Premiata Salumeria Italiana 4-2013

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXV N. 4 Luglio-Agosto 2013

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DELICATO PROSCIUTTO DI MANZO

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Vieni a trovarci al Cheese 20/23 settembre 2013

Mercato del Formaggio Piazza Carlo Alberto - Bra

cosa ci fa un pistacchio di bronte in un pecorino pisano? un sapore inimitabile.

custodito in una formula originale brevettata. Questo pecorino, prodotto solo con il pregiato Pistacchio Verde di Bronte D.O.P., è uno dei formaggi piĂš apprezzati dell’intera famiglia delle Delizie. La presenza dei pistacchi lo rende particolarmente adatto come aperitivo o antipasto.


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(ora Visentin)


N. 4 Anno XXV Luglio-Agosto 2013

€ 6,70 EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE – EURO ANNUARIO CARNE – EURO GENUINE FOOD ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA – US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA Stampa

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988 Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910 In esclusiva gli articoli di Euposia

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Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Renato Bergonzini – Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Redazione New York Stefano Spadoni – Alessandra Rotondi P.O. Box 569, New York, NY 10101-0569 Tel./Fax +1 212 956 8566 E-mail: stefanony@stefanospadoni.com Consulenti scientifici Prof. Giovanni Ballarini (Parma) – Prof. Fausto Cantarelli (Parma) – Prof. Carlo Cantoni (Milano) – Prof. Giuseppe Caserio (Milano) – Prof. Giorgio Catellani (Napoli) – Prof. Eugenio Del Toma (Roma) – Dr. Aldo Focacci – Dr. Emanuele Guidi (Modena) – Prof. Riccardo Monacelli (Roma) – Dr. Alfonso Piscopo – Piero Pittaro (Udine) – Prof. Andrea Strata (Parma) – Angelo Valentini (Perugia) Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.

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Qualità e tradizione garantita

Speck Alto Adige IGP www.suedtiroler-originale.info

Lo Speck Alto Adige IGP è un prodotto unico e originale. In sintonia con la sua provenienza geografica, rappresenta una simbiosi perfetta tra due culture: è più mite dei crudi affumicati del nord, ma più aromatico dei crudi dolci dell’area mediterranea. Speziato con aromi naturali, leggermente affumicato, viene stagionato per almeno 22 settimane all’aria fresca delle vallate secondo un antico metodo tramandato per generazioni. L’Unione Europea gli ha attribuito il marchio di Indicazione Geografica Protetta (IGP) a garanzia della sua grande qualità e del suo inconfondibile sapore.

Campagna finanziata con il contributo dell’Unione Europea e dell’Italia.


N. 4

In questo numero: Immagini

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Il food in rete

Il meglio del web e delle app

Elena Benedetti

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Comunichiamo

Italiano, Maccaroni, Mandolino

Chiara Russotto

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Aziende

Salumificio Mec Palmieri simbolo della ripresa

Riccardo Lagorio

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La qualità

Crudo di Cuneo, il prosciutto lo garantiamo noi

Prodotti tipici

A Santa Maria Maggiore il prosciutto vive d’aria e fumo

Riccardo Lagorio

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La luganega trentina, ogni vallata ha la sua variante

Roberto Villa

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Il crafùt o crafùs ovvero la polpetta friulana

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Salumi in tavola

Mortadella da panino e da cucina

Giorgia Fieni

34

Interviste

Salumi italiani: esportare e resistere!

Elena Benedetti

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Contraffazione fa rima con disoccupazione

Sebastiano Corona

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Mercati

Export salumi: superata la soglia del miliardo di euro

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Marketing

La bresaola della Valtellina Igp conferma il suo valore

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Locali di gusto

Sapori d’Italia a Praga

Massimiliano Rella

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Premiate Salumerie Italiane

Donne più forti della scossa

Fabio Butturi

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Tendenze

La fisica del sorbetto

Giorgia Fieni

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Viva la mousse!

Clara Scaglioni

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Turismo enogastronomico

Cormons, dalla Rosa Mistica al prosciutto artigianale

Assemblee

Sei priorità per l’export dei prodotti alimentari

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Indagini

I salumi nella dieta equilibrata

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Nunzia Manicardi

Bresaola e salame di bufalo: la Sicilia presenta i prodotti della filiera bufalina

Vincenzo Chiofalo Alberto Ferrante

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Rassegne

America stiamo arrivando!

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Formaggio

Tanto va la mucca al prato che ci lascia l’Izalina

Massimiliano Rella

86

Conciato di San Vittore, antica rarità laziale

Stefania Monaco

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Squacquerone Dop, ennesimo successo romagnolo

Sebastiano Corona

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Pane

Il nostro pane quotidiano

92

Vino

Olmo, biciclette e vini

Angelo Valentini

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I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: crudo di San Daniele e vini in abbinamento

Laura Franchini

98

Bevande

Il buongiorno si vede dal caffè

Raffaele Bertolini

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Arti e mestieri

Professione: assaggiatore di salumi

Silvia Gibellini

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Tecnologie

Unicoop Firenze sceglie il CSB-System per il nuovo Centro Freschi di Pontedera

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Libri

Balsamico speaks English

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In copertina: una tavola estiva con coppa piacentina, melone e schiacciata romana (photo © Massimiliano Rella).

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Immagini

Cascina La Benedetta, a Rodengo Saiano, in provincia di Brescia, è un’azienda zootecnica per la produzione di formaggi. Un caseificio nato intorno ad un’antica abbazia, dove si producono anche alcuni salumi come questa salsiccia di mucca, un insaccato di carne magra bovina e grasso di maiale. Il servizio a pagina 86 (photo © Massimiliano Rella).

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Il food in rete

Il meglio del web e delle app di Elena Benedetti

salumificiopedrazzoli.it

www.salumiterapia.it

www.sigridverbert.net

I salumi nel web come non li avete mai visti: belli, buoni e sani Il SALUMIFICIO PEDRAZZOLI di San Giovanni del Dosso (MN), leader in Italia nella produzione di salumi biologici, è tra le aziende che meglio comunicano la cultura del prodotto anche attraverso il web. Il portale www.salumificiopedrazzoli.it è essenziale, pulito, senza loghi o elementi invadenti. Lo sfondo scuro mette in risalto i salumi, entra nel dettaglio delle lavorazioni, della legatura e della grana. La scelta di comunicare attraverso le immagini è azzeccata e molto efficace. info@salumificiopedrazzoli.it

Curiamoci coi salumi! Si autodefiniscono una “hostaria itinerante”. La banda di buongustai, appassionati di enogastronomia e operatori nel settore food e ristorazione che ha aperto questo contenitore web ha giocato sul concetto della salumiterapia. Il gruppo offre servizi di catering, partecipazione a eventi e ideazione di momenti ludici legati al food. La loro base, oltre al sito web www.salumiterapia.it, è a Fontanelle di Roccabianca, in provincia di Parma, terra vocata da sempre nella produzione salumiera. Tra gli ambasciatori di salumiterapia, giornalisti, produttori e ristoratori. Nella pagina “Dicono di noi” c’è una rassegna stampa corposa della loro partecipazione a eventi e rassegne. L’homepage del sito è strepitosa! info@hostariadaivan.it

Food blogger e fotografa super chic Ha un background europeo, vive a Roma, una formazione letteraria, un master in comunicazione enogastronomica, la passione per la cucina e la fotografia. Blogger famosa con www.cavolettodibruxelles.it, SIGRID VERBERT è presente nel web anche con il proprio sito www.sigridverbert.net, attraverso il quale potrete navigare nel suo personalissimo portfolio di fotografie sul mondo del food. Form on-line

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Il meglio dei salumi a portata di smartphone Binario Comunicazione e l’Unione Nazionale Consumatori per Parmacotto hanno recentemente lanciato una app per smartphone e tablet del mondo Apple e Android. Si tratta della prima app interamente dedicata al mondo dei salumi, con curiosità, ricette e consigli gastronomici degli esperti per una cinquantina di prodotti salumieri del Belpaese. «Cinquantadue schede dettagliate di salumi tra tradizionali, tipici e “moderni”, illustrati da testi e immagini accattivanti: ogni scheda spiega la produzione e la provenienza del prodotto» spiega Massimiliano Dona, segretario generale dell’Unione Nazionale Consumatori (www.consumatori.it). «Inoltre, la sezione “Consigli” guida il consumatore verso una corretta lettura delle etichette e sulle giuste modalità di conservazione dei salumi, senza mancare di svelare i segreti degli “specialisti del sapore” sugli abbinamenti enogastronomici che possono esaltarne il profumo e rallegrare il palato di chi li degusta». «Oggi è fondamentale — dichiara Stefania Rosi, brand developer e vicepresidente del Gruppo Parmacotto — porre il consumatore al centro del nostro lavoro consentendogli di conoscere, oltre al gusto e alle qualità dei prodotti, i fondamentali criteri di sicurezza adottati nei diversi processi di produzione». Volete sapere dove si produce il capocollo? O cosa distingue il fiocchetto dal culatello? O qual è il modo migliore di degustare la spianata romana? Cercate “Salumi” nell’Apple Store e in Play Store. È gratuita.

Beppino Occelli, su Facebook si fa in tre! Il suo panetto di burro di panna fresca, celebrato in tutto il mondo e da gustare anche semplicemente spalmato sul pane, è stato capace di attirare oltre 10.000 fans nella pagina Facebook dedicata (www.facebook.com/Burro.Occelli). Un bel successo per l’azienda casearia di Farigliano (Cuneo), da sempre impegnata a portare avanti un lavoro di straordinaria qualità nei formaggi di vacca, pecora e capra. Facebook si conferma ancora una volta un ottimo canale di comunicazione per veicolare informazioni, notizie e contenuti sul prodotto, fidelizzando il cliente e condividendo un po’ del proprio mondo con gli amici social. Nella pagina Burro.Occelli trovate news, curiosità, rassegne stampa, eventi, foto, video, ricette e video ricette dedicate al Burro Beppino Occelli. Cliccando “Mi piace” si ha la possibilità di scoprire ogni mese nuove ricette con il Burro Occelli provenienti dai migliori blogger italiani. Ma questa non è l’unica pagina esistente: c’è anche la pagina dedicata a Beppino Occelli, con comunicazioni e aggiornamenti sull’attività dell’azienda, partecipazione a eventi e manifestazioni e ricette e una fan page Borgo di Valcasotto (www.facebook.com/BorgodiValcasotto) dedicata a questo Borgo dei formaggi. In occasione di festività particolari, viene pubblicato il menu della locanda, sempre caratterizzato dalla presenza dei prodotti Occelli utilizzati nella preparazione dei piatti o assaporati in forma di degustazione.

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Comunichiamo

Italiano, Maccaroni, Mandolino Internet può essere la soluzione più veloce e economica per trovare direttamente gli acquirenti per la propria azienda. Ma come funzionano i motori di ricerca? E come lo costruisco un sito? di Chiara Russotto

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erché quando digito Italian food o Italian typical food su Google Immagini trovo cinquanta foto di piatti fumanti, prima di trovare un prodotto? E perché, se cerco la fonte, scopro che tutte le foto provengono da siti esteri, e che quel povero singolo prodotto trovato, si chiama… Polpettes??? Avete letto bene, polpettes. All’estero basta chiamare un prodotto con un nome che ricordi anche solo vagamente l’Italia per vendere tonnellate

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di roba… Un esempio? Codino’s, Pastorelli, Rosa, Giotto’s, Catanzaro’s, Carla, Bella, Polenta-Pizza, Italy, Ferrara, Italo’s, Pizzu, San Francisco (italian dry salami), Prego. Riprovo con una ricerca generica su Google: Italian food. Il sito più attendibile, scartando i siti esteri di ricette pseudo-italiane, è una sorta di referente istituzionale, un tramite per contattare dall’estero le aziende produttrici. Approfondisco… Non sono state caricate schede “Produttori

e prodotti” nelle sezioni formaggi e prosciutti. Insomma, se io fossi straniera o la proprietaria di un negozio che vuole rivendere prodotti italiani, mi demoralizzerei. L’unica soluzione per me, sarebbe contattare un distributore e affidarmi a lui. Ma quante aziende hanno la forza economica per arrivare fino a lì? Internet sarebbe la soluzione più veloce e economica per saltare un’infinità di passaggi e trovare direttamente gli acquirenti.

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Un colpo di fortuna L’America ha di recente concluso l’embargo dei salumi italiani: “dal 28 maggio salami, pancette, coppe e gli altri salumi a breve stagionatura potranno essere esportati negli USA — si legge nel comunicato stampa di ASS.I.CA. — è stato infatti pubblicato oggi il provvedimento con cui le Autorità statunitensi di APHIS (Animal and Plant Health Inspection Service) hanno ufficialmente riconosciuto l’indennità di Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e delle Province autonome di Trento e Bolzano dalla Malattia Vescicolare del Suino. Si tratta di un evento epocale: una delle aree più importanti per la produzione di salumi supera, dopo oltre 15 anni di lavoro, una delle barriere non tariffarie che impediscono il pieno sviluppo delle esportazioni italiane di salumi nel mondo (…). La completa liberalizzazione delle esportazioni garantirebbe 200-210 milioni di euro di maggior export di carni e frattaglie e 40-50 milioni di euro di salumi”.

Immagini 1 e 2.

Il sito di Maccarese Spa, www.maccaresespa.com

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Google, Yahoo!, Virgilio, Arianna A tutti voi sarà capitato di dover cercare qualcosa su un motore di ricerca come Google o Yahoo. È piuttosto facile, si clicca su un’icona, si apre una finestra, si digitano le parole chiave della ricerca, si preme invio e nel tempo di un secondo o due ecco comparire tutti i risultati! Generalmente non andiamo oltre la prima pagina di consultazione, perché troviamo a colpo d’occhio quello che ci serve; ma se, per esempio, stiamo cercando qualcosa di molto particolare, “sfoglieremo” l’indice di Google almeno fino alla 5ª o alla 6ª pagina e, non ancora soddisfatti, tenteremo altre ricerche con parole diverse. Ma come funzionano i motori di ricerca? Come dice la parola stessa, appena premiamo invio, un’infinità di piccoli computer sentinella (credo che qualunque esperto di comunicazione sensato leggendo le mie parole, nell’ipotesi più felice, stia rotolando dal ridere), iniziano a cercare, tra tutti i contenuti disponibili sul web, (siti, blog, articoli, documenti e immagini) quello che a loro sembra il risultato più pertinente alla nostra ricerca. Più i

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contenuti del nostro sito saranno ben scritti in Html, un linguaggio di formattazione fatto di codici, tag e meta tag, più i computerini di cui sopra saranno in grado di leggere velocemente i contenuti del vostro sito, portandolo in evidenza nelle prime pagine del motore di ricerca (Immagini 1 e 2). Sito Se vorrete aprirvi all’export, dovrete avere un sito integrato anche dalla versione in inglese. Se non conoscete nessuno che sappia scrivere bene in inglese, non disperate: in internet ci sono un sacco di siti che si occupano di tradurre testi a costi contenuti. Testi I testi del sito dovranno essere scritti e aggiornati in maniera efficace e precisa: evitate i termini come “realtà apprezzata” perché qualunque persona, quando cerca sul web, non scrive “leader nel settore della salumeria” o “allevamento in ambiente incontaminato”, ma piuttosto cerca “allevatori bovini Italia” oppure “macelleria Forlì”. Quando scrivete i testi ricordatevi di parlare ad un cliente interessato ai vostri prodotti ma completamente disinformato sul metodo di produzione, allevamento e qualità: è solo in questo modo che capirete quali sono le cose importanti da spiegare, e sarete obbligati a farlo in maniera semplice. Un sito che trovo molto efficace è quello di MACCARESE SPA: descrivono la loro azienda parlando di metodologie di lavoro, certificazioni, dati di produzione e, a corredo, utilizzano immagini veramente bellissime e intelligenti. Non solo: sanno dire molto coinvolgendo l’utente a cercare un primo contatto. Immagini Più avrete necessità di farvi conoscere e più dovrete curare le immagini a corredo del vostro sito, o i post fotografici della vostra pagina ufficiale Facebook. Quando caricherete le foto sul sito ricordatevi sempre di chiamare l’immagine con un nome pertinente. Ad esempio: nome prodotto – nome vostra azienda – Italian food. Questo aiuterà, in un attimo, i motori di ricerca italiani ed esteri a trovare VOI!

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Immagini 4, 5 e 6.

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Immagine 7. Immagini sito Sul sito presentate al mondo i Prodotti e i Servizi che la vostra Azienda offre. È quindi una Comunicazione istituzionale, per questo dovrete curare benissimo la qualità e la bellezza delle foto mostrate, utilizzandole sempre con pertinenza ai testi.

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Immagini Facebook Tirate fuori la vostra macchina fotografica o il vostro cellulare e scatenatevi! La comunicazione su questo mezzo può essere informale perché chi utilizza Facebook spesso è mosso dalla curiosità di conoscere le persone che stanno dietro alle

attività, oppure desidera scoprire come si fanno le cose, le offerte del giorno, i prodotti più buoni o vedere l‘anteprima dell’evento che avete organizzato. L’argomento Facebook necessita di un approfondimento di più articoli. Per ora vi propongo tre esempi

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di pagine, a mio parere, ben fatte ed efficaci (Immagini 4, 5, 6). Non è importante che le pagine siano gestite da un’Agenzia di comunicazione, l’importante è capire quali sono i contenuti più interessanti! Indicizzazione Ricordate l’infinità di piccoli computer sentinella? Ci sono diversi modi per aiutarli a trovare velocemente il vostro sito: fate parlare di voi attraverso riviste cartacee e on-line, mandate i vostri prodotti a Blogger specializzate/i nel vostro settore imprenditoriale, partecipate a eventi e fiere, aggiornate Facebook e, soprattutto, indicizzate il vostro sito sui motori di ricerca attraverso l’utilizzo di parole chiave all’interno del sito, nei testi e nei titoli. Leggete bene la scheda (Immagine 7) nella pagina qui accanto: vi potrà aiutare, soprattutto in fase iniziale, a farlo da soli. Se invece non volete “impazzire” (o avete fatto da soli, sono arrivati i primi risultati e volete migliorare le prestazioni del vostro sito) vi consiglio di affidare questo lavoro a un’Agenzia di comunicazione, che vi aiuti velocemente a raggiungere i risultati migliori.

Concludendo “amodomio” Ho vissuto a Londra per due anni. Quando arrivai, non so come spiegarvi, immaginavo che l’unica cosa che mi sarei sentita dire sarebbe stata qualcosa del tipo “Italiano, Maccaroni, Mandolino”. E invece no. Appena capivano che ero italiana — e non ci voleva molto — sorridevano gesticolando, mi dicevano che erano stati almeno una volta in Italia, dichiaravano il loro amore per i nostri prodotti, li mangiavano leccandosi le dita, andavano nei “nostri” ristoranti e, infine, potendo scegliere, assumevano noi Italiani; perché, come diceva il mio boss Tom, «voi Italiani magari siete too Italian, ma quello che sapete fare, lo fate sempre meglio». Quindi, non sarebbe ora di cominciare a fare concorrenza a quelle aziende estere che vivono spacciandosi per Noi? Chiara Russotto Fonti • www.assica.it/it/sala-stampa/ comunicati-stampa.php • http://it.wikipedia.org/wiki/Motore_di_ricerca • http://it.wikipedia.org/wiki/ HTML

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Aziende

Salumificio Mec Palmieri simbolo della ripresa Essere rimasti sul mercato con la qualità di sempre, nonostante le condizioni di disagio, significa essere aziende di valore di Riccardo Lagorio

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i sono aziende speciali che non si arrendono mai. Non basta una crisi che è diventata normalità per metterle all’angolo; persino un terremoto, subdolo e ingannatore, non è sufficiente a fare scendere le saracinesche. Sono le aziende che dall’attività sismica del maggio 2012 sono ripartite con la qualità di sempre. Anzi talune, con il desiderio di migliorare il proprio rapporto con la clientela, si sono consorziate in una rete d’imprese dall’evocativo nome di Terre Mosse, prosecuzione metonimica del capolavoro viscontiano La terra trema. È dall’estremo dolore che nasce il riscatto, la redenzione. ALBERTO NICOLINI come presidente e MASSIMO PALMIERI con VINCENZO VEZZALI come co-fondatori del consesso Terre Mosse non hanno dubbi al riguardo: «Nostro dovere era quello di mantenere la presenza sul mercato pur lavorando in condi-

zioni di estrema difficoltà». Nicolini aggiunge che si è deciso di fare squadra «non per chiedere un aiuto ma per vedere riconosciuto il valore: competere sul mercato con la qualità di sempre, nonostante le condizioni di disagio significa essere aziende di valore». La ferma volontà di lasciarsi alle spalle ricordi che ancora oggi a più di un anno di distanza recano danno alla memoria è un refrain ben presente nelle parole di Massimo Palmieri, presidente del Salumificio Mec Palmieri: «Ci riprenderemo un po’ alla volta la nostra vita». E la tenacia e perseveranza con cui lo stabilimento è stato appena completato (l’inaugurazione è avvenuta lo scorso 29 luglio; le immagini della bellissima festa e dei tanti ospiti presenti saranno pubblicate sul prossimo numero di PREMIATA SALUMERIA ITALIANA). L’azienda fondata dal padre nel 1961 sarà in grado a breve di presen-

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Il marchio Terre Mosse identifica una rete te di impres Re e di imprese di qualità che, dopo essere state pesantemente danneggiate dai terremoti del 20 e 29 maggio 2012, hanno dimostrato il loro valore mantenendo la loro presenza sul mercato pur lavorando in condizioni di estrema difficoltà. La Rete è nata con lo scopo di valorizzare le gi il at m ed imprese con il marchio Terre Mosse sia nei al Sis m a E confronti dei consumatori finali che nei rapporti aziendali o in quelli con enti ed istituzioni. Fra gli obiettivi ci sono anche la facilitazione dell’accesso ad agevolazioni fiscali e finanziarie alle imprese facenti parte della Rete e la partecipazione a programmi di ricerca ed innovazione in collaborazione con università e centri di ricerca pubblici e privati. • Per informazioni: info@terremossemilia.it

Massimo Palmieri, titolare insieme ai fratelli del Salumificio Mec Palmieri di San Prospero, Modena. tare novità sorprendenti, grazie alle modifiche indotte dalla ricostruzione degli immobili di San Prospero. Di conseguenza ed in prospettiva l’ampliamento della schiera dei collaboratori, incrementando numericamente la già affiatata squadra. «Sono loro che hanno permesso di raggiungere gli ottimi risultati dell’azienda» afferma Massimo Palmieri. La produzione, a dire il vero, non si è mai fermata, benché affidata all’opera di salumifici colleghi che hanno prestato per questi mesi i propri spazi per la produzione delle inimitabili mortadelle, IGP e non: l’Ovalina, la Rosina, la Tadella, la Gigante, la Lella. Tutte pronte, ora, a spiccare

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il volo verso nuovi mercati insieme a Favola, la punta di diamante della Mec Palmieri, insaccata e cotta nella cotenna del suino. Gli impianti, concepiti di ultima generazione, garantiranno ancora di più al consumatore un prodotto sano e genuino, fatto dalla passione e dall’impegno degli uomini che lo producono. È stato conquistato tre anni e mezzo fa l’adeguamento alle norme ISO 9001, mentre da oltre dieci anni il Salumificio Mec Palmieri è in grado di fornire tutti i prodotti senza

glutine e privi d’aggiunta di sostanze potenzialmente allergeniche come il glutammato, il lattosio, i caseinati, i polifosfati e le proteine vegetali. Procedure trasparenti e sempre sotto controllo che permettono maggiore efficienza dalla produzione alla vendita. In attesa che una nuova fase economica renda possibile brindare il prossimo Natale sotto l’albero con i cotechini e gli zamponi IGP che da fine agosto usciranno dai nuovissimi impianti produttivi. Riccardo Lagorio

Salumificio Mec Palmieri San Prospero (MO) Telefono: 059 908829 Fax: 059 906336 E-mail: info@mecpalmieri.com Web: www.mecpalmieri.it

Salumificio Villani: 127 anni di storia, una crescita costante, l’attenzione all’ambiente e ai nuovi mercati e persino un Museo Il Salumificio Villani Spa di Castelnuovo Rangone, in provincia di Modena, continua a crescere conseguendo risultati importanti, determinati sia dall’aumento di fatturato (2011 € 60.186.451; 2012 € 61.206.363) che dall’espansione progressiva che le vendite stanno registrando sia sul mercato italiano che quello europeo ed extra europeo. A questo quadro si aggiungono le scelte strategiche di fidelizzazione improntate sulla valorizzazione del prodotto di qualità e l’attenzione rivolta all’innovazione del prodotto, correlate da un’immagine di forte impatto, in perfetta sintonia col posizionamento del marchio. Il messaggio che emerge da queste considerazioni è quello di un’azienda che investe molto con lo sguardo costantemente indirizzato al futuro. A partire dal 2012, per esempio, 162 dipendenti hanno partecipato ad attività di formazione e professionalizzazione, in parte attraverso corsi sulla sicurezza e igiene (riservati al personale operativo), in parte coinvolgendo dirigenti, quadri e operatori di primo livello, attraverso lezioni sul processo di empowerment. Villani inoltre pone un’attenzione tutta particolare verso l’ambiente, come dimostrano gli investimenti attuati nello stabilimento di stagionatura di Pastorello di Langhirano (PR) con la realizzazione di un impianto eco friendly capace di recuperare il calore emesso dal sistema di refrigerazione per utilizzarlo negli L’ingresso dello stabilimento del Salumificio Villani Spa di impianti di asciugatura e stagionatura, arrivando a coprire Castelnuovo Rangone (MO). autonomamente il 70% del fabbisogno energetico dei due stabilimenti. Altri interventi simili sono già in corso anche nel complesso principale di Castelnuovo Rangone ed altri seguiranno. Con una storia di 127 anni alle spalle e una crescita costante nel tempo, Villani sta portando a termine un’opera di interesse internazionale, ovvero la realizzazione di un Museo dell’Arte della Salumeria, che prevede l’esposizione di reperti e testimonianze originali a partire dal 1930 accanto alla riproduzione di altri importanti documenti storici dei secoli precedenti. Si tratta di un’esposizione tematica di oltre 200 metri quadrati di superficie che sarà aperta ufficialmente al pubblico entro la fine del 2013, consentendo ai visitatori italiani e stranieri di acquisire una visione chiara a 360° del percorso dello storico salumificio. >> Link: www.villanisalumi.it

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La Qualità

Crudo di Cuneo, il prosciutto lo garantiamo noi Una lavorazione che rischiava di scomparire a causa di una produzione locale di carni destinata in gran parte ai circuiti di Parma e San Daniele. Il valore aggiunto del Consorzio e della filiera di produzione più corta tra le Dop

U

n milione di suini allevati tra Cuneo, Asti e il Torinese e una tradizione storica nella lavorazione del maiale. «Il Piemonte possiede fin dai tempi antichi i tre ingredienti basilari per produrre un buon prosciutto: le cosce di suini di qualità, il sale e le condizioni climatiche favorevoli per la loro asciugatura» ha dichiarato ai giornalisti presenti CHIARA ASTESANA

durante la presentazione alla stampa del prosciutto crudo di Cuneo che, recentemente, ha ottenuto la registrazione definitiva della Denominazione di Origine Protetta da parte dell’Unione Europea. «Occorreva recuperare e tutelare questa produzione che rischiava di scomparire. L’ottenimento della DOP rappresenta un presupposto fondamentale per rilanciarla» ha concluso la presidente del Consorzio di

Tutela del prosciutto crudo di Cuneo. Il lancio del prosciutto crudo di Cuneo DOP è avvenuto lo scorso 24 giugno presso il San Giovanni Resort, sito nel centro storico di Saluzzo. Una cornice ideale per un prodotto che, come testimoniano antichi documenti, in queste zone è di casa. Già nel 1630, infatti, nel monastero degli Agostiniani di Fossano, venivano stagionate cosce suine

Prima di essere immesso al consumo il crudo di Cuneo Dop è marchiato a fuoco sui due lati maggiori della coscia. Al termine della stagionatura i prosciutti hanno un peso compreso tra 7 e 10 kg.

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e si faceva poi la cernita della miglior qualità per la mensa del Vescovo, dell’Abate, dei frati anziani e degli ospiti di riguardo. La produzione del prosciutto DOP è adesso realizzata presso lo stabilimento della Carni Dock di Lagnasco, sempre in provincia di Cuneo (si veda box a lato). Il crudo di Cuneo e il legame con il territorio L’area di produzione del prosciutto crudo di Cuneo abbraccia le province di Cuneo e Asti e 54 comuni della zona Sud della provincia di Torino. In quest’area vengono ingrassati ogni anno oltre un milione di suini pesanti certificati per il circuito delle Denominazioni di Origine Protetta. Fino a ieri poche cosce di questi suini erano lavorate e stagionate in loco, ma venivano portate a stagionare nelle aree del Parma o del S. Daniele, cosicché il valore aggiunto e i posti di lavoro che scaturiscono da queste lavorazioni andavano a vantaggio di quegli altri territori. Ma oggi qualcosa è cambiato. «Il lancio del prosciutto crudo di Cuneo DOP non è che l’ultimo passo di un lungo percorso iniziato dal Consorzio di Promozione più di quindici anni fa» hanno dichiarato durante la conferenza stampa i promotori dell’iniziativa. «Questa realtà nasce nel 1998 grazie all’interessamento di alcuni imprenditori locali decisi a ridare lustro e prestigio alla produzione suinicola della provincia di Cuneo. L’obiettivo principale era quello di rilanciare e proteggere un prodotto che rischiava di scomparire a causa di una produzione locale destinata in gran parte ai circuiti di Parma e San Daniele. È stata proprio questa considerazione a far sorgere l’esigenza di richiedere la Denominazione di Origine Protetta per il prosciutto crudo prodotto nella nostra provincia. Per ottenerla è stato necessario un lungo iter burocratico. I lavori, iniziati subito dopo la fondazione del Consorzio, si sono concretizzati nel riconoscimento definitivo della DOP da Bruxelles il 15 dicembre 2009. Il rigido Disciplinare messo a punto in questi anni prevede che tutti i passaggi della filiera produttiva siano

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Carni Dock e la scommessa vincente del prosciutto crudo di Cuneo La Carni Dock di Lagnasco affonda le proprie radici in una tradizione di tre generazioni nell’allevamento dei suini pesanti e, a partire dagli anni Sessanta, nella loro macellazione. L’attuale conformazione societaria e il marchio Carni Dock nascono nel 1990, quando le famiglie Allasia e Rubiano si uniscono. La fusione di esperienze e capacità produttive ha dato vita ad un’azienda forte ed attiva nel moderno mercato agroalimentare. Oggi la Carni Dock è specializzata nella macellazione di suini pesanti e nella lavorazione delle carni da cui derivano i tagli sezionati. Gli animali provengono esclusivamente da allevamenti di ingrasso italiani appartenenti al circuito per le produzioni Dop del prosciutto di Parma, in particolar modo collocati in Piemonte nelle province di Cuneo e Torino. Le forniture del vivo provengono anche da allevamenti di proprietà (circa il 30%) e sono destinati a prodotti di filiera. I tagli carnei possono essere venduti freschi oppure proseguire il loro percorso in filiera. In questo caso vengono lavorati in modo da prolungarne la conservazione, per essere venduti alle principali industrie di salumeria, supermercati ed ipermercati, in Italia come nel resto d’Europa. Da una continua attenzione alla qualità del prodotto durante ogni fase della filiera e dall’esigenza di valorizzare maggiormente il territorio in cui l’azienda si è sviluppata, nasce la cooperazione con il Consorzio di Promozione e Tutela del prosciutto di Cuneo. Vanto di questa collaborazione è la filiera estremamente corta messa in atto dall’azienda per questo prodotto (la più breve in tutta Italia, secondo una ricerca ASS.I.CA., per quanto riguarda la produzione di prosciutti crudi Dop). Gli allevamenti si trovano ad un massimo di 60 km dallo stabilimento, all’interno del quale i suini vengono macellati, le carni sezionate, le cosce stagionate, disossate e commercializzate. L’avvicinamento di Carni Dock alla produzione del Crudo di Cuneo avviene nel corso del 2012, culminando nel maggio dello stesso anno con la lavorazione delle prime cosce per la stagionatura. Nel novembre del 2011 l’azienda ha ottenuto la certificazione ISO 22000:2005, a testimonianza del severo controllo applicato a tutta la filiera produttiva. >> Link: www.carnidock.it

situati in una fascia di territorio che travalica i confini della provincia di Cuneo, estendendosi a tutta la provincia di Asti e a 54 comuni del torinese. Si tratta di un altipiano racchiuso da montagne e colline che gli conferiscono un microclima particolare, non troppo freddo d’inverno e mai torrido d’estate, con un’umidità costante e venti tiepidi e secchi provenienti dalla Liguria e dalla Costa Azzurra. Queste caratteristiche peculiari lo rendono particolarmente adatto all’asciugatura e alla stagionatura dei prosciutti.

Oggi il Consorzio di Promozione e Tutela del prosciutto di Cuneo si propone di verificare tutto il processo produttivo del prosciutto allo scopo di assicurare il rispetto del Disciplinare. L’intero processo produttivo, inoltre, è verificato e certificato dagli enti terzi: l’IPQ di Parma e l’INOQ di Moretta (CN), incaricati dal MIPAAF. Tutto ciò a garanzia del consumatore e degli operatori del settore. Il riconoscimento della DOP è un’opportunità per i produttori della nostra zona, un incentivo da non lasciarsi sfuggire per tutta l’economia del settore».

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Coppa Piacentina Dop, quel leggero aroma di pepe e tanta dolcezza La coppa piacentina si produce utilizzando i muscoli del collo del suino (per ogni suino si possono ottenere due coppe). I suini destinati alla produzione della Coppa Piacentina Dop provengono dal territorio delle regioni Emilia-Romagna e Lombardia, mentre la zona di lavorazione è limitata alla sola provincia di Piacenza, le cui caratteristiche climatiche e territoriali sono fondamentali per ottenere l’inconfondibile gusto che l’ha resa famosa nella storia. La lavorazione si effettua in quattro fasi: nella prima fase la materia prima è messa a contatto con una miscela di sale e spezie accuratamente dosate; dopo una sosta al freddo, utile per far penetrare uniformemente nella carne il sale e gli aromi, il prodotto viene massaggiato e avvolto nel caratteristico involucro detto “pelle di sugna”, di suino naturale; il prodotto viene poi legato e posto ad asciugare in appositi locali per un periodo di 10-15 giorni;infine, si passa alla fase di stagionatura che durerà almeno sei mesi. Al termine di questo ciclo il prodotto si presenta di forma cilindrica, di peso superiore ad 1,5 kg. Al taglio la fetta è compatta ed omogenea, il colore rosso vivo, inframmezzato da parti di grasso bianco rosato. Il profumo è delicato di carne stagionata, con un leggero aroma speziato, di pepe in particolare. Il sapore si caratterizza per la sua spiccata dolcezza,contrapposta ad una delicata sapidità cui fa da contorno il caratteristico aroma che contraddistingue i prodotti stagionati. Sul sito www.piacenzafoodvalley.it trovate l’elenco aggiornato dei salumifici che aderiscono al Consorzio Salumi Tipici Piacentini, che rappresenta la totalità delle produzioni a marchio Dop lavorate nella provincia di Piacenza (Coppa Piacentina, Salame Piacentino, Pancetta Piacentina). >> Link: www.piacenzafoodvalley.it

Prosciutto di Modena Dop: cresce la produzione nel primo semestre del 2013. Ad ottobre il Consorzio vola ad Anuga Buono l’andamento della produzione del Prosciutto di Modena Dop che, nel primo semestre del 2013, ha registrato un incremento di circa il 24% rispetto allo stesso periodo del 2012. Molto soddisfatto di questi risultati Davide Nini, presidente del Consorzio del Prosciutto di Modena. «Il raggiungimento di questo obiettivo, peraltro molto gradito in un momento di congiuntura economica come quello che stiamo vivendo, ci conforta e conferma ancora una volta l’unicità del nostro prodotto» dichiara Nini. «Il nostro è l'unico prosciutto Dop con una stagionatura minima di 14 mesi, il che lo rende un prodotto particolarmente profumato e con un aroma intenso. Inoltre, per il suo contenuto minerale e vitaminico ed il suo limitato contenuto di colesterolo, inferiore ad altri tipi di carni, rappresenta un alimento più che bilanciato nell’apporto di grassi e proteine». Nel corso del 2013, le attività del Consorzio si stanno indirizzando principalmente verso la partecipazione ad importanti fiere di settore con l’obiettivo di creare e sviluppare opportunità per i produttori ad accedere a nuovi mercati, soprattutto internazionali. Lo scorso maggio il Consorzio del Prosciutto di Modena era a TuttoFood a Milano mentre in autunno, dal 5 al 9 ottobre, è confermata la sua partecipazione all’Anuga di Colonia, la più importante fiera internazionale del settore food. Inoltre, il Consorzio partecipa attivamente alle iniziative di promozione sotto il marchio “Piacere Modena”, il brand della società con sede al Palatipico di Modena a cui aderiscono tutti i Consorzi di tutela dei prodotti tipici Dop e Igp della provincia. In particolare, si sta registrando un positivo riscontro da parte dei consumatori grazie all’attività di e-commerce avviata da Piacere Modena ad inizio giugno 2013. Sul sito www. piaceremodena.it è possibile acquistare una selezione di prodotti modenesi di altissima qualità, tra i quali ovviamente il Prosciutto di Modena Dop, che sta incontrando i gusti e le preferenze del pubblico. Il Prosciutto di Modena Dop, principalmente apprezzato in Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Puglia, inizia a essere conosciuto in tutta Italia, grazie alle campagne promozionali organizzate da importanti catene della GDO. >> Link: www.consorzioprosciuttomodena.it – www.piaceremodena.it

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Prodotti tipici

A Santa Maria Maggiore il prosciutto vive d’aria e fumo Il prosciutto crudo tipico della Val Vigezzo vanta una tradizione che risale al Settecento. La salagione avviene anche oggi solo in inverno, senza l’uso di celle frigorifere. Segue una leggera affumicatura di Riccardo Lagorio

T

ra le numerose tipologie di prosciutti elaborati in Italia, di certo uno dei più caratteristici e sublimi è quello che viene alla luce sulle montagne di Santa Maria Maggiore, patria della famiglia (i Feminis-Farina) che inventò e tuttora detiene la ricetta originale

dell’acqua di Colonia. Per ottenere un buon prosciutto crudo l’importante è non avere celle di stagionatura. Questo è il paradigma attorno a cui si muovono i due produttori di prosciutto crudo e affumicato della Val Vigezzo, a meno di 20 chilometri da Domodossola e altrettanti da Locar-

no, tra la Val d’Ossola e il Lago Maggiore. È infatti l’aria dei 900 metri sul livello del mare che assicura la giusta maturazione, grazie ad una costante ventilazione e ad una temperatura ideale per la stagionatura delle cosce, che sono le stesse utilizzate per ottenere i prosciutti a Denominazione di

I prosciutti crudi montani vigezzini di Pierino Bona (photo © Pierino Bona).

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I prosciutti sono riposti in appositi locali di stagionatura a temperature controllate dove rimangono per circa 3 mesi per il mantenimento delle condizioni ideali dell’umidità affinché il prodotto si possa asciugare in modo graduale e quanto più possibile costante (photo © Pierino Bona). Origine Protetta della Pianura padana. Per forza di cose, quindi, la produzione è limitata ai mesi da novembre a marzo, con possibili sforature verso ottobre e inizio aprile, per un totale di un migliaio di esemplari, coscia più coscia meno. La tradizione di produrre il prosciutto per casa è storica, tuttavia la realizzazione di prosciutti numericamente adatti alla vendita ha qualcosa meno di quarant’anni e si deve al salumiere DOMINGO BONARDI. La procedura di produzione prevede che le cosce siano opportunamente tolettate e messe a maturare in sale e spezie (tra cui ginepro, pepe e cannella) per almeno 20 giorni. Il periodo esatto dipende dalle condizioni metereologiche e dalla quantità di sale che, a vista, il pezzo anatomico sta assumendo. Inoltre, poiché la preparazione è completamente manuale, l’esperienza dell’operatore detta la quantità di sale e spezie che ciascun

pezzo è destinato a ricevere. Trascorso questo primo periodo, le cosce vengono opportunamente lavate e indirizzate alla sala di stagionatura, la cui temperatura si ottiene operando sul flusso d’aria esterna. Passati alcuni mesi, i prosciutti vengono controllati prima di passare alla fase della sugnatura (l’impasto di grasso suino, farina di riso, sale e pepe che consente di proteggere il prosciutto dall’eccessivo processo di disidratazione e, tuttavia, mantenerlo morbido, consentendo un opportuno trattenimento dell’umidità). I produttori su questo si dividono: chi procede all’affumicatura prima della sugnatura e chi qualche mese dopo. Tuttavia, l’aspetto che rende il prosciutto di Santa Maria Maggiore molto caratteristico è proprio il processo di leggera affumicatura. Il legno di faggio, i rami e le bacche di ginepro conferiscono un aroma piacevole e originale al prosciutto.

La fase di stagionatura prosegue sino a quando si completa il ciclo di almeno 18 mesi dall’inizio della produzione. Il prosciutto crudo di Santa Maria Maggiore si presenta esteriormente di colore nocciola nella parte ricoperta da cotenna e bianco-grigiastro nella parte scotennata coperta dalla sugna. La fetta al taglio si presenta soda e compatta, di colore rosso o rosato acceso nella parte magra, bianco nella parte grassa. Al naso presenta decise note d’affumicato, in bocca è pastoso e dall’interminabile sapidità. L’accompagnamento ideale per il prosciutto è il pane nero di farina di segale integrale prodotto a Coimo, località di Druogno, poco distante da Santa Maria Maggiore, con un bicchiere di prünent, il clone di Nebbiolo recuperato nella vicina Val d’Ossola. Riccardo Lagorio

I produttori Pierino Bona Via Giovanni Paolo Feminis, 36 28857 Crana Santa Maria Maggiore (VB) Telefono: 0324 95056 E-mail: info@prosciuttomontanovigezzino.it Web: http://prosciuttomontanovigezzino.it

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Prosciutto tipico della Valle Vigezzo Via Giacomo Matteotti, 80 Santa Maria Maggiore (VB) Telefono: 0324 905329

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SalumiďŹ cio Mec-Palmieri Srl - Via Canaletto, 16/A - 41030 San Prospero s/S (MO) - Tel. 059 90 88 29 - www.mecpalmieri.com

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la C’ER C’ ERA ER A UN NA VO V LT L A UN N SAL ALUM ALUM MIF IFIICIO O CHE HE,, GR GRAZ AZIE AZ IEE AD UN UNA NA TR RAD DIZ I IO IONE N FAM MILLIIA AREE DI QUA ASI S UN SECOL O O, O AR ARRI RIIVÒ A CRE RIVÒ REAR AREE LA PIÙ RICER AR ERC CAT ATA A E AP A PR REEZZZA Z TA DELLLE LE RIC RI CET ETTTTE TE.. UNA A MOR RTTA ADE D LL LLA A IIN NCONFO ON NFO FOND NDIB ND IBBILLE E IN IBIL INIM IMIT IM I AB IT ABIL ILE: IL EE:: DAL ALL’ L’IM L’ IM MPA PAST AST STO TO COS OSÌÌ D DELI DE LICAT ATO O E PR P OF OFUM UM MAT ATO O DA MER ERIT ITAR IT A E IL NOM AR OMEE DI FAV VOL O L A ®. FIO IORE RE ALL LL’O ’OCC CCHI HIEL HI ELLLO DI UN U ’A ’AMP MPIA MP IA A GAM AMMA MA DI PR P OD ODOT OTTI TI DI AL TI A TA TA SALU SA LUM LU MERI ME M RIA, RI A,FAV AVOL OLA OL A® RIT ITOR ORNA OR NA A OGG GGIIAD D ESS SSER EREE OR ER ORGO GOGL GO GLLIO IOSA S ME SA M NTE NTTE PR PROD ROD DOT OTTA TTTA A N GL NE GLII ST STAB ABIL AB ILIM IL IMEN IM ENTI EN TI DELLL’ TI L AZ A IEENDA NDA AS ND ASSI SIEM SI EMEE A TU EM UTTTI GL GLII ALLTR T I IN INSA SACC SA C AT ATI E PRRECOT OTTI TTII. IL SAL A UM UMIF IFIICIO PAL IF A MI M ER ERII VA VANT NTA NT A IN INFA FATT FA TTII UN TT N NUO UOVI VIISS V ISS SSIM I O IM IM MPI PIA AN NTO O PRO R DU D TTIV TTTIV TT IV VO ALL’ AL L’AV L’ AV VAN ANGU GUAR GU ARDI AR DIA, DI A, INTTER ERAM AM MEN ENTE NTE RICOS OSTR TRUI TR UITO UI TO DOP OPO O ILL TER ERRE REMO RE MOTO MO TO DEELL 201122.. TO RICOM MINCIA COS O Ì UN NA ST STOR ORIA OR IA A DI QU UAL ALIT ITÀ IT À M MA AI IN NTE TERR RROT RR OTTTA T , AL ALL’ L INSE L’ IN NSSEEGN GNA DELL RINN DE NOV OVAM AMEN AM ENTO EN TO E DI UN UNA A OS O TI TINA NA ATA RICERC ERRCA DE DELL LL’E LL ’EECC C EL ELLE L NZZA. LE A

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Fresca o stagionata, semplice o affumicata

La luganega trentina, ogni vallata ha la sua variante di Roberto Villa

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ai tempi di MARCO TERENZIO VARRONE — autore romano del I sec. a.C., secondo il quale la luganega deve il suo nome alla popolazione mediterranea dei Lucani, che producevano questo tipo di salume («Lucanica, a lucanis populi a quibus romani milites primum didicerunt») — l’insaccato ha fatto molta strada ed il suo areale di produzione, al seguito delle truppe imperiali, si è allargato a tutta l’Europa. Si produce anche in tutto il territorio della provincia autonoma di Trento, dove

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è generalmente composta da carne magra e da lardo di suino macinati a grana media. Tuttavia, ne esistono numerose varianti: con carne di capra in Val di Fiemme, con carne di cavallo nella Val dei Mòcheni, affumicata in Val di Non, con carne di manzo o di selvaggina in altre zone. La produzione, ancora molto diffusa, è legata alla tradizione contadina di utilizzare le materie prime ricavate dal territorio per realizzare un insaccato da consumare fresco oppure stagionato, da conservare per l’inverno. L’abbondanza di pascoli, con la

prevalenza di allevamenti di bovini oppure di ovicaprini, la presenza di boschi ricchi di specie da cacciare (cervi, camosci, caprioli) hanno fortemente segnato la composizione della luganega nelle varie parti del Trentino, così come è evidente nella parte settentrionale l’influenza della cultura altoatesina, rappresentata dall’affumicatura dolce sulle braci con l’aggiunta di bacche di ginepro per aromatizzarla. Le carni vengono insaccate in budello naturale, in file che possono raggiungere anche i quattro metri

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di lunghezza, poi vengono legate a intervalli regolari in salamini lunghi dai 10 ai 15 centimetri, con un diametro che va mediamente dai 3 ai 5 centimetri. La legatura viene fatta a mano, con spago di fibra naturale e con una modalità che si tramanda di generazione in generazione. Tra una luganega e l’altra si fa una doppia legatura, in modo tale che siano distanziate da una minima porzione di budello vuoto. Appese a stagionare in un luogo fresco, dopo un periodo che va dai 40 giorni ai 4 mesi sono pronte per il consumo, che avviene nelle forme più diverse. Da sempre, in Trentino, questo prelibato prodotto sta alla base della socialità e dell’incontro tra le persone; l’allegro spuntino posto tra il pranzo e la cena ha, infatti, nella luganega una delle sue componenti irrinunciabili. La versione fresca della luganega è impiegata come ingrediente in molti piatti locali, dai canederli (gnocchi di pane raffermo serviti in brodo) al tonco de pontesel (un rinomato spezzatino della zona), come degna compagna dei crauti (ai quali viene aggiunta durante la cottura) e nello smacafam (una torta salata fatta sminuzzando la luganega con un po’ di pancetta affumicata e lardo tagliati a dadini; si aggiunge questo composto a un impasto di latte, farina bianca e farina di grano saraceno e si cuoce il tutto al forno per servirlo, infine,

Luganeghe alla Festa patronale di Trento (photo © www.palazzoroccabruna.it). con verdure fresche, se possibile con i “denti di cane” che si raccolgono a fine febbraio). Si usa anche abbrustolire la pasta della luganega sulla piastra e servirla in un panino oppure accompagnata da un’abbondante porzione di polenta. La luganega stagionata, invece, è consumata di solito da sola, con croccante pane casereccio oppure con pane di castagne o di patate. Il presidio Il presidio Slow Food ha riunito alcuni produttori di qualità che si sono dati un Disciplinare severo per garantire

la salubrità delle carni e prevedere innanzitutto l’utilizzo di carni suine rigorosamente trentine. Nella lavorazione delle luganeghe è ridotto al minimo l’impiego di conservanti (solo nitriti e nitrati in piccolissime quantità): per il resto è tutta carne suina, lardo, sale, pepe, aglio. La luganega viene prodotta tutto l’anno e deve avere una stagionatura minima di 40 giorni. Roberto Villa Nota A pagina 30 la luganega trentina (photo © Slow Food Trentino Alto Adige).

I produttori del presidio Gilberto e Giampaolo Belli Piazza Oveno, 1 Sopramonte di Trento (TN) Telefono: 0461 866040; 335 8022712 E-mail: info@salumeriabelli.it

Dal Massimo Goloso di Massimo Corrà Piazza Cigni, 6 – Coredo (TN) Telefono: 0463 536129; 340 7375185 E-mail: macelleriacorra@tin.it Web: www.macelleriacorra.com

Armando Bronzini Località Fusine – Bleggio Superiore (TN) Telefono: 0465 779958; 336 467000 E-mail: agricola.bronzini@virgilio.it Web: www.agricolabronzini.it

Luganeghe e Formai di Adriano Dalpez Via Bezzi, 17 – Malè (TN) Telefono: 0461 382318; 328 1570139 E-mail: info@luganegheformai.it Web: www.luganegheformai.it

Massimo Cis Via XXI Luglio, 8 – Bezzecca (TN) Telefono: 0464 591023; 347 8811237 E-mail: cismassimo@cr-surfing.net Web: www.macelleriacis.it

Smarano Salumi di Luca Corrà Via Roen, 2c – Smarano (TN) Telefono: 0463 536160 E-mail: info@fratellicorra.it Web: www.fratellicorra.it

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Il crafùt o crafùs ovvero la polpetta friulana

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l crafùt o crafùs come il muset, la marcundela, il saùc e il linguale è uno di quei salumi nati per impiegare le parti meno nobili del maiale. Questi insaccati preparati con frattaglie di suino deperiscono facilmente e devono essere consumati cotti a vapore, bolliti o rosolati nel burro o nell’olio, secondo i gusti. Nello specifico, il crafùt si ottiene lavorando il fegato e i reni del maiale tritati e si presenta a forma di polpetta schiacciata insaccata in una retina, ovvero il mesentere, cioè la membrana che sostiene l’intestino. Secondo la tradizione friulana il crafùt va consumato cotto nello strutto e entro 10 giorni dal momento in cui le interiora vengono impastate con pane grattugiato secco, uva sultanina, scorze di limone, mele a cubetti, scorze di arancia, sale e spezie. Spesso la tipologia di pane grattugiato impiegato è il pan di sorc, a base di cinquantino, una varietà di mais caratterizzato da un ciclo vegetativo breve, che affonda le sue radici nella storia del Friuli Venezia Giulia e che viene tutelato dall’Ecomuseo delle Acque di Gemona. Visto il legame fra pan di sorc e crafùt, l’Ecomuseo e l’Associazione

dei produttori del pan di sorc ne hanno sposato la causa e ne sostengono la memoria organizzando serate di degustazione (solo su prenotazione al numero di telefono 331 1694015). La “polpetta” nasce nelle zone di Udine intorno agli anni Quaranta ad opera dei norcini di Buja e Artegna, luogo dove ancora ogni anno a fine novembre durante il Purcit in Staraje si celebra il maiale in tutte le sue “forme”. Al momento non è ancora presidio Slow Food ma è stata riconosciuta come PAT, Prodotto Agroalimentare Tradizionale, dal Ministero delle Politiche Agricole. Sono pochissimi oramai i norcini in grado di preparare la ricetta originale del crafùt. Uno di questi è il titolare dell’azienda agricola Felice&Collini di Buja (spaccio aziendale in via Meries, 16; aperto dal martedì alla domenica dalle 8.30 alle 12.30, è consigliata la prenotazione telefonando ai numero 0432 96391 – 347 4859845). La ricetta Ingredienti Fegato di maiale, pan di sorc secco, uva sultanina, scorza di limone e di aran-

cia, mela, sale e pepe, spezie, mesentere di maiale (retina), strutto di maiale. Preparazione Pulire e togliere il grasso in eccesso al mesentere. Tritare a grana fine il fegato di maiale e metterlo in una bacinella, aggiungere buccia di limone e di arancia grattugiate, uva sultanina ammollata, pane grattugiato, sale, pepe e spezie. Mescolare molto bene e formare delle polpette da porzione, tagliare il mesentere a quadri e avvolgere le polpette di fegato, passarle nel pane grattugiato e farle cuocere in una padella con lo strutto. Il crafùt va servito sopra una polenta morbida arricchita in cottura con latte e olio. (Fonte: Ecomuseo delle Acque di Gemona, www.ecomuseodelleacque.it)

Il Friuli è un territorio che parla di sé attraverso i suoi vini, i suoi cibi, le sue radici nella tradizione da cui fioriscono il presente, la sua gente e le sue facce. Il Buono del Friuli è il racconto di tutto questo. Un luogo della rete dove (da febbraio 2012) vengono pubblicati con periodicità settimanale articoli originali, redatti da giornalisti, sui buoni vini e i buoni cibi, certamente, ma anche su indirizzi e itinerari gustosi. Una chiave di lettura attuale su una regione generosa e ricca di storie buone. I temi trattati nelle otto diverse rubriche ruotano intorno alle peculiarità dell’enogastronomia friulana. Punto di partenza sono i vini, per poi indagare di volta in volta gli abbinamenti con il meglio della produzione agricola indicando dove degustarli o acquistarli, andando, soprattutto, a ritrovare le tracce culturali e antropologiche, le testimonianze e i luoghi che ne spieghino le origini. E poi, gli appuntamenti golosi e le buone notizie intorno al vino e al cibo. Di vino parla soprattutto Gianni Napolitano, enologo di Attems. E ancora il ritratto dei prodotti alimentari che hanno contribuito a portare nel mondo il nome di questa terra. Inoltre si trovano interviste alle donne e agli uomini che raccontano i prodotti enogastronomici, la loro storia e il loro valore culturale e vengono segnalati gli indirizzi dove gustare quel particolare piatto, dove quella ricetta tipica è meglio interpretata o rinnovata fino a comporre un viaggio nel viaggio, un lungo itinerario da fare in auto, in bicicletta, a piedi oppure in barca o sugli sci. >> Link: http://ilbuonodelfriuli.attems.it

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Salumi in tavola

Mortadella da panino e da cucina di Giorgia Fieni

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e attrici italiane hanno un rapporto particolare con la mortadella. Basta pensare a Valeria Marini, voluttuosamente sedutaci sopra in “Bambola” (BIGAS LUNA, 1996), e a Sophia Loren, che prima ha interpretato il film “La mortadella” (MARIO MONICELLI, 1971) nel ruolo di una popolana di Napoli bloccata all’aeroporto di New York perché al salume è vietato attraversare la dogana, e poi, nel 1977, in “Una giornata particolare” di ETTORE SCOLA, l’ha portata a tavola a fette subito dopo la zuppa. Non è difficile rispondere alla domanda sul come mai la mortadella entri così spesso nell’immaginario cinematografico: è golosa, abbondante e grassa, ovvero ha tutte le carte in regola per risultare sensuale e desiderabile e per evocare alla mente sensazioni di abbondanza gastronomica. Eppure è nata povera, ottenuta raccogliendo pezzi di carne di maiale una volta ritenuti di scarto (spalla, lombo, fondello e grasso di gola) trattati con sale, pepe e aromi, insaccandoli e cuocendo il

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tutto in forni ad aria secca (stufe in muratura tenute a 65-85°C) dove il cuore del prodotto deve raggiungere e mantenere la temperatura di 70°C. Oltre al rispetto per il disciplinare di produzione derivato da questa tradizione, la moderna mortadella di qualità segue anche un’etichettatura particolare, che aiuta i consumatori a determinarne contenuti e provenienza: una S per insaccato solo suino, una B per il misto suino e bovino, una O per la presenza di carni ovine e una C per quella di cavallo. La sua origine ha permesso alla mortadella di poter essere preparata in diversi luoghi d’Italia, gli stessi deputati all’eccellenza nella lavorazione del maiale. Non per niente quella più famosa è la “Bologna”, nota fin dal I secolo, sottoposta già dal XVI a severi controlli da parte della Corporazione dei Salaroli e talmente diffusa che il suo prezzo di mercato era più alto di quello del prosciutto crudo. Nel 1549 C RISTOFORO DI M ES SISBUGO , scalco degli Estensi, per primo ne codifica la ricetta, ponen-

do l’accento sul fatto che le carni dovessero essere di ottima qualità, e questa considerazione accompagna da allora la mortadella di Bologna, che ha ottenuto l’IGP dall’Unione Europea nel 1998 (anche se già nel 1877 ORESTE MARCOVALDI aveva ascritto detto salume come specialità della cittadina). Non solo, dopo il vaglio da parte dell’INRAN nel 2010 le è stato riconosciuto anche un buon valore nutrizionale grazie al basso apporto di colesterolo, alla limitata concentrazione di sale ed alla presenza di ferro e zinco, ovviamente sempre nel rispetto delle quantità. Sue dirette consorelle sono la mortadella di Campotosto (che ha incastonato al suo interno un lungo pezzo di lardo di prosciutto), quella di Amatrice (con lo stesso lardello, ma non è cotta: solo affumicata e stagionata), quella di fegato al vin brulé (specialità lombarda — ma anche ossolana — che ha la sua particolarità proprio nella presenza di questi due ingredienti) o cruda, quelle toscane

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(di Prato, nostrale della provincia di Lucca, trequandina, di Siena e la celeberrima finocchiona). Molto simile come preparazione, infine, anche se non è una vera e propria mortadella, è il fegato dolce prodotto a L’Aquila. Il suo gusto, sapido e dolce al tempo stesso, la colloca a buon diritto nel podio dei salumi “da panino”: rosette, torinesi, ciabatte e pane al latte la accolgono volentieri, rendendola una merenda o uno spuntino particolarmente appetitoso. GIANFRANCO VISSANI usa pane nero spalmato di pera (emulsionata ad un extra vergine) e aggiunge misticanza o indivia belga. La tradizione emiliano-romagnola ci insegna però che possiamo sostituire il pane con lo gnocco, fritto o al forno, o con la piadina. Se preferiamo sapori meno classici allora mettiamo la mortadella in panini di segale col radicchio o nella baguette con scamorza fritta e pistacchi o la trasformiamo (con l’aiuto di pancarré tritato, burro morbido, mascarpone, sale, pepe, pistacchi) in mousse, da spalmare su pane integrale. MASSIMO BOTTURA ha creato un piatto chiamato “Ricordo di un panino alla mortadella”: usando quella di prima qualità, lo chef modenese la taglia a fette, la passa al distillatore con acqua, la frulla con altra mortadella e trasferisce il tutto nel sifone per ottenere una spuma, che serve

con gnocco croccante preparato con farina di ciccioli. Ecco quindi che il patron dell’Osteria Francescana ci insegna che essa può anche essere servita a pranzo o a cena. Basta solo saperla cucinare. Sulla falsariga della ricetta appena proposta la rendiamo mousse aiutandoci con panna o ricotta o yogurt a bassa acidità, oppure con mascarpone e grana grattugiato, da spalmare su crostini serviti durante l’aperitivo o ad un buffet in piedi, oppure con ricotta piemontese (lavorata con peperone giallo a listarelle, noci tritate e sale) e presentata nella cialda. La usiamo pure come farcitura, assieme a fegatini (rosolati in olio e scalogno, sfumati con brandy e frullati) e frittata al prezzemolo, per la fesa di tacchino da cuocere al forno. Ne copriamo la pasta brisée, da servire in quiche con piselli (rosolati in olio e cipollotto e poi frullati con ricotta, uova, tuorlo, parmigiano, latte e noce moscata): in questo caso, possiamo usare la mortadella al pistacchio al posto di quella classica, il cui sapore ben si abbina a quello della verdura e dei latticini. La tagliamo a dadini, la mescoliamo con ricotta vaccina, formaggio filante, parmigiano, uova, prezzemolo e noce moscata, formiamo delle crocchette e le friggiamo in olio di semi di arachide. Assieme a robiola, bietole scottate e grana è il ripieno di involtini di cavolfiore (o cavolo cinese) sbollentato,

Rotolini di mortadella con ripieno di crescenza (photo © www.singerfood.com).

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Mousse di mortadella e prosciutto. da cuocere in forno coperti di cipolla, altro grana e un filo d’olio. Prepariamo il sontuoso gateau di patate e la usiamo come sostituta del salame. Ne infiliamo i cubetti negli spiedini, alternandoli con mozzarella e crostini di pane saltati in aglio e olio, condendo poi il tutto con una citronnette profumata alla maggiorana oppure passando lo stecco in una besciamella soda, nelle uova sbattute e nel pangrattato e poi friggendolo in olio. La usiamo come ripieno, assieme a pistacchi e parmigiano e impreziosita da pepite di aceto balsamico, per i ravioli, conditi con una concassé di pomodoro al basilico. Diventa l’involucro esterno per un mix di crescenza (o stracchino) e pistacchi. È un ingrediente dell’insalata di pasta e qui possiamo davvero sbizzarrirci con gli abbinamenti: per esempio olio, succo di limone, sale Maldon, senape tedesca, prezzemolo riccio, scaglie di parmigiano… Lo stesso dicasi per le polpette: in questo momento le rammento di mortadella, carne macinata di vitello e maiale, uovo, mollica di pane bagnata nel brodo, poi infarinate e cotte in olio extra vergine, burro, vino rosso, cipolla e altro brodo, ma sentitevi libere/i di modificarle (anche solo, per esempio, cuocendole prima in brodo vegetale e poi in padella con panna fresca — o crema vegetale —, succo di limone e capperi dissalati)!

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Sophia Loren in una scena del film “La mortadella” di Mario Monicelli. Le cotolette si cucinano invece in due sole modalità: o passando la mortadella a grosse fette in uovo sbattuto col sale e pangrattato e friggendole

nel burro, o tritandola e coprendovi dischi di patate (lessate e schiacciate con farina, uova, mollica di pane ammollata, parmigiano e prezzemolo) passandoli in uovo e pangrattato e friggendoli nel burro. Un’altra idea è quella di avvolgere i finocchi (prima cotti in acqua salata e poi rosolati nel burro) con fette di mortadella, coprirli con besciamella e un trito di mortadella, parmigiano e pangrattato e cuocere tutto in forno: ed ecco che la verdura bollita da insapore diventa uno sfizio da leccarsi i baffi. Segnaliamo infine la frittata rognosa che descriviamo con le parole dei ricettari rinascimentali: “Pigliarai uova dieci e le sbatterai molto bene con un poco di sale, li porrai dentro un poco d’acqua, poi haverai la padella con once sei di butirro fresco, e disfatto che sarà, li getterai dentro l’uova e cuocerai la tua frittata e volendola rognosa, servirai l’ordine della prima aggiungendoli persutti minuti o di

mortadella once tre”. Di varianti su cui sbizzarrivi ve ne ho fornite tante, non c’è che dire. Ma c’è chi ha osato di più. F ULVIO P IERANGELINI ha preparato capesante ripiene di mortadella e finocchio. CARLO CRACCO ha servito in coppette sedano a brunoise e mousse di panna al tartufo, cotti a vapore e completati con cubetti conditi di tartufo e mortadella grattugiata (un piatto dal gusto persistente e aromatico, grazie al tartufo, con un finale a tendenza dolce/sapida dovuto alla mortadella). Ed è pure stata usata come gusto del gelato: nel 2007 con pistacchio e nel 2011 con taleggio! E pensare che in epoca romana era solo una semplice “salsiccia con bacche di mirto”! Giorgia Fieni Nota A pagina 34 mortadella con pistacchi (photo © http://upload.wikimedia.org).

La Mortadella Bologna Igp… in Bocconi Sono stati presentati lo scorso giugno presso l’Università Bocconi i risultati dello studio realizzato dal CERMES (Centro di Ricerche su Marketing e Servizi dell’Università Bocconi) in collaborazione con il Consorzio Mortadella Bologna, che ha avuto l’obiettivo di individuare le percezioni e le valutazioni sulla mortadella sia da parte dei consumatori sia da parte dei responsabili acquisti della Grande Distribuzione. Lo studio è stato presentato ai responsabili commerciali delle principali insegne della Distribuzione e discusso con le aziende produttrici nell’ambito di una tavola rotonda, coordinata dal prof. Daniele Fornari del CERMES, a cui sono intervenuti Sergio Soavi (Coop Italia), Giovanni Panzeri (Conad), Giancarlo Paola (Gruppo Unicomm-Selex Gruppo Commerciale). La ricerca, svolta da un lato attraverso un’indagine su 500 famiglie e dall’altro attraverso un’indagine sui principali gruppi della Grande Distribuzione, ha evidenziato che i primi tre valori che i consumatori associano spontaneamente alla mortadella sono quelli del sapore (91%), del profumo (90,7%) e del gusto (84,4%) a conferma che nella maggior parte dei casi l’acquisto del prodotto non viene sempre programmato, ma è il risultato di una decisione “d’impulso”, stimolata dai sensi dell’olfatto e della vista che solo un prodotto come la mortadella riesce ad appagare. In questo contesto, una crescente importanza sta assumendo il marchio “Mortadella Bologna IGP”. Si tratta di un brand che gode di una buona notorietà nelle famiglie italiane tanto che circa 2 consumatori su 3 sono in grado di spiegare il significato della sigla IGP. Secondo la ricerca, il consumatore ama scegliere prodotti tutelati perché percepisce la Mortadella Bologna IGP come maggiormente sicura e garantita, associandone al contempo anche una qualità maggiore. In questo senso la ricerca ha evidenziato che il Consorzio dei produttori di Mortadella Bologna Igp può svolgere un ruolo determinante, in collaborazione con i punti di vendita, per garantire la coerenza tra le caratteristiche dei prodotti tutelati e le aspettative di qualità e rassicurazione da parte dei consumatori.

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Interviste

Salumi italiani: esportare e resistere! Comparto salumiero, rileggiamo i dati di mercato insieme all’amministratore delegato della Nuova Boschi Enrico Delfini di Elena Benedetti

S

iamo in piena estate. Abbiamo superato il giro di boa del 2013, oltrepassando abbondantemente il semestre. I dati 2012 sono consolidati e ufficializzati. Non c’è alcun dubbio che il 2012 sia stato un anno difficile per l’economia italiana. Anche il comparto dei salumi non è stato da meno. Il settore, come il resto dell’alimentare, non è stato risparmiato dalla crisi dei consumi che per il secondo anno consecutivo hanno mostrato una flessione, trascinando verso il basso anche la produzione, che segna un calo dell’1,2% in quantità. Non sono quindi bastate le tanto acclamate doti anticicliche dell’industria alimentare a ridare slancio alla domanda interna, depressa dai numerosi provvedimenti assunti in favore del risanamento dei conti pubblici e schiacciata dall’incertezza dei consumatori sul futuro del loro bilancio di entrate domestico. La redditività in un contesto di costi crescenti che ha visto un aumento dei prezzi di tutti i principali fattori produttivi (dalla materia prima all’energia, dal lavoro al carico fiscale) è risultata ulteriormente compromessa e l’accesso al credito si è rivelato sempre più difficile e soprattutto oneroso. Per fare il punto sugli umori (e malumori) del comparto salumiero abbiamo interpellato ENRICO DELFINI, amministratore delegato della Nuova Boschi Spa di Felino (PR), profondo conoscitore del mercato delle carni e della lavorazione dei salumi, che con la consueta disponibilità ci accoglie in azienda.

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Enrico Delfini, amministratore delegato della Nuova Boschi Spa di Felino (PR).

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Salumi: i consumi del 2012 Il 2012 è stato un altro anno delicato sul fronte dei consumi. Nonostante l’indubbia e vantaggiosa qualità dei nostri prodotti e le numerose promozioni che hanno riguardato i nostri prodotti, gli acquisti nazionali di salumi hanno inevitabilmente risentito dell’ulteriore indebolimento del potere di acquisto dei consumatori italiani. Nel complesso dell’anno la disponibilità totale per il consumo nazionale di salumi (compresa la bresaola) è stata di 1.106 milioni di t (–1,3%) contro 1.120 milioni dell’anno precedente. Il consumo pro capite è sceso a 18,3 kg dai 18,6 kg dell’anno precedente. Particolarmente penalizzati sono risultati nel 2012 gli acquisti di prosciutti crudi stagionati, scesi dell’1,5% a 256.700 t. A contrarsi è stata soprattutto la domanda di prodotti derivati da materia prima nazionale, divenuti per una certa fascia di consumatori meno accessibili. In contrazione anche l’andamento dei consumi interni del prosciutto cotto, che si sono portati sulle 282.400 t (–0,9%). Male anche i consumi di mortadella e würstel (–1% per 221.200 ton), e quelli di salame scesi a 91.200 (–0,9%) dalle 92.000 t dell’anno precedente. In calo, infine, anche la voce “altri salumi” scesi del –2% a 240.800 t. La struttura dei consumi interni ha così visto al primo posto sempre il prosciutto cotto, stabile, con una quota pari al 25,5% del totale dei salumi, seguito dal prosciutto crudo lievemente ridimensionato al 23,2%, da mortadella/würstel sempre al 20%, dal salame che sale all’8,2% e dagli tipi di salumi al 21,8%. (Fonte: ASS.I.CA.)

I numeri di ASS.I.CA. parlano forte e chiaro: la produzione di salumi, dopo un 2011 difficile, ha registrato nel 2012 una nuova flessione, scendendo a 1.197 milioni di tonnellate dai 1.212 milioni dei dodici mesi precedenti (–1,2%), mentre il fatturato ha evidenziato un leggero miglioramento, arrivando a 7.989 milioni di euro (+0,5%). Un incremento, questo, essenzialmente riconducibile agli aumenti dei costi di produzione e in particolare a quelli della materia prima cui hanno fatto eco tutte le altre voci di costo: tasse, energia, lavoro, trasporti e spese varie. E il primo semestre 2013 non registra grandi inversioni di tendenza. «Non è certo stato un grande semestre questo» conferma Delfini, che però rinnova lo spirito di guardare avanti, all’autunno e ai prossimi mesi del 2014 che dovrebbero finalmente dare segnali di un leggero recupero. Articolo 62, la guerra di fine mese Uno degli aspetti più delicati oggi nella gestione di un’azienda del comparto agroalimentare è sicuramente quello della scarsità di liquidità che rende faticoso l’incasso e il pagamento. E, a tale proposito, non si può non ricordare l’Articolo 62, che

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disciplina i termini di pagamento delle transazioni commerciali per i prodotti agricoli e agroalimentari a 30 o a 60 giorni. «Ci sarebbe parecchio da dire sui benefici, meriti e demeriti dell’Articolo 62» sottolinea Delfini sull’argomento. «E vorrei anche precisare — se me lo consentite con una punta di polemica — che gli Italiani innescano sempre dei meccanismi di furbizia attraverso i quali raggirano gli ostacoli, creandone altri. Ora, con l’attivazione dell’Articolo 62, per guadagnare 20/30 giorni tutti hanno deciso di ricorrere alle fatture differite. Questa è di fatto divenuta una prassi abituale: a fronte di vari ordini e consegne di merce, nel corso del mese il cliente richiede l’emissione di un’unica fattura riepilogativa a fine mese. Con la conseguenza che nell’ultima settimana del mese poi nessuno compra più nulla e, nel contempo, si devono effettuare moltissime disposizioni di pagamento tutte concentrate nell’ultimo giorno del mese, spesso e volentieri non coperte dalla relativa liquidità». La bontà del provvedimento sarà valutabile solo sul medio-lungo periodo? «Forse. Certo è che questa normativa ha creato non poche

problematiche dovute in gran parte alle varie interpretazioni della legge. Credo, e non penso di sbagliarmi, se si voleva mettere un limite alle dilazioni di pagamento, che ritengo molto giusto, bastava semplicemente stabilirlo in 60 giorni dalla data di emissione della fattura». Credito, questo sconosciuto Altra nota dolente sono le banche. In un contesto all’interno del quale la redditività è risultata ulteriormente compromessa dall’aumento dei prezzi di tutti i principali fattori produttivi, anche l’accesso al credito si è rivelato sempre più difficile e soprattutto oneroso. «Gli istituti bancari non ci stanno aiutando come dovrebbero» continua Delfini. «Le concessioni di finanziamento sono molto calate oppure erogate con la lente d’ingrandimento e a fronte di maggiori garanzie». La produzione dei prosciutti, qualche numero Sempre secondo gli ultimi dati pubblicati da ASS.I.CA., in merito ai singoli salumi, a soffrire di più sono stati i prodotti a maggiore valore aggiunto. Prosciutto crudo e cotto, pur rimanendo leader del settore, hanno visto scendere la loro quota complessiva al 48,8% dal 49,2% in quantità e al 52,4% in valore. Nel 2012 ambedue i prodotti hanno evidenziato rispetto all’anno precedente una flessione: più sostenuta i prosciutti crudi, più lieve i prosciutti cotti. La produzione di prosciutti crudi è scesa a 297.400 t (–3,5%), portandosi sotto i livelli del 2010, mentre quella di prosciutti cotti è scesa a 286.300 t (–0,5%) sostanzialmente in linea con quella del 2010. Diversi gli andamenti in termini di valore, con il prosciutto crudo che ha registrato una lieve flessione (–0,5% per 2.247 milioni di euro), penalizzato dalla consistente contrazione della produzione e il prosciutto cotto in lieve aumento (+0,3% per 1.940 milioni di euro). Parola d’ordine, esportare Nuova Boschi Spa è leader nella produzione delle DOP Prosciutto di Parma e Prosciutto di San Daniele, oltre a una linea di salumi e prosciutti,

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Applicazione della sugna ai prosciutti. sia interi che affettati. Prodotti fatti a regola d’arte. Un’arte che non è tanto sinonimo di qualità ma una vera filosofia aziendale che guida Enrico Delfini. Sua infatti l’idea di identificare il salume Nuova Boschi, un prodotto che è massima espressione del territorio emiliano, con il putto alato del Parmigianino, di ricoprire i prosciutti di gioielli al Salone del Lusso di Verona o, ancora, la rilettura dei suoi amati prosciutti vestiti con le opere d’arte di Mondrian, Dalì o Picasso. Perché l’arte è un linguaggio universale e se sposato ai nostri prodotti portabandiera allora il mercato che si apre oltre confine può essere ancora più vicino. «Il mercato italiano oggi è saturo. Bisogna aprirsi all’export e andare all’estero» sottolinea Delfini. E i dati ASS.I.CA. lo confermano: oggi più che mai è importante agganciare la domanda dei Paesi più ricchi e promettenti, attratti dal nostro stile di vita e disposti a spendere per acquistare i nostri prodotti. Paesi spesso ancora difficili o impossibili da raggiungere non tanto per le distanze geografiche e/o culturali, quanto per l’esistenza di barriere tariffarie e soprattutto non

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tariffarie che impediscono l’accesso ai nostri salumi. Ma attenzione ai titoloni! «Per l’apertura del mercato statunitense occorrerà ancora tempo e tanto lavoro» ci tiene a precisare l’AD di Nuova Boschi, ricordando, ad esempio, di oggettive difficoltà, quali le migliaia di prosciutti bloccati alla dogana americana in attesa di soluzioni più politiche che sanitarie. L’esempio della Spagna Il primo semestre 2013 ha confermato alcuni trend già emersi lo scorso anno. Tra questi la performance non brillante del canale GDO, che oggi riacquista un filo di vigore solo con le promozioni. «Oramai in GDO si vende il prodotto solo ed esclusivamente in promozione — ci dice Enrico Delfini, aggiungendo che — queste operazioni di pricing costano alle aziende parecchio in termini di margini più bassi». Anche la ristorazione, parlando di prosciutto crudo, non è brillante. Ma qui si apre un discorso più ampio. «A mio parere questo canale non valorizza i nostri meravigliosi prodotti italiani. I nostri chef, anche

quelli stellati, hanno tra le mani un prodotto stupendo, ma sembra che se ne siano tutti dimenticati, a differenza degli Spagnoli che hanno fatto del Patanegra un blasone della loro cultura salumiera, imponendolo sul mercato italiano a prezzi molto alti». Previsioni per il futuro e incoraggiamenti: bisogna tener duro! «Purtroppo nel nostro settore si è instaurato un gioco distruttivo nel prezzo di vendita, dovuto soprattutto alla mancanza di liquidità. Chi ha bisogno di fare cassa ritocca i prezzi al ribasso e quindi se lui vende tu non vendi e, di conseguenza, sei costretto ad abbassarli anche tu. Si è innescato così un meccanismo che ci porterà a gravi difficoltà economiche se non riusciremo a fermarlo in tempo». Cosa ci dobbiamo aspettare nel prossimo semestre? «Sicuramente ancora tempi difficili. La mia parola d’ordine è “resistere!” e tener duro fino a maggio 2014 per vedere qualche inversione di tendenza. Siamo legati anche noi alla ripresa economica per questa, che definirei senza tanti giri di parole, una crisi epocale!». Elena Benedetti

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Contraffazione fa rima con disoccupazione Antonio Selvatici, massimo esperto internazionale sugli effetti del falso nell’economia e nella società, parla delle nefaste conseguenze di un reato oltremodo diffuso e per decenni sottovalutato di Sebastiano Corona

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he il fenomeno della contraffazione dei prodotti italiani stesse assumendo dimensioni preoccupanti si era capito da tempo. Anche in assenza di dati ufficiali è sufficiente fare una passeggiata per le vie di una qualsiasi cittadina per capire che il problema è serio. La conferma di una rinnovata attenzione verso questo genere di reato, anche da parte delle istituzioni, è però supportata da un chiaro segnale: l’Italia è il primo Paese al mondo a vantare una Commissione parlamentare d’inchiesta sulla contraffazione e sulla pirateria in campo commerciale. L’organismo — composto da venti deputati — non è tanto espressione di grande sensibilità politica, quanto sintomatico di una situazione non più sopportabile a causa di un fenomeno che ha raggiunto livelli insostenibili che contribuiscono, come pochi altri, ad affossare l’economia. Di contraffazione si è parlato sinora soprattutto in termini giuridici, al fine di analizzare le responsabilità di chi produce e commercializza beni contraffatti, ma anche di chi li acquista. A NTONIO S ELVATICI , consulente della Commissione parlamentare dal momento della sua costituzione, è anche giornalista d’inchiesta e ricercatore interessato all’intelligence economica, nonché primo in Italia ad aver scritto un libro sugli effetti economici e sociali del fenomeno. Nel suo Libro nero della contraffazione edito da Pendragon, Selvatici riporta

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dati allarmanti e descrive gli intrecci tra produzioni di fake e reti criminali. Il quadro che ne deriva è fortemente preoccupante. Alla completa trasgressione delle elementari norme sul commercio nazionale ed internazionale, si sommano infatti gravissime violazioni dei diritti umani più elementari, in spregio all’ambiente, alla sicurezza e all’etica. Come per tutti i fenomeni criminali, è difficile acquisire dati esatti. Ma la stima più attendibile vede l’Italia vittima della produzione e commercializzazione di merci contraffatte per un importo stimato tra i 3,5 e i 6 miliardi di euro all’anno,

la somma corrispondente ad un paio di manovre finanziarie. Risorse che si sottraggono all’economia sana del Paese e alle casse dello Stato, la cui mancanza erode l’economia nazionale, generando la cancellazione di servizi fondamentali e di circa 130.000 posti di lavoro. Abbiamo intervistato Antonio Selvatici per conoscere gli aspetti più cupi e talvolta meno noti di un reato pluri-offensivo che mina la vita del nostro Paese dal punto di vista economico, sociale, culturale e anche identitario. Si pensa che la contraffazione riguardi principalmente l’abbigliamento e

La Cina produce una quantità così rilevante di beni contraffatti che il settore influisce in maniera determinante sulla crescita economica del Paese.

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Controllo da parte delle forze dell’ordine all’interno di un caseificio. la tecnologia ma esiste in molti altri ambiti, compreso quello agroalimentare. Come si esprime in questo comparto e quali sono le principali produzioni coinvolte? «Fortunatamente nell’agroalimentare i controlli sono serrati e questo limita il fenomeno della contraffazione vera e propria in maniera importante. Ci sono ovviamente dei tentativi in questo senso, ma soprattutto per i prodotti di qualità, oltre alla sorveglianza degli organismi preposti, si può contare sulla vigilanza dei consorzi di tutela. L’agroalimentare è investito del fenomeno nel fraudolento richiamo al made in Italy anche quando di italiano non c’è davvero nulla. A parte casi circoscritti, dove però non si può parlare sempre di reti criminali vere e proprie, la contraffazione nell’agroalimentare si esprime soprattutto nell’Italian sounding, che, pur dannosa da tanti punti di vista, è un fenomeno differente dall’imitazione di prodotti con l’apposizione di false griffe». Il dito è puntato contro la Cina: perché? «I Paesi attivi in quest’ambito sono molti. Da quelli dell’Est, per esempio, arriva prevalentemente il falso bio, dall’Africa i farmaci contraffatti e dal Medio Oriente le sigarette. Tutto questo non è però sufficiente a sollevare i Cinesi da colpe gravi».

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Quali elementi ci sono a loro carico? «Nella sola Prato si stima che ci siano 4.000 imprese condotte da Cinesi per un fatturato in nero pari ad un ammontare di tributi fiscali non versati di un miliardo di euro. In Italia, nel 2012, a fronte di un calo delle imprese complessive dello 0,3% rispetto all’anno precedente, quelle condotte da Cinesi sono aumentate dell’8,4%. E questa è un’anomalia. A seguito della crescente attenzione

della polizia portuale italiana sui prodotti fake che giungono nel nostro Paese, si è registrato un intensificarsi dei traffici di merci che giungono da altri porti europei dove vengono più facilmente sdoganati. Due dei tre terminal del porto del Pireo sono oggi gestiti da una compagnia cinese. Glieli ha ceduti il governo greco per urgente necessità di cassa e per pagare i debiti che potevano costringere ad una fuoriuscita dall’Eurozona. L’UE ha permesso in questo modo ai Cinesi di portare in Grecia, e quindi in Europa, il proprio cavallo di Troia. Quella è la nuova porta ufficiale per l’ingresso indisturbato dei prodotti contraffatti nel nostro continente. Si tratta di un’operazione gravissima che si traduce in un giro di affari illegale di quasi 7 miliardi di euro all’anno, che corrisponde a 110.000 posti di lavoro e ingentissime risorse per l’economia legale. Solo per citare un altro dato, è impressionante il numero di agenzie di money transfer nel nostro Paese. Al titolare di un’importante rete di agenzie sono stati contestati recentemente trasferimenti illeciti in Cina per un valore di 5,4 miliardi. Uno dei più importanti gruppi bancari operanti in Italia vanta sul territorio 5.900

Falso made in Italy, stop al “wine kit” «Un risultato importante nella lotta contro la contraffazione e in particolare contro una problematica di cui da tempo ci stavamo occupando». Questo il primo commento dell’europarlamentare Giancarlo Scottà alla notizia dello stop alla commercializzazione dei wine-kit nel Regno Unito. Grazie ad un’operazione di cooperazione di polizia internazionale, è stata infatti bloccata la vendita oltremanica di questi preparati solubili, molto spesso pubblicizzati utilizzando i nomi di celebri vini italiani, come Barolo, Valpolicella, Montepulciano d’Abruzzo, e altri prodotti tutelati da marchi di denominazione. L’onorevole Scottà si era già interessato alla questione, presentando un’interrogazione alla Commissione europea nel settembre 2012 in merito alla circolazione di prodotti contraffatti sul territorio comunitario. «La nostra sollecitazione non è stata fatta invano, anzi ha spinto la Commissione ad informare le autorità britanniche, intimando di ritirare dal mercato questi prodotti che violano le norme europee in materia di etichettatura: si tratta chiaramente di prodotti non conformi ai disciplinari di produzione e quindi lesivi della qualità dei nostri vini e del lavoro dei nostri viticoltori. È certamente un risultato importante e un’ulteriore conferma che i sistemi di tutela funzionano e hanno valore, almeno sul territorio europeo» ha dichiarato Scottà. «Tuttavia, non bisogna abbassare la guardia, questi episodi ci fanno capire con quale facilità i prodotti di qualità vengano usurpati a danno dei consumatori e di tutto ciò che sta dietro la produzione del vero made in Italy».

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del fatto che oggi si toccano con mano i risultati nefasti dell’assenza di una politica adeguata a questo proposito. Oggi, più che mai, si vedono le conseguenze economiche e sociali di un fenomeno deleterio che, proprio perché a suo tempo sottovalutato, sta creando ingenti danni. Soprattutto negli ultimi due anni, a livello governativo, ci sono stati segnali di grande attenzione che si stanno traducendo in fatti concreti, ossia controlli serrati, sequestri di merce, provvedimenti giudiziari».

ANTONIO SELVATICI Il libro nero della contraffazione Edizioni Pendragon 230 pp. – € 15,00 filiali, che tuttavia non sono niente contro i 39.000 sportelli di agenzie e subagenzie di money transfer che trasferiscono 7,5 miliardi di euro all’anno. Sono soldi di chi lavora, ma ad analizzare i dati emergono delle anomalie. In media ogni Cinese trasferisce 1.000 euro al mese. Un Indiano solo 141, e questa enorme differenza è la prima stranezza. Ma poi c’è da farsi una domanda: considerando una famiglia media composta da tre persone, di cui due adulte e attive professionalmente, qual è la famiglia italiana, o anche straniera, che in tempi come questi può sottrarre al proprio reddito duemila euro al mese? Solo una modestissima percentuale. La Cina produce una quantità così rilevante di beni contraffatti che il settore influisce in maniera determinante sulla crescita economica del Paese. Una percentuale tra il 15 e il 20% di tutti i prodotti fabbricati in Cina è contraffatto e le tipologie produttive sono tra le più svariate, dalla conserva di pomodoro al miele, dall’abbigliamento alla tecnologia, dagli organi umani ai ricambi d’auto». Il nostro ordinamento è poco severo o ci sono istituzioni troppo inermi su questo fronte? «Le istituzioni, a tutti i livelli, stanno mostrando una nuova sensibilità, forse anche in ragione

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Non è il caso di introdurre nuove norme in proposito? «L’impianto normativo generale è buono ed è sufficiente. Non bisogna cedere alla tentazione di imporre un’iper-regolamentazione che, alla fine, danneggia chi lavora onestamente. Le leggi ci sono, vanno solo applicate. Le istituzioni preposte ai controlli stanno facendo un lavoro egregio, tanto più che di recente la giurisprudenza in materia è aumentata molto e questo consente di operare con maggior serenità. Forse l’unica cosa che andrebbe fatta è un ulteriore sforzo delle procure. Anche su quel piano i tempi stanno cambiando, ma per anni la contraffazione è stata considerata un “reato minore”. La risposta era: se vendono borsette false, non spacciano droga». Cosa andrebbe fatto allora per invertire la tendenza? «Il lavoro da fare in Italia è soprattutto educativo e culturale. Chi acquista deve capire quale danno crea al proprio Paese. Oltre a sottrarre linfa vitale al sistema interno, i prodotti falsi non danno ritorno in termini di imposte, di tasse e di contributi. Normalmente la contraffazione viene da contesti in cui non vengono minimamente rispettati i diritti umani e civili, di sicurezza e di rispetto dell’ambiente. Spesso nella produzione sono coinvolti dei bambini. Quindi chi compra deve capire che — per tutti i motivi citati — acquistare prodotti contraffatti è un reato, ma soprattutto che nell’acquistare ha una grande responsabilità, che è quella di decidere quale economia sostenere, se quella

ufficiale e sana o quella sommersa e criminale. Chi compra contraffatto si sporca le mani di sangue. Se ci fosse maggiore consapevolezza di questo fatto, si avrebbe certamente un’inversione di tendenza e la nostra economia tornerebbe a rivivere come in passato». C’è speranza che le cose cambino? «Sì, c’è. C’è una nuova attenzione da parte di tutti, c’è una maggiore consapevolezza dei consumatori e forse un nuovo modo di vedere, da parte degli imprenditori. Molte grandi industrie hanno scelto da tempo di produrre in altre parti del mondo per motivi economici. Tuttavia questo fatto, talvolta, ha portato ad una perdita, seppur parziale, dei propri processi produttivi con conseguenze anche in termini di falso realizzato da terzi. Nei Paesi emergenti si registrano costi di produzione sempre maggiori che rendono ogni giorno meno conveniente produrre all’estero, pertanto alcuni stanno iniziando a valutare l’ipotesi di un ritorno alla produzione nel nostro Paese. Questo elemento, pur non strettamente legato, potrebbe contribuire a limitare il fenomeno nel suo complesso. Ma, soprattutto, appare inutile produrre a basso costo lontano dall’Europa per vendere i prodotti alle popolazioni occidentali che, stremate dalla crisi, non si possono più permettere nulla. Riportare la manifattura in Italia potrebbe essere una svolta. Non bastasse tutto ciò, la contraffazione rende le imprese regolari particolarmente vulnerabili, e quindi scalabili e rilevabili con poco. Sarà anche per questo che molti storici gruppi italiani, negli ultimi anni, tanti dei quali del comparto agroalimentare, sono passati in mani straniere. Il rischio è di perdere completamente la sovranità economica nazionale. Nel complesso queste valutazioni permettono l’apertura di una fase nuova, di una stagione che vede la lotta alla contraffazione e alla truffa in commercio una priorità, come è giusto che sia». Sebastiano Corona

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Mercati

Export salumi: superata la soglia del miliardo di euro Crescita a due cifre nei paesi extra-UE, in Europa bene solo la Germania. Grandi aspettative dall’apertura USA ai salumi a breve stagionatura

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econdo elaborazioni dell’ASS.I.CA. su dati ISTAT, nel 2012 le esportazioni dei salumi italiani hanno superato quota 138.440 tonnellate (+3,8%), segnando un nuovo importante record in va-

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lore: 1,116 miliardi di euro (+7,2%). Questo dato positivo, che in termini di fatturato è migliore sia di quello dell’industria alimentare (+6,9%) sia di quello dell’industria nel suo complesso (+3,7%), è determinato in

particolare da un vero e proprio boom delle esportazioni extra-UE. Infatti, mentre l’acquisto dei nostri salumi in Europa è cresciuto solo dell’1,3% in quantità e del 4,6% in valore, gli invii verso i mercati extracomunitari,

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come USA, Giappone, Canada, Russia e Hong Kong, sono complessivamente aumentati del 12,7% in quantità e del 16,5% in valore. I dati sono il frutto, da una parte, della crisi internazionale, che è sempre più una crisi europea, e dall’altra della grande capacità delle imprese produttrici del settore di penetrare sempre più mercati geograficamente o culturalmente lontani. Nonostante le difficoltà rappresentate dalle barriere tariffarie e non tariffarie, infatti, il comparto ha mostrato una straordinaria capacità di reazione, puntando con grande decisione sui paesi più promettenti e raccogliendo un risultato straordinario anche a dispetto del venir meno delle restituzioni alle esportazioni, azzerate dalla Commissione ad aprile 2012. Come noto, inoltre, dallo scorso 28 maggio salami, pancette, culatelli, coppe e gli altri salumi italiani a breve stagionatura (provenienti da alcune regioni del centro-nord) possono finalmente essere esportati negli USA. Si tratta di un evento epocale: una delle aree italiane più importanti per la produzione di salumi ha superato una delle barriere non tariffarie che impedivano il pieno sviluppo delle nostre esportazioni di salumi nel mondo. Si stima che nel 2014, primo anno di effettiva operatività della nuova apertura ai prodotti a breve stagionatura, il flusso delle esportazioni possa aumentare di circa 10 milioni di euro, a cui va aggiunto un “effetto traino” sull’export di prosciutti crudi, prosciutti cotti e mortadelle. «L’ampliamento dei mercati di destinazione e il raggiungimento delle piazze con il maggiore potenziale di crescita con l’intera gamma delle nostre eccellenze sono dunque obiettivi sempre più irrinunciabili — ha dichiarato LISA FERRARINI, presidente di ASS.I.CA. — lo dimostra chiaramente questo anno difficile in cui, con i consumi interni in flessione e i mercati europei, che rappresentano il 76,5% delle nostre esportazioni, in affanno, l’export verso i mercati terzi ha rappresentato un traino importantissimo. Per questo, come associazione, continuiamo a lavorare perché ci mettano nelle condizioni di esportare. Ricordo che, come abbiamo

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Export salumi 2012/2011 (tonnellate)

Export salumi 2012/2011 (.000 euro)

Export salumi italiani 2012

Fonte: elaborazione ASS.I.CA. su dati ISTAT. pubblicamente denunciato a partire dal Convegno al Senato della Repubblica del 29 marzo 2012, le perdite per la filiera suinicola dovute alle barriere non tariffarie si possono prudenzialmente stimare in circa 250 milioni di euro/anno di mancate esportazioni: la completa liberalizzazione garantirebbe, il primo anno, 200-210 milioni di euro di maggior export di carni e altri prodotti freschi, 40-50 milioni di euro

di salumi e una crescita esponenziale negli anni seguenti». A fronte del buon andamento dell’export, invece l’import ha evidenziato una netta flessione: –7,3% in quantità per 40.110 tonnellate e –3,3% in valore per 160,5 milioni di euro. Il saldo commerciale del settore ha così registrato un ulteriore importante incremento: +9,2% per 955,2 milioni di euro.

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Export salumi verso UE (tonnellate)

Export salumi extra-UE (tonnellate)

Export salumi – variazione % 2012/2011

Fonte: elaborazione ASS.I.CA. su dati ISTAT. Crescita a due cifre per l’export extra-UE Il 2012 è risultato un anno molto positivo per gli scambi con i paesi extra-UE: gli invii dei nostri prodotti

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hanno raggiunto il traguardo delle 32.520 tonnellate (+12,7%) e i 263,5 milioni di euro (+16,5%). Decisive le esportazioni verso gli Stati Uniti, che hanno superato quota 5.890 tonnella-

te (+21,5%) per 68,1 milioni di euro (+29,7%), un traguardo eccezionale che colloca il paese al secondo posto fra i mercati di riferimento extra-UE, dietro alla Svizzera. In attesa dell’apertura effettiva ai prodotti a breve stagionatura, il principale traino del nostro export verso gli USA sono stati gli invii di prosciutti crudi stagionati (+20,1% in quantità e +28,6% in valore), cui hanno fatto eco le spedizioni di prosciutti cotti (+34,8% in quantità, +42,6% in valore) e mortadelle (+19,1%, +33,8%). Nel corso dell’anno si sono consolidati i buoni risultati maturati verso il Giappone (+32,4% in quantità e +29,9% in valore), il Canada (+21,5% e +24%), la Federazione Russa (+33,9% e +38,6%), Hong Kong (+23,1% e +20,8%) e la Bosnia Erzegovina (+12,5% e +21,5%). Fra i paesi più promettenti, da notare la crescente presenza dei nostri prodotti in Brasile (+17,9% in quantità e +23,6% in valore), arrivati a 585 tonnellate per 4,7 milioni di euro. Chiusura negativa, infine, per il Libano (–7,2% in quantità e –1,9% in valore). In Europa bene solo la Germania Si evidenzia un 2012 non brillante, ma comunque positivo, per le esportazioni di salumi verso l’UE. Gli invii ai partner comunitari hanno dovuto confrontarsi con un mercato in difficoltà, a causa della difficile situazione economica, e soprattutto con consumi che rallentano. Nonostante questo, si registra un trend crescente: +1,3% in quantità per 105.900 tonnellate e +4,6% in valore per 852,3 milioni di euro. All’interno dell’UE è stata determinante per i nostri prodotti la domanda tedesca, non a caso quella della più solida delle economie dell’area euro, mentre sono risultati in affanno tutti gli altri principali mercati. Ottima, dunque, la performance verso la Germania che, con un +8,9% per oltre 29.320 tonnellate e +8,7% per 255,4 milioni di euro, si è confermata nostro principale partner commerciale sia in quantità sia in valore. Un successo, questo, riconducibile alla buona performance di tutti i salumi, in particolare dei prosciutti crudi stagionati. Positivo il risultato del Regno Unito (+2,1% in quantità per 13.210

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forte contrazione della domanda di insaccati cotti. Su questo trend ha indubbiamente inciso sia la grave situazione economica del Paese, sia l’effetto confronto con un 2011 che registrò una notevole crescita.

Il 2012 è stato positivo per le esportazioni di salami, che hanno toccato quota 24.130 tonnellate (pizza con stracchino e salame piccante, photo © http:// oggipanesalamedomani.it). tonnellate e +0,5% in valore per 124,7 milioni di euro), che ha visto una buona crescita di salami (soprattutto in quantità), insaccati cotti e bresaola. Crescita che ha compensato le flessioni di prosciutti crudi stagionati, prosciutti cotti e pancette. Chiusura negativa per l’export verso la Francia (–3,3% in quantità per 25.140 tonnellate, ma +4% in valore per 197,8 milioni di euro), che mantiene, comunque, il secondo posto sia in quantità sia in valore fra i mercati di riferimento. A pesare su questo andamento è stata la flessione dei prosciutti crudi stagionati (in particolare in osso) non compensata

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dagli incrementi registrati dall’export delle altre categorie di salumi. Valori in calo anche per le spedizioni verso l’Austria, che hanno segnato un –4,6% in quantità (per 9.230 tonnellate), ma un aumento in valore (+3,7% per 66 milioni di euro). Risultato, questo, su cui ha pesato soprattutto la flessione di prosciutti crudi, in particolare degli speck (registrati nella stessa voce doganale), solo in parte compensata dai progressi di salami e pancette. In decisa flessione anche l’export verso la Spagna (–19,5% per 4.600 tonnellate e –13,1% per 18,4 milioni di euro), che ha visto una

Focus prodotti: stabili i prosciutti crudi, crescono tutti gli altri salumi Considerando i valori complessivi, nel 2012 le esportazioni di prosciutti crudi stagionati sono risultate stabili. Gli invii di prodotti, con e senza osso, assieme a coppe, culatelli e speck, hanno evidenziato un +0,3% in quantità per 56.920 tonnellate e +6,1% in valore per 571,8 milioni di euro. Il saldo commerciale della categoria ha comunque evidenziato un ulteriore importante incremento, arrivando a circa 529,5 milioni di euro dai 499,1 del 2011 (+6,1%). Le due voci doganali ricomprese nella categoria hanno evidenziato un andamento ancora divergente: un segno positivo per i prodotti senza osso, un segno negativo per i prodotti con osso. Per contro, è stato un 2012 positivo per le esportazioni di salami, che hanno toccato quota 24.130 tonnellate (+3,7%) per 229,2 milioni euro (+5,3%), e di mortadelle e würstel, che dopo lo straordinario risultato messo a segno nel biennio 2010-2011 hanno chiuso il 2012 con un +4% in quantità per 32.025 tonnellate e un +3,7% in valore per 109,3 milioni di euro. Anche il prosciutto cotto ha mostrato una buona crescita. Grazie a una domanda rimasta vivace nell’arco dei 12 mesi, le esportazioni hanno fatto registrare un +8,3% in quantità per 12.480 tonnellate e un +7,8% in valore per 84,1 milioni di euro. Inoltre, dopo la flessione registrata nel 2011, hanno ripreso la loro marcia le esportazioni di pancetta stagionata, arrivate nel 2012 a 4.320 tonnellate (+18,7%) per un valore di 31,5 milioni di euro (+16,4%). Infine, c’è da registrare il brillante risultato della bresaola che, archiviato un 2011 opaco, è tornata a mostrare incrementi delle esportazioni a due cifre. Nel 2012 la categoria, infatti, ha registrato un +13,2% in quantità per 2.780 tonnellate e un +13,4% in valore per 49,6 milioni di euro.

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar Premiata Salumeria Italiana, 4/13 51 perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


Marketing

La bresaola della Valtellina Igp conferma il suo valore I dati di vendita del 2012 mostrano un mercato in crescita. Il boom del prodotto in vaschetta evidenzia come i consumatori italiani si lascino sedurre dalla… praticità!

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l mercato della bresaola della Valtellina IGP conferma il suo trend positivo. Nel 2012 la produzione del prodotto valtellinese tutelato è arrivata a 12.500 tonnellate, con una crescita pari al 2,03% rispetto all’anno precedente. Dati che trovano conferma anche nell’ultimo rapporto annuale stilato da ASS.I.CA., secondo cui la produzione complessiva di bresaola è salita a 15.900 tonnellate (+0,6%), per un valore di 256,6 milioni di euro (+2,1%).

La vaschetta ci piace se coniuga praticità, benessere e gusto Considerando che la capacità di spesa lungo la Penisola si è ridotta a tutti i livelli, il mercato della bresaola della Valtellina IGP ha puntato sull’export e sul preconfezionato in vaschetta. Un dato brillante quello rilevato da ASS.I.CA., secondo cui l’export di bresaola ha registrato incrementi a due cifre: un +13,2% in quantità per 2.780 tonnellate e un +13,4% in valore (49,6 milioni di euro). A contribuire all’aumento delle vendite sul territorio nazionale, è stata, invece, la produzione delle vaschette di bresaola della Valtellina IGP. Il banco rappresenta ancora l’opzione preferita, ma il prodotto preparato e confezionato in atmosfera protettiva è scelto sempre con maggior frequenza e oggi corrisponde a quasi il 36% del totale. Un dato che stimola l’idea di una valorizzazione del prodotto nelle formulazioni pronte, con l’obiettivo di mantenere lo stesso profilo nutrizionale e l’attenzione al benessere e al gusto.

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Un alimento per tutti Dalle mense scolastiche alle cucine di tutte le abitazioni: la bresaola della Valtellina IGP è un salume che vanta ottime proprietà nutrizionali, contiene proteine di alto valore biologico (amminoacidi essenziali), vitamine

del gruppo B (in particolare B1, B3 e B12), minerali quali ferro e zinco. Una recente indagine compiuta dall’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, oggi CRA, Centro per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura), e SSICA (Stazio-

Bresaola della Valtellina. Ottima da sola, può essere abbinata con fantasia a diversi tipi di formaggi e alle verdure, cotte o crude.

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ne Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari) ha confermato che la bresaola della Valtellina IGP è il salume più magro in assoluto. Una porzione da 50 grammi (consigliata) apporta infatti 76 chilocalorie, è adatta anche per lo spuntino successivo all’attività fisica, perché nutre senza appesantire, magari accompagnata da frutta o verdura cruda. Molto utile da questo punto di vista il servizio offerto dal sito del Consorzio per la tutela del nome Bresaola della Valtellina che, all’indirizzo web http://lanutrizionistarisponde.bresaolavaltellina.it, consente ai consumatori interessati, compilando un breve questionario e lasciando la propria e-mail di riferimento — o accedendo tramite Facebook — di inviare ad una nutrizionista le proprie domande, curiosità, approfondimenti concernenti la sana alimentazione. Il servizio “La nutrizionista risponde”, in ogni caso, come viene ricordato anche sul sito, non costituisce in alcun modo una consulenza personalizzata in ambito medico o nutrizionale. In caso si abbia una necessità specifica o una patologia particolare, è sempre preferibile rivolgersi al proprio medico di fiducia. Igp: qualità garantita La vera bresaola della Valtellina è garantita dal marchio comunitario IGP (Indicazione Geografica Protetta), utilizzato esclusivamente dai produttori della provincia di Sondrio, che si attengono al rigoroso Disciplinare di produzione approvato in sede comunitaria e sono soggetti alla costante attività di sorveglianza dell’organismo di controllo C.S.Q.A. Certificazioni di Thiene (VI). Per dare operatività ed efficacia a questa importante attestazione di tipicità, il 23 maggio 1998 si è costituito il Consorzio per la tutela del nome Bresaola della Valtellina, riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali con decreto 27 settembre 2004, che garantisce la provenienza di questo prodotto, ne promuove l’immagine e lo salvaguardia da imitazioni e contraffazioni. >> Link: www.bresaolavaltellina.it

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Salumi italiani in USA: OK anche per la bresaola È del 24 luglio scorso la notizia dell’apertura del mercato americano alla bresaola: le autorità statunitensi hanno infatti confermato la possibilità per le aziende italiane di esportare bresaola ottenuta a partire da materia prima di origine USA. Il divieto, in essere dal 2001, era dovuto a problematiche legate alla Bse; il recente riconoscimento da parte dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità Animale dell’Italia quale Paese a rischio trascurabile per questa malattia ha senz’altro agevolato la rimozione del bando. «Si tratta di un altro grande risultato — ha dichiarato Lisa Ferrarini, presidente di ASS.I.CA. — fortemente perseguito dalla nostra associazione e ottenuto grazie alla tenacia e alla collaborazione del Dipartimento della Sanità pubblica veterinaria e della Sicurezza alimentare del Ministero della Salute. La bresaola, un prodotto molto apprezzato per le sue qualità nutrizionali, va ad aggiungersi alla gamma dei salumi già esportabili, contribuendo a dare negli Stati Uniti un quadro completo della autentica salumeria made in Italy».

L’estate firmata Raspini: per i piatti estivi più golosi sono ideali gli affettati da banco prosciutto cotto Riccafetta e salame Piemonte È da materie prime selezionate di altissima qualità che nasce il prosciutto cotto Raspini: grazie al basso contenuto di grassi e sale e all’alto apporto proteico, il prodotto è adatto per il consumo ad ogni età ed è particolarmente gradito per la sua versatilità. Senza glutine, senza latte e derivati e senza glutammato aggiunto, il prosciutto cotto Raspini è adatto anche a tutti i consumatori affetti da intolleranze e allergie alimentari come la celiachia. Riccafetta Raspini è un’ottima scelta: l’aroma delicato, il profumo persistente e la magrezza del prodotto lo rendono irresistibile. Considerato da molti il re della tavola, il salame è il protagonista indiscusso della cucina italiana. I salami Raspini sono prodotti seguendo fedelmente la tradizione e le ricette regionali. Per chi al prosciutto cotto preferisce il gusto più deciso dei salumi, Raspini propone il salame Piemonte, ottenuto da carni piemontesi e prodotto con vini del territorio, secondo un’antica ricetta, senza glutine, senza latte e derivati né glutammato aggiunto. Gli affettati Raspini si possono utilizzare in tante semplici ricette e si abbinano facilmente a diversi ingredienti. Soprattutto nei mesi estivi si possono gustare accompagnati da formaggi, in gustose insalate miste, come farcitura per toast, panini e focacce, sopra la pizza oppure nei più classici piatti freddi a base di pasta o riso. E allora, siete pronti a scoprire il gusto inconfondibile e la bontà della gamma degli affettati di casa Raspini? >> Link: www.raspinisalumi.it

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Locali di gusto

Sapori d’Italia a Praga Li ha portati l’imprenditore marchigiano Riccardo Lucque con Aromi e La Finestra, due ristoranti che propongono autentica cucina italiana con annesse relative botteghe in cui è possibile acquistare prodotti di qualità del nostro Paese di Massimiliano Rella

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ituato vicino alla brutta torre della comunicazione, che svetta con i suoi 216 metri di altezza nel quartiere benestante di Žižkov, a Praga, Aromi è il ristorante creato dallo chef marchigiano Riccardo Lucque nel 2005. Due anni dopo, nei pressi del locale, ha aperto anche La Bottega di Aromi, negozio di specialità italiane.

In passato Lucque ha lavorato con lo chef Luciano Pompili al ristorante Il Simposio, a Cartoceto (Pesaro Urbino) e per dieci anni nel Regno Unito con lo chef Giorgio Locatelli allo Zafferano di Londra. Poi negli Stati Uniti, a Il Buco di Manhattan, per approdare infine a Praga con il gruppo Kampa, che gestisce alcuni locali di tendenza. Sempre a Praga, nel 2009, Lucque ha

inaugurato il suo secondo ristorante, La Finestra, che si trova a Staré Město, la Città Vecchia, una zona molto frequentata tutto l’anno da turisti. Che tra una visita alla Chiesa di San Nicola, in stile barocco, al Palazzo Kinský, dall’architettura rococò, e al Municipio della Città Vecchia, con il suo Orologio Astronomico di epoca medioevale, possono approfittare di

Il bancone salumi della Bottega di Finestra, negozio di gastronomia italiana a Praga (photo © Massimiliano Rella).

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A sinistra: interni del ristorante italiano Aromi. A destra: Riccardo Lucque, chef e imprenditore marchigiano da anni a Praga (photo © Massimiliano Rella). un pranzo all’italiana, senza dubbio un piacevole diversivo. Accanto a La Finestra, da gennaio 2012, come già detto, la proposta enogastronomica si è ulteriormente arricchita con La Bottega di Finestra, dove si può mangiare e comprare specialità del nostro Paese, selezionate con attenzione alla qualità. I due ristoranti, Aromi e La Finestra, propongono autentica cucina italiana e sono segnalati dalla guida Michelin. Aromi, però, è specializzato in piatti di pesce e frutti di mare, che arrivano dalla costa dell’Adriatico tra Ancona e Cattolica. Lo chef di Aromi che supporta Riccardo Lucque è il ceco RADEK HASMAN, che cucina ricette italiane sotto la supervisione dello stesso Lucque, impegnato nella conduzione imprenditoriale ma senza trascurare menu, ingredienti e fornitori di fiducia. Lo chef ceco ha lavorato per anni nel gruppo Kampa e nel ristorante del Palace Hotel, un albergo 5 stelle di Praga. L’esperienza certo non gli manca e ogni anno si aggiorna sulla cucina di mare collaborando per un paio di mesi nel ristorante stellato Da Alceo, a Pesaro. Anche la carta dei vini include etichette prevalentemente italiane, oltre a Champagne, qualche vino francese, moravo, spagnolo e una se-

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lezione di grandi annate, insieme ad un centinaio di grappe. Una ventina di etichette è offerta al calice (conto medio 1.296 CZK, cioè € 52,00, www. aromi.cz). Nell’annessa Bottega di Aromi sono tante le tipicità in vendita: mozzarelle di bufala campana di Casal di Principe (Caserta), pomodori del Vesuvio, carni di Fassona, una pregiata razza bovina allevata in Piemonte, oppure di Mora romagnola, un’antica razza suina della Romagna, oltre a carni marchigiane di origine controllata. L’olio extra vergine d’oliva arriva da Marche, Sardegna e altre regioni; e non manca la pasta fresca: ravioli, tortelli, pappardelle, fusilli, spaghetti. L’imprenditore marchigiano ha curato ogni dettaglio anche nell’arredamento dei due ristoranti e delle annesse botteghe, affidandosi ai giovani architetti del Mitte Studio di Praga, Jiří Kucera e Jiří Dohnal. Per Aromi hanno realizzato un ambiente raffinato e insieme caldo e accogliente: pareti in mattoni recuperati, pavimento in legno, un grande bancone di otto metri con piano dorato e base in rovere e, al centro del locale, un ampio tavolo per esporre i formaggi. Anche per il ristorante La Finestra è stata scelta l’eleganza classica nell’arredamento, allestito per 60 coperti. Qui il menu, però,

propone prevalentemente piatti a base di carne italiana preparati nella cucina a vista (conto medio 1.396 CZK, cioè € 56,00, www.lafinestra. cz). La vicina Bottega di Finestra è un negozio bistrot, con un’ampia sala in legno visibile dalla strada, un ricco bancone di dolci per le colazioni, come la pasticceria classica di Davide Combi. Una parete espone diversi tipi di pane casareccio e regionale, come il pane di Altamura, preparati all’interno dal fornaio Mimmo. Infine, nel corridoio, fa bella mostra di sé il bancone del pesce fresco. Sul retro una saletta interna è interamente riservata a formaggi e salumi, con i prosciutti appesi al soffitto, per lo più forniti da produttori artigianali di Cartoceto. I vini invece sono importati attraverso la società La Via del Vino, di cui Lucque è socio. Con i suoi 40 coperti, La Bottega di Finestra è aperta a partire dalla colazione con caffè e cappuccini, mentre per pranzo offre un menu di piatti semplici. Botteghe a parte, i due ristoranti di Lucque organizzano corsi di cucina, degustazioni e cene a tema. Le attività dei ristoranti e delle botteghe sono assicurate grazie a rifornimenti di carne e pesce fresco dall’Italia almeno tre volte a settimana. Massimiliano Rella

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Premiate Salumerie Italiane

Donne più forti della scossa È il caso di Catia e Daniela Dalprà, che hanno rilevato una macelleria-salumeria a Mirandola solo poche settimane prima del terremoto dello scorso maggio. A causa dell’inagibilità della via si sono trasferite in un complesso prefabbricato. Oggi attendono di rientrare in possesso della loro bottega di Fabio Butturi

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sattamente sedici giorni, praticamente un “nulla” prima di quel 20 maggio che si è impresso nella memoria di un’intera comunità. «Appena ho sentito tremare il pavimento sono scappata fuori» commenta una signora sulla cinquantina, ancora “scossa” (mai aggettivo fu più evocativo) per i 2,2 gradi della scala Richter della sera precedente, nella fine di aprile da poco

alle spalle. Quasi un anno è trascorso dalla catastrofe. Due scosse, in batteria, a poche ore di distanza. Di bassa intensità, ma in superficie. Quanto basta per riattivare quei sensori che si pensava non servissero più. Poco di più, venticinque giorni, per arrivare al 29 maggio 2012, che ha decretato il fraudolento sfratto di Salumi & Sapori dalla sua sede originaria, al 30 di via Castelfidardo, nel pieno centro

storico di Mirandola, estremo nord della provincia di Modena. Un pezzo di storia di quel paese, gestito per anni e anni dalla famiglia Silvestri. Quel 29 maggio che ha raso al suolo i luoghi di culto e dell’identità di quella che per quattro secoli è stata la capitale dei Pico. «Mi sono precipitata fuori e ci sono rimasta. Tutta la notte», precisa la signora. «Perché io, non mi vergogno a dirlo, dopo il

Salumi & Sapori, la macelleria-salumeria di Mirandola aperta da Catia e Daniela Dalprà poco prima del terremoto che lo scorso anno ha così duramente colpito la bassa modenese e che oggi ha provvisoriamente sede nel prefabbricato che ospita Centro in Galleria, complesso commerciale che raggruppa diverse attività.

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A sinistra: a banco salami e strolghini. A destra: Catia e Daniela Dalprà. terremoto mi sono fatta curare per provare ad uscirne». La premessa è quella di una bottega e si intreccia alla vicenda umana e professionale di Catia e Daniela, ma potrebbe essere la storia di altre centinaia di esercenti di Mirandola e del cratere. Come quella della signora sulla cinquantina che all’interno del negozio ha raccontato le sue paure. Quei virgolettati potrebbero essere la confessione di una persona qualunque, tra quelle che hanno vissuto il muggito della terra e le pareti che tremavano come foglie al vento e le colonne di fumo dagli edifici crollati. Come in un video reportage dall’Iraq. Catia e Daniela non si sono fatte sopraffare dallo scoramento. Aveva abbassato le serrande da un anno e mezzo, quella bottega, macelleria e salumeria, e le due giovani sorelle originarie del mantovano le avevano risollevate con la forza dell’entusiasmo (e della “ragion di stato”, dal momento che la posizione da dipendenti stava vacillando, causa la solita, implacabile, crisi). Non potevano prevedere che alla recessione e alla contrazione dei consumi sarebbe seguito quello che nessuno avrebbe potuto mai prevedere: il terremoto. Perché quei 5,9 gradi della scala Richter, nella monocorde e statica livella del basso padano, hanno spazzato via le tetragonali certezze di questa gente, il paradigma della

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impermeabilità dagli umori sadici e catastrofici dei capricci della terra. Se è stato per secoli un esorcismo, ripetuto come un mantra, non poteva funzionare per sempre. Ma non c’è nulla di magico, ci hanno informato i sismologi, il male si chiama faglia e corre subdolamente nel sottosuolo, come un fiume carsico. Eppure, nonostante il negozio non avesse riportato danni strutturali, l’inagibilità della contrada (nella pianta più datata della città) ha costretto le due neo-imprenditrici, con un passato da apprendiste, a quattro mesi e mezzo di inattività. Anzi, a uno sfibrante scervellarsi sul da farsi. In quelle tragiche condizioni: Piazza Costituente e le superstiti tracce cinquecentesche semidiroccate e interdette agli stessi residenti, una spettrale zona rossa, la minaccia della delocalizzazione delle aziende biomedicali, che innervano il tessuto produttivo di Mirandola. Eppure, queste due giovani sorelle, Catia, tuttora residente appena al di là del confine col basso mantovano, a Poggio Rusco, e Daniela Dalprà, che invece a Mirandola ha pure messo le radici, hanno chiesto e ottenuto un finanziamento, per trasferirsi nel prefabbricato che ospita il Centro in Galleria, nel complesso che si estende da questo “tubolare” all’ex Cantina Molinari e rappresenta il SOS che i commercianti di queste parti hanno lanciato al mondo intero.

I concittadini sembrano rispondere all’appello, la solidarietà si percepisce anche dalle intenzioni di spesa e dalle facce più o meno note che fanno capolino in questa sede provvisoria (chissà per quanto…), invece di rifugiarsi nel buen retiro della GDO, a quanto dice Daniela. Anche se, è il caso di dirlo, non “è più come una volta”. Nonostante un container rappresenti un compromesso emergenziale, Salumi e Sapori conserva la familiarità delle botteghe di un tempo, spazio esiguo tra la vetrina e il banco da lavoro, ma profondità dietro, per consentire alle sorelle di lavorare in armonia. Perché non mancano le creazioni “autografe”. I rotoli di omelette, per esempio, vengono farciti a piacere. Perché il menu varia, dipende dall’estro, dalla stagione e dalle richieste. Come le varianti degli straccetti di pollo, un’insalata di carne bianca cotta e contaminata con pomodorini, rucola e funghi, oppure con i pomodori secchi. Funghi e radicchi che accompagnano una specie di “pasticcio” con la bresaola. Vicina all’insalata russa si trova il polpettone farcito con asparagi, con i funghi o con il prosciutto crudo. Dagli involtini di maiale spuntano i würstel, mescolati alla pancetta tritata o avvolti dalla pancetta a fette sottili e stemperati dalla ricotta. A proposito di maiale, nella vetrina ordinata per generi, l’impasto della

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La scelta dei salumi a banco annovera etichette quali Villani e Pasquini & Brusiani per la mortadella, Pfitscher per speck e würstel, strolghini del Salumificio Rossi di Fontanellato e salami del Salumificio Reggiani di San Felice sul Panaro. salsiccia su un vassoio, col cartellino che spunta come un gonfalone e la dicitura VALPA, della vicina Rivara di San Felice sul Panaro, e di seguito la luganega che riposa di fianco al filetto macinato, al lombo e alle fette corpose di pancetta per fare una griglia come si deve. Visto che da queste parti le grigliate all’aperto non sono un evento paranormale, seguono le costine, gli spiedini con le fette di peperone giallo e verde e, perché no?, le svizzere di manzo della sezione a latere. Senza soluzione di continuità si trovano infatti gli hamburger, anche farciti (in esposizione c’erano quelli con olive e radicchio), affiancati da scamone di vitello, guancia di manzo e

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da fiorentine e filetto di Chianina. Qui vale la pena fare una precisazione. Se il nome Chianina non ha bisogno di presentazioni, qualche precisazione è bene farla, a proposito di uno degli assi nel mazzo di Salumi & Sapori: i bovini hanno un nome di ascendenza transappenninica, ma sono allevati, nutriti e macellati a Soliera, da un allevatore che ha investito sulla filiera zero. L’intera catena viene processata all’interno dell’azienda agricola che vende la carne macellata solamente all’interno dello spaccio. Unici dettaglianti a cui viene concesso il privilegio dell’eccezione sono le sorelle Dalprà, che dal canto loro allungano

di circa 25 chilometri l’ultimo anello della catena e si aggiudicano la Chianina Modena per i loro clienti. Una mezzena a settimana, che per una macelleria di quella che fu una microscopica capitale, ora stancamente immemore dei fasti sotto il peso delle macerie, non è per nulla male. L’avicunicolo è appannaggio dell’AVICOLA NOGARESE (la provincia di Verona non dista tanto dal lembo settentrionale del modenese, appena tre fermate di treno, direzione Brennero), con i tacchini, i galletti, il cappone che le ragazze hanno farcito di frittata, le salsicce di pollo e le cosce, con l’anca. Se sull’insegna c’è scritto anche Salumeria vorrà pur dire qualcosa e sull’angolo destro della vetrina, nel frigo alle spalle e sui ganci si trova la risposta. A partire dai puntini sulle “i”. A cominciare dalla mortadella, con l’ALCISA, l’artigianale di VILLANI e, esemplare in tiratura limitata, come certe Lamborghini (per restare nel bolognese), quella di PASQUINI & BRUSIANI, direttamente dal capoluogo regionale, a due passi dalla via Porrettana. A proposito di specialità, non passa settimana che Catia e Daniela non si rechino a Merano, da PFITSCHER, a fare il pieno di speck, Frankfurter (hanno testato il polso alla clientela anche sui Weißwurst, ma la risposta si è canalizzata su un’unica irriducibile maniaca del würstel bianco), e braciole di maiale affumicato. Tra i fornitori spiccano Villani (vedi anche la vaschetta di ciccioli frolli e la coppa stagionata), LEPORATI e Ferrarini, anche se sull’etichetta degli strolghini leggiamo il nome del SALUMIFICIO ROSSI di Fontanellato e su altri salami quello del SALUMIFICIO REGGIANI di San Felice sul Panaro. Salumi & Sapori, un dittico che ha il senso più intimo radicato nella tradizione casereccia e “suinocentrica” di questa fetta d’Italia, ma che nell’ultimo anno ha trovato i veri sapori nel cocktail amaro di angoscia e mortificazione e dal retrogusto più dolce della speranza. Che, come si sa, è l’ultima a morire. Fabio Butturi Salumi & Sapori c/o Centro in Galleria Viale Gramsci (41037) Mirandola

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Tendenze

La fisica del sorbetto Di frutta o di verdura, con yogurt, vino o cioccolato, il sorbetto ha mille gusti ma la consistenza è unica e particolare di Giorgia Fieni

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tato gassoso. Stato liquido. Stato solido. A scuola ci hanno insegnato bene la differenza tra questi termini e, per farcela capire meglio, al corso di fisica hanno forse anche fatto un esperimento con l’acqua. Noi l’abbiamo vista evaporare dalla pentola in ebollizione e pure solidificarsi se sufficientemente raffreddata… e così abbiamo scoperto il ghiaccio. Poi ci siamo messi a cambiarle forma e a colorarla, non solo per divertenti ma anche gustosi ghiaccioli, gelati e granatine. Da lì al sorbetto il passo è stato breve, anche se, a dire la verità, pare che, pure se il ghiaccio è noto all’uomo da tempi antichissimi, sia stato Marco Polo, nel XIII secolo, ad importare dalla Cina il primo sistema di congelamento artificiale per fabbricarlo. Fino ad allora (lo apprezzava già Nerone) era acqua di mare; da allora in poi sarà di acqua e salnitro. Comunque sia, quando mi hanno servito un sorbetto per la prima volta, a metà pasto di un ricevimento di nozze, ero stupita: ma cosa ci faceva una specie di gelato tra le tagliatelle all’anatra e gli arrosti misti? E poi l’ho assaggiato ed ho scoperto che era più cremoso e più freddo rispetto al gelato, con il gusto dolce-asprigno del limone a massaggiarmi il palato e ad aprirmi lo stomaco. Da quel momento non c’è stato pasto in cui non abbia guardato il menu cercandolo con ingordigia fra le portate, chiedendomi tra quali prelibatezze lo avrei incontrato. Immaginatevi quindi la mia sorpresa quando mi hanno chiesto (la sera che l’ho ordinato dopo una comunissima pizza): “al limone o al caffè?”. Quella domanda ha scatenato la mia curio-

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sità da gastronoma, il che significa che ogni volta che trovo un sorbetto diverso dal solito lo devo assaggiare subito (faccio la stessa cosa coi dolci… ah, cosa non si fa in nome del lavoro!). Perciò, a questo punto, posso fare, proprio come con le figurine, il celo-manca dei sorbetti. Mela verde: celo. Freschissimo e particolare. Zenzero: manca, ma credo sarà oggetto di un esperimento casalingo molto presto. Al limone aromatizzato con liquore all’anice: manca, ma ancora per poco. Carote: manca. Pomodoro: manca. Sedano: manca. Cioccolato: celo (avevate dubbi???). Melone: celo. Avocado: manca. Pesca: celo. Pera:

manca. Yogurt: manca, chissà che cremosità! Ananas: celo. Arancia al pepe garofanato: manca, ma l’ho assaggiato al mandarino! Fichi: manca. Pompelmo rosa alla menta: manca, accoppiata interessante. Fragole con vino rosso: manca. Ciliegie (o cherry brandy): manca. Frutti di bosco: celo. Ho capito, sono una novellina del sorbetto. Soprattutto se faccio un giro del mondo e degli chef per saperne di più. In Cina è al litchi e fiori di sambuco e si accompagna a biscotti da dessert. In Calabria al bergamotto (con l’olio essenziale della DOP di Reggio e albume montato a neve). In Valle d’Aosta al limone e genepì.

Sorbetto alla fragola.

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A sinistra: sorbetto al vino. A destra: litchi, frutto originario della Cina. In omaggio alla Campania PINO LAVARRA prepara verdure e insalate amalfitane con sfogliatine al timo e sorbetto al pomodoro San Marzano e JAMIE OLIVER, in terra spagnola, quello al Tinto de Verano: «ho pensato di trasformare il popolarissimo cocktail di vino rosso da poco e gazzosa in qualcosa di ancor più dolce e rinfrescante; per ottenere un profumo più intenso ho usato un vino di qualità lievemente migliore — come il Roja — e trovo che questo sia un dessert assolutamente meraviglioso» ha dichiarato il giovane chef. ERIC FRECHON lo serve di ostriche assieme a conchiglie Saint-Jacques. LAURENT JAMMIN al Campari. Il sorbetto alla mandorla è stato protagonista di Taste of Milano 2011 quando GIOVANNI BON lo ha servito con riso al salto dolce e salsa di nocciole del Piemonte, e di Identità London 2011, con CICCIO SULTANO e il cannolo di ricotta con zuppa calda ai fichi d’India. Ma ci sono altri professionisti che lo usano come accompagnamento di piatti che servono in carta nei loro menu. Tra di loro DOMENICO D’AGOSTINO, che inserisce tra i dolci il Gil tonic, un gin tonic con sorbetto al gelato. O VALERIA PICCINI: panna cotta di pere con gelatina al Vin Santo,

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trucioli di fegato grasso e sorbetto di rape rosse. Sullo stesso tema NADIA e ANTONIO SANTINI: foie gras cucinato in padella con burro, pesche, passito, ciliegie, accompagnato da sorbetto di ananas e foglioline di menta. Più classici ARTURO SPICOCCHI e DAVIDE OLDANI: uno con Linzer torte rivisitata con biscotto al marzapane e mandorle, pralinato di nocciole e sorbetto di cassis a parte; l’altro con zuppa di mandarino con sorbetto di banana e tonka. MAURO ULIASSI infine trasforma il “piatto green” in un sorbetto, presentando asparagi, ravanello, topinambur, daikon, fave fresche e piselli (conditi con una vinaigrette) su un centrifugato di fave e completando con pane (preparato con uova, farina, latte e centrifugato di mela verde) e palline di gelato. Quest’ultimo esempio rappresenta direi quasi l’apice della trasformazione del nostro prodotto, che da una semplice miscela di ghiaccio e aromi è diventata una pietanza complessa che richiede impegno e fantasia. Ho detto semplice? Mica tanto. Il sorbetto non è una granita, che richiede un congelamento e un frequente rimescolamento per ottenere l’aspetto “ruvido”. No, il sorbetto dev’essere solo parzialmen-

te congelato, in modo che rimanga semidenso, e per ottenerne la giusta consistenza ha bisogno di più zucchero e del già citato albume o di panna montata. D’altronde, deve tener fede al proprio nome (sourbat in arabo significa “brodo, sciroppo”)! Inoltre, contiene anche una sostanza più o meno alcolica (si passa dal vino, allo champagne, alla vodka) che si deve ben miscelare con la frutta o la verdura (fresca o surgelata o sotto forma di succo) o con il cioccolato o lo yogurt perché il composto sia ben omogeneo. Altrimenti si rischia di assistere all’esperimento fisico della separazione delle sostanze, che si può verificare sia in fase di preparazione che di servizio (è per questo motivo che va tolto dal congelatore un attimo prima di portarlo in tavola e versato subito in bicchieri o coppe di cristallo ben freddi). Indi, prima di accingervi a preparare un sorbetto per la prima volta, dovete essere ben certi di conoscere approfonditamente la materia. A proposito: chissà se personaggi come Albert Einstein, Marie Curie ed Enrico Fermi (tutti premi Nobel per la fisica) ne hanno mai assaggiato uno… E chissà cosa ne avrebbero pensato! Giorgia Fieni

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Viva la mousse! di Clara Scaglioni

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onsultando l’indice dei libri di cucina pubblicati prima degli anni ‘60-‘70 del secolo scorso possiamo notare che, raramente, vengono menzionate le mousse. La parola francese mousse, tradotta letteralmente in italiano, significa “spuma”, termine che racchiude in sé l’idea di leggerezza. La mousse è infatti un piatto gustoso, gradevole e piacevole da mangiare perché, oltre all’ingrediente di base che gli dà il sapore, vi è la fondamentale presenza o di yogurt o di ricotta o di panna e bianco d’uovo (ambedue molto ben montati), elementi che ne determinano morbidezza e delicatezza. Anche se conosciuto da tempo, questo piatto ha trovato apprezzamento solo di recente perché, pur potendosi realizzare facilmente con svariati ingredienti sia cotti che crudi, sia salati che dolci, per essere gustato al meglio deve essere tenuto alcune ore in frigorifero (condizione che ha rappresentato il suo limite in passato). Secondo gli ingrediente di base la mousse può essere considerata un antipasto, un piatto di mezzo, oppure un dolce. Comunque sia, è una portata raffinata, affermatasi anche grazie alla nouvelle cuisine, la cui filosofia sosteneva la creazione di piatti leggeri, legati alla stagionalità dei prodotti. Se diamo retta alla leggenda, sembra che la mousse sia nata per puro caso nell’Ottocento, nella cucina di una famiglia nobile francese, quando un apprendista pasticciere — un po’ sbadato in verità — versò per errore della panna bollente in un contenitore pieno di tavolette di cioccolato, venendo per questo insultato dallo chef con l’appellativo “ganache!” (maldestro). Per porre rimedio al misfatto, l’apprendista avrebbe iniziato a montare la miscela creando così, senza volere, un dolce goloso in seguito chiamato proprio ganache (dalla quale la mousse deriva). Tante sono le ricette delle mousse, tutte da servire fredde, quindi perfette e adatte al periodo estivo. La più conosciuta, quella “classica”, che al solo nominarla fa venire l’acquolina in bocca, è certamente la mousse al cioccolato. Per prepararla si scioglie a bagnomaria il cioccolato fondente

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Mousse di mortadella Ingredienti • 200 g di mortadella a pezzetti • 150 g di ricotta di pecora • 3 cucchiai di panna liquida da dolci Esecuzione Mettete nella boccia del mixer la mortadella e frullatela. Aggiungete poi la ricotta leggermente montata con i rebbi della forchetta e, da ultima, la panna da dolci non montata. Potete anche servirvi del minipimer, che svolge egregiamente questo lavoro. La mousse di mortadella si può preparare con qualche ora di anticipo, poi la si può mettere a grosse cucchiaiate su piccole tartine realizzate con il pancarré tagliato a triangolo o a piccoli quadrotti leggermente tostati in forno. Perfetta nel ripieno del canapè, è sempre invitante quando viene offerta tra le piccole golosità proposte per l’aperitivo.

spezzettato con il burro; una volta tiepido lo si unisce ai rossi delle uova prima lavorati a lungo con lo zucchero; poi si aggiungono gli albumi ben montati; si mette in frigorifero per alcune ore, dopo di che sarà un vero piacere gustarla accompagnata da biscottini croccanti come le lingue di gatto. Si può preparare una mousse di mortadella, trasformando, con l’utilizzo del minipimer, il salume, miscelato a ricotta e a qualche cucchiaio di panna liquida, in una crema da spalmare su crostini di pane leggermente tostato. Allo stesso modo si possono preparare mousse con il prosciutto cotto, il salmone e la trota affumicata, il baccalà, il pesce persico o il merluzzo, le verdure cotte e poi frullate, la polpa di vari tipi di frutta. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Va comunque ricordato che, in alcuni casi, è necessario ag-

giungere anche una piccola quantità di colla di pesce per dare al piatto una certa consistenza. Accanto alla mousse troviamo un’altra specialità in qualche modo ad essa collegata. Si tratta della mousseline, sostantivo di solito utilizzato per indicare un piatto comune leggermente modificato dall’aggiunta di un elemento (panna e/o bianco d’uovo montati) con lo scopo di renderlo più soffice e delicato. Si può avere allora un purè mousseline o una farcia mousseline, una salsa mousseline come ad esempio una maionese, che apparirà più morbida se vi verrà incorporata della panna montata. Clara Scaglioni Nota A pagina 64 tartellette con mousse di mortadella (photo © www.zuccheroesale.it).

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Turismo enogastronomico Ricchezze spirituali e gastronomiche a soli tre chilometri dalla Slovenia

Cormons, dalla Rosa Mistica al prosciutto artigianale di Nunzia Manicardi

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ormons, piccolo comune friulano della provincia di Gorizia a soli tre chilometri dal confine con la Slovenia e a quaranta dal capoluogo di regione Trieste, situato ai piedi del Monte Quarin, nella zona pianeggiante del Collio, patria di eccellenti vigneti, merita a nostro avviso una visita soprattutto per due particolarità locali: il Santuario della Rosa Mistica e il prosciutto artigianale. Che sarebbe come a dire: il sacro e il profano. Non crediamo ci sia niente di irriverente in questo abbinamento, anzi, ci sembra

come un segno emblematico della ricchezza di emozioni che questo territorio, nel suo quasi pudico conservarsi, può disvelare al visitatore attento e desideroso di scoprire anche quell’Italia di cui meno si parla ma che non per questo è inferiore ad altre zone più celebrate. Tanto per cominciare, Cormons è un paese ricchissimo di storia. In epoca romana era una stazione militare; nel 610 i Longobardi la fortificarono. In età alto-medievale fu sede per più di un secolo dei patriarchi di Aquileia e, successivamente, venne a lungo

contesa in virtù della propria importanza strategica sulla via di accesso a Gorizia. Diventata feudo dei conti di Gorizia nella seconda metà del XIII secolo, fu ceduta nel 1497 agli Asburgo che, salvo il breve periodo di occupazione da parte della Repubblica di Venezia e la rapida parentesi napoleonica, la detennero fino alla Prima Guerra Mondiale. Il 12 agosto 1866 vi era stato firmato l’armistizio tra Italia e Austria che aveva posto fine alla Terza Guerra d’Indipendenza. Nel corso della Prima Guerra Mondiale passò subito in mano agli Italiani (24

Prosciuttificio D’Osvaldo di Cormons, sala stagionatura prosciutti.

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Vigna del mondo e vino della Pace: il sapore della Terra in un bicchiere

La Rosa Mistica, statua di Maria scolpita dal cormonese Francesco Regola. maggio 1915), poi venne riconquistata dagli Austriaci (28 ottobre 1917, XII battaglia dell’Isonzo), per tornare definitivamente all’Italia al termine del conflitto. Oggi, accanto alla lingua italiana, a Cormons sono ufficialmente tutelate la lingua friulana e la lingua slovena, e anche questo è un ulteriore segno della ricca e complessa realtà culturale del posto. Il Santuario della Rosa Mistica sorge nella piazza centrale della cittadina. Rosa Mistica è il nome dato a una piccola statua prodigiosa di Maria, scolpita dal cormonese Francesco Regola e incastonata come una perla preziosa nel grande altare policromo della chiesa di S. Caterina. La sua è una storia gentile che ha inizio verso il 1710 quando alcune giovani, per iniziativa di Orsola, formano una piccola comunità, “Sorelle della Carità della Dottrina Cristiana” per insegnare alle bambine, gratuitamente, la dottrina cristiana. Nel 1723 madre Orsola porta provvisoriamente la piccola statua, minacciata da avversari potenti, nella Casa di Carità aperta a Romans. Nel 1737 la Madonnina viene riportata a Cormons. Alcune fanciulle, le più mattiniere, stanno pregando davanti all’altarino prima delle lezioni. Improvviso un grido, un ripetuto e insistente chiamare la maestra: «Suor Giulia, venga, venga a vedere…». La maestra accorre e vede anche lei che dal braccio destro della statua e dalla mano escono fittissime

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Tutto il sapore della Terra in un bicchiere: ci è riuscita la Cantina Produttori Cormons, che 40 anni fa pose le sue basi a Cormons, terra di vini eccezionali ma anche millenaria cerniera in cui convivono le culture latina, slava, germanica. Un crogiuolo di genti e tradizioni dal quale nacque l’idea della Vigna del Mondo: far crescere intorno alla sede della Cantina vitigni provenienti da ogni continente e che ogni anno elargiscono il Vino della Pace, simbolo di concordia universale. I vitigni vengono dai cinque continenti e portano nomi che sanno di terre lontane, come Sirah, Tulilah, Shurrebe, Pedral, Maizy. Ma ci sono anche i più noti Marzemino, Terrano, Merlot, Gamay, Ucelut: quasi seicento tipi d’uva diversi compongono questo miracolo vitivinicolo. “Il vino e la viticoltura sono stile e non moda” è il motto del direttore Luigi Soini. Le mode enoiche passano e si avvitano sempre più spesso sui termini e sull’apparenza. Ma il vino è sostanza viva e vivente, l’esistenza di un vitigno dura dai trenta ai cinquant’anni e rinnova continuamente la propria essenza nei misteriosi meccanismi della maturazione. In trenta o cinquant’anni un uomo cresce e diventa adulto, cercando di placare la sete del suo spirito. E il vino attenua quell’arsura, donandogli istanti ineffabili di gioia. (www.vinodellapace.com).

gocce, come di sudore, e sono così grosse che si possono contare, e sono tante che ne resta bagnato il velo e persino il vestito. Cominciano ad accorrere suore, sacerdoti, popolo. In breve la casa ne è invasa. L’arcidiacono di Gorizia, massima autorità religiosa in quel tempo, nomina subito una commissione che esamini il fenomeno. Per più di 15 giorni la statua continua a “sudare”. Sorelle e sacerdoti asciugano quella preziosissima rugiada con panni di lino, conservati come reliquie. Dopo accurati e rigorosi esami, constatata l’obiettività dei fatti e la loro inspiegabilità, e prese in considerazione le prime strepitose guarigioni, arriva la dichiarazione: “Qui è la mano di Dio”. Il 21 marzo 1737 Mariannina Cipriani, una fanciulla di nove anni, mentre è in preghiera davanti alla piccola statua di Maria, la vede illuminarsi, Mariannina è inondata di dolcezza: la Vergine la guarda e le sorride! Così per due volte. “Alla fine lo splendore cessò e la statua della

Vergine tornò qual era da principio”. Da quel momento in poi la “Memoria Storica” ci ha consegnato il resoconto di numerosissime grazie concesse dalla Beata Vergine di Cormons. Nel 1812, dopo tanto splendore, la fine. Per l’applicazione delle leggi napoleoniche anche le Sorelle della Carità della Dottrina Cristiana sono soppresse, i loro beni confiscati e messi all’asta, compresa la chiesa. La Madonna viene derubata. Un po’ alla volta di Rosa Mistica si dimentica tutto, storia e nome. La gente la chiama semplicemente “la Madonute da lis muinis”, cioè “la Madonnina delle monache”. Ma un lumicino ad olio continua ad ardere davanti a Lei. E la devozione popolare, anche se in forme diverse, ha oggi ripreso vigore, legandosi pure ad una sorta di recupero dell’identità e delle tradizioni del posto. Un’altra tradizione del posto, di diversa natura, più recente ma ormai ben radicata, è quella costituita dal prosciuttificio di Lorenzo e Lucia

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I prosciutti D’Osvaldo nel fogolar per l’affumicatura. D’Osvaldo (www.dosvaldo.it), che a Cormons fa tutt’uno con la vecchia casa di famiglia. L’attività fu iniziata infatti una cinquantina di anni fa dal padre Luigi che gestiva la macelleria. Con passione e tenacia Lorenzo e Lucia hanno fatto del prosciutto di Cormons un raffinatissimo prodotto di nicchia nel panorama gastronomico italiano. L’artigianale prosciutto di Cormons, nella cui forma è prevista la conservazione del “piedino” che diventa elemento caratteristico, è un prodotto affumicato ancora oggi con produzione a carattere stagionale. Questo prosciutto dolce e leggermente affumicato (come si legge nel “Cibario del Friuli Venezia Giulia – Atlante dei prodotti della tradizione”, ERSA 2002) deriva da cosce suine nazionali sottoposte a

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due fasi di salatura, affumicate per un paio di giorni al fuoco di legni dolci e stagionate per 12 mesi lasciando ogni giorno aperte dal tramonto all’alba le finestre delle stanze di stoccaggio. La pezzatura va dagli 8 ai 12 kg con osso. La descrizione delle fasi di lavorazione è fornita dall’ERSA, Agenzia Regionale per lo Sviluppo Rurale. Le cosce giungono in azienda già pronte e rifilate. Al loro arrivo sono selezionate secondo grandezza, viene apposta la data di arrivo e la sigla del macello di provenienza; quindi subiscono un preliminare di massaggiatura manuale e riposte sui bancali, pepate e salate. Trascorsi 4-5 giorni le cosce vengono massaggiate per spurgare la vena femorale. Sono poi sottoposte a una seconda salatura e ad un periodo di riposo che dura per un numero di

giorni pari ai chilogrammi di peso delle cosce stesse. Al termine vengono lavate con acqua, lasciate asciugare all’aria, pepate e messe in pressa dove rimangono un paio di giorni. A questo punto vengono affumicate in una stanza con al centro un vecchio fogolar dove si prepara il fuoco bruciando legni autoctoni dolci (ciliegio e alloro) mentre nella parte alta del camino, a una distanza di circa 4 metri, vengono appesi i prosciutti per un’affumicatura che dura un paio di giorni. Nel mezzo del fogolar c’è una grossa pentola contenente piante aromatiche raccolte sul luogo. Il camino di sfogo è molto ampio per cui in nessun caso c’è il ristagno di fumo. Dopo questa fase si passa alla stagionatura in stanze molto ampie e aerate. Ogni giorno al tramonto le finestre, come già detto, vengono aperte per essere richiuse il mattino seguente di buon’ora. La stagionatura si protrae complessivamente per 12 mesi. A metà di questo processo i prosciutti vengono sottoposti a rifilatura e stuccatura a mano (con una miscela di sugna e varie spezie preparata con una ricetta rimasta inalterata da decenni). Al raggiungimento della stagionatura i prosciutti vengono spostati in cantina in attesa della vendita. La salatura viene fatta in una stanza condizionata. La stagionatura avviene ancora in modo tradizionale e naturale nelle stanze della vecchia casa. Per la sicurezza alimentare di questo prodotto ottenuto con tecniche tradizionali esiste già un manuale di autocontrollo (DLgs 155/97). Il prosciutto (in possesso del Bollo CEE) viene lavorato secondo le normative vigenti con le deroghe previste dalla circolare n. 30 del 28/7/92 e dall’art. 9 comma 2 del DLgs 537/92. Il caratteristico aspetto esterno, l’inconfondibile sapore e l’aroma dato dalla leggera affumicatura e stagionatura fatta in modo naturale fanno si che il prosciutto di Cormons si distingua dagli altri. Anche soltanto per questo motivo vale la pena di passare da queste parti, non dimenticando di fare pure una visita a quel Santuario della Rosa Mistica dove la fiammella, nonostante tutto, è rimasta sempre accesa. Nunzia Manicardi

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Assemblee

Sei priorità per l’export dei prodotti alimentari All’assemblea ASS.I.CA. Lisa Ferrarini indica le azioni necessarie per rilanciare le esportazioni di un settore chiave del made in Italy: «agire rapidamente è fondamentale: mentre le nostre aziende attendono i necessari provvedimenti i concorrenti guadagnano posizioni difficilmente recuperabili»

N

el corso dell’assemblea pubblica di ASS.I.CA., che si è tenuta lo scorso 20 giugno a Roma, LISA

F ERRARINI , rieletta recentemente alla presidenza dell’associazione, ha lanciato le sei priorità per l’export alimentare. L’export di questo vero

e proprio alfiere del made in Italy, infatti, è purtroppo particolarmente penalizzato da barriere tariffarie e non tariffarie. In tale contesto, il settore

La presidente di ASS.I.CA. nel corso dell’intervento di apertura dell’assemblea pubblica. Alla sua sinistra il parterre di relatori che hanno animato la tavola rotonda: Carlo Calenda, viceministro dello Sviluppo economico, Maurizio Martina, sottosegretario di Stato del MIPAAF, Romano Marabelli, capo Dipartimento Sanità presso il Ministero della Salute, Giorgio Santilli, di Il Sole 24 Ore, Roberto Luongo, direttore generale ICE, Lorenzo Terzi, capo unità “Affari internazionali bilaterali” DG SANCO, Commissione europea, Enrico Pazzali, amministratore delegato di Fiere Milano.

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delle carni e dei prodotti a base di carne è particolarmente regolamentato. Molto spesso i Governi di Paesi Terzi utilizzano le misure veterinarie per introdurre barriere commerciali. Sempre in quest’ambito, abbiamo malauguratamente in Italia alcune regioni in cui il livello di sicurezza veterinaria non è all’altezza di quelle ad alta vocazione e di quelle dei nostri partner comunitari. Questo crea confusione in chi ci guarda da lontano e deve acquistare i nostri prodotti; inoltre, fornisce argomentazioni per impedire l’export dei nostri salumi e della carne fresca. Parola d’ordine: semplificazione burocratica Nonostante il successo della recente apertura degli USA, risulta oggi ancora impossibile esportare verso importanti Paesi extra-UE i salumi a media-breve stagionatura (salami, pancette, coppe, ecc…), la bresaola, la carne suina e gli altri prodotti freschi. Le perdite per la filiera dovute a queste barriere si possono prudenzialmente stimare in circa 250 milioni di euro all’anno di mancate esportazioni. Per fare qualche esempio, la Danimarca esporta ogni anno carne e altri prodotti freschi per oltre 1,2 miliardi di euro. La Spagna per oltre 500 milioni di euro. L’Austria, che ha meno della metà del nostro patrimonio suinicolo, esporta carne fresca per oltre 125 milioni di euro. L’Italia ha esportato solo 70 milioni di euro, 1 diciassettesimo della Danimarca (cioè il 5,89% rispetto ai Danesi) e 1 settimo della Spagna (14,2%), poco più della metà dell’Austria. Con l’abituale energia e vigore che la contraddistingue, la presidente ASS.I.CA., nel dare il benvenuto ai partecipanti e ai relatori dell’assemblea, ha subito centrato il punto. «La madre delle riforme è la semplificazione burocratica e noi ne abbiamo un assoluto bisogno! Il difficilissimo 2012 che abbiamo alle spalle e i primi preoccupanti dati del 2013, confermano che il futuro del settore passa necessariamente dalla capacità di crescere all’estero, in particolare sui mercati extra-UE. Agire rapidamente è fondamentale, perché il tempo non è una

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ASS.I.CA., Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi è l’organizzazione nazionale di categoria che, nell’ambito della Confindustria, rappresenta le imprese di macellazione e trasformazione delle carni suine. Nel quadro delle proprie finalità istituzionali, l’attività di ASS.I.CA. copre diversi ambiti, tra cui la definizione di una politica economica settoriale, l’informazione e il servizio di assistenza ai circa 180 associati in campo economico/commerciale, sanitario, tecnico normativo, legale e sindacale. Competenza, attitudine collaborativa e affidabilità professionale sono garantite da collaboratori specializzati e supportate dalla partecipazione a diverse organizzazioni associative, sia a livello nazionale che comunitario. Infatti, sin dalla sua costituzione, nel 1946, ASS.I.CA. si è sempre contraddistinta per il forte spirito associativo come testimonia la sua qualità di socio di Confindustria, a cui ha voluto aderire sin dalla nascita, di Federalimentare, Federazione italiana delle Industrie Alimentari, di cui è socio fondatore, del Clitravi, Federazione europea che raggruppa le Associazioni nazionali delle industrie di trasformazione della carne, che ha contribuito a fondare nel 1957. >> Link: www.assica.it

variabile indipendente: mentre le nostre aziende attendono i necessari provvedimenti i concorrenti europei e internazionali guadagnano posizioni difficilmente recuperabili in futuro» ha sottolineato Lisa Ferrarini. Dopo aver esposto le sei priorità che richiedono azioni necessarie per rilanciare le esportazioni di un settore chiave del made in Italy (si veda box nelle pagine seguenti)la parola è passata a un parterre di relatori invitati a dare visibilità su progetti e lavori in corso, dall’organizzazione di EXPO 2015, all’analisi di CONFINDUSTRIA, dalle politiche del Ministero dello Sviluppo Economico e del MIPAAF, al ruolo dell’ICE. Diana Bracco e l’EXPO 2015 La presidente di EXPO Spa e commissario generale di Sezione Padiglione Italia, DIANA BRACCO, ha illustrato ai presenti il progetto che darà impulso all’occupazione e all’economia italiana. «Questo potrebbe essere il primo evento di sviluppo dopo la grande crisi» ha affermato la Bracco sottolineando il ruolo di EXPO 2015 come un vero attrattore turistico. «Il Padiglione Italia sarà una straordinaria vetrina soprattutto per i piccoli produttori» ha poi proseguito al Bracco, ricordando che le aziende associate ad ASS.I.CA. mantengono standard elevati di fatturato, produzione ed export.

In termini di investimenti esteri legati all’evento si stimano 1 miliardo e 300 milioni di euro. Sul fronte visitatori ci si attende — visti permettendo — 1 milione di cinesi in arrivo in Italia. La Cina avrà, infatti, il secondo padiglione più grande, dopo l’Italia». “Expo Milano 2015 – Nutrire il Pianeta. Energia per la Vita” si propone come vivaio di idee e innovazioni e contenitore per esperire talento e creatività giovanile. A ciò si aggiunga anche il ruolo di fucina di eventi nel corso dei 184 giorni di esposizione (per aggiornamenti, iscrizioni a newsletter e ai canali social: www. expo2015.org). Luca Paolazzi: da Confindustria l’analisi delle filiere BBF «A metà 2013 la manifattura italiana si presenta in condizioni molto critiche. Le due violente recessioni hanno determinato una caduta così profonda e prolungata dei livelli di attività da mettere a repentaglio decine di migliaia di imprese» ha dichiarato LUCA PAOLAZZI, direttore del Centro Studi Confindustria (CSC). «Se nel primo trimestre dell’anno in corso il PIL era inferiore dell’8,6% al picco pre-crisi, la produzione industriale era quasi del 25% al di sotto, con diversi settori che registrano flessioni superiori, spesso di molto» ha aggiunto. L’innesco delle due recessioni è stato diverso: caduta dell’export nella

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prima, crollo della domanda interna nella seconda, quando le vendite all’estero sono tornate a espandersi. Così, i comparti con una maggiore vocazione alle esportazioni hanno risentito meno, ma comunque in misura significativa, degli effetti del più recente cedimento della domanda finale domestica. Il CSC ha calcolato che la crisi ha già causato la distruzione di oltre il 15% del potenziale manifatturiero italiano, con una punta del 40% negli autoveicoli e cali di almeno un quinto in 14 settori su 22. In Germania, invece, il potenziale è salito (+2,2%), anche se con alta varianza settoriale. In condizioni analoghe a quelle italiane versano le industrie francesi e spagnole. «Ciò nonostante, nel nuovo mondo industriale a prezzi e cambi correnti l’Italia mantiene ancora la settima posizione nella graduatoria globale dell’output industriale, seconda in Europa alla sola Germania». Ma perché concentrare gli sforzi sul manifatturiero? «Perché il mag-

gior peso del manifatturiero genera maggiore crescita dell’intero sistema economico. È il motore dello sviluppo grazie al maggiore dinamismo della sua produttività, per cui lo spostamento di risorse verso l’industria innalza la dinamica generale della produttività e quindi di tutta l’economia» ha sottolineato Paolazzi. Il prodotto denominato BBF (acronimo di Bello e Ben Fatto), una commistione tra industria e artigianato made in Italy nel quale rientrano prodotti agroalimentari, fashion, design e molto altro, ha oggi grandi opportunità di sviluppo nei mercati emergenti. «Riflettendo trasformazioni sociali come l’urbanizzazione, l’emancipazione femminile, l’educazione, questi nuovi mercati si aprono all’importazione di BBF dai Paesi industrializzati». Nel settore agroalimentare il focus è tutto su Cina, Russia, Messico e Vietnam. «Per l’Italia — ha infine concluso il direttore di CSC — i nuovi mercati varranno 2,3 miliardi nel 2018».

Carlo Calenda, il Ministero dello Sviluppo economico al lavoro su più tavoli Il viceministro dello Sviluppo economico CARLO CALENDA, in rappresentanza del Governo, ha preso la parola per fare il punto sulle barriere tecniche del libero scambio (vedi Russia o Brasile) che oggi compromettono il futuro del WTO. Le prospettive delineate da Calenda sono quelle di accordi bilaterali di libero scambio. «Con questi accordi l’Italia è il Paese che si avvantaggerebbe di più» ha poi precisato il viceministro, aggiungendo che i benefici in termini di incremento percentuale per l’export si stimano intorno a un +8%. Calenda, con un passato professionale in grandi gruppi come Ferrari, Sky e Interporto Campano, ha ricordato che l’identità di un Paese è rappresentata da due concetti: cultura + industria. Ribadendo la necessità di sconfiggere quella ideologia del “mondo piatto” che l’Occidente ha messo in atto negli anni passati, il viceministro ha

Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, e Lisa Ferrarini, presidente di ASS.I.CA.

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Export prodotti alimentari: le 6 priorità di Lisa Ferrarini 1. Eliminare ogni pretesto per le barriere non tariffarie Molto spesso i Governi di Paesi Terzi utilizzano le misure veterinarie per introdurre barriere commerciali. In questo contesto abbiamo purtroppo in Italia alcune Regioni (Calabria, Campania e Sardegna), in cui il livello di sicurezza veterinaria non è all’altezza di quello delle aree ad alta vocazione e dei nostri partner comunitari. Questo crea confusione in chi ci guarda da lontano e deve acquistare i nostri prodotti. Nel settore dei salumi e della carne suina, le perdite commerciali dovute alle barriere veterinarie e tariffarie esistenti si possono prudenzialmente stimare in 250 milioni di euro. Una cifra che potrebbe essere realizzata già dal primo anno di liberalizzazione degli scambi. Non è più tollerabile che alcuni produttori di queste Regioni, che sommate rappresentano il 4% della suinicoltura italiana, blocchino di fatto lo sviluppo di un intero settore. I Ministeri competenti, a partire da quello della Salute, si stanno impegnando da anni. Ma oggi questa deve diventare una priorità di primo livello sia per lo Stato centrale sia per le Regioni coinvolte. Non è più accettabile alcuna tolleranza verso gli operatori che lucrano sugli indennizzi pubblici, creando danni al Paese. 2. Concludere accordi di libero scambio (eliminare i dazi) Il nostro Paese è deficitario di materie prime, ma ha una grande industria di trasformazione che esporta in tutto il mondo. Tra un anno, l’Italia sarà di nuovo alla presidenza di turno dell’UE, dove si stanno discutendo importanti accordi bilaterali di libero scambio con le principali economie mondiali, a partire dagli USA. Con lo stallo dei negoziati multilaterali di Doha, infatti, l’approccio bilaterale appare oggi come l’unico perseguibile. Dobbiamo essere in prima fila per liberalizzare i mercati internazionali, senza cadere in tentazioni protezionistiche. Le autorità italiane e comunitarie devono necessariamente lavorare fianco a fianco, in quanto complementari, per ottenere i risultati auspicati. 3. Creare una cabina di regia per l’export Il supporto all’esportazione e l’azione per il superamento delle barriere tariffarie e non tariffarie dovrebbe avvenire con una gestione integrata delle competenze dei diversi Ministeri (Ministero degli Esteri, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero della Salute, Agenzia ICE, Camere di Commercio, ecc…) attraverso una cabina di regia, presso la Presidenza del Consiglio, effettiva ed efficace. Un’azione di questo tipo, che non si riduca all’ennesimo “tavolo” di coordinamento formale, permetterebbe una maggiore capacità del nostro Paese di far valere le proprie esigenze nelle trattative bilaterali e, soprattutto, multilaterali. In questo modo, si ridurrebbe il vero e proprio “spread strategico” tra le nostre possibilità esortative e quelle, ben superiori, dei Paesi del Nord Europa. 4. Coordinare le azioni di promozione, dall’ICE alle Fiere Quanto spende l’Italia per la promozione internazionale dei propri prodotti? Conosciamo il budget (troppo limitato) dell’ICE. Ma quanto spendono Regioni, Province, Camere di Commercio, Ministeri? Forse il problema in Italia non è solo “quanto” ma anche “come” spendiamo i soldi. Dando una coerenza strategica ai mille rivoli della nostra spesa potremmo ottenere, con gli stessi soldi, un’efficacia maggiore. Allo stesso modo, occorre superare i provincialismi fieristici che caratterizzano l’Italia. Servono al Paese poche, grandi fiere capaci di proiettare nel mondo il “Sistema Italia”, aggregando interi comparti, dai macchinari alle materie prime, fino ai prodotti finiti. 5. Strutturare linee di credito adeguate per le imprese che esportano Occorre offrire alle imprese che esportano finanziamenti e coperture assicurative a tassi competitivi. Il target a cui tendere, dal punto di vista finanziario, è quello della Banca Pubblica Tedesca KFW-Ipex Bang, l’Export Bank di Berlino (costola della loro CDP), che eroga importi annui nell’ordine dei 60 miliardi di euro. 6. Qualificare la nostra presenza all’estero: dai desk anticontraffazione all’addetto commerciale agroalimentare Sull’esempio di quanto già fatto da altri Paesi come gli USA e il Regno Unito, riteniamo d’importanza strategica la creazione, presso alcune Ambasciate italiane in Paesi chiave, della figura di addetto commerciale agroalimentare che abbia competenza su macro aree geografiche. Lo scopo è quello di favorire i negoziati per l’ingresso nei principali mercati dei prodotti agroalimentari e presidiare la penetrazione commerciale e l’attuazione degli accordi sanitari. Poiché i prodotti italiani sono tra i più imitati, tra le misure più urgenti c’è il ripristino dei “Desk anticontraffazione” all’estero, almeno nei Paesi dove il fenomeno è maggiormente lesivo. È necessario, inoltre, ampliare i loro poteri e la gamma dei servizi offerti alle imprese, nonché affidarli a personale altamente qualificato.

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rinnovato la disponibilità a lavorare con gli operatori del settore carni e salumi per promuovere l’apertura di nuovi mercati e favorire il commercio internazionale. Romano Marabelli e le problematiche sanitarie Chiamato indirettamente in causa dalla presidente Ferrarini, che nel corso del suo intervento di apertura aveva ricordato il problema della

peste suina africana che continua a tenere sotto scacco la Sardegna, e indirettamente tutta l’Italia, il capo Dipartimento Sanità del Ministero della Salute ROMANO MARABELLI ha detto che «i problemi che abbiamo oggi sul tavolo sono tutti di carattere strutturale». Il ministero deve fare i conti con la necessità di implementare un modello di sviluppo e ha ricordato che occorre risolvere un problema di costi sui controlli.

Le altre personalità presenti L’assemblea ASS.I.CA. ha ospitato anche RICCARDO MONTI, presidente dell’ICE, L ORENZO T ERZI , capo unità “Affari internazionali bilaterali” DG SANCO, presso la Commissione Europea, G IORGIO SQUINZI, presidente di Confindustria, MAURIZIO MARTINA, sottosegretario di Stato del MIPAAF e ENRICO PAZZALI, amministratore delegato di Fiere Milano.

Al via le iscrizioni per il corso da export manager dei prodotti alimentari «L’export del made in Italy va sostenuto da una crescente professionalità. La provincia di Treviso in questi anni ha abbondantemente dimostrato le proprie capacità di esplorare, dialogare e costruire rapporti commerciali con il mondo. Per questo il nuovo corso biennale alla Fondazione Cerletti di Conegliano è una vera opportunità per i nostri diplomati al fine di avvicinarli alle dinamiche del mondo del lavoro». Enzo Bottos, direttore di COLDIRETTI Treviso, sostiene e rilancia il nuovo corso per “Export manager dei prodotti alimentari” organizzato alla scuola enologica di Conegliano dall’Istituto Tecnico superiore del comparto agroalimentare e vitivinicolo. COLDIRETTI Treviso sta comunicando questa opportunità attraverso presentazioni sul territorio e comunicazioni mirate alle aziende, al fine di promuovere questo nuovo itinerario didattico che preparerà i futuri professionisti del settore agroalimentare. Come detto il percorso di studi ha durata biennale (circa 2.000 ore) con stage in aziende del settore. Almeno metà delle ore di lezione saranno curate da esperti provenienti dal mondo del lavoro con specifiche competenze. Il diploma sarà spendibile nei Paesi UE e costituirà titolo per l’accesso ai pubblici concorsi. Possono accedere al corso i diplomati di scuola secondaria superiore. Le iscrizioni sono aperte (minimo di 20 e massimo di 25 unità). Ci sarà una prova di ingresso. Il costo è di € 300 annui. Sono previsti contributi per i partecipanti. Le informazioni sono disponibili all’indirizzo www.itsagroalimentareveneto.wordpress.com oppure telefonando alla segreteria ITS al numero 0438 61421.

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Indagini

I salumi nella dieta equilibrata Le eccellenze Dop e Igp protagoniste al XVII Congresso nazionale della Società italiana di Scienza dell’Alimentazione. Meno grassi saturi, più proteine e micronutrienti fanno di un caposaldo della gastronomia italiana un prodotto genuino e adatto a tutti

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uanti di noi sanno che oggi i salumi italiani, oltre a essere un’eccellenza gastronomica nostrana riconosciuta in tutto il mondo, sono anche validi alleati di una dieta equilibrata? In un contesto in cui le esigenze alimentari sono in continua evoluzione, i salumi italiani — di cui ben 37 hanno ricevuto il riconoscimento di tutela DOP e IGP dell’Unione Europea a sigillo della qualità e della tradizione di cui sono portavoce — possono vantare un importante miglioramento nei

valori nutrizionali. È quanto emerso da un’indagine promossa da ISIT (Istituto Salumi Italiani Tutelati) e IVSI (Istituto Valorizzazione Salumi Italiani) e certificata da INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione) — ora CRA (Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura) — e SSICA (Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari). Non è quindi un caso se l’Istituto Salumi Italiani Tutelati, da tempo impegnato in un percorso mirato a promuovere la salu-

te e il benessere a partire dalla tavola, ha partecipato al XVII Congresso nazionale della Società italiana di Scienza dell’Alimentazione svoltosi il 21 e il 22 giugno scorsi a Roma. Meno grassi, più proteine e micronutrienti Rispetto alla precedente indagine, condotta nel 1993, la più recente (2010) ha dimostrato come nell’ultimo ventennio il contenuto lipidico totale nei salumi sia diminuito, in alcuni casi, fino al 50%. Riduzioni

Nell’ultimo ventennio il contenuto lipidico totale dei salumi è diminuito, in alcuni casi, fino al 50%, e questo ha portato a un miglior equilibrio tra il contenuto di acidi grassi saturi e insaturi.

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L’Istituto Salumi Italiani Tutelati (ISIT) svolge un coordinamento a livello strategico e operativo fra i Consorzi di tutela delle DOP e IGP del comparto salumi, vantando una solida rappresentatività nel comparto delle produzioni tipiche; supporta, inoltre, le produzioni tutelate che non hanno ancora un proprio organismo di rappresentanza. >> Link: www.salumi-italiani.it

sensibili, anche del 40%, sono state riscontrate nelle componenti dei grassi saturi e del sale. Inverso, invece, il trend seguito dai grassi insaturi, responsabili della riduzione del colesterolo LDL nel sangue. Questa diminuzione del contenuto lipidico ha portato anche a un miglior equilibrio tra il contenuto di acidi grassi saturi e insaturi. A fronte del notevole calo della componente lipidica, è stato registrato un aumento delle proteine nei salumi italiani fino al 23%. Dato che le proteine, per ogni grammo assunto, forniscono meno chilocalorie rispetto ai grassi (4 contro 9), si è ottenuta, di conseguenza, una riduzione dell’apporto calorico dei salumi che in alcuni casi supera il 30%. Più completo, rispetto al passato, è risultato anche il profilo dei micronutrienti. Se l’apporto di vitamine B1, B2 e B3 (tiamina, riboflavina e niacina), coinvolte in moltissimi processi cellulari, era già noto, la nuova analisi ha rilevato una presenza significativa di vitamina B6 (piridossina), che si lega a numerosi enzimi del metabolismo dei composti azotati. Inoltre, l’attuale dieta del suino, alla base del cambiamento nel profilo nutrizionale della carne, ha permesso di ottenere tagli contenenti piccole quantità di vitamina E, un antiossidante naturale coinvolto nei meccanismi di mantenimento dell’integrità cellulare. L’ora dei salumi «I salumi italiani, se abbinati a una fonte di carboidrati, frutta e verdura, rappresentano una buona alternativa per un pasto veloce ed equilibrato, ideale per chi ne consuma almeno uno al

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Il Consorzio di Tutela del Prosciutto Igp di Norcia entra a far parte della squadra dell’Istituto dei Salumi Italiani Tutelati L’Istituto Salumi Italiani Tutelati (ISIT) ha accolto la domanda di ammissione presentata dal “Consorzio di Tutela del Prosciutto IGP di Norcia”. L’ingresso di questo nuovo Consorzio è avvenuto ufficialmente nel corso dell’ultima edizione di TuttoFood, dove ISIT era presente con un suo stand per promuovere ed incrementare la visibilità dei salumi italiani tutelati. «È sempre una grande soddisfazione, come presidente di ISIT — ha affermato Nicola Levoni — accogliere un nuovo Consorzio nel nostro Istituto. Ciò permette di essere sempre più rappresentativi nel comparto della salumeria DOP e IGP, di creare importanti sinergie ed operare per il raggiungimento di obiettivi comuni anche nei confronti delle Istituzioni. Inoltre, l’ingresso del Consorzio di Tutela del Prosciutto IGP di Norcia permette a ISIT di rafforzare ulteriormente la rappresentatività sul territorio».

giorno lontano da casa», spiega MONICA GIROLI, nutrizionista specializzata in prevenzione dell’aterosclerosi del Centro cardiologico Monzino IRCCS di Milano e consulente scientifico della pubblicazione. In questo modo è assicurato l’apporto di tutti i nutrienti necessari a garantire un pasto leggero e completo. Ad esempio, un panino con mortadella, pomodoro e lattuga, abbinato a un frutto, apporta circa 400 chilocalorie e rispetta il bilanciamento nutrizionale indicato dalla dieta mediterranea. «Diversi studi dimostrano come un consumo quotidiano in quantità moderate renda la dieta più completa ed equilibrata rispetto a quella vegetariana». L’impiego dei prodotti DOP e IGP è stato rivalutato anche nel contesto della ristorazione collettiva, a dimostrazione di un trend alimen-

tare che valorizza la qualità delle materie prime nel rispetto dei valori socio-culturali della popolazione. Nella ristorazione scolastica i salumi italiani costituiscono un ingrediente con cui condire un primo piatto, o una valida alternativa al secondo, e contribuiscono a elaborare ricette sane e appetitose. I salumi sono anche utili nella ristorazione assistenziale, poiché la dieta deve essere considerata parte integrante della terapia. In una fase della vita in cui il paziente necessita di un’alimentazione adeguata per favorire la guarigione ed evitare il rischio di ricadute, i salumi italiani DOP e IGP, grazie alla loro appetibilità, digeribilità e masticabilità, possono favorire una corretta alimentazione e rappresentano un’alternativa facilmente attuabile anche a casa.

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Bresaola e salame di bufalo: la Sicilia presenta i prodotti della filiera bufalina di Vincenzo Chiofalo e Alberto Ferrante

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ontinua ad aumentare il consenso da parte dei consumatori nei confronti di prodotti derivati dalla carne di bufalo allevato in Sicilia. Tutto nasce e si sviluppa grazie ad un progetto di ricerca, conclusosi nel 2010, dal titolo “Qualità e tracciabilità della carne di bufalo”, promosso dall’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Sicilia e realizzato dal Consorzio di Ricerca Filiera Carni, che ha avuto come obiettivo la caratterizzazione e la valorizzazione qualitativa di carne e derivati della filiera bufalina. La presenza di questa specie in alcune realtà allevatoriali siciliane, le più importanti quelle delle province di Enna e di Ragusa, è ormai consolidata e rappresenta un’importante valenza economica nel comparto zootecnico regionale. In Sicilia, rilevazioni della Banca Dati Nazionale dell’Istituto Zooprofilat tico Sperimentale di Teramo al 31 agosto 2012, riportano un numero complessivo di soggetti pari a 1.256 unità, allevati nelle province di Enna, Ragusa e, a seguire per la loro entità, Palermo, Caltanissetta, Agrigento e Siracusa. I risultati raggiunti grazie all’attività di ricerca del suddetto progetto, grazie al quale sono state messe in evidenza le pregevoli caratteristiche nutrizionali di questa carne, hanno permesso di definire anche nuove strategie d’intervento, spaziando dalla messa a punto di piani nutrizionali meno costosi per l’allevatore, sino alla messa in opera di nuove tecnologie di produzione e lavorazione delle carni, che hanno consentito di ottenere il miglioramento delle caratteristiche

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nutrizionali dei prodotti trasformati quali bresaole e salami. Ecco che allora il suggerimento di una razione alimentare più adatta, caratterizzata da corretta fibrosità, per quegli animali, in particolare gli annutoli, allevati per la produzione di carne, ha rappresentato una valida alternativa rispetto a diete ad elevato tenore energetico estremamente onerose. Inoltre, l’implementazione di nuovi protocolli tecnici, atti a migliorare le caratteristiche nutrizionali di alcuni derivati quali ad esempio il salame, ha fornito nuove conoscenze sulle caratteristiche fisiche, chimiche e nutrizionali di tale prodotto. Ad esempio, l’utilizzo del grasso del suino Nero Siciliano, una razza autoctona allevata outdoor e alimentata con ghiande e pascolo, ha portato a un aumento, nel prodotto finito, degli acidi grassi insaturi apportatori di benefici alla salute del consumatore, con una significativa riduzione degli indici aterogenico e trombogenico. Oggi, nella sola realtà ennese, in cui è presente l’azienda Società Cooperativa Agricola “La Bufala” Srl di Nicosia, la produzione mensile di salame di bufalo ammonta ad oltre 500 kg, commercializzato presso i punti vendita della provincia e nell’immancabile appuntamento del “Mercato del contadino”, che si tiene a Palermo e a Catania, ad un prezzo più che competitivo se paragonato con le altre tipologie di salame presenti sul mercato (14 €/kg). A coronare il successo del “salame di bufalo”, quale new entry nel già nell’importante scenario agroalimentare siciliano, è stata

La presenza della specie bufalina in diverse realtà allevatoriali siciliane è da tempo consolidata. la sua presentazione all’edizione 2011 di TuttoFood, nota rassegna inter nazionale milanese, durante la quale si è svolto il 10º CISETA – Congresso Italiano di Scienza e Tecnologia degli Alimenti. È stato questo il contesto in cui il Consorzio di Ricerca Filiera Carni, in collaborazione con l’Università di Messina e la Sezione di Zootecnia dell’ex Dipartimento di Morfologia, Biochimica, Fisiologia e Produzioni Animali della Facoltà di Medicina Veterinaria di Messina, oggi Dipartimento di Scienze Veterinarie, ha presentato uno studio riguardante le “Nuove tecnologie per il miglioramento degli aspetti nutrizionali del salame di bufalo – Influenza del grasso di suino Nero Siciliano sulla composizione acidica”, suscitando grande interesse tra studiosi ed esperti nel settore alimentare.

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Tabella 1 – Comparazione delle caratteristiche chimiche di due tipologie di salame di bufalo prodotto in Sicilia con altri comunemente prodotti a livello regionale e nazionale (g/100 g di prodotto) Bufalo con grasso di suino nazionale *

Bufalo con grasso di suino Nero Siciliano *

S. Angelo IGP *

Milano **

Napoli **

Ungherese **

Umidità

39,79

37,60

35,97

35

39

36

Proteine

30,16

31,49

32,02

26

26

24

Lipidi

24,15

22,05

23,03

31

27

34

Cloruro di sodio

3,03

3,37

3,91

4

4

4

Parametro

Fonte: * Consorzio di Ricerca Filiera Carni

** Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN)

Tabella 2 – Comparazione delle caratteristiche chimiche e nutrizionali della bresaola di bufalo prodotta in Sicilia con la comune bresaola bovina (g/100 g di prodotto) Parametro

Bresaola di bufalo *

Bresaola di bovino **

Umidità

48

60

Proteine

36

32

Lipidi

3

3

Colesterolo

40

67

Fonte: * Consorzio di Ricerca Filiera Carni ** Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN) Di non meno rilevante interesse è stata anche la messa a punto di un protocollo sperimentale per la produzione della bresaola di bufalo, ambizioso e innovativo progetto realizzato anche grazie alla consulenza del dott. CARLO DIAFERIA, esperto della SSICA (Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Ali-

Stagionatura salumi di bufalo.

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mentari) di Parma, di supporto ai fini della formulazione della concia utilizzata per la preparazione del prodotto, della corretta programmazione dei tempi di stagionatura e delle analisi microbiologiche sui prodotti trasformati. Per la produzione delle bresaole vengono prevalentemente utilizzati gli annutoli, di età inferiore ai 24 mesi, impiegando i tagli più pregiati della coscia, quali fesa, sottofesa, punta d’anca, magatello e sottosso. Al termine del processo di lavorazione, il prodotto ottenuto, rientrante nella categoria dei salumi crudi stagionati, risulta essere di consistenza soda leggermente elastica e al taglio la fetta si presenta compatta, priva di fenditure, di un colorito rosso scuro. L’odore delicato e il sapore leggermente speziato con un aroma fragrante è strettamente relazionabile al giusto periodo di stagionatura. I risultati ottenuti nella produzione di bresaola hanno portato a riconoscere un prodotto innovativo, in linea con le moderne esigenze

del consumatore. La bresaola di bufalo prodotta e commercializzata in Sicilia evidenzia un regolare processo di stagionatura, dimostrando un buon livello di disidratazione. Dall’indagine sperimentale anche le caratteristiche attribuite al grado di tenerezza risultano essere simili a quelle riscontrate nella comune bresaola bovina, requisito che soddisfa la richiesta dei consumatori sempre più attenti alla qualità e alla particolarità insita nel prodotto stesso. Questo processo di caratterizzazione e valorizzazione dei prodotti carnei freschi e trasformati a livello di filiera vede ad oggi impegnato il Consorzio di Ricerca Filiera Carni nella realizzazione di un Disciplinare di rintracciabilità basato sulla norma ISO 22005, definendo in tal modo le Linee guida per chi vuole intraprendere l’allevamento e la successiva trasformazione per la produzione di carne e/o derivati. Interessante a tal proposito sarebbe anche l’avvio di un processo di certificazione islamica, meglio conosciuta come certificazione Halal, sia della carne che della bresaola, in quanto trattasi di prodotti privi di carne suina. Infine, non meno importante deve essere l’attività di sostegno e promozione da parte degli enti pubblici del territorio, per un prodotto che è ancora lontano dall’essere conosciuto e apprezzato dal consumatore. Prof. Vincenzo Chiofalo Dott. Alberto Ferrante Dipartimento di Scienze Veterinarie Università degli Studi di Messina Consorzio di Ricerca Filiera Carni Sicilia

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Rassegne Grande successo della salumeria italiana a New York

America stiamo arrivando! Massiccia presenza di aziende italiane al Summer Fancy Food Show, l’appuntamento estivo dell’agroalimentare con i buyer statunitensi

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i sono due appuntamenti da non mancare quando si decide di puntare al mercato statunitense: uno è a gennaio a San Francisco, in California, e l’altro nel mese di luglio a New York. Entrambi, organizzati da Specialty Food Association, sono battezzati Fancy Food Show, rispettivamente Winter e Summer, come se stessimo parlando di una sfilata di moda. E comunque il paragone con l’industria modaiola tiene, dato che entrambi gli eventi sono un défilé dei prodotti

agroalimentari più interessanti e gourmet per lo sterminato mercato USA. Reduci dall’edizione estiva, svoltasi dal 30 giugno al 2 luglio all’interno del Jacob K. Javits Convention Center della Grande Mela, gli operatori italiani sono rientrati con parecchi contatti commerciali. La manifestazione ha registrato il tutto esaurito negli spazi espositivi che hanno catalizzato oltre 40.000 visitatori (provenienti da 80 Paesi) di cui 24.000 sono top buyer dei settori retail e ristorazione del mercato statu-

nitense. Questa è stata l’edizione che ha battuto tutti i record: dai 354.000 metri quadrati di spazio occupato, a 180.000 prodotti e bevande esposti nel corso della tre-giorni di fiera, a 1.500 espositori d cui mille provenienti dall’estero, tra cui Bulgaria, Svizzera, Sri Lanka e Indonesia. L’Italia ha registrato la presenza internazionale più ampia con piccoli e grandi produttori impegnati nella promozione delle eccellenze agroalimentari e vinicole del Belpaese, seguiti da Turchia, Francia e Spagna.

Lo stand del produttore artigianale di salumi Cristiano Creminelli al Summer Fancy Food. Nel 2006 Creminelli ha fondato Fine Meats America a Salt Lake City con l’obiettivo di offrire agli Americani prodotti tipici dell’arte norcina italiana, dai salami, al tartufo, piccanti o di cinghiale, ai prosciutti cotti e crudi.

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Stand di prodotti di salumeria al Fancy Food. La manifestazione è stata l’occasione per presentare al mercato americano la novità relativa all’esportazione dei salumi a breve stagionatura dall’Italia. Abbiamo contato oltre 300 espositori italiani, tra produttori di Aceto Balsamico di Modena, Consorzi di Tutela (Grana Padano, Montasio, Parmigiano Reggiano e Pecorino Romano oltre Prosciutto di Parma e San Daniele), pastifici, caseifici, e produttori di dolci e pasticceria. Authentic Italian salumi Dopo le precedenti partecipazioni nel 2005, alle edizioni di San Francisco e New York, per ASS.I.CA., l’Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi, e IVSI-Istituto Valorizzazione Salumi Italiani si tratta della terza presenza al Fancy Food. Per questa edizione, l’Agenzia ICE (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione) ha predisposto un corner all’interno del proprio stand, in cui sono state organizzate degustazioni guidate di salumi — comprese alcune novità legate all’ultima liberalizzazione — e distribuito del materiale informativo agli operatori interessati ai prodotti di salumeria. I salumi importati per l’occasione (diversi tipi di salame) — oltre ai prodotti già da tempo presenti negli USA (prosciutto crudo stagionato, prosciutto cotto, mortadella) — hanno riscosso un grande successo presso i frequenta-

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tori degli stand newyorkesi. Molti visitatori e espositori hanno potuto assaggiare gli authentic Italian salumi evidenziando sempre un grande apprezzamento per i prodotti in degustazione. I numerosi importatori di origine italiana, storici operatori della zona di New York, sono entusiasti di poter offrire la gamma completa dei prodotti della salumeria italiana e i

distributori locali hanno a loro volta manifestato l’assoluto interesse verso questi prodotti. Prossimo appuntamento con la 60a edizione del Summer Fancy Food Show a New York dal 29 giugno al 1 luglio 2014. Nota Photo©www.specialtyfood.com/fancyfood-show/summer-fancy-food-show

I prodotti Beppino Occelli protagonisti a New York! Il 28 giugno scorso ad Eataly New York Tuma del Trifulau®, Tuma dla Paja®, Verzin®, Robiola Mondovì Occelli®, Occelli® al Malto d’Orzo e Whisky, Occelli® in foglie di castagno e burro Occelli®, selezionati per dare continuità alla vendita regolare nello spazio di Eataly New York, sono state le specialità più apprezzate dai consumatori americani che hanno partecipato ad una degustazione ad hoc che ha destato molta curiosità ed interesse. In particolare, ha riscosso un successo inaspettato l’Occelli® in foglie di castagno abbinato alle birre artigianali che hanno esaltato il sapore del formaggio. I clienti hanno avuto così modo di conoscere al meglio i prodotti, esplorandone le possibilità di abbinamento e di utilizzo in cucina. La degustazione di burro di panna fresca e formaggi Occelli è proseguita sempre con eccellenti risultati anche al Fancy Food.

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Torna Cheese. Appuntamento a Bra dal 20 al 23 settembre

Cheese, la manifestazione dedicata alle forme del latte e al mondo dei formaggi, approda a Bra per la sua nona edizione, colorando le strade e le piazze della cittadina piemontese dal 20 al 23 settembre prossimi. Come di consueto, l’evento organizzato da Città di Bra e Slow Food Italia con la partecipazione del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali apre le porte a centinaia di casari, pastori, affinatori e produttori pronti a confrontarsi e presentare le loro prelibatezze. Il tema di Cheese 2013 è l’Arca del Gusto, il progetto della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus che cataloga i prodotti simbolo delle tradizioni, della cultura e della storia dei cinque continenti. Segnalandone l’esistenza, ognuno di noi può contribuire alla loro salvaguardia, evitando così che scompaiano. Ecco quindi che Cheese lancia l’iniziativa “Salva un formaggio!”, chiedendo a tutti di portare a Bra il prodotto caseario ritenuto meritevole di salire sull’Arca. Ospiti della manifestazione, le isole britanniche con i loro formaggi artigianali, creati recuperando antiche tecniche di produzione e restituendo i sapori autentici del territorio. Originali Laboratori del Gusto puntano i riflettori sui new old cheeses, mentre nell’Appuntamento a Tavola diretto dallo chef JEREMY LEE di Londra, sbarca in Langa la migliore cucina britannica. È nel Mercato dei Formaggi che rivive la rete internazionale dei produttori italiani e stranieri e in cui si possono gustare leccornie da tutto il mondo, osservando come vivono i casari e cosa si nasconde dietro ogni forma. Non può mancare l’ormai tradizionale Via degli Affinatori, una vera e propria galleria in cui capire come questi artigiani trasformano i formaggi, arricchendoli con il loro tocco, che dona caratteri aromatici e sfumature inconfondibili. Biodiversità protetta tra le bancarelle dei 60 Presidi Slow Food italiani e internazionali. >> Link: http://cheese.slowfood.it

“La Regina della Testa” alla sua terza edizione È stata premiata anche quest’anno dall’Academia Judices Salatii la migliore coppa di testa, un salume cotto realizzato con le carni ricavate dalla testa del suino. Per l’edizione 2013 l’associazione emiliana che raccoglie appassionati ed esperti assaggiatori e degustatori di salumi ha premiato “La Regina della Testa” nella splendida cornice di Villa Cialdini in Castelvetro (MO), messa disposizione dalla Cantina Cleto Chiarli. Primo classificato per la categoria “aziende” il Salumificio Conti Orlando e Carlo (Prato, FI). Primo classificato nella categoria per i privati il carpigiano (MO) Ivano Vicini (in foto a lato il presidente dell’Academia judices Salatii Antonio Gozzi premia Orlando Conti, titolare del Salumificio Conti). >> Link: www.academiajudicessalatii.it

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Fino a ieri mi potevi sfogliare solo nelle più belle salumerie e gastronomie.

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Formaggio

Tanto va la mucca al prato che ci lascia l’Izalina E la Provolina, il Cascina, oltre a prodotti freschi come stracchino, ricotta, casatella e yogurt. Sono oltre 40 le referenze di Cascina La Benedetta, azienda zootecnica per la produzione di formaggi a Rodengo Saiano, che vende anche carne su prenotazione e salumi di produzione propria. Tra questi la salsiccia di mucca di Massimiliano Rella

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n caseificio intorno a un’antica abbazia: Cascina La Benedetta, a Rodengo Saiano, in provincia di Brescia, è un’azienda zootecnica che produce formaggi. Di proprietà dell’ospedale civile di Brescia, un tempo apparteneva all’Abbazia Olivetana di Rodengo, poi requisita nel 1797 con l’arrivo di Napoleone. L’azienda a conduzione familiare gestisce da tre generazioni i terreni che circondano la storica costruzione. Oggi è condotta da Stefania e Giampietro Guerrini, moglie e marito, produttori di formaggio dal 2006, con l’aiuto del casaro Vittorio Torchio e di Daniele, il fratello di Giampiero. Si allevano mucche per la produzione di latte, utilizzato per fare i formaggi ma anche destinato alla vendita sia diretta che tramite alcuni distributori automatici. Circa 170 capi in tutto, vacche da latte di razza Frisona, Bruna Alpina e qualche meticcia da carne, tutte nate nelle stalle aziendali e discendenti dalle 18 manze gravide comprate nel 1987, quando cominciò l’attività di allevamento. Gli animali sono alimentati con fieno, mais e soia, coltivati in prevalenza nei terreni aziendali. Ciò consente ai Guerrini di controllare e garantire la qualità dei loro prodotti caseari. I formaggi sono infatti la produzione principale con circa 40 referenze, come l’Izalina, un for-

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maggio fresco di loro invenzione, a base di pasta filata farcita di speck e affumicata naturalmente con la paglia e con potature di vite di Franciacorta. Troviamo anche la Provolina, a pasta filata, dal gusto dolce e delicato. E tra i prodotti freschi lo stracchino, la ricotta, il primosale, la cremosa casatella, la speziatella, insaporita con spezie come la curcuma o il

peperoncino. E ancora, lo yogurt, caratterizzato da bassa acidità: bianco al naturale, è venduto sfuso nello spaccio, ma è commercializzato anche in bottigliette, in tanti gusti golosi, alla frutta, alla vaniglia, alla liquirizia, alla nocciola. Tra i formaggi più stagionati troviamo il Cascina, che è sottoposto ad un periodo minimo di stagionatura di 9 mesi, e le caciotte, mentre i tomini,

Stefania e Giampietro Guerrini, allevatori, casari e norcini, alla cascina La Benedetta di Rodengo Saiano, Brescia (photo © Massimiliano Rella).

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1) I formaggi della Cascina La Benedetta. In primo piano l’Izalina. 2) Vacche di razza Frisona nella Cascina La Benedetta. 3) Lavorazione del formaggio. 4) La salsiccia di mucca (photo © Massimiliano Rella). piccoli formaggi rotondi, si mangiano grigliati o scottati in padella. L’azienda vende anche carne, ma solo su prenotazione, quando vengono macellati gli animali che non possono più produrre il latte. Oltre ai formaggi troviamo una limitata produzione di salumi, come la salsiccia di mucca, un insaccato di carne magra di mucca e grasso di pancetta di maiale. Il grasso bovino, che irrancidisce presto e non fa le giuste fermentazioni, è sostituito da quello di maiale più adatto per i salumi da conservare. A breve si aggiungerà la bresaola fatta in casa. La produzione di carne e salumi è variabile in base al numero di ani-

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mali che si possono macellare. La lavorazione è artigianale e la vendita soltanto locale. I prezzi dei formaggi vanno dai 4 euro della ricotta ai 15,20 euro al chilo del Caronte e del Cascina. L’azienda è anche fattoria didattica e può ospitare scuole, famiglie e comitive. Si presta anche per organizzare feste e compleanni. Per i bambini è previsto un programma didattico con visita della fattoria, laboratori, ed è allestita un’area con giochi all’aperto, un giardino recintato e un portico per consumare la merenda in tutta comodità e sicurezza. Massimiliano Rella

Cascina La Benedetta Via Brescia, 91 25050 Rodengo Saiano (BS) Tel.: 338 6829925 338 1145740 E-mail: info@cascinalabenedetta.it Web: www.cascinalabenedetta.it

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Conciato di San Vittore, antica rarità laziale Questo formaggio a latte crudo con speciale conciatura di erbe aromatiche spicca tra una selezione di ben 300 particolarità nei locali di DOL-Di Origine Laziale, punto vendita che nel quartiere di Centocelle promuove la filiera corta dei prodotti regionali di Stefania Monaco

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ui si chiama Vincenzo Mancino ed è arrivato a Roma da Cancellara, Basilicata, paese in cui, in lontana epoca romana, è nata a sauzizz, il primo salame della storia. Nella capitale Vincenzo ha fondato DOL, dove quella “L” sta però non per lucano, ma per laziale. Di Origine Laziale (www.dioriginelaziale.it) oggi è un marchio che, a sette anni dalla sua creazione, vanta una selezione di circa trecento prodotti tra i quali spicca un formaggio che Vincenzo ama particolarmente. Si tratta del Conciato di San Vittore recuperato grazie anche alla memoria del suo “custode”, Teodoro Vadalà, un signore di 70 anni, nato a Reggio Calabria, che ne conosce i segreti e la ricetta probabilmente millenaria custodita tra i Monti Aurunci. «Il progetto DOL nasce grazie al Conciato. Il suo unico produttore non ce la faceva più, i figli avevano preso altre strade. Così, nel momento in cui Teodoro stava per lasciare tutto, lo ho adottato o, meglio, lui ha adottato me: ci vediamo regolarmente per produrre questo formaggio nel suo caseificio dove lavoriamo il latte che arriva da un pascolo in zona. Speriamo che diventi un presidio Slow Food». La storia di questo formaggio a latte crudo, prodotto solo nel sud del Lazio, ai confini con la Campania, la cosiddetta Terra di Lavoro, non è certificata, se non per gli ultimi 15/20 anni grazie proprio a Vadalà, ma è senza dubbio un formaggio antichissimo.

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La conciatura del formaggio avviene quando le forme sono ancora umide. La sua particolare conciatura esterna, infatti, non ha un ruolo estetico o gustativo, ma nasce dall’esigenza di conservare il prodotto quando ancora non esistevano frigoriferi: la sua è una

funzione antisettica e antibatterica ovvero far sì che i batteri all’interno della forma non prolifichino. La concia è composta da erbe aromatiche raccolte a mano in zona ed

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Teodoro Vadalà e Vincenzo Mancino durante la preparazione del Conciato di San Vittore. essiccate, coriandolo, timo serpillo, ginepro, origano, salvia, rosmarino, finocchio selvatico, maggiorana, aglio, anice stellato, alloro, pepe nero e bianco. Il latte proviene da pecore di razza Sopravissana, Camosciata, Massese che nel Lazio hanno fatto la storia della pastorizia verticale. Greggi che, in passato, si recavano sino in Abruzzo e che regalano al formaggio

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i profumi travolgenti dei pascoli, fiori di camomilla, erbe spontanee e aromatiche. «Quello con il Conciato è stato davvero un incontro mistico, un grande amore che dura da quasi dieci anni» dice Vincenzo. «Possibile che in Lazio ci siano questi prodotti mi sono chiesto un giorno dopo aver viaggiato in Francia e Spagna e non aver mai assaggiato niente del genere.

Ecco perché è molto importante la loro salvaguardia, ecco perché è nato DOL». Tra i tanti progetti scelti da DOL ne esistono alcuni sperimentali come il formaggio aromatizzato alla birra della Birreria del Borgo di Rieti. Tutti questi prodotti hanno una casa a Roma che si chiama “La Bottega del Gusto” e ha sede a Centocelle. Stefania Monaco

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Squacquerone Dop, ennesimo successo romagnolo Con l’ottenimento di questa Dop gli imprenditori emiliano-romagnoli confermano la loro leadership, se mai ce ne fosse stato bisogno, in fatto di prodotti d’eccellenza di Sebastiano Corona

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ono passati circa dieci anni da quando un gruppo di imprenditori del settore caseario, con il supporto della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa di Forlì, iniziò il lungo e irto percorso che ha portato la scorsa estate all’iscrizione dello Squacquerone di Romagna nel registro delle DOP. Così, dopo immani fatiche e tempi biblici, oggi sono ben 37 i prodotti a denominazione di origine protetta e le indicazioni geografiche protette dell’EmiliaRomagna. Se mai ce ne fosse stato bisogno, questa regione conferma la sua leadership in fatto di prodotti di qualità, ma soprattutto mostra per l’ennesima volta l’impegno degli operatori locali nell’affermazione del legame tra cibo e territorio. L’Italia delle eccellenze intanto porta a 250 i prodotti a denominazione (l’elenco completo, aggiornato a luglio 2013, lo trovate a questo indirizzo http:// www.politicheagricole.it/flex/cm/ pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2090), consolidando il suo primato in Europa, davanti a Francia e Spagna, da sempre dirette concorrenti. Chi ancora non conosce lo squacquerone rimarrà facilmente impressionato al suo assaggio, ma certamente si stupirà anche del suo interessante aspetto. Si tratta infatti un formaggio morbido, senza crosta o buccia, ottenuto esclusivamente da latte vaccino intero, che a un profumo di latte con una nota erbacea particolarmente gradevole associa un colore

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bianchissimo, quasi madreperlaceo, che invita alla degustazione. È eccellente con la piadina calda, ma ottimo gustato anche con altri tipi di pane o semplicemente da solo, al cucchiaio. Viene prodotto in diverse province emiliano-romagnole. Dell’areale di produzione fanno parte Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini, Bologna e parte del territorio della provincia di Ferrara. Le razze bovine interessate alla produzione di questa specialità sono la Frisona italiana, la Bruna alpina e la Romagnola. Tra le caratteristiche principali presentate dal prodotto, oltre alla mancanza di nervo, vi sono le tecniche di produzione, rimaste quasi immutate nel tempo, che prevedono

modalità di lavorazione diverse da stagione a stagione, a seconda del clima. I tempi di lavorazione sono infatti più lunghi in inverno e più brevi d’estate, al fine di evitare il più possibile il problema della gessatura del formaggio, che rende la pasta eccessivamente compatta. Solo i casari esperti riescono a ottenere un prodotto con parametri adeguati. Il legame con il territorio non è però relativo solo all’esperienza nella lavorazione. L’areale di produzione è importante anche per circoscrivere l’utilizzo di ceppi autoctoni. Dal punto di vista tassonomico la specie riscontrata in tutti gli innesti naturali studiati, e che quindi caratterizza la microflora lattica tipica del formaggio squacque-

Squacquerone di Romagna (photo © http://delizieitineranti.wordpress.com).

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rone di Romagna è lo Streptococcus thermophilus. I vari biotipi isolati mostrano, infatti, particolari caratteristiche fisiologiche e biochimiche non sovrapponibili a quelle dei ceppi selezionati delle collezioni internazionali, evidenziando ancora una volta l’unicità e la tipicità dei batteri

impiegati per la produzione di questo pregiato prodotto. La storia dello Squacquerone è antica e documentata da testimonianze che risalgono anche al 1800. Questo fatto, unito alla lavorazione artigianale, allo stretto legame con il territorio e ad un gusto ecceziona-

li, non potevano che essere sanciti dalla più prestigiosa denominazione europea. La DOP non è un punto di arrivo, bensì di partenza: c’è da scommettere che i romagnoli sapranno sfruttare al meglio l’occasione. Sebastiano Corona

Aperisale, aperitivo al sapor di Romagna Tra le tante iniziative di questa calda estate che ci piace segnalare, perché ad ottimi prodotti in degustazione ha abbinato la volontà di comunicare in maniera corretta le informazioni relative ad una sana, equilibrata e, al contempo, golosa alimentazione, c’è Aperisale. Una serata riuscitissima, svoltasi il 14 luglio scorso, ideata da Annalisa Raduano, imprenditrice romagnola di successo che nell’azienda di famiglia, il Caseificio Pascoli di Savignano sul Rubicone (FC), si occupa di marketing. Protagonista della serata il sale di Cervia presente un po’ dappertutto, a cominciare dal ricco buffet a base i formaggi al sale di Cervia del Caseificio Pascoli in abbinamento a verdure in pinzimonio condite con il sale grosso di Cervia e il prosciutto del Prosciuttificio Antica Pieve di Guiglia, in provincia di Modena, fatto ovviamente con il sale di Cervia. «Mi sono inventata questa sorta di “aperitivo salutista” per sfatare la diceria che sale e latte siano dannosi per salute» racconta Annalisa Raduano. «A questo proposito, durante la serata la dottoressa Ester Giaquinto, nutrizionista, ha evidenziato come in alcune fasi della vita, ad esempio nei bambini e dopo i 50 anni, il latte e il formaggio siano determinanti per una crescita armonica o per combattere ed evitare alcune patologie, come l’osteoporosi, tipica delle donne che hanno raggiunto la menopausa». Stesso discorso per il sale, così ricco di elementi utili non solo per la salute ma anche per la cura della persona, avendo ovviamente cura di evitarne l’abuso. «Il sale di Cervia — continua Annalisa — caratterizza la nostra linea di formaggi “I Sapori del Rubicone”. Oggi sono tante le ditte che inseriscono il sale di Cervia tra gli ingredienti usati nella preparazione dei loro prodotti ma ci tengo a sottolineare il fatto che il Caseificio Pascoli è stata tra la prime aziende agroalimentare ad utilizzarlo, scoprendone i benefici influssi abbinati al latte e le caratteristiche che esso ha rispetto ad altri sali, come quella di “regalare” un sapore più dolce ai formaggi». La serata, realizzata in collaborazione con le Saline di Cervia ed il centro benessere “Sole di vita” di Savignano sul Rubicone, è terminata con un bagno ristoratore nella speciale piscina termale del centro: nell’acqua, ovviamente, sale dolce di Cervia! I Sapori del Rubicone “I Sapori del Rubicone” (www.saporidelrubicone.com) è un marchio del Caseificio Pascoli, dedicato al territorio in cui l’azienda ha sede: la valle del Rubicone, collocata tra Rimini e Forlì-Cesena, nel cuore della Romagna. Un marchio che caratterizza una gamma di prodotti caseari e non solo, che raccontano i sapori e le tradizioni di questa antica vallata, celebre nel mondo per il fiume che la attraversa. Una vallata ricca di storia e di enogastronomia, dal celebre formaggio Squacquerone di Romagna Dop al formaggio di fossa stagionato nei pozzi di Sogliano, dal ricercatissimo Raviggiolo tutelato da Slow Food sino alla Casatella. Per portarsi a casa tutti questi “sapori” basta andare sul sito e-commerce dell’azienda www.caseificiopascoli.com: oltre ai formaggi sono tante le specialità proposte, dai vini locali alla mitica piadina artigianale, dalle marmellate al savour. Se invece avete voglia di mettervi in viaggio il punto vendita del Caseificio Pascoli è aperto tutti i giorni esclusa la domenica e il sabato pomeriggio da giugno a settembre.

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Pane

Il nostro pane quotidiano Il pane resta un alimento principe sulle tavole degli Italiani e la quantità media acquistata registra un lieve aumento. Merito anche della varietà dell’offerta che solo i laboratori tradizionali riescono ad assicurare

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n valore come l’oro. Un piacere quotidiano, più che una necessità alimentare, almeno per un terzo degli Italiani. Il pane resta un alimento principe sulle nostre tavole. Non importa se si consuma al desco di casa, alla scrivania dell’ufficio o negli spazi host del panificio stesso. Siamo di fronte ad un prodotto anti-crisi, perché — dicono i consumatori — nulla è più gustoso, vario e prelibato del pane artigianale, vincente sul piano della qualità, della varietà e della tradizione. Questi sono alcuni degli orientamenti che emergono da una ricerca SWG, commissionata recentemente da Veronafiere per SIAB,

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il salone dedicato alle tecnologie e ai prodotti legati a pane, pasta, pizza, pasticceria, in calendario a Verona nel 2014. Lo studio ha coinvolto consumatori, panificatori e imprese della filiera (dai produttori di materie prime ai costruttori di attrezzature, tecnologie, materiali e accessori specifici per l’arte bianca), con la finalità di comprendere le dinamiche di evoluzione del mercato della panificazione e degli spazi di possibile riposizionamento, delle priorità e aspettative di settore, delle strategie più utili a consolidare gli spazi di mercato. «La ricerca risponde pienamente alla filosofia di Veronafiere: studiare i fenomeni e le tendenze, in modo da rispondere alle

esigenze degli espositori e anticipare le necessità del mercato» ha osservato DIEGO VALSECCHI, direttore commerciale di Veronafiere. «Questo è uno dei punti di forza dell’ente fieristico, che detiene il 45% dell’offerta fieristica del settore agroalimentare. In tale direzione vanno letti pertanto l’accordo con i panificatori russi siglato quest’anno e le iniziative a marchio SIAB in Sud America su altri mercati potenziali». Il pane mantiene il suo forte appeal e regge alcuni cambiamenti delle abitudini degli Italiani, come ad esempio l’aumento dei pasti fuori casa. E i consumi medi settimanali sono passati da 496 a 500 grammi.

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Puntare su artigianalità, qualità, specializzazione La strada ai panificatori la indicano i consumatori intervistati (un campione di 800 maggiorenni residenti in Italia). «Specializzarsi e soprattutto differenziarsi da altre tipologie industriali è obbligatorio», ha specificato FABIANA VIDOZ, direttore di SWG. Nello specifico, il 63% dei consumatori valuta molto utile l’introduzione della denominazione “pane fresco” per il pane prodotto in giornata e non sottoposto a trattamenti di conservazione; più della metà degli intervistati (52%) vede negativamente l’aggiunta di additivi e miglioratori nella preparazione di prodotti da forno dolci e salati. Attenzione per il consumatore: il panificio guadagna terreno Lo scenario in cui disegnare la ristrutturazione del settore passa attraverso un aumento del consumo alimentare fuori casa nel corso della settimana, elemento che accomuna il 63% degli intervistati. Solo nel 2007 erano il 46%. Si consuma di più, rispetto a cinque anni fa, in pizzeria (passata dal 18 al 21%) e al bar, passato dal 9 al 13%, mentre il ristorante e la trattoria sono sostanzialmente stabili al 21%. Sale anche lo share del panificio. Il 7% degli Italiani lo sceglie abitualmente (mangiano in panificio più o meno spesso) per un pasto rapido ed è una tappa frequente per un rimanente 12% (che sceglie il panificio saltuariamente). I motivi? Un connubio vincente fra qualità e minore spesa, con un risparmio medio a pasto di 2,92 euro. A dare la spinta è la percezione di quello che si acquista. Siano essi prodotti da forno, dolci e salati, il panificio artigianale offre prodotti più buoni (40% sui prodotti dolci, 54% sui salati), più freschi (39% se dolci, 44% se salati) e più genuini (29% se dolci, 26% se salati). «Il panificatore ha la necessità di comprendere a fondo ciò che sta avvenendo e deve trovare il modo di tradurlo in fatti e scelte concrete aziendali — ha commentato FRANCESCO LA SORSA, presidente della Federazione italiana panificatori — e SIAB è la risposta ai bisogni della categoria e del settore dell’arte bianca».

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Occhio al sale! La riduzione dell’assunzione di sale con la dieta è un obiettivo di salute pubblica di estrema importanza: un consumo eccessivo determina un aumento della pressione che, a sua volta, induce il rischio di insorgenza di gravi malattie, come l’infarto e l’ictus. Riducendo l’introito di sale si migliora la funzionalità renale e si aumenta la resistenza delle ossa, abbassando il rischio di osteoporosi. La riduzione del sale nella dieta costituisce quindi un importante obiettivo di prevenzione, nell’ottica di contrastare l’insorgere delle patologie cardiovascolari. L’Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene che il consumo di sale da cucina non dovrebbe superare i 5 grammi al giorno. Recenti indagini dell’Istituto Nazionale della Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN) indicano tuttavia che questa quantità viene moltiplicata di 2-3 volte nell’alimentazione, raggiungendo i 12 grammi giornalieri. I derivati dei cereali sono una fonte importante di sale perché vengono consumati in quantità più elevate rispetto, ad esempio, a insaccati, formaggi, patatine fritte confezionate, che in assoluto contengono maggiori quantità di sale. Brioche, cracker e biscotti non vengono comunemente pensati come possibili apportatori di sale, ma in realtà ne contengono più di quanto pensiamo. In particolare, tra tutti i prodotti da forno la principale fonte di sale è rappresentata dal pane, alimento fondamentale presente nell’alimentazione di adulti e bambini: l’INRAN, attraverso uno studio, indica un consumo medio pro capite di pane superiore ai 100 grammi al giorno (programma MINISAL). La percentuale di sale contenuta nella quantità di pane che un cittadino consuma mediamente sembrerebbe poco significativa se paragonata ad altri alimenti che ne sono ben più ricchi, tuttavia il pane è su ogni tavola, e il suo consumo è quotidiano.

Pane Alto Adige: in ottobre festa a Bressanone C’è tutta la tradizione e i segreti delle antiche ricette nell’impasto del pane e dei prodotti da forno dell’Alto Adige. Cinquantadue fornai e pasticceri altoatesini producono pane e strudel di mele con il marchio di qualità ALTO ADIGE utilizzando solo ingredienti naturali come farina, acqua, sale, lievito madre e spezie che danno alle diverse varietà sfumature di gusto a seconda della località e del forno utilizzato. Nei prodotti da forno Alto Adige con marchio di qualità sono vietati conservanti, esaltatori di sapidità o altri additivi e il rispetto di tali criteri è verificato da un apposito organo di controllo. Schüttelbrot (pane di segale croccante), Pusterer Breatl (pagnotta pusterese), Vinschger Paarl (pagnotta venostana in coppia), Vorschlag (segalini), Weißer Weggen (filone bianco) e ancora lo Zelten e lo Strudel di mele, una varietà tale da poter trovare il pane giusto per ogni pietanza ed ogni momento della giornata. Da venerdì 4 a domenica 6 ottobre prossimi in Piazza Duomo a Bressanone i panificatori e i pasticceri dell’Alto Adige presenteranno le varietà di pane tradizionali durante il Mercato del Pane e dello Strudel Alto Adige: non mancate! Per ulteriori informazioni: www.mercatodelpane.it (www.panealtoadige.com)

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Cinque certificazioni europee: le “punte di diamante” del pane italiano Pane di Altamura Dop Con registrazione UE del 18 luglio 2003, è stata la prima Denominazione di Origine Protetta in Europa nella categoria dei prodotti da forno (foto a lato). La zona di produzione è la Puglia, nel territorio del Parco nazionale dell’Alta Murgia, nelle province di Bari e Barletta-Andria-Trani. La forma a “cappello di prete” era impiegata in passato durante la transumanza, dal momento che la tanta mollica tratteneva l’umidità e consentiva al pane di restare morbido per giorni. Tra le curiosità, c’è la “cottura” del bollino, che viene applicato sulla forma prima che sia immessa in forno. Pagnotta del Dittaino Dop Con registrazione UE del 17 giugno 2009, questa tipologia di pane si contraddistingue per la capacità di mantenere inalterate per ben cinque giorni le sue tipiche caratteristiche sensoriali, quali il sapore e la freschezza. Se conservata in luogo fresco e asciutto, il tempo di conservazione può arrivare fino a 10 giorni. Strettamente connessa all’utilizzo di grano duro, la pagnotta del Dittaino viene prodotta in Sicilia, interessando 14 comuni in provincia di Enna e i comuni di Castel di Iudica, Raddusa e Ramacca in provincia di Catania. Coppia Ferrarese Igp Con registrazione UE del 17 ottobre 2001, la coppia si distingue da tutti gli altri pani per la sua forma inconfondibile, caratterizzata da un corpo centrale e quattro “corna” chiamate crostini. Particolarmente indicata in accompagnamento ai salumi, la coppia nacque in occasione del carnevale del 1536, quando per la prima volta, nel banchetto organizzato in onore del Duca di Ferrara, fu portato in tavola un “pane ritorto” con i tipici cornetti. La zona di produzione è l’EmiliaRomagna, in particolare la provincia ferrarese (foto in basso). Pane Casareccio di Genzano Igp Con registrazione UE del 24 novembre 1997, questo tipo di pane ha una fragranza e un profumo inimitabile, che vanno attribuiti all’uso del lievito madre e alla qualità e varietà dei cereali impiegati. Da sempre nella tradizione rurale di Genzano, è strettamente collegato all’ideale di libertà: la spiegazione ci è data dallo storico CORRADO BARBERIS, che racconta come “nel 1848, quando il comune decise di introdurre un monopolio sulla fabbricazione del pane, il circolo popolare di Genzano insorse perché esso avrebbe tolto alle famiglie più povere una pur minima entrata ricavabile dallo smercio del proprio prodotto a lavoratori di passaggio e a turisti. Così il Casareccio restò libero”. La zona di produzione è il Lazio e si sviluppa sull’intero territorio del comune di Genzano, in provincia di Roma. Pane di Matera Igp Con registrazione UE del 21 febbraio 2008, rappresenta il prodotto simbolo della città dei Sassi. La sua storia è raccontata da secoli di tradizione e cultura della civiltà contadina del luogo, che fanno risalire la sua origine ai tempi del Regno di Napoli. Per prepararlo si utilizza semola di grano duro proveniente in larga parte da ecotipi locali e vecchie varietà, come l’antica e pregiata “varietà Cappelli”, che ha una spiga nera altissima. La conservabilità può raggiungere i 7 giorni per le pezzatura da 1 kg ed i 9 per la pezzatura da 2 kg. Il legame tra prodotto e territorio è testimoniato anche dalla forma del pane, che ricorda il paesaggio della Murgia materana. Viene prodotto in Basilicata in tutta la provincia di Matera.

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Il pane unisce l’Italia Che si chiami cafone in Campania, puccia in Puglia, michetta in Lombardia, ciriola nel Lazio, crescia nelle Marche, carta musica in Sardegna, focaccia in Liguria, piadina in EmiliaRomagna o vastedda in Sicilia, il pane, per il suo consumo capillare e per la sua ramificazione sull’intero territorio nazionale, è il vero simbolo dell’Italia a tavola. Dall’indagine della Confederazione Italiana Agricoltori (CIA) emerge come il pane sia considerato dagli Italiani un prodotto capace di mettere d’accordo tutti davanti a un tavolo imbandito, sia tra le mura domestiche che in quelle di una trattoria o di un bar per un veloce spuntino. Una carta vincente per il turismo La graduale diffusione nelle catene della GDO del “pane lavorato” (che comprende i semilavorati, i precotti, congelati o surgelati) ha creato non pochi problemi ai panificatori tradizionali, costringendo migliaia di laboratori storici in tutt’Italia a chiudere i battenti. Ma negli ultimi anni la tendenza si sta invertendo e il consumo di “pane fresco” è tornato in netta ripresa. Gli Italiani che oggi dichiarano di comprare pane artigianale è pari al 57% della popolazione, evidenzia la CIA. Ma c’è di più. Dal 2000 ad oggi il pane fresco ha conquistato quasi 1,9 milioni di nuovi consumatori, soprattutto tra gli

Per la Confederazione Italiana Agricoltori il pane è il simbolo dell’Italia gastronomica, scelto dal 48% degli Italiani. A seguire la pasta e il vino. imprenditori, i dirigenti, i professionisti, gli impiegati, gli insegnanti e gli studenti. Si tratta di un target medioalto che torna o accede per la prima volta al pane artigianale. Il pane, dunque, corrisponde perfettamente ai nuovi stili alimentari. “Per la maggior parte degli Italiani cioè — spiega la CIA — il pane non rappresenta più un prodotto basico, ma l’espressione gastronomica di tradizioni regionali, di elevato profilo qualitativo, lontane dalla omologazione del prodotto da supermercato”. Un atteggiamento che premia le oltre 300 varietà di pane presenti in

tutt’Italia e che emerge anche dai dati più turistici. Una recente indagine dell’ISTAT, infatti, sottolinea come lo spazio di crescita per il pane tipico e tradizionale sia ancora molto alto, soprattutto se associato alla riscoperta dei territori rurali e dei piccoli comuni. “Basti pensare — rimarca la CIA — che oggi quattro turisti su dieci dichiarano di scegliere una meta turistica sulla base di ciò che offre dal punto di vista enogastronomico e che al 36% degli intervistati in ogni vacanza capita di acquistare il pane tipico locale”. (Fonti: CIA – Veronafiere)

Ha fatto registrare il tutto esaurito la tre giorni del Festival del Pane di Prato, evento organizzato per celebrare l’antichissima arte del pane. 100.000 persone hanno partecipato al Festival svoltosi dalla sera di venerdì 7 giugno a domenica 9. Fulcro della manifestazione la bozza di Prato e i maestri pratesi dell’arte bianca. La bozza pratese è un pane antico e rinomato, frutto della più genuina tradizione contadina. Le sue origini si possono datare già nel XVI secolo, come testimoniano gli scritti del dotto pratese Cavaliere Giovanni Miniati che nella sua “Narrazione e disegno della terra di Prato di Toscana” nel 1596 racconta come al mercato della Serenissima Firenze i venditori ambulanti di pane e salumi gridassero “Prato! Prato! Prato!” per reclamizzare questo pane già molto apprezzato. L’aspetto rustico e croccante, la forma rettangolare, il colore bruno scuro spolverato di una coppatura bianca di farina, la mollica di colore bianco molto alveolata frutto di una lunga lievitazione, unitamente alla grande versatilità in cucina, rendono la bozza uno dei pani più apprezzati in Toscana. Per celebrare i fornai che a questo pane hanno dedicato e dedicano la loro vita è nata “Io e la mia bozza: facce da fornaio pratese”, iniziativa realizzata dal Comune per chiedere ai cittadini di segnalare il pane migliore della città. Le foto dei fornai sono state realizzate da Federico Menici (a lato, Vito Caporaso, forno Il Duomo).

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Vino VIP, Visti Io Personalmente

Olmo, biciclette e vini Il gruppo Olmo gestisce il borgo di Artimino a Carmignano, sul quale domina la splendida villa medicea “La Ferdinanda”, acquisita circa 20 anni fa dalla famiglia insieme a 730 ettari vigneti e oliveti. Il loro fiore all’occhiello è il Carmignano Docg di Angelo Valentini

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entre sto scrivendo, in Francia si sta svolgendo la corsa ciclistica a tappe più famosa al mondo, il Tour de France. L’attualità dell’evento risveglia nella mia memoria un personaggio leggendario del mondo del ciclismo, che ho avuto il piacere e la fortuna di conoscere quando la bicicletta l’aveva appesa al chiodo, come si dice in gergo sportivo. L’uomo in questione è GIUSEPPE OLMO. Gepin, per gli amici, nasce nel 1911 a Celle Ligure in provincia di Savona. Una carriera sportiva folgorante: nel 1931 vince l’argento nella cronometro mondiale, poi alle Olimpiadi del 1932 a Los Angeles vince l’oro nella cronometro a squadre con Attilio Pavesi e Guglielmo Segato. Passato al professionismo, vince la Milano-Torino nel 1936 e la MilanoSan Remo nel 1938; il 31 ottobre 1935 stabilisce al Vigorelli di Milano il record dell’ora, infrangendo per primo il muro dei 45 km orari. Chiude la carriera nel 1941 e apre, nella natia Celle Ligure, una fabbrica di biciclette a suo marchio. Continua a pedalare con profitto nel settore industriale dando vita ad attività con prodotti di sua invenzione. Un personaggio eclettico dai molteplici interessi. Lascia questa vita il 5 marzo 1992, creando un grande vuoto e, al contempo, un’eredità ai suoi famigliari costellata da innumerevoli occupazioni. Negli anni ‘70 e ‘80 collaboravo con suo cognato ALDO DAPELO, noto

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industriale nel settore dei cavi elettrici. Il mio compito era quello di amministrare le due aziende agricole, Ascagnano, in provincia di Perugia, e Artimino, in provincia di Firenze. Nelle frequenti visite che facevo a Giuseppe, lo stimolavo a raccontare le sue strepitose vittorie, quando il ciclismo era uno sport più genuino e la potenza era espressa dalle gambe e non dalla testa. Il suo ricordo è incancellabile poiché possiedo due biciclette Olmo, una nera classica con i freni a bacchetta, e un’altra fatta su misura, di stile sportivo, che il campione mi donò. Artimino e l’arte dell’ospitalità Donna Dina, l’adorata moglie di Gepin, anni 96 ben portati, è ancora sulla breccia e, seguendo l’esempio del suo indimenticato marito, ha fatto l’investimento più prestigioso nel settore agricolo e turistico alberghiero, acquistando, attraverso una società di famiglia, la prestigiosa villa medicea La Ferdinanda (www.artimino.com), detta anche la “villa dei 100 camini”, opera del grande architetto di corte Messer BERNARDO BUONTALENTI. La proprietà copre un’estensione di circa 700 ettari sulle colline prospicenti Firenze, da dove si dominano Prato, Pistoia e la zona dell’Empolese, a ridosso della villa Il Montalbano, dove Leonardo, dalla vicina Vinci, sperimentava le sue macchine alate. Le colline ben esposte a mezzogiorno coprono una superficie a vigneti di

circa 100 ettari per la produzione dello storico Carmignano, prima denominazione di origine controllata del mondo, voluta da Cosimo III dei Medici nel 1716, codificata attraverso un bando granducale e una muraglia lunga 32 km che ne delimitava i confini. Il resto del territorio è ammantato da circa 30.000 piante di ulivo, che conferiscono al paesaggio un cromatismo unico e suggestivo insieme. Il vino prodotto in Artimino ha storia da vendere e da raccontare.

Giuseppe Olmo, Gepin per gli amici, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Los Angeles.

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Gli ampi saloni della villa possono ospitare convegni e congressi serviti da un catering interno.

In alto: l’enoteca “Cantina del Redi”, situata nel Borgo di Artimino, conserva le mura di un secolare castello di origine medievale. Al suo interno si effettuano degustazioni di piatti rustici toscani e di vini della tenuta artiminese. In basso: i vigneti della tenuta. Cantore di tanto vino, FRANCESCO REDI, nel ditirambo bacchico così recita: “ma di quel, che sì puretto si vendemmia in Artimino vò trincarne più d’un tino… che saria gran follia e bruttissimo peccato bevere il Carmignan; quando è innacquato”. Nel ‘300 PIETRO DOMENICO BARTOLONI, cronista, parla dei “vini di Carmignano e di Artimino che sono eccellenti”, ed eccellenti anche i prezzi. Ser LAPO MAZZEI (1350-1412) ne acquista 15 some per conto di FRANCESCO MARCO DATINI, padre dell’economia moderna perché inventore della cambiale, pagando quattro volte di più dei vini di altre zone. Cosimo III inviava

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Carmignano ad Anna d’Inghilterra. Il vino piacque tanto agli Inglesi che FILIPPO MAZZEI di Poggio a Caiano ne fece un attivissimo commercio in un suo magazzino a Londra. Oggi la proprietà sta rivivendo i fasti rinascimentali grazie agli investimenti illuminati degli eredi di Olmo nelle persone di Anna Maria, Silvana, Giorgio Segantini, e l’ingresso di un cambio generazionale che vede alla guida di tutta questa attività turistico-alberghiera e agricola i nipoti Francesco e Annabella Olmo. Lo scorso anno ricorrevano gli 80 anni dalla conquista olimpica e a ricordo di questo evento hanno dedicato

un magnum di vino di Artimino fuori commercio, riproducente in etichetta la medaglia d’oro olimpica. È recente il riconoscimento del l’UNESCO che ha nominato la villa Patrimonio dell’Umanità a giusto titolo. Artimino offre una variegata possibilità di servizi, la villa con i suoi ampi saloni può ospitare convegni e congressi serviti da un catering interno. La struttura alberghiera dispone di 37 camere nell’edificio dell’Hotel Paggeria Medicea, 59 appartamenti nel Borgo di Artimino (a 300 metri) e 6 appartamenti esclusivi chiamati “Fagianaie”. Nel ristorante Biagio Pignatta, dedicato al primo maggiordomo di Ferdinando de’ Medici, viene proposta una cucina tipica con prodotti di fattoria a km zero. All’interno della tenuta c’è anche l’enoteca Cantina del Redi, situata nel Borgo di Artimino, che conserva le mura di un secolare castello di origine medievale. Qui si possono degustare piatti tipici toscani e vini della tenuta artiminese. Angelo Valentini Artimino Spa Viale Papa Giovanni XXIII, 1 Carmignano (PO) Telefono: 055 8751424 E-mail: info@artimino.com Web: www.artimino.com

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I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: crudo di San di Laura

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ante e famose sono le DOP del Belpaese, testimoni delle nostre antiche tradizioni e dell’amore per la buona tavola italiano. Tra le eccellenze gastronomiche famose nel mondo troviamo anche il prosciutto crudo di San Daniele. La zona tipica di produzione si trova nel Friuli centrale, lungo il corso del

Tagliamento. Qui l’ideale microclima unito alla qualità della materia prima (solo cosce fresche di suini provenienti dal Centro Nord), ad una particolare tecnica di lavorazione e all’antica sapienza dei produttori, fa sì che il prosciutto di San Daniele sia così riconoscibile e richiesto. I risultati di cotanta passione li si ritrova nella fetta: profumata

Champagne Brut Rosé Fleur de Flo Marguerite Guyot

Metodo Classico Rosé Lini910

Ribolla Gialla Collio DOC L’Adelchi Venica & Venica

Uno dei petali di Florence Guyot, nella sua versione rosata. Uvaggio composto dal 30% di uve Pinot Noir, 30% Chardonnay, 30 % Pinot Meunier e un rimanente 10% Coteaux Champenois che subisce un leggero e sapiente affinamento in barrique. Il calice è di un color rosa salmone trasparente e brillante, con riflessi ambrati. All’olfattiva sprigiona elegantissime note fruttate di frutta rossa matura, ciliegie e lamponi in chiusura, accompagnate da una leggera speziatura a contorno, pepe rosa, bacca di vaniglia. La sorsata è ampia, morbida, aggraziata, il perlage è fine, persistente, vellutato. Una stupenda nota fresca bilanciata, una bella sapidità non aggressiva, rendono questo calice equilibrato e armonico, di carattere e tessitura. Ottimo nel rito dell’aperitivo, splendido con i salumi della tradizione italiana come le morbide fette di prosciutto di San Daniele, anche con melone di contorno. Adattissimo a tutto pasto.

La vocazione spumantistica di questa cantina è nota e in questo calice è ben evidente. Prodotto con uve di Pinot nero in purezza, 36 mesi sui lieviti per questo Metodo Classico. Un bellissimo colore riempie il calice, rosato brillante, non carichissimo ma ben limpido. L’olfattiva è particolarmente intrigante e affascinante: sono note fruttate piene ma non aggressive, in armonia con tinte croccanti di lieviti, biscotti appena sfornati e marmellate di frutti di bosco. Un’eleganza accompagnata da una bella corposità, che regala con grande armonia note fresche e persistenza, anche grazie ad una ben dosata sapidità. Perlage fine, tenace e raffinato. Una sorsata piena di gusto e di stile, che si presta con facilità a numerosi piatti, dall’aperitivo al pesce crudo, ma che consigliamo vivamente su un grissino torinese fatto a mano con fette di San Daniele: abbinamento riuscitissimo e di grande soddisfazione.

Splendida realtà del Collio friulano, zona a grande vocazione enologica dove la passione per la viticultura si unisce a paesaggi unici. La cantina propone vini tipici, di grande carattere e riconoscibilità. Una gran bella interpretazione del vitigno Ribolla, che affina per 5 mesi sui lieviti. All’olfattiva si apre con copiose note fruttate, tinte agrumate e ricordi floreali e aromatici. La sorsata è armonica, grande l’equilibrio, caldo e sapido, ottima la lunghezza. Una persistenza ed un carattere tale che lo rendono adatto a molteplici abbinamenti, che spaziano dalla carne al pesce. Ottimo ben freddo come aperitivo, in particolare con fritti misti. Si consiglia di gustarlo accompagnato da crudo di San Daniele e focaccia salata al rosmarino: le note aromatiche del vino andranno ad unirsi perfettamente con il profumo del Rosmarinus; la freschezza sarà perfetta compagna della morbidezza della tenera fetta di prosciutto.

Champagne Marguerite Guyot Distributore Italia: Cleto Chiarli & Co. Via D. Manin, 15 – 41122 Modena Telefono: 059 3163311 italia@chiarli.it

Lini Oreste e figli Spa Via Vecchia Canolo, 7 42015 Correggio (RE) Telefono: 0522 690162 info@lini910.it

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Venica & Venica Loc. Cero’, 8 34070 Dolegna del Collio (GO) Telefono: 0481 61264 info@venica.it

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Daniele e vini in abbinamento Franchini

carne magra rosso-rosata con striature di grasso, aroma delicato che diventa più persistente con il protrarsi della stagionatura (la cui durata minima è di 13 mesi, ma che può arrivare a 16, 18, 24 mesi). Il sapore è dolce ed equilibrato, la sapidità e gli aromi tipici della carne stagionata si fondono insieme produ-

cendo una piacevolissima ed appagante sensazione. La consistenza della fetta al palato è particolarmente morbida, tale da poter dire che “si scioglie in bocca”. Per un prodotto così gustoso e unico abbiamo identificato sei possibili vini in abbinamento, certi di potervi suggerire sei ottimi matrimoni di gusto.

Pignoletto Colli d’Imola DOC Merlotta

Blanc de Noir Dosage Zero 2006 Alessio Dorigo

Franciacorta DOCG Rosé Extra Brut Santus

Il Pignoletto, re delle colline imolesi, in abbinamento con il prosciutto San Daniele è assolutamente perfetto. Questo calice, limpido e trasparente con note leggere brillanti paglierine, regala una bellissima olfattiva pulita. Sono note di frutta matura e leggera aromaticità, che tornano circolari in retrolfattiva. Al palato è corrispondente nel gusto e nelle aspettative, con una decisa armonia. Sapido il necessario, anche grazie ai terreni, è equilibrato tra parti morbide e dure, con eleganza. Non sfigurerà nelle calde serate estive, ghiacciato, e neppure accompagnato da finger food negli aperitivi.

Solo uve di Pinot nero per questo calice maschile, tagliente e netto. Le note fruttate del vitigno emergono tutte, accompagnate da una buona aromaticità e balsamicità, dovuta anche all’uso di barriques di secondo passaggio, che ne ammorbidiscono i toni. È sapido e minerale, equilibrato nel calore e nelle note acide, grande la classe e la tenuta. Si presta senza dubbio al tutto pasto, anche grazie ad una leggera tessitura tannica, che non solo non stona, ma incide nel carattere, positivamente. Ovviamente è ottimo anche come calice d’aperitivo, ben freddo. Non accontentatevi di stuzzichini banali e mettetelo alla prova con piatti di salume e con taglieri di prosciutto San Daniele, con il quale condivide territorialità ed eccellenza.

Solo uve di un’unica annata per questo calice, su precisa scelta dei titolari, Maria Luisa Santus e Gianfranco Pagano. Pinot nero in purezza, che regala decise e generose note fruttate di lamponi, fragole, mirtilli e ciliegie, accerchiate da una buona aromaticità e da tinte di pane croccante. Assolutamente equilibrata e circolare la sorsata. È morbida la schiuma, che avvolge il palato con grazia e senza nessuna prepotenza. Bolle di classe ed educate, che accompagnano una bella nota sapida e fresca. Un bicchiere di massima soddisfazione, che si presta con poliedricità a molteplici abbinamenti, compreso un bel tutto pasto. Ottimo con copiose fette di prosciutto San Daniele, anche come ingrediente di un caldo gnocco al forno, cosparso di sale grosso.

MerlottaSoc.Agr.diMinzoliniPaolo&C. Via Merlotta, 1 40026 Imola (BO) Telefono: 0542 41740 info@merlotta.com

Az. Agr. Alessio Dorigo Via Subida, 16 33040 Povoletto (UD) Telefono: 342 7433573 info@montsclapade.com

Maria Luisa Santus Az. Agr. Via Rossi, 34 25038 Rovato (BS) Telefono: 030 836707 info@santus.it

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Bevande

Il buongiorno si vede dal caffè Miti e leggende su una bevanda che ogni mattina conquista milioni di persone di Raffaele Bertolini

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e anche per voi il buongiorno si vede dalla tazzina del caffè, allora fate parte di quell’esercito di appassionati-dipendenti che ogni mattina si imbevono le labbra nella scura e aromatica bevanda. In Italia, secondo dati FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), si preparano ogni anno 7 miliardi di tazzine, il che significa 46 milioni di chilogrammi di materia prima. Nonostante queste cifre enormi, l’Italia non è tra i primi posti per consumo di caffè pro capite: i Paesi scandinavi si attestano il primato in Europa con circa 12 kg a testa, mentre il nostro Paese si aggira sui 4 kg a testa. Subito oltre il confine, in Austria, il consumo sale a 10 caffè pro capite al giorno; non è un caso quindi che proprio a Vienna il dott. Edelbauer abbia recentemente fondato un istituto totalmente indipendente dedicato alla formazione di esperti degustatori di caffè. Non solo pratica ma anche molta teoria sulla storia, le specie e la preparazione. In qualità di

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docente presso il medesimo istituto, il professor Edelbauer si propone di sfatare alcuni miti o leggende sorti attorno a questa bevanda centenaria. Vediamone alcuni. Il caffè è originario del Brasile Anche se il Brasile al giorno d’oggi rappresenta il più grande produttore mondiale di caffè, coprendo circa il 45% del fabbisogno, il caffè è originario dell’Africa e, più esattamente, dell’Etiopia (regione di Bonga). Da lì è arrivato in Arabia (Mecca), in Turchia e alla fine in Brasile, dove soltanto nel 1720 si è cominciato a coltivarlo. Il primo caffè venne aperto a Vienna Anche se Vienna è conosciuta come la città dei caffè, non è vero quanto recita questa diceria. Il primo caffè europeo fu aperto a Costantinopoli (oggi Istanbul) nel 1554. Successivamente ne vennero aperti altri a Venezia (1555), Oxford (1650) e Londra (1652). Soltanto nel 1683 fu aperto il primo

caffè a Vienna. La storia, a riguardo, è piuttosto affascinante: nel 1683, durante il secondo mese di assedio ad opera dell’esercito turco, la città si trovava in una situazione tragica e apparentemente senza speranze. Poco prima del sopraggiungere salvifico dell’esercito polacco, le truppe cittadine erano riuscite ad avere la meglio sugli assedianti grazie alla collaborazione di un certo Georg Kolschitzky, un polacco residente in città che aveva viaggiato nel mondo islamico e ne conosceva la lingua. Aiutato da un soldato, si aggirò nell’accampamento turco a nord della città travestendosi con abiti orientali. Le informazioni che raccolse sulla consistenza e sulla disposizione delle truppe nemiche si rivelarono preziose. La città venne liberata e, come segno di riconoscenza, all’intrepido Georg fu concesso ciò che desiderava. Chiese parte delle provviste abbandonate sul campo dall’esercito invasore: si trattava di chicchi di caffè ancora verdi. Nel giro di poco tempo Kolschitzky ottenne

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la licenza per aprire un caffè, tuttora esistente, al quale dette il nome di “Alla bottiglia blu”. Aggiunse al caffè latte e melassa, correggendone il gusto per avvicinarlo al palato dei suoi concittadini, e ne fece un successo. Il caffè fa male a chi soffre di dolori di stomaco Spesso si sente dire che si dovrebbe rinunciare ad una tazza di caffè se si soffre di mal di stomaco. La caffeina contenuta nel caffè viene ritenuta responsabile di questo malessere. Decisiva per la digeribilità è tuttavia la quantità di alcaloidi (soprattutto caffeina e acido clorogenico) e questi sono contenuti in maggior quantità nella varietà Robusta rispetto all’Arabica. Troppa caffeina produce malessere, tremolio e perdita del sonno; un’eccessiva quantità di acidi clorogenici porta al bruciore di stomaco e ai dolori di stomaco. Anche il processo di preparazione gioca un ruolo importante per la digeribilità. Il caffè prodotto secondo il metodo turco contiene la maggior quantità di alcaloidi, seguito dal caffè espresso. La quantità minore è contenuta nel caffè prodotto con l’utilizzo di filtri o con l’uso della caffettiera di Karlsbad. Perciò chi ha problemi di stomaco non deve per forza rinunciare al caffè, ma tenere a mente una cosa: usare solamente caffè della migliore qualità. Deve provenire al 100% da chicchi di Arabica. Evitate il caffè che proviene da miscele con la varietà Robusta e preparate la vostra bevanda preferita utilizzando un filtro. Il decaffeinato è più sano Proprio il contrario, per il fatto che per ottenere la decaffeinizzazione vengono usati solventi che solubilizzano la

Il caffè turco si prepara mettendo caffè macinato a bollire con acqua e zucchero nell’ibrik, bricco di forma allungata. Il processo di bollitura, ripetuto, dà alla bevanda una consistenza sciropposa. Prima di bere il caffè si aspetta qualche minuto per fare decantare i sedimenti sul fondo. Il piacere è nell’attesa… caffeina. La maggior parte delle volte il mezzo impiegato è il diclorometano, un composto chimico che viene utilizzato nell’industria delle materia plastiche. Si può eludere il decaffeinato e propendere per varietà povere in caffeina, come la Sidamo o Limu (entrambe dall’Etiopia). Il caffè provoca ritenzione idrica Anche questa è una falsità. Nuovi studi scientifici sulla nutrizione di-

Il bricco di Karlsbad viene prodotto da ormai 100 anni nella fabbrica di ceramica di Walkuere (www.walkuere.de). Il caffè viene macinato fresco al momento, 16 g per la prima tazzina con l’aggiunta di 6 g per ogni tazza successiva. Si versa il caffè macinato nel filtro. Si copre il filtro con il contenitore per aspergere l’acqua e si versa acqua calda, non bollente, lentamente (50 millilitri per ogni tazzina). Quando l’acqua ha attraversato il filtro completamente, il caffè è pronto.

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mostrano che il consumo quotidiano di caffè viene considerato utile nel quadro del fabbisogno di liquidi consigliato per una dieta sana. È importante che risulti diuretico e che stimoli il metabolismo. Il caffè rende dipendenti Il caffè non crea dipendenza; tuttavia, un consumo continuo crea delle abitudini. Possono insorgere emicranie, sonnolenza, depressione se da un consumo frequente si passa repentinamente ad un consumo molto più morigerato. Non ci sono differenze tra i vari tipi di caffè: è la macchina che fa la differenza Non esiste un tipo di caffè simile ad un altro. Molti fattori contribuiscono a rendere ogni caffè unico. La qualità del chicco dipende dal suolo dove è stato coltivato, dal clima così come dalla tecnica di raccolta. Anche i me-

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todi di trattamento, le condizioni di stoccaggio e le modalità di trasporto contribuiscono a renderne unica la qualità. Di grande importanza anche la modalità di tostatura e la miscela delle diverse varietà. Inoltre, anche voi, in qualità di consumatori, decidete come sarà il sapore del vostro caffè: tramite il grado di macinatura e la dosatura della polvere, la sua qualità, la quantità e la temperatura dell’acqua e, non ultimo, tramite la modalità di preparazione. Il modo più sano per gustare un caffè è l’espresso Il modo più digeribile è attraverso l’utilizzo di un filtro, come ad esempio attraverso l’utilizzo del bricco di Karlsbad. Con questo otterrete un caffè leggero, senza asperità, che sarà al contempo molto digeribile. L’espresso al contrario viene preparato usando un’elevata pressione. Con ciò nella tazzina finiscono molte proprietà del caffè ma anche molti alcaloidi (caffeina e acidi clorogenici) come pure metalli pesanti ed elementi nocivi. La presenza della qualità Robusta nella miscela di preparazione dell’espresso dona al caffè un corpo pieno e la bella crema Sia la varietà Robusta come l’Arabica

donano al caffè una bella crema. Inoltre, la crema non dice niente rispetto alla qualità del caffè, quanto piuttosto sulla qualità della macchina e se è stata regolata alla perfezione. Quando sulla confezione troviamo la dicitura “100% Arabica” oppure “puro caffè di montagna”, possiamo essere sicuri che contiene solamente qualità Arabica? Sembra incredibile, ma anche questo non è vero. Uno studio promosso da AK nel 2005, con l’intento di verificare la correttezza della presentazione della tipologia di caffè contenuta nella confezione, dimostrò che alla miscela spesso venivano aggiunte quantità di varietà Robusta, anche se al cliente veniva venduta una confezione con dicitura “puro Arabica”. Su 21 confezioni di caffè con la dicitura “100% Arabica”, “migliore qualità Arabica” o “caffè di montagna”, venne appurato che dieci confezioni contenevano una quantità di varietà Robusta minima del 10%. Il caffè “lungo” contiene semplicemente più acqua Il caffè lungo dovrebbe essere un piccolo Moca (caffè ristretto di 7 g macinato) servito in tazza grande. Un bricco di acqua bollente viene servito separatamente. In questo modo il

Ogni caffè è unico e il suo gusto dipende da un insieme di fattori: la qualità, il clima, il modo in cui è raccolto, il metodo di trattamento e lo stoccaggio, la tostatura, la macinatura, la modalità di preparazione.

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Nota in tutto il mondo la moka, o caffettiera, è stata ideata nel 1933 da Alfonso Bialetti, ritratto in modo caricaturale nel famoso “omino coi baffi” disegnato dal modenese Paul Campana. cliente può allungare il proprio caffè a piacere. Il caffè filtrato è di qualità inferiore Il caffè filtrato ha certamente un’immagine negativa, però ingiustamente. Il caffè filtrato è molto digeribile e di alta qualità nel gusto. Il caffè si può mantenere caldo durante tutto il giorno; inoltre, lo si può riscaldare in ogni momento Assolutamente no. Le sostanze aromatiche contenute nel caffè sono volatili. Questo significa che si vanno perdendo con il tempo. Se macinate voi stessi i chicchi di caffè, macinate solamente la quantità che andrete a utilizzare il giorno stesso e preparate solamente la quantità di caffè che andrete a bere nelle prossime ore. Solamente in questo modo gusterete al meglio il vostro caffè. Caldo come l’amore… Il caffè non deve essere bollente. Vorrete godervi il caffè senza dover badare tutto il tempo a non scottarvi le labbra o la lingua. Inoltre, l’elevata temperatura rovina la sensibilità delle papille gustative. Provate il caffè quindi caldo ma non bollente, scoprirete un altro mondo. Raffaele Bertolini

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Arti e mestieri

Professione: assaggiatore di salumi Vista, tatto, olfatto e gusto: sono i quattro sensi necessari per assaggiare un salume e comprenderne le caratteristiche. Per aiutarci è nata l’ONAS – Organizzazione Nazionale Assaggiatori Salumi, che ha predisposto metodo e scheda di valutazione di Silvia Gibellini

U

n buon piatto di affettati? Si fa presto a dire “lo mangio”. Tutt’altra cosa, invece, è capirlo veramente: per apprezzarlo bisogna intendersene. Magari grazie a un diploma di “assaggiatore di salumi”. Per comprendere le caratteristiche di un salume occorrono quattro sensi: vista, tatto, olfatto e gusto, ben allenati e in quest’ordine. Sono le capacità che, insieme a una buona cultura di base sul settore e alla passione per progredire nell’attività, deve avere un assaggiatore di salumi. Le analisi tecniche di laboratorio, infatti, possono solo essere complementari a quelle dell’uomo. Proprio con questo obiettivo tredici anni fa, a Cuneo, nasceva l’ONAS, l’Organizzazione Nazionale Assaggiatori Salumi: il suo scopo, ieri come oggi, è quello di favorire l’apprendimento dell’arte dell’assaggio, riconoscere i salumi di qualità promuovendo i prodotti locali, il tutto attraverso appositi corsi di formazione. Le lezioni, tenute da esperti, affrontano temi specifici, come la storia e lo sviluppo dell’analisi sensoriale, le materie prime nella produzione dei salumi, i prodotti da agricoltura biologica, i salumi DOP, IGP e le specialità tradizionali. Ciascuna lezione si conclude con degustazioni guidate dei principali prodotti di salumeria, accompagnate da un vino appositamente selezionato. Il corso termina, poi, con un vero e proprio esame finale — una prova sia teorica

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Nella valutazione gusto-olfattiva del salame sono positivi gli odori di spezie, di erbe aromatiche, di aglio ed il profumo di “stagionato”.

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Esempio di tabella di valutazione Parametro

Valutazione

Note

Esame esterno Esame visivo della fetta Esame olfattivo della fetta Esame gustativo della fetta Esame gusto-olfattivo Equilibrio di sapori

(ad es. salame Cuneo o salame Piemonte); – budello naturale; – legatura con spago; – duro al tatto, cioè stagionato. Sono considerati caratteri negativi una muffa eccessiva e il fatto che si presenti molle al tatto. Per proseguire l’esame si pulisce il salame dalla piumatura, si toglie il budello incidendolo con il coltello e, allontanandolo dall’impasto, si affetta. Si distribuiscono le fette sui piatti.

Palatabilità Totale che pratica — con tanto di attestato e patente di tecnico assaggiatore. L’arte dell’assaggio: degustazione guidata di un salame crudo È necessario imparare a utilizzare tutti gli organi di senso (occhi, naso, bocca, mani e anche orecchie, ove possibile) come dei veri e propri strumenti di valutazione oggettiva delle caratteristiche organolettiche degli alimenti. Si “mangia” prima con gli occhi: un colore rosso vivo in un salume invita il consumatore ad acquistarlo e poi a consumarlo. Il buon profumo di un prosciutto spinge ad addentarlo con maggior piacere rispetto a un salume privo di odori gradevoli. Per poter valutare correttamente quelle che sono le caratteristiche sensoriali di un salume occorre concentrarsi su ciò che in quel momento si ha nel piatto, memorizzare le varie sensazioni per poi ricordarle in occasione di un consumo successivo. I salumi si dividono in insaccati (ad es. salame crudo, la cui pasta è insaccata in un budello) e pezzi interi (ad es. il prosciutto, che è la coscia del maiale). Si comincia sempre con un esame esterno del salume intero, per poi considerare e valutare la singola fetta: vediamo nel dettaglio i sette step della degustazione guidata di un salame. Esame esterno Il salame intero posto su un vassoio è fatto girare tra i partecipanti all’assaggio. Le caratteristiche esterne da valutare attraverso la vista sono: – la presenza o assenza di “muffa”, se bianca definita “piumatura”;

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il tipo di budello: naturale, artificiale o sintetico; – il tipo di legatura: con spago o rete. Al tatto (è necessario fare una leggera pressione con la mano sul salame) si valuta se è molle, cioè fresco, oppure duro, cioè stagionato. La valutazione di questi caratteri viene poi riportata in una scala da 0 a 10, dove 0 indica la massima presenza dei caratteri negativi, 10 la massima presenza di quelli positivi. Sono considerate positive le seguenti caratteristiche: – presenza di piumatura in un salame che deve avere la superficie moderatamente coperta da muffe

Esame visivo della fetta Il passo successivo è quello di valutare le caratteristiche della singola fetta. Si comincia con l’esame visivo, in cui si considerano il colore della parte magra, il colore del grasso, la distribuzione dei “lardelli”, la presenza di buchi, di “nervi”, cioè di tendini, e di un’eventuale “corona” più scura all’esterno. Anche in questo caso, così come negli step successivi di analisi, la valutazione viene riportata in una scala da 0 a 10. Sono caratteri positivi: – colore del magro: rosso vivo; – colore del grasso: bianco o biancorosato; – uniforme distribuzione dei “lardelli”; – assenza di buchi; – moderata presenza di “nervi”,

Assaggiare per capire: la missione dell’ONAS ONAS è stata costituita presso la Camera di Commercio di Cuneo il 19 ottobre 1999 da 29 soci che, per fondarla, si sono autotassati versando ciascuno 50.000 delle vecchie lire. Ad oggi ONAS ha formato 2.800 tecnici e maestri assaggiatori e tenuto 190 corsi riservati ai soci in quasi tutte le regioni italiane. L’organizzazione è nata esclusivamente dalla buona volontà e intraprendenza dei soci fondatori, senza ereditare nulla di precostituito, con il supporto degli enti locali piemontesi. Nel corso degli anni sono stati messi a punto i programmi dei vari corsi, si sono formati i docenti, scritte le dispense, messe a punto le schede di assaggio: un lavoro possibile soprattutto grazie al volontariato dei soci. Dal Piemonte ONAS si è poi diffusa nelle altre regioni italiane, dando vita alle delegazioni provinciali e misurandosi via via con salumi diversi, legati ai vari territori di appartenenza. In 13 anni non si è però modificata la filosofia dell’associazione, sempre e solo rivolta a far conoscere i salumi di qualità per promuovere il territorio di origine. Nel 2007, con il coordinamento di ONAS, si è costituito il GIA, Gruppo Italiano Assaggiatori, per mettere in comune esperienze diverse di assaggio di varie matrici alimentari oltre ai salumi, con il fine di promuovere gli abbinamenti di cibi e bevande, favorendo un’alimentazione sempre più ricca ed equilibrata. >> Link: www.onasitalia.org

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Per valutare correttamente le caratteristiche sensoriali di un salume occorre concentrarsi su ciò che in quel momento si ha nel piatto, memorizzare le varie sensazioni per poi ricordarle in occasione di un consumo successivo. cioè di tendini; lieve corona più scura all’esterno, dovuta al processo di stagionatura. Sono invece considerati caratteri negativi: – il magro caratterizzato da un rosso eccessivamente scuro; – colore del grasso: giallo; – lardelli distribuiti in modo non uniforme; – presenza di buchi; – elevata presenza di “nervi”. –

Esame olfattivo della fetta Si porta sotto il naso la fetta di salame, si inspira e si cerca di identificare gli odori. È necessario ripetere l’operazione due-tre volte e memorizzare quanto percepito. Anche la valutazione degli odori (intensità e persistenza) viene poi riportata su una scala da 0 a 10. In questo caso le note positive sono date da: – odore di spezie (come pepe, cannella, chiodi di garofano); – odore di erbe aromatiche (rosmarino, finocchietto, alloro); – odore di aglio; – profumo di “stagionato”. Al contrario è da considerare un carattere negativo un odore acido, rancido, di ammoniaca o di carne fresca.

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Esame gustativo della fetta A questo punto si addenta un pezzo non troppo grande della fetta, lo si mastica lentamente cercando di percepire quattro sapori fondamentali: dolce, salato, acido, amaro. Essendo la valutazione dei sapori il parametro più importante (il salame si acquista per mangiarlo!), si moltiplica per 3 il valore numerico assegnato nella scala di valutazione. Sono da considerarsi caratteri positivi un sapore dolce o un sapore sapido, cioè moderatamente salato. Sono da considerarsi caratteri negativi un sapore eccessivamente salato, acido oppure amaro. Esame gusto-olfattivo della fetta Si porta alla bocca un altro pezzo di salame, dopo averlo masticato si espelle l’aria dal naso per percepire le sensazioni che si sprigionano, dovute agli aromi. Anche la valutazione gustoolfattiva del salame è particolarmente importante e in questo caso il valore numerico si moltiplica per 2. Sono positivi gli aromi di spezie, erbe aromatiche, di aglio, di “stagionato”. Sono negativi gli aromi eccessivamente piccante, acido, rancido e di carne fresca.

Equilibrio di sapori Occorre valutare se il prodotto risulta anche equilibrato e armonico per quanto riguarda i sapori e gli aromi. Nel prodotto non deve prevalere un unico sapore (ad es. non deve essere troppo salato) e non deve assolutamente essere amaro. La valutazione dell’equilibrio viene riportata in una scala da 0 a 10. Palatabilità Eccoci all’ultimo step. A questo punto si assaggia un altro pezzo di salame per valutarne la masticabilità. In questo caso sono da considerarsi caratteristiche positive la facilità di masticazione e un salame non secco, né troppo duro. Al contrario sono negative una eccessiva “pastosità” e se il salame si presenta secco e duro. La palatabilità viene valutata da 0 a 10. Tabella di valutazione Si riportano nella tabella a pag. 105 le valutazioni dei sette parametri prima espressi (da 0 a 10), moltiplicando per i fattori di correzione. La loro somma dà la valutazione globale del prodotto: un salume eccellente arriva a totalizzare 100/100, il punteggio massimo. Silvia Gibellini

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Linee guida per la sicurezza degli involucri per salumi Sono state presentate lo scorso maggio, presso la Borsa Merci di Parma, sede della Commissione Unica Nazionale “Tagli di suino”, le Linee guida per la sicurezza degli involucri per salumi. TURNO PEDRELLI, della Stazione Sperimentale di Parma, ha illustrato questo importante documento, elaborato insieme ad ASS.I.CA. e ai rappresentanti delle aziende produttrici. L’obiettivo di questo approfondimento è stato quello di sopperire alla carenza legislativa del settore fornendo uno strumento atto ad assicurare la sicurezza, la conformità e l’idoneità degli involucri per salumi, diversi dai “budelli”. Pubblichiamo di seguito una breve descrizione del volume. Introduzione Le aziende del settore delle carni trasformate utilizzano, nei propri processi produttivi, involucri di diversa tipologia e natura, al fine di rispondere a differenti esigenze. In alcuni casi gli involucri si limitano ad assolvere alla funzione di “coadiuvanti tecnologici”, essendo utilizzati in una o più fasi del processo di produzione, senza però entrare a far parte della struttura del prodotto finito. In altri casi, e ciò si realizza specificatamente per i salumi insaccati, l’involucro diviene parte integrante del prodotto, svolgendo così indispensabili funzioni tecnologiche, protettive e di contenimento. Sia le imprese produttrici che quelle utilizzatrici di involucri per salumi condividono, per gli ambiti di competenza, le responsabilità discendenti dalla legislazione applicabile agli operatori del settore alimentare. In particolare, le imprese produttrici di involucri per salumi verificano la rispondenza dei loro prodotti alle pertinenti disposizioni comunitarie e nazionali. L’obiettivo delle Linee guida è quello di fornire uno strumento atto ad assicurare la sicurezza, la conformità e l’idoneità degli involucri per salumi, diversi dai “budelli”, intendendo con questo termine gli involucri costituiti/ottenuti da parti anatomiche ben definite dell’animale. Per questi ultimi il quadro di riferimento normativo è già rispondente alle necessità degli operatori, applicandosi la legislazione sugli alimenti. Si è tuttavia provveduto ad inserire, nel campo di applicazione delle Linee guida, gli involucri naturali multistrato, i cosiddetti “collati”, in ragione della prossimità tecnologica dei loro processi di produzione con le fattispecie considerate. Con l’intento di inquadrare le numerose problematiche afferenti all’utilizzo degli involucri per salumi diversi dai budelli, sono stati individuati i requisiti minimi che devono possedere le forniture degli: • involucri edibili per salumi che, essendo destinati ad essere consumati con gli stessi, risultano assoggettati alla pertinente legislazione sui prodotti alimentari; • involucri non edibili per salumi che, non essendo destinati ad essere consumati con gli stessi, sono assoggettati alla legislazione inerente i materiali destinati a venire a contatto con gli alimenti, nella maggior parte dei casi solo in termini generali, essendo previste disposizioni specifiche solo in alcune situazioni (involucri plastici). Con ciò si conferma l’attenzione che il settore dei prodotti di salumeria pone al rispetto dei requisiti di conformità delle materie prime che entrano a far parte dei processi di produzione, nell’ambito del concetto più ampio di qualità di processo e di prodotto. Le Linee guida si sono potute realizzare grazie alla fattiva collaborazione instauratasi con ASS.I.CA., con le aziende che commercializzano gli involucri per salumi sul mercato italiano e con le aziende produttrici di salumi, risultando di conseguenza un valido strumento operativo. Gli operatori del settore dei salumi possono infatti avvalersi delle Linee guida anche per interloquire costruttivamente con i fornitori di involucri per salumi nell’ambito di un quadro di riferimento condiviso. Le Linee guida non si propongono in alcun modo di suggerire scelte tecnologiche, rimanendo necessariamente la scelta dell’utilizzo dei budelli e/o degli involucri di natura diversa di esclusiva pertinenza aziendale. Campo di applicazione Le Linee guida si applicano alle forniture di involucri per salumi diversi dai budelli. In particolare sono stabiliti requisiti minimi per le forniture delle seguenti tipologie di involucri: A) edibili: collagenici edibili; naturali multistrato (es. collati); B) non edibili: collagenici non edibili (inclusi quelli con strato strutturale di matrice diversa); cellulosici; plastici; di tessuto (fibra naturale, misto di fibre naturali e sintetiche). Una sezione specifica è dedicata agli involucri stampati e agli inchiostri di stampa utilizzati allo scopo. Sono esclusi dal campo di applicazione: • i “budelli”, intendendosi con questo termine gli involucri naturali per salumi costituiti/ottenuti da parti anatomiche ben definite dell’animale (quali gli intestini, gli stomaci, le vesciche) sottoposti ad un trattamento quale la salatura, l’essiccazione, la cucitura e/o legatura, anche se successivamente calibrati; • gli “agenti di rivestimento” disciplinati dalla legislazione in materia di additivi alimentari, come sostanze destinate ad essere applicate sulla superficie esterna di un prodotto alimentare, al fine di conferirgli un aspetto brillante o di fornire un rivestimento protettivo.

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Tecnologie

Unicoop Firenze sceglie il CSB-System per il nuovo Centro Freschi di Pontedera

I

l 1° novembre 1891 a Sesto Fiorentino si costituiva la società cooperativa, dalla quale sarebbe poi nata l’U NICOOP FIRENZE. Il nome e il primato fra le Coop consumatori sono stati raggiunti nel 1973 con la fusione fra tre grandi cooperative che operavano in Toscana: la TOSCOCOOP con punti di vendita in Firenze (zona Rifredi), Sesto Fiorentino e Prato; la COOP ETRURIA operante in Firenze (zona sud-est), Chianti, Valdarno, Arezzo e Sansepolcro; l’UNICOOP EMPOLI con negozi nell’empolese, in Val d’Elsa e fino alle porte di Firenze. Successivamente sono stati aperti supermercati anche a Siena e Pistoia. Quindi, nel 1998, si è avuta la fusione con l’UNICOOP – COOPERATIVE PISANE RIUNITE. Oggi Unicoop Firenze gestisce una rete di mini-mercati, supermercati e ipercoop che si estende in 7 province della Toscana: Arezzo, Firenze,

Lucca, Pisa, Pistoia, Prato e Siena. La forte spinta innovativa che dalla sua fondazione ha animato il gruppo lo ha portato ad essere oggi uno dei punti di riferimento nel commercio al dettaglio, detenendo un’importante quota del mercato nazionale. Visita al nuovo stabilimento Unicoop Centro Freschi Firenze I risultati raggiunti non hanno frenato la costante ricerca dell’eccellenza

organizzativa e funzionale nella gestione di ogni singolo processo del gruppo. Ne è un esempio l’avveniristico centro logistico e per la lavorazione carni a Pontedera, in provincia di Pisa, nato dalla collaborazione tra Unicoop Firenze e CSB-System, che sarà al centro del prossimo convegno internazionale per i manager dell’industria delle carni, il 24 ottobre prossimo. Occasione unica per vedere dal vivo uno tra i più efficienti centri di lavorazione carni e polo logistico d’Europa, che copre una superficie totale di oltre 52.500 m2, dei quali 23.329 costituiscono il centro logistico dei freschi di tutto il gruppo. I restanti 29.229 sono il centro carni capace di lavorare giornalmente 10.000 casse, 500 pallet, 850 quarti disossati, spedire 1.000 quarti sottovuoto, 66.000 kg di vaschette con consegna a 115 punti vendita.

Il progetto realizzato a Pontedera dalla Unicoop Firenze insieme alla CSB-System ridefinisce ancora una volta il concetto di efficienza e integrazione, raggiungendo un livello di eccellenza assoluta nel settore.

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Automazione e integrazione a supporto dell’efficienza L’infrastruttura IT gioca un ruolo fondamentale quando l’obiettivo aziendale è aumentare radicalmente gli indici di efficienza. In questo contesto, CSB-System ha integrato nel progetto Unicoop Centro Freschi Firenze tutta la tecnologia presente nello stabilimento, assolvendo al tempo stesso al compito sia di System Integrator sia di Controlling. In questo modo, il CSB-System gestisce l’intera catena produttiva: dall’entrata merci al sezionamento, dalla produzione carni elaborate e macinate al confezionamento, dall’etichettatura e peso prezzatura fino alla preparazione ordini con relative movimentazioni di magazzino, monitorando on-line oltre 400 processi contemporanei. La breve descrizione dei processi chiave, riportata di seguito, rivela quanto l’elevato grado di automazione raggiunto sia stato la conseguenza di un’analisi dettagliata degli obiettivi eseguita a monte e non solo un effimero esercizio di stile. Sono stati infatti valutati e poi costantemente monitorati, tutti i fattori d’impatto della produttività (FIP). Entrata merci La ricezione della merce è il primo punto d’inserimento e controllo. Le postazioni sono suddivise per tipologia di merce da gestire: quattro per il bovino appeso, una per il suino, una per l’ovino, una per i bancali, una postazione multifunzionale che può adempiere tutte le funzioni e un’ultima linea di ricevimento degli ingredienti, del materiale di consumo e di confezionamento/imballo. A seconda della tipologia dell’articolo ricevuto, vengono attivati specifici processi che si occupano dell’acquisizione dei dati di tracciabilità, possibile anche attraverso la scansione dei codici a barre PDF417 apposti dai fornitori, della verifica del peso, dell’assegnazione del lotto interno, che segue logiche differenziate, e dei controlli qualitativi riferiti al piano di autocontrollo aziendale. Sulla base delle informazioni raccolte, il sistema predispone automaticamente il posizionamento dei quarti nel magazzino/cella a binari

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Il nuovo stabilimento Unicoop. di stoccaggio bovino, raggruppandoli per tipologia coerentemente ai piani di lavoro nelle fasi successive. Tutte le postazioni che si occupano del ricevimento merci sono predisposte con un’interfaccia utente specifica, per consentire agli operatori di reparto un notevole snellimento delle operazioni di controllo e conferma. Il sistema guida gli operatori in tutte le operazioni riferite al piano di autocontrollo, anche nel rilevamento e nella gestione delle eventuali non conformità. Sezionamento Sono sei le linee di sezionamento bovino, che riescono a lavorare 850 quarti bovini al giorno, garantendo la tracciabilità per singolo capo. I piani di lavorazione/sezionamento vengono costantemente adeguati e aggiornati. La pianificazione integrata crea il piano di sezionamento, determinando i fabbisogni in considerazione dello storico, degli ordini clienti, delle promozioni attive e delle richieste del reparto di produzione. Il piano di sezionamento si trasforma in molteplici ordini di sezionamento che impegnano la merce presente in cella. Attraverso terminali mobili, viene indicato agli operatori addetti cosa prelevare e in che posizione; viene richiesta la scansione del codice a barre presente sull’articolo e viene attivato un controllo di coerenza tra le esigenze dell’ordine e la merce selezionata. I prodotti assegnati

all’ordine vengono portati in una zona di pre-carico, dove una postazione fissa esegue un ulteriore controllo di coerenza e registra gli eventuali cali peso fisiologici accorsi al prodotto durante la permanenza in cella. A questo punto, la merce può essere associata alla linea di sezionamento in automatico dal CSB-System oppure manualmente dall’operatore. Sulla linea assegnata appare l’esplosione degli articoli da produrre, che indica agli operatori di reparto il dettaglio del lavoro da svolgere e suggerisce anche le quote e la tipologia delle carnette attese. A fine lavorazione, ogni quarto si muove verso la zona d’imbustamento, divisa tra articoli con e senza osso, dove tramite l’utilizzo di un robot viene scelto il giusto sacchetto, imbustato il prodotto, messo sottovuoto ed etichettato. I nastri trasportatori muovono in tal modo gli articoli nella zona successiva, dove un altro robot provvede al riempimento delle casse e all’invio delle stesse al magazzino automatico. Le carnette generate nelle varie linee vengono analizzate dal sofisticato impianto Foss, che ne rileva la quota di grasso e la presenza di corpi estranei, dopo di che vengono dirette allo specifico magazzino automatico dei triti, polmone di tutte le successive produzioni di macinati, hamburger e salsicce. Il sezionamento suino segue invece delle logiche diverse. Gli arrivi della materia prima sono giornalieri, visto che il CSB-System,

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avanzamento lavori, dove con un sistema a semafori, viene evidenziato l’andamento dei processi, lo stato dei lavori ed eventuali criticità, in modo tale da consentire rapide azioni correttive. La capacità del CSB-System di integrare la tecnologia Rfid, interna alle casse che costituiscono le unità di movimentazione, con i codici a barre che identificano il contenuto delle casse movimentate, garantisce la coerenza delle informazioni e dei dati rilevati.

Liste di taglio. sulla base della pianificazione delle vendite e attraverso il calcolo a ritroso del fabbisogno, genera delle richieste d’ordine da inviare ai fornitori, sulla base dell’assortimento assegnato e del listino vigente. Quindi, i lotti di suino vengono sezionati in 8 camere bianche, tutte attrezzate con postazioni CSB-Rack per controllarne carichi e scarichi. A seconda degli ordini di lavoro programmati, il sistema è predisposto per prendere in carico la materia prima necessaria e controllare rese, quantità e articoli prodotti. I prodotti risultanti dal sezionamento sono poi indirizzati, in base al fabbisogno, al magazzino o al reparto elaborati. Produzione In linea con il sezionamento o tramite approvvigionamento di semilavorati dal magazzino a casse, sono costantemente alimentate 8 linee parallele di peso-prezzatura, nelle quali i prodotti vengono pesati, confezionati, controllati ed etichettati in automatico. In ogni fine linea, per rispondere all’esigenza di aumentare i controlli di sicurezza sul prodotto, sono state installate postazioni in cui l’operatore visualizza, in maniera semplice, intuitiva ed immediata, il lotto, l’articolo, il prezzo, il marchio, la scadenza minima per ordine di evasione. I prodotti finiti sono poi inviati, secondo i casi, al magazzino a casse oppure montati su pallet ed inviati nella zona di picking per essere spediti ai punti vendita.

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Processi più trasparenti ed efficienti hanno consentito di ridurre in modo significativo la quota dei reclami da parte dei clienti. Elaborati Il reparto elaborati sfrutta anche lo speciale modulo di ottimizzazione delle ricette, uno strumento potente e funzionale, il cui scopo è mantenere inalterati qualità e impatto sensoriale del prodotto finito. Attraverso la navigazione all’interno di varianti prestabilite dalle distinte base, il modulo ricerca a magazzino la combinazione ottimale, sia in termini di qualità che di tipologia che di costo e scadenza a livello di materia prima. In seguito a tale analisi e sulla base degli ordini di produzione inseriti, le casse di prodotto sono deviate verso i vari reparti produttivi. Il CSB-System gestisce, elabora ed archivia tutte le informazioni relative alla tracciabilità, alle scadenze, alle rese e alla produttività di ogni reparto produttivo. Il collegamento nel CSB-System anche di tutti i sistemi di movimentazione completa la gestione globale del reparto. Cockpit di controllo La Control Room gestisce diverse postazioni. Alcune sono focalizzate sull’intralogistica e le movimentazioni e controllano, pertanto, gli spostamenti e le posizioni all’interno dei due magazzini automatici: uno a casse da 40.000 posizioni e uno per i triti con capacità di 1.600 casse. Altre costituiscono il monitor di controllo

CSB-System: rendere una soluzione standard qualcosa di eccezionale Particolare attenzione è stata data sia alla semplificazione delle interfacce utente, custodendo, però, elevata fruibilità e coerenza dei dati gestiti, sia alla necessità di integrare l’intera infrastruttura tecnologica presente in stabilimento. Ogni funzione, come ad esempio l’insacchettamento del sottovuoto o il riempimento e l’impilamento delle casse, è gestita dalla robotica, tuttavia resta parte del macro processo aziendale. L’idea di ottimizzazione si concretizza infatti solo quando le singole macchine sono coordinate all’interno di un macro processo di controllo. Punto cardine e pensiero costante nelle logiche di sviluppo del gruppo è da sempre la sostenibilità: oltre l’11% del fabbisogno energetico è infatti autoprodotto dall’innovativo impianto fotovoltaico, che copre una superficie di 30.000 m2. Il progetto realizzato a Pontedera dalla Unicoop Firenze insieme alla CSB-System ridefinisce ancora una volta il concetto di efficienza e integrazione, raggiungendo un livello di eccellenza assoluta nel settore. Partecipate al convegno con visita guidata in uno dei più efficienti stabilimenti di lavorazione carne. Saremo lieti di incontrarvi e progettare con voi un altro caso di successo: il vostro. Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: segreteria@csb-system.it Web: www.csb-system.it

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Haripro, leader in Italia nella produzione di proteine e aromi naturali, fornisce le pi첫 importanti aziende produttrici di ingredienti per la salumeria. Haripro grazie ad una continua ricerca, ha sviluppato negl'anni prodotti sempre pi첫 all'avanguardia, come proteine funzionali ed aromi naturali anallergici ad alto valore nutrizionale. Haripro is a leading producer of proteins and natural flavours in Italy. It supplies the most important Companies which blend ingredients for the meat industry. Haripro, thanks to a continuous research, had developed through years more advanced products like functional proteins and hypoallergenic natural flavours with high nutritional value.

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Libri Nuova edizione inglese del volume “Balsamico della tradizione secolare”

Balsamico speaks English

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uasi 25 anni di esperienza in cucina l’uno, almeno 12 anni di invecchiamento l’altro, entrambi modenesi DOP. MASSIMO BOTTURA, chef dell’Osteria Francescana, tra i top 3 dei The World’s 50 Best Restaurants Awards, e l’Aceto Balsamico Tradizionale insieme in cucina danno vita a veri e propri “miracoli culinari”. La nuova edizione inglese del volume Balsamico della tradizione secolare ne raccoglie alcuni: otto ricette proposte dal grande chef, un regalo agli estimatori del Balsamico di tutto il mondo e a quanti vogliono mettersi alla prova ai fornelli col prezioso ingrediente.

L’unica “biografia autorizzata” del Balsamico Tradizionale The age-old tradition of Traditional Balsamic Vinegar of Modena, rivolto a un pubblico internazionale, è in vendita on-line su Amazon.com e Ibs.it, le due più importanti librerie virtuali della rete. Il libro, realizzato col patrocinio della Regione EmiliaRomagna, è curato dalla Consorteria dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Spilamberto, in collaborazione con la Camera di Commercio di Modena e il Museo del Balsamico Tradizionale. La Provincia di Modena e il Comune di Spilamberto sono i partner istituzionali, Banca popolare dell’Emilia Romagna e il Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP gli sponsor che hanno contribuito alla realizzazione dell’opera. Il volume, traduzione dell’edizione italiana uscita lo scorso anno, è l’unica “biografia autorizzata” del Balsamico Tradizionale, che per la prima volta raccoglie in maniera completa ed esaustiva contributi storici e tecnico-scientifici relativi a un’eccellenza enogastronomica. È una bussola con istruzioni e consigli per produttori e appassionati, ma 112

interessante anche per i curiosi che vogliono avvicinarsi al mondo del Balsamico Tradizionale. Il libro rende omaggio al territorio emiliano: le sue 400 pagine raccontano di un prodotto che conserva e tramanda la memoria del passato, dei suoi più antichi utilizzi, del lavoro nei campi, delle cure rigorose e della lentezza del suo evolversi. L’appendice gastronomica con le ricette di Massimo Bottura L’edizione in lingua inglese è arricchita da una gustosa novità: un’appendice gastronomica che raccoglie alcune delle più famose ricette di Massimo Bottura, tutte accomunate da un ingrediente d’eccezione. Dal croccantino al foie gras con Aceto Balsamico, i tortellini fritti e la “seppia rapita” al porcellino da latte spruzzato con Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Extra Vecchio, il coniglio all’Aceto Balsamico, i cannelloncini alle ostriche con alga wakame glassata al balsamico e salsa di calamaro, fino al sorso di pera affogata nel vin brulé alla saba e il cappuccino alla cipolla con Aceto Balsamico Tradizionale e olio extravergine di oliva. Il sodalizio con la Consorteria di Spilamberto dura da lungo tempo: basti pensare che la batteria personale di Bottura è a balia da anni presso l’acetaia sociale della Consorteria. Aceto Balsamico Tradizionale “Worldwide” Il libro è costituito da cinque sezioni che approfondiscono i diversi aspetti dell’Aceto Balsamico Tradizionale e arricchito da un’ampia raccolta fotografica che racconta il percorso del prodotto, dall’uva al mosto, all’invecchiamento nelle botti, fino all’imbottigliamento. Si comincia con la prima parte dedicata agli aspetti storici del prodotto. Le materie prime e le conoscenze tecniche che con-

The age-old tradition of Traditional Balsamic Vinegar of Modena a cura della Consorteria di Spilamberto – € 35,00 sentono di produrre un buon Aceto Balsamico Tradizionale di Modena sono al centro della seconda parte del testo. È l’acetaia la protagonista della terza parte del volume dove vengono svelati tutti i segreti per la preparazione, avviamento e conduzione del luogo che accompagna il Balsamico Tradizionale verso una perfetta armonia di odori, sapori e consistenza. La quarta parte è dedicata agli aspetti organolettici che caratterizzano l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena e il percorso per la sua valutazione. Il libro si chiude con una quinta parte dedicata ai baluardi che hanno il compito di conservare e tramandare questa tradizione antichissima: la Consorteria dell’Aceto Balsamico Tradizionale, l’annuale Palio di San Giovanni e il Museo del Balsamico Tradizionale. Premiata Salumeria Italiana, 4/13


Il profumo della tradizione, il gusto della qualitĂ .

Bacio della Luna Spumanti s.r.l. Via Rovede, 36 31020 Colbertaldo di Vidor TREVISO info@baciodellaluna.it www.baciodellaluna.it Premiata Salumeria Valdobbiadene Pinot Italiana, 4/13 Prosecco Superiore DOCG Vino Spumante Extra Dry Rosè Millesimato

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113 Prosecco DOC Vino Spumante Brut


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Premiata Salumeria Italiana, 4/13


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