Premiata Salumeria Italiana 3-2017

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXIX N. 3 Maggio-Giugno 2017

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N. 3 Anno XXIX Maggio-Giugno 2017

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Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988 Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Renato Bergonzini – Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Redazione New York Stefano Spadoni 1732 1st Ave #27220 – New York, NY 10128 Tel. 001 212 956-8566 E-mail: Stefanony@stefanospadoni.com Consulenti scientifici Prof. Giovanni Ballarini (Parma) – Prof. Fausto Cantarelli (Parma) – Prof. Carlo Cantoni (Milano) – Prof. Giuseppe Caserio (Milano) – Prof. Giorgio Catellani (Napoli) – Prof. Eugenio Del Toma (Roma) – Dr. Emanuele Guidi (Modena) – Prof. Riccardo Monacelli (Roma) – Dr. Alfonso Piscopo – Piero Pittaro (Udine) – Prof. Andrea Strata (Parma) – Angelo Valentini (Perugia) Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.

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N. 3

In questo numero: Agenda

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Immagini

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Tendenze

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Legislazione

Nuova sicurezza alimentare USA e industrie salumiere italiane

Giovanni Ballarini

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Attualità

Il semaforo della discordia

Sebastiano Corona

18

Aspettando FICO!

Massimiliano Rella

22

Il food in rete

Social food

Elena Benedetti

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Aziende

Aceto Balsamico del Duca nell’Unione Imprese Storiche

Interviste

Il Chiaramontano: salvare una razza con una mortadella

Indagini

Meno grassi, sale e additivi nei salumi italiani Dop e Igp Valore o prezzo?

28 Gaia Borghi

32 38

Fabio Del Bravo et al. 42

La qualità

Finocchiona mon amour

Prodotti tipici

Mortara e il suo salame d’oca Igp: bontà di Lomellina

Roberto Villa

48

Stoccafisso e farine “vive” in un mulino d’altri tempi

Massimiliano Rella

52

Pezzente, cultura lucana da mangiare

Giorgio Montanari

54

Week-end

Il ciavàr o salsiccia matta di Senigallia

Josette Baverez Blanco 56

Sapori dal mondo

Il segreto della tsamarella è il caldo sole di Cipro

Massimiliano Rella

58

Analisi del food

Chiocciole, proprietà e usi in cucina

Giovanni Ballarini

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46

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Nutrizione

Sale negli alimenti: ancora troppo alto ma qualcosa si muove

Rassegne

Salumi da Re nella corte del Culatello di Zibello

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Fiere

A Parma una due giorni all’insegna dell’efficienza e del business internazionale

78

Grande, bella e ricca: la Milano World Food Exhibition parla col mondo

86

Formaggio

Parmigiano Reggiano: unico e diverso

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Vino

Sapore di lava

Riccardo Lagorio

100

Moscato di Saracena, vino non vino

Massimiliano Rella

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Roberto Villa

Cantina della Volta: il Metodo Classico nobilita il Lambrusco di Sorbara

70

108

50 anni + 1

Laura Franchini

110

Assaggi, compleanni e novità

Massimiliano Rella

114

I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: un calice per ogni bruschetta

Laura Franchini

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Tecnologie

A Moduli verso la Smart Food Factory

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Libri

Il piacere della tavola

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Bologna ombelico di tutto

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Speciale Vinitaly

In copertina: Coppa piacentina Dop in versione stilosa (photo © Massimiliano Rella).

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AGENDA Milano Joe Bastianich arriva a teatro con Vino Veritas, dieci appuntamenti esclusivi di scena al Franco Parenti di Milano ogni lunedì a partire dal 22 maggio. Vino Veritas è uno spettacolo ideato da Joe che unisce due delle sue più grandi passioni, il vino e la musica, alla capacità di mettere in scena la sua sincerità: per un’ora e mezza, spaziando tra parole e momenti musicali, Bastianich si apre al pubblico con aneddoti personali, mettendosi a nudo come soltanto mentre si sorseggia un buon bicchiere di vino e in compagnia di amici si può fare. I biglietti sono disponibili sul sito del teatro (www.teatrofrancoparenti.it) al prezzo di 25 euro. Ogni ingresso include un calice di vino personalizzato e una degustazione di quattro vini della cantina Bastianich (photo © Angelo Trani). www.joebastianich.com

Bergamo L’edizione 2017 del Food Film Fest, il festival internazionale cinematografico dedicato al mondo del cibo, si svolgerà a Bergamo da martedì 13 a sabato 17 giugno in tre location: Piazza Dante, Quadriportico del Sentierone, Domus Bergamo e il cortile della Camera di Commercio di Bergamo. L’evento, alla sua quarta edizione, vuole diffondere una cultura dell’alimentazione consapevole attraverso un concorso cinematografico internazionale che raccoglie centinaia di film da tutto il mondo (fiction, documentari e film d’animazione) legati al tema del gusto, dell’arte culinaria, della corretta nutrizione e della produzione di cibo, della biodiversità e della memoria gastronomica come patrimonio collettivo da preservare. Sono 60 le nazioni in gara, con oltre 300 film di qualità. Ad arricchire il festival anche una serie di appuntamenti tra degustazioni, dibattiti ed incontri con personalità del mondo del cinema e del food. In foto uno scatto dell’edizione 2016 del festival, durante la quale ci si è soffermati sul racconto dei magnifici pranzi della famiglia borghese salentina nella pellicola Mine vaganti di Ferzan Özpetek (photo © foodfilmfestbergamo.com). www.foodfilmfestbergamo.com

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San Daniele (UD) Il Consorzio del Prosciutto di San Daniele ha rinnovato l’appuntamento con Aria di San Daniele, la storica festa dedicata all’eccellenza friulana, giunta quest’anno alla sua 33ª edizione, che si terrà dal 23 al 25 giugno a San Daniele del Friuli (UD). In realtà Aria di Festa non sarà solo manifestazione del comune friulano da sempre vocato alla produzione del suo prosciutto crudo bensì una vera e propria kermesse enogastronomica itinerante che viaggerà da Nord a Sud dell’Italia, da maggio a ottobre, per portare l’atmosfera di San Daniele in tutta la Penisola. Numerose quindi le tappe partendo da Milano e a seguire Verona, Firenze, Roma e Bari. www.ariadisandaniele.it

Barolo (CN) Il Festival agri-rock di letteratura e musica Collisioni si svolgerà quest’anno dal 14 al 27 luglio a Barolo, mecca del vino italiano, nel magnifico paesaggio delle Langhe piemontesi, patrimonio UNESCO, palcoscenico naturale per ospitare nelle sue piazze musica, incontri, dialoghi con premi Nobel per la letteratura, star della musica italiana e internazionale, registi di fama mondiale. Qualche anticipazione sul fronte musicale? Patty Smith, Robbie Williams, Carmen Consoli e i Placebo! www.collisioni.it

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IMMAGINI

Nel paese di Statos-Agios Fotis, sui monti di Pafos, a Cipro, il macellaio e norcino Evangelous Alexandru produce artigianalmente da 50 anni salumi locali come la salsiccia lukanica e la lountza, che è simile alla nostra lonza stagionata, marinata però in vino rosso e leggermente affumicata. Tuttavia, il prodotto più importante del signor Alexandru e della salumeria cipriota in genere è la tsamarella, specialità che è anche presidio Slow Food. Lo conoscevate? Ce ne parla Massimiliano Rella a pagina 58 (photo © Massimiliano Rella).

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TENDENZE

Leggero, della tradizione, delicato (ma non troppo) e salato

Questo sarebbe il piatto vincente del 2017, almeno secondo quanto emerso dalla ricerca “Dal ristorante alla Rete. Le tendenze del food di domani” promossa dal salone milanese Tuttofood e condotta recentemente da Ipsos su un campione di oltre 800 soggetti tra i 18 e i 65 anni rappresentativi della popolazione italiana per genere, età, istruzione e zona geografica. La leggerezza è preferita dal 71% degli intervistati rispetto al gusto “senza compromessi”, che ha però un’accentuazione tra le classi sociali medio-alte. La riscoperta delle origini è indicata dal 58% rispetto all’innovazione, anche se i Millennials preferiscono quest’ultima (62%). Delicatezza e piccantezza sono in maggiore equilibrio, con una lieve preferenza per la prima (52% rispetto a 48%). La delicatezza è preferita da donne e 50-64enni, mentre i gusti decisi sono appannaggio di uomini e Millennials. Infine il salato (70%), rispetto al dolce, mette d’accordo tutte le categorie. Continua anche a crescere la voglia di mangiare fuori casa, soprattutto tra gli abitanti del Nord-ovest, i laureati e i lavoratori: oggi il 40% degli intervistati pranza o cena fuori almeno una volta a settimana contro il 31 e 30% rispettivamente nel 2015. Due i concorrenti importanti della ristorazione, street food e on-line delivery: il 57% li ritiene possibili sostituti. L’online sembra vivere davvero un momento di svolta: nel 2016, 790.000 Italiani hanno acquistato prodotti alimentari sul web e il 73% degli intervistati ritiene che nel 2017 l’acquisto alimentare on-line potrebbe far concorrenza ai negozi premium. Il 23% pensa che la spesa alimentare quotidiana sarà una delle sue attività on-line più frequenti nei prossimi 2-3 anni, mentre il 13% sfrutterà internet per acquistare prodotti pronti. L’acquisto on-line è infatti associato principalmente a prodotti difficili da reperire (36%) e alla comodità (31%). (Fonte: Ipsos)

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LEGISLAZIONE

Nuova sicurezza alimentare USA e industrie salumiere italiane La nuova normativa americana sulla sicurezza alimentare influenzerà anche le industrie alimentari italiane, non ultime quelle dei salumi di Giovanni Ballarini

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egli Stati Uniti d’America, all’inizio del secolo, si stimava che ogni anno, su una popolazione di circa 325 milioni di persone, a causa di infezioni e intossicazioni alimentari vi fossero 350.000 casi di malattie gravi con ricovero ospedaliero, 76 milioni di casi di malattie intestinali e 5.000 morti (OMS-WHO, Food Safety and Foodborne Illness, Fact Sheet n. 237, Rev. Sept. 2000). Nell’ambito delle foodborne diseases (malattie di origine alimentare), limitatamente alla produzione avicola, sempre negli

USA, si stima che le infezioni trasmesse attraverso le carni dei polli e le uova di gallina causassero ogni anno 5 milioni di casi di malattia e ben 4.000 morti. Queste cifre, denunciate ufficialmente dall’USDA-FSIS, devono essere sommate a quelle che riguardano gli altri alimenti di origine animale: carni suine e bovine, latte e derivati. L’incidenza generale delle foodborne diseases negli USA è veramente preoccupante; causate da Campylobacter jejuni, Clostridium perfringens, Escherichia coli O157:H7, Listeria monocytogenes, Salmonella, Staphylococcus aureus,

Toxoplasma gondii, provocano un danno che arriva ai 35 miliardi di dollari. A queste infezioni da batteri e protozoi sempre più si aggiungono quelle da virus. In Europa, riguardo alla dimensione della popolazione, si presume che vi possa essere una situazione analoga a quella degli USA. L’Italia, in rapporto alla popolazione ufficialmente residente, ogni anno dovrebbe avere, a causa di infezioni originate dal cibo, circa 70.000 casi di ospedalizzati per malattie gravi, circa 1.200 morti e dai 17 ai 18 milioni di casi di gastroenterite.

Una nuova normativa in ambito alimentare è entrata in vigore negli USA. Da valutare la ricaduta sulle imprese italiane che vogliono esportare i loro prodotti nel paese (photo © www.aifb.it).

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Nuova normativa americana Nell’Unione Europea, anche in seguito all’epidemia della cosiddetta “mucca pazza”, con il White Paper on Food Safety (Libro bianco sulla sicurezza alimentare) del 12 gennaio 2000 viene instaurato un nuovo modello per la sicurezza alimentare tramite il sistema HACCP, la tracciabilità delle derrate e altri interventi. Negli USA, dall’inizio del secolo la situazione delle malattie di origine alimentare non è molto migliorata e secondo la Food and Drug Administration (FDA) ogni anno circa 48 milioni di americani (uno su sei) hanno un’intossicazione alimentare, con 128.000 ricoveri ospedalieri e 3.000 morti. Per questo nel 2011, con il Food Safety Modernization Act (FSMA), si è iniziato a stabilire nuove regole federali di sicurezza, che ora, dopo una non facile gestazione, sono entrate in validità nel FDA Issues Guidance for Industry about Model Accreditation Standards for Third-Party Certification Bodies del 6 dicembre 2016. Si tratta della più importante innovazione legislativa alimentare degli ultimi settant’anni, con ricadute importanti sulle imprese americane e possibili rilevanti riflessi anche sulle normative degli altri paesi, senza contare il ruolo che tali norme potranno avere nella stipulazione di accordi commerciali tra USA e Unione Europea e l’impatto che la nuova normativa rifletterà sulle imprese italiane che vogliono esportare i loro prodotti negli USA. Normative americane d’interesse italiano Molte, complesse e dettagliate sono le norme (ben più di quelle a volte discusse nella UE) del Food Safety Modernization Act (FSMA), consultabile sul sito della FDA, e tre hanno un diretto impatto organizzativo ed economico sulle imprese italiane che esportano alimenti negli USA. Nella nuova normativa non solo è divenuto obbligatorio il sistema HACCP, già ben noto e applicato anche in Europa, ma, primo aspetto importante, ogni azienda produttrice di alimenti dovrà avere un Food Safety Plan, un piano globale molto dettagliato di prevenzione dei pericoli per il consumatore, basato sulle misure di accertamento relativamente ad ogni singolo ingrediente e ad ogni singolo

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pericolo che potrebbe manifestarsi in ognuno degli ingredienti. Un secondo aspetto riguarda l’obbligo per ogni azienda di avere un Preventive Controls Qualified Individual (PCQI), una persona con alle spalle un corso di formazione specifica approvata ufficialmente dalla FDA o una lunga e provata competenza che lo renda idoneo a intrattenere i rapporti con l’ispettore (di cui il terzo aspetto); si tratta in pratica del responsabile unico qualificato della sicurezza dell’azienda. Non è ancora chiaro se debba essere un dipendente o un consulente esterno dell’azienda; in ogni caso egli occuperà una posizione particolarmente delicata, in quanto dovrà essere a conoscenza dei know how aziendali e tutto quanto avviene in essa. Il terzo aspetto è l’introduzione della figura dell’ispettore della FDA, che dovrà essere presente in tutte le aziende che esportano negli USA, metà delle quali avranno tempo per mettersi in regola entro il 2018; le altre dovranno farlo entro il 2021. Tutto questo comporterà una vasta assunzione di personale addestrato alle nuove e importanti funzioni. L’ispettore non solo visiterà le singole aziende, ma le valuterà nel loro complesso, esaminerà il piano di prevenzione dei pericoli e il livello di formazione del personale addetto, colloquiando esclusivamente in inglese con il Preventive Controls Qualified Individual (PCQ) sopra citato. L’ispettore, nel caso di non conformità risolvibili con l’invio di foto o di filmati, potrà ritornare per una seconda visita. La prima visita sarà gratuita, la seconda invece comporterà una spesa oraria di $ 285 calcolati dalla partenza al rientro negli USA (per un viaggio di 3 o 5 giorni si va dai 20.500 ai $ 34.200). Al di là dei costi, è importante rilevare che l’ispettore potrà: • sospendere all’azienda l’autorizzazione all’invio degli alimenti nelle dogane degli USA; • non riconoscere o evocare la qualifica del Preventive Controls Qualified Individual (PCQ), soprattutto in caso di documentazioni false o artificiosamente preparate e presentate. Il Food Safety Modernization Act degli Stati Uniti comprende una serie di interventi non ancora esattamente definiti, tuttavia permette alcune considerazioni. La prima è che il quadro

Si tratta della più importante innovazione legislativa alimentare degli ultimi 70 anni, con ricadute importanti sulle imprese americane e possibili rilevanti riflessi anche sulle normative degli altri paesi, senza contare il ruolo che tali norme potranno avere nella stipulazione di accordi commerciali tra USA e Unione Europea

normativo americano costituisce un modello di confronto per le altre nazioni che concorrono nel mercato mondiale degli alimenti. Così l’Unione Europea, che dagli USA importa rilevanti quantità di commodity (mais, soia e frumento), potrebbe richiedere controlli e garanzie analoghi a quelli americani. Ci si può anche chiedere se in un futuro il Regno Unito, uscito dalla UE, sceglierà il modello UE o quello USA. Quali influenze sulle aziende italiane? Una seconda considerazione riguarda l’impatto della nuova normativa sulle esportazioni alimentari italiane di qualità, dai vini ai prodotti DOP quali Parmigiano Reggiano e prosciutto di Parma. I grandi complessi produttivi non dovrebbero avere rilevanti problemi organizzativi ed economici, mentre i piccoli produttori potrebbero vantare la possibilità di esportare negli USA i loro prodotti di prestigio. Sarà poi da vedere come verranno applicate le sanzioni in caso di introduzioni illegali o clandestine di piccole quantità di alimenti, come quelle che possono essere riposte nei bagagli dei passeggeri o che possono essere spedite per posta, per non trovarsi in situazioni analoghe a quella della famosa mortadella del film di Mario Monicelli con la bellissima Sofia Loren. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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ATTUALITÀ

Il semaforo della discordia Tornano alla carica i sostenitori dei colori nelle confezioni dei prodotti, utili ad identificare la natura dei cibi. Uno strumento dalle finalità apparentemente nobili che, nella sua applicazione, sta incontrando invece un coro di no di Sebastiano Corona

L

e etichette sono oggi sempre più complete e ricche di informazioni utili se non necessarie al consumatore. Peccato che una loro corretta lettura non sia così facile, né scontata. Certe volte è difficoltoso, anche per gli addetti ai lavori, interpretarne alcuni elementi

fondamentali. Chissà se l’intento di chi ha ideato l’etichettatura a semaforo era — almeno inizialmente — quello di renderci la vita più facile davanti allo scaffale. Chissà se anche questa idea, che oggi appare ai più discutibile, sia in realtà nata un giorno con intenti nobili e condivisibili.

A primo impatto, un sistema di tale immediatezza potrebbe sembrare la soluzione giusta per guidare il consumatore verso il prodotto più sano e genuino. Con soli tre colori, rosso, giallo e verde, infatti, sarebbe teoricamente facilissimo, secondo i britannici, stabilire se un certo alimento sia consigliabile o meno per

L’etichetta a semaforo è un sistema in uso nel Regno Unito per segnalare i possibili impatti sulla salute dall’assunzione di alcuni cibi. Questo tipo di etichettatura, però, non solo non aiuterebbe minimamente il consumatore in sede d’acquisto, ma lo indurrebbe in errore, tanto più che i valori espressi sono calcolati su una base di 100 grammi di prodotto e non per singola porzione (photo © anetlanda – Fotolia).

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SPECIALISTI NELLA SANIFICAZIONE AGROALIMENTARE

Tanti fanno pulizie industriali.

L’etichetta a semaforo prevede uno speciale bollino sulle confezioni con le tipiche colorazioni della segnaletica luminosa stradale: rosso per gli alimenti pericolosi, giallo per quelli da assumere con moderazione e verde, naturalmente, per quelli che non rappresentano alcun rischio (photo © www.foodandtec.com). mantenersi in salute. È stata la Gran Bretagna, infatti, a proporre questo strumento per la prima volta nel 2013. Strumento che oggi è molto gradito ad alcune importanti multinazionali e non sembra dispiacere a Bruxelles, come invece era accaduto a suo tempo. I colori — che in questa nuova versione, nel caso, passerebbero da 3 a 5 — dovrebbero fare sintesi dei contenuti di grassi, sale, acidi e zucchero, ma il timore è che, in questo modo, cibi notoriamente nocivi acquistino improvvisamente il titolo di alimento naturale, mentre altri, contenenti importanti sostanze per il nostro benessere, vengano bollati come dannosi. A mostrare preoccupazione sono soprattutto i Paesi della dieta mediterranea, Italia in testa. E a destare sospetti sulla reale bontà del metodo c’è il fatto che diverse multinazionali, le più grandi del pianeta, abbiano accolto con entusiasmo la nuova prospettiva. Per fare un esempio di immediata comprensione, le bibite gassate senza zucchero, concentrati di prodotti chimici, avrebbero pieno titolo per acquisire il bollino verde, mentre l’olio extravergine d’oliva o un buon salume rischierebbero il semaforo rosso per valori di grasso in un caso e sale nell’altro. Per essere ancora più espliciti, nel confronto tra due bevande, una frizzante sugar free e un succo di frutta, sarebbe

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solo la prima ad apparire negli scaffali con bollino verde. Quella proposta dei cugini inglesi, che appariva ormai accantonata, è oggi all’ordine del giorno in sede europea. C’è però in atto una levata di scudi trasversale, guidata dall’Italia e capeggiata dal ministro Martina. Un’indignazione diffusa che per una volta, nel nostro Paese, mette d’accordo tutti, agricoltura, trasformazione e persino i consumatori. Il Ministero si è attivato immediatamente scrivendo una nota a Bruxelles, a cui hanno fatto seguito le rimostranze di COLDIRETTI e, separatamente, anche di CONFINDUSTRIA, che hanno annunciato iniziative di protesta. L’etichettatura a semaforo, infatti, non solo non aiuterebbe minimamente il consumatore in sede d’acquisto, ma lo indurrebbe in errore, tanto più che i valori espressi sono calcolati su una base di 100 grammi di prodotto e non per singola porzione, generando ulteriori equivoci sull’effettivo valore nutritivo dell’alimento. Quest’ultimo aspetto sarebbe l’unico a cui l’Unione Europea sembra al momento disposta a soprassedere. Per il resto, la direzione appare ormai presa, a dispetto delle numerosissime rimostranze, sebbene — è importante precisarlo — lo strumento diverrebbe, nel caso, ad uso volontario e non obbligatorio.

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L’etichetta a semaforo boccia i prodotti d’eccellenza italiani, come Grana Padano, prosciutto di Parma e Parmigiano Reggiano. La bocciatura si estende a quasi l’85% del made in Italy a Denominazione di Origine Protetta (photo © www.italpork.it). Che il consumatore venga tratto in errore e non comprenda esattamente che il semaforo può avere un valore relativo, e per giunta fuorviante, è cosa ampiamente dimostrata. Sono state condotte, infatti, alcune sperimentazioni in altrettanti Paesi europei e i risultati hanno provato quanto si temeva: di fronte ai colori, il consumatore si disorienta e hanno la meglio prodotti poco consoni ad una dieta sana ed equilibrata, che non abbiamo difficoltà a definire “di livello inferiore”. Anche NOMISMA, noto istituto di ricerca, ha valutato l’impatto del semaforo nel mercato britannico, in merito ad alcune tipologie di prodotti francesi e italiani e i risultati si sono mostrati disastrosi, evidenziando un calo delle vendite di alimenti tipici della dieta mediterranea. Da questo si rileva che il consumatore medio non è in grado, da solo e in presenza di uno strumento simile, di fare valutazioni in autonomia e di contestualizzare la validità dell’informazione che gli viene fornita. A gioire all’idea dell’introduzione del semaforo sono le grosse multinazionali — e non poteva essere altrimenti — che non hanno celato l’entusiasmo e anzi si stanno adoperando alacremente

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perché l’operazione veda davvero la luce. D’altronde, questo strumento non solo non è utile al consumatore, ma appare come una grandissima trovata in termini di marketing, perché getta discredito su prodotti genuini, a vantaggio di quelli di sintesi e a basso costo. In più, si sta cercando di far apparire l’operazione come un’azione meritoria alla causa della promozione del buon cibo. Le multinazionali che stanno promuovendo l’iniziativa, infatti, alcune delle quali impegnate nell’acquisto di importanti aziende che hanno fatto la storia del made in Italy, sostengono che l’attenzione sui prodotti alimentari, in questo momento storico, è massima e che lo strumento del semaforo sia un grande contributo all’informazione al consumatore. I colossi mondiali del cibo — molto del quale è cibo “spazzatura” — dichiarano che il semaforo, così concepito, possa essere una grande conquista, prima per il pubblico che per essi stessi. In più promuovono questa operazione sottolineando la necessità di uniformare le comunicazioni al consumatore tra i vari Paesi che, pur essendo in un mercato comune, hanno norme in buona parte differenti.

È in queste occasioni che emergono tutti i limiti dell’Unione Europea, così com’è oggi concepita. Un tempo Bruxelles si era mostrata perentoria nel negare questa possibilità alla Gran Bretagna, al punto che i britannici si erano visti costretti a fare appello alla Corte europea. Ma oggi si starebbe riflettendo sull’ipotesi di passare la “patata bollente” ai singoli Stati. Come altre volte accaduto, quando la situazione si fa difficile, anziché assumere una posizione chiara e dare un segnale esplicito, di reale tutela del consumatore, si demanda ai territori. Il rischio è di avere regole disomogenee in un contesto che invece meriterebbe sempre più norme comuni, visto che è comune il mercato. Questa sarebbe stata un’ottima occasione per compattare le diverse anime che albergano nel nostro Continente. Invece anche in tale frangente Bruxelles conferma che l’Unione difficilmente diventerà un unico organismo che si muove in armonia, nell’interesse di tutti. Rimarrà invece una semplice sommatoria di tante entità, contribuendo — con questa politica — ad alimentare le fila, già molto folte, degli anti-europeisti. Sebastiano Corona

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Prevista per ottobre l’apertura del grande parco agroalimentare

Aspettando FICO! di Massimiliano Rella

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prirà ad ottobre alle porte di Bologna il più grande parco agroalimentare al mondo: FICO, Fabbrica Italiana Contadina, il progetto più ambizioso di OSCAR FARINETTI, già ideatore di Eataly. “FICO” sarà un luogo di promozione delle eccellenze italiane, un luogo di formazione e didattica, di intrattenimento e ristorazione, con 45 spazi ristoro tra osterie, pizzerie, bar, caffè, ristoranti,

ma soprattutto — ed è questo a fare la differenza — un luogo di produzione del cibo. Saranno infatti 40 le “fabbriche” contadine: pasta, formaggi, salumi, carni, uova, ortaggi, frutta, pane; tutto sarà prodotto all’interno di un’area di 80.000 m2, comprensiva di ampi spazi verdi, laboratori di trasformazione, caseifici, salumifici, forni, allevamento di animali (capre, pollame, vacche, ecc…), collegata alla città con frequenti

navette e aperta al pubblico gratuitamente. Dentro quest’avveniristico parco a tema si potrà mangiare a partire da pochi euro fino a proposte gourmet decisamente più care. Un po’ fattoria, un po’ Disneyland del cibo, un po’ scuola, un po’ ipermercato Tante cose insieme per un’iniziativa unica nel suo genere che ha già acceso

Prevista per ottobre l’apertura di FICO, l’avveniristica fabbrica contadina, ultimo ambizioso progetto di Oscar Farinetti.

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i riflettori mediatici sull’Italia, su Bologna e sui nostri giacimenti agroalimentari. L’80% degli ingredienti utilizzati nei 45 punti ristoro sarà prodotto internamente a FICO, in una logica di filiera corta e km 0. Tra i ristoranti ce ne sarà anche uno interamente dedicato a servire un centro congressi da 1.000 posti. «Il nostro Paese ha ereditato un grande patrimonio agroalimentare» ha commentato Farinetti durante la presentazione

al centro congressi romano di Eataly a Roma. «Abbiamo 1.000 varietà di mele sulle 1.200 esistenti in Europa, 1.200 vitigni autoctoni, siamo al primo posto tra i desideri dei turisti mondiali ma al quinto per effettiva attrazione, dietro ad altri Paesi. C’è un problema tra quel primo e il quinto posto: il problema siamo noi. Con FICO — promette Farinetti — vogliamo farci perdonare la fortuna d’essere nati in Italia con il più grande

parco agroalimentare mai realizzato al mondo. L’obiettivo è di far arrivare ogni anno 2 milioni di turisti internazionali, mezzo milione di bambini e studenti e 1 milione dei 17 milioni di pensionati italiani». E se FICO rischia d’apparire come un luogo di spettacolarizzazione del cibo, come un non-luogo, un grande contenitore di eccellenze delle province italiane ma fisicamente accentrato nel cuore dell’Emilia, sarà in ogni caso un

L’area su cui si svilupperà FICO è di 80.000 m2.

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Parco a tema avveniristico con spazi ristoro, dalla produzione di formaggio alla tartufaia, FICO sarà soprattutto un luogo di produzione del cibo. grande attrattore per il made in Italy, anche un primo approccio verso l’agroalimentare di qualità per quella parte di pubblico meno esperta. Sarà però anche un veicolo di promozione dei territori dove nascono tradizionalmente quei prodotti delle nostre regioni? Ovvero, da questa operazione trarrà beneficio anche il turismo enogastronomico nel resto d’Italia? Oppure FICO sarà principalmente un attrattore locale-regionale? «Abbiamo fatto un accordo con l’UNESCO per promuovere i nostri 51 siti protetti, il più alto numero al mondo, uno più della Cina», ha dichiarato Farinetti. Una cosa al momento è certa: FICO darà lavoro direttamente a 700 persone e a 3.000 nell’indotto.

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Fuoco, mare, animali, terra, bottiglia e futuro Tanti i nomi che salgono sul carro di questa nuova avventura dell’imprenditore di Alba. Per la ristorazione a tema, ad esempio, il ristorante La Pasta proporrà i primi piatti della Trattoria di Amerigo (Savigno, BO); il ristorante Il Pesce vedrà ai fornelli i fratelli Raschi del ristorante Guido di Rimini; il Salumi e Formaggi-Osteria del Culatello sarà curato da Antica Ardenga (Diolo, Soragna, PR); il ristorante La Carne proporrà piatti di razze bovine come piemontese e chianina, ma anche selvaggina e cacciagione, grazie al consorzio piemontese La Granda e alla famiglia Zivieri, macellai e norcini di Monzuno (BO). La pizza napoletana sarà pre-

parata da Rossopomodoro, e così via. Inoltre, troveremo un cocktail bar che usa solo ingredienti italiani. Invece sul fronte della produzione tanti chioschi e piccole botteghe: la Porchetta di Renzini di Norcia, la Piadina di Romagna Food, il Pollo Campese. In alcune delle 40 “fabbriche” che produrranno a FICO il meglio dell’enogastronomia nazionale sarà possibile degustare autentiche specialità: la Prosciutteria di Ruliano, Mortadella World gestita dal Consorzio della Mortadella di Bologna IGP, i salumi di Nero di Calabria e Cinta senese del chiosco Il Suino Nero, gestito da Madeo (Calabria) e Savigni (Toscana). Inoltre, produzione di Pasta di Campofilone, Pastificio Gragnanese e chioschi di Parmigiano Reggiano e Grana Padano. Per tutti anche piste ciclabili interne e 6 grandi giostre multimediali educative per un percorso didattico che descrive il rapporto dell’uomo con le principali scoperte del mondo naturale: fuoco, mare, animali, terra, bottiglia e futuro. E ogni giorno 30 eventi e 50 corsi. Massimiliano Rella FICO – Eatalyworld Srl Via Paolo Canali 1 40127 Bologna Web: eatalyworld.it www.instagram.com/eatalyworld www.facebook.com/eatalyworld

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IL FOOD IN RETE

Social di Elena

1. Sei di Parma anche tu È partita la nuova campagna del PROSCIUTTO DI PARMA DOP che inaugura un diverso approccio mediatico, coinvolgendo direttamente le persone attraverso i social network. La strategia di comunicazione — ideata sempre in collaborazione con l’agenzia McCann — è stata sviluppata in piena continuità con quella dello scorso anno, che aveva evidenziato le peculiarità del Prosciutto di Parma conferendogli una identità emozionale rafforzando il legame con il territorio di provenienza e ciò che rappresenta. Il nuovo obiettivo è quello di continuare ad esaltare questo territorio, ma facendo in modo che anche altre persone si riconoscano nei valori ad esso legati; non solo a Parma, quindi, ma in tutta Italia e nel resto del mondo, perché gli stessi valori sono presenti in ogni città, in ogni famiglia. Nella foto uno scatto della comunicazione del Prosciutto di Parma DOP (photo © facebook.com/prosciuttodiparma).

2. Do Eat better Experience Due giovani imprenditori del web hanno portato sul territorio la filosofia della “condivisione delle esperienze positive”. Come? Con www.doeatbetterexperience.com, un sito web in italiano e inglese, nel quale vengono proposti veri e propri tour gastronomici, con la guida di un esperto locale, per scoprire i segreti della cucina tipica negli angoli più caratteristici del territorio. La prima fase di test è partita a Genova, ma si stanno sviluppando nuovi tour anche in altre località italiane di fascino e famose per la buona cucina, come Le Cinque Terre e la Toscana (in foto, uno scorcio dei vicoli del centro storico ligure).

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food Benedetti 3. Grana Padano: educazione nutrizionale È stato completamente rinnovato www.educazionenutrizionale. granapadano.it, il nuovo sito di EDUCAZIONE NUTRIZIONALE GRANA PADANO che vuole contribuire alla divulgazione del rapporto tra alimentazione, uno stile di vita corretto e benessere attraverso diverse sezioni: Alimentazione, Stili di Vita, Diete per Patologie, App e Diete, Area Medici. Tra le novità segnaliamo la rubrica de Il consiglio del Giorno, un memo quotidiano per adottare abitudini alimentari corrette e controllare il proprio stile di vita. Elaborati dal team dei nutrizionisti e dei medici del comitato scientifico ENGP, questi piccoli suggerimenti toccano varie tematiche: da come preparare sughi salutari con peperoncino, pistacchi o broccoli, a cosa mangiare per prevenire l’osteoporosi; dal perché noci e mandorle proteggono le cellule dall’invecchiamento a come pasta e riso integrali aiutino l’intestino; da una dieta per ipertesi a come ridurre il contenuto calorico dei pasti; e tanto altro ancora. Nella foto una carbonara condita con Grana Padano DOP (photo © instagram.com/granapadanodop).

1. Trentiner, i prodotti del Trentino a portata di clic È ben fatto e ricco di prodotti interessanti il portale di ecommerce www.trentiner.it, realizzato per creare un dialogo diretto tra i produttori della regione e i consumatori. Ampia l’offerta di prodotti enogastronomici (tra salumi, formaggi, pasta, pesce, farine,dolci e molto altro), articoli per la casa e idee regalo.

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AZIENDE

Aceto Balsamico del Duca nell’Unione Imprese Storiche L’azienda modenese festeggia il suo 125º anniversario con l’ingresso nel registro che raccoglie i brand “over 100” più operosi ed etici

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ceto Balsamico Del Duca debutta nel gotha delle imprese più antiche d’Italia, entrando a pieno titolo nel registro dell’UISI, l’Unione Imprese Storiche Italiane che riunisce i brand ultracentenari più operosi ed etici sul territorio nazionale. Non poteva arrivare regalo migliore per celebrare il 1250 compleanno dell’azienda di Spilamberto (MO) specializzata nella produzione del celebre Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP. «Siamo orgogliose di questo riconoscimento —

commentano MARIANGELA e ALESSANDRA GROSOLI — perché sancisce il valore del lavoro portato avanti sul territorio da intere generazioni, sempre all’insegna della massima qualità». Il clou delle celebrazioni è stata la realizzazione di una limited edition da 100 ml in duecento esemplari della bottiglia griffata da Giorgetto Giugiaro racchiusa in un raffinato cofanetto il cui logo aziendale è in lamina d’oro 24 carati, accompagnata da una pergamena numerata firmata da Adriano Grosoli, nipote del fondatore.

Un’eccellenza del made in Italy che continua con la quarta generazione della famiglia Nel 1891 il capostipite Adriano Grosoli apre la Premiata salumeria dove inizia la vendita di specialità alimentari, tra cui l’Aceto Balsamico. Da subito l’azienda si distingue per la qualità dei prodotti, riconosciuta già nel 1927 a Genova in occasione dell’Esposizione Internazionale, durante la quale viene conferito il Diploma di Gran Premio e Medaglia d’Oro per la speciale lavorazione di prodotti tradizionali.

Mariangela Grosoli ritira la pergamena che sancisce l’ingresso dell’azienda di famiglia nel registro delle imprese storiche. Secondo l’UISI, viene definita “impresa storica” un’azienda che nel passato e nel presente (e con una forte propensione al futuro) operi in una dimensione che continua a muovere indissolubilmente la produttività e l’economia in un contesto sociale e culturale. In altre parole, vien tenuta presente un’anzianità di oltre un secolo di vita operosa ed eticamente corretta.

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Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop limited edition

Aceto Balsamico del Duca ha sede in provincia di Modena, a Spilamberto, patria dell’aceto balsamico. Oggi l’azienda esprime l’esperienza di quattro generazioni, che seguono fedelmente le originali ricette di famiglia, realizzando con orgoglio un’eccellenza apprezzata a livello internazionale

Gli anni passano e matura l’idea di ampliare la produzione di Aceto Balsamico, vera passione di famiglia. È così che insieme alla moglie Luciana, Adriano — nipote e omonimo del fondatore — decide di variare il nome in Aceto Balsamico del Duca e contraddistinguere il prodotto con l’immagine del Duca Francesco I d’Este, tra i più famosi e appassionati produttori di quel balsamo così apprezzato alla corte degli Estensi. L’azienda oggi esprime l’esperienza di quattro generazioni, che seguono fedelmente le originali ricette di famiglia, realizzando un’eccellenza apprezzata nel mondo. Dal 1980 sono entrate nella gestione Mariangela e Alessandra, figlie di Adriano, che hanno portato l’azienda ad una notevole espansione, aumentandone il prestigio sui mercati esteri.

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L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena a Denominazione di Origine Protetta rappresenta l’eccellenza della nostra terra. Un condimento dal sapore inimitabile, perfettamente equilibrato tra il dolce e l’agro, con gradevole e armonica acidità, piacevole corposità e profumo caratteristico. Da utilizzare a gocce sul Parmigiano Reggiano, sulle fragole, sul gelato oppure come digestivo, a fine pasto. L’esclusiva bottiglia da 100 ml disegnata dal designer Giorgetto Giugiaro, come da Disciplinare, racchiude il “Capsula Bordeaux”, invecchiato oltre 12 anni ed il “Capsula Oro” con oltre 25 anni di invecchiamento. Il nuovo packaging di lusso, un raffinato cofanetto con etichetta in lamina oro 24 carati (extra-vecchio) o in peltro (12 anni), racchiude anche un utile versatore ed il libretto esplicativo con la storia, il metodo produttivo e l’utilizzo del prodotto.

Aceto Balsamico del Duca ancora oggi ha sede a Spilamberto, patria del balsamico, dove conserva il sito storico, dedicato all’invecchiamento del prezioso Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP in oltre 600 barili posti in una fornace seicentesca per la cottura dei mattoni. Nel 1992 è stato inaugurato un nuovo stabilimento, ulteriormente ampliato tra il 2004 e il 2008, dove sono collocati i grandi tini di rovere destinati alla maturazione di Aceto Balsamico di Modena IGP, e lo show room con vendita diretta al pubblico. Tra le eccellenze aziendali, vanno ricordate il Biologico, di cui l’azienda è stata pioniere, il “Solo Modena”, un balsamico a filiera corta ottenuto da sole uve raccolte nella provincia di Modena e insignito del “Premio 2009-2010 Responsabilità Sociale di Impresa” della Provincia di Modena e

il prodotto dal 1891 frutto di un’attenta rielaborazione di una ricetta originale del fondatore. >> Link: acetobalsamicodelduca.it

Aceto Balsamico del Duca sarà presente al Summer Fancy Food Show che si terrà dal 25 al 27 giugno prossimi a New York City (Exhibit level 3 –Stand 2911).

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Tuscany Food Awards: and the winner is… Savigni! Lo scorso marzo si è svolta l’edizione 2017 di Tuscany Food Awards, una competizione volta a “individuare, gratificare e premiare le eccellenze enogastronomiche del territorio toscano, nonché il lavoro di chi contribuisce allo sviluppo e alla conoscenza dei singoli prodotti”. Perché questo “non è un semplice premio legato alla cucina o ai piatti tipici ma un evento che raccoglie storie di persone e territorio”. Ogni anno una giuria di esperti valuta salumi, formaggi, pasta, vino, pane, birre, olio, dolci e tartufo made in Toscana. L’edizione 2017 ha decretato vincitrice della categoria “Salumi” la macelleria agricola Savigni di Pavana (PT). Nella foto a lato, Mileto e Niccolò Savigni alla cerimonia di premiazione.

Nozze d’argento per il Prosciuttificio Antica Pieve Un primo maggio solenne per il Prosciuttificio Antica Pieve di Guiglia (MO). In occasione delle “Nozze d’argento” dell’azienda, infatti, le famiglie Mongiorgi ed Amici hanno riunito amici presso la sede dello stabilimento — che si trova all’interno del bellissimo Parco dei Sassi di Roccamalatina, un’area preziosa dal punto di vista naturalistico, ricca di storia e religiosità, ideale dal punto di vista climatico per una perfetta stagionatura dei prosciutti crudi —, per condividere con una bella giornata di festa il frutto di questi anni di lavoro, impegno, crescita e successi produttivi. La celebrazione ha avuto anche carattere religioso, con una messa durante la mattinata e la benedizione di una Cappellina dedicata alla Madonna di Medjugorje, donata alla famiglia da alcuni clienti del prosciuttificio, nel tardo pomeriggio. Ricordiamo che tutti i prosciutti Antica Pieve derivano solo da cosce selezionate di suini pesanti nutriti con un’alimentazione specifica che garantisce una eccellente qualità di grasso. Genuini, sani e buonissimi. >> Link: www.prosciuttificioanticapieve.it

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INTERVISTE

Il Chiaramontano: salvare una razza con una mortadella In Sicilia rinasce in una nuova veste la tradizione del consumo della carne d’asino, in purezza, dentro hamburger alla moda o trasformata in uno straordinario salame e in una ancor più squisita mortadella di Gaia Borghi

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ra tre anni al massimo sarai di nuovo qui». Così gli disse la sorella quando MASSIMILIANO CASTRO, siciliano cresciuto con la famiglia in Brianza, a 23 anni si mise in testa l’idea di “tornare a casa”. Una sorta di immigrazione al contrario, sostenuta dal progetto di aprire una macelleria nella propria terra d’origine. «E invece adesso, complice una situazione economica non più così florida come in passato, ha deciso di trasferirsi in Sicilia anche lei» mi racconta Massimiliano, oggi imprenditore di successo e contitolare del salumificio “Il Chiaramontano”. L’azienda, con il nuovo stabilimento di 2.000 m2 inaugurato a Ragusa a fine 2014 dove lavorano 13 dipendenti, si caratterizza per l’originalità delle linee di norcineria proposte, profondamente radicate nella terra di Sicilia, e il cui fiore all’occhiello è rappresentato senza dubbio dagli insaccati di asino. Salame, mortadella e bresaola, sani e genuini, realizzati con le carni magre, povere di grassi e ricche di sali minerali di puledri di razza Ragusana macellati a poco più di un anno di età. «Io sono l’unico di sette fratelli ad essermi letteralmente “innamorato” di questo mestiere» prosegue Massimiliano. «Sono partito dalla Lombardia con tante speranze e il desiderio di realizzare un sogno. Avevo già un po’ di esperienza in questo settore e così, nel 1994, ho aperto la mia prima bottega a Chiaramonte Gulfi, un paesino in provincia di Ragusa. Lavoravo le carni tradizionali, bovino e suino soprattutto. In queste zone si consuma

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tradizionalmente molta carne di maiale, anche nel classico sugo per condire la pasta, e parecchi salumi». Di asini, insomma, nemmeno l’ombra. Situata su una collina che domina il territorio circostante, tanto da meritare il soprannome di Balcone di Sicilia, questa tranquilla cittadina fino a qualche tempo fa era nota soprattutto per la qualità dell’olio d’oliva, a cui è dedicato anche un piccolo ma suggestivo museo. «Da qualche anno a questa parte invece Chiaramonte è riconosciuta come patria dell’asino, con tanto di itinerari turistici dedicati, e questo bisogna riconoscere che in buona parte è merito mio» racconta orgogliosamente Massimiliano. L’asino Ragusano: dal presidio al turismo, passando per latte e salame Fino al secondo dopoguerra, l’asino è stato una presenza quasi fissa nelle campagne del nostro Paese. Utilizzato fondamentalmente come animale da lavoro, insieme al cavallo era un sostegno fondamentale per il contadino che lo utilizzava come mezzo di trasporto e nei cosiddetti “compiti di fatica”: il traino di carri e carretti, l’aratura dei campi, lo spostamento dei carichi pesanti, la movimentazione delle macine… Anche in Italia, purtroppo, gli asini sono attualmente una specie a rischio di estinzione, in particolare per quanto riguarda le razze autoctone. Non fa eccezione, quindi, la Ragusana, ufficialmente riconosciuta dal 1953, quando l’Istituto di Incremento Ippico di Catania,

L’immigrazione dalla Brianza a Ragusa, la prima macelleria a Chiaramonte Gulfi, il grande amore per la propria terra e i suoi prodotti, l’intuizione di produrre i salumi con le carni asino Ragusano, l’incontro con Andrea Graziano di FUD, riconoscimenti, successi e progetti futuri: Massimiliano Castro racconta l’ieri, l’oggi e il domani del salumificio Il Chiaramontano

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Massimiliano Castro, vincitore del premio “Best in Sicily” come miglior macellaio della Sicilia nel 2012, nella sala di stagionatura della sua azienda “Il Chiaramontano di Castro & C. Srl” a Ragusa con la mortadella di asino.

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Carne di asino (210 g), pomodoro, insalata mista, mozzarella di bufala affumicata, funghi, cipolla di Giarratana in agrodolce, barbechiù sous, maionese, pepe: è lo Shek burgher servito nei locali di FUD. attraverso diversi lavori di selezione, riuscì a fissarne alcune caratteristiche tipo. La Fondazione Slow Food per la Biodiversità ha dato vita al presidio dell’asino Ragusano con l’obiettivo di sostenerne l’allevamento indirizzato in maniera specifica alla produzione di latte. Non tutti sanno infatti che il latte di asina, ricco di caseina, albumine e lattosio, è ideale per sostituire quello materno quando questo viene a mancare o in presenza di intolleranze alimentari del neonato. Grazie ai contributi della Regione Sicilia e alle agevolazioni delle istituzioni europee, nei primi anni Duemila in tanti — soprattutto giovani — hanno deciso di dedicarsi all’allevamento degli asini. «La sola vendita del latte, però, non è sufficiente per coprire le spese dell’attività» puntualizza Massimiliano. «L’allevamento non si sostiene economicamente con il latte: da qui è nata l’idea della vendita della carne». In Italia il consumo di carne d’asino è diffuso soprattutto al Nord: Friuli, Piemonte, Veneto, Lombardia, EmiliaRomagna, oltre ai salumi, mantengono tutt’oggi, nei ricettari tradizionali, diverse preparazioni a base di asino, le cui proteine, in epoche passate di miseria alimentare, andavano ad arricchire un regime dietetico basato per lo più su cereali e verdure. «A Chiaramonte invece l’asino non lo voleva proprio nessuno!» prosegue Massimiliano divertito.

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«Fin dagli esordi della mia macelleria ho sempre privilegiato l’utilizzo e la vendita di prodotti locali: il suino nero ibleo, i bovini e i bufali ragusani, i pistacchi, il sale di Trapani, il finocchietto selvatico, il Nero d’Avola… Perché non l’asino mi sono detto? Il puledro ha una carne eccellente: morbida, dal gusto delicato, magra e molto digeribile. Ho dovuto superare la diffidenza iniziale della clientela, ma le difficoltà non mi hanno mai spaventato, anche perché ero sicuro della bontà e della pregevolezza di questo prodotto». Il tempo gli ha dato ragione: la carne di asino — che proviene esclusivamente da allevamenti della zona — oggi è apprezzata e ricercata sia per il suo sapore che per la sua salubrità anche da numerosi chef, che la preferiscono al cavallo, dal gusto più deciso. Vista l’accoglienza del mercato, tra l’altro, che giustamente richiede stabilità e uniformità del prodotto nel sapore e nel colore, è in corso la stesura di uno specifico disciplinare per il Consorzio degli allevatori di asino Ragusano in collaborazione con il professor VINCENZO CHIOFALO dell’Università degli Studi di Messina, sia per quanto riguarda il sistema di allevamento che per la tipologia di alimentazione. «In negozio vendo tutti i tagli dell’animale — prosegue Massimiliano — ma il vero “salto di qualità” per la mia attività è arrivato grazie al salame e agli hamburger».

Shek, shek… shek your burger Nel 2012 Massimiliano Castro vince il “Best in Sicily” come miglior macellaio della Sicilia grazie al salame di asino: 70% di carne magra di puledro Ragusano e il restante 30% di magro di suino. Niente grasso, per non coprire la delicatezza di questa carne. «Da lì è cambiato tutto» puntualizza Massimiliano. Anche perché sulla sua strada incontra ANDREA GRAZIANO, il brillante e fortunato creatore di FUD, la “bottega sicula”inaugurata in pieno centro storico a Catania cinque anni fa e a Palermo nel 2015. Insieme creano lo Shek burgher (in dialetto siculo lo scecco è, per l’appunto, l’asino), superbo panino con carne di asino Ragusano, pomodoro, insalata mista, mozzarella di bufala affumicata, funghi, cipolla in agrodolce, la speciale barbechiù sous, maionese e pepe. La storia e il successo di FUD sono risaputi e lo Shek burgher resta, dall’inizio di questa avventura, uno dei panini più venduti del locale, tanto che sono state realizzate persino delle magliette inneggianti allo shek. La collaborazione del nostro macellaio con FUD non si ferma però agli hamburger: nel menu della bottega troviamo infatti lo Shek slais, ovvero il tagliere con degustazione di mortadella e salame di asino, Uonderful, panino con mortadella di asino, provola delle Madonie e pesto di pistacchio, e il Panel bred, pane casereccio, panelle,

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mortadella di asino, limone e pepe nero. Nel 2014, durante un cooking show alla manifestazione Taormina Gourmet, Andrea e Massimiliano si sono divertiti a creare il Rooo Shek: tartare di carne d’asino marinata con sale al basilico e capperi di Salina, melanzana impanata con basilico e menta scottata in padella, una fetta di mortadella d’asino ripiena di provola, un sottile strato di composta di pomodoro e origano, per finire con un po’ di peperoncino. Il risultato? Una bomba a leggere i commenti dei fortunati che lo hanno divorato in un sol boccone! E tanto per non farsi mancare nulla, anche alla pizzeria gourmet catanese I Grani Antichi, lo “scienziato della pizza” BERNARDO GAROFALO propone una pizza speciale con il salame e la mortadella di asino firmati Il Chiaramontano. Buona da “leccarsi le orecchie” Già, la mortadella: colore intenso, sapore delicato ma persistente, ottima consistenza. «Ho ripreso, rinnovandola, la tradizione di produrre salumi con le carni degli animali da soma che non avevano vita lunga e in questo modo venivano recuperate» racconta ancora Massimiliano. «Alla carne di asino vengono aggiunti lardelli di suino nero e pistacchi di Bronte: non utilizziamo il trippino di maiale e l’aromatizzazione è molto contenuta; caratteristiche che fanno sì che il prodotto non abbia acidità e sia estremamente digeribile Per l’insacco, infine, usiamo la vescica naturale». Già presentato anche al Salone dell’Innovazione a Genova, invece, il progetto di una mortadella halal per i consumatori musulmani. Niente lardo, quindi, ma il pregiatissimo tartufo nero, anche questo rigorosamente siciliano. «Insieme ad altre aziende del territorio lo scorso dicembre abbiamo formato un Consorzio, Sicily experience» conclude Massimiliano. Pasta e farine, olio, formaggi, birra e, naturalmente, salumi: insieme per conquistare il mondo. Gaia Borghi

Aceto Balsamico di Modena

L’Acetaia Leonardi rappresenta la massima espressione della cultura legata all’Aceto Balsamico di Modena. Una tradizione secolare che ha le sue radici nel cuore della provincia modenese dove genuinità e passione per la tradizione rappresentano ancora valori, cardini dell’economia del territorio.

ACETAIA

Vi invitiamo a visitare la nostra Acetaia e il Museo, dove, da più di 130 anni, i migliori Balsamici invecchiano in una riserva di botti unica al mondo.

Visite guidate e Degustazioni tutti i giorni dalle 9 alle 19

Il Chiaramontano di Castro & C. Srl Zona I. III Fase 97100 Ragusa Telefono: 0932 667257 E-mail: info@ilchiaramontano.it Web: www.ilchiaramontano.com

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RDI Giovanni Az Agr. LEONARDI Az. Via Mazzacavallo, 62 - Magreta - Modena - Italy - Tel. +39 059 554375 www.facebook.com/AcetaiaLeonardi - www.acetaialeonardi.it


Snello, un salame ancora più magro Snello, la marca di Rovagnati che offre salumi buoni come quelli tradizionali ma con un minore contenuto di grassi, per venire sempre più incontro alle esigenze dei consumatori, che desiderano mangiare con gusto pur mantenendosi leggeri, propone da oggi una novità: un salame ancora più magro, che passa dal 45% al 55% di grassi in meno rispetto al classico salame Milano. Il prodotto viene preparato solo con carne di suino italiano, utilizzando i tagli più magri della coscia, con una selezione di aromi e spezie scelte e miscelate con cura. Segue la stagionatura. Affettato in vaschetta e confezionato in atmosfera protettiva, Snello è profumato e facilmente digeribile. Per i prodotti a marchio Snello, Rovagnati seleziona le migliori materie prime come da sua tradizione, ma le lavora a mano per ripulirle dalle parti più grasse e le prepara secondo metodi di cottura (ad esempio a vapore) o stagionatura che ne garantiscono la leggerezza preservandone il gusto. Inoltre, per alcune referenze della linea, il sale comune all’interno delle ricette è stato da poco sostituito dal sale iodato, rendendo i prodotti con un profilo nutrizionale e un equilibrio ancora migliori. Anche il Salame Snello, come le altre referenze della linea, è senza glutine e derivati del latte ed è disponibile in comode vaschette, nei formati da g 80 per la GDO e da g 50 per la distribuzione al dettaglio. >> Link: www.rovagnati.it

Cacciatore, nel 2016 oltre 3.500.000 chili prodotti per questa Dop che piace molto anche in Germania Il Cacciatore mantiene anche nel 2016 la sua leadership nel settore dei salami tutelati, essendo appunto il salame Dop più diffuso e commercializzato sul mercato, italiano e estero. Il dato di produzione 2016, seppure con una lieve flessione rispetto all’anno precedente, si attesta sui 3.500.000 chili e un fatturato alla produzione di circa 40 milioni di euro. «I dati dell’intero comparto hanno registrato una flessione generale degli acquisti domestici di salumi che ha penalizzato anche il mercato del salame cacciatore» ha commentato Lorenzo Beretta, presidente del Consorzio Salame Cacciatore. «Il nostro prodotto ha tenuto maggiormente rispetto ad altri grazie a diversi fattori: innanzitutto, la qualità garantita dalla Dop e poi la praticità d’utilizzo, determinata dalle dimensioni ridotte che lo colloca all’interno di una modalità di consumo immediato. Questi due elementi hanno fatto sì che il nostro prodotto mantenesse la sua quota di mercato in un contesto tutt’altro che rassicurante». Oltre il 22% della produzione totale, infine, è andato oltre confine. La quota verso la Germania vale il 65% delle esportazioni, confermandolo così principale mercato di riferimento nell’ambito UE. «Per quanto riguarda invece i mercati extracomunitari — ha proseguito Beretta — a dicembre c’è stata l’apertura del mercato delle Filippine all’esportazione dei nostri salumi. Si tratta di un Paese molto grande, dove peraltro non ci sono limiti religiosi sul consumo dei nostri prodotti. Aspettiamo quindi di capire se anche questo Paese può offrire delle buone potenzialità». >> Link: salamecacciatore.it

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I macellai europei giocano a golf per una buona causa Dal 9 all’11 luglio prossimi a Boppard, in Germania, avrà luogo il XIV Euro Meat Golf Trophy. I macellai appassionati di golf si sfideranno e il ricavato sarà devoluto in beneficenza. Quest’anno l’acclamato torneo si terrà presso il Jakobsberg Hotel & Golfresort. I partecipanti misureranno le loro forze in otto categorie. Ci sarà anche un corso introduttivo al golf per principianti, oltre al premio per il miglior macellaio. Come sempre il torneo si svolge per buona causa: il ricavato sarà infatti devoluto ad organizzazioni caritatevoli che si occupano dei bambini. «Supportiamo progetti volti a dare un futuro a bambini malati e svantaggiati. Per questo desideriamo dare il nostro contributo» ha dichiarato Hermann Schalk, presidente dell’Unione “Sport per una buona causa” e organizzatore dell’Euro Meat Golf Trophy. Tra i partecipanti al torneo ci saranno dirigenti e responsabili aziendali. Oltre alla competizione sportiva, sono in programma networking, scambio di esperienze e visite ad aziende europee leader nel loro settore. Quest’anno verrà visitata la Sander Gourmet GmbH a Wiebelsheim. Anche la città di Boppard ha però qualcosa da offrire, perché è situata al centro dell’alta valle del Reno, patrimonio mondiale UNESCO. Lì si trova anche la Loreley, la rupe di ardesia nota in tutto il mondo, alla cui figura leggendaria Heinrich Heine, con la sua famosissima poesia, ha dedicato il suo monumento letterario. Ulteriori informazioni sullo svolgimento del programma sul sito dell’evento. >> Link: www.euromeatgolf.com


INDAGINI

Meno grassi, sale e additivi nei salumi italiani Dop e Igp L’aggiornamento 2017 della ricerca condotta da CREA e SSICA ha confermato i trend già registrati nello studio precedente: i salumi italiani sono alimenti che, grazie al continuo miglioramento delle tecniche di allevamento, processi di trasformazione e conservazione, consentono un apporto nutrizionale equilibrato. Col plus valore di varietà e versatilità di consumo

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usto, tradizione, convivialità, controlli e qualità certificata, ma non solo: costante riduzione nel contenuto di grassi, sale e nitriti/nitrati, abbinata ad un apporto di vitamine e sali minerali preziosi per la salute. I salumi italiani

tutelati (DOP e IGP) sono alimenti che si prestano a rispondere in maniera adeguata alla crescente attenzione dei consumatori per prodotti agroalimentari di qualità, con un forte legame con il territorio e in linea con regimi alimentari nutrizionalmente corretti ed equilibrati.

Ad evidenziare la grande evoluzione del comparto della salumeria italiana, la presentazione avvenuta nelle scorse settimane a Milano dell’aggiornamento 2017 relativo alla Ricerca sui salumi tutelati che, già nel 2011, aveva rilevato sensibili miglioramenti nutrizionali dei

Un caso rilevante di come le filiere stiano lavorando con attenzione nel percorso virtuoso verso una riduzione dei grassi nei prodotti è rappresentato dal Prosciutto Toscano Dop, che da un contenuto di lipidi del 22,8% passa all’8,8% se si allontana lo strato periferico di grasso (photo © www.italpork.it).

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prodotti. Promossa dall’Istituto Salumi Italiani Tutelati (ISIT) e realizzata dal Centro Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (CREA), insieme alla Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari (SSICA), questa edizione dello studio si è focalizzata in particolare su sei nuovi salumi DOP, fornendo una visione del comparto ancora più completa: Coppa piacentina, Pancetta piacentina, Salame piacentino, Salame Brianza, Salame di Varzi e Prosciutto toscano. L’analisi sulla composizione nutrizionale dei salumi ha confermato la linea di tendenza in atto: i significativi avanzamenti nelle tecniche di allevamento, nella trasformazione e conservazione delle carni hanno avuto un impatto rilevante per il miglioramento delle caratteristiche nutrizionali dei prodotti finali. «Obiettivo della ricerca è fornire ai consumatori corrette informazioni di carattere scientifico, al di là dei condizionamenti che scaturiscono da opinioni di tendenza che trovano spazio presso la pubblica opinione» ha sottolineato LORENZO BERETTA, presidente ISIT. «Dallo studio emerge con grande chiarezza come il consumo equilibrato dei salumi sia fondamentale in un corretto schema di educazione alimentare». Grassi: meno quantità, più qualità Per quanto riguarda i grassi presenti nei salumi oggetto della ricerca, si segnala una sostanziale omogeneità nella composizione di base dei tre salami (piacentino, Brianza, Varzi), simile, peraltro, a quella riscontrata nei salami tipo Milano e Napoli oggetto del precedente studio del 2011. Un caso rilevante di come le filiere stiano lavorando con attenzione nel percorso virtuoso verso una riduzione dei grassi nei prodotti è quello del Prosciutto Toscano DOP, che da un contenuto di lipidi del 22,8% può passare all’8,8% se si allontana lo strato periferico di grasso. Pur variando per i salumi interi (coppa, pancetta, prosciutto) in funzione del taglio scelto, le analisi nutrizionali hanno inoltre evidenziato nella composizione qualitativa delle carni un equilibrio tra il contenuto dei grassi saturi e insaturi, a conferma del continuo processo di ottimizzazione della qualità compositiva.

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Le carni e i suoi derivati rappresentano la principale fonte di selenio nella dieta italiana. Inoltre, una porzione di salumi può coprire dal 24% (Pancetta piacentina) al 68% (Coppa piacentina) del fabbisogno giornaliero di zinco. Come comparto, dai dati disponibili, è possibile evidenziare che i salumi hanno da tempo intrapreso un percorso di riduzione del contenuto lipidico e di ottimizzazione della qualità compositiva, in particolare nei prodotti cotti. Il contenuto in acidi grassi saturi si è ridotto fino a quasi il 40% e si è ottenuto un maggiore equilibrio tra contenuto in grassi saturi e insaturi. Questi ultimi sono passati dal 30% a oltre il 60% dei grassi totali (LARN). In base a quanto evidenziato nella ricerca, dunque, i salumi italiani tutelati possono senza dubbio ricoprire un ruolo importante nel fornire all’organismo una buona percentuale degli acidi grassi necessari per il corretto funzionamento dell’organismo che, per un adulto sano con moderata attività fisica, corrisponde a una quota di lipidi pari al 25-30% del totale delle calorie consumate. Sale e additivi sempre meno presenti Premettendo che il sale è un elemento imprescindibile per la conservazione e la salubrità dei cibi, oltre che per garantirne il sapore tipico, va ricordato che — se consumato nelle giuste

quantità — è anche un elemento importante per il corretto funzionamento dell’organismo. Tuttavia, va assunto con moderazione, come sottolineato anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha raccomandato interventi volti a limitarne il contenuto nei prodotti alimentari. L’evoluzione della salumeria italiana è andata esattamente in questa direzione, coinvolgendo l’intera filiera per trovare soluzioni in grado di minimizzare l’utilizzo del sale. Questo percorso virtuoso è già stato evidenziato dallo studio precedente ed è oggi confermato dall’addendum 2017 che vede un contenuto di sale che varia da 1,75 grammi per porzione (50 grammi) della Pancetta piacentina ai 2,3 grammi per porzione (50 grammi) del Prosciutto toscano. Dai dati complessivamente disponibili emerge che il contenuto di sale nei salumi italiani risulta notevolmente ridotto, in una percentuale che va dal 4% circa fino ad oltre il 45% a seconda del prodotto (confronto effettuato nel 2011 per i prodotti che avevano disponibile anche il dato delle precedenti analisi, datate 1993). Dunque, tenendo conto delle porzioni, della frequenza di consu-

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Salumi italiani tutelati: un alimento di consumo “trasversale” Partendo dal presupposto che i salumi sono di per sé un alimento “gratificante” per il palato e particolarmente apprezzato, è evidente come facilmente incontrino il gusto di tutte le fasce di consumatori. Se a questo si aggiunge anche il costante miglioramento delle caratteristiche nutrizionali, si comprende come possano essere inseriti in una dieta varia ed equilibrata, ad esempio di bambini e adolescenti per soddisfarne l’alto fabbisogno di energia e nutrienti (proteine nobili, sali minerali e vitamine). Gli anziani, invece, attraverso una scelta mirata dei salumi possono assumere alimenti con un apporto calorico controllato che, tuttavia, assicurano nutrienti e possono supportare la funzione plastica — fornita in particolare da proteine, calcio e ferro — necessaria per costruire, sostituire e riparare tessuti e strutture corporee. Anche una categoria in forte crescita come quella degli sportivi può guardare ai salumi italiani come a un alimento che contribuisca a far recuperare, facilmente e in modo naturale, i nutrienti persi con l’attività fisica. Il significativo e progressivo miglioramento delle caratteristiche nutrizionali dei salumi italiani viene rilevato anche da autorevoli esperti della comunità scientifica. «Negli ultimi trent’anni la composizione nutrizionale dei salumi è andata modificandosi notevolmente in termini di sicurezza e di qualità, grazie alla selezione genetica dei suini e della loro alimentazione mirata e selezionata» evidenzia Luca Piretta, medico specialista in Scienza della Nutrizione umana presso l’Università Campus Biomedica di Roma. «Inoltre, gli additivi si sono fortemente ridotti negli anni: le ultime ricerche mostrano che il calo dei nitrati tra il 1993 e il 2011 è stato dell’87% nel prosciutto cotto (da 110 ppm a 14 ppm), del 73% nella Mortadella Bologna Igp (da 40 ppm a 11 ppm), del 90% nella coppa e del 95% per lo Zampone Modena Igp (da 80 ppm a 4 ppm). I grassi sono poi diminuiti notevolmente e la presenza dei grassi saturi ha lasciato in parte il posto a quelli insaturi, ottimizzandone pertanto la qualità compositiva complessiva. Infine, la quantità di sale nei salumi si è ridotta fino alla metà in alcuni prodotti come la pancetta. I dati ora disponibili sui sei nuovi salumi Dop permettono di avere un quadro di insieme ancora più completo sul comparto, che conferma il miglioramento compositivo e i positivi apporti nutrizionali» (photo © Marc Roche – Fotolia).

mo e dei nuovi dati di composizione, è possibile affermare che i salumi italiani non sono la più importante fonte di sale nell’alimentazione, considerando che altri alimenti, consumati con maggiore frequenza e quantità (come, per esempio, alcuni derivati dei cereali), contribuiscono a un superiore apporto di sale nell’organismo. Per quanto riguarda altri additivi, come i nitriti, la ricerca mostra come in tutti i campioni verificati siano al di sotto del limite di rilevabilità. Anche i nitrati, sempre al di sotto dei limiti consentiti, hanno conosciuto una progressiva riduzione nel corso degli anni fino al punto di annullarsi in diversi salumi. Pur riducendo i conservanti che hanno la funzione di mantenere la salubrità e le caratteristiche organolettiche del

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prodotto, il miglioramento dei processi di filiera ha reso possibile produrre salumi sempre più sicuri dal punto di vista sanitario, mantenendo inalterati il loro gusto tipico e il sapore inimitabile. Vitamine e sali minerali per il benessere dell’organismo I valori rilevati nel 2017 confermano il trend positivo già evidenziato nel 2011 da cui è possibile identificare i salumi come una categoria di prodotti con un contenuto significativo di diverse vitamine e sali minerali necessari per l’organismo. Dall’analisi sui micronutrienti dei 6 nuovi salumi DOP emerge che il contenuto di vitamine del gruppo B, importanti poiché intervengono sui processi metabolici del nostro organismo, è particolarmente presente. Nello

specifico, la carne suina risulta essere la principale fonte di vitamina B1. Lo studio mette in risalto come una porzione di 50 grammi di Prosciutto toscano DOP, per esempio, copra circa il 30% del fabbisogno giornaliero di vitamina B1 e B6, mentre si può arrivare al 20% del fabbisogno quotidiano di niacina (o vitamina B3) grazie a una porzione di Coppa piacentina o di Salame piacentino e di Varzi. Significativo anche l’apporto di alcuni importanti sali minerali tra i quali ferro, zinco, selenio e potassio. Si pensi che una porzione di salumi può coprire dal 24% (Pancetta piacentina) al 68% (Coppa piacentina) del fabbisogno giornaliero di zinco e che le carni e i suoi derivati rappresentano la principale fonte di selenio nella dieta italiana.

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Numeri positivi per i salumi piacentini Dop e per l’export c’è la speranza del mercato USA Un Consorzio piccolo ma di grandi numeri quello dei salumi Dop piacentini, che segna una produzione molto positiva. In particolare per la Pancetta e la Coppa piacentina, che hanno chiuso il 2016 con un +10% in termini di pezzi prodotti. Il salame, forte di una crescita sbalorditiva negli anni precedenti, ha subito invece una lieve flessione. Entrando nel dettaglio, il salame piacentino Dop ha registrato una produzione di 1.473.945 pezzi; la Pancetta piacentina Dop invece si attesta a 138.435 pezzi e la Coppa a 420.582 pezzi. Soddisfazione del presidente del Consorzio Antonio Grossetti. «I nostri associati in questi anni hanno visto costantemente aumentare i costi di produzione, mentre i prezzi di vendita sono rimasti invariati. Ciononostante hanno saputo reggere e contrastare il periodo difficile. Questo vuol dire che alla fine il mercato ha premiato la qualità». I salumi piacentini sono un vanto per l’Emilia-Romagna e del made in Italy alimentare. «Sul fronte dell’export i nostri principali partner sono quelli europei. Germania, Inghilterra e Francia sono sicuramente in testa alla nostra classifica. Abbiamo delle speranze per il mercato americano anche se ora con la politica di Trump non so se saranno esportabili nel breve periodo o occorrerà aspettare di più» ha continuato il presidente Grossetti. Sempre in vigore l’attività di vigilanza, che in questi anni ha effettuato circa 7.000 controlli. «Dopo 7 anni dall’implementazione dell’attività di vigilanza, le irregolarità sono progressivamente diminuite: un buon segnale che va verso la direzione della tutela e della protezione delle nostre Dop». Dal presidente anche un appello alle istituzioni affinché si faccia maggiore sistema: «assistiamo da anni ad una crisi che sta coinvolgendo il settore e i segni di miglioramento, che si iniziano a registrare, sono ancora minimi. Credo che un maggior dialogo tra le parti di tutta la filiera, dagli allevatori alla GDO, potrebbe essere un modo per unire gli intenti, che sono comuni». >> Link: www.salumitipicipiacentini.it


Valore o prezzo? di Fabio Del Bravo e Alberto Mattiacci

Pane, vino, salame e formaggio: negli ultimi anni il cibo è stato oggetto di una vera rivoluzione intellettuale. Quel che una volta sulla tavola era di casa perché prodotto in zona, oggi è considerato “tipico” e si carica di un valore ulteriore di autenticità (photo © Giuseppe Porzani – Fotolia).

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C’

è un bel libro in giro per le librerie che si intitola “Ti mangio con gli occhi”. Lo scrive un fotografo italiano, uno dei più celebri, FERDINANDO SCIANNA, per raccontare il mangiare e il legame fra il cibo e l’esperienza del vivere di cui ciascuno di noi è protagonista. Ad un certo punto, piuttosto avanti nel testo (pag. 149), Scianna ricorda: “almeno fino agli anni Cinquanta, l’universo del cibo in Italia era quello che oggi si chiamerebbe a chilometro zero (…) il numero dei cibi di cui si poteva avere esperienza era piuttosto limitato. O perché prodotti in luoghi lontani da quelli in cui si viveva, o perché potevano permetterseli solo i ricchi”. Certo, Scianna compie un percorso della memoria e, si dirà, nessuno può avere nostalgia per quel tempo così evocato, dove cibo significava troppo spesso sussistenza e scarsità, e la società era ancora molto più agricola che industriale a meno che, ovviamente, non si decida di abbandonarsi alla mitologia del “bel tempo che fu”. Tuttavia, come spesso capita leggendo libri intelligenti sul cibo, come ad esempio “Il pane di ieri” di ENZO BIANCHI, tornare un poco indietro nel tempo permette di detergere lo sguardo e acquisire una più densa capacità interpretativa dei fenomeni che oggi mettono il cibo al centro. I segni dell’età verde È a tutti evidente come il cibo abbia subito, in tempi recentissimi, una vera “trasformazione intellettuale”: quello che era “di casa” è divenuto “tipico”, per esempio, e così via dicendo. Il Rapporto ISMEA-QUALIVITA lo ha segnalato più volte nel corso degli anni, seguendo passo dopo passo, anno dopo anno, questa trasformazione. La distanza fra questi due mondi — quello evocato da Scianna e quello di oggi — sta tutta nella differenza fra un disegno di un bambino di sei anni e uno di un diplomato alle Belle Arti: semplice, essenziale, asciutto, il primo, complesso, architetturale, sinfonico, il secondo. Se la realtà di questo primo scorcio di XXI secolo ci ha portato rapidamente nella modalità del secondo tipo, il mondo del cibo che si riconosce nelle Indicazioni Geografiche porta ancora, dentro e fuori di sé, molti segni dell’età verde, una semplicità ed essenzialità che, a

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La quarta di copertina del libro di Ferdinando Scianna “Ti mangio con gli occhi”. seconda di come saranno governate, diverranno punti di forza o di debolezza. È un problema? Una forza? Una speranza o una minaccia esiziale? Impossibile dirlo, ma doveroso cercare di capire. L’insostenibile incertezza del contesto La fase storica che stiamo vivendo è, senza dubbio, caratterizzata dall’incertezza e dalla mutevolezza dello scenario globale; da questi grandi mutamenti non si smarca certo il settore agroalimentare che anzi, alle influenze che su esso hanno fenomeni trasversali come i nuovi assetti geopolitici, i mutamenti demografici e le migrazioni, il cambio di passo della globalizzazione o, ancora, la crescita del peso politico-economico delle multinazionali con il conseguente portato di sviluppo delle Catene Globali del Valore (CGV), deve aggiungere — in quanto settore a “cielo aperto” — il

determinante e diretto impatto delle alterazioni climatiche. Anche osservando il lato della domanda, appare evidente un’analoga mutevolezza. I modelli di consumo si ridefiniscono, più rapidamente che nel passato. Lo fanno nel quadro di processi di segmentazione del mercato in cui i confini nazionali possono, in talune situazioni, pesare meno dell’appartenenza a gruppi sociali caratterizzati da bisogni, atteggiamenti e conseguenti comportamenti che presentano molti tratti in comune: le nuove generazioni di “nativi digitali”, i “nuovi ricchi” dei Paesi emergenti o la “classe media in là con gli anni” dei Paesi a capitalismo maturo, tanto per proporre dei classici esempi più volte prospettati in letteratura. Questo per dire che, nel processo di “globalizzazione alimentare”, sarebbe riduttivo, se non addirittura mistificatorio, rappresentare una segmentazione

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banale e semplificata tra consumatori dei “Paesi avanzati economicamente”, centrati sulla qualità, e consumatori dei “Paesi emergenti”, focalizzati sulla quantità, senza considerare le innumerevoli ulteriori variabili socio-culturalidemografiche che portano a evidenziare come esistano segmenti “geograficamente trasversali” di consumatori. Tra questi segmenti i comportamenti alimentari differiscono sì per sfumature e ampiezza della categoria, ma si riconoscono in generali principi comuni e in modelli che non necessariamente sono massificati e di basso livello. Vale forse la pena riportare le stime diffuse attraverso il Rapporto 2016 “Esportare la dolce vita”1, secondo il quale crescerà sensibilmente il numero di nuovi ricchi che, a livello mondiale, nel 2021, conterà ben 212 milioni di individui in più rispetto al 2015, con evidenti impatti positivi sulla domanda di prodotti di alta gamma compresi quelli del settore agroalimentare, un settore per il quale l’Italia vede riconosciuto, in molte aree del globo, un posizionamento di mercato di alto o altissimo livello cui spesso non corrisponde una capacità di fuoco dell’offerta in grado di soddisfare la domanda potenziale. È proprio in questo spazio commerciale che spesso si sviluppa e trova linfa il tanto evocato Italian sounding. Né bello né brutto, piccolo è… e basta! Il modello economico italiano si connota per i suoi tratti peculiari che lo distinguono nettamente dal modello che potremmo definire “anglosassone”. Una certa bibliografia, senza dubbio meno diffusa di quella portata a evocare il declino industriale dell’Italia evidenzia che non si tratta di un modello razionalmente concepito e puntualmente implementato ma è frutto di un percorso storico che ne ha determinato i tratti attuali. Il settore agroalimentare non

sfugge affatto a tale paradigma ma, anzi, lo rappresenta perfettamente. Se continua a essere conveniente auspicare la crescita dimensionale delle nostre imprese, parallelamente, vale la pena prendere atto del fatto che la piccola impresa non può essere derubricata a un incidente di percorso. È assai più costruttivo, anche per la politica, riconoscere che essa costituisce una caratteristica costante di lungo periodo dell’economia italiana e che, per alcuni decenni, è stata comunque in grado di ottenere e garantire sviluppo, espansione e internazionalizzazione. Evidentemente, si tratta di un modello che anche per i suoi fautori presenta punti di debolezza sui quali intervenire attraverso modifiche migliorative che riguardano principalmente le modalità strategico-organizzative con cui le singole aziende dovranno impegnarsi nei propri mercati di riferimento tenendo presente che, in questo peculiare e complesso modello, possono non esserci punti d’arrivo comuni ma possibili risultati diversi coerenti con la diversità del modello d’impresa. Esistono poi una serie di elementi a ulteriore supporto di coloro che vedono definitivamente tramontato il tradizionale modello che prevede la possibilità di esportare esclusivamente per le imprese medio-grandi che per loro stessa natura rischiano di perdere o diluire il loro portato di tipicità e il legame col territorio. Le realtà più grandi e più strutturate continuano a essere indubbiamente avvantaggiate, ma lo sviluppo delle tecnologie e l’accorciamento delle distanze che ne deriva consentono a tutti di dialogare con il mondo e collocare ovunque i propri prodotti, spostando la variabile chiave dalle dimensioni e dalla massa critica alle capacità. E non c’è dubbio che, anche su piccola scala, si possano sviluppare capacità di utilizzare le tecnologie, capacità di organizzazione, capacità di fare rete

In una società complessa, articolata, in movimento evolutivo ed involutivo come quella attuale, la sfida aperta per il cibo è e sempre sarà quella del valore Il punto non è da chi, artigiano o grande industria, viene realizzato un alimento. Il punto è il risultato

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e valorizzare il proprio prodotto e di farne apprezzare il contenuto valoriale in termini di qualità e distintività. Su questo fronte l’Osservatorio dell’e-commerce B2C del Politecnico di Milano ci fornisce qualche ulteriore elemento di riflessione. Il solo mercato elettronico italiano del food & grocery vale ancora molto poco (circa lo 0,35% del totale) ma è in forte crescita (+30%) rispetto all’anno precedente, avendo toccato, nel 2016, i 575 milioni di euro. Il 90% di questo valore è generato dal commercio agroalimentare che, a sua volta, si ripartisce in un 90% di food e 10% di wine. Ma, al di là delle cifre, quello che appare evidente è che il limite che fino ad ora ha ostacolato questo sviluppo è stato individuato nella carenza di offerta e l’attuale, graduale posizionamento non solo dei cosiddetti Dot-Com ma, più direttamente, delle aziende del settore, produttori o retailer, o di loro aggregatori, potrà certamente favorire un ulteriore importante incremento di questa voce. La rete per trasformare il piccolo in grande Provando a tirare le somme, si potrebbe affermare che, a fronte di un mondo che tende ad ampliarsi — sebbene con modalità diverse e percorsi alternativi alla globalizzazione che fino ad oggi avevamo imparato a considerare — l’impresa italiana e, nello specifico, quella agroalimentare, non si ingrandisce o, per lo meno, non lo fa a sufficienza per intraprendere percorsi che abbiamo visto afferire più ad altre culture. Abbiamo anche osservato che, per un’impresa agroalimentare che opera in un contesto di produzioni tipiche, la dimensione limitata è probabilmente un elemento che le garantisce una maggiore aderenza al territorio e a questa tipicità, se non altro perché, faticando a competere sui costi per ragioni di scala, la distintività è l’unica arma che può adoperare per posizionarsi favorevolmente su mercati tradizionali e nuovi. Il terzo elemento riguarda lo sviluppo delle tecnologie e l’accorciamento delle distanze che ne deriva; la qual cosa determina un ribilanciamento delle variabili chiave ma, soprattutto, offre importanti opportunità, tra le quali la semplificazione di operare in rete tra imprese e affrontare, pur nel rispetto della propria

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intravedere, piuttosto, che sia auspicabile la diffusione di una nuova visione del Consorzio di tutela come centro di raccordo, anche culturale, tra territorio e mondo produttivo oltre che elemento catalizzatore della rete d’imprese a esso sottesa. Salmone o aringa? Prezzo o valore? Torniamo, per concludere, ai ricordi di Scianna: “ricordo quando — eravamo nel 1968 —, offrii ai miei genitori, venuti a trovarmi a Milano, del salmone affumicato. Mio padre mostrò di apprezzarlo, mia madre invece confessò che, secondo lei, una buona aringa affumicata, con l’uovo, da fare in insalata con le prime arance acidule di ottobre, era molto più saporita. Mio padre la trattò come una contadina dai gusti rozzi. Questo salmone, disse, è cosa molto più fine. Del resto, aggiunse, sono sicuro che costa molto di più dell’aringa. Quanto? Io tergiversavo. Insistette. Glielo dissi. Smise subito di mangiarlo. E tu cretino che butti via i soldi così, fu il suo commento” (pag. 152). Il racconto insegna (come

gli antichi Greci concludevano le loro favole) che la sfida aperta per il cibo, in una società complessa, articolata, in movimento evolutivo ed involutivo, è e sempre sarà, quella del valore. Noi crediamo che il punto non sia se un cibo è realizzato da un’industria o da una bottega, da una realtà nazionale o da una compagnia globale, da un artigiano autodidatta o da un tecnico preparato. Il punto è il risultato: un prodotto che abbia la capacità di far capire agli anziani genitori di Scianna che riconoscere un certo prezzo non significa essere cretini, ma persone capaci di riconoscere il valore. Fabio Del Bravo Dirigente dello Sviluppo Rurale Ismea Alberto Mattiacci Sapienza Università di Roma Fonte: 14º Rapporto 2016 IsmeaQualivita sulle produzioni agroalimentari e vitivinicole italiane Dop-Igp-Stg Note 1. A cura del CFC CONFINDUSTRIA e di PROMETEIA.

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individualità, le caratteristiche questioni commerciali che ogni impresa si trova ad affrontare: la massa critica, la promozione, il marketing. Ma fare rete seriamente significa anche facilità di fare innovazione o maggiore efficacia nella partecipazione a bandi europei. A questo punto, parlando nello specifico dei prodotti a Indicazione Geografica, è doveroso fare un riferimento al ruolo dei Consorzi di tutela. Come noto, essi rappresentano una specificità tutta italiana e sono il frutto di un’evoluzione pluridecennale del paradigma alla base dei prodotti a qualità certificata. Allo stesso tempo, il loro ruolo ha vissuto anche momenti di smarrimento talvolta incentrandosi troppo sulla “semplice” azione di vigilanza o gestione amministrativo-burocratica del disciplinare di produzione. Si tratta in entrambi i casi di attività di vitale importanza ma, in un contesto complesso e mutevole come quello sommariamente descritto, rischia di lasciare indietro la struttura rispetto alle esigenze. Le esperienze più avanzate che già esistono sul territorio fanno

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LA QUALITÀ

Finocchiona mon amour Un milione e 400.000 chili prodotti, per un valore alla vendita stimato di circa 13 milioni e mezzo. Per la Finocchiona Igp il 2016 è stato un anno da record, con la produzione che cresce a doppia cifra

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a Finocchiona IGP ha ingranato la quinta e si regalata un 2016 da record. I dati sulla produzione dell’anno appena concluso sono infatti molto positivi. Sono oltre 1 milione e 400.000 i chili dello storico salume toscano insaccati, pari a più di 610.000 “pezzi”, e circa 1 milione e 200.000 vaschette di prodotto affettato confezionate. Il valore, calcolato sul prodotto certificato, è di quasi 7 milioni e 800.000 euro alla produzione e di oltre 13 milioni e mezzo alla vendita.

L’Igp, una marcia in più per la finocchiona Dal momento del riconoscimento dell’Indicazione Geografica Protetta nel maggio 2015 ad oggi si è registrata una crescita costante del salume toscano, arrivando a quasi 2 milioni e 200.000 kg totali di prodotto insaccato, 965.000 pezzi e oltre 1 milione e 815.000 vaschette. Il valore alla produzione ha superato i 12 milioni di euro ed il valore alla vendita ha oltrepassato quota 20 milioni. Per capire l’entità della crescita basta dire che le percentuali di produ-

zione segnano un +63% tra il terzo e il quarto trimestre del 2016 e un +58% rispetto al quarto trimestre del 2015. Arezzo, Siena e Firenze le province al top della produzione La provincia regina per quanto riguarda la produzione di finocchiona IGP è Arezzo, con più di 416.000 di chili prodotti e un valore alla produzione stimato in circa 3 milioni e 120.000 euro (5 milioni e 413.000 euro alla vendita). Siena segue a ruota con oltre 405.000 kg insaccati, una stima di 3

Il riconoscimento Igp per la finocchiona è arrivato nel maggio 2015 e da quel momento la produzione del salume ha registrato una crescita costante (photo © Paolo Lazzeroni).

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milioni di euro alla produzione e oltre 5 milioni e 200.000 euro alla vendita. Staccata, ma pur sempre sul podio, troviamo Firenze con quasi 133.000 kg di finocchiona Igp prodotti e una stima del valore pari a 995.000 euro alla produzione e 1 milione e 726.000 euro alla vendita. Italia, ma non solo La Finocchiona IGP va forte anche all’estero. L’83% circa del mercato della Finocchiona IGP è in Italia, ma la fetta relativa all’export inizia ad assumere un valore sempre più significativo. Del 17% di prodotto esportato, l’UE fa la parte del leone con il 16%, mentre il “resto del mondo” si attesta poco al di sopra dell’1%. Germania, Inghilterra e Svezia sono i primi tre Paesi nel consumo di Finocchiona Igp rispettivamente con il 10,7, il 3 e l’1%. Forte apprezzamento anche in Danimarca, Belgio e Francia, ma sono da segnalare nella top ten dei consumatori di finocchiona tre stati extra UE: la Nuova Zelanda, al sesto posto, la Norvegia all’ottavo e il Giappone, al decimo, senza dimenticare il Canada che segue a breve distanza. «I dati sono molto positivi, segno anche di un assestamento del prodotto su tutti i canali distributivi, dalla Grande Distribuzione fino alle botteghe e le gastronomie» sottolinea FABIO VIANI, presidente del Consorzio. «Il traguardo della certificazione non è stato un fuoco di paglia, bensì il risultato di un

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L’83% del mercato dell’Igp è in Italia ma il salume è apprezzato anche all’estero, Germania, Inghilterra e Svezia soprattutto. lungo lavoro, e per questi dati positivi dobbiamo ringraziare le aziende che fanno parte del Consorzio che ogni giorno scelgono di investire nella qualità della finocchiona IGP. Il Consorzio sta portando avanti il suo lavoro incentrato sulla comunicazione e promozione, rimanendo sempre attento alle questioni riguardanti la tutela del prodotto sul mercato». «Quanto seminato lo scorso anno — afferma FRANCESCO SEGHI, direttore del Consorzio — sta dando i suoi frutti. I risultati 2016 sono interessanti anche perché segnano un incremento costante, come dimostrano i dati su base trimestrale e semestrale. Se sul mercato nazionale la finocchiona IGP si consolida e si afferma aumentando la sua presenza e di conseguenza i

consumi, l’estero rappresenta ancora una stimolante scommessa e dimostra di apprezzare il prodotto. I numeri a disposizione ci dicono che il prodotto va forte nel centro e nel Nord Europa, ma sono molte le realtà che offrono interessanti prospettive di crescita anche fuori dall’Unione Europea. C’è molto da lavorare in termini di promozione, comunicazione e tutela, e se lo faremo con l’entusiasmo e la passione dimostrata fino ad oggi i risultati continueranno ad arrivare: contiamo infatti di confermare il trend positivo degli ultimi mesi, e l’obiettivo è un ulteriore +6,5% su base annua che consentirebbe di superare la quota del milione e mezzo di chilogrammi insaccati nel solo 2017».

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PRODOTTI TIPICI

Mortara e il suo salame d’oca Igp: bontà di Lomellina Una specialità lombarda di antica origine e di eccezionale sapore prodotta da un pugno di artigiani di Roberto Villa

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alame e oca sono due termini che evocano gusti e sapori solitamente poco affini, per sensazioni e ricordi. Ma non ovunque: in Lomellina, la zona della provincia di Pavia compresa tra il Po a sud, il Ticino a est e il Sesia a ovest, il cui centro storico e geografico è la città di Mortara, i due principi della cucina, così diversi fra di loro, trovano una sintesi in quello che viene definito appunto “salame d’oca di Mortara”. Un prodotto

che ha tradizioni lontane; già dal XV secolo, all’epoca di Ludovico il Moro, si lega con la presenza nella zona di comunità ebraiche, le quali erano molto legate alla prescrizione della religione che vietava loro il consumo di carne di maiale e quindi commissionavano ai salumieri della zona insaccati esclusivamente di carne d’oca. A rammentare l’antica fama del salame d’oca sono i versi del poeta GUIDO DA COZZO intorno alla metà del XIV secolo: “Ebbi in Mor-

tara in ripa del Molino / una locanda che si noma ‘Becco’ / che lo palato sazia al contadino / con grasse oche e schietto vino secco / e pur sallama d’oca in mostra trovi / che dar di gola fa chiunque prova”. Allontanate, a partire dal Seicento, le comunità ebraiche, per la popolazione di origine cristiana non sussisteva più alcun limite alla mescolanza con carni di suino e fu così che ebbero origine gli insaccati misti. È tuttavia dall’inizio del

Salame d’oca di Mortara. All’assaggio spicca un sapore dolce e delicato, tipico della carne d’oca.

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Il salame d’oca di Mortara ha la particolare forma del collo dell’oca o la forma tubolare se insaccato nella pelle del dorso e del ventre. 1900 che, da specialità locale, l’insaccato venne conosciuto da un pubblico più vasto, anche grazie al fatto che nel 1913, alla seconda Esposizione Internazionale di Parigi, la specialità gastronomica mortarese ottenne un riconoscimento ufficiale grazie alla partecipazione del salumiere CARLO ORLANDINI, il quale presentò un ricco campionario della sua produzione. Se le oche sono sempre state un animale domestico molto comune in tutto il Nord Italia, in nessun altro luogo è stato creato un prodotto simile al salame d’oca di Mortara, se non in Lomellina. Qui le oche hanno trovato da sempre un habitat adatto per il loro allevamento e hanno costituito, per le popolazioni locali, una fonte alimentare molto importante. In questa zona della Lombardia l’allevamento dell’oca ha tradizioni antichissime: da sempre, infatti, vi è abbondanza di acquitrini e ristagni d’acqua, nonché di vaste distese di terreno non coltivato; le oche, cibandosi di sterpaglie, foraggi verdi e granaglie, non hanno bisogno di essere allevate in modo intensivo, ma possono vivere allo stato brado. Proprio per questo la Lomellina si presta ad accogliere numerosi

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allevamenti di oche. In questa zona si è consolidata la tradizionale produzione del Salame d’oca di Mortara IGP grazie alla capacità degli operatori locali che hanno messo a punto peculiari tecniche di preparazione e stagionatura del prodotto in questione.

lo Lomellina, S. Giorgio Lomellina, Scaldasole, Semiana, Suardi, Torre Beretti, Tromello, Valeggio, Valle Lomellina, Velezzo Lomellina, Villa Biscossi, Vigevano, Zeme Lomellina, Zerbolò, tutti facenti parte della Lomellina in provincia di Pavia.

La zona di produzione L’indicazione geografica protetta Salame d’oca di Mortara è riservata al salame le cui fasi di lavorazione e trasformazione hanno luogo nella zona tipica individuata geograficamente dall’insieme degli attuali confini, comprendente i comuni di Alagna Lomellina, Albonese, Borgo San Siro, Breme, Candia Lomellina, Cassolnovo, Castellaro dé Giorgi, Castello d’Agogna, Castelnovetto, Ceretto Lomellina, Cergnago, Cilavegna, Confienza, Cozzo Lomellina, Dorno, Ferrera Erbognone, Frascarolo, Galliavola, Gambarana, Gambolò, Garlasco, Gravellona Lomellina, Gropello Cairoli, Langosco, Lomello, Mede, Mezzana Bigli, Mortara, Nicorvo, Olevano Lomellina, Ottobiano, Palestro, Parona, Pieve Albignola, Pieve del Cairo, Robbio Lomellina, Rosasco, Sannazzaro Dè Burgondi, Sartirana Lomellina, S. Ange-

La materia prima Il Salame d’oca di Mortara IGP è costituito da carne di oche nate, allevate e macellate nell’ambito dei territori delle seguenti regioni: Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia. Le oche, durante il periodo di finissaggio (ultimi tre mesi), devono essere alimentate esclusivamente con foraggi verdi e granaglie. L’animale macellato deve avere un peso medio non inferiore a 4 kg. La carne di maiale deve provenire da suini nati, allevati e macellati nell’ambito dei territori delle regioni Abruzzo, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Toscana, Veneto, Umbria, e deve essere ottenuta secondo le modalità previste dai disciplinari del Prosciutto di Parma DOP e/o Prosciutto San Daniele DOP.

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d) Rapporto acqua-proteine: max 3; e) pH: ≥ 5.

Una tipica garzaia della Lomellina, nel comune di Velezzo Lomellina (PV), ovvero un’area umida nella quale, nel corso dell’anno, nidificano numerose specie avicole. Le caratteristiche del prodotto All’atto dell’immissione al consumo il Salame d’oca di Mortara IGP presenta le seguenti caratteristiche. Caratteristiche organolettiche e merceologiche • Consistenza: l’impasto è consistente ed omogeneo e non deve sbriciolarsi; • Aspetto al taglio: la fetta si presenta compatta ed omogenea; la pelle dell’oca, quale involucro, deve rimanere al taglio ben aderente all’impasto ottenuto; • Colore della fetta: rosso scuro corrispondente alla carne d’oca, rosso

tenue corrispondente alla carne di suino, bianco corrispondente al grasso di suino; • Odore: il profumo è fine e delicato, caratterizzato dalla presenza di spezie; • Sapore: il sapore è dolce e delicato, tipico della carne d’oca; • Pezzatura: l’insaccato deve avere un peso non inferiore a 0,3 kg e non superiore a 4 kg. Caratteristiche fisico-chimiche dell’impasto a) Proteine totali: 17% minimo; b) Rapporto grasso-proteine: max 1,8; c) Rapporto collagene-proteine: max 0,3;

Come si produce Il Salame d’oca di Mortara IGP deve essere prodotto in base alle seguenti disposizioni: a) i tagli di carne che devono essere impiegati sono costituiti dalle seguenti parti: • 30-35% dalle parti magre dell’oca; • 30-35% dalle parti magre del suino, quali ad esempio coppa del collo e/o spalla e/o altri parti magre; • 30-35% dalle parti grasse del suino, quali pancetta e/o guanciale; b) la pelle dell’oca, opportunamente salata rifilata e cucita con spago di cotone, è utilizzata quale involucro che deve contenere l’impasto del salame; c) assume la forma del collo dell’oca e/o la forma tubolare se insaccato nella pelle del dorso e del ventre; d) è proibito l’uso di involucri artificiali o di pelle di altri volatili o di altri animali; e) la grana della carne e del grasso costituenti la pasta del salame deve derivare dall’impiego di un tritacarne con stampo avente fori da 8 a 10 millimetri; f) la miscela di salagione deve essere costituita esclusivamente da sale marino, nitrati e/o nitriti per quanto consentito dalla Legge, pepe, aromi naturali vari; g) il prodotto, dopo insaccato, deve essere opportunamente forellato e legato;

Ecumenico, il salame crudo d’oca kosher Ecumenico è il nome che GIOACHINO PALESTRO ha dato ad un salame 100% d’oca, ideale per essere consumato indifferentemente dagli osservanti delle tre religioni monoteiste: ebraica, islamica e cattolica. Realizzato esclusivamente con carne magra d’oca, lamata a coltello, insaccata a mano nella pelle del collo d’oca, unitamente ad aromi naturali, sale e pepe, l’Ecumenico viene prodotto dalla Corte dell’Oca in pezzature da 500-600 grammi. >> Link: www.cortedelloca.com

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h) il prodotto deve rimanere in locali aerati ad una temperatura variabile tra i 14 e i 18 gradi da 1 a 3 giorni in relazione alla pezzatura; i) dopo l’asciugatura viene sottoposto a cottura in apposita caldaia a temperatura media di 80 °C, necessaria a raggiungere la temperatura al cuore di circa 72-75 °C e successivamente raffreddato; j) il Salame d’oca di Mortara IGP viene commercializzato intero o affettato, confezionato in confezioni ermetiche idonee o sottovuoto. Riconosciuto il Consorzio di tutela del Salame d’Oca di Mortara Igp Lo scorso 18 gennaio 2017 il Ministero delle Politiche agricole ha riconosciuto il Consorzio di tutela del Salame d’oca di Mortara IGP quale soggetto incaricato, per i prossimi tre anni, di svolgere le funzioni di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e di cura generale degli interessi relativi all’indicazione, come previsto dalla Legge 526/1999. La sagra del salame d’oca Nella cittadina di Mortara, l’ultimo fine settimana di settembre di ogni anno si svolge, ormai dal 1966, la sagra di uno dei prodotti alimentari più noti della zona, insieme al riso di cui è degno compare. Oltre ad eventi sportivi e di intrattenimento — come la Mostra del Palmipede e la disputa del Palio dell’Oca, che le sette contrade mortaresi si contendono con il curioso “gioco dell’oca” con pedine umane — ci sono momenti di interesse culinario come La cucina dell’Oca, esposizione e premiazione delle ricette a base d’oca e serata gastronomica, nonché degustazioni di prodotti a base di oca con chioschi e banchetti allestiti per le vie cittadine. Il “Consorzio produttori Salame d’oca di Mortara” nasce nel 1967, in seguito alla prima sagra dedicata a questo prodotto tipico. L’evento enogastronomico fu una bella idea di un salumiere mortarese che comprese per primo l’importanza di diffondere la conoscenza del prodotto con una manifestazione di richiamo popolare cui associare la produzione tipica lomellinese (www.sagradelsalamedoca.it). Roberto Villa

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Stoccafisso e farine “vive” in un mulino d’altri tempi L’antico Mulino di Bert è stato costruito a Codroipo nel 1450 ed è attivo ancora oggi. Dal 1792 appartiene alla famiglia Zoratto, mugnai e battitori di stoccafisso. Quest’ultimo, in particolare, viene trattato con una tecnica che ne migliora la tenuta in cottura e l’assimilazione dei condimenti una volta terminata la preparazione in cucina. Una produzione d’eccellenza ottenuta con un maglio di legno azionato dalla forza motrice dell’acqua di Massimiliano Rella

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are uscito dalle fiabe: con la sua grande ruota di ferro battuto, i muri di pietra, il bosco sullo sfondo e un piccolo corso d’acqua che gli scorre accanto

azionando le pale, ci richiama alla memoria quegli antichi impianti indispensabili alle comunità contadine per rifornirsi di farine, polenta, cereali e per fare il pane.

L’antico MULINO DI BERT, a Codroipo, nel medio Friuli in provincia di Udine, è attivo e produttivo ancora oggi. Una sfida ai tempi moderni. Si trova a ridosso del Parco naturale delle Risorgive, una

Produzione di farina nel Mulino di Bert. Il mulino accoglie i visitatori e, con l’annesso negozio, è aperto dal lunedì al sabato (photo © Massimiliano Rella).

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curiosa area naturalistica di 45 ettari, piacevole da visitare anche grazie ai percorsi pedonali tra le acque affioranti. Inventariato dal Centro regionale di catalogazione e restauro dei beni culturali del Friuli Venezia Giulia, il Mulino di Bert è protetto come azienda storica. Si narra che fu costruito nel 1450 per volere di un tale signor Zorzi di Cotroipo, poi passato nei secoli in mani diverse. Il nome di Bert deriva da una famiglia di mugnai originaria di San Vidotto (oggi frazione di Camino al Tagliamento, UD) che lo gestiva nel 1674. Dal 1792 appartiene invece alla famiglia Zoratto, mugnai e battitori di stoccafisso, che all’epoca producevano per i conti Manin. Il mulino ha continuato a produrre ininterrottamente quando molti altri si sono fermati, caduti in rovina, mandati in pensione dai tempi moderni e trasformatisi in ruderi abbandonati. Il Mulino di Bert gira e rigira senza sosta la grande ruota del 1870 con i suoi 4,5 metri di diametro, assieme ad altre tre ruote più piccole e sempre antiche. L’acqua arriva da un canale artificiale, la Roggia di Sant’Odorico, realizzato nel Medioevo dai conti Cossio per deviare una parte d’acqua del fiume Tagliamento necessaria a produrre energia per attività produttive locali, infine riversandola nello Stella. Le macine sono in granito naturale, vecchie centinaia di anni. È stato aggiunto, però, nel 1945 un sistema di macine realizzato da tecnici ungheresi, con un laminatoio a quattro passaggi e una copia di macine con mola in sughero che servono a decorticare il farro. Negli anni sono state aggiunte anche tecnologie compensative per evitare discontinuità nell’approvvigionamento energetico. All’avanguardia è invece il confezionamento dei prodotti con procedure conformi alle normative comunitarie e nazionali.

Il maglio di legno, azionato dalla forza motrice dell’acqua, appiattisce i merluzzi essiccati delle isole Lofoten, battendoli su una base di pietra ma lasciandoli interi e compatti (photo © Massimiliano Rella). Gli unici battitori di stoccafisso in Italia Una lavorazione di eccellenza della famiglia Zoratto è quella dello stoccafisso, che viene trattato con una particolare tecnica di battitura che consiste in pesanti e ripetuti colpi di maglio, ben 150 al minuto. Il maglio di legno, azionato dalla forza motrice dell’acqua, appiattisce i merluzzi essiccati delle isole Lofoten, in Norvegia, battendoli su una base di pietra ma lasciandoli interi e compatti. È il calore provocato dal maglio che batte sullo stoccafisso a garantire che le fibre del pesce non si rompano, ma si “stirino”, così che la carne non si sgretoli all’apertura; un risultato non sempre scontato per i prodotti trattati con procedimenti industriali di pressatura. Quando lo stoccafisso battuto alla maniera del Mulino di Bert è immerso in acqua prima della cottura assorbe più liquido recuperando quasi tutto il volume originario. Il vantaggio è che il

Il mulino del 1450 è divenuto proprietà della famiglia Zoratto nell’Ottocento ed è uno dei più belli che si possano vedere, con tutte le strutture idrauliche in ferro battuto d’epoca ancora in funzione e utilizzate per macinare granaglie e per battere lo stoccafisso

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pesce tiene la cottura e assimila meglio i condimenti. Naturalmente, come per tutti i mulini, la produzione principale è quella di farina. Il mulino di Bert lavora cereali biologici e locali, di produttori selezionati. La farina di mais si ottiene dallo schiacciamento del chicco integro, conservando il germe e la crusca, quindi più profumata e saporita. La famiglia Zoratto produce alla vecchia maniera ben 14 tipi di farine, tra integrali per polenta, di grano duro per la panificazione e di grano tenero; oltre a 2 prodotti in chicchi, farro e orzo pilato, cioè privato soltanto degli involucri che uniscono i chicchi alla spiga. Entrambi richiedono un ammollo in acqua di 12 ore prima della cottura. Tra i frumenti utilizzati troviamo varietà come il Pannonikus, il Lukullus, il Ludwig, teneri e principalmente austriaci, e farri locali. Le farine del Mulino di Bert sono “vive”, naturali, prive di conservanti: da consumare in pochi giorni prima che producano le “farfalline”. In alternativa vanno chiuse in buste ermetiche e congelate. La produzione complessiva ammonta appena a 200 quintali l’anno. E sono vendute sfuse a un prezzo che varia da 1,90 €/kg a 3,60 €/kg. Massimiliano Rella Molino Zoratto Via Molini 70 33033 Codroipo (UD) Telefono: 0432 906143

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Pezzente, cultura lucana da mangiare Il Pezzente della Montagna Materana nasce dalla tradizione contadina. Dal profumo speziato ed intenso, è oggi tutelato da Slow Food di Giorgio Montanari

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aggettivo “pezzente” è solitamente usato in tono dispregiativo per indicare qualcuno su cui non riporre stima. Oggi impareremo come possa assumere il significato opposto decidendo di parlare il “gergo alimentare”. Il salume che analizzeremo nelle prossime righe è il Pezzente della

Montagna Materana: sotto questo nome si cela una specialità che, tanti anni fa, rappresentava parte dell’alimentazione dei contadini della piccola Basilicata. La storia tricolore insegna che, un tempo, il ceto meno abbiente era quantitativamente superiore alla popolazione ricca. Avendo a disposizione

poche risorse era essenziale ridurre al minimo gli sprechi di cibo. L’uccisione del maiale, sovente di proprietà della famiglia contadina, garantiva fonte di reddito grazie alla produzione di salumi di valore destinati alle tavole della classe agiata (guanciale, pancetta, soppressata) e, al contempo, donava spunti per recuperare le carni “meno

La modalità di consumo più comune del Pezzente della Montagna Materana è a fette, con un buon pane casereccio.

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nobili” trasformandole in ricette capaci di sfamare i meno fortunati. In passato, nel cuore della regione Basilicata, fra le foreste della Montagna Materana e del medio Basento, viveva una razza suina autoctona, il Nero di Lucania, che attualmente risulta essere particolarmente rara. Anche oggi, come in antichità, per la preparazione del pezzente si ricorre a maiali allevati allo stato brado in boschi dove sono in grado di cibarsi di radici, ghiande, funghi, tuberi. Dopo la macellazione, da questi animali autoctoni si recuperano tagli meno nobili per donare loro nuova vita. I nervetti, i muscoli meno facili da sminuzzare, rifilature di pancetta, il grasso non impiegato in altre lavorazioni, la zona della gola insanguinata all’atto dell’uccisione: queste parti del suino formano il caleidoscopio di ingredienti che porterà al Pezzente della Montagna Materana. Le carni vengono prima tagliate in listarelle e successivamente tritate a grana media. La loro aromatizzazione è composta da polvere di peperone dolce di Senise o peperone piccante, semi di finocchio selvatico, aglio fresco tritato, sale marino. La lavorazione avviene in maniera artigianale, nel rispetto delle tradizione. Gli scritti descrivono l’operazione di impasto delle carni con la concia (arricciatura in dialetto locale) come la fase più caratterizzante: l’addetto preme energicamente coi pugni il mix finché non ne riscontra una perfetta omogeneità. Completata l’arricciatura si valuta, prima dell’insacco, se gli ingredienti siano in grado di donare l’equilibrio desiderato: per fare questo si preleva una piccola parte del semilavorato e lo si soffrigge in un tegame (sartascnill). Se l’assaggio soddisfa l’operatore, questi procede con l’insacco in budello naturale, lasciando poi riposare il prodotto per qualche giorno in un ambiente caldo. L’ultima fase riguarda la stagionatura, variabile a seconda dell’utilizzo finale: dura tre settimane se il pezzente verrà consumato da solo, magari su una bella fetta di pane casereccio, e si ferma a due settimane se sarà impiegato in cucina come ingrediente per altri piatti (ad esempio il sugo per la pasta fatta in casa) oppure se verrà scaldato (possibilmente accompagnato da un trionfo di verdure cotte come verza, cicoria, scarola).

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Una volta in commercio, il Pezzente della Montagna Materana si presenta di forma cilindrica allungata, tendenzialmente a ferro di cavallo; il prodotto mostra un bel colore rosso vivo con variazioni cromatiche che evidenziano i differenti tagli presenti nell’impasto. Dal profumo speziato e intenso, all’assaggio stuzzica il palato rivelandosi complesso ma armoniosamente bilanciato. Di pezzatura ridotta, è uno di quei salumi preparati nella stagione fredda e quindi principalmente reperibile entro l’inizio dell’anno. Se non si consuma subito, può essere conservato sotto sugna anche per una decina di mesi. La selezione della materia prima, degli aromi naturali, l’insieme di procedure antiche hanno colpito Fondazione Slow Food tanto da rendere il Pezzente della Montagna Materana un presidio ricono-

sciuto e tutelato. La tradizione produttiva è portata avanti da poche realtà locali che ancora si battono per mantenere alta la bandiera della qualità. Al momento sono due i produttori che si adoperano a rispettare le antiche regole di produzione locali. Il pezzente è uno dei tre soli presidi della regione: gli altri due sono il caciocavallo podolico della Basilicata e l’oliva infornata di Ferrandina. Essendo l’unico prodotto regionale a base di carne riconosciuto da Slow Food, l’auspicio è che altri artigiani intraprendenti vogliano far conoscere questa specialità locale in tutta la regione… e non solo. Giorgio Montanari Nota L’autore ringrazia GIOVANNI CILIBERTI (www.saporimediterranei.net) per la gentile collaborazione.

Rosso e prezioso, il peperone di Senise Sole cocente, terreni sabbiosi e temperature elevate: la ricetta dei peperoni di Senise Igp è profondamente legata al territorio dove nascono, l’aspra valle del Sinni e dell’Agri tra le province di Matera e Potenza. La polpa sottile — spessa al massimo due millimetri — e povera d’acqua rende queste solanacee particolarmente adatte all’essiccazione. In dialetto lucano i peperoni secchi vengono chiamati “cruschi”, mentre il nome safràn o fafaràn rimanda alla polvere da essi ottenuta, che per colore e finezza ricorda quella dello zafferano. Dal gusto molto aromatico, viene utilizzata per insaporire e colorare insalate di pesce, risotti, creme di legumi, spezzatini di carne e, soprattutto, nella produzione di formaggi e salumi. I peperoni di Senise appartengono a una varietà di Capsicum annuum proveniente dalle Antille. Di colore rosso porpora o verde, hanno una forma appuntita, a tronco o a uncino, e sono lunghi dai 13 ai 17 centimetri. Il sapore è intenso, dolce e persistente. Seminati tra febbraio e marzo, si raccolgono a mano nella prima decade di agosto, a piena maturazione. Una parte di essi viene essiccata, con i metodi naturali della tradizione. Appena raccolti, i peperoni vengono posati su teli di stoffa e lasciati in locali asciutti e ben areati per almeno due o tre giorni, lontano dalla luce. Vengono poi appesi a mano con ago e filo dalla parte del picciolo in vere e proprie collane chiamate serte, di lunghezza variabile da 1,5 a 2 metri, che vengono lasciate all’esposizione dei raggi solari. I peperoni destinati alla polverizzazione, una volta concluso il processo di disidratazione, vengono poi passati al forno per eliminare ogni residuo di umidità (fonte: www.territori.coop.it).

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WEEK-END

Il ciavàr o salsiccia matta di Senigallia di Josette Baverez Blanco

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na scoperta gastronomica che vi troverà sono certa entusiasti: è la salsiccia matta senigalliese o ciavàr. In effetti, da prodotto tipico del centro storico della città marinara di Senigallia, dove non può mancare sulle tavole natalizie, si è infiltrata nelle valli, dove a volte la si può trovare stagionata o conservata sottolio. Questa salsiccia ha un legame speciale con la cittadina marchigiana, che deriva dalle sue origini. La ricetta ha poi attraversato le generazioni con il passaparola, tenuta gelosamente segreta dal 1800. Allora,

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solo i macellai collocati sotto le arcate del Foro Annonario, tre famiglie in particolare, CASTELLI, BASTARI e BADIOLI, ne conoscevano la preparazione e la regalavano ai loro migliori clienti per insaporire il brodo delle feste. Per i senigalliesi questo insaccato è un po’ come un biglietto da visita: me lo ha confermato un maestro macellaio incontrato in un agriturismo, che ho poi intervistato nel dettaglio su questo prodotto così poco conosciuto. La prima lavorazione inizierebbe a settembre con la preparazione del budello di vitellone, pulito, sgrassato e

messo sotto sale per due mesi. A metà dicembre (periodo in cui una volta si effettuava la macellazione del maiale) si procede con l’impasto: 65% di polpa magra di vitellone passata al tritacarne e 25% di polpa di coscia di maiale tagliata a pezzi, sale, pepe, aglio e un mix di spezie, la “saporita”, composto da coriandolo, cannella, semi di carvi (o cumino dei prati), anice stellato, noce moscata e chiodi di garofano. Si mescola bene il tutto e si aggiunge lardo di schiena suino. È molto importante impastare a lungo il composto, che deve diventare

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A sinistra: la Rocca Roveresca a Senigallia (AN) (photo © D. Fabri – Fotolia). In alto: il “ciavàr” o salsiccia matta senigalliese. Il colore del prodotto cambia in base alle carni utilizzate nell’impasto, che lo rendono più o meno scuro. C’è chi sostiene che il termine “salsiccia matta” derivi dal fatto che il procedimento lavorativo dell’insaccato tipico sarebbe così complesso e laborioso da far perdere la testa. Si può consumare fresco, cuocerlo al forno o sulla griglia, ma può essere conservato anche sottolio (photo © www.parcoforestecasentinesi.it).

omogeneo e morbido, senza granuli. Si prosegue con l’insacco nel budello, formando dei salsicciotti di circa 15 cm che vengono riposti in frigorifero e, l’indomani, sono “stufati” in un ambiente con mattoni refrattari, dopo essere stati appesi a dei supporti. Come avviene la stufatura? Si mette carbone di roverella in una stufa chiusa ermeticamente per quattro ore, ravvivando il calore ogni ora dato che tende a spegnersi in assenza di ossigeno. Una volta pulite dalle ceneri con un panno umido, le salsicce sono pronte.

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Un prodotto della saggezza contadina Considerato la “salsiccia dei poveri”, esistono diverse versioni del ciavàr, tipiche del versante romagnolo dell’Appennino (e qui conosciuto anche come anche zambudel). Sono per lo più composte dalle parti ritenute meno pregiate del maiale (ritagli di fegato, guancia e ritagli della disossatura della testa, polmone, cuore, milza, rene) e poco lardo, il tutto tritato una volta sola, quindi grossolanamente. Il colore varia in base alla tipologia delle carni usate, ma si presenta solitamente di un bel

rosso scuro, quasi violaceo, e questo spiegherebbe il suo nome: nel dialetto dell’Appennino tosco-emiliano, quando un ematoma vecchio di qualche giorno scurisce, si dice infatti che “ammattisce”. Le carni suine vengono lavorate con aglio, aromi e Sangiovese, vino locale, che ne ammorbidisce il sapore. Fresca, la salsiccia si cuoce in umido o in pentola con cipolle e fagioli. Si può anche fare al forno o sulla griglia (metodo che ne esalta il gusto speziato e un po’ piccante), o conservarla sottolio (come l’ho gustata io stessa). Josette Baverez Blanco

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SAPORI DAL MONDO

Il segreto della tsamarella è il caldo sole di Cipro La tsamarella è il primo presidio Slow Food di Cipro, individuato per lo stretto legame con un territorio dove si pratica da sempre la pastorizia. Insieme alla promozione del prodotto, si sostiene il recupero della Machaeras, razza caprina autoctona di Massimiliano Rella

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el paese di Statos-Ayios Fotis, sui monti di Pafos, a Cipro, il macellaio e norcino EVANGELOUS ALEXANDRU produce artigianalmente da 50 anni salumi locali come la salsiccia lukanica, aromatizzata alle erbe di macchia mediterranea, e la lountza, che è simile alla

nostra lonza stagionata, marinata però in vino rosso e leggermente affumicata. Tuttavia, il prodotto più importante del signor Alexandru — e della salumeria cipriota — è la tsamarella, specialità che è anche presidio Slow Food. Il laboratorio del signor Alexandru si trova nel centro di un grazioso villaggio

tappezzato d’alberi di noci, un regalo alla comunità locale da parte di un prete ortodosso originario di Ampelitis, come gli abitanti chiamano ancora il villaggio di Statos-Ayios Fotis. A parte la salsiccia marinata nel vino rosso, la carne e le salsicce fresche, in questo negozio spartano annesso alla casa

Tipico prodotto della salumeria cipriota, la tsamarella consiste in carne di capra disossata ed essiccata al sole. Si mangia tagliata a pezzettini e condita con origano.

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La tsamarella pronta da consumare. Il sapore è deciso, speziato, con un piacevole sentore di selvatico. di famiglia, soprattutto in estate viene prodotta artigianalmente la tsamarella. Tecnicamente si tratta di carne di capra disossata ed essiccata al sole. Quel piacevole sentore di selvatico Per preparare questo prodotto prelibato e un po’ salato, Alexandru utilizza carne di capre allevate localmente sui monti di Pafos, di età superiore ai 2 anni; carni non troppo tenere, ideali per l’essiccazione al caldo sole di Cipro. Il buffo norcino cipriota, con un simpatico baffone retrò, utilizza l’intero animale, sia il costato che le cosce: la capra viene letteralmente disossata da cima a fondo lasciando le carni unite e compatte. I pezzi di carne ripuliti sono cosparsi di sale marino e lasciati un giorno a perdere umori e sangue. Una volta asciugati, vengono riposti per 8-10 settimane all’aperto, in un gabbiotto di tessuto a “zanzariera” che impedisce l’ingresso di mosche e insetti. Ogni giorno vengono poi girati per ottenere un’essiccazione omogenea e, solo in caso di umidità, vengono ricoperti da teli.

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Dopo l’essiccazione naturale al sole — qui in estate si sfiorano i 40 °C — la carne viene bollita brevemente per ridurre la presenza del sale e addolcirne un po’ il gusto. A questo punto la tsamarella è pronta per essere cosparsa di origano, tagliata a pezzetti e mangiata. Ha una colorazione scura, tendente al bordeaux, poco grassa. Il sapore è deciso, speziato, con un piacevole sentore di selvatico, ma un po’ salata. Ecco perché abitualmente viene accompagnata da una birra fresca o da un bicchiere di ouzo, un distillato secco ottenuto da mosto d’uva, aromatizzato all’anice stellato. Noi l’abbiamo provata anche con la zivanìa, una grappa locale. «Le carni devono essere abbastanza magre e compatte, con uno strato di grasso che attenui in dolcezza e cremosità la parte magra, più fibrosa e salata» ci spiega Alexandru. «Il segreto di una buona tsamarella? La qualità della carne, il sole e il giusto apporto di sale». Il periodo di produzione si concentra in estate, stagione piuttosto lunga a Cipro, visto che a inizio ottobre le

temperature possono raggiungere anche i 35 °C. La tsamarella è il primo presidio Slow Food di Cipro, individuato per lo stretto legame con un territorio dove si pratica da sempre la pastorizia. Il presidio promuove il prodotto e la distribuzione sul mercato locale, facendolo conoscere anche oltre i confini attraverso le fiere. Non è secondario l’obiettivo di sostenere il recupero di una razza caprina autoctona, la Machaeras, adatta a pascolare nella macchia mediterranea delle colline cipriote grazie agli arti lunghi e al mantello a pelo corto, oggi ridotta a pochi esemplari presenti nella zona orientale dei monti Troödos. Il laboratorio della famiglia Alexandru (Elefterias 14, Statos-Ayios Fotis, Pafos, Cipro; telefono: +357 99558316, aperto lun.-dom. fino a orario di cena; se chiuso suonare a casa) produce in media kg 1.000 di tsamarella l’anno, venduta al negozio e nei mercatini locali a 30 €/kg. Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella.

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ANALISI DEL FOOD

Chiocciole, proprietà e usi in cucina Le chiocciole, denominate impropriamente lumache, un tempo considerate cibo dei poveri, sono oggi oggetto di attenzione da parte dei grandi cuochi, che usano le loro uova come caviale di Giovanni Ballarini

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nostri preistorici antenati mangiavano le chiocciole e le lumache (le prime con guscio, le seconde senza) prima ancora di scoprire il fuoco, la cucina e di sedersi a tavola.

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Nei territori attorno al Mediterraneo sono stati trovati i resti di chiocciole commestibili tra la fine del Pleistocene e l’Olocene (10.000-6.000 anni fa). Le chiocciole erano talmente amate

nell’antichità che i Romani crearono per quelle di Tarquinia, particolarmente apprezzate, un apposito metodo di elicicoltura. Il loro allevamento, praticato dal ricco proprietario terriero QUINTO

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Escargots à la Bourguignonne. La caratteristica di questo piatto tipico francese sta nella crema di burro con cui si farciscono, arricchita dal sapore forte dell’aglio e da quello deciso del prezzemolo (photo © teelesswonder – Fotolia).

FULVIO LIPPINO, è menzionato dal letterato, scrittore e militare reatino MARCO TERENZIO VARRONE nel De re rustica, che descrive i cocleari (in latino cochlea significa “chiocciola”), nei quali i molluschi

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venivano ingrassati con farina ed erbe aromatiche. Anche PLINIO IL VECCHIO parla di questi allevamenti e ricette di cucina aventi le chiocciole come protagoniste sono riportate nel De re coquinaria

del gastronomo MARCO GAVIO APICIO all’inizio dell’era corrente. Da non dimenticare che il cocleare, dal quale deriva il termine italiano di “cucchiaio”, pare fosse la posata usata dai ricchi

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Chiocciole al burro (photo © dbvirago – Fotolia). Romani per mangiare le chiocciole, estraendone il corpo dal guscio. Considerate dai cristiani non carne ma pesce, per molti secoli sono state in pratica raccolte. Per parlare di allevamento vero e proprio bisogna attendere tempi recenti: pare che si sia cominciato infatti verso il 1850, con la specie Cornu aspersum, in California. Secondo alcuni i primi a praticare l’allevamento per la produzione di escargot furono gli emigranti francesi; secondo altri sarebbero stati invece gli emigranti italiani a inventare e sviluppare l’elicicoltura negli Stati Uniti. Elicicoltura moderna L’elicicoltura è oggi praticata in molte parti del mondo e suscita sempre maggiori interessi economici e gastronomici. In Italia i primi allevamenti risalgono all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso: si parlava di 5 milioni di metri quadrati, che nel 1990 diventarono 40 milioni, per arrivare ai 70 milioni del 2010. Nel 2014 sul territorio nazionale si contavano circa 9.000 aziende professionali elicicole che coprivano il 49% della domanda interna, mentre il 61% proveniva dai Paesi dell’Europa

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dell’Est e dal Maghreb; la produzione era stimata in 225.000 quintali, con un valore dell’intera filiera pari a 210 milioni di euro, mentre il fatturato del prodotto interno era 120 milioni di euro l’anno. Nello stesso anno, nel mondo si consumavano 811.000 tonnellate di chiocciole delle specie Cornu aspersum e Helix pomatia, soprattutto in Francia (382.000 t), Spagna (245.000 t), Italia (40.000 t), Grecia (28.000 t), Portogallo (28.000 t) e resto del mondo (93.000 t). La produzione totale nel 2014 risultava così suddivisa: 342.000 t di prodotto fresco; 191.000 t di prodotto surgelato; 259.000 t di prodotto conservato e 19.000 t per l’uso farmaceutico. In Italia si allevano le seguenti specie: zigrinata (Cornu aspersum), che rappresenta l’80% del patrimonio elicicolo italiano, la vignaiola bianca (Helix pomatia), nota in Francia come gros blanc o escargot de Bourgogne, la rigatella (Eobania vermiculata) e la cozzella di campagna o bovoletto (Theba pisana). In Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna si trova l’Helix aperta. Molto diffusa in tutta Italia è l’Helix lucorum o lumaca dei boschi, la più grande di tutte le italiane, detta anche “vignaiola

scura” per il colore della sua carne. Altre specie di chiocciole sono l’H. nemoralis e l’H. hortensis. L’allevamento delle chiocciole può essere all’aperto (il più diffuso) o in serra, dove si fanno crescere i vegetali migliori per una sufficiente e adeguata nutrizione, ingrasso veloce e protezione dai raggi solari. I vegetali più usati sono il ravizzone ungherese o cavolo cavaliere (Brassica oleracea var. viridis), la bietola da coste (Beta vulgaris var. cicla), il radicchio spadone (Cichorium intybus), il trifoglio nano (Trifolium repens) e il girasole (Helianthus annuus). La raccolta delle chiocciole allevate può avvenire tutto l’anno, anche se è sconsigliata nei mesi invernali. Dopo questa operazione sono messe a spurgare i liquidi in eccesso in gabbie o casse di legno per 10-15 giorni, in un locale aerato, senza alcuna alimentazione, poi sono selezionate e infine confezionate. Nutrizionalità e dietetica delle chiocciole Le chiocciole più studiate sotto l’aspetto nutrizionale sono del genere Helix. La “carne” del mollusco è formata da acqua (83,97%), proteine (12,35%), sali

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La riduzione delle chiocciole, associata a un aumento delle richieste da parte dei gastronomi, negli ultimi tempi ha lasciato spazio ad allevamenti produttivi di alta qualità. In alta Italia, particolarmente in Piemonte, hanno un buon sviluppo, dando anche modo ad alcune industrie di fornire sul mercato il prodotto già spurgato e pronto all’uso oppure sottoposto ad una precottura o anche già trasformato in diverse preparazioni

Fricassea con funghi porcini (photo © www.cuisineactuelle.fr). (1,93%) e grassi (1,75%). Ha quindi un buon contenuto di proteine, dove gli amminoacidi essenziali sono ben presenti, e pochi grassi; abbondano i sali minerali, in particolare calcio e fosforo, che servono anche alla produzione della conchiglia, in larga parte costituita da fosfato di calcio. Una porzione di lumache (una dozzina) fornisce poco più di 80 calorie, ovviamente condimento escluso. L’umidità, con un valore medio prossimo all’80%, è tipica delle carni mature. Il valore medio del grasso indica che il muscolo ha ridottissime quantità di trigliceridi a vantaggio dei grassi strutturali; questo significa che le chiocciole, pur essendo animali terrestri con respirazione polmonare, hanno una composizione di acidi grassi simile a quella dei prodotti della pesca: ossia basse quantità di acidi grassi saturi (tipici degli animali terrestri) e monoinsaturi, ma alto contenuto di quelli polinsaturi, come gli animali marini.

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Non esistono rilevanti differenze tra chiocciole allevate o raccolte. Per il limitato contenuto di grassi, unitamente ad una corretta preparazione gastronomica, le chiocciole sono un alimento leggero e facilmente digeribile. Cento grammi di massa pedale fresca (circa 20 chiocciole) copre oltre il 60% del fabbisogno giornaliero di calcio e oltre un quarto di quello di ferro. La presenza di acidi grassi polinsaturi fa della chiocciola un alimento per tutti, senza dimenticare alcuni aspetti nutraceutici. Chiocciole, cibo italiano Le escargots, in modo particolare à la bourguignonne, sono il piatto nazionale dei francesi. O almeno questa pare l’opinione di un certo HACKWOOD, gastronomo inglese, che nel 1911 definì i francesi “mangiatori di lumache, rane e minestre”, in contrapposizione ai suoi connazionali, divoratori di beef and pudding. Due stereotipi, come quello de-

Delle chiocciole si mangiano anche le uova, una vera prelibatezza denominata, per similitudine a quelle di storione o altri pesci, “caviale”. Di un colore bianco perla, con un sapore delicatissimo, hanno un gusto particolarmente fresco

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gli italiani “mangiamaccheroni”. L’uso gastronomico francese delle chiocciole è infatti preceduto da quello italiano. Il PLATINA (1475) e lo SCAPPI (1570) menzionano, tra le altre, le salse all’aglio per accompagnare le lumache, e lo Scappi le serve nel loro guscio, condite semplicemente con l’olio. Nel 1569 il duca EMANUELE FILIBERTO DI SAVOIA rende franca la cosiddetta Fiera Fredda, il mercato di lumache che esisteva già in epoca gallo-romana, all’incirca duemila anni fa, a Borgo San Dalmazzo, celebre località in provincia di Cuneo. Nel secolo XIX, ne Il cuoco piemontese (Milano 1832 e Torino 1834) è riportata la ricetta delle chiocciole, lumache di vigna in fricassea di pollastri. Recentemente, anche in Italia, le chiocciole sono divenute più rare, a causa dei cambiamenti del territorio. Quelle che infestavano gli orti e soprattutto le vigne costituivano un raccolto che, se non è scomparso, si è molto ridotto a causa dei trattamenti “protettivi” chimici generici e specifici. Altre limitazioni quantitive derivano dalla regimentazione delle acque, che ha ridotto le zone acquitrinose e umide, e soprattutto dai cambiamenti climatici in atto, con calo delle precipitazioni e conseguente tendenza alla desertificazione, che non favorisce certamente la loro presenza. La riduzione delle chiocciole, associata a un aumento delle richieste da parte dei gastronomi, negli ultimi tempi ha lasciato spazio ad allevamenti produttivi di alta qualità gastronomica. In alta Italia, particolarmente in Piemonte (prima nella zona di Borgo San Dalmazzo, poi a Cuneo e soprattutto Cherasco) hanno un buon sviluppo, dando anche modo ad alcune industrie di fornire sul mercato il prodotto già spurgato e pronto all’uso oppure sottoposto ad una precottura, fattori che ne facilitano l’utilizzo in cucina, oppure già trasformato in preparazioni gastronomiche di qualità. Non va comunque taciuto che vi sono considerevoli importazioni dai paesi orientali di chiocciole allevate e di specie differenti dalle nostrane o da quelle europee, in molti casi di cattiva qualità, come l’Achatina fulica, molto grossa, che dev’essere considerata una vera e propria sofisticazione gastronomica. Sulle preparazioni culinarie delle chiocciole esiste poi un’interessante bibliografia, con ricette tradizionali e

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Caviale di chiocciole (photo © Studio NickelKrome). innovative, che indicano un’evoluzione del gusto. Un tempo, soprattutto nelle cucine tradizionali, erano preminenti trattamenti forti e pesanti (ricchi di grassi), dai sapori decisi, che facevano largo uso di aromi (in modo particolare aglio) e spezie. Oggi si tende a rendere evidenti sia i sapori e gli aromi specifici e naturali delle singole specie di chiocciole, sia quelli derivanti dalle loro provenienze e dalle loro alimentazioni, nel quadro quindi di una cucina leggera e del territorio. Chiocciole nutraceutiche e terapeutiche Già IPPOCRATE, nel IV secolo a.C., vantava i benefici dell’impiego di chiocciole e lumache contro le affezioni ginecologiche e nei parti, mentre PLINIO IL GIOVANE suggeriva l’impiego di una pomata di lumache sbollentate contro il mal di schiena. Ai giorni nostri potrebbero giovarsene alcuni casi di ipertrigliceridemia

e ipercolesterolemia e chi affronta una dieta dimagrante. Uova o caviale di chiocciole Delle chiocciole si mangiano anche le uova, una vera prelibatezza denominata, per similitudine a quelle di storione o altri pesci, “caviale”. Ogni animaletto vive da tre a sei anni e inizia a deporre, a sei mesi di vita, 3-5 grammi di uova per volta. Dopo essere state selezionate, le uova sono immerse in una soluzione e quindi confezionate sotto vetro al naturale. Di un colore bianco perla, con un sapore delicatissimo, hanno un gusto particolarmente fresco, con un lieve sapore di terreno che le rende indicate in abbinamento al pesce, soprattutto crudo. Il caviale di chiocciola ha un costo elevato e il vasetto più piccolo, da 50 grammi, è in vendita a circa 150 euro. Se non è pastorizzato o sottovuoto, si conserva per tre mesi in frigorifero da 0 a 10 °C.

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Allevamento elicicolo in Sicilia (photo © www.economysicilia.it). Bava o muco delle chiocciole Quando una chiocciola striscia sul terreno o su una foglia lascia una sottile striscia di muco o bava dalle particolari caratteristiche che aprono nuove prospettive per l’elicicoltura, con una doppia redditività da allevamento: la vendita del prodotto finito per la gastronomia e lo sfruttamento della bava stessa. La raccolta della bava avviene con diversi metodi; il più recente e innovativo utilizza l’ozono, che permette un’estrazione in totale benessere dei molluschi. Si ottiene un prodotto sanificato di alta qualità chimica e organolettica, superando i limiti delle bave estratte con stimolatori invasivi e stressanti (aceto, sale, scosse elettriche, vibrazioni…) usati in precedenza. La bava o muco delle Helix aspersa contiene: • allantoina (0,3-05%): stimola la rigenerazione dei tessuti, promuove il turnover epidermico e favorisce la proliferazione dei cheratinociti, sostituendo le cellule morte con nuove cellule; • elastina: proteina che rende elastica la pelle; • collagene (0,1-0,3%): costituente della pelle che agisce come idratante e ammorbidente e, per le sue

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proprietà elasticizzanti, la rende tonica e morbida; • acido glicolico (0,05-0,1%): permette di esfoliare gli strati superficiali della pelle e stimola la formazione del collagene nel derma, rendendo la pelle più luminosa; • acido lattico (0,05-0,1%); • vitamine e amminoacidi essenziali: promuovono la vascolarizzazione periferica, l’idratazione della cute, svolgendo anche un’attività antiossidante e cicatrizzante). Nel loro complesso, i costituenti della bava svolgono attività dermatologiche antinfiammatorie, lenitive, ristrutturanti delle cellule, utili per una naturale funzione esfoliante che riduce gli inestetismi della pelle umana, quali acne, smagliature, macchie cutanee, cicatrici, rughe e scottature. Un altro utilizzo del muco di lumaca in campo farmaceutico è la produzione di sciroppi per combattere patologie legate all’apparato respiratorio e gastrico che sfruttano anche le sue proprietà batteriostatiche. Infatti, la ghiandola dell’albumina, che fa parte dell’apparato riproduttivo della chiocciola, elabora una sostanza di natura proteica

denominata elicina che si lega ai linfociti, responsabili della difesa diretta nei confronti di agenti esterni come batteri, cellule tumorali, ecc… Secondo studi eseguiti in particolare in Giappone, la bava che ricopre le lumache del tipo Helix e Achatina esercita una forte azione antibatterica, che per l’Achatina fulica riguarda i batteri Bacillus subtilis, Staphylococcus aureus, Escherichia coli e Pseudomonas aeruginosa, con un potere antibatterico del muco simile a quello della streptomicina. Su questi elementi si può interpretare l’antica tradizione della “cura della lumaca viva”, estratta dal guscio e deglutita viva per la cura di infiammazioni, o addirittura ulcere, dello stomaco e dell’apparato digerente. In Italia il muco delle chiocciole destinato all’industria farmaceutica è considerato un sottoprodotto di origine animale, categoria 3 dell’articolo 10, lettera 1, del Reg. CE 1069/2009, richiamato da una nota del Ministero della Salute del 23 giugno 2016, mentre per un suo eventuale uso alimentare è da considerare come un novel food, con la relativa normativa. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


NUTRIZIONE

Sale negli alimenti: ancora troppo alto ma qualcosa si muove Si moltiplicano le azioni volte a ridurne il contenuto, anche attraverso un consumo più consapevole di Roberto Villa

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l Regolamento UE 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, nell’Allegato XIII stabilisce in 6 grammi il limite di riferimento per l’assunzione giornaliera di sale, mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) suggerisce un consumo massimo quotidiano di 5 grammi. Eppure questi valori sono largamente ecceduti in molti alimenti presenti in

commercio. Se escludiamo quei prodotti tradizionali dove il sale è l’unico elemento conservante e non si può pensare ad una grande riduzione per via della tecnologia produttiva codificata nei secoli, la cui variazione snaturerebbe il prodotto — basti pensare alle nostre principali DOP e IGP come i prosciutti a denominazione di origine, il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano — la battaglia per avere alimenti sempre più

rispondenti a criteri di “mantenimento della salute” è appena iniziata. Sono diverse infatti le iniziative sorte in vari paesi europei per fare pressione sulle industrie affinché diminuiscano sensibilmente in tutti gli alimenti il contenuto in sodio — e quindi in sale; il rapporto sodio: sale è di 1:2,5 — soprattutto quelli dove esso è abbastanza occultato e poco percepibile, cioè dove il cibo non è identificato come salato ma può

Sale marino. In Europa i valori dell’assunzione giornaliera di sale consigliati dalle autorità si aggirano intorno ai 5-6 grammi, ma i consumi reali della popolazione europea sono decisamente al di sopra (photo © librakv – Fotolia).

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Salagione del prosciutto toscano (photo © www.prosciuttotoscano.com). contenerne valori non trascurabili in relazione alle quantità ingerite (pasta, riso, pane, pizza, cracker, grissini, fette biscottate, dolci, biscotti). Recenti ricerche hanno messo in luce ad esempio che nei Paesi Bassi il consumo medio giornaliero è di 9 grammi, mentre in Slovenia si superano addirittura i 14 grammi, un valore quasi tre volte superiore a quello consigliato dall’OMS. Quanto all’Italia, uno studio del 2015 pubblicato sul British Medical Journal1 ha rivelato che il valore medio nazionale è intorno ai 9 grammi, con variazioni significative tra regioni dove il consumo è inferiore a tale valore (Abruzzo, Molise, Trentino Alto-Adige, Valle d’Aosta, Lombardia, Toscana) rispetto ad altre nelle quali si evidenziano consumi decisamente superiori ai 10 grammi (Piemonte, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia). Tale studio ha correlato il consumo di sale al livello di istruzione: più la popolazione ha un titolo di studio elevato minore è l’ingestione di sale con la dieta, indice di una maggiore coscienza della nocività dell’eccesso di sale.

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Da dove proviene il sodio che assumiamo? I cibi conservati e precotti rappresentano la fonte principale, con oltre il 50%, mentre il 35% deriva dal sale direttamente aggiunto sui cibi in tavola; la rimanenza è a carico dei cibi freschi. La Commissione europea stima che più del 75% del sale venga assunto dai cibi industriali o consumati fuori casa. Se da un lato l’indicazione delle porzioni sugli alimenti di fabbricazione industriale aiuta il cittadino ad un consumo consapevole — “una porzione da 40 grammi contiene …”, “un biscotto contiene…” — è altresì vero che è necessaria un’educazione alimentare orientata alla valutazione di tutte le fonti di sodio che normalmente vengono assunte, al fine di evitare un effetto sommatoria nella stessa giornata oppure per far seguire ad una giornata con cibi ricchi di sale un’altra dove si cerca di compensare. Non c’è dubbio, infine, che l’obbligo dell’indicazione delle informazioni nutrizionali in etichetta, in vigore nell’Unione a partire dal 13 dicembre 2016, abbia costituito per tutti i produttori un

pungolo alla ricerca di nuove soluzioni orientate ad una maggiore salubrità dei cibi, con riferimento in particolare al tenore in grassi saturi, zuccheri, sale. E i primi risultati già si vedono: le analisi realizzate dall’Autorità della Sicurezza Alimentare della Repubblica d’Irlanda hanno mostrato una riduzione del contenuto in sale nel bacon, nei prosciutti cotti e nelle salsicce rispettivamente del 27%, 15% e 11% comparate con la precedente rilevazione. Come si stanno muovendo le associazioni di consumatori Nei Paesi Bassi un’associazione di consumatori ha fatto realizzare da un laboratorio indipendente delle analisi sui principali cibi industriali a marchio della GDO (piatti pronti, prodotti a base di carne). I risultati hanno messo in luce notevoli differenze tra il valore analitico e quello di alimenti simili: in taluni casi il valore riportato sulle confezioni non era accurato, pur considerando l’incertezza analitica (valore effettivo più alto o più basso di quello scritto in etichetta); pertanto è nata una mozione al Parlamento

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per intensificare il monitoraggio e porre dei vincoli all’industria e alle organizzazioni commerciali. Già dal 2014 è stato istituito un comitato scientifico con potere consultivo riguardo i contenuti in sale, zuccheri e grassi saturi dei cibi venduti sul territorio dello Stato. Tuttavia, le indicazioni fornite non sono state sempre accolte dai produttori. Per questo motivo alcuni gruppi politici vorrebbero che le opinioni del comitato divenissero vincolanti per l’industria e per gli artigiani ma vi è ancora un dibattito aperto sul tema. Analoga situazione in Francia, dove un’associazione di consumatori ha fatto analizzare oltre 130 alimenti presenti negli scaffali dei supermercati, confrontando ove possibile i risultati con quelli degli stessi prodotti analizzati nel 2013: su 77 prodotti analizzati a distanza di tre anni, solo 13 avevano ridotto il tenore di sodio. L’associazione ha quindi redatto una linea guida per costruire una dieta più povera di sodio scegliendo tra prodotti analoghi quelli più benefici al contenimento della pressione arteriosa mentre sta agendo verso il Parlamento perché ponga dei limiti restrittivi alle industrie. Effetto dell’eccesso di sale nella dieta Il consumo in eccesso di sodio comporta un innalzamento della pressione arteriosa, la quale rappresenta un fattore di rischio per malattie cardiovascolari, cerebro-vascolari e renali. Un consumo entro i 6 grammi al giorno rispetto ai 9-10 medi di molti paesi europei consente di ridurre da 6 a 8 mmHg la pressione arteriosa sistolica (la cosiddetta pressione massima); insieme ad altre buone pratiche quotidiane come l’attività fisica, il consumo contenuto di alcool e una dieta ricca di frutta e verdura nonché il controllo del peso corporeo può contribuire nel complesso ad una riduzione da 25 a 40 mmHg. L’Unione Europea considera che il 36% delle malattie croniche sia direttamente legata all’ipertensione arteriosa. Roberto Villa Nota 1. CAPPUCCIO F.P. et al. (2015), Varianti geografiche e socioeconomiche del consumo di sale e potassio in Italia: le risultanze del programma MINISALGIRCSI, BMJ Open 2015.

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RASSEGNE 4ª edizione dell’evento organizzato da Gambero Rosso e Antica Corte Pallavicina

Salumi da Re nella corte del Culatello di Zibello

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opo il successo dello scorso anno, è tornato in scena all’inizio del mese di aprile, quasi a salutare la felice e profumata stagione primaverile, Salumi da Re, quarta edizione del raduno nazionale di allevatori, norcini e salumieri, evento ideato e organizzato da GAMBERO ROSSO e ANTICA CORTE PALLAVICINA e dedicato alla produzione salumiera italiana di qualità. La splendida corte di Massimo e Luciano Spigaroli ha di nuovo aperto le porte alla manifestazione che ha saputo valorizzare un settore

dell’enogastronomia italiana importante e in continua evoluzione, diventando punto d’incontro e scambio tra le grandi, medie e piccole aziende norcine del Belpaese. Oltre 60 realtà imprenditoriali partecipanti tra aziende di salumi, pane e lievitati, extrasettore, cantine e birrifici hanno aderito all’iniziativa. Il tema principale della tre giorni è stato quello dei salumi innovativi, declinato in incontri, convegni e laboratori dedicati alle nuove frontiere della produzione salumiera. Per le aziende norcine è stata una bella occasione per presentare

un salume esclusivo e innovativo della propria produzione. Non sono mancati i salumi classici, quelli tradizionali (da pentola e quelli realizzati con le carni delle antiche razze suine) — per la prima volta a Salumi da Re si è degustata la salama da sugo, un salume unico che risale al ‘500 — e le specialità salumiere delle zone terremotate. Gli incontri, sotto la regia sempre magistrale di MARA NOCILLA, curatrice della Guida Grandi Salumi, hanno visto la partecipazione di esperti del settore e sono stati scanditi da degustazioni

Mara Nocilla e Massimo Spigaroli, proprietario con il fratello Luciano di Antica Corte Pallavicina, sono le due anime di Salumi da Re, l’evento che promuove i “salumi buoni” nella magnifica cornice di questo castello a ridosso del fiume Po. La quarta edizione ha avuto come tema centrale “I salumi innovativi”, variamente approfondito attraverso incontri con produttori, convegni e laboratori.

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1) I salumi tipici toscani del Salumificio Gerini di Pontassieve (FI). 2) I titolari dell’azienda artigianale Salumi Martina Franca con il loro meraviglioso capocollo, premiato dal Gambero Rosso. 3) Foto di gruppo delle aziende norcine e degli espositori che hanno preso parte all’edizione 2017 di Salumi da Re.

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1) Simone Fracassi, grande macellaio e norcino toscano in quel di Castel Focognano (AR). 2) Maurizio Molinari e un collaboratore del Laboratorio dei Salumi Tre-T di Cremona. 3) Massimo Corrà e Edi Roncelli della Macelleria Corrà di Coredo (TN) con le loro specialità trentine, tra cui la famosa Mortandela e la nuovissima Panzeta Castel Thun. 4) Il norcino savonese Giovanni Giacobbe e signora della Macelleria Giacobbe di Sassello, al confine tra il Piemonte e la Liguria. Nella giornata di sabato Giovanni ha preso parte al convegno “Il buon salame: l’importanza della filiera” con un incontro-tutorial sulla produzione di salumi e con la partecipazione di Tre Spade. 5) Dalla Larderia Fausto Guadagni di Colonnata, Carrara (MS), lardo classico e spalmabile. 6) Le mortadelle del Salumificio BBS di Novellara (RE). di salumi con vini e birre artigianali in abbinamento pensati appositamente per l’occasione dal presidente Unione Degustatori Birre MAURO PELLEGRINI e GIORGIO MELANDRI, collaboratore della guida Vini d’Italia del GAMBERO ROSSO.

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Con un pensiero speciale a Norcia. «Abbiamo voluto dedicare un pensiero brassicolo a questa importante capitale della gastronomia mondiale e alle ferite infertele dal terremoto» hanno dichiarato Melandri e Pellegrini. «Lo

abbiamo fatto con una birra presentata al pubblico proprio a Salumi da Re: la J.I.B. del birrificio Hibu, una Belgian Dark Strong Ale veramente sui generis, che grazie a qualche grado alcolico in meno e a una luppolatura generosa,

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1) Culatello di Zibello, strolghino, coppa e i migliori salumi tipici della Bassa Parmense di Antica Corte Pallavicina. 2) La carne suina di origine esclusivamente italiana di ProSus, Cooperativa Agricola di Produttori di Suini di Vescovato, Cremona. 3) Anna Paola Giacobazzi e Angela Sini con i vini di Cantina della Volta. 4) Il nocino, i liquori e i distillati de Il Mallo di Pozza di Maranello (MO). Allo stand, Roberta Pirronello e Giovanna Freno. 5) La bresaola della Valtellina firmata Paganoni. 6) Il prosciutto di Carpegna Dop di Fratelli Beretta. Lavorato e stagionato tra le colline del Montefeltro, dove l’aria salmastra dell’Adriatico accarezza il San Leo per 14 mesi, il prosciutto di Carpegna viene stuccato con farina, sugna, paprica e pepe. Ne risultano fette sorprendentemente soffici, dal colore leggermente ambrato e dalle note inconfondibilmente aromatiche. rispetto allo stile di riferimento, si abbina perfettamente alle tradizionali creazioni norcine. J.I.B. è l’acronimo di Jesus Is Back: un pensiero pasquale genuino e sincero, tra il sacro ed il profano, per persone e imprese che hanno veramen-

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te bisogno di un aiuto vero. Per non disperdere un patrimonio infinito, oggi così gravemente in pericolo». Nell’edizione 2017 della rassegna si è rafforzata la sinergia con “Cento mani di questa terra”, l’incontro annuale

organizzato dall’associazione CheftoChef Emilia-Romagna che riunisce cuochi, professionisti del gusto, produttori e fornitori della regione. >> Link: www.salumidare.it

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FIERE

A Parma una due giorni all’insegna dell’efficienza e del business internazionale Archiviata la prima edizione del nuovo evento fieristico parmense dedicato al food & beverage italiano: soddisfatte le aziende alimentari partecipanti e i buyer. Appuntamento con Cibus a maggio 2018

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a regina francese dello stile COCO CHANEL amava ripetere: “prima di uscire, guardati allo specchio e levati qualcosa”. Seguendo i consigli di Miss Coco, quindi, eliminare qualche accessorio dal proprio abbigliamento sarebbe sempre la scelta migliore perché la nostra immagine nel suo complesso ne possa trarre immediatamente vantaggio. Visitando i padiglioni che hanno ospitato Cibus Connect, innovativo appuntamento ideato da FIERE DI PARMA e FEDERALIMENTARE, si è avuta la netta impressione che gli organizzatori abbiano fatto qualcosa di molto simile: dritti all’essenziale! Evitando comunque qualsiasi confronto con quella grandiosa manifestazione che è Cibus — il Salone Internazionale dell’alimentazione che per la prossima edizione si svolgerà a Parma dal 7 al 10 maggio 2018 — il format di questa nuovissima e intensa due giorni (12 e 13 aprile) ha regalato un’aura di immediatezza all’esposizione, dimo-

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stratasi un concentrato di efficienza e spirito internazionale. Scelte azzeccate quelle dedicate agli stand (400 le aziende espositrici), ridotti negli spazi, con un’estetica lineare, molto pulita, in contrasto con l’ampiezza riservata invece all’area show cooking, di grande respiro, estremamente fruibile, dove sono state presentate con grande seguito, anche grazie alla presenza di chef molto noti e vere e proprie stelle della gastronomia, tutte le novità di prodotto. Significativo e, soprattutto, decisamente efficace il lavoro fatto in precedenza dallo staff organizzativo per richiamare i buyer esteri in fiera: erano infatti almeno 1.000 quelli arrivati nella cittadina emiliana, attratti anche dalla contemporaneità con il Vinitaly di Verona. 10.000 gli operatori complessivi presenti tra la prima e la seconda giornata, che, dai commenti rilevati, si sono detti tutti piacevolmente colpiti da questo “nuovo Cibus”, che si terrà negli anni dispari e prevederà

sempre un mix di esposizione, una ricca parte di workshop e convegni finalizzati alla divulgazione dei temi di attualità in ambito food e retail e business matching. La soddisfazione convinta delle aziende alimentari «È un progetto molto innovativo — ha riferito FRANCESCO MUTTI, CEO di Mutti Spa — ed il risultato è stato eccellente, per cui vanno fatti i complimenti a Fiere di Parma. La manifestazione è snella, con un’efficacia rara in termini di costi di struttura». «Cibus Connect è stata una sorpresa positiva» ha confermato il presidente di Granarolo GIANPIERO CALZOLARI. «Il nostro stand ha registrato una buona presenza di buyer, sia italiani che stranieri, ed abbiamo presentato i nostri prodotti congelati, dedicati soprattutto all’export». «La dislocazione separata di stand e show cooking è molto innovativa — ha rilevato NICOLA LEVONI, presidente

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dell’omonima azienda di Castellucchio (MN) e di ASS.I.CA., l’Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi — e ci ha permesso di ampliare la comunicazione alla clientela. Molto utile anche il pratico stand pre-allestito». Soddisfazione espressa anche da NICOLA BERTINELLI, presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano: «è stata un’occasione ottima per dare visibilità ai prodotti del territorio». Food made in Italy: connettiamoci col mondo A Cibus Connect si è tenuto, sia nella prima giornata che nella seconda, il forum internazionale “Posizionamento del Made in Italy Alimentare nell’evoluzione internazionale dei consumi”, organizzato da Fiere di Parma e TEHAmbrosetti. I lavori della seconda giornata sono stati aperti da ANDREA OLIVERO, viceministro delle Politiche Agricole e Alimentari, il quale ha invitato «tutti gli

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Sono stati 10.000 gli operatori presenti alla prima edizione di Cibus Connect. Almeno 1.000 i buyer esteri in fiera. Molto apprezzata l’area riservata agli show cooking. attori a fare la propria parte e a dare un contributo per il potenziamento dell’export agroalimentare: il Governo, favorendo e facilitando l’accesso ai mercati e vigilando nel contempo sulla autenticità dei prodotti; gli imprenditori, facendo massa critica e insieme promuovendo

strategie comuni di crescita che possano trovare un valido strumento nelle denominazioni DOP e IGP, che al meglio rappresentano l’alto valore aggiunto che i nostri prodotti traggono dagli imprescindibili legami con i territori di origine».

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Il Consorzio del Prosciutto di Parma. A Cibus gli chef Gaetano Simonato, Stefano De Gregorio e Claudio Gatti hanno realizzato gustose ricette con questa eccellenza made in Italy.

«Qui a Cibus Connect le imprese vengono a illustrare cosa differenzia il sistema produttivo italiano rispetto a tutti gli altri Paesi» ha dichiarato LUIGI SCORDAMAGLIA, presidente di FEDERALIMENTARE, intervenendo in chiusura di manifestazione. «Ricordiamo che la produttività per ettaro della Pianura Padana è la più grande del mondo. L’industria alimentare ha imboccato con decisione la strada dell’innovazione e della sostenibilità. Le innovazioni di prodotto, tuttavia, non devono snaturarlo». VALERIO DE MOLLI, CEO di The European House Ambrosetti, ha presentato la ricerca “Sostenere la crescita di lungo periodo e l’internazionalizzazione delle imprese del settore food & beverage in Italia”. «Nel rapporto sono state evidenziate le forze e le debolezze del food made in Italy anche dal punto di vista

Gran Naturale è la linea di prosciutti crudi che BP Prosciutti, del Gruppo Suincom, ha creato per chi apprezza questa eccellenza gastronomica italiana e che richiede un’alimentazione sana e leggera… naturale insomma! Gran Naturale viene stagionato nel moderno stabilimento abilitato all’export USA “Royal Prosciutti” di Sala Baganza (PR) con un metodo 100% naturale, senza l’aggiunta di alcun conservante o additivo chimico. Per la salagione viene usato unicamente il sale marino naturale, non raffinato né sbiancato chimicamente. Presentata lo scorso anno a Cibus, la linea Gran Naturale ha spiccato nuovamente nello stand di BP Prosciutti a Cibus Connect 2017. Nello stand, Valentina e Roberto Agnani, rispettivamente presidente di Royal Prosciutti e presidente del Gruppo Suincom, con Andrea Micheli, Diego Rossi, Marco Cioni, Andrea Ganzerli e Alessandro Masetti. >> Link: www.bpprosciutti.it

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Slow Food Italia ha portato a Cibus Connect oltre 40 produttori di piccola scala selezionati dall’associazione. Numerose le aziende che hanno deciso di presentare le proprie produzioni ad un nuovo pubblico in questo nuovo evento: dai formaggi al pane, dai salumi ai dolci alla pasta artigianale e alla carne (in foto, la mortadella e il salame rosa della bolognese Artigian Quality). «Da sempre lavoriamo per favorire la nascita di relazioni tra le piccole aziende alimentari di eccellenza del nostro Paese, in primis i presidi Slow Food, e il mondo degli operatori professionali — ha commentato Roberto Burdese, consigliere delegato di Slow Food Promozione — perché è solamente grazie ad efficienti reti di distribuzione che possiamo riuscire a far conoscere questi prodotti a un pubblico sempre più vasto, continuando così a proteggere la biodiversità e promuovere l’educazione alimentare dei cittadini».

Levoni annuncia a Cibus Connect la partnership con Renato Bosco Per Levoni — storica azienda italiana specializzata nella produzione di salumi di Castellucchio (MN) — Cibus Connect è stata l’occasione per annunciare, a top buyer nazionali e internazionali, l’importante partnership con Renato Bosco. Una partnership che nasce in modo naturale perché frutto di un incontro tra visioni in armonia tra loro: la stessa attenzione per la qualità delle materie prime, lo stesso amore per la migliore tradizione italiana e la stessa passione per le cose fatte bene. Più di trent’anni di esperienza nel mondo del pane, della pizza e nell’arte della lievitazione conferiscono a Renato Bosco uno straordinario tocco e una particolare sensibilità per gli impasti, tanto da essere inserito, nel 2015 in concomitanza con le celebrazioni di Expo, nei 50 chef italiani scelti per rappresentare la cucina italiana nel mondo. Quello fra i salumi Levoni e i suoi celebri impasti è una collaborazione fra eccellenze della tavola che rappresentano con orgoglio gusti e sapori tutti made in Italy. Made in Italy che Levoni interpreta con oltre 300 salumi certificati 100% italiani perché ottenuti da suini nati, allevati e trasformati in Italia. Con la selezione delle spezie più pregiate che vengono macinate subito prima di essere aggiunte agli impasti. Con miscele esclusive di legni di montagna per un’affumicatura dal gusto inconfondibile. E perché il buono sia di tutti e per tutti, i prodotti Levoni sono senza glutine e senza lattosio. >> Link: www.levoni.it

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Consorzio del Prosciutto di Modena Dop: pronti per gli USA «Cibus Connect mette insieme le aziende agroalimentari italiane che esportano e i grandi buyer internazionali per favorire lo sviluppo internazionale del made in Italy alimentare: non potevamo non essere presenti» mi dice un indaffarato Davide Nini, presidente del Consorzio del Prosciutto di Modena Dop, seduto ad uno dei tanti e decisamente affollati tavolini all’interno dell’ampio stand dedicato. «Siamo qui per confermare e dare continuità alla nostra presenza al Cibus “originale” — prosegue Nini — che in questa nuova veste ci consente di essere ancora più efficienti, usufruendo oltretutto della grande visibilità concessa dall’ente fiera ai Consorzi di tutela. Lo scorso anno le autorità americane hanno riconosciuto ad alcune aziende consorziate l’idoneità all’esportazione negli Stati Uniti: questo è un importante traguardo per un Consorzio piccolo come il nostro, sia dal punto di vista simbolico, che, soprattutto, concreto, dal punto di vista commerciale. Non dimentichiamoci, infatti, che l’America rappresenta il più grande mercato extra-UE». Il prosciutto di Modena Dop è già presente nel mercato canadese e, dal mese di febbraio (in seguito all’approvazione da parte dell’Europarlamento del Ceta), con il proprio nome originale. In Europa è molto apprezzato in Germania, Svizzera, Inghilterra e Francia. >> Link: www.consorzioprosciuttomodena.it

A sinistra: Davide Nini. A destra: Daniele Reponi ha preparato una speciale degustazione con il Prosciutto di Modena Dop.

A Cibus il Caseificio Busti punta sulla linea Bio, naturalmente buona Belli e colorati come fiori e come fiori altrettanto profumati: sono i formaggi della linea Bio Busti. Quattro a caglio vegetale (Frescopecora Bio Crosta Fiorita; Pecorino Marzolino Bio Senza Lattosio; Pecorino Semistagionato Bio; Pecorino Bio Curcuma e Pepe) e uno con caglio animale (Pecorino Stagionato Bio a Latte Crudo). Una gamma di prodotti originale e innovativa, con cui il Caseificio di Acciaiolo di Fauglia (PI) si è presentato alla fiera di Parma all’interno dello stand del CCPB, organismo di certificazione e controllo dei prodotti agroalimentari e no food ottenuti nel settore della produzione biologica. «Bio Busti è il marchio distintivo dei formaggi biologici del Caseificio di famiglia» mi racconta Marco Busti (in foto). «È una linea pensata per riscoprire il sapore del latte fresco, in nome della semplicità e della genuinità. I pecorini sono realizzati con latte biologico certificato, proveniente da allevamenti del territorio tosco-laziale — una dichiarazione di provenienza specifica presente anche in etichetta — che rispettano l’ambiente e il benessere degli animali». La stagionatura al naturale e i trattamenti in crosta con ingredienti privi di conservanti e additivi rappresentano un aspetto peculiare della produzione Busti Bio.Tutta la lavorazione è artigianale, fino al confezionamento, rigorosamente manuale. >> Link: www.caseificiobusti.it

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Lo stand del Gruppo Levoni di Castellucchio (MN). degli oltre 200 retailer internazionali intervistati per questa occasione. Il comparto alimentare italiano ha dimostrato una straordinaria resilienza alla crisi avendo fatto crescere di oltre il 13% il fatturato aggregato negli ultimi 15 anni, a fronte di un crollo della produzione industriale manifatturiera di 25 punti percentualiÂť. Nel corso del workshop organizzato da GDO WEEK e MARK UP è stata analizzata la responsabilitĂ di essere impresa che, al di lĂ dei bilanci sociali, è tempo entri nel DNA delle imprese, diventandone coscienza sociale. In questo contesto si è parlato di Sud, partendo dal presupposto che, per il nostro Paese, il meridione può e deve diventare una risorsa importante, le imprese devono tornare ad investire, ma nel modo giusto ResponsabilitĂ per chi opera nella filiera del consumo, dalle aziende dell’agroalimentare a quelle della distribuzione, significa anche educazione alimentare: quanto possono (e devono) incidere le aziende della filiera del consumo per aiutare gli Italiani a nutrirsi meglio? Nel corso del workshop è intervenuto FRANCESCO PUGLIESE, AD di Conad, che ha sottolineato come la ÂŤGrande Distribuzione debba assumere un ruolo sociale ed agire da collante tra il prodotto ed il consumatore. E il prodotto deve andare sempre piĂš verso la natura, l’ambiente, essere fair trade, riciclabile e di basso impatto ambientaleÂť.

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Durante il convegno di Agrifood Monitor, Nomisma e Crif, si è parlato anche del rischio Brexit per l’export dei salumi italiani, nel caso in cui venissero applicati nuovi dazi. Tanto piĂš che l’interesse dei consumatori inglesi per i salumi è elevato, come dimostra il fatto che circa l’87% di loro li ha acquistati almeno in un’occasione negli ultimi 12 mesi e il 57% piĂš volte nel corso di una settimana. Fari puntati sul mercato USA nel workshop organizzato da THE PROGRESSIVE GROCER. I rivenditori di prodotti alimentari gourmet nel mercato statunitense hanno una cosa in comune: devono affrontare una concorrenza piĂš spietata che mai da parte di tutti i canali di vendita al dettaglio. I rivenditori, qualsiasi siano i loro volumi di vendita, hanno bisogno di differenziarsi. In questo incontro, i relatori hanno condiviso le loro storie di successo, spiegando l’origine dei loro prodotti, il ruolo del cibo e dei vini italiani nei loro negozi, discutendo in generale di tutto ciò che influenza al momento il mercato statunitense. Di e-commerce nel comparto alimentare si è parlato anche al workshop di ICE Agenzia, durante il quale è stata presentata la nuova piattaforma B2B per l’outsourcing della distribuzione Rangeme.com, e nell’area Slow Food, grazie al progetto Foodscovery, un mercato on-line al servizio di produttori e operatori professionali. La piattaforma permette a chiunque di ordinare pro-

0DVVLPD PRELOLWj HG HŕŠ•FLHQ]D con la soluzione M-ERPÂŽ di CSB-System: tutte le funzioni complete GHO VRIWZDUH (53 VHPSUH H RYXQTXH

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1) Da oltre 100 anni Negroni rappresenta in Italia e nel mondo il meglio della tradizione gastronomica del Belpaese. 2) Prosciuttificio San Pietro di Lesignano Bagni (PR). 3) IBis Salumi di Busseto (PR). 4) Lo staff al femminile dell’Acetaia Leonardi di Magreta (MO) e Davide Nini. 5) Arca Gualerzi di Pilastro di Langhirano (PR) produce dal 1924 salumi tipici del comprensorio parmense, associando alla tradizione artigianale una tecnologia di lavorazione all’avanguardia. 6) Alcar Uno di Castelnuovo Rangone (MO) seleziona e acquista tagli primari di suino e li lavora personalizzandoli a seconda delle richieste di mercato. dotti icona della gastronomia regionale direttamente da contadini, pescatori, allevatori, trasformatori, produttori rappresentativi della tradizione locale saltando tutti i passaggi della distribuzione tradizionale. Nel corso della due giorni si sono tenuti altri numerosi workshop, tra

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cui quello organizzato da LEBENSMITTEL ZEITUNG sulla GDO tedesca, due organizzati da LSA, uno sui prodotti bio in Francia e Benelux e l’altro sui prodotti gourmet e regionali francesi; infine, due workshop organizzati da CONFIMPRESE, sulla ristorazione commerciale e sulla ristorazione travel.

In fiera sono anche stati presentati i Tespi Awards, i premi dell’eccellenza assegnati alle aziende che si sono distinte nell’ideazione e realizzazione di attività di marketing e comunicazione durante il 2016. >> Link: www.cibus.it

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All’edizione 2017 di Tuttofood un made in Italy agroalimentare in gran forma

Grande, bella e ricca: la Milano World Food Exhibition parla col mondo

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hiude i battenti con numeri decisamente positivi la 6a edizione di Tuttofood, il salone internazionale B2B dedicato al food & beverage organizzato da Fiera Milano e tenutosi dall’8 all’11 maggio presso la fiera di Rho. Quattro giorni di incontri d’affari, relazioni e contenuti di qualità che rafforzano i risultati record della passata edizione, svoltasi in concomitanza con Expo. 80.146 visitatori professionali, il 23% dei quali provenienti da 141 paesi esteri

e una presenza di paesi extraeuropei pari al 45%. Significativo il dato dei business match generato dalla nuova piattaforma MyMatching, apprezzata anche come supporto in manifestazione grazie all’app: oltre 30.000 gli incontri prefissati tra i 2.850 espositori, di cui 500 esteri (+10%), e i 3.150 buyer profilati. I buyer italiani hanno apprezzato molto l’incremento degli appuntamenti mirati, le numerose iniziative dedicate in particolare sotto l’egida dell’iniziativa Retail Next, e l’ampia visibilità di

espositori stranieri, incluse le collettive. Tra i buyer, particolarmente numerose le delegazioni dai Paesi target di questa edizione — USA, Canada, Sud America, Germania e Paesi del Golfo — con presenze interessanti anche da mercati storici come Francia, Benelux e Regno Unito e da quelli a maggiore tasso di crescita quali Cina, India, Sudest asiatico, Africa, anche grazie alla stretta collaborazione con ICE-Agenzia che ha portato al quartiere fieristico milanese 250 nuovi buyer. «Per vendere

Tuttofood ha consolidato i risultati record dell’edizione di Expo: quattro giorni di incontri d’affari, relazioni e contenuti di qualità, dimostrando, una volta di più, di essere un potente strumento per gli incontri B2B, capace di soddisfare le esigenze di compratori ed espositori (photo © www.tuttofood.it).

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«Oggi si aprono nuove prospettive per l’export agroalimentare — ha commentato il ministro per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Maurizio Martina (in foto) — e Tuttofood si conferma piattaforma fondamentale per lavorare in stretta relazione con il territorio. Il mondo guarda all’Italia come riferimento per cibo e salute, ci vogliono regole giuste in mercati aperti che facilitino il lavoro delle piccole e medie imprese».

Tuttogood, siamo tutti più buoni Il cibo non è solo un prodotto. È anche e, soprattutto, condivisione. E non c’è modo più gratificante per viverne questa dimensione che utilizzarlo per dare un aiuto concreto a chi ha più bisogno. È quello che ha fatto anche quest’anno Tuttofood con Tuttogood: l’iniziativa che, alla fine della manifestazione, ha raccolto il cibo ancora in ottime condizioni di conservazione, non entrato in contatto con il pubblico, e lo ha messo a disposizione dei partner del terzo settore Banco Alimentare e Associazione Pane Quotidiano per distribuirlo alle persone in condizioni di difficoltà socioeconomica attraverso i centri di riferimento. Tuttogood 2017 ha raccolto grande consenso tra gli espositori, permettendo di raccogliere 13.000 kg tra misti freschi (1.450 kg), secchi (6.500 kg), bibite (750 kg), prodotti congelati (730 kg), salumi e verdure. Portando avanti lo spirito del 2015, la lotta agli sprechi alimentari è stata infatti uno dei leitmotiv di questa edizione, non solo negli incontri specialistici che si sono tenuti in fiera, ma anche coinvolgendo i 48.000 cittadini e turisti che hanno partecipato agli eventi in città del fuori salone Week & Food, attraverso iniziative di sensibilizzazione come la foodie bag — versione 2.0 della doggie bag — che una selezione di ristoranti milanesi ha distribuito durante la settimana. Secondo un report di Barilla Center for Food & Nutrition e Fondazione Thompson Reuters, in Italia si sprecano circa 110 kg a testa di cibo l’anno, ma la situazione sta migliorando e il nostro Paese ha ottenuto un punteggio di 100 su 100 nelle politiche per la lotta allo spreco.

L’alleanza di Tuttofood con Seeds & Chips ha portato in fiera il Global Food Innovation Summit con la presenza di start-up, aziende, università e istituzioni protagoniste della Rivoluzione agrifoodtech 4.0, oltre che di contenuti di conoscenza di alto livello. A Seeds & Chips l’ospite d’onore è stato Barack Obama (in foto), 44o Presidente degli Stati Uniti d’America. Hanno partecipato inoltre Sam Kass, l’ex chef-consigliere della Casa Bianca, Kerry Kennedy, presidente del Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Rights, ed oltre 200 speaker di alto profilo da tutto il mondo.

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1) Ibis Salumi, marchio di Italia Alimentari. 2) Formaggi e salumi del Gruppo Galbani. 3) Sono gli Stati Uniti la nuova frontiera di ProSus, la storica cooperativa produttori suini di Vescovato (CR), al Tuttofood con una nuova e più incisiva strategia promozionale che punta sulle fiere internazionali di settore. 4) Felsineo, leader nella produzione e nella commercializzazione della mortadella Bologna Igp. 5) Il Consorzio del Parmigiano Reggiano a Tuttofood. Allo stand occhi puntati sulla biodiversità che caratterizza questo straordinario formaggio, spaziando dalle razze alle certificazioni religiose, passando per stagionature e caratteristiche dei territori di produzione. 6) La Paganoni di Chiuro (SO) ha portato a Milano la selezione top della propria produzione. «Un’azienda attenta alla tradizione — spiega Nicola Paganoni — anche se non mancano le novità per venire incontro ai gusti diversi che si fanno strada: se dunque regnano la Maestosa o la Granbresaola, ecco che compaiono Vestis, a tasso ridotto di sale, e Diavola, con il peperoncino».

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1) Fratelli Beretta, marchio storico della salumeria italiana. 2) Matteo Marchetti e il cortador Raffaele Bertolini in fiera con la carne e i salumi di Gutrei Galicia. 3) Stefano Bencistà Falorni e il figlio Andrea dell’Antica Macelleria Falorni di Greve in Chianti (FI). 4) «Per noi è stato un grande successo: sono stati tantissimi i clienti e i visitatori che sono passati ad assaporare il burro e i formaggi del maestro del gusto» ha dichiarato Umberto Milano, della Occelli Agrinatura di Farigliano (CN). Fotografati nello stand, Beppino e Carlo Occelli. 5) Angela Fiorini e Simone Sargentoni del Caseificio Il Fiorino di Roccalbegna (GR). 6) Il caseificio Busti di Acciaiolo di Fauglia (PI) mette a segno un importante successo in una manifestazione di carattere internazionale come il salone milanese ottenendo il premio #atuttaqualità con l’ultimo nato della linea Bio Busti, il Pecorino Curcuma e Pepe a caglio vegetale. «Questo premio ci esorta ad andare avanti sulla strada che ci siamo prefissati da tempo — ha dichiarato il titolare Stefano Busti, in foto — ovvero, qualità e innovazione nel solco della tradizione e dei valori del territorio».

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Passione per la carne per tradizione.


E-Marco Polo, porta cinese dell’e-commerce per il food made in Italy Durante Tuttofood è stata presentata anche la nuova grande vetrina di e-commerce per le aziende e i brand del nostro Paese che intendono operare nel mercato cinese, E-Marco Polo, che oggi conta già diverse migliaia di prodotti venduti, oltre 100 referenze disponibili di food & beverage, 11.000 follower, 150.000 visitatori unici mensili. E-Marco Polo è l’e-shop B2C su Tmall Global di Alibaba, uno dei più grandi portali B2C e-commerce nel mondo, per vendere direttamente i prodotti italiani ai consumatori cinesi senza avere una presenza fisica nel paese. La società è una delle più importanti iniziative strategiche di “sistema Paese” ed è nata in seguito al Memorandum di Intesa siglato tra il Governo Italiano e il Gruppo Alibaba. Ha come partner industriali il Gruppo Cremonini, leader nella produzione e distribuzione di prodotti del food & beverage, la società di consulenza strategica specializzata su innovazione e internazionalizzazione delle imprese The Cambridge Management Consulting Labs (CMC Labs) e, come partner finanziari, Intesa Sanpaolo e Unicredit. «E-Marco Polo — ha spiegato il CEO Stefano Scarsciotti — è una vetrina B2C che funge da general contractor e permette di vendere i prodotti direttamente con un servizio end-to-end, con le attività di logistica a supporto dei processi di export/import, marketing, customer care, oltre alle strategie e alle azioni di brand-marketing. Grazie alla nostra piattaforma flessibile e modulare, copriamo l’intera value chain dell’export in Cina». Augusto Cremonini, presidente di E-Marco Polo, ha ricordato che la società «capitalizza l’enorme esperienza nella distribuzione internazionale del Gruppo Cremonini e il mercato cinese rappresenta una grande opportunità per l’e-commerce di prodotti alimentari. Considerando che la cucina italiana è la più apprezzata a livello mondiale, riteniamo che E-Marco Polo possa dare enormi vantaggi alle esportazioni dei produttori del nostro paese, soprattutto a quelli di piccole e medie dimensioni». >> Link: www.emarcopolo.it

1) La Negrini Salumi di Renazzo (FE). 2) A Milano anche il Salumificio artigianale Chiapella di Clavesana (CN). Allo stand Alessandro ed Elisabetta Chiapella. 3) Roberto e Valentina Agnani, BP Prosciutti, Gruppo Suincom, con Roberto Pini, Gruppo Pini. 4) Il numero 38 debutta ufficialmente nelle sale dell’alta gastronomia italiana attraverso la vetrina della fiera internazionale milanese: allo stand Wüber tutta la storia di Hans Gotsch, mastro salumiere che con il suo taccuino ha inspirato un modo tutto nuovo, gusto ed artigianale di concepire il tradizionale würstel.

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1) Acetaia Leonardi di Magreta di Formigine (MO). 2) Allo stand del Salumificio Scarlino di Taurisano (LE), Attilio Scarlino intervistato da Luca Sardella. In fiera, l’azienda pugliese ha presentato la nuova gamma di prosciutti cotti, una selezione speciale di würstel e i nuovi kabanos, presto disponibili anche sul mercato italiano. 3) A Milano anche una selezione dei prodotti del Prosciuttificio Salumificio Antica Foma di Nonantola (MO). 4) Matteo Barbieri con Luca e Lorenzo Levoni di Alcar Uno, Castelnuovo Rangone (MO). sul mercato francese — ha dichiarato PASCAL CHARROPPIN, dirigente di GPW — è indispensabile essere presenti nella GDO, che copre oltre l’80% delle vendite retail complessive. A Tuttofood abbiamo trovato i prodotti gourmet della tradizione italiana, che arrivano così a una platea più ampia». Articolati i punti di vista dei buyer extraeuropei. Per NINA LIU, assistant general manager della catena cinese Tube Station, «la classe media comincia ad apprezzare anche gli aspetti salutari del cibo italiano, ad esempio scegliendo olio d’oliva extravergine. La moda del momento però è il vino, in particolare

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rosso. Qui in fiera abbiamo raccolto materiale su prodotti food sia per le esigenze salutistiche, sia per quelle di tendenza». Per quanto riguarda gli Stati Uniti — primo mercato extraeuropeo per l’export F&B italiano — da segnalare la presenza con un team di ben 18 buyer di Walmart, che proprio a Tuttofood ha siglato con ICE-Agenzia un accordo che porterà sugli scaffali dei 3.600 supermercati della catena una gamma di produttori piccoli e medi di qualità sotto un brand tutto italiano. Oltre 500 sono stati i momenti di approfondimento fra Academy, Retail Plaza, Spazio Nutrizione e Seeds &

Chips, che hanno confermato Tuttofood come polo che aggrega le filiere rivolgendosi a tutte le tipologie di attori del settore, anticipando trend e innovazione, oltre che momento irrinunciabile di business. Bene infine anche il debutto del “fuori salone” Week & Food che, con oltre 48.000 partecipanti ai propri eventi in città, ha contribuito per circa un quarto ai 178.000 partecipanti complessivi alla Food City milanese. L’appuntamento con la prossima edizione di Tuttofood è a Fiera Milano dal 6 al 9 maggio 2019. >> Link: www.tuttofood.it

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Falcone: salumi come BIO comanda «Noi non produciamo salumi, li creiamo». Così inizia la nostra chiacchierata durante il Tuttofood milanese con Antonio Falcone (primo a destra in foto, con la figlia Alessandra, la cognata Franca e il fratello Giuseppe), titolare con il fratello Giuseppe e le rispettive consorti (l’attuale composizione societaria si è costituita nel 2013) dell’omonimo salumificio di Camigliatello Silano (CS). La storia e l’identità del Salumificio Falcone sono profondamente intrecciate alla terra di Calabria, alle sue tradizioni, alla sue eccellenze gastronomiche e, in particolare, al meraviglioso Parco nazionale della Sila, un’area suggestiva e selvaggia, unica nel suo genere. «A Camigliatello c’è la sede storica della nostra azienda e sempre qui, in una baita di legno, siamo nati io e i miei fratelli: la famiglia Falcone si tramanda il mestiere dal 1846! C’è quindi un legame molto forte con la nostra regione e soprattutto con la natura del parco, un ambiente incontaminato, e i suoi animali». Nel logo del salumificio compaiono infatti il falco alato della Sila, il bovino di razza Podolica (le corna) e il suino (il naso) Nero di Calabria. Questa unione profonda con il territorio ha fatto sì che, alla proposta tradizionale di tutta la gamma della produzione artigianale salumiera calabrese, se ne affiancasse un’altra, biologica, ‘A Chianca – Bio, presentata lo scorso anno al Cibus di Parma. «Chianca deriva dal latino planca (tavola, asse) e indica la tavola di pietra o legno su cui si lavora la carne» prosegue Antonio Falcone. «‘A Chianca è prima di tutto una bottega, un negozio/laboratorio sito fisicamente in via Roma a Camigliatello Silano. Ma è anche una linea di prodotti, realizzati con carne certificata biologica: salumi come soppressata, salsiccia, ‘nduja, capocollo, lombo, guanciale… e il Falcone, un salame tipo Felino di suino Nero calabrese insaccato in budello gentile che ha riscosso un grande successo. Prodotti veri, di antica tradizione, che rappresentano perfettamente la parte sana della Calabria, quella che ci piace trasmettere, raccontare e, naturalmente, portare a tavola». Ma anche tutta questa “naturalità” non era sufficiente e così, un salume alla volta, si è deciso di eliminare anche i conservanti (al momento sono disponibili solo tre referenze, ‘nduja, salsiccia e soppressata — in foto — ma, gradualmente, verrà estesa a tutta la linea biologica). «Gli animali con i quali vengono realizzati questi salumi sono suini neri di razza Calabrese, che ci vengono forniti da due aziende del territorio che inizialmente non credevano nel nostro progetto» racconta Falcone. «I suini sono tutti allevati allo stato brado o semi-brado nel territorio del Parco della Sila e bevono quindi acqua di sorgente. Una parte in un querceto di 143 ettari nel comune di Acri (CS): qui si alimentano con quello che trovano sul terreno, come succede in Spagna nella dehesa per i Pata negra. Il secondo allevamento si trova a 1500 metri s.l.m., in un castagneto, e il cibo in questo caso è rappresentato prevalentemente da radici, favino, mais e triticale. Il terreno è per entrambi biologico certificato con completa assenza di OGM. Come se non bastasse, qui abbiamo l’aria più pulita d’Europa! (dati della ricerca del Laboratorio Nanodiagnostics di Modena, NdR)». I maiali vengono macellati verso i 16/18 mesi, ad un peso di 165-180 kg. Una carne salubre, con un lardo ricco di acidi grassi polinsaturi Omega-3. «La nostra attenzione al benessere degli animali è scrupolosa: i controlli e le visite in allevamento sono per noi un appuntamento pressoché quotidiano» conclude Antonio. «Siamo tra i promotori del BioDistretto del Parco nazionale della Sila costituitosi recentemente: una realtà che riunisce le aziende biologiche che operano in quest’area. Perché il nostro fine ultimo resta sempre quello di valorizzare la nostra terra e le sue eccellenze». Naturalmente. >> Link: www.salumificiofalcone.it

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Prosciuttificio IL CONTE S.r.l. Via Sant’Ambrogio, 4 – Fraz. Bazzano 43024 Neviano degli Arduini (PR)


FORMAGGIO GDO e ristorazione alla scoperta del “Re”

Parmigiano Reggiano: unico e diverso

L

a conferma (ed è solo l’ultima in ordine di tempo) è venuta anche dal recente Tuttofood di Milano: acquisiti gli elementi fondativi e peculiari del prodotto (l’assoluta naturalità, il legame con il territorio, le caratteristiche organolettiche, l’artigianalità), il mondo della distribuzione italiana ed estera vuole conoscere altri elementi che fanno parte del valore aggiunto espresso in modo unico e singolare dal Parmigiano Reggiano. Non una curiosità fine a se stessa, ma, al contrario, l’interesse a valorizzare meglio (creando valore economico,

e non solo culturale) peculiarità la cui conoscenza è stata per lungo tempo appannaggio di pochi appassionati ed esperti. Fra gli elementi sui quali oggi si va maggiormente concentrando l’attenzione del mondo della distribuzione e della ristorazione (e proprio su questo Tuttofood ha rappresentato un’evidente conferma) spiccano le diverse caratteristiche del “re dei formaggi” in funzione della stagionatura e le migliori tecniche per presentarle adeguatamente ai consumatori. Un interesse che segna un deciso “cambio di passo” rispetto alla

percezione e al vissuto del prodotto, le cui possibili lunghissime stagionature (minimo 12 mesi, ma poi anche oltre i 40-48 mesi) venivano in buona misura ricondotte all’alveo di record da stabilire per entrare nel Guinness di primati. Ora, e in questo è stato decisivo il lavoro avviato alcuni anni fa dal Consorzio di tutela, si afferma, invece, un’attenzione inedita rispetto al mutare degli aromi e dei sapori e delle caratteristiche nutrizionali generali (compresa l’assenza di lattosio) che proprio le diverse stagionature determinano, accrescendo la fruibilità (e soprattutto

Grazie al suo aroma inconfondibile a al suo sapore unico, il Parmigiano Reggiano è un ingrediente insostituibile in cucina. Perfetto da solo per gli aperitivi e i piccoli spuntini, ottimo se accompagnato con frutta fresca, noci, miele.

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Magazzino per la stagionatura delle forme.

Fra gli elementi che attraggono oggi l’attenzione del mondo della distribuzione e della ristorazione spiccano le caratteristiche diverse del Parmigiano Reggiano in funzione della stagionatura e le migliori tecniche per presentarle al consumo

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l’apprezzamento) del Parmigiano Reggiano sia come alimento che come ingrediente particolarmente versatile e capace di abbinamenti fino a ieri impensabili. La ristorazione e la distribuzione italiana appaiono le più interessate a queste singolarità, così come a stabilire maggiori relazioni dirette con quei 340 caseifici artigianali che compongono l’universo Parmigiano Reggiano. «Non è un caso» sottolinea il direttore del Consorzio di tutela RICCARDO DESERTI. «Le relazioni stabilite in questi anni con questi grandi mediatori dei nostri valori hanno puntato proprio su questo. Ci siamo messi nei loro panni, come si usa dire, per offrire conoscenze che si trasformano in leve di vendita e in proposte di consumo nuove, più efficaci rispetto ad un’evoluzione dei consumi e a stili di vita che, insieme alla ricerca del prodotto salubre, certificato, italiano, frutto di tradizioni consolidate, richiedono più servizi sul come gustare, sul come usare e sul come conservare al meglio i cibi che hanno queste caratteristiche». Da qui, dunque, le nuove domande cui il Consorzio ha risposto in molti modi. «Basti pensare — spiega Deser-

ti — che abbiamo prodotto anche un video tutorial per guidare gli operatori della distribuzione al taglio tradizionale a coltello della forma, unendo la spettacolarità dell’operazione (40 chilogrammi custoditi da una crosta più o meno spessa in base alla stagionatura) alla migliore presentazione del prodotto con i suoi colori più o meno intensi e i profumi (d’erba, di latte, di fiori, di frutta fresca o secca, a seconda, anche qui, dell’invecchiamento) che si sprigionano dal banco del fresco e invadono i punti vendita. Al mondo della ristorazione di qualità — prosegue Deserti — proponiamo continuamente appuntamenti, formazione e informazione, eventi gastronomici e degustazioni, e il successo del lancio del club “Io scelgo Parmigiano Reggiano”, cui hanno già aderito oltre 350 ristoranti italiani, è indice di una bella convergenza di interessi attorno al nostro prodotto». Il progetto lanciato dal Consorzio si innesta su una relazione che cambia sostanzialmente nella sua natura, trasformando un rapporto commerciale tra produttori e acquirenti del mondo della ristorazione in una vera e propria partnership.

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Tutto questo grazie ad un percorso che non entra solo nel merito delle caratteristiche del prodotto e del suo legame particolare con il territorio, ma suggerisce le strade più efficaci affinché l’affezione al prodotto diventi un elemento che genera un particolare valore per i ristoranti. È così che, alle informazioni generali sul prodotto, si affianca la degustazione di Parmigiano Reggiano di 18, 24 e 48 mesi, la dimostrazione pratica del modo migliore di apertura della forma e del come si porziona e si scaglia per la migliore presentazione in tavola. «Il confronto, comunque — spiega Deserti — non si esaurisce con la valorizzazione dei gusti che il prodotto assume nel tempo, ma va anche ad approfondire, cifre alla mano, i costi

e i vantaggi dell’uso del Parmigiano Reggiano rispetto ad altri formaggi, nonché il valore che si lega all’associare ai piatti il nome del caseificio produttore, la specifica area di provenienza e le sue particolarità. Il progetto va così a rafforzare anche il legame diretto tra ristoratori (e quindi i consumatori) e produttori, in un percorso di trasparenza che valorizza la scelta sulla qualità che, anche alla luce dei costi, è perfettamente compatibile (e lo dimostrano proprio le adesioni al club “Io scelgo Parmigiano Reggiano”) con ristoranti di tutti i tipi e fasce di prezzo». Ma unico e diverso il Parmigiano Reggiano non lo è soltanto in funzione delle stagionature. Proprio per questo, l’attenzione degli operatori del

commercio e della ristorazione si va concentrando sempre di più anche sul prodotto di montagna (700.000 forme ogni anno, la più elevata produzione di un formaggio dop in aree montane), sulle diverse razze di bovine allevate e sulle particolari certificazioni religiose (Kosher e Halal) per le stagionature. A queste, anche in occasione di Tuttofood, il Consorzio ha dedicato due giornate di presentazione e di approfondimento, con un particolare focus sul Parmigiano Reggiano di montagna, oggetto di uno specifico Progetto qualità che certifica non solo i caseifici, ma anche le singole forme che possono fregiarsi dello specifico marchio adottato sulla base delle normative europee. >> Link: www.parmigianoreggiano.it

Consorzio Parmigiano: Nicola Bertinelli nuovo presidente Nicola Bertinelli, 44 anni, imprenditore ai vertici dell’azienda agricola Bertinelli di Medesano (PR), è il nuovo presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano. Laureato in Scienze Agrarie e in Economia e Commercio, un master in Business Administration all’Università di Guelph (Canada), Bertinelli è stato eletto all’unanimità dal CdA dell’ente lo scorso aprile. A tre giorni di distanza dall’assemblea generale dei consorziati, si è così completato il percorso che ha portato al rinnovo degli organi di governo del Consorzio attraverso le assemblee sezionali di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova e Bologna. Bertinelli sarà affiancato alla vicepresidenza da Guglielmo Garagnani (vicario, sezione di Modena), Sergio Frignani (presidente della sezione di Mantova) e Ugo Scalabrini (sezione di Reggio Emilia). «Il primo obiettivo del nuovo Consiglio — ha sottolineato Bertinelli — è quello di rafforzare il legame, il coinvolgimento e l’azione comune di tutti i soggetti che legano i loro redditi alla filiera del Parmigiano Reggiano, a partire da quei caseifici e da quegli allevatori che continuano rischiare e ad investire in lavoro e risorse finanziarie per mantenere alto il nome di una straordinaria eccellenza». Da qui, dunque, anche gli specifici programmi del Consorzio, «sorretti da elementi di innovazione — afferma il neopresidente — che puntano a rafforzare ulteriormente l’efficacia dell’azione consortile». In particolare, Bertinelli parla di azioni e riforme che toccheranno diversi ambiti, a partire «dal potenziamento dei controlli di filiera, alla lotta alla contraffazione, alla vigilanza nelle linee di grattugia e di confezionamento industriale, alla strategia espansiva sui mercati esteri. Linee di lavoro che si orientano ad una nuova centralità del Consorzio, che deve diventare più proattivo ed affermarsi come modello di autorevolezza ed eticità, potenziando innanzitutto i controlli di filiera a tutela sia dei produttori che dei consumatori». Non solo. «Come Consorzio dovremo fare uno sforzo di comunicazione ulteriore per far percepire i plus e gli elementi distintivi che rendono il Parmigiano Reggiano Dop un formaggio davvero unico al mondo — aggiunge Bertinelli — guidati dalla consapevolezza che il consumatore al quale ci rivolgiamo è evoluto e ricerca nel Parmigiano Reggiano qualcosa che va oltre la funzione pratica del prodotto. Nel contesto del mercato attuale, infatti, occorre rivolgersi a chi cerca, dietro al prodotto, il legame con il territorio, la genuinità, una storia italiana. Così si riesce a comunicare in modo efficace e coerente la cosiddetta distintività. Un discorso specifico — conclude — merita l’export: dobbiamo portarne l’incidenza dal 37% al 50%, puntando ad intercettare il segmento premium, rappresentato da coloro i quali in un grande prodotto italiano ricercano non solo un’esperienza organolettica, ma anche esclusività, tradizioni, storie e legami con il territorio di origine».

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VINO

Sapore di lava di Riccardo Lagorio

Vulcanei è una manifestazione dedicata ai vini elaborati con uva nata sui terreni vulcanici dei Colli Euganei. L’edizione 2017 si è tenuta il 6 e 7 maggio presso il Castello di Lispida a Monselice (photo © Mattia Mionetto).

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Il grande banco d’assaggio di vini da suolo vulcanico, giunto alla sua seconda edizione, è una delle tappe dell’associazione Volcanic Wines, che riunisce 15 aree vitivinicole italiane con suolo d’origine vulcanica

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poche decine di chilometri da una delle città italiane più conosciute al mondo, Venezia, il Parco Regionale dei Colli Euganei, nel Padovano, conserva natura e luoghi di interesse artistico ancora poco noti. Diciannovemila ettari in cui nascono 1.300 specie vegetali (un terzo dell’Italia intera): pensare di dover dare una mano al terreno per produrre è una contraddizione, fanno sapere. Pertanto, soprattutto su questi colli di origine vulcanica isolati nella pianura si è moltiplicato negli ultimi anni il numero delle aziende vitivinicole di gran pregio, che strizzano l’occhio all’agricoltura biologica e biodinamica. I Colli Euganei ospitano da due anni anche Vulcanei (vulcanei.wine), un’iniziativa dedicata ai vini elaborati con uva che è nata su terreni vulcanici. L’edizione 2017 si è tenuta il 6 e 7 maggio presso il Castello di Lispida a Monselice. Un’idea avvincente, quella di interpretare il vino secondo spunti di lettura che si riconducono a territori lontani tra loro ma marcati da una medesima origine. Una manifestazione pertanto originale nell’approccio e nei contenuti, voluta dal Consorzio Vini Colli Euganei, in collaborazione con l’associazione Volcanic Wines, la Strada del Vino Colli Euganei e il Consorzio Terme Euganee. Molti assaggi hanno confermato una certa uniformità di risultato, in parti-

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Protagonisti delle degustazioni due vitigni dei Colli Euganei: il Fior d’Arancio, da uve Moscato giallo, e il taglio Bordolese (photo © Mattia Mionetto).

colare un sottile aroma di pietra focaia, in taluni casi un retrogusto amarognolo. L’area dei Colli è caratterizzata sostanzialmente dalla presenza di due star: il Fior d’Arancio, da uve Moscato giallo, e il taglio Bordolese, il cui uso pare sia sbarcato su questi poggi già a metà Ottocento. In verità il territorio deve molto a FRANCO ZANOVELLO. La sua azienda, Cà Lustra (calustra.it), è stata cresciuta con la sensibilità a sviluppare vini elaborati con attenzione filologica alle varietà utilizzate e all’ambiente. Non solo: per Zanovello la produzione di vino è attività principale, pertanto la cura all’esecuzione non è demandata ad altri se non ai più stretti familiari. I vini che escono da qui si distinguono in un caso per la dolcezza equilibrata e non stucchevole, come quella del Passito DOCG dove zafferano e albicocca fanno a gara per emergere nel bicchiere, nell’altro per il destino da lungo invecchiamento che hanno bottiglie come Natìo. L’annata 2007 presentava aspetti olfattivi e tannici ancora ai primi stadi di evoluzione. Grande esempio di amore verso il territorio i vini dell’Azienda Agricola Reassi (reassi.it; in Veneto i reassi sono gli smottamenti del terreno), che da anni ricerca nella valorizzazione dei vitigni locali un’impronta personale. Come nel Vin Bastardo, che parte da una base di Marzemino bastardo

grosso, prende colore con la Turchetta e acidità, tannicità e fenoli dalla Carbonella. Le tre uve, a maturazione differita, vengono assemblate già vino, un vino rosso profondo dal profumo accentuato di bacche di rovo e timo e sapidità accentuata. FRANCESCA CALLEGARO, la proprietaria, si è anche presa a cuore il vitigno passatole dai suoceri, di uva Pinella, piante di cent’anni e forse più. Ne ha fatto la propria sfida con OP!, Opera prima, spumante metodo classico con 36 mesi di rifermentazione in bottiglia. Clamoroso il ricordo di tè verde al naso, di pera, cedro e ananas sulle labbra. Mentre le bollicine grasse e numerose percorrono rapide il liquido paglierino chiaro. Il Fiore della Costiera, Moscato giallo passito IGT, che BARBARA GAMBA de Alla Costiera (allacostiera.it) presentava, si è espresso con colore arancio carico e riflessi ambrati, naso di buccia di pomodoro e arancia candita, bocca di frutta secca e miele. Forse vale il viaggio sino a Vò Euganeo, ovunque voi siate. Io SIMONE LUNARDI e MATTIA LUNARDI li avevo equivocati, per attaccamento all’azienda per cui lavorano, proprietari de Le Volpi (levolpi.it). Ma de Le Volpi, loro giovani — 70 anni in due —, sono meri collaboratori. Eppure si deve a loro il piacere del 24 Mesi, taglio Bordolese con impercettibile aggiunta di Cabernet Franc, granato all’occhio, di marasca

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e susina matura il naso, balsamica, levigata e sapida la bocca. ROBERTO GARDINA e le due figlie SILVIA e ROBERTA sono invece l’anima e motore di Quota 101 (quota101. com), azienda amica della biodiversità. Sebbene proveniente da altra attività imprenditoriale, Gardina si è trasformato negli anni in difensore del territorio per mezzo dell’abbraccio a pratiche agronomiche particolarmente rispettose dell’ambiente. Ne nasce, tra gli altri, un Fior d’Arancio DOCG delizioso, ricco di colore, aromi e soffice spuma. Altrettanto singolare il percorso di PAOLO BRUNELLO, concertista che conduce in prima persona Vignale di Cecilia. «Faccio in modo che si realizzino fermentazioni spontanee e non utilizzo lieviti selezionati per i miei vini». Quello, neanche a dirlo, più musicale è Passacaglia, da uve Merlot, Cabernet e Barbera, che nasce da lunghe macerazioni e interventi manuali di follatura. Il 2009 si è divertito a scompaginare le competenze del palato con scatti balsamici e di carruba, e un soffio di cacao in un crescendo di su e giù salini. Risultati complessi ed evoluti. Tra i banchi abbiamo scovato anche un enfant terrible, Alideo, il Sangiovese Maremma Toscana DOC de La Biagiola (labiagiola.it), annata 2013, spregiudicato di razza, dagli aromi di viola,

vulcanee note di susina e amarena. Da Pianetti Sovana. Sempre in territorio etrusco, ma nel Viterbese, bisogna passare da Tarquinia per sentire profumi vulcanei nel Viò dell’Etruscaia (etruscaia.it), di uve Viognier. Insolito? Certo: l’azienda di OLGA RICCI nasce proprio da un progetto sperimentale realizzato in collaborazione con l’Università di Pisa. Viò, sapido, lascia dietro di sé un indimenticabile aroma di mandorle amare. Poi giù, verso il Vesuvio, con la bella (ri)scoperta del Piedirosso. Accantonato negli anni Novanta per mancanza di alcolicità, tannicità e colore, oggi questo vitigno diventa, nelle mani di RAFFAELE MOCCIA (agnanum.it), un bell’esempio di rivincita contadina: percezione di frutta e acidità che si muovono intorno a profumi di geranio e amarena: ecco il Per ‘e palumm Campi Flegrei DOC prodotto a ridosso della Riserva naturale degli Astroni! Raccolta delle uve a mano anche a causa delle pendenze dei terreni che accolgono le vigne e vinificazione di non intervento per mantenere aromi e sapori del tutto originali. Originalità che pervade le bottiglie in mostra dal distretto sud-orientale della Stiria, in Austria. Tre ci hanno colpito. Come il Riesling renano Klöcher Hochwarth dell’azienda agricola Winkler Hermaden (winkler-hermaden.at), a coltivazione biologica su basalti e rocce

tufacee ad alto contenuto di ferro in superficie. Ha dato naso di pompelmo rosa e selce, palato di corpo con elevata mineralità e indizi di pepe bianco. Al limite della pianura della Pannonia, sui terreni collinari (e vulcanici) di Straden, in quella che viene descritta come cantina elegante e ultramoderna, CHRISTOPH NEUMEISTER (neumeister.cc) fa sbocciare da viti allevate con sistema biologico vini magici come il Sauvignon bianco del 2015, un potpourri di crosta di pane, ortica, menta ed erba medica. Per evitare qualsiasi tipo di intervento, applica persino il principio del flusso di gravità dalla vendemmia all’imbottigliamento finale. Ma è grazie a personaggi come EWALD ZWEYTICK (ewaldzweytick.at) che i territori germogliano. Come quel Franco Zanovello è convinto che «per fare un vino buono, anche i vinaccioli devono essere maturi. Così nel 1997 stavamo aspettando che arrivasse il periodo ideale per raccogliere la Chardonnay. A inizio novembre il cielo si annuvolò, divenne buio. Correvamo il rischio di perdere l’annata intera e raccogliemmo l’uva». Ne è uscito November rain, dalla fine mineralità, intensa e complessa con un palato cremoso, lungo ma non infinito. Perché, lo dice la canzone stessa, nulla dura per sempre, nemmeno la fredda pioggia di novembre. Riccardo Lagorio

Emilia Romagna Perlage, il banco d’assaggio più spumeggiante che c’è Nella meravigliosa sede di Palazzo dei Pio, nel centro storico di Carpi (MO), è andata in scena la quinta edizione di Emilia Romagna Perlage, kermesse dedicata ai vini spumanti di qualità prodotti in regione. Operatori ed appassionati hanno potuto degustare, guidati dagli assaggiatori di vino regionali ONAV, i vini di più di 40 cantine (oltre 100 etichette), realizzati con uve internazionali quali Chardonnay, Pinot, Cabernet o autoctone quali Lambrusco, Pignoletto, Spergola, Malbo Gentile… «Lo spirito, anche per questo evento — dicono gli organizzatori — resta quello di trasmettere la passione per le bollicine e, soprattutto, far conoscere il piacere della degustazione, dell’assaggio, della conoscenza del prodotto». ONAV–Organizzazione Nazionale degli Assaggiatori di Vino, presente su tutto il territorio nazionale grazie a delegazioni provinciali, ha lo scopo di diffondere la cultura del bere attraverso corsi specialistici di assaggio e studio delle tecnica, volti a preparare tecnici degustatori capaci di degustare e valutare un vino. Bravissimi (photo © Grandangolo Gruppo Fotografico). >> Link: www.emiliaromagnaperlage.it – www.onav.it

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Enoturismo: numeri in crescita, ma ancora qualche criticità L’Italia registra il costante aumento della domanda di turismo enogastronomico: lo dimostra l’ultimo rapporto dell’Osservatorio sull’Enoturismo realizzato per conto dell’Associazione Città del Vino, che stima in oltre 2,5 miliardi di euro la spesa effettuata nel 2015 dai turisti del vino in Italia, condivisa tra cantine e territori, mentre per il 2016 dovrebbe essere stato superato il tetto di 14 milioni di visite enoturistiche. Altri i dati interessanti emersi dal rapporto: il 26% delle cantine intervistate produce anche altri prodotti agricoli, mentre il 45% circa eroga servizi di accoglienza; il 31% circa produce energia. Non manca però qualche ombra: nelle aziende vitivinicole, per esempio, le “barriere architettoniche” sono ancora presenti e impediscono ai disabili l’accesso ai servizi igienici (38%) o l’accesso alla sala ristorante (70%); poche le cucine attrezzate per rispondere ad allergie e intolleranze alimentari (25%). In generale, insomma, le aziende vitivinicole non sono ancora ben organizzate per la ricezione enoturistica, sicuramente in termini di servizi, ma anche in termini informativi. Oggi serve più cultura d’impresa nella progettazione, organizzazione ed erogazione dell’offerta. La formazione, in questo caso, appare indispensabile: non basta infatti fare buon vino, ma occorre saper accogliere i turisti, offrire loro servizi più aggiornati ed efficienti, costruire una rete di relazioni tra i diversi soggetti pubblici e privati dei territori perché la qualità dell’offerta sia basata su idee e progetti condivisi. Molte cantine l’hanno capito e si stanno attrezzando, investendo adeguate risorse (fonte: Associazione Nazionale Città del Vino).

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Un meraviglioso passito del borgo situato nel Parco Nazionale del Pollino

Moscato di Saracena, vino non vino di Massimiliano Rella

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l calice in controluce ci rivela raffinate sfumature, dal giallo all’ambrato. Il profumo intenso rilascia sentori d’albicocca, fichi secchi, frutta esotica, arancia candita. Si capisce subito che un vino come il Moscato di Saracena ha molto da

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raccontare per tradizione, passione e autenticità. È un passito da meditazione, un prodotto esclusivo del borgo calabrese, situato nel Parco Nazionale del Pollino, in provincia di Cosenza. Disteso alle pendici di una collina rocciosa che digrada verso la valle del Garga,

questo piccolo centro vanta una storia antichissima. Nacque intorno al 1744 a.C. sul sito della storica Sestio, fondata dagli Enotri e conquistata nel 900 d.C. dai Saraceni, che vi stabilirono una colonia. A quel periodo risalirebbero sia il nome della paese sia la coltivazione

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In alto: Luigi Viola, produttore di Moscato Passito di Saracena. A sinistra: veduta del centro storico di Saracena (CS).

di vitigni, che da Mascate, una delle cittadine più vecchie del Medio Oriente, oggi capitale dell’Oman, arrivarono in questo territorio insieme alle tecniche di produzione. Da allora la tradizione del Moscato si è conservata nei secoli attraverso le famiglie che lo produceva-

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no per il consumo domestico, raramente per la vendita. Un riferimento al metodo di produzione lo troviamo già nel De naturali vinorum historia pubblicato nel 1596 da ANDREA BACCI, medico e botanico, che menziona il Moscatellum vinum prodotto nelle terre meridionali, descrivendo ben tre metodi e soffermandosi su quella che definisce “bollitura”, ancora oggi una fase fondamentale del processo produttivo del Moscato al — cosiddetto — “governo di Saracena”. Un metodo che però la nostra legislazione ancora non riconosce. I vigneti dai quali nasce questo “vino non vino”, in prevalenza piccoli appezzamenti, si estendono lungo la fascia collinare ai piedi della catena montuosa del Pollino, ad un’altitudine compresa tra i 350 e i 650 metri. La maggior parte degli impianti è a spalliera, a parte qualche appezzamento ad alberello, a seconda della giacitura dei terreni. Per la qualità è importante anche il clima, qui caratterizzato da estati calde e inverni abbastanza freddi, con elevata escursione termica e piogge più frequenti in autunno e inverno. Saracena si avvantaggia, infatti, delle correnti in arrivo da due mari, il Tirreno e lo Ionio, e del fresco proveniente dal Pollino.

In cantina sono utilizzate uve di diversi vitigni: il Moscato bianco, cioè il locale Moscatello; il Moscato d’Alessandria, spesso indicato anche come Zibibbo e in quest’area detto adduroca, termine dialettale che significa “odorosa”, proprio per indicare una qualità dell’uva. E ancora: Guarnaccia e Malvasia bianca. Il Moscato, vitigno aromatico, conserva i profumi anche dopo la lavorazione trasmettendoli al prodotto finale. Per preservarne e concentrarne gli aromi, i grappoli raccolti a settembre sono sottoposti ad appassimento naturale. A ottobre, invece, c’è la fase “due”. Guarnaccia e Malvasia sono varietà a maturazione tardiva, caratteristica accentuata dall’altitudine delle vigne di Saracena. Vengono raccolte entrambe quando sta per finire l’appassimento del Moscato, pigiate e pressate per ottenere il mosto concentrato, sottoposto a bollitura per fuoco diretto. In questo modo l’acqua evapora naturalmente e si ottiene un “mosto ristretto”, con un volume finale che corrisponde a circa due terzi del mosto di partenza. «Questa è una fase importante e delicata — spiega il produttore LUIGI VIOLA, di Cantine Viola — perché se la bollitura dura poco

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I fratelli Maurizio e Roberto Bisconte, produttori di Moscato Passito di Saracena. non si ha la giusta dolcezza, invece se si protrae più del necessario si ottiene un mosto stucchevole». Fase “tre”. Successivamente i chicchi d’uva appassita sono selezionati uno a uno e tutti insieme versati nelle botti dove c’è il mosto concentrato. Così si attiva la fermentazione e l’uva appassita rimane nelle botti (o in vasche d’acciaio, a scelta dei produttori) fino alla fine d’aprile. Il vino è pronto per l’imbottigliamento nella primavera successiva alla vendemmia ed esprime al meglio le sue qualità se consumato entro due anni. Il Moscato al governo di Saracena è un presidio Slow Food, vino a elevata gradazione, perfetto da abbinare a

pasticceria secca, pasta di mandorle, formaggi erborinati e — perché no! —, anche stagionati. La produzione complessiva ammonta a 20.000 bottiglie in tutto, ripartite tra poche aziende. I produttori Cantine Viola (www.cantineviola.it) è stata fondata alla fine degli anni ‘90 da Luigi Viola, per valorizzare i 3 ettari di vigne di famiglia, ai quali se ne sono aggiunti altri 2 in conduzione diretta, oggi coltivati con diverse varietà in modo biologico. Tra le etichette aziendali, il Moscato Passito di Saracena ha ottenuto premi e riconoscimenti: il premio Dolce dell’Anno nel 2007 dal GAMBERO ROSSO

Il Moscato al governo di Saracena è un vino a elevata gradazione, perfetto da abbinare a pasticceria secca, pasta di mandorle, formaggi erborinati e stagionati. La produzione complessiva ammonta a 20.000 bottiglie in tutto, ripartite tra poche aziende

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e due volte è stato selezionato dall’AIS tra i migliori 5 grappoli per gli Oscar del Vino. La cantina Feudo dei Sanseverino (www.feudodeisanseverino.it) si trova nel centro storico ormai spopolato di Saracena — la Casbah — e accoglie i visitatori in una sala degustazione ricca di oggetti di famiglia, foto d’epoca, macchine fotografiche analogiche, macchine da cucire e altri, appartenuti al padre dei due produttori di vino, i fratelli MAURIZIO e ROBERTO BISCONTE. L’azienda vitivinicola, nata nel 1999, imbottiglia i vini ottenuti dai 4 ettari di proprietà coltivati con vari autoctoni, per un totale di sei etichette tra le quali il Moscato Passito al governo di Saracena. Produzioni di nicchia anche nell’azienda agricola Diana (www.aziendaagricoladiana.it), di BIAGIO DIANA, specializzata inoltre nella produzione di olio extravergine d’oliva da varietà locali, e Gallicchio (www.cantinegallicchio.it), di DOMENICO GALLICCHIO, che offre anche ospitalità nell’azienda agrituristica San Michele, una dimora seicentesca ristrutturata.

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La Cantina Ferrocinto della famiglia SALITURI, proprietaria già di Campoverde, una grande azienda di ortofrutta a Castrovillari, coltiva le sue vigne su 40 dei 160 ettari originari di proprietà. I vigneti, impiantati negli anni ‘60 con i vitigni Gaglioppo e Malvasia, nel 2002, in collaborazione con l’Università di Palermo, sono stati reimpiantati con l’aggiunta delle altre varietà previste dal Disciplinare Dop Terre di Cosenza, sottozona Pollino: Magliocco, Greco, Montonico, Aglianico, oltre ad alcuni internazionali. La produzione vitivinicola comprende due linee: Campoverde per la Grande Distribuzione, con 500.000 bottiglie prodotte da uve acquistate, e Ferrocinto per il canale Ho.re.ca., con 250.000 bottiglie suddivise tra otto etichette ottenute da uve prodotte in proprio. Presto sarà inaugurata una nuova e più moderna cantina con barricaia di affinamento e grande sala panoramica con vetrate sulla valle alle pendici del Pollino, progettata dell’architetto locale FRANCESCO LAMANNA. >> Link: www.tenuteferrocinto.it – www.campoverdeagricola.it

Vincenzo Salituri e il nipote Luigi Nola, proprietari della cantina Ferrocinto a Castrovillari (CS).

Fuori di norma Saracena anticamente si chiamava Sestio e fu una delle prime cittadine in cui arrivarono gli Enotri in Calabria, che portarono la cultura del vino. Fu anche un crogiolo di razze che nel tempo hanno creato il metodo di bollitura del mosto che sostiene il Moscato Passito “al governo di Saracena”. «Oggi abbiamo necessità di un supporto, di una legge che, essendo piccoli e ininfluenti, non ha mai riconosciuto questo metodo di produzione», dichiara il produttore MAURIZIO BISCONTE, della cantina Feudo dei Sanseverino. Una richiesta in tal senso arriva dalle Città del Vino, rete di 450 comuni a vocazione vinicola, che già da tempo

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sollecita l’approvazione di una norma che riconosca come legittimo il metodo di bollitura alla base della produzione del Moscato di Saracena. «Un passo necessario — sottolinea il direttore PAOLO BENVENUTI — anche per mettere in regola i produttori». Un po’ di storia Nel 1500 il Moscato di Saracena raggiungeva abitualmente la corte pontificia di PIO IV, al quale il cardinale calabrese GUGLIELMO SIRLETO, prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, era solito far pervenire botti del pregiato nettare. Una consuetudine cominciata quando il prelato era vescovo della diocesi cosentina di San Marco Argentano

e documentata da un suo epistolario conservato in Vaticano. Ma è probabile che un prodotto dalle caratteristiche simili al Moscato fosse già conosciuto in un’epoca più antica: uno dei vini del Brutium, elogiati dal geografo e storico greco STRABONE nella sua Geografia e dallo scrittore latino PLINIO IL VECCHIO nella Naturalis historia. E ancora, CASSIODORO in una lettera ad ANASTASIO, cancelliere della Lucania e del Brutium, scrive dei vini di quelle terre, graditi alla mensa dell’imperatore ostrogoto TEODORICO. Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella.

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Cantina della Volta: il Metodo Classico nobilita il Lambrusco di Sorbara Un’azienda vinicola radicata nel cuore dell’Emilia che offre un’interessante interpretazione del Lambrusco di Sorbara, elevandolo a vino spumante per consumatori raffinati

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antina della Volta è l’avventura di Christian Bellei e di un gruppo di amici che, nel 2010, hanno deciso di rinnovare l’azienda vinicola del bisnonno di Christian, con il recupero dell’edificio storico sotto l’insegna di un nuovo marchio. L’abilità spumantistica di Christian gli consente, parallelamente al lavoro sul Lambrusco di Sorbara, mirate incursioni nel mondo delle bollicine d’Oltralpe con un’intrigante proposta di spumanti Metodo Classico ottenuti da uve di Pinot Nero e Chardonnay del cru aziendale, il vigneto di Riccò di Serramazzoni, in provincia di Modena: dieci ettari posti

ad un’altitudine tra i 650 e i 750 metri, sul versante emiliano dell’Appennino, caratterizzato da un terreno calcareo e argilloso con gesso superficiale. Il vigneto è completamente biologico dal 2017. La vinificazione di queste uve è alla base dell’elaborazione dei prodotti della linea Il Mattaglio, che comprende due vini fermi: LaBase e Fermo, due riserve millesimate in purezza: Blanc de Blancs e Blanc de Noirs, uno spumante Brut e uno spumante Dosaggio Zero. Questi due ultimi prodotti fanno parte delle novità presentate nelle ultime settimane, con la nuova vendemmia 2013, ottenuta da un elegantissimo blend di Chardonnay e Pinot Nero.

Un Vinitaly indipendente A sette anni dalla fondazione dell’azienda, l’edizione del Vinitaly appena trascorsa ha rappresentato un importante traguardo: per la prima volta la cantina si è infatti presentata in uno stand indipendente, cornice ideale per presentare a operatori, appassionati, importatori e clienti il frutto del proprio attento lavoro. Un momento di festa ma anche un’occasione per fare un primo punto sul cammino percorso, sinora caratterizzato da una crescita costante e da numerosi riconoscimenti da parte della critica enogastronomica e dei consumatori. L’ultimo in ordine cronologico, il Premio “Benemeriti della Vitivinicoltura

La gamma di Spumanti Metodo Classico di Cantina della Volta al Vinitaly 2017.

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1) Christian Bellei, unico erede della cantina fondata nel 1920 dal bisnonno Francesco, parla una lingua diversa, fuori dal coro, e spesso lo ascolterete affermare “mi sento figlio di un metodo, e non di un territorio”. Pur rimanendo infatti il Lambrusco di Sorbara, con tutte le sue sfaccettature e sorprendenti potenzialità un punto focale per la cantina, il suo vero tratto distintivo è la vocazione per il Metodo Classico. 2) Angela Sini riceve il Premio Angelo Betti. Nella foto è con la dott.ssa Simona Caselli, assessore all’Agricoltura dell’Emilia-Romagna. 3) Il vigneto di Riccò di Serramazzoni.

Italiana” intitolato ad Angelo Betti, è stato ricevuto direttamente da ANGELA SINI, amministratore delegato della cantina, in occasione della manifestazione. Il prestigioso riconoscimento segue le indicazioni degli Assessorati regionali all’agricoltura (per l’Emilia-Romagna la dott.ssa SIMONA CASELLI), che hanno il compito di indicare coloro che, con la propria attività professionale o imprenditoriale, hanno sostenuto il progresso qualitativo della produzione viticola ed enologica della propria regione. Cantina della Volta Via per Modena 82 41030 Bomporto (MO) Telefono: 059 7473312 E-mail: info@cantinadellavolta.com Web: www.cantinadellavolta.com

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Mattaglio Dosaggio Zero Metodo Classico, vino spumante nature, bianco, secco. Uvaggio Chardonnay e Pinot Nero, vinificato in bianco. La lunga maturazione sui lieviti conferisce al vino maggiore struttura e complessità. Colore giallo paglierino tenue, brillante e luminoso, con venate sfumature verdognole. Elegante perlage continuo di bollicine molto fini. Note floreali di gradevole intensità all’olfatto con spiccati richiami ai fiori d’acacia. L’attacco in bocca è spontaneamente vivace, sapido e fruttato. Palato fresco e secco con gradevole mineralità e pennellate saline. La chiusura è di gran classe con ottima persistenza.

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SPECIALE VINITALY

50 anni + 1 Un’edizione di successo ed evidenti ed apprezzate migliorie che sottolineano una volta di più la leadership della kermesse veronese di Laura Franchini

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upera le 128.000 presenze, provenienti da ben 142 nazioni, l’edizione 2017 di Vinitaly. Edizione che verrà ricordata anche per l’ordine e una decisa virata sulla qualità degli avventori, scremati anche dall’aumento del costo del biglietto. Dopo anni di polemiche, si nota infatti un rinnovato impegno, che ha portato buoni risultati, soprattutto in termini di operatori professionali e buyer esteri (+8%). Considerevole anche il “rafforzamento” delle attività “di contorno”, tra le quali spicca “Vinitaly anch the City”, che ha segnato ben 35.000 wine lovers in visita tra il comune di Verona e quello di Bardolino. Un risultato ottenuto grazie agli investimenti nell’incoming da parte di VeronaFiere, in collaborazione con il ministero dello Sviluppo Economico e ICE-Agenzia. «Vinitaly 2017, che abbiamo simbolicamente battezzato come edizione “50+1” — commenta il presidente di Veronafiere MAURIZIO DANESE — rappresenta il primo e concreto passo del nuovo percorso di sviluppo che guarda al futuro dei prossimi 50 anni. I risultati premiamo la spinta verso una sempre più netta separazione

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tra il momento riservato al business in fiera e il fuori salone. L’obiettivo ora è continuare in questa direzione, forti dei nuovi strumenti messi a disposizione». «I numeri di questa edizione — spiega poi il direttore generale di Veronafiere GIOVANNI MANTOVANI – testimoniano la crescita del ruolo B2B di Vinitaly a livello internazionale. Basta guardare alla top ten delle presenze degli operatori stranieri che mostrano incrementi da quasi tutte le nazioni». Con più di 4.270 aziende espositrici da 30 Paesi (aumentate nel complesso del 4% sul 2016, in particolare quelle estere, del 74%), Vinitaly si conferma il più importante salone internazionale per il vino e i distillati ma anche momento di riflessione fondamentale per il settore vitivinicolo nazionale ed europeo, come hanno sottolineato la presenza del ministro alle Politiche Agricole MAURIZIO MARTINA, il commissario europeo all’Agricoltura PHIL HOGAN, i ministri dell’Agricoltura di Malta e Polonia e il viceministro all’Agricoltura russo. Nei quattro giorni fieristici si sono tenuti quasi 400 convegni, seminari, incontri di formazione sul mondo del vino.

In primo piano, come sempre, il calendario delle degustazioni: più di 250 soltanto quelle organizzate direttamente da Vinitaly e dai consorzi delle Regioni, che hanno visto, tra le altre, un’esclusiva per celebrare i 50 anni del Sassicaia. Grande interesse per Enoteca Italia, degustazione di oltre 800 vini selezionati dalla redazione della guida Vinibuoni d’Italia. Un colpo d’occhio rapido sui vini da vitigni autoctoni di tutte le regioni italiane cui ha fatto seguito la comoda ed immediata possibilità di degustare in maniera professionale tutte le referenze presenti. Il racconto dei vini nelle sue numerose interpretazioni a giornalisti, operatori di settore e semplici appassionati ha offerto altresì la possibilità di crescita culturale attraverso laboratori che hanno avuto protagonisti i salumi Levoni e il Grana Padano in abbinamento a chicche enologiche selezionate appositamente. Già le date da segnare in agenda La 52ª edizione di Vinitaly è in programma dal 15 al 18 aprile 2018. >> Link: www.vinitaly.com

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L’edizione 2017 di Vinitaly ha superato le 128.000 presenze, provenienti da ben 142 nazioni (photo Š Ennevi).

Nei quattro giorni della manifestazione, oltre agli incontri B2B, si sono tenuti quasi 400 convegni, seminari, incontri di formazione sul mondo del vino (photo Š Ennevi).

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Vino nella GDO: aumentano gli acquisti di vini Doc e spumanti. Il biologico prosegue il suo percorso di uscita dalla nicchia di mercato Crescita significativa delle vendite delle bottiglie di vino a denominazione d’origine e degli spumanti; il vino biologico prosegue il suo percorso di uscita dalla nicchia di mercato; flessione dei vini nel brik di cartone e in tutti quei formati che non siano la bottiglia da 75 cl: questi i risultati in sintesi della ricerca sull’andamento del mercato del vino nella Grande distribuzione nel 2016 svolta dall’istituto di ricerca IRI che è stata presentata a Vinitaly. Quello della Grande distribuzione si conferma il maggior canale di vendita nel mercato del vino, con 505 milioni di litri venduti nel 2016, per un valore di un miliardo e mezzo di euro. In un anno di sensibile contrazione dei consumi familiari, il mercato italiano del vino gode relativamente di buona salute, come testimoniato anche dalle vendite nei supermercati. I vini a denominazione d’origine (in bottiglia da 0,75 l) aumentano del 2,7% in volume e del 4,4% in valore, con 224 milioni di litri venduti, proseguendo nel trend già promettente del 2015 (+1,9%). Per il secondo anno consecutivo le vendite in promozioni rimangono statiche ed i prezzi medi sono in risalita. Va sottolineato il successo degli spumanti, che fanno segnare nel 2016 una crescita di oltre il 7% con 54 milioni di litri venduti, bissando l’ottimo risultato del 2015. Nonostante la leva delle promozioni, che tuttavia si mantiene ferma al 50% da due anni, i valori del vino venduto continuano a salire: le bottiglie a denominazione di 75 cl hanno un prezzo medio di poco inferiore ai 5 euro (4,81 euro al litro). Ancora un anno negativo per le vendite del vino in brik (–2,5%) ed un crollo per tutti gli altri formati: –8,6% per il vino confezionato da 0,76 a 2 litri e –9,7% per formati diversi da questi (tutti dati in volume). Questi dati condizionano il dato complessivo del vino confezionato, che è di –1% a volume e +1,1% a valore. Tra i formati differenti dalla bottiglia di 75 cl si afferma soltanto il Bag in Box, con 12 milioni di litri venduti ed una crescita dell’11,7% in volume. Sul podio dei vini più venduti d’Italia si piazzano i tre inattaccabili campioni, nell’ordine: Lambrusco, Chianti, Montepulciano d’Abruzzo. Si fanno notare le performance del Nero d’Avola (Sicilia),Vermentino (Sardegna), Müller Thurgau e Gutturnio (Lombardia), che crescono in percentuale più del 4% (fonte:VeronaFiere; photo © Kar Tr – Fotolia).

Pecorino Toscano Dop e Finocchiona Igp a Verona Anche i due consorzi di tutela Pecorino Toscano Dop e Finocchiona Igp sono stati tra i protagonisti della manifestazione vinicola di Verona. Le due eccellenze toscane sono state infatti ospiti del Consorzio Chianti Classico Dop insieme ad altri Consorzi di tutela, rafforzando la sinergia avviata da tempo per promuovere in maniera sempre più forte il patrimonio agroalimentare della regione. A rappresentare i Consorzi di tutela in fiera sono stati i rispettivi direttori, Francesco Seghi e Andrea Righini. «La manifestazione internazionale dedicata a vini e distillati — ha sottolineato in particolare Righini — si conferma ancora una volta una vetrina prestigiosa per promuovere il nostro prodotto, che trova nel vino un partner ideale» (photo © www.qualivita.it).

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1) Cantina della Volta, Bomporto (MO), per la prima volta al Vinitaly con uno stand indipendente. 2) Schenk Italia di Ora (BZ). 3) Graziella Pezzi della Fattoria Paradiso di Bertinoro (FC). 4) Ermi Bagni, direttore del Consorzio Marchio Storico Lambruschi Modenesi. 5) Lo staff e gli aceti balsamici dell’azienda agricola Leonardi di Magreta di Formigine (MO). 6) Alessio Garuti dell’omonima cantina di Sorbara (MO).

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Assaggi, compleanni e novità di Massimiliano Rella

Accordini Un Vinitaly di novità per la cantina della Valpolicella Accordini Igino. L’azienda ha infatti presentato a Verona l’annata 2013 dell’Amarone Le Bessole, blend di Corvina veronese e Corvinone (70%), più Rondinella e Rossignola. Un Amarone di personalità e carattere che si esprime in profumi speziati di frutta sotto spirito e liquirizia su tutti e in una colorazione intensa dai riflessi granati. L’area di produzione è la Valpolicella classica, zona collinare sul confine tra

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San Pietro in Cariano (dove ha sede l’azienda) e Negrar. A Verona è stata presentata anche l’edizione speciale numerata dell’Amarone Riserva 1999, per la quale è stata realizzata un’esclusiva etichetta d’autore su carta goffrata e dalla complessa lavorazione tipografica, impreziosita da una combinazione di serigrafie e nobilitazioni metalliche con effetto di rilievo al tatto e numerazione vergata a mano per ogni bottiglia. Il soggetto riprende, attraverso un fitto pattern geometrico, la stilizzazione

delle sensazioni olfattive, visive e tattili dell’Amarone. >> Link: www.accordini.it Colombarda Battesimo all’insegna di territorio, stile e sostenibilità. Sono i concetti portati all’attenzione dalla cantina romagnola Tenuta Colombarda, che ha partecipato per la prima volta all’evento veronese con le sue ultime annate. Tra queste il Pagadebit 2015, uno dei pochi vinificati

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Duca Carlo Guarini, Salento millenario e bio Sono tanti i colori del Negroamaro, vitigno a bacca nera del Salento che ha conquistato un numero crescente di estimatori. Sono anche molteplici le declinazioni della cantina Duca Carlo Guarini, azienda agraria biologica di Scorrano (LC) e realtà vitivinicola con una storia quasi millenaria, fin dalle origini legata ai vitigni autoctoni. «Solo vigneti coltivati direttamente, senza l’uso di prodotti chimici di sintesi, con passione e fatica per dare sempre le giuste sensazioni» ha affermato GIOVANNI GUARINI durante Vinitaly, dove ha presentato due rossi, un rosato e due bianchi, tutti da uve Negroamaro in purezza. Tra questi il Negroamaro Pìutri IGT Salento rosso bio, primo nato nel 1997; il Negroamaro Natívo IGT Salento rosso, il primo a essere certificato come bio, dai toni fruttati intensi, buon corpo e finale lungo; e la novità del Piccolebolle, il primo spumante da Negroamaro, prodotto e spumantizzato in cantina con metodo Martinotti. Riflessi dorati brillanti, perlage sottile, persistente e sentori agrumati. >> Link: www.ducacarloguarini.it

in purezza in Romagna, e il Rosalaura 2015, rosato fermo da uve Sangiovese. Entrambi affinati solo in acciaio. La storica azienda, attiva dal 1850 sulle colline tra Paderno e San Vittore di Cesena (FC), a 250 metri s.l.m. e di proprietà delle famiglie DIONIGI e AGOSTINI, rappresenta la grande e antica passione della Romagna enoica. Nei suoi 50 ettari di estensione, tra vigneto, oliveto e bosco, sono 23 gli coltivati a vigneto DOC. >> Link: www.colombarda.it

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Santa Sofia, uno spumante Soave Una novità anche dalla provincia di Verona, della cantina Santa Sofia Pedemonte di Valpolicella. Stavolta non con un rosso o un Amarone bensì con uno spumante Soave DOC Brut, ottenuto da uve Garganega in purezza, con rese di 120 quintali/ettaro e un alcol del 12%. Di colore paglierino tenue, ha spuma sottile e perlage delicato, al naso ricorda le mandorle fresche e i fiori bianchi, in bocca è vellutato, fresco, di buona acidità. «Una bollicina — dichiara il produttore LUCIANO BEGNONI — perfetta per aperitivi o da tutto pasto». >> Link: www.santasofia.com La Montina Per festeggiare i 30 anni di La Montina, cantina della Franciacorta, al Vinitaly è stato presentato il nuovo Montecolo, una bollicina che nasce dall’unione delle migliori uve di due vendemmie: 2009 e 2010. Custodito in 520 bottiglie magnum, è un Franciacorta raffinato e di buona struttura, ottenuto da un

uvaggio di Pinot nero elaborato in barrique (vendemmia 2009) e un 85% di Chardonnay elaborato in acciaio (vendemmia 2010). Fa 66 mesi sui lieviti e ha un residuo zuccherino molto basso, di 1 g/l. Spuma intensa e persistente, perlage finissimo, colore giallo con riflessi ramati, profumi che ricordano il miele, l’acacia e l’artemisia, in bocca rotondo e con buona mineralità. >> Link: www.lamontina.it Antonelli San Marco “Prove d’anfora” per Antonelli San Marco. La cantina di Montefalco (PG) ha presentato al Vinitaly il suo Anteprima Tonda, bianco di Trebbiano spoletino in purezza macerato sulle bucce in vasi di ceramica. Una seconda sperimentazione, in corso d’opera, riguarda il Sagrantino di Montefalco, questo però in anfore di terracotta. Altra novità del produttore FILIPPO ANTONELLI è la nascita di un raffinato Vermouth composto secondo un’antica ricetta rivisitata con 13 erbe, con il marchio Antica Torino, la cui etichetta déco riprende un’immagine dell’esposizione torinese del 1911. Il Vermouth è prodotto in Piemonte da Antonelli in società con VITTORIO ZOPPI. >> Link: www.antonellisanmarco.it 50 anni: tanti auguri al Verdicchio di Matelica Il Verdicchio di Matelica compie 50 anni dal riconoscimento della DOC, il primo bianco nelle Marche, era il 1967. L’anniversario sarà celebrato a Matelica (MC) il prossimo 21 luglio con degustazioni ed eventi culturali. Tra gli appuntamenti un convegno tecnico-scientifico e l’inaugurazione di un monumento dedicato al Verdicchio; ma anche show cooking in piazza a cura di DIEGO BONGIOVANNI, chef de La Prova del Cuoco. Matelica sarà al centro anche della prossima edizione di Calici di Stelle, manifestazione enoturistica che si svolge nelle piazze di 200 Città del Vino italiane la notte di San Lorenzo. Le Città del Vino hanno deciso di devolvere parte del ricavato al comune di Matelica, colpito dal sisma dello scorso anno, per un’iniziativa di solidarietà. >> Link: www.comune.matelica.mc.it www.cittadelvino.it

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I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA

Degustazione: un calice per ogni bruschetta di Laura Franchini

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iatto amatissimo, conosciutissimo, diffuso in tutta Italia e non solo. La grande facilità di preparazione, unita all’immediatezza del gusto, lo rendono un must have dei pic-nic estivi, delle serate in compagnia degli amici, delle cene veloci. Servito spesso come antipasto, in realtà potrebbe tranquillamente sostituire un primo piatto o fare da piatto unico se ben condito. Di origine contadina, nato dalla necessità di conservare il pane e soprattutto di utilizzarlo anche a distanza di giorni, deve il suo nome all’aggettivo romanesco brusco, collegato alla tradizione di abbrustolire la fetta di pane e condirla poi con olio, sale e aglio strofinato. Molte sono le ricette e le versioni, che attingono dalla fantasia come dai prodotti del territorio. Ecco che in Campania la bruschetta si arricchisce di pomodori e origano, mentre in Toscana troviamo l’olio d’oliva a farla da padrone e a denominare addirittura il piatto, che diventa fettunta o panunto. Non mancano versioni sfiziose con verdure e sottaceti, formaggi e salumi, spezie ed erbe aromatiche, da Nord a Sud. La scelta del vino in abbinamento dipenderà ovviamente dagli ingredienti, dalla ricchezza di sapori della bruschetta, dalla complessità della ricetta. Nelle pagine successive trovate le nostre proposte.

Puoi preparare le bruschette con diversi tipi di pane, dal classico pugliese al pancarré semplice o integrale. Sono ottime anche con la focaccia semplice, alle olive o al rosmarino. Partendo dagli ingredienti base, aglio, olio extravergine, sale e pepe, aggiungi poi tutti gli ingredienti che la tua fantasia ti suggerisce

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Bruschetta con verdure grigliate (photo Š Fotolia).

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Orvieto Classico Superiore Campo del Guardiano Palazzone Nella rigogliosa campagna orvietana troviamo questa splendida realtà vinicola, la cantina Palazzone, guidata da GIOVANNI e LODOVICO DUBINI, che dagli anni ‘80 hanno avviato una ristrutturazione dell’azienda, effettuando molteplici cambiamenti e migliorie. Le uve che concorrono alla composizione di questo calice sono Procanico per il 50%, Grechetto 30% e Verdello, Drupeggio e Malvasia per il rimanente 20%. Provengono dall’appezzamento più importante dell’azienda, chiamato “Campo del Guardiano”, da cui il nome del vino, che si affina per diversi mesi in bottiglie coricate in una cavità nel tufo sotto un bosco di castagni. Un calice profumato di intensa mela verde e fiori di campo, e freschezza, al naso come al palato, dove entra fresco, rotondo ed intenso di note armoniche. Vibrante e persistente, si presta anche ad un lungo invecchiamento, grazia a trama e stoffa. Sarà perfetto servito ben freddo, accompagnato da piatti ricolmi di fettunte, olio d’oliva, aglio strofinato e sale.

Azienda Agricola Palazzone Loc. Rocca Ripesena 68 05018 Orvieto (TR) Telefono: 0763 344921 E-mail: info@palazzone.com Web: www.palazzone.com

Lambrusco del Fondatore 2016 Metodo Ancestrale Lambrusco di Sorbara Doc Chiarli Rifermentazione in bottiglia, tradizionale, per questo brillante calice di Lambrusco di Sorbara dell’azienda Cleto Chiarli, vera icona del mondo enologico dell’Emilia, con oltre un secolo e mezzo di storia e una produzione importante, nei numeri come nei successi e nei risultati qualitativi. Grande tipicità all’olfattiva, intensa di rose in fiore e fragoline di bosco, con ricordi balsamici di menta. Note raffinate che troviamo circolarmente in bocca, di ribes e lamponi, erbe di campo e ricordi di lieviti. Armoniche le parti, freschezza precisa e calibrata, buona la sapidità non invadente, grande bevibilità. Un vino che si presta all’ovvio e riuscitissimo abbinamento con la cucina del territorio modenese, ma che strizza l’occhio anche a proposte extra-regionali, come pizza e cucine esotiche. Se poi volete provare questo frizzante calice con la bruschetta non sfigurerà affatto, in particolare con affettati e formaggi morbidi.

Cleto Chiarli Via Belvedere 4 41014 Castelvetro di Modena (MO) Telefono: 059 3163311 E-mail: italia@chiarli.it Web: www.chiarli.it

Aimone Vermentino Doc Riviera Ligure di Ponente Bio Vio Vermentino in purezza per questo calice prodotto dalla cantina Bio Vio, nell’entroterra di Albenga. Azienda che coltiva erbe aromatiche, olive taggiasche e vino sin dagli inizi del ‘900, e che decide, negli anni ‘80, di intraprendere anche la produzione di vino, con metodo biologico certificato ICEA. Il vino si presenta al calice di un bel giallo paglierino con leggeri riflessi verdognoli, brillanti. All’olfattiva è convincente di pulizia e note nette, eleganti, di erbe aromatiche, timo, basilico e fiori di rosmarino, ricordi di lavanda, riflessi agrumati di cedri verdi e di lime, note di zenzero, punta minerale e marina, di macchia mediterranea. Al palato è corrispondente e preciso, negli equilibri e nelle aspettative. Certamente adatto alla cucina di mare tutta e alla grande tradizione ligure, certamente ben visto con il pesto. Da provare con bruschette pomodoro e basilico, pomodoro e olive taggiasche, zucchine a julienne e gamberetti, una spruzzata di prezzemolo ed un filo di olio extravergine ligure.

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Az. Agr. Biologica Vio Giobatta Via Crociata 24 17031 Bastia d’Albenga (SV) Telefono: 0182 20776 E-mail: agriturismobiovio@gmail.com Web: www.biovio.it

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Etna Rosato Pietradolce

Pietradolce Contrada Rampante 95012 Solicchiata Castiglione di Sicilia (CT) Telefono: 348 4037792 E-mail: info@pietradolce.it Web: www.pietradolce.it

Sulle pendici dell’Etna, in zona Solicchiata, frazione di Castiglione di Sicilia, ha sede questa cantina, fondata nel 2005. L’azienda si estende per undici ettari, tra i 600 e i 900 metri di altitudine, in quei terreni così vocati e così riconosciuti, per successi e qualità, tra i wine lovers di tutto il mondo. Sono uve di Nerello mascalese in purezza, raccolte nella seconda metà di ottobre, per questo calice rosato, brillante e limpido, nel colore come nella degustazione. Leggiadra speziatura, note di foglia di tè e ricordi balsamici, corteccia e canfora, tinte fruttate e agrumate, ricordi salini, che tornano circolari alla sorsata. Entra pieno ma senza aggressività, mantiene la lunghezza e i toni sapidi e freschi, elegante con carattere e piglio. Un vino poliedrico, che si adatta perfettamente ai piatti di mare della cucina siciliana, come al rito dell’aperitivo. Adatto ad una fetta di pane sciapo condito con aglio, olio, sale e pepe, arricchita di calamaretti in umido.

Tralivio Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore Sartarelli

Sartarelli Via Coste del Molino 24 Poggio San Marcello 60030 (AN) Telefono: 0731 89732 E-mail: info@sartarelli.it Web: www.sartarelli.it

Nelle verdi colline marchigiane del comune di Poggio San Marcello, a circa 350 metri sul livello del mare, troviamo questa cantina, che ha un’estensione di circa 60 ettari di vigneti e 6 ettari di oliveti. Uve che provengono dai vigneti più vecchi della proprietà, rigorosamente selezionate e raccolte a mano, a comporre questo calice, dal colore limpido, giallo paglierino con riflessi verdognoli. Limpida, netta e pulita l’olfattiva, ricca ed elegante di tinte fruttate bianche, con ricordi di agrumi e profumi minerali, erba di campo. Bilanciata la sorsata, morbida e fresca, armoniche le note. Buona la sapidità, senza sgomitare negli eccessi, persistente il complesso olfattivo e gustativo. Un vino particolarmente adatto alle grigliate di pesce estive, davanti alla spiaggia. Si sposerà perfettamente agli aperitivi e alle bruschette. Da provare con una fetta di pane abbrustolito con sgombri in olio extravergine d’oliva e prezzemolo.

Franciacorta Prima Cuvée Brut Monte Rossa

Soc. Agr. Monte Rossa Srl Via Luca Marenzio 14 25040 Bornato Cazzago S. Martino (BS) Telefono: 030 725066 E-mail: info@monterossa.com Web: www.monterossa.com

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Siamo nella rinomatissima Franciacorta, con una cantina che ha fatto la storia di questa eccellenza italiana. Una storia di successi, che vedono la loro ragione soprattutto nella lungimiranza e nel piglio imprenditoriale dei titolari, primo fra tutti i fondatori PAOLO RABOTTI e la moglie PAOLA. Oggi Monte Rossa governa 70 ettari di vigneti e la produzione si attesta intorno alle 500.000 bottiglie all’anno. Il calice in degustazione rappresenta il primo vino dell’azienda e il più diffuso. Viene prodotto con uve Chardonnay e Pinot nero e una piccola percentuale di Pinot bianco. Immediato, piacevolissimo, grande bevibilità. Una freschezza netta, su un calice che si presenta brillante e limpidissimo, dal perlage calibrato e costante. Olfattiva croccante e diretta, con note fruttate e tinte floreali, sorsata circolare e corrispondente, morbida e assolutamente convincente. Estremamente versatile e facile da presentare a tavola, negli aperitivi e nelle calde serate estive, ben fresco. Adatto agli aperitivi tutti, perfetto con la rustica bruschetta.

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TECNOLOGIE

A Moduli verso la Smart Food Factory In parte visione, in parte rivoluzione ma, in parte, anche già realtà. Il gruppo CSB-System vi guida sulla strada del futuro digitale

N

ell’ultimo decennio la digitalizzazione ha molto accelerato i cambiamenti ed il progresso nel settore lattiero caseario. Sistemi automatizzati per la preparazione ordini, la rintracciabilità lotti completa o l’impiego di robot per preparare casse e/o pallet, sono solo alcuni esempi della spinta innovativa del settore. Ma la produzione del futuro sarà ancora di più collegata in rete: laddove oggi gli impianti vengono

gestiti centralmente, in futuro vi saranno sistemi di produzione intelligenti nei quali macchine, impianti e prodotti comunicheranno tra loro. Grazie alla gestione autarchica della produzione, infatti, non vi saranno più tempi di fermo e di inattività della produzione; l’impiego delle macchine verrà ottimizzato con conseguente riduzione del consumo di energia per il medesimo risultato di oggi. Essendoci meno scarti, anche il fabbisogno di materie prime calerà,

con ripercussioni positive non solo per le finanze, ma anche per l’ambiente. Esperti del settore ingegneristico affermano che quando lo scenario della produzione collegata in rete diventerà realtà, la produttività delle aziende potrebbe aumentare del 30%. Internet of Things come creazione di valore aggiunto In questo contesto di internazionalizzazione e ottimizzazione della filiera,

Smart Food Factory.

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Il gruppo aziendale CSB-System, sin dal 1977 specialista di soluzioni informatiche per il settore alimentare, vede nelle nuove possibilità della Smart Food Factory più un’evoluzione che una rivoluzione, perché la fabbrica intelligente non viene dall’oggi al domani, ma si evolve a piccoli passi. Alcune idee rivendicate dalla cosiddetta Rivoluzione Industria 4.0 sono già da tempo realtà per molti dei clienti CSB-System. Raccolta latte con pagamento latte qualità Il latte in ingresso è registrato nell’apposito modulo Raccolta Latte del CSBSystem, suddiviso per giro camion e conferente, e assegnato ad un tank di stoccaggio (centro di costo di conferimento), dal quale verrà poi prelevato per la produzione. Minimo due volte al mese, per ogni conferente viene inviato un campione di latte al laboratorio, anche esterno, dal quale si riceve successivamente un file che riporta i risultati delle analisi chimicofisiche e microbiologiche svolte sul latte raccolto. Il contenuto di questo file viene importato direttamente nel CSB-System e fornisce le informazioni necessarie per la valutazione dei fornitori e la determinazione del prezzo del latte alla stalla. Ad inizio mese, infatti, l’ufficio contabile dell’azienda può utilizzare statistiche per calcolare premi e penalità per conferente, a partire dal prezzo di contratto concordato, elaborando così automaticamente la fattura proforma per conferente. Il modulo Raccolta Latte prevede inoltre delle statistiche di consegna per periodo, per conferente, per gruppo di conferenti, per giro camion di raccolta, costi di raccolta, tutte configurabili direttamente dall’utente. Gestione Serbatoi con M-ERP del CSB-System La preparazione del latte necessario per la produzione e tutte le diverse fasi di lavorazione, ovvero miscelazione, attivazione, affioramento, possono avvenire in maniera molto intuitiva con funzionalità M-ERP all’interno di CSB-System. Il sistema, attraverso un’interfaccia grafica utente, propone le lavorazioni da svolgere con una lista delle componenti latte utilizzabili con la disponibilità

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Lettura ottica del codice Datamatrix con applicazione M-ERP del CSB-System. in litri. Di default può essere proposta la quantità in litri massima lavorabile. Tale quantità è modificabile dall’operatore a seconda del tipo di lavorazione che si vuole intraprendere. Gli operatori al quadro, in tempo reale, hanno così a disposizione tutte le informazioni circa il latte contenuto nei serbatoi, compreso il giro di conferimento e la tracciabilità delle lavorazioni precedentemente effettuate. I componenti di produzione, caglio e sale, sono caricati nel magazzino buffer di linea. Sulla base degli ordini di produzione, il CSB-System imputa per ogni prodotto i costi che vanno poi a definire il prezzo industriale di quest’ultimo. Piano di produzione dei freschi, dei prodotti a pasta filata e dei formaggi duri In base ad esigenze commerciali, alle giacenze di magazzino e agli ordini dei clienti il modulo Pianificazione della Produzione del CSB-System elabora il

piano di produzione anche eventualmente suddiviso tra i reparti freschi, pasta filata e duri. Gestione della produzione attraverso l’M-ERP della CSB-System La procedura mobile del CSB-System gestisce passo per passo, secondo percorsi ottimizzati, ogni singola fase della produzione: dalla gestione delle polivalenti alla gestione dei doppifondi, frescura e salamoia, dalla voltatura e stagionatura fino a carico e scarico da magazzino. Per esempio per i formaggi stagionati, prima della fase di stoccaggio in salina, la procedura mobile può registrare nel gestionale i dati della pesatura e la posizione della singola forma: si sa così dove si trova un preciso lotto di produzione e si conosce la data prevista d’uscita. All’uscita dalla salina, il prodotto può venir nuovamente scansionato e pesato su CSB-Rack ottenendo così il suo primo

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secondo le varie certificazioni aziendali (ISO, IFS, BRF, HALAL, Kosher). Tutti i controlli vengono svolti dal personale e registrati nel sistema CSB-System, garantendo così una registrazione puntuale del dato legato all’articolo/lotto e una razionalizzazione delle operazioni di controllo con riduzione del supporto cartaceo. In ogni momento l’utente potrà richiamare a video o stampare i risultati dei controlli svolti su tutto il processo produttivo.

Anche per la gestione della produzione dei formaggi freschi/a pasta filata è possibile studiare attraverso l’M-ERP delle soluzioni specifiche in base all’esigenze del cliente. calo peso. Segue lo stoccaggio per la stagionatura. Anche la posizione delle forme nei vari magazzini di stagionatura e la compilazione degli inventari avviene con applicazione M-ERP, che semplifica e ottimizza l’intero processo produttivo con conseguente riduzione dei margini di errore degli operatori. Così per la gestione della produzione dei formaggi freschi/a pasta filata è possibile studiare attraverso l’M-ERP delle soluzioni specifiche in base all’esigenze del cliente. L’obiettivo dell’M-ERP è fornire delle soluzioni semplici affinché gli operatori in produzione, molte volte non avvezzi al computer, possano registrare i dati e alimentare le informazioni a sistema senza ricorrere a moduli cartacei. Rintracciabilità garantita attraverso placca di caseina munita di Datamatrix Al momento della formatura è uso e consuetudine, soprattutto per alcune tipologie di formaggio, applicare delle placche di caseina con un numero univoco di identificazione. Le placche di caseina possono essere fornite di codice Datamatrix per la lettura ottica. Grazie ad una procedura mobile del CSB-System, l’operatore, dotato di terminalino portatile, scansiona la placca ed il CSB-System ne identifica così: lotto, data di produzione, processo di produzione, doppiofondo/polivalente in cui è stata

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preparata, orario di formatura, ecc… Tutti questi dati servono a tracciare ogni movimentazione della singola forma, i suoi costi e i controlli qualità svolti nel processo produttivo. Allo stesso tempo assicura la tracciabilità dei componenti e del conferente latte. Selezione, battitura e espertizzazione Per alcuni formaggi, come per esempio Grana Padano e Parmigiano Reggiano, una volta completata la stagionatura è necessario svolgere la battitura e l’espertizzazione di ogni singola forma per classificarne la qualità nelle diverse categorie. In questo caso, attraverso il CSB-System, dopo aver letto con un lettore scanner il codice Datamatrix della singola forma, il battitore potrà attribuire la categoria qualitativa di appartenenza con un semplice “clic” sullo schermo. A ritroso poi sarà possibile verificare l’intero processo produttivo fino al latte alla stalla, per identificare eventuali anomalie avvenute lungo le fasi di lavorazione del prodotto. Controllo Qualità Il Controllo Qualità è direttamente collegato all’operatività quotidiana in impianto ed alle registrazioni effettuate nei vari punti di controllo dalla raccolta latte alla produzione, dalla stagionatura all’espertizzazione, secondo gli standard di qualità imposti dall’azienda stessa e

Vantaggi di gestione tracciabilità e controllo qualità all’interno della Smart Food Factory La gestione della tracciabilità ed il controllo qualità, anche nel settore lattiero caseario, si basano spesso su procedure di lavoro manuali e moduli cartacei. Questo comporta, in caso di audit, un enorme spreco di tempo e energie per rintracciare e documentare dati e flussi, soprattutto se le aziende hanno un processo produttivo a più livelli. In alcuni casi addirittura, se i moduli sono compilati a mano con scrittura poco chiara, può essere necessario più tempo per interpretarli, sia durante l’immissione dei dati su un foglio Excel o Word sia quando si cerca di interpretarli per l’audit. Tutto questo comporta un risparmio di tempo e un rapido ritorno dell’investimento (ROI). In CSB la tracciabilità e il controllo di gestione sono delle conseguenze del normale operare e garantiscono il futuro e la marginalità dell’azienda.

Referente Italia: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb-system.it

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LIBRI

Il piacere della tavola Un cammino esperienziale in sessanta tappe per indagare, conoscere e, soprattutto, imparare ad apprezzare i piaceri della tavola e della gastronomia

T

re sono gli aforismi del più celebre gastronomo di tutti i tempi, JEAN ANTHELME BRILLATSAVARIN, che celebrano il piacere della tavola. Il primo afferma che questo piacere è di tutte le età, di tutte le condizioni sociali, di tutti i paesi e di tutti i giorni, può associarsi a tutti gli altri

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piaceri e resta ultimo a consolarci della loro perdita. Il secondo aforisma dice che il piacere di mangiare è il solo che, preso modestamente, non è seguito da stanchezza. Infine il terzo, forse il più celebre, dichiara che la scoperta di un nuovo manicaretto fa per la felicità del genere umano più della scoperta di una stella.

Affermazioni pienamente condivisibili e che oggi devono essere completate da approfondimenti, perfezionamenti e ammodernamenti, perché il mangiare e soprattutto l’idea che abbiamo di questa essenziale funzione cambiano con le società e i tempi. In questa linea si pone una recente pubblicazione di GIOVANNI

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BALLARINI intitolata Il piacere della tavola, con la prefazione di GIACOMO RIZZOLATTI (Diabasis, Parma, 2016). Entrambi sono professori presso l’Università di Parma, il primo da diversi decenni antropologo alimentare e il secondo neuro-scienziato e celebre scopritore dei “neuroni specchio”. Un’associazione a prima vista strana, ma tale non è, considerando che il piacere è una funzione soprattutto cerebrale. Se sono i sensi che percepiscono, è il cervello che li elabora, anche in base alla memoria, trasformandoli in senso di disgusto, gusto e piacere. Tre sono le pulsioni umane che si collegano al cibo affrontate da Giovanni Ballarini: paura, piacere e potere, che si riflettono anche nell’alimentazione, in tutte le sue espressioni. La paura del cibo e il cibo come potere sono strettamente legati al piacere del cibo, in tutte le sue manifesta-

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zioni; per questo deve essere esaminato e conosciuto. Il piacere del cibo, un vizio contro il quale si scagliavano le religioni, oggi sostituite dalle scienze mediche più miopi e tecnologicamente restrittive, è una dimensione che raccoglie un’infinita varietà di elementi, costitutivi di un’umanità che, unica tra tutte le specie, ha inventato la cucina portandola ai livelli di una gastronomia che, in quanto arte, deve dare piacere. Conoscere i piaceri dei cibi e della cucina, con le sue regole e miti, è riportare la cucina e la gastronomia ai loro ruoli costitutivi di una Civiltà della tavola. L’alimentazione è un atto sociale oggi messo in crisi dall’industrializzazione alimentare, dal progressivo decadimento di rapporti della società urbana con l’ambiente dal quale originano i cibi, dalla progressiva ignoranza, anche simbolica, dell’alimentazione quale elemento d’identificazione personale e sociale, ma soprattutto dall’aver perso molte delle dimensioni del piacere dei cibi, della cucina e della tavola. Molti sono i piaceri del cibo ricordati nel libro di Giovanni Ballarini. Mangiare non è tanto un atto agricolo (WENDELL BERRY) quanto un gesto ecologico, politico e soprattutto sociale, e i piaceri del cibo sono aumentati dalla conoscenza (MICHEL POLLAN) dei suoi mille significati, ognuno dei quali diventa occasione di piacere. In proposito se ne ricordano i principali. Il cibo è nutrimento e se è equilibrato, buono, sano, lo saremo anche noi. Può essere buono “per noi”, goloso e gustoso, e buono “per l’ambiente”, biologico. Il cibo è tradizione e nei piatti tipici e tradizionali si conserva una parte della cultura di un popolo, di una regione, e si tramandano antichi saperi. Il cibo è amicizia e la sua offerta è il primo gesto di simpatia, se non familiarità, in ogni parte del mondo, e diviene gioia quando lo si condivide con le persone che abbiamo vicino. Il cibo è ritrovarsi e per una famiglia, sempre più spesso “allargata”, il momento del pranzo e quello della cena sono l’occasione per riunirsi. A tavola, insieme con le pietanze, si incontrano, si consumano e si eliminano, con gesti conviviali, i piccoli impacci, le ruvide cortesie, gli sbalzi di nervosismo, le storie degli invitati. Il cibo è festa e

GIOVANNI BALLARINI Il piacere della tavola Diabasis, Parma, Collana: I sensi, 2016 222 pp. – € 18,00

non si può pensare a nessuna occasione di festeggiamento, in tutti i luoghi, all’aperto e a casa, senza una tavola curata, più o meno ricca a seconda del numero e del tipo di portate, comunque immaginate e preparate con soddisfazione e gioia. Il cibo è socialità e approfondimento di rapporti collettivi, e quando, per motivi di lavoro, ci si ritrova attorno a una tavola, si è più franchi, schietti, è più facile comunicare e lasciarsi andare. Il cibo è piacere, è uno dei godimenti della vita: un piatto fumante, con i suoi profumi allettanti, soddisfa il nostro appetito e ci appaga. Il cibo è un rito quasi liturgico. L’attenzione nel preparare la tavola, la cura nel cucinare i piatti preferiti sono momenti preziosi da ritagliarsi come antidoto alla odierna frenesia e da pensare come gesti per prendersi cura di sé. Il cibo è una coccola, dal vol-au-vent dell’antipasto al cioccolato e cognac del dopo-pasto. Il cibo è un atto sensuale, il miglior preliminare all’intimità, con tutti gli “ingredienti” giusti: l’atmosfera, i sapori, i gesti… e l’amore. Nota Photo © Rawpixel.com – Fotolia.

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Alla scoperta degli artigiani del buon mangiare

Bologna ombelico di tutto

“B

ologna ombelico di tutto…” cantava, qualche tempo fa, Francesco Guccini. Così “canta” oggi la sua città, usando la scrittura, la penna, e non la voce, BRUNO DAMINI, giornalista pubblicista, parmigiano di nascita ma bolognese d’azione. “Damini ha fatto tesoro della lezione di Piero Camporesi e Massimo Montanari introiettando il concetto che il cibo è cultura — scrive VALERIO VARESI sul quotidiano LA REPUBBLICA — e che quello che compare sulla nostra tavola racconta di noi e la nostra storia e ordisce un’operazione intelligente e temeraria: presentare un libro che strizza l’occhio alla moda del buon palato editoriale il quale, appena aperto, si rivela un rosario di storie col pretesto della gastronomia. È storia materiale, guida gastronomica fra l’Artusi e la Michelin, ma anche catalogo della nostra più autentica e genuina impronta culturale”. In “Bologna

ombelico di tutto. Alla scoperta degli artigiani del buon mangiare”, edito da Minerva nella collana Ritratti di gusto e recentemente presentato proprio a Bologna nella magnifica cornice del Grand Hotel Majestic, Damini traccia un percorso simbolico — e nello stesso tempo “urbanistico” — fatto di storie esemplari di donne e uomini “di ogni età che la mattina si rimboccano le maniche e lavorano il mangiare con la doppia sapienza della testa e delle mani”. Una sequenza di racconti suddivisi per argomento (“Il pane”, “La sfoglia”, “L’orto”, “Il pesce”, “La carne”, “La mortadella”, ecc…), con un utile indirizzario al termine di ogni capitolo. Dal centro storico alla periferia, montagna compresa, gli artigiani bolognesi scelti da Damini esprimono l’anima sana di Bologna e del suo territorio, quella cioè che crede “nel fare” e non nelle parvenze e dalla cui esperienza abbiamo tutti molto da imparare. Come nel caso della Favola

Leonardi Lelli: bolognese, assaggiatore professionista, esperto di caffè gourmet, è uno degli artigiani protagonisti del libro di Bruno Damini. Dal 1996 conduce la torrefazione omonima nel capoluogo emiliano con la sorella Lisa (photo © www.caffelelli.com).

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del pane e della sfoglia delle sorelle Simili, due donne straordinarie che hanno contribuito a promuovere nel mondo la grande tradizione gastronomica bolognese, o il ritratto di Ennio Pasquini, l’originale e unico “signor Mortadella”, recentemente scomparso (si veda box a pagina 128). E ancora, i formaggi caprini di Marco Feltrin, la “gente” del Mercato del Quadrilatero o di quello delle Erbe, le mucche di Guglielmo Fontanelli, Gino Fabbri e le sue dolcezze apprezzate a livello internazionale. Bologna città del gelato ma anche del caffè (e chi l’avrebbe mai detto?, Ndr), la magia delle drogherie, la poesia del vino dei Colli, Guido Fini Zarri, il distillatore di sogni, gli chef, le scuole di cucina fino all’incredibile realtà del “Teatro da mangiare”. “Se alla fine del libro avrete scoperto una città diversa — suggerisce LICIA GRANELLO nella prefazione dell’opera — aprite una bottiglia e brindate all’autore. Ne sarà felice”.

BRUNO DAMINI Bologna ombelico di tutto. Alla scoperta degli artigiani del buon mangiare Edizioni Minerva, Argelato (BO), 2016 Collana: Ritratti di gusto 224 pp. – € 16,90

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Haripro, leader in Italia nella produzione di proteine e aromi naturali, fornisce le piĂš importanti aziende produttrici di ingredienti per la salumeria. Haripro grazie ad una continua ricerca, ha sviluppato negl'anni prodotti sempre piĂš all'avanguardia, come proteine funzionali ed aromi naturali anallergici ad alto valore nutrizionale. Haripro is a leading producer of proteins and natural flavours in Italy. It supplies the most important Companies which blend ingredients for the meat industry. Haripro, thanks to a continuous research, had developed through years more advanced products like functional proteins and hypoallergenic natural flavours with high nutritional value.

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Addio a Ennio Pasquini, il signor Mortadella Cinquant’anni di attività artigiana e un pezzo della storia del salume simbolo dell’Emilia-Romagna: questo è quanto è venuto a mancare con la scomparsa di Ennio Pasquini, morto lo scorso 18 aprile all’età di 83 anni nella sua città. Artigiano di lunghissimo corso, sinonimo di eccellenza e qualità, aveva iniziato il suo percorso quasi per caso, come amava raccontare spesso. “A quindici anni correvo con gli esordienti, anche mio padre era stato ciclista e conosceva il signor Raimondi che aveva corso con lui e che, in quegli anni possedeva sia una piccola società sportiva che un piccolo macello. Io entrai nella sua squadra e dopo poco anche nel suo laboratorio”. Rilevò il salumificio otto anni più tardi, restando sempre fedele alla sua filosofia lavorativa. “Prima ero io a dover correre dietro ai clienti, oggi è il contrario”, raccontava alcuni anni fa ad un giornalista di LA REPUBBLICA, sottolineando come il successo non avesse cambiato la sua vita, se non in quel piccolo particolare. Il numero 38 di via delle Tofane è sempre stato il centro del suo lavoro, strettamente legato alla tradizione. Tra i suoi prodotti più famosi anche il salame rosa da lui spesso definito “il nonno della mortadella”. «Pasquini rappresenta l’essenza dell’artigianato» ha commentato Valerio Veronesi, presidente di CNA Bologna. «Ha saputo mantenere viva una tradizione alimentare che nasce lontana nei secoli, l’ha resa popolare e di qualità, come dimostrano sia i tanti chef che mostrano con orgoglio nei loro menu la “mortadella Pasquini” che i tanti clienti affezionati in coda davanti al suo laboratorio, l’ha difesa e valorizzata, l’ha saputa fare apprezzare ai bolognesi, agli Italiani e a tanti cultori in tutto il mondo».

tOur-tlen, in un libro (e un progetto) le tante facce del tortellino

Elisa Azzimondi tOur-tlen – Le tante facce del tortellino Minerva Edizioni, Bologna, 2016 192 pp. – € 16,90

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tOur-tlen – Le tante facce del tortellino di Elisa Azzimondi è un libro, e un progetto, nato in collaborazione con l’associazione bolognese tOur-tlen (www.tour-tlen.it), che racconta le mille sfaccettature in cui è possibile interpretare uno dei principali simboli gastronomici che ha fatto grande la cucina italiana nel mondo: il tortellino. Venti interpreti, grandi ristoratori, con l’aggiunta del campione mondiale di pasticceria, offrono la loro abilità ed esperienza per dare a questo piccolo nodo di pasta una nuova veste, sospesa tra tradizione e innovazione. Il volume raccoglie le loro storie, le aspirazioni e la loro personale chiave di lettura della cucina, non solo bolognese. Un gioco letterario e culinario firmato dagli chef più rappresentativi del panorama italiano, esponenti di realtà fra loro molto diverse — dall’osteria alla grande ristorazione — che hanno accettato la sfida di raccontare se stessi, la loro cucina e il proprio territorio partendo da questo comune denominatore per arrivare alla piena espressione della propria visione e percorso di cucina. Un ricettario che è sintesi della loro storia e cifra dei locali di cui sono rappresentanti, un manuale pratico, con tante ricette legate a diverse proposte gastronomiche per costruire un menù completo e variegato, un indirizzario sicuro per occasioni speciali e cene informali, una scuola di cucina per imparare a tirare un’ottima sfoglia e conoscerne i segreti. L’autrice attualmente collabora stabilmente con Slow Food Editore e Minerva, per la quale è direttrice della collana gastronomica “Ritratti di gusto”.

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Il profumo della tradizione, il gusto della qualitĂ .

Bacio della Luna Spumanti s.r.l. Via Rovede, 36 31020 Colbertaldo di Vidor TREVISO info@baciodellaluna.it www.baciodellaluna.it Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG Millesimato

Pinot Vino Spumante Extra Dry Rosè

Prosecco DOC Vino Spumante Extra Dry

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