Premiata Salumeria Italiana 3-2016

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXVIII N. 3 Maggio-Giugno 2016

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PECORINO METELLO stagionato nella montagna dell’alta garfagnana Il Pecorino Metello dopo una breve maturazione in Caseificio viene trasferito a Metello, paese di origine dei nostri nonni, un borgo di montagna a 1.000 metri di altitudine dove si trova la nostra cantina di stagionatura, “Tuada” in dialetto della Garfagnana. Terminata l’affinatura, in condizioni totalmente naturali, il pecorino viene ricoperto da bucce di castagna, che richiamano fortemente i profumi e i sapori dei castagneti del nostro appennino Tosco-Emiliano. CASEIFICIO BUSTI Via Marconi 13 A/B - Loc. Acciaiolo - Fauglia (Pisa) - Tel. 050.650565



N. 3 Anno XXVIII Maggio-Giugno 2016

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Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988 Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Renato Bergonzini – Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Redazione New York Stefano Spadoni 1732 1st Ave #27220 – New York, NY 10128 Tel. 001 212 956-8566 E-mail: Stefanony@stefanospadoni.com Consulenti scientifici Prof. Giovanni Ballarini (Parma) – Prof. Fausto Cantarelli (Parma) – Prof. Carlo Cantoni (Milano) – Prof. Giuseppe Caserio (Milano) – Prof. Giorgio Catellani (Napoli) – Prof. Eugenio Del Toma (Roma) – Dr. Emanuele Guidi (Modena) – Prof. Riccardo Monacelli (Roma) – Dr. Alfonso Piscopo – Piero Pittaro (Udine) – Prof. Andrea Strata (Parma) – Angelo Valentini (Perugia) Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.

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N. 3

In questo numero: Agenda

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Immagini

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Legislazione

Prodotti a denominazione, in arrivo ulteriori regole

Sebastiano Corona 12

Il food in rete

Social food

Elena Benedetti

Comunichiamo

L’Odissea “preventivo”

Chiara R. Zaccaroni 18

Aziende

Pastrami, l’ultima frontiera del panino con la carne

Gaia Borghi

22

Analisi del food

Passione würstel

Carlo Cantoni

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Marketing

Esportazioni di salumi italiani in crescita nel 2015: +7,1%… Un incontro con i sapori e la qualità garantita altoatesina

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Mercati

Ancora in crescita il mercato delle salse: trend positivo nel 2015 Denis Valdemarin

38

Interviste

Daniele Reponi, paninaro gourmet

Silvia Saracino

40

Sapori dal mondo

Knuthenlund, manca giusto un pizzico di sale

Tania Mauri

42

Associazioni

Slow Food festeggia un altro importante anniversario

Sebastiano Corona 46

Tendenze

La cucina del futuro

Giovanni Ballarini

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Eventi

Due spose per un prosciutto

Gaia Borghi

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Locali di gusto

Roscioli: a Roma un brand dai tanti volti gourmet

Tania Mauri

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Rassegne

Come ti gusto e ti abbino il formaggio in villa 1, 2, 3, Salumi da Re

Gian Omar Bison Gaia Borghi

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Fiere

Alimentaria: semplicemente splendida

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Speciale Cibus

Cibus 2016, quando le ciambelle escono col buco

Gaia Borghi

Week-end

A Chiuro la sagra della bresaola

Josette Baverez Blanco 90

Formaggio

Tome e raclette del Vallese: artigianali e d’alta quota

Cecilia Bersani

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Olio

A difesa dell’olio extravergine di oliva

Mauro Cresti Claudio Milanesi Antonio Cimato

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Vino

Vinitaly: mezzo secolo di vino Il vino italiano? Vola alto Il bianco si porta con tutto!

Laura Franchini Riccardo Lagorio Elena Benedetti

98 106 112

I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: i Colli Orientali del Friuli alla conquista delle tavole

Laura Franchini

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Tecnologie

La famiglia Busti sceglie il CSB-System per il nuovo caseificio

Storia e cultura

Il gnocco sotto la brace e la strìa fra le fiamme

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116 Nunzia Manicardi

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In copertina: würstel e birra per iniziare l’estate (photo © Massimiliano Rella).

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AGENDA

San Daniele del Friuli (UD) Il Consorzio del Prosciutto di San Daniele rinnova l’appuntamento con Aria di Festa, storica festa del prosciutto che si terrà dal 24 al 27 giugno a San Daniele del Friuli (UD). Una quattro giorni di sapori, musica, eventi, cultura e spettacoli. Gli artisti che quest’anno si esibiranno nel corso della manifestazione in concerti gratuiti sono Roberto Vecchioni, Elio e le Storie Tese, Gino Paoli e Goran Bregović. Da oltre trent’anni, la cittadina situata nel cuore della regione accoglie gli amanti del Prosciutto di San Daniele DOP che vogliono gustare il prodotto nei luoghi stessi in cui viene realizzato, scoprirne ogni segreto, partecipare ad appuntamenti d’arte e incontri culturali, lezioni di cucina, degustazioni di prodotti tipici, concerti, mostre e vernissage. Realizzata in collaborazione con la Regione Friuli Venezia Giulia, Aria di Festa trasforma il centro storico cittadino in una grande sala di degustazione, aprendo ai visitatori le porte dei prosciuttifici per accompagnarli in visite guidate che consentono loro di entrare in contatto diretto con gli unici luoghi dove avviene la produzione di questa eccellenza italiana, assaporandone le peculiarità con tutti i sensi (photo © Lorenzo Scaldaferro). www.ariadifesta.it

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Barolo (CN) Collisioni è un’esperienza culturale anomala che quest’anno si svolgerà dal 17 al 21 luglio. Definirlo un festival è riduttivo. Più che un festival, infatti, è un villaggio itinerante fatto di decina di migliaia di persone che ogni anno si ritrovano in collina. Tutto nacque in un giorno del febbraio 2009 quando un gruppo di giovani (nessuno aveva ancora trent’anni) cominciò a trovarsi spontaneamente nelle librerie per leggere libri. Ognuno sceglieva un romanzo e lo raccontava agli amici. Gli incontri divennero affollati. Venne così l’idea di scegliere un paese da colonizzare con un happening o un festival. Quel festival oggi si svolge a Barolo, un paese di 700 anime trasformato per tre giorni in un grande palcoscenico non-stop dove ogni piazza e via si anima di incontri, installazioni artistiche, performance musicali e teatrali. Un’esperienza che ha luogo nella cornice straordinaria delle Langhe, con una vista mozzafiato sulle colline, dove il pubblico diventa parte di una grande comunità e vive insieme per alcuni giorni ascoltando gli incontri, i dibattiti giornalieri, i concerti serali nello splendido anfiteatro naturale della collina dei Cannubi. A Collisioni la musica e la letteratura sono due forme narrative diverse, ma ugualmente importanti. Si passa da Caparezza che spiega come compone i suoi versi “rap” a Paul Auster, si va da Patti Smith a Don DeLillo (photo © villaribota.com). www.collisioni.it

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IMMAGINI

Il gnocco fritto modenese viene proposto quasi sempre coi salumi tipici locali, specialmente salame e prosciutto. È un abbinamento moderno perché un tempo la miseria impediva che questi prodotti gastronomici fossero alla portata di tutti. A pagina 122 un articolo di Nunzia Manicardi su questa golosissima specialità (photo © www.comune.modena.it).

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LEGISLAZIONE

Prodotti a denominazione, in arrivo ulteriori regole Le aziende che utilizzano il riferimento ad una denominazione europea nell’etichettatura di un prodotto composto, nella sua presentazione o nella pubblicità, da oggi sottostanno a nuovi obblighi di Sebastiano Corona

L

e imprese che, nella propria produzione, impiegano come ingredienti prodotti DOP, IGP o STG, sono tenute a osservare una serie di rigide norme, ma soprattutto a richiedere l’autorizzazione all’utilizzo del nome al consorzio di tutela o in alternativa al Ministero delle Politiche Agricole. Il riferimento normativo è quello al DLgs n. 297/04 e, più in generale, al Regolamento UE 1151/12. Il MIPAAF

ha pubblicato a questo proposito due circolari presenti anche sul portale internet del dicastero, ma è necessario sgomberare subito il campo da ogni dubbio: l’obbligo non sussiste per le imprese che utilizzano la denominazione tutelata esclusivamente nella lista degli ingredienti e quindi senza darne risalto. L’obbligo di richiedere l’autorizzazione sussiste invece nel caso in cui il nome appaia in etichetta, nella presentazione e nella pubblicità

del prodotto composto o elaborato, compresi i siti web, i documenti commerciali e gli imballaggi riguardanti gli stessi, salvo diverse disposizioni decise dal consorzio di tutela. Quella della richiesta di autorizzazione è però solo una delle numerose indicazioni prescritte dal MIPAAF nelle due circolari in esame e ovviamente non solleva il produttore dall’obbligo del rispetto di tutte le altre norme nazionali e comunitarie in materia

Speck Alto Adige Igp. La sola forza trascinante dell’evocazione geografica è talvolta decisiva in fase d’acquisto. Per questo i prodotti a denominazione devono ricevere una tutela che, se possibile, deve essere anche maggiore di quella sinora garantita dall’ordinamento comunitario e nazionale.

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di comunicazione al consumatore e di pubblicità. La prima regola è che per ottenere l’autorizzazione dal MIPAAF, le diciture Denominazione di Origine Protetta o Indicazione Geografica Protetta o i loro acronimi dovranno essere posti in etichetta di seguito alla denominazione tutelata. Deve essere infatti chiaro e non suscettibile di indurre in errore il consumatore, il fatto che l’acronimo sia riferito al prodotto impiegato come materia prima e non al prodotto trasformato che si sta proponendo per la vendita. Per scansare ogni equivoco dovranno essere posti tra virgolette sia la denominazione tutelata, sia le diciture o gli acronimi. Il Ministero detta indicazioni anche sulla dimensione del carattere utilizzato per il riferimento alla denominazione. Questa deve essere infatti inferiore a quella del carattere utilizzato per la denominazione della ditta, dei marchi dalla stessa utilizzati, nonché della denominazione di vendita del prodotto composto, elaborato o trasformato. In sostanza, il rilievo posto sulla presenza di un prodotto a denominazione deve essere in qualche modo sobrio e misurato. Anche per indicare l’ingrediente a DOP o IGP nell’etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità del prodotto trasformato devono essere utilizzati, per l’intera denominazione, il medesimo carattere delle medesime dimensioni. Lo stesso carattere e le medesime dimensioni utilizzate per indicare la denominazione devono essere utilizzate per le diciture DOP o IGP. Aspetto molto importante che il Ministero ha voluto in questa sede ribadire con forza e sempre allo scopo di evitare di indurre in errore il consumatore è che è vietato l’utilizzo del simbolo comunitario nonché del logo della denominazione tutelata. Logo che si può infatti apporre solo su un prodotto riconosciuto dall’Unione Europea. Un’apertura viene data dal fatto che è possibile riportare, esclusivamente in aggiunta al riferimento alla denominazione DOP/IGP in lingua italiana, anche la traduzione della stessa in altra lingua, mentre non è possibile riportare l’acronimo, nean-

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Riconosciuto a Denominazione Tipica nel 1955 e d’Origine dal 1974, il Fiore Sardo ha ottenuto la Denominazione d’Origine Protetta nel 1996. Il nome di questo straordinario formaggio è dovuto all’impiego, effettuato in passato, di stampi in legno di castagno sul cui fondo era scolpito un fiore, accompagnato spesso dalle iniziali del produttore, che marchiava la facce delle forme. che se tradotto. Ma le dimensioni dei caratteri utilizzati per il riferimento alla DOP/IGP nella lingua diversa dall’italiano non potranno essere superiori a quelle dei caratteri utilizzati per la versione in italiano. Elemento da non sottovalutare, che può generare problemi con il proprio fornitore di fiducia, è che l’utilizzatore, cioè colui che trasforma, ha l’obbligo di garantire che il prodotto a denominazione che utilizza come ingrediente sia acquistato da un soggetto sottoposto al controllo dell’organismo di cui all’articolo 37 del Reg. (UE) 1151/12. Non che i dettami già elencati siano particolarmente semplici da mettere in pratica, ma la questione si complica quando il soggetto che trasforma il prodotto deve sottoscrivere e mantenere l’impegno a dimostrare, tramite registrazioni, che la quantità di prodotto DOP o IGP utilizzata nel processo produttivo corrisponde alla quantità di prodotto acquistata. Elementi, questi, che devono essere dimostrati anche dalla documentazione nella disponibilità dell’impresa. Di contro, infatti, l’utilizzatore deve anche sottoscrivere l’impegno a registrare mensilmente il numero di confezioni del prodotto composto, elaborato o trasformato contenenti il riferimento ad una denominazione, a

trasmettere una scheda tecnica che descriva il prodotto trasformato, nonché a comunicare la sede dello stabilimento nel quale avverrà la produzione. Eventuali cambiamenti di stabilimento dovranno essere preventivamente comunicati al Ministero. Un ulteriore problema si pone in merito allo stoccaggio della materia prima che nel caso in esame deve essere conservato separatamente dagli altri prodotti appartenenti alla stessa categoria merceologica. In ultimo, il trasformatore è tenuto a dichiarare che l’autorizzazione concessa dal MIPAAF o dal consorzio, non sarà ceduta, neanche in sub-concessione, a terzi, né a titolo gratuito, né a titolo oneroso e che, in caso di cessazione dell’attività e/o della produzione specifica, cesserà l’uso del riferimento alla denominazione tutelata nell’etichettatura, nella presentazione e nella pubblicità dei prodotti trasformati. Manco a dirlo, l’autorizzazione potrà essere concessa esclusivamente per i singoli alimenti per i quali è richiesta. Resta inteso che queste nuove norme si intersecano e si aggiungono a quelle già esistenti in ambito nazionale e comunitario, anche non necessariamente dirette a disciplinare il comparto alimentare. Il principio ultimo che ha guidato il Ministero

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La nuova norma intende tutelare maggiormente i consumatori da una serie di comportamenti e messaggi che ne possono compromettere la capacità di scelta in autonomia. anche in questo passaggio normativo è lo stesso che ispira l’art. 7 del Reg. UE n. 1169/11, il quale, dettando le norme sulle pratiche leali d’informazione, stabilisce che le indicazioni sugli alimenti non devono indurre in errore il consumatore sulle caratteristiche dell’alimento e, in particolare su natura, identità, proprietà, composizione, quantità, durata di conservazione, Paese d’origine o luogo di provenienza e metodo di produzione. Lo stesso Regolamento UE, in un altro passaggio, precisa che la comunicazione relativa al prodotto non deve suggerire la presenza di un particolare alimento o di un ingrediente, mentre di fatto un componente naturalmente presente o un ingrediente normalmente utilizzato in tale alimento, è stato sostituito con un diverso componente o un diverso ingrediente. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una norma che introduce elementi di forte burocratizzazione del sistema produttivo e che lo imbriglia nelle morse delle carte e delle autorizzazioni. D’altra parte si rileva però un interesse sia collettivo sia privato di assoluto rilievo e che, in quanto tale, necessita di tutela.

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Vanno protetti i prodotti a denominazione e le aziende che li realizzano e vanno tutelati i consumatori da una serie di comportamenti e messaggi che ne possono compromettere la capacità di scelta in autonomia. L’attenzione sempre crescente sui prodotti di qualità, non ultimi quelli a denominazione, implica infatti che qualunque loro richiamo sia un elemento di vendita importante per qualificare in maniera significativa anche il prodotto trasformato che ne vede l’impiego tra gli ingredienti di cui è composto. La sola forza trascinante dell’evocazione geografica è talvolta decisiva in fase d’acquisto. Per questo i prodotti a denominazione devono ricevere una tutela che — se possibile — deve essere anche maggiore di quella sinora garantita dall’ordinamento comunitario e nazionale. Non spetta infatti solo ai consorzi vigilare sull’uso distorto del nome del proprio prodotto, ma è altresì compito delle autorità proteggere i consumatori dagli abusi del mercato e far conservare ai prodotti di pregio un’immagine acquisita solo grazie ad una certa qualità delle materie prime impiegate e a consuetudini produttive

che si perdono nel tempo. Questa ulteriore restrizione sull’utilizzo di determinati nomi di prodotti a denominazione sarà quindi un onere aggiuntivo, ma è giustificato dal fine di garanzia che la norma si pone. Per i consorzi di tutela e per il MIPAAF rappresenterà un’altra incombenza in termini di controllo, ma sarà anche un vantaggio sul corretto rientro di una promozione indiretta e a costo zero. Il pericolo è che di fronte a tali e tanti oneri che costringeranno le imprese a rivedere completamente anche la propria comunicazione, il trasformatore possa valutare l’ipotesi di rinunciare al vantaggio prospettato dall’utilizzo di una denominazione nel proprio processo produttivo, per optare per produzioni similari il cui uso non comporti una tale mole di norme e di divieti. La finalità è certamente quella di andare nella direzione della reale valorizzazione dei prodotti a denominazione, ma sarà solo il tempo a dire qual è il vero esito delle nuove restrizioni e se il provvedimento ha avuto davvero un suo riscontro positivo per il comparto nel suo complesso. Sebastiano Corona

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IL FOOD IN RETE

Social di Elena

2. Langhe Doc, il film in streaming

1. Nuovo look per il Salame di Varzi Dop Il Consorzio di Tutela del Salame di Varzi ha da poco rinnovato il sito web www.consorziovarzi.it, dove si possono trovare notizie sul Consorzio, sul prodotto tutelato e utili informazioni su dove trovare il Salame di Varzi, gli eventi in programma, le gallerie fotografiche delle iniziative passate e molto altro. Il restyling si era reso necessario anche in vista di un periodo di grande fermento per il Consorzio, che sta svolgendo parecchie attività di comunicazione per promuovere questo prodotto sia in Italia che all’estero.

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Il film documentario “Langhe Doc. Storie di eretici nel l’Italia dei capannoni”, una produzione Stuffilm per la regia di PAOLO CASALIS, racconta la storia di un pastore, di un produttore di pasta artigianale e di una produttrice di vino. Tre personaggi per tre storie che vogliono raccontare il degrado sociale, culturale e paesaggistico della nostra penisola, l’Italia dei capannoni, secondo la definizione data nel film da GIORGIO BOCCA. Quelle di Maria Teresa Mascarello, Silvio Pistone e Mauro Musso sono storie di chi ha intravisto un futuro che non gli piaceva e lo ha rifiutato. Piccole sfide in cui tuttavia è possibile intravedere una dimensione ben più ampia. Sfide non ancora del tutto vinte e che forse non lo saranno mai. Ecco il link per guardare il film in streaming a € 4,98: www.stuffilm.com/langhedoc

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food Benedetti

3. Bike Food Stories L’idea nasce da DAVIDE PAGANI, cuoco, gastronomo, accompagnatore turistico e guida ambientale. Dopo la laurea in Scienze Gastronomiche Davide ha lanciato Bike Food Stories (www.bikefoodstories.it), con l’obiettivo di far conoscere la Food Valley parmense coniugando il cicloturismo e l’enogastronomia e proponendo percorsi alla scoperta del territorio e dei suoi straordinari prodotti. Tutto rigorosamente in sella ad una bicicletta (in basso, Davide Pagani; photo © Andrea De Simon).

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4. Taglieri gourmet su Instragram thatcheeseplate.com è un blog di amanti dei taglieri di salumi e formaggi. Il loro scopo è scovare il tagliere perfetto, sia per i prodotti che per la loro disposizione. A noi piace molto la pagina Instragram, utile per idee e suggestioni, accessibile al link: instagram.com/thatcheeseplate

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COMUNICHIAMO

Come scegliere la vostra migliore strategia di comunicazione

L’Odissea “preventivo” di Chiara R. Zaccaroni

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ualche tempo fa sono stata chiamata dai proprietari di un ristorante per fissare un appuntamento e, in previsione delle varie iniziative che avevano in progetto di realizzare, chiedermi un preventivo. Fin da subito mi avevano informata sul fatto che il mio sarebbe stato uno dei tanti preventivi richiesti, che il budget era

ristretto, ma che, vista la diversità di prezzo tra i vari preventivi, volevano essere sicuri di operare la scelta migliore per la loro attività. “Vede, come è possibile che il preventivo di un sito possa variare dai 600 ai 4.000 euro? Per noi che di mestiere facciamo altro, è difficile capire quale sia il prezzo migliore rispetto al tipo di strumento di cui abbiamo bisogno”.

Così ci siamo conosciuti e mi hanno spiegato che tipo di esigenze avevano: * un nuovo sito responsive e aggiornabile (in grado cioè di adattarsi automaticamente a ogni dispositivo, come ad esempio cellulari, tablet e computer); * un’applicazione che i clienti potessero scaricare per leggere il menu e ricevere informazioni

Chiara R. Zaccaroni ha 39 anni e si occupa prevalentemente di food. Adora i suoi clienti, cede al cibo per amore, lotta con la dieta, ride, ha due cani ed una passione per i libri che trattano argomenti dei quali, lei, non capisce assolutamente nulla.

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sugli eventi in programma; infine, sapere quanto gli avrei fatto spendere al mese per promuovere la loro attività sui “vari” social. Sono certa che ognuno di voi chiederebbe più o meno la stessa cosa ad un’agenzia, perché ci hanno abituato a credere che queste siano le cose di cui ogni imprenditore o azienda ha bisogno per promuoversi. Queste richieste non sono sbagliate, ma, prima di iniziare a contattare qualsiasi agenzia, è bene chiarirsi le idee in base all’identità del vostro pubblico, ai vostri bisogni, ai vostri obiettivi di crescita e alle finalità delle vostre iniziative. Mi spiego meglio: la vostra clien*

tela è anziana e locale. Il sito non vi serve, perché i vecchietti non si metteranno davanti a un computer per scoprire le offerte del giorno… ma di sicuro, per saperlo, alle 7.30 saranno in fila davanti alla vostra bottega. I soldi che investireste nel classico “sito vetrina” dateli a una persona piena di voglia di lavorare, per aiutarvi ad effettuare il servizio di consegna a domicilio. I vostri clienti vi faranno un monumento. Altro caso: la vostra clientela va dai 25 agli 80 anni, ma quelli con maggiore potere di acquisto sono le persone dai 30 anni ai 50. Al momento non avete tantissimi clienti in quella fascia di età, per cui per incrementare

il vostro fatturato dovrete realizzare sicuramente un sito web aggiornabile (e responsive) ma soprattutto comunicherete sui social, per farvi notare da loro e coinvolgerli. La strategia di comunicazione risponde sempre a un ragionamento preciso. Per questo dovete avere le idee molto chiare quando contattate un consulente o un’agenzia. Vi faccio un altro esempio: avete bisogno di aggiornare il vostro sito da soli perché un vostro dipendente se ne occuperà e non volete dipendere da un’agenzia. Chiedete di farvi vedere il back-end (la parte da cui si interagisce per aggiornare i contenuti) dei siti che realizzano; cercate di capire se sono

Qualcuno ha domande da Porci? Attraverso questa rubrica rispondiamo alle mail che ci sembrano più utili ad approfondire gli argomenti trattati. Vi preghiamo di darci più informazioni possibili, così da rendere i nostri consigli efficaci o, nel caso siate interessati ad argomenti specifici, di comunicarcelo a info@pubblicitaitalia.com o chiara.russotto@icloud.it (Photo © Alessio Sabbadini)

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meccanismi di facile comprensione o complessi e chiedete di mostrarvi come vengono caricate le foto (se sono da ridurre prima di essere caricate o se la “macchina sito” le ridurrà in autonomia, cosa utilissima!). Nel prossimo articolo parlerò in maniera più approfondita dei siti web e cercherò di farlo nel modo più semplice possibile, perché di agenzie brave ed eque ce ne sono tantissime ed è bene che abbiate gli strumenti per capirlo. “Bravo e equo” non vuol dire mai economico, ma più vantaggioso rispetto al servizio o prodotto offerto. Torniamo ai proprietari del ristorante. Dopo una prima analisi ho deciso di non proporgli quello che mi avevano chiesto perché non utile ai loro bisogni, ma gli ho presentato un preventivo per un sito aggiornabile e responsive e un corso di formazione sui social, poiché essendo pieni di iniziativa avrebbero ottenuto risultati migliori comunicando in prima persona, scoprendo di potersi divertire un sacco nel farlo. L’idea dell’applicazio-

ne l’ho scartata a priori perché, per il tipo di utilità che ne avrebbe fatto l’utente, sarebbe stata una spesa enorme e inutile. Il mondo delle applicazioni è a sé stante poiché, pensateci bene, di tutte le “app” che avete sul cellulare quali usate quotidianamente? Il Meteo, un gioco, Facebook, Pagine, un servizio di news e la guida TV… giusto? Se usate un’applicazione di un negozio o un ristorante, pensate a quante volte la usate al mese. Amazon e tutte le altre applicazioni che offrono acquisti in “app” non fanno testo. Un’applicazione potrebbe essere molto utile per una rosticceria o per un negozio che offre un servizio di take away o di consegna a domicilio, e allora sì che avrebbe un capitale enorme di utilità. I proprietari del ristorante alla fine sono diventati miei clienti e, dopo una settimana, insieme ai ragazzi di sala, abbiamo cominciato a lavorare sulla formazione partendo da un’analisi dei loro punti di forza e debolezza, della loro clientela, del territorio, dei punti di

forza e debolezza dei loro concorrenti e degli obiettivi. Se avete voglia di provare, fate una riunione con i vostri collaboratori, per ogni la domanda prendete 5/10 minuti per rispondere a ogni domanda e alla fine rileggetene insieme le singole risposte. Esistono mille tecniche per fare questo tipo di lavoro: sono solo mezzi per agevolare l’analisi, per cui sentitevi liberi di scrivere, disegnare, fare micro grafici ed aeroplanini (se rappresentano l’obiettivo!). Importante sarà solo l’impegno nel mettervi in gioco e vedrete che scoprirete un mondo di informazioni che potrete utilizzare per capire meglio e definire, nel dettaglio, la vostra nuova strategia d’impresa e di comunicazione. Vi chiedo un favore però: scrivetemi per dirmi cosa avete scoperto, su quali nuovi aspetti lavorerete, come avete deciso di correggere gli errori che commettete e se i vostri obiettivi e le relative strategie per raggiungerli sono diventati più chiari. Buon lavoro! Chiara R. Zaccaroni

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AZIENDE

Pastrami, l’ultima frontiera del panino con la carne Con il pastrami sandwich sarà amore al primo morso. Specialità amatissima negli Stati Uniti, New York in particolare, e in Canada, in Italia è ancora semi sconosciuta. Ne abbiamo parlato con Fabio Bervini, della Bervini Primo di Salvaterra, Reggio Emilia, che lo produce da dieci anni di Gaia Borghi

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tufi del solito hamburger? Semplice, passate al pastrami! Mai sentito nominare? Non c’è molto da stupirsi. Nel nostro Paese, infatti, questa succulenta delizia carnivora è ancora pressoché sconosciuta. Eppure, girovagando in rete, nell’universo del web, tra un sito e un blog dedicato al cibo e l’altro, da qualche tempo a questa

parte si parla spesso di “lui”. Minimo comun denominatore dei commenti, il tono entusiastico, quasi si trattasse, dopo il primo assaggio, di una sorta di iniziazione al “panino che mancava”. Se siete lettori delle nostre riviste, non vi sarà sfuggito l’articolo che gli ha dedicato poco tempo fa NUNZIA MANICARDI (“Il pastrami, perché no?”, in EUROCARNI n. 10/2015, pag. 68), nel

quale potete leggerne l’origine — il pastrami nasce dalla necessità di conservare la carne e la lavorazione tradizionale del prodotto è quella tipica delle comunità ebree dell’Europa centrale, Romania soprattutto, anche se ne esistono versioni simili in Turchia, Israele e Siria — le caratteristiche, le modalità produttive e la diffusione.

Il pastrami prodotto dalla Bervini (photo © Elena Benedetti).

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Amatissimo negli Stati Uniti, in particolare nella città di New York, è molto apprezzato anche in Canada, dove la viande fumée (questo è il nome con cui la specialità è nota e diffusa nel Paese) rappresenta addirittura il piatto simbolo del Québec. Tagliato sottile sottile e usato per imbottire una baguette proprio come se fosse un salume o semplicemente “impilato” tra due fette di pane (in America si usa principalmente quello di segale), il pastrami si può mangiare caldo o freddo, in insalata o come ricca guarnizione di un hamburger, ed è ottimo passato velocemente sulla griglia. Se volete provarlo, comunque, non dovrete per forza compiere un lungo viaggio oltreoceano. Da dieci anni lo produce infatti la Bervini Primo di Salvaterra di Casalgrande, Reggio Emilia, importante azienda di importazione e lavorazione di carne e altri prodotti provenienti da diversi Paesi nel mondo. «Il pastrami è un prodotto estremamente versatile» mi dice FABIO BERVINI. «Abbiamo iniziato a produrlo una decina di anni fa, dopo che mio padre lo assaggiò durante un viaggio a Montréal e volle ad ogni costo conoscere la ricetta». Esistono tante versioni del pastrami, molto diverse tra loro in virtù della tipologia di carne utilizzata (dal bovino al tacchino fino al montone e al cammello), del taglio, del mix di spezie usate per insaporire il prodotto. La chef CRISTINA BOWERMAN, ad esempio, ha scelto di ispirarsi alla tradizione romana del quinto quarto, realizzando un panino al pastrami di lingua con giardiniera, salsa al ciauscolo e gelato di senape che è

“Amatissimo negli Stati Uniti, in particolare nella città di New York, è molto apprezzato anche in Canada, dove la viande fumée rappresenta addirittura il piatto simbolo del Québec”

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Il giro del mondo con le carni e i prodotti Bervini La Bervini Primo Srl nasce nel 1950 come azienda di lavorazione sottoprodotti animali e materie prime per l’industria farmaceutica, a carattere familiare. A gestirla sono i coniugi Primo e Maria Bervini. Nel corso degli anni l’azienda cresce e arricchisce costantemente la propria offerta, consolidando il proprio operato in termini di qualità, professionalità e servizio alla clientela. A seguito dell’ingresso dell’attuale presidente, signor Renzo Bervini, si creano le condizioni per un ulteriore allargamento della gamma produttiva aziendale, con la ricerca di eccellenze provenienti dai vari paesi europei, l’America del Sud, l’Australia, il Canada, gli Stati Uniti, l’Asia. Attualmente la Bervini è protagonista sia nel mercato nazionale che in quello internazionale in veste di azienda di importazione, lavorazione e vendita di carni refrigerate e congelate di diverse specie animali, bovino, suino, ovicaprino, equino, selvaggina, ecc…, carni porzionate e confezionate skin pack, bistecche, macinati e hamburger (linea gourmet), prodotti ittici e verdure surgelate, provenienti da vari Paesi del mondo. Accuratezza, serietà e volontà di miglioramento contraddistinguono oggi un’offerta ricca ed estremamente diversificata per il mercato del retail e del catering, in Italia come all’estero. >> Link: www.bervini.com

stato “panino dell’anno” per la guida STREET FOOD 2013 del GAMBERO ROSSO. Solo punta di petto e la ricetta originale canadese «Noi lo prepariamo seguendo la ricetta originale che si fece dare mio padre in questo storico ristorante canadese» prosegue Fabio. «Utilizziamo cioè soltanto la punta di petto bovina, il brisket». Un taglio, questo, che richiede lunghe cotture e che deve essere necessariamente di qualità elevata affinché il risultato sia un prodotto succulento e gustoso. «Si tratta di carne di manzo selezionata, grain fed» puntualizza Fabio Bervini. «La lavorazione del pastrami avviene nel nostro stabilimento di Ala, vicino a Trento, nel quale produciamo, tra le altre cose, prodotti tipici come la carne salada, il roast beef all’inglese, il maiale affumicato, ecc…». Pink is the colour of passion La punta di petto viene messa in salamoia, aromatizzata con le spe-

zie, affumicata e cotta a vapore. Al termine di queste fasi la carne avrà assunto un colore rosa intenso, oltre ad una notevole morbidezza e ad un profumo e un gusto smoky che evocano terre lontane e stimolano l’appetito. «Prima di metterlo sottovuoto ripuliamo il pastrami dall’eccesso di spezie rimasto sulla superficie, così da renderne il sapore più dolce, delicato, maggiormente confacente ai gusti del consumatore italiano», conclude Fabio Bervini. Cosa state aspettando dunque? Questo nuovo ambito street food lo si può gustare in piedi, passeggiando o, meglio, comodamente seduti ai tavoli di un locale, magari accompagnato da senape e cetriolini, proprio come nella famosa scena del film Harry ti presento Sally in cui Meg Ryan dimostra l’abilità recitativa femminile ad un incredulo e imbarazzato Billy Crystal. E, credetemi, il panino al pastrami vi conquisterà, senza finzioni. Gaia Borghi

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C’è pastrami e pastrami Tra le due versioni più famose e accreditate del pastrami, quella di New York e quella di Montréal, ci sono somiglianze ma anche profonde differenze. Una sfida tra Stati Uniti e Canada che si gioca nelle cucine dei due locali simbolo di questo piatto: Schwartz’s, sul Saint-Laurent Boulevard di Montréal, e il newyorchese Katz’s Deli. PIER PAOLO BOZZANO, sul sito www.america24.com, ne fa una descrizione accurata che qui riportiamo. “La minuscola rosticceria di Montréal è stata aperta nel 1928 da Reuben Schwartz, un ebreo originario della Romania; Katz’s è invece nato per iniziativa di una famiglia di immigrati russi (ma con ricetta rumena) nel 1888, nel Lower East Side di Manhattan. (...) Nella seconda metà del diciannovesimo secolo il flusso di immigrati trapiantò la tradizione millenaria di conservare carne rossa con il fumo nelle due città ebraiche del Nord America, Montréal e New York, dove le ricette si sono evolute in maniera indipendente. Il fumo, con le sue proprietà antibatteriche, e la disidratazione che avviene con la cottura a bassa temperatura, non servono soltanto a conservare la carne ma le danno anche il gusto e la consistenza. Questo tipo di cottura non è una prerogativa dell’Europa centrale, ovviamente, ma va detto che la regione dei Carpazi, la Transilvania e la Bucovina, vantano una sorta di leggendaria supremazia in questo ambito. Anche il taglio della carne è lo stesso, per carne affumicata e pastrami, il ‘brisket’, cioè la punta di petto. (...) Da qui in poi smoked meat e pastrami prendono due strade diverse. La punta di petto di Schwartz’s viene ricoperta di spezie e sale, la carne trasuda e finisce per marinare in una sorta di salamoia. La punta di petto viene poi ricoperta di pepe macinato e altre spezie e affumicata per un periodo che va dai 10 ai 14 giorni. Almeno questa è la pretesa dei proprietari, che forse esagerano un pochino. La carne, rigorosamente affettata a mano, viene servita in tre varianti: magra, media o grassa, a seconda della parte della punta di petto. La carne ha un colore rubino intenso e un gusto intenso di fumo e spezie (aglio, coriandolo, pepe nero e zucchero, ma è un’ipotesi, la miscela è segretissima). Viene servita con pane di segale, senape e contorno di pickles, cetriolini in salamoia. La versione newyorchese della carne conserva il nome originale: pastrami deriva dall’Yiddish ‘pastrome’ (a sua volta derivato dal turco ‘pastirma’, pressato, e dall’armeno ‘bastourma’). La pronuncia passò da pastrama a pastrami in assonanza con l’italiano ‘salami’. La carne utilizzata per il pastrami è il fiocco, il taglio che segue la punta di petto, ricco di venature di grasso. Gli immigrati rumeni adattarono una ricetta che prevedeva l’utilizzo di petti d’oca. La carne viene marinata in salamoia, ricoperta da una miscela di spezie che includono aglio, coriandolo, pepe nero, chiodi di garofano e semi di mostarda e affumicato per un periodo decisamente inferiore ai 10-14 giorni del fratello canadese. La cottura è completata a vapore, fino a quando il tessuto connettivo che vena la carne non assume una consistenza di gelatina. Ha un colore più chiaro rispetto alla smoked meat e il sapore — per quanto intenso — è più delicato, meno esplosivo e speziato” (photo © ladyandpups.com).

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Tradizione e genuinità dal 1910

Prosciutto di Modena Dop un capolavoro del gusto italiano

Prosciuttificio Nini Gianfranco Srl Via Sicilia, 61 - 41056 Savignano sul Panaro (MO), Italy - Tel.: 059 730103 - Fax: 059 731599 E-mail: info@prosciuttificionini.it - Web: www.prosciuttificionini.it


ANALISI DEL FOOD

Passione würstel di Carlo Cantoni

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l würstel — il termine proviene dal diminutivo della parola tedesca Wurst, “insaccato”, secondo i dialetti tedeschi meridionali, laddove il termine in Hochdeutsch (alto tedesco, Ndr) suonerebbe Würstchen — è un insaccato realizzato con carni tritate, in particolare bovine e suine, tipico della Germania, dell’Austria e, in Italia, dell’Alto Adige. Il würstel commercializzato in Italia corrisponde generalmente al Wiener Würstchen o Wiener (letteralmente “salsicciotto di Vienna” o “viennese”) reperibile in Germania. Lo stesso prodotto in Svizzera è chiamato Wienerli e in Austria Frankfurter würstel, letteralmente “salsicciotto di Francoforte”, sebbene in origine le due tipologie (Wiener e Frankfurter) non siano identiche: il primo, più corto, viene solitamente servito appaiato ad un altro; il secondo, più lungo, è invece servito da solo. Il würstel “italiano” ha ormai raggiunto una sua individualità,

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tanto che si può parlare di una tipologia parzialmente distinta. I würstel sono insaccati cotti caratterizzati da una grana finissima e da un alto contenuto di acqua. Per la produzione vengono utilizzati tagli di carne di vari animali (anche pollo e tacchino), addizionate di grasso duro di suino, acqua, sale, condimenti e additivi. Essendo utilizzati tagli poco pregiati, per ottenere prodotti di livello qualitativo elevato si rende necessaria una preparazione accurata. La tecnologia di lavorazione, infatti, influenza moltissimo le caratteristiche del prodotto finale. Macinazione e insacco La prima fase consiste nella triturazione dei pani congelati di materia prima in apposite macchine spezzatrici. Subito dopo, i diversi componenti frantumati (parti carnee, cotenna o grasso, acqua sotto forma di ghiaccio, condimenti vari, additivi) vengono passati in un cutter.

Nel cutter si completa lo sminuzzamento e la miscelazione dei vari ingredienti e contemporaneamente, grazie al grosso lavoro meccanico, viene a crearsi un’emulsione che trattiene l’acqua in maniera stabile. L’acqua non è aggiunta tal quale, ma sotto forma di ghiaccio, per mantenere bassa la temperatura della pasta carnea durante la lavorazione. L’emulsione passa poi all’insaccatrice sottovuoto, dove viene introdotta in un budello. Possono essere utilizzati budelli naturali o sintetici. Se l’involucro utilizzato è artificiale, viene allontanato dopo la cottura. I budelli naturali, ge neralmente intestino tenue di montone, sono di solito riservati alle produzioni più tipiche e artigianali, visto il notevole impiego di manodopera che richiede il loro utilizzo. Cottura e affumicatura I würstel sono appesi su apposite aste e passano in forno per la cottura e

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l’affumicatura. Dopo circa due ore, la temperatura interna del prodotto raggiunge i 68-70 °C necessari per una riduzione della carica microbica, sufficiente per un’idonea conservazione del prodotto durante le fasi di commercializzazione. Durante il riscaldamento avviene anche la coagulazione delle proteine muscolari e l’impasto si indurisce, rimanendo compatto al taglio pure dopo ulteriori riscaldamenti. L’affumicatura conferisce al prodotto il profumo caratteristico e viene generalmente effettuata utilizzando legno di faggio. Come avviene la cottura Nell’operazione di riscaldamento la carne subisce importanti alterazioni, che ne influenzano la tenerezza, il gusto, la consistenza e la capacità di legare l’acqua. Queste alterazioni sono dovute alla denaturazione delle proteine delle fibre muscolari e del collagene del tessuto connettivo. Con la denaturazione delle proteine muscolari, si forma un reticolo stabile che fissa nelle sue maglie le particelle di grasso e acqua. La denaturazione del collagene porta ad un suo rammollimento e alla trasformazione in gelatina. Il riscaldamento dei prodotti a pasta fine, come mortadella e würstel, è impiegato per ottenere il consolidamento (coagulazione) dell’impalcatura proteica dell’impasto, nonché per distruggere i microrganismi presenti, inattivare gli enzimi e raggiungere le qualità organolettiche desiderate (colore, sapore, consistenza). L’entità di questi cambiamenti dipende da numerosi fattori, come per esempio la qualità della materia prima, il tipo di budello o di contenitore utilizzato e il formato, l’effetto termico (tempi e temperature di cottura) e il procedimento di cottura. Quando la trama proteica non è sufficiente a trattenere al proprio interno le quantità crescenti di collagene (derivanti dal tessuto connettivo), che si solubilizzano durante la cottura, all’interno dell’impasto andranno a formarsi sacche di gelatina. Non essendo possibile, per lo stesso motivo, trattenere il grasso che si fonde, può verificarsi anche la formazione di sacche di grasso. Per questo motivo formulazioni povere

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Il würstel canadese come vuoi tu WVRST è un locale di Toronto specializzato in würstel a base di carni di tutte le specie: suino, pollo, coniglio, selvaggina, fino al chorizo, canguro, bisonte. Poi ci sono le versioni vegan, con peperoncino e tante, tantissime altre varianti. Irresistibile la comunicazione aziendale, a firma di ALEXIS BRONSTORPH: “prendiamo i vostri animali preferiti e li trasformiamo in würstel” (photo © www.alexisbronstorph.com).

>> Link: www.wvrst.com

in tagli ricchi di tessuto muscolare non possono sopportare cotture prolungate a temperature elevate. Raffreddamento e pelatura Terminata la cottura, i würstel sono sottoposti a una docciatura con acqua fredda; quindi vengono mantenuti in celle refrigeranti per circa 12 ore, affinché possano raggiungere la temperatura di circa 2 °C necessaria per procedere alle fasi successive. Una volta raffreddati, vengono inviati alla pelatura e al confezionamento. La pelatura viene eseguita con macchine automatiche che liberano la pasta di carne cotta dal budello. Le file di würstel, passando attraverso un tubo, sono sottoposte a un getto di vapore che umidifica e dilata il budello di cellulosa e ne favorisce il distacco dalla superficie del prodotto. Subito dopo, un getto di aria compressa separa la salsiccia dall’involucro precedentemente inciso e aperto da una lama. Se le tecnologie produttive non sono correttamente calibrate e condotte in modo adeguato, l’eliminazione della pelle è difficoltosa e si corre il rischio di asportare anche una parte del prodotto che, per esempio, può restare incollata al budello a causa di una pellicola superficiale di gelatina formatasi durante la cottura. Confezionamento e pastorizzazione Quale ultima operazione, il prodotto è confezionato in buste di materiale

plastico sottovuoto o in atmosfera di gas inerte. Dopo il confezionamento il prodotto può essere sottoposto ad una pastorizzazione, un riscaldamento sopra i 70 °C per circa 15 minuti, per inattivare i germi apportati in superficie dalle operazioni di pelatura e confezionamento, in modo tale da ottenere una shelf-life adeguatamente prolungata. La qualità del prodotto finito dipende molto anche dalla percentuale dei diversi tagli di carne presenti. Tale percentuale può variare da un 20% di sola carne bovina, nei würstel più scadenti, ad un 45-50% di sola carne suina per i würstel più pregiati. Il grasso può variare dal 20 al 40%; l’acqua dal 20 al 30%. Gli impasti di carne ottenuti per la produzione dei würstel sono sempre caratterizzati da una carica microbica discretamente elevata. Pertanto, i würstel sono prodotti particolarmente esposti allo sviluppo di microrganismi, specialmente se le condizioni di cottura non sono state ottimali al fine di un significativo abbattimento della carica microbica. Inoltre, la pelatura può comportare una ricontaminazione. Le alterazioni più comuni sono un rigonfiamento dovuto per lo più a un abbondante sviluppo di batteri lattici e un rammollimento determinato da alcuni streptococchi. Prof. Carlo Cantoni Nota A pagina 26 würstel e senape.

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MARKETING Un ottimo risultato a dispetto di un contesto economico ancora in difficoltà

Esportazioni di salumi italiani in crescita nel 2015: +7,1% in valore e +10,7 in quantità

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ncremento a due cifre per le esportazioni di salumi italiani nel 2015. Secondo le elaborazioni ASS.I.CA. – Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi aderente a Confindustria sui primi dati ISTAT, nel corso del 2015 il nostro export ha raggiunto quota 165.250 tonnellate (+10,7%) per un fatturato di 1,352 miliardi di euro (+7,1%). Un ottimo risultato sia in termini di valore sia, soprattutto, in termini

di volumi, maturato a dispetto di un contesto economico che ha visto nel corso dell’anno molte ombre allungarsi sulla crescita globale e il commercio mondiale rallentare. Entrambi penalizzati dalla moderazione nella crescita registrata dalle economie emergenti, Cina in primis, e dall’andamento del prezzo del petrolio. Nel corso dell’anno ha mostrato un trend positivo in quantità anche l’import (+5,2% per 51.410 tonnel-

late), che ha registrato però una flessione in termini di fatturato (–3,6% per 187,1 milioni di euro). Grazie a questa dinamica il saldo commerciale del settore ha registrato un ulteriore importante incremento (+9,1%), per oltre 1,1 miliardi di euro. Le esportazioni del settore, in termini di fatturato, hanno mostrato un passo più veloce rispetto all’industria alimentare (+6,7%) e decisamente più brillante di quello complessivo del

Merenda valtellinese con salumi, crostini e polenta. Un anno brillante il 2015 per le esportazioni dei salumi italiani e soprattutto per i prosciutti crudi stagionati (photo © www.in-lombardia.it).

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“Un anno brillante il 2015 per le esportazioni di prosciutti crudi stagionati, assieme a coppe, culatelli e speck. Da evidenziare soprattutto il caso della Spagna, che ha registrato un+13,2% in quantità e un +12,6% in valore” «Siamo molto soddisfatti per il risultato dell’export, che conferma e rafforza il proprio ruolo di propulsore per il settore», ha commentato i dati di mercato il presidente di ASS.I.CA. Nicola Levoni. Paese, che ha chiuso l’anno con un +3,9%. «Siamo molto soddisfatti per il risultato dell’export, che conferma e rafforza il proprio ruolo di propulsore per il settore», ha commentato NICOLA LEVONI, presidente di ASS.I.CA. «Se i dati ISTAT saranno confermati, con una crescita in volume del 10,7% e in valore del 7,1% ricorderemo il 2015 come un anno di crescita eccezionale nonostante le difficoltà per l’economia globale e in particolare per il commercio mondiale. Dal 2008 le esportazioni di salumi non hanno mai perso un colpo, mostrando sempre un trend crescente, e questa credo sia la migliore risposta che si possa dare alla crisi, a quella globale, ma anche e soprattutto a quella che da più di due anni sta duramente colpendo il nostro comparto a livello europeo». ASS.I.CA., da sempre al fianco delle istituzioni italiane e comunitarie per aprire nuovi mercati a tutti i prodotti della salumeria e alla carne suina, ha accolto con molto favore le misure annunciate dal commissario PHIL HOGAN lo scorso 14 marzo per far fronte all’attuale crisi del settore suino nella UE, apprezzando in modo particolare l’impegno a favore dell’export e della soluzione delle controversie internazionali, in primis l’embargo

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Russia. «Noi continueremo a fare con convinzione e determinazione la nostra parte. Nel 2015 abbiamo vinto alcune importanti sfide, mi riferisco in particolare agli USA e al superamento dei provvedimenti restrittivi per le nostre esportazioni, ma il nostro impegno è tutt’altro che concluso. USA, Cina e Russia restano senza dubbio in cima alla lista delle nostre priorità, ma non la esauriscono. Nel corso del 2015 abbiamo attivato contatti e canali anche con altri importanti Paesi e aree — Filippine e Centro America per citarne due — che speriamo portino importanti novità già a partire dal 2016», ha concluso il presidente. Focus sui prodotti Crescita eccezionale dei prosciutti cotti. Bene crudi, mortadella, pancette, bresaola e salami Un anno brillante il 2015 per le esportazioni di prosciutti crudi stagionati, prodotto di punta della salumeria. Gli invii di prodotti con e senza osso — assieme a coppe, culatelli e speck — hanno evidenziato un +8,8% in quantità, per oltre 68.430 tonnellate, e +7,7% in valore, per 711 milioni di euro. Il saldo commerciale della

categoria ha registrato un ulteriore importante incremento, arrivando a 648,1 milioni di euro dai 597 del 2014 (+8,6%). All’interno della categoria hanno evidenziato una crescita in quantità sia le esportazioni dei prodotti senza osso, sia quelle dei prodotti in osso, che però hanno registrato una contrazione in valore. Considerando l’insieme delle due voci doganali, hanno mostrato un ottimo passo sia gli invii verso i partner comunitari sia quelli verso i Paesi Terzi. Risultato positivo per le esportazioni di mortadella e würstel che, dopo un inizio d’anno difficile e un lento recupero nella parte centrale del 2015, grazie allo sprint finale, hanno chiuso l’anno con un +3,3% in quantità, per 34.740 tonnellate circa, e un +2,4% in valore, per 123,4 milioni di euro. Trend molto dinamico anche per le esportazioni di salami, arrivate a quota 28.170 tonnellate (+10,3%) per circa 264 milioni di euro (+3,9%). Vivaci, soprattutto con riferimento alle quantità, gli scambi con la UE 28: +10,5% in quantità e +2,9% in valore. Il 2015 è stato senza dubbio l’anno del prosciutto cotto: +44,5% in quantità, per circa 20.400 tonnellate, e +23,5% in valore, per 121,3

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Export salumi verso UE 2015 (tonnellate)

“Oltre i confini della UE il 2015 è stato un altro anno dominato dagli scambi con gli Stati Uniti, divenuti ormai primo mercato di riferimento con 8.750 tonnellate, per un valore di oltre 105,8 milioni di euro”

Export salumi extra UE 2015 (tonnellate)

invii di pancetta stagionata. Dopo tre trimestri complessi, l’export di questa categoria ha chiuso il 2015 con un +11,5% in quantità (4.900 tonnellate) e un +1,6% in valore (33,9 milioni di euro). Ottimo risultato per le esportazioni di bresaola: grazie ai buoni risultati maturati in particolare nel primo e terzo trimestre, la voce ha registrato +7,8% in quantità (3.180 tonnellate circa) e un +4,7% in valore (55,5 milioni di euro). Focus sui Paesi

Export salumi – variazione % 2015/2014

milioni di euro. Una performance straordinaria, questa, determinata dall’eccezionale aumento degli invii verso la Spagna, ma che, anche al netto

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di questo risultato, rimane solida e robusta grazie agli incrementi nella domanda di tutti i principali partner europei. Andamento positivo per gli

In Europa spicca la performance verso la Spagna, ma contributi positivi arrivano da quasi tutte le principali piazze di riferimento Ottimo 2015 per le esportazioni di salumi verso la UE, che hanno registrato un +13,2% in quantità, per oltre 135.000 tonnellate, e un +7,3% in valore, per oltre 1 miliardo di euro. All’interno della UE un contributo positivo è arrivato da tutti i nostri principali partner commerciali, ma il 2015 è stato senza dubbio l’anno della Spagna, che ha registrato un +13,2% in quantità e un +12,6% in valore. Chiusura d’anno positiva per le spedizioni verso la Germania. I nostri salumi, dopo un faticoso inizio, hanno gradualmente recuperato posizioni registrando nel complesso dei dodici mesi un +2,8% in quantità, per 32.120 tonnellate, e un +3,2% in valore, per 289,4 milioni di euro. Sulla performance hanno inciso le difficoltà di salami e pancette. Incremento importante per l’export verso la Francia, che ha registrato

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un +15,6% per 29.550 tonnellate e un +8,2% per 233 milioni di euro, grazie agli aumenti registrati da tutte le principali categorie di prodotti. Crescita a due cifre per le esportazioni verso il Regno Unito, che ha chiuso il periodo gennaio-dicembre con un +19% per 16.050 tonnellate e un +11,7% per 158,8 milioni di euro. Un risultato, questo, maturato grazie alle buone performance di tutte le categorie di salumi in particolare prosciutti crudi, salami e bresaola. Un 2015 difficile, invece, per l’export verso l’Austria (–6,6% per 9.560 tonnellate e –7,3% per 67,2 milioni di euro): gli incrementi di salami e prosciutti cotti non sono bastati a compensare le perdite delle altre categorie, in particolare prosciutti crudi e speck. Risultato positivo in quantità, ma cedente in valore per la Croazia (+6,6% per 6.570 tonnellate, ma –2,3% per 19,1 milioni di euro). La performance rispecchia, sul fronte volumi, l’incremento nelle spedizioni di insaccati cotti e, sul fronte valori, la flessione negli invii dei prosciutti crudi stagionati. Molto bene, infine, Belgio, Paesi Bassi e Svezia, che hanno registrato in quantità incrementi a due cifre e aumenti molto significativi anche in valore. Positivi gli scambi con i Paesi extra UE grazie agli scambi con gli USA Un 2015 positivo per i Paesi extra UE. Nel complesso dei 12 mesi le esportazioni verso i Paesi Terzi hanno registrato un +0,7% in quantità, per 30.250 tonnellate, e un +6,8% in valore, per 302,1 milioni di euro. Nonostante i vantaggi derivanti dal mini-euro e il successo conseguito in Nord America, la performance ha continuato a risentire dell’embargo Russia e del rallentamento economico di alcuni partner emergenti, nonché di misure atte a introdurre facilitazioni per produttori locali, come nel caso del Brasile. Oltre i confini della UE, il 2015 è stato un altro anno dominato dagli scambi con gli Stati Uniti, divenuti ormai primo mercato di riferimento con 8.750 tonnellate (+18,9%) per oltre 105,8 milioni di euro (+22%). Un risultato questo davvero notevole, soprattutto se si considera che il

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confronto è con il già ottimo 2014 e che per buona parte dell’anno sono rimaste in vigore negli USA misure restrittive nei confronti dei nostri salumi. Il provvedimento 100% reinspection, infatti, dopo essere stato rimodulato in maggio, è venuto meno definitivamente solo a partire dal 6 luglio 2015 e di fatto fino all’autunno del 2015 non erano partite le esportazioni di prodotti a breve stagionatura. Straordinario volano su questo mercato sono stati i prosciutti crudi stagionati, che hanno evidenziato un +22,7% in quantità, per 7.630 tonnellate, e un +24,4% in valore, per 98,6 milioni di euro. Bene anche i prosciutti cotti (+4,3% per 525 tonnellate, +4,2% per 3,7 milioni di euro), mentre hanno mostrato qualche difficoltà mortadelle e würstel (–7,8% per 430 tonnellate e –0,9% per circa 2,3 milioni di euro). Sulla scia del risultato USA, ha evidenziato un importante consolidamento anche l’export verso il Canada (+41% e +52,2%) grazie alle spedizioni di prosciutti crudi, salami e insaccati cotti. Un 2015 faticoso, ma in progressivo miglioramento, per gli invii di salumi verso la Svizzera. Dopo l’iniziale raffreddamento degli scambi, dovuto alla crisi generata sull’economia elvetica dalla rivalutazione del franco decisa nel gennaio 2015, le transazioni hanno ripreso vigore nel corso dell’anno. Grazie a questa dinamica, le spedizioni dei nostri prodotti, nel complesso dei dodici mesi, sono rimaste stabili in quantità (–0,3% per 4.740 tonnellate) registrando un discreto incremento in valore (+3,6% per 74,2 milioni di euro). Fra i mercati più difficili da raggiungere per i nostri prodotti spicca l’incremento di Hong Kong (+26,9% e +21,5%). Andamento dal duplice volto per la Bosnia Erzegovina (+8,3% in quantità, ma –10,1% in valore) e il Libano (–0,9% in quantità e +0,8% in valore). Hanno chiuso il 2015 con una flessione le spedizioni verso Giappone, Brasile, Repubblica Sudafricana e Federazione Russa, il cui risultato è stato ovviamente condizionato dall’embargo. (Fonte: ASS.I.CA.)

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Un incontro con i sapori e la qualità garantita altoatesina Lo Speck Alto Adige Igp, la Mela Alto Adige Igp e il formaggio Stelvio Dop vi danno appuntamento per un gustoso assaggio

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urante questa primavera e nel prossimo autunno, in alcuni importanti supermercati e punti vendita alimentari italiani verranno proposte delle degustazioni a base di Stelvio DOP, formaggio dall’intenso sapore erbaceo prodotto con latte fresco di montagna, insieme ad uno spicchio delizioso, a scelta, tra le tredici varietà di Mela Alto Adige IGP, dalle succose Gala alle famose Golden e Red Delicious, ricche di vitamina C, magnesio e fibre naturali.

Per completare la ghiotta “merenda”, un assaggio di Speck Alto Adige IGP, dall’inconfondibile sapore dolce e aromatico, nato da antiche ricette, e dall’affumicatura all’aria di montagna. I tre prodotti a Denominazione di Origine Protetta e Indicazione Geografica Protetta sono gli ambasciatori della qualità, della genuinità e dei sapori unici della tradizione e dell’eccellenza culinaria altoatesina.

“Un appuntamento per assaporare i migliori prodotti gastronomici dell’Alto Adige, che nascono da un’armoniosa simbiosi tra territorio, tradizione e genuina qualità, riconosciuta e tutelata anche dalla UE”

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Salame Cacciatore Dop, nel 2015 produzione in crescita Il Salame Cacciatore Dop conferma la propria leadership nel settore dei salami tutelati con un dato di produzione che ha fatto registrare, per il 2015, un +6,9% rispetto al 2014, con quasi 3.700.000 kg prodotti. «È un ottimo risultato — commenta LORENZO BERETTA, presidente del Consorzio Salame Cacciatore — poiché il 2015 segna il ritorno alla crescita per il nostro salame dopo due anni di stasi; questo dato risulta ancora più positivo se paragonato alle vendite del totale “comparto salame” che per il 2015 sono state pressoché stabili». La ricetta di questo successo? La qualità garantita dalla DOP, la praticità d’utilizzo, le sue caratteristiche nutrizionali e una “battuta di cassa” decisamente “anti-crisi”, essendo di solito di peso pari a circa due etti. Altro dato particolarmente interessante riguarda l’export: infatti, ben il 22% del prodotto viene esportato e in questo ambito è la Germania a confermarsi il principale partner, assorbendo ben oltre la metà della produzione di Cacciatore DOP (57%) destinata al mercato europeo. «Il Consorzio Salame Cacciatore — continua Beretta — ha deciso di modificare la propria strategia di comunicazione, da un lato ampliando il settore social con l’implementazione del canale Facebook, dove poter attingere stuzzicanti ricette e curiosità sul prodotto, dall’altro anche attraverso contest ed eventi che lo vedono protagonista. Un esempio? Il concorso in cui chef e consumatori si sfideranno proponendo le loro ricette di “Panini al Salame Cacciatore DOP”».

Nuova campagna IVSI in Giappone L’Istituto Valorizzazione Salumi Italiani (IVSI) lo scorso aprile ha presentato ufficialmente in Giappone, a Tokyo, il Programma “SalumiAmo Dop”. Alla conferenza stampa hanno partecipato decine di giornalisti giapponesi, oltre ad una larga rappresentanza di operatori del settore food, sempre molto attenti alle novità provenienti dal mercato agroalimentare europeo. “SalumiAmo Dop” è una campagna di informazione e promozione — di durata biennale e con un budget complessivo di 800.000 euro — realizzata da IVSI con il contributo dell’Unione Europea e dello Stato italiano e con la collaborazione dell’agenzia ICE di Tokyo. Nell’ambito della campagna verranno realizzate numerose attività: corsi di cucina e show cooking, degustazioni nei ristoranti e nei punti vendita di diverse città giapponesi, incontri con gli operatori, opuscoli allegati a importanti riviste e materiale informativo, incontri con la stampa e viaggi in Italia per il Premio giornalistico Reporter del Gusto. L’obiettivo di tutte le iniziative della campagna è quello di comunicare e spiegare al consumatore giapponese l’importanza della provenienza di determinati prodotti, delle loro certificazioni DOP e IGP, delle caratteristiche del territorio d’origine, delle tecniche di produzione e i valori nutrizionali che rendono autentici e inimitabili i salumi italiani. Per l’Istituto Valorizzazione Salumi Italiani si tratta della terza iniziativa in Giappone. La prima è stata realizzata nel 2000-2003, subito dopo l’apertura del mercato nipponico ai salumi italiani (avvenuta nel febbraio 1999), mentre la seconda è stata svolta nel 2008-2010, anch’essa con il contributo europeo e dello Stato italiano. Il Giappone è uno dei principali Paesi di riferimento per le esportazioni dei salumi italiani, con 3.358 tonnellate per un valore di 34,2 milioni di euro nel 2015. «Con il Giappone abbiamo un rapporto consolidato di amicizia e rispetto», ha affermato FRANCESCO PIZZAGALLI, presidente dell’IVSI. «Il consumatore giapponese è molto attento alla qualità dei cibi e, oltre al gusto, cerca un prodotto sano e genuino. I nostri salumi rispondono a queste richieste».

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Alessandro Bezzi è il nuovo presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano ALESSANDRO BEZZI, 47 anni, imprenditore agricolo e presidente della latteria sociale Centro Rubbianino (RE), è il nuovo presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano. L’elezione di Bezzi è avvenuta all’unanimità nell’ambito del Consiglio di amministrazione dell’ente di tutela, a poco più di un mese di distanza dalle dimissioni dall’incarico di GIUSEPPE ALAI, per dieci anni al vertice del Consorzio. Bezzi, che tra l’altro è vicepresidente nazionale del settore lattiero-caseario di Fedagri/Confcooperative (realtà cui fanno capo 640 cooperative casearie con oltre 21.000 produttori associati e 4,5 miliardi di fatturato), continuerà ad essere affiancato alla vicepresidenza da ADOLFO FILIPPINI (modenese), PIERO MARIA GATTONI (mantovano) e MONICA VENTURINI (parmense). Bezzi guiderà l’ente di tutela sino al rinnovo del Consiglio, previsto nella primavera 2017 da parte dell’assemblea dei consorziati, che ad inizio aprile ha tra l’altro approvato il nuovo “Piano di regolazione dell’offerta” per il triennio 2017-2019. «Sarà questo il nostro primo punto di riferimento per mantenere un indispensabile equilibrio tra un’ordinata gestione dei flussi produttivi e la domanda interna e internazionale — sottolinea Bezzi — perché è principalmente a questo che si lega la possibilità della valorizzazione di un’eccellenza che si traduca in reddito reale per i produttori, che solo dopo 18 mesi di crisi hanno visto un apprezzabile rialzo delle quotazioni. Contestualmente, rafforzeremo ulteriormente quelle azioni sui quei mercati esteri che nel 2015 hanno registrato una crescita complessiva eccezionale, pari al 13,2% (+34% negli USA), anche in virtù di elementi straordinari sui quali occorre puntare ad innestare azioni che stabilmente garantiscano comunque una espansione. Insieme a questi elementi, i nostri obiettivi primari restano la qualità assoluta del prodotto, la sua tracciabilità, le azioni di vigilanza dagli allevamenti ai punti vendita, unitamente allo sviluppo di quel “Progetto Qualità” che riguarda le aree di montagna ed è finalizzato alla migliore valorizzazione di una produzione rispetto alla quale non esistono sostanziali alternative in zone che scontano anche più alti costi produttivi».


MERCATI Barbecue, tonnata, messicana… Nuovi gusti e differenti modalità d’uso

Ancora in crescita il mercato delle salse: trend positivo nel 2015 di Denis Valdemarin

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lla fine di un 2015 che ha visto il grocery (l’insieme di prodotti alimentari, toiletry e cura casa) e il comparto del food confezionato (+0,6%) in leggera ripresa, le salse sono risultate sostanzialmente in linea come risultati: +1% di crescita di fatturato e stabilità nei volumi. È comunque da segnalare come questa categoria sia sempre stata in crescita negli ultimi tre anni, con un +1% nel 2014 (anno negativo per l’alimentare) e un +3,5% nel 2013. Nell’ultimo anno, la crescita delle salse è stata spinta dall’area 1 (Nord-Ovest) che ha registrato un aumento di fatturato del 3%, grazie a un lieve aumento dei volumi e soprattutto al contributo dei prezzi (+2%). È risultata positiva anche l’area 2 (Nord-Est), seppure su livelli inferiori. Questi trend sono in linea con il grocery, dove si osserva la migliore performance del Nord Italia (legato alla più veloce ripartenza del ciclo economico), mentre rimane più in sofferenza l’area 4, l’unica ad evidenziare una flessione (–0,9 a volume, –1,8 a valore) pure a fronte di un elevato e crescente sostegno promozionale (in crescita dai 37 ai 39 punti). Considerando invece i canali distributivi, in termini di fatturato sono risultate positive le grandi superfici (iper e super), in particolare gli iper (+2,1%) che hanno puntato ulteriormente su un’amplissima scelta assortimentale per il consumatore (passando dalle 77 alle 79

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referenze) e che hanno supportato la categoria con un sostanzioso sostegno promozionale (vicino al 33%). Anche i supermercati hanno incrementato la gamma di referenze e ne hanno beneficiato di conseguenza (+1,3% di fatturato). Infine, si segnala la crescita rilevante del discount (+5,1% a valore), un risultato più elevato del totale grocery (+4.2%) dipeso sia dalla maggiore varietà di prodotti, sia dalla risalita dei prezzi. Da ultimo, sono state in lieve calo di fatturato le superfici più piccole, i liberi servizi e i negozi tradizionali (rispettivamente –2% e –5%). Sul calo ha pesato la concorrenza delle grandi superfici e dei discount, che hanno puntato su un assortimento maggiore e hanno offerto prezzi inferiori, oltre alla riduzione numerica legata alle chiusure dei negozi, in particolare dei liberi servizi (–8%). Prodotti tradizionali poco dinamici, piacciono le nuove proposte da contorno Nell’ultimo anno la categoria è stata sostenuta principalmente dalle salse da contorno (+6% in fatturato), grazie alla crescita di tipologie come la barbecue, la tonnata e la messicana. La buona performance è legata all’aumento assortimentale e al maggiore sostegno (anche pubblicitario) all’utilizzo di nuovi tipi di salse rispetto alle tradizionali, impiegando anche la leva promozionale e di riduzione dei prezzi per “invogliare” lo shopper alla prova dei prodotti. I prodotti più tradizionali

sono stati invece poco dinamici: su livelli migliori il segmento principale della maionese (+0,4%), che è rimasto quello con maggiore utilizzo promozionale (33%), mentre è stato in calo l’altro segmento importante, il ketchup, sia nei volumi (–2%) che nei fatturati (–1%) nonostante la spinta promozionale rilevante. Negativa invece la senape (–6% a volume e –4% a valore), un segmento tradizionale e poco promosso, che potrebbe aver risentito anche del forte calo di una categoria complementare come i würstel (–9%), che hanno mostrato un trend in sensibile sofferenza. Infine, il piccolo segmento delle salse dressing, cresciuto solo a volume (+6%) con un prezzo medio più basso (–7%) legato all’aumento distributivo nei discount e all’aumento sensibile delle promozioni che si sono portate oltre il 20%. In un anno ancora poco dinamico, la leva principale è stata la crescita assortimentale focalizzata sul segmento delle salse da contorno, con il sostegno alla prova di nuovi gusti e modalità di utilizzo diverse (es. salsa barbecue). Infatti le salse contorno offrono un’ampia scelta di gusti (in continuo aumento sugli scaffali) anche più “appaganti” e diversi dal solito per il consumatore, ma sarà importante che le aziende sostengano l’utilizzo frequente del prodotto in modo che i consumi ne beneficino nel tempo. (Fonte: Nielsen Italia www.nielsen.com)

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INTERVISTE Dalla cucina della nonna agli studi televisivi della RAI

Daniele Reponi, paninaro gourmet di Silvia Saracino

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asce tutto nella cucina di nonna Ermide. La quale, come ogni rezdora che si rispetti lungo la via Emilia, ha cresciuto i nipoti a carezze e pasta sfoglia, baci e tortellini in brodo di cappone. DANIELE REPONI arriva appena al bordo del tavolo di legno quando per la prima volta affonda le dita nel ripieno di carne profumata, mentre guarda estasiato la nonna che volteggia il mattarello. Sboccia un amore irrefrenabile per la cucina che porterà il giovane modenese, a soli 21 anni, a diventare titolare di

una trattoria nella sua città. Oggi, che di anni ne ha quaranta, con una compagna e due figli, dopo aver cucinato nelle antiche trattorie del Modenese, Reponi si è specializzato nella preparazione di panini gourmet farciti con ingredienti che va a scovare in tutta Italia, dalle alici alla burrata passando per il prosciutto di Parma. Una strada fortunata che l’ha portato negli studi televisivi della trasmissione La Prova del Cuoco condotta da Antonella Clerici, dove da un anno prepara tutte le settimane gustosi panini davanti al grande pubblico.

Da chef nelle trattorie a “paninaro” gourmet: ci racconti la sua evoluzione… «La mia prima esperienza in cucina risale a vent’anni fa quando, assieme ad altri ragazzi, presi in gestione una trattoria a Nonantola, in provincia di Modena. Volevamo cucinare anche di notte per i ragazzi che uscivano dalla discoteca, eravamo pieni di entusiasmo e sono rimasto lì per quattro o cinque anni. Nel frattempo ho maturato il desiderio di approfondire la ricerca sui prodotti e per questo mi sono spostato sull’Ap-

Materia prima di qualità: questo il must di Daniele, che per i suoi panini va a scovare gli ingredienti in tutta Italia.

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passione nel suo lavoro, c’è anche un buon prodotto. Negli anni trascorsi in montagna ho iniziato anche a non amare la chimica nel piatto: la chimica, che pure ho studiato, aiuta la conservazione del prodotto, ma non amo l’edulcorazione che provoca sul sapore e sulla qualità della materia prima».

Daniele Reponi. pennino modenese dove ho gestito un altro ristorante assieme a un socio. In questi anni in montagna ho scoperto l’importanza della materia prima, della sua origine artigianale». Su quali prodotti ha concentrato la sua ricerca? «In particolare su salumi e formaggi, di cui, nelle montagne dell’Appennino, c’è una produzione artigianale di alta qualità. Grazie all’insegnamento di uno chef, con cui poi ho lavorato, ho imparato che la cucina non è solo trasformazione ma ricerca della qualità nella materia prima. Ogni prodotto ha una sua storia e dietro ad ogni storia c’è una persona: più conosci la persona, il suo essere e il suo modo di lavorare, più impari a conoscere il prodotto. Dove c’è una persona genuina, che mette

“Ogni prodotto ha una sua storia e dietro ad ogni storia c’è una persona… Dove c’è una persona genuina, che mette passione nel suo lavoro, c’è anche un buon prodotto”

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Qual è il prodotto che più l’affascina? «Sono rimasto molto colpito dal maiale e dalla sua lavorazione. Dopo gli anni di gestione della trattoria sono rimasto in Appennino, lavorando con Giovanni Montanari, che già aveva iniziato a trasmettermi il concetto di importanza della materia prima. Nella sua trattoria facevamo tutto, dalla macellazione del maiale all’imbottigliamento del vino; è stata un’esperienza molto formativa. Successivamente sono andato in giro per l’Italia alla ricerca di materie prime e della loro storia e ho capito che, in base alla zona geografica, la lavorazione del maiale prende strade completamente diverse. La competenza emiliana non è l’unica di alta qualità, lo è altrettanto la lavorazione del maiale fatta dai norcini della Calabria. Ho conosciuto realtà dove la lavorazione è ancora artigianale, dove si aprono e si chiudono le finestre per far circolare l’aria necessaria al giusto punto di stagionatura del salame». E arriviamo ai panini… «Esatto. Ho messo in pratica e ho approfondito le conoscenze sulle materie prime lavorando nella bottega gastronomica Da Panino, nel cuore del centro storico di Modena, dove presto aprirò un mio locale. Preparerò panini e alcuni piatti semplici con ingredienti scovati in varie regioni d’Italia, soprattutto salumi e formaggi, la mia passione. Farò arrivare la mozzarella da Salerno, l’anguilla da Comacchio, e anche il pane arriverà da varie regioni d’Italia perché, come il maiale, viene lavorato in modi diversi in base alle varie zone». Il suo panino preferito? «Bella domanda, ce ne sono tanti. Cito solo due abbinamenti che prediligo: burrata con filetti di acciughe e prosciutto crudo e fichi». Silvia Saracino

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SAPORI DAL MONDO Sull’isola di Lolland, nel sud della Danimarca

Knuthenlund, manca giusto un pizzico di sale di Tania Mauri

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uesta è la storia di una splendida fattoria danese, Knuthenlund, e della sua famiglia di produttori di formaggio da generazioni. Oggi a guidarla è una donna, SUSANNE HOVMAND. Knuthenlund è situata a pochi chilometri dal villaggio di Stokkemarke, sull’isola di Lolland nel sud della Danimarca, ed è un incredibile esempio di come «cambiare sia sempre difficile, soprattutto perché le barriere sono principalmente nella

nostra testa», ci racconta Susanne, che ha trasformato la tenuta di famiglia in un luogo dove riscoprire cosa sia la biodiversità, trovare ottimo cibo e rilassarsi. Ma cominciamo dall’inizio. Knuthenlund è la classica grande fattoria del nord Europa, fondata nel 1729, poi acquistata nel 1913 da J.P.H. HANSEN, il bis-bis-bisnonno di Susanne, che era diventato abbastanza ricco proprio grazie al formaggio, attività che si è protratta fino al nonno paterno MORTEN EVALD HOVMAND-

HANSEN, esperto casaro e presidente del caseificio cooperativo locale in Stokkemarke. Susanne Hovmand Simonsen — la quarta generazione — l’ha ereditata dai genitori nel 2006, ma la tenuta navigava in cattive acque perché aveva perso il lustro e l’alta produttività di un tempo. Susanne stava attraversando un momento particolare e questa le sembrò la giusta occasione per cambiare vita, un cambiamento che da tempo sentiva di dover fare.

Maiali di razza Landrace allevati a Knuthenlund.

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“Susanne ha raggiunto il suo obiettivo: quello di una natura sana che produce colture sane, animali sani e persone sane. Nel 2012 ha creato The Native Cooking Award, una gara di cucina tra grandi chef da tutta Europa. Come dice lei stessa: avevo capito che era necessario educare le persone all’alta qualità e quindi ho pensato di portare i cuochi in campagna per cucinare i prodotti della fattoria, le materie prime locali e altri ingredienti naturali selvatici”

La produzione principale a Knuthenlund è quella lattiero-casearia. Prima di tutto decise che era necessario trasformare l’unico ettaro di terra a sua disposizione in agricoltura biologica. «Le coltivazioni di Lolland erano tutte per le grandi industrie e nessuno dell’isola era disponibile a cambiare perché, sostenevano, il terreno non era adatto e non era mai stato fatto». Testarda e determinata, chiese aiuto all’esterno, anche per i finanziamenti, e finalmente, nel 2007, cominciò la coltivazione biologica — oggi è una delle più grandi aziende agricole biologiche del paese e gli ettari sono diventati 950 — e a «prendersi cura della natura, a ridare dignità alla biodiversità che stava scomparendo, incrementando la fauna naturale —

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ragni, scarabei, coccinelle, ma anche rane, vermi e uccelli — seminando fino a 27.000 piante autoctone, alberi da frutta e arbusti». Il suo coraggio viene premiato, l’azienda prospera e nel 2009 riapre il caseificio di famiglia. «Ero la nipote di grandi casari e avevo bisogno di produrre qualcosa che soddisfacesse il mio palato, qualcosa di genuino, gustoso, vero… Mi venne l’idea di fare il formaggio come lo faceva mio nonno. Era buonissimo. Perché non produrlo e venderlo seguendo i suoi metodi artigianali tradizionali?». Il latte utilizzato è quello delle sue pecore, capre e mucche ed è gestito con molta cura per preservarne il gusto e la “struttura”. I prodotti

caseari vanno dallo yogurt mescolato a mano al latte fresco in bottiglie di vetro, fino ai deliziosi formaggi, fiore all’occhiello dell’azienda, che hanno dato lustro alla Danimarca salendo sui tre gradini più alti del podio ai World Cheese Awards del 2011: l’oro per il formaggio semiduro con latte di capra, l’argento per il brie di pecora Hermans Arv e il bronzo per quello fresco di latte ovino e caprino. Quello era solo l’inizio per Susanne che, in coppia col marito Jesper Hovmand, ogni anno porta a casa numerosi premi e riconoscimenti da tutto il mondo. Alle cinquecento pecore e trecento capre che producono ottimo latte biologico — il latte di pecora ha una consistenza cremosa

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Alcuni scatti relativi al The Native Cooking Award, una gara di cucina tra grandi chef provenienti da tutta Europa. e quasi vellutata — si aggiungono dodici mucche e cinque vitelli di razza Red Danish. Questi bovini erano presenti a Knuthenlund già dal 1700 ed è con il loro latte che, nel 1903, il vecchio J.P. Herman Hansen aveva ricevuto il premio per il formaggio bianco Maribo, grazie alla particolarità della cagliata impastata con

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sale e confezionato in stampi, come da tradizione baltica, ma morbido e meno acido, dalla buccia “pulita” grazie alla frequente spazzolatura. «Aver reintrodotto questi bovini è stato importante perché, durante l’industrializzazione dell’agricoltura nel 1950, erano stati sostituiti con quelli della razza Holstein che aveva

una resa più elevata. Ma ora la Red Danish è tornata a Knuthenlund. Si tratta di una razza locale, della quale sono rimasti solo 150 capi, che sono indispensabili per ripristinare al caseificio le ricette storiche originali. Questa mucca pregiata produce una qualità di latte eccellente anche grazie ai campi biologici, dove abbia-

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Pecore e capre sono allevate con metodo biologico. mo seminato erbe diverse per dare più sapori al latte e su cui pascola almeno 150 giorni all’anno». Recentemente alla fattoria hanno cominciato ad allevare anche il maiale danese Landrace “bianco e nero”, una delle razze più selezionate e apprezzate del mondo, anche se cresce lentamente e non diventa grande come le razze suine moderne. È un maiale molto robusto, che nei secoli si è perfettamente adattato al clima e al territorio della Danimarca. «Ama vivere all’aria aperta, dove razzola tutto l’anno tra prati e boschi che distrugge, sempre alla ricerca di cibo tra radici, vermi, ghiande e noci di faggio. Questa alimentazione naturale e il continuo esercizio fisico conferiscono un sapore particolare alla sua carne, forse un po’ più muscolosa di quella tradizionale e di un bel colore rosso vivo, perfetta per salumi e tagli diversi». Di tutto e di più, sale a parte Negli anni la fattoria si è “allargata” e oggi è possibile fare moltissime cose: ha una caffetteria e un negozio

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— da cui si può vedere la mungitura pomeridiana delle mucche attraverso una grande finestra — dove è possibile acquistare il loro formaggio, il miele, le salsicce, i salumi e la carne, ma anche una vasta gamma di prodotti provenienti da altri produttori locali; si possono organizzare picnic nella splendida cornice verde della tenuta, o cercare radure soleggiate e tranquille usando le loro biciclette rosse; affittare una fattoria o una casetta tra i boschi per trascorrere lunghi weekend o intere vacanze; visitare gli orti, gli animali e le foreste dei dintorni. Susanne ha raggiunto il suo obiettivo, «una natura sana produce colture sane, animali sani e persone sane», e nel 2012 ha addirittura creato The Native Cooking Award, una gara di cucina tra grandi chef da tutta Europa. «Avevo capito che era necessario educare le persone all’alta qualità e quindi ho pensato di portare i cuochi in campagna per cucinare i prodotti della fattoria, le materie prime locali e altri ingredienti naturali selvatici». Originale e divertente il format: ogni squadra è composta da quattro

chef di un unico paese che devono avere esperienza come sous chef in un ristorante Michelin o devono essere di livello analogo. La gara è una specie di “caccia al tesoro” dove, in sella a una bicicletta, vengono date le coordinate GPS per trovare le erbe, raccogliere i frutti e le piante edibili, mentre la carne e i prodotti lattiero-caseari vengono forniti da Knuthenlund o da altri selezionatissimi produttori locali. L’unico ingrediente consentito dall’esterno è il sale. Il menù, di tre portate, viene deciso dagli chef in base a quello che hanno trovato e/o raccolto, la cucina è all’aperto e non è possibile usare l’elettricità. A fine giornata una giuria delibera il vincitore, a cui viene assegnata, come premio, una somma di denaro. Tania Mauri Nota Per informazioni più dettagliate sull’azienda e sulla gara dei cuochi si possono visitate i due siti web: knuthenlund.dk e www.nativecookingaward.com

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ASSOCIAZIONI

Slow Food festeggia un altro importante anniversario Buono, pulito e giusto: questo è il messaggio veicolato all’intero pianeta. Perché mangiare non sia solo nutrirsi, ma anche godere del piacere di farlo; consumare significhi anche rispettare l’ecosistema e l’essere umano e perché l’alimento sia remunerativo sempre, nel giusto modo e per chiunque sia coinvolto nella catena produttiva di Sebastiano Corona

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rent’anni, tanti ne sono passati da quando un gruppo di cultori della buona cucina — Carlo Petrini in testa — decise di fondare un movimento che ben presto sarebbe diventato la più grande organizzazione non governativa impegnata nella tutela del buon cibo. Un cibo però che fosse figlio di un’agricoltura sostenibile, di una nuova etica del lavoro e di un modo responsabile di consumare. Definire così Slow Food — all’epoca battezzata con il nome più goliardico di Arcigola — è forse riduttivo, soprattutto se si va ad esaminare tutto ciò che la Chiocciola più famosa al mondo, pur simbolo di lentezza per eccellenza, è riuscita a fare in un arco di tempo nel complesso molto limitato. Tantissimi sono infatti i meriti che le si possono riconoscere, in ambito sia nazionale

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che internazionale. Ma certamente uno viene prima degli altri, ed è quello di aver colto l’intuizione della grande importanza che il cibo avrebbe acquisito nel tempo non tanto e non solo per il suo valore intrinseco e per la sua capacità di rispondere al bisogno primario di ognuno. Del cibo Slow Food ha colto infatti l’aspetto sacrale, culturale, antropologico, ecologico, economico e persino filosofico. Eppure Petrini e gli altri, all’epoca, erano considerati poco più che buongustai. Buongustai, però — come i fatti hanno poi dimostrato — che intendevano riportare l’accento sulla qualità degli alimenti. Decisero di farlo nel momento peggiore per l’agroalimentare nazionale, nel secolo scorso. Lo scandalo del vino al metanolo stava devastando l’immagine del settore in Italia e nel mondo.

Fu probabilmente proprio quel fatto così grave e così inconsueto che guidò la necessità di avviare una nuova stagione della cultura del cibo. Come i fatti poi dimostrarono, quella vicenda costrinse a ricominciare a lavorare sulla qualità del prodotto e a fare in modo che situazioni del genere non venissero a ricrearsi mai più. È anche grazie o a causa dello scandalo del vino al metanolo che una nuova cura per la terra e una diversa attenzione al processo produttivo hanno portato negli anni a livelli di eccellenza che tuttora permangono e si rinnovano. Che fosse necessario intervenire, e che fosse necessario farlo in quel modo, i fondatori di Slow Food l’avevano intuito prima degli altri e l’avevano immaginato non solo per il settore vitivinicolo, ma anche per il resto dei prodotti della terra.

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“Nel vocabolario della Chiocciola c’è il concetto di eredità, inteso come patrimonio immateriale e materiale del cibo che abbiamo l’obbligo morale di lasciare ai nostri figli. C’è l’indicazione di un’etichetta nuova che sia soprattutto trasparenza e garantisca libertà di scelta”

“L’Arca del Gusto è un patrimonio immateriale che raccoglie i prodotti che appartengono alla cultura, alla storia e alle tradizioni di tutto il pianeta e che puntualmente si rinnova e si arricchisce ed è in quest’ambito che si segnala l’esistenza di prodotti particolari, se ne denuncia il rischio di scomparsa, si invitano le istituzioni ad intervenire per la salvaguardia”

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La locandina del documentario che racconta la storia di Slow Food. La realtà di Arcigola, relegata principalmente alle esperienze locali, ben presto ebbe una eco oltre confine prendendo appunto, nel 1989, a Parigi, il nome di Slow Food. Il termine del lento mangiare non fu solo una risposta diretta ai fast food, che si stavano all’epoca diffondendo in tutto il mondo e di cui non si condivideva assolutamente nulla. Slow Food veniva anche a seguito di esperienze come quella di Chernobyl, il più grande disastro nucleare nella storia, che dimostrava a chiare lettere che nel pianeta tutto è interconnesso e che una ferita che si infligge all’ecosistema in una zona della Terra è una ferita per il mondo intero. Questi erano i presupposti della propagazione internazionale di un

soggetto che, per sua natura, non poteva relegare le sue attività all’interno dei confini nazionali. Da quel momento la Chiocciola non si è più arrestata, continuando con migliaia di progetti diversi la sua lotta per la biodiversità, per costruire relazioni tra produttori e consumatori e migliorare la consapevolezza sul sistema che regola la produzione alimentare. Impossibile riassumere anche solo una parte delle attività della ong. Ma alcune, più di altre, meritano di essere menzionate. Slow Food coinvolge adulti e bambini presentando il cibo nelle sue valenze culturali e sociali, oltre che organolettiche, in un progetto che prende il nome di Orti in Condotta. Gli adulti possono invece seguire dei

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Un gregge al pascolo (photo © cheese.slowfood.com). percorsi formativi specifici come i Master of Food, dove il risveglio e l’allenamento dei sensi, oltre che una formazione sulle tecniche produttive del cibo e sulla degustazione, sono assicurate. I Mercati della Terra sono invece una rete internazionale di trasformatori e contadini uniti da valori e regole condivisi tra loro. Un luogo dove non solo si vendono prodotti locali e di stagione, ma ci si trova, ci si conosce, si realizzano eventi e si mangia in compagnia creando una cultura nuova del gusto. Con la Fondazione Slow Food per la Biodiversità onlus vengono avviati e coordinati progetti a difesa delle tradizioni locali e delle comunità che nascono attorno al cibo. È dalla Fondazione che nascono i 400 Presidi presenti in tutto il mondo e i 1.000 prodotti dell’Arca del Gusto. I primi trasformano in azioni i principi alla base della politica di Slow Food e sono i più efficaci strumenti in mano all’organizzazione per diffondere i principali temi delle varie campagne di sensibilizzazione. Ne esistono diversi e sono divisi per tipologia, da

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quelli dei formaggi a quelli del mare, da quelli sulle razze e le produzioni animali a quelli vegetali e al miele, per finire con i Presidi che coinvolgono le comunità indigene e rappresentano la campagna più ampia portata avanti da Slow Food e da Terra Madre in difesa dei diritti e della cultura dei popoli indigeni. L’Arca del Gusto è invece un patrimonio immateriale che raccoglie i prodotti che appartengono alla cultura, alla storia e alle tradizioni di tutto il pianeta e che puntualmente si rinnova e si arricchisce. È nell’ambito dell’Arca del Gusto che si segnala l’esistenza di prodotti particolari, se ne denuncia il rischio di scomparsa, si invitano le istituzioni a intervenire per la salvaguardia. Non bastasse, Slow Food fa parte del Forum italiano dei movimenti per la terra e il paesaggio, un aggregato di associazioni e cittadini che lavorano per tutelare il territorio italiano dalla deregulation e dal cemento selvaggio. La Chiocciola, dal 1990, è anche editore di testi e riviste volti ad amplificare il suo messaggio. E sempre per dare enfasi ai suoi temi,

è sorta nel 2004 l’Università privata e legalmente riconosciuta di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, dove è possibile intraprendere un percorso di studi che finalmente danno dignità anche accademica al cibo, visto e interpretato come fenomeno complesso e multidisciplinare. In Africa, nelle scuole, nei villaggi e nelle periferie delle città, Slow Food contribuisce alla coltivazione di 10.000 orti per creare una rete di giovani che operino per salvare la straordinaria biodiversità del continente, per valorizzarne i saperi e le tradizioni, per promuovere l’agricoltura familiare e di piccola scala e per dare un futuro agli africani nella loro straordinaria terra. Slow Food ha anche stretto un’alleanza con una rete di oltre 400 cuochi di osterie, ristoranti, bistrot, cucine di strada di Paesi come l’Albania, l’Italia, l’Olanda, il Marocco e il Messico. Cuochi che difendono, dalla propria cucina, la biodiversità alimentare in tutto il mondo. E via discorrendo: promozione dei prodotti d’origine dell’Africa occidentale, rete dei produttori dei mieli

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quelle per i festeggiamenti dei primi trent’anni di attività. Buono, pulito e giusto Riportare cifre, elenchi di cose fatte e di iniziative realizzate è però ancora riduttivo e non sarebbe in linea con la filosofia dell’organizzazione che non punta ai numeri, ma ai contenuti. E nei contenuti Slow Food può vantare il merito di essere davvero riuscita a far passare il concetto di un mondo che può e deve essere buono, pulito e giusto. Buono è ciò a cui tutti hanno diritto nel rispetto delle differenti culture e non solo in termini di attenzione alla qualità organolettica, ma anche come piacere e gusto nella sua accezione culturale. Giusto come deve essere giusta la misura della gratificazione per chi produce e chi si nutre. Il cibo a basso costo è ingiusto quando impedisce una corretta remunerazione a chi ha lavorato. Pulito lo si intende nel rispetto della terra, degli altri e di sé stessi. Un cibo è pulito se non sporca il mondo,

né l’essere umano o il pianeta. Questa è la sintesi. Ma le parole chiave che riecheggiano come un ritornello nella filosofia di Slow Food sono molte di più. Una di queste è agricoltura, ma poi vengono biodiversità, rispetto del cibo, del consumatore, dei contadini, di un’economia che sia soprattutto buona amministrazione intesa come gestione per la collettività e non ad esclusivo vantaggio del singolo. Nel vocabolario della Chiocciola c’è anche il concetto di eredità, inteso come patrimonio immateriale e materiale del cibo che abbiamo l’obbligo morale di lasciare ai nostri figli. C’è l’indicazione di un’etichetta nuova che sia soprattutto trasparenza e garantisca libertà di scelta. Su tutto regna l’idea di un consumare sostenibile perché “il pianeta Terra non ci viene in dono dai nostri padri, ma è un prestito concesso dai nostri figli”. Questo famoso adagio, da molti attribuito ai popoli indigeni africani, rende perfettamente l’idea dello Slow Food pensiero. Sebastiano Corona

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d’Etiopia, tutela dei datteri del deserto di Al Jufrah, la lista delle iniziative è ancora molto lunga ed è impossibile riportarla al completo. Ci sono i numeri però a dare la misura delle cose: Slow Food è oggi una rete che si estende in 160 Paesi nel mondo, con oltre 2.300 comunità che fanno parte di Terra Madre. Tremila sono i prodotti che fanno capo all’Arca di Noè; trentasette, sono i Mercati della Terra in Italia e 15 nei Paesi esteri; trenta i diversi corsi a catalogo, che vanno dal vino alla degustazione di formaggi, salumi, birra, che negli anni hanno coinvolto 88.000 persone e titolato oltre 4.000 master of food; 50.000 sono i soci delle condotte italiane. Una manifestazione regna su tutte: il Salone del Gusto che a Torino, ogni due anni, dal 1996 richiama 1,4 milioni di partecipanti tra cui 30.000 delegati di Terra Madre. E ancora: un numero infinito di eventi che ogni mese, ogni settimana, ogni giorno, le diverse condotte organizzano sul territorio, non ultime,

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TENDENZE

La cucina del futuro La cucina ha sempre avuto stretti rapporti con le tecniche sviluppate nelle diverse aree scientifiche. Come nel recente passato si è trasformata passando dal fuoco a legna a quello a gas e poi elettrico, la cucina del futuro sfrutterà l’informatizzazione e si baserà sui nuovi strumenti che già usano l’industria alimentare e i grandi cuochi di Giovanni Ballarini

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ià a metà del secolo diciannovesimo JUSTUS VON L IEBIG e L OUIS P ASTEUR svolgevano ricerche per meglio comprendere ciò che avveniva nella conservazione e trasformazione degli alimenti. Contestualmente, iniziarono trasformazioni tecniche che cambiarono le cucine, dai fuochi ai sistemi di cottura, perché la cucina, come ogni altra attività umana, è in costante evoluzione, condizionata e influenzata com’è dalle condizioni sociali, economiche, culturali, dagli avanzamenti scientifici e, in particolare, da quelli dei materiali e delle tecnologie. Prima le industrie e poi i cuochi hanno visto e applicato nuovi strumenti e tecniche, alcune delle quali si diffonderanno anche alle cucine casalinghe e quindi contribuiranno alla cucina del futuro. Cucina e tecniche È sempre difficile, se non impossibile, prevedere il futuro, anche della cucina, ma se si guarda quello che sta avvenendo in altri campi del vivere umano possiamo pensare che un ruolo importante avrà l’informatizzazione e l’uso delle nuove tecnologie nel trattamento degli alimenti. A proposito di queste ultime, va precisato che la tecnica non è ciò che definisce il cuoco, ma il mezzo attraverso il quale il suo pensiero prende forma: confondendo i due elementi, quindi, si incorre in errore. Inoltre, già oggi assistiamo allo sviluppo di nuove tecniche, da considerare dei classici della cucina contemporanea. Voler modificare la consistenza di preparazioni come salse e succhi ha fatto comprendere meglio la gelificazione, ha permesso di sviluppare la tecnica della sferificazione e lo studio di composti aerati ha dato vita a spume e arie. Molte tecniche in uso negli studi e nei gabinetti scientifici o nelle industrie alimentari sono state perfezionate e apparecchi che erano presenti nei laboratori scientifici hanno iniziato a comparire nelle cucine, come ad esempio il circolatore termostato e la cottura a bassa temperatura. L’essiccatore oggi permette di apprezzare la sensazione del croccante, con il Pacojet si creano sorbetti e purè ghiacciati, dolci e salati. L’utilizzo dell’azoto

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liquido dimostra che il grande freddo può produrre consistenze e strutture ricche di gusto. Molte altre sono le “macchine” e le tecnologie innovative di una probabile cucina del futuro, che elenchiamo di seguito in ordine alfabetico e che meritano una sia pur breve descrizione. Arie aromatiche Arie aromatiche o semplicemente arie si dicono le schiume e la loro preparazione è molto semplice. Ad un liquido aromatizzato si aggiunge lecitina di soia in polvere; il tutto viene poi frullato ad alta velocità con un frullatore a immersione. La schiuma che si forma sulla superficie è denominata aria. Con qualche cucchiaio di aria aromatizzata si può aggiungere un particolare aroma e dare volume ad un piatto. Le arie non hanno una consistenza propria ma, in quanto ricche dell’aroma del liquido originario, lo trasferiscono senza intermediazione nella bocca e altri elementi non possono attenuare o modificare la percezione di questo sapore. Atmosfere modificate L’Atmosfera Modificata o Atmosfera Protettiva o Modified Atmosphere Packaging (MAP) è una tecnologia di confezionamento che, attraverso la sostituzione dell’aria con una miscela di gas, permette di aumentare il periodo di conservabilità (shelf-life) dei prodotti deperibili, mantenendone inalterate le proprietà sensoriali, le virtù nutrizionali, l’aspetto e il sapore. Le caratteristiche di durabilità del prodotto in atmosfera protettiva continuano anche dopo l’apertura della confezione, perché l’alimento assorbe dalla confezione parte dell’anidride carbonica, diminuendo il proprio grado di umidità e la conseguente vulnerabilità agli agenti esterni. L’anidride carbonica inibisce la crescita di funghi, muffe e batteri, ma una concentrazione troppo elevata può provocare la decolorazione dell’alimento, in particolare delle carni rosse, rallentare la macerazione dei vegetali e non è adatta per i prodotti lattierocaseari. L’azoto è un gas inerte, inodore, insapore ed è utilizzato come gas di riempimento. L’ossigeno in certi

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Nella cottura sottovuoto degli alimenti un ricircolo continuo di acqua rende omogenea la cottura. casi è aggiunto per evitare lo sviluppo di batteri anaerobi, permettere la respirazione dei vegetali freschi e mantenere il colore rosso della carne. Azoto liquido Il freddo in cucina non è una scoperta recente: era infatti ben noto ai Romani e agli Arabi che usavano l’acqua congelata a zero gradi e che, aggiunta ai cibi, li diluiva. L’azoto liquido ha una temperatura molto inferiore e non idrata i cibi. A temperatura e pressione ambiente l’azoto è un gas inerte che non reagisce e non altera gli alimenti. L’azoto a pressione atmosferica si trasforma in liquido alla temperatura di –195,82 °C e può essere conservato in apposite taniche coibentate (vasi Dewar). L’azoto liquido è utilizzato in

cucina per congelare in modo molto rapido i cibi e in particolare per preparare gelati e sorbetti con una grande varietà di basi. Nel congelamento rapido con azoto liquido i cristalli di ghiaccio sono molto piccoli e si ottengono prodotti con una consistenza molto più fine di quelli preparati tradizionalmente. Inoltre, i finissimi cristalli di ghiaccio si sciolgono più rapidamente in bocca e danno una sensazione meno fredda di quella di un gelato o sorbetto tradizionale. L’utilizzo dell’azoto liquido in cucina ha portato ad altre applicazioni, come il parziale congelamento di spume, realizzando preparazioni che hanno una parte esterna croccante e fredda e una interna più morbida e meno fredda. Il rapidissimo congelamento

“Con la tecnica del sottovuoto, sottraendo l’aria si crea un ambiente ostile che inibisce l’attività dei microrganismi aerobici. I microrganismi si ‘addormentano’ e non danno avvio a quei processi di deterioramento degli alimenti che ne alterano le caratteristiche organolettiche, nutritive e chimiche”

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con l’azoto liquido permette di congelare alimenti che sono poi frantumati e trasformati in polveri ghiacciate. Bassa temperatura di cottura Per le cotture a bassa temperatura, generalmente inferiore ai 70 °C, si usano termostati a circolazione di liquido detti circolatori termostati (CT), nei quali il continuo rimescolamento dell’acqua assicura una cottura uniforme. Uno dei primi CT utilizzati nelle cucine professionali è stato il roner e il nome poi è rimasto in uso tra i cuochi per definire un particolare tipo di cottura. Oggi in commercio esistono vari tipi di CT, anche facilmente trasportabili e utilizzabili nelle cucine di casa. La cottura a bassa temperatura non è una tecnica culinaria recente. La cassetta di cottura e il fiasco di fagioli cotto nella cenere sono vecchi di qualche secolo. Nelle cucine professionali la cottura a bassa temperatura, e regolata in relazione alla coagulazione delle proteine, si è sviluppata e perfezionata nell’ultimo ventennio, abbinandola al confezionamento sottovuoto dell’alimento prima della cottura. Le basse temperature di cottura permettono di ottenere carni di

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grande morbidezza, con una minor perdita di peso rispetto alle cotture tradizionali in forno, dove si arriva fino al 40% di calo. Nonostante i tempi molto lunghi — si parla di diverse se non molte ore —, il consumo energetico è più basso rispetto ad altri tipi di cottura. Lo svantaggio della bassa temperatura di cottura è la mancanza di reazione di Maillard e quindi della crosticina superficiale della carne, che comunque può essere ottenuta con un secondo trattamento. Ad esempio, per un filetto cotto a bassa temperatura, il successivo, brevissimo intervento superficiale ad alta temperatura con una delle tecniche tradizionali, fornisce risultati migliori di quelli ottenuti attraverso la cottura tradizionale per quanto riguarda colore e aroma di Maillard.

dei componenti più volatili da una soluzione, attraverso riscaldamento e successiva condensazione dei vapori. In questo modo si ottengono molti liquori, tra cui la grappa. La distillazione è effettuata a bassa pressione e con temperature del liquido basse, circa 35 °C. Questo evita di danneggiare le caratteristiche dei componenti contenuti nella soluzione. Il basso contenuto in ossigeno dovuto al sottovuoto dell’apparecchio limita i fenomeni ossidativi del liquido e del distillato. Con l’evaporatore rotante si preparano essenze attraverso la distillazione di liquidi, si concentrano a bassa temperatura brodi e succhi in alternativa alla classica riduzione per ebollizione, con grandi vantaggi nutrizionali e organolettici dovuti alla bassa temperatura e alla mancanza di ossigeno.

Essiccazione Gli apparecchi oggi usati per l’essiccazione degli alimenti, chiamati essiccatori, sono generalmente costituiti da un elemento riscaldante, un ventilatore, prese d’aria che consentono la circolazione dell’aria e vaschette su cui appoggiare gli alimenti da essiccare. L’essiccazione riduce il contenuto d’acqua di un alimento e per questo inibisce lo sviluppo batterico e i fenomeni di decomposizione degli alimenti stessi, prolungando la durata della loro conservazione. Il procedimento dell’essiccazione non è nuovo e fin dall’antichità, con metodi empirici, era applicato a frutta, verdura, carne e pesce (lo stoccafisso è un esempio molto noto). Nelle cucine professionali l’essiccatore non è utilizzato per conservare gli alimenti ma per la preparazione di prodotti secchi da polverizzare e utilizzare come basi per brodi o infusi o per fritture, o per ottenere prodotti croccanti usati come finitura di un piatto.

Fermentazioni Da tempo immemorabile in cucina si usano alimenti fermentati, tra i quali vi sono il pane, la birra, il vino, i formaggi. Sono generalmente chiamate fermentazioni le modificazioni indotte sugli alimenti dall’attività di batteri o funghi. Sono le fermentazioni che trasformano gli zuccheri in alcol e producono sostanze secondarie che influiscono sull’aroma del prodotto finale. Il primo che ha studiato scientificamente le fermentazioni alimentari è stato Louis Pasteur e in tutto il mondo si stanno studiando le fermentazioni

Evaporazione a bassa temperatura L’evaporatore rotante è un apparecchio che permette di distillare un liquido a bassa pressione, mantenendone le sue caratteristiche chimiche e organolettiche. Impiegato nei laboratori chimici, di recente ha cominciato a essere utilizzato nelle cucine professionali. La distillazione tradizionale è il processo di estrazione

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con lo scopo di comprendere meglio il fenomeno, per sperimentarne di nuove, selezionare fermenti particolari e sviluppare nuovi aromi e prodotti. Gastrovac Il Gastrovac è un apparecchio che per dimensioni e aspetto ricorda una pentola a pressione ed è utilizzato per la cottura e impregnazione sottovuoto. All’interno del Gastrovac, utilizzando una pompa per sottovuoto, è creata una depressione e si esegue una cottura a bassa temperatura, con il vantaggio di non dover utilizzare il confezionamento sottovuoto dei prodotti. Consistenza e colore degli alimenti sono simili a quelli ottenuti con la cottura sottovuoto con il circolatore termostatato. I cibi cotti con il Gastrovac si espandono a causa della depressione. Inoltre, nel Gastrovac si produce un “effetto spugna” e, quando è ripristinata la pressione atmosferica, gli alimenti assorbono il liquido circostante, con la conseguente aromatizzazione. La cottura in olio che si può eseguire nel Gastrovac dà risultati unici e non realizzabili fino ad ora con nessun altro strumento di cucina. Gelificazione La gelificazione è un procedimento ben noto in cucina e consiste nella trasformazione di un liquido complesso in un fluido viscoso o quasi solido.

Pacojet. Brevettato e prodotto dalla ditta svizzera Pacojet AG, è un particolare frullatore che permette di ottenere una fine purea alla temperatura di servizio di un gelato, partendo da ingredienti opportunamente congelati.

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Show cooking di cucina molecolare con aria di Gutturnio dei Colli piacentini a Expo 2015 (photo © magazine.padiglioneitaliaexpo2015.com). Questa trasformazione avviene con i fondi di carne, le marmellate e le gelatine di frutta. Sotto l’azione del calore o di agenti chimici, le macromolecole in sospensione che si aggregano danno luogo ad una rete tridimensionale in grado di assorbire la fase liquida. In tempi recenti, la gelificazione da fenomeno empirico è divenuto un campo di ricerca, con l’individuazione degli ingredienti che forniscono le macromolecole necessarie, denominate gelificanti, tra i quali ricordiamo la colla di pesce e l’agar agar, note e usate fin dalla fine dell’Ottocento, le carragenine, il gellano e la pectina. In alimentazione si usano i gel idrofili, con una fase liquida a base di acqua, e non i gel lipofili a base grassa. Il gel può avere una consistenza fluida

(fluid gels) o più consistente (solid gels) che dipende dal tipo di gelificante e dalla quantità utilizzata. Anche la stabilità del gel dipende dal tipo di gelificante aggiunto e dalle caratteristiche del liquido. Liofilizzazione La liofilizzazione permette l’eliminazione dell’acqua contenuta in un alimento con il minimo deterioramento possibile della sua struttura e dei suoi componenti. Il processo si svolge nelle seguenti fasi: surgelazione rapida, sublimazione sottovuoto, essiccamento finale. Il vantaggio rispetto alla tradizionale disidratazione per riscaldamento è che si conservano meglio le caratteristiche iniziali del prodotto. L’energia richie-

“L’essiccatore permette di apprezzare la sensazione del croccante, con il Pacojet si creano sorbetti e purè ghiacciati, dolci e salati. L’utilizzo dell’azoto liquido dimostra che il grande freddo può produrre consistenze e strutture ricche di gusto”

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sta per la liofilizzazione è notevole e gli apparecchi hanno costi troppo alti per essere adottati nelle cucine professionali. Alcune ditte stanno comunque studiano apparecchi che per dimensioni e costi potranno presto essere a disposizione dei cuochi. Pacojet Pacojet è il nome di una macchina per cucinare inventata nei primi anni ‘80 dall’ingegnere svizzero Wilhelm Maurer. Il termine “pacossare” descrive il particolare processo svolto dalla sua macchina. Il brevetto per il Pacojet fu venduto a Gregor Staub nel 1988. In seguito il sistema è stato ulteriormente sviluppato e lanciato nel 1992. Il funzionamento dell’apparecchio prevede che gli alimenti freschi vengano inseriti nel bicchierecontenitore del Pacojet e congelati per almeno 24 ore a –22 °C. Il bicchierecontenitore viene quindi inserito nel Pacojet, si seleziona il numero di porzioni desiderato e si mette in funzione la macchina. Con una velocità di rotazione di 2.200 giri/minuto, le due lame montate sull’albero tritano finemente la base congelata posta nel bicchiere-contenitore. Operando in

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Zuppa di pollo sferificata (photo © jordancaterers.blogspot.it). leggera sovrapressione, il composto oltre ad essere sminuzzato viene perfettamente montato e mantecato. La macchina permette di ottenere purè o polveri ghiacciate molto fini, che possono essere utilizzati come tali, gelati e sorbetti, oppure come basi per altre preparazioni. Essendo recentemente scaduto il brevetto sul processo del pacossare, l’International Cooking Concepts di Barcellona ha immesso sul mercato un apparecchio simile chiamato Rowzer. Robot Il robot è l’elettrodomestico più completo e tecnologicamente avanzato della cucina domestica. I primi robot da cucina furono immessi sul mercato negli anni Sessanta del secolo scorso e il primo modello, della ditta tedesca Reba, era poco più di un frullatore, in grado di tagliare, tritare o frullare i vari cibi. Con il passare degli anni, il robot non è cambiato molto, ma si sono aggiunti decine di accessori supplementari che hanno reso questo elettrodomestico in grado di preparare virtualmente qualunque alimento. I modelli più avanzati svolgono le seguenti funzioni: pesare, mescolare, tritare, macinare, impastare, frullare, cuocere (anche a vapore), montare, riscaldare in modo controllato, rimescolare ed emulsionare. Sferificazione La sferificazione è una tecnica con la quale si preparano piccole e perfette

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sfere, tipo il caviale, racchiudendo un liquido all’interno di una pellicola di gel (vedi gelificazione). La sferificazione si ottiene con molte variazioni e può essere diretta, inversa, inversa con congelazione e in bagno di olio. Nell’immaginario collettivo la sferificazione, assieme all’uso dell’azoto liquido (vedi), rappresenta la cosiddetta cucina molecolare e quella d’avanguardia di Ferran Adrià. La sferificazione diretta, la più diffusa, si ottiene aggiungendo alginato di sodio al liquido che si vuole sferificare, poi il liquido si fa cadere, goccia a goccia, in acqua, nella quale si è sciolto cloruro di calcio. Le sfere che si formano sono in seguito raccolte e risciacquate in acqua per eliminare il gusto amaro del cloruro di calcio. Sottovuoto La conservazione degli alimenti sottovuoto consiste nell’eliminazione dal contenitore di tutta l’aria presente o solo di alcuni gas, come l’ossigeno, principale responsabile dell’ossidazione. La tecnica, utilizzata da molto tempo a livello industriale e commerciale, di recente è entrata in cucina grazie a macchine compatte ed è usata anche in combinazione con la cottura a bassa temperatura (vedi). In assenza di aria la maggior parte dei microorganismi e dei batteri non può svilupparsi e permette di conservare il sapore, il profumo, il colore e le proprietà nutrizionali dell’alimento. Lo strumento più utilizzato nella

ristorazione è la macchina confezionatrice sottovuoto a campana di acciaio. Gli alimenti sono sistemati all’interno di appositi sacchetti e una pompa aspirante posta all’interno della campana elimina l’aria (al 99,9%). Il sacchetto è quindi chiuso con saldatura termica. I principali vantaggi del sottovuoto sono l’arresto dello sviluppo di microrganismi aerobi, l’ostacolo ad alterazioni chimiche dovute all’ossigeno (ossidazioni), il mantenimento della freschezza e protezione da odori penetranti esterni. In cucina, gli alimenti e, soprattutto, le carni dopo aromatizzazione e in sacchetti sottovuoto sono pronte per cotture lente a bassa temperature. Spume Con il classico sifone per la panna montata si preparano composti dolci e salati denominati spume. La preparazione di spume è largamente utilizzata in tutte le cucine professionali e permette di aggiungere ad un piatto un aroma attraverso una preparazione che ha una struttura molto areata e che fornisce volume alla presentazione senza appesantirla. Il gas contenuto nelle cartucce del sifone è il protossido di azoto, conosciuto anche con il nome di gas esilarante, che a pressione atmosferica è inerte e in generale non reagisce con le sostanze alimentari. Ultrapressioni Sottoponendo gli alimenti a trattamenti a ultrapressione (High Pressure Processing – HPP), si ha un effetto analogo alla classica pastorizzazione, ma senza sottoporre gli stessi al trattamento termico. Le pressioni utilizzate (6000 bar) sono circa cinque volte maggiori della pressione esercitata dall’acqua nel fondo degli oceani. I trattamenti a ultrapressione sono utilizzati anche nel settore ittico per la separazione di carne e polpa da crostacei e molluschi senza dover sottoporre gli stessi a cottura, con un notevole risparmio di energia e conservando le caratteristiche organolettiche del prodotto crudo. Per la grande complessità degli impianti non sono previste applicazioni a breve termine nelle cucine industriali, di ristoranti e tanto meno casalinghe.

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Ultrasuoni Gli ultrasuoni sono delle onde meccaniche sonore di frequenze superiori a quelle mediamente udibili da un orecchio umano. Per le loro caratteristiche, i processori ultrasonici sono applicati nell’industria di trasformazione alimentare per emulsionare i liquidi immiscibili o estrarre materiali intracellulari. Gli ultrasuoni sono generati da un apparecchio denominato sonicatore, utilizzato nei laboratori di analisi chimica, e che recentemente ha iniziato a comparire nelle cucine professionali. L’apparecchio ha dimensioni e aspetto simile a un trapano, la cui punta contiene un generatore di onde sonore con frequenza superiore a quella normalmente percepita dall’uomo, chiamate ultrasuoni. L’applicazione del sonicatore in cucina è agli inizi, quindi ancora molta sperimentazione è necessaria, e al momento i principali campi di utilizzo sono: preparazioni di emulsioni ed estrazione di sostanze aromatiche. Esempio classico di un’e-

mulsione in cucina è la preparazione della vinaigrette partendo da olio e aceto. Con la frusta si creano piccole gocce che rimangono in sospensione nel liquido. Utilizzando il sonicatore, olio e aceto sono versati contemporaneamente nel contenitore, si inserisce la punta del sonicatore nel liquido e l’azione degli ultrasuoni permette di creare micro-gocce, molto più piccole di quelle che si possono creare con la frusta. Le vinaigrette preparate con gli ultrasuoni rimangono stabili per giorni, hanno una colorazione differente e anche il loro gusto è diverso poiché si hanno particelle più piccole che danno una differente percezione gustativa. Altro esempio è la preparazione di un estratto alcolico di menta. Tradizionalmente si prepara macerando le foglie di menta per alcuni giorni ma con il sonicatore si può preparare l’estratto in pochi minuti, grazie alla rottura delle pareti cellulari della foglia e al conseguente rilascio di aroma e pigmenti. Essendo il processo rapidissimo, l’estratto alcolico ha un

aroma di menta più “fresco”. oltre ad una leggera colorazione verde. Si stanno eseguendo anche esperimenti di abbinamento di cottura a bassa temperatura in buste sottovuoto e ultrasuoni. I prodotti sottoposti a questo trattamento sviluppano un aroma più accentuato, anche se la conoscenza dei meccanismi responsabili del fenomeno non sono al momento conosciuti. Alcuni chef stanno utilizzando questa tecnica per varie applicazioni: mediante ultrasuoni, infatti, è possibile estrarre elementi più aromatici e saporiti da ogni ingredienti e raggiungere una freschezza di gusto che sarebbe normalmente persa durante il processo di cottura. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Nota Alle pagine 50 e 51, laboratorio per produrre pillole, cartolina del 1899. L’illustratore francese immaginava così la vita nell’anno 2000 (photo © unpodichimica.wordpress.com).


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EVENTI

Due spose per un prosciutto di Gaia Borghi

C’

eravamo anche noi di PREMIATA SALUMERIA ITALIANA in piazza a Savigno domenica 8 maggio, chiamati a giudicare il vincitore o, meglio, la vincitrice, tra la tigella montanara e la piadina romagnola, protagoniste di una sfida all’ultima fetta alla prima edizione del “Processo al prosciutto”. Due eccellenze della tradizione agroalimentare del Belpaese messe sotto processo non tanto per valutarne l’indiscutibile bontà, quanto per scegliere chi tra queste proprio del prosciutto fosse la compagna ideale, colei che, nell’unione con il salume, desse origine al miglior abbinamento.

Panem et… perna Tigella e piadina, Emilia e Romagna a confronto, le eterne rivali, unite sulla carta da quel trattino che rappresenta un legame indissolubile tra due territori così simili e così diversi allo stesso tempo. E per la gioia dei presenti il “trattino” questa volta ha preso le sembianze, la forma e il sapore di uno straordinario prosciutto crudo, nella cui preparazione confluiscono la storica abilità norcina degli emiliani, grandi produttori e mangiatori di salumi, e il sale dolce di Cervia, un prodotto prezioso, proveniente dalla più piccola salina italiana. Stiamo parlando del Dolce Maggiore, creazione e vanto del Prosciuttificio

Antica Pieve di Guiglia, frutto di una ricerca durata oltre cinque anni e fortemente voluto dal patron dell’a-

“Tigella montanara o piadina romagnola? Il prosciutto crudo Dolce Maggiore si è messo alla ricerca della compagna ideale. Il primo round di questa sfida ha visto salire sull’altare la tigella. A settembre la rivincita”

Il sindaco di Savigno Daniele Ruscigno, Giorgio Mongiorgi, patron del Prosciuttificio Antica Pieve di Guiglia, e la giornalista Letizia Magnani. Alle loro spalle, Adolfo Fioretti, dell’Agriturismo La Tintoria/Fattorie Fioretti, e Giuseppe Pomicetti, presidente del Parco della Salina di Cervia.

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Dolce Maggiore è una creazione del Prosciuttificio Antica Pieve di Guiglia. zienda GIORGIO MONGIORGI. Grazie alla limitata presenza di sali amari, l’oro dolce di Cervia conferisce sapore alle carni suine senza renderle troppo sapide. Profumo intenso, gusto persistente, colore uniforme, dolce all’assaggio,

un prosciutto appetibile e appetitoso, inconfondibile. Selezionato ed abilmente disossato dal macellaiosalumiere GUIDO MONGIORGI, che si è occupato anche dell’affettatura, il Dolce Maggiore ci ha chiesto aiuto per scegliere la sua sposa.

Brindiamo a una gustosa famiglia allargata A condurre i giochi prematrimoniali la giornalista LETIZIA MAGNANI, autrice anche di un libro sull’uso del sale dolce di Cervia in cucina. Difficile, anzi, difficilissimo per la giuria raggiungere un verdetto unanime e così è toccato a DANIELE RUSCIGNO, primo cittadino di Savigno, mettere pace tra i litiganti, decretando, per tre voti a due, la vittoria della tigella. A nulla sono valsi gli appelli di GIUSEPPE POMICETTI, presidente del Parco della Salina di Cervia, intervenuto in difesa della mitica piada. Decisamente più soddisfatto l’altro avvocato difensore, il ristoratore ADOLFO FIORETTI. La rivincita è già in programma per settembre, questa volta a Cervia, a casa della “sconfitta”, con molto, molto onore oserei dire (sarà quindi chiaro a chi era andata la mia personalissima preferenza), mentre l’appuntamento per questa singolar tenzone si rinnoverà a Savigno il prossimo anno. Evviva i matrimoni del gusto! Gaia Borghi


LOCALI DI GUSTO

Roscioli: a Roma un brand dai tanti volti gourmet di Tania Mauri

L

EE MARSHALL del TELEGRAPH l’ha recensito come uno dei luoghi in cui si mangia bene e si beve meglio, il cui motto è “da noi potete osservare che cosa viene prima della cucina”. Stiamo parlando di Roscioli, locale molto noto a Roma per la qualità e le eccellenze dei suoi prodotti. Malgrado si trovi in pieno centro storico, tra Campo dei Fiori e via dei Coronari, in una zona molto turistica, qui potrete ancora respirare l’aria e lo spirito delle vecchie botteghe. Roscioli è una tappa obbligata per i foodies e gli appassionati gourmet che si perdono tra il panorama del bancone all’in-

gresso, carico di meravigliosi salumi e formaggi (e molto altro), e i tavolini dove si mangia tutto “ciò che potete vedere” o scegliere tra i migliori piatti della cucina tradizionale romanesca, come la carbonara, fatta a regola d’arte, una delle migliori della capitale. E non è un caso, visto che la famiglia Roscioli lavora nel mondo dell’enogastronomia da quattro generazioni. Tutto è iniziato negli anni ‘70 con il panificio Antico Forno di via dei Chiavari, dove si faceva un ottimo pane e una meravigliosa pizza bianca — ancora oggi è impossibile passargli davanti e non entrare per gustarne un pezzo — per poi svilupparsi poco

più avanti con la Salumeria Roscioli di via dei Giubbonari, che dal 2002 è anche ristorante. Ancora oggi è la famiglia Roscioli a portare avanti la tradizione con grande passione e attenzione nella selezione della qualità e delle materie prime. Il 2016 è però l’anno di nuovi investimenti e progetti per i fratelli ROSCIOLI, ALESSANDRO e PIERLUIGI, uno gestore della salumeria, l’altro del forno. Hanno iniziato a gennaio con l’apertura, a pochi passi dalla Salumeria, del nuovo Caffè Pasticceria Roscioli negli ex spazi dello storico Bar Bernasconi. Un’ampia offerta che inizia con la prima colazione a base

La Salumeria Roscioli si trova in via dei Giubbonari, in pieno centro storico di Roma.

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Il nuovo Caffè Pasticceria Roscioli, a pochi passi dalla salumeria. di espresso e maritozzo, senza tralasciare i vari momenti della giornata, come il club sandwich del pranzo o il caffè filtro V60 di metà pomeriggio. «Anche qui abbiamo adottato la filosofia che ci contraddistingue — spiega Pierluigi — materie prime di alta qualità, cura nelle preparazioni e attenzione per il cliente». A questa “dolcissima” sala se ne accompagna un’altra: se la zona giorno, luminosa e soleggiata, permette di godere di vari tipi di caffè di GIANNI FRASI — espresso, cappuccino o estrazione — il secondo spazio, nel retro del locale, gode di un tavolo centrale di design, perfetto per l’aperitivo serale con vini al bicchiere, ostriche e stuzzichini. Proprio il neonato “Roscioli Caffè” sarà protagonista di una grande novità: una champagneria conviviale con percorsi di sperimentazione e abbinamento, Bolla su Bolla, che avrà anche un particolare temporary champagne bar in piazza di Montevecchio 17 (piazza Navona), curato da ALESSANDRO PEPE, dove intorno a un grande tavolo centrale a ferro di cavallo si potrà prendere un bicchiere di Champagne accompa-

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Spaghetti alla carbonara Ingredienti • Guanciale di Valle Imperiale • Pecorino Romano Dop 24 mesi • Pepe nero di Sarawak • Uova di Paolo Parisi • Spaghetti Verrigni/Roscioli trafilati in bronzo Procedimento Pulire il guanciale togliendo la cotenna. Togliere anche il pepe in superficie e tagliare a strisce di 1 cm, poi a cubetti di 2,5 x 1,0 cm. Far andare il guanciale in padella calda e quando diventa croccante metterlo in una boule. Buttare la pasta in abbondante acqua salata. Separare l’albume dal tuorlo e tenere solo un poco di albume. Aggiungere un cucchiaio e mezzo di pecorino grattugiato e del pepe, quindi mescolare velocemente. Aggiungere 1-2 cucchiai di acqua di cottura e mescolare. Scolare la pasta al dente. Mescolare il sugo con la pasta. “Decorare” con altro Pecorino Romano Dop.

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I locali della Rimessa e Club del Vino Roscioli a Roma. gnato dai prodotti della gastronomia Roscioli e dai piatti di pesce di CORRADO TENACE. E questa è solo la punta dell’iceberg di un progetto moderno e all’avanguardia, incentrato sulla formazione e legato alla loro forte volontà di trasmettere l’esperienza accumulata negli anni: “nell’era del digitale siamo convinti che sia necessario creare sinergie fra spazi virtuali e reali, due aree diverse ma contigue che segnano la partenza di un nuovo modo innovativo di trasmettere la cultura del mangiare e del bere”. Così Alessandro e Pier Luigi Roscioli raccontano questo loro nuovo cammino sempre più focalizzato sui servizi da offrire al cliente, che va oltre la frequentazione delle insegne di famiglia e porta a seguire chi frequenta Roscioli anche oltre le mura dei locali. «Il progetto nasce da una richiesta dei clienti stessi. Il nostro lavoro è passione per la ricerca e chi ci segue chiede di avere sempre più spesso a casa propria una personale selezione di prodotti che hanno sperimentato da noi. Ci piace l’idea che i nostri clienti abituali o i turisti di passaggio che hanno imparato

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a conoscerci al ristorante possano assaporarci ed entrare nell’anima Roscioli dalle loro abitazioni. Se vorranno capire i segreti dei piatti del ristorante potranno guardare i nostri tutorial on-line; se vorranno riproporre nelle cucine di casa le nostre ricette potranno acquistare in negozio o nel nostro e-shop i kit che abbiamo creato, i vini selezionati e i prodotti esclusivi, seguendo, se hanno voglia, gli abbinamenti fra cibo e vino studiati ad hoc». Convinti sostenitori dell’importanza della formazione del cliente, hanno creato corsi formativi visà-vis con incontri e viaggi di approfondimento sul vino, sul caffè, sull’olio extravergine di oliva, sulla panificazione, sui lieviti, sulla pizza romana e sui dolci, e percorsi di gusto on-line per chi vuole capire il mondo dell’enogastronomia da casa propria sbirciando nel retrobottega, confrontandosi e apprendendo il loro knowhow digitando: www.roscioli.com Inoltre, per gli appassionati di enogastronomia e gli addetti del settore sarà possibile vedere i video girati negli anni durante le degustazioni e capire la filosofia di ogni prodotto

attraverso il portale TastingSpots (www.tastingspots.com), un “contenitore” delle storie di Roscioli curato da Alessandro Pepe. Per gli amanti del vino sono molti i video che mostrano le lectio magistralis di MAURIZIO PAPARELLO, sommelier storico del locale capitolino, le interviste dei produttori nelle proprie cantine, le visite dei vignerons alla Rimessa e gli approfondimenti sulle diverse tipologie di materie prime. La tradizione attraverso tecnologia, quindi, anche per il nuovo E-shop dove acquistare i prodotti Roscioli — Carbonara, Cacio e Pepe, Amatriciana Kit, vino italiano e internazionale, olio extravergine di oliva, aceto balsamico, formaggi, salsiccia italiana e altro ancora — che vengono portati direttamente a casa vostra. Un anno importante questo per la famiglia Roscioli, un brand dalle molte sfaccettature gastronomiche e dai molti luoghi — Ristorante, Salumeria, Antico Forno, Rimessa e Club del Vino — anche virtuali, dove avere la certezza di trovare sempre il meglio della cucina romana, italiana e internazionale. Tania Mauri

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RASSEGNE

Come ti gusto e ti abbino il formaggio in villa di Gian Omar Bison

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ormaggi protagonisti a “Formaggio in Villa 2016”, kermesse gastronomica giunta alla sesta edizione e svoltasi in Villa Braida a Mogliano Veneto (TV) dal 16 al 18 aprile. Una cornice sontuosa in un esempio caratteristico di architettura veneta dell’Ottocento con un parco intorno di quattro ettari. La manifestazione, nata con l’intento di riconoscere ed esaltare l’autorevolezza del cacio abbinabile a tutto pasto con prodotti diversi, è diventata, con l’attenta regia di “Guru del Gusto” e ALDO MARCOMINI, una tra le più interessanti vetrine nazionali di degustazione. Duecento aziende produttrici di formaggi, ma anche salumi e specialità gastronomiche per

l’alta cucina. Numeri che evidenziano un 30% in più di espositori e l’84% in più di accrediti di operatori specializzati. Un target professionale e foodies piuttosto che “popolare”. Nei banchi d’assaggio anche confetture, mostarde, marmellate, gelatine, aceto balsamico, burro, olio extra vergine di oliva, pasta, cioccolato e dolci. E con la possibilità di apprezzare un buon toscano degli amici del “Club del Toscano”, accompagnato a distillati e cioccolato di modica. Un percorso lineare, cadenzato, che ha portato palati curiosi tra i saloni della villa e nelle tenso-strutture esterne nel parco, insieme a vini e birre artigianali. «Gli apprezzamenti e i consensi che abbiamo ricevuto in

questi giorni — afferma Marcomini — ci hanno ripagato delle fatiche sostenute negli ultimi mesi per organizzare un evento che in qualche momento ci è sembrato più grande di noi. Esprimiamo un vivo ringraziamento a tutti i partecipanti, al pubblico, alle aziende, agli sponsor e a tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita di Formaggio in Villa 2016». Interessanti le aziende vitivinicole ed i vini presenti, selezionati dalla Fondazione Italiana Sommelier del Veneto, e, tra questi, laboratori con degustazioni guidate di pregio assoluto. Il Consorzio Brunello di Montalcino, ad esempio, ha presentato, con Massimiliano Masini alla conduzione, un percorso sul rosso

I pecorini toscani Dop del Caseificio Il Fiorino di Roccalbegna (GR).

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A Villa Braida erano presenti almeno duecento aziende produttrici di formaggi, ma anche di salumi e altre specialitĂ .

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La rassegna Formaggio in Villa è giunta alla sua sesta edizione.

“Ad ogni formaggio il suo vino, ad ogni vino il suo formaggio. Questo era il motto di Formaggio in Villa 2016, una rassegna in crescita, un percorso dove scoprire nuovi sapori ed inediti accostamenti. Nella splendida cornice di Villa Braida anche salumi, birra artigianale, marmellate, gelatine, olio, aceto e tanti, tantissimi prodotti gastronomici di qualità”

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tra i più nobili dell’enologia nazionale prodotto con cento per cento di sangiovese e dotato di grande struttura e longevità. Note rosse, calde e avvolgenti dei seguenti Brunello di Montalcino DOCG apprezzati anche in abbinamento a formaggi pecorini Fior di Montalcino: Lambardi 2011, La Palazzetta 2011, Podere Canneta 2011 e La Fornace 2011. Ma anche i vini dell’azienda sarda Binzamanna hanno raccolto numerosi favori del pubblico, dal più classico Cannonau al blend di Cagnulari e Bovale fino al Cagnulari in purezza, una vera poesia autoctona: gradazione alcolica importante, mineralità e sentori di vegetazione tipiche della macchia mediterranea. Sugli scudi la cremosità del burro superiore dei fratelli Brazzale di Zanè (VI), burrificio dal 1784, la sapidità e la persistenza del Ragusano DOP, la pasta De Castro, la sopressa di Casa Cason, la porchetta di Ariccia Argentati, l’oca di Michele Littamé e la pagnottella della Macelleria Romanelli di Martina Franca (TA). Anche quest’anno, la grand soirée dedicata al premio Italian Cheese Awards 2016. I formaggi premiati nelle diverse categorie sono stati i

seguenti: freschissimo, lo Stracchino del Caseificio Castellan Urbano di Rosà (VI); fresco, il Dolce selva di Toniolo Casearia di Borso del Grappa (TV); pasta molle, lo Steiner di Caseificio Eggemoa, Selva dei Molini (BZ); pasta filata, Mozzarella di bufala campana DOP del Caseificio Il Casolare di Alvignano (CE); pasta filata stagionata, Caciocavallo di Agnone del Caseificio Antonio Di Nucci di Agnone (IS); semistagionato, pecorino Iscala Murada del Caseificio Monzitta e Fiori, Tula (SS); stagionato, Piave selezione oro del Caseificio Lattebusche di Cesiomaggiore (BL); stagionato oltre 24 mesi, Parmigiano Reggiano I Sapori delle Vacche Rosse di Reggio Emilia; aromatizzato, Formadi frant del Caseificio Sante Rugo di Socchieve (UD); erborinato, Gorgonzola piccante DOP Luigi Guffanti 1876 di Arona (NO). Il premio formaggio dell’anno assegnato dalla redazione di “Guru del gusto” è andato al taleggio Dop del Caseificio Giovanni Invernizzi di Pontirolo Nuovo (BG); quello per il formaggio di montagna ad un Castelmagno d’alpeggio de La Meiro Terre di Castelmagno di Castelmagno (CN). Gian Omar Bison

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1, 2, 3, Salumi da Re Con Gambero Rosso e la famiglia Spigaroli si celebrano le creazioni salumiere di artigiani e norcini del Belpaese di Gaia Borghi

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siamo arrivati a tre, terza edizione per una tre giorni di festa dedicata al “Gotha” dei salumi made in Italy. Tre giorni di incontri, dibattiti, convegni, laboratori, assaggi e degustazioni. Così è andato in scena anche quest’anno dal 16 al 18 aprile scorsi l’appuntamento con “Salumi da Re”, il raduno nazionale di “allevatori, norcini e salumieri” organizzato da GAMBERO ROSSO in collaborazione con l’ANTICA CORTE PALLAVICINA di Polesine Parmense, azienda agricola, ristorante e albergo di charme. Ancora il tre, che ritorna, anche se,

per descrivere questo magico angolo della Bassa parmense, col suo tesoro nascosto in cantina e una proprietà, i fratelli Massimo e Luciano Spigaroli, che hanno saputo portare il nome di questo minuscolo paesino di poche anime nelle guide gastronomiche più importanti e sulle cronache dei più noti magazine e riviste internazionali, di parole ne servirebbero molte di più. O molte, molte meno, perché proprio “senza parole” è il commento che più di ogni altro si ode quando ci si affaccia per la prima volta sulle scale della corte, in una sorta di discesa in paradiso al contrario, alla scoperta

dei culatelli e delle altre tentazioni conservate “sottoterra” da ammirare con una passeggiata unica nel suo genere, col naso all’insù. Ciccioli a merenda Tanti i produttori chiamati ad esibire i propri prodotti, sistemati fuori e dentro gli spazi allestiti tra gli orti, sull’argine, intorno all’aia, e provenienti un po’ da tutt’Italia. Facciamo qualche nome. Iniziamo con il lardo di Arnad DOP della valdostana Maison Bertolin e proseguiamo col lardo prodotto con il grasso dei suini allevati allo stato brado dall’azienda

La cantina che custodisce i culatelli preziosi prodotti dalla famiglia Spigaroli.

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1) La Macelleria Dal Massimo Goloso della famiglia Corrà. 2) Alzo e Fabrizio Zivieri dell’omonima macelleria di Monzuno (BO). 3) Andrea Amici e Alice Contini della Macelleria Contini di Cremona. 4) Dalla Puglia tutta la bontà dei salumi artigianali di Raffaele Giannelli. 5) I salumi di Maison Bertolin di Arnad (AO). 6) L’ingresso alla Corte.

“Tanti i produttori con i loro prodotti, sistemati fuori e dentro gli spazi allestiti tra gli orti, sull’argine, intorno all’aia, e provenienti un po’ da tutt’Italia”

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di Corniglio (PR) Ca’ Mezzadri. Si continua con il salame e la salsiccia Cremona De.Co. della mitica Macelleria Contini di Cremona e con lo speck, la mortandela e il pollo speck affumicato di un’altra incredibile macelleria, Dal Massimo Goloso di Coredo (TN). Due realtà storiche del settore che hanno saputo trasformarsi e lo fanno ogni giorno, con grande professionalità, confermandosi sempre pronte a restare al passo coi tempi.

Immancabile la bresaola Paganoni, preparata anche con carne di Chianina, e quella firmata Ferraro, prodotta seguendo un’antica ricetta di famiglia senza nessun additivo aggiunto. Da segnalare il tradizionale ciauscolo e il salame lardellato di Re Norcino, da San Ginesio (MC), così come tutti i salumi di Giannelli, da Troia (FG), così profumati e incredibilmente ricchi di sapori: i salami, la salsiccia e la soppressata nel cui impasto vie-

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1) Anna Paola Giacobazzi e Angela Sini della Cantina della Volta con Silvia Zucchi dell’omonima cantina di San Prospero (MO). 2) I culatelli e gli altri salumi prodotti dalla famiglia Spigaroli. 3) Paganoni, bresaola selezionata da Chiuro (SO). 4) La bresaola Ferraro. 5) Il Mallo produce nocini di Modena da generazioni e nel rispetto delle ricette di famiglia. 6) Partner speciale di Salumi da Re, il Consorzio di Tutela del Lambrusco. ne aggiunto il miele, il finocchietto selvatico, il vino, o l’originale prosciutto barricato. E ancora, il bël e cöt di Russi, una sorta di cugino romagnolo del cotechino, i chisolini o chisulèn di Piacenza, protagonisti di una sfida “all’ultimo schizzo” col gnocco fritto modenese preparato da Robby del bar Via Taglio 12 e la benedizione di MASSIMO BOTTURA. È sempre un piacere salutare e trascorrere un po’ di tempo insieme ascoltando i 70

progetti e le continue novità degli amici bolognesi della Macelleria Zivieri o riabbracciare quelli della Macelleria Giacobbe di Sassello (SV). Una menzione speciale va a MARA NOCILLO, anima e voce dell’evento, e a Chef to chef emiliaromagnacuochi, la prestigiosa associazione che, nella giornata di lunedì, ha riunito i propri associati e celebrato “Cento mani di questa terra”. Bello vedere tra le “isole” dove si sono esibiti

alcuni tra i più noti e capaci cuochi e ristoratori della regione, decine e decine di giovani, studenti e non, accorsi ad ammirare ma, soprattutto, ad imparare dalle stelle della cucina emiliano-romagnola. Bello vedere che con le nostre specialità, con il nostro saper fare, col valore delle nostre produzioni e la capacità dei nostri artigiani, si può ancora credere di costruirsi un futuro, un bel futuro. Gaia Borghi Premiata Salumeria Italiana, 3/16



FIERE

Alimentaria: semplicemente splendida

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n occasione della 40a edizione Alimentaria, l’evento dell’agroalimentare che dal 25 al 28 aprile ha chiamato a raccolta oltre 140.000 visitatori nel quartiere fieristico Gran Vía di Barcellona,

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ha confermato e abbondantemente superato ogni più rosea aspettativa, confermando la sua anima internazionale. Con operatori provenienti da 157 Paesi (16 in più della passata edizione

del 2014), Barcellona resta una piattaforma espositiva capace di catalizzare interesse nello scenario del food & wine. Il 32% degli operatori che nel corso delle quattro giornate ha visitato in lungo e in largo i padiglioni

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proveniva infatti dall’estero. Di questi 44.000 visitatori, la metà era europea, soprattutto di provenienza francese, seguita da Italia, Regno Unito, Portogallo e Olanda. Importante anche l’incoming di operatori provenienti

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dagli USA e dall’America Latina. Alimentaria 2016 è stata visitata da 800 top buyer esteri, tra importatori ed espositori europei, asiatici, statunitensi e del Sud America, per i quali sono stati organizzati incontri B2B

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JamĂłn IbĂŠrico e formaggi spagnoli i grandi protagonisti della manifestazione fieristica catalana, Alimentaria 2016.

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1) Lo stand del Salumificio Negrini di Renazzo (FE). 2) L’azienda Urbani Tartufi. 3) Lo stand di STEF, lo specialista europeo della logistica del freddo per tutti i prodotti agroalimentari e termosensibili. 4) Un padiglione della fiera. grazie alla collaborazione del FIAB, la federazione delle bevande e degli alimenti, il Ministero dell’Agricoltura e dell’Ambiente spagnolo, l’ICEX Spagna e il Governo catalano. «L’evento ha confermato la forza dell’export spagnolo e l’interesse dell’agroalimentare mondiale verso i mercati del Sud Europa, anche alla luce delle innovazioni e dei nuovi trend nell’industria del food» ha dichiarato con una certa soddisfazione il presidente di Fira de Barcelona e di Alimentaria JOSEP LLUÍS BONET. «Oggi i prodotti spagnoli sono più conosciuti nel mondo e posso finalmente aspirare a conquistare una posizione privilegiata nel food service e sugli scaffali delle GSO e delle botteghe di qualità» ha aggiunto. Anche il direttore generale di Alimentaria Exhibitions, J. ANTONI VALLS, ha confermato il passo avanti che Alimentaria Barcelona ha fatto con questa edizione in termini di maggiore esposizione verso i nuovi mercati e vetrina di innovazione nei settori della carne, dei vini e nel comparto olivicolo. Sul

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fronte dell’internazionalizzazione Valls ha poi confermato gli sforzi fatti per «attirare a Barcellona ogni singolo profilo professionale del food service e del retail, con un’attenzione particolare all’Horeca». Innovare prima di tutto Oltre 4.000 aziende hanno presentato prodotti innovativi per rispondere a nuovi trend di mercato e a nuove esigenze emerse tra i consumatori, dall biologiche al gluten free. Nell’Area Innoval sono stati lanciati 300 nuovi prodotti, tra i quali sono stati premiati brand come Bodegas Sanviver, Nestlé, Dulcesol, Aneto e Noel. Parola d’ordine differenziare Mai come in questa edizione è stato dato spazio a coloro che, per professione e talento, usano i prodotti agroalimentari per trasmettere un valore, un progetto e un’idea di cultura gastronomica. Sono tanti i nomi degli spagnoli che hanno preso parte a questo grande show catalano: dal super chef Joan Roca, a Mario San-

doval, Ángel León, Beatriz Sotelo e Celia Jiménez. Avanti Italia! L’Area Italia si è presentata ai visitatori come una vera e propria vetrina delle eccellenze enogastronomiche nazionali, con una ricca varietà di prodotti quali pasta fresca e secca, insaccati, formaggi e latticini, conserve, prodotti da forno, liquori e vini, caffè e dolci. Pasta, gnocchi e salse bio o per celiaci, la mortadella di Bologna a ridotto contenuto di grassi, oltre a numerose novità per il mercato spagnolo come lo speck ed il prosciutto d’oca e la manna siciliana, presentata come la risposta italiana al dulce de leche. Non sono mancate nemmeno le ultime tendenze della tecnologia industriale italiana applicata al settore agroalimentare. Appuntamento al 2018 Alimentaria ha una cadenza biennale e la prossima edizione si svolgerà a Barcellona dal 16 al 19 aprile 2018. >> Link: www.alimentaria-bcn.com

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SPECIALE CIBUS

Cibus 2016, quando le ciambelle escono col buco Parma si riprende il ruolo di guida del made in Italy agroalimentare: 3.000 aziende espositrici su 130.000 metri quadri, 72.000 visitatori di cui 16.000 operatori esteri e 2.200 top buyer. È la migliore edizione di sempre dicono gli organizzatori, che, tra un sorriso e l’altro, lanciano un nuovo evento per il 2017. Cibus è tornato! di Gaia Borghi

“N

on sempre tutte le ciambelle escono col buco” si è soliti dire quando qualcosa, magari progettata da tempo, investendo tempo e fatica e riponendovi mille speranze, non va proprio come

ci si aspettava. Ma non è questo il caso: dopo l’anno di Expo e di Milano capitale, la ciambella Cibus 2016 preparata, cotta e servita da Fiere di Parma è riuscita anche meglio del previsto, anzi, ha sbalordito persino gli stessi organizzatori. Un’edizione

Questa è la migliore edizione di sempre, ha commentato Elda Ghiretti, Cibus brand manager. E sull’onda di questo entusiasmo, il salone raddoppia: l’appuntamento è infatti già nell’aprile del 2017 con il nuovo “Cibus Connect”.

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L’azienda Paganoni di Chiuro (SO) specializzata nella produzione di bresaola. Lo staff si dice entusiasta di questa partecipazione alla fiera parmense. «Si chiude una edizione di Cibus da record. Un sentito ringraziamento ai nostri collaboratori ed a quanti hanno visitato il nostro stand. Ci avete regalato la certezza di essere sulla strada giusta». da record, praticamente sotto ogni aspetto, e i dati di fine fiera sono lì a dimostrarlo: 3.000 aziende espositrici su 130.000 m2 di superficie, 72.000 visitatori, dei quali 16.000 provenienti dall’estero, e 2.200 top buyer. Numeri mai toccati in precedenza si dice: si pensi solo che due anni fa i visitatori erano stati 67.000 e gli operatori esteri 13.000. La differenza c’è e si è vista. «È la migliore edizione di sempre — ha commentato ELDA GHIRETTI, Cibus brand manager — e ha visto il comparto agroalimentare italiano presentarsi con circa mille innovazioni di prodotto, pronte a conquistare i mercati esteri e recuperare posizioni su quello interno. Inoltre, abbiamo notizia di un alto volume di affari conclusi o ben avviati, con la piena soddisfazione delle aziende e dei buyer esteri e italiani». È vero, sul fronte della viabilità le cose da migliorare sono ancora parecchie e, magari, controllando il calendario fieristico annuale, si potrebbero scegliere date più consone per evitare di “scontrarsi” con altri saloni, agevo-

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lando la partecipazione degli espositori e degli operatori in visita, ma… Oggi non saranno i “ma” a richiamare la nostra attenzione. Oggi, come è giusto che sia, ci godiamo questo clima di rinnovato entusiasmo e guardiamo il bicchiere mezzo pieno, perché i successi e i meriti vanno prima di tutto riconosciuti e debitamente festeggiati. Cibus è tornato! «Bilancio semplicemente straordinario» sottolinea ANTONIO CELLIE, amministratore delegato di Fiere di Parma che, forte anche del nuovo accordo decennale firmato con FEDERALIMENTARE, riconsegna al salone parmense il ruolo di guida nella promozione mondiale del made in Italy alimentare. «Abbiamo raggiunto una visibilità incredibile» prosegue Cellie. «D’altronde, due anni fa lo avevamo promesso: avremmo riportato questa fiera al centro del made in Italy alimentare e ci siamo riusciti». E c’è di più: infatti, non solo Cibus ha vinto la propria sfida raggiungendo con successo il traguardo di questa

brillante edizione ma ha scommesso sul futuro, proprio e del settore tutto, investendo in un nuovo format che si svolgerà negli anni dispari con il nome di Cibus Connect e occuperà i padiglioni all’ingresso Ovest di Fiere di Parma. «In pratica Cibus ritorna annuale» osserva Celie. «L’edizione numero uno di Cibus Connect si svolgerà il 12 e 13 aprile 2017: praticamente quando finisce Vinitaly iniziamo noi, così possiamo ottimizzare l’incoming dal mondo creando in un’unica settimana il meglio del food & wine italiano». L’evento, come è stato spiegato durante la presentazione, comprenderà un forum internazionale con esperti del settore che arriveranno a Parma da tutto il mondo ed una forma espositiva più “leggera”, specificatamente indirizzata al mondo della Grande Distribuzione. «Questo format degli anni dispari — continua l’AD di Fiere di Parma — è conforme alle esigenze delle aziende alimentari, che, proprio in quello stesso periodo, hanno già fatto un grande investimento con la fiera di Anuga a

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Colonia e quindi vogliono un evento dedicato solo al made in Italy in Italia e lo vogliono con un format leggero, ispirato al modello della fiera olandese del private label Plma. Niente stand, quindi, ma spazi modulari tipo desk e una vip lounge dove poter ricevere ospiti e far cucinare per loro». Parola d’ordine, semplificazione.

In alto: l’industria alimentare Casale Spa di Casale di Felino (PR) a Cibus insieme al Salumificio S. Pietro di Lesignano de’ Bagni e alla Selva Alimentari di Langhirano (PR). Al centro: la Negrini Salumi di Renazzo (FE), in fiera con tante novità. In basso: Mauro Bernardini, della Bernardini Gastone di Cenaia Crespina (PI), salumi e prodotti affumicati anche ittici.

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Istituzioni presenti Uniti contro la pirateria e lotta dura alla contraffazione, migliorare la comunicazione e la promozione delle nostre eccellenze agroalimentari sui mercati esteri e affrontare le sfide sul piano della sicurezza e dell’innovazione delle filiere. E ancora, promuovere l’idea di un’alimentazione sana, equilibrata, che privilegi le tipicità regionali e vada a sfatare i nuovi miti dietetici oggi di moda, partendo da una sinergia tra imprenditoria e ricerca scientifica, con medici e nutrizionisti alleati delle aziende per far chiarezza e fornire aiuto in termini di consapevolezza nell’acquisto ai consumatori confusi da allarmi spesso sproporzionati, paure e criminalizzazioni, sostenendo al contempo il comparto alimentare. Sono questi i tratti salienti che emergono dal messaggio “istituzionale” di Cibus, coi ministri MAURIZIO MARTINA, BEATRICE LORENZIN e il presidente di FEDERALIMENTARE LUIGI SCORDAMAGLIA in prima fila alla cerimonia inaugurale del salone. «Cibus — ha dichiarato ad esempio il ministro delle Politiche Agricole — è un’occasione per far avanzare l’esperienza agroalimentare nella sua unitarietà. Occorre infatti combattere da subito una certa idea antiindustriale che vedo, ahimè, emergere qua e là e che non fa bene al settore: maggiore collaborazione tra produttori e trasformatori è utile per tutti». Sulla questione TTIP, il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti, Martina ha poi sottolineato l’importanza dell’accordo, assolutamente necessario, ricordando però anche che «sulla sicurezza alimentare non si tratta. Guai a leggere il trattato e i suoi potenziali strumenti come un problema. Bisogna costruire un discorso pubblico sui problemi, ma pure sulle opportunità dell’accordo, anche perché non si può combattere

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l’Italian sounding se non si lavora su un accordo commerciale dove possiamo alzare i livelli di tutela delle nostre qualità agroalimentari». Per Beatrice Lorenzin, troppo spesso si dimentica che il cibo è il primo medicinale e malattie cardiovascolari, diabete e tante altre patologie possono essere prevenute e migliorate a partire dalla tavola. «Questo è il salone dell’alimentazione e l’alimentazione è appunto il primo passo per stare bene. Ecco perché spero che sul cartellone di ingresso del prossimo Cibus ci sia anche il logo del Ministero della Salute». Durante Cibus si è svolta anche l’assemblea pubblica annuale della federazione italiana dell’industria alimentare, quest’anno significativamente intitolata “Made in future. Il food and beverage italiano tra tradizione e innovazione”. E sul cambiamento e l’innovazione si è concentrato il discorso del presidente della federazione; due prospettive, due obiettivi da raggiungere non soltanto per l’industria alimentare quanto per il “sistema Paese”. «Con Expo il modello alimentare italiano è stato protagonista — ha dichiarato Scordamaglia — siamo riusciti a colpire il mondo intero parlando di una delle cose più antiche, ma facendolo con un linguaggio nuovo proiettato nel futuro ma sempre legato alla nostra grande tradizione. Non c’è Paese all’estero che non voglia il nostro modello e i nostri prodotti, quel binomio ormai entrato nell’accezione comune di made in Italy e di made with Italy». Facciamolo ora: osare, cambiare, innovare, senza stravolgere o rinnegare i valori della nostra storia, delle nostre tradizioni, perché lì risiede la nostra forza, «l’essere tradizione e innovazione, passato e futuro, sapienza antica e innovazione di processo e prodotto. I nostri prodotti devono evolversi e adattarsi alle esigenze di quei 1,2 miliardi di consumatori che li scelgono nel mondo. Al calo dei consumi si reagisce anche innovando i processi!» ha detto Scordamaglia. Infine, l’annuncio dell’istituzione del primo Osservatorio internazionale sull’Italian sounding alimentare, che costa al mercato italiano molto più di 60 miliardi di euro. «Se pensia-

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In alto: Arca Gualerzi, rinomato prosciuttificio di Pilastro di Langhirano (PR). Al centro: il Consorzio Parmigiano Reggiano ha presentato in fiera diversi progetti e offerto tante degustazioni. In basso: nello stand del Consorzio del Prosciutto di Modena Dop, la direttrice Anna Anceschi, il presidente Davide Nini e Daniele Reponi, che ha creato quattro originali panini con il prosciutto.

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1) Il grande spazio espositivo del Gruppo Cremonini di Castelvetro (MO). 2) Il Salumificio artigianale Maison Bertolin di Arnad (AO). Al centro, Marilena PĂŠaquin Bertolin insieme ai famigliari e allo staff. 3) Chiara Astesana, presidente del Consorzio di tutela del Prosciutto crudo di Cuneo Dop. 4) Il mondo CLAI Salumi e Zuarina a Parma con tante gustose specialitĂ . 5) Il Consorzio di tutela della Finocchiona Igp, storica eccellenza salumiera toscana.

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1/2) La Levoni di Castellucchio (MN) ha lanciato a Cibus il suo manifesto, una grande campagna di comunicazione multimediale ispirata al “tutto made in Italy”. Sempre gremito il suo stand. 3) Il Centro Carni Company di Tombolo (PD), in fiera con la linea dei nuovi burgers gourmet “You & Meat”. 4) Bovillage, la marca collettiva di carne bovina francese, si conferma tra i protagonisti del salone. 5) Aceto Balsamico del Duca di San Vito (MO).

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1) Nello stand di Alcar Uno di Castelnuovo Rangone (MO), Santino e Miriam Levoni con i figli Lorenzo, Luca e Leonardo. 2) Il Caseificio Il Fiorino di Roccalbegna (GR). 3) Il Salumificio Subissati di Roccastrada (GR). mo che solo in America il fenomeno vale circa 23 miliardi, ecco che il valore complessivo e quindi il danno economico per l’industria alimentare italiana è ben più alto» sottolinea Scordamaglia. «Questa è una battaglia di tutto il sistema Italia e di tutta la filiera agroalimentare e l’industria alimentare del nostro Paese vuole essere in prima fila a combatterla». I sorrisi e i commenti degli espositori Soddisfatti, rilassati, indaffarati ma felici e, soprattutto, sorpresi, pia-

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cevolmente sorpresi: questi sono i tratti comuni di un’ideale fotografia degli espositori incontrati in fiera, con i quali è stato finalmente davvero piacevole scambiare quattro chiacchiere perché tutti, in generale, si sono dichiarati soddisfatti dell’andamento del salone, con tante e variegate presenze straniere da segnalare, presenze interessate e competenti, e persino contratti chiusi e firmati allo stand come non accadeva da tempo. «Siamo molto contenti» mi dice DINO NEGRINI della Negrini Salumi di Renazzo (FE).

«Abbiamo avuto tantissimi contatti, anche decisamente inaspettati direi. Quest’anno, oltre alla nostra gamma tradizionale, abbiamo presentato due novità in fiera: il “Prosciuttino”, un prosciutto cotto senza cotenna, dal gusto dolce, delicato, e la mortadella “Nera”, preparata con la carne di varie razze europee di suino nero, come la Cinta senese, la Casertana, il Gascon francese, il Nero iberico e la Large Black». La Nera viene insaccata in vescica naturale e con una concia volutamente molto semplice per non alterare il sapore della carne e

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1) Stefano Busti, titolare dell’omonimo caseificio di Fauglia (PI). «Due le novità che abbiamo presentato in esclusiva al salone — racconta Stefano — il “Primo Amore”, formaggio tenero realizzato seguendo la tradizionale ricetta del primosale toscano, e il nuovo Pecorino Metello, con la crosta ricoperta da bucce di castagna. È un richiamo forte alle origini del paese da cui questo pecorino prende il nome, un piccolo borgo della Garfagnana immerso nei boschi e in particolare nei castagneti dell’appennino Tosco-Emiliano». 2) La Leoncini di Lazise (VR). 3) Il Consorzio del Prosciutto di Parma in fiera anche per sostenere i propri associati. 4) Il Salumificio Rossi di Sanguinaro di Fontanellato (PR).

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Gran festa per i 20 anni del Gruppo Suincom Nel 1996 un gruppo di manager con lunga esperienza dava vita ad un’azienda che da subito si collocava ai vertici nazionali del settore della lavorazione e commercio delle carni suine. Oggi, grazie alle acquisizioni di BP Prosciutti, azienda specializzata nei prosciutti crudi, e di Royal Prosciutti, con il moderno impianto di Sala Baganza dotato di una capacità di stagionatura di oltre 1 milione di prosciutti e abilitato al mercato USA, il Gruppo Suincom controlla tutta la filiera del crudo. Un fatturato che si aggira intorno ai 250 milioni di euro e oltre 350 addetti: questi sì che sono numeri da celebrare! In occasione di Cibus, infatti, proprio per festeggiare i primi 20 anni di attività di questa realtà importante e ottimamente posizionata sul mercato, si è tenuto un bellissimo evento nello stabilimento Royal, alla presenza di più di 280 persone. «Sono davvero onorato e commosso per la presenza di autorità e istituzioni, collaboratori, partner commerciali e dipendenti di Suincom alla festa per la celebrazione di 20 anni di attività», ha sottolineato il presidente del Gruppo Roberto Agnani (in foto con la figlia Valentina). «Sono orgoglioso della squadra che abbiamo creato in questi anni e che ci consente di essere un riferimento per le migliori industrie della salumeria e per la clientela del prosciutto crudo, Grande Distribuzione, grossisti e importatori stranieri. In un contesto di mercato difficile, e in considerazione del fatto che sui media si dà grande enfasi ai danni provocati dal consumo di carne senza alcun tipo di discernimento, ritengo che il comparto debba difendere il proprio lavoro, comunicando la qualità e la tradizione che lo accompagna». In fiera il Gruppo ha lanciato inoltre un nuovo prodotto, un prosciutto crudo stagionato unicamente con sale marino, totalmente privo di conservanti e glutine: il “Gran Naturale”.

il suo grasso, che sono il vero valore aggiunto del prodotto. «Siamo molto soddisfatti di questa edizione di Cibus» mi dice VINCENZO ROTA della San Vincenzo Salumi di Spezzano Piccolo (CS), storico produttore di insaccati tradizionali calabresi. «Il nostro stand è stato sempre molto trafficato e visitato durante tutte le giornate. In fiera abbiamo lanciato gli affettati in bipack da 100 grammi

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con due prodotti: salumi e formaggi. Si tratta di un formato pensato per piccoli aperitivi, merende, per farsi un panino al volo. Per chi vuole gustare i salumi (e anche i formaggi) della nostra tradizione. Inoltre, abbiamo creato un nuovo marchio: “Sud & Italy”. Il made in Italy è sicuramente un concetto forte, che richiama il consumatore a un’origine italiana del prodotto ma

noi non ci identifichiamo in pieno nel solo concetto di italianità. Per questo motivo facciamo leva, anche a livello comunicativo, sulla nostra terra, sul Sud. E questo non solo per ovvi motivi geografici ma anche e soprattutto per la cultura gastronomica, per le nostre tradizioni e per i nostri valori. Siamo gente del Sud e siamo anche Italiani, e a tavola lo siamo ancora di più!». Ci spostiamo per assistere ad un vero e proprio show allo stand del Consorzio del Prosciutto di Modena DOP che ha chiesto a DANIELE REPONI, cuoco modenese e protagonista della trasmissione RAI “La prova del Cuoco”, di creare quattro originali panini i cui ingredienti consentissero di esaltare la versatilità di questo straordinario prosciutto crudo, saporito ma non salato, dal profumo dolce e intenso. Reponi ha così unito al prosciutto altre eccellenze del territorio da cui proviene come gli amaretti e il prezioso aceto balsamico tradizionale di Modena DOP, la confettura di amarene brusche e il Parmigiano Reggiano 30 mesi, le ciliegie di Vignola IGP, il tosone, la cotognata… Insomma, un tripudio di gusto che non può che confermare il successo di un prodotto oggi sempre più apprezzato anche fuori dai confini regionali e nazionali: in Germania, Inghilterra e Francia ma anche in Svizzera, Canada e Brasile. Restiamo in tema “prosciutto” ma ci spostiamo in Piemonte, e più precisamente a Cuneo, dove si produce un’altra gustosissima DOP, che ha radici storiche importanti e si sta facendo conoscere da un numero sempre maggiore di consumatori. «La nostra scelta primaria però è quella di non puntare sui numeri ma sulla qualità» dice CHIARA ASTESANA, presidente del Consorzio di tutela e promozione del Crudo di Cuneo DOP. «Cuneo ha un clima favorevole alla stagionatura dei prosciutti. Abbiamo la filiera più corta d’Italia e d’Europa: ciò significa che nel raggio di 30 km si svolge l’intero processo». Grande attenzione negli ultimi anni è stata posta all’aspetto nutrizionale del prosciutto, in particolare per quanto riguarda la percentuale di sale «Per salare i prosciutti usiamo solo sale di Cervia — prosegue la Astesana — e la salagione avviene

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1) Vincenzo Rota della San Vincenzo Salumi di Spezzano Piccolo (CS). 2) Galbani ha presentato in fiera un’intera linea di formaggi senza lattosio. 3) Beppino Occelli della Occelli Agrinatura di Farigliano (CN). 4) La Suincom di Solignano di Castelvetro (MO). Al centro Roberto e Valentina Agnani e una parte dello staff del Gruppo. 5) I fratelli Falcone del Centro Carni Sila di Camigliatello Silano (CS). 6) Gigi Il Salumificio di Castelnuovo Rangone (MO).

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Zuarina: vi facciamo sentire il vero profumo e sapore del prosciutto Zuarina, in occasione di Cibus 2016, per trasmettere a clienti, amici e collaboratori il vero profumo e sapore del proprio prosciutto, ha organizzato una cena nel magnifico rustico posto alle spalle del prosciuttificio di Langhirano. I numerosi partecipanti, oltre ad assaporare la qualità dei piatti preparati per la serata, annaffiati dal fantastico Otello di Cantine Ceci, hanno potuto visitare le bellissime cantine dove Zuarina stagiona fino a 24 e 30 mesi i suoi migliori prosciutti di Parma che poi spedisce in tutto il mondo.

“Soddisfazione è stata espressa dagli organizzatori sia per il grande afflusso di visitatori che per la dinamicità della manifestazione, durante la quale sono stati presentati oltre mille nuovi prodotti e tutti i più noti chef si sono esibiti in show cooking”

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in tre tempi. Seguono la sugnatura e la stagionatura a 24 mesi. Il sale complessivamente è inferiore al 5%». Il Crudo di Cuneo è un prodotto di nicchia dalla dolcezza unica che viene distribuito solo nel canale tradizionale: attualmente lo si può acquistare in circa 250 salumerie, macellerie e ristoranti dislocate in Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Ricordiamo che il Piemonte è una delle regioni più zootecniche d’Italia. Esso conta un patrimonio di 1 milione e 200.000 capi suini e vanta un’antica tradizione nella lavorazione delle carni e dei salumi. Gli allevamenti sono all’avanguardia per la tutela della salute e del benessere animale. «Cibus

è una bella vetrina per la promozione delle nostre attività e per agganciare nuovi contatti» ha concluso la presidente del Consorzio. Torniamo in Emilia ma cambiamo salume: MARCELLO POMPONIO di Gigi Il Salumificio, da Castelnuovo Rangone (MO), ci apre le porte del meraviglioso mondo dei ciccioli. «I ciccioli sono il fiore all’occhiello della nostra azienda e a Parma presentiamo le quattro versioni “aromatizzate” del prodotto fresco: al balsamico, al tartufo, al Lambrusco e al peperone». Accanto a queste proposte decisamente innovative, l’azienda ha presentato il bacon affumicato affettato, proposto anche in versione dolce, da 100 grammi o

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da 500 grammi per l’HORECA. «Cibus è una bella vetrina promozionale, soprattutto per la clientela italiana. La nostra presenza in fiera è però legata altresì alla volontà dell’azienda di sviluppare nuovi canali e quindi nuovi mercati: cercavamo quindi anche qualche buon contatto dall’estero». «Siamo entusiasti di questa edizione di Cibus» dichiara ANTONIO FALCONE dell’omonimo salumificio di Camigliatello Silano (CS). «La nostra azienda è presenti fin dalla prima edizione della fiera: Cibus ci ha dato la possibilità di crescere e di attivare contatti con la GDO. Oggi siamo presenti in Esselunga Coop e Conad». Quattro generazioni di cultura e tradizione del lavoro: questo è il motto della F.lli Falcone, una realtà storica della Calabria, nata nel 1846 come azienda di trasformazione delle carni e poi specializzatasi nella produzione di salumi. «La nostra azienda è stata fondata dal nonno Michele, poi è passata ad Arturo, poi ad Ugo e quindi a noi fratelli» prosegue Antonio. «A Cibus abbiamo presentato la ’nduja nelle varie grammature (da 100 grammi a 100 chili), un prodotto tradizionale noto in tutto il mondo che è riuscito a farsi conoscere attraverso la pubblicità più antica del mondo, il passaparola! Allo stand abbiamo in esposizione anche un prosciutto crudo stagionato 30 mesi, di razza autoctona. Lo stiamo valorizzando e riscoprendo grazie alle qualità nutrizionali delle sue carni». Ha aspettato la vetrina di Cibus per annunciare con una grande campagna di comunicazione multimediale il proprio manifesto: “O tutto, o niente. Noi abbiamo scelto tutto”, questo è lo slogan forte e dirompente che inaugura il nuovo secolo di Levoni, l’azienda di Castellucchio (MN) che si conferma tra i leader del mercato, con i propri prodotti presenti, oltre che in tutta Europa, in America Centrale e in Sud America, nel Medio e nell’Estremo Oriente. «Tutti gli oltre 300 salumi a marchio Levoni sono ottenuti da suini nati, allevati e trasformati in Italia» spiega il presidente NICOLA LEVONI. «È una scelta coerente con la filosofia dell’azienda che da sempre cerca una qualità senza

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compromessi, offrendo al consumatore informazioni chiare per operare le proprie scelte. La decisione di esplicitare la provenienza delle carni è la naturale conseguenza del legame della nostra azienda con il nostro territorio. Qui vengono allevati i suini che utilizziamo per produrre i nostri salumi, qui è radicata la tradizione della lavorazione delle carni e qui, nella nostra azienda, da oltre 100 anni si tramanda da una generazione all’altra il sapere della produzione di salumi di qualità. Questo vale sia per la nostra famiglia, sia per le persone che, con passione, lavorano con noi». Altro protagonista a Cibus è il Consorzio del Prosciutto di Parma, con uno stand bellissimo e tutta una serie di appuntamenti volti a celebrare il recente riconoscimento di Parma come “Città creativa per la Gastronomia UNESCO”. «Questa è anche una responsabilità maggiore per noi» dice CLAUDIO LEPORATI, responsabile marketing del Consorzio del Prosciutto di Parma. «Se dal punto di vista qualitativo non ci preoccupiamo, perché abbiamo prodotti interessanti, lo dimostra il riconoscimento della città che a sua volta è un grande riconoscimento per i prodotti, dall’altro lato è uno stimolo per lavorare sempre meglio e continuare a mantenere il prodotto “alto”. Il segreto è la semplicità, un prodotto naturale fatto con pochissimi ingredienti. Siamo qui per supportare i nostri consorziati che non hanno lo stand: Cibus riesce a catalizzare l’interesse di moltissimi buyer, soprattutto stranieri. Non dimentichiamoci poi della XIX edizione del Festival del Prosciutto di Parma che anche quest’anno torna a settembre con chef stellati, buon cibo, musica e cultura». Molto soddisfatto di questa partecipazione al salone parmense anche MAURO BERNARDINI della Bernardini Gastone di Cenaia Crespina, Pisa, in fiera con le produzioni affumicate anche di selvaggina e ittiche, così come CINZIA DOGLIA, responsabile commerciale della parmense Gualerzi Spa, e il giovane ALEXANDRE BERTOLIN, del Salumificio artigianale Maison Bertolin di Arnad (AO). A Parma l’Italia non è mai stata così compatta e “unita”. Gaia Borghi

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WEEK-END

A Chiuro la sagra della bresaola di Josette Baverez Blanco

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ome ogni anno dal 2000 si ripeterà a Chiuro, Sondrio, in Valtellina, nel mese di luglio, la Sagra della Bresaola. Musica, ballo e buona cucina allieteranno questa festa organizzata dalla pro loco cittadina e che vedrà protagonista assoluto di tante ricette e piatti succulenti questo simbolo della gastronomia lombarda. La bresaola è un insaccato conosciuto fin dal 1400, come testimoniano scritti che riferiscono della specifica metodologia adottata per conservarlo. Rammenta moltissimo un altro prodotto tipico diffuso oltre le Alpi, in Svizzera, che prende il nome di viande sèche des Grisons. I due salumi hanno forma leggermente diversa, di parallelepipedo quello svizzero, di cilindro schiacciato con i poli bombati quello italiano, e si distinguono soprattutto per la maturazione della carne. Quella della viande sèche è molto più prolungata, mentre quella

della bresaola dura in media da uno a tre mesi, facendo sì che la carne si conservi morbida e tenera e rendendola di conseguenza più versatile. Ma perché la bresaola ha un tale successo, pur essendo un prodotto non economico? I salumi, in generale, vengono prodotti utilizzando carni suine. Per questo sono particolarmente saporiti, e proprio per questo sono spesso evitati da molti consumatori che li considerano meno digeribili e meno nobili di quelli realizzati con carne bovina o equina. Questo è ormai un mito da sfatare dato che i maiali sono molto meno grassi di una volta, pur conservando le stesse proteine. Ne risulta che, ad esclusione del prosciutto cotto, il consumo di salumi rimane notevole solo nelle zone di produzione. La carne bovina, invece, è onnipresente e quella equina lo è in modo più irregolare ma ben ricercata per le sue specifiche qualità, in particolare la leggerezza e il contenuto

di ferro. Ambedue queste carni sono conservate sotto forma di bresaola in diverse zone delle Alpi, più precisamente in Valtellina, della quale è divenuta il simbolo avendo ottenuto anche il marchio IGP, e in Valchiavenna, dove si produce affumicata. L’alta valle dell’Adda è costantemente drenata dalla presenza del fiume stesso e dalla ventilazione che impedisce ristagni di umidità. Questo equilibrio climatico inibisce l’insorgere di proliferazioni microbiche e favorisce un positivo sviluppo enzimatico dei tessuti. Ecco il segreto che la distingue dalla carne dei Grigioni, più brunastra e asciutta. Questo microclima consente di non dover disidratare eccessivamente le carni da conservare. Chi frequenta il Piemonte potrà trovare in Val d’Ossola una produzione di bresaola chiamata “carne salata” ma molto più limitata. Nell’Astigiano e nel Veneto si produce bresaola di cavallo, mentre nel

Bresaola della Valtellina Igp. A Chiuro ogni anno si svolge il festival della bresaola. L’appuntamento nel 2016 è per il terzo weekend di luglio (photo © mangiarebuono.it).

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Novarese quella di cervo è specialità preparata in salamoia nel vino rosso. La bresaola di manzo viene preparata con i pezzi posteriori migliori, la coscia con lo scamone, fesa, magatello, accuratamente snervati, sgrassati e sezionati. I pezzi di carne vengono avvolti da una miscela di sale e spezie per quindici giorni e ogni tanto leggermente massaggiati. La carne assorbirà allora il 2,1% di sale in alta montagna e il 2,5% un po’ più in basso. Le bresaole vengono poi asciugate, insaccate in budelli naturali e tenute per una decina di giorni in un ambiente molto asciutto. Segue la stagionatura che varia in base al peso (un mese per un pezzo di un chilo, tre mesi per quelli grossi di cinque chili). La bresaola perde così il 30-40% del suo peso iniziale. Si serve a temperatura ambiente, meglio se affettata sul momento per gustarne a fondo gli aromi. È un piatto che si mangia tutto l’anno, ma particolarmente d’estate, con olio e limone. Adatto a tutti, gradevole al palato, è estremamente versatile. Dall’antipasto al secondo, sono tanti gli abbinamenti possibili con verdure crude o cotte, i condimenti che la valorizzano senza ucciderne il sapore. Personalmente la preferisco nature, possibilmente accompagnata dalla ciambella di grano saraceno valtellinese tagliata a fettine sottili. Oserei suggerire di abbinare la bresaola a vini bianchi locali, il Chiavennasca o il Valcalepio, mentre, se si vuole un rosso, un Lago di Caldaro. Se vi piace la bresaola, non esitate a scoprirla nella sua culla, al fianco di coloro che l’hanno fatta nascere e che, con grande passione, la diffondono sul territorio nazionale ed internazionale. Niente di meglio che andare sul posto per assaporare una specialità e penetrare in tal modo la cultura locale. Assaggerete anche la slinzega, molto simile alla bresaola ma fatta con gli scarti di produzione, ossia con la carne attaccata all’osso. Per gli intenditori, sono pezzature di eccellenza, più piccole dei pezzi interi (tra i 300 e gli 800 g), ma molto più saporite e aromatiche. Si usano, per la loro preparazione, oltre al sale, cannella, chiodi di garofano, aglio, alloro e pepe. Josette Baverez Blanco

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FORMAGGIO

Tome e raclette del Vallese: artigianali e d’alta quota di Cecilia Bersani

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La cagliata viene rotta con uno speciale ”rastrello”.

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“La produzione di Alpage de Mille, rigorosamente artigianale e di qualità, consiste in una media di 2.000 tome da 600 grammi e in 1.400 forme di raclette, da 5 kg l’una. Nei tre mesi di alpeggio sono trasformati circa 70.000 litri di latte”

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alla produzione di latte del proprio allevamento ai formaggi tradizionali il passo è breve. Non è una regola ma è quanto ha realizzato la famiglia Michellod. PIERRE-ALAIN e CATHERINE MICHELLOD, marito e moglie, e i loro quattro figli, che da sempre allevano bovini, da qualche anno producono anche ottime tome e raclette, queste ultime con il marchio AOP (Appellation d’Origine Protégée, la versione francese della nostra DOP) Bagnes-Mille. Alpage de Mille, il caseificio artigianale di alpeggio dei Michellod, si trova a ben 1.900 metri d’altezza, a Le Châble, nel cantone Vallese, in Svizzera, non lontano dalla Val d’Aosta, e ha cominciato la sua attività nel 2011. La stagione più impegnativa e laboriosa per l’allevamento è l’estate. Ogni anno tra giugno e settembre sui pascoli, a circa 2.400 metri di altezza, circondati dall’incantevole scenario di montagne a volte baciate dal sole altre avvolte dalle nebbie, guidano giorno e notte su prati incontaminati una mandria di 160 vacche nere di d’Hérens. Questa razza alpina autoctona (che in Italia viene chiamata castana o pezzata nera) prende il nome

proprio dalla zona d’origine ed è allevata in Svizzera, in particolare nel Vallese, in Val d’Aosta e nella regione di Chamonix, in Francia. Sono animali robusti, tarchiati e muscolosi, dalle zampe corte, che pascolano senza difficoltà fino a 3.000 metri grazie ad arti e unghioni molto forti, che consentono loro d’arrampicarsi sui terreni montani. Si riconoscono dal mantello nero uniforme con tonalità fino al bruno-castano e dalle corna pronunciate, a volte nere in punta. Quando sono al pascolo è facile vedere esemplari battersi a due a due in lotte vivaci a colpi di corna per conquistare il ruolo di guida dell’armento. Scontri che nascono da un istinto connaturato alla razza, dal temperamento fiero e bellicoso, e si concludono con la vittoria del più forte, ma raramente con esito cruento. Il più delle volte le mucche se ne stanno tranquille a brucare le fresche e profumate erbe di montagna e a riposare. La famiglia Michellod alleva anche 35 esemplari di vacche pezzate rosse, di razza Simmental e Holstein, che con un’ottantina di vitelli, conducono al pascolo ma in quote più basse, tenendole in stalla di notte. Le vacche nere d’Hérens sono munte a 93


mano in alta montagna e il latte fresco è portato ogni giorno al caseificio a dorso di mulo. «Il latte d’alpeggio è più proteico, ricco e saporito perché l’erba è particolare» ci dice Catherine. «Le nostre mucche vengono spostate di periodo in periodo in cinque siti diversi e sempre in alta quota». Tome e raclette La produzione, rigorosamente artigianale e di qualità, consiste in una media di 2.000 tome da 600 grammi l’una e in 1.400 forme di raclette, da 5 kg l’una. Nei tre mesi di alpeggio sono trasformati circa 70.000 litri di latte; il resto dell’anno, quando si ferma la produzione e gli animali tornano in stalla, il latte viene venduto ad altri

caseifici del territorio. La produzione dei formaggi è affidata al casaro Christophe Prodanu, nativo francese, che gestisce personalmente le fasi della lavorazione. A mano, con uno speciale rastrello rompe la cagliata; è lui a spazzolare le raclette messe a stagionare. Dopo la rottura della cagliata il latte cuoce in un pentolone in rame per circa un’ora; quello per la raclette passando da una temperatura iniziale di 32 fino a 39-40 gradi; quello per le tome a 32 gradi, motivo per cui sono più cremose e umide e vanno consumate a due settimane della produzione. Dopo dieci minuti dalla cottura la pasta per la raclette d’alpeggio Bagnes-Mille Aop viene porzionata a mano ancora fresca.

Le forme sono infine stagionate per minimo 2 mesi, massimo 5-6 mesi. Il caseificio vende i suoi prodotti in azienda, dal lunedì al sabato, e nei mercatini locali, al prezzo di 22 franchi (€ 20,00) al chilo per le tome e di 19 franchi (€ 18,00) al chilo per la raclette. Cecilia Bersani Alpage de Mille Sex-Blanc Pierre-Alain Michellod 1947 Prarreyer (Versegères) Telefono: +41 795674625 Nota A pagina 92, Christophe Prodanu spazzola le raclette d’alpeggio BagnesMille Aop.

La pressione alta si riduce significativamente mangiando Grana Padano Curarsi mangiando: è ciò che emerge dal congresso dell’autorevole American Society of Hypertension che lo scorso maggio, a New York, ha presentato uno studio che dimostra che 30 grammi al giorno di Grana Padano Dop, somministrati per 2 mesi, riducono significativamente la pressione alta. Lo studio clinico è stato realizzato dall’Unità Operativa di Ipertensione dell’Ospedale Guglielmo da Saliceto di Piacenza, guidata dal dott. Giuseppe Crippa, e dall’Istituto di Scienze degli Alimenti della Nutrizione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. I ricercatori italiani hanno condotto lo studio con lo stesso protocollo che si usa per testare l’efficacia dei farmaci (procedura rarissima per gli alimenti), metodologia che dà risultati altamente attendibili e riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale. Lo studio è stato realizzato inserendo nella dieta giornaliera di 30 pazienti (da 45 a oltre 65 anni, 13 femmine e 17 maschi) 30 grammi al giorno di Grana Padano Dop stagionato 12 mesi in quanto particolarmente ricco di tripeptidi che hanno proprietà ACE-inibitori. Gli stessi pazienti, in ordine casuale, hanno assunto un placebo inattivo, cioè privo di tripeptidi. Alcuni di questi peptidi hanno un importante effetto biologico in quanto sono in grado d’inibire l’attività di un enzima, che è cruciale nella cura dell’ipertensione. «Sono infatti questi frammenti proteici che si sviluppano nella fermentazione del latte ad opera del Lactobacillus helveticus che inibiscono l’enzima che fa aumentare la pressione arteriosa producendo la conversione dell’angiotensina» racconta il dott. Crippa. «Queste molecole raggiungono la massima concentrazione nel Grana Padano stagionato 12 mesi, quello che troviamo a disposizione sul mercato e che noi abbiamo somministrato ai pazienti che non erano riusciti a stabilizzare la loro pressione arteriosa nei 3 mesi precedenti. Al momento dell’inizio della ricerca in tutti i pazienti la pressione era maggiore 140 mmHg per la sistolica e/o maggiore di 90 per la diastolica. Dopo 2 mesi di trattamento con Grana Padano i livelli pressori si sono ridotti in modo significativo e, nella maggior parte dei pazienti, la pressione si è normalizzata». Nel rispetto del disciplinare Dop il Grana Padano non può essere commercializzato con una stagionatura inferiore a 9 mesi e quello che normalmente si trova sul mercato ha in media 12 mesi, proprio il momento in cui i peptidi antipertensivi raggiungono il picco. Dopo tale periodo, procedendo con la stagionatura, la concentrazione di queste molecole antipertensive via via diminuisce. «È ragionevole pensare che l’effetto antipertensivo ottenuto con il Grana Padano Dop non sia facilmente estendibile ad altri tipi di formaggio — prosegue Crippa — perché la specie dei lactobacilli utilizzati, il tipo di caseificazione, la durata e le caratteristiche dell’invecchiamento del Grana Padano sono del tutto particolari e non facilmente riproducibili». L’effetto del Grana Padano (quale prodotto funzionale) dimostrato da questa ricerca è stato raggiunto nonostante il contenuto di sale, grassi e colesterolo, elementi che in passato hanno portato molti a considerare il formaggio come nemico della salute. «Nei pazienti che hanno partecipato allo studio non si è osservata alcuna modificazione nei valori di colesterolo totale e HDL, trigliceridi, glicemia, sodiemia e potassiemia, e cosa sempre interessante non si è modificato il BMI, cioè non sono ingrassati. Lo studio dimostra che il Grana Padano svolge un’attività nutraceutica contro l’ipertensione senza modificare altri valori importanti per la salute, è quindi lecito pensare, come molti altri studi hanno evidenziato, che il grasso di latte e derivati non sia gravato da quel rischio cardiovascolare tipico di altri grassi d’origine animale».

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OLIO

A difesa dell’olio extravergine di oliva di Mauro Cresti, Claudio Milanesi e Antonio Cimato

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na recente notizia apparsa su notiziari, TV e stampa ha provocato sconcerto e preoccupazione tra produttori e consumatori d’olio extravergine di oliva italiano. Il Parlamento europeo, per il prossimo biennio, ha approvato una legge per l’importazione dalla Tunisia di 35.000 tonnellate di olio

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d’oliva esente dal pagamento di dazi e imposte. Tali sconcertanti sentimenti sono giustificati dalla minaccia che questo nuovo importante flusso di olio tunisino, che andrà ad aggiungersi alle 56.700 tonnellate già accordate dal 1995, potrà essere utilizzato, senza appropriati controlli, per “inquinare” la riconosciuta “qualità” dei nostri

prodotti “tipici”, che sono protetti da specifici protocolli analitici di certificazione europea, e/o per “confezionare” miscele industriali di oli di “dubbie caratteristiche merceologiche” che, destinate prevalentemente ai mercati esteri, provocheranno perdita d’immagine ad un prodotto di eccellenza della nostra agricoltura.

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Le riflessioni scaturite da tali notizie rischiano di perdere efficacia se provassimo a chiarire le motivazioni politiche ed economiche di questo provvedimento legislativo con soluzioni “genericheâ€?. Ăˆ noto, infatti, che la nostra industria olearia ha necessitĂ di importare ogni anno quote rilevanti di questo prodotto (circa 600.000 tonnellate) da Spagna e da altri Paesi del Mediterraneo per far fronte al fabbisogno interno e al flusso consolidato di esportazioni. La bilancia commerciale del settore è mantenuta in sostanziale pareggio grazie all’esportazione di oli stranieri che sono stati confezionati in Italia. Il nostro commento sarĂ indirizzato nell’evidenziare che l’aumento in Italia di flussi di oli tunisini potrebbe “accrescere le truffe agroalimentariâ€?. Tali convinzioni nascono da esperienze acquisite con distinti studi condotti nel settore olivicolo; riscontri da consegnare e da ricollocare nel dibattito costruttivo di un settore che mostra sempre piĂš necessitĂ di approfondimenti, conoscenze e fruibilitĂ di risultati scaturiti da rigorose ricerche scientifiche. Ed è proprio da una recente truffa denunciata in Toscana, dove è stata “sequestrata una grossa partita di olio extravergine di oliva venduto come IGP toscano [‌] ottenuto da olive pugliesi o di origine diversa [‌]â€?, che prendiamo spunto, con questa nota, per dimostrare che occorrono chiarimenti e conoscenze per ricomporre le legittime preoccupazioni di produttori e consumatori italiani scaturite con l’ingresso nel nostro Paese, nel biennio in corso, delle rilevanti quantitĂ di olio di oliva tunisino. La notizia sulla truffa denunciata in Toscana è stata riportata con grande enfasi dalla stampa, dove la scoperta delle contraffazioni è, a nostro parere, erronea perchĂŠ conseguita impiegando il “metodo del DNAâ€?. Il comunicato, infatti, non è completo di particolari che specifichino le procedure metodologiche condotte in grado di accertare il “profilo geneticoâ€? delle cultivar e giammai l’origine dell’olio extravergine di oliva sequestrato. Chi scrive ha fatto parte di un gruppo di esperti internazionali

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che, giĂ nel 1996, ha pubblicato una prima nota informativa sulla possibilitĂ di accertare l’origine dell’olio extravergine di oliva esaminando il profilo genetico estratto da morchie di un campione “monovarietaleâ€? confrontato con altri campioni provenienti da foglie d’olivo della stessa cultivar. A nostro parere, sulla base dell’attuale letteratura, è molto improbabile che l’applicazione del “metodo del DNAâ€?, su campioni di oli “multivarietaliâ€? e d’incerta provenienza geografica, possa dare risultati attendibili e credibili. Tra l’altro è accertato ch,e fino ad oggi, i nostri oliveti sono stati realizzati con piante che afferiscono a “popolazioni di varietĂ â€?, per cui è ammissibile verificare che olivi indicati con lo stesso nome abbiano caratteristiche morfologiche abbastanza vicine, ma profili genetici differenti. Da ciò deduciamo che queste notizie, piuttosto che aiutare il settore oleicolo-oleario e la ricerca scientifica, finiscono per “illudereâ€? produttori e consumatori, che tra l’altro percepiscono i metodi scientifici come un ulteriore e nuovo salasso per la lievitazione dei costi del prodotto. Sarebbe invece auspicabile un maggior rigore nel condurre i controlli e nell’utilizzazione di protocolli e metodi di certificazione degli alimenti riconosciuti dalla UE e dal Consiglio Oleicolo Internazionale, anche per evitare che il lavoro degli organi preposti sia poi inficiato da interventi della magistratura. Se poi, come riportato dagli organi di stampa, chi ha condotto le indagini sull’olio extravergine toscano è in grado di dimostrare scientificamente che i metodi perseguiti sussistono e sono ripetibili, una migliore divulgazione e partecipazione della comunitĂ nazionale e internazionale mediante pubblicazioni scientifiche certificherebbe l’importante scoperta degna di piĂš alte e ampie considerazioni. Mauro Cresti Claudio Milanesi Antonio Cimato Accademia dei Georgofili, Firenze www.georgofili.info Nota Photo Š www.einsteinjournal.it

Da sinistra: Carlo, Antonio, Giuseppe e Arturo Falcone nello stand aziendale durante il Cibus 2016.

Una storia aziendale importante nel cuore della Sila Da anni fornitore delle migliori catene della distribuzione moderna, il Centro Carni Sila dei Fratelli Falcone, propone una vasta gamma di prodotti suddivisi in quattro linee: r Sila&Sila r 5CNWOK FK %CNCDTKC &12 ( NNK (CNEQPG r /CEGNNGTKC (CNEQPG .KPGC 0CVWTC r 575 5WKPQ 0GTQ FGNNC 5KNC Gusto, bontà , genuinità sono il denominatore comune di prosciutti e salumi che soddisfano le esigenze alimentari di ogni consumatore. Dalla tradizione salumiera calabrese, da un territorio - quello silano - con l’aria piÚ pulita d’Europa, la naturale eccellenza per vivere il gusto con leggerezza.

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VINO

Vinitaly: mezzo secolo di vino Il più importante salone internazionale dedicato a vini e distillati ha compiuto mezzo secolo. Un brindisi caloroso per un compleanno importante di Laura Franchini

C

ifre record per l’edizione numero 50 di Vinitaly, edizione particolarmente importante che ha visto anche diversi cambiamenti e novità nell’organizzazione. Sono stati più di 4.100 gli espositori su oltre 100.000 m2 di superficie e ben 2.357 i giornalisti accreditati provenienti da 47 nazioni che hanno seguito la manifestazione. Ma è soprattutto il dato degli operatori, oltre 130.000,

+23% rispetto al 2015, dei quali 50.000 esteri, ad attirare attenzione e soddisfazione. Anche le iniziative “fuori salone”, a contorno della manifestazione fieristica vera e propria, hanno raccolto successo di pubblico e addetti ai lavori. «L’obiettivo era quello di dare un segnale chiaro alle aziende espositrici e ai visitatori, per fare in modo che la 50a edizione di Vinitaly fosse quella che proiettava la rassegna nei prossimi cinquant’an-

ni», ha commentato il presidente di Veronafiere, MAURIZIO DANESE. «L’aver saputo mantenere la parola data e creare un format che ha soddisfatto in pieno le attese, sia per il wine business in fiera sia per il wine festival in città, con un’edizione di Vinitaly and the City dai grandi numeri, è motivo di orgoglio e di impegno per migliorare ulteriormente il prossimo anno. Questa edizione è stata l’occasione, inoltre, per celebrare la

Oltre 130.000 presenze di operatori da 130 Paesi, più di 4.100 espositori, una superficie espositiva di oltre 100.000 metri quadrati: così Vinitaly ha festeggiato i suoi cinquant’anni (photo © wineday.it).

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La cantina umbra Antonelli San Marco ha presentato al Vinitaly due versioni del Trebbiano Spoletino macerato sulle bucce: le annate 2013 e 2014 di Anteprima Tonda, il nuovo bianco di sperimentazione Vigna Tonda che FILIPPO ANTONELLI, a partire dal 2017, intende produrre con le uve di un vigneto cru di forma circolare ripiantato nella tenuta di Montefalco (PG) sullo stesso sito dove, nell’Ottocento, sorgeva appunto una vigna tonda. Le prove sul Trebbiano Spoletino si inseriscono in una ricerca più ampia che dall’ultima vendemmia, la 2015, prevede l’utilizzo di quattro anfore, anche per le vinificazioni di uva Sagrantino: due grandi vasi in terracotta e due in ceramica. «Sono prove di vinificazione tutte da verificare» premette Filippo Antonelli. «La nostra idea sarebbe di uscire nel 2017 con un Trebbiano Spoletino in versione macerata in anfora, ma è un punto interrogativo, dobbiamo provare e assaggiare. Invece, nel caso del Sagrantino, si parte da un vino ricco di tannini che ha bisogno di ossigenazione, il cui Disciplinare prevede l’obbligo del legno per almeno un anno. Noi però stiamo cercando di capire cosa accade se, oltre al legno, utilizziamo la ceramica e la terracotta per somministrare lentamente la quantità d’ossigeno necessaria. Le due versioni di Sagrantino stanno ancora macerando; decideremo la durata e l’integrazione con il legno in seguito agli assaggi». Tra le etichette presentate allo stand in fiera segnaliamo: • per l’umbra Antonelli San Marco il cru di Montefalco Sagrantino DOCG Chiusa di Pannone 2008 e l’anteprima 2009. Tra le altre anteprime il Montefalco Sagrantino DOCG 2011, il Montefalco Rosso DOC 2013 e il Trebbiano Spoletino 2015; • per Castello di Torre in Pietra, cantina alle porte di Roma, l’anteprima 2015 del rosso Roma DOC, l’annata attualmente in commercio del bianco Roma DOC Malvasia Puntinata, dall’ultima vendemmia prodotto con leggera macerazione delle uve, e la nuova annata del Macchia Sacra, bianco da uve Fiano in purezza senza solfiti. «Il Fiano zero solfiti, alla sua seconda annata, cresce per numero di bottiglie, circa 8.000 pezzi, visto l’apprezzamento che ha incontrato — prosegue Antonelli — Sta andando molto bene, soprattutto all’estero, anche la DOC Roma, in particolare la versione rossa, che ha riscontrato richieste interessanti da parte di alcuni monopoli statali, come lo svedese e il canadese». Novità interessante, la possibilità di degustare, in abbinamento ai vini, i salumi di Antonelli San Marco prodotti con carni di suini allevati allo stato brado nel bosco detto “Il Macchione”, all’interno della tenuta. Salame, lonzino, prosciutto, salsiccia secca e coppa per accompagnare i vini di Montefalco.

Omaggio a Gino Friedmann è l’ambizioso progetto della Cantina di Carpi e Sorbara nato con l’obiettivo di recuperare l’essenza più autentica del Sorbara, della sua storia e del suo territorio, reinterpretandola in chiave evoluta. L’etichetta ha conquistato anche nell’edizione 2016 i 3 bicchieri assegnati dalla guida del Gambero Rosso. Con la sua eleganza e austerità, Omaggio a Gino Friedmann è stato proposto in degustazione a Vinitaly nella versione rifermentata in bottiglia accanto a un altro Lambrusco premiato, il Salamino di Santa Croce Novecento 03, 2 bicchieri Gambero Rosso nell’edizione 2015. Morbido e fruttato, questo Salamino, pensato specificatamente per il mondo della ristorazione, è la naturale contrapposizione al Sorbara. La Cantina di Carpi e Sorbara è una delle più antiche cantine cooperative italiane, con 1.100 soci produttori e una capacità produttiva di circa 450.000 ettolitri di vino all’anno. «Passione, tradizione e autenticità, ma anche lungimiranza e innovazione sono i valori sui quali vogliamo lavorare — ci ha spiegato CARLO PICCININI, vicepresidente della Cantina — e i prodotti in degustazione in fiera sono espressione del nostro impegno nel fare vino di qualità».

Il Gruppo svizzero Schenk allarga il proprio raggio d’azione sull’Italia: attraverso Schenk Italian Wineries, il colosso del vino elvetico, ha acquisito Lunadoro, azienda agricola di Montepulciano con 12 ettari vitati per la produzione di Vino Nobile di Montepulciano. «Schenk sempre più si sta affermando come grande e consolidata realtà europea in grado di produrre vini eccellenti da territori blasonati sia in Italia (è il caso di Lunadoro e Castello di Querceto in Toscana o Bacio della Luna in Veneto), sia all’estero con l’acquisizione di marchi prestigiosi come Henri Badoux (Aigle Les Murailles) in Svizzera e Château d’Aigueville nella Valle del Rodano», sottolinea il CEO di Schenk Italian Wineries, DANIELE SIMONI.

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1) “Tempo Costasera”: questo il nome dell’orologio da polso presentato al Vinitaly realizzato da Masi in collaborazione con Ab Aeterno, start up veronese produttrice di orologi eco-sostenibili. «Il tempo — ha detto il presidente di Masi, Sandro Boscaini — attesta il valore delle cose: un terreno, una tecnica, un prodotto. Il suo ritmo scandisce il nostro appassionato lavoro: affina la qualità nel vigneto, in appassimento e in cantina. Il nostro vino, in particolare l’Amarone, richiede tempo e amore per essere apprezzato». 2) Gilda ed Edoardo Musetti, i giovanissimi titolari dell’azienda Il Torchio di Castelnuovo Magra, in provincia di La Spezia, con famigliari e amici.

“Vinitaly 2016 vince la sfida ‘qualità’: 130.000 operatori, dei quali 50.000 da 140 Paesi con 28.000 top buyer accreditati. In crescita Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Francia, Canada, Cina, Giappone, Paesi del Nord Europa, Paesi Bassi e Russia. Bene anche il ‘Fuori salone’ Vinitaly and the city con 29.000 presenze”

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storia di una manifestazione che da 50 anni promuove nel mondo il vino italiano e la sua cultura. Per la prima volta, infatti, un capo dello Stato ha inaugurato ufficialmente Vinitaly. Il presidente della Repubblica SERGIO MATTARELLA ha ricordato la funzione del Vinitaly quale “vettore e simbolo della qualità vitivinicola italiana, apprezzata nel mondo”, nell’ambito di un progetto di “internazionalizzazione e sostegno dell’export verso nuove aree di consumo”». Vinitaly 2016 ha ricevuto la visita anche del presidente del Consiglio, MATTEO RENZI, che nella giornata di lunedì ha discusso degli sviluppi delle vendite digitali del vino, insieme a JACK MA, fondatore di Alibaba, il colosso dell’e-commerce cinese che proprio da Verona ha lanciato il 9 settembre la Giornata del vino in Cina. Con loro anche il ministro alle Politiche agricole MAURIZIO MARTINA, che nella giornata conclusiva ha organizzato in fiera il Forum dei ministeri europei dei principali paesi a vocazione vinicola. «Da questa edizione emergono segnali interessanti sia dall’estero che dal mercato interno — ha spiegato il direttore generale di Veronafiere, GIOVANNI MANTOVANI —

confermando la capacità del salone di interpretare le tendenze, mettere a frutto il lavoro di internazionalizzazione e capitalizzare esperienze importanti». Nei quattro giorni, oltre agli incontri B2B, si sono tenuti più di 300 appuntamenti tra convegni, seminari, incontri di formazione sul mondo del vino. In primo piano, come ogni anno, le esclusive degustazioni, i convegni, le manifestazioni di studio. Ricco il programma delle Donne del Vino, che ha visto il suo inizio con una pregevole degustazione di bottiglie dal 1967 ad oggi, donate da socie produttrici: Berlucchi, Castello di Gabiano, La Scolca, Rivera, Fattoria dei Barbi, Tenuta di Capezzana, Castello di Querceto, Castello Banfi, Lungarotti, Masi. Durante Vinitaly 2016 Le Donne del Vino hanno ufficializzato il passaggio delle consegne da ELENA MARTUSCELLO alla nuova presidente DONATELLA CINELLI COLOMBINI, presentando anche il nuovo Consiglio e le delegate regionali. Nel programma del prossimo triennio spicca la creazione di un evento nazionale diffuso, che avrà luogo ogni anno il sabato prima dell’8 marzo e si chiamerà “Festa delle Donne del Vino”.

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1) Giovanna Freno Pirronello e la figlia Roberta, dell’azienda modenese Il Mallo, con Angela Sini. 2) Graziella Pezzi, manager e proprietaria dell’azienda vitivinicola Fattoria Paradiso di Bertinoro (FC).

Vinitaly 2016, spazio al vino naturale, bio e biodinamico Fasce di mercato ben predisposte, nuovi orizzonti geografici dove il vino naturale, biologico o biodinamico, incuriosisce sempre più ed è sempre più apprezzato. Anche Vinitaly ha dato spazio a una nutrita serie di aziende che hanno investito in questi nuovi mercati. Ne abbiamo scelte due, tra le numerose presenze. «Sviluppare l’agricoltura biologica significa stimolare un modello di produzione che eviti lo sfruttamento smisurato delle risorse naturali: il suolo, l’acqua e l’aria», afferma MASSIMILIANO GATTI della Società Agricola La Fiòca (in foto), in Franciacorta (lafioca.com). Da qui l’idea che il vino biologico, attraverso la riduzione di agenti fitosanitari o l’utilizzo di metodi naturali per la lotta contro gli infestanti, consenta di trasmettere alle generazioni future un mondo migliore e più pulito. Questa politica orientata alla salvaguardia dell’ambiente si coniuga con la promozione del territorio, delle tradizioni, dei saperi locali. Un circolo virtuoso, a cui La Fiòca ci ha sorpreso con il lancio di Nudo, il vino spumante di qualità elaborato con metodo ancestrale da uve Chardonnay e Pinot nero. «La nostra è stata una sfida vinta, poiché in zona nessuno aveva prodotto un vino spumante con queste caratteristiche», continua. Lieviti indigeni e niente aggiunta di zuccheri e solfiti, infatti, Nudo si rivela nel bicchiere con colore giallo e chiose di clorofilla, sottile e incessante la presenza di bollicine. Bouquet di frutta gialla matura, tra cui pera e mango, e lieve di zafferano; in bocca è presente una ben tenuta mineralità e spiccano retrogusti di erbe officinali, dove salvia e timo spiccano su tutte. Sostiene pasti a base di pesce di lago, carni bianche e paste al burro. Un altro imprenditore, GIORDANO EMENDATORI, a San Clemente, sulle colline di Rimini, ha giocato la carta dell’agricoltura biodinamica nella sua Tenuta Mara (tenutamara.com), 7 ettari coltivati a Sangiovese che sono anche un ecosistema perfetto che accoglie 700 nidi di uccelli, cassette per pipistrelli e melodie di Mozart tra i tralci di vite. Ne escono 20.000 bottiglie di Maramia dove inutilmente andrete cercando lieviti selezionati, ammonio fosfato, acido tartarico e citrico, mosto concentrato o zucchero, tannini o truciolati di legno. La raccolta delle uve è eseguita a mano. Il vino fermenta senza controllo di temperature e senza lieviti aggiunti. Poi passa 12 mesi in botte e 12 mesi in bottiglia. Maramia si distingue per abito rosso granato, naso fruttoso e caldo, bocca tannica e coda amarognola. Per pasti dove entra in scena la carne, selvaggina inclusa. Due vini che bene hanno saputo maritare uva e territorio senza snaturare entrambi. Anche questo è Vinitaly. R.L.

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In alto: anche quest’anno il Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi ha partecipato con successo al grande evento veronese. Nello stand, il direttore del Consorzio Ermi Bagni con Daniele Frascari, presidente del Consorzio per la Promozione dei Marchi Storici dei Vini Reggiani. In basso: nello stand del Prosciuttificio Salumificio Antica Foma di Nonantola (MO), Loris Mazzoli.

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1) Nello stand della Cantina Garuti di Sorbara (MO), Mauro Bompani e il figlio Alessio. 2) Lo stand del Gruppo Schenk, tra i leader del vino italiano. 3) Danila Colombi, sommelier Fisar, Cristian Calatroni dell’Azienda Calatroni, Remo Pasquini, Veronique Enderlin e Andrea Radic, direttore comunicazione di affaritaliani.it. 4) La Cantina Albea, di Alberobello, Bari.

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Fattoria Dianella di Sovigliana Vinci (FI) si è presentata a Vinitaly 2016 con un ventaglio di novità interessanti. Innanzitutto i riconoscimenti: Il Matto delle Giuncaie, il vino rappresentativo di Dianella, rosso Toscana IGT, Sangiovese in purezza, ha ricevuto, in occasione dei Decanter World Wine Award 2015, il prestigioso “International Trophy”. L’International Trophy è il più alto fra i riconoscimenti dei Decanter World Wine Award in quanto è una ulteriore selezione fra le medaglie d’oro (su oltre 16.000 vini in concorso, provenienti da tutto il mondo, solo 3 gli italiani che hanno ricevuto questo riconoscimento). Sempre i Decanter World Wine Award hanno riconosciuto anche la medaglia di bronzo al Chianti Riserva 2012, il Chianti che viene invecchiato per 16 mesi in botti di rovere di Slavonia e poi ulteriormente affinato per 6 mesi in bottiglia. Più recentemente il Chianti Dianella è risultato invece essere il secondo miglior vino all’Anteprima Chianti (Chianti Lovers) 2016. Risultati prestigiosi che vengono vissuti con la semplicità di chi ha lavorato con cura e pazienza. Nel corso degli ultimi anni Dianella ha avviato un progetto complesso, che ha avuto una forte accelerazione attraverso la collaborazione con il nuovo enologo ed è proseguito con la rivisitazione della struttura della cantina e di alcuni dei processi di vinificazione. FRANCO BERNABEI è l’enologo che meglio al mondo conosce il vitigno del Sangiovese, che ne è profondamente appassionato e che si è trovato in sintonia con la filosofia e il progetto di Dianella. Parlare la lingua comune del Sangiovese ha creato una importante sinergia e anche una complementarietà che ha arricchito tutta la produzione Dianella. Nella cantina secolare sono state riattivate, ad esempio, le grandi vasche in cemento — che non erano più utilizzate dall’inizio del 1900 e che oggi ospitano la fase malolattica di maturazione dei vini —, è stata creata una nuova bottaia in collaborazione con Garbellotto, il quale ha stato studiato un progetto specifico per inserire al meglio le nuove botti nello storico contesto della cantina di Dianella. Inoltre la collaborazione con Franco Bernabei si sta sviluppando ora su nuovi progetti che riguardano la selezione di cloni storici e dimenticati di uve bianche e rosse. Tutti questi progetti continueranno naturalmente ad esprimere la filosofia di Dianella, e cioè la produzione in stretta sintonia con il territorio e le sue tradizioni. Questo infatti è uno degli aspetti cardini e irrinunciabile di Dianella: il mix perfetto fra la necessità di vini di facile bevibilità con una qualità e una lavorazione che affondano le proprie radici nei secoli. E proprio questa lunga storia di tradizione nel coltivare la terra, con passione e pazienza, verrà a breve raccontata attraverso i social network. Un modo moderno di comunicare, veloce, immediato e interattivo, che per la prima volta invece si troverà a trasmettere la lentezza dei ritmi della natura, illustrerà la capacità di “leggere” le esigenze della campagna e il lavoro quotidiano che viene fatto per assecondarle. Per partecipare a questa sfida è possibile sintonizzarsi sulla nuova pagina Facebook Dianella Winery, sul profilo twitter @VillaDianella e su Instagram Dianella Winery per vivere in presa diretta questo viaggio affascinante. Share the story, enjoy the taste. >> Link: www.villadianella.it

All’Aria Aperta è il rosé di Fattoria Dianella: ottenuto unicamente da uve Sangiovese, vendemmiate a mano, si presenta con un colore tenue ma con una personalità ben delineata e un profilo aromatico complesso con un sapore fresco e minerale. La gradazione alcolica contenuta di questo vino non ne smorza la verve ma ne sottolinea invece la raffinatezza. Ideale per aperitivi riesce ad esprimere il meglio di sé con i primi a base di pesce. Questo vino ha un’ulteriore peculiarità: l’etichetta. La sua etichetta frontale reca, sul retro, l’incipit dell’opera di Renato Fucini “All’aria Aperta” ed è possibile leggerne i versi attraverso la trasparenza del vino. Per la realizzazione dell’etichetta di questo vino è stato indetto un concorso fra i giovani studenti di Polimoda (scuola di alta formazione fiorentina per il design e la moda) nella primavera del 2012.

Tra le tante occasioni di approfondimento, anche quest’anno grande successo per la guida Vinibuoni d’Italia, con due grandi banchi di assaggio: Enoteca Italia, con 425 vini selezionati dalla guida, e Sparkling Star, un straordinario concorso con 390 spumanti da tutta Italia. Nel corso delle quattro giornate sono stati organizzati, presso lo

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stand, laboratori e degustazioni di grande successo, che hanno visto, tra i tanti protagonisti, il prosciutto di San Daniele e il Friulano, il Grana Padano e i salumi Levoni, i vini da uve Spergola, che ho curato personalmente insieme alla Compagnia della Spergola. In contemporanea a Vinitaly, si sono svolte, come ogni anno,

Sol&Agrifood, la manifestazione di Veronafiere sull’agroalimentare di qualità (www.solagrifood.com), ed Enolitech, rassegna su accessori e tecnologie per la filiera oleicola e vitivinicola (www.enolitech.it). La 51a edizione di Vinitaly è in programma dal 9 al 12 aprile 2017. Attendiamo con ansia. Laura Franchini

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www.lambrusco.net www.enzopancaldi.it - ph: Carlo Guttadauro, Archivio www.lambrusco.net


Il vino italiano? Vola alto Il comparto enologico italiano sta vivendo un momento di grande successo di vendite, soprattutto all’estero. Complici le esposizioni di rilevanza internazionale come Vinitaly, e altre, meno famose, ma non per questo meno degne di nota, come Summa, Vini Veri e, allungando lo sguardo oltre Adriatico, il Dubrovnik FestiWine di Riccardo Lagorio

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l vino italiano, ci dicono, vola. Soprattutto all’estero le cifre incoraggianti delle vendite, sospinte dal fascino che i prodotti italiani garantiscono, si rincorrono per il quarto anno consecutivo. Con tutto beneficio per il mercato interno ancora anoressico. Certo le fiere di ri-

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levanza internazionale come Vinitaly (ancora pochi, ad avviso di chi scrive, gli acquirenti forestieri che accorrono sulle sponde dell’Adige, se paragonati alle percentuali di stranieri presenti a fiere come Prowein, che si tiene in Düsseldorf) danno una grande mano al comparto. Tuttavia, nelle stesse date,

si celebrano altre iniziative dedicate al vino, dove si respira un’aria non meno aperta verso l’estero. E che sono diventate — pure queste — appuntamenti ormai tradizionali, assai apprezzati dagli operatori. Lievitate intorno alla fiera-madre, che nel 2016 ha tagliato il traguardo del mezzo secolo di vita,

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alcune vantano espositori e storia di tutto riguardo. Summa16 Partiamo da Summa (summa-al.eu), che dal 9 all’11 aprile ha celebrato la 18a edizione nella storica sede di ALOIS LAGEDER (LAGORIO R., Lageder, grandi

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vini in armonia con la Natura, in PREMIATA SALUMERIA ITALIANA n. 5/2011, pag. 115) presso la Tenuta Casòn Hirschprunn, a Magrè sulla Strada del Vino, equidistante da Trento e Bolzano. Oltre a un programma di tutto rispetto, che quest’anno è stato scandito da degustazioni di raffinate

etichette e verticali esclusive, Summa si distingue per l’esplicita volontà di sostenere ogni anno un tema di interesse sociale e di permettere la presenza, come espositori, esclusivamente ad aziende che contemplano vendemmie rispettose della natura. Vini naturali e giusti, insomma. Nel 2016 la collaborazione è stata decretata a favore dell’associazione umanitaria Casa della Solidarietà di Bressanone, che aiuta persone con problemi psichici o dipendenze, disoccupazione e situazioni familiari difficili. I badge d’ingresso sono stati realizzati da Famos, laboratorio protetto appartenente alla Comunità Comprensoriale Oltreadige Bassa Atesina. Ultima, importante considerazione: è stata data particolare attenzione alla mobilità sostenibile. Il servizio navetta per gli ospiti, infatti, è stato affidato (e lo sarà nuovamente in futuro) agli innovativi veicoli a idrogeno dell’Istituto per Innovazioni Tecnologiche Bolzano. Per la prima volta la kermesse altoatesina, da sempre riservata esclusivamente agli operatori del settore, ha accolto anche privati e appassionati nella giornata di domenica 10 aprile. ALOIS CLEMENS LAGEDER, che nel 2015 è entrato in azienda in qualità di responsabile dell’area vendite e marketing, ha sottolineato alcune delle altre novità, come la degustazione guidata “I vini Cometa: impulsi innovatori della nostra enologia”, da lui stesso condotta. «Circa trent’anni fa abbiamo iniziato a piantare nei nostri vigneti delle varietà non autoctone, ma tipiche di regioni più meridionali: uve come, per esempio, Viognier, Petit Manseng, Assyrtiko, Roussanne, Marsanne oppure Tannat. Questo ci ha permesso di osservare la reazione di questi vitigni piantati nelle nostre zone e sottoposti ai cambiamenti climatici. Grazie a un affinamento singolo, ora possiamo capirne lo sviluppo fino al prodotto finito nel bicchiere», svela. Una settantina gli espositori. Alcuni hanno colpito la nostra attenzione. Come Grosjean (grosjean. vievini.it), l’azienda familiare con base a Quart, in Valle d’Aosta. Il vino ha sempre giocato un ruolo fonda-

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La Tenuta Casòn Hirschprunn durante l’edizione di Summa 2016 (photo © wineopeners.files.wordpress.com).

“Summa si distingue per l’esclusiva presenza di espositori che contemplano, all’interno delle loro aziende, vendemmie rispettose della natura. Da sempre riservata agli operatori del settore, quest’anno ha accolto anche privati e appassionati”

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mentale nell’economia e nella vita degli Aostani: la bisnonna materna dalla Valgrisenche faceva la spola verso Ollignan, già nel 1781, per l’acquisto di botticelle da distribuire nella fredda valle durante il lungo inverno. Oggi Vincent, omone dallo sguardo rassicurante, è una certezza nel panorama dei produttori di vino di montagna e dal 1975 i suoi terreni rispettano l’ambiente in quanto si utilizzano solo fertilizzanti biologici, evitando i trattamenti a base di insetticidi. L’altro obiettivo è il reinserimento di vitigni autoctoni: Petit Rouge, Cornalin, Fumin e Prëmetta innanzitutto. L’assaggio del Petite Arvine Val d’Aosta Doc Vigna Rovettaz (tra le più antiche appartenenti all’azienda e con alto indice di pendenza) si contraddistingue per il colore paglierino luminoso, ad alta aromaticità con note di eucalipto al naso. La buona struttura e acidità depongono a favore di lunghi invecchiamenti. Alla fine intercetterà pesci e formaggi. All’intraprendenza di GEORG WEBER, florovivaista tedesco innamoratosi come tanti suoi conterranei delle

colline maremmane, si deve invece la nascita nel 2003, in agro di Capalbio, Grosseto, di Monteverro (monteverro. com), azienda che si estende oggi su 30 ettari. Di questi, 4 ettari di terreni sciolti d’argilla rossa narrano nel Tinata IGT Toscana rosso la confluenza tra mare e colline: l’occhio rubino intenso, il naso di cuoio e rosmarino, la bocca terrosa di prugna selvatica assestata sulla buona acidità di frutti di bosco. Ottimo con la selvaggina da piuma. Ancora dalla Toscana, ma da Riparbella nel Pisano, ci ha letteralmente sbalordito Si IGP Costa Toscana. ELENA CELLI e LUCA D’ATTOMA, i proprietari di DueMani (duemani.eu), ci tengono a sottolineare il metodo biodinamico di produzione per mantenere la terra nel suo stato originario e produrre pertanto vini che trasmettano l’identità del territorio. È con queste premesse che nasce Si, vino rosa da uve Shiraz: piacevolmente allegro agli occhi, il naso è attratto da ciliegie e pompelmo e la bocca completata da ricordi di lampone che rinfresca e ammorbidisce il tenore alcolico. Curioso e riconoscibile, ide-

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“Modificare vino e cibo è innaturale, racconta Giampiero Bea, vignaiolo e ideatore di ViniVeri. In questo risiede lo sforzo che ogni anno un centinaio di vignaioli sottolineano partecipando all’iniziativa, sensibilizzando il consumatore sulla questione ambientale”

ale con piatti dominati da crostacei. Rosato, anzi Chiaretto, il nome che si dà al vino color rosato elaborato sulle sponde del lago di Garda. Nel Bresciano, in un paesaggio caratterizzato dalle colline della Valtenesi, l’uva più rappresentativa è il Groppello. Anche con uve Marzemino e Barbera nasce Le Sincette Valtenesi DOC Chiaretto, dell’omonima azienda agricola di Polpenazze del Garda (lesincette. it). Nata nel 1997, dal 2011 possiede la certificazione di azienda biodinamica per le sue 35.000 bottiglie prodotte nel rispetto della natura e dei suoi ritmi. Nel Chiaretto si rincorrono il rosa e il cerasuolo, per farne liquido dalle sfumature cangianti. Il naso è d’anguria matura e la bocca fresca con vena acidula e amarognola finale. Piatti di pasta con ragù leggeri, carni bianche e soprattutto pesce d’acqua dolce lo esigono. Difficile essere esaustivi nel racconto dei numerosi produttori forestieri presenti, molti di lingua tedesca. Così anche qui le sensazioni dominano. Biodiversità in vigna. È quanto stabilisce come priorità FRANK JOHN a Neustadt, nel cuore del Palati-

nato anteriore. L’azienda (johnwein. de), nata nel 2003, si ispira ai tradizionali metodi d’invecchiamento e a tecniche produttive nel solco della coltivazione biodinamica. Le uve sono raccolte a mano; di conseguenza la vendemmia può essere ripetuta più volte in una stessa vigna. Il lavoro in cantina si limita a garantire continuità alla puntigliosità tenuta in vigna. Il Brut di uve Riesling, ottenuto senza solfiti aggiunti, trascorre 38 mesi sui lieviti e ha colore giallo tenue, bollicine piacevolmente costanti, naso di frutta esotica e buona mineralità in bocca, sostenuta da ricordi agrumati. Da sorseggiare a tutto pasto, evitando carni rosse. Cosa che è invece suggerita per il vino da uve Shiraz della neozelandese Schubert Wines (schubert.co.nz), sita a sud dell’isola settentrionale, nella valle Wairarapa, particolarmente vocata all’enologia. Il colore austero e il profumo speziato sono l’anticipazione a una bocca robusta e complessa, dove si rincorrono ricordi di susina matura e acqua di rosa. Summa è quindi ottima occasione per conoscere un’enologia non convenzionale,

Degustazioni a ViniVeri 2016, evento che si tiene a La Fabbrica di Cerea, Verona (photo © www.viniveri.net).

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Operatori e visitatori al Dubrovnik FestiWine (photo © dubrovnikfestiwine.com). dove l’ecologia e la solidarietà non sono estranee alle logiche di mercato. ViniVeri Qualcosa di simile si respira visitando ViniVeri (viniveri.net), iniziativa che dall’8 al 10 aprile si è tenuta nell’ormai tradizionale La Fabbrica di Cerea (VR). Un centinaio di vignaioli che condividono un’idea produttiva che va oltre la certificazione biologica europea: quella di generare vino senza pesticidi e limitare l’uso della chimica di sintesi in vigna senza applicare addizioni e stabilizzazioni forzate in cantina. Ambiente e biodiversità, insomma, protagonisti. Ma anche con un occhio al sostegno di progetti per la diffusione della conoscenza nelle scuole, attraverso interventi organizzati da Legambiente (1 euro del biglietto è stato destinato a sostenere tali iniziative). GIAMPIERO BEA, vignaiolo e ideatore dell’iniziativa, racconta che «modificare vino e cibo è innaturale. In questo risiede lo sforzo che ogni anno un centinaio di vignaioli sottolineano partecipando a ViniVeri, sensibilizzando il consumatore sulla questione

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ambientale». Tra gli eventi più seguiti dell’edizione 2016 una verticale dal 1983 al 2010 di Barbacarlo, l’etichetta più rappresentativa del grande artista della vigna nell’Oltrepò pavese, Lino Maga (telefono: 0385 51212). Dubrovnik FestiWine Poco meno di 50, invece, gli espositori presenti a Dubrovnik FestiWine, la manifestazione dedicata alla conoscenza delle aree vinicole intorno alla città ragusea, tenutasi il 29 e 30 aprile (dubrovnikfestiwine.com). Queste verranno descritte ampiamente nel prossimo numero di PREMIATA SALUMERIA ITALIANA. Tuttavia, tra i grandi assaggi che vogliamo ricordare sin da subito, complice il raduno tenutosi nell’ex lazzaretto poco fuori la cinta muraria della cittadina croata, quello del Prapratno DOC di Mato Vlašić (vinarija-vlasic.com). Ottenuto da uve Plavac mali (rosso, dall’acino piccolo e, come le ultime analisi ampelografiche hanno stabilito, parente prossimo del pugliese Primitivo) all’imbocco della penisola di Sabbioncello, le inclinazioni da capogiro del terreno rendono non solo indesiderati

dall’ultrasettantenne produttore, ma soprattutto impossibili l’utilizzo di diserbanti e fitofarmaci e l’impiego di macchinari di ogni sorta. Un vino eroico, dal colore viola impenetrabile e dal bouquet di cioccolato amaro e cuoio. La vendemmia del 2012 ha ormai ammorbidito i tannini che certi Plavac mali mantengono e si è assestata intorno a sapori che rievocano frutta esotica matura, come ananas e papaia, e più nostrana, come mora e susina. Questa sorprendente bottiglia vuole ampi sorsi, carne rossa e, poi, tanto riposo. Sull’isola di Curzola il terreno sabbioso di Lumbarda ha creato condizioni tali da preservare le viti dall’attacco della filossera. Si è salvato il patrimonio di Grk, il vitigno portato dai primi coloni greci 2.500 anni fa. Profumato di ginestra, sapido e citrino quello di Frano Bire (bire.hr). Se il vino italiano vola, quello croato è pronto per il grande balzo. Riccardo Lagorio Nota Alle pagine 106 e 107 filari della tenuta di Monteverro in Toscana (photo © Leif Carlsson).

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Prosciuttificio IL CONTE S.r.l. Via Sant’Ambrogio, 4 – Fraz. Bazzano 43024 Neviano degli Arduini (PR)


Il bianco si porta con tutto! Continua il viaggio di Christian Bellei con Cantina della Volta nel mondo del Metodo Classico. L’ingrediente base è ancora una volta l’uva autoctona dei terreni alluvionali del fiume Secchia, il Lambrusco di Sorbara, che spogliato del suo colore si fa bianco di Elena Benedetti

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n’etichetta unica, un vino capace di stupire ogni volta e un artista, o per meglio dire, un vero atleta del Metodo Classico. Sono forse questi i tre ingredienti che riassumono al meglio la filosofia di Cantina della Volta, fondata nel 2010 a Bomporto, nella Bassa modenese, da CHRISTIAN BELLEI, quarta generazione di impren-

ditori vinicoli e figlio d’arte. È stato il padre infatti, Giuseppe Bellei, a trasmettergli l’amore per la Francia e per gli spumanti Metodo Classico. «Ho iniziato questa avventura con una parte di uve di Lambrusco di Sorbara ereditate dalla mia famiglia, il nostro vitigno autoctono d’elezione, dal carattere e dalla personalità marcate. Poi ci sono le uve di Pinot

nero, Chardonnay e Pinot meunier coltivate nelle vigne del nostro podere a Riccò di Serramazzoni (MO), un terreno unico caratterizzato da un terroir e un microclima similari a quelle dei vigneti dello Champagne» racconta Christian durante la mia prima visita alla cantina. «In queste due situazioni, dove una scelta è scontata, ovvero fare gli spumanti

Christian Bellei titolare di Cantina della Volta di Bomporto (MO).

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con i vini tradizionali, io ho iniziato il mio personalissimo percorso con il vino Lambrusco. E questa è stata la sfida più bella!». Una sfida che Cantina della Volta ha raccolto e portato al traguardo con un vino Spumante di Qualità Metodo Classico, vendemmia 2012, da uve di Lambrusco di Sorbara in purezza, vinificato in bianco. «Il nostro lavoro è focalizzato sul portare il Lambrusco con il Metodo Classico verso un nuovo interesse» mi spiega Christian. «Anni fa il Lambrusco doveva essere consumato entro 6 mesi, era di facile beva, e, soprattutto, era un prodotto diffuso in tutto il mondo creato per i mercati. Produrre un Lambrusco con Metodo Classico rosso è stata la logica conseguenza. Poi, con grande lavoro e impegno, siamo passati al rosé, e oggi il traguardo del Lambrusco bianco, decisamente non scontato». Ma per una persona che in sella alla sua bici da corsa fa 18.000 chilometri all’anno senza nulla da invidiare a chi dell’agonismo fa la sua vita professionale, ecco, per quel Christian Bellei in veste di “spumantista” questa è stata una “gran bella idea!”. «Il Lambrusco bianco è sempre stato fatto ma in chiave piuttosto economica, soprattutto per il mercato inglese» precisa Christian mentre mi mostra la bottiglia del vino che completa la gamma di lambruschi di Cantina della Volta. «Qui ho voluto esaltare ancora di più l’anima di quest’uva, la sua versatilità, l’eleganza che può raggiungere sfumature sorprendentemente raffinate». Dopo 34 mesi di riposo sui lieviti, è nata una nuova interpretazione: di colore giallo tenue con riflessi verdolini, ha bollicine di grana finissime e persistenti. Il bouquet alterna sentori floreali e note di frutta fresca che ricordano la mela. Espressivo e diretto, al palato ha ampiezza, dinamicità, un equilibrio che riesce a fondere morbidezza e freschezza. Christian Bellei in pratica ha voluto portare il Lambrusco di Sorbara alle vette più alte del Metodo Classico, in grado di stare al fianco delle più nobili bollicine bianche. Il Lambrusco Bianco della Cantina della Volta si presenta stilosissimo in una bottiglia con etichetta realizzata dal tratto elegante e personale

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L’etichetta del Lambrusco Bianco di Cantina della Volta è stata realizzata dal pittore Giuliano Della Casa. del pittore Giuliano Della Casa, le scritte bianco su bianco in rilievo e rosso. «Se leggi quelle rosse, più visibili, l’etichetta ha un senso. Ma, man mano che ti avvicini e metti a fuoco il testo in bianco, il senso si allarga a qualcosa di diverso» mi spiega Christian, che non ha lasciato nulla al caso nella costruzione, anche comunicativa, di questo nuovo prodotto. L’etichetta è volutamente essenziale, per lasciare spazio al vino, con una reinterpretazione calda e artistica del simbolo aziendale, quella barca che un tempo percorreva il Naviglio Modenese e che rappresenta simbolicamente la navigazione di Cantina della Volta dall’inizio della sua avventura ad oggi. Elena Benedetti

Cantina della Volta Via per Modena 82 41030 Bomporto (MO) Telefono: 059 7473312 E-mail: info@cantinadellavolta.com commerciale@cantinadellavolta.com Web: www.cantinadellavolta.com www.twitter.com/CantinaVolta www.facebook.com/cantina.dellavolta

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I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA

Degustazione: i Colli Orientali di Laura

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na re regione dove la viticoltura è tradizione, storia, economia. Il Friuli da tempo troneggia tra i grandi protagonisti della produzione enologica, con vini divenuti di culto e produttori attenti e lungimiranti. Poiché la regione, com’è noto, possiede una produzione particolarmente vasta, negli spazi geografici come nell’eccellenza delle proposte, ci siamo voluti concentrare su quella meravigliosa area che sono i Colli

Orientali. Siamo a pochi chilometri da Udine e da località balneari molto note come Lignano e Grado, in una terra ricca di cultura e bellezza. La zona di produzione dei vini DOC “Friuli Colli Orientali” ha in Cividale, con le sue vestigia romane e longobarde, il capoluogo storico e il centro più conosciuto fuori dai confini regionali, ma la zona è tutta da scoprire per un turista attento. La DOC comprende più di 2.000 ettari di superficie vitata. Le condizioni

Tovè Colli orientali del Friuli DOC Marco Cecchini

Ribolla Gialla Rosazzo Bianco DOC Ronchi di Manzano

Pomédes Bianco DOC Colli Orientali del Friuli – Roberto Scubla

La passione per MARCO CECCHINI non è seguire le mode: lo dichiara lui stesso, giovane produttore proveniente dal mondo dell’economia. Studiava a Trieste quando il nonno, proprietario di mezz’ettaro di vigneto in quel Faedis, gli chiese di dargli una mano per la vendemmia. Colpo di fulmine. Questo calice è prodotto con il 90% Friulano (un 30% del quale effettua la malolattica in tonneaux da 5 litri) e rimanente 10% Verduzzo ed effettua un’accurata vinificazione in riduzione, dalla macerazione fino alla fermentazione. Segue bâtonnage settimanale in acciaio e affinamento sui lieviti. Si presenta di un bel giallo paglierino intenso; al naso sprigiona copiose note fruttate, fresche, di mele cotogne e vegetali di fieno, con una bella speziatura e floralità a contorno. La sorsata è intensa e piena, rotonda senza stucchevolezza, asciutta. Buone le note sapide e la freschezza, trama armonica e lunga. La temperatura ideale di servizio è di 14 °C, l’abbinamento è con i cjarson, ravioli ripieni di ricotta e erbe, conditi con burro fuso.

Siamo sulle colline di Manzano, il “paese della grande sedia”. All’ingresso del territorio comunale troneggia infatti un’imponente installazione artistica rappresentante appunto una sedia, la cui produzione è economicamente importante per il comune. Radici di mobilieri di successo sono anche quelle di ROBERTA BORGHESE, brillante e capace titolare di questa cantina che guida dal 1984. Le uve di questo calice, vendemmiate a mano, criomacerate a zero gradi e pressate sofficemente, sono di Ribolla Gialla per il 100%. La fermentazione avviene in botti di rovere francese, dove continua l’affinamento fino al marzo successivo, quando è previsto l’imbottigliamento. Visivamente si presenta color giallo paglierino con riflessi verdognoli, mentre al naso si apre ampio di toni floreali, fiori d’arancio e ginestre, con note di pera e mela verde. Equilibrata la sorsata, fresca e brillante, con circolarità delle note fruttate e sentori balsamici. Perfetto come aperitivo, si presta all’abbinamento con piatti di pesce, anche strutturati.

L’Azienda Agricola Roberto Scubla è stata costituita nel 1991, da alcune vecchie vigne esistenti cui si sono aggiunti nuovi impianti, fino ad arrivare a 12 ettari vitati. L’uvaggio di questo affascinante calice è composto per il 65% da Pinot bianco, 25% Friulano e rimanente 10% Riesling renano. Sono uve che crescono su terreni marnosi e selezionate esclusivamente da vecchie vigne, il cui mosto fermenta in barrique e tonneau di rovere francese nuovi al 50% e il resto di secondo passaggio. La maturazione dura otto mesi praticando frequente bâtonnage; segue un assemblaggio di dieci mesi in vasche inox mantenendo il contatto con le fecce nobili, quindi affinamento in bottiglia per tre mesi. La degustazione olfattiva inizia generosa con decise e fini note aromatiche e fruttate, persistenti. Il palato è circolare e armonico, ampio. Un calice di struttura e stoffa, non banale, adatto anche e preparazioni mediamente strutturate, ottimo con ragù di pesce al pomodoro, ma anche con piatti di carne alla griglia.

Az. Agr. Cecchini Marco Via Buttrio 8 33040 Premariacco (UD) Telefono: 340 5944542 info@cecchinimarco.com

Az. Agr. Ronchi di Manzano Via Orsaria 42 33044 Manzano (UD) Telefono: 0432 740718 info@ronchidimanzano.com

Az. Agr. Roberto Scubla Via Rocca Bernarda 22 33040 Ipplis di Premariacco (UD) Telefono: 0432 716258 info@scubla.com

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del Friuli alla conquista delle tavole Franchini pedoclimatiche ottimali hanno permesso la coltivazione di vitigni autoctoni (Malvasia, Picolit, Pignolo, Refosco dal peduncolo rosso, Ribolla gialla, Schioppettino, Tazzelenghe, Tocai friulano e Verduzzo friulano) così come di altre varietà provenienti da diverse zone europee, che qui si sono ben adattate producendo dei considerevoli risultati. Alcuni vitigni autoctoni possono vantare oltre duemila anni di storia documentata, da quando i Romani,

così narra Tito Livio, stabilirono la prima colonia intorno ad Aquileia. Una tradizione di lunga data tramandata fino ai nostri giorni: basti pensare che il Disciplinare Colli Orientali annovera il maggior numero di vitigni autoctoni in Italia. Per questa rubrica abbiamo scelto di abbinare ai vini proposte fresche, adatte alle calde serate estive. Immaginatevi una grigliata di pesce e uno spaghetto con le vongole. E ora riempite il calice.

Colli Orientali Friuli DOC Sauvignon Valentino Butussi

Colli Orientali del Friuli DOC Friulano La Sclusa

Colli Orientali del Friuli DOC Verduzzo Friulano – Cadibon

Ci troviamo a Prà di Corte con questa bella realtà, nella culla dell’area Corno di Rosazzo, con 15 ettari di vigneto. Il fondatore, V ALENTINO BUTUSSI, è venuto a mancare da non molto tempo, ma non è venuta meno la forza e la passione negli eredi: ANGELO, la moglie PIERINA, i figli ERIKA, FILIPPO, TOBIA e MATTIA continuano con decisione a seguire vigneti e cantina. Sono uve di Sauvignon in purezza a comporre questo convincente calice, che regala profumi vegetali di ortica e rami verdi, pietra focaia e peperone verde, foglia di pomodoro, ginestra e ricordi minerali. Al palato la sorsata è altrettanto suadente, con una bella spalla acida a sostegno, in armonia con tinte sapide e morbide. Un vino molto amato e dalla bella versatilità, ottimo aperitivo nella calde serate estive, si abbina splendidamente con aragoste e astici alla catalana, crostacei e gamberi. Una bella cena di pesce, in riva al mare, vino servito ben freddo.

La Sclusa e la famiglia di GINO ZORZETTIG gestiscono con passione questa moderna cantina circondata dai vigneti, sui Colli di Spessa nel comune di Cividale del Friuli. Una famiglia che da quattro generazioni si tramanda i principi fondamentali della coltivazione della vite e della vinificazione, puntando sulla tradizione e sull’esperienza, unite alla giusta dose di innovazione tecnologica. Questo calice di Tocai, o meglio Tocai Friulano (perché come sappiamo è questo il nome con cui tradizionalmente è conosciuto), è fragrante e diretto, beverino e limpido. Olfattiva di mosto, pere verdi e mandorle amare, al palato è armonico, con morbidezza e freschezza in equilibrio, come per la sapidità e il tono alcolico. Perfetto come calice d’aperitivo, si presta per l’abbinamento con i salumi della regione, in particolare con il prosciutto di San Daniele e con i formaggi freschi.

L’azienda Cadibon si estende su una superficie vitata di 11 ettari, con uve a frutto bianco e a frutto rosso, distribuiti in tre diverse zone DOC: Colli Orientali, Friuli Grave e Collio. Sono terreni magri, ma ideali per la vite poiché frenano la quantità ed esaltano la qualità producendo uve equilibrate negli zuccheri e nell’acidità, ricche di estratti e di aromi. È condotta dalla famiglia BON, AMERIS, FRANCESCA GIANNI e LUCA, i quali, pur continuando gli insegnamenti dei loro avi, hanno profuso nei vigneti ogni sforzo di rinnovamento finalizzato all’ottenimento di qualità e tipicità. Questo calice di Verduzzo, di grande eleganza, sfodera piene e finissime note fruttate di pesca e albicocca, netti ricordi di miele e leggere tinte balsamiche a contorno. La sorsata è altrettanto piena ed equilibrata, piacevole, armonica, come armoniche sono le note boisé leggere dei sei mesi di affinamento in legno. Adattissimo alla chiusura del pasto, ottimo vino da dessert.

Valentino Butussi Via Prà di Corte 1 33040 Corno di Rosazzo UD Telefono: 0432 759194 butussi@butussi.it

Az. Agr. La Sclusa Via Strada Sant’Anna 7/2 33043 Spessa di Cividale (UD) Telefono: 0432 716259 info@lasclusa.it

Az. Agr. Cadibon Via Casali Gallo 1 33040 Corno di Rosazzo (UD) Telefono: 0432 759316 cadibon@gmail.com

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TECNOLOGIE Nuovo software ma vecchie ricette

La famiglia Busti sceglie il CSB-System per il nuovo caseificio

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LESSANDRO e REMO BUSTI, pastori originari dell’Alta Garfagnana, iniziarono la loro attività di caseificazione nell’ottobre del 1955, a pochissima distanza dall’attuale sito produttivo di Acciaiolo di Fauglia, antico borgo ricco di storia e tradizioni situato sulle colline pisane. Oggi STEFANO BUSTI, erede di questa preziosa tradizione, insieme ai figli MARCO e BENEDETTA, conduce l’azienda di famiglia ed è personalmente coinvolto nella pro-

duzione e nel controllo qualitativo dei prodotti “fatti ancora oggi con gli stessi criteri di allora” come ama spesso ripetere. La selezione del latte ed i metodi di lavorazione sono invariati da decenni, così come le produzioni tradizionali e a latte crudo, la salatura a secco effettuata impiegando esclusivamente sale proveniente dalle vicine saline di Volterra, la formatura manuale di alcuni formaggi particolari, il trattamento in crosta con prodotti naturali

come l’olio extravergine d’oliva, il concentrato di pomodoro o i fondami d’olio d’oliva e la stagionatura su assi di legno di abete in ambienti sia climatizzati che naturali. E se lo stile dell’azienda pisana è riconosciuto ed apprezzato in Italia e all’estero, è grazie anche al prezioso contributo degli attuali 60 dipendenti che lavorano ogni giorno con cura e dedizione. Nel settembre 2011 è arrivata l’inaugurazione del nuovo caseificio con annesso spaccio aziendale.

Il caseificio della famiglia Busti.

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Salone delle Tecnologie per l’Industria Alimentare

25-28 OTTOBRE 2016

PARMA - ITALIA www.cibustec.it


Sala di lavorazione dei formaggi. Nuovo caseificio ma vecchie ricette Il caseificio, costruito ex-novo in armonia con il territorio circostante, si sviluppa su una superficie di circa 5.200 m2 distribuiti su due livelli. «Con il sistema in uso nel vecchio stabilimento, era diventato molto macchinoso ottemperare alle richieste di legge e reagire velocemente alle numerose richieste del commercio all’ingrosso e al dettaglio. E proprio mentre riflettevamo seriamente se investire o meno in un nuovo gestionale più potente e specifico del settore lattiero-caseario, casualmente ho incontrato i consulenti della CSBSystem durante un evento fieristico dove entrambi eravamo espositori» ricorda Stefano Busti. E continua: «dopo una chiacchierata ed una breve “demo” ho subito intuito le potenzialità e i vantaggi di un gestionale completo e integrato. Quello stesso giorno abbiamo fissato i successivi appuntamenti per analizzare i processi esistenti all’interno della mia azienda e sviluppare una soluzione individuale e su misura per l’ottimizzazione del flusso di informazioni e materiali, nonché della logistica interna ed esterna. Nel giro di un paio di settimane abbiamo definito chiaramente le componenti hardware e i moduli software necessari sia per area sia per processo ed il grado d’integrazione di tutte le periferiche lungo il flusso di materiali. È stato un lavoro impegnativo ma oggi

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posso dire che ne è valsa sicuramente la pena». Attualmente il Caseificio Busti utilizza i moduli Acquisti, Magazzino, M-ERP per la gestione di serbatoi e miscelatori, Tracciabilità, Vendite, Gestione rappresentanti, Pesoprezzatura, EDI da e verso fornitori/ clienti, Archiviazione elettronica per cliente, Contabilità generale ed analitica, centri di costo e cespiti. Il progetto include diciannove postazioni di lavoro tra uffici e stabilimento di cui quattro CSB-Rack. Controllo scrupoloso della filiera In fase di raccolta la perfetta idoneità del latte è garantita da rigidi controlli igienico-sanitari previsti dal Piano di Autocontrollo. Il modulo Acquisti del CSB-System garantisce un controllo affidabile della quantità del latte in entrata e rappresenta la base d’inserimento di tutte le informazioni riguardanti la rintracciabilità della materia prima. Il rilevamento dei dati aziendali avviene con CSB-Rack, PC industriale situato in sala polivalente, idoneo al funzionamento in ambienti umidi e freddi. «In realtà — precisa MARCO BUSTI — utilizziamo altri due Rack a muro verticali: uno al piano primo dove eseguiamo la stagionatura dei formaggi ed un altro al piano terra collegato alla linea di pesoprezzatura delle ricotte. Il piano terra del caseificio, infatti, è interamente dedicato alla produzione, preparazio-

ne e confezionamento dei formaggi e delle ricotte». Qui la linea di pesoprezzatura CSB-System, utilizzata per confezionamento ed etichettatura, è collegata al CSB-Rack. In questo modo la preparazione ordini, la pesatura e l’etichettatura diventano un unico processo operativo e si evitano doppie gestioni dei dati pur integrando tutte le esigenze di una rintracciabilità completa e trasparente. Questi dati inoltre sono trasmessi in tempo reale e direttamente al gestionale. «Il piano primo è destinato, invece, alla stagionatura dei formaggi in celle frigorifere a temperature ed umidità controllate. Qui — precisa Marco Busti — vi è posizionato, come ho già detto, un CSB-Rack verticale, con il quale registriamo il peso in ingresso e uscita dei formaggi dalle stagionature, monitorando così i cali peso dei prodotti. L’ausilio dei moderni impianti di processo e il forte investimento sull’innovativo sistema di climatizzazione dello stabilimento, in sinergia con la consolidata tradizionalità delle produzioni, contribuiscono a migliorare giorno dopo giorno la qualità dei nostri formaggi». “I Formaggi della Famiglia Busti” è il marchio distintivo dei prodotti del Caseificio Busti che ne garantisce l’autenticità e l’origine; e come per le tante realtà aziendali sane del panorama italiano, anche qui l’etichetta è uno strumento di comunicazione con il consumatore oltre che d’informazione. «Etichettiamo fino a 4.000 prodotti al giorno» interviene Benedetta Busti. «Le nostre etichette sono stampate secondo gli standard EAN 128 e nel rispetto delle normative anche più recenti. Il CSBSystem ci consente di personalizzare liberamente loghi e layout, per rispondere velocemente alle esigenze della nostra vasta clientela». Gestione Serbatoi con M-ERP del CSB-System Il Caseificio Busti produce diverse tipologie di formaggio con latte ovino selezionato proveniente da zone toscane rinomate per l’eccellente qualità del latte. Per quanto riguarda le produzioni più particolari, il latte viene raccolto direttamente dagli automezzi aziendali. Le peculiari

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emesse, tutte le fatture vengono spedite in automatico via e-mail al cliente tramite CSB-System».

caratteristiche chimico-fisiche e l’alto standard igienico delle stalle conferenti permettono di utilizzare questo pregiatissimo latte anche per le lavorazioni a “latte crudo”. La preparazione della materia prima per la produzione, ovvero la miscelazione e movimentazione del latte avviene in maniera molto intuitiva con funzionalità M-ERP messa a disposizione dal CSB-System. Il sistema, attraverso un’interfaccia grafica utente, propone una lista delle componenti latte utilizzabili con la disponibilità in litri. Di default viene proposta la quantità in litri massima lavorabile e tale quantità può essere modificata. Per ogni lavorazione viene creato un lotto che, se confermato, registra lo scarico dal centro di costo del “conferimento” e successivamente anche dal “serbatoio”. Nelle fasi di lavorazione che seguono, il lotto viene modificato univocamente sia che si scelga di mantenere il lotto d’origine sia che si decida di modificarlo per una nuova lavorazione. Gestione veloce e puntuale delle Vendite con il CSB-System La gestione integrata dell’inserimento a sistema dei listini al pubblico personalizzati garantisce massima flessibilità nella gestione di offerte e promozioni ed evita i doppi inserimenti. La gestione degli agenti/ rappresentanti con statistiche sulla scontistica per rappresentanti, buoni/ premi di fine anno e calcolo automatico delle provvigioni avviene anche tramite CSB-System. «Le fatture di vendita — precisa Benedetta — le emettiamo ovviamente nel rispetto dell’art. 62. Vale a dire che se riceviamo un ordine misto da un cliente, il sistema automaticamente emette due fatture, una a 30 giorni per i prodotti freschi deperibili ed una a 60 giorni per i prodotti stagionati. Una volta

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Le certificazioni Con la start-up del nuovo stabilimento l’Ufficio Qualità ha ottenuto le principali certificazioni conosciute in ambito alimentare. Il Sistema di Rintracciabilità di Filiera conforme alla norma ISO 22005:2008 è seguito con il Sistema Informativo Lotti del CSB-System. Successivamente è stata ottenuta la conformità alla norma ISO 9001:2008 “Sistemi di gestione per la qualità” e, in un’ottica di continuo miglioramento e con una sempre maggiore attenzione al mercato estero, il Caseificio Busti è risultato conforme anche ai requisiti del Global Standard For Food Safety ottenendo la prestigiosa certificazione BRC. Archiviazione elettronica con il CSB-System Qualsiasi documento di fornitura, sia esso una conferma d’ordine, una bolla o una fattura, è archiviato elettronicamente nel CSB-System. Lo stesso dicasi per i documenti interni (quali lettere aziendali, bilanci, ecc…) ed esterni (si pensi ad una fattura, un sollecito e così via). «Non sono necessarie interfacce costose ed impegnative perché l’archiviazione avviene direttamente in ogni processo applicativo e contemporaneamente vengono protocollate tutte le fasi di archiviazione. Il vantaggio immediato è stato l’ottimizzazione della comunicazione aziendale. Sul lungo periodo abbiamo riscontrato anche una riduzione dei costi di amministrazione e maggiore spazio negli uffici» dice Marco Busti. Maggiore sicurezza con l’EDI Grazie all’EDI integrato nel CSBSystem, l’azienda toscana gestisce in tempo reale il complesso scambio dati con la GDO con invio automatico di bolle e fatture secondo i tracciati definiti dal partner commerciale. «Così — spiega Marco Busti — abbiamo eliminato doppi inserimenti, facilitato il nostro lavoro e ridotto le possibilità di errore. Tutto a vantaggio della nostra immagine aziendale».

Contabilità con il CSB-System «Sin da subito abbiamo implementato la Contabilità del CSB-System per sfruttare a pieno i vantaggi di un software integrato ed evitare doppi inserimenti delle stesse informazioni» continua Stefano Busti. La Contabilità spazia dagli indici di bilancio al collegamento con l’home banking, fino alla misurazione della redditività per centri di costo, liberamente definibili. Sfide per il futuro «Nell’ultimo anno — prosegue Stefano Busti — abbiamo investito in una nuova produzione a latte di capra, vera novità ed innovazione nella tradizione casearia toscana, storicamente vocata alla trasformazione del latte ovino. Anche qui la seconda linea di peso-prezzatura per i formaggi viene gestita dal CSBSystem». Con un continuo rinnovamento da un lato e il rispetto della tradizione dall’altro, il Caseificio Busti guarda al futuro portando avanti crescita della produttività, ma mantenendo inalterato il livello qualitativo dei suoi prodotti. «Noi abbiamo sempre investito su gusto, qualità e servizio, senza perdere di vista l’innovazione del prodotto, le tendenze del mercato e la scelta dei partner giusti, come la CSB-System Srl. Valori che ci permettono di raggiungere traguardi importanti» conclude Stefano Busti.

Referente Italia: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

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STORIA E CULTURA Antiche tradizioni delle campagne modenesi

Il gnocco sotto la brace e la strìa fra le fiamme di Nunzia Manicardi

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rima di iniziare sgombriamo subito il campo da quel pretenzioso “lo gnocco” e abbracciamo con slancio e affetto “il gnocco”, prodotto gastronomico che è simbolo distintivo di Modena e del suo territorio, soprattutto di pianura. Perché la grammatica (che, per motivi eufonici, vorrebbe l’articolo determinativo “lo” davanti al digramma “gn”) cede di fronte alla tradizione che proclama invece, senza tentennamenti di sorta, l’articolo “il”; e qui stiamo parlando della tradizione più antica, quella che al cibo

abbinava anche significati profondi e perfino mitici. Per questo a Modena si dice “il”… perché se fosse “lo” non sarebbe più gnocco! Ma, prima di passare al gnocco vero e proprio, vediamo che cosa succedeva nelle campagne modenesi quando si procedeva all’infornata del pane. La strìa Prima dell’infornata del pane veniva gettata tra le fiamme la strìa. Le rezdóre (“reggitrici” di casa, massaie) dividevano un po’ d’impasto, lo mescolavano allo strutto (ma

soltanto in superficie e con l’aggiunta di sale grosso tritato, facendovi rotolare sopra un bicchiere di vetro) e ne ricavavano una sfoglia molto sottile da cui a sua volta ricavavano la strìa. Essa era un figurina che veniva gettata nel forno con funzione apotropaica, cioè come scongiuro, come esorcismo contro forze potenti e sconosciute che avrebbero potuto danneggiare la cottura. Il rito della strìa propiziava così una buona e abbondante infornata. La figurina, rinsecchita e ulteriormente cosparsa di sale grosso (che, come il fuoco,

Gnocco fritto in padella (photo © www.comune.modena.it).

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era ritenuto un elemento purificatore), veniva poi data da mangiare ai bambini che l’attendevano con impazienza. Non di rado presentava tracce nerastre di cenere, che sottolineavano l’aspetto pauroso della “strega”, peraltro così buona… da essere divorata all’istante! Da questa consuetudine antica, inevitabilmente ormai scomparsa da parecchio tempo, è derivato quel gnocco biancastro e sottile, ben croccante tanto che si sfalda in scaglie, che — proprio per le caratteristiche dell’impasto — conserva ancora l’originario nome di strìa e sul quale continuano a splendere, come autentici diamanti, grossi cristalli di sale il cui significato si è perduto tra le fiamme del forno a legna. Il mel dal simiòt La fede nella potenza benefica e rigeneratrice del fuoco, custodito nell’altare pagano del forno, era così grande che nel forno, seppur tiepido, ci finivano perfino i bambini quando erano affetti dal cosiddetto mal dal simiòt (“male dello scimmiotto”), malattia dei lattanti provocata da

carenze alimentari e nota con il nome scientifico di “atrepsia”. Secondo un complesso rituale documentato soprattutto per la zona di Carpi, che in epoche successive avrebbe acquistato caratteri di superstizione e di sincretismo religioso, il bambino veniva appoggiato sulla pala, introdotto nel forno ed estratto dopo aver pronunciato tre volte un’apposita formula rituale. Questo succedeva perché allora era davvero tanta l’ingenua credenza nelle forze della natura, in quelle forze che l’uomo a quei tempi non cercava di dominare o deviare ma soltanto di circoscrivere, così come faceva con il fuoco nel sacro recinto del camino, che ancora oggi, ad esempio a Finale Emilia, si chiama l’arola (diminutivo dal latino “ara” = altare). Il “gnocco sotto la brace” Era invece dentro il camino, in un angolo pulito dalla fuliggine, che il gnocco (sempre ricavato dall’impasto del pane) veniva preparato nel modo più semplice e antico, quasi senza condimento, anche per conservarlo più a lungo. Veniva adagiato ricoperto

Gnocco fritto alla modenese Ingredienti • 1 kg di farina di frumento tipo 00 • 70 g di strutto di maiale • 40 ml di acqua gassata • sale q.b. Esecuzione Dopo aver impastato il tutto, la pasta viene messa in un recipiente avvolta in un canovaccio e ogni 20-30 minuti bisogna rimpastarla e muoverla, facendo sì che avvenga una sorta di lievitazione naturale grazie alla pressione dell’acqua gassata che sostituisce il lievito. Poi la pasta viene ridotta in una sfoglia alta pochi millimetri (da circa 2 a 6) e tagliata in rombi o a rettangoli di circa 10-15 cm di lato, oppure in tondi di diametro di circa 25 cm, che vengono fritti secondo la tradizione in abbondante strutto di maiale bollente. Lo strutto di maiale ha un punto di fumo molto alto (ca. 230 °C). Le moderne norme di sicurezza imposte a bar, ristoranti, mense e comunità rendono tuttavia difficile reperire in commercio friggitrici che superino la temperatura di 190 °C. Dovendo calare la temperatura di frittura, almeno negli ambienti industriali e della ristorazione, si è costretti a usare vari oli al posto dello strutto, che alla temperatura di 190 °C lascerebbe la pietanza eccessivamente unta. Si ricorre quindi all’utilizzo di olio di semi o di palma, frazionato o bifrazionato a una temperatura di frittura che può variare fra i 180 °C e i 188 °C in relazione allo spessore della pasta da friggere. La pasta viene quindi fritta (normalmente circa un minuto per lato) e si gonfia formando delle bolle sulla superficie oppure una “pancia” nel caso di gnocco fritto di piccole dimensioni. (Fonte: Wikipedia)

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“Il gnocco fritto modenese viene proposto quasi sempre coi salumi tipici locali, specialmente salame e prosciutto. È un abbinamento moderno perché un tempo la miseria impediva che questi prodotti gastronomici fossero alla portata di tutti”

di strati di cenere calda e pezzetti di brace (preceduti, in epoca più recente, da un foglio di carta gialla inumidita) e spolverato con un burazzo. Queste informazioni mi sono state fornite circa vent’anni fa dai signori ORESTE BALLESTRAZZI, MARIO MONDADORI e CELSO MALAGUTI, tutti e tre di Finale Emilia. La tradizione del “gnocco sotto la brace”, del tutto perduta, sopravvive soltanto nell’intimità di qualche famiglia di origine contadina particolarmente desiderosa di mantenere vivi i legami con il passato. Il “gnocco ingrassato” Il gnocco poteva anche presentarsi in versione più nutriente, per cui prendeva il nome di “gnocco ingrassato”, sopravvissuto fino ad oggi anche se la parola “ingrassato” suscita apprensione in chi è attento a una corretta dieta alimentare. Ma, anche se si chiamava “ingrassato” per via dell’inserimento di un po’ di pancetta o di ritagli di risulta del prosciutto, apparteneva pur sempre alle tradizioni delle famiglie più povere, dove si era soliti panificare una volta alla settimana. Quando si procedeva alla lavorazione del pane fatto in casa se ne teneva un po’ da parte e si procedeva ingrassandolo con la parte di magro di rifilato del prosciutto o con un po’ di pancetta o, nelle epoche passate, con qualsiasi scarto della lavorazione del maiale. Nelle ricette più antiche della Bassa modenese veniva usato il brodo di cottura dello zampone (ma,

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in questo caso, si trattava di tavole ricche!). Pane e gnocco venivano poi conservati nella madia anche per tutta la settimana, fino a quando la scorta non si esauriva. Il gnocco così cotto favoriva anche il senso di comunanza e la socializzazione, poiché non di rado capitava che varie famiglie, soprattutto nelle zone urbane e suburbane dove si viveva più a stretto contatto, si radunassero tutte intorno a un unico focolare e che utilizzassero un unico forno. Il “gnocco fritto” con l’umbréghel Il gnocco fritto (gnòc frét) di un tempo era una specie di frittella tirata con il matterello (canèla), grande come la padella, alta circa mezzo centimetro, con un foro centrale (umbréghel = ombelico) segnato con l’indice della mano per agevolare l’uniformità della cottura e lo scorrimento dell’unto (informazioni ricevute, sempre una ventina d’anni fa, dalle signore GRA-

ZIELLA CAVALLINI, la cui madre era originaria di San Prospero, e BRUNETTA CORRADINI, originaria dei dintorni di Modena, nonché confermata dai signori Ballestrazzi e Malaguti di Finale Emilia citati in precedenza). Era fritto nello strutto e poi tagliato a fette o ripiegato in un foglio di carta gialla. Questo tipo di gnocco è ormai quasi totalmente scomparso (ma approfitto dell’occasione per suggerirne la riproposta sia in pubblico che in privato).

Il “gnocco fritto” o “crescenta” fino ai nostri giorni Quello che è rimasto e si è ulteriormente diffuso è invece il gnocco fritto tagliato a rombi di circa 10 centimetri per lato e 2-3 millimetri di spessore, nel quale oggi identifichiamo il gnocco fritto per antonomasia. Quest’ultima varietà, anch’essa fritta nello strutto, prendeva in alcune zone il nome di “crescenta” (chersèinta, dal lat. “cresco crescis, crevi,

Mr. Max, gnocco fritto on the road Massimo Cuoghi, emiliano nel sangue, modenese nel cuore, è un oste modenese alfiere dello street food per eccellenza della sua città. Mr. Max gira l’Italia con il suo furgone portando “il” gnocco fritto con: Culatello di Parma DOP o Mortadella di Bologna IGP, salsa di cipolla di Tropea e Aceto Balsamico di Modena o Coppa di Parma o Marmellata di Amarene IGP di Modena. Propone 4 menù perché, come dice lui stesso, «bisogna ridimensionare la visione globale della vita: fare quello che più piace con entusiasmo, coraggio e pazzia» (fonte: www.infoodwetruck.net; photo © www.streeatfoodtruckfestival.com).

cretum, crescere”) proprio perché si presentava gonfia e quasi croccante, mentre la varietà precedente restava morbida, più bassa e più compatta. In entrambi i casi spariva il legame diretto con il maiale, che non finiva più all’interno dell’impasto, come nel caso del gnocco ingrassato, ma rimaneva soltanto all’esterno, come strutto per la cottura. Il gnocco fritto che mangiamo oggi sembra essere una sintesi perfetta tra il gnocco fritto di un tempo, di cui ha conservato l’impasto, e il gnocco al forno (o ingrassato), dalle cui incisioni a losanghe sulla superficie — attualmente sparite — è probabilmente derivata l’attuale forma romboidale “monoporzione”. Oggi però lo strutto è spesso sostituito con l’olio e il connubio con il maiale, grazie alla nuova ricchezza, si ripropone sotto forma di companatico. L’abbinamento con i salumi Il gnocco fritto viene infatti proposto quasi sempre, soprattutto nei ristoranti, in abbinamento con i salumi tipici locali, specialmente salame e prosciutto. È un abbinamento anch’esso moderno perché un tempo la miseria impediva che questi prodotti gastronomici fossero alla portata di tutti. Pure l’impasto presenta delle variazioni, dato che alla pasta di pane spesso si aggiunge olio o acqua minerale frizzante o bicarbonato o un goccio di latte o perfino birra. È scomparsa la funzione socio-nutritiva Ma soprattutto è scomparsa la funzione socio-nutritiva del gnocco fritto, legata a quei pesanti lavori agricoli, come la mietitura e la trebbiatura, che richiedevano tanto dispendio di energia muscolare senza il sostegno di un’adeguata alimentazione. Il gnocco, in qualche modo, compensava quello che non era possibile introdurre in pancia attraverso altri cibi più adeguati. Di quel sudore è rimasta qualche traccia, in cui però, come nel caso del gnocco fritto, crediamo di ravvisare ricordi di improbabili feste campestri piuttosto che la testimonianza di un’atavica fatica sulla quale varrebbe la pena di meditare. Nunzia Manicardi

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Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


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