Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98 Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori DALSALUMIFICIOALLASALUMERIANONSTOP Anno XXXV N. 3 Maggio-Giugno 2023 € 6,70
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Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
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EURO ANNUARIO CARNE 2023
Euro Annuario Carne
La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni.
Edizione 2023
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Premiata Salumeria Italiana, 3/23 3
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23
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Riserva del Fondatore 24 mesi. Le migliori cosce, pochissimo sale e due anni di riposo: un capolavoro destinato a soli intenditori. L’armonia tra la dolcezza e gli intensi aromi scaturiti dai 24 mesi di stagionatura rende questo prosciutto unico nel panorama del Parma di Qualità. LANGHIRANESE PROSCIUTTI S.r.l. - Via A. De Gasperi, 1 - 43013 LANGHIRANO (PARMA) ITALIA - Tel. e Fax +39 0521 857162 www.langhiranese.it - e-mail: mail@leoncini.com GRUPPO
In questo numero: Agenda Camignone (BS) – Rimini 12 La copertina esplosa Prosciutto di Parma DOP 14 Dietro al banco Tre domande a Andrea Falaschi Gaia Borghi 16 Brevi storie di cibo lento Saluti & Baci dlla Valtellina Alessia Morabito 20 a velocità contemporanea Il food in rete Social food Elena Benedetti 24 Premiata Salumeria Italiana, 3/23 5 A pagina 70. N. 3
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Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
Attualità Novità in Romagna: il Disciplinare della Piadina IGP accoglie nuove varianti Chiara Papotti 28 RossoPiccante 32 Aziende CLAI, la passione del fare Elena Benedetti 26 Pancetta Contadina San Bono: estasi dei sensi 42 Mannetti: il marchio storico di Antrodoco torna a pulsare 44 nel cuore verde del Lazio Interviste Carne e gin, anzi Bugin: Mauro Schiavo ci racconta evoluzione Gaia Borghi 48 e progetti della sua idea imprenditoriale La Qualità Crudo di Cuneo DOP: più qualità e più distintività 52 Visual Vetrina, l’inizio di tutto Elena Benedetti 58 Belle Botteghe Lo Squisito Sebastiano Corona 60 Turismo enogastronomico Sapori trentini: la forza del territorio Massimiliano Rella 64 Carinzia: sulle orme di vino e formaggio Riccardo Lagorio 70 Il buono secondo Lara Da condimento povero a prodotto gourmet: il lardo ieri e oggi Lara Abrati 80 Salumi in tavola L’antipasto a cui non si può resistere Giorgia Fieni 82 Street food Nuova vita per gli hot dog Giorgia Fieni 86 Premiata Salumeria Italiana, 3/23 6 Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori DALSALUMIFICIOALLASALUMERIANONSTOP Anno XXXV N. 3 Maggio-Giugno 2023 € 6,70
In copertina: panino a strati con Prosciutto di Parma DOP (photo © Massimiliano Rella).
A pagina 118.
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 8 www.premiatasalumeriaitaliana-online.com Analisi del food Aceti di frutta una nuova frontiera Giovanni Ballarini 90 Week-end Fano gastronomica Riccardo Lagorio 92 Fiere Vinitaly 2023: un salone a pieno regime 94 Cibus Connecting Italy fa il pieno 96 Tuttofood 2023, bellissima edizione 104 Formaggio Robiole: guai a chi snobba quelle “minori” Chiara Papotti 115 Cuneo, formaggi da record Riccardo Lagorio 118
A pagina 42. A
A pagina 44.
pagina 48.
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 10 www.premiatasalumeriaitaliana-online.com Lo chef dell’olio Evo Experience Fabrizio Bertucci 122 Storia e cultura Salsamenteria petroniana: Medardo Bassi Josette Baverez Blanco 124 Tecnologie I vantaggi dell’ERP CSB-System 126 I vantaggi offerti dalla tecnologia RFID gestita da Track Alimenti 128 Tre Libri Neurofood – Chef portraits – Guida agli extravergini 2023 132
A pagina 122.
A pagina 64.
A pagina 60.
Rimini
“La Rimini sognata da Massimo Bottura si trasforma in realtà. Grandi chef diventano cuochi di strada manipolando i prodotti della nostra terra; giovani designer producono idee con le proprie mani; agricoltori e vignaioli propongono le loro eccellenze. Tutto questo è Al Mèni le cose fatte con le mani e con il cuore”
L’appuntamento per 2023 è per il 17 e 18 giugno. Ci saranno grandi cuochi e chef stellati, artigiani, produttori di eccellenze e non mancheranno i Laboratori sensoriali per grandi e piccoli, degustazioni e conferenze per gli appassionati. “Un percorso del gusto attraverso le eccellenze del territorio emilianoromagnolo. Dal Parmigiano Reggiano all’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, dal Culatello di Zibello al Prosciutto di Parma, passando per frutta, piada e squacquerone, i pesci del nostro mare e i funghi del nostro Appennino” (photo © facebook. com/circomercatoalmeni). www.almeni.it
Camignone (BS)
L’aria di primavera apre la stagione degli eventi all’aperto e l’azienda agricola Mosnel, produttrice dei meravigliosi vini di Franciacorta da ben cinque generazioni, è pronta a ripartire con le sue proposte. A partire da fine maggio, e per alcuni week-end estivi, prenderanno infatti il via i picnic d’autore, che vedranno protagonisti quattro ristoranti franciacortini e i vini Mosnel. Il 29 maggio aprirà la stagione Al Malò, per tornare poi il 25 e 26 giugno. Il 2, 3, 4 giugno e il 2 e 3 luglio sarà invece la volta de La Dispensa. Il 18 e il 19 giugno e il 9 e 10 luglio toccherà a Casa Marcellina, che passerà il testimone a La cucina del Santellone (BS) il 16, il 17, il 23 e il 24 luglio. Nei menù ci sarà la possibilità di scegliere la proposta vegetariana. L’occorrente per il picnic comprenderà, oltre alle pietanze, uno zainetto, una bottiglia di Franciacorta Mosnel ogni due persone, da scegliere in azienda fra i prodotti senza annata, e due calici serigrafati. Occorre prenotarsi almeno 48 ore prima e presentarsi in azienda a partire dalle 12:00 del giorno prescelto per ritirare lo zaino termico già pronto. A quel punto non resterà che scegliere il proprio angolo preferito all’interno dei vigneti aziendali a conduzione biologica e godersi il pranzo all’aperto. Prima o dopo il picnic si potrà anche fare una visita guidata del borgo e della cantina, compresa nel pacchetto. www.mosnel.com
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AGENDA
A Verona il cibo nelle fotografie Magnum dagli anni ‘40 a oggi
Un salto nel tempo tra le immagini che legano i volti dei divi di Hollywood, l’arte, la religione, il viaggio e i cambiamenti sociali con un solo comune denominatore: il cibo. Questa è Photo&Food. Il cibo nelle fotografie Magnum dagli anni ‘40 a oggi, la mostra a cura di Walter Guadagnini dedicata al cibo e alla sua rappresentazione nella fotografia, in un percorso che attraversa gli ultimi 80 anni allestito all’interno dell’Eataly Art House di Verona e aperto fino al 17 settembre.
Photo&Food è divisa in cinque sezioni, ordinate secondo un andamento cronologico e tematico, volto a narrare e descrivere il complesso rapporto tra la vita dell’uomo e tutte le attività, naturali e culturali, legate agli alimenti. Ad aprire la mostra sono immagini in bianco e nero “Dalla guerra al Boom”, con scatti che riprendono il dramma del secondo conflitto mondiale, fermando su pellicola sguardi di uomini, donne e bambini che testimoniano fame e sofferenza. Poi gli anni ‘50 e ‘60 dove ripercorriamo i decenni della ricostruzione e del miracolo economico. Un periodo durante il quale il nuovo benessere si traduce con la mondanità vissuta tra caffè e ristoranti. Gli anni ‘60 sono anche quelli che vedono sempre più l’ascesa di attori e star system. Mutamenti che danno corpo alla sezione “Il cibo delle star”, basata su un concetto di convivialità che rende il cibo quasi come uno spettacolo. Ci sono i volti di Marilyn Monroe e Ronald Reagan, Alfred Hitchcock e Muhammad Alì. E ancora “dal Surrealismo alla Pop Art”, che riconosce nel cibo un importante ruolo estetico e sociale; “Dal produttore al consumatore”, lungo tutta la filiera agroalimentare; “Il cibo estremo”, che analizza l’ambito della produzione alimentare; “A tavola con le religioni”, che innalza il cibo a una dimensione simbolica (fonte: Corriere del gusto).
>> Link: eatalyarthouse.it/arthouse/photofood
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Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98 Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori DALSALUMIFICIOALLASALUMERIANONSTOP Anno XXXV N. 3 Maggio-Giugno 2023 Premiata Salumeria Italiana, 3/23
LA COPERTINA ESPLOSA
La nostra copertina di Maggio-Giugno ha come protagonista un goloso panino a strati con Prosciutto di Parma DOP tagliato sottilissimo, rucola ed erbe aromatiche: è l’omaggio della Redazione di PREMIATA SALUMERIA ITALIANA ad uno deiprodotti più rappresentativi del made In Italy alimentare. Il Prosciutto di Parma è buono, sano e genuino. Da sempre per la sua produzione non si utilizzano né conservanti né additivi. Alla coscia di maiale e al sale si aggiungono altri due soli ingredienti: il tempo e il vento delle profumate colline parmensi. L’unicità del territorio produttivo — un’area limitata della provincia di Parma — è proprio quella di avere le condizioni climatiche ideali per la stagionatura naturale, che darà quell’inconfondibile dolcezza e gusto al prosciutto. E auguri ai suoi produttori e al suo Consorzio che proprio quest’anno compie 60 anni di vita! (prosciuttodiparma.com)
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TRE DOMANDE a Andrea Falaschi
di Gaia Borghi
Quasi 100 anni di storia per una macelleria-norcineria e per un cognome, Falaschi, che rappresenta il cuore (in tutti i sensi in cui è declinabile il termine) della salumeria toscana. La bottega si trova nel centro storico di San Miniato, a metà strada tra Pisa e Firenze, sulla Via Francigena, meta di pellegrini del gusto che arrivano qui da tutto il mondo. Fu GUIDO FALASCHI ad aprire la macelleria di famiglia nel 1925, passando il testimone ai figli VASCO e BRUNO. Nel 1967 fu la volta di SERGIO con la moglie LINA, cuoca straordinaria, e oggi dietro al banco c’è ANDREA. Quattro generazioni di MACELLAI (come testimonia il grembiule a lettere maiuscole che si indossa in negozio) che propongono
alla propria clientela carni fresche (seguendo la filosofia dell’utilizzo, e quindi della vendita, di TUTTO L’ANIMALE) da allevamenti locali di bovini, suini, ovini, carni bianche e salumi di produzione propria, dal salame di Suino grigio al rigatino passando per il prosciutto di Cinta alla Finocchiona giù giù fino al mallegato, antico salume a base di sangue di maiale presidio Slow Food. Da qualche tempo il laboratorio dove venivano prodotti i salumi (oggi trasferito in un nuovissimo impianto a bollo CE situato fuori dal centro) è stato trasformato nel Retrobottega, un ristorante — con terrazza e vista mozzafiato sulle colline sanminiatesi —, all’insegna del “mangia & bevi felice”. Andrea Falaschi ha una passione sconfinata per il cinema (ha
scritto un libro sui manifesti cinematografici, L’imbroglio di carta), la musica (un evento come Jazz in Macelleria, che ha compiuto proprio a maggio 19 anni, ne è la prova) e i viaggi (riceve spesso in bottega studenti italiani e stranieri e viene regolarmente invitato da altri macellai, scuole, università, dagli Stati Uniti all’Islanda, per insegnare il taglio delle carni e la norcineria toscana). Tutto questo rende unico il suo modo di essere e fare salumeria.
Quanto è cambiata la professione di salumiere negli ultimi 10 anni?
«La salumeria e la macelleria in questi dieci anni sono cambiate tantissimo. Mi spiego meglio: dieci anni, per i tempi che corrono, sono un secolo. Salumeria
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e macelleria sono cambiate perché è cambiato tutto quello che ci sta intorno, la realtà in cui viviamo: sono cambiate le richieste, le indicazioni del cliente e noi con loro. Oggi chi sta dietro al banco è molto più “interattivo”, deve saper parlare più lingue, indipendentemente dal fatto che viva in una zona più o meno turistica, perché c’è stato concretamente un grande aumento nel flusso di presenze di stranieri; deve tener conto dell’esistenza e della diffusione dei social, Facebook, Instagram, foto di chiunque che girano in rete che servono a farti conoscere, farti vedere, ma che sono sempre e comunque immagini che restano perché “una foto è sempre una foto” e quindi bisogna sempre essere pronti, preparati. L’accoglienza è un
aspetto molto importante del nostro lavoro. Da oltre dieci anni siamo propensi a fare assaggi per chi entra in bottega, a raccontare, cercare di far capire il nostro prodotto, ma sono convinto si possa e si debba andare anche oltre: ad esempio offrire anche un buon calice di vino e non necessariamente un vino locale. Insomma, rompiamo un po’ i classicismi, incrociamo di più i gusti, gli abbinamenti».
Cosa cercano oggi i clienti?
«I clienti cercano sempre la stessa cosa dal giorno dei giorni: cercano il “meglio”, che è poi qualcosa che non esiste e, soprattutto, che nemmeno loro sanno, nella stragrande maggioranza dei casi, cosa sia realmente. Ti faccio
un esempio: nel mio ristorante servo bistecche gigantesche, 3-3,5 kg. Quando le porto al tavolo, prima della cottura, la prima cosa che mi viene chiesta è di poter fare una foto. C’è questa cosa oggi chiamata instagrammabilità , che non so quanto abbia a che vedere con una scelta di gusto personale, una scelta consapevole, o sia invece soltanto voglia di farsi vedere, di mostrarsi agli altri in un certo modo, di adeguarsi alla moda, alla tendenza del momento. Pensa che ancora in tanti in negozio o al ristorante chiedono solo e sempre il classico filetto, confondendo la morbidezza con la bontà di un taglio, non sapendo nulla delle cotture, di cose come l’importanza del grasso… Veniamo anche da un periodo che
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 17
definirei di decadenza del cibo, in cui il food, per capirci, è diventato figo, hollywoodiano, rock… C’è stata una fortissima speculazione su alcuni prodotti che secondo me invece, alla fin fine, si è tradotta soltanto in una questione di sovrapprezzo: ma ricordiamoci che caro non è sinonimo di qualità.
Insomma, quello che vuole il cliente tante volte non è chiaro nemmeno a lui, perciò pensiamo prima e innanzitutto a quello che possiamo e vogliamo offrire noi. Oggi dobbiamo essere abili, agili, tanto più ora che le salumerie, le botteghe devono fronteggiare un aumento di costi altissimo, è necessario cercare di creare un meccanismo sostenibile nel vero senso della parola a partire dall’offerta in negozio, sul banco».
Quanto è importante l’esposizione dei prodotti, dentro e fuori dal banco?
«Se penso ad un film come La proprietà non è più un furto di ELIO PETRI, in cui viene rappresentata una macelleria negli anni ‘70, quello che si vede è un luogo sterile, asettico, anche perché noi
abbiamo a che fare con una materia, la carne, che è in evoluzione, e quindi, oltre all’esposizione, bisogna sempre ricordare di mantenere una carta velocità di esecuzione.
L’ apparecchiatura del banco, l’esposizione al pubblico della carne, negli ultimi anni purtroppo si è omogeneizzata in maniera unidirezionale, nel senso che a volte sembra esistere solo la “bistecca”: nelle vetrine si trova troppo spesso un accatastamento visivo di sole “colonne vertebrali”, come se l’animale non fosse anche altro! La mappatura del sezionamento, tanto cara a noi macellai, è sempre stata rimontata e reinterpretata direttamente sul banco: anteriore, posteriore, prima qualità, seconda qualità... Il cambio generazionale in bottega a volte ha portato invece alcune macellerie e salumerie a “travestirsi” da boutique, da gioiellerie: ma sono due cose che non c’entrano proprio niente!
Tra fuori e dentro il banco per me si tratta di un unico luogo da allestire con accuratezza ed equilibrio a livello
cromatico: dobbiamo creare una situazione piacevole a livello espositivo, armoniosa, alleggerendo la materia prima appunto. Noi allestiamo il banco, la vetrina, usando piante vere del nostro giardino, le spezie dell’orto, giocando con quelle che sono alla base dell’aromatizzazione dei salumi come il rosmarino, le collane di aglio e di peperoncino… Una delle cose più belle entrando in una salumeria, infatti, è sentire nell’aria il profumo del fermentato naturale, dell’insaccato, che diventa protagonista e caratterizza fortemente l’aria del locale, rendendo piacevole la sosta all’interno e stuzzicando l’appetito, facendoti venire voglia di mangiare quello che vedi».
Gaia Borghi
Macelleria Norcineria
Sergio Falaschi – Retrobottega
Via Augusto Conti 20
56028 San Miniato (PI)
Telefono: 0571 43190
E-mail: info@sergiofalaschi.it
Web: www.sergiofalaschi.com
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Andrea Falaschi e il trio Scafroglia, alias Andrea Vincenti, Mirco Capecchi, Tommaso Ceccatelli e Claudio Ingletti, insieme per la 19a edizione dell’evento Jazz in Macelleria. Con loro anche Martina Vincenti, La Tipografa toscana, autrice dei manifesti.
Saluti & Baci dalla Valtellina
di Alessia Morabito (illustrazioni di Alessia Serafini)
Mi riferisco spesso alla cucina chiamandola “laboratorio”
Sento definire altrettanto spesso la cucina “l’anima della casa”.
Che sia professionale o domestica, sono davvero due posti diversi?
È forse sbagliato far passare dall’anima anche quello che ha bisogno di un approccio tecnico?
Negli incontri quotidiani, nei corsi amatoriali, nei libri di cucina, nel confronto coi colleghi, e anche dalla spesa che spio nei carrelli del supermercato, vedo la cucina essere percepita sempre più come assemblaggio e non come trasformazione: non si cucina, si mettono assieme cose.
Prodotti semilavorati, già porzionati, conditi, precotti, hanno soppiantato una reale varietà dell’offerta. Lo si vede anche nella raccolta differenziata casa per casa: il sacco della plastica è grande e resistente, quello dell’organico è piccolo e delicato e non è contemplato che abbia da buttare le ossa esauste di un cappone intero o la parte legnosa di un bel mazzo di cavolo nero.
Giustifichiamo questo cambiamento in nome del poco tempo libero, ma… quel prodotto pronto ad essere assemblato con un altro chi l’ha trasformato per me? E perché l’ha trasformato così?
L’ha fatto passare dall’anima dello stabilimento o solo dai macchinari?
Davvero questo maneggiamento è un valore aggiunto che ci consente di risparmiare del tempo o mi toglie il tempo di qualità nel quale mi prendo cura del mio corpo attraverso il pasto?
On-line ho visto una influencer prendere della bresaola confezionata, farcirla di formaggio morbido, arrotolare la fetta e chiamarla “la mia ricetta”. Non un riferimento al prodotto e al produttore.
Siamo nel 2023. Quel video banale mi ha prostrato perché le vaschette di salume possono essere sostituite da un sottovuoto domestico ed una piccola affettatrice compatta ed economica e della bresaola si dovrebbe provare a parlare in maniera diversa.
La bresaola è un salume di bovino tipico della Valtellina ed alcune zone della Val d’Ossola.
Si ricava da punta d’anca, magatello e sottofesa Il pezzo di carne, ben nettato dalle membrane muscolari viene cosparso della concia: sale, spezie, erbe aromatiche e vino rosso. Si lascia marinare per alcuni giorni, poi si avvolge in un budello, si lega e si mette ad asciugare e stagionare.
Al taglio è rossa scura e con venature di grasso più o meno intense, a seconda dell’animale d’origine.
Ma davvero gli involtini di bresaola con il formaggio dentro sono percepiti come una ricetta?
E che ne è stato dell’inchiesta sull’origine estera della carne per la realizzazione della bresaola?
E chi lavora cercando di produrre il miglior prodotto possibile come sopravvive?
Queste domande mi martellano le tempie mentre mi poggiano appena tagliata, sul pane cotto a legna, condita con un filo d’olio extravergine alla cenere di ginepro, la fetta di bresaola più buona della mia vita.
Prendo il pezzo di bresaola ancora da affettare in mano, è consistente senza essere sodo, un rosso intenso che vira al bruno come certi velluti di seta, marezzata come una filigrana d’argento, profumatissima e sapida, ne voglio ancora.
Sono in uno stabilimento esemplare che alleva gli animali che trasformerà, dove tutti i dipendenti incontrati sono entusiasti di come lavorano e dei prodotti che realizzano: uno stabilimento con l’anima
E allora mi esorto a far pace con certi ragionamenti, a cercare di essere meno polemica, a non sminuire il mio essere una cassa di risonanza per chi produce con onestà e rispetto della storia di un prodotto, di un territorio d’appartenenza e di un consumatore finale.
Mi ricordo quando, durante le gite, ci spedivamo cartoline
Quando ne arrivava una a casa si guardava distrattamente la fotografia che rappresentava l’idea di un luogo, la si girava subito per leggere il messaggio scritto a penna dedicato a noi.
Non sarà mai possibile sapere tutto di quello che mangiamo. Dovremmo scegliere cosa comprare cercando quell’intenzione, di un pensiero sincero dedicato a noi dentro ad ogni prodotto
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 20 BREVI STORIE DI CIBO LENTO A VELOCITÀ CONTEMPORANEA
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È un’idea
IT-067-017
1. Le box di Salumeria Bianco
Bella l’idea delle Experience Food Box della Salumeria Bianco, che ha sede a Putignano (BA). Chi non è della zona può acquistare queste scatole confezionate a mano e con materiali 100% riciclabili su salumeriabianco.it. ”Selezioniamo da oltre 85 anni eccellenze da ogni angolo d’Italia, affidandoci a piccoli produttori responsabili” come riportato sul sito. Noi seguiamo la Salumeria Bianco anche su instagram.com/ salumeriabianco (photo © instagram.com/salumeriabianco).
2. Radio Food Podcast
Radio Food Podcast (radio-food.it) è la prima formula di podcast in streaming tutta incentrata sul cibo. Una meraviglia! Tra le tante cose belle i podcast della giornalista LUCIANA SQUADRILLI per la rubrica “MetePocoNote”. Un diario di viaggio per veri appassionati di curiosità. Una serie podcast sui viaggi che vorreste fare, ma ancora non conoscete e che Luciana vi porta a scoprire attraverso itinerari fatti di arte, cultura, curiosità storiche e ottime indicazioni enogastronomiche. Link: spreaker. com/show/metepoconote (photo © radio-food.it).
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 24 IL FOOD IN RETE
SOCIAL di Elena
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FOOD
3. Bottega Hispanica
Appassionati di prodotti di salumeria spagnola? Allora un buon riferimento è Bottega Hispanica su instagram.com/ bottegahispanica. Tanti i salumi, conserve, formaggi, vini, ricette e idee alternative per aperitivi. Con e-commerce (photo © facebook.com/www.bottegahispanica).
4. Grana Padano, nuovo portale web
È on-line il nuovo sito del Consorzio di Tutela Grana Padano granapadano.it: «La storia millenaria del Grana Padano — ha commentato il direttore generale del Consorzio, STEFANO BERNI — è quella di un formaggio che si è evoluto fino a diventare emblema del made in Italy, con un’esportazione di prodotto pari al 47%. Un formaggio che, pur mantenendo la tradizione della propria ricetta, sa rinnovarsi e regalare sempre nuove emozioni, anche attraverso il mondo digitale». Bello e buono e ben raccontato (photo © instagram.com/granapadano).
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Benedetti
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ASS.I.CA.: nuovo sito web e un rinnovato sistema di servizi digitali
L’Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi (ASS.I.CA.) prosegue il suo percorso di digitalizzazione con il lancio del nuovo sito ufficiale www.assica.it. Il progetto del rinnovato portale nasce dall’esigenza di continuare ad offrire servizi sempre più connessi alle aziende associate e, allo stesso tempo, presidiare in modo attuale e coerente con la mission di ASS.I.CA. le opportunità offerte dai canali di comunicazione anche per quanto riguarda il pubblico e gli stakeholder. Servizi alle aziende, circolari digitali, un’area dedicata all’house organ “L’industria delle Carni e dei Salumi”, spazi specifici per le campagne europee in corso e una densa sezione multimediale sono solo i principali strumenti che l’associazione ha messo al centro del progetto di restyling digitale, implementando sezioni e migliorando tool già esistenti. All’interno del sito anche una sezione “Sostenibilità”, dedicata a tutte le attività — dalle pubblicazioni ai percorsi di supporto aziendale in tale ambito — che ASS.I.CA. sta svolgendo e implementando in misura sempre crescente con la collaborazione dell’Istituto Valorizzazione Salumi Italiani (IVSI). «È fondamentale per noi, come associazione di categoria, continuare ad aggiornare le forme di supporto strategico per le aziende del settore» commenta Davide Calderone, direttore ASS.I.CA. «ASS.I.CA. rappresenta infatti, in termini di fatturato, circa l’80% del settore della salumeria italiana, un comparto che vale oltre 8 miliardi di euro. Pertanto, riteniamo necessario continuare ad offrire ad un settore dell’agrifood con un valore economico e qualitativo come il nostro strumenti digitali sempre al passo con i tempi».
Il nuovo sito dà inoltre continuità e ulteriore valorizzazione alla esclusiva ed innovativa “Piattaforma Export”, che dal 2019 offre un tangibile supporto alle imprese del settore nell’avviamento e mantenimento delle procedure di commercio internazionale fuori dai confini europei. All’interno dell’area, che accoglie ogni giorno quasi 150 visite degli export manager delle aziende associate, sono infatti catalogate tutte le fonti normative, le informazioni e relativi i documenti per poter esportare in ben 48 Paesi Extra UE le eccellenze della salumeria italiana. L’area ha quindi una posizione centrale anche nel nuovo sito web in virtù della sua marcata strategicità per un settore che, come ribadiscono le elaborazioni ISTAT relative ai primi 9 mesi del 2022 registra un export di 197.800 tonnellate per un fatturato di 1.990,9 milioni di euro. Sempre all’interno della sua strategia di digitalizzazione, l’associazione ha inoltre messo a punto nel febbraio 2023 la prima “Video Academy” targata ASS.I.CA. (www.trustyourtaste.eu/category/ per-gli-operatori/video-operatori/) — sviluppata in 9 aree tematiche e altrettanti video — allo scopo di supportare l’aggiornamento di salumieri, banconisti ed operatori aziendali. Questa ulteriore iniziativa digital fa parte delle attività realizzate all’interno del progetto europeo “Trust Your Taste, CHOOSE EUROPEAN QUALITY” cofinanziato dall’Unione Europea ed ospitata sull’omonimo canale YouTube. L’Academy, che conta il contributo di docenti d’eccezione, ha in poco meno di due mesi ottenuto una convinta risposta da parte degli utenti, totalizzando fino ad ora quasi 180.000 views.
>> Link: www.assica.it
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Sweet
or spicy? È on-line la prima web
serie dedicata
al Provolone Valpadana DOP e alle sue due anime
Dolce o piccante? Se questo l’amletico dubbio, Provolone Valpadana DOP è la risposta. Ruota tutta attorno a questa frase e ad un bancone di cucina la nuova webserie voluta dal Consorzio di tutela del Provolone Valpadana DOP, on-line dal mese di aprile sui canali social della campagna “Choose your taste, sweet or spicy, only from Europe”, la campagna che gode del co-finanziamento dalla Commissione europea e si propone di migliorare il grado di riconoscibilità dei prodotti a marchio europeo di qualità e aumentarne competitività e consumo. In ciascuno degli 8 episodi vengono raccontate le caratteristiche che rendono unico il Provolone Valpadana DOP. L’importanza della DOP, le varie forme e pezzature, la sostenibilità, la naturale assenza di lattosio andranno a fondersi ed incrociarsi con i racconti dei due simpatici coinquilini al centro della serie, gli attori Paolo Cioni e Paola Costa «Siamo molto soddisfatti di aver dato vita a questa originale e divertente webserie per comunicare i valori del formaggio Provolone Valpadana, vero protagonista della campagna» afferma il presidente del Consorzio Libero Stradiotti. «Siamo riusciti a sviluppare un contenuto di intrattenimento fresco, giovane e di qualità, capace di comunicare e colpire target anagrafici diversi, promuovendo valori e caratteristiche del prodotto e rafforzando il livello di riconoscimento dei regimi di qualità dell’Unione di cui il formaggio Provolone Valpadana DOP si fa testimonial».
>> Link: sweetorspicycheese.eu – www.provolonevalpadana.it
Novità in Romagna: il Disciplinare della Piadina IGP accoglie nuove varianti
Dove sia nata esattamente non è ben chiaro. Ne rivendicano la paternità i Riminesi, che la impastano sottile e povera di grassi, ma anche i Ravennati e, in generale i Romagnoli d’entroterra che, al contrario, la vogliano ricca di strutto e bella spessa. Chiamatela “piè”, come faceva PASCOLI, o “piada” nel gergo comune, la Piadina Romagnola IGP rimane unica ed inimitabile. Una focaccia bassa e tonda fatta tradizionalmente di soli quattro ingredienti: farina di grano tenero, acqua, grassi (olio d’oliva, olio extravergine d’oliva o strutto) e un po’ di sale, meglio se di Cervia. Il disciplinare di produzione ha da sempre ammesso anche materie prime opzionali come gli agenti lievitanti (carbonato acido di sodio, difosfato disodico, amido di mais o frumento, fino a 20 grammi), con il divieto di aggiungere conservanti, aromi e/o altri additivi.
Ma una grandissima novità ha da poco travolto l’intera comunità romagnola. Il Consorzio di Tutela e Promozione Piadina Romagnola IGP (www.consorziopiadinaromagnola.it) ha annunciato un importante cambiamento nel regolamento di produzione dell’Indicazione Geografica Protetta, aprendo ad altre varianti che comprendono ulteriori materie prime, oltre a quelle tradizionali. D’ora in poi anche
Farina di farro, latte vaccino, miele di fiori e olio di girasole, purché insieme e in quantità inferiore a quello di oliva, i nuovi ingredienti introdotti dalle modifiche approvate al Disciplinare dell’IGP, che aprono all’ingresso di nuovi produttori nel Consorzio
quelle realizzate con farine di farro, latte vaccino, miele di fiori e olio di semi di girasole potranno ambire al riconoscimento. L’aggiornamento del Disciplinare «nasce dalla necessità di far entrare nel Consorzio altri produttori di piadina del territorio, i quali, nell’ingegneristica di produzione, hanno questi ingredienti diversi dal Disciplinare. Sono comunque ingredienti storici —, spiega a margine della conferenza stampa il presidente del Consorzio ALFIO BIAGINI — perché abbiamo dovuto presentare delle motivazioni storiche sugli ingredienti, che sono state accettate dal Ministero e dalla comunità europea. Chi vuole fare la piadina romagnola a marchio IGP — ricorda Biagini — può farla solo in Romagna e solo con il Disciplinare che protegge l’economia del territorio».
Anche nota come “pane dei poveri”, la piadina altro non è che un pane azzimo, cioè senza lievito, conosciuto fin dai tempi dei romani, ma il cui nome
pare derivi dal greco plaukos, focaccia, che la riporterebbe alla dominazione bizantina della Romagna.
Nel Medioevo tutti i prodotti lievitati erano di dominio e appannaggio esclusivi dei ricchi, mentre sfarinate e piadine semplici, senza lievito, prodotte solo con farine meno pregiate, erano il classico cibo dei poveri. Nel XVI secolo, infatti, per prepararla venivano utilizzati cereali poveri, fave, ghiande, crusca o perfino segatura, quando nelle famiglie non c’era di meglio. Si tratta di un cibo rude che nel corso dei secoli ha identificato e unificato la terra di Romagna sotto un unico emblema, passando da simbolo della vita rustica e campagnola a prodotto di largo consumo.
Molto più di un accompagnamento per salumi e formaggi, oggi l’IGP è considerata un verbo, un pezzo di storia del costume, un elemento del paesaggio. E non solo in senso figurato. Basta alzare lo sguardo per notare che l’intero
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di Chiara Papotti
La piada si apprezza sempre farcita nel più classico dei modi, squacquerone e prosciutto crudo, ma non mancano le alternative più fantasiose.
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Simili alle tipiche cabine da spiaggia, i chioschi che vendono piadine e cascioni (o crescioni) romagnoli si trovano solitamente sui cigli delle strade. Restano aperti tutto il giorno, fino a notte inoltrata, disperdendo tutto intorno un inconfondibile profumo. Ci si va ad ogni ora, a pranzo, a cena, a merenda o per un classico spuntino notturno al rientro dai locali (in foto, il chiosco di Cesena Il Passatore).
paesaggio, da Ravenna a Gabicce, da Santarcangelo a Bertinoro, è arricchito da chioschi a righe bianche e rosso o bianche e azzurre. Simili alle tipiche cabine da spiaggia, se non fosse che si trovano sui cigli delle strade. Restano aperte tutto il giorno, fino a notte inoltrata e disperdono tutto intorno un inconfondibile profumo.
Ci si va ad ogni ora, a pranzo, a cena, a merenda o per uno spuntino notturno. In Riviera, specialmente d’estate, la notte è scandita dalla musica e fermarsi al chiosco prima di andare a dormire è una tappa obbligatoria.
La preparazione per la piadina IGP prevede che tutti gli ingredienti vengano mescolati insieme, fino ad ottenere una pasta piuttosto elastica ed omogenea. L’impasto viene, quindi, porzionato manualmente o meccanicamente in palline di dimensioni diverse a seconda del prodotto finale che si intende ottenere. A questo punto si procede con la laminatura, il processo di appiattimento delle sfere.
Tale processo può avvenire in due modi: o convogliando l’impasto direttamente in laminatrici meccaniche che provvedono a suddividere in dischi la sfoglia, oppure appiattendo la pallina
manualmente con il mattarello (noto come “s’ciador”), fino ad ottenere un disco con lo spessore ed il diametro desiderato. La cottura avviene nell’apposita teglia, che da queste parti prende il nome di “testo”, un disco di argilla che diffonde calore in maniera omogenea, senza bisogno di ungerlo e nemmeno pulirlo al termine della cottura; basta una spazzolata con una scopetta di saggina. Al primo utilizzo, il testo va temperato, ossia messo sul fuoco basso, cosparso di crusca macinata e lasciata abbrustolire. Oggi molti usano padelle di Teflon o piastre di vario tipo, ma non rilasciano certo quell’aroma di bruciacchiato caratteristico della piadina romagnola.
La piada si apprezza farcita nel più classico dei modi, squacquerone e prosciutto crudo, ma non mancano le alternative più fantasiose. Nei mesi più freddi, per esempio, c’è addirittura chi la impasta con l’acqua di cottura del cotechino: una vera esplosione di gusto. Amatissima la versione vegetariana coi prodotti nativi di questa terra (crescione, cicoria, bieta e tarassaco), bolliti e saltati in padella con uno spicchio di aglio. Ma il migliore degli sposalizi rimane quello col maiale, in ogni sua forma: mortadella, salami, pancette arrotolate, lardo, coppa, ecc… Dal salato al dolce, tutto si sperimenta con la regina della Romagna e noi non vediamo l’ora di osare anche con le nuove varianti.
Chiara Papotti
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ROSSOPICCANTE
La prima salsiccia rossa della Food Valley sannita prodotta
rispetto dell’ambiente, della biodiversità e del benessere animale
Èentrato nel vivo RossoPiccante, progetto finanziato dal Gal Taburno nell’ambito della Strategia di sviluppo locale sostenuta dal PSR Campania che si propone di promuovere un modello sostenibile di suinicoltura estensiva, supportato da avanguardistiche tecnologie digitali di monitoraggio ambientale. Alla fase di allevamento è infatti finalmente seguita la fase di produzione della prima salsiccia rossa di Castelpoto protagonista del progetto e che ha visto impegnate, in
IL PROGETTO RAPPRESENTA UN’OCCASIONE DI STUDIO PER APPROFONDIRE LE CONOSCENZE
SUI CONTENUTI NUTRIZIONALI E FUNZIONALI DELLA SALSICCIA DI CASTELPOTO CHE, GRAZIE AL MODELLO ALLEVATORIALE E AL PROCESSO PRODUTTIVO, RISULTA MIGLIORATA IN TERMINI DI EFFETTO ANTIOSSIDANTE
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nel
La prima produzione di salsiccia di Castelpoto del progetto RossoPiccante.
pieno spirito cooperativo, le tre imprese agricole partner: l’AZIENDA AGRICOLA CAMPONE CARMINE, selezionata come sito unico per ospitare i suini, l’AZIENDA AGRICOLA TEDINO GIUSEPPE, presso la quale è avvenuta la lavorazione della carne, e l’AZIENDA AGRICOLA MASSERIA MAIO
Una sfida ambiziosa che parte dal Sannio e si basa sulla conoscenza degli impatti derivanti dagli allevamenti zootecnici, che destano sempre più interesse da parte degli organi di controllo e dei consumatori, attenti soprattutto alla salvaguardia ambientale e al benessere animale. Due aspetti che non devono essere considerati vincoli per limitare lo sviluppo della filiera produttiva ma, nel rispetto di queste condizioni, vere e proprie opportunità di rilancio della tradizione allevatoriale, con una suinicoltura estensiva che ha origini remote.
Un nuovo sistema di monitoraggio, dunque, che potrà confermare come gli antichi modelli di allevamento, con i loro aspetti storico-culturali che ancora oggi caratterizzano il processo produttivo e il prodotto della salsiccia di Castelpoto, sono quanto mai attuali e in linea con le norme vigenti in materia di sostenibilità ambientale, stato di salute degli animali e salubrità.
«Il nostro processo produttivo è completamente tracciato — spiega Ettore Varricchio, docente di Qualità e tecniche delle produzioni alimentari dell’Università degli Studi del Sannio e responsabile scientifico del progetto — ed esprime tutte le qualità uniche della salsiccia rossa, anche come valore aggiunto per l’intera filiera. Il progetto RossoPiccante, difatti, rappresenta anche una importante occasione di studio volto ad approfondire le conoscenze sui contenuti nutrizionali e soprattutto funzionali della salsiccia. Vale a dire che vogliamo mettere a disposizione del consumatore attento tutte le informazioni relative alla specificità e unicità che caratterizzano il prodotto.
Nello specifico, vogliamo sottolineare il potere antiossidante della salsiccia RossoPiccante che, grazie al modello allevatoriale e al processo di produzione, risulta migliorata in termini di molecole ad effetto benefico per il consumatore. Il rapporto di reciproca collaborazione venutosi a creare tra le
Polvere di “papauli”, il peperone rosso utilizzato nella produzione della salsiccia di Castelpoto. La tradizione locale vuole che la raccolta di questo peperone avvenga nel momento in cui lo stesso non è divenuto del tutto rosso in modo tale da consentirgli di “arrossare” successivamente alla sua infilatura in fili di spago, le caratteristiche “collane”, appese all’aria per consentirne l’essiccazione. Dopo la tostatura in forno a legna, alimentato esclusivamente con legno d’ulivo e quercia, i piccoli peperoni vengono macinati, sino ad ottenere una polvere rosso fuoco finissima.
imprese agricole coinvolte nel processo è un altro importante risultato del progetto che, speriamo, permanga e si rafforzi nel tempo».
Proprio secondo l’antica ricetta tradizionale di Castelpoto, la salsiccia di RossoPiccante nasce dal prezioso connubio tra pezzi scelti di carne suina e aglio, sale, finocchietto, nonché la caratteristica polvere di papauli, un peperone rosso molto particolare della cultivar locale. I semi del peperone autoctono vengono tramandati da generazioni e custoditi in un semenzaio, riscaldato naturalmente dalla luce solare, per essere poi asciugati e piantati agli inizi di maggio. La raccolta del peperone avviene prima che sia divenuto del tutto rosso, in modo tale da consentirgli di “arrossare” successivamente alla sua infilatura con ago e filo nelle caratteristiche collane, che ancora oggi vengono appese sui balconi delle case, per lasciarle essiccare all’aria, rendendo il paesaggio del borgo sannita particolarmente suggestivo. «Dopo circa 25 giorni di
essiccazione all’aria della salsiccia, in un ambiente completamente naturale, la fase di produzione può dirsi definitivamente conclusa. Ma il nostro obiettivo è ancora più ambizioso. RossoPiccante vuole promuovere l’interessante integrazione tra la filiera zootecnica e quella agricola per la produzione di materie prime come il papaulo locale, l’aglio e altre spezie utili alla preparazione dell’impasto della salsiccia».
Tra i numerosi soggetti coinvolti — oltre alla capofila del progetto, la CONFEDERAZIONE ITALIANA AGRICOLTORI (CIA), e al team di ricerca dell’Università degli Studi del Sannio — i partner Futuridea, Cooperativa sociale onlus Oltre Le Mura, Associazione Agronomi e Forestali Senza Frontiere della Campania, Agrodigit e Associazione Olivicoltori Sanniti Società Cooperativa Agricola Il progetto prevede anche l’inserimento nella filiera di soggetti deboli, giovani svantaggiati e persone con disabilità.
>> Link: www.rossopiccante.com
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La cucina italiana è la candidatura ufficiale del Governo italiano quale Patrimonio dell’Umanità UNESCO per il 2023
Lo scorso fine marzo, il Ministero della Cultura, insieme al Ministero dell’Agricoltura, si sono uniti per la prima volta e hanno annunciato che il governo italiano ha candidato “la cucina italiana, tra sostenibilità e diversità bioculturale” come Patrimonio immateriale dell’UNESCO. A credere in questo ambizioso progetto e a farsi promotore della candidatura, La Cucina Italiana, dal 1929 mensile di riferimento in Italia e nel resto del mondo. Un percorso iniziato nel luglio 2020 quando la testata, diretta da Maddalena Fossati, ha arruolato cuochi e imprenditori come ambasciatori per sostenere il valore universale della cultura gastronomica del nostro Paese. Massimo Bottura, Davide Oldani, Antonia Klugmann, Carlo Cracco, Niko Romito e Antonino Cannavacciuolo sono solo alcuni dei nomi che in questi anni hanno supportato l’idea nata nella redazione de La Cucina Italiana e sostenuta culturalmente da un comitato scientifico, che include alcuni dei nomi più significativi della cultura italiana, tra cui il presidente Massimo Montanari, professore di Storia dell’alimentazione all’Università di Bologna, Laila Tentoni, presidente Fondazione Casa Artusi, e il professor Paolo Petroni, presidente dell’Accademia Italiana di Cucina. «Questa notizia mi riempie il cuore di emozione perché è qualcosa per cui personalmente ho lottato tanto perché credo nella nostra identità e in questo Paese complicato e meraviglioso che è l’Italia. Ora possiamo provare davvero ad affermare con determinazione l’importanza del nostro vivere culinario, amato e imitato in tutto il pianeta» ha commentato Maddalena Fossati. Questo traguardo valorizza la stretta relazione tra cultura e cibo che viene ormai percepito dalla comunità mondiale non solo come prodotto ma come fenomeno culturale ed identitario di uno stile di vita, di un modo di essere. La cucina italiana rappresenta infatti nella sua essenza un insieme di pratiche sociali, riti e gestualità. Un mosaico di tradizioni che riflette la biodiversità culturale del nostro Paese. Il dossier verrà ora trasmesso dal Ministero degli Esteri all’UNESCO e inizierà l’iter di valutazione che dovrebbe concludersi entro dicembre 2025.
Nasce Le Terre del Balsamico, progetto che unisce Aceto Balsamico di Modena IGP e Aceto Balsamico Tradizionale di Modena
Si chiama “Le Terre del Balsamico” ed è un progetto congiunto di valorizzazione dell’Aceto Balsamico di Modena IGP e dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP: un Consorzio di secondo grado senza scopo di lucro, avente personalità giuridica — e la possibilità di svolgere attività, nonché assumere iniziative ed impegni autonomi rispetto all’azione dei singoli consorzi — che va costituendosi tra le due realtà consortili già esistenti e che avrà per oggetto la salvaguardia, la diffusione e la valorizzazione e promozione coordinata delle due produzioni DOP e IGP e del comune territorio, nonché il consolidamento della reputazione e dell’immagine delle suddette denominazioni, lo sviluppo di nuove opportunità commerciali due prodotti simbolo dell’agroalimentare modenese ed italiano. L’unione dei due Consorzi porterà, oltre ad una gestione condivisa del budget previsto per le attività promozionali ed istituzionali e ad avere un supporto tecnico giuridico per attività istituzionali e rapporti con il Ministero, altresì facilitazioni nell’accesso a fondi pubblici e bandi di finanziamento di progetti comunitari e promoverà la partecipazione coordinata e condivisa a bandi MIPAAF, PSR e per i Distretti del Cibo. «Il successo di questo progetto è il segno di un importante cambio di cultura, una svolta storica per il territorio e si pone come esempio per tutti coloro che hanno a cuore il futuro del patrimonio culturale e umano, nonché economico e sociale delle terre del Balsamico» ha commentato Mariangela Grosoli, presidente del Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena.
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DOP
Tra i gin della Casa Reale inglese
Lo scorso 6 maggio è stata festa grande per tutto il Regno Unito che ha assistito all’incoronazione del nuovo re, Carlo III, nell’Abbazia di Westminster, proprio durante il 70o anniversario dell’incoronazione della madre, la Regina Elisabetta II. In occasione delle grandi celebrazioni, sono stati resi noti i menù che hanno accompagnato i festeggiamenti: annunciata la Coronation Quiche una torta salata a base di cheddar e spinaci, insieme ad altri piatti amati dalla Casa di Windsor. È noto che la Regina Madre, scomparsa nel 2002 a 101 anni, prediligeva anche i cocktail (ne beveva quattro al giorno) come il Gin & Tonic o il Martini. Anche i Reali hanno dunque una Beverage List preferita in cui rientrano, naturalmente, vini e distillati di grande spessore che per questo sono annoverati come fornitori ufficiali. A noi piace moltissimo il Buckingham Palace Gin, lanciato per la prima volta a luglio 2020. Sua Maestà la Regina Elisabetta d’Inghilterra ha svolto un ruolo attivo nella creazione di questo gin assaggiando i sample di volta in volta proposti. Buckingham Palace è un London Dry gin, prodotto in small batch di circa mille bottiglie alla volta in pot still tradizionale. Ha un volume alcolico di 42%. La verbena, il biancospino, l’alloro, il gelso sono alcune tra le dodici componenti botaniche selezionate nei giardini dello stesso Buckingham Palace, sotto la supervisione del giardiniere Mark Lane, mentre i fiori di camomilla sono utilizzati per una componente floreale. Il ginepro, i semi di coriandolo e le altre componenti botaniche utilizzate in Buckingham Palace Gin sono invece raccolti nei migliori campi da tutto il mondo. Insieme alle foglie d’alloro, le migliori arance dolci e amare spagnole rendono Buckingham Palace Gin unico. Al naso risulta fresco con note agrumate che spiccano sulle altre botaniche, leggero è invece l’aroma di bacche di ginepro. Al palato si avvertono i sapori di verbena, biancospino, alloro, gelso e fiori di camomilla. Il mix risulta complesso e armonioso, portatore di note dolci e floreali.
Una sinfonia di prelibatezze
ADV GONNELLI & ASSOCIATI BERNARDINI GASTONE SRL - CENAIA CRESPINA (PISA) - TEL. 050 644100 WWW.BERNARDINIGASTONE.IT
Tra mani esperte, robot e una visione integrata di filiera che è appartenenza
CLAI, LA PASSIONE DEL FARE
di Elena Benedetti
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La forza di CLAI è la capacità di unire allevamento e produzione in un’unica azienda. CLAI coltiva i terreni, gestisce gli allevamenti e svolge internamente ogni fase della lavorazione, controllando la filiera delle carni suine e bovine e dei prodotti di salumeria.
Una filiera integrata come garanzia del rispetto degli standard di una qualità che qui è tutto, partendo dalla materia prima fino al prodotto a banco o a scaffale. Quel giusto bilanciamento tra artigianalità e innovazione tecnologica, tra il saper fare dato da un’esperienza personale formata nel corso degli anni, raccontata, trasferita e assimilata in un passaggio che richiede tempo, tanto tempo, oltre a cura e passione, e che convive con una modernizzazione
ragionata per agevolare, sollevare, migliorare. E, non ultimo, un modello del fare impresa che unisce e responsabilizza le persone in una visione d’insieme che è appartenenza e crescita comune. Ecco, tutto questo è CLAI.
E lo è veramente: una cooperativa che da oltre 60 anni è costituita da soci tra allevatori di suini, trasformatori e produttori di carne e salumi italiani Un’italianità, un patrimonio salumiero che conta oltre 350 referenze tra prodotti regionali e nazionali, portato sulle
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Rudy Magnani, direttore di produzione dello stabilimento CLAI di Imola. «Il nostro lavoro unisce la tradizione e il saper fare artigianale con l’innovazione e le competenze scientifiche, tant’è che le attività di Ricerca & Sviluppo le svolgiamo in team tra laureati in Tecnologie alimentari e Scienze degli alimenti, personale con 30 anni di lavoro alle spalle e Università».
tavole del nostro Paese e all’estero. Una macchina complessa per il Gruppo che fattura 316 milioni di euro e che opera attraverso l’impianto di macellazione e lavorazione di carne fresca a Faenza (FC), lo stabilimento di produzione salami a Imola (BO), il prosciuttificio Zuarina a Langhirano (PR) e Faggiola, un’eccellenza lattiero-casearia italiana, il cui marchio prende il nome dal l’omonimo monte dell’Appennino, che si erge a cavallo tra la Toscana e l’Emilia Romagna, nel territorio del comune di Palazzuolo sul Senio. Oltre a queste attività CLAI conta anche proprietà e coltivazione di terreni per la produzione di cereali per la mangimistica all’insegna di quella filiera integrata già citata.
Dopo Zuarina (si veda l’articolo comparso su PREMIATA SALUMERIA ITALIANA n. 1/2022, “Zuarina è un’arte sartoriale”), è ora la volta dell’impianto di produzione salami di CLAI a Imola, che visitiamo insieme a Rudy Magnani, direttore di produzione dello stabilimento, 38 anni, 15 dei quali nel Gruppo, e una crescita professionale che è andata pari
passo con la trasformazione tecnologica dell’impianto. «Qui lavorano 95 dei circa 550 occupati dell’intero Gruppo» mi dice Rudy mentre ci apprestiamo ad entrare. Si parte dall’area di lavorazione della carne: «In questa sezione produciamo salami e salsicce fresche di vario impasto, formato, pezzatura, oltre ad una piccola produzione di guanciale artigianale. Abbiamo diviso lo stabilimento in due aree distinte: una prima è dedicata alle piccole produzioni e alle operazioni che richiedono abilità ed esperienza, come ad esempio la legatura a mano, e con lavorazioni per le quali l’abilità di chi opera fa la differenza nella qualità del prodotto. L’altra sezione la chiamiamo “ad elevata automazione”: in questa area dello stabilimento prevale l’efficienza produttiva. Qui tutta la logistica interna del prodotto, dall’insacco alla spedizione, è gestita da impianti robotizzati».
Tour in stabilimento
Iniziamo il tour dall’area di stoccaggio della carne fresca che proviene dall’im-
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pianto CLAI di Faenza. «Una peculiarità della nostra produzione è che qui arriva solo carne fresca e non congelata, che stabilizziamo alla giusta temperatura a seconda della lavorazione e nei tagli e rifilature ottimali» sottolinea Rudy, ricordando per esempio che per le parti grasse si impiegano solo pancette e gole perché più duri, resistenti e saporiti. «La preparazione della carne alla giusta temperatura fa la differenza nella qualità del prodotto finito e questa expertise è stata maturata nel corso degli anni di pari passo con l’evoluzione delle tecnologie utilizzate.
Il nostro lavoro unisce la tradizione e il saper fare artigianale con l’innovazione e le competenze scientifiche, tant’è che le attività di Ricerca & Sviluppo le svolgiamo in team tra laureati in Tecnologie alimentari e Scienze degli alimenti, personale operativo con 30 anni di lavoro alle spalle e Università. La ricerca va fatta anche con il saper fare, la manualità, le competenze di chi fa questo lavoro tradizionale in un equilibrio sia tecnico che relazionale
che mette insieme persone, storie ed esperienze diverse».
Questo equilibrio tra tecnologia ed esperienza tornerà spesso nel corso della visita a testimonianza del fatto che fare salumi per CLAI è un processo di innovazione (vedi movimentazione, tracciabilità, bilanciamento automatizzato di massa grassa e magra, ad esempio) che non può prescindere dall’esperienza. Quando l’impastatrice è piena sarà infatti l’operatore — e non la macchina — a decidere se e quando l’impasto sarà pronto per essere scaricato. «È un’operazione visiva e tattile che non si può automatizzare. La chiamiamo
la prova della polpetta: l’operatore prende un po’ di impasto, lo manipola e, quando raggiunge la giusta collosità e ribaltandolo rimane attaccato alla mano, allora vuol dire che può essere insaccato» mi spiega Rudy.
Proseguendo, per la macinatura del salame si impiega sale marino dalla Sardegna, «che ha una grana media», mentre la spezia principe è il pepe («macinato fresco sul momento perché mantiene una fragranza diversa e ci permette di scegliere e controllare la materia prima»). Quando la ricetta lo richiede si utilizza anche vino bianco Trebbiano o rosso Aglianico, oltre a
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A fianco dello stabilimento di Faenza c’è una delle sette Macellerie del Contadino di CLAI con un’ampia offerta di carni di manzo, tra bovini e vitelli francesi di razza Limousine, allevati in Italia fino a 18 mesi per la scottona e a 22 mesi per i bovini. Si può inoltre trovare pollame italiano di aziende cooperative associate a CLAI ubicate in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. I formaggi sono di produzione dell’azienda casearia La Faggiola, parte del Gruppo.
Alla scoperta della Salsiccia Passita CLAI
Il salume simbolo del percorso di valore intrapreso da CLAI è la “Salsiccia Passita”, un’eccellenza dalla tradizione rurale e gastronomica della Romagna, terra della cooperativa. Insaccata in budello naturale e prodotta esclusivamente con le migliori carni magre di suino italiane, la “Passita” è caratterizzata dalla facile pelabilità, dal gusto dolce, tenera e scioglievole al palato. Fin da quando il maiale veniva allevato come “salvadanaio” familiare, in ogni casa era presente la caratteristica e preziosa riserva di salumi appesi in cucina. La salsiccia passita era il primo salume stagionato che veniva consumato subito dopo le carni fresche. Le spezie e il sale proteggevano la carne dall’ambiente particolarmente umido della Pianura emiliano-romagnola. Con la Passita CLAI ha riprodotto l’antica tradizione della propria terra utilizzando esclusivamente le migliori carni magre di suino italiano con la giusta quantità di grasso, lavorazione, asciugatura e stagionatura in locali a freddo statico.
“Sbuccia e Mangia”, i bocconcini di salame a macina fine dal gusto delicato Perfetti in ogni momento della giornata, questi salamini sono particolarmente adatti come antipasto e per gli aperitivi. Solo le carni magre più pregiate di suino 100% italiano di Filiera CLAI sono preparate e insaccate con cura. L’attenzione alla fasi di stufatura, asciugatura e stagionatura conferiscono a questi salamini un profumo inconfondibile e un gusto delicato. Sono caratteristici per la loro forma, la facile pelabilità e la scioglievolezza al palato. Il gusto della tradizione nelle occasioni più mondane! I salamini “Sbuccia e Mangia” CLAI sono privi di glutine e certificati “Spiga Barrata”. Possono essere sbucciati e presentati interi, come bocconcini, o tagliati a coltello con fette spesse.
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Legatura a mano dei salami.
tantissimi altri ingredienti tra i quali aglio, finocchio, peperoncino. Nella sala di insacco artigianale ci sono mani esperte che fanno la differenza, come quelle della signora Cristina che sta insaccando una salsiccia in budello naturale e lo fa con la manualità e la sicurezza di trent’anni di lavoro.
Dopo alcuni giorni al caldo (a circa 20 °C), si passa alla stagionatura, in celle fredde e umide e anche qui la componente dell’artigianalità dei processi è fondamentale. «Le celle sono collegate in rete e lo stagionatore anche da casa può collegarsi e controllarne l’umidità, la temperatura e altri parametri» mi dice Rudy Magnani, mentre attraversiamo l’area in cui riposano i salumi CLAI. «Ma è fondamentale che gli stagionatori passino tutti i giorni a seguire l’evoluzione del prodotto».
Come? Guardando per esempio se sul pavimento c’è la giusta umidità, verificando la formazione della muffa in modo omogeneo. «Abbiamo quattro persone che di mestiere fanno questo e non c’è un solo giorno di festività per il salame». In CLAI si fa a turno un giro al mattino e uno alla sera, tutti i giorni, tutto l’anno. «Nonostante la tecnologia sia fondamentale per mettere a punto dei processi efficienti, nel quotidiano la mano, l’occhio delle persone fanno sempre la differenza».
Completiamo il giro dell’impianto tra maestri salumieri che scelgono uno ad uno i salumi per il retail tradizionale e robot da magazzino che caricano torri di salami. Tutto qui convive, tra valutazioni olfattive e visive dell’operatore, mani che danno forma alle carni lavorate, la moderna ingegneria dei materiali e di
processo che agevolano e semplificano così come la robotica che toglie peso.
CLAI, bilanciamento perfetto
Forse è proprio in questo bilanciamento degli estremi che sta il segreto di CLAI. Mani e macchinari, attesa e pianificazione. «La nostra è una cooperativa di soci allevatori e lavoratori. Questo ci consente di poter sempre contare, da una parte, sugli allevatori che ci conferiscono una materia prima controllata e di qualità e, dall’altra, su persone che, muovendosi sulle linee di produzione, attraverso il loro sapere ed esperienza sono anche proprietari dell’azienda» sottolinea Rudy.
Cristina, che insacca salsicce fresche a regola d’arte, è socia! Rudy è socio! Per diventare socio-lavoratore (oggi sono 261) occorre aver lavorato in azienda per alcuni anni e aver dimostrato la condivisione dei valori di quest’impresa cooperativa che ha cura delle persone e del territorio. Sulle linee di produzione di CLAI ci sono i proprietari di CLAI. E vi assicuro che ci mettono tutti il cuore.
Rudy, un’ultima domanda: cosa rende davvero speciale CLAI? «Qui un dettaglio può fare la differenza e per questo nulla è tralasciato al caso. C’è poi tanta tecnologia, igiene dei processi, una cura infinita dei salumi, mille controlli microbiologici, tanti progetti avviati con l’università. Ma se ne devo scegliere uno: le persone».
Elena Benedetti
CLAI S.c.a.
Via Gambellara 62/A Sasso Morelli 40026 Imola (BO)
Telefono: 0542 55711
Web: www.clai.it
facebook.com/claisalumi
instagram.com/clai_salumi
macelleriedelcontadino.com
Stabilimento di Faenza
Via S. Silvestro 178 48018 Faenza (RA)
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PANCETTA CONTADINA SAN BONO: ESTASI DEI SENSI
Mani esperte che lavorano con passione e creatività, mani che arrotolano, cuciono, plasmano con estrema cura. E poi l’attesa, oltre 6 mesi per rispettare i corretti tempi di stagionatura. Nasce così la Pancetta Contadina San Bono, uno dei prodotti di punta del salumificio con sede a Ponte dell’Olio, in provincia di Piacenza.
Recentemente premiata dalla Guida “Grandi Salumi 2023” del GAMBERO ROSSO, che raccoglie la miglior produzione norcina italiana, la Pancetta Contadina San Bono è composta da lardo e pancetta in un unico taglio e si distingue per la morbidezza, il sapore dolce e delicato e la propensione a sciogliersi in bocca. Queste peculiarità, che la rendono apprezzatissima da affezionati e neofiti, le sono valse le “2 fette” — attribuite ai salumi molto buoni ed equilibrati — sull’ultima edizione della guida del Gambero Rosso, che l’ha definita “una promessa mantenuta al palato, dove la dolcezza incontra una buona sapidità e un ritorno di spezie in una struttura dal grasso particolarmente fondente”
Dalle dimensioni importanti, questa pancetta in stile rural-chic è un vero
orgoglio per San Bono che, durante l’ultima edizione della fiera iMEAT, lo scorso marzo a Modena Fiere, ha scelto di omaggiarla con uno stand dedicato e uno showcooking curato da DANIELE REPONI, che l’ha interpretata in uno dei suo famosi “panini d’eccellenza”
Immersa tra le verdi colline dell’Appennino emiliano, San Bono unisce tradizione e moderne tecnologie, artigianalità e passione, con lo sguardo sempre rivolto al futuro. Fondata nel 1940 e portata avanti dalla terza generazione, l’azienda è specializzata nella produzione di salumi tipici del territorio piacentino: coppa, pancetta e salame DOP, prodotti stagionali — come cotechino e salame da cuocere — e specialità originali, tra cui spicca il salame Mariola, il cui nome deriva dal budello (mariola o muletta di maiale) all’interno del quale viene insaccato, che garantisce una maturazione più lenta. Ogni prodotto della collezione San Bono è realizzato solo con materie prime di alta qualità, provenienti da fornitori selezionati, e lavorati rigorosamente a mano, secondo i dettami della cultura gastronomica piacentina.
>> Link: www.sanbono.it
Pluripremiato e amatissimo, questo salume racchiude la storia, la tradizione e la maestria artigianale dell’azienda con sede nel Piacentino
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Mannetti:
IL MARCHIO STORICO
DI ANTRODOCO TORNA
A PULSARE NEL CUORE
VERDE DEL LAZIO
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Il pastificio Mannetti di Antrodoco nasce nel 1920 e diventa simbolo e fonte di benessere e progresso fino agli anni ‘70-‘80 in tutto il Centro Italia. La sua storia inizia in questo piccolo borgo della provincia di Rieti, nel cuore dell’Appennino, famoso per la prima battaglia del Risorgimento che qui si svolse tra il 1820-1821. Il periodo di massimo splendore iniziò grazie ai due fratelli Mannetti, Paolo e Nicola, che sfruttarono tutta la potenzialità del fiume Velino che bagna Antrodoco, gestendo così prima la centrale elettrica e poi il Pastificio Storico di Antrodoco. Nel secondo dopoguerra la produzione di pasta rappresentava un motivo di vanto per la cittadina e per tutto il Reatino. Il prodotto veniva esportato fino a Roma, fornendo numerosi negozi e ristoranti anche di tutto il Centro Italia.
Il pastificio Mannetti occupava un gran numero di addetti, fra produzione, confezionamento, distribuzione
e amministrazione, contribuendo al benessere del paese. Un moderno packaging, una scelta accurata delle materie prime, una distribuzione capillare erano le chiavi del suo successo. Dagli anni ‘70, però, l’industrializzazione prese il sopravvento sull’artigianalità, portando alla chiusura dello storico stabilimento. Nel 2020, a 100 anni dalla sua fondazione, il marchio viene riscoperto dalla famiglia Marcozzi per produrre oggi la pasta artigianale Mannetti nel pastificio Strampelli di Amatrice, riportando alla memoria i ricordi di una tradizione.
Con l’obiettivo di valorizzare i luoghi e le bellezze italiane nascoste e talvolta abbandonate, la famiglia Marcozzi esalta ogni dettaglio della storia del marchio storico Mannetti, per riproporre la pasta artigianale così amata fatta come una volta. Ad oggi, numerose sono le testimonianze che dimostrano che, riportare alla memoria la storia di
una famiglia, rappresenta un atto di passione e amore per il territorio, per la tradizione e per le persone che ne fanno parte, ed è proprio grazie a loro che è stato recuperato un importante pezzo di storia che oggi torna a pulsare nel cuore verde del Lazio. In una sola scritta — Mannetti — è racchiusa tutta la memoria di molte persone che ricordano tuttora la prosperità di Antrodoco. Per riprodurre ciò, la famiglia Marcozzi esalta attentamente tutti i dettagli e riporta oggi sia il logo che i così caratteristici rombi che accompagnavano il packaging Mannetti in quegli anni.
Oggi la pasta Mannetti si presenta in una nuova veste, che attira l’occhio del consumatore e che si inserisce in un modo elegante dentro allo scaffale di ogni bottega. Ma non è solo questo. «La qualità di una pasta artigianale per noi è fondamentale. Per questo motivo prestiamo la nostra massima attenzione verso gli ingredienti e il metodo di pro-
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duzione» afferma BARBARA MARCOZZI, la responsabile commerciale. «Si impiega solo il selezionatissimo grano bio, dai migliori campi italiani, e l’acqua purissima dalle vicine sorgenti del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti Della Laga, per un prodotto di qualità rigorosamente 100% made in Italy. Il processo artigianale è rispettato nei suoi minimi dettagli: essiccazione lenta e paziente a bassissima temperatura. Un controllo rigido durante tutta la fase di produzione per garantire la massima qualità. Tutto questo oggi si evidenzia nel prestigiosissimo riconoscimento PAT da parte della Regione Lazio volto a sottolineare l’appartenenza della pasta all’elenco dei Prodotti Tipici Agroalimentari laziali».
Nell’ottica di valorizzare ancor di più il territorio e le sue radici, la famiglia Marcozzi non si ferma qui. La pasta Mannetti diventa infatti protagonista della campagna “7 chef per 7 ricette – Mannetti nel cuore verde del Lazio” grazie alla preziosa collaborazione degli chef della regione volta a condividere i valori della pasta artigianale
e la tradizione del territorio in cui è nata. «Abbiamo selezionato 7 chef del territorio per esaltare il nostro ricchissimo patrimonio culinario lasciando spazio alla loro creatività e mostrando la loro professionalità nell’elaborazione fantasiosa dei piatti.
Un grazie va ai nostri chef collaboratori per aver scelto la pasta Mannetti e che credono che l’amore per tradizione e territorio debba essere conservato con cura e tramandato alle future generazioni». I 7 chef:
• Marco e Gennaro Antonelli (L’Osteria di Ianus, Antrodoco, RI);
• Elia Grillotti (La Corte Catering, Rieti);
• Giuseppe Garozzo Zannini Quirini;
• Cristiano Sabatini;
• Marco Brioschi (Verve Restaurant, Roma);
• Roberto Campitelli (Osteria di Monteverde, Roma);
• Laura Marciani (Ristorante degli Angeli, Magliano Sabina, Rieti).
«Per tutte le fantasiose ricette dei nostri chef, seguiteci sui nostri social Instagram e Facebook».
>> Link: www.mannetti.it
mannettidal1920
@mannettidal1920
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Esseoquattro vince il premio Snacking d’Or grazie a Paniké Olà, il “porta panino” che evita la contaminazione incrociata dei cibi
Un semplice “porta panino”, tanto elementare nell’aspetto, quanto rivoluzionario per il mondo del packaging alimentare. È grazie a questo nuovo e innovativo prodotto, ribattezzato Paniké Olà, che Esseoquattro Spa — azienda con sede a Carmignano di Brenta (PD), che produce e distribuisce packaging innovativi e sicuri per alimenti— si è aggiudicata lo scorso aprile il premio internazionale “Snacking d’Or 2023”, durante la fiera Sandwich&Snack Show di Parigi. Per l’azienda veneta il premio rappresenta un nuovo prestigioso traguardo, ottenuto grazie al suo originale Paniké in carta antigrasso Olà: un innovativo prodotto targato Esseoquattro che, se utilizzato nel modo corretto, è in grado di prevenire la cross contamination degli alimenti cotti sulla piastra. Le caratteristiche di questo supporto antigrasso, impediscono di fatto la migrazione delle sostanze organiche dagli alimenti verso la superficie di cottura e viceversa, anche nelle gravose condizioni di pressione, rugosità della superficie e alta temperatura, tipiche di una cottura sulla piastra. I test di laboratorio eseguiti da Food Contact Center Srl, hanno infatti dimostrato che, grazie a Paniké, è possibile utilizzare la stessa piastra elettrica per cuocere alimenti differenti, senza il rischio di contaminazione incrociata. «Ricevere un premio così prestigioso è per noi motivo di grande orgoglio, nonché uno stimolo a migliorarci ancora» ha dichiarato Silvia Ortolani, direttore commerciale. «Uno degli obiettivi che perseguiamo con tenacia, è intercettare i bisogni dei consumatori e in qualche caso anche anticiparli, offrendo sempre maggiori garanzie di sicurezza alimentare. Ringrazio per questo importante risultato tutto il team, soprattutto l’ufficio ricerca e sviluppo che, con il suo prezioso lavoro, è in grado di semplificare la vita dei consumatori».
>> Link: www.esseoquattro.it
Dalla linea di salumi piemontesi al gin ai Cocktail Rub alle salse
CARNE E GIN, ANZI BUGIN:
MAURO SCHIAVO CI RACCONTA
EVOLUZIONE E PROGETTI DELLA
SUA IDEA IMPRENDITORIALE di Gaia Borghi
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 48 INTERVISTE
Mauro Schiavo inizia a fare il macellaio a tempo pieno nel 2007, poco più che ventenne. In quell’anno la sua famiglia, che si occupava già di macellazione degli animali senza avere un negozio proprio, rileva la macelleria di Chieri (TO) dove lavora la madre CARLA. Nel 2009, rilevando un’altra attività che era chiusa da un annetto circa, gli Schiavo decidono di aprire una seconda macelleria a Gassino Torinese; nel locale, che prende lo stesso nome di Macelleria Chierese, Mauro va a lavorare insieme ad un collaboratore (oggi questa macelleria la gestisce la sorella ENRICA e lo staff è composto da 8 persone). Il negozio va bene, benissimo, grazie soprattutto all’offerta di carni bovine selezionate da allevamenti del territorio e al controllo dell’intera filiera da parte della famiglia, che vanta una lunga esperienza in questo campo, così si stabilisce di fare un passo ulteriore. Nel 2017 viene individuata una vecchia macelleria a San Mauro Torinese: l’idea è quella di avere uno spazio con laboratorio per la produzione di salumi della tradizione regionale e salsiccia fresca. L’ubicazione del locale, che sottende una potenzialità molto maggiore in termini di riscontro e affluenza, fa però optare per l’apertura al pubblico: nasce così Tasta Food. «Tasta in dialetto piemontese vuol dire assaggia, perché quello che volevamo fare attraverso questo locale era proprio dare la possibilità alle persone di poter assaggiare le nostre produzioni durante le serate di degustazione» mi dice Mauro.
In principio fu il gin
Durante il giorno Tasta è una macelleria specializzata in carne di vitella Fassona piemontese con l’offerta di tanti prodotti artigianali scelti accuratamente da Mauro e la sera la cucina (attualmente una volta la settimana) si apre per cene e degustazioni. «Durante alcune serate “speciali” abbiamo iniziato, già nel 2017, a proporre ai clienti accostamenti tra la nostra carne, nei diversi tagli, i salumi e le altre preparazioni gastronomiche in menu, e differenti tipi di gin, scegliendo gli abbinamenti in base alle botaniche presenti nei gin stessi» prosegue Mauro.
Il gin è un distillato (già da alcuni anni il più richiesto e apprezzato in
In alto: Mauro Schiavo, ideatore di Bugin, il primo gin pensato e realizzato appositamente per essere abbinato alla carne e ai salumi. A sinistra: i salumi al gin Bugin ovvero coppa, lardo stagionato, lonzino, lonzino pancettato, nocetta, pancetta stagionata, salame crudo e salame cotto.
termini assoluti nel fuoricasa) facilmente personalizzabile, «si può fare davvero un po’ come si vuole, secondo i propri gusti e le proprie necessità, ed è l’ingrediente di tantissimi cocktail» aggiunge Mauro, che ha nel suo curriculum diversi anni di esperienza dietro al bancone da barman. E forse anche per questo motivo decide di creare il proprio gin.
«Volevo un gin fatto appositamente per essere abbinato alla carne e ai salumi: ci sono riuscito dopo aver fatto tanti tentativi, nel 2019, grazie anche alla collaborazione con l’Antica Distilleria Quaglia di Castelnuovo Don Bosco (AT), un’eccellenza artigiana storica di questo settore» mi racconta Mauro. Bugin prende il nome dal termine bocin,
Prima vennero le macellerie, tre punti vendita tra Chieri, Gassino Torinese e San Mauro Torinese; quindi il gin Bugin, nove botaniche piemontesi in un mix studiato appositamente per gli abbinamenti coi diversi tagli di carne e le preparazioni a base di carne; poi la linea di salumi al gin e, infine, tre Cocktail Rub da shakerare e massaggiare su carni e altri alimenti. In arrivo ora anche le BBQ Cocktail Sauce
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che nel dialetto della regione significa vitello, ed è appunto il primo gin nato specificatamente per essere accostato ai vari tagli di carne
Ginepro, genepy, arquebuse, artemisia, timo, achillea millefoglie, angelica, tanaceto e zedoaria: sono le nove botaniche locali usate per la sua preparazione. «Sono tutte erbe del territorio, raccolte dalle colline e dalle Alpi piemontesi, che risultano “complementari” ai gusti della carne
perché di solito poco usate in cucina, timo a parte». Le botaniche vengono distillate singolarmente con il metodo a caldo in alambicco a bagnomaria; alcune estratte e decolorate, come il fiore della pianta alpina di genepy, che dona una nota floreale al gin. Bugin risulta intenso al naso, secco al palato, appena fruttato. Balsamico e aromatico. La nota più persistente è quella del timo. È perfetto sia per la marinatura dei cibi che per le cotture.
In alto: la Box di degustazione dei salumi al gin Bugin: vengono proposte due diverse combinazioni, ognuna comprendente cinque diversi salumi, per un totale di circa 500 grammi, già affettati e messi sottovuoto.
A sinistra: i Cocktail Rub ideati da Mauro Schiavo sono i primi rub artigianali che uniscono i mondi della mixology e del BBQ.
Poi vennero i salumi al gin
Mauro prosegue spedito le sue attività finché non arriva il Covid, la pandemia che fa abbassare le serrande e ci chiude in casa per tentare di arginare i contagi. «Abbiamo iniziato a sperimentare in laboratorio massaggiando i nostri salumi con il gin e ne è nata una linea che, ad oggi, per quello che so, è l’unica specifica al gin presente sul mercato». I salumi al gin Bugin sono 8: coppa, lardo stagionato, lonzino, lonzi-
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no pancettato, nocetta, pancetta stagionata, salame crudo, salame cotto. La carne con cui vengono realizzati è quella di suini piemontesi. «Negli insaccati come il salame crudo e quello cotto il gin viene messo all’interno dell’impasto, prima dell’insacco, mentre gli altri salumi vengono affinati nel gin durante la salatura, effettuando due cicli di massaggio di sei ore ciascuno con Bugin in purezza, perché ne acquisiscano aromi e profumi prima di passare alla stagionatura». I salumi al gin si possono acquistare nei tre punti vendita della famiglia e nel sito di Bugin, nell’area dello shop on-line dedicata. «Sul sito proponiamo una Box di degustazione: sono disponibili due diverse combinazioni e ognuna comprende cinque diversi salumi, per un totale di circa 500 grammi, già affettati e messi sottovuoto». La scatola di degustazione merita un plauso particolare anche per la scelta del packaging, elegante e curato in ogni più piccolo dettaglio, compreso il bel bottone rosso prodotto artigianalmente in un bottonificio piemontese posto al centro della stessa.
Infine i Cocktail Rub: pronti per shakerare?
«Lo scorso anno abbiamo iniziato a collaborare con i ragazzi di BBQ LAB di Arosio, Como (bbqlab.it)» continua Mauro, ed è in effetti con loro che condivideva lo spazio espositivo durante la recente edizione della fiera iMEAT a Modena dove l’ho conosciuto. «Hanno una grandissima esperienza nel mondo del BBQ e insieme abbiamo deciso di unire mixology e barbecue, realizzando così tre Cocktail Rub: non usiamo alcool ma erbe e spezie che ricordano i tre cocktail più famosi in cui è presente il gin, ovvero Gin Tonic, Negroni e Martini Cocktail. I rub sono un mix di sale (30%), erbe e spezie appunto; sono molto versatili e, a differenza dei classici American rub, sono completamente naturali, senza additivi o coloranti». Usarli è molto semplice: basta aprire il sacchetto e cospargere con il rub l’alimento che si intende cuocere, valutando tempo di posa e quantità in base all’alimento stesso. Per “shakerare” meglio i rub prima del loro utilizzo, Mauro ha ideato anche uno Shaker Rub Bugin ad hoc. «In cottura le erbe e le spezie sprigioneranno tutti i loro profumi, che non sono mai troppo invasivi, ma esaltano moltissimo il gusto dei vari cibi. Il Negroni ad esempio è ottimo per la carne di maiale, mentre il Martini Cocktail dà il meglio di sé con le carni bianche. Noi li usiamo nelle nostre macellerie anche da crudi per insaporire la salsiccia fresca o la battuta al coltello».
Oltre che sul sito di Bugin — dove, è bene precisarlo, c’è una sezione di vendita riservata al canale B2B, ovvero macellerie, ristoratori e negozianti — i rub sono distribuiti a livello nazionale in negozi specializzati in barbecue, ad iniziare da BBQ Lab. «Per lo stesso canale siamo attualmente in produzione anche con tre BBQ Cocktail Sauce: Gin Tonic, leggermente senapata, Martini, una salsa bianca in stile Mississippi, e Negroni, salsa barbecue rossa grazie alla presenza del bitter».
Gaia Borghi
>> Link: www.bugin.shop
www.tastafood.it
www.macelleriachierese.it
Premiata Salumeria Italiana, 3/23
CRUDO DI CUNEO DOP: PIÙ QUALITÀ E PIÙ DISTINTIVITÀ
Il
Il prosciutto Crudo di Cuneo DOP protagonista nella Reggia di Venaria (TO) per una degustazione in abbinamento con l’Alta Langa DOCG, vino spumante Metodo Classico del Piemonte. La location è tra le più belle e prestigiose della regione. L’evento, organizzato dal Consorzio di Tutela dell’Alta Langa DOCG, si è svolto infatti lo scorso 8 maggio all’interno della Galleria Grande dello Juvarra, dove le degustazioni dell’Alta Langa e del Crudo di Cuneo affettato a mano sono andate avanti tutta la giornata. L’accesso all’evento era ad invito e ha visto la partecipazione di oltre 2.000 operatori del settore (HO RE CA., GDO, titolari di negozi ed enoteche) e di giornalisti. Il Consorzio di Tutela e Promozione del Crudo di Cuneo era partner dell’evento.
Nell’ambito della giornata sono state realizzate tre masterclass, guidate dal sommelier DAVIDE BUONGIORNO, alle quali hanno partecipato 90 persone. Le masterclass hanno consentito l’approfondimento di etichette di vini Alta Langa dal più lungo affinamento scoprendo così i segreti della denominazione e potendo apprezzarne la grande longevità e piacevolezza. Con i vini è stato proposto in degustazione il prosciutto Crudo di Cuneo DOP. La kermesse, alla sua quinta edizione, ha
visto la partecipazione di 60 produttori con più di 140 diverse cuvée in degustazione, dal millesimo più recente tra quelli in commercio, il 2019, a quelli più vecchi come il 2006. I prosciutti proposti in degustazione avevano oltre 30 mesi di stagionatura, quindi in linea con le cuvée di Alta Langa.
Crudo di Cuneo DOP: nuovo concept di comunicazione La lunga stagionatura è diventato il tema basilare del nuovo concept di comunicazione del prosciutto Crudo di Cuneo DOP. Il tempo, oltre alla coscia di maiale e al sale, diventa “l’ingrediente” aggiunto e segreto per raggiungere un risultato di profumi e sapori inconfondibile. La fetta di prosciutto stessa si fa “tempo” diventando, metaforicamente, la clessidra in cui — con la necessaria lentezza — ogni istante scorre prezioso.
Come sottolinea l’headline: “Il tempo è il nostro segreto” che permette ai nostri prosciutti di diventare speciali, di evolvere fino al momento perfetto in cui il loro gusto e la loro morbidezza diventeranno inconfondibili, unici. Proprio così come li scopriremo con stupore all’assaggio.
Un altro elemento — il sale marino — altrettanto semplice e determinante, avvolge la scena in un movimento dinamico, quasi perpetuo, che vuole suggerire il senso continuo di protezione offerto da un territorio (e da eccezionali ambienti di stagionatura) che si fa custode del gusto e della tradizione. Un abbraccio delicato, a protezione di quei sapienti gesti ripetuti da decenni, ma ogni volta nuovi (come la salatura e le altre meticolose fasi di lavorazione) che ancora il tempo, con pazienza, ha insegnato e perfezionato.
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 52 LA QUALITÀ
prosciutto cuneese DOP alla Reggia di Venaria Reale per l’evento “La Prima dell’Alta Langa DOCG”
Le Alte Bollicine Piemontesi, ospitate nella Reggia di Venaria, hanno fatto innamorare i partecipanti, che insieme ai vini hanno degustato prosciutti di Crudo di Cuneo DOP di oltre 30 mesi di stagionatura affettati a mano. E la lunga stagionatura diventa il centro della comunicazione del Consorzio di tutela
Le degustazioni di Crudo di Cuneo DOP affettato a mano e dei vini dell’Alta Langa DOCG nella Galleria Grande di Venaria Reale alle porte di Torino.
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 53
Il bollino di stagionatura minima 24 mesi
Il prosciutto Crudo di Cuneo DOP si caratterizza per la lenta e lunga stagionatura. A proposito di stagionatura, il Consorzio di Tutela e Promozione del Crudo di Cuneo ha recentemente assunto la decisione di istituire un apposito bollino volto a identificare e valorizzare maggiormente il prosciutto stagionato oltre i 24 mesi. Il produttore che prolunga la stagionatura oltre i 24 mesi può contraddistinguere il proprio prodotto con l’indicazione supplementare “Stagionatura minima 24 mesi” rappresentata dal bollino creato dal Consorzio e rappresentato in questa pagina. L’obiettivo è quello di dare al consumatore un’informazione più com-
pleta delle caratteristiche del prodotto posto in commercio. Il bollino di stagionatura viene applicato sulle confezioni di prosciutto Crudo di Cuneo DOP stagionato minimo 24 mesi, comprese le vaschette di affettato.
Caratteristiche nutritive e valore nutrizionale
Il Crudo di Cuneo DOP appartiene senz’altro alla categoria dei salumi magri e con basso contenuto di sale. In particolare, la riduzione netta del contenuto di sale rispetto ad alcuni anni fa è consentita dalle condizioni igieniche ottimali nelle quali vengono lavorate le cosce e dal rispetto della catena del freddo nelle prime settimane della lavorazione. Il Crudo di Cuneo
Valori nutrizionali (ogni 100 grammi di prosciutto)
In alto: il nuovo bollino istituito dal Consorzio di Tutela e Promozione del Crudo di Cuneo volto a identificare il prosciutto crudo di Cuneo DOP stagionato oltre i 24 mesi. A sinistra: “La Prima dell’Alta Langa”, svoltasi all’interno della settecentesca Galleria Grande della Reggia di Venaria, era riservata ad un pubblico di operatori professionali. Erano presenti 60 produttori con 140 cuvée in assaggio.
ha un ottimo apporto proteico (circa il 29%) e può essere consumato anche da chi è a regime ipocalorico, poiché i grassi negli ultimi anni sono scesi al 3-8% circa. Questi inoltre sono migliorati come qualità rispetto al passato, contenendo quantità maggiori di acidi grassi polinsaturi Omega 3, che prevengono l’eccesso di trigliceridi nel sangue, mentre sono inesistenti i grassi trans, che aumentano il rischio cardiovascolare. Il Crudo di Cuneo DOP, grazie al contenuto proteico, al ridotto contenuto di sale e di colesterolo, nonché alla presenza di calcio, ferro, fosforo e magnesio, è consigliabile a tutte le età e anche per gli sportivi, merito del contenuto di sali minerali. Il prosciutto Crudo di Cuneo DOP ha un alto coefficiente di digeribilità, attorno al 97%, quindi è leggero.
>> Link: www.prosciuttocrudodicuneo.it
REGIONE PIEMONTE
PSR 2014-2020 – Regione Piemonte Misura 3.2.1 – Informazione e promozione dei prodotti agricoli di Qualità Bando 1/2022_B – Progetto di valorizzazione dei prodotti agricoli e alimentari di qualità del Piemonte, DOP e IGP
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ENERGIA 172 kcal – 722 kjoule GRASSI di cui acidi grassi saturi 6,2 g 2,6 g CARBOIDRATI di cui zuccheri < 0,5 g < 0,5 g PROTEINE 28-29 g SALE 4,6 g
Salame Piemonte IGP, tiene l’affettato. Fatturato in leggera crescita
Il Consorzio del Salame Piemonte IGP ha chiuso il 2022 con un generale calo delle performance, in parte controbilanciato dall’incremento del fatturato. La produzione ammonta a 168.700 kg circa, ma calcolati sul prodotto fresco e non più sul venduto (questo è dovuto all’ente certificatore che ha variato il parametro di riferimento) riproporzionando questo valore ai dati degli anni precedenti (bisogna togliere circa un 30% di calo peso) si ottiene un dato di produzione di circa 120.000 kg pari a un –10% rispetto al 2021. L’export vale sempre il 10% del volume e anche questo canale, rispetto al 2021, ha registrato una contrazione del 10%. Il motivo principale è dovuto alla chiusura del mercato giapponese che rappresenta, da solo, ben il 20% del totale export del Salame Piemonte IGP.
Il fatturato alla produzione del 2022, pari a 1.760.582 euro, ha fatto registrare un aumento del 2,5% rispetto al valore 2021 di 1.717.641,76 euro (fonte: Ismea). Tale incremento si è verificato a seguito dall’applicazione dell’aumento del listino prezzi, resosi oltremodo necessario a causa dell’aumento dei costi energetici.
Sul fronte del prodotto affettato in vaschetta sono state vendute 410.000 confezioni nel 2022 che, raffrontate con quelle del 2021, evidenziano una sostanziale tenuta. Le quote tra affettato e intero restano invariate rispetto allo scorso anno, anche se i produttori si stanno concentrando molto di più sullo sviluppo di nuove referenze affettate rispetto a quelle intere, tenendo anche conto che oggi l’affettato rappresenta più della metà del business del Salame Piemonte con una quota del 53% nel mercato interno e con un peso dell’affettato sul prodotto intero ancora maggiore sul mercato estero, attestandosi su un valore del 65%, stabile rispetto allo scorso anno.
«In generale, l’andamento negativo del 2022 è da imputarsi all’aumento del tasso di inflazione che, recentemente, ha raggiunto tassi a due cifre che non si registravano dagli anni ‘80 del secolo scorso e che ha eroso la capacità di spesa del consumatore finale, oggi molto più attento negli acquisti alimentari» ha commentato Daniele Veglio, presidente del Consorzio Salame Piemonte.
«A questo va aggiunto il fatto che il Disciplinare richiede, per il prodotto intero, una pezzatura minima di 400 grammi, che in questo momento di rincari produce un prezzo/ pezzo molto elevato, rispetto a prodotti che,con grammature molto più basse, 150/200 grammi a parità di €/kg, sono molto più abbordabili e competitivi sul prezzo/pezzo. Ad ogni modo, i dati del 1o bimestre 2023 ci dicono che sul fronte produzione si è registrato un leggero aumento pari a 1,5%, il che ci induce a ben sperare sulla possibile inversione di tendenza con un ritorno ad incrementi più consistenti per la fine dell’anno».
>> Link: www.salamepiemonte.it
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VETRINA, l’inizio di tutto
di Elena Benedetti
“Non c’è mai una seconda occasione di fare una buona prima impressione”
Oscar Wilde
Partiamo da un assunto, la customer experience — tradotta sommariamente come l’esperienza complessiva che i
clienti vivono nel fare acquisti presso un punto vendita — nel retail inizia dalla vetrina. Questa attira l’attenzione dei passanti e segnala prodotti legati al momento ai clienti abituali. E ancora, dovrebbe saper comunicare immediatamente i valori di quel business.
La società marchigiana EFFEBI Spa, che realizza punti vendita su misura, dal prototipo alla produzione e montaggio, ha stilato un elenco di elementi da tenere
in considerazione per realizzare una vetrina in grado di attrarre il proprio target. Noi l’abbiamo applicato al nostro mondo delle belle salumerie e botteghe alimentari.
Spunti, idee, suggestioni, magari stravaganti e di difficile applicazione per chi legge ma comunque sempre stimoli a guardare al proprio business da un altro punto di vista. Per evolvere e uscire un poco dagli schemi.
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 58 VISUAL
Pochi ma buoni!
“Le parole chiave sono: semplicità, originalità e coordinazione. Una vetrina troppo carica non attrae il cliente poiché non è né la quantità, né la bellezza dei prodotti ad attrarre le persone. È necessario concentrarsi su come esporre pochi prodotti, come incorniciarli e come spostare l’attenzione su di essi. Crea un tema, inserisci una scenografia o elementi fisici in grado di attrarre i clienti. Molto spesso i prodotti esposti in vetrina sono quelli che vengono acquistati maggiormente, perciò è consigliabile esporre look completi di accessori che siano in grado di esaltare il prodotto”
riporta EFFEBI Spa
Coerenza
“La vetrina deve essere coerente con la disposizione dei prodotti all’interno del negozio”. E per un negozio di prodotti alimentari questo cosa sta a significare? Significa avere lo stesso carattere, lo stesso stile dell’interno Se la bottega è caratterizzata da linee molto moderne e contemporanee, una
vetrina che rimanda alla bottega storica striderà non poco.
Colore
“Il colore è il primo elemento che la mente umana riconosce, seguito poi da forme, numeri e parole. Per questo motivo il colore, e soprattutto i contrasti, attirano l’istinto umano. Risulta essere quindi un valido elemento che permette di attirare l’attenzione dei passanti”. Applicato al nostro mondo delle botteghe il suggerimento da prestare attenzione al colore e, soprattutto ai suoi contrasti, potrebbe essere utile. Per giocare con prodotti di salumeria, complementi d’arredo e accessori di allestimento tra cui — non ci stanchiamo mai di ricordarli — piante verdi e elementi green che oggi sono di forte attualità, richiamando immediatamente ai temi della sostenibilità.
Illuminazione
“L’illuminazione, così come il colore, incide moltissimo nell’attrarre l’attenzione del passante. Per questo motivo,
A sinistra: Casa Gispert, una delle più antiche botteghe alimentare di Barcellona, sito a pochi passi dal Museo Picasso. Casa Gispert vende prodotti provenienti da Oltreoceano dal 1851: noci, frutta secca, caffè, tè, cacao, vaniglia, cannella, zafferano... L’interno è stato conservato come un museo ma la vendita nel negozio è attiva e assolutamente funzionante. A pagina 58: la presenza di piante e/o altri gli elementi green in vetrina ha un potere attrattivo nei confronti della clientela da tenere in grande considerazione.
risulta fondamentale la progettazione della luce all’interno della vetrina. Al contrario di ciò che si pensa, è necessaria maggiore illuminazione durante il giorno, così da contrastare la luce e i riflessi che derivano dall’esterno”.
Funto focale
“Conoscere il punto focale è fondamentale poiché è il punto in cui l’inconscio del passante si concentra maggiormente. Solitamente esso corrisponde alla parte centrale della vetrina e si colloca ad un’altezza di 1,5 metri ed ha un diametro visivo di circa 0,80/1 metro. Una volta individuato il punto focale occorre esporre in quella posizione il prodotto che più rappresenta la brand identity. A questo punto la vetrina viene progettata seguendo l’immagine sottostante che raffigura le posizioni dove si concentra di più l’occhio umano. Tutto ciò permette di realizzare delle vetrine di successo in grado di attrarre l’attenzione dei passanti”.
Elena Benedetti
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 59
Lo Squisito
È un’istituzione a Cagliari, quasi quanto il mercato di San Benedetto, tra i più grandi e forniti mercati civici al coperto d’Europa, di fronte al quale ogni giorno apre le serrande uno dei negozi più noti del capoluogo sardo
di Sebastiano Corona
Il suo nome è tutt’altro che casuale, poiché si tratta del tempio delle più pregiate e ricercate specialità regionali, nazionali ed estere. Un luogo dalle dimensioni non troppo ampie, ma dove è possibile trovare cortesia e gentilezza — che non guastano mai — e anche tantissima competenza nel proporre una lunga lista di salumi,
formaggi, vini, conserve vegetali ed ittiche, salse, pasta, dolci e molto altro ancora. Lo Squisito è la destinazione d’obbligo per chi vuole stupire i propri ospiti o semplicemente per chi non vuole rinunciare a prodotti di altissima qualità, difficili da trovare in altri esercizi commerciali e di certo irreperibili all’interno delle grandi superfici di
vendita. Tutto ciò che esce dal circuito del prodotto di nicchia e che viene realizzato in quantità è escluso dalla vetrina de Lo Squisito. È un precetto che applica pedissequamente SONIA PERRA, l’attuale titolare dell’attività, e che venne introdotto come regola aziendale da ALESSANDRO PERRA, suo marito. Fu lui, dopo anni da dipendente a rilevare il
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 60 BELLE BOTTEGHE
negozio dal precedente titolare, divenendo così anch’egli imprenditore, in un settore che amava profondamente.
Di Alessandro, tragicamente deceduto nel mare sardo di Muravera, a seguito dell’eroico salvataggio di due bambini, non resta solo il ricordo di uomo speciale che tutti amavano, clienti in testa, ma anche l’impronta imprenditoriale che ha permesso al suo negozio di avere continuità, anche dopo di lui. Il suo modo di gestire l’attività, di accogliere i clienti, di rapportarsi con i fornitori, tuttora vive in quel negozio che aveva fatto diventare grande ed affermato.
Tanto importante era l’attività nella vita dei Perra, che sua moglie Sonia, all’indomani della drammatica scomparsa del marito, ha voluto lasciare la sua professione di psicologa per darle un proseguo. Lo ha fatto con la nipote MADDALENA PERRA, con il fratello TATO e con il collaboratore di sempre, CLAUDIO CARCANGIU
Entrare a Lo Squisito è come entrare in casa di amici, dove abita una famiglia, perché lo è nel vero senso del termine. L’accoglienza non sarebbe però sufficiente se non ci fosse anche grande professionalità nel proporre i prodotti, nel raccontarne la provenienza e la storia e nel tagliarli o lavorarli nel migliore dei modi, per un corretto e piacevole consumo.
Impossibile citare tutte le sfiziosità reperibili, tanto più che alcune sono stagionali e quindi disponibili solo in certi periodi dell’anno e che, trattandosi quasi esclusivamente di prodotti artigianali, ruotano con produzioni similari, venendo quindi all’occorrenza sostituiti da valide e insolite alternative di altrettanto gusto.
Alcuni esempi di prodotti locali sono i Culurgionis ripieni di patate chiusi a mano, le Coccoi prena, il Casizolu del Montiferru, le Lorighittas, lo zafferano di Turri, i cioccolatini e i sospiri di Ozieri, i mieli di Monte Arcosu o di Loceri, numerosi pecorini di minicaseifici, salsicce sarde fatte seguendo ricette di famiglia, pane pistoccu e carasau, confetture, dolci tipici, liquori e oli, aceti balsamici, legumi secchi, spezie, tartufi
Non mancano le specialità sottolio o sottaceto come i pomodori secchi semplici o ripieni, la giardiniera in agrodolce, le olive con la mandorla, le taggiasche o le spaccatelle.
Sul fronte ittico invece: una pregiatissima bresaola di tonno, ma anche bottarga di muggine selvaggio di Muravera. E ancora: il miele sardo, di corbezzolo, di arancio, millefiori o propolmiele, enermiele, nocciomiele preparato con miele e nocciole e molto altro ancora. Impossibile riportare ogni specialità.
Tutti sono in grado di fare tutto sebbene i ruoli siano in certo qual modo distinti. Maddalena predilige i formaggi ed è cordiale e precisa nel proporli, tenendo anche conto dei gusti dei clienti, oltre che dell’impiego del prodotto. Tra quelli sardi spiccano i caprini e i pecorini freschi, stagionati o semistagionati, che lei spesso propone in abbinamento alle mostarde, con le confetture, il miele o le composte.
Tra i formaggi non regionali, sono particolarmente apprezzati gli erborinati, in particolare quelli di provenienza
francese e inglese, i formaggi valdostani, quelli piemontesi o i vari tipi di Gorgonzola. L’offerta è discreta anche per i formaggi senza lattosio, a basso contenuto di colesterolo e a caglio vegetale, per andare incontro anche ad esigenze specifiche.
Claudio è in grado di tagliare i salumi a mano, anche a fette sottilissime. La sua passione per gli insaccati emerge anche nella preparazione dei taglieri, che Lo Squisito impiatta nel laboratorio del negozio, dove, su richiesta, realizza anche altri piatti pronti.
Le specialità non mancano: salsiccia di Samatzai, di Bottida, di Berchidda o di Villagrande, il guanciale, la lonza di maiale barbaricino, salsicce con o senza semi d’anice, solo per fare degli esempi di produzioni isolane.
Ma ci sono altre leccornie di provenienza nazionale o estera: il prosciutto d’oca, il prosciutto di cervo, il guanciale
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A sinistra: Sonia, Maddalena e Tato Perra. In alto: la vetrina della bottega Lo Squisito di Cagliari comprende formaggi, salumi, pasta, anche fresca, conserve vegetali ed ittiche, salse, dolci, liquori, oli e molto altro ancora.
sardo, quello di Ariccia, il lardo di Colonnata, il filetto rosa del Trentino, il prosciutto iberico, il guanciale di Mangalica, allevato solo con ghiande, la carne salada e una varietà notevole di salami.
Tato Perra, consulente del lavoro e impegnato sul fronte della gestione contabile e amministrativa del negozio, è soprattutto uno scopritore di nuove aziende con le quali collaborare, un cacciatore di talenti nella produzione di specialità dell’agroalimentare e appassionato cultore del mondo vitivinicolo, che per Lo Squisito cura la cantina.
Non è infatti facile instaurare rapporti commerciali duraturi o anche solo trovare prodotti nuovi e d’eccellenza. Ma è anche vero che le qualità del
prodotto artigianale o di nicchia risiedono soprattutto nella stagionalità e in quell’incertezza dovuta a fattori umani, climatici o lavorativi.
Chi frequenta Lo Squisito sa di poter trovare prodotti classici, ma anche proposte sempre nuove. «I nostri clienti sono per la maggior parte fidelizzati. Sanno quando arrivano i prodotti e vengono a trovarci il giorno stesso per ritirarli freschissimi» sostiene la titolare Sonia Perra, che aggiunge: «i giovani sono molto propensi a nuovi gusti e nuove sperimentazioni, ma i clienti storici ci seguono soprattutto per i prodotti tradizionali, che rappresentano una certezza».
L’inflazione ha generato un’impennata dei prezzi che si è fatta sentire
ovunque, «ma per fortuna c’è anche molta attenzione alla qualità» precisa la Perra. «Ci sono infatti clienti che non hanno grandi disponibilità economiche, ma che non rinunciano alla genuinità e alla freschezza e pur facendo scelte e rinunce, portano a casa prodotti eccellenti».
Il clima che aveva creato Alessandro è rimasto, la sua passione aleggia ancora nell’aria e rivive in chi ha seguito il suo esempio.
Sebastiano Corona
Salumeria Lo Squisito
Via Tiziano 40
09128 Cagliari
Telefono: 070 649 6305
Instagram: @losquisito
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Lo Squisito offre specialità locali, nazionali e estere, prodotti di altissima qualità, difficili da trovare in altri esercizi commerciali o all’interno delle grandi superfici di vendita. In laboratorio vengono preparati anche golosi taglieri, panini e altri piatti pronti.
SUINCOM S.p.a. Strada Comunale del Cristo 12/14 - 41014 Solignano di Castelvetro (Mo) - Italy tel. +39 059 748711 - fax +39 059 532038 - info@suincomgroup.it - www.suincomgroup.it Riconoscere la qualità, realizzarla e portarla sulla tavola di tutti
SAPORI TRENTINI: LA FORZA DEL TERRITORIO
Testi e foto di Massimiliano Rella
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ENOGASTRONOMICO
TURISMO
A destra: il ristorante agrituristico La Polentera, a Storo (TN).
In basso: Alpe di Siusi Sasso Lungo e Sasso Piatto Dolomiti.
La Strada del Vino e dei Sapori del Trentino (www.tastetrentino.it) mette in rete eccellenze gastronomiche e turistiche, un mosaico di proposte, esperienze, sapori e attività per il tempo libero che riassume l’offerta di 330 soci, tra pubblici e privati: Comuni, Apt, cantine, botteghe del gusto, ristoranti, produttori di formaggi, confetture, ma anche norcini, macellai e allevatori ittici. Tante nicchie di tipicità, a volte introvabili fuori dal territorio di produzione.
La Polentera (www.lapolentera.it), ad esempio, è un agriturismo con coltivazione di frutta e ortaggi utilizzati nel ristorante interno per saporiti piatti della tradizione. Ci sono le patate Désirée rosse e le Cicero bianche, ma anche il mais Nostrano di Storo, con cui si ottiene una farina gialla per la polenta da pannocchie appese tra ottobre e aprile ad essiccare a cielo aperto e in seguito macinate.
Storo (TN) si trova ai margini della piana alluvionale del fiume Chiese, nei pressi dello sbocco del torrente Pàlavico, che scende dalla Val di Ledro, in Trentino occidentale, in un’area con condizioni microclimatiche favorevoli alla coltivazione di granturco (l’oro rosso di Storo), frumento, grano saraceno, fragole, piccoli frutti e patate. Un piatto che riassume i sapori locali è il Tris di polenta, composto da: la “Carbonera” con pasta di salame, cotta in burro e formaggio della valle; la “Macafana” con erbette lacustri, formaggio delle valli e cipolla cotta in burro; e la versione con patate rosse Désirée lessate, farina gialla di Storo, fondo di cipolla, formaggio della valle e Trentingrana.
I sapori del bosco sono invece un punto di forza del ristorante La Casina (www.ristorantelacasina.com), un agriturismo a conduzione familiare in una casa dell’800 a Drena, a 500 metri slm nei dintorni del lago di Garda. Ai
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fornelli c’è la giovane chef GIADA MIORI, mentre il fratello SEBASTIANO gestisce sala e coltivazioni.
L’idea del menu è di valorizzare i prodotti di territorio, in autunno ad esempio i marroni di Drena raccolti in un castagneto secolare, di proprietà. Sono terreni acidi, battuti dall’Ora del Garda,
quindi sempre ventilati, ma soleggiati e umidi, che danno marroni con una nota salata più spiccata e di bella pezzatura, ottimi per trasformarli in farina o bolliti per i dolci, oppure conservati in miele o in grappa e naturalmente utilizzati come ingredienti di tante ricette; tra queste “L’Uovo nel bosco”, un uovo bio
A sinistra: le “Tagliatelle ai marroni di Drena con ragù bianco di coniglio, salvia e il suo fondo”, piatto del Ristorante La Casina di Drena (TN). In basso: casa con olivi a Santa Massenza (TN).
fondente con spuma di patate, marroni di Drena, funghi e cipolla fritta, o le delicate “Tagliatelle ai marroni di Drena con ragù bianco di coniglio, salvia e il suo fondo”
Due i menu degustazione: un percorso dedicato al Bosco (€ 58,00) in 4 portate, e uno al Lago (€ 55,00).
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Siamo gli specialisti del San Daniele DOP
Il segreto è tutto
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Le carni dei nostri prosciutti di San Daniele DOP provengono da suini nati e cresciuti nei sei allevamenti della famiglia Aimaretti o da siti rigorosamente selezionati.
Benessere animale
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dell’animale sono una priorità. I nostri allevatori controllano attentamente l’alimentazione, si assicurano che gli ambienti siano spaziosi e areati e riducono al minimo lo stress del suino.
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I nostri mastri salumieri mettono al primo posto la genuinità delle materie prime e selezionano le cosce migliori per portare in tavola il gusto inconfondibile di un prodotto sano e naturale.
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La salatura, rigorosamente a mano, e la stagionatura minima di 18 mesi, danno vita ad un crudo dal gusto unico, naturalmente buono.
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Non sempre il turismo dei grandi numeri confl igge con qualità e tipicità. Al Paganella Rifugi (www. paganellarifugi.it), ad esempio, si scia d’inverno e si accolgono migliaia di persone tra la primavera e l’autunno per la bici e il downhill (60.000 bike pass l’anno). In particolare, al Meriz Alpin Lounge la direzione ha puntato su una cucina di qualità e prodotti di territorio sotto la guida dello chef
MASSIMO BOSETTI: formaggi di piccoli caseifici, verdure in agrodolce, erbe spontanee come il Radicchio dell’Orso, una sorta di tarassaco selvatico raccolto a 1.500 metri.
La buona cucina vuole ingredienti giusti e, tra questi — una presenza quasi fissa —, c’è l’olio extravergine d’oliva. Grazie al clima temperato del Garda anche il Trentino rientra tra i territori produttori con un olio delicato e
I FOLETTO, FARMACISTI DA OLTRE UN SECOLO, CONTINUANO A PRODURRE IN VALLE DI LEDRO SCIROPPI E LIQUORI, TRA CUI IL FAMOSO PICCO ROSSO, OTTENUTO DA FRAGOLE E LAMPONI DI MONTAGNA
profumato, di buon equilibrio tra amaro e piccante.
Dal comparto degli ulivi fioccano quindi proposte gastronomiche ed enoturistiche. Se ad esempio il nuovo ArcOlive (www.arcolive.it), nel comune di Arco, propone ospitalità in accoglienti camere in un’azienda agricola specializzata sull’olio extravergine di qualità del Garda, Olio Cru (www.oliocru.it) raggruppa frantoio, laboratorio, spazio degustazione e un insolito percorso sensoriale per educare i consumatori con l’olfatto grazie a una fila di ampolle dove respirare i profumi di oli di pregio e di oli difettati (morchia, rancido, ecc…). Con il raccolto dell’uliveto, in gran parte da cultivar Casaliva, a 600-700 metri slm, sono prodotte varie etichette di evo e altri prodotti: amaro di foglie d’olivo, cosmetici, integratori e healthy food dai residui della lavorazione dei
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denocciolati; inoltre, una crema d’oliva tipica del periodo di raccolta, utilizzata come ingrediente per ripieni di gnocchi, dolci e pane.
Dall’uliveto ci spostiamo nel mondo dell’orto e dei suoi derivati. Bio Debiasi (www.biodebiasi.com) è un’azienda a conduzione familiare di Patone d’Isera (TN), con 5 ettari di terreni tra 500 e 800 metri slm, «in un contesto dove la natura crea barriere naturali e i boschi sono un’oasi di biodiversità», racconta il proprietario STEFANO DEBIASI. Coltivano mele di varietà Topaz e Pinova oltre a Golden e Gala e poi piccoli frutti, fragole, lamponi, more, ribes, più ortaggi, tutto biologico certificato e per l’80% trasformato in prodotti artigianali tra cui ottime confetture di mela con cannella, mela e zenzero, mela e fiori di sambuco. E ancora: passate di pomodoro, creme di radicchio, creme salate, asparagi
in agrodolce, giardiniere, sedano rapa sottolio, crauti rossi fermentati da cavolo cappuccio rosso e cumino, crauti e mele, crauti e carote (fermentati assieme); ottimi con un goccio d’olio evo e pepe.
Dopo tanto cibo un digestivo ci sta tutto. Ultima tappa a Pieve di Ledro da Foletto , uno storico liquorifi cio con museo (www.foletto.net e www. museofoletto.it), azienda artigianale alla quarta generazione di liquori, amari, digestivi e superalcolici. I Foletto arrivarono in Val di Ledro nel 1850 e subentrarono pochi anni dopo in una farmacia-spezieria, divenuta di proprietà, che esisteva già nel ‘400. A gestirla oggi è il farmacista ALBERTO FOLETTO. Tra i loro prodotti il Picco Rosso è un liquore di lamponi e fragola inventato dal papà Achille, nel ‘40, invecchiato 24 mesi. Ma il più antico, fatto con una ricetta di
Il farmacista Angelo Foletto tra le vetrine d’epoca del Museo della farmacia e liquorificio Foletto a Pieve di Ledro (TN). Il piccolo museo racchiude alambicchi, strumenti e pestelli appartenenti alla famiglia Foletto, farmacisti in valle di Ledro da più di un secolo. L’attività del laboratorio includeva, oltre alla preparazione di medicamenti, unguenti e pomate, anche la produzione di sciroppi di frutta della Valle di Ledro e liquori, che si possono gustare ancora oggi.
famiglia, è il digestivo Stomatica creato nel 1898, una “tintura” di botaniche officinali alpine (alchemilla, arancio, cariofillata, genziana, acaule, genziana asclepiadea, genziana lutea, radice di rabarbaro), in origine registrata come specialità farmaceutica, infatti era prescritta dal medico. È prodotta con una macerazione delle “droghe” per 24 mesi in botti di 450 litri.
Il laboratorio farmaceutico originario, oggi attivo per i liquori, è collocato dietro l’attuale farmacia. La vecchia farmacia, invece, piena di barattoli, vetrine e macchinari ottocenteschi, è adibita a museo e negozio. Ospita un macchinario per le compresse (oggi usato per fare caramelle), alambicchi, macchine per la fasciatura dei prodotti, microscopi, bilancine e una vetrinetta sotto chiave riservata ai veleni.
Massimiliano Rella
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CARINZIA: SULLE ORME DI VINO E FORMAGGIO
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di Riccardo Lagorio
A sinistra: la Dea del tempo, opera d’arte di Andrè Heller alta 12 metri, rappresenta un potente spirito della natura a cui è affidata la protezione del castello di Taggenbrunn, compresi i suoi vigneti e tutti i suoi visitatori. In alto: il Kunsthotel Fuchspalast a St. Veit, primo hotel artistico della Carinzia. In basso: TrippelGUT.
Si dice che in Carinzia, la regione austriaca a nord del Friuli, le persone siano aperte, un po’ melanconiche e molto precise. Un quadro che ben raffigura le mescolanze etniche che nel corso dei secoli si sono avvicendate: quel pizzico di italianità e di popolazioni slave innestate su una base di salda germanicità. Molti connazionali poi conoscono questa regione per le piste da sci, assai curate, i sentieri nei boschi e i numerosi laghi balneabili in estate. Uno
degli aspetti meno noti, ma altrettanto interessante della Carinzia rimane la produzione di buoni vini e formaggi La viticoltura è relativamente recente. La sua riscoperta risale ai primi anni Duemila malgrado i primi timidi impianti degli anni ‘70 avvenuti dopo alcuni decenni di abbandono. In verità nel caldo medioevo i vini della Carinzia arrivavano addirittura fino in Toscana. Poi è arrivato il freddo. E la fine. Oggi è facile ammirare colline vitate ai piedi di castelli e manieri.
Al contrario, l’arte casearia non ha mai cessato di esistere, ma negli ultimi anni sono nati piccoli caseifici familiari che esprimono forme di latte curiose e particolarmente gustose. Ci piace così portarvi alla scoperta di un itinerario tra cantine, che spesso si trovano in edifici storici, e caseifici familiari da fare in estate e oltre.
Serve un quarto d’ora di macchina dal centro di Villach per incontrare le prime colline di Wernberg, bene aperte verso sud dove le vigne Alexander Egger
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sono allevate con metodo biodinamico (sternberg-wein.at). «Tutto deve avvenire in armonia con la natura: le nostre viti prosperano in una cultura mista con prati naturali dove api, farfalle e coccinelle tengono a bada i parassiti e le pecore fungono da tosaerba».
Qui dove regna la biodiversità anche la costruzione della cantina è avvenuta seguendo gli schemi olistici: una grande sala circolare dove sono custodite anfore e barrique in cui la luce penetra dalla volta. Tra il cristallo antroposofico interrato al centro e la calotta pende una lastra di vetro che funge da tavolo d’assaggio. Un luogo misterico in cui è piacevole provare la carrellata di vini che Egger propone. Di grande fascino per la paprika, la pesca e le erbe aromatiche che esprimein bocca il Sauvignon annata 2019. Trascorre 24 mesi in botte grande.
Bisogna trovare il tempo per visitare il vicino Monastero delle Suore missionarie (klosterwernberg.at) e, volendo, prenotare qualche notte nel silenzio e nella riflessione per riprendersi dal
viaggio e visitare con tranquillità i dintorni. Un’alternativa più mondana per la notte è presso il Castello di Moosburg (schloss-moosburg.at), di stile tardogotico e dal 1708 proprietà dei CONTI DI GOËSS, ma dalle fondazioni del IX secolo. Come direbbe PETER HANDKE, carinziano e Nobel per la Letteratura, “fermati dove vuoi e regalati il sole”: un bicchiere di Merlot coltivato alle pendici della collina rende ancor più affascinante sostare nella sala gotica dei cavalieri, sotto i magnifici soffitti in stucco e tra gli arredi storici.
Anche al Castello di Glanegg si produce vino. L’impianto, del XII secolo, è di proprietà delle FAMIGLIE ZWILLINK ed è stato affittato dal comune di Glanegg. L’Associazione del Castello di Glanegg, Burgverein Glanegg (burg-wein-lassnig. at), si sta occupando della rivitalizzazione. In qualità di socio, Franz Laßnig è stato coinvolto fin dall’inizio e si è assunto il difficile compito di ripulire l’area di circa due ettari che un tempo serviva da frutteto e vigneto. «Con il declino del castello, tutto si è inselva-
tichito e il bosco è cresciuto sempre di più, ma oggi sui pendii meridionali prosperano sei varietà di uva». Tra le etichette proposte va tenuto un posto privilegiato allo Zweigelt rosato, dal piacevole profumo di ciliegia e cannella, secco e teso in bocca.
Il vicino lago di Maltschacher dona alle colline un clima mite che avvantaggia la coltivazione di uva. La famiglia Trippel ha aperto un moderno hotel immerso nei vigneti (trippelgut.at), i secondi per estensione della Carinzia, dei quali si prende cura Nikolaus Trippel «Produciamo vini che non abbiamo fretta a vendere e che rimangono in cantina sino a quando riteniamo siano davvero pronti per il consumatore». Tre sono le categorie di vini che si è scelto di proporre: quelli che si potrebbero definire di consumo quotidiano (Alpenwein), i cru che riposano in botti di legno (Privat) e gli AndaS, i vini naturali fermentati sui mosti. Una sequela di etichette dalle quali è difficile pescare il migliore, in quanto ciascuna sa esprimere al meglio la riflessione del giovane Nikolaus.
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A sinistra: Alexander Egger, Sternberg Wein. A destra: Franz Laßnig, socio dell’Associazione del Castello di Glanegg.
Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.
FRANCESCHINI GINO & C. SRL Via dei Marmorari, 38 - 41057 Spilamberto (Mo) Tel. + 39 (0) 59784037 - Fax +39 (0) 59784075 - info@franceschinigino.it - www.franceschinigino.it
ph: Franceschini Vincenzo
Dovendo suggerire, ci sono da provare il Merlot Privat Ried Eckstein del 2018, dal colore cremisi e profumato di composta di ciliegie e susine, con fresca acidità e lunga persistenza, e il succoso, potente e fruttato Pinot bianco Privat Ried Kreuzfeld, che si presenta giallo verdolino, dal bouquet invitante e dal finale minerale e salato.
Chi arriva per il fine settimana può fissare una visita guidata alla cantina con degustazione, ma anche soggiornare nel moderno hotel di famiglia. Nel punto vendita all’ingresso dell’albergo si trovano anche erbe officinali raccolte, essiccate e lavorate in famiglia da usare come tisana.
Più a est, all’ingresso della valle Gört-
schitz, dove svettano rovine di manieri e chiese, si trovano due minicaseifici che meritano di essere conosciuti. Tra l’alternarsi di prati e boschi, sull’impercettibile altura di Winklern, Reinhard e Monika Skofitsch allevano capre e pecore (telefono: +434 2312278). I loro formaggi contano un palmares di tutto rilievo, essendo risultati vincitori di numerosi concorsi nazionali. Sono tutti bio, ma in particolare vanno provati il pecorino fresco sottolio e la caciotta di capra stagionata tre mesi.
Dista pochi chilometri la fattoria di Eva Maria Nuart (nuart.at): basta seguire i belati delle 140 Lacaune. «Non esiste una vera e propria tradizione di formaggio di pecora» dice nella
CON UNA VITICOLTURA PIUTTOSTO RECENTE E UN’ANTICHISSIMA ARTE CASEARIA, SCOPRIAMO UNA CARINZIA MENO NOTA, IN UN ITINERARIO TRA CANTINE E CASEIFICI FAMILIARI DA FARE IN ESTATE E OLTRE
luminosa sala degustazione. «Così abbiamo seguito soprattutto l’esempio dei formaggi francesi, affermando l’idea di non pastorizzare il latte».
C’è la Pecora nera (Schwarzes Schaf) che, trascorso un mese dalla produzione, ha una leggera piumatura sulla crosta color cenere, un’unghia cremosa, piacevolmente ircino il sapore con ricordi di frutta secca. O il Blu (Blauer von Nuart), che a sei mesi di stagionatura è cremoso e granuloso, persistente e che il trascorrere delle settimane fa crescere l’aroma finemente speziato e il bell’aspetto della muffa blu per più intense esperienze di gusto. Creazione proposta a partire dal 2016 il cacio con i fiori del fieno ben distribuiti sulla crosta lavata, dall’aroma intenso e persistente, e un formaggio che si produce con gli stessi fermenti utilizzati per il Reblochon.
È facile portare dentro di sé come ricordo quelle colline interamente vitate ai piedi un altro esclusivo maniero, quello di St. Veit an der Glan, Taggenbrunn, completamente ristrutturato (www.taggenbrunn.at). Al centro dei vigneti una statua gigante, la Dea del Tempo, alta
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A sinistra: Nikolaus Trippel. A destra: Reinhard e Monika Skofitsch, allevatori e casari.
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1) Eva Maria Nuart e il formaggio Blu realizzato con il latte delle sue pecore.
2) Wolfgang Pirker nel caseificio di famiglia, Tschadamer-Hof. 3) Christian Höfer nel suo minicaseificio sulle colline intorno a St. Urban. 4) Il vignaiolo Gerhard Köck, che produce anche diversi distillati.
12 metri, progettata con verde, cristalli di rocca, metallo luci e acqua stringe nella mano sinistra un grappolo d’uva. Il pittoresco paesaggio di 45 ettari di fertile ardesia che la famiglia Riedl ha progettato con l’architetto ANDRÉ HELLER vuole rappresentare un luogo dove il Bello fa rima con il Buono. Nell’edificio del XIX secolo adibito a cantina si accede anche al ristorante dove approfittare per uno spuntino o per un pasto, allo spaccio e alle 27 camere e appartamenti per gli ospiti che hanno la possibilità di soggiornare con vigneti a vista. Oltre 20 le etichette e, assaggio dopo assaggio, si va certo sul Jacques Paagnier Rosé, il Metodo Classico che ha trascorso almeno 18 mesi sui lieviti dal profumo di ribes rosso al naso e sapido in bocca.
Non si può lasciare la tenuta senza una visita al castello, ristrutturato e in alcune parti ricostruito. All’interno una grande sala per concerti e un museo multimediale dedicato al concetto di tempo e al pianeta terra tra giochi di luce e specchi caleidoscopici.
Con qualche ora di tempo vale la pena fermarsi nel centro di St. Veit, uno dei centri romani e medievali più importanti del Norico, come testimoniano i monumenti storici della Piazza cittadina e la vicina Torre del conio. Certo non può sfuggire agli occhi,
appena fuori dalle mura l’edificio dai vivaci colori che ospita il Kunsthotel, un monumentale palazzo art déco disegnato dall’architetto ERNST FUCHS cinto da uno stagno dove fioriscono ninfee e piante acquatiche (hotel-fuchspalast.at).
Può essere la tappa per la notte. I tre piani sono zeppi di simboli esoterici e d’arte che si rifà alla Scuola viennese del Realismo Fantastico.
«Ho da poco terminato di mungere le mie bovine, prima di mettermi a preparare il formaggio» spiega di buon mattino Wolfgang Pirker nel caseificio di famiglia (tschadamer-hof.at) sotto gli occhi della madre Sieglinde che segue con attenzione le varie operazioni. La loro fattoria è tra le più antiche della zona e il loro piccolo negozio di Liebenfels è sempre affollato. Il formaggio a cui Wolfgang tiene di più è il Vierberg, Quattro vette, a latte crudo e pasta semicotta, perché dopo due settimane di stagionatura in caseificio «viene portato in una casera a 900 metri dove riposa per altri 6 mesi». Dal profumo intenso e dalla struttura elastica, in bocca si esprime con eleganti note di frutta secca.
Certo, molto più impegnativo raggiungere il piccolo laboratorio di Christian Höfer, sulle colline intorno a St. Urban (naturkoestlichkeiten.at). «Per 25 anni ho vissuto in una delle più belle
In alto Sam Kegeley e Georg Lexer, produttori di vino a Karnburg. In basso: Horst Wild, presidente dei vignaioli carinziani e proprietario di un vigneto a Krumpendorf, sul lago Wörther.
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Formaggi e vini: descrizione degli abbinamenti
Caciotta di capra 3 mesi (Skofitsch)
Pecora nera (Nuart) Blauer (Nuart) Vierberg (Tschadamer-Hof) Tipo “Feta” con fiori (Höfer)
Sauvignon, 2019 (Egger) MBBEE
Zweigelt rosé (Glanegg) BEMBM
Privat Merlot 2018 (Trippelgut) BBEBM
Paagnier rosé (Taggenbrunn) EBBMM
Roesler Metodo Classico 41 mesi (Köck)
Cuvée Chardonnay Sauvignon (Kergeley/Lexer) BBBME
Abbiamo effettuato degustazioni combinate con i prodotti che abbiamo raccontato. Ne emerge la scheda qui sopra. * La legenda su come riteniamo gli abbinamenti: M = Medio; B = Buono; E = Eccellente.
città bavaresi, ma volevo vivere in un ambiente con aria e acqua pulita, così ho acquistato questa casa di legno di 300 anni a 1.000 metri di altitudine e iniziato a imparare a lavorare il latte di 5 piccoli allevatori locali. Mettiamo a punto anche le preparazioni a base di erbe con le quali arricchiamo i nostri formaggi». Come quello simile alla feta, decorato da delicatissimi fiori, ma intenso e deciso.
A 750 metri alto su Feldkirchen il vigneto di Gerhard Köck (weinbau-koeck.at) è stato realizzato nel 2002. «Prima c’erano campi, ma quassù c’è un microclima ideale per le viti, alcune delle quali sono PIWI, ovvero resistenti alle malattie fungine».
Per raggiungere una maturazione ottimale delle uve Köck procede ad una vendemmia verde in quanto «ci sforziamo di produrre vini che possano essere conservati a lungo nel tempo. Ciò è possibile grazie a vendemmie scaglionate nel tempo».
Con l’esperienza Köck ha impiantato tra gli altri alcuni filari di Roesler, varietà ottenuta presso la Scuola di viticoltura di Klosterneuburg dall’incrocio di Pinot Nero e Zweigelt, «una varietà resistente alle malattie come la peronospera e al gelo, con tannini corposi e colore intenso». A gennaio 2023 è stato presentato il Metodo Classico
rosato che ha trascorso 41 mesi sui lieviti, un Gran Riserva dal color rosa fenicottero, profumo di frutti a bacche rosse e palato minerale, pietroso, di cacao amaro. L’esperienza a Casa Köck termina con l’assaggio di distillati di frutta: «Mio nonno piantò molti alberi da frutta, anche per riparare i muri della stalla. Oggi sono una decina i distillati che propongo». Da provare quello di albicocca.
La pausa pranzo prima di raggiungere Klagenfurt si fa a Karnburg, dove Sam Kegeley, ex musicista texano di oboe, e Georg Lexer, agente immobiliare, possiedono una cantina con ristorante (leiten.eu). Tutto legno, prodotti ricercati e, soprattutto, con le fatture appese alla parete per dimostrare l’origine dei prodotti. Bell’esempio che i ristoratori italici dovrebbero seguire…
Nel 2017 il clima in Carinzia fu più stabile che altrove in Austria. Ecco perché la cuvée di Chardonnay e Sauvignon (13,5% di alcol) di Kegley/ Lexer ha un’enorme stabilità al palato, segno anche di longevità. Erba, gesso, un po’ di ardesia al naso con decise note minerali. Il vino è ancora chiuso all’inizio (cambia dopo circa 30 minuti) e il Sauvignon non è riconoscibile al naso. In bocca invece arriva con il suo erbaceo e l’uva spina. Formidabile.
Non si può terminare il viaggio sulle orme del vino rinato e del formaggio carinziano senza passare per Klagenfurt. Horst Wild è il presidente dei vignaioli carinziani e possiede il vigneto a pochi chilometri a Krumpendorf, sul lago Wörther. «Do woxt wos!», sta crescendo qualcosa, dice. «Sono stati i monasteri a coltivare il primo vino della Carinzia già nel Medioevo. Ci sono testimonianze di viticoltura nei monasteri di Arnoldstein, Millstatt, Ossiach e tanti altri. Tuttavia, per quanto il vino proveniente dal sud dell’Austria fosse ben considerato nel Medioevo, le circostanze successive furono negative: prima vennero i dazi doganali e le tasse troppo alte, poi la peronospora. Così il vino scomparve quasi completamente dalla Carinzia nel XIX secolo. Il vino carinziano sta vivendo una rinascita ed è ora coltivato da persone che hanno dedicato la loro passione alla vite, sia professionisti sia viticoltori per hobby. Nel 2011 sono state prodotte per la prima volta più di 100.000 bottiglie di vino e oggi in Carinzia se ne imbottigliano più di 500.000. Anche la capitale della Carinzia ha il suo vigneto, pittorescamente situato sopra il lago Wörther. A nord di Klagenfurt c’è mezzo ettaro di terreno vitato da quarant’anni». Così: Do woxt wos!
Riccardo Lagorio
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 78
EMEBB
DA CONDIMENTO POVERO A PRODOTTO GOURMET:
IL LARDO IERI
EOGGI
Il condimento povero per eccellenza: il lardo e il grasso di maiale. Soprattutto nelle cucine agricole del Nord Italia ha rappresentato un prodotto calorico e basso costo, perfetto per sopperire alla fame.
Oggi il lardo si è trasformato in un prodotto di nicchia dalle caratteristiche tutte da valorizzare
di Lara Abrati
IL BUONO SECONDO LARA
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 80
Coraggio, siamo giovaniii!!!
Lardo ai giovani!
Lardo ai giovani! Lardo! Skiantos
Non sono così lontani i tempi in cui nelle pianure e nell’area montuosa del Nord Italia il lardo e il grasso di maiale erano gli unici condimenti disponibili a basso costo. L’olio di oliva era un miraggio, un prodotto tipico del CentroSud della nostra penisola che arrivava raramente in queste zone. E quando arrivava, tralasciando il costo, le sue condizioni ossidative lo rendevano un prodotto poco affine ad essere gustato: rancido e sgradevole. Ecco che il lardo e lo strutto (prodotto attraverso la fusione del tessuto adiposo esterno come il lardo e quello interno all’animale) erano i soli grassi utilizzati nella cucina rurale e povera. Ancora oggi, nonostante le indicazioni dietetiche recenti mettano al bando l’utilizzo di grassi animali (grassi saturi) come condimento, non è un segreto vengano comunque utilizzati, ad esempio, nella preparazione delle tradizionali piadine e, nella versione pestato , anche per accompagnare tigelle e crescentine.
Varhackara e Pestàt di Fagagna
Nelle zone montuose del Friuli Venezia Giulia e del Carso si è tentato di preservare dalla loro sparizione completa due condimenti a base di lardo, tutelati anche dal presidio Slow Food: si tratta della Varhackara e del Pestàt di Fagagna. Il primo ha origine nella Carnia ed è nato per valorizzare il lardo, rendendolo un condimento goloso. Si produce a Timau, in provincia di Udine, e al confine con l’Austria, e ne è rimasto un solo produttore. Il lardo viene pestato insieme ad altri salumi, come speck e pancetta affumicata, con l’aggiunta di qualche erba aromatica e di noce moscata. Il tutto viene conservato in barattoli per essere utilizzato quale condimento di verdure, minestroni, zuppe, ma anche per insaporire sughi o accompagnare gli gnocchi di patate.
Il pestàt viene invece prodotto sempre in Friuli, a due passi da San Daniele,
nel comune di Fagagna. È un insaccato a base di lardo fresco macinato con verdure (carote, sedano e cipolla), erbe come la salvia, rosmarino, porro, aglio e prezzemolo, poi le spezie. L’impasto viene insaccato in budello naturale e asciugato e stagionato per almeno 30 giorni: questa fase permette a aromi e sapori di amalgamarsi alla perfezione. Infine viene messo in vasetto, pronto per essere utilizzato come condimento, ad esempio per insaporire il minestrone, carni in umido o al forno, ma anche le verdure e le patate.
Condimenti di una volta, di cui non abusare, ma da tutelare, a testimonianza della nostra storia rurale e gastronomica.
Le denominazioni d’origine: lardo d’Arnad DOP e lardo di Colonnata IGP
Per quanto riguarda l’arte salumiera, oggi il lardo viene valorizzato nella sua essenza, anche grazie ad alcune denominazioni di origine. Lo strato di grasso che si trova appena sotto la cute del maiale, viene aromatizzato e lasciato a maturare. Così, grazie alla lipolisi, si producono sostanze aromatiche che lo rendono un prodotto apprezzato su tutte le tavole. Quando tagliato fine, all’assaggio è subito percepibile la sua infinita dolcezza, che lascia spazio alla lieve sapidità data dalla salatura del taglio. Poi la parte aromatica, sicuramente caratterizzata dalle essenze utilizzate per la concia, ma anche dai sentori come il tostato dato dalle sostanze aromatiche che si sviluppano grazie dalla degradazione dei grassi.
La parte utilizzata per la lavorazione e la produzione del salume è quella più pregiata: si tratta del grasso presente sul dorso, fino alla spalla. L’età e il peso dell’animale da cui proviene non è un dettaglio di poco conto, i migliori lardi si ricavano infatti da suini del peso di almeno 170-190 kg e da un’età superiore ai 9 mesi: carne e grasso sono maturi e possono stagionare al meglio.
Il meno conosciuto è quello tutelato dalla Denominazione di Origine Protetta: è il lardo d’Arnad, unico lardo DOP in Europa, prodotto artigianalmente e in quantità limitata in alcune zone della Valle d’Aosta. I suini devono provenire da allevamenti situati in Valle d’Aosta, Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna o
Piemonte e la lavorazione deve interamente avvenire nel comune di Arnad. Entro poche ore dalla macellazione (massimo 48) il lardo deve essere tagliato e messo nei tradizionali recipienti in legno, chiamati doils, con sale aromi e la salamoia; qui deve rimanere per almeno 3 mesi a riposare.
Il secondo lardo italiano tutelato dall’IGP è il ben più conosciuto lardo di Colonnata, prodotto in provincia di Massa Carrara. Nonostante il Disciplinare che ne tutela la produzione sia molto rigoroso, questo lardo si fregia della sola Indicazione Geografica Protetta. Viene prodotto con suini provenienti da allevamenti situati nel territorio delle seguenti regioni: Toscana, Emilia Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Umbria, Marche, Lazio e Molise. Gode di una lavorazione stagionale, che va dal mese di settembre sino al mese di maggio e viene messo a stagionare in quelle che vengono chiamate conche, delle vasche in marmo locale.
Altri lardi
Esistono numerose altre tipologie di lardo di alta qualità, come quello di Pata Negra, che proviene dalla lavorazione delle carni di suini spagnoli dell’omonima razza, prevalentemente allevati allo stato brado.
I lardi che provengono da suini allevati liberi di ruzzolare nei boschi riescono ad esprimere caratteristiche gustative e nutrizionali uniche, come ad esempio quello che proviene dal siciliano e autoctono suino Nero dei Nebrodi o da quello di razza Casertana.
All’assaggio
Il lardo quindi, da condimento calorico delle cucine tra le più povere, negli anni si è accaparrato un posto tra i migliori prodotti di salumeria. Perfetto per degustazioni tra e diverse tipologie, ma anche per verticali alla scoperta della sua evoluzione . Al momento dell’assaggio si deve presentare integro, con un’eventuale infiltrazione di carne, ma rigorosamente di colore bianco o lievemente rosato. Da evitare se di colore giallo: vuol dire che il grasso si è irrancidito, diventando così dannoso per la nostra salute e di poco pregio gustativo.
Lara Abrati
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 81
L’antipasto a cui non si può RESISTERE
Il tagliere di salumi e formaggi
di Giorgia Fieni
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 82
SALUMI IN TAVOLA
Sfido chiunque a passare davanti ad un tagliere di salumi e formaggi e non fermarsi a cercare qualcosa, anche un solo piccolo stuzzichino, da assaggiare. Penso che nessuno riesca a resistere. Perché il tagliere racchiude il meglio del territorio È la qualità disposta sul legno Non si può “mentire” o, per meglio dire, ricettare per nascondere le imperfezioni: le materie prime sono ben disposte davanti ai nostri occhi e vediamo subito di cosa si tratta e se la scelta fatta sia stata o no accurata.
Nel titolo l’ho definito “antipasto” ma in realtà si tratta di una combinazione che piace in ogni momento. Durante l’aperitivo, con un cocktail, per una cena leggera che non ti fa accendere forno e fornelli. Comodissimo da portare in gita per un picnic, nel panino per merenda o per pranzo, in un passaggio veloce davanti al frigorifero.
Salumi e formaggi ne sono gli ingredienti principali. Come detto, è fondamentale servire i migliori sul mercato, per cui sarebbe importante conoscere un produttore artigianale che possa rifornire alimenti di cui conosciamo ogni passaggio di filiera. In mancanza di questo, osservate colore, profumo e consistenza di ciò che state per acquistare. Non devono mai apparire opachi, ognuno deve mantenere il proprio aroma distintivo e basta osservare per capire se siamo di fronte ad un prodotto duro o morbido e comprendere così se attiene al salume e al formaggio che abbiamo in mente e che vogliamo offrire ai nostri ospiti.
Attenzione anche al fatto che, dopo il taglio, le fette o i pezzettini non si sfaldino: devono rimanere ben compatti. Perciò il taglio deve essere perfetto, usando i giusti coltelli per ottenere veli sottilissimi, cubetti perfetti e triangolini da far invidia ai costruttori di piramidi… (sto esagerando, ovviamente, ma, siccome non dovrete cucinare nulla ma solo disporre, vale la pena usare il proprio tempo per rendere il tutto goloso anche per gli occhi).
Per abbellire e variegare i sapori (anche per “sgrassare” la bocca…) possiamo aggiungere un’insalata fresca o qualche salsina. Una composta o una confettura. Una tazzina con la giardiniera o con le olive, sia verdi che nere (snocciolatele, se non volete avere
di M O D ENA A C ETO B A L SAMI C O CONSORZIO TUTELA L’ACETO BALSAMICO è DI MODENA Unico. Autentico. Di Modena.
Premiata Salumeria Italiana, 3/23
un conto del dentista sulla coscienza). Qualche pezzettino di frutta: uva, melograno, fichi e frutti di bosco sono i più scenografici. Il miele. La mostarda. Un pinzimonio in versione mignon. Un po’ di carpaccio di manzo o dei bastoncini di polenta grigliata (per sicurezza, metteteli vicino al gorgonzola…). Vogliamo esagerare e diciamo anche qualche verdura pastellata e fritta?
Da non dimenticare mai (userei anche un “assolutamente”… È un avverbio usato spesso a sproposito ma qui ci vuole) è il pane. Fatto in casa, in cassetta, rustico, arricchito con i semi, non importa… Deve esserci! E, se proprio volete esagerare e aggiungere golosità a golosità, qualche pezzo di gnocco fritto, di focaccia calda, crescentine, tigelle, crostini, bruschette… o dei semplici grissini di sfoglia (in qualche sito ho trovato l’abbinamento perfetto
tra pane e ogni salume e formaggio; mi è piaciuto, ma poi temo che sia eccessivamente esagerato e che si debba anche lasciare agli ospiti la facoltà di mescolare a proprio gusto).
Quanto al tagliere vero e proprio, prima ho nominato il legno. Perché, personalmente, amo la rusticità e penso che una composizione variegata che, come dicevo, rappresenta un territorio e le sue tradizioni, abbia bisogno di radicarsi in maniera forte e univoca. Niente vieta però di usare la pietra lavica, sicuramente più elegante.
E ora fatemi tirare fuori la donna del bon ton che tengo sempre ben nascosta, per farle dire di ricordarvi di aggiungere, a lato del tagliere, fazzolettini assorbenti, stuzzicadenti, piattini e forchettine. Va bene la rusticità, ma una tovaglia macchiata o l’olio a terra che fa scivolare gli ospiti direi sia troppo.
Taglieri di Salumi e Formaggi by Frank Marino
Cosa c’è di meglio del condividere un bel tagliere, accompagnato da un buon bicchiere di vino in compagnia? Poco! Lo scorso anno Frank Marino ha pubblicato un libro che contiene 150 ricette di taglieri a base di formaggi, salumi, frutta, verdure, confetture e molto altro ancora (Taglieri di Salumi e Formaggi. 150 idee deliziose e stravaganti per stupire i tuoi amici in ogni occasione, Paperback, 2022, 192 pp.). L’obiettivo è dare indicazioni sui giusti abbinamenti e sull’estetica del tagliere. La pubblicazione è una buona guida per scegliere gli ingredienti giusti senza spendere una fortuna e soprattutto come scegliere le giuste quantità evitando inutili sprechi. Il tagliere è una buona soluzione per aperitivi, apericene, feste e merende rinforzate. L’autore dedica attenzione alla preparazione di salse, confetture, condimenti da abbinare ai salumi e formaggi e spiega come bilanciare ingredienti dolci e salati. Lo trovate su Amazon.
Una volta determinate le regole base, via libera alla fantasia. Il tagliere di salumi e formaggi può diventare infatti anche la modalità perfetta per far conoscere altri territori, spaziandone gli ingredienti presi dai mercati di tutto il mondo, aggiungendo tortillas messicane, waffle, fette biscottate, crackers…
Possono essere cucinati in una torta salata, da servire a spicchi. Il tagliere può essere cosparso di erbe e spezie e frutta secca. O può essere composto in modo da creare un vero e proprio percorso di degustazione tra le diverse consistenze e stagionature (un suggerimento: formaggi di capra per primi, erborinati per ultimi e, per quanto riguarda i salumi, salame, bresaola, prosciutto cotto, prosciutto crudo, mortadella, pancetta).
Il tagliere è quindi come una tavolozza per un pittore, come la cartoleria per uno scrittore, come il pentagramma per un musicista… Più che uno strumento di lavoro, una chiave segreta per tirar fuori il meglio di sé.
Potete essere cuochi precisissimi, chef raffinati, palati capaci di distinguere una vasta gamma di sapori, ma se non saprete preparare una corretta composizione di salumi e formaggi vi mancherà il legame più semplice, l’ABC della cucina… Quello che definisce chi siete.
Pensateci la prossima volta che avrete la tentazione di semplicemente aprire confezioni pronte e metterle in tavola dicendo “non avevo altro…”. Giorgia Fieni
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 84
Il “tagliere” è una combinazione che piace in ogni momento, in casa e fuori.
I Taglieri di Roberto
Lui si chiama Roberto Saccani ed è un artigiano straordinario che realizza taglieri che sono piccole opere d’arte. Nel suo laboratorio a Casalgrande, in provincia di Reggio Emilia, produce taglieri personalizzati anche con dedica, della forma e delle dimensioni richieste dal cliente, oltre ai coltelli per ceppi e taglieri con cassetto. «Ho sempre avuto la passione per il legno e per oltre 33 anni ho fatto mobili e cucine artigianali su misura. Nel tempo libero ho iniziato a creare taglieri di design, cominciando dal classico tagliere a scacchi da cucina. Ora non produco più mobili ma esclusivamente taglieri artigianali in legno pregiato».
Ma come si arriva a questi piccoli capolavori? «Sono quattro le fasi di lavorazione: si inizia con la stroncatura delle assi in legno. La mano dell’esperto si vede subito: non sono ammessi errori! Segue la piallatura dei lati del tagliere, per essere sicuri che la forma sia precisa, esattamente come progettata. Nella calibratrice tutto deve avere la stessa dimensione, senza intoppi o rigonfiamenti. Si conclude il lavoro con la lisciatura finale: una passata di olio protettivo che fa risaltare le venature naturali del legno». E ricordate: i taglieri di Roberto si meritano solo i salumi più buoni.
>> Link: itaglieridiroberto.com
Premiata Salumeria Italiana, 3/23
Nuova vita per gli HOT DOG
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 86 STREET FOOD
Giorgia
di
Fieni
Meno celebre dell’hamburger ma altrettanto goloso, l’hot dog ha bisogno di essere visto in modo diverso. Iniziamo però dalle origini. Ovvero da quando, nel 1901, durante una partita di baseball dei New York Giants, HARRY M. STEVENS si muoveva in mezzo alla folla cercando di vendere delle “salsicce alla tedesca da gustare ben calde” (il panino serviva a renderle commestibili in quella situazione). A dargli l’appellativo del cane è un vignettista, THOMAS ALOYSIUS “TAD” DORGAN, che ne associa la forma a quella di un bassotto.
Ecco, l’hot dog non si è quasi mai spostato da lì… mentre l’hamburger è passato all’haute cuisine e alle trattorie e ai ristoranti, sembra che l’hot dog non sia mai uscito dagli stadi o dalle immediate vicinanze.
Lo ha scritto ANTHONY BOURDAIN già nel 2010: «Nei confronti dell’hot dog è sempre esistito un tacito consenso. Abbiamo sempre saputo — o ritenuto di sapere — che dentro quel tubetto molliccio avrebbe potuto esserci qualsiasi cosa, dalla carne bovina kosher al 100% ad animali morti dello zoo o alcuni membri scomparsi della famiglia Gambino. Con un hot dog, a New York in particolare con il famoso “dirty water dog”, un hot dog venduto da ambulanti e generalmente conservato in bagni di acqua calda che qualcuno sostiene non venga sostituita per settimane, il tacito accordo è: sono affari vostri. E in ogni caso l’hot dog è un prodotto precotto quindi che male può fare?»
E JOE BASTIANICH nel 2015: «Negli Stati Uniti, e a New York in particolare, ti si presentano un sacco di occasioni per mangiare un hot dog, dalle grigliatine nel cortile degli amici al cinema, in spiaggia, addirittura alle stazioni di servizio, anche se devi essere parecchio ubriaco per mangiartelo lì, visto che la carne sarà sicuramente rimasta per giorni e giorni nel roller grill, assorbendo tutti i gas di scarico. [–] Ma, in definitiva, è proprio questo che ti fa l’hot dog, il cibo americano per eccellenza: ti adesca.
Personalmente devo ammettere di essere un grande fan del roller grill — le griglie a rullo che mantengono gli hot dog caldi mentre girano dentro una teca di vetro — che trovi sui banconi dei bar nei cinema multisala, alle stazioni
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 87
di servizio o in tutti quei posti dove la proposta gastronomica non è sicuramente l’attrazione principale.
La presenza di un roller grill dovrebbe essere interpretata come il segnale più evidente che ti serviranno il peggiore hot dog che tu possa immaginare: carne di infima qualità abbinata ad un panino scadente lasciato lì sul banco per giorni e spalmato con una senape di color giallo brillante. Tra l’altro, penso che questo schifoso tipo di senape dovrebbe essere messo fuori legge a New York. La senape deve essere piccante e marrone. Per un hot dog come si deve, serve quella che trovi in una buona gastronomia ebraica (un deli), non quella roba dello stesso giallo canarino di Big Bird, il Bibo dei Muppets.
Nonostante tutto, c’è qualcosa in quel meccanismo a rullo che mi affascina. [–] Per parafrasare Winston Churchill direi: “Per conoscere l’America devi andare allo stadio degli Yankees e ordinare un hot dog con senape e crauti”».
Nelle versioni più comuni si tratta appunto di un würstel precotto (in genere
bollito o cotto al vapore, ma può anche essere grigliato), racchiuso in un panino insieme a salse (maionese e/o ketchup e/o senape), crauti, cipolle, sottaceto, cheddar, insalata, pomodoro.
Per dargli nuova vita, la prima cosa che mi viene in mente è la versione vegetariana o vegana, i cosiddetti veggie dog, a base di soia o tofu. Per ora mi astengo dal proporre la carne prodotta in laboratorio o quella degli insetti: approfondirò la questione e vi farò sapere.
La seconda è renderlo un po’ più localizzato, usando materie prime e abbinamenti locali (lo so, è la stessa idea di Joe Bastianich — sempre lui — per McDonald’s, ma funziona e i panini sono buoni, quindi, perché no?).
Pensate solo alle diverse versioni americane: con crauti e senape a New York, con salsa di fagioli e accompagnati da patatine al formaggio e salsa gravy in tutto il Midwest, con pomodoro e cipolla e peperoncini jalapeño in Messico, con fagioli e pancetta a Sonora…
Pensate che lo preparano pure “Italian style”, così descritto dal sito
Agrodolce: “Se avete nostalgia del tricolore vi basterà (forse) un assaggio di questo panino inventato a Newark, in New Jersey. Si chiama così perché il pane usato è ottenuto con l’impasto della pizza, una specie di panizzo, diciamo. Il ripieno, invece, è un po’ più stelle e strisce con salsiccia e patatine fritte, cipolla, peperoni e tanto ketchup. C’è qualcosa di più stereotipato di questo?”.
Preferisco altre versioni. Con bacon e scamorza. Nella pasta brioche dolcesalata (idea di LUCA MONTERSINO). Con astice e maionese all’erba cipollina (di GRAHAM ELLIOTT, uno dei giudici di Masterchef USA). Con calamari e salsa di lampone e zenzero (di MORENO CEDRONI). Con tacchino e prugne (di DAVIDE CASTOLDI). Con tonno grigliato e marinato e lattuga o con vongole fritte e cavolo cappuccio (di GWYNETH PALTROW). Con patate lesse e mozzarella (BENEDETTA PARODI avvolge tutto nella pasta sfoglia). Con frutti di mare e spezie giapponesi. Leggendole, mi parte subito la OLA… proprio come allo stadio!
Giorgia Fieni
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 88
Il roller grill è un’attrezzatura specifica per la cottura dei würstel per hot dog. La caratteristica principale del roller grill è la visibilità del prodotto: una cottura a vista e il profumo che si sprigiona in cottura invogliano l’acquisto (photo © Alex Images).
Aceti di frutta
UNA NUOVA FRONTIERA
di Giovanni Ballarini
Gli Italiani sono abituati all’aceto di vino che proviene dall’uva, ma la popolarità degli aceti di frutta è in aumento, sia come condimenti che come prodotti salutari ricchi di composti bioattivi con diverse proprietà benefiche e per questo apprezzati e inclusi nella dieta quotidiana di molte persone. Questi aceti costituiscono anche un’importante valorizzazione di sottoprodotti frutticoli con un alto valore aggiunto.
Gli aceti di frutta contengono una vasta gamma di ingredienti bioattivi diversi secondo la frutta di origine e i metodi di acidificazione, tra cui acidi polifenolici, acidi organici, tetrametilpirazina e melanoidine. L’acido acetico è l’acido organico più abbondante ma l’acido clorogenico è il fenolo principale nell’aceto di mele. In larga misura gli aceti di frutta contengono anche le
molecole della frutta di origine con le loro caratteristiche e attività biologiche.
Frutta e tecniche di acetificazione
Il tipo di frutta e la tecnica di produzione utilizzata determinano la qualità dell’aceto, svolgendo anche un ruolo importante nella rimozione e nella formazione di nuovi componenti che favoriscono lo sviluppo dell’aroma e del sapore, mentre i polifenoli e gli acidi organici, principalmente l’acido acetico, hanno un ruolo importante nelle loro proprietà benefiche. Molto numerose sono le ricerche sulla natura e quantità dei composti bioattivi presenti negli aceti di frutta in rapporto alla materia prima utilizzata, tecnica e natura dei microrganismi coinvolti nel processo di fermentazione. Gli acidi organici più importanti sono quelli volatili (acido acetico, acido formico, acido propio-
nico, acido butirrico e acido chinico) e non volatili (acido lattico, acido malico, acido piroglutammico, acido citrico e acido succinico) e l’aroma in gran parte è legato alla presenza di acidi organici.
Aceti con i benefici della frutta Negli aceti di frutta si trasferiscono molte molecole che attribuiscono benefiche proprietà alla frutta stessa. L’acetico è il più abbondante acido di tutti gli aceti e il fattore chiave di numerose proprietà benefiche, perché riduce la glicemia, aumenta la conservazione del glicogeno, riduce i livelli di trigliceridi, aumenta la sensibilità all’insulina e diminuisce la resistenza all’insulina, con studi compiuti anche sull’uomo. La somministrazione di aceto di mele migliora il profilo lipidico (colesterolo, lipoproteine a bassa densità LDL e trigliceridi). Anche l’aceto di pomodoro
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 90 ANALISI DEL FOOD
riduce il contenuto di trigliceridi con riduzione dell’accumulo di grasso e della steatosi epatica, in modo analogo all’aceto di melograno.
La resistenza batterica agli antibiotici pone importanti minacce per la salute e l’aceto dimostra di avere una potente attività antibatterica contro i batteri antibioticoresistenti, dimostrata in particolare per l’aceto di mele.
La frutta ha la capacità di contrastare gli effetti deleteri dei radicali liberi e questa proprietà si trasferisce all’aceto conferendogli un importante effetto preventivo e terapeutico.
Vari composti della frutta si trovano nell’aceto. I polifenoli hanno un interessante potenziale antiossidante grazie al loro potere di eliminare i radicali liberi, chelando gli ioni dei metalli di transizione e riducendo gli ossidanti. Le melanoidine sono tra i
composti bioattivi nell’aceto che con la loro carica negativa e le proprietà macromolecolari hanno una capacità di chelare gli ioni dei metalli di transizione prevenendo le reazioni di ossidazione indotte dai metalli.
La tetrametilpirazina ha un effetto antiossidante e l’aceto di melograno ha un’elevata attività antiossidante superiore all’aceto di vino e di sherry. L’aceto di cachi e l’aceto di mele hanno una attività antiossidante superiore all’aceto di riso brillato o grezzo.
Gli aceti di frutta quindi possono essere utili per l’attenuazione dello stress ossidativo attraverso l’aumento dei livelli di antiossidanti enzimatici e non enzimatici.
Gli aceti di frutta hanno anche un effetto antinfiammatorio riducendo i livelli di citochine infiammatorie e come quello di mele inibendo la ciclossige-
nasi-2 (COX-2). Il consumo di aceto di frutta interviene anche sugli enzimi di conversione dell’angiotensina riducendo la pressione sanguigna.
Gusto e benessere
degli aceti di frutta
Gli aceti di frutta hanno caratteristiche organolettiche e gastronomiche che derivano dal frutto da quale ognuno di essi è ricavato e da qui le diverse associazioni con altri cibi e le applicazioni gastronomiche. Nel loro insieme sono prodotti sani e ricchi con molteplici proprietà funzionali che derivano dall’effetto sinergico tra i diversi componenti presenti in ogni singolo aceto, in relazione anche al processo di fermentazione e di maturazione, costituendo una nuova frontiera degli alimenti nutraceutici.
Prof. Em. Giovanni Ballarini
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 91
Photo © Oksana Bratanova
FANO GASTRONOMICA
di Riccardo Lagorio
Fano è una città lasagna: le mura romane si srotolano attorno alla cattedrale, le opere di Raffaello e Perugino in Santa Maria Nuova sono a pochi passi dall’Arco di Augusto, dove la Via Flaminia si affaccia in centro. «L’80% del turismo che ci visita si può definire balneare, ma Fano è una città d’arte: romana innanzitutto, dato che preserviamo intatta la cinta muraria, seconda solo a quella di Aosta, un teatro e un anfiteatro. E soprattutto
possiamo offrire nei nostri ristoranti pesce locale» spiega l’assessore allo Sviluppo turistico ETIENN LUCARELLI Il tratto di mare di fronte a Fano e che arriva a Marotta passando per Torrette è tra i più pescosi dell’Adriatico. Si percorre anche lungo il bagnasciuga la mattina presto per respirare lo iodio a pieni polmoni e una ghiotta lettura per afferrare l’identità della città in chiave turistica è la scoperta della Fano marinara, da gustare a partire da questa primavera con il nome di
Fano Gastronomica (visitfano.info). «Al momento una dozzina di ristoranti e trattorie, sotto il coordinamento dell’amministrazione comunale, si assumono la responsabilità di valorizzare adeguatamente il prodotto ittico locale. I partecipanti si impegnano con il territorio e la sua popolazione, a supportare la pesca fanese e a garantire un’offerta quotidiana di pesce fresco della nostra marineria» continua Lucarelli.
Ma sono soprattutto le tradizioni fanesi a essere rispettate e messe al
WEEK-END
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 92
centro dell’iniziativa. «I menu di questi esercizi prevedono almeno tre piatti a base di pescato locale e ricette come le vongole alla pureta, con aglio e prezzemolo, la razza coi peperoni, le tagliatelle con sugo di sogliola e la frittura di paranza che rispecchiano la memoria fanese». Immancabili i sardoncini alla scottadito e la rustita, pesce panato saltato in padella con odori e infine chiuso tra due graticole e passato alla brace. Un discorso a parte riguarda il brodetto alla fanese, celebrato con una apposita kermesse dall’1 al 4 giugno (www.brodettofest. com) e presente su prenotazione in alcuni dei locali che hanno aderito all’iniziativa.
Prima e dopo le tappe culinarie si può seguire un percorso ben segnalato e immergersi nell’atmosfera della vita marittima dei pescatori. Con la pulsantiera pronta a incamerare le notizie dei codici QR, si passano in rassegna otto totem informativi fissati nei punti di interesse: i video che raccontano la storia dei luoghi e delle attività legate al mare. Si può partire dalla pesca nei quadri lungo il porto canale, casotti in legno o bilance che a Fano prendono il nome appunto di quader. I quadri sono appoggiati su pali piantati in profondità nella sabbia e consentivano di pescare quando il mare era mosso e non era consigliabile l’uscita in barca.
Lungo il porto canale è facile poi imbattersi nelle imbarcazioni per la piccola pesca e nei rispettivi equipaggi intenti a riparare le nasse per le seppie e i tremagli per sogliole e canocchie, accanto alle barche che stanno scaricando le casse di vongole spontanee appena pescate. Bisogna perdersi nelle antiche vie del porto per immergersi nell’aria autentica del quartiere Gugul, Cogollo, che prende il nome dalla rete utilizzata per la cattura delle anguille. Seduti in uno di questi locali, bisogna farsi servire una bottiglia di Bianchello del Metauro DOC. Se si trova in carta, scegliere senza esitazione KC, prodotta nei migliori vigneti di ALESSANDRO VITALI a Sant’Andrea in Villis, località sui declivi di Fano (vinivitali.it). Rotondo e grasso, da uve raccolte a giusta maturazione, può essere anche l’idea per un regalo da portarsi a casa.
Riccardo Lagorio
Premiata Salumeria Italiana, 3/23
VINITALY 2023: UN SALONE A PIENO REGIME
Un
buyer su 3 proveniva dall’estero. Exploit di presenze da USA (+45%) e Asia (+116%), in crescita tutte le provenienze. Bricolo, presidente di Veronafiere: prospettiva globale, ora radicamento eventi in USA e Far East. Danese, AD: avviato nuovo corso, Vinitaly crescerà
Vinitaly 2023 (2-5 aprile) si è chiuso con 93.000 presenze complessive, 29.600 delle quali straniere. La crescita rispetto alla scorsa edizione è stata quasi totalmente determinata dagli ingressi di buyer esteri (+20% circa) provenienti da 143 Paesi, che hanno rappresentato un terzo del totale degli operatori accreditati. Di questi, oltre mille top buyer selezionati e ospitati da Veronafiere e da ICE-Agenzia. Vinitaly
and the City, il “fuorisalone” veronese ritornato totalmente nella sfera organizzativa della fiera di Verona, ha inoltre registrato oltre 45.000 degustazioni (+50% sul 2022) da parte dei winelovers nel centro storico di Verona.
«Chiudiamo un Vinitaly finalmente a pieno regime, che ha visto una partecipazione corale di operatori, stampa e istituzioni» ha dichiarato, in chiusura di salone, il 55°, il presidente di Veronafiere Federico Bricolo. «Siamo
ancora
particolarmente soddisfatti per il riscontro che stiamo riscuotendo dalle aziende e dai territori, che rappresentano la vera forza di questa manifestazione.
L’obiettivo — ha aggiunto — è quello di costruire con i partner istituzionali una piattaforma promozionale permanente e coordinata in grado di attrarre da un lato gli investimenti dell’incoming sull’Italia, dall’altro sul prodotto italiano all’estero con un radicamento di Veronafiere — dopo Brasile e Cina — negli
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Vinitaly ha riunito a Verona oltre 4.000 aziende del vino, in rappresentanza di una filiera che in Italia che fattura oltre 31 miliardi di euro ed è la prima voce attiva della bilancia commerciale nazionale, che nel 2022 ha totalizzato quasi 8 miliardi di export.
Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud e Far East».
«Gli investimenti fatti in favore dell’incoming estero — ha aggiunto l’AD di Veronafiere Maurizio Danese — hanno dato un primo concreto risultato ad un Vinitaly che vogliamo sempre più decisivo per il business degli espositori che per la manifestazione riservano risorse importanti. Un matching domanda-offerta che ha funzionato, come dimostrato anche dagli oltre 11.000 appuntamenti pianificati tra espositori e buyer della piattaforma Vinitaly plus che si aggiungono a quelli fissati direttamente tra aziende e buyer.
Il nuovo corso è iniziato ma non è certo terminato: Vinitaly sarà sempre vettore del made in Italy, sia qui che all’estero, se ragionerà in termini di sviluppo del settore e delle sue imprese, ed è questo che stiamo cercando di fare».
Nella top five delle provenienze, gli Stati Uniti staccano nettamente la Germania. Terzo rimane il Regno Unito mentre la Cina torna in quarta posizione, scavalcando il Canada Ferma restando la crescita generale del mercato europeo, si segnala il grande ritorno degli operatori da tutti i mercati extra-UE: l’Asia, più che raddoppiata (+116%), trainata dal rientro dei Cinesi che superano le 1.000 presenze, e il Giappone (+143%). Le Americhe segnano un +38% con l’exploit degli USA (+45%) e del Brasile (+46%), oltre a un ulteriore consolidamento del Canada (+19%). Anche l’Australia in tripla cifra, a +130%
Secondo l’analisi dell’Osservatorio UIV-Vinitaly e Prometeia il vino italiano rappresenta il campione dell’export made in Italy delle 4A (Abbigliamento, Alimentare, Arredamento, Automazione), con una bilancia commerciale in attivo di 7,4 miliardi di euro. L’industria vitivinicola nazionale vale 31,3 miliardi di euro, impegna 530.000 aziende con circa 870.000 addetti. Una filiera a tutti gli effetti strategica per l’economia del Paese.
Nel 2024 Vinitaly, che ribadisce il proprio ruolo di principale piattaforma B2B internazionale del prodotto vitivinicolo, andrà in scena dal 14 al 17 aprile
>> Link: www.vinitaly.com
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CIBUS CONNECTING ITALY FA IL PIENO
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Oltre 20.000 operatori hanno visitato gli stand delle aziende alimentari italiane presenti a Cibus Connecting Italy 2023. Tra questi, 1.500 top buyer esteri, di cui 250 portati a Parma dal programma di incoming di Agenzia ICE. Un alto volume di affari ha pienamente soddisfatto le aziende espositrici.
La due giorni Cibus Connecting Italy, svoltasi nel quartiere fieristico di Parma a fine marzo, ha registrato dati molto positivi per quanto concerne espositori e visitatori, a testimonianza della vitalità e della creatività di un comparto che ha superato, indenne, il periodo della pandemia e sta delineando le migliori strategie per affrontare le problematiche scaturite dall’inflazione. Oltre 20.000 operatori hanno visitato gli stand delle aziende alimentari italiane. Tra questi, 1.500 top buyer esteri, di cui 250 portati a Parma dal programma di incoming di Agenzia ICE. Un alto volume di affari ha pienamente soddisfatto le aziende espositrici.
Il successo di questa edizione di Cibus Connecting Italy è stato favorito anche dal nuovo contesto fieristico definito dall’accordo tra Cibus e Tuttofood, sottoscritto da Fiere di Parma e Fiera Milano. «Un risultato straordinario che conferma l’energia e la vitalità dell’agroalimentare italiano; anche in periodo di drammatica volatilità le nostre imprese si mostrano creative e attrattive lanciando sul mercato prodotti sempre più contemporanei» ha commentato ANTONIO CELLIE, CEO di Fiere di Parma. «Sono stati due giorni particolarmente intensi dove gli operatori internazionali hanno potuto toccare con mano le novità del Food & Beverage dedicati ai diversi canali, dalla GDO al food service, e
nelle varie categorie, dai prodotti del territorio agli integratori. Una edizione di Cibus multicanale e plurisettore che proietta Fiere di Parma verso il nuovo ciclo che la vedrà impegnata anche nell’organizzazione di Tuttofood».
Come da tradizione Cibus ha dato ampio spazio alle start-up, con un’area dedicata e workshop tematici. Altro tema chiave di questa edizione di Cibus quello della sostenibilità, di cui si è parlato nel convegno di “Cibus 4 Sustainability” “Le buone pratiche per la filiera sostenibile” ha presentato un approfondimento verticale sul tema della sostenibilità, ideato in collaborazione con PwC Italia e moderato da ANDREA MENEGHINI, associate founder di GDONews. L’incontro è stato un momento di confronto aperto tra realtà produttive e distributive per analizzare lo stato dell’arte dei processi di sostenibilità strutturati internamente dalle aziende del settore agroalimentare. Il tema della sostenibilità è stato toccato anche nel corso del convegno di CONFAGRICOLTURA “Nuove competenze per la transizione sostenibile nell’agroalimentare”, in collaborazione con Federalimentare, Infor Elea Academy, Università degli Studi di Teramo, Università degli Studi di Torino.
Il progetto europeo I-RESTART sarà utile per la transizione sostenibile del Food & Beverage, che mira alla definizione di un metodo innovativo
Finalmente insieme: accordo strategico tra Fiere di Parma e Fiera Milano
Faceva una piacevole impressione l’allestimento dei due cartelloni ravvicinati di Cibus e Tuttofood all’ingresso del Padiglione 5 di Cibus Connecting Italy 2023! Per noi che da tanti anni diamo voce al comparto agroalimentare questo accordo è veramente una notizia stupenda! Dallo scorso 9 marzo Fiera Milano è il secondo azionista privato di Fiere di Parma, con una quota del 18,5%, dopo Crédit Agricole Italia, che detiene il 26,44%. Si consolida così un accordo che vedrà Fiere di Parma a gestirà entrambe le manifestazioni con il partner storico Federalimentare. I soci pubblici, ovvero Comune e Provincia, con il 15,97% ciascuno, e Regione Emilia-Romagna (che detiene il 4,15%) ampliano il loro patto alla Camera di Commercio (che detiene il 9,78%), rispondendo alle recenti sollecitazioni istituzionali. In buona sostanza l’organizzazione di Cibus Fiere Parma gestirà la sfida con le grandi fiere europee di livello internazionale. Continuerà il dualismo delle fiere italiane dell’alimentare negli anni pari (Tuttofood) e dispari (Cibus), ma le due fiere avranno obiettivi differenti: la prima avrà respiro internazionale, accogliere espositori e buyer di tutto il mondo. Milano è il palcoscenico ideale per questo genere di target, sia per logistica che per dimensione fieristica. Dovrà sfidare SIAL Paris e collaborare maggiormente con Anuga, già “amici” di Cibus Fiere Parma. Cibus, invece, continuerà ad essere la fiera dell’alimentare italiano, il punto di arrivo dei buyer internazionali che si concentrano esclusivamente sul made in Italy
>> Link: cibus.it — tuttofood.it
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1) Focus sul maiale nero della Lomellina nello stand di Fumagalli Industria Alimentari Spa. 2) Showcooking nello spazio di Txogitxu con degustazione di carni basche. 3) I risotti Sapori Nostrani di Giorgio Turco di Dusino San Michele (AT). Sapori Nostrani è specializzata in risotti pronti da cucinare senza aggiunta di sale, senza conservanti e senza coloranti, prodotti solo con riso Carnaroli italiano. 4) Prosciutto cotto alta qualità Principe.
In alto: tanti i visitatori al Cibus Innovation Corner. A destra: il 2023 segna un momento particolarmente significativo per il Consorzio del Prosciutto di Parma, che tocca il traguardo dei 60 anni dalla sua fondazione. Attualmente le aziende sono 134, e ognuna di esse riesce ad esprimere sul prodotto la propria identità nel pieno rispetto delle regole di produzione, mentre sono un centinaio i Paesi esteri in cui il Prosciutto di Parma viene esportato.
di apprendimento, basato su brevi moduli volti a fornire conoscenze sui fattori chiave che delineeranno le figure professionali del futuro, specialmente in ambito green e digital
La nutraceutica è stato uno dei temi di Cibus Connecting Italy . Le proteine sono un nutriente sottovalutato nell’alimentazione quotidiana. La maggior parte della popolazione non ne assume il fabbisogno giornaliero adeguato. Questo prezioso nutriente offre numerosi benefici quando inserito in maniera opportuna nella quotidianità.
Non solo favorisce la rigenerazione dei tessuti, ma ha anche un ruolo positivo nel favorire un miglior controllo glicemico. È quanto è emerso nel convegno “Proteine e Benessere Quotidiano”, che ha visto la partecipazione di ELENA C ASIRAGHI , divulgatrice scientifi ca e ricercatrice dell’Università di Pavia. Le proprietà nutrizionali della carne e l’importanza di questo alimento in una dieta equilibrata sono state illustrate nel convegno “Il futuro della nutraceutica tra business e salute”, con gli interventi della DOTT SSA SUSANNA BRAMANTE, agro-
nomo PhD e divulgatrice scientifica, del prof. GABRIELE COSTANTINO, direttore del Dipartimento di Scienze degli alimenti e del farmaco dell’università di Parma, e di SONIA RAULE, presidente di Med is Veg. Secondo la dott.sa Bramante, «sostituire la carne con surrogati fatti a base di cereali rischia di portare ad un peggioramento della qualità della dieta, in particolare per una minore adeguatezza per quanto riguarda nutrienti essenziali più biodisponibili nella carne e nei prodotti animali, come la vitamina B12, riboflavina, zinco, calcio, iodio e
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ferro. Perdita in valore nutraceutico». Ampio spazio al comparto del fuoricasa, cui Cibus ha dedicato l’area HO RE CA The Hub, powered by Dolcitalia. Alcuni dei protagonisti di quest’area hanno partecipato al convegno “La sfida della qualità e la chiamata a raccolta del settore distributivo: comunicazione del valore e produzione sostenibile”. Un incontro, sviluppato in collaborazione con CIC – Cooperativa Italiana Catering moderato da ROBERTO SANTARELLI, di Tuttopress Editrice. Attraverso le testimonianze di alcuni protagonisti del canale
Away From Home, sono stati accesi i riflettori sulle sfide che il Fuoricasa si trova ad affrontare oggi per rispondere a una profonda evoluzione dei consumi. Sul sostegno alle imprese alimentari italiani è intervenuto il Cluster Agrifood Nazionale CL.A.N., che ha organizzato il workshop “Cluster CLA.N. e Iniziative PNRR: Eccellenze a supporto dello Sviluppo del Sistema Agroalimentare Italiano”. Due iniziative, finanziate dal P.N.R.R., AGRITECH e ONFOODS, mirano a supportare lo sviluppo del
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sistema agroalimentare italiano. >> Link: www.cibus.it
1) Il Consorzio Salumi DOP Piacentini. 2) Ibis Salumi, brand di Italia Alimentari, Gruppo Cremonini. 3) I prosciutti crudi a marchio Casale Spa, Selva Spa e Prosciuttificio San Pietro Spa della famiglia Sassi. 4) Gli Affettati di Principe Foods. 5) La San Vincenzo Salumi di Spezzano Piccolo (CS). 6) Il Balsamico Leonardi, sempre presente nelle manifestazioni di rilevanza internazionale.
ALIMENTI Alimenti
“Centomani di questa Terra” 2023: il piacere di rivedersi
In un clima di grande festa, partecipazione e voglia di stare assieme dopo lo stop degli ultimi anni, lunedì 8 maggio, negli spazi dell’Antica Corte Pallavicina (www.anticacortepallavicinarelais.it) dei fratelli Spigaroli a Polesine Zibello (PR), si è svolta la 9a edizione di “Centomani di questa Terra”, l’evento dell’associazione culturale CheftoChef emiliaromagnacuochi, che ha visto fra i protagonisti della giornata alcuni dei migliori chef e produttori della regione Emilia-Romagna. Fra degustazioni — tra le quali quelle del Consorzio del Parmigiano Reggiano, del Molino Dallagiovanna e del Consorzio Produttori Antiche Acetaie —, forum di approfondimento sul futuro della ristorazione e cooking demo, la giornata si è conclusa con la cerimonia di premiazione studenti CheftoChef 2023 e l’aperitivo offerto dagli chef dell’associazione. A fare da cornice a tutto questo, il mercato dei produttori con aziende e consorzi che hanno presentato le loro eccellenze e una delegazione delle Città della Gastronomia CheftoChef. Per il primo anno, si sono tenuti anche due interessanti comizi agrari: sulle liliacee dell’Emilia-Romagna e sui vini regionali con un focus sul Lambrusco.
Dai forum è emerso che, usciti cambiati dalle varie crisi di questi ultimi anni, è ora di “chiudere il cerchio concettuale” del rapporto fra cucina e scienza e dialogare con un’altra scienza: quella medica, nella fattispecie e soprattutto della nutraceutica, che in modo prepotente condizionerà i nostri saperi gastronomici. Aumentano il tasso di cultura e di conoscenze necessarie per onorare una cucina italiana che potrà essere patrimonio UNESCO solamente se proseguirà nella sua dimensione di innovazione e di creatività, alla pari di tanti altri made in Italy. In particolare l’Emilia-Romagna può essere l’avanguardia in un nuovo rapporto fra gastronomia e turismo, in una logica di compatibilità ambientale e sociale. Bisogna altresì investire in una formazione che si confronti in continuo con le cucine-laboratorio e con la responsabilità di rappresentare culture territoriali, identitarie ma aperte ai flussi della modernità. CheftoChef in tutto questo è aperta al dialogo per lavorare su progetti condivisi.
>> Link: www.cheftochef.eu
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ANTICA CORTE PALLAVICINA
Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO”
43010 Polesine Parmense (PR)
Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416
www.acpallavicina.com
Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza.
Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.
TUTTOFOOD 2023, UN’EDIZIONE BELLISSIMA
Oltre 83.000 presenze, il 20% delle quali estere, da 132 Paesi, che riportano la manifestazione milanese ai livelli del 2019.
Molto apprezzato da espositori e operatori il nuovo concept espositivo che riflette la logica della Distribuzione Organizzata, con le tre macroaree “Fresco”, “Largo consumo confezionato” e “Surgelatoittico”. Oltre 150 eventi di elevato standing e grande riscontro sui media
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È stato un anno record per l’agroalimentare, che ha visto l’export italiano crescere del +17% nel 2022 sul 2021, superando i 61 miliardi di euro in valore. In questo scenario di grande attesa per le prossime evoluzioni, gli occhi di tutti i professionisti internazionali erano puntati su Milano dove, dall’8 all’11 maggio, Tuttofood 2023 ha catalizzato gli operatori nazionali ed esteri dell’agroalimentare, confermandosi la manifestazione di riferimento in Italia per l’eccellenza e l’innovazione sostenibile in tutta la filiera.
Si è chiusa una delle edizioni più partecipate dalla nascita di Tuttofood, con oltre 83.000 presenze di visitatori professionali, il 20% dei quali internazionali, da 132 Paesi. Le delegazioni più numerose sono arrivate, nell’ordine, da Spagna, USA, Francia, Svizzera, Germania, Olanda, Cina, Romania, Polonia, Regno Unito, ma erano presenti delegazioni anche da tutti e 5 i continenti: dal Vietnam al Canada, dalle Isole Faroe al Paraguay al Kazakistan. In quattro giorni di intensi scambi, con migliaia gli incontri di affari organizzati grazie alla piattaforma di matching tra i brand e i buyer selezionati, anche con la collaborazione di ITA/ICE Agenzia. Numerosi anche i giornalisti ed influencer dei media italiani ed esteri, sia tradizionali sia innovativi. Molto apprezzato tanto dagli espositori quanto dagli operatori il nuovo concept espositivo: le macroaree che riunivano per affinità di filiera i settori verticali, rispecchiando la logica della distribuzione — Fresco, Largo consumo confezionato e Surgelato-ittico — hanno reso più semplice ed efficace l’esperienza per visitatori e buyer, facilitando l’esplorazione e la scoperta di nuovi
brand e nuovi prodotti. Nuovi prodotti che quest’anno sono stati più presenti che mai, con tantissima innovazione in termini di sostenibilità, di packaging e di processo, nuove ricettazioni che anticipano le tendenze e rispondono alle esigenze di consumo in crescita — dal plant-based al ricco in proteine — e di formati ad alto contenuto di servizio che rispondono alla richiesta di praticità degli stili di vita attuali. L’innovazione sostenibile è stata celebrata anche dalla seconda edizione del Better Future Award, in collaborazione con GDOWEEK e MARKUP, che ha visto oltre 50 candidature. Diversi quest’anno gli ex aequo tra i premiati, a conferma dell’elevata qualità complessiva dei prodotti presentati.
L’appuntamento con la decima edizione di Tuttofood è a fieramilano dal 5 all’8 maggio 2025
L’istinto aiuta, ma oggi contano i fatti. Che si tratti di margini di contribuzione, costi delle materie prime, giacenze di magazzino o semplicemente dei prezzi giusti: con il CSB-System gestirete la vostra azienda sulla base degli indici. In questo modo avrete una visione chiara anche in situazioni non chiare.
>> Link: www.tuttofood.it @TuttoFoodMilano.
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1) Il Salumi DOP di Calabria. 2) Andrea Casa e la moglie Federica Madureri del prosciuttificio Casa Graziano di Tizzano Val Parma (PR). 3) Alberto Piturru e Felice Tavolaro del Salumificio San Vincenzo di Spezzano Piccolo (CS). 4) Alessandro e Elisabetta Chiapella dell’omonimo salumificio artigianale di Clavesana (CN). 5) Lorenzo Levoni presso lo spazio di Filiera Uno Prosciutti – Alcar Uno con operatori di Vion Food Group.
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1) Filippo Ciompi e Roberto Sandri del Salumificio Sandri di Montescudaio (PI). 2) Lo spazio del Gruppo Negrini di Renazzo (FE). 3) Barbara Marcozzi, responsabile commerciale del Gruppo marchigiano Marcozzi di Campofilone (FM). 4) Luca e Leoluca Levoni, zio e nipote, due generazioni del Gruppo modenese Alcar Uno. 5) Uno scatto presso lo stand del Pastificio Raguso di Genzano di Lucania (PZ).
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1) Nello stand di CSB-System, Roberta D’Alconzo, Marketing, e Andrè Muehlberger, Managing Director. 2) Roberto e Valentina Agnani e una parte dello staff commerciale di BP Prosciutti, una delle maggiori realtà dell’industria della salumeria italiana, parte del Gruppo Suincom di Solignano di Castelvetro (MO). 3) Simone Palma e Daniele Bordin della IPV Pack Srl di Carmignano di Brenta (PD), azienda leader in Italia e all’estero per prodotti e soluzioni packaging per il settore alimentare e il pet food.
Tuttofood 2023 è stato l’occasione ideale per presentare il rebranding e il nuovo logo del salumificio Mec Palmieri di San Prospero (MO), insieme a due nuovi protagonisti della produzione aziendale, la Mortadella La Ruvida e il prosciutto cotto di alta qualità Il Favoloso. La nuova identità firmata Palmieri racconta la storia di un’azienda capace di coniugare tradizione di famiglia e spirito di innovazione, tenendo ben saldi i principi su cui si fonda la più che centenaria attività produttiva: metodo artigianale, alta qualità, utilizzo di materie prime pregiate. Ne è un chiaro esempio il suo prodotto più celebre, Mortadella Favola, che nella sua versione Gran Riserva è stata riconfermata Miglior Mortadella d’Italia dalla Guida Salumi d’Italia 2023. Una pagina importante della salumeria italiana, che oggi l’azienda vuole esaltare, dando lustro all’autenticità della sua storia e consolidando la notorietà del proprio marchio. «L’operazione di rebranding mira a trasmettere con più immediatezza i valori del salumificio, nonché la nostra esperienza di lungo corso, che ci rende protagonisti tra i più rilevanti e dinamici di questo segmento. Inoltre, così rinsaldiamo il racconto del nostro impegno che da sempre ci guida verso una produzione artigianale, di alta qualità, made in Italy» ha dichiarato Francesco Palmieri, AD dell’azienda (in foto insieme alla sorella Margherita e allo zio Marcello Palmieri)
Ispirata all’antica tradizione dei salsamentari, la mortadella La Ruvida è caratterizzata da un sapore deciso e profumo intenso. L’impasto è composto di sole carni nazionali e piccoli dadini di guanciale, condito con aromi naturali e sale dolce dei Papi. Una leggera granulosità al palato e differenti gradazioni cromatiche di rosa della fetta, La Ruvida è particolarmente indicata per cubetti e fette spesse. La nuova referenza verrà distribuita in GDO. Il cotto Il Favoloso viene prodotto da materia prima selezionata, solo cosce di suini nati, allevati e lavorati in Italia. Aromatizzato su base naturale con sale dolce di Cervia, una nota di miele d’acacia e aromi naturali, cotto a vapore per circa 26 ore in sottovuoto e a bassa temperatura, Il Favoloso è morbido e delicato al palato. Grazie alla legatura, mantiene fino alla fine la compattezza delle fette senza rinunciare alla sottigliezza. Il prodotto sarà destinato al canale tradizionale.
>> Link: www.palmierisalumi.it — www.mortadellafavola.com
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 109 Salumificio Mec
Tuttofood
Palmieri, il rebranding presentato a
La Soppressata silana di Suino nero biologico con la lacrima e la ‘Nduja di Suino nero biologico del Salumificio Falcone
Nella cornice fieristica di Tuttofood 2023 abbiamo incontrato Antonio e Giuseppe Falcone (in foto), dell’omonimo salumificio di Camigliatello Silano (CS). «Siamo reduci dal BioFach di Norimberga, la vetrina più importante al mondo per i prodotti biologici a cui abbiamo partecipato come unica calabrese, una bella soddisfazione!» mi dice Antonio Falcone. «Quest’anno in fiera abbiamo aderito alla partecipazione collettiva organizzata molto bene dall’assessorato all’Agricoltura, in collaborazione con l’Assessorato alle Attività Produttive della Regione Calabria». Il Salumificio Falcone ha riproposto un prodotto di punta della tradizione salumiera calabrese, la Soppressata dolce biologica della Sila. «È una soppressata che al taglio fa la goccia o, come si dice dalle nostre parti, la lacrima”» mi dice Falcone. «Questo salume è stato trascurato e noi lo stiamo rivalutando e riproponendo al mercato. Fino a un quarto di secolo fa era il salame che identificava il territorio calabrese, soprattutto nelle aree interne e delle montagne, nel Parco nazionale della Sila, all’interno del quale operiamo con l’allevamento dei nostri suini e con la lavorazione dei salumi. La nostra filosofia è quella di scegliere solo materie prime locali calabresi seguendo la stagionalità della produzione, portando avanti un discorso di salumeria tradizionale senza scendere a compromessi». I prodotti sono biologici, certificati BCC.
Soppressata dolce di Suino nero bio
Uno dei salami più caratteristici della tradizione calabrese, a grana media, si ottiene utilizzando le parti pregiate del suino: triti, spalle e pancettone accuratamente mondati e selezionati. Il prodotto viene insaccato in budello naturale. La stagionatura avviene in un clima di montagna che gli conferisce gusto e profumo.
• Descrizione: pezzatura 0,5-0,6 kg, imballata nei cartoni, in confezioni s/v o sfusa; stagionatura 45/50 giorni. Prodotto da vendere a peso;
• Composizione: carne suina biologica, sale, destrosio biologico, pepe nero biologico. Antiossidante: ascorbato di sodio. Conservanti: nitrato di potassio;
• Stoccaggio e conservazione: se sfusa, a temperatura ambiente, per 180 giorni; se confezionata s/v, in frigo a temperatura +2 °C/+4 °C e per 180 giorni.
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‘Nduja di Suino nero biologico
Un altro tra i prodotti di punta del Salumificio Falcone è l’‘nduja di Suino Nero bio. «Non usiamo scarti di lavorazione dei macelli e nemmeno tanto grasso» dice Antonio Falcone. «E usiamo solo il peperoncino secco di Calabria». L’esperienza raggiunta dopo quattro generazioni, l’accurata selezione delle materie prime e il controllo rigoroso dei tempi di stagionatura, permettono di ottenere il prodotto per antonomasia della salumeria calabrese. Salame a grana finissima, si ottiene utilizzando le gole, il lardello e la spalla di suino miscelati con molto peperoncino piccante.
Il prodotto viene insaccato in budello naturale e assume la consistenza di un salame morbido da spalmare. La stagionatura in un clima di montagna gli conferisce gusto e profumo.
Composizione del prodotto: carne suina biologica, sale, salsa di peperoncino piccante biologico, paprica dolce in polvere biologica, pepe nero biologico, semi di finocchio biologici; conservanti: nitrato di potassio.
>> Link: salumificiofalcone.it
A sinistra: l’area del Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena, che ha recentemente celebrato il suo trentennale. Costituitosi nel 1993 con 12 coraggiosi produttori (oggi 49 soci), il Consorzio da sempre percorre la strada della tutela, della promozione e della valorizzazione di questo prodotto a cui si può certamente ascrivere il merito di aver accresciuto il benessere economico del territorio e quello sociale, facendo del suo tessuto produttivo, ovvero le acetaie, un driver turistico. A destra: Daniele Reponi durante la preparazione di uno dei suoi panini gourmet a base di Prosciutto di Modena DOP.
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 111
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1) Franco Renzini nello spazio del Prosciutto di Norcia DOP. 2) Luca Gentile con i liquori artigianali calabresi del Liquorificio Gentile, il più antico liquorificio di Carlopoli (CZ). 3) Anna Anceschi, direttrice del Consorzio del Prosciutto di Modena DOP. 4) Renato Romanzin, direttore del Consorzio per la tutela del Formaggio Montasio DOP.
Con
il
cortador Felix Meli, alla scoperta della cecina jamón de vaca/buey firmata Gutrei Galicia
Nello spazio della spagnola Gutrei Galicia, azienda fondata del 2007 dai fratelli José Manuel e Miguel Angel Gutiérrez, abbiamo scoperto una cecina molto interessante, Jamón de Vaca/Buey della linea Roxad’Ouro (la selezione top di gamma di Gutrei caratterizzata da un grasso di colore tendente al giallo e da una maggiore infiltrazione/marezzatura), commercializzata in Italia da Lux Trading di Pesaro. Il cortador milanese Felix Meli ci ha accompagnato nella degustazione di questo salume di carne bovina galiziana davvero speciale. «Ciò che colpisce all’assaggio non è solo la sua morbidezza ma anche la marezzatura. L’intersezione del grasso, che conferisce un sapore particolare molto soave, è ben visibile e caratterizza il prodotto. Questo aspetto organolettico dà piacere, persistenza al sapore e al gusto senza diventare mai stucchevole. E, soprattutto, grazie alla consistenza dettata dal grasso lascia una piacevolezza che rimane in bocca anche dopo l’assaggio. E questo secondo me è l’indice di bontà del prodotto» ha sottolineato Felix. Questo jamón fa una stagionatura di 15 giorni senza sale senza aromi. «Qua tutto è naturale, anche il colore della carne e quello delle parti grasse indicano un sapore facilmente riconoscibile che non stanca lasciando la bocca molto piacevole. Il gusto è deciso ma non è così marcato da stancare e tutto è bilanciato». Felix Meli è un cortador italiano che ha imparato l’arte di questo mestiere da maestri spagnoli. Ha collaborato con numerosi chef stellati tra cui Carlo Cracco e Davide Oldani e oggi si occupa anche di formazione professionale. «Il mio lavoro è raccontare “tutto il lavoro” che sta dietro una fetta di jamón ibérico» ci racconta Felix, che è spesso impegnato in eventi pubblici e privati. «Mi sono appassionato a questo lavoro perché ho compreso la fatica, l’impegno e la dedizione nel creare prodotti di tale qualità».
>> Link: gutreigalicia.com – luxtrading.it
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Il cortador milanese Felix Meli ci ha accompagnato nella degustazione della cecina firmata Gutrei.
ROBIOLE: GUAI A CHI SNOBBA QUELLE “MINORI”
di Chiara Papotti
Robiola, nessun formaggio ha origine più incerta. Alcuni studiosi attribuirebbero il nome al latino rubere, “roseggiare”, dal colore tipico della crosta matura; altri, invece, la collegherebbero a robbio, il manto delle vacche prealpine che pascolano le vette in cui vengono prodotte. Probabilmente è anche per l’incertezza della sua etimologia che il termine robiola comprende una moltitudine di formaggi, accomunati dalla dimensioni ridotte, ma differenti per caratteristiche e tecniche di produzione.
Robiola di Roccaverano DOP e Robiola della Valsassina
La regina delle robiole, l’unica ad aver ottenuto la certificazione DOP a livello europeo, è quella di Roccaverano in Piemonte, un capolavoro di sapienza artigiana dal sapore di yogurt, nocciola ed erba verde, capace di evolvere verso sfumature muschiate nelle forme più stagionate. Seconda per notorietà, ma non certo per qualità, è la robiola della Valsassina, prodotta nei comuni di Pasturo, Introbio, Primaluna, Cortenova e Ballabio, vicino a Lecco. Dalla forma quadrata o rettangolare, presenta note piacevolmente piccanti, che diventano sempre più predominanti in corso di stagionatura nelle grotte, luoghi in cui
Robiola d’Alba al peperoncino, ottenuta da latte 100% piemontese. Il gusto dolce della robiola, seppur con le caratteristiche note acidule, prende vita grazie al piccante del peperoncino. Perfetta da sola sul pane bianca o accompagnata da miele o confettura di frutta.
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 115 FORMAGGIO
Non una ma tante robiole: il termine “robiola” si riferisce ad una moltitudine di prodotti che si distinguono per il tipo di latte, l’esposizione alla stagionatura (e l’eventuale durata) e la maturazione della crosta, della muffa di superficie o della pellicola. Le sue origini sono radicate in Piemonte, nelle Langhe, e in Lombardia, in particolare nel Bresciano.
umidità e temperature sono ottimali per conferire al prodotto finito caratteristiche uniche.
Robiole “minori”
Dopo una dovuta premessa sulle due star nazionali, c’è un universo di robiole “minori” poco conosciuto, però, che ci ha letteralmente rapito. Classificate “minori” non certo per pregio, ma piuttosto per l’esiguità e la rarità delle produzioni che fanno di queste robiole preziosi gioielli di gusto.
Robiola d’Alba
Si ottiene generalmente da latte vaccino crudo, a garanzia di una maggior ricchezza di aroma. Dalla forma cilindrica a facce piane del diametro di 9-13 cm, con scalzo convesso, alto circa 3 cm, è un formaggio a pasta molle, fresco o di breve stagionatura, pronto dopo circa 3 giorni dalla lavorazione. Il latte viene inoculato con i fermenti lattici e, raggiunta la temperatura di 30-35 °C, viene addizionato al caglio di vitello; la cagliata viene, quindi, rotta
in dimensioni grossolane e lasciata a riposo sotto siero per alcuni minuti. Dopo l’estrazione, la pasta è posta in fuscelle, dove rimane per essere salata a secco o in salamoia. La crosta è assente e la superficie bianca, o molto fine a termine stagionatura, di colore rossiccio; la pasta è leggermente granulosa di color bianco o avorio nelle forme più mature.
Robiola di Ceva o Mondovì
Sempre a partire da latte vaccino, di razza Piemontese, si ottiene la Robiola
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di Ceva o Mondovì, relativamente poco conosciuta, soprattutto perché la produzione rimane prevalentemente casalinga. Il segreto della sua bontà, a dire da chi la produce ancora seguendo il metodo tradizionale, sta nel latte di qualità eccellente e nella tecnica di produzione, che si differenzia da quelle utilizzate per le altre robiole. Infatti, la coagulazione, prodotta con caglio liquido di vitello, avviene ad una temperatura relativamente bassa, 18-22 °C, per un periodo piuttosto lungo, come minimo 24 ore. Si procede poi ad una delicata rottura del coagulo e al trasferimento della massa negli stampi; la salatura, dopo circa 2 giorni di spurgo, viene fatta a secco, con sale marino fine, e la si porta a completa maturazione lasciandola a riposo per circa 20 giorni, fino alla formazione della crosta morbida e sottile, che può assumere una leggera velatura di muffa bianca.
Robiola del Bec
Altro prodotto che merita di essere nominato e valorizzato è la Robiola del Bec, che trova origine tra le province di Asti e Alessandria. Il nome deriva dal fatto che viene tradizionalmente prodotta nei mesi di ottobre e novembre, quando le capre vanno in amore e vengono montate dal caprone (bec, buc o becco in dialetto piemontese). Il latte caprino, particolarmente grasso in questo periodo dell’anno, conferisce una particolare ricchezza al formaggio. In fase di produzione si lascia acidificare il latte della sera e lo si aggiunge a quello della mungitura mattutina, raggiungendo i 18 gradi complessivi. A questa miscela si somma caglio liquido di vitello e si lascia che la coagulazione acida, o lattica, proceda lentamente per almeno 24 ore.
La cagliata viene travasata negli appositi contenitori, dove rimane per una giornata. In questo caso, però, a differenza delle altre robiole, si procede a successive colmature per raggiungere una maggiore altezza. Infine, una volta spurgato del siero, si aggiunge sale fino e si pone la robiola in un ambiente adatto per il riposo.
Robiola bresciana
Forse meno numerosa, ma altrettanto di qualità, è la compagine delle robiole artigianali della Lombardia. Tra le più
interessanti troviamo la Robiola bresciana, già citata nel 1855 ne “L’inchiesta agraria sulle condizioni della classe agricola in Italia”. Anche chiamata Smorzasoel, Formaela o Rubiulina, è un prodotto ottenuto da latte vaccino che viene inoculato con fermenti lattici selezionati o lattoinnesto e, a temperatura variabile da 35° a 40°, in funzione del latte, se crudo o pastorizzato, viene addizionato con caglio di vitello. La cagliata, presamica, subisce una rottura in due fasi alle dimensioni di una noce. La pasta viene estratta, posta in fascere e fatta stufare su stuoie, dette canilì, dalle quali prende la tipica rigatura.
Formaggio delle famiglie che possedevano le lattifere, oggi è considerato un capolavoro da veri intenditori. Lo si trova in commercio in due differenti consistenze: la tipologia morbida con crosta assente e pasta morbida priva di occhiature, e la versione dura con crosta sottile, di colore giallo o rossiccio, e pasta friabile o cremosa.
Robiola di Castel San Giovanni
L’Emilia-Romagna è culla di un altro formaggio che il mondo intero ci invidia: la Robiola di Castel San Giovanni (anche nota come Ribiola o Furmai Nis). Prodotta nella provincia di Piacenza, è una formaggella fresca di piccole dimensioni, ottenuta da latte di pecora mantecato con latte, zucchero, vino bianco secco o grappa o cognac.
La particolarità di questa robiola è che, una volta prodotta, viene riposta in vasetti di vetro, coperti d’olio e tenuta a stagionare fino a quando non diventa piccante. È un prodotto molto raro da trovare, ma chi ha il piacere di assaporarlo ne rimane estasiato. Accompagnato da pane casereccio, poco sapido, dà il meglio di sé con vini rossi corposi.
Produttori, selezionatori e affinatori…
Non sono tante le figure di riferimento per chi voglia gustare le varietà delle migliori robiole artigianali, specialmente quelle minori. Ma le produzioni tipiche, di qualità e di piccole quantità, che caratterizzano alcuni ambiti territoriali, restano quanto di più prezioso abbiamo e meritano la nostra massima valorizzazione.
Chiara Papotti
Premiata Salumeria Italiana, 3/23
41038 S. Felice s/P (MO) Via Palazzetto, 36
Cuneo, formaggi da record
di Riccardo Lagorio
La chiamano Granda per la sua superficie, ma Cuneo è gigante anche nel mondo del gusto grazie ai suoi vini (accanto a Barolo e Barbaresco, il Dogliani è la nuova calamita del turismo nostrano e straniero), a frutta e verdura di spiccata rinomanza (dalle mele Renette grigie di Barge alle Nocciole Piemonte IGP), alle carni e, soprattutto, ai formaggi, che realizzano un vero e proprio record in quanto a numero e bontà. Accanto alle denominazioni di origine spuntano da ogni valle tome e forme prestigiose che arricchiscono la proposta gastronomica di botteghe, ristoranti e osterie.
Ecco in 6 tappe quelli che vale la pena conoscere
A sud di Alba le colline prendono il sopravvento: paiono plastilina nel colore e nel profilo stiracchiato. Chi vuole divertirsi nella natura e ha buone gambe può seguire lungo il torrente Belbo sentieri ben segnalati tra boschetti di roverelle e noccioleti. A mezza costa, di tanto in tanto si incontrano contrade deserte e silenziose. Sono le terre che BEPPE FENOGLIO descriveva come Langhe che nascondono e nutrono cinquemila partigiani. A mezza costa, di tanto in tanto si incontrano contrade deserte e silenziose fin su a Bossolasco. Qui si
fa sosta all’azienda agricola Monte Robiglio (bossolascolanghe.it/monterobiglio) dove i fratelli MARISA e MASSIMO GIORDANO proseguono la produzione del Murazzano DOP, uno squisito formaggio di latte ovino e bovino di cui, pare, parlasse già PLINIO IL VECCHIO con il nome di Caseus coebanus. «Grazie ai pascoli posti a 800 metri di altitudine e al clima fresco e ventilato lavoriamo il latte crudo della nostra fattoria, cosa che conferisce al Murazzano DOP un gusto specifico in base alle stagioni» spiegano. Da quando sono state applicate le regole imposte dalle normative europee e senza discernimento applicate da parte delle
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aziende sanitarie locali, molte piccole realtà hanno deciso di chiudere, mettendo a rischio la sopravvivenza stessa di questo storico formaggio.
Prima di lasciare il territorio di Bossolasco bisogna dare un’occhiata al centro del paese che attira la curiosità di turisti nordeuropei per la fioritura dei roseti cresciuti ai bordi della strada che lo attraversa prima di affrontare alcuni tornanti verso il fondovalle sino a Dogliani. Qui il momento migliore per percorrere il borgo Castello è il tardo pomeriggio per ammirare il tramonto, sotto il monumentale ippocastano. L’intero arco alpino s’infuoca di colori.
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In alto: vigneti delle Langhe, Patrimonio UNESCO (photo © Konstantin Kalishko), e la stagionatura del Castelmagno La Meiro. In basso: le cantine di Poderi Luigi Einaudi.
A Poderi Einaudi si trascorre la notte tra le stanze che celebrano i ricordi dell’ex presidente della Repubblica Luigi e le deliziose note del pronipote Ludovico. L’aggettivo celestiale per descrivere la colazione non è fuori luogo. Poderi Einaudi è la culla del Dogliani DOCG, ideale nello scortare i formaggi (poderieinaudi.com).
Come i caprini che produce RENATA SCARZELLO di Cascina Lia (Cascina Lia su FB), giovane infermiera tornata all’occupazione della nonna. «È stato un rientro… all’ovile» ci scherza su. I suoi estimatori apprezzano le visite guidate all’allevamento e la possibilità di mostrare ai bimbi la nursery dei capretti. «L’alimentazione degli animali è a base di fieno, mais e polpa di barbabietola» svela. Tra le preparazioni di Renata c’è la tuma nell’arbanella, piccole formaggette che vengono messe in contenitori di vetro per completare la stagionatura. Il risultato è un formaggio che sprigiona un aroma assai deciso.
A breve distanza il Tanaro crea meandri che sembrano attorcigliarsi tra loro. Si possono percorrere a piedi i sentieri a strapiombo sul letto del fiume ammirando paesaggi lunari con calanchi e curiose sagome scavate dallo scorrere dell’acqua. Da Dogliani servono 30 minuti di automobile per raggiungere la fattoria di STEFANO BOT-
TERO a Trinità (telefono: 342 9727766), dove il profumo di burro, carico di colore e sapore, possiede un aroma ormai raro da percepire. Stefano, assieme a moglie e figli, è tra i pochi a praticare ancora la transumanza da qui verso le valli monregalesi. Secondo i cicli della natura scanditi da secoli, «l’inverno si trascorre in pianura. Poi si lascia il paese a inizio maggio e, dopo alcune soste, a luglio si raggiunge Prato Nevoso, borgata di Frabosa Sottana, a 1600 metri”, racconta. È nato tra questi alpeggi il Raschera DOP che prende il nome dall’omonimo laghetto montano a 2.100 metri.
Merita raggiungere l’isolata frazione di Campovecchio a Frabosa Soprana dove vive tutto l’anno GIUSEPPE LANZA (telefono: 348 5866869), l’ultimo custode alpigiano di questo formaggio dall’insolita forma quadrata, «utile quando doveva essere trasportato a fondovalle a dorso di mulo». Nel suo casolare il tempo pare essersi fermato: dalla razza di animali in stalla, bovine Piemontesi che producono una scarsa quantità di latte e vengono alimentate solo con il fieno raccolto intorno al villaggio, all’utilizzo degli arcaici metodi di produzione come i tini in legno. Il risultato è il Raschera DOP d’Alpeggio, un prodigio profumato di fiori, giallo paglierino, invitante nella consistenza
In alto: Massimo e Marisa Giordano produttori di Murazzano DOP a Monterobiglio e Renata Scarzello di Cascina Lia con i suoi caprini. In basso: Stefano Bottero con una forma di Raschera, formaggio d’alpeggio che prende il nome dall’omonimo laghetto montano a 2.100 metri.
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burrosa. Anche Giuseppe Lanza e la moglie Monica Polide organizzano una transumanza, seppur breve. A maggio si parte per la borgata Lorgane e da lì a fine giugno si raggiunge Miasola da dove ci si sposta a luglio verso la malga Malanotte, a 1700 metri, tra larici, rododendri e pino mugo.
Chi è in cerca di rarità casearie può anche risalire la selvaggia Valle Stura e bussare a Pietraporzio alla fattoria di DANIELE GIORDANO (telefono: 017 196670), che sta recuperando la razza ovina Sambucana con la quale produce rare formaggette. Se si ha tempo, ci si può fermare all’Ecomuseo della pastorizia che racconta lo sviluppo della valle legata all’allevamento di pecore.
Risale invece la stretta Valle Grana e raggiunge Castelmagno chi è in cerca del re dei formaggi, il Castelmagno DOP
Citato per la prima volta nel 1277 in una sentenza arbitrale che fissava il canone di affitto in forme di Castelmagno, il complesso processo produttivo e l’abbandono della valle ne hanno praticamente minato le sorti.
Se DIEGO ISOARDI (telefono: 338 1668410) è interprete di un’antica pratica familiare nel caseificio che porta il nome di Alpe Chastlar, ANDREA
AMEDEO ha deciso di aprire La Meiro, locanda con camere e ristorante, «dove
il nostro Castelmagno DOP dalle lunghe stagionature entra in ogni pietanza», dopo avere trascorso oltre una decina d’anni a servizio di un istituto di credito. Bisogna farsi accompagnare nel caveau interrato per scoprire forma di Castelmagno DOP di quattro anni e oltre, autentiche rarità delle quali, si dice, JACQUES CHIRAC andasse matto in sfregio al presunto atteggiamento nazionalistico dei cugini d’Oltralpe. Genererà sofferenza lasciare un luogo tanto goloso.
Ma c’è tanto da fare a Castelmagno: seguire uno dei tanti sentieri che portano in quota oppure dedicarsi alla scoperta di Narbona, villaggio fantasma abbandonato a metà Novecento e definito hotspot naturalistico per le numerose specie esistenti.
Lungo la discesa a valle il profumo dei tartufi di Montemale fa deviare verso Dronero. Al ristorante Cavallo Bianco (ilcavallobianco.com) le acciughe intere abbelliscono il vitello tonnato, tome e formaggi fanno capolino nel menu. «I formaggi del Cuneese possiedono pari valore del Ponte del Diavolo che si trova a pochi passi da qui, di fine Quattrocento» afferma la proprietaria CINZIA BELLIARDO offrendo un sontuoso tagliere di caci a fine pasto. Difficile darle torto.
Riccardo Lagorio
In alto: Giuseppe Lanza produttore di Raschera DOP, la cui insolita forma quadrata deriva dal fatto che un tempo veniva trasporto a fondovalle a dorso di mulo, e Diego Isoardi nella sua azienda agricola Alpe Chastlar dove produce Castelmagno. In basso: Cinzia Belliardo con il tagliere di caci del Cavallo Bianco.
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EVO EXPERIENCE
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 122 LO CHEF DELL’OLIO
di Fabrizio Bertucci
Avvicinare le persone all’olio extravergine di oliva di qualità e al suo consumo consapevole è un lavoro di “rete”. E cosa c’è di più aggregante di un evento? Come trasformare una festa in una Evo Experience?
Mi spiego. Produttori, comunicatori, assaggiatori, cuochi, sommelier, ristoratori, responsabili di sala e organizzatori devono fare sinergia mirata alla buona riuscita della giornata nell’interesse dei partecipanti, i consumatori, coinvolgendoli nel piacere dell’assaggio confortato dalle informazioni. A tal proposito vi racconto la mia ultima esperienza in Sicilia. Ormai mi conoscete e sapete che amo parlare di quanto già fatto, reale, tangibile, piuttosto che fare dichiarazioni di intenti. Dare l’esempio piuttosto che pontificare lo ritengo un piccolo solco tracciato sul quale proseguire.
L’occasione è stato l’evento Inycon e le sue Contrade, un viaggio alla scoperta dei vini di qualità e dei sapori del Mediterraneo, svoltosi a Menfi (Città italiana del Vino 2023), nell’ultimo week-end di aprile, all’ombra della bouganville più longeva d’Europa, nella meravigliosa location di Casa Planeta, appartenuta al fondatore dell’omonima cantina e donata alle istituzioni al fine di sostenere eventi mirati a promuovere le eccellenze del territorio. Come lascia intuire il nome, il fine settimana nasceva come evento mirato alla promozione del vino del territorio, offrendo assaggi guidati e raccontati, storie di famiglie, vigneti e barrique.
Ed ecco la “rete”. Grazie all’intuizione di CARMEN BONFANTE dell’Azienda Agricola Evo Sicily , produttrice di olio extravergine di oliva, sommelier del vino, assaggiatrice e capo panel di olio, siamo riusciti ad integrare perfettamente le due situazioni, completandole con prodotti autoctoni quali la Vastedda della Valle del Belice DOP, uno dei rari formaggi ovini a pasta filata, e il Carciofo spinoso di Menfi, presidio Slow Food.
Immaginate il piacere dei tanti ospiti che, al cospetto dei già desiderati quanto previsti calici, hanno trovato anche una sala adibita con bicchierini funzionali alla degustazione dei due evo dell’azienda citata, quali EvoEmbrace, una Nocellara del Belice in purezza, ed EvoSi, un blend delicato di Biancolilla e Nocellara del Belice.
Naso, riconoscimenti organolettici, strippaggio (ricordate? Consiste in una serie di aspirazioni brevi e ripetute attraverso la bocca per estendere l'olio nella cavità orale e ossigenarlo, per meglio percepirne le sue componenti volatili aromatiche, NdA) e, soprattutto, le informazioni divulgate dalla dottoressa Bonfante, di semplice lettura e di grande appeal, in merito a come riconoscere un olio extravergine d’oliva di qualità, com’è realizzato un frantoio di tipo moderno, come funziona, la differenza con quelli tradizionali a macine e presse, la raccolta, i tempi tecnici di trasporto, le modalità, la conservazione, l’imbottigliamento.
Visite in cantina, all’oleificio e al caseificio, wine tasting, banchi d’assaggio e presentazioni di libri: diverse le attività in programma nei tre giorni dedicati a Menfi, Città italiana del Vino 2023 e al suo straordinario territorio. L’evento vuole sottolineare l’importanza degli scambi commerciali e dei ruoli di promozione legati al territorio e alla storia delle persone. L’evento prende il nome di Inycon perché così anticamente veniva chiamata la città di Menfi, Agrigento.
Molta la curiosità e tante le domande dei partecipanti, perché, Signori, diciamoci la verità, l’olio extravergine di oliva vero è ancora una materia sconosciuta all’uomo della strada
Dibattito e assaggi in abbinamento a finger food semplici quali pane, mozzarella, insalata e pomodori. Gran finale a cena, dove ho avuto il privilegio di realizzare per tutti il mio piatto con le eccellenze citate, un Carnaroli in risotto, mantecato alla Vastedda della Valle del Belice DOP e guarnito con carciofi fritti e un filo di olio extravergine di oliva EvoEmbrace
Tracciato il solco, ora che arriva la bella stagione, andiamo avanti con eventi emozionali ed esperienziali: i produttori propongano picnic con cestino in vimini sotto gli olivi, i bartender offrano cocktail con olio evo a bordo piscina, i frantoiani accompagnino i turisti in visite in frantoio con degustazione, gli chef realizzino le loro creazioni con oli extravergine di qualità
E ancora, i ristoratori illuminati integrino i loro menù con la Carta degli oli, i responsabili di sala e i sommelier guidino gli ospiti negli abbinamenti, ma, soprattutto, i consumatori si impegnino a capire, ora che la “rete” fornisce loro continuo supporto, che tra l’olio in offerta sullo scaffale e l’olio da concorso, esiste l’olio buono a prezzi possibili
A presto, il vostro chef dell’olio.
Fabrizio Bertucci
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 123
SALSAMENTERIA PETRONIANA: MEDARDO BASSI
di Josette Baverez Blanco
Sono pochi ormai i Bolognesi che ricordano questo personaggio vissuto tra il 1840 e il 1905. Nato a Sala Bolognese, partecipò alle Spedizione dei mille con Garibaldi e fu amputato della gamba sinistra dopo essere stato ferito durante la battaglia di Milazzo. Il 2 gennaio 1877 Garibaldi gli scrive da Caprera: “Mio caro Bassi, fu una calda zuffa quella di Milazzo ed ai valorosi come voi dovemmo il trionfo a caro prezzo-di cui portate il segno, seminando una gamba in quei campi di cactus. È cotesta una croce al valore militare indistruttibile. Grazie per gli eccellenti salumi e tortlin. Sempre vostro, Giuseppe Garibaldi”. Di ritorno a
Bologna, iniziò a lavorare nel campo della salsamenteria. In quell’epoca, si stavano industrializzando le grandi città europee e dell’Italia settentrionale ma, pur spiccando in Emilia-Romagna, l’economia di Bologna rimaneva più agricola che legata all’imprenditoria industriale. È quindi da apprezzare in modo particolare la genialità di Bassi e altri amici che diedero un impulso innovativo ad un territorio ancora molto arretrato, facendo nascere i primi stabilimenti industriali e, di conseguenza, l’esportazione non solo in altre regioni e in altri Paesi ma anche Oltreoceano.
L’Esposizione Generale Italiana di Torino permise il lancio definitivo della città di Bologna come centro produttivo
di importanza nazionale. Dobbiamo sottolineare che in quel periodo, oltre all’importanza del settore alimentare (formaggi, riso e carni insaccate), stava prosperando in Emilia-Romagna l’industria meccanica. Sono famose le aziende Calzoni e Barbieri nel campo degli impianti idroelettrici, le Officine Maccaferri nella lavorazione del ferro e la ditta Zamboni, che mise sul mercato le prime macchine industriali per la fabbricazione della pasta, tortellini inclusi.
Invitato all’Esposizione, Medardo Bassi pubblicò una “Breve relazione” nella quale ringraziava la città piemontese per l’accoglienza, ne faceva le lodi per il rapido e notevole progresso industriale e per il patriottismo
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 124 STORIA E CULTURA
mirato all’Unità d’Italia. Illustrava in un secondo tempo il suo lavoro con queste parole: ”dopo sforzi e sacrifici infiniti e combattuto e vinto gli ostacoli che si opponevano, ebbi finalmente il dolce compenso di vedere il mio stabilimento riscuotere il non facile plauso dei concittadini, di svegliare e incitare altri a seguirmi, di confondere l’invidia e l’incredulità e la cieca affezione ai vecchi imperfetti sistemi di fabbricazione che la stessa mia casa teneva nel suo nascere”. Seguiva l’elenco di vari riconoscimenti ottenuti, ad esempio la medaglia d’argento all’Esposizione Nazionale di Milano nel 1881 e la prima medaglia ottenuta a Melbourne in una Mostra Internazionale. Nella sua relazione, Bassi non mancava di sottolineare affanni e ansie legati alla tassazione. Lamentava che la sua industria fosse “troppo colpita ed inceppata dai pubblici aggravi”, dovendo “principalmente dolermi della misura eccessiva assegnatami nel canone di Dazio Consumo Comunale”
Senso di ingiustizia e disgrazie familiari (perdita delle madre e della sorella, preziose collaboratrici) non fermarono la sua determinazione a dare le maggiori cure possibili alla sua industria che diventerà fra le più celebri di Bologna. Aveva in via Saragozza il suo magazzino con negozio adiacente ornato da bandiere tricolori e di iscrizioni patriottiche: “Appesa al soffitto v’è una grande quantità di mortadelle e di salumi diversi... Così a occhio e croce il numero delle mortadelle si valuta al migliaio, il che tradotto in peso dà la bellezza di circa 60 e più quintali. Disposte in bell’ordine su due file e brillanti di nettezza vi sono ben nove macchine, fra le quali sono degne di menzione quelle inventate ed
eseguite dal meccanico Giusti per tritare le cotiche e i lardelli e per affettare la mortadella... Quella mostra è un inno al lavoro e all’amor patrio”
Questa vena di creatività meccanica destinata alla salsamenteria petroniana è stata una caratteristica di quegli anni. Dobbiamo citare dunque altri illustri imprenditori come i FRATELLI ZAPPOLI e ULISSE COLOMBINI. Il metodo di inscatolamento usato da tutti loro venne inventato da ALESSANDRO FORNI. Superiore alla conservazione sotto vetro secondo il Metodo Appert, da lui stesso introdotto nel 1862, consentiva una lunga conservazione della mortadella tagliata in grosse fette da 250 a 500 grammi facile ad una massiva esportazione in un periodo dove gli Italiani stessi cominciavano ad andare Oltreoceano.
Nel 1881, il 65% della produzione era destinato al mercato extraemiliano ed estero. Nel 1898, la statistica promossa dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio rilevò che la lavorazione dei salumi aveva una notevole importanza nella provincia di Bologna, sia per il numero di operai occupati che per la produzione destinata al mercato nazionale ed internazionale con testa di ponte la mortadella. Si spedivano annualmente circa un milione di scatole. 9 erano le ditte altamente meccanizzate per l’epoca, 5 a Bologna, 3 a Imola e una a Borgo Panigale, per un totale di 187 operai.
Nel 1886 l’azienda Villani di Castelnuovo Rangone (MO) cominciò la fabbricazione di salumi, anche se il suo fondatore li produceva già vent’anni prima. Negli anni ‘80 e ‘90 del XIX secolo, lo stabilimento Colombini estese la vendita di mortadella in tutto il mondo.
Josette Baverez Blanco
Premiata Salumeria Italiana, 3/23
Photo © FedericoMagonio
AUDIT NELL’INDUSTRIA ALIMENTARE
I VANTAGGI dell’ERP CSB-System
La salute e l’ambiente non possono più essere considerati in maniera disgiunta: oggi tutti sanno che la salute è legata ai fattori ambientali e che l’alimentazione sana svolge un ruolo sempre più importante. Per l’industria alimentare questo comporta delle sfide, perché introduce l’importanza delle certificazioni, la cui gestione può essere lunga e laboriosa. Quali vantaggi derivano dalla digitalizzazione della gestione delle certificazioni? «È una domanda che, in qualità di esperto, mi viene posta sempre più spesso» afferma il dott. Andrè Muehlberger, direttore della
filiale italiana del gruppo CSB-System SE, che da oltre 40 anni si occupa dello sviluppo e implementazione di ERP per il settore alimentare.
E continua: «La ricerca e la preparazione delle informazioni rilevanti per l’audit sono un problema di tempo e di costi, perché i dati vengono spesso raccolti in modo decentralizzato in sistemi diversi. I nostri clienti ci riportano inoltre che gli audit sono ormai diventati un lavoro continuo. Il motivo è da ricercare negli intervalli di tempo sempre più brevi tra i singoli audit e nel numero crescente di quelli non annunciati. Una mole di lavoro enorme! Ma dal reperimento
centralizzato delle informazioni, che diventa possibile solo attraverso l’integrazione, la connessione o l’espansione della raccolta dati in un sistema ERP, possono derivare notevoli risparmi. Il CSB-System fa proprio questo: offre una gestione integrata delle informazioni, facilita le attività ricorrenti in vista di un audit e consente una presentazione strutturata delle informazioni rilevanti».
Sempre più audit
nell’industria alimentare Spesso il problema è rappresentato dalla molteplicità dei requisiti, difficili da integrare nei processi esistenti. Oppure,
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 126 TECNOLOGIE
Una gestione della sicurezza alimentare coerente con i principi HACCP aumenta la fiducia dei clienti.
i requisiti cambiano e le informazioni registrate devono essere raggruppate tra i vari sistemi per soddisfare i criteri di valutazione. «La nostra esperienza ci insegna che quando le aziende definiscono i loro processi devono tenere conto dei requisiti delle diverse certificazioni, perché solo attraverso la certificazione si può documentare un processo di produzione e lavorazione sicuro per il consumatore» spiega Muehlberger. Esistono vari tipi di controlli prescritti dalla normativa in campo alimentare: alcuni sono obbligatori, altri volontari ma necessari per ottenere determinate certificazioni (ad esempio, CO2-Label, Carbon Trust Standard, Halal, Kosher, ecc…). Certificazioni come l’IFS Food servono principalmente a garantire la qualità e la sicurezza alimentare. Procedure come l’HACCP identificano e analizzano i potenziali pericoli e i punti critici di controllo nella gestione dei processi. Tutte rappresentano un ingresso privilegiato nel mercato della grande distribuzione.
Qualità dei prodotti garantita
I responsabili delle varie aree aziendali, in collaborazione con gli esperti CSBSystem, individuano i cosiddetti Critical Control Points ai quali collegare postazioni fisse o eventuali dispositivi mobili per il rilevamento dati. Le informazioni sono così inserite, registrate e analizzate on-line nell’ERP CSB-System, senza soluzione di continuità. Processi, come
pesatura, miscelatura, lavorazione, riempimento, confezionamento e analisi, sono costantemente sincronizzati con la gestione qualità tramite il gestionale, che registra i passaggi critici in maniera precisa seguendo i checkpoint precedentemente definiti.
Gestione di audit e certificazioni con un unico ERP Qualora ci siano degli scostamenti dai parametri prestabiliti, è il CSB-System a comunicare automaticamente la non conformità al responsabile della qualità per poter avviare poi le azioni correttive. In ogni caso, i dati raccolti confluiscono nella Gestione Certificazioni CSB presente nel modulo CSB Quality Management (QM) e Labor Information System (LIMS), a sua volta completamente integrato nell’ERP CSB-System: così facendo il gestionale, in qualsiasi momento, è in grado di fornire tutte le informazioni necessarie sulla struttura organizzativa e i processi aziendali. Sono inoltre compresi il controllo di etichette alimentari, il confronto delle tabelle nutrizionali riportate in etichetta con i risultati analitici, ed altri aspetti legati a requisiti specifici.
Vale la pena menzionare che grazie alla CSB Quality App è possibile richiamare ed inserire i risultati dei test ovunque e da qualsiasi dispositivo, in modo flessibile e in linea con le esigenze di ognuno. L’app è integrata nell’ERP ed è disponibile in più lingue.
In alto: on-line sempre e ovunque. A sinistra: CSB Rack Multifunzione in impianto.
Continuo miglioramento dei processi aziendali
Con il CSB QM e LIMS è facile individuare i punti deboli dei processi aziendali in qualsiasi area. Errori e malfunzionamenti rilevati sono eliminati in modo sistematico e secondo regole stabilite. L’inserimento di istruzioni di lavoro standard, istruzioni di controllo qualitative e quantitative, avvisi di allerta e misure di protezione per prodotti e metodi, renderà i processi aziendali più sicuri ed efficienti, aumentando allo stesso tempo la sicurezza del prodotto. Non avere un sistema per il controllo qualità significa per un’azienda non avere il controllo sull’efficienza dei propri processi, con il rischio di perdere in termini di competitività
Referente:
• Dott. A. MUEHLBERGER
CSB-System Srl
Via del Commercio 3-5
37012 Bussolengo (VR)
Telefono: 045 8905593
Fax: 045 8905586
E-mail: info.it@csb.com
Web: www.csb.com
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 127
I VANTAGGI OFFERTI DALLA TECNOLOGIA RFID GESTITA DA TRACK ALIMENTI
L’impiego della tecnologia RFID e del software ERP Track Alimenti migliora l’efficienza e l’organizzazione delle attività dei salumifici e del settore alimentare
Premiata Salumeria Italiana, 3/23 128
Zuffellato Technologies opera in ambito IT dal 1975 con una forte specializzazione nella digitalizzazione delle aziende che operano nel settore agroalimentare. In particolare, per le aziende della filiera delle carni ha sviluppato Track Alimenti, la soluzione ERP per la gestione completa dei cicli produttivi e di commercializzazione e della tracciabilità alimentare.
Il settore agroalimentare sta affrontando anni cruciali per lo sviluppo, la competitività e la sopravvivenza delle aziende che ne fanno parte. Il mercato sta testando e mettendo in campo nuove tecnologie e le imprese che non sapranno stare al passo rischiano di ritrovarsi fuori dal mercato nei prossimi 10 anni. In questo contesto, l’utilizzo della tecnologia RFID rappresenta un’opportunità.
Come funziona l’RFID?
La tecnologia RFID (Radio Frequency
Identification) è un sistema di identificazione automatica che utilizza onde radio per rilevare e identificare gli oggetti dotati di una specifica etichetta scambiando informazioni riguardo a identità, stato, temperatura e molto altro. Questa tecnologia può essere applicata in molteplici settori, tra cui, appunto, quello alimentare.
Come è cambiata la tecnologia RFID negli ultimi anni: oltre le criticità
Tra i principali fattori da considerare nella scelta di un sistema di tracciabilità alimentare che utilizzi la tecnologia RFID i principali sono: i costi, la precisione e la velocità di lettura, la compatibilità del sistema, la facilità d’uso e l’affidabilità.
Da costo a investimento sostenibile
Il costo delle etichette RFID è stato un fattore limitante all’utilizzo della tecnologia nelle aziende agroalimentari, ma negli ultimi anni il prezzo delle etichette RFID è diminuito e l’utilizzo di questa tecnologia sta diventando sempre più comune. Il costo delle etichette RFID dipende da diversi fattori, come il tipo di tecnologia utilizzata, la quantità di etichette acquistate, il tipo di applicazione e il fornitore. Ad esempio, le etichette RFID passive sono meno costose rispetto alle etichette attive, ma hanno una portata limitata.
Esiste una grande varietà di tipologie di Tag RFID e in ogni progetto è fondamentale selezionare quelli che garantiranno il miglior rapporto prezzo/prestazioni nel contesto specifico. Grazie all’esperienza maturata e alla collaborazione diretta con i principali produttori Zuffellato Technologies è in
L’agroalimentare sta affrontando anni cruciali per lo sviluppo, la competitività e la sopravvivenza delle aziende che ne fanno parte. Il mercato sta testando e mettendo in campo nuove tecnologie e le imprese che non sapranno stare al passo rischiano di ritrovarsi fuori dal mercato nei prossimi 10 anni. In questo contesto, l’utilizzo della tecnologia RFID rappresenta un’opportunità.
grado di proporre un’etichetta adatta alle necessità delle aziende operanti nella filiera alimentare.
Gestione dei dati: come generare nuovo valore Un’altra criticità è rappresentata dalla gestione dei dati raccolti dalle etichette RFID. La quantità di dati raccolti può essere molto elevata e richiedere un’elaborazione e una gestione accurata, al fine di ottenere informazioni utili per la gestione e l’ottimizzazione dei processi produttivi e logistici. È inoltre importante tenere in considerazione le possibili interferenze ambientali che possono influenzare la lettura delle etichette RFID, come ad esempio la presenza di materiali metallici o di altri dispositivi elettronici nelle vicinanze dei lettori. Queste criticità sono facilmente superabili grazie ad una corretta pianificazione e gestione del progetto fin dalle fasi preliminari d’implementazione.
I vantaggi di un sistema RFID gestito da Track Alimenti
L’utilizzo della tecnologia RFID ha numerosi vantaggi. In abbinamento al software ERP Track Alimenti, consente di garantire la tracciabilità del prodotto, di identificare rapidamente eventuali problemi legati alla qualità o alla si-
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Tabella 1 – Scheda di confronto sintetica tra un’azienda che utilizza il software Track Alimenti insieme alla tecnologia RFID e un’altra che utilizza sistemi non RFID
CaratteristicheSistema RFIDSistema NON RFID
Identificazione Identifica ogni singolo prodotto tramite un tag RFID
Precisione Elevata precisione di lettura e registrazione dei dati
Utilizza codici a barre o numeri di lotto per identificare i prodotti
La precisione dipende dalla precisione manuale dell’operatore
Velocità Elevata velocità di lettura e registrazione dei dati Più lenta rispetto al sistema RFID
AutomazioneIl processo è completamente automatizzatoIl processo richiede maggiori interventi manuali
Efficienza Elevata efficienza nella gestione del processo produttivo Richiede una maggiore gestione manuale dei dati
Tracciabilità Tracciabilità completa lungo l’intera filiera produttiva
Tracciabilità limitata in alcuni punti della filiera
Costo Maggiore investimento iniziale per l’acquisto del sistema Costo inferiore rispetto al sistema RFID
Affidabilità Elevata affidabilità nella registrazione e gestione dei dati
Affidabilità dipendente dalla precisione manuale dell’operatore
possibile individuare rapidamente eventuali problemi legati alla qualità o alla sicurezza del prodotto e intervenire tempestivamente per risolverli;
b. ottimizzare la produzione: la tecnologia RFID può essere utilizzata anche per monitorare il processo produttivo, permettendo di individuare eventuali inefficienze o problemi che possono compromettere la qualità del prodotto finale;
c. automatizzare la logistica: la tecnologia RFID consente di automatizzare, tramite portali RFID oppure lettori RFID portatili, il processo di movimentazione. L’identificazione automatica degli item dotati di etichetta RFID consente una gestione automatica delle operazioni di ingresso e uscita dal reparto produttivo, con aggiornamento delle giacenze in tempo reale;
curezza del prodotto e consente di intervenire tempestivamente nella risoluzione degli stessi, oltre a garantire una gestione del magazzino sempre esatta anche se distribuito e movimentato in più locali.
In Tabella 1 viene proposta una scheda di confronto sintetica tra un’azienda che utilizza il software Track Alimenti insieme alla tecnologia RFID e un’altra che utilizza sistemi non RFID. L’introduzione della tecnologia RFID
rappresenta un primo passo importante per l’inserimento dell’azienda in un contesto più ampio di digitalizzazione che preveda l’utilizzo di strumenti di analisi dati e di intelligenza artificiale per ottimizzare i processi produttivi e logistici. In particolare, la digitalizzazione dei processi produttivi e della logistica tramite RFID consente di:
a. migliorare la qualità e la sicurezza del prodotto: grazie alla tracciabilità garantita dalla tecnologia RFID, è
d. ridurre i costi: grazie all’automatizzazione dei processi e alla riduzione degli errori umani, è possibile ridurre i costi di produzione e di gestione della logistica.
Inoltre, l’utilizzo della tecnologia RFID in abbinamento al software Track Alimenti permette di garantire la conformità alle normative vigenti in materia di sicurezza alimentare e di sostenibilità ambientale, garantendo al consumatore finale un prodotto di alta qualità e sicuro.
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Enrico Zuffellato, titolare di Zuffellato Technologies.
Tabella 2 – I principali device e sistemi coinvolti nel processo
DeviceDescrizioneFunzionalità
Tag RFID
Dispositivo elettronico che contiene un microchip e un’antenna
Lettore RFID Dispositivo che legge i dati memorizzati sui tag RFID
Antenna RFID
Portale RFID
Dispositivo che trasmette e riceve i segnali dai tag RFID
Dispositivo che legge, identifi ca e registra gli item dotati di tag RDID che vi transitano
Sistema ERP Track Alimenti Software di gestione aziendale
Sistema di monitoraggio ambientale
Dispositivo per il controllo della temperatura e dell’umidità
Implementare la nuova tecnologia di tracciabilità alimentare
Analisi dei requisiti
Analisi dettagliata dei requisiti dell’azienda in termini di tracciabilità dei prodotti e dei processi di produzione. Defi nizione dei punti critici in cui la tecnologia RFID può fornire il maggior valore aggiunto, come ad esempio la fase di lavorazione, il confezionamento, la logistica e la distribuzione.
Valutazione delle varie opzioni di etichette RFID e lettori RFID per identificare quelle più adatte alle esigenze dell'azienda.
Integrazione del software
Track Alimenti
Il software viene integrato nei processi gestionali aziendali per gestire le informazioni raccolte dalle etichette RFID. Il software è integrato con il sistema preesistente e garantisce la tracciabilità e il monitoraggio della filiera produttiva. In Tabella 2 sono riportati i principali device e sistemi coinvolti nel processo. Questi dispositivi lavorano in sinergia per garantire una corretta tracciabilità della filiera alimentare.
La tecnologia RFID consente di monitorare ogni fase del processo produttivo fino alla vendita del prodotto finito al
Viene applicato ai prodotti della filiera della carne per identificarli e tracciarli lungo tutto il processo produttivo
Consente di rilevare e registrare i dati dei tag RFID durante il processo produttivo e di trasmetterli al software ERP Track
Serve a coprire un’area specifica dove i prodotti possono essere letti e identificati dai tag RFID
Identificazione in modo istantaneo e accurato senza richiedere alcuna interazione da parte degli utenti degli item che vi transitano
Raccoglie i dati dei tag RFID e li integra con altre informazioni (origine, processo produttivo, lotti, scadenze, ecc…) per la tracciabilità del prodotto
Monitora le condizioni ambientali durante la filiera produttiva, contribuendo a mantenere la qualità dei prodotti e a prevenire la crescita di batteri
consumatore. I dati raccolti dai tag RFID vengono letti dai lettori RFID e trasmessi al sistema ERP, dove sono integrati con altre informazioni sulla produzione. La possibilità di integrare i dati in una app mobile consente al consumatore di accedere alle informazioni sulla tracciabilità del prodotto, creando un collegamento diretto tra il produttore e il consumatore finale.
Test e validazione
Una fase di test viene eseguita per verificare l'efficacia del sistema RFID. Sono eseguiti test di lettura delle etichette RFID in diverse condizioni, come ad esempio la presenza di interferenze e la distanza di lettura.
Implementazione
Una volta completata la fase di test, il sistema RFID viene implementato in tutte le fasi del processo produttivo e logistico.
Le etichette RFID possono essere applicate sui prodotti e/o sui contenitori, e i lettori RFID posizionati nei punti prestabiliti.
Formazione del personale
Il personale dell’azienda cliente viene formato sul funzionamento del sistema RFID e sulle procedure da seguire per garantire la corretta acquisizione dei dati.
• Track è un software di Zuffellato Technologies Via Bela Bartok 12 44124 Ferrara
Telefono: 0532 904711
E-mail: info@zuffellato.com
>> Link: www.trackanyfood.com
>> Link: www.zuffellato.com
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MARCO BALDOCCHI
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SEVERINO SALVEMINI
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Ritratti ad acquerello
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Il grande disegnatore americano SAUL STEINBERG diceva che “l’arte precede la tecnica come il profumo precede la torta”. Non c’è riflessione più appropriata per commentare il lavoro di cuochi e ristoratori che in Italia portano avanti la professione culinaria di qualità. Perché gli chef sono veri artigiani e artisti e vanno pertanto ritratti e celebrati con il linguaggio dell’arte, in questo caso gli acquerelli. In questo libro sono raffigurati moltissimi interpreti della gastronomia eccellente del nostro Paese, italiani e stranieri, donne e uomini, attivi sul territorio con un profondo legame con le tradizioni e i saperi alimentari locali. Ad ognuno è abbinato il piatto iconico, quello che più di altri ha fatto la sua storia e la sua fortuna. Che li ha tramutati in una sorta di leggenda per gourmet e irriducibili della buona cucina. Una caleidoscopica lente di ingrandimento sulle ricette d’autore che hanno modellato la nostra cultura dell’italico mangiare.
Giunta alla 24a edizione, la guida Slow Food, realizzata in collaborazione con RICREA e BIODEA, recensisce 766 realtà tra frantoi, aziende agricole e oleifici, di cui 126 novità, e 1.227 oli tra gli oltre 1.600 assaggiati. In questa edizione è cresciuto il numero delle aziende — ben 531 gli oli segnalati — che certificano in biologico l’intera filiera e quello degli oli (175) del presidio degli Olivi secolari Non mancano i riconoscimenti classici: la Chiocciola indica le aziende (40) che si distinguono per il modo in cui interpretano i valori produttivi — organolettici, territoriali e ambientali — in sintonia con la filosofia Slow Food; il Grande Olio (81) è attribuito agli extravergini che si sono distinti per particolari pregi dal punto di vista organolettico e perché ben rispecchiano territorio e cultivar. Il Grande Olio Slow (124) premia l’attività delle aziende che adottano pratiche agronomiche sostenibili per l’ambiente e per il lavoratore.
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