutto tipico intero

Prosciutto tipico (solo parte magra)1 1

PESCI CONSERVATI Tonno all’olio1 Salmone affumicato FORMAGGI Mozzarella

500

1.000 (200 g)

Grana

1.500

450

(30 g)

Pecorino stagionato

4.500

1.350

(30 g)

1

dati SSICA. Fonte: dati INRAN, 2000; PAROLARI G., GIORGI M. (2005), Sale e alimenti. Un tema aperto.

Oggi vi è un sale con ridotta presenza di sale (dal 2 all’1,7% rispetto al peso della farina) e, soprattutto, i salumi hanno praticamente dimezzato il quantitativo al loro interno (Tabella 2). Ma il sale da cucina non è soltanto cloruro di sodio: esso contiene molti altri elementi chimici salini che derivano dal tipo di acqua dal quale deriva o è derivato in tempi anche antichissimi. Tra i minerali presenti nel sale vi è anche lo iodio; così vi

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sono sali naturalmente iodati, come quelli ottenuti dalle acque salsoiodiche termali, e sali caratterizzati da una quasi totale assenza di iodio. Diversi sono il colore, la consistenza e le caratteristiche di sapore dei cristalli di sale secondo la provenienza. Accanto ai sali anonimi e commerciali, a volte anche un poco “amari”, vi sono sali “dolci”, come il sale di Cervia, e i “fior di sale”, dal gusto delicato, che ben si associano agli aromi mediterranei.

Ci sono poi cibi che possono richiedere sali diversi. Ad esempio, per condire le insalate si usa un sale fino, mentre per la cottura di un pesce al sale, dove il sale funge da “contenitore”, si usa sale grosso, e così via. Altrettanto importante è la tecnica di produzione del sale, che comprende la modalità di evaporazione e quella della raccolta, senza dimenticare le eventuali, successive lavorazioni di pulitura, lavaggio,

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Diversi tipi di sale (photo © www.thesweeterthejuice.com). macinatura e aggiunta di altri ingredienti. Non è inoltre da dimenticare che, se il salato è uno dei gusti fondamentali percepiti dal nostro palato, l’elaborazione che ne fa il nostro cervello è molto più complessa e dà origine ad un’infinita gamma di aromi e sapori. Si tratta di un sistema analogo a quello della vista: l’occhio ha ricettori soltanto per tre colori fondamentali, ma il nostro cervello li combina e apprezza un numero infinito di combinazioni. La moderna gastronomia è attenta al sale. Una sua elevata presenza, infatti, può coprire altri sapori meno marcati e delicati. Al sale, inoltre, ci si “abitua”, pertanto, entro certi limiti, dà assuefazione. Un eccesso di sale appiattisce e uniforma le cucine, togliendo loro le specificità e i connotati tradizionali. Dobbiamo allora augurarci una cucina senza sale? Certamente no,

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anche perché si tratta di un elemento indispensabile, ma una giusta dose è auspicabile; di sicuro dovremo abituarci a consumarne una quantità inferiore. Com’è avvenuto per altri cibi o bevande, ad esempio il vino, dovremo imparare a utilizzarne meno, privilegiando la qualità. Una sua riduzione trova concordi la quasi totalità dei gastronomi, in quanto nei cibi poco salati (ma non per questo insipidi) è più facile percepire i sapori naturali e spontanei e gustare eventuali aromi di erbe e spezie. La globalizzazione alimentare ha di fatto cancellato il “gusto del sale” che, in tutte le sue sfumature gastronomiche, può essere ricuperato in una cultura alimentare cosmopolita, nella quale le offerte mondiali (cosmo) sono ricuperate dalla saggezza dei singoli luoghi (polis). Per questo si preconizzano saliere con più scomparti, ognuno con un sale diverso. Più o meno come accade per

le moderne zuccheriere e oliere che presentano diversi tipi di zucchero e olio, che ciascuno sceglie secondo il gusto personale, in abbinamento con le diverse pietanze. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Nota A pagina 116, la Saliera di Francesco I, opera scultorea in ebano, oro e smalto, realizzata da Benvenuto Cellini al tempo del suo soggiorno in Francia, tra il 1540 e il 1543. Di piccolo formato (è alta 26 cm), è considerato universalmente il capolavoro d’oreficeria dell’artista. Custodita all’interno del Kunsthistorisches Museum di Vienna, è stata trafugata l’11 maggio del 2003. Dopo una fallita richiesta di riscatto, stimata per i 10 milioni, l’opera è stata recuperata il 22 gennaio 2006, all’interno di una scatoletta, in un bosco presso Zwett, a circa 90 km dalla capitale austriaca (photo © www.kulturundwein.com).

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La caseificazione compie (almeno) 7.000 anni Risalgono ad oltre 7.000 anni fa le prime tracce della lavorazione del latte da parte dell’uomo per ottenere il formaggio: si tratta di frammenti di ceramiche utilizzati probabilmente come filtri rinvenuti a Cuiavia, in Polonia di Raffaele Bertolini

L’

archeologo Peter Bogucki ricorda ancora quel giorno del 1981 quando ebbe l’illuminante idea che tutti quei frammenti di ceramiche forate, che aveva dissepolto per lunghi anni all’interno dei siti archeologici della Polonia settentrionale, potessero essere le testimonianze dei primi casari

esistiti sulla Terra. «Stavo osservando delle ceramiche dalle sembianze di un setaccio, usate nel XIX secolo per la produzione del formaggio, che un amico mi stava indicando nella sua casa di Grafton, nel Vermont, e durante una lungo tragitto piovoso verso Boston mi colpì quanto la loro somiglianza con quelle scodelle di

circa 7.000 anni fa non potesse essere pura coincidenza». Bogucki, decano all’Università di Princeton, era un membro importante del gruppo internazionale di esperti intenti a studiare gli antichi siti agricoli polacchi quando ebbe questa intuizione. L’area in cui avvenivano questi ritrovamenti era piuttosto familiare

Il Marzolino di Lucardo. Prodotto con latte di pecora o di capra, è un formaggio toscano a pasta morbida (photo © Stephen Hamilton, www.ioamofirenze.it).

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a Peter. Si trattava della regione della Cuiavia, in Pomerania. Peter aveva iniziato a lavorare in Polonia durante il suo dottorato di ricerca all’Università di Harvard negli anni ‘70, ma il suo interesse per la preistoria locale si intensificò durante un programma estivo a Cracovia. Per impressionare una giovane compagna di studi con le sue conoscenze in materia di archeologia, la portò a visitare un museo nelle vicinanze. Il risultato fu che il focus dei suoi successivi studi divennero le comunità di coltivatori del Neolitico polacche e che la giovane compagna divenne sua moglie. Circa tre anni dopo la sconvolgente epifania di Bogucki, un gruppo di esperti dell’Università di Bristol, guidato dal geochimico Richard Evershed, suggerì di metterne alla prova la teoria mandando 50 piccoli frammenti di scodelle forate all’amica ricercatrice Mélanie Salque per sottoporli ad uno screening. I test condotti rivelarono un alto contenuto di depositi di acidi grassi del latte sui frammenti. Dal momento che il formaggio è l’unico prodotto caseario che richieda una filtrazione, fu piuttosto facile desumere che queste antiche ceramiche venissero usate per quello scopo. I primi formaggi, teorizzarono in seguito i ricercatori, dovevano essere piuttosto umidi e pungenti. Come la ricotta o il fromage frais. Queste antiche testimonianze, quando la scoperta venne comunicata da NATURE nel dicembre 2012 (SALQUE M. et al., Earliest evidence for cheese making in the sixth millennium BC in northern Europe, Nature 493, 522–525), crearono un certo fermento. Ma l’entusiasmo non si fermò a quel punto. Gli stessi ricercatori teorizzarono che il consumo di formaggio non solo determinò un aumento proteico nella dieta povera dei nostri antenati del Neolitico, bensì trasformò anche il nostro DNA. «È affascinante pensare che l’arte casearia sia iniziata come risultato dell’incapacità per gli antichi coltivatori di digerire il latte fresco», scrive Evershed. Prima della creazione del formaggio, gli esseri umani diventavano intolleranti al lattosio subito dopo

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Ricostruzione del filtro in ceramica per fare il formaggio in base ai ritrovamenti avvenuti in Polonia (photo © ilfattostorico.com). l’infanzia. La domesticazione delle greggi ebbe luogo circa 10.000 anni or sono e la caseificazione solamente un millennio più tardi. Parlando in termini genetici, significa che non ci volle molto ai nostri progenitori per capire che separare le cagliate dal siero ricco di lattosio avrebbe permesso loro di godere di un prodotto più facilmente digeribile. Ma c’era forse un incentivo ulteriore a monte di questa scoperta? «Esiste una teoria secondo la quale l’utilizzo di latte animale potesse essere un coadiuvante allo svezzamento», sostiene Mark Stoneking, un esperto di genetica evolutiva dell’Istituto Max Planck di Lipsia, in Germania. «Dal momento che molte donne non sono fertili durante l’allattamento, prima viene svezzato un bambino e prima la donna tornerà ad essere fertile e potrà avere altri figli. Quindi il vantaggio era che la donna poteva aumentare la propria prole in tempi più rapidi».

Bogucki è affascinato da questa teoria: l’arte casearia potrebbe essere stata una chiave di volta per trasformare le società di cacciatori e raccoglitori in società di coltivatori. I contadini hanno bisogno di braccia per lavorare la terra, braccia a quel tempo sottratte da un’elevata mortalità infantile. Inoltre, non è da sottovalutare l’aspetto economico: la caseificazione avrebbe significato un’opportunità per trasformare una risorsa abbondante ma ingombrante in un prodotto immagazzinabile e trasportabile. Al momento nessuna di queste teorie è stata provata, ma ciò che solletica la nostra mente è il fatto che la scoperta della caseificazione abbia determinato un cambiamento biologico nel genero umano, portando con sé la capacità di digerire prodotti lattici e innescando quel fascino e quella passione per il prodotto caseario che portiamo ancora oggi con noi per tutta la vita. Raffaele Bertolini

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Memorie gastronomiche di Josette Baverez Blanco

F

in dai tempi più remoti la cucina, non solo intesa come cibo, essenziale per la vita, ma anche come piacere della convivialità e dello stare insieme, ha dato vita ad una vera e propria “arte” sviluppata attraverso libri e ricettari, grazie ai quali si sono tramandate le consuetudini e le usanze proprie delle diverse culture, e attraverso i dipinti, le cosiddette “nature morte”. Il primo libro di ricette risale addirittura all’epoca prima di Cristo: venne scritto da MARCO GAVIO APICIO, patrizio romano contemporaneo di Tiberio, probabilmente nato intorno al 25 a.C. e vissuto sempre nella Roma imperiale. Menzionato da Seneca e Plinio, Apicio realizzò un’opera in

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dieci libri intitolata De re coquinaria (L’arte culinaria). Il Medioevo vide nascere altre opere importanti, come il De quinquaginta curialitabus ad mensam (Le cinquanta cortesie della tavola), scritto in versi da BONVESIN DA LA RIVA; il Tractatus, di un ignoto francese, e i quattro Liber de coquina, scritti da un anonimo napoletano. Durante il Rinascimento vi fu la prima grande diffusione dei ricettari, ossia di tutti quei preziosi documenti che ci illustrano i gusti e i sapori più apprezzati del periodo, le materie prime più usate, di norma quelle locali, che oggi definiremmo come “prodotto tipico”. Le famose “nature morte” dipinte nei secoli XVII e XVIII, oltre a nume-

rosi disegni, stampe e incisioni, ci fanno entrare nell’economia domestica, in particolare quella nobiliare e borghese. In quel periodo la situazione economica popolare era molto fragile, il numero di indigenti, costretti a vivere alla meno peggio per rimediare il pane quotidiano, era impressionante. Le strade erano vere e proprie “corti dei miracoli” affollate di mendicanti, pitocchi, disertori, affamati e cenciosi che per sopravvivere erano costretti a domandare “la limosina… e avevano una saccoccietta al fianco fraccida, logora, sbucata, con qualche tozzo di pane, in cui si conteneva la casa loro, il guardaroba, il letticciolo, la mensa e ogni loro masserizia” (Il picariglio castigliano, Venezia, 1635). Lo stato di

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Natura morta: still life fotografico con vino, pane e formaggio (photo © www.GdeFon.ru). degrado è oggi quasi inimmaginabile. Solo chi apparteneva alle classi sociali superiori, chi poteva immaginare di distribuire le proprie risorse per il vitto e gli abiti, annotava tutto nei propri registri. Nel 1653, il notaio veronese GIULIO FOGOLINO scriveva: “Spesi in cefali di mare libre 1, in oseleti soldi 12, in pan fresco salato soldi 16, in carne di vitello e manzo libre 4 e soldi 4, in scarpe per le putele libre 5 e soldi 10, ecc…”, a dimostrazione di quanto era assai costosa la carne. Quindi, solo nobili e borghesi hanno tramandato visivamente la realtà della loro economia domestica. Il reperimento e la preparazione degli alimenti erano le questioni economiche più rilevanti della società. Il tema dell’alimentazione, del vettovagliamento, caccia, pesca, raccolta, tutto era di particolare interesse per chi faceva quadri su ordinazione dei “signori”. Non poteva dunque mancare nelle loro opere iconografiche la consueta presenza dei cani da caccia e della selvaggina.

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Per esorcizzare il pericolo della fame, sempre minaccioso, le persone più abbienti facevano addirittura decorare le pareti di casa di nature vive o morte, di interni di cucine fumosi dove animali, verdure e frutta erano in attesa di essere lavorati. Le pitture servivano anche ad una prima catalogazione tendente a favorire la diffusione e il progredire degli studi di zoologia e botanica. Questo spiega quanto fossero a volte accurate e realistiche le composizioni riprodotte. Attraverso la pittura si potevano esibire i migliori capi di bestiame o i frutti della terra più straordinari che allevatori e orticoltori avevano ottenuto. Macellerie e botteghe, interni di cucine o angoli di cortili, fiori e frutta, animali e selvaggina vivi o uccisi, pesci, bassorilievi mitologici, recipienti, arnesi o bottiglie, sono i temi che hanno incantato per primi i maestri fiamminghi. La perizia degli artisti nordici nel rendere dignitosi e simbolici anche soggetti umili e quotidiani è ben

nota. I loro quadri sono vere e proprie descrizioni realistiche. Tra la fine del Cinquecento e l’Ottocento, le cosiddette still life, raffigurazioni della natura in posa, tornarono ad essere di moda, dopo secoli di oblio, anche nelle scuole italiane. Collezionisti e uomini di cultura non le vedevano più come semplice arricchimento di qualche rappresentazione religiosa o mitologica “senza qualità”, bensì cominciarono a considerarle una vera e propria forma d’arte. Dall’antichità ad oggi, la “natura morta” è dunque sempre viva ed è giunta ad una particolare e considerevole evoluzione. Non possiamo quindi che suggerire ai lettori una particolare attenzione a quadri a volte considerati “minori”, anche di pittori nazionali — veneti, lombardi ed emiliani in particolar modo — per scoprire la loro ricchezza nei soggetti scelti, nei colori, nei chiaroscuri, e soprattutto nel messaggio che trasmettono. Josette Baverez Blanco

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Libri

Ricette fatali: donne velenose in cucina di Nunzia Manicardi

L’

argomento si presta ovviamente ai commenti ironici dei lettori maschili, ma il libro non è una serie di suggerimenti per… disfarsi di loro, bensì un divertente excursus fra alcuni personaggi femminili rimasti famosi per il loro spregiudicato utilizzo di veleni come ingredienti culinari propinati per i più svariati motivi a congiunti, amanti, amici, conoscenti e anche estranei, di sesso maschile. Scrive a proposito l’autrice KATIA BRENTANI: “Quante volte il cibo è abbinato a parole come veleno, morte? Confessi chi non ha mai pronunciato la fatidica frase: «Se mangio ancora, muoio!» o «La cioccolata per me è veleno, ma non so resistere alla tentazione di mangiarla». Cibo tentazione fatale, cibo veicolo di morte. Una dolce morte. Nei romanzi accade spesso che l’assassino scelga di uccidere le

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sue vittime con squisite prelibatezze. Anche nei film (chi non ricorda le simpatiche vecchiette di Arsenico e vecchi merletti?). Il cibo usato come arma letale. Principalmente dalle donne, anche se ne hanno fatto largo uso pure gli uomini fin dall’antichità. La natura non ha fornito la specie umana dell’arma del veleno, come accade per certi animali come le api, gli scorpioni o i ragni. L’uomo si è però creato, nel corso dei secoli, armi al veleno sfruttando la natura stessa, le sue conoscenze e la sua fantasia”. Ed ecco allora il racconto di alcuni di questi veleni e delle avvelenatrici più famose o più scaltre. La cantarella, per esempio: filtro velenoso usato in gran quantità dalla famiglia Borgia e, come la storia forse a torto le attribuisce, dalla bellissima Lucrezia. Si otteneva facendo evaporare urina in

un contenitore di rame e mescolando i sali che si ottenevano con l’arsenico; l’ammoniaca contenuta nell’urina aumentava la tossicità della pozione, che fu ribattezzata “vin dei Borgia”. L’arsenico, dal canto suo, era già conosciuto almeno fin dai tempi degli antichi Romani ed era comodamente usato per compiere omicidi mascherati da malattie mortali. Veniva somministrato in piccole e continue dosi e provocava un progressivo stato di debilitazione fisica che, nell’impossibilità di un’analisi tossicologica, veniva interpretata come il decorso di una malattia incurabile. Ma anche allora non erano sciocchi e, pur non potendo fornire spiegazioni scientifiche, si rendevano perfettamente conto che in quelle “malattie” c’era lo zampino di qualcuno, tant’è vero che una legge romana risalente all’imperatore Augusto

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sentenziava: “Plus est hominem estinguere veneno quam occidere gladio” (“È più grave uccidere un uomo con il veleno che non con la spada”), anche se poi, appunto, non era possibile portare in giudizio la prova del reato. L’Ottocento fu il secolo d’oro del “veleno coniugale”, quello che serviva per eliminare il coniuge diventato ormai una zavorra. A trionfare fu ancora l’arsenico, che per il colore non si poteva distinguere e poteva essere agevolmente occultato tra i cibi e le bevande, essendo inodore e pure facilmente solubile, senza lasciare tracce di riconoscibilità. La fantasia trovò comunque altri e diversi veleni: aceto per pidocchi, cianuro, laudano (soprattutto nel 1700), stricnina, radici di mandragora tanto amate dalle streghe… Del resto, non fu forse Biancaneve avvelenata da una bella, innocua e succosa mela? Tutti i cibi e tutte le bevande potevano nascondere un’insidia mortale: un pasticcio di carne, una torta, un cucchiaio di miele, un the, un infuso di erbe… Tanti, troppi omicidi sospetti. La scienza si diede da fare per cercare un metodo che permettesse di smascherare i colpevoli e finalmente nel 1836 il chirurgo britannico JAMES MARSH riuscì a ideare un esame (il “test di Marsh”) che permetteva di rilevare tracce di arsenico pure in piccole quantità. Da quel momento avvelenare fu più difficile, anche se non impossibile. I funghi di Locusta Nel libro gli esempi sono tanti. Così troviamo Locusta, a cui GIOVENALE, nel Libro primo delle sue Satire, accenna con queste eloquenti parole: “Alle sue parenti inesperte insegna, meglio di Locusta, come seppellire spoglie grigie dei mariti tra le chiacchiere della gente”. Locusta era molto nota nell’antica Roma. Nata in un luogo imprecisato della Gallia, si trasferì adolescente a Roma. Possedeva un emporio sul colle Palatino dove vendeva veleni ed elisir di ogni tipo; aveva una buona conoscenza della farmacologia ed era molto popolare come avvelenatrice. Era molto richiesta soprattutto dalle classi ricche per sbarazzarsi di parenti o amanti,

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ma talvolta usò le sue conoscenze anche per diletto personale. Venne chiamata da Agrippina Minore per uccidere l’imperatore Claudio, forse avvelenato con un piatto di funghi. Nel 55 fu condannata a morte per questo omicidio, ma Nerone, venutone a conoscenza, mandò un tribuno del Pretorio per salvarla dall’esecuzione. In cambio di ciò, le fu ordinato di avvelenare Britannico. Riuscita nel suo obiettivo, ebbe da Nerone il perdono e perfino possedimenti terrieri. Quando scoppiò l’ultima rivolta contro Nerone, fornì del veleno all’imperatore, probabilmente perché lo usasse per suicidarsi. Sette mesi dopo il suicidio di Nerone, Locusta fu condannata a morte dall’imperatore Galba, condotta in catene per tutta Roma e giustiziata durante le feste Agonalia dedicate a Giano. Non si sa di preciso con quale metodo venne giustiziata: la leggenda vuole che sia stata violentata da una giraffa e poi fatta a pezzi da vari animali feroci. Un’altra ipotesi vuole che sia stata strangolata e il suo cadavere dato alle fiamme. Ma il libro Ricette fatali diventa anche piacevole occasione per Katia Brentani di diffondere alcune ricette che vagamente, e in maniera del tutto innocua, possono richiamare alla mente quegli ingredienti e quei fatti per fortuna remoti ma ancora non dimenticati. Ecco quindi, ricordando Locusta e i suoi funghi, numerose ricette a base proprio di quest’ultimo ingrediente: gnocchi alla Locusta (con funghi porcini, panna per dolci, zafferano, scalogno, olio evo, sale e pepe), cappelle di funghi porcini gratinate al forno, funghi porcini fritti al salmone affumicato, polpettine di nasello e funghi porcini, brasato con funghi porcini e pasta di pane, torta salata di funghi porcini e porri, tagliolini al cioccolato con cinghiale e porcini, crêpes ai funghi e zucchine. L’aceto di Giovanna Bonanno GIOVANNA BONANNO (Palermo 1713 – 30 luglio 1789) è stata un’omicida, fattucchiera e megera palermitana, meglio nota come “la Vecchia dell’aceto”. Poche le notizie biografiche su di lei, che emergono dagli atti giudiziari del processo per veneficio e stregoneria in seguito al quale fu

Flora in un dipinto di Bartolomeo Veneto. Per alcuni studiosi si tratterebbe di un ritratto di Lucrezia Borgia (photo © http://it.wikipedia.org). condannata a morte. Secondo l’antropologo S. S. MARINO, la Bonanno visse nel XVIII secolo durante il regno del viceré Caracciolo, traendo sostentamento dalla mendicità e non già dalla stregoneria. Anche la scoperta del liquido che ella usava per avvelenare le persone fu del tutto casuale: nell’anno 1786 venne a sapere di una bambina che, per errore, aveva assaggiato aceto per i pidocchi e si era sentita male, per altro senza che nessuno sospettasse di niente, e da quell’episodio trasse l’intuizione che per pochi anni cambiò la sua misera vita (nonché quella di molte donne infelicemente sposate). Dai documenti processuali risulta infatti che la Bonanno fosse persuasa di offrire un servizio socialmente utile per ridare la serenità a quanti volessero disfarsi del proprio coniuge. Inoltre, non era estraneo il desiderio di migliorare la propria esistenza, da sempre caratterizzata dalla povertà e dall’accattonaggio. In fondo non era difficile procurarsi il liquido per i pidocchi, né complicato addizionarlo con vino bianco e arsenico. La prima cliente di Giovanna fu una sua vicina che desiderava “separarsi” dal marito per dedicarsi totalmente al suo amante. La “cliente” aveva però poco da spendere e acquistò una dose poi rivelatasi sufficiente solo per procurare forti

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dolori di pancia al marito. Dovette acquistare altre due dosi per veder morire il marito, inutilmente ricoverato in ospedale. Nessun medico riuscì ad accertare la causa della morte e questo diede a Giovanna la certezza di non poter essere scoperta. Fu così che cominciò a chiamare la sua mistura “arcano liquore aceto” e a “distribuirla” a pagamento fra chi ne avesse bisogno. Nel quartiere popolare Zisa di Palermo cominciarono allora a verificarsi morti molto misteriose. Dapprima il fornaio, la cui moglie era diventata insofferente e che pagò anche un premio extra; poi un nobile, colpevole di aver dilapidato il patrimonio familiare; poi ancora la moglie di un altro fornaio, che sospettava di essere tradito; e anche un tale che costituiva elemento di disturbo tra la propria moglie e il giardiniere. La discutibile carriera di Giovanna Bonanno (ormai prossima agli 80 anni) fu stroncata da un errore: come procacciatrice di clienti aveva un’amica, Maria Pitarra, alla quale un giorno consegnò una dose di “aceto” senza informarsi su chi fosse il destinatario. Venne poi a sapere che la vittima era il figlio di un’altra sua carissima amica, ma era troppo tardi per rimediare: pensò allora di poter ricevere qualche ricompensa se avesse avuto modo di avvertire per tempo la madre (tale Giovanna Lombardo, come risulta dagli atti processuali esaminati da S.S. Marino). Nel frattempo, la Lombardo aveva scoperto che proprio sua nuora aveva commissionato la pozione per avvelenare il marito e immediatamente tramò la vendetta. Finse di voler comprare una dose di “aceto” e, al momento della consegna, si presentò con quattro testimoni, cogliendo in flagrante la Bonanno. Nell’ottobre del 1788, davanti alla Regia Corte Capitaniale di Palermo, iniziò il processo per stregoneria, durante il quale furono chiamati a testimoniare i coniugi superstiti di sei venefici (quelli scoperti e denunciati) e anche il droghiere, che vendeva sistematicamente alla Bonanno l’aceto per i pidocchi. La condanna riportata in primo grado fu confermata dal Tribunale della Gran Corte. Il 30

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luglio 1789 l’avvelenatrice pendeva dalla forca in piazza Vigliena. Ma già il 5 settembre seguente si poteva assistere ad una rappresentazione sulla “Vecchia dell’aceto”. Nel Museo Etnografico Siciliano “Giuseppe Pitrè” è custodito il suo busto, segno di una condanna non scevra da un certo tipo di ammirazione. C’è anche un detto siciliano: “È cchiù laria di la vecchia di l’acitu” (“È più brutta della vecchia dell’aceto”). Anche in questo caso l’autrice illustra la vicenda con alcune ricette, stavolta a base di diverse specie di aceto (tranne quella per pidocchi!): vellutata di carote all’aceto balsamico, melanzane all’aceto di mele, petto di pollo all’aceto di vino, anguilla alla Vecchia dell’Aceto, patate all’aceto balsamico, frittelle di bianchetti all’aceto balsamico. I baci di dama della Voisin CATERINA DESHAYES, vedova Monvoisin (ma conosciuta come “la Voisin”), nata prima del 1640 e bruciata viva a Parigi nel 1680 come strega, era in realtà una famosa avvelenatrice, complice della marchesa di Brinvilliers. Propinava cibi avvelenati o appositamente predisposti o avariati, capaci di dare una morte apparentemente naturale alle persone indicate dalla marchesa. Era famosa almeno quanto una diva del cinema dell’epoca moderna e possedeva un laboratorio da far invidia a un chimico. Quando venne istituita una commissione d’inchiesta chiamata “la Camera Ardente”, anche la Voisin vi rimase invischiata. Arrestata il 22 marzo del 1679, durante l’interrogatorio spiegò che le donne si rivolgevano a lei per “diventare vedove quanto prima per poter sposare qualcun altro e queste erano la maggior parte delle mie clienti”. L’arsenico era il principale veleno usato dalla Voisin. I suoi guadagni erano elevatissimi e le servivano, a quanto pare, per accontentare i suoi numerosi amanti, fra cui si dice ci fosse anche il boia della città di Parigi. Prima dell’esecuzione Caterina volle fare una dichiarazione: “Mi sento obbligata a dire, a scarico della mia coscienza, che moltissima gente di ogni estrazione sociale si è rivolta a me per fare morire numerosissime

KATIA BRENTANI Ricette fatali Damster Edizioni, Modena, 2013 128 pp. – € 9,00 persone; è stata la dissolutezza il primo movente di tutti questi crimini”. Crimini compiuti per dissolutezza, ma pur sempre per amore. E quindi non è un caso che Katia Brentani abbia voluto ricordare la celebre avvelenatrice con quei preziosi dolcetti chiamati “baci di dama”, di cui anche in questo caso vengono fornite differenti ricette. Alcune dolci: alla Voisin (farina, zucchero, nocciole, burro, cioccolato fondente) e al cocco (con aggiunta di cocco secco a scaglie, zucchero a velo, essenza di vaniglia). Altre in un’innovativa proposta salata: al pesto (farina, burro, farina di mandorle, parmigiano-reggiano grattugiato, brandy, sale e, per la farcitura, Philadelphia light e alcuni cucchiai di pesto) e al formaggio (farina, burro, mandorle tritate finissime, pecorino grattugiato, vino bianco, sale e, per la farcitura, mascarpone o altro formaggio cremoso). E allo stesso modo di questi baci di dama, che possono essere sia dolci che salati, non va mai dimenticato che anche il confine tra il bene e il male è sempre sottilissimo e che, come recita un proverbio italiano citato nel testo, “dal veleno più potente si estraggono le migliori medicine”. Per concludere con TITO LUCREZIO: “Ciò che per uno è cibo, per altri è un amaro veleno”. Nunzia Manicardi

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