Premiata Salumeria Italiana 3-2019

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXI N. 3 Maggio-Giugno 2019

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* in riferimento ai valori medi nutrizionali della Mortadella (fonte dati: CREA – Alimenti e Nutrizione)



Riserva del Fondatore 24 mesi. Le migliori cosce, pochissimo sale e due anni di riposo: un capolavoro destinato a soli intenditori.

L’armonia tra la dolcezza e gli intensi aromi scaturiti dai 24 mesi di stagionatura rende questo prosciutto unico nel panorama del Parma di Qualità .

GRUPPO

LANGHIRANESE PROSCIUTTI S.r.l. - Via A. De Gasperi, 1 - 43013 LANGHIRANO (PARMA) ITALIA - Tel. e Fax +39 0521 857162 www.langhiranese.it - e-mail: mail@leoncini.com


N. 3

€ 6,70 Anno XXXI Maggio-Giugno 2019

Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi

Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Prof. Fausto Cantarelli Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata Prof. Sergio Ventura

Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Lorenzo Fiorentin

EURO ANNUARIO CARNE 2019

Fotografia Luigi Credi

Euro Annuario Carne La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2019 Copia cartacea: € 95,00

Abbonamenti Fioretta Fiorentin Amministrazione Andrea Tomassone

Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2018. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2018.

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com — Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985

Premiata Salumeria Italiana, 3/19

Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

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N. 3

€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

In questo numero:

Immagini

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Tendenze

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Salumi & Co.

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Fotografati e mangiati

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Il food in rete Aziende

Marketing

Social food

Elena Benedetti

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Tenuta di Borgoluce, dove si seminano cereali e si raccolgono salumi Gian Omar Bison

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Ibis: la grande qualità premiata e un nuovo stabilimento in Calabria

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Cosa vuoi di più dalla vita? Un Nero lucano!

Gaia Borghi

Valorizzazione salutistica dei prodotti agroalimentari

Manuela Giovannetti 34

Preziosa salumeria di marca

Giovanni Ballarini

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A pagina 123.

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Interviste

Luppi, la parola alle cooperative

Sebastiano Corona

40

Sicurezza alimentare

Il MIPAAFT a difesa del made in Italy

Sebastiano Corona

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Consumi

Consumi alimentari, salutismo e praticità d’uso trainano la spesa degli Italiani

50

Comunicare

Fake news su carne di maiale e salumi: 10 falsi miti

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Indagini

Olio d’oliva, l’origine vince su brand e prezzo

Gianluca Pacella

56

“Senza” e il “ricco di”, la salute nel carrello della spesa

Sebastiano Corona

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Carni e salumi di Carnia

Riccardo Lagorio

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I ciarimboli marchigiani, prodotto povero per intenditori

Nunzia Manicardi

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Curiosità

Umami: il quinto gusto e oltre

Nunzia Manicardi

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Sapori dal mondo

Nel nome della rosa

Riccardo Lagorio

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Tradizioni

Non è una guerra… è un’amatriciana!

Giorgia Fieni

76

Turismo enogastronomico

Corte San Ruffillo, ospitalità e sapori di Romagna

Massimiliano Rella

80

Il Sannio a tavola, cucina generosa di terra e carne

Massimiliano Rella

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Il gusto di camminare

In cammino sulle Isole Azzorre

Elena Simonini

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Rassegne

Salumi da Re, e sono sei

Prodotti tipici

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N Anno XXXI N. 3 Maggio-Giugno 2019

S T O P € 6,70

A pagina 66.

In copertina: prosciutto cotto, un salume versatile, perfetto per le tavole primaverili ed estive (photo © Massimiliano Rella).

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Fiere

Speciale Vinitaly

Formaggio

Cibus Connect, raddoppiano i numeri

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La tavola di domani a Tuttofood 2019

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Vinitaly 2019, eppur si muove

Laura Franchini

110

Se il Vermentino va nella salsiccia e il rosè… nella lombè

Gaia Borghi

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Caciocavallo, le molteplici varianti della tradizione

Veronica Fumarola 120

Un’antica grotta per il nuovo formaggio Busti

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Vino

Loazzolo Doc, un vino in un angolo di paradiso

Riccardo Lagorio

126

I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: formaggi di capra

Laura Franchini

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Storia e cultura

Salumeria dell’antica Roma

Giovanni Ballarini 134

A pagina 80.

A pagina 126.

A pagina 118.

www.premiatasalumeriaitaliana-online.com 8

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IMMAGINI

Alla recente edizione di Identità Golose Milano (MiCo, 23-25 marzo), il congresso internazionale di cucina d’autore organizzato da Paolo Marchi e MagentaBureau giunto alla sua quindicesima edizione, la carne e i salumi sono saliti nuovamente in cattedra, dopo la loro prima volta nel 2012, conquistando una sezione originale ed esclusiva: Identità di carne. Tra i protagonisti della giornata anche Matteo Baronetto, chef del ristorante Del Cambio di Torino, e Giovanni Porro, fondatore e ideatore dell’omonima linea di bresaole, la Giò Porro, prodotte con il Metodo Zero. Presentata sul mercato a fine 2018, la bresaola Metodo Zero prodotta a Ponte Valtellina (SO) è priva di nitriti, nitrati, glucosio, lattosio, conservanti e additivi. Per il suo piatto Matteo ha scelto “La Wagyu”, realizzata, come dice il nome, con punta d’anca di bovini di razza Wagyu. Ad accompagnarla un brodo caldo nel quale intingere ogni fetta di bresaola, «per rinvigorire la carne» spiega lo chef, e una fettina di pomelo. I nostri incontri salumieri a Identità Golose ve li raccontiamo da pagina 30 a 33 (photo © Brambilla-Serrani).

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UNA STORIA UNA SOLA PASSIONE UNA MORTADELLA

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creativity by Valentina Lasagni

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Macinatura molto piĂš lenta e rispettosa della materia prima, cottura prolungata e tagli pregiati di suino italiano. 1963 MORTADELLA 100% ARTIGIANALE: consistenza unica e sapore delicato. w w w.felsineo.com


TENDENZE Scoppia la “Food design mania” tra i Millennials: 4 su 10 scelgono locali con lo stile più instagrammabile

Il cibo è ormai diventato sinonimo di fashion e design. La capacità di far vivere un’esperienza unica e di offrire uno spazio accogliente sono le caratteristiche più ricercate dai consumatori, soprattutto dalle nuove generazioni. Scenario confermato da una ricerca pubblicata su un portale britannico, secondo cui oltre il 40% dei Millennials ha ammesso di ritenere l’estetica della tavola il requisito fondamentale per la scelta di un locale; un fenomeno che si ripercuote a cascata su tutto ciò che i giovani pubblicano sui social per comunicare con un post quale piatto hanno mangiato e il locale prescelto. Questo può rappresentare quindi anche un fattore da cui dipende il giro d’affari e la reputazione on-line dei ristoranti, dato che secondo uno studio americano pubblicato, il 99% degli appartenenti alla Generazione Z e dei nativi digitali sceglie il mondo dei social e delle recensioni come uniche fonti attendibili. Basta pensare che su Instagram l’hashtag #FoodDesign compare oltre 350.000 volte, segno di un vero e proprio trend, emerso anche da uno studio condotto in occasione della Milano Design Week da ESPRESSO COMMUNICATION su testate internazionali dedicate a lifestyle, attualità e tendenze. Quella del food design è una tendenza che, partendo dai social, ha influenzato le scelte stilistiche di alcuni dei migliori ristoranti e locali in giro per il mondo, che oggi sono secondo gli esperti di stile a tavola tra i più “instagrammabili” (fonte: EFA News – European Food Agency).

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Senza Conservanti Senza Glutine Con Con Sale Sale Marino Marino

Strada Comunale del Cristo, 12/14 41014 Solignano di Castelvetro - MO - Italy Tel. +39 059 532007 - Fax +39 059 532038 www.bpprosciutti.it - www.suincom.it


Dean & DeLuca: spazio al design per un nuovo concetto di food store

DEAN & DELUCA è un retailer statunitense presente sul mercato americano e mondiale con locali che combinano la parte grocery con specialty foods e piatti pronti, da consumare anche all’interno. Qui nella foto un allestimento progettato da CADA DESIGN. Qualche settimana fa Dean & DeLuca ha anche inaugurato un nuovo concept, STAGE, molto diverso dai suoi gourmet market, rinnovando il concetto di fast-food a favore di un approccio scenico, creativo e originale (photo Š cada.co.uk).

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Per chi la mortadella la vuole rigo rigorosamente o col pistacchio, è nata una nuova Favola. Impasto delicato e profum profumato m come sempre, ma con qualcosa in più: il gusto dei migliori pistacc pistacchi c della Sicilia. Sempre più inimitabile fuori, grazie alla legatura a mano in colore verde, e ancor più inconfondibile dentro.

www.mortadellafavola.it www w


SALUMI & CO.

Il panino vince

sempre

DANIELE REPONI, re dei panini gourmet, lo sa bene: la scelta delle materie prime è fondamentale per preparare il panino perfetto. È bene quindi che chi lo assaggerà sia consapevole del lavoro di selezione degli ingredienti: attraverso dei cartellini ben esposti e un tocco di presentazione che non guasta mai (photo © onthegrid.city).

La forza DELLE LETTERE Vuoi far sapere chi sei attraverso il tuo nome o con una parola che ti rappresenta? Le lettere decorative sono perfette a tal fine. Semplici da collocare e di immediato effetto. Si possono appendere, attaccare alla parete, appoggiare in modo disordinato su una superficie. Se ne trovano in commercio di tanti materiali, dal legno al cartone, plastica (anche retroilluminata) e metallo (photo © patpitchaya – stock.adobe.com).

We love

VINTAGE Il vintage è una tendenza che non conosce crisi, anche nell’arredo di una salumeria. Qualche idea? Usate vecchie scatole di biscotti o di tè, rigorosamente in latta. Daranno colore e quel gusto retrò che rende il locale subito accogliente. Per scovare oggetti segnaliamo Mercanteinfiera, l’appuntamento autunnale si svolgerà presso il quartiere fieristico di Parma dal 5 al 13 ottobre. Per informazioni: mercanteinfiera.it (photo © Amazon.co.uk).

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FOTOGRAFATI E MANGIATI

CANAPELA

Produttore: Dal Massimo Goloso. Regione: Trentino Alto-Adige. Area: Coredo (TN). Ingredienti: carne di suino, sale, pepe, canapa sativa, aglio, pimento, cannella, chiodi di garofano. Senza: lattosio e glutine. Descrizione: ecco la novità che Massimo Corrà ha presentato a Salumi da Re 2019, la mortandela con farina di canapa sativa, presente sia nell’impasto che all’esterno. L’impasto è molto simile a quello del salame, lavorato con le mani fino a raggiungere una forma sferica. La canapa conferisce al prodotto un profumo unico. In abbinamento: pane nero e un buon calice di Gewürztraminer trentino. Info: www.macelleriacorra.com

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SUSIANELLA VITERBESE

Produttore: Salumificio Coccia Sesto. Regione: Lazio. Area: Viterbo. Ingredienti: carne suina certificata viterbese (corata, spalla, guanciale e/o pancettone), sale, pepe bianco e nero, aromi naturali, aglio, finocchio, peperoncino. Senza: lattosio e glutine. Descrizione: è uno splendido salume della tradizione, tipico della città di Viterbo, tratto da una ricetta che risalirebbe alla civiltà etrusca. Tutelato da un presidio Slow Food, è insaccato in un budello naturale bovino che prende il nome di budello torto di bue. Molto profumato, all’assaggio ha un sapore ricco, pieno e deciso. In abbinamento: un buon pane di Genazzano. Info: salumificiococcia.it

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IL FOOD IN RETE

Social di Elena

1. Tre Pecorini è meglio di uno! La campagna 3Pecorini (www.3pecorini.com) è frutto della collaborazione tra il Consorzio per la Tutela del Formaggio Pecorino Romano DOP, il Consorzio per la Tutela del Formaggio Pecorino Sardo DOP e il Consorzio per la Tutela del Formaggio Fiore Sardo DOP, riuniti in una ATS per promuovere la conoscenza sulle produzioni di formaggi ovini di qualità della regione Sardegna. Si tratta di prodotti realizzati con latte ovino al 100%, proveniente da pecore allevate nelle rispettive zone d’origine allo stato brado da pastori che, ancora oggi, seguono tradizioni millenarie. La produzione dei formaggi sardi DOP è il frutto di una terra incontaminata, di un’antica cultura casearia oltre che del lavoro di una sapiente squadra di uomini (photo © 3pecorini.com).

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2. Nuova banca dati per le Indicazioni Geografiche dell’UE Si chiama EAMBROSIA ed è il nuovo registro pubblico delle indicazioni geografiche dell’UE lanciato lo scorso 1o aprile. Questo nuovo sistema semplifica parecchio la ricerca di informazioni sulle indicazioni geografiche e aumenta la trasparenza per i produttori, le autorità nazionali e tutti coloro che sono interessati alle indicazioni geografiche europee. L’implementazione è attualmente in corso attraverso tre fasi: ad oggi il database include solo i vini GI dell’UE (e-Bacchus), entro l’estate 2019 includerà bevande alcoliche dell’UE (bevande e-Spirit) ed entro la fine dell’anno si estenderà a tutti i prodotti agroalimentari dell’Unione Europea con un’interfaccia intuitiva e facile da navigare. Ecco il link: ec.europa.eu/info/eambrosia-database_en (photo © mythja – stock.adobe.com).

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food Benedetti

3. A Trieste l’International Wine Tourism Conference Sarà il Friuli Venezia Giulia, e in particolare Trieste, la sede della XII edizione dell’evento mondiale più importante per l’industria del turismo enogastronomico: l’INTERNATIONAL WINE TOURISM CONFERENCE (IWINETC, www.iwinetc.com). Realizzata per la prima volta in Spagna nel 2009, la conferenza si tiene ogni anno in destinazioni in ascesa per il turismo enogastronomico, come Porto, Tbilisi, la regione dello Champagne, Barcellona e i Paesi Baschi. In Friuli l’evento si svolgerà dal 24 al 26 marzo 2020. È prevista la partecipazione di esperti del settore provenienti da tutto il mondo, che prenderanno parte a conferenze, workshop, degustazioni e itinerari alla scoperta del patrimonio enogastronomico regionale (in foto, piazza Unità d’Italia a Trieste; photo © Lsantilli – stock.adobe.com).

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4. Norcini e macellai, nuovo e-shop per i Falaschi Sono norcini da quattro generazioni e hanno uno stile comunicativo stupendo. La MACELLERIA FALASCHI di San Miniato (PI) è sul web con www.sergiofalaschi.com, un sito tutto ridisegnato che oggi è anche e-commerce. Finalmente bastano pochi clic per avvicinare il loro laboratorio di lavorazione carni e salumi a tutta la clientela italiana ed estera. Bravissimi (photo © sergiofalaschi.com).

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AZIENDE

Tenuta di Borgoluce, dove si seminano cereali e si raccolgono salumi di Gian Omar Bison

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e i suoi 1200 ettari a Susegana (TV) sono una fucina di idee prima ancora di essere un esempio curioso e originale di imprenditorialità agricola ed agroalimentare. Si seminano cereali e si raccolgono carni e latte di bovini e bufale. Si attrezzano i pascoli per ovini di razza Alpagota, mandrie di mucche e vitelli di razza Charolaise e Limousine, per suini di razza Duroc allo stato semibrado e si trasformano in fettine e hamburger, salumi e formaggi che, insieme al vino (100 gli ettari di

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ORGOLUCE

superficie vitata per il 90% Glera), vinificato nella nuovissima ed avveniristica cantina, vengono consumati nell’Osteria e nella nuova Frasca a Mandre, di fronte al museo dedicato alla vecchia scuola ufficiali dei bombardieri del re e al museo che arriva dalla collezione di Villa Emo con i mezzi di trasporto e gli attrezzi da lavoro d’epoca. Percorsi didattici e museali, visite guidate a piedi o in bicicletta, laboratori di caseificazione, erbe aromatiche e panificazione, ricettività a diversi livelli e su diversi immobili compresi nella tenuta delle

Contesse di Collalto, completano un pacchetto a circuito chiuso da vendere nello spaccio o da offrire ai cultori del turismo enogastronomico. Poteva mancare l’impianto a biogas per lo smaltimento dei reflui degli allevamenti e degli scarti delle produzioni agricole e silvo-pastorali? Certamente no! E così si accontenta anche la sostenibilità delle produzioni in azienda, generando autonomamente, con una distesa di pannelli fotovoltaici e una caldaia a cippato, calore ed energia elettrica. OMAR BORTOLETTO, responsabile del food e

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A sinistra: 1.220 ettari di “vita”, la tenuta Borgoluce. In alto: sopressa, sopressa con filetto, salame, salame con l’aglio, ossocollo, pancetta, costella, salame e bresaola di bufalo, sono i salumi realizzati dall’azienda Borgoluce con le carni dei propri animali (photo © Emanuele Tortora). In basso: i latticini di bufala del caseificio di Borgoluce (photo © Emanuele Tortora).

della ristorazione della società agricola Borgoluce, che ha a capo le CONTESSE DI COLLALTO MARIA TRINIDAD e CATERINA e amministratore LUDOVICO GIUSTINIANI, marito di Caterina e presidente di Confagricoltura Veneto, segue in particolare tutto quanto riguarda le trasformazioni alimentari. «Gli allevamenti — sottolinea Bortoletto — sono un settore importante per l’azienda. Abbiamo un allevamento bovino con quasi 700 capi che, per oltre 6 mesi, nel periodo della primaveraestate, divisi per mandrie, sono avviati nei pascoli tutti interni all’azienda. In

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inverno restano nelle stalle. E poi ci sono oltre 200 maiali che vivono tutto l’anno nel bosco allo stato semibrado. Sono all’aperto ma divisi per pezzatura e dentro ad alcuni recinti in un’area complessiva di tre ettari circa. Non si nutrono solo di quello che trovano ma l’alimentazione viene integrata. Poi abbiamo un’ottantina di agnelli di razza Alpagota, anche questi tutto l’anno al pascolo». L’unico allevamento in stabulazione fissa è quello delle bufale, con oltre 350 capi che stazionano in una nuova stalla

(da latte) approntata dieci anni fa con una discreta disponibilità di spazi e attenzione al benessere animale. Solo i bufali maschi hanno un paddock aperto. «Terminato l’accrescimento, i capi maschi sono destinati alla trasformazione in carne fresca e salumi. In media abbiamo 110 parti all’anno, per metà maschi. La macellazione avviene a 16-18 mesi, con un peso morto compreso tra i 200 e i 250 chili. Macelliamo un bufalo a settimana circa presso il macello pubblico di Farra di Soligo (TV). Riportiamo le mezzene in azienda dove avviene la

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In alto: salumi in stagionatura (photo © Emanuele Tortora). In basso: nella tenuta di Borgoluce oggi si trovano vigneti di Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg, Pinot grigio, Manzoni bianco, Chardonnay, Merlot e Cabernet. lavorazione completa. I tagli sono gli stessi del bovino, a parte il bollito che non proponiamo. Proponiamo invece l’hamburger preparato con tutto il macinato anteriore. Sia per i bovini che per i bufali abbiamo la linea vacca-vitello completa con monta naturale, per cui tutto il bestiame nasce e viene allevato in azienda». A corredo, la zona dedicata all’api-

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coltura per il miele, i 70 ettari di noceto, la canapa sativa e gli ulivi per l’olio, posti in collina da dove si prosegue fino al Castello dei Collalto in prossimità del quale troviamo l’Osteria e la stalla di Tezze. «Le carni vengono vendute quasi al 100% direttamente nello spaccio aziendale o sono destinate alla ristorazione interna» evidenzia Bortoletto. «Abbiamo anche un piccolo punto

vendita in Piazza Duomo in centro a Treviso dove vendiamo tutto a parte i tagli freschi. Sul latte e derivati oltre il 50% viene venduto alla distribuzione organizzata tramite la VALSANA SRL di Santa Lucia di Piave (TV). Ci garantiscono una distribuzione sul territorio nazionale e internazionale, per quanto la grande maggioranza dei prodotti venga acquistato in Veneto e dintorni».

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Pianura alla cerealicoltura e collina a viti, olive e pascolo dove si trovano anche la piscina biologica e i 4 appartamenti e le 9 camere, per totali 44 posti letto, ricavati sugli storici immobili restaurati della tenuta e destinati alla ricettività. La superficie vitata, come detto, è coltivata soprattutto a Glera, varietà diffusissima da queste parti per la vinificazione di Prosecco DOC e Conegliano Valdobbiadene DOCG. Il restante a bacca bianca è Pinot grigio e Chardonnay e a bacca rossa Merlot e Cabernet, sia franc che sauvignon, il cui vino, tra tutti il Capifosso, viene rivendicato nell’IGT Marca trevigiana. «Stiamo aumentando la produzione di vino che nel 2018 ha contato 400.000 bottiglie. Il vino è importante e la cantina posta a 13 metri sotto terra sta dando uno slancio particolare anche perché strutturata ai piani superiori con una sala conferenze di 150 posti e sale dedicate alla degustazione e show cooking. Saranno parti importanti dei percorsi di visita guidata in azienda. A questo proposito ci piace ricordare l’appartenenza al circuito delle Fattorie didattiche del Veneto che ci ha permesso di coinvolgere quasi quattromila bambini nel 2018 nelle nostre attività. Lavoriamo con le scuole e anche con i gruppi organizzati». Per quanto riguarda l’allevamento bufalino, puntualizza Bortoletto, considerata la capacità della stalla ora a saturazione e le dimensioni del caseificio, difficilmente è prevedibile una crescita nei numeri di capi allevati in assenza di interventi infrastrutturali. «Anche perché ci piace garantire un elevato livello di sostenibilità e biodiversità». La mozzarella di bufala ha dato grande notorietà ai prodotti Borgoluce, vincendo per due volte il festival Caseus Veneti, e poi, certamente, lo ha fatto il Conegliano Valdobbiadene DOCG. E attorno a questi prodotti la ristorazione sta diventando una realtà importante tanto nell’osteria quanto nella frasca, dove si possono consumare panini gourmet e birra artigianale. Gian Omar Bison Borgoluce Località Musile 2 – 31058 Susegana (TV) Telefono: 0438 435287 E-mail: info@borgoluce.it Web: www.borgoluce.it

Sulle questioni di gusto

ci schieriamo in prima linea Il Salumificio Chiapella da oltre cinquant’anni si dedica alla produzione e alla lavorazione di salumi di altissima qualità. Dall’antica tradizione piemontese nascono i nostri prodotti.

SALUMIERI IN LANGA

info@chiapellasalumi.it • www.chiapellasalumi.it Premiata Salumeria Italiana, 3/19

Salumificio Chiapella c.so Vittorio Olcese n. 6 - 12060 Clavesana (CN) - T 0173.732001


Ibis: la grande qualità premiata e un nuovo stabilimento in Calabria Il 2018 è stato un altro anno positivo per Italia Alimentari Spa, la società del gruppo Cremonini specializzata nel mondo dei salumi e degli snack a cui appartiene il marchio Ibis

Affettati “Piccoli e Buoni”, la merenda senza antibiotici di Ibis.

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BIS è il salumificio storico di Busseto (PR) che dal 1962 produce mortadelle e pancette e, dal 2002, con l’ingresso nel GRUPPO CREMONINI, anche salami, prosciutti cotti, culatelli e specialità di Parma. Ibis è il marchio che ha lanciato nel 1993 la mortadella Cuor di Paese, l’unica col cuore al centro, ancora amatissima e riconosciuta in tutta Italia. Oggi è il marchio che l’azienda distribuisce nel mercato italiano, sotto cui «è riunito un vissuto di più di 50 anni, fatto di persone, territori, sapori, salvaguardia delle lavorazioni tradizionali insieme a processi tecnologici all’avanguardia di cui disponiamo nei nostri stabilimenti» dice ROBERTO GHERITTI, direttore commerciale.

Un nuovo stabilimento in Calabria Attualmente l’azienda conta, in Italia, quattro stabilimenti. Quello di Busseto, dedito alla produzione della salumeria classica, mortadelle, salami, cotti, coppe e delle specialità di Parma, culatello, culatta, felino; un secondo a Postalesio (SO), in Valtellina, dedito alla produzione di bresaole e carpacci; il terzo a Gazoldo degli Ippoliti (MN), un dipartimento tecnologicamente molto avanzato specializzato nell’affettatura dei salumi e nella produzione di snack. L’ultima acquisizione è del 2018: lo stabilimento MONTAGNA, a Mandatoriccio (CS), in Calabria, dedito alla produzione di specialità calabresi come ‘nduja, capocollo, soppressata, spianata e specialità a base di suino Nero di Calabria. «Una territorialità che consente la produzione di grandi eccellenze IGP e DOP, oltre alla possibilità di un assortimento davvero ampio» puntualizza il direttore commerciale di ITALIA ALIMENTARI. Strategia: politica multicanale e investimenti in innovazione «In un mercato in cui fare innovazione non è semplice, noi cerchiamo di essere sempre al passo con i trend di mercato» ci dice Roberto Gheritti. La prima novità per il 2019 è a tema Antibiotic free: sono i “Piccoli e Buoni” Ibis, 4 referenze di salumi affettati, ideali per la merenda, provenienti da filiere di allevamenti senza antibiotici dalla nascita, con conservanti di origine vegetale. La seconda novità, stavolta

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La Culatta di Busseto Ibis, premiata con i 5 spilli d’eccellenza dalla Guida I Salumi d’Italia 2019 de L’Espresso. per il canale tradizionale, riguarda il mondo delle specialità tutte italiane. Si tratta di una bresaola di carne 100% italiana, preparata nello stabilimento in Valtellina, tenera e delicata. Accanto, una bresaola di bufala, di carne proveniente dalle aree tipiche del centro-sud Italia, gustosa e saporita. «Il 2018 ci ha regalato anche il premio della guida “I Salumi d’Italia” edita da L’ESPRESSO, in cui tre dei nostri prodotti hanno nuovamente ricevuto il massimo riconoscimento di eccellenza» continua Gheritti. «Si tratta della Culatta di Busseto Ibis, della Mortadella Bologna IGP Gran Ducato Ibis e della Bresaola della Valtellina IGP Ibis. Un grande riconoscimento per la qualità dei nostri prodotti».

Italia Alimentari Spa Sede legale: Via Europa 14 43011 Busseto (PR) Web: www.italiaalimentari.it www.ibis-salumi.com www.cortebuona.it

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Veroni Salumi a Milano con le mortadelle dei record per festeggiare i 100 anni dell’Adunata Nazionale degli Alpini Un “carico eccezionale” è arrivato a maggio nel cuore di Milano in occasione dell’Adunata dei 100 anni della Nazionale degli Alpini. Lo storico marchio Veroni Salumi — nato a Correggio (Reggio Emilia) nel 1925 e celebre per le sue mortadelle da record — ha recapitato in Piazza Duomo e Piazza Castello ben quattro mortadelle giganti: 900 kg di peso e 6 metri di lunghezza l’una. Partner ufficiale e fornitore unico di salumi della manifestazione, Veroni è stato presente in due punti chiave della grande festa che ha riunito circa 500.000 persone tra Penne Nere e sostenitori. Due le mortadelle giganti in Piazza Duomo, cui si aggiunge una selezione di crudi e salami Veroni da gustare accompagnati da un panino. Le fette delle due mortadelle tagliate in Piazza Castello sono state accompagnate da focaccia. In totale, Veroni ha fornito per l’intero evento oltre 38 quintali di prodotti della migliore tradizione salumiera italiana. «Siamo entusiasti di essere presenti a questa adunata», ha commentato Emanuela Bigi, marketing manager di Veroni. «Ci riconosciamo nello spirito di convivialità e semplicità che da sempre contraddistingue questo appuntamento e che per noi è perfettamente rappresentato da un buon panino con mortadella mangiato in compagnia». Ancora oggi la ricetta delle mortadelle giganti Veroni è quella della tradizione: materie prime di alta qualità, lavorate con un “saper fare” tramandato di generazione nella famiglia. È il risultato di un mix di impasto di puro suino lavorato con tempi precisi e specifiche modalità di cottura. E le mortadelle migliori sono quelle di diametro più grande, come quelle degustate a Milano: necessitano infatti di un processo di cottura più lungo che contribuisce ad esaltarne i sapori. Nel corso degli anni le mortadelle giganti di Veroni sono state incluse più volte nel Guinness dei Primati e tutt’oggi rimane imbattuto il record della mortadella più grande del mondo: 26 quintali di pura bontà (in foto, una delle quattro mortadelle giganti da 900 kg e lunghe 6 metri che sono state tagliate in Piazza Duomo e Piazza Castello; photo © Veroni). >> Link: www.veroni.it

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Cosa vuoi di più dalla vita? Un Nero lucano! In provincia di Potenza BioAgrimar, azienda certificata biologica di proprietà della famiglia Marottoli, alleva allo stato semibrado suini di razza Nero lucano e ne ricava straordinari salumi, a partire dalla Salsiccia a catena. Li abbiamo incontrati a Identità Golose Milano di Gaia Borghi

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I tre fratelli Vincenzo, Ludovico e Domenico Marottoli. BioAgrimar è un’azienda interamente certificata in biologico e produce salumi, olio extravergine d’oliva, cereali, legumi e formaggi.

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ra gli espositori chiamati a “costruire nuove memorie” ad Identità Golose Milano 2019 c’era anche un bel pezzo di Lucania. Quella magica regione, la più piccola per dimensioni del Meridione d’Italia, ufficialmente Basilicata, così chiamata in passato perché terra ricca di boschi (dal latino “lucus”) e che oggi è ritornata a far parlare tanto di sé a livello mondiale grazie alla notorietà crescente di una delle sue province, la Città dei Sassi già patrimonio dell’umanità UNESCO e insignita per il 2019 col titolo di Capitale europea della cultura. «BIOAGRIMAR è la prima azienda lucana a partecipare a questo congresso» mi dice orgogliosamente VINCENZO MAROTTOLI, responsabile marketing e comunicazione di questa azienda biologica a gestione totalmente famigliare di Cancellara, in provincia di Potenza. Un paesino delizioso di origini romane situato su un colle a pochi chilometri dal Parco Nazionale dell’Appennino Lucano. «BioAgrimar nasce nel 1994 come azienda cerealicola e zootecnica. Nel 2011 abbiamo aderito ai dettami dell’agricoltura biologica, sostenendo diversi meccanismi di filiera corta. Quattro anni fa io e i miei fratelli, Ludovico e Domenico, siamo entrati nella gestione diretta della società e abbiamo deciso di cominciare ad allevare suini di Nero lucano, una razza autoctona della regione Basilicata che è stata a lungo a rischio di estinzione. Da due anni a questa parte con le loro carni facciamo anche una linea di

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Maiali allevati allo stato semibrado, carne lavorata a punta di coltello con perfetto equilibrio tra parti grasse e magre, sale, semi di finocchietto selvatico e polvere di peperone dolce locale a insaporire, insacco in budello naturale: ora si può formare la catena! salumi tipici del territorio: 100% lucani, 100% artigianali nella lavorazione così come nella stagionatura e, soprattutto, 100% tracciabili e 100% naturali, fatti cioè con materie prime semplici e la sola aggiunta di sale marino, erbe e spezie. Senza compromessi». “Naturale” è da leggersi quindi senza conservanti, farine del latte e senza nitriti e nitrati. La Salsiccia a catena e le altre delizie lucane Il maiale, insieme al peperoncino, è uno dei pilastri della cucina lucana. BioAgrimar alleva allo stato semibrado i propri animali in un bosco di circa 43 ettari di proprietà sempre a Cancellara, dove ha sede l’azienda. «L’alimentazione dei nostri animali è fatta di quello che trovano autonomamente in natura, ghiande, erbe, radici, bacche, e da sfarinati preparati quotidianamente con i nostri cereali. E il loro nutrimento è alla base del valore del grasso» mi dice Vincenzo. Già, il valore del grasso… Lo si sente bene assaggiando il guanciale, un salume realizzato da tagli selezionati della guancia suina, salati e conditi con pepe in polvere e erbe aromatiche. Segue il massaggio manuale della carne, una maceratura di 15 giorni circa e la stagionatura per circa 5 mesi. O il capocollo: la carne di maiale in questo caso è quella compresa tra la testa e la lonza; tagliata a coltello, viene salata, lavata e cosparsa di aromi ed erbe prima di essere inserita in budello naturale. Dopo la legatura

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In alto: la salsiccia a catena di Cancellara. In basso: il guanciale. si fa stagionare per un minimo di 150 giorni. «La carne dei maiali di questa razza ha caratteristiche organolettiche

specifiche: un colore più intenso, una maggiore marezzatura, con le tipiche striature di grasso ricco di Omega-3

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e povero di colesterolo, una scarsa ritenzione idrica al suo interno. Tutti elementi che costituiscono una “specificità sensoriale” che si ritrova poi nel prodotto fresco e stagionato». Il prodotto più importante per l’azienda è però senza dubbio la Salsiccia a catena, un salume di origine antica, con tutta probabilità il ‘700, la cui ricetta e lavorazione sono rimaste invariate nei secoli. Quella della salsiccia a catena, a Cancellara, è una vera e propria arte, tale da averla resa il simbolo del paese e del territorio circostante, celebrata con un festival durante il quale i visitatori vengono accompagnati lungo le vie cittadine in un suggestivo itinerario storico e antropologico che consente loro di ammirarne le tecniche di produzione. Per la salsiccia a catena di Cancellara di BioAgrimar, le carni suine di Nero lucano vengono accuratamente selezionate e private manualmente delle parti nervose e del grasso in eccesso. All’impasto si aggiungono sale, polvere di peperone dolce locale e finocchietto selvatico. Si procede poi all’insacco in budello naturale di suino e si comincia a formare la tradizionale catena di almeno 3 anelli del diametro di 4 cm. Dopo circa 45 giorni di stagionatura, mantenendo nei locali appositi una temperatura fresca, al riparo da correnti e umidità, la salsiccia è pronta per essere consumata, magari con una bella pagnotta di Matera tagliata a fette spesse. «In ogni nostro prodotto c’è tutto il mondo che l’ha creato: dai campi dove coltiviamo i cereali al bosco dove crescono liberi gli animali, alla modalità con cui prepariamo i salumi» dice ancora Vincenzo. Salumi che, oltre a quelli citati, si chiamano soppressata, pancetta tesa, filetto lardellato, pezzente, prosciutto crudo e culatello e che, nel corso dell’anno, proprio per i motivi fin qui descritti, hanno una disponibilità variabile e limitata: il rispetto dei tempi e della stagionalità che contraddistingue BioAgrimar ha infatti delle conseguenze ma, ricordiamoci che, come insegna il filosofo tedesco GOTTHOLD EPHRAIM LESSING, l’attesa del piacere è essa stessa il piacere. Gaia Borghi In alto: il capocollo. In basso: la salsiccia a Catena aromatizzata con polvere di peperone, finocchietto e sale.

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>> Link: www.bioagrimar.com

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A Identità Milano tre merende d’autore con i salumi Levoni Ingredienti naturali, scelta delle carni migliori, particolare attenzione ai tempi di stagionatura, spezie ed erbe aromatiche selezionate, un’esclusiva miscela di legni per l’affumicatura: sono questi, ancora oggi, i segreti che fanno di Levoni — azienda storica del settore di Castellucchio (MN) —, uno dei marchi più apprezzati nelle migliori salumerie e nei più rinomati ristoranti in Italia e nel mondo. «Abbiamo deciso di confermare anche per quest’anno la nostra presenza a Identità Golose perché desideriamo affiancare il mondo Ho.re.ca, nelle sue varie accezioni, al mondo delle botteghe e salumerie con cui da sempre lavoriamo» dice Marella Levoni. «Per questo abbiamo scelto alcuni dei protagonisti dell’universo della pizza, della ristorazione e dell’hôtellerie che, ispirati dai nostri salumi, hanno proposto tre diverse idee di merenda italiana». Pizza, toast e piadina Nella preparazione delle loro merende gourmet i tre chef hanno utilizzato pochi ma selezionati ingredienti che hanno permesso di valorizzare ulteriormente il gusto dei salumi Levoni. Nella prima giornata di congresso Matteo Felter, chef del Grand Hotel Fasano di Gardone Riviera, ha preparato un Toast e un Club Sandwich con il Prosciutto Cotto Alta Qualità Medaglia d’Oro dell’Artigiano, la Pancetta Praga e la Porchetta Arrosto Levoni. La pizza è stata la regina della domenica con Renato Bosco. Lo chef del Saporè di San Martino Buon Albergo (VR) ha farcito la sua mitica PizzaCrunch® e la PizzaDoppioCrunch® con il Salame Lo Speziale, la Coppa Arrosto e la Salsiccia Napoli piccante Levoni. Infine, Gianluca Gorini, chef titolare del ristorante daGorini a San Piero in Bagno (FC), premiato come “Miglior chef” dalla Guida Identità Golose 2019, ha preparato una Crescia al pecorino e una Piadina romagnola farcendole con il Salame Vecchia Osteria e il Prosciutto Cotto Alta Qualità Medaglia d’Oro Affumicato Levoni. «Ci sentiamo profondamente vicini al mondo della ristorazione» ha aggiunto Marella Levoni. «Proprio come fanno gli chef più creativi e attenti, in Levoni dedichiamo tutto il tempo necessario alla creazione dei nostri salumi, perché la bontà e la qualità nascono dalla cura del dettaglio, senza fretta» (in foto, in alto, Marella Levoni e Paolo Parisi, allevatore a Usigliano di Lari, Pisa; in basso, la piadina preparata da Gianluca Gorini con il Prosciutto Cotto Alta Qualità Medaglia d’Oro Affumicato Levoni).

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MARKETING

Valorizzazione salutistica dei prodotti agroalimentari di Manuela Giovannetti

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a valorizzazione dei prodotti agroalimentari tipici del territorio, che è stata finora realizzata attraverso le diverse indicazioni di origine di qualità, come DOP (Denominazione di Origine Protetta), IGP (Indicazione Geografica Protetta), o SGT (Specialità Tradizionale Garantita) e PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali), può essere ulteriormente perseguita attraverso la loro caratterizzazione salutistica. La prima tappa di questo processo è rappresentata dall’acquisizione di conoscenze sui livelli di particolari composti bioattivi ad alto valore salutistico, con potenzialità nutraceutiche, caratterizzanti un determinato prodotto, seguita dall’utilizzo delle informazioni ottenute ai fini della sua differenziazioni da prodotti similari, anche ai fini di marketing.

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Nel caso della Regione ToscanA, ad esempio, troviamo centinaia di prodotti tipici, già conosciuti attraverso i vari marchi di qualità: tra le 16 DOP possiamo citare il miele e la farina di castagne della Lunigiana, la farina di neccio della Garfagnana, l’olio extravergine di oliva del Chianti Classico, di Lucca, di Seggiano, delle Terre di Siena, il pecorino toscano e romano e il pane toscano. Tra le 15 IGP si passa dal fagiolo di Sorana al farro della Garfagnana, mentre tra i 406 PAT troviamo 34 formaggi, 121 prodotti da forno come pane, torte e pasticceria varia, e 191 prodotti vegetali freschi, dall’aglione della Valdichiana alla cipolla di Certaldo, dal fagiolo zolfino alla mela rotella della Lunigiana, dal mirtillo nero della montagna pistoiese alla patata rossa di Cetica, dal pomodo-

ro canestrino di Lucca al tartufo bianco della Toscana. È necessaria dunque una loro ulteriore diversificazione per poter affrontare le sfide dei mercati. Pane, formaggio e miele Le azioni da intraprendere riguardano proprio la caratterizzazione dei prodotti e dei loro processi produttivi dal punto di vista del contenuto in sostanze importanti per la nostra salute. Il primo esempio di caratterizzazione ai fini della sua valorizzazione riguarda il pane: abbiamo circa 30 prodotti fermentati PAT tra pani e focacce e un pane DOP (Pane toscano DOP). La loro caratterizzazione funzionale inizia con l’analisi dei livelli di sostanze nutritive, quali amido, fibre, minerali, vitamine, proteine, per continuare con la determinazione del contenuto in sostanze nutraceutiche, che

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è, tra l’altro, influenzato dal processo fermentativo. Poiché nella definizione di pane, a proposito della lievitazione, si cita genericamente il “lievito”, troviamo pani prodotti usando solo il lievito commerciale Saccharomyces cerevisiae e pani prodotti usando “il levito madre”, chiamato anche impasto acido (in inglese: sourdough), che è rappresentato da comunità complesse di lieviti e batteri lattici. È noto che il lievito madre, che è caratteristico di ciascun impasto, è capace di conferire al pane proprietà differenziali, reologiche, sensoriali e nutrizionali ed è strettamente legato al territorio. Gli studi molecolari e funzionali sono stati illuminanti circa le proprietà differenziali conferite all’impasto dai vari tipi di lieviti e batteri lattici. Per esempio, alcuni ceppi rendono maggiormente disponibili minerali essenziali quali ferro, calcio e zinco, mentre altri permettono la riduzione del glutine, producono esopolisaccaridi, preziose sostanze prebiotiche, composti antiossidanti, vitamine e peptidi bioattivi. Una volta isolati e disponibili in coltura pura, i diversi ceppi lievitanti, selezionati per proprietà funzionali specifiche, possono essere utilizzati come starter, sostituendo i prodotti standard commerciali. Presto sarà disponibile un sistema modello sviluppato per produrre pane ad elevato valore salutistico per la catena alimentare italiana, frutto del lavoro di 7 Università italiane, di cui è capofila l’Università di Pisa (healthy-breads.agr.unipi.it). L’esempio del pane può essere esteso a molti altri prodotti fermentati da forno a base di farina di farro, mais e castagne. Un altro esempio importante è rappresentato dal formaggio, un prodotto tradizionale della Toscana, di cui troviamo tre DOP e 34 PAT. La sua valorizzazione dovrebbe partire dalla storia della sua produzione, dall’alimentazione delle pecore e capre a base di foraggi verdi e erbe di pascolo fino alla tecnologia di lavorazione e ai processi fermentativi portati avanti dai microrganismi. La valorizzazione nutraceutica, però, può essere perseguita solo dopo approfonditi studi clinici, come dimostrato dal Pecorino toscano DOP “amico del cuore” che è già sul mercato e frutto delle ricerche effettuate da un gruppo di nove università ed enti di ricerca italiani, coordinati dall’Università di Pisa, che

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In alto: supplì cacio e pepe con Pecorino toscano Dop su crema al Pecorino toscano Dop Fresco (photo © www.pecorinotoscanodop.it). In basso: telaino con favo di cera, Cooperativa Sociale Il Pungiglione. Il Pungiglione fa parte del Consorzio per la tutela del Miele Dop della Lunigiana (photo © Thomas Williams and Meagen Collins, www.visittuscany.com). hanno rivelato nuove proprietà funzionali legate alla componente lipidica. Il terzo esempio, che è paradigmatico e indica la strada maestra da seguire, riguarda il miele. Sappiamo da tempo che ha proprietà anti-infiammatorie, antibatteriche e che è antiproliferativo. La sua valorizzazione, naturalmente, deve iniziare dal terroir di produzione, ma non può prescindere dalla sua caratterizzazione salutistica. Il modello da seguire è il miele prodotto nelle foreste della Malesia, nella regione Tualang:

questo miele è stato analizzato per le sue molteplici proprietà terapeutiche, anche antitumorali, che sono state descritte in diversi lavori pubblicati su riviste scientifiche internazionali ed è considerato tra i migliori del mondo. Manuela Giovannetti Fonte: Accademia dei Georgofili www.georgofili.info Nota A pagina 34, Pane toscano DOP (photo © www.visittuscany.com).

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Da cibo povero all’alta gastronomia

Preziosa salumeria di marca di Giovanni Ballarini

Salumi, birra, moda e cosmesi e recenti indagini econometriche ci dicono che il fatturato dei consumi di salumi sarebbe di circa 8 miliardi di euro (dei quali 1,5 miliardi per l’esportazione), una cifra dello stesso ordine della birra (8,8 miliardi), del sistema moda maschile italiano (9,3 miliardi) e di poco inferiore a quello della cosmetica (10 miliardi). Paragonare il fatturato dei salumi a quello della birra può non parere strano a chi ricorda l’enigmatica parola d’ordine “birra e salsicce” pronunciata da TOTÒ nel film Totò sceicco (1950), mentre può essere considerato stravagante l’avvicinamento dei salumi alla moda italiana e, soprattutto, alla cosmetica. Ma strani o stravaganti questi accostamenti non sono perché i salumi — soprattutto quelli italiani — non rientrano più negli alimenti di tipo popolare, ma sono divenuti una categoria di cibo che ha saputo emergere e raggiungere un alto grado di pregio.

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Nonostante le ancora diffuse idee di un più o meno lontano paese di Bengodi, dove si legavano le viti con le salsicce, solo un secolo e mezzo fa gran parte dei salumi faceva infatti parte delle arti povere e non godeva di una buona fama. Indicatore di quanto ora affermato G IROLAMO T IRABOSCHI (1731-1794), erudito e storico della letteratura italiana, il quale, in una lettera del 30 gennaio 1787 indirizzata al carpigiano EUSTACHIO CABASSI, cercava di dissuaderlo dallo scrivere una storia del commercio in Italia, in quanto, per una parte impossibile ma “anche poco decorosa (…) insieme co’ truccioli di Carpi, dovrebbero entrarvi i cotechini e i zampetti di Modena, che sono essi pure grande oggetto di commercio”. Citare assieme i trucioli e i cotechini come argomenti di poco o nullo pregio è significativo dello scarso valore che in generale aveva la salumeria, ovviamente fatti salvi alcuni particolari e molto rari

prodotti che potevano anche essere oggetto di preziosi doni offerti ai potenti. Tuttavia, la gran parte dei salumi antichi rientrava tra i cosiddetti cibi popolari, dimostratisi poi nel tempo un quasi inesauribile giacimento di prodotti da affinare, migliorare e sviluppare. Rispetto al passato, usando le moderne tecnologie, i salumi sono divenuti sempre più adatti agli attuali stili di vita, alle nuove esigenze dietetiche e sono stati trasformati in alimenti di alto livello. A partire dal secondo dopoguerra la salumeria ha cominciato a conoscere il successo, dopo secoli di anonimato. Sono stati individuati i collegamenti con l’ambiente, i costumi e le usanze alimentari e, grazie al lavoro e all’impegno intelligente di tante dinastie famigliari, la salumeria ha finalmente conosciuto riconoscimenti nazionali e internazionali, crescendo nel fatturato, nell’export e registrando una ripartenza nei consumi interni.

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I salumi, oggi, sono più leggeri ed in linea con le richieste nutrizionali moderne. Il miglioramento nutrizionale della materia prima, specialmente del contenuto lipidico, vitaminico e minerale, è stato accompagnato nel nostro Paese dai continui progressi dell’industria di trasformazione. In particolare, l’evoluzione dei sistemi di produzione, il costante controllo dei periodi di stagionatura e la maggiore attenzione nella quantità e qualità delle spezie utilizzate hanno portato anche ad una significativa riduzione del contenuto di sale. La strada intrapresa dai salumifici italiani sta portando, quindi, ad un completo restyling nutrizionale dei prodotti, senza però intaccarne la tradizionale bontà (fonte: www.salumi-italiani.it; photo © kuvona – stock.adobe.com).

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Salumi italiani vincenti I nostri salumi mantengono la loro attrazione presso i consumatori in Italia e nel mondo con una specificità che lega strettamente il comparto all’immagine di un made in Italy alimentare che si identifica nel saper fare dei produttori, nella ricetta di ogni prodotto, nelle tecnologie, nella cultura della qualità che caratterizza la nostra industria, nella capacità di innovazione che si esplica nel recupero di tradizioni altrimenti a rischio di oblio. Nel passato, quando per oltre 140 giorni l’anno non si poteva mangiare carne, furono inventate conserve e salumi di pesce. In modo analogo, e di fronte a nuove esigenze alimentari, oggi prendono vita salumi di carni diverse dal maiale (come la mortadella di tacchino per soddisfare coloro che evitano la carne suina), e in questa prospettiva si comprende il successo dei salumi di carni bovine, primo tra tutti la bresaola. Un indispensabile ambito d’innovazione, e quindi di successo, si dimostra la presentazione di salumi pronti all’uso, preaffettati e/o precotti, mentre si sta aprendo il grande mercato di una gastronomia salumiera nella quale il prodotto entra come componente di pregio nelle preparazioni più svariate, soprattutto nei primi piatti (paste ripiene). Una condizione questa che contribuisce a spiegare il successo di un salume di recente invenzione e diffusione, il prosciutto cotto, che si presta a infiniti usi, tanto da essere definito uno dei più importanti camaleonti della cucina. Non solo Dop e Igp Pur non sottovalutando il ruolo delle DOP e IGP per i prodotti salumieri tradizionali, non bisogna sottovalutare l’importanza della marca, analogamente ad altri settori di successo dove essa è un elemento indispensabile d’identificazione. La marca permette di distinguere un prodotto (o un servizio) da un altro, che senza marca o marketing potrebbe essere facilmente confuso. Nella salumeria la marca non si oppone alle denominazioni d’origine, ma può associarvisi, contribuendo a valorizzarle. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Nota A pagina 36, photo © Bernd Schmidt.

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INTERVISTE

Luppi, la parola alle cooperative Ben 35 miliardi di made in Italy che varca i confini nazionali proviene da una coop. I numeri sono ragguardevoli, ma c’è ancora tanto da fare di Sebastiano Corona

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ltre 5.100 cooperative, 720.000 soci produttori, 94.000 occupati, il 56% dei quali assunti a tempo indeterminato. Il fatturato complessivo è di 34,2 miliardi di euro, il 24% del valore della produzione agroalimentare italiana: questi i ragguardevoli dati di Alleanza delle Cooperative Italiane Agroalimentare, l’espressione del comparto delle tre sigle LEGACOOP, AGCI e CONFCOOPERATIVE. Nel vino rappresentano il 58% della produzione lorda vendibile, il 40% della PLV nazionale del

comparto ortofrutticolo, il 43% del valore della produzione lattiero-casearia ed oltre il 60% del fatturato dei formaggi DOP. Ma cooperazione è anche il 70% della produzione lorda dell’avicunicolo (uova, pollame, conigli) e il 25% di quella trasformata nei comparti bovino e suino. Abbiamo incontrato il copresidente GIOVANNI LUPPI, presidente di Legacoop Agroalimentare. Dottor Luppi, da diversi anni vi esprimete tramite l’ACI, l’Alleanza delle Cooperative Italiane. Avete mantenuto dunque

quell’impegno di unità e di condivisione che vi ha animato anni fa, quando vi siete costituiti. «Quella di un soggetto unico nel settore agroalimentare che parlasse a nome delle cooperative, di tutte le cooperative — e non solo di quelle facenti capo ad una sigla confederale o ad un’altra — è una scelta che risale ormai a diversi anni fa. Il lavoro e l’obiettivo che ci eravamo prefissi è tutt’altro che raggiunto, ma molto è stato fatto e con grande soddisfazione. Volevamo dare un segnale forte in termini di

Giovanni Luppi (photo © Michele Nucci; www.legacoopagroalimentare.coop).

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per ciò che accadrà nei prossimi due anni e spero che nel frattempo non si sommino ulteriori problemi che ora non possiamo prevedere, perché sarebbe peggio che mai».

La nostra chiave di svolta è molto concentrata nell’export, ricorda Giovanni Luppi, che aggiunge: «Raggiungere il famoso obiettivo dei 50 miliardi è difficile ma non impossibile se coadiuvati da norme chiare» (photo © IvicaNS). semplificazione della rappresentanza, di progettazione comune e di stimolo, per favorire un migliore posizionamento della cooperazione agroalimentare nell’economia del Paese e riteniamo di esserci riusciti per il momento. È necessario ridurre i costi della rappresentanza; in più si deve evitare di disperdere efficienza con molte sigle e molti soggetti nei vari tavoli. Ci sono esigenze uguali e non ha senso portarle separatamente. Riteniamo di essere un modello da seguire, anche in senso lato. Le nuove generazioni devono comprendere che c’è sempre una prospettiva in più nell’unità piuttosto che nelle divisioni: nel caso dell’ACI, non si soddisfa solo un’esigenza di razionalizzazione e semplificazione nella rappresentanza. Il nostro è un modo per essere più forti e incidere di più». Rappresentate il 34% della distribuzione e del consumo al dettaglio e ben 35 miliardi di produzione agroalimentare made in Italy. Chi meglio di voi può

dire se il comparto gode di buona salute o meno? «Come agroalimentare abbiamo avuto una resistenza maggiore alla crisi, ma per ovvi motivi: pur con una contrazione dei consumi, non si può fare a meno di consumare cibo. Questo è stato l’elemento che ci ha mantenuto in piedi in questi anni. La ripresa, però, noi Italiani in realtà non l’abbiamo agganciata come altri Stati. Persiste una situazione di preoccupazione, di pessimismo, di incertezza che non lascia ben sperare. Ora siamo anche tecnicamente in recessione e questo è un grosso problema perché ci sarà una contrazione ulteriore. La crisi nel settore l’abbiamo superata anche diversificando gli acquisti e mantenendo comunque alta la qualità, in tutti i casi in cui non si era costretti a farne un discorso di prezzo. Non è certo che nei prossimi mesi le cose andranno così, è più probabile che anche le sacche di mercato più virtuose subiscano delle conseguenze. Non posso purtroppo essere ottimista

Alla politica chiediamo un dialogo, un confronto costante, un maggior coordinamento tra i ministeri competenti, perché le azioni siano sempre organiche e decise sulle direzioni prese. Quello che manca oggi infatti è un disegno complessivo, un progetto Paese

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L’Europa può aiutare ad uscire da questa impasse? «Dell’Europa non si può fare a meno, non più. Certamente però la politica europea nel settore ha grandi margini di miglioramento. Va ripensata tutta la Politica Agricola Comunitaria. È inconcepibile che, soprattutto nel campo della zootecnia, i PSR traccino politiche agricole diverse da regione a regione e addirittura difformi dalle indicazioni nazionali e comunitarie. La PAC non può che essere il frutto di un ragionamento politico, espressione della rappresentanza che la sovrintende. Invece sinora è stato il risultato delle posizioni delle singole regioni, espressioni soprattutto degli uffici, ma senza una prospettiva e un progetto di fondo vero e proprio». Una battuta sulla Brexit. Sono solo problemi loro? «Sono anche problemi nostri altroché! Ad un quadro già nefasto si aggiunge la Brexit. E sarà peggio che mai se si andrà senza accordo. Noi che esportiamo molto in quel Paese, avremo un problema in più con cui fare i conti». Per tornare ai nostri problemi interni e a quello che possiamo e dobbiamo fare per uscire da questa situazione di stallo, su cosa bisognerebbe intervenire? «La nostra chiave di svolta è molto concentrata nell’export. Raggiungere il famoso obiettivo dei 50 miliardi è difficile ma non impossibile se coadiuvati da norme chiare. Servono politiche efficaci e coordinate per accompagnare il settore agroalimentare verso i mercati esteri. Sono necessari incentivi per ampliare e capitalizzare le aziende, pur senza necessariamente pensare alle cooperative come grandi catene. Alla politica chiediamo un dialogo, un confronto costante, un maggior coordinamento tra i ministeri competenti, perché le azioni siano sempre organiche e decise sulle direzioni prese. Quello che manca infatti è un disegno complessivo, un progetto Paese. Non possiamo pensare ad azioni spot, fini a sé stesse». Sebastiano Corona

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Un’Italiana a capo dell’associazione delle industrie delle carni europee: Giorgia Vitali eletta presidente del Clitravi Giorgia Vitali (in foto), dell’omonimo Salumificio Vitali di Castel d’Aiano, in provincia di Bologna, è stata nominata lo scorso aprile a Salisburgo presidente del Clitravi, la Federazione Europea per l’industria della trasformazione della carne, per il triennio 2019-2022. Clitravi è l’acronimo di Centre de Liaison des Industries Transformatrices de Viandes de l’Union Européenne. Esso raggruppa e rappresenta 28 associazioni nazionali, 25 delle quali appartengono all’UE, mentre altre 3 hanno un ruolo di osservatore. Giorgia Vitali, rappresentante di ASS.I.CA., ricopriva già il ruolo di vicepresidente della federazione dal 2016. ASS.I.CA. ha espresso grande soddisfazione «in quanto era dagli anni ‘50 che un’azienda associata non assumeva la presidenza del Clitravi, dai tempi del cavaliere del lavoro Francesco Vismara che ne fu uno dei soci fondatori nel 1958», ha dichiarato Davide Calderone, direttore di ASS.I.CA. Classe 1979, già presidente del Consorzio del Prosciutto di Modena, vicepresidente del Clitravi, membro del Consiglio generale di ASS.I.CA., consigliere dell’Istituto Valorizzazione Salumi Italiani, Giorgia Vitali rappresenta la terza generazione di un’azienda familiare legata al territorio, come nella migliore tradizione italiana. La storia del Salumificio Vitali Spa inizia nel secondo dopoguerra quando era solo una bottega in un piccolo paese dell’Appennino bolognese, dove il fondatore dell’azienda mise in pratica quanto aveva appreso negli anni precedenti lavorando come norcino. In pochi anni la macelleria fu trasformata in un piccolo macello e salumificio e, negli anni ‘80, venne ampliata l’attività, acquistando uno stabilimento interamente dedicato alla stagionatura del prosciutto crudo. Nel tempo il prosciuttificio è cresciuto, sono stati acquisiti ulteriori impianti ed oggi la tradizione di allora si coniuga perfettamente con stabilimenti moderni, efficienti e tecnologicamente all’avanguardia, capaci di conquistare i mercati globali. «Ringrazio i miei colleghi del Clitravi per la fiducia ed ASS.I.CA. per il costante supporto di questi anni» ha dichiarato Giorgia. «La mia elezione rappresenta un progetto per il futuro che mi impegnerò a realizzare, con il contributo di tutti. L’obiettivo è portare il Clitravi dove merita, renderlo un interlocutore trasparente, credibile e professionale per tutti i livelli istituzionali della UE. Il Clitravi lavorerà attivamente alla costruzione delle politiche europee del settore che, è importante ricordare, non possono prescindere da un solido Mercato Unico, prerequisito irrinunciabile per affrontare le sfide del futuro e sul quale bisogna ancora lavorare. C’è bisogno di una migliore implementazione della legislazione vigente e di una maggiore armonizzazione del quadro normativo per far fronte, soprattutto in questo momento, alle pressioni del nazionalismo economico che portano ad una pericolosa distorsione della concorrenza, riducendo drammaticamente la competitività delle nostre aziende. Consapevoli che le iniziative nazionali difficilmente scompariranno, il mercato dell’agroalimentare, così come l’Europa intera, si trova ad un bivio: andare avanti, con risoluzione e determinazione, o ricadere nella mediocrità. Mi impegnerò affinché il Clitravi contribuisca a trovare risposte comuni a problemi comuni. Il primo è la necessità di costruire una politica industriale europea ambiziosa di lungo termine, che consideri il settore alimentare per quello che è, il primo settore manifatturiero europeo. Senza dimenticare l’esigenza di sviluppare un commercio globale favorevole attraverso gli accordi internazionali tra UE e Paesi Terzi, per dare più opportunità alle nostre aziende di esportare i loro prodotti nei mercati in cui la domanda di Made in Europe è in costante crescita» ha poi concluso la nuova presidente. Fonte: EFA News European Food Agency

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SICUREZZA ALIMENTARE L’attività dell’Ispettorato Centrale per il Controllo della Qualità e Repressione Frodi

Il MIPAAFT a difesa del made in Italy di Sebastiano Corona

S

i è spesso portati a pensare che le frodi in ambito alimentare siano andate aumentando negli anni. Abbiamo assistito, nel tempo, a scandali, talvolta anche gravi, che hanno impressionato l’opinione pubblica, causando danni d’immagine importanti a tutto il comparto. In altri casi, una certa stampa, sempre pronta a fare allarmismo su qualunque vicenda, ha fatto il resto, con il prevedibile risultato che si è sviluppato un certo livello di diffidenza nei confronti di operatori e prodotti, come se l’inganno fosse sempre dietro l’angolo e non ci fossero sufficienti controlli a garanzia di chi acquista. Per usare le parole del ministro Centinaio, nell’illustrare in Parlamento le linee programmatiche del dicastero che guida: «i controlli nell’agroalimentare sono sempre più un fattore di marketing attivo, capace di posizionare verso l’alto la reputation dei nostri prodotti». Quello che forse il consumatore medio è meno portato a pensare è che, se talune violazioni emergono, se gli illeciti nel campo diventano di pubblico dominio, è invece perché le ispezioni sono tante, sono frequenti e di responsabilità di numerosissimi soggetti. In Italia sono decine gli organi competenti a vigilare in materia. Fanno capo ai tre Ministeri Salute, Agricoltura e Sviluppo economico e in certi casi hanno competenze che si sovrappongono. Dalle aziende sanitarie locali agli istituti zooprofilattici sperimentali, dai carabinieri NAS e NAC agli uffici periferici di sanità marittima ed aerea, quelli veterinari, solo per citarne alcuni, sono moltissimi i soggetti che sovrintendono alla nostra salute, facendo applicare le norme in materia igienico-sanitaria e non solo. Tra i più

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Controllo in un caseificio da parte dei Carabinieri (photo © www.carabinieri.it). presenti nel territorio, vi è certamente l’Ispettorato Centrale per il Controllo della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti alimentari, espressione diretta del MIPAAFT, particolarmente attivo su certe tipologie di illeciti. Certamente più di altri organismi in prima linea su violazioni che implicano una ricaduta sulla cosiddetta reputazione del made in Italy. Ogni anno l’ICQRF licenzia un documento che sintetizza il suo operato nei dodici mesi precedenti e che evidenzia gli errori più frequenti delle imprese agroalimentari, le violazioni più comuni, i più gravi reati. È evidente, da una prima lettura del Rapporto 2018, che l’ICQRF, per professionalità del personale impiegato e strumenti messi in campo, sia tra le principali autorità antifrode nel food al mondo. Nell’anno appena concluso le verifiche sono state complessivamente 54.098, per oltre 25.000 imprese e 53.000 prodotti. Le

irregolarità rilevate hanno riguardato oltre il 20% degli operatori, più del 12% dei prodotti e quasi il 9% di campioni con esito analitico irregolare. Altri dati importanti: 721 le notizie di reato, che hanno registrato, tra l’altro, un incremento importante rispetto al 2017, con un +58%. Sono invece 4.194 le contestazioni amministrative, anche queste in aumento: +13%. Si aggiungono 2.629 diffide e circa 17,6 milioni di chilogrammi di merce sequestrata, per un valore complessivo di oltre 34 milioni di euro. Poiché l’ICQRF non si muove solo dentro i confini nazionali, sono stati centinaia, 561 per l’esattezza, gli interventi in territorio extraregionale e sul web, a tutela del made in Italy. E poiché i controlli dell’ICQRF coinvolgono tutti gli anelli della filiera, l’attività ha riguardato per l’87% i prodotti alimentari e per il restante 13% i mezzi tecnici per l’agricoltura (mangimi, fertilizzanti, sementi, prodotti fitosanitari).

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Facendo invece una disamina dei singoli settori, si rileva che una buona fetta dei controlli, 17.820, ha interessato il settore vitivinicolo, 7.157 l’oleario, 5.102 il lattiero-caseario, 3.226 il settore della carne, 2.967 l’ortofrutta, 2.666 i cereali e derivati, 2.202 le conserve vegetali, 1.961 le sostanze zuccherine, 911 il miele, 679 le uova, 516 le bevande spiritose e 1.959 altri settori. Sono 2.588 le ingiunzioni di pagamento, per un importo di circa 7 milioni di euro. In ragione dei cosiddetti Decreti Origine — che al momento in cui scriviamo riguardano i prodotti lattiero-caseari, riso, paste di semola di grano duro e pomodoro — l’ICQRF, nel 2018, ha disposto 28 diffide ed elevato 30 contestazioni amministrative. Interventi a livello internazionale e sul web Uno degli aspetti più interessanti dell’attività ispettiva del Ministero è la possibilità di intervento in ambito internazionale e sul web, per la tutela del made in Italy e soprattutto in merito alle indicazioni geografiche. Negli ultimi quattro anni gli interventi fuori dei confini nazionali e su internet sono stati 2.763: un’azione ragguardevole che nessun altro Paese europeo può vantare. Nel 2018 la cooperazione con Alibaba ed E-bay si è rinnovata, ed ha ottenuto risultati positivi anche quella su Amazon: 177 interventi, con il 99% di successi. Sono state avviate procedure di contrasto a usurpazioni ed evocazioni che hanno riguardato 561 casi, di cui 139 su E-

bay, 16 su Amazon e 22 su Alibaba. 148 casi sono stati invece su prodotti in vendita su altri service provider, 236 prodotti vitivinicoli sul web e in locali pubblici. Allo stesso modo, si sono intensificati i rapporti con gli altri organismi di controllo internazionali, con 183 segnalazioni provenienti da autorità estere per verifiche antifrode richieste all’ICQRF. 41 invece le segnalazioni nell’ambito del Sistema Food Fraud Network per la cooperazione tra Stati Membri UE, in caso di frodi. L’ICQRF svolge inoltre, in Italia, la vigilanza sugli organismi di controllo, pubblici e privati, delle produzioni agroalimentari di qualità regolamentata, quali: produzioni da agricoltura biologica, prodotti agricoli e alimentari DOP, IGP e STG, vini a denominazione d’origine e a indicazione geografica, carni con etichettatura facoltativa. Nel 2018 l’attività di vigilanza si è concentrata su 52 ODC, dei quali 15 nell’ambito dei prodotti agricoli e alimentari a DOP, IGP e STG, 20 nell’ambito dei vini a DOP e IGP, 15 nell’agricoltura biologica e 2 nell’etichettatura carni. È importante anche il lavoro fatto in relazione alla gestione di banche dati agroalimentari: l’Italia è infatti l’unico Paese al mondo ad avere registri telematici per la movimentazione di vino e olio. I suddetti registri, insieme al Registro Unico dei Controlli Ispettivi, costituiscono preziosi strumenti e pongono l’Italia all’avanguardia nella gestione del rischio e nella conoscenza dinamica dei mercati. In quest’ultimo,

il Ruci, confluiscono tutti i dati della cosiddetta Banca dati Vigilanza, la base informativa condivisa tra ICQRF e altre autorità competenti in materia di controlli. La sua realizzazione consente di ottimizzare l’attività ispettiva evitando la sovrapposizione di controlli sulle imprese agricole. Nel 2018 si sono resi disponibili, sul Ruci, gli esiti di oltre 625.000 controlli operati da ICQRF, Regioni, organismi di certificazione e Arma dei Carabinieri. Tra gli interventi più significativi dell’ICQRF come EU Food Fraud Contact Point, citiamo in particolare: la pasta con indicazione di origine italiana in etichetta ma prodotta in Austria; due casi di olio di provenienza bulgara, commercializzati come olio di oliva extravergine ma risultati, all’analisi, miscele di olio di girasole e olio di oliva; vino illegalmente etichettato come “Prosecco”, prodotto in Bulgaria; grissini prodotti in Germania ma riportanti in etichetta il tricolore e il Ponte dei Sospiri di Venezia; olio di oliva extravergine greco, commercializzato come italiano; pesche dall’origine incerta di provenienza greca introdotte in Italia passando dalla Spagna. E molto altro ancora. Molti di questi casi lasciano intravedere l’interesse del mercato internazionale per i prodotti italiani, considerato che spesso si tratta di usurpazioni del nome, cioè di prodotti esteri spacciati come nostrani. A conferma che il made in Italy serve a vendere sia in Italia, sia all’estero. Sebastiano Corona




CONSUMI

Consumi alimentari, salutismo e praticità d’uso trainano la spesa degli Italiani

I

l 2018 chiude con una spesa alimentare in modesta crescita sul 2017 (+0,3%). È il bilancio complessivo che emerge dalle elaborazioni ISMEA sui dati NIELSEN relative agli acquisti di alimenti e bevande delle famiglie italiane per l’intero anno appena trascorso. In un contesto di generale stagnazione, non mancano tuttavia i comparti che registrano buone performance, come le uova, che hanno messo a segno una crescita della spesa pari al 14%, la più elevata tra tutte le referenze monitorate. Grazie alla tracciabilità di filiera e ad una maggiore attenzione verso il benessere degli animali, le uova

sono state negli ultimi anni rivalutate dal punto di vista salutistico, nutrizionale ed etico. La positiva dinamica della spesa, sottolinea l’ISMEA, risente dell’effetto sostituzione del prodotto allevato in

gabbia (oramai quasi irreperibile nelle grandi catene distributive) con quello, di maggiore qualità e prezzo, allevato a terra, all’aperto o bio. Più nel dettaglio, le uova allevate all’aperto registrano un

Il richiamo al salutismo e al benessere restano driver rilevanti nelle scelte di acquisto. Ne è la prova la crescita dei segmenti specifici di filiere che nell’assortimento tradizionale trovano invece difficoltà: dal latte ad alta digeribilità alla pasta integrale ai dolcificanti

Tra i salumi, la disamina ISMEA su dati Nielsen segnala la crescita della spesa per prosciutto crudo (+0,1%) e salami (+1,4%), mentre è in diminuzione (–1,6%) quella per il prosciutto cotto (photo © Puntostudiofoto Lda – stock.adobe.com).

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incremento del 32% per la spesa e del 22% sui volumi, le uova bio un +16% nella spesa e +8% nei volumi, a fronte di una flessione significativa delle uova prodotte in gabbia (rispettivamente –7% e –19 %). Anche per altre categorie merceologiche si rileva l’effetto sostituzione di prodotti maturi con altri, piÚ elaborati e costosi, che meglio interpretano i bisogni del consumatore contemporaneo. Esempi eclatanti sono il latte ad alta digeribilità (+9,4% i volumi e +4,9% la spesa), a fronte di un trend per il latte fresco generico negativo (–1,9%), la pasta integrale (+3,7%), in contrapposizione alla flessione della pasta tradizionale (–1,9%), e i dolcificanti che aumentano del +10% in volume e del 2,6% in valore, a fronte di una diminuzione degli acquisti di zucchero rispettivamente del 6% e del 10% (in questo caso va evidenziato anche che la spesa per il prodotto sostitutivo quintuplica quella del prodotto tradizionale a fronte di volumi pari alla metà ). Allo stesso modo, la praticità d’uso e la velocità di preparazione si confermano nel 2018 elementi trainanti degli acquisti, come dimostra il segmento dei cibi pronti con un +10% della spesa nel 2018 e consumi piÚ che duplicati negli ultimi cinque anni. Da segnalare, infine, anche la dinamica molto positiva delle bevande alcoliche, dove spiccano gli incrementi in particolare della spumantistica (+5,4%) e dei vini fermi (+4,6%), in un contesto positivo anche per la birra (+3%) e per le altre bevande alcoliche (+1,4%).

spesa per il prosciutto crudo (+0,1%) e i salami (+1,4%), mentre flette la spesa per il prosciutto cotto (–1,6%). Per i formaggi la spesa è in flessione nel complesso dello 0,8%, con una stabilitĂ solo per i freschi e ridimensionamenti massimi per i semiduri del 2,2%. Per i derivati dei cereali si evidenziano contrazioni della spesa per la pasta di semola secca (–1,9%) e per il pane e i sostituti (–0,8%), a fronte di un recupero per la pasta fresca (+2,6%) e per i primi piatti pronti (+3,6%). Ancora in flessione la spesa per il riso (–2%), malgrado la tenuta in termini di volume. A tal proposito va ricordato che, al termine dell’inchiesta avviata lo scorso 16 febbraio su richiesta del Governo italiano, la Commissione europea ha deciso di ripristinare i dazi sul riso proveniente da Cambogia e Myanmar, attivando una clausola di salvaguardia a tutela dei risicoltori e delle industrie italiane ed europee, che prevede la reintroduzione di dazi sulle importazioni dai due Paesi asiatici per un periodo di tre anni.

Carni, salumi, pesce e pasta Nel comparto dei proteici si confermano in crescita la spesa per le carni (+1,5%) e i salumi (+0,5%). Considerato il generalizzato trend rialzista dei prezzi, si può facilmente dedurre che non si tratta di incrementi di volume, dinamiche comunque differenziate tra le diverse tipologie animali. In particolare, per quanto riguarda la carne bovina a fronte di volumi stabili (+0,2%) la spesa ha segnato un +2,1%. Aumenta anche la spesa per le carni avicole (+3%), a fronte di una lieve contrazione dei volumi (–0,8%). Lieve flessione della spesa (–0,2%) per le carni suine, malgrado un rialzo dei prezzi medi dell’1,6%. Tra i salumi cresce la

PiĂš e meno Si conferma l’effetto positivo sulle scelte di acquisto anche dei claim che garantiscono addizione o assenza di un prodotto (prodotti arricchiti di ferro, vitamine, Omega-3 o nei quali è assente il glutine, il sale, il lattosio, il conservante). In questo caso è utile sottolineare l’incremento enorme che l’assortimento di prodotti aproteici (gluten free) ha assunto negli ultimi anni, con una spesa che nel 2018 ha superato i 204 milioni di euro equivalente ad un +8% sul 2017 e una crescita nel quinquennio (2013-2018) del 114%. Fonte: Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale, Ismea; www.ismea.it, www.ismeamercati.it

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Facile da preparare Gli Italiani continuano a definirsi sempre piĂš frequentemente interessati e informati sulla salute legata all’alimentazione, ma il tempo per realizzare i pasti in casa resta esiguo e insufficiente; crescono pertanto gli acquisti di prodotti facili e veloci da preparare. In particolare si evidenziano le performance dei “piatti prontiâ€?: +10% nel 2018 rispetto al 2017 (sia in valore che in volume) e una crescita del 112% in cinque anni.

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COMUNICARE

Fake news su carne di maiale e salumi: 10 falsi miti

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he sia per ragioni culturali, economiche o sociali, le fake news — notizie prive di fondamento messe in circolazione nel web — sono sempre più diffuse, specie nel settore agroalimentare. Carni e salumi sono tra i bersagli preferiti, spesso oggetto di luoghi comuni e informazioni distorte che attingono ad un immaginario collettivo infondato e non corredato di puntuali prove scientifiche. In occasione del 2 aprile, Giornata internazionale dedicata alla sensibilizzazione contro la disinformazione, l’Istituto Valorizzazione Salumi Italiani (IVSI)

ha stilato un decalogo dei più celebri falsi miti sui salumi che per anni hanno veicolato nozioni errate, condizionando le scelte alimentari dei consumatori.

sostanze ormonali prodotte direttamente dalla cute dei soggetti predisposti, magari sotto stimolo di uno stress o un disagio psicologico.

1. I salumi fanno venire i brufoli Con grande sollievo per gli amanti di mortadella e salame, possiamo affermare che i salumi, parlando di acne e impurità della pelle, sono innocenti, contrariamente a quanto hanno sostenuto per decenni le dicerie popolari. Le ricerche hanno infatti quasi del tutto escluso il fattore cibo e scagionato gli affettati, in quanto alla base ci sarebbero

2. Mortadella, insaccato degli scarti La Mortadella Bologna Igp è fatta esclusivamente con carne suina accuratamente selezionata e poi triturata: per la parte magra si utilizzano carni a muscolatura striata, mentre per i lardelli, di colore bianco, si ricorre al grasso della gola del maiale che regala al prodotto dolcezza e morbida consistenza. Sono

La scienza ha smentito da tempo i luoghi comuni secondo cui cioccolato, salumi e altri alimenti sarebbero responsabili della comparsa dei brufoli. Certo, seguire corrette abitudini alimentari è importante, soprattutto per evitare pericolosi aumenti del peso che possono essere la causa di squilibri ormonali a loro volta possibili fattori scatenanti dell’acne (photo © AdobeStock).

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assolutamente vietate dal disciplinare le carni separate meccanicamente, tecnica attraverso cui si rimuovono i residui di polpa dalle ossa rischiando di modificare la struttura fibrosa del muscolo. 3. Salveremo il pianeta non mangiando carne La zootecnia non è la principale causa di emissioni di gas serra nell’atmosfera e ad esempio un solo volo a/r da Roma a Bruxelles genera emissioni maggiori rispetto al consumo annuo di carne e salumi di un solo individuo che si alimenta secondo le indicazioni dei nutrizionisti (500 kg vs 400 kg di CO2 equivalente). A tal proposito, è importante sottolineare che l’Italia vanta uno dei modelli zootecnici più sostenibili del pianeta, anche grazie all’impegno nel promuovere buone pratiche e filosofie volte al benessere globale: produrre di più con meno risorse. 4. Nitriti e nitrati dei salumi pericolosi per la salute I nitriti e nitrati sono sostanze saline composte da azoto, ossigeno, sodio o potassio normalmente presenti in natura, necessari per la crescita dei vegetali e impiegati anche nel settore alimentare per preservare le caratteristiche di alcuni prodotti e aumentarne il livello di conservabilità grazie alle fondamentali proprietà antibatterica e antiossidante. Da qui il loro utilizzo nei salumi, al fine di garantirne la sicurezza alimentare e il mantenimento del colore e delle caratteristiche organolettiche. Le quantità usate nei salumi sono in costante riduzione rispetto al passato e i livelli presenti nei prodotti finiti — ampiamente al di sotto dei limiti ammessi dalla normativa — sono di gran lunga inferiori rispetto a molti alimenti di origine vegetale. L’utilizzo di nitriti e nitrati non è necessario

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Una merenda semplice a base di pane e prosciutto per i nostri bambini è sicuramente preferibile a tanti prodotti confezionati che contengono zuccheri in eccesso (photo © fabiomax — stock.adobe.com). e quindi non è contemplato nelle carni fresche e nelle preparazioni di carne, come hamburger e spiedini. 5. I salumi fanno ingrassare e sono avversari dello sport La salumeria italiana sta da anni lavorando in una direzione di miglioramento nutrizionale e riduzione di grassi e sale, in primis del cloruro di sodio, raggiungendo ottimi risultati. A livello di macronutrienti, la composizione dei salumi è fortemente proteica e variabilmente lipidica, a seconda della materia prima costituente. Vista la ricca presenza di minerali (ferro, zinco, potassio, selenio) e vitamine del gruppo B, una giusta dose di salumi di qualità è consigliata anche in caso di attività sportive, specie se svolte all’aperto con temperature rigide o se si ha l’abitudine di camminare o usare la bicicletta per gli spostamenti abituali: in questo caso il freddo aumenterà il dispendio energetico e sarà quindi indicato un surplus nutrizionale, anche derivato dagli stessi grassi presenti nei salumi. Il bisogno di proteine sarà ugualmente forte nella fase di recupero, quindi dopo l’esercizio fisico, in cui è importante che vi sia un adeguato apporto di nutrienti così da stimolare la sintesi proteica muscolare e provvedere al buon mantenimento di tessuti e muscoli.

6. Zampone e cotechino solo a Natale I due insaccati modenesi sono da sempre associati al periodo natalizio ma numerosi ricettari e le preparazioni di molti chef dimostrano il contrario, proponendo dei piatti sfiziosi a base di zampone e cotechino buoni per ogni stagione. Che siano ravioli di farro e cotechino o lo zamburger con crema di zucca e maionese al rosmarino, sono infinite le chiavi di “ricettabilità” di questi due prodotti, protagonisti d’eccezione del Capodanno ma ideali anche per una tovaglia svolazzante davanti al mare, perché “la gente non si accorge se è estate o inverno quando è felice”, come diceva il celebre scrittore russo CECHOV. 7. La carne di maiale è bianca Grande confusione su questo punto, in quanto la carne suina, pur presentandosi rosata da cruda e bianca post cottura, presenta un profilo nutrizionale tipico della carne rossa, vista l’elevata quantità di ferro e mioglobina, proteina che conferisce il colore rosso alla carne. 8. Il salame vegano può sostituire quello classico Il “salame vegano” — come tutti i prodotti di origine vegetale che fanno parte della famiglia del meat sounding — ha caratteristiche nutrizionali, metodi di

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per cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda l’assunzione di alimenti di origine animale a partire dai sei mesi di età. Nel mondo infantile l’associazione fra la vitamina B12 (presente esclusivamente negli alimenti di origine animale) e lo sviluppo cognitivo è stata osservata soprattutto nei figli di madri vegetariane o vegane o che seguivano una dieta macrobiotica. Le prime conseguenze riscontrate sono state muscoli ipotonici, apatia, crescita ridotta delle cellule nervose, mentre dopo un trattamento di B12 si verificava un rapido miglioramento dei sintomi neurologici.

«Nella cosiddetta terza età i salumi, primo fra tutti quello crudo, costituiscono una fonte di nutrimento molto importante perché facilmente masticabili» ricorda Elisabetta Bernardi, nutrizionista e biologa, docente di Nutrizione sport e salute alla Scuola di specializzazione in medicina dello sport all’Università La Sapienza di Roma. «Un aspetto poi che non va sottovalutato riguarda la digeribilità. Cento grammi di prosciutto crudo, ad esempio, richiedono per questo processo circa un’ora e quaranta minuti. Molto meno di una fetta di tacchino (3 ore e mezzo) o di pollo (3 ore e un quarto) di peso equivalente» (photo © WavebreakmediaMicro – stock.adobe.com). produzione e provenienza localizzata completamente differenti e non ha quindi alcun senso associare i due alimenti. Un salame che imita la carne, ma è composto di proteine e fibre vegetali, non ha lo stesso profilo di un salame di suino ed è costituito da materie prime ben diverse da quelle contemplate dai disciplinari e normative europee, nonché da quelle immaginate dal consumatore!

9. Pane e prosciutto, merenda bandita per i nostri bambini Se parliamo di nutrizione infantile, le proteine animali sono alimenti molto importanti e un corretto apporto di vitamine B è essenziale per lo sviluppo neurologico e la crescita cellulare. La mancanza di ferro nell’infanzia peggiora le facoltà cognitive e la carne è da sempre una fonte primaria, motivo

10. Per la terza età solo brodini Dopo i 70 anni di età il bisogno di calorie certamente si riduce, in quanto diminuisce l’attività fisica e il metabolismo rallenta. L’organismo, tuttavia, per mantenersi in salute, richiede ancora le stesse quantità di nutrienti, alcuni dei quali, come le proteine contenute nei salumi e in generale negli alimenti di origine animale, anche a livelli superiori. Col passare degli anni, infatti, si perde progressivamente la percezione della sensazione di fame e di sete e anche il gusto si affievolisce. Sono allora consigliati alimenti saporiti, ideali per combattere l’inappetenza, facilmente masticabili e ad alto valore proteico. I salumi sono la soluzione perfetta per contrastare la perdita di massa muscolare e i deficit delle funzioni immunitarie. Fonte: Istituto Valorizzazione Salumi Italiani (IVSI)

L’Istituto Valorizzazione Salumi Italiani è un consorzio volontario senza fini di lucro, nato nel 1985 per diffondere la conoscenza degli aspetti produttivi, economici, nutrizionali e culturali dei salumi promuovendo un patrimonio alimentare unico al mondo. Tante le iniziative realizzate da IVSI in Italia: ricerche di mercato, analisi sui prodotti, seminari, degustazioni, eventi, pubblicazioni. Numerosi i programmi promozionali sviluppati all’estero: Germania, Francia, Inghilterra, Svezia, Finlandia, Belgio, Russia, Brasile, USA, Canada, Corea del Sud, Hong Kong, Taiwan e Giappone. Nel 2005 IVSI ha ideato il concept SalumiAmo®, un nuovo modo di intendere l’aperitivo che diventa un’esperienza sensoriale e culturale. Oltre al momento conviviale, infatti, centrali sono le informazioni sui salumi italiani, che vengono così degustati in modo piacevole e consapevole. L’IVSI ha creato anche il Manifesto IVSI che raccoglie i valori identificativi delle aziende produttrici di salumi, sintetizzati in: storia e tradizione, informazione e cultura, qualità e sostenibilità, legame con il territorio, stile di vita italiano, gioco di squadra e orientamento al futuro. 7 valori che testimoniano l’impegno delle aziende a favore dei consumatori. >> Link: www.salumi-italiani.it

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Tutti pazzi per la Mortadella Bologna Igp, anche all’estero! La Mortadella Bologna Igp viaggia sempre di più, affermandosi all’estero anno dopo anno: dei 33 milioni di kg venduti nel 2018, infatti, l’84% viene consumato in Italia e il 16% all’estero, per un valore totale di 320 milioni di euro. In particolare, le vendite all’estero sono cresciute del +8.6% rispetto al 2017, un aumento dovuto non solo alla propensione sempre maggiore dei consumatori esteri verso i cibi genuini, ma anche alle attività che il Consorzio Mortadella Bologna sta portando avanti sia in Europa (Germania e Belgio) sia nei mercati extra UE in forte espansione, come Giappone e Hong Kong. I principali Paesi consumatori, per quel che riguarda l’Unione Europea, si confermano Francia e Germania e in quest’ultimo Paese il consumo è aumentato del 33% rispetto all’anno precedente. Si confermano grandi consumatori di Mortadella Bologna anche la Spagna e la Gran Bretagna. Per quel che riguarda invece l’export extra UE (per ora ancora il 6% del totale, ma con ampi margini di crescita), la Mortadella Bologna Igp viene acquistata principalmente in Svizzera (39%) e nell’Est asiatico (13% in Giappone). Un successo che arriva in un anno importante per il Consorzio Mortadella Bologna, quello del suo diciottesimo compleanno. Il regalo per questo traguardo non poteva che essere un altro passo verso la qualità: un Disciplinare di produzione che prevede l’eliminazione del glutammato e l’utilizzo di soli aromi naturali. «Il nostro obiettivo è quello di continuare a lavorare con costanza per riuscire ad avere anche quest’anno ottimi risultati ed avere sempre qualcosa per cui valga la pena festeggiare» ha dichiarato il presidente del Consorzio Mortadella Bologna Corradino Marconi. Sono dati, dunque, davvero incoraggianti, segno della qualità sempre crescente delle produzioni italiane, ma anche di un maggiore sforzo di comunicazione e promozione che permette ad eccellenze come la Mortadella Bologna Igp di imporsi sempre di più nel mondo (fonte: Consorzio Mortadella Bologna; photo © fabiomax – stock.adobe.com).


INDAGINI

Olio d’oliva, l’origine vince su brand e prezzo Dall’indagine Nomisma per Sol & Agrifood emerge inoltre che due Italiani su tre acquistano extravergine più volte al mese di Gianluca Pacella

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ella scelta e nell’acquisto dell’olio vince l’origine. Il verdetto commerciale, nel Paese degli uliveti secolari e delle piante di olivo estese quasi lungo tutto lo Stivale tricolore, è data da un’indagine NOMISMA–SOL & AGRIFOOD sul consumatore di prodotti agroalimentari di qualità. Dall’analisi di mercato emerge che l’origine ha la meglio su brand e prezzo e che oltre 9 Italiani su 10 consumano olio di oliva in Italia. Due persone su tre lo acquistano più volte al mese. Riguardo invece all’identikit, il consumatore che

acquista olio di qualità (DOP-IGP) è un uomo, over 45 anni, con posizione lavorativa stabile ed economicamente sicura, laureato o con un altro titolo di studio elevato. I ricercatori sottolineano inoltre che l’attenzione alle indicazioni DOP-IGP è più forte tra i “salutisti” e chi ha figli piccoli in casa. Lo studio di mercato mette al centro, coerentemente, all’analisi sul consumo dell’extravergine di qualità, anche un quadro d’insieme sulla percezione del made in Italy nel mondo. Dai risultati NOMISMA emerge che sia negli Emirati

Arabi che in Regno Unito, ma anche in Cina, circa 4 consumatori su 10 affermano che il cibo italiano e il vino tricolore siano in assoluto i prodotti più rappresentativi del made in Italy, prima ancora di moda, auto e arredamento. In particolare i ricercatori spiegano che all’estero il food & beverage italiano richiama innanzitutto il concetto di “qualità” per circa un quarto dei consumatori stranieri, che, pensando al cibo dello Stivale, evocano anche immagini come “tradizione/cultura”, “salute” e “stile”. Viene inoltre aggiunto che i prodotti

Secondo la ricerca di Nomisma realizzata per Sol & Agrifood, Salone Internazionale dell’Agroalimentare di Qualità svoltosi all’interno del quartiere fieristico di Verona in contemporanea con Vinitaly, oltre 9 Italiani su 10 consumano olio di oliva in Italia e 2 su 3 lo acquistano più volte al mese (photo © tolism – stock.adobe.com).

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della cultura gastronomica italiana che più attraggono i consumatori stranieri sono pasta e olio extravergine di oliva, dopo la pizza: non plus ultra del made in Italy per diffusione e notorietà. Dop-Igp: acquisto abituale nel Belpaese La ricerca sul consumatore di prodotti agroalimentari di qualità rileva invece, guardando in casa nostra, che due Italiani su dieci comprano alimenti DOP-IGP abitualmente. La propensione all’acquisto — si spiega nel dettaglio — e la sensibilità nei confronti di queste due indicazioni europee sono maggiori nelle grandi città e in generale nel centro Italia. Alcune tipologie familiari, inoltre, risultano più attente alla qualità dei prodotti alimentari: si tratta di nuclei con figli conviventi in cui il responsabile degli acquisti è donna, over 45 anni e con titolo di studio elevato. E il consumatore di birra? Nell’indagine non manca un focus sulla birra. Lo studio fa la differenza tra chi beve birra e chi preferisce la birra artigianale: la prima è la preferita da Generation X e Baby Boomers (rispettivamente 39-54 e 55-73 anni), mentre la seconda attira maggiormente i Millennials più eruditi delle grandi città.

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Per ottenere un sublime Balsamico occorre sopra ogni cosa la passione, la dedizione e il rispetto delle Antiche Tradizioni che ancora oggi avvolgono di mistero questo prezioso “oro nero” e che in questa Acetaia si tramandano da ben quattro generazioni. L’Azienda Agricola Leonardi rimane un esempio di produzione di filiera corta, garantendo così una tracciabilità perfetta dalla vendemmia all’imbottigliamento. Emerge così la forza della tradizione, con soli ingredienti naturali, nessun colorante o conservante e lo sguardo sempre rivolto al futuro e all’ambiente.

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Il comparto agroalimentare di qualità italiano all’estero Dal punto di vista dei conti — segnala COLDIRETTI — a febbraio, con un +10%, l’export italiano ha fatto registrare un balzo record rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’organizzazione agricola riporta che quasi i due terzi delle esportazioni agroalimentari interessano i Paesi dell’Unione Europea, dove il principale partner è la Germania, mentre fuori dai confini comunitari sono gli Stati Uniti il mercato di riferimento dell’Italian food, con una crescita record a febbraio del 17%. Un record sul quale però pesa il rischio dei dazi sui prodotti europei annunciati dal presidente americano DONALD TRUMP, che interesserebbero circa la metà (50%) degli alimentari e delle bevande made in Italy esportate in USA, dove nel 2018 si è registrato il record per un valore di 4,2 miliardi (+2%). Gianluca Pacella

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“Senza” e il “ricco di”, la salute nel carrello della spesa di Sebastiano Corona

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embrano non conoscere crisi i prodotti del largo consumo confezionato che riportano claim su abbondanza o assenza completa di determinate sostanze. Tutto si fa per stare bene, ma non sempre c’entrano le malattie vere e proprie. Il consumatore di oggi è molto più attento di una volta alla qualità del prodotto alimentare e, soprattutto, è consapevole dello stretto legame tra ciò che mangia e la propria salute. In tanti utilizzano il cibo come una vera e propria cura, un modo per garantirsi un benessere psicofisico o prevenire patologie. Cucina e buon vivere diventano dunque un connubio indissolubile, che si traduce in comportamenti al supermercato. Molte abitudini di consumo sono dettate da convinzioni su ciò che è meglio consumare o meno. Convinzioni che molto spesso hanno presupposti sbagliati o discutibili, ma che contribuiscono comunque a generare una tendenza. Abbiamo più volte, negli anni, assistito alla demonizzazione di cibi o sostanze che solo in seguito sono stati riabilitati agli occhi dell’opinione pubblica. C’è poi un fronte che ogni giorno incrementa purtroppo le sue fila, quello delle intolleranze alimentari, delle allergie o di altre patologie legate al cibo. Secondo l’ISTAT, le persone affette da malattie allergiche croniche in Italia nel 2016 erano il 10,7% della popolazione, con un andamento pressoché regolare di anno in anno e un trend in leggera ma costante crescita. L’incidenza appare maggiore nel Nord Italia e in particolare tra le donne. È inoltre curioso rilevare che sarebbero soprattutto coloro che occupano posizioni direttive, di quadro e impiegatizie (il 14,6% della popolazione) a guidare la triste classifica, immediatamente preceduti dagli studenti.

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Le forme allergiche sono però tante e solo alcune — sebbene tra le più diffuse e fastidiose — legate al cibo. Secondo i dati diffusi dal Ministero della Salute e la NIELSEN, in Italia ci sarebbero 1.800.000 allergici alimentari, 305.000 dei quali allergici al latte e 600.000 al glutine. Facendo una disamina invece nelle intolleranze — che ricordiamo non essere malattie allergiche — in Italia ci sarebbero 1.100.000 intolleranti al lattosio e 3.000.000 intolleranti al glutine. Vuoi perché le diagnosi sono oggi molto più precise e frequenti. Vuoi perché oggettivamente alcune malattie si sono inspiegabilmente diffuse, ma spesso l’unico modo per curarle è evitare determinati cibi. Ed ecco che il mercato prontamente risponde ad una domanda che anni fa non avremmo nemmeno potuto ipotizzare. Persone affette da disturbi intestinali più o meno marcati si vedono costrette ad eliminare dalla propria dieta latticini, glutine, frutta secca, solo per fare alcuni esempi. E gli scaffali dei supermercati pullulano di alimenti gluten free o senza lattosio, in un’offerta che va moltiplicandosi giorno dopo giorno.

Quanti claim hai? I claim sono innumerevoli e, solo per citarne alcuni, si annoverano: il sempreverde e tra i più datati ormai senza conservanti, ma anche pochi grassi, il più recente senza olio di palma, senza coloranti, pochi zuccheri, senza additivi, senza lattosio, senza glutine, senza grassi idrogenati, senza OGM, senza/a ridotto contenuto di grassi saturi, senza glutammato, senza zuccheri aggiunti, a ridotto contenuto o senza sale e molto altro ancora, in un elenco indicativo e non esaustivo a cui periodicamente si aggiungono voci nuove. Un’attenzione all’offerta, questa, che il consumatore sembra gradire: il 18,6% dei prodotti alimentari (esclusi acqua e alcolici) e il 27,6% delle vendite a valore, secondo l’Osservatorio Immagino, nel periodo giugno 2017 – giugno 2018, è rappresentato dal free from, che si conferma tra i fenomeni recenti più importanti, nel largo consumo confezionato, in Italia. In realtà, analizzando i trend di medio periodo, si rileva un leggero rallentamento rispetto al +3,1% del periodo giugno 2016 – giugno 2017, benché l’offerta sia aumentata, crescendo del 3,9%.

Molte abitudini di consumo sono dettate da convinzioni su ciò che è meglio consumare o meno. Convinzioni che spesso hanno presupposti sbagliati o discutibili, ma che contribuiscono a generare una tendenza. C’è poi il fronte delle intolleranze, delle allergie o di altre patologie legate al cibo che ogni giorno cresce: secondo l’Istat, le persone affette da malattie allergiche croniche in Italia nel 2016 erano il 10,7%, con un trend in lieve ma costante aumento

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Secondo l’AIC (Associazione Italiana Celiachia), quasi tutti i salumi, ad esclusione del prosciutto crudo, sono alimenti potenzialmente a rischio per chi soffre di celiachia o sensibilità al glutine. Ed è per questo motivo che la maggior parte delle grande aziende salumiere ha creato linee gluten free, il claim ben evidenziato in etichetta (photo © B. and E. Dudziński – stock.adobe.com).

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Al contrario di altri claim, l’interesse nei confronti del senza lattosio investe trasversalmente il Paese, senza differenze tra Nord e Sud (photo © golubovy – stock.adobe.com). Complessivamente il free from è infatti arrivato a contare 11.345 prodotti, per un giro d’affari di 6,8 miliardi di euro. Tra i 13 differenti claim analizzati dall’Osservatorio, quello più diffuso e comunicato in etichetta — sebbene non si tratti certo di una novità — resta senza conservanti, che rappresenta il 10,9% delle vendite complessive del confezionato. Eppure, benché molto più rilevante degli altri claim del free from, perde smalto e, nell’ultimo anno, cede un 2,4% di vendite, contro un –1,0% dell’anno precedente, a seguito di un’equivalente riduzione del numero di prodotti che utilizzano il claim. Per il resto delle indicazioni, si verificano situazioni differenti tra loro. Arretra del 2,0% il giro d’affari dei prodotti con pochi grassi, a causa del calo della domanda di latte UHT ad alta digeribilità e di biscotti. Sono le merendine, invece, a dare il maggior contributo alla flessione del 3,8% del giro d’affari dei prodotti presentati come senza grassi idrogenati. Continua il calo delle vendite di prodotti proposti senza coloranti, che, nel periodo considerato, hanno perso il 2,5% del giro d’affari rispetto all’anno precedente. Per alcuni claim che cedono quote, ce ne sono altri che vantano performance di tutto rispetto. Il più dinamico, da ogni punto di vista, è il senza olio di palma, anche se nel periodo conside-

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rato si mostra meno positivo rispetto al passato recente. Tra giugno 2017 e giugno 2018, trainato dai prodotti da forno dolci, il mondo dei prodotti senza olio di palma, pari al 3,7% dell’assortimento numerico, ha visto salire del 7,4% il valore delle vendite. Facendo una disamina dell’interesse territoriale, si nota che è l’Italia meridionale a mostrare la maggior attenzione alla presenza di olio di palma. In particolare sono Sicilia, Campania e Calabria a guidare la classifica, registrando la maggior quota di spesa. Secondo l’Osservatorio Immagino, in Sicilia i prodotti che riportano questo claim determinano il 33% di vendite in più rispetto alla quota del food in generale. In Campania si fermano invece al 29% e in Calabria al 26. L’incidenza va scemando man mano che si procede verso il Nord del Paese. Le tre aree geografiche dove i prodotti senza olio di palma hanno una quota sulla spesa inferiore alla media nazionale sono Toscana (–5%), Lombardia (–14%) e Trentino-Alto Adige (–19%). Proseguendo nella disamina generale, si mostra positivo anche l’andamento di pochi zuccheri, pari al +5,2%, in crescita non solo nelle bevande a base cola, ma anche in yogurt greco, confetture e bevande a base di frutta. Il senza additivi registra un +4,5% grazie soprattutto ai primi piatti pronti e alle mozzarelle. Ottima l’avanzata

dei prodotti senza zuccheri aggiunti e senza o a ridotto contenuto di sale (con mozzarelle e crescenze che guidano il trend) e il senza glutammato, che con un +4,7% deve il suo successo soprattutto ai piatti pronti e ai preparati per brodo. Ma in questo scenario, i claim che più di tutti riscuotono successo di mercato sono il senza lattosio e — ancor di più — il senza glutine. Diciture, queste, che tra l’altro, vanno spesso di pari passo e si trovano in contemporanea nella stessa confezione di prodotto. È inoltre straordinariamente diffuso un equivalente del gluten free che è la spiga sbarrata dell’Associazione Italiana Celiachia. In totale, sono infatti il 14,4% dei prodotti rilevati, di gran lunga superiori al senza glutine, che registra il 11,7%. Dai prodotti col semplice claim senza glutine arriva l’11,4% del giro d’affari totale del food, mentre è solo il 2,1% la quota appannaggio della spiga sbarrata. Il senza lattosio chiude un’altra performance positiva, anche se con un trend ridimensionato rispetto ai 12 mesi precedenti, in cui le vendite sono cresciute del 4,6%. Aspetto singolare, in una disamina territoriale del fenomeno, è che, al contrario di altri claim, l’interesse nei confronti del senza lattosio investe trasversalmente tutto il Paese, senza differenze importanti tra Nord e Sud, come accade invece per altre sostanze come l’olio di palma, per esempio. L’elemento che più di altri accomuna le migliori performance è la richiesta nelle aree ad alta densità di popolazione. Meno coinvolte invece sono regioni come Umbria, Liguria e Trentino-Alto Adige. In un mercato che nel cibo ricerca salute e benessere non è però solo il senza ad attrarre il consumatore. L’altra faccia della medaglia è il rich-in, quell’insieme di prodotti che presentano in etichetta un claim che enfatizza la presenza in misura importante o superiore alla media di una precisa sostanza considerata benefica. Ed ecco allora spuntare una serie di altre indicazioni dal con vitamine, al ricco di fibre. E ancora: con Omega-3, integrale, ricco di ferro, fonte di calcio. Anche qui riportati in un elenco indicativo ma non esaustivo, poiché ogni giorno più lungo e complesso. Il rich-in si ritaglia oggi il suo 9,6% del largo consumo alimentare confezionato e il 9,0% all’assortimento. Anche qui,

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come per il senza, si rileva una sempre crescente selettività degli Italiani di fronte alle proposte a scaffale, sebbene per il rich-in l’atteggiamento sia ancora più marcato e significativo. Le motivazioni sono certamente legate anche al fatto che mentre il senza è spesso legato a vere proprie patologie e a questo proposito è quasi impossibile sottrarsi all’acquisto, nel rich-in si tratta invece di una scelta non obbligata. Tra i claim più apprezzati vi sono quelli che riguardano le fibre, normalmente presentati con la dicitura con fibre tout court oppure come integrali. Il 6,5% degli oltre 60.000 prodotti alimentari analizzati dall’Osservatorio Immagino nel periodo citato e il 6,1% del giro d’affari complessivo del food confezionato presenta in etichetta un riferimento al suo apporto di fibre. I tassi di crescita sono pari al 10,3% per il claim integrali e del 6,2% per il con fibre, con un’accelerazione rispetto al dato dell’anno precedente che era già di per sé più che lusinghiero. L’Italia delle fibre sembra nettamente divisa in tre parti, che corrispondono

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(con poche eccezioni) alle tre aree geografiche del Paese, dove il Sud mostra un interesse marcato. Regioni come la Puglia, la Sicilia e la Campania registrano un interesse ben al di sopra della media, mentre man mano che si risale lo Stivale la richiesta di integrale sulla spesa alimentare va sempre più ridimensionandosi. Nel periodo considerato è anche aumentata la crescita dei prodotti ricchi di calcio. L’anno si è chiuso con un +6,5%. Ad aver trainato le vendite è stata soprattutto la maggiore domanda di mozzarelle. È altresì aumentata l’espansione dei prodotti con Omega-3, dove è stata determinante la performance del salmone e l’olio di semi di mais. È andato bene anche il fonte di ferro, grazie a biscotti per l’infanzia, cereali per la prima colazione e biscotti frollini. L’unico claim che sembra perdere terreno nel rich-in è quello delle vitamine, che segnano “solo” il 2,7% in numero di prodotti e un andamento poco brillante, che registra un calo dello 0,8% nel periodo considerato.

Crescita costante ma più lenta È una tendenza nel complesso più che soddisfacente quella del senza o del ricco di. Eppure, per la prima volta da molto tempo, il 2018 fa segnare un rallentamento dei ritmi di crescita di questo filone di consumo. Non una vera e propria inversione di tendenza, sia chiaro, ma piuttosto un assestamento, in parte fisiologico e prevedibile, per un mercato che potrebbe avere raggiunto una fase di maturità. Sempre più l’approccio si mostra scostante, con una ricerca smodata, da parte degli Italiani, ad acquistare uno o più prodotti solo per decidere quale scegliere in via definitiva. Esiste un marcato nomadismo da un prodotto all’altro, così come nella lunga fase di crisi finanziaria abbiamo assistito al nomadismo da un punto vendita ad un altro alla ricerca di risparmio. In generale, quello che potrebbe essere definito il carrello della “salute” è cresciuto del 2,3%. La tendenza a portare a casa prodotti che fanno bene si conferma e si espande, seppur in misura minore rispetto a qualche tempo fa. Sebastiano Corona

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PRODOTTI TIPICI

Carni e salumi di Carnia A Luincis di Ovaro, il “balcone della Val Degano” in provincia di Udine, Renato Beorchia prosegue la tradizione famigliare della macelleria selezionando le migliori carni per la propria clientela e dedicandosi alla produzione di salumi artigianali tipici di Riccardo Lagorio

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00% macelleria e 100% produzione di salumi. Un 200% che solo la passione di RENATO BEORCHIA può giustificare e fare la differenza. La villetta bassa si sdraia isolata su uno spicchio di piano accanto al torrente Degano. Da qui celebra l’evoluzione della tradizione malgara e norcina di famiglia, confluita in uno spaccio in stile nordico: vasi di geranio e tende bianche e rosse alle finestre, interni in legno, sobrietà. «Nel banco frigo — dice — il ricambio dei tagli risente della stagione. In primavera e in estate i clienti preferiscono cucinare alla griglia, in autunno e inverno vanno alla grande bolliti e spezzatino. Il dato costante è l’utilizzo di soggetti femmina, dalle carni ben mature. Da anni ci riforniamo dagli allevatori di

Cavazzo Carnico, assicurando così carni locali ai nostri». Tuttavia, sino al 2016 provvedevano l’allevamento e il macello in proprio a rifornire di carne il banco della macelleria, ma ostacoli di carattere burocratico hanno indotto il giovane a mettere fine all’esperienza. Nel contempo, ha forse inciso questa vicenda a convincerlo di realizzare un progetto che rappresentasse una forma di riscatto: concentrare tutte le forze intorno a una proposta innovativa nel consumo di carne e nella produzione di salumi. «Ho cercato con tutto l’impegno possibile di convincere i clienti verso un consumo consapevole, che fosse in grado di riconoscere la carne che noi macellai consideriamo migliore, di animali che hanno almeno 40 mesi, marezzata, frollata».

All’esterno è nata una braceria, che consente di farsi cucinare tagli e carni: uno spazio aperto durante la bella stagione che si può sfruttare ammirando il monte Arvenis. Un’idea per avvicinare anche i giovani al mondo delle carni allevate in maniera naturale e dei salumi prodotti con criteri che strizzano l’occhio alla tradizione. «In particolare il salume locale è la pindula. Si ottiene dal filetto salato, speziato e affumicato con legna naturale di faggio e ginepro. L’affumicatura dura 48 ore, la stagionatura almeno 60 giorni. Il nome del prodotto deriva chiaramente dal fatto che penzolava dalle pertiche» spiega Renato. Assaggiato in mezzo ai monti con un bicchiere di Ribolla gialla offre il meglio di sé. Da un’altra parte anatomica intera, la lombata, si ottiene il

Il salume locale più particolare è la pindula. Si ottiene dal filetto salato, speziato e affumicato con legna naturale di faggio e ginepro. L’affumicatura dura 48 ore, la stagionatura almeno 60 giorni. Il nome del prodotto deriva dal fatto che in passato penzolava dalle pertiche La pindula, tipico salume locale.

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fillet, ben ricoperto di grasso nella parte superiore. Lavorazione semplice anche per il salame Carnia, con affumicatura a freddo di legno di faggio come conservante e temperatura massima di 25 gradi. «Accadeva per necessità che si affumicasse. I salami, i prosciutti, le pancette venivano appese vicino al caminetto perché gli altri luoghi della casa erano troppo umidi e l’affumicatura avveniva in modo naturale. Ora quegli stessi prodotti sono diventati il patrimonio gastronomico della Carnia, anzi, di questa fetta di Carnia» illustra con orgoglio indicando i numerosi salumi che si trovano sottovuoto sugli scaffali o a taglio nel bancone. «Non affettiamo mai il prosciutto crudo prima che abbia compiuto almeno 24 mesi di età, di modo che la carne risulti consistente e saporita. Questo avviene per tutti i salumi. Per il salame preferiamo stagionature lunghe, perché la compattezza della fetta e il profumo di carne matura devono essere gli elementi che lo caratterizzano». Anche il salame subisce un leggera affumicatura, al pari di coppe, pancette e stinchi cotti. «Un filo di fumo che in questi salumi dal gusto più marcato richiede vini rossi come il Refosco dal peduncolo rosso. Numerosi clienti chiedevano come abbinare i salumi al vino». Ora se ne vanno soddisfatti da una buona scelta di vini, esclusivamente friulani. Riccardo Lagorio I Salumi di Carnia Via Guart di Luincis 34 33025 Ovaro (UD) Telefono: 0433 619043 Web: www.isalumidicarnia.it

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In alto: Renato Beorchia. Al centro: il fillet. In basso: salame Carnia.

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Specialità tradizionali a rischio di estinzione

I ciarimboli marchigiani prodotto povero per intenditori Tipici della Valle dell’Esino, fra Ancona e Macerata, appartengono alla grande famiglia delle interiora suine conservate. Sono a rischio di estinzione anche per i notevoli tempi e costi di produzione e per tutelarli è nata una festa che si tiene ogni anno a Monte San Vito. Si consumano freschi o alla brace tra due fette di pane cotto a legna di Nunzia Manicardi

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ciarimboli, prodotto suino tradizionale marchigiano praticamente sconosciuto al di fuori della sua ristretta area di produzione e consumo, sono a rischio di estinzione per i notevoli costi in termini sia di tempo che economici che la loro produzione

comporta. Eppure meritano ampiamente di essere tutelati, valorizzati e anche fatti conoscere all’esterno. Ricordati anche con il nome di ciaringoli, buzzicchi e ciambudi, appartengono alla grande famiglia delle interiora suine conservate. I motivi della loro potenziale estinzione

sono i soliti che riguardano l’inesorabile allontanarsi di usi e costumi agroalimentari della tradizione contadina. Un tempo, come tanti altri prodotti similari diffusi ovunque in Italia, essi si legavano infatti indissolubilmente alla macellazione domestica dei maiali.

Ciarimboli (photo © Cuoco di paglia).

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Oggi che quest’ultima si è drasticamente ridotta, anche i ciarimboli risultano praticamente scomparsi e, pure dove resistono, si producono quasi esclusivamente per autoconsumo o per iniziativa di alcuni macellai locali che ne promuovono la vendita ma in limitatissime quantità e solo nella loro assai circoscritta zona. Sono tipici della Valle dell’Esino, che unisce Ancona a Roma passando per Perugia e, in particolare, dei paesi che circondano la città di Jesi: Cupramontana, Montecarotto, Staffolo… Si trovano anche nel limitrofo Alto Maceratese. Qui, in queste zone rurali che ancora oggi si mantengono tali, nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio, quelli dedicati alla macellazione suina, è tuttora possibile trovarli ma, dicevamo, sempre più con le limitazioni sopra descritte. Anche perché, uscendo dall’ambito domestico, qualora si volesse dar vita ad un processo produttivo moderno su base più ampia la loro produzione risulterebbe molto onerosa sia come tempo di preparazione che come costi economici. Da un maiale, infatti, si ottengono appena 150-200 grammi di ciarimboli. È evidente che all’industria di trasformazione non conviene sobbarcarsi tali costi a fronte di un mercato che rimarrebbe sempre assai ridotto. Ma le popolazioni non si arrendono e così, per tutelarli, è nata a Monte San Vito, in provincia di Ancona, una fiera apposita che si tiene ogni anno in autunno per iniziativa della Pro Loco. Iniziativa meritoria, che però da sola non basta a proteggere questo prodotto ormai diventato suo malgrado di nicchia e dal prezzo commerciale piuttosto elevato. Ci piace parlarne, quindi, per dare il nostro piccolo contributo alla sua salvaguardia, dato che si tratta di una prelibatezza oltre che di una specialità tradizionale italiana. Ma vediamo allora come esso viene ottenuto. Abilità norcina Il ciarimbolo è prodotto immediatamente dopo l’uccisione del maiale con le budella che avanzano dopo aver insaccato salami, salsicce e cotechini. È un lavoro che al norcino richiede una notevole abilità artigianale poiché bisogna dapprima staccare le budella

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dalla membrana esterna che ricopre e protegge l’intestino e che è una specie di guaina serica che porta attaccate delle vescicole di grasso che vanno conservate. Bisogna quindi agire con molta precisione per non rovinare la materia prima. Le budella vengono poi rivoltate (per cui le vescicole di grasso finiscono all’interno), lavate con acqua e aceto, lasciate a mollo per una notte e bollite con aceto, alloro, qualche fogliolina di basilico e un pezzetto di buccia di arancia. Si scolano per bene, si conciano con aglio rosso, pepe, sale, semi di finocchio e rosmarino, si lasciano a insaporire per un giorno intero dentro un coccio smaltato o un recipiente di porcellana. Successivamente si mettono ad asciugare vicino al fuoco (un tempo era il focolare del camino) per almeno tre giorni, deponendole su robusti rami di rosmarino secco e pulito che dona ulteriore aroma. Non devono essere a contatto diretto col fuoco. Dopo questi tre giorni di essiccamento per affumicatura, fino a ottenere la necessaria rigidità, i ciarimboli sono pronti per essere consumati. Il prodotto finito assume la forma di una sottile fettuccia irregolare di colore bianco, croccante e più o meno consistente (può ricordare proprio delle fettuccine casalinghe). Si consuma sia fresco che cotto. Tenuto al fresco della cantina, in luogo ben asciutto, si conserva ma solo per poche settimane. Per fortuna i ciarimboli sono ottimi anche, e forse soprattutto, se consumati cotti. In tal caso, una volta stagionati, diventano anche piuttosto fragili e vanno perciò maneggiati con molta cura. Si tagliano a pezzetti, si infilano negli spiedini dando loro una forma a U e si cuociono a fuoco leggero sulla brace ben ricoperta di ceneri o sulla griglia finché la membrana esterna non si indurisce (il tutto in tempi molto rapidi) e l’interno, costituito dalle vescicole di grasso, non fonde. Devono risultare dorati, appena bruniti. A questo punto vengono infilati tra due robuste fette di pane locale abbrustolito, schiacciandole per far sì che il grasso fuoriesca dall’involucro croccante e vada a insaporire il pane portando con sé tutti i profumati aromi della concia. Il seguito è pura delizia. Nunzia Manicardi


Coppa di Parma IGP: crescono produzione, fatturato ed export Il 2018 è stato un anno positivo per la Coppa di Parma IGP, la cui produzione, lo scorso anno, è stata di 4,3 milioni di kg (per un incremento a volume sul 2017 del 7,5%). La Grande Distribuzione si conferma il canale prevalente nella commercializzazione di prodotto, assorbendo l’80% circa della produzione. La referenza più apprezzata dai consumatori rimane la Coppa di Parma Igp intera, che incide per il 40% della produzione. Anche le performance a valore premiano il comparto della Coppa di Parma Igp, che garantisce lavoro a circa 500 persone: il fatturato è salito a 65 milioni di euro, con un crescita pari all’8,3% rispetto al 2017. Fa registrare segno positivo l’export, la cui incidenza sul fatturato sale dal 15 al 18%. La geografia commerciale della coppa è rimasta sostanzialmente inalterata nel corso degli ultimi 12 mesi: il mercato principale si conferma quello della UE, trainato da Francia e Germania. Buoni i risultati conseguiti anche nel Regno Unito, nel Benelux e in Polonia. Al di fuori della UE, i Paesi che dimostrano di apprezzare maggiormente il salume sono Svizzera, Russia e Canada. Un altro driver di crescita è rappresentato dall’export. Le aree obiettivo sono due: «la prima è rappresentata dagli Stati Uniti, dove la Coppa di Parma Igp non è ancora commercializzata a causa della normativa sanitaria particolarmente severa in materia di salumi» spiega Fabrizio Aschieri, presidente del Consorzio di tutela che riunisce attualmente 21 aziende. «Stiamo lavorando per ottenere le autorizzazioni necessarie per entrare nel mercato statunitense: siamo fiduciosi, ma ci vorrà ancora pazienza. La seconda area obiettivo è rappresentata dal Giappone, soprattutto dopo l’entrata in vigore del trattato commerciale JEFTA, che prevede la progressiva eliminazione dei dazi sui beni importati dall’Europa nel Paese del Sol Levante, tra cui su 46 prodotti italiani a Indicazione Geografica Protetta». >> Link: www.coppadiparmaigp.com

Salame Felino IGP: il comparto si conferma in buona salute Il comparto del Salame Felino Igp, che raggruppa 14 aziende del territorio parmense e che garantisce lavoro, considerando anche l’indotto, a oltre 500 persone, conferma il suo dinamismo: nel 2018 la produzione è cresciuta del 5,9%, raggiungendo quota 5,4 milioni di chili di carne lavorata. Segno positivo anche a valore: negli ultimi 12 mesi si è registrata una leggera crescita anche nel fatturato al consumo, che si è posizionato intorno ai 75 milioni di euro. Dall’analisi dei dati di mercato si evince che la referenza più apprezzata dai consumatori rimane il Salame Felino Igp intero: incide per il 62% del prodotto etichettato. Sostanzialmente stabile il segmento del pre-affettato, che nel 2018 si attesta intorno al 17% della produzione. La GDO si conferma il principale canale di commercializzazione: qui vengono venduti due salami su tre. L’export è pari al 20% del fatturato del comparto. Sensibile all’appeal di questa eccellenza salumiera italiana è soprattutto l’area UE, in particolare Francia e Germania, che sono anche i due principali Paesi di destinazione dell’export alimentare parmense. Soddisfazione la esprime Carletto Ferrari, presidente del Consorzio di Tutela. «Si conferma il trend di crescita già evidenziato nel 2017, con i principali indicatori economici preceduti dal segno positivo. Per il biennio 2019/2020 abbiamo ipotizzato un ricco piano di attività di marketing e comunicazione finalizzato a promuovere la diffusione della cultura di prodotto del Salame Felino Igp: abbiamo da poco presentato al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari, Forestali e del Turismo un dossier dettagliato, per ottenere finanziamenti ad hoc».

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Salame Italiano Cacciatore, +7% dell’export nel 2018

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È un dato di fatto che il Salame Cacciatore Dop piaccia molto all’estero e i dati lo confermano. Nel 2018, infatti, il Consorzio Cacciatore Italiano comunica una crescita delle esportazioni del 7% rispetto al 2017. È il 30% di Salamini Italiani alla Cacciatora Dop, calcolato sul venduto, ad aver varcato i confini nazionali. L’Unione Europea ha assorbito oltre l’89% del prodotto esportato, mentre l’esportazione verso il resto del mondo è cresciuta di oltre il 36%. I Paesi più performanti sono stati Germania, Belgio, Francia, Svizzera e Austria. Considerata la rilevanza strategica di Germania e Belgio nel processo di internazionalizzazione della Dop, il Consorzio è attualmente impegnato in programmi di promozione e valorizzazione del prodotto in questi Paesi, con l’obiettivo di comunicare ai consumatori e ai professionisti della ristorazione e del trade le caratteristiche del salume, garantite dalla certificazione comunitaria. Sempre in tema di internazionalizzazione, il Consorzio sta realizzando un articolato programma di promozione anche in Giappone. In collaborazione con i professionisti della ristorazione dell’area di Tokyo, sono state realizzate delle settimane di degustazione di ricette a base di Cacciatore Italiano Dop in oltre 230 ristoranti e bento shop. Infine, positivi i dati dei primi mesi del 2019 che fanno registrare un +5,2% sulla produzione e che arrivano dopo un 2018 leggermente sotto le aspettative, in linea comunque con l’andamento globale del mercato. «Il dato più soddisfacente del 2018 riguarda le performances delle esportazioni del Salame Cacciatore Dop» commenta Lorenzo Beretta, presidente del Consorzio. «Questo +7% conferma l’efficacia della strategia di valorizzazione che negli ultimi anni il Consorzio ha intrapreso per sostenere lo sviluppo e l’internazionalizzazione della Dop».

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CURIOSITÀ

Umami: il quinto gusto e oltre È il senso a cui è attribuita la capacità di attivare i ricettori del gusto, creando un insieme di sensazioni di piacere. L’ingrediente che ne è più ricco è il Parmigiano Reggiano insieme a prodotti invecchiati, stagionati e/o fermentati come prosciutto crudo, acciughe marinate e pomodori secchi. Un sesto senso identificherebbe invece i grassi nei cibi di Nunzia Manicardi

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i piace la pizza, soprattutto quella tradizionale preparata con mozzarella, pomodoro fresco e acciughe? Ebbene, allora sappiate che, quando al solo nominarla vi viene l’acquolina in bocca,

state attivando il vostro quinto senso: l’umami. Perché quegli ingredienti sono a loro volta ricchi di umami e questo fa scattare dentro di voi il vostro quinto senso, quello che non sapevate neanche di avere. Il fatto che il piacere dato

dalla pizza sia condiviso praticamente dall’intera umanità sarebbe a sua volta un’ulteriore conferma dell’esistenza dell’umami, per altro già provata scientificamente. L’umami è quindi il senso a cui viene attribuita la capacità di attivare i

La pizza, il piatto italiano per eccellenza, è spesso condita con prodotti che contengono molto umami, dai pomodori maturi alle acciughe alle olive nere (photo © ALF photo – stock.adobe.com).

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ricettori del gusto, creando un insieme di sensazioni di piacere. La sua definizione ufficiale è stata stabilita dall’Umami Information Center: “È un sì che viene dal glutammato e da diversi ribonucleotidi, tra cui inosinato e guanilato, che si trovano naturalmente in carne, pesce, verdura e prodotti lattiero-caseari”. Il glutammato infatti è un amminoacido che si trova in cibi molto proteici, come la carne e il formaggio. Una scoperta antica ma un concetto ancora nuovo Nonostante sia stato scoperto oltre un secolo fa e sia così diffuso, quello del gusto umami è un concetto ancora nuovo per il mondo occidentale, rimasto fermo — per quanto riguarda i sensi — al numero di quattro come si insegna a scuola. Le cellule recettrici specializzate presenti nel cavo orale umano, e in particolare nella lingua, ne percepiscono invece cinque: agli abituali dolce, salato, amaro e acido si deve aggiungere, adesso lo sappiamo, anche umami. La parola giapponese umami (旨み、 旨味、 うまみ) rimane identica in tutte le lingue del mondo e significa “saporito” nel senso di “sapore di glutammato”. L’umami è collegato infatti al glutammato monosodico (acido glutammico) che è presente, come detto, in cibi molto proteici ed è collegato a recettori associati a proteine G (come nel caso di dolce e amaro) e, ancora più nello specifico, a un recettore metabrotopico costituito da un dimero T1R1 e T1R3. La molecola recettore è una forma modificata della mGluR4 mancante di una porzione finale. Fu identificato come un gusto fondamentale già nel 1908 da KIKUNAE IKEDA, professore di chimica all’Università Imperiale di Tokyo, mentre compiva ricerche sul sapore forte del brodo di alghe kombu. Venne subito considerato come fonte del gusto, però la discussione scientifica (a cui partecipò anche l’italiano SILVIO GARATTINI) proseguì finché non si dimostrò che il glutammato monosodico va a stimolare un’area cerebrale diversa da quella coinvolta dagli altri quattro gusti fondamentali e che eccita i neurotrasmettitori del gusto. Seguì, con il I Simposio internazionale sull’Umami organizzato alle Hawaii nel 1985, il riconoscimento ufficiale

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Asparagi e prosciutto crudo. Nel crudo la quantità di glutammato aumenta durante la stagionatura (photo © nblxer – stock.adobe.com). come quinto gusto. E non soltanto uno dei cinque, ma probabilmente il più importante! È anche quello che perdura più a lungo. La scoperta di quale tipo di recettori siano coinvolti nell’umami è stata poi fatta di recente negli Stati Uniti (Università di Miami). Sensibile ai grassi Ma non è finita qui… Nel 2012 un gruppo di ricercatori della Washington University School of Medicine ha scoperto che sulla lingua, oltre ai recettori per dolce, salato, amaro, acido e umami, esistono anche papille specializzate nell’identificazione dei grassi nel cibo. Ci sarebbe quindi pure un sesto senso, il fat (in inglese “grasso”) derivante dall’iperattività di un gene, il CD36, che regola la nostra sensibilità ai cibi grassi. Si ipotizza inoltre l’esistenza anche di un settimo senso… Il glutammato monosodico: cos'è e dove si trova Il glutammato monosodico viene però associato negativamente, dall’opinione pubblica disinformata, alla cosiddetta

“sindrome da ristorante cinese”. Ad abbondarne maggiormente, come esaltatore di sapidità, sarebbe infatti la cucina cinese, con conseguenze — almeno per alcuni di noi occidentali — che possono sfociare in una vera e propria patologia con forti mal di testa, intense vampate di calore, orticarie e difficoltà di respirazione. In realtà ciò è soprattutto la conseguenza di ristorazioni internazionalizzate tipiche di fast food e take away di scarsissima qualità con cotture frettolose e con esagerazione di fritti in olio scadente e pesantissimi condimenti con sovradosaggi di salsa di soia (per altro giapponese e non cinese) e di glutammato monosodico che non hanno niente a che vedere con l’autentica cucina cinese, caratterizzata invece da cotture lente, al vapore e con ingredienti semplici e naturali, la quale è frutto di una cultura sapientissima e plurimillenaria legata alla filosofia yin & yang e alla medicina tradizionale. Ciononostante, nei minimarket cinesi il glutammato è sbrigativamente venduto in sacchi da 1 chilo, come se si trattasse del nostro comune sale da cucina!

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Parmigiano Reggiano, alimento umami per eccellenza (photo © Agorafobia – stock.adobe.com). Tutto questo ha nuociuto e nuoce al glutammato, spesso accusato di essere un elemento estraneo al cibo, un additivo artificiale. Anche perché nell’industria alimentare è utilizzato come ingrediente principale dei dadi da brodo, dei preparati granulari per brodo e come additivo ed è identificato dalla sigla E621. Di conseguenza è difficile l’apprezzamento dell’umami, considerato un sapore esotico e dalla cattiva fama mentre invece appartiene alla tradizione gastronomica di tutto il mondo da tempi antichissimi, Italia compresa e forse anche più che altrove. Il glutammato monosodico, dal canto suo, svolge nel nostro organismo una funzione fondamentale. Guai se non ci fosse! È infatti il sale di sodio dell’acido glutammico (GA), uno dei 23 amminoacidi naturali che costituiscono le proteine di qualsiasi essere vivente, uno degli amminoacidi più comunemente presenti nei cibi sia in forma libera che combinato in proteine. È anche uno dei più importanti neurotrasmettitore del sistema nervoso centrale e potrebbe essere implicato in

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funzioni cognitive quali l’apprendimento e la memoria. Non è un amminoacido essenziale, cioè l’organismo è in grado di sintetizzarlo a partire da altre molecole quando necessario e questo avviene soprattutto in caso di stress psicofisico o malattia, il che evidenzia come questa molecola sia vitale per il funzionamento delle cellule. Bisogna però, questo sì, rispettare dei limiti di concentrazione, anche se scientificamente non sono ancora stati fissati con chiarezza. Non eccedere, dunque. Ma l’importante è rendersi conto che ha effetti salutari: rinforza le difese immunitarie e consente di diminuire di moltissimo il sale con una conseguente riduzione del 30-40% nell’apporto di sodio al corpo umano. Insomma, l’amminoacido responsabile del gusto umami è essenziale per il corpo umano, come dimostra il fatto che sintetizziamo ben circa 50 grammi al giorno. L’acido glutammico, essendo uno degli amminoacidi più presenti in natura, si trova in tutti gli alimenti e, in particolare, in latte, pomodori, funghi e alcune alghe usate nella cucina giapponese.

Le cellule sensoriali presenti sulla nostra lingua ne percepiscono però soltanto la quota presente in forma libera, cioè non inglobato nelle proteine. I processi di invecchiamento, stagionatura e fermentazione aumentano notevolmente la concentrazione di glutammato libero, per cui alimenti come pomodori e funghi secchi, formaggi stagionati e acciughe marinate vengono fortemente riconosciute come umami. Ancora più evidente è il caso del prosciutto crudo, in cui la quantità di glutammato aumenta durante la stagionatura e contemporaneamente si riduce la quantità di acqua presente nei tessuti passando dai 5,8 mg/100 g del fresco ai 206,8 mg/100 g dello stagionato 12 mesi e ai 334 mg/100 g nel 18 mesi (prosciutto iberico, J.J. CORDOVA, 1994). Stessa cosa nella carne bovina a seguito della frollatura, con sensibilissimi aumenti del glutammato a seconda dei giorni di attesa. L’alimento comunque che in assoluto ne contiene di più è il nostro Parmigiano Reggiano: 1,5 grammi ogni 100. Il più umami di tutta la cucina mediterranea e probabilmente anche il più umami al

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mondo. Il confronto lo dimostra facilmente: la salsa di soia, che comunemente viene considerato il prodotto più ricco di glutammato (vedi “sindrome da ristorante cinese”!) ne ha una concentrazione che va dai 400 ai 1.700 mg/100 g a seconda del grado di fermentazione (ne esistono 5 tipi), mentre il Parmigiano Reggiano raggiunge gli stessi valori dopo 24 mesi di stagionatura. E nelle stagionature superiori (30-36 mesi) può andare anche oltre… Infatti, noi lo utilizziamo un po’ dappertutto: una grattugiatina e tutto acquista più sapore! Adesso sappiamo che quel sapore ha un nome: umami. È lo è tanto da incontrare, in tutta l’Asia, un grandissimo successo commerciale. I cibi presenti nella Dieta Mediterranea con una maggiore quantità di umami sono (concentrazione di sostanza in forma libera espressa in mg/100 g; fonte www.umamiinfo.com): Parmigiano Reggiano 1200-1680 (anche probabilmente il primo al mondo); acciughe marinate 630; pomodori secchi 650-1140 e freschi 150-250; prosciutto crudo 340. Ottimi sono pure le zuppe, le creme e gli stufati cucinati a lungo. Tutto ciò che viene fatto maturare fino al limite della marcitura o cotto per molto tempo o fatto fermentare libera infatti gli amminoacidi che attivano i ricettori dell’umami. Umami è anche un’esperienza di vita che ci accompagna dalla nascita alla morte. Umami è il latte materno, così come lo è il latte di ogni mammifero. In quello umano, a 7 giorni dal parto, il glutammato responsabile del gusto umami costituisce il 50% di tutti gli amminoacidi liberi presenti, fino a 18,7 mg/100 g. Una quantità enorme (1.0 mg ogni 100 g nel latte di vacca). Ci superano solo gli scimpanzè (più del doppio). Del resto è evidente il piacere che dà al poppante il sapore umami del latte materno. Non altrettanto con gli altri quattro gusti, neppure dopo aver iniziato lo svezzamento! Ma anche verso il fine vita l’umami svolge una funzione fondamentale, soprattutto per stimolare l’appetito e quindi la voglia di vivere quando questi siano carenti. I cibi ricchi di glutammato riconducono gli anziani al piacere primigenio, accompagnandoli armonicamente verso la chiusura perfetta del ciclo vitale. Nunzia Manicardi

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SAPORI DAL MONDO

Rosae, Rosarum, Rosis

Nel nome della rosa di Riccardo Lagorio 72

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el nome della rosa si nasconde un pezzo di umanità. Le rose ricordano figure storiche, luoghi e accadimenti del passato. Nelle antiche civiltà si ammiravano le rose per la loro bellezza e per il profumo, ma si ritenevano utili per usi medicinali e cosmetici. L’impiego in cucina non si fece attendere, così i petali di rosa vennero trasformati ben presto in leccornie come sciroppo e confetture. Ma anche i luoghi dove riposavano i morti vennero adornati da rose, consuetudine che continua oggi. Storie di rose Capita oggi talvolta che, bagnando le rose del giardino, TEOFRASTO, filosofo e botanico del III secolo a.C., sussurri il metodo per innestarle e il periodo in cui fioriranno. Testimoniava il discepolo di Aristotele che nei Giardini di Adone crescevano le più belle, coltivate in vasi d’argento. Forse invece l’altro filosofo botanico greco, DIOSCORIDE, 400 anni dopo, si riferiva alla Rosa semiplena mentre scriveva il suo Erbario illustrando gli impieghi medicinali dei petali di rosa contro le infiammazioni della gola e il mal di testa. Ai ROMANI piaceva festeggiare con ghirlande di rosa in testa e la leggenda racconta che l’estroso imperatore ELIOGABALO durante un ricevimento fece rovesciare una quantità così immane di petali sui suoi ospiti che qualcuno ne venne anche soffocato. Senza arrivare a tanto eccesso, i Romani amavano imbottire i cuscini dei triclini con i petali di rosa e pare li aggiungessero all’acqua e al vino e li consumassero sotto forma di gelatina o budino. La rilevanza della rosa nella vita dei Romani è confermata dalla numismatica: il fiore compare su centinaia di monete in un lasso di tempo di secoli, rinvenute in scavi archeologici. Vicina ai nostri tempi, GIUSEPPINA DI BEAUHARNAIS, regina d’Italia e imperatrice di Francia, era letteralmente innamorata delle rose. Ne aveva una collezione di oltre 250 varietà all’interno della Tenuta di Malmaison e si dice che lo stesso NAPOLEONE I contribuisse alla raccolta dei semi durante le sue spedizioni militari. Forse non è un caso che una delle varietà più utilizzate per alimentazione si chiami proprio Chapeau de Napoléon.

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Da sempre l’uomo per nutrirsi utilizza i fiori delle rose, le sue bacche e le sue foglie, come dimostrano ritrovamenti fossili e ricette scritte circa duemila anni fa.

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Ai Romani piaceva festeggiare con ghirlande di rosa in testa e imbottire i cuscini dei triclini con i petali di rosa. Pare poi li aggiungessero ad acqua e vino e li consumassero sotto forma di gelatina o budino. Il fiore infine compare su centinaia di monete romane in un lasso di tempo di secoli Gelato con sciroppo di rose. Acqua, petali, sciroppo Alcuni termini entrati nel vocabolario italiano dal persiano attraverso la lingua inglese testimoniano l’importanza alimentare della rosa. Come il punch, in origine elaborato con cinque ingredienti (acqua di rose, succo d’uva, zucchero, limone e ghiaccio) che deriva dal farsi panj (cinque), e julep, l’italiano giulebbe, che nasce da golab, ovvero acqua di rose. La produzione di acqua di rose in Iran vanta infatti oltre 2500 anni di storia e ancora oggi le città di Kashan, Qamsar e Isfahan sono considerate capitali mondiali in questo specifico ambito. Maggio e giugno sono i mesi in cui si concentra la raccolta dei petali, ricchi di tannini e acidi grassi. La tecnologia produttiva è rimasta pressoché intatta da allora e il cerimoniale della raccolta inizia la mattina presto, quando la rugiada è appena evaporata, per non rovinare l’aroma del fiore. I petali vengono inseriti in un alambicco di rame insieme a dell’acqua, che bolle su un forno di mattoni e cemento o pietre e fango. Il vapore d’acqua di rose e oli essenziali scorre in condotti di alluminio e cade in appositi contenitori. La produzione dura circa 4 ore e da 30 kg di fiori si ottengono 40 litri di acqua di rose. Lo sciroppo di rose viene invece elaborato lasciando macerare petali freschi di rosa damascena in acqua e aggiungendo al liquido ottenuto dello zucchero.

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Sciroppo di rose.

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Semifreddo con petali di rose. Le rose della Valle Scrivia Nel Genovesato esiste traccia della preparazione dello sciroppo di rosa già dal 1600. In particolare in Valle Scrivia era molto diffusa la coltivazione delle rose da sciroppo, che erano presenti non

solo nei giardini e negli orti, ma anche nei parchi delle ville padronali e nei monasteri. Lo sciroppo era apprezzato per le sue proprietà officinali. MARIA GIULIA SCOLARO, una delle produttrici di sciroppo di rose, conferma che «In

Nel Genovesato esiste traccia della preparazione dello sciroppo di rosa dal 1600. In Valle Scrivia soprattutto era diffusa la coltivazione delle rose da sciroppo, apprezzato per le sue proprietà officinali. Dissetante d’estate, in inverno diviene tisana profumata lenitiva delle infiammazioni orali e ottimo diuretico

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casa, come d’uso in tutte le famiglie di Genova e della Valle Scrivia, lo sciroppo di rose veniva utilizzato come dissetante d’estate, diluendone un cucchiaio in un bicchiere di acqua fresca e come tisana in inverno sciolto in acqua calda per lenire infiammazioni alla bocca e alle gengive, ma anche come diuretico. Ancora oggi sono confermate queste sue proprietà benefiche». Nel 2000 è nata un’associazione, “Le rose della Valle Scrivia”, per volontà di un piccolo gruppo di contadini della vallata con l’aiuto del Parco delle Valli dell’Antola e della Provincia di Genova allo scopo di recuperare e moltiplicare le vecchie piante di rose e di riportare in auge questa produzione tradizionale. «Le rose che danno i migliori risultati sono state selezionate tra la fine del Settecento e i primi anni del Novecento. E nel Genovesato, anche grazie al particolare clima, si è sviluppata la lavorazione dei petali di rosa, con i quali si producono anche confetti e conserve». Nel capoluogo ligure spicca la storica CONFETTERIA ROMANENGO, specialista nella canditura di petali di rosa e violette, confetture e sciroppi (romanengo.com). I petali di rosa vengono utilizzati per arricchire i canestrelli, biscottini a forma di stella, e si trovano nel gelato di LUCA DALPIAN che, nella vicina Valle Orba, ha rinnovato la consuetudine di adoperare le rose in numerose preparazioni. «Nella nostra vallata il prodotto più rappresentativo è il latte, così dal 1997 ho aperto una agrigelateria dove si può trovare, in primavera ed estate, anche il gelato alla rosa. In alternativa proponiamo di assaggiare il gelato alla panna o lo yogurt decorati con lo sciroppo di rose. Si tratta di un’idea che valorizza i prodotti derivati dal latte e fa apprezzare ancora di più l’aroma intenso e raffinato di questo meraviglioso fiore», spiega. Riccardo Lagorio Az. Agr. Maria Giulia Scolaro Via Ronchetto 9 16010 Savignone (GE) Telefono: 3498699372 Web: www.sciropporose.it Azienda Agricola Dalpian Via Bolla 7 – 16010 Tiglieto (GE) Telefono: 010 929298 Web: www.dalpian.it

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TRADIZIONI

Non è una guerra… è un’amatriciana! di Giorgia Fieni

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i rendo conto di addentrarmi in un campo minato, ma devo farlo. Perché non è proprio possibile ignorare il fatto che quattro elementi semplici come guanciale, pomodoro, pecorino e pasta possano creare un mix talmente perfetto da farti pensare dopo ogni porzione: Ancora! La storia dell’amatriciana non è però tanto antica come sembra. Certo, i pastori indubbiamente già conoscevano una pasta al formaggio (la gricia) a cui a volte aggiungevano carne, ma è solo con

l’arrivo del pomodoro e l’inizio del suo uso come alimento (e non come pianta ornamentale; perciò intorno al XVII-XVIII secolo) che questa ricetta acquista le sue vere caratteristiche: “spaghetti all’amatriciana — scrive PAOLO MONELLI nel 1935 ne Il ghiottone errante — impregnati dell’odor dell’armento che scende dai monti in polverosa migrazione, conditi con aglio, pepe, pomodoro fresco, ma soprattutto guanciale di maiale e pecorino grattugiato”. State torcendo il naso per l’aglio? Non siete i soli. Lo hanno fatto anche

quelli di Amatrice quando qualche anno fa, in diretta TV, CARLO CRACCO ammise che lo metteva in camicia e si sono scatenate le polemiche. Quindi, direi di iniziare immediatamente dai dubbi per addentrarci poi sul certo. Ovvero dall’amatriciana di pesce (di solito si tratta di spada o gamberetti o vongole o capesante, ma DOMENICA V IGNARELLI usa crostacei e aggiunge pure lardo di Arnad, per sostituire il guanciale), da quella di verdure e da quella vegana (tofu o affettato vegetale di muscolo di grano al posto

I classici bucatini all’amatriciana (photo © Ryba Sisters – stock.adobe.com).

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Per chi la mortadella la vuole rigo rigorosamente o col pistacchio, è nata una nuova Favola. Impasto delicato e profum profumato m come sempre, ma con qualcosa in più: il gusto dei migliori pistacc pistacchi c della Sicilia. Sempre più inimitabile fuori, grazie alla legatura a mano in colore verde, e ancor più inconfondibile dentro.

www.mortadellafavola.it www w


“Ci vogliono solo tre ingredienti: pomodoro, guanciale e pecorino. E la pasta. Eppure, ognuno ha la sua ricetta”, scrive Virginia Di Falco sul blog Luciano Pignataro. “Poi c’è la diatriba sulla cipolla: ci vuole o non ci vuole? E il formato? Corta o lunga? Spaghetti, bucatini, rigatoni, gnocchi o mezze maniche? Insomma, non se ne esce. Neppure se chiedete al romano de Roma: ognuno ha la sua versione, la sua classifica del cuore”

Il cornetto di amatriciana dello chef Marco Martini (photo © www.facebook.com/ MarcoMartiniRestaurantCocktailbar). della carne, credo sia decisamente chiedere troppo… PIETRO LEEMANN lo sa e preferisce metterci cipolla rossa, mandorle e crema di cavolfiore affumicato, chiamandola Omaggio): tutte ricette buonissime, ma, sinceramente, credo che dovrebbero essere battezzate in tutt’altro modo, perché il sapore principale è cambiato. Poi passiamo al sugo, che non accompagna più la pasta ma la bruschetta o le mozzarelline fritte (nel 2014 MARCO MARTINI l’ha addirittura servita nei coni come amuse-bouche): ottima idea. Non male neanche quella della frittata all’amatriciana, dei supplì, della pizza e dei bicchierini in cui intingere cappelletti allo spiedo: sono sempre valorizzazioni del sapore tipico della ricetta. Infine, excursus sui “mitici” ingredienti. Pomodori, dicevamo: ciliegino o perino o San Marzano o

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vesuviano del Piennolo… appena colti se in stagione, ovvio, ma non disdegnerei nemmeno quelli grigliati o in scatola (a volte la comodità ha la meglio). Pasta: con bucatini o spaghetti non si sbaglia mai (a meno che decidiate di spezzarli, e allora sì che commetterete un errore imperdonabile), ma in mancanza vanno bene anche i tortiglioni, le orecchiette e perfino gli gnocchi (e credo sia superbo mettere un’amatriciana in un raviolo aperto). Anche il pecorino lascia adito a pochi dubbi: che sia romano, manco a dirlo proprio, ma meglio se di bestia dell’alto Lazio e stagionato. Il guanciale, invece, può scatenare guerre fratricide quanto a provenienza e percentuale di massa grassa e magra… e, soprattutto, è guanciale e non pancetta (né dolce né affumicata)! CLAUDIO DORDEI usa addirittura Pata ne-

gra, mentre altri (come DAVIDE DEL DUCA o NIKO ROMITO o CRISTINA BOWERMANN) si affidano all’originale, ma sfumato con aceto balsamico. Una volta prese tutte le decisioni sugli ingredienti (ripeto: a vostro rischio e pericolo) siate però almeno decisi su tempi e modalità di cottura (pure se usate, come DAVIDE SCABIN, la pentola a pressione) e ricordatevi che tanto accanimento nasce soltanto perché vi state cimentando con una ricetta che HEINZ BECK avrebbe voluto inventare “perché è perfetta. C’è equilibrio tra gli ingredienti, c’è il cuore di chi la pensò, c’è una regione intera come il Lazio, c’è Roma” e che SAPO MATTEUCCI definisce come “un archetipo dorsale, che riempie ogni solitudine e governa le moltitudini, pasce, seduce, fa rifulgere l’artefice di un’aureola eroica e ferina”. E scusate se è poco! Giorgia Fieni

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TURISMO ENOGASTRONOMICO

Corte San Ruffillo, ospitalità e sapori di Romagna di Massimiliano Rella

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Culacce nelle cantine in pietra di Corte San Ruffillo sulle colline di Dovadola, Forlì Cesena (photo © Massimiliano Rella). 80

rto e allevamento bio, salumi artigianali, cucina gourmet, coltivazione di frutta ma anche produzione di confetture, olio extravergine d’oliva, vino e 14 eleganti camere per la notte. Da qualunque angolazione la si guardi CORTE SAN RUFFILLO è una realtà agricola che punta forte alla qualità, con un piede nel mondo produttivo e contadino e l’altro nel turismo. Ben 430 ettari di terreni di montagna e collina, tra la Val Montone e la Val Marzeno, ma un “quartiere generale” nel territorio di Dovadola (FC), cuore dell’accoglienza turistica in una casa ottocentesca della famiglia di SARA VESPIGNANI, giovane architetto, contigua alla ex canonica ristrutturata di San Ruffillo: 3 camere e il ristorante sono nell’ex canonica, altre 11 camere nella struttura ottocentesca. A conduzione familiare perché accanto alla Vespignani c’è il marito LUCA BOSI, 40 anni, ex forestale che ha abbandonato il suo lavoro nel 2011, una volta completata la struttura, per supportare la moglie Sara a tempo pieno: lei occupandosi dell’ospitalità, lui dell’azienda agricola. Un’azienda che comprende un allevamento biologico di vacca Romagnola (70 capi per la vendita di vitelli) e di suini (una cinquantina) per la produzione di salumi artigianali. C’è inoltre una vigna di 9 ettari di sangiovese, Albana di Romagna, Chardonnay, Merlot e Pinot nero; uve vendemmiate per 3 bianchi e 3 rossi, totale 18.000 bottiglie, in parte vendute sul territorio. La produzione di Corte San Ruffillo comprende infine 30.000 barattoli di confetture: di albicocche e pesche della tenuta della Val Marzeno e di piccoli frutti (lamponi, fragole, more) coltivati a San Ruffillo; ma anche di chutney e olio extravergine d’oliva. Premiata Salumeria Italiana, 3/19


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I salumi di Corte San Ruffillo (photo Š gianlucacolagrossi.it).

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Salumeria a corte Una parte importante dell’impresa agricola di Sara Vespignani è assorbita dalla salumeria, un’attività relativamente giovane sperimentata a partire dal 2014 e cominciata a regime nel 2017 con l’aiuto del norcino GIUSEPPE CORAGGIO, ex secondo chef del ristorante di Corte San Ruffillo. I salumi sono ottenuti dalle carni di suini allevati in stabulazione libera e alimentati con granaglia macinata, in parte autocoltivata. Trasferiti in un macello esterno per la macellazione, i suini tornano al laboratorio sotto forma di mezzene e qui sottoposte ai vari tagli anatomici. Sono lavorati 4 suini a settimana, tra novembre e marzo. Una volta sezionate le mezzene e rifilati i tagli si comincia la produzione vera e propria. Sale, pepe e vino rosso da uve Sangiovese sono gli aromi per gli insaccati; la coppa è invece aromatizzata con sale, pepe e chiodi di garofano. I pezzi interi — cioè spalla, lonzino, guanciale, pancetta, lonza, fiocco e la stessa coppa — cominciano i loro cicli di salagione e lavatura, di numero e durata variabile a seconda del peso, del tipo di prodotto, della dimensione e della presenza più o meno accentuata di grasso; da 7 a 30 giorni per i pezzi più grandi. Tra i cicli di salagione e lavatura c’è l’intermezzo di una fase di riposo per permettere al freddo di rassodare la carne; viene poi effettuata l’asciugatura per una settimana attraverso il rialzo delle temperature (14-16 gradi) e l’abbassamento dell’umidità. A questo punto il prodotto è pronto per stagionare in celle a temperatura controllata (15-16 gradi) e umidità costante. L’affinamento finale avviene invece nelle cantine di pietra di Corte San Ruffillo. Il lonzino, ad esempio, stagiona 8-12 mesi; la spalla 12 mesi. Bosi alleva inoltre 8

In alto: la sede dell’impresa immersa nella natura. In basso: affettati misti di Corte San Ruffillo e piadina romagnola (photo © Massimiliano Rella). capi di mora Romagnola, ma solo a uso interno visti i costi elevati. Cucina di territorio rivisitata Dove assaggiare questi salumi? Innanzitutto al ristorante di Corte San Ruffillo, che usa il più possibile i suoi prodotti agricoli dell’orto e dell’allevamento, arrivando in bella stagione a coprire l’80% del fabbisogno d’ingredienti. Se la carta dei vini è focalizzata sulla

I salumi di Corte San Ruffillo sono ottenuti dalle carni di suini allevati in stabulazione libera e alimentati con granaglia macinata, in parte autocoltivata. Gli aromi utilizzati? Sale, pepe e vino rosso da uve Sangiovese, mentre la coppa è aromatizzata con sale, pepe e chiodi di garofano. E l’affinamento avviene nelle cantine di pietra della struttura

Romagna, la filosofia di cucina dello chef segue le ispirazioni del territorio e della stagione, inserendo in menu qualche proposta di selvaggina. Corte San Ruffillo ci delizia con una cucina di territorio rivisitata che comprende anche piatti di pesce d’acqua dolce, come gamberi di fiume, luccio, trota e salmerino, pasta fresca fatta in casa, affettati di produzione propria e formaggi tipici come ravaggiolo, squacquerone, ubriaco, ecc… Per intenderci, la nostra cena è cominciata con un assaggio di affettati misti di Corte San Ruffillo e piadina romagnola. A seguire, un antipasto di salumi con funghi cardoncelli freschi e fonduta leggera di Parmigiano e un indimenticabile piatto di passatelli in brodo di cappone. Chiusura con una costoletta d’agnello, rosti di patate e broccoletti saltati. Massimiliano Rella >> Link: www.cortesanruffillo.it

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Geografie regionali del gusto

Il Sannio a tavola, cucina generosa di terra e carne di Massimiliano Rella

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ella geografia gastronomica d’Italia il Sannio occupa un posto di rilievo per la sua cucina di terra e carne. Incuneato tra Molise e Puglia è un vasto territorio della provincia di Benevento, in Campania, non senza i piccoli gioielli artistici e culturali: il borgo d’origini longobarde di Sant’Agata de’ Goti, i paesi della ceramica artigianale di Cerreto Sannita e San Lorenzello, le Città del Vino di Solopaca, Castelvenere, Torrecuso e Guardia Sanframondi. A tavola, invece, ci delizia con bottiglie di qualità, dal bianco Falanghina del Sannio ai rossi di uve Aglianico, per accompagnare una cucina generosa nei sapori e nelle porzioni. Un lungo ricettario, che vede la carne e le verdure protagoniste assolute: noi siamo andati a scoprirle nelle cucine degli chef che meglio rappresentano la tradizione di questo territorio a un’ora di strada da Napoli, 30 minuti da Caserta e 2 ore e mezza da Roma.

Lo chef Giovanni Sanzari del ristorante La Meridiana di Guardia Sanframondi (BN) con un piatto di “abbuoto”, involtino ripieno di pezzetti di fegato e polmone d’agnello.

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L’abbuoto, piatto della transumanza Il giro comincia con un secondo, un piatto forte della cucina sannita: l’abbuoto. Ce lo racconta GIOVANNI SANZARI, 31 anni, chef del ristorante La Meridiana di Guardia Sanframondi (BN). «L’abbuoto è un piatto della tradizione e della transumanza di cui esistono diverse varianti, anche nel vicino Molise» ci spiega Sanzari. «Nella nostra versione ha un ripieno di pezzetti di fegato e polmone d’agnello, oltre ad un misto d’aglio, pepe, peperoncino ed erbe aromatiche. Lo facciamo arrostire su una brace di faggio o ulivo per 30-35 minuti, distante dalla fiamma perché non deve bruciare ma riscaldarsi lentamente per permettere

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Ad un’ora di strada da Napoli, 30 minuti da Caserta e 2 ore e mezza da Roma, il Sannio occupa un posto di rilievo a tavola per la sua cucina di terra e carne, generosa nei sapori e nelle porzioni, da accompagnare con bottiglie di qualità, dalla Falanghina del Sannio ai rossi di uve Aglianico

la cottura interna e lo scioglimento del budello esterno d’agnello, che aggiunge grassezza. Il sapore è in realtà più delicato che intenso, smorzato dagli aromi di brace. Lo accompagniamo a vini rossi mediamente strutturati». Un altro piatto di carne che troviamo a La Meridiana è la padellaccia di arista di maiale servita a spezzatino con peperoni sottaceto e patate al forno. I carrati e la scarpella Con un salto nel paese di Castelvenere andiamo ad assaggiare due ottimi primi, iniziando dai carrati, sorta di caserecce fresche fatte al ferretto con acqua, uova e farina; fantastiche quelle della signora Maria del ristorante dell’AZIENDA AGRICOLA SCOMPIGLIO (www.facebook.com/scompigliowine), una realtà a conduzione familiare (col marito MICHELE SIMONE e i figli VALENTINO e CLEMENTINA), produttrice anche di vino. Non distante scopriamo l’altro primo della tradizione — ma potrebbe essere un piatto unico per quanto è ricco — cioè la scarpella. Un piatto che si trova su prenotazione oppure la domenica al ristorante rustico di FATTORIA CIABRELLI, a conduzione familiare (www.ciabrelli.it): l’enologo ANTONIO CIABRELLI, la moglie e i quattro figli ANTONIA, ALESSIA, RAFFAELE e JENNY. L’idea della trattoria è di offrire ai clienti la possibilità di mangiare a casa di un produttore di vino. Il locale propone la cucina dei giorni di festa delle famiglie contadine: la zuppa di brodo di pollo con scarole,

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In alto: “carrati” su fondo di pesto, fior di latte, buccia di limone e datterini gialli all’azienda agricola Scompiglio. In basso: rigatoni alla Genovese del bistrot Alchimie.

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polpettine di manzo e pollo sfilettato con uovo e formaggio (un piatto della transumanza), la pasta fritta con i ceci, le carni di pollo e coniglio e, appunto, la scarpella, sorta di timballo fatto con gli ziti e guarnito di salsiccia di maiale stagionata, formaggio vaccino, pecorino e uova colate sul tutto per amalgamare. La pasta è prima lessata e condita con extravergine, poi amalgamata col resto e messa a strati prima di cuocere in forno per 20 minuti. Al ristorante MASSERIA MASELLA (www. masseriemasella.it) mangiamo invece a casa di una famiglia d’allevatori e norcini, sulle colline del paese di Cerreto Sannita. Ideale per i taglieri — ad esempio di cotechino corallino, prigiotto (culatello), capocollo, salsiccia d’ poc’, soppressata e pancetta tesa, lardo e filetto — è un buon indirizzo anche per la cucina locale preparata da Dino, il cuoco di casa. Tra questi i carrati p’trian’ (pietrarojesi, di Pietraroja), degli strascinati di farina Senatore Cappelli al ragù di pecora, pecorino stagionato e noci. Rigatoni! La tradizione rivisitata e presentata con tocco moderno è il piatto forte di ALCHIMIE, winebar, spazio aperitivi, bottega del gusto e bistrot (www.facebook.com/ artenotecafe); tutto in un unico locale a due passi dal municipio, gestito dai fratelli FABRIZIO e MIRIAM GAROFANO. Le pareti sono abbellite da opere d’arte d’artisti locali, come SILVANO D’ORSI e CLAIRE GALLOWAY. Tra vellutate di zucca, fagioli e patate possiamo gustare anche i rigatoni alla “Genovese”, nome geografico che non deve trarre in inganno per questo ragù bianco di girello di coscia, preparato con tre tipi di cipolla — bianca, rossa e gialla — oltre a sedano, carote e olio evo. Si segue con il brasato di maialino nero Casertano con riduzione di Barbera del Sannio, contorno di patate al forno al profumo di rosmarino. Un’altra loro specialità è il cocktail Falanghina Stregata, a base di vino Falanghina, liquore Strega e miscela di aromi segreti, oppure la cioccolata calda allo Strega, il noto liquore prodotto a Benevento, altra bontà del Sannio. Massimiliano Rella In alto: la scarpella al ristorante della Fattoria Ciabrelli di Castelvenere (BN). In basso: la famiglia Simone dell’azienda agricola Scompiglio di Castelvenere (BN).

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Nota Photo © Massimiliano Rella.

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Stappo your personal sommelier, start up made in Brianza MARCO MAURI, LUCA INTELLIGENTE e MARIA GRAZIA SALATINO sono tre giovani di Monza con la passione per il vino e gli eventi. Marco e Luca si sono incontrati proprio durante il loro percorso di studi che li ha portati a diventare sommelier certificati AIS; Maria Grazia, invece, ha sempre lavorato nel mondo del retail e del lusso. Dalla loro amicizia è nata, nel 2018, la start up Stappo your personal sommelier, tra le prime a veicolare il servizio sommelier a domicilio. A richiesta, a casa per una cena importante o un anniversario o in azienda per un evento o una presentazione, Stappo seleziona le migliori bottiglie di vino, le concordacon il cliente anche in base ai piatti, spiega l’origine di profumi e sapori e racconta la storia delle etichette in un format che riprende l’idea dello storytelling. Nel DNA di Stappo anche l’organizzazione di eventi finalizzati a promuovere la cultura del vino. In occasione del recente Fuorisalone ad esempio, in partnership con l’azienda di trasporto ATM e le guide di Milano con Voi, sono stati programmati due tram wine. Un’occasione per visitare Milano in tram degustando ottimi vini (photo © instagram.com/clindina). >> Link: instagram.com/wine.stappo

TreeToo, pizza con cucina Una nuova e moderna pizzeria con cucina — e cocktail bar — dal design scandinavo in una ex falegnameria di Ponte Milvio, zona tra le più frequentate della movida romana. Si chiama TreeToo, ha aperto a gennaio e, sotto la guida dello chef Roberto De Santis, ha una ricca proposta che va dalle pizze ai crostini, senza dimenticare burger, fritti, insalate, wok e dolci. Il tutto con attenzione agli ingredienti, agli impasti e alle farine, che sono dell’Antico Molino Rosso. Come indicato in menu, si può scegliere infatti l’impasto della pizza tra un base, una nera e un impasto hemp con farina di grano tenero semi-integrale tipo 1 bio e farina integrale di canapa bio macinata a freddo. Sopra ogni base c’è poi una “guarnizione” diversa, anzi, ben 15 ricette, dall’originale Amatriciana (omaggio alla terra del pizzaiolo Alessandro Angelieri) alla Zuccona, pizza questa con fiordilatte, zucca e taleggio. Anche pizze di stagione, classiche e golose; tra queste la Cacio e Pepe con pecorino romano, pecorino Fiore di rocca, pecorino Cenerino e pepe fresco. Dal forno escono caldi caldi anche i crostini nelle ricette classiche Crudo, Alice e Speck e tre tipi di Calzone: Leggero (scarola, uvetta, alici), Classico (fiordilatte, prosciutto cotto e funghi) e Nando (fiordilatte, broccoletti e salsiccia). Per chi cerca un’alternativa alla pizza c’è una cucina essenziale con burger di manzo, pollo e vegetariano, wok di verdure e di pollo, sei tipi d’insalata, ecc… (TreeToo, via Prati della Farnesina 76, Roma, telefono: 06 527230381, www.treetoo.it; a sinistra, lo staff di TreeToo, photo © Livia Mucchi).

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IL GUSTO DI CAMMINARE Nel mezzo dell’Oceano Atlantico

In cammino sulle Isole Azzorre di Elena Simonini

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L’

arrivo dell’estate, con la nuova e bella stagione, insinua subito in noi un desiderio di evasione, di avventura e anche di libertà e leggerezza. E così stavolta, provando ad assecondare proprio queste aspirazioni, ho pensato di portarvi in cammino sulle Isole Azzorre, sollevandovi quindi dalla spesso noiosa e pesante quotidianità, per condurvi su un pezzo di terra portoghese, letteralmente sospeso e galleggiante nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico.

Le isole azzurre L’arcipelago delle Azzorre, a circa 1.500 km di distanza dal Portogallo e circa 4.000 km dal Nord America, consiste in un paio di manciate di meravigliose e stupende isole di origine vulcanica, distribuite in tre gruppi e sparse su un mare di un azzurro talmente vivido e intenso che, se avrete l’occasione di goderne la vista, non lo dimenticherete facilmente. Un inconfondibile colore che, peraltro, è proprio già evocato dal nome stesso delle isole, se è vero, come ritengono alcuni storici, che Azzorre deriva dal portoghese arcaico azures il quale, essendo il plurale di azzurro, significa appunto le azzurre. Data l’ampiezza dell’arcipelago e anche la distanza dall’Italia, consiglio di dedicare al cammino su queste strepitose isole azzurre almeno una settimana, per concedervi il tempo di percorrere alcuni dei tanti e differenti sentieri, e vivere la straordinaria sensazione di camminare sopra, e in mezzo, e dentro all’Oceano, trovandovi così come sospesi in una atmosfera rarefatta, immersi in un silenzio così incredibile che difficilmente ne avrete ascoltato uno simile prima. Vulcani, vigneti e tè Su ciascuna delle isole dell’Arcipelago delle Azzorre — e cioè Santa Maria e São Miguel a est, Graciosa, Terceira, São Jorge, Pico e Faial al centro, e Flores e Corvo a ovest — è possibile intraprendere percorsi, più o meno lunghi, di una bellezza incantevole, tutti contraddistinti da una immensa varietà di paesaggi e da proprie caratteristiche peculiari. Ad esempio, se sull’isola di Pico potrete cimentarvi in una lunga e impervia salita, in mezzo alla

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Il paesaggio dei vigneti di Pico, Patrimonio dell’Umanità Cosa ne direste di assaggiare, per ritemprarvi delle fatiche di una giornata di cammino, un vino che nasce dalla roccia basaltica? Un vino talmente delizioso che in passato veniva gustato persino alla ricca tavola degli zar di Russia? La coltivazione della vite a Pico risale alla fine del XV secolo, con i primi insediamenti nel territorio. Grazie al terreno vulcanico, ricco di nutrienti, e al microclima caldo e secco dell’isola, le viti, in particolare quelle del vitigno Verdelho, hanno trovato condizioni straordinarie per maturare. Le vigne che contraddistinguono il paesaggio isolano sono coltivate in piccoli appezzamenti circondati da muretti a secco di pietra scura chiamati localmente currais o curraletas che le proteggono dal vento del mare, ma sono fatti in modo da lasciare passare il sole che attraverso la rifrazione del suolo porta a giusta maturazione le uve. Le località di Lajido da Criação Velha e di Lajido de Santa Luzia sono i migliori esempi di questa tipologia di viticoltura e di pratiche di coltivazione ancestrali, tanto che nel 2004 il Paesaggio della Coltivazione della Vigna dell’Isola di Pico è stato classificato come Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. I vigneti di Pico producono un vino fresco, fruttato, secco e leggero, che si abbina perfettamente ai piatti di pesce o di frutti di mare e il vinho de cheiro (vino fragolino), la cui presenza a tavola è d’obbligo nei giorni di festa (fonte: www.visitportugal.com; in foto vigneto Madalena, Pico, photo © Andrea Ooms).

Queijo São Jorge Dop, un formaggio in stile fiammingo Data l’abbondanza di latte, in quasi tutte le isole dell’arcipelago delle Azzorre si producono vari tipi di latticini, in particolare formaggi. Il più noto è quello di São Jorge. Intenso, con un sapore piccante, è prodotto con latte crudo di mucca e sale, in forme che vanno dai 7 ai 12 chili (in passato a volte erano necessarie più persone per il trasporto) e che di solito vengono tagliate a spicchi. Il formaggio ha una colorazione gialla e pasta dura o semidura, a seconda dei mesi di stagionatura. Si tratta di uno dei più famosi formaggi regionali, prodotto almeno a partire dal secolo scorso. Le particolari condizioni climatiche dell’isola e i pascoli naturali nei quali si alimenta il bestiame, nonché le modalità di allevamento degli animali, conferiscono al formaggio caratteristiche uniche. Le sue origini sono legate alla storia della colonizzazione dell’isola e alla presenza di una numerosa comunità di flamengos (fiamminghi). Questo primo gruppo di colonizzatori trovò infatti nelle zone alte di São Jorge un clima simile a quello della propria terra d’origine, dove già erano affermati formaggiai. La produzione si evolse grazie al contributo della famiglia dei Cunha da Silveira, ricchi proprietari terrieri e produttori di formaggio, che introdussero nuove tecnologie, ricorrendo anche a contributi di tecnici stranieri. Nel 1991 fu costituita una confraternita, la Confraria do Queijo de São Jorge, che si occupa tuttora della difesa, promozione e certificazione di qualità del prodotto senza fini di lucro. Il Queijo São Jorge Dop deve essere conservato ad una temperatura tra 0 °C e 10 °C. Questo formaggio trova ampio uso sia nella gastronomia più semplice delle isole ed è utilizzato grattugiato, a fette, per impreziosire purè e crocchette o in fonduta. Si accompagna ottimamente con vino rosso ma, soprattutto, con un buon bicchiere di Porto invecchiato. La Denominazione d’Origine Protetta è attribuita solo agli esemplari che soddisfano tutti i requisiti in termini di ingredienti e di metodi tradizionali (photo © www.noticiasaominuto.com).

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natura incontaminata, per raggiungere la cima dell’omonimo monte (la più alta del Portogallo con 2.351 m), a Terceira, invece, avrete l’occasione di esplorare una zona particolarmente ricca di boschi e grotte (Algar do Carvão), o di incamminarvi sui sentieri nei pressi della solfatara che si sviluppa intorno alla località di Porto Judeu. Il mio consiglio, tuttavia, se avete in programma di andare a camminare alle Azzorre, è di non perdervi assolutamente l’isola di São Miguel, che, con i suoi circa trenta sentieri, vi regalerà la splendida opportunità di godere di lunghe escursioni panoramiche attraverso gli stupefacenti percorsi, ornati di giganti ortensie di colore blu, bianco e rosa, che costeggiano i crateri di vulcani, e di ammirare così laghi dalle acque verdi e cristalline i quali si stagliano sull’incredibile e interminabile sfondo dell’Oceano Atlantico. Proprio e solo

a São Miguel, peraltro, che è l’unico luogo in Europa nel quale si produce tè (chá in portoghese), potrete fare l’eccezionale esperienza di camminare attraverso le meravigliose piantagioni di Camellia sinensis, e quindi di immergervi, a perdita d’occhio, in infiniti campi verdi di tè che finiscono soltanto dove si comincia a scorgere, in lontananza, il profilo azzurro dell’oceano. Al termine del piacevole cammino tra le piantagioni, poi, sarà anche possibile farsi inebriare dal profumo di tè e visitare la Chá Gorreana, la prima fabbrica costituitasi sull’isola la quale, dal 1883, si dedica a questa attività e che da cinque generazioni mantiene le tradizionali tecniche di coltivazione, raccolta e lavorazione. Errare, piacere dei sensi Camminare sulle Isole Azzorre, sospesi nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico,

immersi in colori, profumi e panorami mozzafiato, rappresenta, in conclusione, una vera e propria esperienza sensoriale. Si tratta di intraprendere per una volta un viaggio a piedi che restituisca il vero piacere e la semplicità del sentiero, dell’errare liberamente senza una tappa precisa da concludere, senza una sfida da accettare, in una sorta di leggerezza delle gambe, degli sguardi e quindi dello spirito, proprio come si addice all’inizio della nuova stagione. Ed è così e con questa motivazione che vi suggerisco, uno di questi giorni, di partire alla scoperta delle meravigliose isole azzurre. Elena Simonini Nota Alle pagine 88 e 89, percorso a piedi che porta ad una vista sui laghi di Sete Cidades, Azzorre, Portogallo (photo © © Lsantilli – stock.adobe.com).

Via Francigena patrimonio UNESCO, arriva il primo sì Il percorso per candidare la Via Francigena italiana alla lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO era stato avviato nel 2017 col protocollo sottoscritto da sette Regioni (Toscana capofila, Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna e Lazio) e l’avvio dell’analisi preliminare coordinata dall’Associazione Europea delle Vie Francigene. «Ora l’auspicio è che il Governo finanzi quanto prima gli accordi operativi, tra cui quelli della Regione Emilia-Romagna e dei comuni interessati, in modo da far partire gli interventi indispensabili di riqualificazione e valorizzazione di un cammino di indubbio valore storico e spirituale, oltre che meta turistica sempre più apprezzata in Italia e all’estero» ha detto Andrea Corsini, assessore regionale al Turismo dell’Emilia-Romagna. «Una gioia immensa, una soddisfazione che ripaga per cinque anni di impegno insieme ad una squadra straordinaria che ha saputo riunire per la prima volta sette Regioni, i Governi che si sono alternati, la nostra diocesi, Fidenza e i principali comuni francigeni, con la regia preziosa dell’Associazione Europea delle via Francigene», ha commentato il sindaco di Fidenza Andrea Massari. A lui si è associato Massimo Bottura, che lo scorso ottobre a Fidenza assicurò il suo sostegno alla candidatura ed oggi saluta l’approdo nella tentative list della via Francigena come «un risultato straordinario che valorizza i luoghi dello spirito, della memoria e del cammino. Con questo riconoscimento la Francigena diventerà il simbolo di un’Europa davvero aperta e senza frontiere. E il fatto che l’Emilia ne sia al centro, con Fidenza come cuore, mi rende ancora più felice» (fonte: Corriere del Gusto).

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RASSEGNE

Salumi da Re, e sono sei L’evento di Gambero Rosso e Antica Corte Pallavicina ha riunito ancora una volta con successo i gioielli della filiera salumiera made in Italy

È

tornato a Polesine Zibello per il sesto anno consecutivo Salumi da Re, la tre-giorni (30/31 marzo – 1 aprile) ad alto contenuto salumiero che presenta la migliore norcineria italiana. La regia è sempre quella a quattro mani del GAMBERO ROSSO, con la meravigliosa MARA NOCILLA, e dell’ANTICA CORTE PALLAVICINA con padrone di casa MASSIMO SPIGAROLI. La manifestazione si conferma quindi un appuntamento da non mancare per degustare e scoprire nuovi prodotti e, soprattutto, approfondire in una cornice unica i temi legati alla norcineria italiana di qualità. Testimonial d’eccezione di questa edizione è stato lo chef IGLES C ORELLI , coordinatore del comitato scientifico di GAMBERO ROSSO ACADEMY. Fin dal suo esordio Salumi da Re ci tiene a rimarcare l’importanza che la filiera salumiera rappresenta per il settore agroalimentare del nostro Paese. Focus specifici sono stati dedicati ai vincoli imposti dai disciplinari e di come questi possano influenzare le scelte dei singoli salumifici, agli allevamenti e alle

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figure professionali correlate. Proprio in questa edizione infatti i fratelli Spigaroli hanno lanciato una sfida: la ricerca di un porcaro, un mestiere praticamente scomparso per riprendere l’antico uso di far pascolare i maiali nel bosco. È poi stata presentata la “Salumi da Re Hall of Fame”, dedicata alle aziende che sin dalla prima edizione si sono contraddistinte per l’eccellenza della loro linea produttiva. Non sono mancati il concorso “Il panino teen ager: una cosa buona tra le mani”, alla sua quinta edizione e, per il terzo anno consecutivo, la gara di taglio del prosciutto a mano e a macchina. La tre giorni si è conclusa con la festa “Centomani, di questa terra”, organizzata dall’associazione CheftoChef Emilia-Romagna Cuochi in cui chef, produttori, gourmet ed esperti in materia agroalimentare si sono confrontati sul futuro del cibo. La parola agli espositori Nei salumi “finisce” spesso il vino. «Noi impieghiamo il Sangiovese, in percentuali che valutiamo di volta in volta a

seconda delle caratteristiche della carne, dato che ogni animale è diverso», ha raccontato ai giornalisti di Gambero Rosso ANDREA BRUNELLI de Le Terre del Bio ad Alfonsine (RA), salumificio a filiera chiusa con tanto di allevamento, coltivazione di cereali e legumi che sono alla base della dieta dei suini, in procinto di aprire un panificio biologico e un ristorante. «Nella concia mettiamo aglio e sale: nell’ultimo salame che abbiamo ideato sono rispettivamente di Voghiera Dop e dolce di Cervia»”. Spostandoci nella Tuscia, troviamo la COCCIA SESTO, azienda dedita alla norcineria dagli inizi del secolo scorso. «Produciamo un salame al vino Violone — spiega SIMONETTA COCCIA — mentre con l’Aleatico ne realizziamo uno cotto: è un vitigno più amabile e delicato rispetto al Violone, che invece è più adatto a un salume crudo sottoposto a stagionatura, fase in cui parte degli aromi si perde». Ma Coccia Sesto firma pure un salame alla birra. «La birra in questione arriva dal Perugino e ha un retrogusto di cioccolato che la contrad-

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La mostra mercato ha dato l’opportunità di assaggiare, degustare e acquistare specialità norcine e tutto ciò che è coinvolto nella filiera salumiera accompagnato da birra artigianale, vini e bollicine. 1) Alice Contini e Andrea Amici della Macelleria Contini di Cremona. 2) Pancetta di suino della Macelleria Norcineria Avagliano di Sabaudia (RM). 3) Tantissimi Culatelli di Zibello hanno accolto i visitatori di Salumi da Re. 4) La bresaola Primitiva bio di Paganoni, realizzata con carni italiane e senza conservanti. 5) Un’esposizione di raffigurazioni grafiche pubblicitarie come soggetto il maiale. 6) Giuseppe Vitali e Stefano Antognozzi di Re Norcino, bellissima azienda di San Ginesio (MC).

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1) I simpatici maialini neri giocattolo all’ingresso della corte. 2) Massimo Corrà della Macelleria Salumeria Dal Massimo Goloso di Coredo (TN). 3) Simonetta Coccia del Salumificio Coccia Sesto di Viterbo. 4) La mortadella della Fattoria Zivieri è stata presentata a Salumi da Re da Aldo e Fabrizio Zivieri, artigiani salumieri e macellai in quel di Zola Predosa (BO). distingue: il risultato è talmente ricco e sorprendente che non lo abbinerei a nulla», conclude Simonetta. Restando in tema di alcol, FAUSTO GUADAGNI, artigiano di Colonnata, ha portato a Salumi da Re gli ultimi esiti della sua sperimentazione: un lardo con alga kombu, yuzu, sanshou (una spezia piccante) e bainiku (pesto di prugne secche salate), uno con arance di Palagonia (CT) e Cointreau, un terzo con un Vermouth bianco contenente 23 tra erbe e spezie, di cui tre aggiunte direttamente nella concia, ossia un pepe africano selvatico, uno lungo indonesiano e la fava Tonka. «La salamoia tradizionale nelle conche è con acqua e sale, mentre io la sostituisco con l’alcol» sottolinea Fausto. «È una tecnica praticata in Cina, dove il lardo viene lasciato riposare in contenitori di legno e irrorato con

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grappa di riso. La stagionatura ideale in questi casi è tra i 9 e i 12 mesi, perché dopo la componente alcolica inizia a evaporare». Insomma, da salume per la merenda dei lavoratori assieme al pane a prodotto da meditazione. Un classico abbinamento che coinvolge il lardo però c’è: basta spostarsi in Valle d’Aosta dove il Lard d’Arnad DOP è tradizionalmente affiancato al miele. «Sono preferibili mieli delicati come l’acacia, altrimenti, come nel caso del castagno, i sentori animali e l’amaro risulterebbero troppo invadenti», commenta l’esperta LUCIA PIANA, membro fondatore di AMI, l’associazione culturale Ambasciatori e Ambasciatrici dei mieli. VINCENZO BARBIERI, dell’azienda agricola biologica omonima di Altomonte (CS), abbina la ‘nduja prodotta da un artigiano di Spilinga ai suoi fichi dottati caramellati. «Scelgo dei fichi di

Cosenza, li lavoro freschi con zucchero di canna e limone di Rocca Imperiale IGP, li cuocio a bagnomaria e, prima di chiudere ogni vasetto, aggiungo un goccio di rum», ha raccontato Vincenzo, che consiglia di “maritare” la ‘nduja pure col peperone croccante. «È di varietà Roggianese, lo coltivo in biologico e lo lascio essiccare naturalmente», precisa. «Il matrimonio tra salumi e sottoli funziona molto bene, specialmente se questi hanno sentori agrodolci non troppo marcati», evidenzia EMANUELE PISARONI di CASCINA PIZZAVACCA a Villanova sull’Arda (PC). «Nella nostra giardiniera, ad esempio, l’aceto viene nebulizzato in vasocottura e la verdura lo assorbe lentamente: il risultato lascia il palato pulito, ideale per accompagnare salumi di pregio come il culatello». >> Link: www.salumidare.it

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FIERE

Cibus Connect, raddoppiano i numeri La formula smart di Cibus, che porta all’annualizzazione di fatto della fiera di Parma, registra tremila buyer esteri, alcuni anche in arrivo da Vinitaly, con la soddisfazione degli espositori

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a giovato a Cibus Connect la vicinanza con Vinitaly e con il Salone del Mobile di Milano. Una contemporaneità che ha portato a Parma 22.000 operatori commerciali a visitare gli stand di 700 e oltre espositori che hanno proposto mille marchi e 500 nuovi prodotti. La seconda edizione di Cibus Connect (10-11 aprile), organizzata da FIERE DI PARMA e FEDERALIMENTARE in collaborazione con ICE AGENZIA, si è chiusa giovedì 11

aprile tra la diffusa soddisfazione delle aziende espositrici che hanno confermato la propria adesione sia a Cibus 2020 sia a Cibus 2021. Particolarmente affollate le due grandi aree dell’International Buyers Lounge, nelle quali cui le aziende italiane hanno sviluppato business con circa 3.000 buyer esteri, alcuni dei quali provenienti da Vinitaly, che hanno ritenuto funzionale il tasting dei nuovi prodotti nelle due grandi food court animate da cento cooking stations.

«Il gradimento da parte degli operatori verso data e formula del Cibus degli anni dispari è stato elevatissimo ma non ci ha sorpreso» ha commentato ANTONIO CELLIE, CEO di Fiere di Parma. «Una standardizzazione dei moduli espositivi, una durata ridotta e una rigorosa selezione dei visitatori non potevano che venire incontro alle esigenze dei nostri espositori. Così come una calendarizzazione armonizzata rispetto a Vinitaly e Salone del mobile, che ha consentito

A Parma non poteva certamente mancare Felsineo, leader nella produzione e commercializzazione della mortadella e Mortadella Bologna Igp. Nello stand, da destra, Emanuela Raimondi, AD dell’azienda di Zola Predosa (BO) con il general manager Gianluca Cardelli e Ludmila Morales, export department.

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Cibus Connect viene allestita negli anni dispari come formula smart della fiera Cibus. Ha debuttato nel 2017 ed è giunta quest’anno alla sua seconda edizione, raddoppiando le presenze

agli operatori esteri di visitare in pochi giorni le più grandi fiere italiane del wine, del food e del furniture». Grande interesse per la presenza delle start-up realizzate da giovani imprenditori che hanno presentato le loro proposte nell’area Food Vision Lab, allestita da FUTURE FOODINSTITUTE e FEDERALIMENTARE in collaborazione con ICE AGENZIA, CIBUS e CRÉDIT AGRICOLE. Le nuove proposte sono state illustrate anche nel convegno Italian Food Startups – The power of innovation. Il tema dei rapporti tra aziende alimentari e Grande Distribuzione è stato al centro di due incontri tenutosi a Cibus Connect: EUGENIO PUDDU, partner di DELOITTE ITALIA, ha presentato un’indagine realizzata su un campione di 3.000 persone di età compresa tra 18 e 70 anni e da cui risulta che il 70% dei consumatori legge le recensioni online prima di fare acquisti e il 58% dei consumatori a basso reddito sceglie di acquistare nel negozio fisico, mentre i consumatori a reddito medio-alto sono disponibili a pagare un sovrapprezzo per gli acquisti on-line e la consegna a domicilio. Le aziende devono inoltre adeguarsi alla nascita di nuove categorie di consumatori: in particolare i cosiddetti responsible go getters, che hanno capacità di acquisto elevata, fedeli al marchio se ne percepiscono il valore e i discerning achievers, che spendono di più sui prodotti di consumo con elevate aspettative in termini di qualità e capacità di acquistare prodotti innovativi. Di brand premium si è parlato nel convegno organizzato da GRUPPO FOOD e da Fiere di Parma Premium Brands & Premium Store Brands: drivers di

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In alto: nello stand di Raspini Salumi di Viotto (TO) Emilia Lisdero, brand manager. Al centro: lo stand del Prosciuttificio San Pietro di Lesignano de’ Bagni (PR). In basso: Paolo Campigli con la linea BIO del Caseificio Busti di Acciaiolo di Fauglia (PI).

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1) A rappresentare il Consorzio di tutela del Prosciutto di Modena Dop a Parma, Marco Valmori, Stefano Garagnani, Anna Anceschi, Davide Nini e Stefano Pelloni. 2) Lo stand del Consorzio Parmigiano Reggiano, una finestra sulla biodiversità che caratterizza il Re dei formaggi. 3) Ibis Salumi, brand di Italia Alimentari, specializzata nella produzione e distribuzione di salumi e snack. 4) La Levoni Spa di Castellucchio (MN). Al centro dello stand Nicola Levoni. 5) Angela Fiorini e Simone Sargentoni del Caseificio Il Fiorino di Roccalbegna (GR) con una collaboratrice. 6) L’Azienda Agricola Leonardi di Magreta di Formigine (MO). 7) Il Prosciuttificio Leonardi di Marano sul Panaro (MO). 8) Lo staff di Alcar Uno di Castelnuovo Rangone (MO) con Lorenzo Levoni. 98

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1) Nello stand di La Felinese Salumi di Felino (PR), Cesare Baratta, AD dell’azienda. 2) Lo stand del Consorzio Tutela Grana Padano. 3) Il Consorzio del Prosciutto di Parma. 4) Arca Gualerzi, prosciuttificio di Pilastro Langhirano (PR). 5) Il salumificio San Vincenzo di Spezzano Piccolo (CS). 6) La Leoncini Salumi di Colà, Lazise (VR). sviluppo del retail food. MARCO LIMONTA, business insight director di IRI, ha sottolineato come, in un quadro generale di consumi stagnanti del Largo Consumo Confezionato (+0,1% a valore, –0,6% a volume nel 2018), il segmento premium abbia raggiunto una quota a valore del 19,6% con un incremento del 2,9%. L’evoluzione del concetto di premium presso il consumatore è stato illustrato da LINDA CORBETTA, Head of BU-Qualitative DOXA, attraverso le tante declinazioni di questa importante fascia di offerta: biologico, artigianale, sicuro, sostenibile, buono. Premiata Salumeria Italiana, 3/19

Un patrimonio di autenticità sempre più apprezzato anche all’estero, come hanno dimostrato le testimonianze degli operatori internazionali BRANDM e JUMBO SUPERMARKTEN, protagonisti di partnership di successo rispettivamente con MUTTI e GRUPPO PETTI-ITALIANFOOD. L’esperienza del presidio della fascia premium nella marca del distributore è stata raccontata da ROBERTO NANNI, responsabile strategia prodotto COOP, con l’esempio della linea di vini tipici: una gamma di 17 etichette destinata a crescere, in cui il brand Fior Fiore affianca il marchio del produttore ga-

rantendo la totale tracciabilità di filiera. Le strategie dell’industria di marca sono state infine al centro della tavola rotonda animata dagli spunti offerti da GUIDO CRISTINI dell’Università di Parma con le testimonianze di DE CECCO, ERIDANIA e ZANETTI.

>> Link: www.cibus.it 99


La tavola di domani a Tuttofood 2019 Buyer e visitatori in crescita per la fiera internazionale del B2B dedicata al food & beverage organizzata da Fiera Milano giunta alla sua settima edizione e dal respiro sempre più internazionale. 82.551 le presenze (+3% sui visitatori della precedente edizione) e 3.079 i brand italiani e esteri provenienti da 43 Paesi

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a chiuso con un incremento di buyer e visitatori la settima edizione di Tuttofood (Milano, 6-9 maggio), il salone organizzato da Fiera Milano confermatosi sempre più hub internazionale per un settore strategico per l’economia italiana come l’agroalimentare. Un ruolo sistemico sottolineato dalle presenze istituzionali del presidente del Consiglio

GIUSEPPE CONTE e da GIAN MARCO CENTINAIO, ministro delle Politiche Agricole Alimentari, Forestali e del Turismo. Sono stati 82.551 gli operatori presenti, il 21% dei quali esteri provenienti da 143 Paesi, con 12 new entry (in particolare da America Centrale, Medio Oriente e Nord Africa) che hanno incontrato i 3.079 brand italiani e internazionali presenti in manifestazione. USA, Spa-

gna, Francia, Germania, Regno Unito, Cina, Canada, Benelux, Giappone e Federazione Russa si confermano, in quest’ordine, i primi 10 Paesi esteri di provenienza. Importanti e apprezzate le delegazioni dei buyer in fiera anche grazie al fine tuning realizzato con ITA/ ICE Agenzia. Infine, sono stati più di 1.414 giornalisti e 325 blogger italiani ed esteri accreditati.

A Tuttofood 2019 erano più di 100 i Paesi di provenienza dei buyer arrivati a Milano, italiani e internazionali, con un focus su Nord America, Cina e Medio Oriente. Risultato ottenuto grazie anche al supporto di ICE Agenzia su diversi mercati chiave.

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In alto: Nicola Paganoni della Paganoni Distribuzione Alimentare di Chiuro (SO), specializzata nell’arte salumiera valtellinese, bresaola in primis. In basso: a sinistra, Lorenzo, Luca e Ludovico Levoni, di Alcar Uno Spa, Castelnuovo Rangone (MO). A destra, la Bernardini Gastone di Cenaia Crespina (PI), produce salumi e affumicati di carne e selvaggina, norcineria toscana e un’interessantissima gamma di prodotti e affumicati ittici. Al centro, il titolare Mauro Bernardini con la moglie. Grande affluenza anche negli oltre 250 eventi collaterali organizzati, come quelli dedicati a Blockchain, retail e intelligenza alimentare. Tra i padiglioni e gli stand, gli espositori hanno messo in mostra prodotti della tradizione affiancati alle novità dei superfood, in un contesto caratterizzato dal forte ritorno dell’utilizzo e valorizzazione di materie prime di pregio. Un’edizione, questa, all’insegna dell’innovazione di prodotto, ma anche della salute, della corretta nutrizione e della sostenibilità.

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ASS.I.CA. a Milano ASS.I.CA. – Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi era presente in fiera con un proprio stand istituzionale e un fitto programma di incontri aperti al pubblico dedicati alle aziende e agli operatori del settore. «Siamo orgogliosi anche quest’anno di essere presenti a Tuttofood, fiera per noi di importanza fondamentale» ha dichiarato il direttore di ASS.I.CA. DAVIDE CALDERONE. «Tuttofood è molto di più di una manifestazione fieristica: è una vetrina sul mondo che

ci guarda e che apprezza il made in Italy alimentare. I nostri dati relativi all’export — 1,5 miliardi di euro nel 2018 —, confermano del resto che i nostri prodotti sono sempre più richiesti oltre confine». Per l’associazione confindustriale questa è stata anche l’occasione per fare il punto con gli addetti ai lavori su temi attuali e di interesse per il mondo della salumeria italiana quali l’export, l’etichettatura e la comunicazione. A partire dalla presentazione durante il

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Simone Palma con lo staff di IPV PACK di Carmignano di Brenta (PD), azienda leader in Italia e all’estero per prodotti e soluzioni packaging per il pet food e il settore alimentare. primo giorno di fiera del libro di ANDREA BERTAGLIO “In difesa della carne”, dove l’autore racconta il punto di vista di allevatori, produttori e di chi segue una dieta onnivora ribaltando stereotipi e luoghi comuni e dimostrando che il mondo dell’allevamento non è affatto così eco-insostenibile come lo si vorrebbe dipingere. Nella pomeriggio dello stesso giorno c’è stata invece la presentazione del Manifesto dell’Istituto Valorizzazione Salumi Italiani: una carta che enuncia principi, valori e caratteristiche che fungono da linea guida per le aziende che decidono di aderirvi e sottoscriverlo. Il Manifesto rappresenta il primo

progetto nato per un intero settore che affronta i temi della responsabilità sociale d’impresa, della sostenibilità e dell’innovazione, con l’obiettivo di innalzare ancora una volta la qualità delle produzioni made in Italy. Il 7 maggio è stata la volta dell’incontro dedicato all’etichettatura, con un focus sulla normativa vigente e gli approfondimenti specifici relativi ai prodotti di salumeria. L’8 maggio è stato infine interamente dedicato al tema dell’export, col workshop su “L’autorizzazione AEO (Authorized Economic Operator): perché e come ottenerla?”. Il percorso di autorizzazione AEO costituisce, spesso, infatti, una delle maggiori

Anche quest’anno sono moltissime le aziende che hanno scelto Tuttofood per presentare le loro novità più interessanti. E negli incontri di approfondimento per il settore dei salumi organizzati da ASS.I.CA. focus su comunicazione, export ed etichettatura

motivazioni per rinunciare alla richiesta perché viene percepito come troppo impegnativo ma, in realtà, è meno invasivo di molti altri processi collegati ad altre autorizzazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione. Nel pomeriggio dell’ultima giornata di fiera l’interessante focus tecnico sul Giappone, “Esportare i salumi e la carne fresca in Giappone: nuove opportunità per le imprese derivanti dall’Accordo di Partenariato Economico”, ha focalizzato l’attenzione dei presenti su un tema di grande attualità visto anche il recente accordo del 10 febbraio (l’Economic Partnership Agreement-EPA) tra l’Unione Europea e il Giappone. Appuntamento al 2021 Riscontro di pubblico per Milano Food City, il fuorisalone a cui Tuttofood ha contribuito con un ricco palinsesto di appuntamenti. L’appuntamento con l’ottava edizione di Tuttofood si rinnova invece sempre a fieramilano dal 17 al 20 maggio 2021. >> Link: www.tuttofood.it

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1) Turano Group, azienda di San Marco Argentano (CS), dal 1965 opera nei settori dell’allevamento, della lavorazione e della produzione dei salumi. 2) Angela Fiorini e Simone Sargentoni del caseificio Il Fiorino di Roccalbegna (GR). 3) Stefano Busti, titolare dell’omonimo caseificio di Acciaiolo di Fauglia (PI), mostra il nuovo nato della linea Gli Speciali, il formaggio Tre Latti Lari a caglio vegetale. 4) Il Salumificio San Vincenzo di Spezzano Piccolo (CS) produce salumi autentici della tradizione di Calabria. Nello stand Vincenzo Rota, AD dell’azienda, con Alessio Scarnato, Filippo Elmo e Felice Tavolaro. 104

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Aceto balsamico di Modena Igp, il Consorzio di tutela protagonista come case history del Blockchain Plaza A Tuttofood si sono calendarizzati due interessanti incontri sul Blockchain Plaza, nuovo progetto dell’ente di certificazione CSQA ed Euranet, società di consulenza e tecnologie per la compliance, per condividere esperienze, idee e proposte sulle tematiche della blockchain per il settore agroalimentare. Un’iniziativa inedita sull’elemento che oggi rappresenta la vera innovazione per implementare tracciabilità e rintracciabilità, anti-contraffazione e controllo delle frodi, che si pone come principale obiettivo quello di divenire un punto di incontro e confronto tra imprese ed aziende delle filiere agroalimentari per lo sviluppo della Data Economy italiana. Tra le realtà promotrici e fondatrici del progetto c’è anche il Consorzio di tutela dell’Aceto Balsamico di Modena IGP e la sua case history è stata una delle quattro raccontate mercoledì 8 maggio in una tavola rotonda atta a presentare i primi risultati e gli sviluppi della sperimentazione dell’utilizzo di tecnologia blockchain nelle filiere di qualità italiane. In rappresentanza del Consorzio, il direttore Federico Desimoni ha sottolineato: «La parola d’ordine di tutte filiere dei prodotti alimentari certificati è certamente l’autenticità. Il grande lavoro svolto da produttori, istituzioni e consorzi è finalizzato a garantire questo valore su cui si fonda l’intero sistema dei prodotti Dop e Igp. Fino ad oggi gli sforzi si sono focalizzati a migliorare i sistemi di controllo e vigilanza garantiti dagli organismi pubblici. L’idea che sta alla base della blockchain, invece, è quella di inserire in questo circolo virtuoso un nuovo attore: il consumatore, visto come uno dei soggetti essenziali per costruire questo sistema di garanzie» (fonte: Ufficio stampa Consorzio di tutela dell’Aceto Balsamico di Modena IGP).

Citterio a Tuttofood 2019 con le linee snack e wellness Per lo storico Salumificio Citterio, azienda a gestione familiare con più di 140 anni d’esperienza nel settore salumiero, Tuttofood 2019 è stata un’occasione preziosa per incontrare buyer provenienti dall’Italia e da tutto il mondo, confrontarsi con altre realtà, sia nazionali che internazionali, analizzare i nuovi trend della filiera alimentare, con la possibilità di instaurare nuovi ed importanti rapporti commerciali. Tuttofood è stata un’importante vetrina per presentare tutte le più recenti innovazioni aziendali, oltre alle classiche linee storiche di Citterio: “Sofficette”, “Tagliofresco”, “La Merenda” e molte altre. A tal proposito uno spazio particolare è stato dedicato alle linee Wellness e Snacking. Nell’area Wellness Citterio troviamo linee di prodotto che soddisfano i nuovi bisogni del mercato: la più recente linea “Armonie di Natura” (prosciutto crudo, petto di pollo e petto di tacchino al forno), senza conservanti, ingredienti semplici, 100% naturali, per poi passare alla linea completa di prodotti biologici, confezionati utilizzando il 60% di plastica in meno, con un vassoio riciclabile nella carta. Mentre nell’area snacking erano presenti le diverse varianti di “Unduetris” e “Gli Irresistibili”, con prodotti pensati offrire sfiziose proposte ad adulti e bambini, per una pausa golosa in qualsiasi momento della giornata. Altra novità di quest’anno è stata la presenza di un banco a vista dove il mastro salumaio di Citterio ha affettato per gli ospiti in fiera i migliori prodotti della tradizione italiana. «Soddisfare le esigenze dei nostri clienti con prodotti che rispettino alti standard qualitativi è da sempre la nostra priorità» dicono dall’azienda. «Investiamo costantemente in ricerca e sviluppo, in modo da offrire referenze in linea con i principali trend del mercato, garantendo qualità costante e sicurezza. Siamo anche molto sensibili ai temi ambientali e per contenere l’impatto, oltre che alla riduzione di plastica nel packaging, investiamo nelle nostre produzioni per migliorarne l’efficienza e ridurre tutti i consumi». >> Link: www.citterio.com

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1) Adriano Annovi, sales manager di Schenk Italian Wineries, tra le più significative realtà vitivinicole a livello nazionale. 2) Ibis Salumi, marchio del gruppo Cremonini. 3) Marcello Palmieri, titolare con i fratelli del Salumificio Palmieri di San Prospero (MO), insieme a Davide Zito e Paolo Arcangeli. 4) Una bresaola tutta da colorare quella dell’artista Massimo Sirelli nello stand del Salumificio Bordoni di Mazzo di Valtellina (SO). 5) La BP Prosciutti di Solignano di Castelvetro (MO). L’azienda fa parte del Gruppo Suincom, protagonista della filiera produttiva del prosciutto crudo. Al centro dello stand, Roberto e Valentina Agnani.

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1) Handl Tyrol, azienda familiare austriaca di Pians specializzata nella produzione di speck, prosciutto, salsicce crude e arrosti tirolesi. In foto, il direttore Karl Christian Handl con Johannes Wechner. 2/3) Il Salumificio Falcone di Camigliatello Silano (CS) offre una gamma di prodotti raggruppati in quattro linee: ‘A Chianca Bio, Tradizionale, Falcone 1846, Suinonero – L’autentico Calabrese. In foto, Antonio Falcone con la moglie. 4) L’Azienda Agricola Acetaia Leonardi di Magreta di Formigine (MO). 5) I Sapori d’Ogliastra, il gusto della Sardegna alla conquista di Milano con Vito Arra e i Culurgionis d’Ogliastra IGP.

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In alto: Dino e Carlo Negrini della Negrini Salumi di Renazzo di Cento (FE) con Vidmer Cantelli e alcuni collaboratori di questa azienda che produce salumi pregiati della tradizione emiliana. In basso: Guido Girardelli di CSB-System AG, azienda leader del settore per le industrie che lavorano per processi (alimentare, delle bevande, chimica, farmaceutica, cosmetica e il commercio).

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SPECIALE VINITALY

Vinitaly 2019, eppur si muove Conclusa la 53a edizione del salone internazionale di Verona dedicato al vino e ai distillati. L’edizione più grande di sempre di Laura Franchini

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e è alta la preoccupazione per le congiunture economiche internazionali, è pur vero che il settore vinicolo regge, con forza e costanza, come la sua manifestazione nazionale più importante, Vinitaly. Un’edizione (7-10 aprile) che chiude registrando un aumento di visitatori, ben 125.000, provenienti da 145 nazioni. Un aumento costante negli anni,

questa volta particolarmente incisivo sul comparto buyer, che registra un incremento del 3% con oltre 33.000 presenze provenienti soprattutto da Stati Uniti, in cima alla classifica per numero di operatori, Germania, Regno Unito, Cina e Canada. Notevole l’incremento registrato anche dal Giappone, +11%. Ben 4.600 le aziende espositrici (130 in più della scorsa edizione) pro-

venienti da 35 nazioni, a testimonianza della forte importanza di questa fiera per il comparto vinicolo e non solo. Soddisfatto MAURIZIO DANESE, presidente di Veronafiere: «Grande soddisfazione, ma da domani saremo già al lavoro per migliorare ancora, per incrementare il già ottimo risultato sulla focalizzazione di Vinitaly sulle presenza dei visitatori professionali.

I numeri forniti dagli organizzatori confermano l’ottima annata per Vinitaly: nel corso delle quattro giornate della manifestazione sono stati infatti registrati 125.000 visitatori, provenienti da 145 diverse nazioni (photo © Ennevi).

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L’indagine “Mercato Italia – Gli Italiani e il vino” realizzata da Vinitaly con l’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor e presentata in apertura del salone ci dice che oggi si beve meno ma in maniera più responsabile. Il mercato tiene e produce un valore al consumo stimato in 14,3 miliardi di euro (2018) Tra le novità di quest’anno della fiera veronese l’Organic Hall, il Vinitaly design e la Vinitaly Directory Official Catalogue & Business Guide, il catalogo on-line a disposizione dei buyer in 9 lingue (photo © www.hellotaste.it). Siamo orgogliosi anche del fuori salone e della piattaforma di promozione Wine To Asia attiva dal 2020 in Cina, dopo il lancio in Brasile. Inoltre, il ruolo guida per il sistema vitivinicolo è stato confermato dall’attenzione istituzionale, con la visita del presidente

del Consiglio, dei due vicepresidenti, del presidente del Senato, del ministro delle Politiche Agricole e del Turismo, e, a livello europeo, del Commissario per l’Agricoltura». Pone l’accento sull’internazionalità di Vinitaly anche GIOVANNI MANTOVANI,

direttore generale di Veronafiere, che sottolinea l’impegno messo sulle risorse d’attività di incoming e sugli aspetti digitali della manifestazione, sempre più connessa, anche grazie alla directory on-line in nove lingue che ha registrato oltre 1 milione di visite in sole due

Il Consorzio Salumi Dop Piacentini a Vinitaly con le tre Dop Coppa Piacentina DOP, Pancetta Piacentina DOP e Salame Piacentino DOP: il Consorzio Salumi DOP Piacentini ha deciso quest’anno di partecipare sia a Vinitaly che a Cibus Connect per far conoscere, attraverso queste due importanti manifestazioni, alle migliaia di visitatori in arrivo da tutto il mondo le caratteristiche uniche delle tre Dop vanto e orgoglio del territorio che gravita attorno alla provincia di Piacenza. A Verona, in particolare, il Consorzio era presente all’interno dello stand della Cantina Vicobarone di Ziano Piacentino e in quello del Consorzio di Tutela Vini Colli Piacentini. Coppa, pancetta e salame sono stati protagonisti di degustazioni e abbinamenti con i vini locali in grado di esaltarne al meglio le caratteristiche. >> Link: www.salumitipicipiacentini.it

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1) Alessio Bompani con i vini della Cantina Garuti di Bomporto (MO). 2) A Vinitaly 2019 anche i prodotti dell’Acetaia Leonardi di Magreta di Formigine (MO). 3) Jacopo Lupo Melia nello stand di Fattoria Paradiso, Bertinoro (FC). 4) Ermi Bagni, direttore del Consorzio Marchio Storico Lambruschi Modenesi. 5) Schenk Italian Wineries di Ora (BZ) a Verona ha presentato i nuovi vini di Bacio della Luna. 6) Christian Bellei, titolare di Cantina Della Volta, Bomporto (MO).

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Coppa di Parma Igp e Salame Felino Igp protagonisti a Verona Dopo il successo dell’esperienza 2018, i Consorzi di tutela di Coppa di Parma IGP e Salame Felino IGP tornano a Verona affiancando Slow Food in due corner espositivi all’interno dello spazio dell’associazione fondata da Carlin Petrini. Non solo: i due salumi sono stati protagonisti di un gemellaggio enogastronomico tutto made-in-Parma con i Vini DOC “Colli di Parma” e gli chef di Parma Quality Restaurants — il consorzio che rappresenta la più alta espressione della cucina parmense — a suggerire utilizzi sfiziosi dei due salumi. «Siamo convinti che Vinitaly rappresenti uno dei migliori palcoscenici per diffondere la cultura di prodotto e la conoscenza di due tesori dell’arte salumiera italiana» ha spiegato Fabrizio Aschieri, presidente del Consorzio di tutela della Coppa di Parma IGP. «Verona è il contesto giusto anche per stringere nuove alleanze di business, soprattutto in ottica internazionale». «Con Slow Food, la cui autorevolezza è riconosciuta in tutto il mondo — ha aggiunto Carletto Ferrari, presidente del Consorzio di tutela del Salame Felino IGP — condividiamo alcune cause, come l’attenzione alla qualità delle materie prime, l’importanza del legame prodotto/territorio, la difesa dell’artigianalità dei metodi di produzione. Siamo quindi onorati di poterci presentare a Vinitaly al loro fianco. Con il Consorzio volontario per la tutela dei Vini DOC “Colli di Parma vogliamo invece fare sistema per la promozione di Parma e delle sue eccellenze: ecco spiegati gli abbinamenti tra Coppa di Parma IGP e Malvasia dei Colli di Parma DOC e tra Salame Felino IGP e un rosso frizzante come il Lambrusco Colli di Parma DOC. L’idea è quella di fare dei professionisti del wine degli ambasciatori di Parma».

settimane. Non è mancata nemmeno quest’anno la presenza dello stand della Guida Vinibuoni d’Italia – Touring Club Italiano, che ha presentato una vasta selezione delle etichette recensite nell’ultima edizione della guida. Una vera e propria sintesi della qualità e della varietà della produzione enologica italiana, arricchita dai laboratori di degustazione dedicati alle eccellenze norcine nazionali, grazie alla presenza della LEVONI SALUMI di CASTELLUCCHIO (MN) e al Grana Padano DOP, declinato nelle sue 3 stagionature.

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Forte anche la presenza dell’associazione Le Donne del Vino, impegnate in molteplici appuntamenti, dalla presentazione dei vini di giovani produttrici under 40 e della mappa delle socie della regione Emilia-Romagna, dalle attività legate al tema dell’anno dell’associazione, “Vino e Design”, all’assemblea annuale, importante momento di incontro delle socie, quasi 850 tra produttrici, ristoratrici, enotecarie, sommelier e giornaliste. Ad integrare e ampliare l’offerta di Vinitaly, si sono svolti come ogni anno in

contemporanea Sol & Agrifood, manifestazione di Veronafiere sull’agroalimentare di qualità, ed Enolitech, rassegna su accessori e tecnologie per la filiera oleicola e vitivinicola, a cui quest’anno si è affiancata Vinitaly Design che ha proposto prodotti e accessori che completano l’offerta legata alla promozione del vino e all’esperienza sensoriale. Appuntamento al 2020 La 54a edizione di Vinitaly è in programma dal 19 al 22 aprile 2020. Laura Franchini

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I nuovi vini di Filippo Antonelli presentati a Verona A Vinitaly sono stati presentati in anteprima due nuovi vini delle due cantine guidate dal produttore Filippo Antonelli: l’umbra Antonelli San Marco di Montefalco (PG) e la laziale Castello di Torre in Pietra, a 20 km da Roma. I due vini saranno in commercio a partire dal prossimo autunno il Roma Rosso Riserva 2017 e, dal prossimo anno, il Molino dell’Attone 2015, un nuovo Montefalco Sagrantino DOCG in purezza ottenuto da uve coltivate in una nuova vigna esposta più a est a 400 metri slm nel comune di Gualdo Cattaneo (PG). Rispetto al cru di Sagrantino Chiusa di Pannone, vino di punta di Antonelli San Marco, potente e strutturato, il Molino dell’Attone si presenta come un rosso più speziato e fruttato, caratterizzato da note di eleganza più che di potenza. >> Link: www.antonellisanmarco.it www.castelloditorreinpietra.it

Il Pappagallo festeggia i suoi 100 anni con i vini di Cantina della Volta Modena conquista Bologna con una delle sue realtà vinicole più luminose: i vini di Cantina della Volta, giovane azienda di Bomporto (MO) di proprietà di Christian Bellei — che guida e controlla ogni fase della produzione, cura del vigneto e vinificazione —, sono stati infatti i protagonisti di una serata dedicata ai festeggiamenti del centenario del Pappagallo, storico ristorante della città delle due Torri. Situato all’interno di un palazzo del ‘300 in piazza della Mercanzia, a pochi passi da Santo Stefano, uno degli angoli più suggestivi di Bologna, Il Pappagallo è un’insegna prestigiosa, da sempre punto di attrazione turistica del capoluogo emiliano per la sua offerta di cucina tradizionale, meta anche in passato di ospiti di prestigio, da Albert Einstein ad Alfred Hitchcock, VIP e star hollywoodiane, e la cui gestione è oggi affidata a Michele Pettinicchio e Elisabetta Valenti. «È un’enorme gratificazione poter festeggiare il traguardo di un luogo così importante» dicono Michele e Elisabetta. «Al centro ci deve essere sempre la materia prima, quell’ingrediente fondante che, decennio dopo decennio, non cambia. Ed ecco perché per il centenario abbiamo deciso di ospitare quello che è considerato il miglior metodo classico regionale, sviluppando un menu specifico che potesse esaltare ogni singolo calice». Materie prime selezionate, la pasta tirata con il mattarello nel laboratorio sotto al locale, una presentazione moderna nel piatto. Così, la galantina di pollo con zabaione salato e gelatina di brodo è stata abbinata al Christian Bellei Metodo classico 2013 e il tortino di mortadella su crema di Parmigiano Reggiano con pistacchi canditi e tostati al Lambrusco di Sorbara Rosè Doc 2014 Metodo classico. I tortellini al mignolo in brodo di cappone e i tortellini al mignolo in goccia d’oro sono stati serviti insieme al Lambrusco di Sorbara Doc 2016 Brutrosso Metodo classico, mentre la cotoletta di vitello con osso alla petroniana al Lambrusco di Sorbara Doc 2014 “Trentasei” Metodo classico. Per finire in dolcezza, la crostatina di pasta frolla ai frutti di bosco è stata affiancata dal Lambrusco di Modena spumante Doc DDR 2009 Metodo classico. «Una serata magnifica, che ci riempie d’orgoglio» mi dice Angela Sini, amministratore delegato della cantina e suo volto, instancabile e sempre sorridente, di rientro «da quello che è stato per noi il miglior Vinitaly di sempre». Alla serata bolognese ha partecipato anche l’assessore regionale dell’Emilia-Romagna all’Agricoltura, Caccia e Pesca Simona Caselli. «Una donna che ha fatto e sta facendo tantissimo per la promozione del comparto agroalimentare della nostra regione» conclude Angela (in foto, Elisabetta Valenti, Michele Pettinicchio, Simona Caselli e Angela Sini).

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


A Sol & Agrifood gli Affinati al vino del Salumificio Patrone

Se il Vermentino va nella salsiccia e il rosè… nella lombè di Gaia Borghi

I

l Salone Internazionale dell’Agroalimentare di Qualità – Sol & Agrifood (www.solagrifood.com) si svolge in contemporanea al Vinitaly in un padiglione dedicato situato sempre all’interno del quartiere fieristico veronese. In mostra salumi, formaggi, conserve, prodotti tipici, oli e birre artigianali da conoscere ed assaggiare tra una degustazione di vini e l’altra. Tra le aziende espositrici ha attirato la mia attenzione il SALUMIFICIO PATRONE di Campiglia Marittima (LI) e in particolare la loro linea di Affinati al vino che, ad oggi, conta tre referenze: la Lombè, il

Salame al vino Rubino e la Salsiccia stagionata al Vermentino. «Abbiamo iniziato a produrre questa linea cinque anni fa» mi racconta NICA PATRONE, che nell’azienda di famiglia — fondata nel 1992 dai genitori LORENZO e MARIA —, si occupa di comunicazione e marketing, mentre il fratello LUCA segue il reparto macelleria-norcineria. Il fatto che Nica sia anche sommelier forse non è un caso. «Come salumificio aderiamo al principio di una “filiera corta” regionale: usiamo ad esempio solo il salgemma di Volterra per la salatura degli insaccati, un sale puro di tipo ricristallizzato, e

anche i vini con cui affiniamo i salumi provengono da una cantina toscana». Si tratta di BULICHELLA, un’azienda biologica che produce vini e olio sulle colline di Suvereto (LI), in Val Di Cornia. Col loro Afrodite, vino rosato Costa Toscana IGT 100% Syrah, si affina la Lombè, una lombata di suino italiano (Large White e incroci Duroc/Pietrain) molto magra, il cui sapore viene arricchito grazie all’aggiunta al termine della stagionatura di due mesi circa di bacche e pepe rosa. Il Tuscanio Bianco, Vermentino in purezza Costa Toscana IGT, entra invece nella lavorazione della salsiccia stagio-

Lorenzo e Maria Patrone avviano il Salumificio Patrone all’inizio degli anni ‘90 nella Maremma piombinese, sfruttando l’esperienza di due norcini e delle loro ricette della tradizione. La produzione aziendale comprende porchetta, fegatelli, ciccioli e due “salumi di sangue”, buristo e mallegato. Non mancano i salami classici, quello storto, al finocchio, salsiccione e salamelle. C’è poi la linea dei Pepati con guancia, rigatino, rigatino con arista e prosciutto crudo, e quella degli Affinati al vino. Tutti i salumi sono senza lattosio, glutine e allergeni. Nel punto vendita accanto al salumificio, oltre a salumi e carni suine fresche, si possono acquistare i vini della Val di Cornia. La Lombè, lombata di suino affinata al vino rosato Costa Toscana Igt. 116

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L’affinamento dei salumi nel vino è una tecnica antica. L’aggiunta di vino negli impasti ne sfruttava l’azione antisettica e garantiva una maturazione migliore. Oggi è invece sempre più diffusa la produzione di salumi “immersi” nel vino per un certo periodo di tempo, così come avviene coi formaggi “ubriachi” nata: polpa scelta di suino macinata molto finemente che resta morbida e profumatissima e che due anni fa ha vinto proprio a Sol & Agrifood il premio Golosario (sorte toccata quest’anno al prosciutto crudo dei Patrone; si veda box). La pezzatura piccola (70 grammi) la rende perfetta per un aperitivo tutto made in Tuscany.

La salsiccia stagionata al Vermentino Costa Toscana Igt. Chiude la proposta degli affinati il primo nato della linea (nel 2014) ovvero il salame con vino Rubino Costa Toscana rosso IGT, prodotto storico di Bulichella, risultato di una selezione di uve Sangiovese, Merlot e Cabernet. Il salame è quello della tradizione toscana, con i grasselli tagliati a punta di coltello. L’impasto (70% spalla e 30% pancetta

suina) viene sommerso col vino, il sale e il pepe in grani e lasciato riposare. Stagiona 1 mese, 1 mese e mezzo; il sapore dolce è bilanciato dal vino Rubino, il cui gusto resta ben presente. Nel 2016 ha ricevuto il certificato d’eccellenza The Wine Hunter – Merano Culinaria Award del Merano Wine Festival. Gaia Borghi

I vincitori del premio Golosario di Sol & Agrifood 2019 Birre, caramelle all’Amarone, pasta ai frutti di bosco, crema di fave, aceto di ciliegie da degustare con un sigaro toscano: sono alcuni dei 26 prodotti selezionati tra quelli esposti a Sol & Agrifood dai critici enogastronomici Marco Gatti e Paolo Massobrio per il premio Golosario, che ha festeggiato nel 2019 la sua decima edizione. Una squadra di assaggiatori in incognito ha lavorato per tre giorni di degustazioni tra gli stand delle aziende espositrici. Quest’anno il premio è stato conferito anche agli Evergreen, cioè a chi, già premiato in passato, ha saputo proporre prodotti nuovi e/o innovativi. Ecco i vincitori: • Birre: Brusata alle castagne del Birrificio Aleghe di Coazze (TO); Brown Ale del Piccolo Birrificio Clandestino di Livorno; Sicilian Pale Ale, Ribadi di Cinisi (PA); Birre evergreen: Beermouth di Baladin, Piozzo (CN); Birre Iga: Real Iga, Birra Salento, Leverano (LE); Il Tralcio 2017, Birrificio del Forte di Pietrasanta (LU); • Dolci: Bron Cake di Brontedolci, Bronte (CT); Duchessa di Visciole, Fabrizi di Jesi (AN); Caramella Tidò Amarone, Tidò Dalla Vite di Verona; Dolci evergreen: Macaron al cioccolato e arancia, Canditfrucht di Barcellona Pozzo di Gotto (ME); • Pasta e pane: Grissini di De Mori, Cossato (BI); Mezze maniche firmate da Pasta Michele Portoghese di Calenzano (FI); Pasta evergreen: Paccheri ai frutti di bosco, Rustichella d’Abruzzo di Pianella (PE); • Salumi: Brisaola di MA! Officina Gastronomica, Madesimo (SO); Paletta Biellese della Macelleria Gastronomia Mosca di Biella; il Prosciutto Crudo di Parma del Salumificio Bedogni di Langhirano (PR); Salumi evergreen: il Prosciutto crudo del Salumificio Patrone, Venturina Terme (LI); • Formaggi: Ricotta affumicata, P.O.C.C. di Crotone; GialloBlu, La Casara di Roncà (VR); Parmigiano 30 mesi del Consorzio Vacche Rosse di Reggio Emilia; • Liquori: Amaronna, amaro di carciofi di Niscemi (CL); Aquamirabilis Gin 4312 di Anonima Distillazioni Gubbio (PG); Amara dell’azienda Rossa di Paternò (CT); • Sfiziosità: Paccasassi, Rinci, Castelfidardo (AN); La Favalanciata (crema di fave) di Riti Alimentari, Acquasanta Terme (AP); Sfiziosità evergreen: Aceto di ciliegia, Tenuta Cà dal Lauv, Prignano sul Secchia (MO).

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“Pane e Vino”: nello spazio di Slow Food Editore a Vinitaly quattro tipi di pane scelti a rappresentare la straordinaria ricchezza della tradizione culinaria italiana Pancarré, panbiscotto, frisella e crescentina/tigella: nello spazio lounge Slow Food Editore di Vinitaly – Casa Agugiaro & Figna, importante azienda molitoria italiana, è andato in scena un viaggio attraverso il Belpaese fatto di pane, alimento e nutrimento essenziale e universale, sinonimo di autenticità e semplicità nel significato più positivo del termine. Con “Storie d’Italia. Pane e Vino” lo chef David Marchiori dell’Osteria Plip di Mestre (VE) ha infatti interpretato con una propria originale ricetta quattro distinti prodotti da forno tipici di quattro differenti regioni italiane. Iniziamo! • Si parte dal timballo di pancarré del Panificio agricolo Zogno di Conselve (PD) con carciofi e morlacco del Grappa, un saporito formaggio presidio Slow Food. Per il Forno Zogno il ciclo di produzione è chiuso e controllato da un’unica famiglia. «Controlliamo con meticolosità tutto il percorso che il grano compie: dai nostri campi alla vostra tavola» spiega Chiara Zogno. • La panzarella di panbiscotto friabile e cotto a legna del Panificio Sofia a Grumolo delle Abadesse (VI) e gallina Padovana, altro presidio Slow Food, racconta la storia di Roberto Sofia, conosciuto col diminutivo di ciopeta (la ciopa è il pane più diffuso in Veneto), terza generazione di panettieri. Iniziò il nonno Valentino nel 1935, trasmettendo lavoro e passione al papà di Roberto, il quale a sua volta ha insegnato il mestiere ai figli Alex e Giada. «Cosa significa essere un artigiano oggi? Tanti sacrifici, la sveglia la mattina presto, le domeniche trascorse in laboratorio — dice Roberto — ma tutto è ripagato dal sorriso dei clienti, dalle persone che cercano i nostri prodotti. Serve responsabilità per fare questo lavoro, serietà, costanza e amore, perché bisogna aver rispetto per la materia prima, per la gente». • La frisella croccante di Zellino prodotti da forno di Bisceglie con pomodoro fiaschetto di Torre Guaceto (presidio Slow Food) e sarde porta a Verona i profumi e i sapori della Puglia. È Roberto Zellino che, dopo aver iniziato 20 anni fa come dipendente, dal 2011 lavora in proprio e i suoi prodotti sono richiesti anche a Boston (USA) e a Parigi. • Finiamo con la crescentina/tigella con la mortadella de La Carsenta di Savignano sul Panaro (MO). Stefano Mazzoni aveva un negozio di salumi, ma nel retrobottega “sfornava” gnocco fritto e crescentine (tigelle). La richiesta di questi due prodotti però cresceva, finché, nel 1995, Stefano decise di abbandonare la lavorazione e il commercio di insaccati per dedicarsi interamente all’altra attività. Adesso ha otto dipendenti e per affrontare le sfide del mercato ha iniziato a lavorare con l’estero e la GDO. «Evoluzione significa anche offrire prodotti di qualità sottovuoto, evolversi alle nuove sfide del mercato con prodotti biologici ed integrali. Essere artigiani significa sfruttare le nuove tecnologie, senza però abbandonare la tradizione» (in foto, in alto, David Marchiori; in basso, il timballo di pancarré con carciofi e morlacco del Grappa).

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FORMAGGIO

Caciocavallo, le molteplici varianti della tradizione Il Caseificio Pioggia di Martina Franca si è contraddistinto negli ultimi anni per proposte davvero originali, apprezzate in Italia e all’estero: il caciocavallo ubriaco, delle vacche rosse e della massaia di Veronica Fumarola

S

i può innovare un formaggio della tradizione? Certo che sì! E lo dimostra il CASEIFICIO PIOGGIA (via Gaetano Grassi 26, 74015 Martina Franca, Taranto, telefono: 080 4800550, e-mail: info@ pioggiastore.it) che, ormai da diversi anni, propone il caciocavallo, uno dei formaggi tipici dell’Italia meridionale, in diverse varianti, per offrire ai consumatori una vera e propria esperienza di gusto. Il caciocavallo è un formaggio stagionato, a pasta filata, dalla forma tondeggiante, che presenzia le tavole di ogni meridionale che si rispetti. E lo stesso nome, che deriva da un’antica tradizione, attesta la radicalità del prodotto nel Sud Italia. «In passato, quando non esistevano i sistemi di refrigerazione, i massari trasportavano il caciocavallo con asini o cavalli che, giunti a destinazione, si trasformavano in veri e propri espositori» rivela VINCENZO COLUCCI, proprietario del caseificio di Martina Franca e tra i principali produttori di caciocavallo nella città della Valle d’Itria. «Le forme casearie erano appese tramite una corda sul dorso degli animali. Il cacio era, dunque, a cavallo e da qui il nome».

Il caciocavallo ubriaco al vino Primitivo di Manduria del Caseificio Pioggia. Il gusto, originale, è un mix tra il fruttato e il piccante.

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Bianco come il latte… o no? Il racconto si fa subito interessante e prosegue con le materie prime, i processi di lavorazione e focus mirati sulle proposte più innovative degli ultimi anni, che hanno permesso di ottenere importanti riconoscimenti. Partiamo dal latte e da una credenza da smentire. «Diversamente da quanto si crede, il latte

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buono non deve essere bianco candido, ma deve avere un colore tendente al giallo». Il latte eccessivamente bianco deriva da animali allevati in ambienti chiusi, nutriti con mangimi o paglia, a differenza dell’altro, decisamente più saporito, prodotto da mucche che pascolano, mangiano erba e sono più rilassate. «Per questo — precisa Vincenzo — è importante scegliere con cura il latte da utilizzare, soprattutto se si vuole realizzare un prodotto di qualità. Discorso che vale per tutti i prodotti del nostro caseificio». Metodologia di produzione Vincenzo e i suoi collaboratori, quindi, utilizzano ogni giorno latte fresco prelevato da fornitori fidati delle zone limitrofe a Martina Franca e seguono un processo di lavorazione naturale. «Prima riscaldiamo il latte, al quale aggiungiamo il lievito, ovvero il siero innesto, parte dell’impasto che resta dalla produzione del giorno precedente. Dopodiché inseriamo il caglio. Ottenuta la prima pasta— racconta Vincenzo — la tagliamo in pezzi piccoli piccoli, lasciamo riposare per circa mezz’ora e la ripuliamo dai liquidi in eccesso. Tagliamo ancora una volta l’impasto e aggiungiamo l’acqua calda: da questo momento inizia nuovamente la filatura e pian piano il caciocavallo prende forma. Dopo aver avviato il processo di raffreddamento parte la salatura in salamoia. Una volta finito questo processo, prende il via la stagionatura, che vai da 1520 giorni minimo fino a un massimo di tre anni. Ci tengo a sottolineare che non usiamo alcun correttore di acidità». Al termine di un racconto così dettagliato, una domanda sorge spontanea: qual è il caciocavallo più venduto? Quello con una stagionatura di due mesi, dal sapore dolce e leggermente pizzichino. Ma le varianti sono molteplici: dolce, piccante, semi piccante, affumicato, al fieno, al peperoncino, a cui si aggiungono il caciocavallo ubriaco, delle vacche rosse e della massaia. Proprio questi ultimi sono il fiore all’occhiello della produzione del caseificio e negli ultimi anni hanno vinto importanti premi. Caciocavallo ubriaco Il caciocavallo ubriaco può essere davvero considerato un’invenzione per certi versi fortuita. Tutto nasce dall’idea

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Caciocavallo della massaia. di produrre un formaggio fresco alle vinacce che, proposto nei banchi dei vari punti vendita, va subito a ruba. Così, si passa all’accoppiata formaggi stagionati e Primitivo di Manduria, altra eccellenza locale. Ma solo al terzo tentativo arriva la svolta vincente: il caciocavallo ubriaco. Di cosa si tratta? Forme con una stagionatura di 5-6 mesi vengono immerse nel vino per 40-50

giorni circa fino ad assumere esternamente un colore violaceo. La pasta è morbida e di colore paglierino. Il gusto, assolutamente originale, un intrigante mix tra il fruttato e il piccante, è una delle ragioni della vittoria della medaglia d’oro nella categoria Best Italian Cheese agli International Cheese Awards 2014, il più importante evento dedicato al formaggio in Gran Bretagna.

Vincenzo e i suoi collaboratori utilizzano ogni giorno latte fresco prelevato da fornitori fidati delle zone limitrofe a Martina Franca e seguono un processo di lavorazione naturale. Il caciocavallo più venduto? Quello stagionato due mesi, dal sapore dolce e leggermente pizzichino. Ma le varianti sono diverse, apprezzate e riconosciute con premi importanti

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A distanza di qualche anno, il caciocavallo ubriaco suscita la curiosità di tutti coloro che lo vendono per la prima volta e continua ad essere apprezzato anche da chi lo conosce già da tempo perché coniuga, in un solo prodotto, due eccellenze pugliesi. Delle vacche rosse Il caciocavallo realizzato con il latte delle vacche rosse della Murgia tarantina possiede alcune caratteristiche qualitative che lo differenziano dal caciocavallo tradizionale. La vacca rossa, infatti, produce una quantità inferiore di latte rispetto ad altre razze, ma offre una maggiore resa nella caseificazione. Questo grazie alla caseina, la principale proteina del latte, che garantisce una migliore predisposizione del formaggio

alla lunga stagionatura e una migliore digeribilità. Al palato il caciocavallo ha un sapore dolce e delicato, che resta immutato anche in stagionature superiori ai sei mesi. Della massaia Si tratta di una variante agreste figlia di un’antica usanza contadina: in passato le masserie potevano contare su un gregge di pochi capi. Ed è per questo che le massaie procedevano con la miscela del latte di capra, mucca e pecora per raggiungere la quota di latte necessaria per produrre i formaggi. Dal recupero di questa antica tradizione nasce il caciocavallo della massaia, che ha un profumo decisamente più intenso. La forma è sferoidale, priva della tipica testina del caciocavallo; ha una crosta

sottile e liscia, di colore giallo paglierino mentre la pasta ha una consistenza burrosa, dovuta a una percentuale più alta di grassi. La stagionatura, di ben 360 giorni, conferisce al formaggio un sapore dalle note piccantine, carico di tutti gli aromi e i profumi delle erbe e dei foraggi dei migliori pascoli della Valle d’Itria. Nel 2014 ha vinto il premio come “Miglior formaggio maturo a pasta filata” al concorso ALMA Caseus, organizzato dall’omonima scuola fondata da Gualtiero Marchesi. Oltre queste eccellenze, il Caseificio Pioggia conta più di 80 prodotti caseari tra freschi e stagionati, tutti acquistabili, oltre che nei punti vendita, sull’e-commerce dedicato (www.pioggiastore.it). Veronica Fumarola

Il Mercato Centrale di Torino è finalmente aperto! Grande festa al Centro Palatino di piazza della Repubblica per l’inaugurazione avvenuta sabato 13 aprile dell’atteso Mercato Centrale che, dopo Roma e Firenze, sbarca finalmente anche a Torino, nella caratteristica cornice di Porta Palazzo. Durante la mattinata, all’ultimo piano del Palafuksas si è tenuta la presentazione dell’ambizioso progetto, con l’ideatore del Mercato Centrale, Umberto Montano, a ripercorrere la storia di Porta Palazzo attraverso i secoli e fare da moderatore agli interventi di Luisa Papotti, soprintendente ai Beni Archeologici, del CEO del Mercato Centrale Stefano Mereu e del primo cittadino torinese Chiara Appendino, che ha ricordato come molti torinesi si identifichino in Porta Palazzo. «Trovare persone che riconoscono in un luogo di periferia e con delle difficoltà anche un luogo di opportunità, può diventare il traino per far ripartire un’area che ha oggettivamente bisogno» ha detto la Appendino. «Questo è un luogo caratteristico di questa città ed è bello che un privato abbia voluto credere in questo progetto, perché significa che è stata compresa l’importanza di sentirsi parte integrante del territorio». E, come recita lo slogan, “Non c’è gusto a raccontarlo. Vieni e Vedi!”. Il burro e i formaggi: Beppino Occelli, dalle Langhe agli alpeggi Una giornata all’insegna del gusto, dunque, con protagoniste le 26 botteghe disposte al pianterreno e destinate a diventare un autentico punto di riferimento per tutti coloro che amano il buon cibo, tra cui la bottega “Il Burro e i Formaggi. Beppino Occelli dalle Langhe agli alpeggi”. Uno spazio suggestivo, con un angolo della bottega dedicato ad una riproduzione delle cantine di stagionatura di Valcasotto, ricchissimo naturalmente di tutti i prodotti dell’azienda, come la Tuma dla Paja e i numerosi affinati, l’Occelli in foglie di Castagno, l’Occelli al Barolo, l’Occelli con frutta e grappa di Moscato… Ma non finisce qui! Il Mercato Centrale di Torino ospiterà anche interessanti laboratori di cucina, alcuni con protagonisti proprio i prodotti di Beppino Occelli (in foto con lo chef Davide Scabin). Seguite il Mercato centrale sui social (www.mercatocentrale.it) per non perdere neanche un evento!

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Il Parmigiano Reggiano che fa bene all’apparato digerente Uno studio del prof. Marco Ventura e della prof.ssa Francesca Turroni dell’Università degli Studi di Parma, pubblicato sulla rivista Nature Communications, ha dimostrato per la prima volta che il Parmigiano Reggiano svolge un importante ruolo di alimento funzionale nella dieta, in quanto vettore di ceppi microbici che arricchiscono il microbiota intestinale umano. È il primo lavoro che fornisce un’immagine molta dettagliata della composizione delle comunità batteriche, definite nel loro complesso microbiota, che risiedono nel Parmigiano Reggiano, mostrando l’esistenza sia di specie batteriche ubiquitarie sia di differenze legate al sito di produzione. In sostanza, la ricerca dimostra che c’è un passaggio orizzontale di batteri potenzialmente “buoni” dalle bovine al consumatore finale. Il lavoro apre quindi un serio dibattito scientifico in merito all’origine di alcune tipologie di batteri ritenuti specifici di determinati alimenti e pone delle basi scientifiche relativamente alla loro origine ambientale e al loro trasferimento attraverso la filiera alimentare. La ricerca è aperta: di certo si può dire che il Parmigiano Reggiano è un alimento che serve ad arricchire il nostro microbiota con microrganismi che hanno benefici sul tratto gastrointestinale. Ma in futuro ci si potrebbe anche spingere oltre, perché la presenza di questi microrganismi potrebbe avere anche ulteriori effetti salutari, considerando il ruolo centrale che viene attributo all’intestino per quanto riguarda il benessere e la salute dell’uomo (fonte e photo © Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano).

IL FIORINO SUL TETTO NEL MONDO Il World Cheese Awards 2018 ha riconfermato Il Fiorino come uno dei migliori caseifici al mondo. Le medaglie conquistate a Bergen sono uno stimolo per migliorare ancora. Ogni vittoria è la vittoria di una squadra, quella de Il Fiorino, di tutte le persone che lavorano con noi e di un territorio, la Maremma, che amiamo e nel quale crediamo profondamente.

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RISERVA DEL FONDATORE Premiato anche come: QUINTO MIGLIOR FORMAGGIO AL MONDO PRIMO MIGLIOR FORMAGGIO ITALIANO

PESTO GENOVESE

TOSCANO DOP FRESCO

BARTARELLO A LATTE CRUDO

FIOR DI NATURA SEMI STAGIONATO BIOLOGICO CON CAGLIO VEGETALE

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TOSCANO DOP STAGIONATO

GROTTA DEL FIORINI


Un’antica grotta per il nuovo formaggio Busti

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“V

enni a Lari e dalla sua rocca mostrai paese vasto, la parte più bella di Toscana”: così LEOPOLDO II, granduca di Toscana, ricorda nelle sue memorie il passaggio in questo borgo medievale di origine etrusca, non troppo distante da Pontedera e da Pisa. Dominato dall’imponente Castello dei Vicari, che sorge proprio al centro del paese, Lari oggi dà il nome anche all’ultimo nato in casa Busti, noto caseificio di Acciaiolo di Fauglia (PI). Il “Tre Latti Lari a caglio vegetale” fa parte della linea Gli Speciali di Busti e viene prodotto con latte ovino, vaccino e caprino. Dal loro perfetto equilibrio nasce un formaggio dal gusto particolarmente deciso e dalle caratteristiche organolettiche uniche. «Mio padre Remo raccontava che nella Garfagnana dei primi del ‘900 fosse ricorrente la pratica di unire più tipologie di latte. Diciamo che si faceva di necessità virtù, producendo formaggi da animali che condividevano la stessa stalla» mi dice STEFANO BUSTI, che oggi conduce l’azienda di famiglia insieme ai figli MARCO e BENEDETTA. «Per rievocare questa storica tradizione abbiamo messo a punto la ricetta

dei Tre Latti Lari a caglio vegetale. Particolarmente adatto in cucina ad essere grattugiato o usato a scaglie su primi piatti e carni, grazie all’utilizzo del caglio vegetale, estratto dal fiore del cardo, è ideale per chi predilige un’alimentazione vegetariana». Intanto, il Tre Latti Lari ha già ricevuto l’oro al Trofeo San Lucio Pandino per la categoria Stagionati e l’argento al World Cheese Awards 2018/19. Inaugurazione e premi Dopo una prima maturazione di almeno 60 giorni nelle celle frigorifere del caseificio Busti, il nuovo formaggio viene trasferito in un’antica grotta tufacea scavata nella roccia che era stata trasformata in cantina che si trova in via Sonnino 29 a Lari, a due passi dal centro storico e all’ombra del suo castello. Un luogo estremamente suggestivo, presentato al pubblico e alla stampa lo scorso maggio, con un’inaugurazione a cui hanno partecipato la famiglia Busti e le autorità politiche della zona. Il formaggio rimarrà in questa grotta almeno 90 giorni, adagiato su assi di legno e paglia, a temperatura e umidità naturali e quindi non sempre costanti.

Terminata l’affinatura, sarà trattato in crosta con carbone vegetale che donerà al formaggio un’elegante veste nera. «Per l’imballo esterno abbiamo selezionato un’azienda del territorio» spiega Stefano Busti. «La scelta di utilizzare un bauletto in legno è legata inoltre ad un senso di riutilizzo dei materiali, potendo il contenitore essere usato dai clienti sia come espositore che, in seguito, per altre funzioni. Inoltre, l’incisione sul bauletto del bozzetto del Castello di Lari vuole rafforzare il legame col luogo di stagionatura del formaggio». La presentazione ufficiale della grotta è stata anche l’occasione perfetta per comunicare ai presenti e festeggiare con loro gli ultimi riconoscimenti ottenuti a livello nazionale dal caseificio. Nella recente edizione di Tuttofood a Milano, infatti, il Marzolino Bio a Caglio Vegetale senza Lattosio ha ottenuto il terzo posto nella categoria Atuttaqualità del concorso organizzato da GDO WEEK nell’ambito dell’iniziativa #Atuttobrand. Mentre il Pecorino Lo Scudo di Fauglia ha ottenuto il primo premio del pubblico della GDO che poteva selezionarlo fra 4 formaggi stagionati a loro volta prescelti da una giuria di esperti.

Dopo aver fatto incetta di premi alla recente edizione di Tuttofood, la famiglia Busti ha inaugurato a Lari la grotta di stagionatura dedicata al formaggio che ne porta il nome, il “Tre latti Lari a caglio vegetale”. Prodotto col latte di tre specie animali (ovino, vaccino e caprino), è disponibile nella pezzatura da 2,5 kg, con una stagionatura minima di 150 giorni.

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VINO Tra Langhe e Monferrato

Loazzolo Doc, un vino in un angolo di paradiso di Riccardo Lagorio

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anghe e Monferrato, un binomio che è un’antitesi geologica: terre ripide e faglie su cui scivolano le rocce alle quali si contrappongono colline create dalle alluvioni dei fiumi e dal restringimento dei mari. È così che nelle Langhe gli alberi a piccolo fusto creano il forteto, il bosco, e connotano il paesaggio. Il confine, come sempre accade in queste distinzioni, risulta labile, ma scorre da nord a sud e da est a ovest incrociandosi intorno a Canelli, dove il vino riposa nelle “Cattedrali sotterranee”, le cantine scavate nel tufo patrimonio dell’UNESCO (quelle delle CANTINE COPPO sono visitabili e offrono bene l’idea; coppo.it). Canelli è uno dei centri più importanti per la vinificazione dell’uva Moscato, tanto che nello scorso aprile il territorio, l’area comprende in verità 18 comuni, ha ottenuto il riconoscimento di DOCG indipendente e dal 2020 il consumatore potrà trovare in commercio sugli scaffali bottiglie con la denominazione Canelli DOCG. Loazzolo: un comune, una Doc A pochi chilometri da Canelli verso sud, Loazzolo, un comune di 300 abitanti, vanta il primato di essere uno dei pochi comuni in Europa a dare il nome a una DOC che coincide con il territorio municipale. Attualmente la superficie dedicata a Loazzolo DOC è inferiore a 5 ettari, con una resa limitata a meno di 2750 litri per ettaro. Le bottiglie vengono messe sul mercato da otto appassionati produttori. «Nel 1985, su incoraggiamento di GIACOMO BOLOGNA, mio padre GIANCARLO iniziava con la surmaturazione dell’uva Moscato, anche in forza di un libro di ARMANDO STRUCCHI del 1908, dove veniva indicato il Basso Piemonte l’area di produzione dei passiti per uso personale. A eccezione di Strevi e Loazzolo, dove il passito di Moscato veniva prodotto, seppur in piccole quantità, anche per la vendita e per le funzioni religiose» racconta GIOVANNI SCAGLIONE, che continua con la sorella SILVIA a la moglie CRISTINA l’esperienza del FORTETO DELLA LUJA. Questa diventò anche Oasi del WWF, in virtù del fatto che nel 2007 furono rinvenute all’interno del podere numerose specie di orchidee spontanee, tra cui la rara orchidea nera che fiorisce a fine marzo (Ophrys Sphegodes).

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In alto: Loazzolo Doc Forteto della Luja (photo © Omar Pistamiglio). In basso: Loazzolo Doc Borgo Maragliano (photo © www.facebook.com/Borgo-Maragliano). Del resto la biodiversità di un terreno esprime lo stato di salute dello stesso e al Forteto della Luja hanno a cuore questo aspetto. «La raccolta delle uve di Moscato che servono per la produzione di Loazzolo DOC del vigneto Piasa Rischei, piantato dal bisnonno TOMMASO nel 1937, vengono raccolte con il rabel, un’enorme slitta di legno dal baricentro basso, trascinata dai cavalli. Inoltre, la pendenza è significativa e le vigne non sono mai diserbate: utilizziamo solo concimazione organica» continua. Le rigorose regole imposte dal Disciplinare di produzione del Loazzolo DOC, come l’indicazione delle operazioni di vinificazione, affinamento e

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invecchiamento devono essere effettuate esclusivamente nel territorio di Loazzolo. La maturazione in pianta è una delle due tecniche utilizzate per produrre il vino Loazzolo; l’altra è l’appassimento in fruttaio su graticci o in cassette. Talora le due tecniche vengono affiancate. In questo modo si ottiene un vino dolce-non dolce, che può chiamarsi Loazzolo Doc dopo almeno 2 anni di permanenza in cantina. «L’acidità bilanciata che smorza la dolcezza è uno degli aspetti salienti del Loazzolo DOC» spiega SILVIA GALLIANO che con il marito CARLO gestisce BORGO MARAGLIANO. «Delle tre tecniche di appassimento possibili, preferiamo la sovramaturazione in vigna: lasciamo

fino a novembre le uve in pianta, quando sono completamente botritizzate. Il Loazzolo Doc è il fiore all’occhiello della nostra produzione, alla quale dedichiamo circa 800 m2. L’azienda infatti produce prevalentemente metodo classico da Chardonnay e Pinot nero e Moscato d’Asti DOCG». Il Loazzolo DOC si presta ad abbinamenti ben riusciti con i formaggi erborinati, la torta di nocciole, classico dolce langarolo, e il foie gras. Si presta bene ad accompagnare le facezie tra amici di fine pasto per il suo colore giallo dorato, il profumo intenso e complesso con sentori di muschio, zafferano, frutta candita e salvia sclarea. In bocca il dolce vanigliato lascia posto a una inconsueta freschezza aromatica. A 37 km in linea d’aria dal mare, tra boschi e calanchi, su colline a forte pendenza (“vigna alta e scoscesa” scrisse LUIGI VERONELLI), Loazzolo è uno degli angoli dimenticati del paesaggio italiano, un paradiso di silenzio dove riappropriarsi del concetto di tempo e spazio, tra cascinali dispersi nel nulla e muretti in pietra squadrata. C’è anche chi, come la giovane CLARA NERVI (aziendaagricolacapozzolo.it) ha scelto di non abbandonare Loazzolo e farne luogo di lavoro. Adopera gli acini di Moscato e il mosto del Loazzolo DOC per la produzione di mostarda, che si trova accanto ai vasetti di sottoli e una buona confettura di castagne nel piccolo laboratorio del borgo: un percorso alternativo per sentirsi affermati, ma soprattutto a casa. Riccardo Lagorio Forteto della Luja Regione Candelette 4 14051 Loazzolo (AT) Telefono: 0144 87197 Web: fortetodellaluja.it Borgo Maragliano Regione San Sebastiano 2 14051 Loazzolo (AT) Telefono: 0144 87132 Web: borgomaragliano.com Nota Alle pagine 126 e 127 la raccolta dell’uva nei vigneti del Forteto della Luja con il rabel, grande e tradizionale slitta in legno trascinata da cavalli da tiro (photo © www.slowfood.it).

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Conoscere il profumo del vino per bere con maggior piacere L’ultimo volume di Luigi Moio (in foto) — uno dei massimi esperti di enologia italiana, ordinario all’Università di Napoli Federico II, presidente della commissione di enologia dell’OIV, ed esperto scientifico per il MIPAAFT —, è un volume di 504 pagine suddivise in 20 capitoli e dedicate al profumo del vino: Il respiro del vino. Il primo capitolo si intitola “L’essenziale dei cinque sensi” e prende in esame i meccanismi alla base della vista, il cosiddetto “senso dei sensi” per il suo ruolo predominante, dell’udito, il “senso dell’equilibrio”, il tatto o “senso più esteso”, il gusto o “senso nascosto” e, infine, l’olfatto, definito il “senso dimenticato” perché considerato meno importante rispetto agli altri. Il libro prosegue prendendo in esame il congegno olfattivo nel suo complesso, dalle narici fino ai centri di elaborazione cerebrale, per poi soffermarsi sulla distinzione fra odore e aroma. Il terzo capitolo approfondisce l’odore dell’uva, mentre il quarto prende in considerazione quello del mosto. L’esame finale, una vera e propria esplosione a livello olfattivo è rappresentato dal processo di fermentazione alcolica. Ecco come l’autore presenta il suo libro: “Vi parlerò di quel profumo coinvolgente, di quel suo respiro trattenuto, al quale è impossibile opporre resistenza, che anticipa tutto ciò che si sente in bocca subito dopo aver avvicinato il bicchiere alle labbra. Di quel profumo che può essere un effetto del sole di un’alba radiosa o delle nuvole che precedono la pioggia. Di quel profumo che forse è l’aspetto sensoriale più straordinario del vino, perché è anche il linguaggio della sua composizione, della sua storia, delle sue tradizioni, dei territori in cui nasce e dei microclimi che ne accarezzano i giorni. Il vino è la sintesi sorprendente dei profumi di tutto ciò che ci circonda, perché ha nella sua natura più profonda le tracce della terra, dei fiori, dei frutti, delle spezie, del mare, della montagna, del vento, della luce e di tante altre cose che nobilmente rappresenta. L’atto iniziale di chiunque si avvicini al vino è infatti quello di portare il calice al proprio naso per sentirne il profumo, roteando delicatamente il bicchiere, affinché il vino in esso contenuto, simile alla Terra che ruota intorno al proprio asse, possa sprigionare la sua intimità olfattiva. Da quando esiste l’uomo, nella sua cultura gastronomica non c’è altra bevanda o cibo che preveda questo meraviglioso rituale di incontro tra sensibilità, natura ed emozione. È una gestualità mitica, quella legata al vino, che con la sua delicatezza ci aiuta a riappropriarci del nostro tempo e del nostro equilibrio interiore. Sarò certamente felice, perciò, se voi gentili lettori, arrivati all’ultima pagina, riporrete soddisfatti e arricchiti questo mio libro e un attimo dopo vi lascerete prendere dalla curiosità di stappare un’ottima bottiglia del vino che preferite per scoprire l’invitante e meraviglioso mondo di profumi che vi è racchiuso”. Le illustrazioni sono di Ada Natale.

LUIGI MOIO Il respiro del vino Conoscere il profumo del vino per bere con maggiore chiarezza Edizioni Mondadori 503 pp. – € 26,00

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I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA

Degustazione: formaggi di capra di Laura Franchini

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egnano un notevole incremento nei consumi e sui mercati, così come nella produzione: i formaggi di capra riscuotono sempre più successo. Si tratta di formaggi particolarmente digeribili, grazie al ridotto contenuto di caseina, con poco colesterolo e ricchi di principi nutritivi e fermenti lattici, prodotti con quello che fu il primo latte utilizzato dall’uomo. Non irritante per l’intestino, dall’elevato potere saziante, il formaggio di capra è anche mediamente più magro rispetto a quello vaccino, con circa 250 kcal per etto. Sono circa una cinquantina le tipologie prodotte nel mondo, certamente il più noto e più consumato in Italia è il caprino, che può essere di consistenza molle, dura o semidura. In queste ultime versioni è presente una crosta che lo racchiude, variabile nella colorazione a seconda della stagionatura. Tra i più facili da reperire anche il tronchetto di capra, la crema spalmabile e lo stracchino. Tra le terre d’elezione del formaggio di capra c’è certamente la LOMBARDIA, in particolare la zona tra Lecco, Bergamo e la Valsassina, dove nascono sia il caprino che il fiorone di capra, nonché alcune tipologie stagionate. In Valcamonica si trovano alcuni dei formaggi di capra più ricercati, ottenuti dalle capre bionde dell’Adamello, come il

Cadolet, mattoncino a pasta morbida, e il Motelì, teneri tocchetti prodotti con l’aggiunta di caglio, lavorati con salatura a secco e stagionatura che varia dai 3 ai 15 giorni. Sempre in Valcamonica troviamo lo Sta’el, prodotto con salatura in salamoia e stagionatura di 30 giorni, dal colore paglierino, a pasta bianca e morbida. Pregevole anche il Fatulì, dalla crosta gialla brillante dovuta all’affumicatura e all’eccezionale stagionatura, che può durare fino a 6 mesi. Anche il PIEMONTE vanta una ricca produzione di formaggi di capra, soprattutto robiole e tomini, ma troviamo anche un erborinato, il Blu di capra della Valcerrina o il Caprino della Val Vigezzo. In LIGURIA c’è il Caprino della Valbrevenna, formaggio a coagulazione lattica ricoperto con cenere di faggio o castagno, mentre in TRENTINO-ALTO ADIGE spicca il formaggio di capra di Lagundo, grossa forma a pasta molle. Nel CENTRO ITALIA vengono prodotti caprini, spesso aromatizzati con erbe e spezie, alle volte con carbone, e ricotte; da citare la Marzolina di capra della Ciociaria, prodotta con caglio di capretto. Il re dei formaggi caprini del Sud è il Cacioricotta, conosciutissimo quello del CILENTO, mentre in SICILIA è presente l’antico Padduni, già citato da OMERo, condito con peperoncino o pepe.

Caratteristica peculiare dei caprini, soprattutto se freschi, è la pungente intensità del sapore. Il vino deve quindi essere, in linea generale, capace di lenire le micropunture del caprino e, al contempo, non essere tanto piatto da farsi dominare dal formaggio

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Panino con formaggio di capra e miele. Ottimo con un calice di vino bianco come il Sauvignon (photo Š Natasha Breen – stock.adobe.com).

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Franciacorta DOCG Satén Brut Biondelli Siamo nel cuore della Franciacorta con questa cantina che, condotta con metodo biologico e grande perizia, vede in una splendida casina cinquecentesca il suo quartiere generale. Il calice degustato è prodotto con uve Chardonnay in purezza e si presenta visivamente di un bel giallo paglierino brillante. Al naso è decisamente coinvolgente, con ricche note fruttate dolci ma assolutamente non stucchevoli, sono soprattutto scorze di agrumi e dolcezze di paste lievitate, contornate da miele e acacia, ricordi silvestri e note di liquirizia in chiusura. Altrettanto avvincente la sorsata, piena e caratterizzata da una grandissima bevibilità, morbido e suadente il perlage, fine ed elegante. Adattissimo al rito dell’aperitivo, ma anche al tutto pasto, non deluderà con formaggi di capra morbidi, da provare con tartine di pane di segale e caprino, condite con olio extravergine d’oliva.

Cantine Biondelli Via Basso Castello 2 25046 Bornato di Franciacorta (BS) Telefono: 030 2075056 E-mail: info@cantinebiondelli.com Web: www.biondelli.com

Offida DOCG Pecorino Geko RipaWine Azienda vitivinicola cooperativa con i vigneti, di impronta biologica, tra i 250 e i 400 metri sul livello del mare, dal quale attinge profumi ed influenze, questa realtà fonda la propria filosofia sul rispetto del territorio e sulla valorizzazione del patrimonio autoctono. Il calice scelto si porge visivamente di un bel colore giallo paglierino con riflessi dorati decisi, così come è altrettanto decisa la parte olfattiva, con toni minerali e vegetali, di erbe di campo ed erbe aromatiche, pulite e nette. Seguono note fruttate di agrumi e frutti esotici, ananas e papaia, ricordi di fiori di acacia e gelsomini. La sorsata è ampia, armonica, persistente, sapida e morbida, circolare nelle note olfattive. Adatto al tutto pasto, alle grigliate e ai fritti di pesce, non sfigurerà con un formaggio di capra di media e buona stagionatura.

Soc. Coop. Agricola RipaWine Via Fonte Abeceto 34 63065 Ripatransone (AP) Telefono: 333 1419368 E-mail: info@ripawine.it Web: ripawine.it

Barolo DOCG La Serra Marcarini La FAMIGLIA MARCARINI, giunta alla sesta generazione, continua a condurre con sapienza e passione l’azienda di famiglia sita a La Morra, iconica zona, patrimonio della viticoltura mondiale. Mantiene le promesse di un territorio e di una denominazione così importanti questo nobile calice, che si presenta di un vivissimo rosso granato, con riflessi rubino, e al naso regala copiose note tipicissime e varietali di rose e viole, con ricordi estremamente eleganti di frutti di bosco e foglie di tabacco. La sorsata è virile e al tempo stesso estremamente raffinata, aristocratica e ben nel solco della tradizione. Calice che si presta con destrezza al rito della meditazione e che ben accompagna piatti strutturati di carne e selvaggina. Perfetto con assiette di formaggi di capra ben affinati e stagionati, serviti con gelatina di cassis.

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Azienda Agricola Marcarini Piazza Martiri 2 12064 La Morra (CN) Telefono: 0173 50222 E-mail: marcarini@marcarini.it Web: marcarini.it

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Soave DOC Il Decennale Corte Adami

Corte Adami Via Circonvallazione Aldo Moro 32 37038 Soave (VR) Telefono: 045 6190218 E-mail: info@corteadami.it Web: www.corteadami.it

È dal 2004 che questa virtuosa cantina decide di vinificare in proprio le sue uve, creando così una splendida realtà produttiva, con ottimi vini. Forti di un territorio, quello del Soave, decisamente vocato, e di un cru, quello di Castelcerino, la FAMIGLIA ADAMI produce questo brillante calice di uve Garganega in purezza da vendemmia tardiva. Ne risulta un vino di grande carattere, le cui uve vengono raccolte a fine ottobre, lasciate criomacerare per 12 ore e poi pressate delicatamente. Viene imbottigliato senza filtrazione, per meglio garantire quelle note olfattive che lo caratterizzano e che escono con eleganza e raffinatezza: note fiorite di ginestre e biancospino, frutta esotica e gialla matura, erbe aromatiche, datteri e note minerali. Versatile e gastronomico, assolutamente adatto ai formaggi di capra ben stagionati e dalla forte personalità.

Marsala Secco Riserva 2012 Sicilia DOC Curatolo Arini

Baglio Curatolo Arini 1875 Srl Via Vito Curatolo Arini 5 91025 Marsala Telefono: 0923 989400 E-mail: info@bca1875.it Web: www.curatoloarini.com

Ben 150 gli anni sulle spalle di questa realtà che attinge a piene mani dall’esperienza e dalla tradizione, anche e soprattutto per la produzione dei vini Marsala: è infatti la prima azienda produttrice di Marsala, titolo che onora con impegno e costanza. E questa caparbietà emerge senza indugio in questo calice, intenso ed elegantissimo. Sono subito le note olfattive a conquistare il degustatore: ricchi e finissimi ricordi di datteri, uva di Corinto e mandorle tostate, fichi secchi e vaniglia, con contorni minerali. Al palato non tradisce, armonicissimo e ben equilibrato tra le parti, ottima la spalla acida a sostegno di calore e morbidezza. Perfetto per meditazioni enologiche, si presta splendidamente ad accompagnare formaggi di capra e non solo, anche stagionati a lungo e dai sapori intensi, accompagnati da miele e marmellate di fichi.

Sangiovese Romagna DOC Superiore Riserva Pandolfo Vecchia Vigna La Pandolfa

Azienda agricola La Pandolfa Via Pandolfa 35 47016 Fiumana di Predappio Telefono: 0543 940073 E-mail: info@pandolfa.it Web: pandolfa.it

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La magnifica villa che domina la valle di Rabbi a Predappio, sede della cantina, ha ospitato, dagli inizi del ‘700, numerose personalità, principi, nobili ed artisti. Al centro della tenuta il cui sembra derivare da PANDOLFO MALATESTA, che 1436 vi stazionò per meglio saccheggiare il castello di Fiumana. Ora la tenuta conta 90 ettari dedicati all’agricoltura, 30 dei quali ai vigneti. Il calice degustato è intenso e dalla splendida e articolata complessità olfattiva, con note linde floreali, viole, bergamotto e ginepro, di grandissima classe anche al palato, dove esprime una grande armonia, ampiezza, eleganza. Un vino virile, tipico, pregevole, che si adatta ai piatti più complessi della tradizione romagnola, alle lasagne e al ragù, alla selvaggina da pelo e da piuma. Assolutamente adatto ai formaggi strutturati, da provare con formaggi di capra stagionati, anche accompagnati da marmellate di prugnoli o visciole.

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STORIA E CULTURA Antichi gastronomi e salumi per i giorni di festa

Salumeria dell’antica Roma di Giovanni Ballarini

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a lugànega, anche detta luganiga o luganica, è un insaccato fresco tipico del Veneto e della Lombardia, realizzato con carne di maiale macinata insieme a grasso suino, insaccata a filza, da consumarsi previa cottura. Viene usata anche nella preparazione di pietanze, ad esempio i risotti. La sua denominazione sembra derivare dall’uso in epoca romana di indicare lucanica una salsiccia originaria della Lucania, antica regione coincidente grosso modo con l’attuale Basilicata, parte della Campania meridionale (Cilento) e parte della Calabria settentrionale. Di questa denominazione è testimone VARRONE, il

quale, nella sua opera De lingua latina (V, 111), informa di “una salsiccia fatta con l’intestino crasso del maiale chiamata lucanica, perché i soldati l’hanno imparata a fare dai Lucani”. Meno probabile risulta il fatto che ad importare la luganega nell’Italia settentrionale, molti secoli dopo i Romani, siano stati i Longobardi, i quali discesero la penisola italiana e occuparono anche la Lucania, la cosiddetta Langobardia minor. Dei salumi dell’antica Roma, a diverso titolo, si sono occupati anche poeti; tra i testimoni d’eccezione si annovera MARCO VALERIO MARZIALE, che nacque a Bilbili, nella Spagna Tarraconense, tra il 38 e il 41 dell’era corrente e ivi

morì tra il 102 e il 104. Questo poeta latino, del quale ci sono pervenuti 14 libri che dimostrano la sua straordinaria agilità di scrittura, tratteggia nei suoi epigrammi, con un linguaggio spesso provocatorio e a tratti perfino osceno, i costumi dei ricchi e degli arricchiti del suo tempo, considerando molti dei loro comportamenti anche a tavola. Salsicce festive Il termine odierno di salsiccia (da ciccia o carne e sale) è abbastanza recente. Al tempo di Marziale, oltre alle citate lucaniche, i budelli animali riempiti con carne, grasso, organi o sangue, soprattutto di maiale, e sale, destinati

Lucanica di Picerno Igp. Le salsicce provenienti dalla Lucania, l’attuale Basilicata, erano molto apprezzate fin dall’antichità ed erano mangiate di solito in accompagnamento ad una polenta di farro e orzo.

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alla conservazione erano denominati botulus o botellus e insicia (carne insaccata). Il maiale era sacrificato nella stagione fredda, dopo un ingrassamento autunnale. Ma se nel Medioevo il rito avveniva tra Santa Lucia (13 dicembre) e Sant’Antonio (17 gennaio dell’anno successivo), nella Roma di Marziale si compiva prima dei Saturnali, il ciclo di festività dedicato all’insediamento nel tempio del dio Saturno che si svolgeva dal 17 al 23 dicembre, periodo fissato in epoca imperiale da Domiziano. I Saturnali iniziavano con grandi banchetti, dove i commensali facevano abbondante uso di carni (tra queste anche di maiale), e culminavano con sacrifici in un crescendo che assumeva anche caratteri orgiastici. I partecipanti usavano scambiarsi l’augurio io Saturnalia, accompagnato da piccoli doni simbolici, detti “strenne” o “doni da portare via”. Marziale ricorda i Saturnali di Sabello: “…dalle salsicce di Lucania con la trippa dei Falisci…” (…et Lucanica ventre cum Falisco…, MARZIALE, Liber quartus, XLVI), ma soprattutto fa riferimento al periodo: “la salsiccia che ti arriva a metà inverno, / io l’avevo avuta prima dei sette giorni di Saturno” (Qui venit botulus mediae tibi tempore brumae, / Saturni septem venerat ante dies, MARZIALE, Apophoreta, LXXII). Tra tutte le salsicce cucinate e mangiate nelle feste progenitrici delle ancora presenti “maialate”, le più apprezzate erano proprio quelle provenienti dalla Lucania, preparate con le carni dei maiali di razza Picena, mangiate di solito in accompagnamento ad una “polenta bianca”, una puls di cereali, soprattutto farro e orzo (il mais, che darà origine alla polenta gialla, non era ancora arrivato in Europa). “Eccomi, la figlia lucana di una scrofa del Piceno / sarà una corona gradita alla bianca polenta” (Filia Picenae venio Lucanica porcae: / Pultibus hinc niveis grata corona datur, MARZIALE, Xenia, XXXV). Salsicce e polenta: un’antica invenzione! Perna e petaso Tra le parti del maiale conservate con il sale e l’asciugamento, favorite dal clima e non di rado anche dal calore della legna e dal fumo, la coscia e la spalla hanno un ruolo di primo piano fin dall’antichità. Già nel V secolo a.C., come dimostrano indagini di archeozo-

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Jambon d’Ardenne. Il microclima della zona, con importante circolazione d’aria umida, è considerato indispensabile per la buona riuscita di questo prosciutto. Prima della stagionatura il prodotto è sottoposto ad un processo di affumicatura con rami di ginestra e spezie. ologia, gli Etruschi dell’area vicina a Mantua (Mantova), e precisamente a Pietole, nel comune di Borgo Virgilio, esportavano cosce di maiale, senza dubbio conservate con il sale. La denominazione attuale delle cosce di maiale conservate, quindi prosciugate, è all’origine del termine prosciutto, che sotto un certo aspetto giustifica anche il termine di prosciutto di spalla. Secondo un’opinione largamente condivisa, nell’antica Roma perna sa-

rebbe la coscia di maiale, mentre petaso o petasone la spalla, entrambe le parti salate e conservate. Se per la perna si fa riferimento alla gamba (pierna è ancora presente nel maiale spagnolo), il petaso può forse fare riferimento a un cappello basso e a larghe falde usato soprattutto durante i viaggi, tipico del dio Ermes, che potrebbe richiamare la forma di una spalla di maiale, piatta e non globosa come la coscia. Gli antichi Romani erano grandi mangiatori di carni di maiale conserva-

I Romani apprezzavano talmente il prosciutto crudo da dedicargli una via, l’odierna Panisperna, termine composto dalla parola “panis”, che significa pane, e “perna”, prosciutto, mentre Marco Terenzio Varrone, nel suo trattato “De re rustica”, segnala importazioni di prosciutti dalla Gallia Cisalpina per soddisfare la richiesta sempre maggiore di tale prodotto

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La spalla cruda di Palasone Sissa, salume tipico del Parmense. te, in particolare di prosciutti o pernae, largamente importati a Roma dalla Gallia Cisalpina (l’attuale Emilia) e in gran quantità presenti nell’alimentazione dei legionari. In ogni caso è da ritenere fossero prodotti molto salati, duri, quindi da mangiare prevalentemente dopo cottura, secondo uno stile che si è conservato fin quasi al 1800. Meglio la coscia o la spalla? Certamente la prima, com’è inciso su di un’epigrafe marmorea custodita nei Musei Capitolini di Roma che dice: “Abemus in cenam pullum piscem pernam paonem”. Un’insegna che vanta una cucina d’alto livello perché, accanto al pollo, al pavone e al pesce, è pubblicizzato il prosciutto. Di questo parere era anche Marziale, che tuttavia dimostrava una forte predilezione per alcuni tipi di prosciutto, più o meno come avviene ancora oggi, quando si discute se sia migliore il prosciutto di questa o quella regione. “Voglio solo il prosciutto cerretano o quello che arriva / dalla terra dei Menapi: il petasone lo mangiano i ricchi” (Cerretana mihi fiat vel missa licebit / de Menapis: lauti de petasone vorent,

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MARZIALE, Xenia, LIV). Tra quelli italiani Marziale amava quindi il prosciutto proveniente dal paese dei Cerretani (Cerreto di Spoleto, in Valnerina), la cui produzione documenta l’antica consuetudine di preparare i prosciutti in questa parte del territorio umbro. Straniero o esotico era invece quello che arrivava dalla terra dei Menapi, una tribù celtica appartenente al territorio della Gallia Belgica. Secondo STRABONE e TOLOMEO, in epoca preromana e romana questo popolo viveva nella zona dell’estuario del Reno e verso sud, lungo il fiume Schelda, fino alle Ardenne; la loro città principale era l’oppidum di Cassel, nei pressi di Thérouanne (Francia del nord). I Menapi resistettero tenacemente alla conquista romana fino al 54 a.C. Solo dopo diverse campagne GIULIO CESARE riuscì a piegarli, rendendo probabile l’ipotesi che, attraverso i bottini di guerra, i legionari di Cesare imparassero a conoscere e poi a portare a Roma i prosciutti che producevano, secondo una tradizione che arriva fino ai nostri giorni con i prosciutti belgi e, soprattutto, il Jambon d’Ardenne.

Di non facile interpretazione è l’opinione di Marziale, che lascia il petasone ai ricchi, quasi fosse una stranezza o una moda esibizionista, mentre in un altro epigramma condanna il petasone vecchio: “Giovane come mosto: svelto, gli amici non farli aspettare / Con il petasone stagionato non voglio avere a che fare” (Musteus est: propera, caros nec differ amicos. / Nam mihi cum vetulo sit petasone nihil, MARZIALE, Xenia, LV). Considerando che il prosciutto era un cibo militare e popolare, che si trovava anche nelle tabernae lungo le strade, si può supporre che la spalla di maiale, più grassa della coscia e soprattutto di grande dimensione, avesse un’aria di nobiltà particolare, come peraltro avviene ancora oggi per le spalle stagionate, crude e cotte. Non si dimentichi che nel 1800 GIUSEPPE VERDI, grande musicista ma anche fine gastronomo, mandava in regalo al suo editore GIULIO RICORDI, in occasione delle feste natalizie, due spalle, non un prosciutto. Non è neppure una novità che esistano spalle o petasoni troppo invecchiati, quindi da rifiutare. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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Il profumo della tradizione, il gusto della qualitĂ .

Bacio della Luna Spumanti s.r.l. Via Rovede, 36 31020 Colbertaldo di Vidor TREVISO info@baciodellaluna.it www.baciodellaluna.it Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG Millesimato

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Prosecco DOC Vino Spumante Extra Dry

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