Premiata Salumeria Italiana 4-2014

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXVI N. 4 Luglio-Agosto 2014

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N. 4 Anno XXVI Luglio-Agosto 2014

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Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988 Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Renato Bergonzini – Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Redazione New York Stefano Spadoni – Alessandra Rotondi P.O. Box 569, New York, NY 10101-0569 Tel./Fax +1 212 956 8566 E-mail: stefanony@stefanospadoni.com

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N. 4

In questo numero: Immagini

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Il food in rete

Social food

Elena Benedetti

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Comunichiamo

Comunicazione, pubblicità ed etica

Chiara Russotto

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Aziende

Franceschini: per i suoi cinquant’anni c’ero anch’io

Gaia Borghi

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Il Signor Würstel

Carlo Cantoni

Speciale Würstel

Scarlino: dalla Puglia alla Polonia per i würstel di Pollo Prodotti tipici

Sul Pollino a caccia di sapori

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Massimiliano Rella 36

Carni e salumi Troier: l’affumicato che piace

Riccardo Lagorio

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Pitina, pita o pituccia, presente e passato del Friuli

Giorgio Montanari

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Speck Igp, famiglia e territorio

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Mercati

Made in Italy alimentare: un Sistema Paese forte per crescere nel mondo

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Marketing

Dadini di pancetta Il Colle: i cubetti perfetti

Interviste

Il culatello minacciato dalla volgarizzazione del nome

Salumi in tavola

1.000 modi di cucinare la mortadella

Nunzia Manicardi

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Sapori mediterranei

Riso arcano

Riccardo Lagorio

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Tendenze

Street e finger food: nomi internazionali per cibi tradizionali

Sebastiano Corona

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L’arte in cucina

Marchesi: ritorno al futuro

Clara Scaglioni

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Locali di gusto

Fud, quando l’hamburger è “gud” e local

Federica Cornia

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Gaia Borghi

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Week-end

Picnic sulla spiaggia

Clara Scaglioni

Bresaola festival: tremila degustazioni in beneficenza

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Piaceri divini tra Volterra e Castagneto Carducci

Angelo Valentini

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Rassegne

Salone del Gusto e Terra Madre: all’Expo sì, ma in maniera critica

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Fiere

SIAL: la distribuzione alimentare è in fermento

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L’Italia da mangiare

Elena Benedetti

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Formaggio

Raìsc, formaggi a due passi dal Paradiso

Riccardo Lagorio

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Pasta

Paone: italiana per tradizione, buona per passione

Massimiliano Rella

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I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: lo chef comanda, il vino risponde

Laura Franchini

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Birra

Birra e buoi dei paesi tuoi

Riccardo Lagorio

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Olio

Oliva di Gaeta, l’olio è servito

Massimiliano Rella

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Aceto

Universo balsamico

Leonardo Giacobazzi 106

Tecnologie

CSB-System, software specifico di settore al servizio della gastronomia

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Una collaborazione vincente!

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Storia e cultura

Italia dai mille salumi

Giovanni Ballarini

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Libri

Cake, la cultura del dessert tra tradizione araba e Occidente

Nunzia Manicardi

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Un alimento della tradizione carrarese

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I salumi piacentini nella storia manuale

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Mangiato bene? Le 7 regole per riconoscere la buona cucina

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Il genio del gusto

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In copertina: festeggiamo la vittoria tedesca ai Mondiali 2014 con würstel artigianali e birra (photo © Massimiliano Rella).

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Immagini

Massimiliano Rella ha recentemente visitato il Parco nazionale del Pollino a caccia di sapori e, tra le tappe, ne ha fatta una da Asid, azienda di salumi di Castelluccio Inferiore, Potenza. Ce ne parla a pagina 36 (in alto, pancette tese. La concia è realizzata con peperone di Senise Igp in scaglie; photo Š Massimiliano Rella).

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Il food in rete

Social di Elena

2. MAD 2014 1. Visite in cantina ancora più facili Una pagina web e un’App pensate per coloro che vogliono concedersi un week-end o una vacanza alla scoperta del meglio dell’enologia nazionale, prenotando la loro visita stando comodamente seduti davanti al PC. Questo è VisitCantina.it, il primo sito interamente dedicato alle prenotazioni di visite e degustazioni nelle cantine italiane. L’idea nasce dall’intuizione di EDIMARCA, società trevigiana che si occupa di servizi editoriali per il mondo del vino. Utilizzare la piattaforma è facile e immediato. Accedendo al database del sito si può cercare la cantina da visitare per regione, provincia o denominazione oppure cliccare sui loghi che scorrono nell’homepage. Gli enoturisti possono navigare in libertà, consultando i profili, scoprendo le proposte di degustazione e gli eventi in calendario. La registrazione è richiesta solo al momento della prenotazione. La piattaforma di VisitCantina, oltre che dal sito web, è accessibile anche attraverso l’applicazione gratuita per smartphone e tablet, sia per iOS che per Android.

È il simposio gastronomico più elitario a livello planetario e l’appuntamento 2014 sarà il 24 e 25 agosto sempre a Copenaghen. MAD, ideato nel 2011 da René Redzepi, quest’anno è co-curato dal super chef Alex Atala. Cosa bolle in pentola? Lo si può scoprire consultato il portale web madfood.co, che via via raccoglierà informazioni sempre più dettagliate in fase di pre-evento e video dei vari interventi a far data dal 26 agosto.

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food Benedetti

4. Salame Felino nel web

3. # Difendi la qualità della tua vita È iniziata a maggio la nuova campagna QualiTherapy del Consorzio del PROSCIUTTO DI PARMA, ideata dall’agenzia Cayenne. Il progetto è incentrato sul tema “Difendi la tua qualità della vita” e promuove uno stile di vita meno social dipendente e più orientato a godersi la vita, mangiando bene e riprendendo il controllo del proprio tempo. Secondo dati Audiweb, nel 2013 l’accesso a internet da qualsiasi luogo e strumento ha raggiunto l’82% della popolazione italiana tra gli 11 e i 74 anni, pari a 39 milioni di individui. Siamo connessi oltre 2 ore al giorno da mobile e sempre pronti a socializzare. Il Consorzio del Prosciutto di Parma ci invita a rallentare e a disintossicarci dall’abuso di social network. E lo fa utilizzando anche questi strumenti! Il tutto con una chiave di comunicazione scanzonata ed efficace, anche sul portale DifendilaQualita.it

Prodotto nella provincia di Parma il SALAME FELINO Igp è oggi tutelato da un consorzio che ne garantisce la tipicità e la denominazione geografica. La materia prima impiegata è costituita da carne di suini nati, allevati e macellati in Italia secondo le caratteristiche degli allevamenti e dei maiali utilizzati nella filiera produttiva del DOP Prosciutto di Parma. Per scoprire i produttori aderenti c’è il portale salamefelino.com

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Comunichiamo

Comunicazione, pubblicità ed etica di Chiara Russotto

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n questo articolo avremmo dovuto parlare del come pubblicizzare la vostra azienda su Facebook, poi, mi è capitato un fatto, e così ho deciso di scrivervi riguardo alla promozione della vostra azienda attraverso “referenti autorevoli”. Facendo un salto anche nel particolare universo dei blog. Una mattina, una mail Tempo fa, un cliente mi ha inoltrato un’e-mail inviatagli da un’agenzia di comunicazione. Il messaggio diceva così: “Buongiorno, sono X, seguo la

visibilità on-line per un’azienda che si occupa della vendita di α, β e γ. Saremmo lieti di poter comparire sul vostro blog, anche con una semplice citazione con un link, naturalmente alle vostre condizioni. Cordiali saluti, X”. La prima cosa che ho notato è stato uno stridore nella comunicazione, qualcosa che mi ha messo sul “chi va là…”. Ho risposto quindi all’agenzia presentandomi e chiedendo il nome dell’azienda di cui sopra, così da avere la possibilità di considerare la bontà dei prodotti realizzati. Ho

poi ricevuto una e-mail da un altro responsabile dell’agenzia, tale dott. Y, che mi ha risposto così: “Buongiorno Chiara, sono Y, responsabile attività SEO — i responsabili SEO si occupano dell’ottimizzazione, indicizzazione e visibilità dei siti su web — capisco la richiesta, ma siamo ancora in una fase di presentazione ed il cliente è particolarmente attento a tutelare la propria riservatezza. Ovviamente, se la proposta può essere interessante non ci sarà nessun problema. Ritenete che la proposta possa essere d’interesse per il vostro cliente? Normalmente, ge-

Chiara Russotto ha 37 anni, è consulente di comunicazione e titolare insieme a Federico Roveda di Smarti Editrice. Si occupa prevalentemente di food, adora i suoi clienti, cede al cibo per amore, lotta con la dieta, ride, ha due cani ed una passione per i libri che trattano argomenti dei quali, lei, non capisce assolutamente nulla.

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stiamo questi rapporti nell’ambito di una sorta di scambio merci”. Insomma un’offerta da afferrare a scatola chiusa… Sapete perché non hanno voluto svelare il nome dell’azienda? Perché nel mondo dei blogger esiste una sorta di regola etica che spinge a “denunciare” le agenzie e le aziende che fanno leva sull’esplicito “se scrivi/ti pago”. Vendita, guadagno e etica Il cliente che mi ha inoltrato l’e-mail mi dà la possibilità di gestire con grande libertà tutta la sua comunicazione: web, blog, social network e tutta la prassi di semplificazione delle relazioni istituzionali. Gli articoli che pubblichiamo sul suo blog — definiti insieme a lui — trattano argomenti inerenti al suo mondo e che per una scelta precisa, vengono pubblicati per merito, interesse o informazione. Insomma, se l’azienda, la persona o il prodotto è di qualità, l’articolo viene pubblicato ovunque, senza scopo di lucro. In questo modo, l’azienda della quale parliamo guadagna l’affidabilità del nostro cliente, rimane costante e il blog propone ottimi contenuti, anche ai fini dell’indicizzazione su web. Ma torniamo a noi… Qualche tempo fa Nonino Distillatori si trovò alle pre-

se con un problema causato da una scelta di comunicazione non proprio trasparente. Un’agenzia alla quale aveva affidato tutta la gestione della promozione su web, aveva contattato i blogger più influenti del settore, promettendo loro — per un articolo sui loro prodotti — una sorta di pagamento. Uno di questi blogger decise così sì di scrivere un articolo su Nonino Distillatori, ma di denuncia contro un metodo di manipolazione dell’informazione sempre più diffuso. L’azienda subì così un danno d’immagine, tanto che una delle proprietarie si espose in prima persona, scusandosi pubblicamente e spiegando il motivo per cui avevano scelto, ignare del metodo che avrebbe applicato, quell’agenzia. Per fortuna il danno fu di breve durata, i clienti apprezzavano le grappe prodotte dall’azienda a prescindere dalla “scivolata”: avevano avuto anni di fidelizzazione al prodotto e più di un secolo di esperienza sulla serietà e qualità di produzione di quel marchio. Da questo impariamo che è bene pianificare insieme alle agenzie il modo in cui le strategie migliori verranno messe in atto: se la vostra è un’azienda giovane ed avete l’esigenza di farvi conoscere, ricordatevi

che sarà sempre bene procedere in maniera estremamente trasparente, così da dare valore al vostro lavoro e rafforzare la vostra credibilità. Pubblicità Supponiamo che io lavori in una gastronomia/salumeria e che io scelga e lavori prodotti di grandissima qualità. Ora, voglio fare conoscere questa qualità a un pubblico molto più vasto. Cosa faccio? Devo occuparmi con cura dei miei clienti e creare delle collaborazioni con altri imprenditori eccellenti, così da lanciare il passaparola; quindi (come abbiamo già detto negli articoli precedenti) dovrò curare bene l’immagine ed i contenuti del mio sito, dei biglietti da visita, dei social network e delle brochure, dando la possibilità alle persone che mi cercheranno — e che entreranno in contatto con me — di trovarmi su web formandosi un opinione positiva. E poi? Come prima cosa sceglierò i cuochi più bravi a cui mandare i miei prodotti, li contatterò telefonicamente chiedendo di poterglieli portare gratuitamente, in modo che li possano assaggiare e utilizzare nella realizzazione delle loro ricette. Inizierò presentando il mio lavoro.

Falky e Jees ovvero Silvia e Jessica, le due blogger di theyummyescape.com. Ecco cosa significa fare la food blogger per le due ragazze: «Yummy + Espace, in due parole la nostra vita. Cibo e viaggi sono i genitori di questo food diary nato dalla nostra passione per le diverse cucine dal mondo. Crediamo che viaggiare con il cibo, coinvolgendo i cinque sensi, sia una delle sensazioni più belle che si possano sperimentare. Pensiamo fermamente che la cucina sia creatività e che ogni forma d’arte la possa ispirare. Partendo dalla nostra esperienza, coinvolgeremo nel nostro percorso giovani provenienti da diverse città che come noi hanno fatto della creatività il loro lavoro. Attraverso le loro storie, i viaggi, gli interessi, il loro rapporto “odi” oppure “amo” con i fornelli, ci faremo raccontare come interpretano la cucina».

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Se tutto andrà bene, avrò aperto un nuovo rapporto: lo chef parlerà della qualità dei miei prodotti ed io di lui. Se tutto andrà male, invece, avrò speso un pochino di soldi, senza però danneggiare la mia azienda… anzi! Se invece si parla di grandi obiettivi ed altri ambiti di produzione, come per esempio fare conoscere i miei prodotti a livello regionale, nazionale, europeo e mondiale, il discorso cambia… Non potrò contattare personalmente tutti gli imprenditori più bravi — solo una parte — e sarà il momento di scegliere con cura qualcuno che si occupi di me. I blogger Blog e blogger richiedono un articolo a sé, perché dal 1997 (anno in cui è nato il primo blog) ad oggi hanno scatenato un fenomeno che, a livello mondiale, ha stravolto tutte le regole di comunicazione. Ci sono blogger che parlano di cibo, vino, giornalismo, moda, francobolli, arte, modellismo, tecnologia, giardinaggio, musica, animali, trucco, biologico, ristrutturazioni, ecc… Perché l’argomento in questione è la loro passione e ognuno di loro ha un’opinione, una cultura e uno stile che nel blog ha la possibilità di esprimersi condividendo contenuti a distanze inimmaginabili. I blogger bravi, proprio perché parlano di argomenti molto vicino a noi, attirano l’interesse di un’infinità di utenti web. Per questo le aziende produttrici di beni e servizi si orientano verso i blog più visitati e interessanti creando collaborazioni. Perché se un blogger pubblica un articolo sui prodotti inviatigli gratuitamente, parlerà ad un pubblico di utenti molto vasto e omogeneo. Ma quali sono i vantaggi per i blogger che pubblicano articoli, video o video ricette su determinati prodotti? Il primo vantaggio è l’affluenza degli utenti del web sul loro blog (e più utenza si ha, più si ha la possibilità di guadagnare). Un esempio su tutti

È uno dei food blog segnalati quest’anno dalla redazione dell’Huffington Post e ha un dominio semplice ed eloquente: iamafoodblog.com. L’autrice, Stephanie Le, appassionata di fotografia e di gastronomia ha recentemente pubblicato un libro e ha vinto il premio Editors’ Choice for Best Cooking Blog e Blog of the Year 2014 della rivista Saveur Magazine. Nella foto una ricetta vietnamita (photo © iamafoodblog.com). ClioMakeUp che attraverso i tutorial sul trucco (e una personalità scoppiettante) è diventata una vera e propria celebrità. In libreria troverete i suoi libri e da un paio di stagioni è possibile seguirla anche in televisione. Un altro vantaggio per i blogger è quello di ricevere gratuitamente prodotti da testare. Un altro ancora, è quello di essere seguiti e apprezzati, contribuendo in qualche modo al formarsi dell’opinione altrui su argomenti specifici. Chiaramente siamo persone e, quindi, avrete la possibilità di incontrare blogger di tutti i tipi. Alcuni saranno entusiasti di ricevere nuovi prodotti da testare, altri vi chiederanno in maniera più o meno esplicita forme di pagamento. In ambedue i casi trovo che il modo migliore per creare collaborazioni sia quello più diretto e trasparente, rendendo il blogger testimonial di una campagna pubblicitaria o — ancor meglio — creando le basi per un

rapporto di sponsorship. Un’azione marketing utile e proficua. Concludendo Comunicare è utilissimo per ogni tipo di attività, non abbiate timori e metteteci ogni entusiasmo perché i frutti piano piano arrivano. Ma imparate a scegliere le vostre agenzie. Sono un’infinità quelle brave! Non accontentatevi di chi vi offre il miglior prezzo, parlate con le persone che si prenderanno cura di voi, parlategli il più possibile degli obiettivi che volete raggiungere e, soprattutto, del vostro modo di lavorare, così che i comunicatori usino sì strategie e “illusionismi”, ma lo facciano con etica, rispecchiando perfettamente voi e la vostra azienda. Perché… vi farebbe piacere scoprire di avere perso un’opportunità per colpa del modo in cui vi hanno presentati? Chiara Russotto

Domandateci, chiedeteci, contattateci: ogni mese, attraverso questa rubrica, risponderemo alle mail che ci sembreranno più utili ad approfondire gli argomenti trattati. Vi preghiamo di darci più informazioni possibili, così da rendere i nostri consigli efficaci o nel caso siate interessati ad argomenti specifici, di comunicarcelo a info@pubblicitaitalia.com

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Aziende

Franceschini: per i suoi cinquant’anni c’ero anch’io Una vera e propria celebrazione degli affetti quella andata in scena in una calda domenica di giugno a Castello di Serravalle, quando il Salumificio Franceschini ha festeggiato i suoi primi 50 anni di Gaia Borghi

È

un bel cartellone colorato pieno di firme svolazzanti quello che campeggia da qualche settimana sulle pareti dell’ufficio di Simone Franceschini. In alto una grande scritta, a testimonianza dei festeggiamenti per una ricorrenza importante: “Per i tuoi cinquant’anni c’ero anch’io”. La famiglia Franceschini è infatti

titolare dell’omonimo salumificio ubicato in via Valle del Samoggia a Castello di Serravalle, Bologna, esattamente da mezzo secolo. E sono stati tanti quelli che hanno raggiunto la sede dell’azienda in una caldissima domenica di giugno: amici, dipendenti, ex dipendenti, clienti, vecchi e nuovi, fornitori arrivati da vicino e da lontano per salutare, stringere

le mani, abbracciare, celebrare tutti insieme questi primi cinquant’anni di successi, sacrifici, affetti. «Dalle quantità di salame mangiato posso dirti che saranno passate tra le 400 e le 500 persone almeno — mi dice Simone, che puntualizza sorridendo — per quanto riguarda il sole, invece (in questa primavera-estate 2014 che proprio sembra non voler prendere il

I salumi Franceschini offerti durante il buffet.

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Il taglio della torta per i cinquant’anni di attività del salumificio: da sinistra, Simone, Paolo, Pasqualino, Primo, Giulio e Luisa Franceschini. Alla festa erano presenti anche alcuni giornalisti e gli operatori di Radio International. via…), avevamo fatto una richiesta da tempo. Sai, volevamo essere sicuri di festeggiare come si deve». Con Simone, in prima fila ad accogliere gli ospiti, il nonno Primo, “l’ingegnere”, come lo conoscono da queste parti, e lo zio Pasqualino Franceschini, i due fratelli che nel lontano 1964 aprirono nel centro storico di Savigno quella piccola azienda di macellazione e trasformazione delle carni suine con bottega annessa che nel tempo sarebbe diventata l’odierno salumificio. Poi il padre Giulio, Ermes per gli amici, i cugini Paolo e Luisa, e la mamma, in passato impegnata personalmente nella ditta e oggi “arruolata” nelle maestranze soltanto nei periodi di maggior carico di lavoro, come le settimane che precedono le feste natalizie. Prima della classica torta del cinquantenario, decorata con simpatici maialini di zucchero, il ricco buffet allestito davanti all’azienda offriva tutte le specialità per le quali è giustamente famoso il marchio Franceschini: salame, prosciutto e

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pancetta, oltre ad una montagna di sfrigolanti salsicce alla griglia e due succulenti porchette. «Le vere regine della festa» precisa Simone. «Sarà perché la porchetta qui da noi la si mangia raramente, mentre i salumi fanno praticamente parte della nostra dieta quotidiana. Certamente, è stata una bella soddisfazione incontrare l’approvazione di tutti anche per questo prodotto». Ieri, oggi e domani «Mio nonno è una vera e propria fucina di idee continua» racconta Simone. «Adesso, che in azienda ci viene tutti i giorni anche solo per un saluto veloce, è sempre pronto ad imbarcarsi in un nuovo progetto, è attento a quello che succede intorno a lui, a come cambiano i gusti, le richieste dei consumatori. Non si ferma mai». E forse è proprio questa la forza della famiglia Franceschini: mai smettere di guardarsi attorno, cogliere le nuove tendenze, sperimentare… «Siamo soddisfatti di come stanno andando le cose — prosegue Simone — la nostra

è una piccola realtà, familiare, con una quindicina di dipendenti in tutto. Quello che ci differenzia rispetto ad altri, ciò su cui abbiamo costruito la nostra forza, la solidità dell’azienda, credo sia il fatto che scegliamo ogni giorno di non rinunciare alla qualità per cui mio nonno e mio zio si sono fatti conoscere ed apprezzare cinquant’anni fa. Tutto ciò richiede ovviamente grande impegno, sforzi e sacrifici, ripagati dall’apprezzamento di una clientela, affezionata, a cui forniamo un servizio che non è mai cambiato, anzi, direi sia migliorato. Conosco tante altre realtà che per guadagnare qualcosa in più hanno scelto di abbassare il target della propria gamma di prodotti, offrendo salumi più scadenti, e oggi hanno chiuso. Noi abbiamo intrapreso una strada diversa e i risultati ci danno ragione». I problemi però ci sono e sono quelli che in questo delicato momento storico si trova ad affrontare il Paese tutto: le difficoltà economiche che hanno portato ad una generale contra-

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L’ultimo nato in casa Franceschini: il salame biologico. zione dei consumi e, soprattutto, ad un cambiamento degli acquisti nella direzione di prodotti meno costosi. Per le aziende, invece, pensiamo alle gravi problematiche relative alla riscossione e al ritardo con cui vengono effettuati i pagamenti — un aspetto, questo, mai davvero risolto nonostante i recenti interventi legislativi — una generale lentezza della burocrazia, le contraddizioni in cui versa il mercato… «Proprio per evitare o comunque limitare al massimo problematiche di carattere economico e legale, da tempo abbiamo attuato una rigida selezione della clientela. Oltre a questa accortezza, dal mese di febbraio abbiamo avviato un progetto di internazionalizzazione rivolto nello specifico all’Inghilterra, con Londra a fare da traino, un mercato vivace che è molto interessato ai nostri salumi, e alla Germania, insieme a Svizzera e Austria.

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Abbiamo fatto una piccola indagine e sono questi i Paesi con le maggiori prospettive per i nostri prodotti, dal salame al prosciutto fino alle varie salamelle insaccate in budello naturale e allo strolghino, anche quello al tartufo. Quest’ultimo lo abbiamo realizzato in occasione della manifestazione che si tiene a Savigno ogni anno a novembre (la Sagra nazionale del tartufo bianco pregiato di Savigno e dei Colli Bolognesi) ed è una specialità che trova sempre nuovi estimatori». Il progetto è appena iniziato, quindi, «ma noi ci crediamo moltissimo» puntualizza Simone. «La commercializzazione avverrà tramite importatori locali: la stragrande maggioranza, tra l’altro, è rappresentata da emigrati italiani. D’altronde, chi meglio di un italiano potrebbe presentare come si deve la nostra salumeria?».

Proprio dall’interessamento al mercato tedesco ha preso corpo l’idea della produzione di un salame biologico. Il mercato del bio in Europa vale oltre tredici miliardi e la Germania è sempre stata la nazione di riferimento. Anzi, dai dati emersi dal recente rapporto “Germany Organic Food Market Forecast and Opportunities, 2019”, il mercato del biologico tedesco è destinato a crescere entro i prossimi cinque anni di un ulteriore 9%, grazie all’espansione della produzione nazionale e all’aumento dei guadagni pro-capite. «Abbiamo già ottenuto la certificazione per la commercializzazione del salame biologico ma la produzione non è ancora iniziata ufficialmente» mi dice Simone. «Diciamo che la ricetta sperimentata non ci ha ancora soddisfatti al 100%. Siamo sempre molto esigenti quando si tratta di lanciare un nuovo prodotto sul mercato e in questo caso lo siamo ancora di più perché la produzione biologica richiede accortezze differenti». Gli ingredienti di questo nuovo prodotto sono naturalmente carne suina biologica di provenienza nazionale, certificata, sale, pepe e vino, anch’essi bio. Il vino è il Rugiada di Corte d’Aibo, azienda vitivinicola sita a Monteveglio, borgo incantevole in provincia di Bologna, non distante dal salumificio. Il Rugiada è un bianco fermo, aromatico, unione sapiente di Pignoletto, Gewürztraminer e Malvasia, è prodotto senza solfiti ed è certificato da AIAB, l’associazione italiana di agricoltura biologica. «Il nuovo salame ha un gusto molto particolare e un sapore deciso. Le persone alle quali lo abbiamo fatto assaggiare ci hanno riferito che ricorda loro i salami artigianali di un tempo, quelli fatti in casa dal contadino per intenderci. Un salame decisamente rustico, insomma, a grana grossa, con le fette di un bel rosso intenso, morbido e profumato». Dopo i successi calcistici ottenuti ai Mondiali, i consumatori tedeschi organic food addicted potranno presto godersi anche l’ultimo gioiello di casa Franceschini. E se in Brasile gli Azzurri hanno fatto una figuraccia, in questo campo sono certa della nostra vittoria. Gaia Borghi

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Beppino Occelli per la lotta alla SLA Lo scorso 2 giugno, al Royal Park I Roveri di Fiano Torinese, si è svolta l’XI edizione della “Fondazione Vialli e Mauro” Golf Cup, evento di beneficenza con l’obiettivo di destinare fondi alla ricerca medico-scientifica sul cancro e sulla sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Il torneo di golf ha coinvolto, insieme a professionisti come Matteo Manassero, il più giovane vincitore di un European Tour, e ai padroni di casa Gianluca Vialli e Massimo Mauro, anche molti protagonisti della storia del calcio, come Alessandro Del Piero, Johan Cruijff, Michel Platini, mentre dal mondo dello spettacolo hanno partecipato il conduttore e illusionista Marco Berry e l’attore Flavio Montrucchio (nella foto insieme ad Umberto Milano). Grande protagonista dell’aperitivo a fine gara Beppino Occelli e le sue prelibatezze casearie. È stato allestito un angolo del gusto tipico della tradizione piemontese che ha esaltato ancora di più la bellezza del burro e dei formaggi Occelli; dalla Tuma dla Paja ai tre latti, andata letteralmente a ruba, al prestigioso Occelli al Barolo, premiato da Slow Food nel 1999 come miglior formaggio ubriaco. La serata è proseguita con la cena, e non poteva esserci occasione migliore per presentare in anteprima la nuova collaborazione tra Beppino Occelli e Pastificio Michelis, protagonisti di un percorso comune legato all’eccellenza. I piatti principi della serata sono infatti stati i maltagliati al Crutin al tartufo e burro Beppino Occelli e i ravioli del Plin ripieni al Valcasotto Beppino Occelli.

Al Salumificio Peveri si festeggiano i 40 anni di A.M.I.R.A. Ticino Cosa c’è di meglio per festeggiare il proprio compleanno che riunirsi intorno ad un tavolo imbandito di delizie insieme agli amici, brindando ai traguardi raggiunti e al futuro? Così hanno fatto i soci di A.M.I.R.A. Ticino, l’Associazione Maîtres Italiani Ristoranti Alberghi del Canton Ticino che, in occasione dei 40 anni di vita, ha organizzato, lo scorso giugno, una gita nel piacentino con sosta “professionale e golosa” al Salumificio Carlo Peveri. In collaborazione con gli studenti della classe II G dell’Istituto Alberghiero di Stato Magnaghi di Salsomaggiore Terme, alla Peveri hanno organizzato l’accoglienza per gli ospiti trasformando la trasferta in un vero e proprio viaggio dei sensi. Un viaggio nel quale i salumi, veri e propri “tesori” della cantina di casa Peveri, hanno letteralmente entusiasmato gli ospiti: mandola, culatello con cotenna, coppa… Roberto Introzzi, attuale presidente dell’associazione A.M.I.R.A. del Canton Ticino, ha confermato, a nome degli intervenuti, la positiva scoperta di questa terra e dell’accoglienza calorosa che Peveri ha riservato loro. >> Link: www.salumificiopevericarlo.com

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Fiorucci partner del master in Restaurant Management e Marketing di Antonello Colonna Cesare Fiorucci Spa, azienda leader in Italia nel settore dei salumi, è partner del master in “Restaurant Management e Marketing: nuove imprese nel food & beverage” dello chef Antonello Colonna (in foto a lato). Alberto Alfieri, Amministratore Delegato della Cesare Fiorucci Spa, spiega: «Il master è una partnership che sottolinea il legame di Fiorucci con il territorio e l’amore per l’eccellenza enogastronomica italiana nel mondo. In un momento di profondo mutamento sociale consideriamo importante investire nella formazione di nuove figure manageriali capaci di interpretare i cambiamenti nel settore per esaltare le potenzialità delle aziende che muovono l’economia». A partire dall’8 settembre 2014 sarà ospitato il master presso il Resort & Spa Antonello Colonna di Labico (paesino ad una quarantina di chilometri da Roma), nel meraviglioso parco Naturale di Vallefredda. Quattro mesi di lezioni frontali, alternate a momenti esperienziali, visite aziendali, testimonianze, project work e laboratori di cucina quotidiani, effettuati durante vere e proprie operazioni di servizio aperte al pubblico. A completare il percorso, sei mesi di stage che si terranno presso le strutture di Antonello Colonna, Open Colonna e Antonello Colonna Resort, e presso le società partner di questo corso. Fiorucci, inoltre, contribuirà al master grazie alla presenza nel corpo docenti di Alberto Alfieri e di Federica Ciullo, Chief of supply chain & sourcing Cesare Fiorucci Spa, che condivideranno con gli studenti la loro esperienza, competenza e profonda conoscenza del settore. >> Link: www.fioruccifood.it

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Speciale WĂźrstel

Il Signor Wßrstel Tutti i segreti di questo insaccato di origini tedesche che, consumato crudo o cotto, si è integrato velocemente nella gastronomia italiana di Carlo Cantoni

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I

l würstel — il termine proviene dal diminutivo della parola tedesca Wurst, “insaccato”, secondo i dialetti tedeschi meridionali, laddove il termine in Hochdeutsch (alto tedesco, Ndr) suonerebbe Würstchen — è un insaccato realizzato con carni tritate, in particolare bovine e suine, tipico della Germania, dell’Austria e, in Italia, dell’Alto Adige. Il würstel commercializzato in Italia corrisponde generalmente al Wiener o Wiener Würstchen (letteralmente “salsicciotto di Vienna” o “viennese”) reperibile in Germania. Lo stesso prodotto in Svizzera è chiamato Wienerli ed in Austria Frankfurter würstel, letteralmente “salsicciotto di Francoforte”, sebbene in origine le due tipologie (Wiener e Frankfurter) non siano identiche: il primo, più corto, viene solitamente servito appaiato ad un altro; il secondo, più lungo, è invece servito da solo. Il würstel “italiano” ha ormai raggiunto una sua individualità, tanto che si può parlare di una tipologia parzialmente distinta. I würstel sono insaccati cotti caratterizzati da una grana finissima e da un alto contenuto di acqua. Per la produzione vengono utilizzati tagli di carne di vari animali (anche pollo e tacchino), addizionate di grasso duro di suino, acqua, sale, condimenti e additivi. Essendo utilizzati tagli poco pregiati, per ottenere prodotti di livello qualitativo elevato, si rende necessaria una preparazione accurata. La tecnologia di lavorazione, infatti, influenza moltissimo le caratteristiche del prodotto finale. Macinazione e insacco La prima fase consiste nella triturazione dei pani congelati di materia prima in apposite macchine spezzatrici. Subito dopo, i diversi componenti frantumati (parti carnee, cotenna o grasso, acqua sotto forma di ghiaccio, condimenti vari, additivi) vengono passati in un cutter. Nel cutter si completa lo sminuzzamento e la miscelazione dei vari ingredienti e, contemporaneamente, grazie al grosso lavoro meccanico, viene a crearsi un’emulsione che trattiene l’acqua in maniera stabile. L’acqua non è aggiunta tal quale, ma sotto forma di ghiaccio, per mantenere bas-

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Würstel di puro suino, cotto Composizione chimica (g 100 di parte edibile) Macro Parte edibile (%)

Minerali 100

Calcio (mg)

17 77

Acqua (g)

60,3

Fosforo (mg)

Proteine (g)

14,6

Magnesio (mg)

Lipidi (g)

22,2

Potassio (mg)

223

Sodio (mg)

920

Carboidrati (g)

0,3

Energia (kcal) Energia (kJ)

9

259

Ferro (mg)

0,9

1083

Zinco (mg)

0,9

Rame (mg)

0,04

Manganese (mg)

0,01

Selenio (μg) Vitamine

10

Acidi grassi

Tiamina (mg)

0,24

Saturi totali (g)

7,42

Riboflavina (mg)

0,05

Monoinsaturi tot. (g)

9,56

Niacina (mg)

1,82

Polinsaturi totali (g)

3,16

B6 (mg)

0,06

Vit. E (mg)

0,17

Colesterolo (mg)

84

Composizione in grammi dei principali acidi grassi (g 100 di parte edibile) Saturi

Monoinsaturi

Polinsaturi

C4:0÷C10:0

0,02

C16:1

0,57

C18:2

2,70

C12:0

0,03

C17:1

0,07

C18:3

0,17

C14:0

0,29

C18:1

8,75

C20:2

0,10

C16:0

4,47

C20:1

0,16

C20:3

0,03

C17:0

0,06

C20:4

0,16

C18:0

2,50

C20:0

0,03 Additivi

Nitrati (ppm)

17

Nitriti (ppm)

2

NaCl (g/100 g)

2,3

Fonte: INRAN – Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione. sa la temperatura della pasta carnea durante la lavorazione. L’emulsione passa poi all’insaccatrice sottovuoto, dove viene introdotta in un budello. Possono essere utilizzati budelli

naturali o sintetici. Se l’involucro utilizzato è artificiale, viene allontanato dopo la cottura. I budelli naturali, generalmente intestino tenue di montone, sono di

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solito riservati alle produzioni più tipiche ed artigianali, visto il notevole impiego di manodopera che richiede il loro utilizzo. Cottura e affumicatura I würstel sono appesi su apposite aste e passano in forno per la cottura e l’affumicatura. Dopo circa due ore, la temperatura interna del prodotto raggiunge i 68-70°C necessari per una riduzione della carica microbica, sufficiente per un’idonea conservazione del prodotto durante le fasi di commercializzazione. Durante il riscaldamento, avviene anche la coagulazione delle proteine muscolari e l’impasto si indurisce rimanendo compatto al taglio pure dopo ulteriori riscaldamenti. L’affumicatura conferisce al prodotto il profumo caratteristico e viene generalmente effettuata utilizzando legno di faggio. Come avviene la cottura Nell’operazione di riscaldamento la carne subisce importanti alterazioni,

che ne influenzano la tenerezza, il gusto, la consistenza e la capacità di legare l’acqua. Queste alterazioni sono dovute alla denaturazione delle proteine delle fibre muscolari e del collagene del tessuto connettivo. Con la denaturazione delle proteine muscolari, si forma un reticolo stabile che fissa nelle sue maglie le particelle di grasso e acqua. La denaturazione del collagene porta ad un suo rammollimento e alla trasformazione in gelatina. Il riscaldamento dei prodotti a pasta fine, come mortadella e würstel, è impiegato per ottenere il consolidamento (coagulazione) dell’impalcatura proteica dell’impasto, nonché per distruggere i microrganismi presenti, inattivare gli enzimi e raggiungere le qualità organolettiche desiderate (colore, sapore, consistenza). L’entità di questi cambiamenti dipende da numerosi fattori, come, per esempio, la qualità della materia prima, il tipo di budello o di contenitore utilizzato e il formato, l’effetto termico (tempi

e temperature di cottura) ed il procedimento di cottura. Quando la trama proteica non è sufficiente a trattenere al proprio interno le quantità crescenti di collagene (derivanti dal tessuto connettivo), che si solubilizzano durante la cottura, all’interno dell’impasto andranno a formarsi sacche di gelatina. Non essendo possibile, per lo stesso motivo, trattenere il grasso che si fonde, può verificarsi anche la formazione di sacche di grasso. Per questo motivo, formulazioni povere in tagli ricchi di tessuto muscolare non possono sopportare cotture prolungate a temperature elevate. Raffreddamento e pelatura Terminata la cottura, i würstel sono sottoposti ad una docciatura con acqua fredda; quindi, vengono mantenuti in celle refrigeranti per circa 12 ore, affinché possano raggiungere la temperatura di circa 2°C necessaria per procedere alle fasi successive. Una volta raffreddati, vengono inviati alla pelatura e al confezionamento. La

Würstel e senape, accoppiata perfetta (photo © mangiarebuono.it).

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Hot-dog e whisky, abbinata modaiola Stefano e Riccardo sono art director e designer milanesi. Con il loro blog GnamBox.com raccontano storie e delineano proďŹ li di personaggi famosi e non attraverso il cibo e la cucina; il tutto in una chiave super moderna, con belle inquadrature, una graďŹ ca impeccabile e la comunicazione giusta per la condivisione dei contenuti sui vari social. In tema di wĂźrstel i due blogger hanno di recente organizzato un brunch abbinando i cocktail a base di whisky Jameson e degli hot-dog con tante salse. Se volete seguirli nelle loro scorribande culinarie, non perdetevi il loro sito. >> Link: www.gnambox.com

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pelatura viene eseguita con macchine automatiche che liberano la pasta di carne cotta dal budello. Le file di würstel, passando attraverso un tubo, sono sottoposte a un getto di vapore che umidifica e dilata il budello di cellulosa e ne favorisce il distacco dalla superficie del prodotto. Subito dopo, un getto di aria compressa separa la salsiccia dall’involucro precedentemente inciso e aperto da una lama. Se le tecnologie produttive non sono correttamente calibrate e condotte in modo adeguato, l’eliminazione della pelle è difficoltosa e si corre il rischio di asportare anche una parte del prodotto che, per esempio, può restare incollata al budello a causa di una pellicola superficiale di gelatina formatasi durante la cottura. Confezionamento e pastorizzazione Quale ultima operazione, il prodotto è confezionato in buste di materiale plastico sottovuoto od in atmosfera di gas inerte. Dopo il confezionamento, il prodotto può essere sottoposto ad una pastorizzazione, un riscaldamento sopra i 70°C per circa 15 minuti, per inattivare i germi apportati in superficie dalle operazioni di pelatura e confezionamento, in modo tale da ottenere una shelf-life adeguatamente prolungata. La qualità del prodotto finito dipende molto anche dalla percentuale dei diversi tagli di carne presenti. Tale percentuale può variare da un 20% di sola carne bovina, nei würstel più scadenti, ad un 45-50% di sola carne suina per i würstel più pregiati. Il grasso può variare dal 20 al 40%; l’acqua dal 20 al 30%. Gli impasti di carne ottenuti per la produzione dei würstel sono sempre caratterizzati da una carica microbica discretamente elevata. Pertanto, i würstel sono prodotti particolarmente esposti allo sviluppo di microrganismi, specialmente se le condizioni di cottura non sono state ottimali al fine di un significativo abbattimento della carica microbica. Inoltre, la pelatura può comportare una ricontaminazione. Le alterazioni più comuni sono un rigonfiamento dovuto, per lo più, ad un abbondante sviluppo di batteri lattici e un rammollimento determinato da alcuni streptococchi. Prof. Carlo Cantoni

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Scarlino: dalla Puglia alla Polonia per i würstel di Pollo Considerata la crescente richiesta del mercato di insaccati realizzati con carni avicole, all’inizio di quest’anno lo storico salumificio di Lecce ha fatto un investimento consistente per la realizzazione di un impianto in Polonia dedicato esclusivamente alla produzione di würstel di pollo, würstel misto pollo/suino e di salami cotti di pollo, confermando la propria vocazione creativa

«O

gni anno il mercato richiede e qualche volta impone scelte sempre più coraggiose. Spesso in contro-tendenza, per la verità solo apparente, con il periodo economico-finanziario che il sistema Italia vive». È stato in virtù di questa considerazione che ATTILIO SCARLINO, amministratore unico dell’omonimo salumificio leccese, ha deciso all’inizio del 2014 di avviare l’apertura di un polo produttivo in Polonia che oggi, a pochi mesi di distanza, ha già raggiunto un alto livello di operatività. «Tutti i dati delle diverse agenzie di rilevazione, riferiti al 2013, convergevano ormai su un’inequivocabile certezza: i würstel con presenza di carni avicole sviluppano in Italia il 50% delle vendite, per un totale (tutti i canali) di oltre 70 milioni di chili e, nonostante le difficoltà del momento, crescono del 3,3 a volume e del 2,6 a valore. Di contro, i würstel di suino perdono rispettivamente l’8,3% a volume e il 5,8% a valore. È per questo motivo — prosegue Attilio Scarlino — che abbiamo deciso di investire, insieme ad un’importante azienda polacca, l’importo complessivo di quasi 10.000.000 euro, finalizzato alla realizzazione di un impianto dedicato esclusivamente alla produzione di würstel di pollo, würstel misto pollo/suino e di salami cotti di pollo».

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Attilio Scarlino, amministratore unico del salumificio omonimo.

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Grazie alla consolidata specializzazione dell’impianto — peraltro implementata con nuovi reparti di macellazione e di sezionamento — sarà completato il percorso della filiera integrata, come ulteriore garanzia della qualità della materia prima avicola utilizzata. Un’altra forte considerazione riguarda la celerità dei tempi, impensabili per l’Italia, relativi all’ottenimento delle diverse autorizzazioni. I risultati dell’operazione — frutto all’avvio della produzione nella prima settimana dello scorso mese di giugno — si vedranno, infatti, già nel corso di quest’anno, durante il quale si dovrebbero raggiungere 3.000 tonnellate di chilogrammi prodotti; nel 2015, secondo le previsioni di Scarlino, la produzione arriverà a 6.000, mentre — con l’impianto a pieno regime — si salirà nel 2016 a quasi 8.000 tonnellate. In questo modo il Salumificio Scarlino ha ampliato la gamma del proprio brand Le Cock (würstel di pollo) con nuovi formati, tipo il 10 pezzi da 500 grammi oppure il 10 pezzi da 250 grammi, mentre la linea premium Wuao!, prodotta nello stabilimento italiano di Taurisano, con il würstel “100% petto di pollo”, si è arricchita di un’interessantissima novità. «Continuiamo a confermare così la nostra vocazione verso la creatività, sia in termini di ricette che di formati — conclude l’amministratore unico di Scarlino — unendo l’esperienza di specialisti nel mondo del würstel, vecchia di oltre 40 anni, ad una continua ricerca per fondere i sapori della tradizione con altri

In alto: il primo würstel prodotto in Polonia, Le Cock, 10 pezzi, g 500. In basso: fase di montaggio dei macchinari nel nuovo polo produttivo in Polonia. originali ed innovativi. Con questo progetto il Salumificio Scarlino si candida a pieno titolo ad essere, anche e soprattutto per il mercato italiano,

uno dei principali player nel segmento del würstel di pollo» >> Link: www.scarlino.it

Dal 1971, anno della sua fondazione, il Salumificio Scarlino produce esclusivamente würstel. Oggi, con una gamma di oltre 100 referenze, l’azienda può vantare nel settore una competenza specializzata che la conferma — ormai da anni — tra i primi produttori italiani per quantità. Un risultato dovuto all’impegno costante nella ricerca della qualità che, insieme ai continui investimenti in tecnologie d’avanguardia, nelle innovazioni di prodotto e nella formazione delle risorse umane, configura la Scarlino come azienda d’alto livello, efficacemente proiettata verso la leadership, sia nell’ambito della produzione che a livello gestionale. Qualche cifra: • fatturato 2013: 23.000.000 di euro; • quantità prodotta 2013: 9.500 t; • superficie totale: 80.000 m2 (superficie coperta: 11.000 m2); • dipendenti: 110; • clienti attivi: 2.500 (Paesi export: Malta, Kossovo, Montenegro, Croazia, Albania, Ucraina); • certificazione azienda: UNI EN ISO 22000:2005, IFS, BRS, Halal, BIO; certificazione prodotto: Wuao! Puro Suino; • codice etico: Modello 231.

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La giornata nazionale dell’Hot Dog Da qualche anno, ogni 23 luglio, negli Stati Uniti si festeggia la “Giornata nazionale dell’Hot Dog”. Un appuntamento nato per celebrare uno dei cibi di strada più popolari del Paese, che dalla costa orientale di New York fino a alla California coinvolge tutti, dalle grandi metropoli alle piccole comunità locali, con parate, eventi, show cooking e naturalmente milioni di hot dog consumati in tutte le salse e forme. I più ghiotti? Pare siano proprio i newyorkesi, che nello scorso anno hanno mangiato hot dog per un valore di 126,5 milioni di dollari. Al secondo posto si piazzano gli abitanti di Los Angeles, con 93,5 milioni di hot-dog acquistati. Per saperne di più sugli usi e consumi del panino col il würstel made in USA: www.hot-dog.org. Happy National Hot Dog Day!

Haute dogs per hot dog addicted Ecco il libro perfetto per chi ama gli hot dog versione gourmet. Haute Dogs è una guida bella da sfogliare e utile nei contenuti di ricette spiegate passo a passo per realizzare dei panini con würstel originali e sfiziosi. Ce n’è per tutti i gusti, sia in versione “americana” che internazionale: dai classici hot dog cotti al barbecue alle interpretazioni più moderne, dal fusion giapponese allo street food di tendenza. L’autore riprende anche la storia del celebre panino e dedica un’intera sezione alle differenti modalità per cucinare i mitici salsicciotti: bolliti, sul grill, al microonde… E visto che qui si parla di un volume in cui si ricerca la “perfezione” del piatto, non mancano le ricette per prepararsi in casa sia il pane che le varie salsine di accompagnamento.

RUSSELL VAN KRAAYENBERG Haute Dogs Recipes for delicious hot dogs, buns and condiments ISBN (ebook) 9781594746802 ISBN (cartaceo) 9781594746758 160 pp. – $16.95

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L’autore Nato e cresciuto in Texas (si autodefinisce “Texas food fanatic”), RUSSELL VAN KRAAYENBERG conosce tutti i segreti delle cotture, dalla griglia al barbecue. Il suo blog Chasing Delicious (chasingdelicious.com) è stato tra i finalisti dei migliori food blog della rivista SAVEUR del 2012 e i suoi articoli sono stati pubblicati su LIFEHACKER, CO. DESIGN, BUSINESS INSIDER, THE KITCHN, LIVE ORIGINALLY, THE DAILY WHAT, QUIPSOLOGIES, NEATORAMA, EXPLORE e FINE COOKING. Haute Dogs su Pinterest Se volete dare un’occhiata ai contenuti del libro trovate alcune foto su Pinterest — social network dedicato alla condivisione di fotografie, video ed immagini — al seguente link: pinterest.com/quirkbooks/haute-dogs

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Come ti re-invento il würstel sul blog

Sapore, rapidità e versatilità: questi fattori rendono il würstel uno degli insaccati più amati e consumati dagli Italiani. E, proprio queste sue caratteristiche fanno sì che nel mondo dei blogger ci si scateni letteralmente per trovare ogni volta una nuova forma di presentazione e di un suo nuovo utilizzo in cucina: lo possiamo trovare nascosto dentro ai muffin (www. lacucinadibabe.it), tagliato e sistemato con la pasta sfoglia in forma di roselline profumate (comezuccheroaneve.wordpress.com), infilato negli spaghetti (uncondominioincucina. blogspot.com),… Noi abbiamo scelto soltanto tre ricette, ma sul web ce ne sono a centinaia, ognuna adatta a soddisfare gusti ed esigenze differenti. Evviva la fantasia al potere!

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Prodotti tipici

Sul Pollino a caccia di sapori Asid, azienda di salumi di Castelluccio Inferiore, Potenza, è una piccola realtà fondata nel 2008 da sei soci originari della zona. I salumi, buonissimi, sono quelli della tradizione: soppressata, capicollo, pancetta, guanciale, salsiccia… Irresistibili! di Massimiliano Rella

I

l Parco nazionale del Pollino, l’area montuosa a cavallo tra Basilicata e Calabria, offre un bellissimo paesaggio e sapori decisamente interessanti. Qui cresce la melanzana rossa di Rotonda, una melanzana “travestita” da pomodoro; qui si fanno i peperoni cruschi di Senise, un’altra specialità lucana forse un

po’ più conosciuta: sono dei peperoni allungati, e dalla polpa sottile, che si friggono come patatine in olio bollente (2-3 secondi e via). Ci sono i formaggi, c’è un’ottima cucina (da provare il Luna Rossa, di FEDERICO VALICENTI, a Terranova di Pollino) e naturalmente troviamo i salumi. E che salumi! Su tutti la soppressata castelluccese,

un tradizionale insaccato simile alla salsiccia ma fatto con le parti nobili del maiale. Così, attirati da tanta varietà, siamo saliti sul Pollino a caccia di sapori e, tra le tappe, ne abbiamo fatta una da Asid, azienda di salumi di Castelluccio Inferiore, Potenza. A Castelluccio l’allevamento dei maiali per il consumo familiare di carne e

Soppressate al Salumificio Asid di Castelluccio Inferiore (PZ). La soppressata è il salame castelluccese, ottenuto con i tagli magri e pregiati della carne del maiale, filetto e coscia, a cui viene aggiunto lardo finemente tagliato a punta di coltello, il tutto condito con sale e pepe nero in grani che esaltano le qualità delle carni. L’impasto viene insaccato in budella naturali larghe (gentile e filzetta) e la stagionatura si protrae oltre i 60 giorni.

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Taglio del capicollo al Salumificio Asid. salumi è sempre stato un’importante risorsa. Ogni famiglia allevava uno o più suini, secondo le possibilità e il fabbisogno, per garantirsi cibi sani e gustosi da mangiare durante l’anno. Così la provenienza della carne era sicura, gli animali erano nutriti in modo semplice e naturale, e allevati con cura. Nel piccolo centro del Pollino — duemila abitanti — l’azienda Asid continua questa tradizione e produce buoni salumi. È una piccola realtà fondata nel 2008 da sei soci originari della zona. In azienda lavorano due dei sei soci e tre dipendenti part-time. Per la produzione sono utilizzati in media sei suini al mese, di almeno un anno di età e 170-180 chilogrammi di peso. «Facciamo un prodotto con obiettivi di qualità, con materie prime selezionate e buoni ingredienti, ma oggi riscontriamo difficoltà di mercato a causa della crisi. Difficoltà che si aggravano con l’arrivo dell’estate, quando il consumo di salumi scende», ci dice ANNA LAMOGLIE, socia dell’Asid.

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La materia prima proviene dall’allevamento di uno dei soci: suini di razza Landrace, Large white, in stalla, alimentati quasi esclusivamente con prodotti auto-coltivati. La lavorazione comincia con l’arrivo delle mezzene in laboratorio, dove vengono sezionate manualmente in

tagli distinti. Gli scarti, circa il 40%, sono riposti in un’apposita cella e smaltiti ogni settimana. L’unica fase meccanizzata del lavoro si svolge in un’altra sala che ospita piccoli macchinari per tritare, impastare e insaccare le carni. La carne è condita soltanto con sostanze naturali, come

Cuor di prosciutto.

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Pancette tese.

“La carne è condita soltanto con sostanze naturali, come il sale di miniera, più puro e salutare, e aromi naturali come il peperone di Senise, il finocchietto selvatico e il coriandolo. Esclusi qualsiasi tipo di conservante, colorante o altri additivi” il sale di miniera, più puro e salutare, e aromi naturali come il peperone di Senise, il finocchietto selvatico e il coriandolo, esclusi qualsiasi tipo di conservante, colorante o altri additivi. La legatura dei salami è di nuovo fatta a mano con i budelli naturali del suino, conservati in una cella dedicata. I prodotti finiscono poi in cella di stagionatura per un periodo variabile a seconda del tipo. Dalla tradizione locale l’azienda Asid ha ripreso anche la varietà e le tipologie. Ad esempio la soppressata castelluccese, che è fatta secondo un’antica ricetta utilizzando solo i tagli più pregiati dell’animale — coscia e filetto — con l’aggiunta di lardo tagliato a punta di coltello, sale e pepe nero in grani. Viene stagionata per 2-4 mesi a seconda dello spessore del budello e del calibro del salume. Ma

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esiste anche una versione rossa, fatta cioè con peperone di Senise macinato. Il prezzo è di € 35,00 al chilo. C’è poi la salsiccia al finocchietto, speziata con finocchietto selvatico delle colline lucane, dolce o piccante a seconda del tipo di peperone aggiunto. In alternativa ci sono quella al coriandolo, oppure senza spezie erbacee. Tutte si fanno con tagli selezionati del suino: spalla, pancetta e altri. La stagionatura dura 30-40 giorni, il prezzo è di € 30,00 al chilo. Molto buona anche la salsiccia rustica, dolce o piccante, ottenuta dai ritagli, le parti meno nobili e più grasse e callose, nervetti compresi, che danno origine a un prodotto apprezzato e gustoso, aromatizzato con finocchietto e peperone. È più grassa e morbida e quindi richiede una stagionatura più lunga, dai 30 ai 60

giorni (€/kg 23,00). Un altro prodotto di Asid è il capicollo, fatto con lo specifico taglio, di 3-4 chilogrammi, rifilato a mano e stagionato 7-8 mesi dopo essere stato salato e messo in salamoia per una settimana, girato ogni giorno per un assorbimento uniforme del sale. Finita la salamoia è condito con pepe nero in grani e legato con le pelli dei maiali, quelle che avvolgono la sugna. Il prezzo è di € 35,00 al chilogrammo. Infine, consigliamo il cuor di prosciutto, fatto con la coscia disossata del maiale, trattata e condita come il filetto e stagionata sei mesi; prezzo €/ kg 30,00. Asid produce anche pancetta tesa o arrotolata e guanciale. Punto vendita aperto lunedì e sabato. Massimiliano Rella ASID Srl – Sapori di Castelluccio Contrada Pietrasasso 85040 Castelluccio Inferiore (PZ) Telefono: 0973 662250 E-mail: info@saporidicastelluccio.com Web: www.saporidicastelluccio.com Nota Photo © Massimiliano Rella.

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L’esperienza di quattro generazioni nel centro di Lavis

Carni e salumi Troier: l’affumicato che piace di Riccardo Lagorio

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uattro generazioni d’instancabile lavoro e una competenza che si fregia di oltre cent’anni di esperienza giunta a Hermann, Guido e Marika dal bisnonno Sebastiano attraverso Guido e poi Dario, fanno di Troier il punto di riferimento per la carne ed i salumi in Trentino, elemento fondamentale della tradizione norcina per ristoratori, supermercati, mense scolastiche e consumi domestici. L’immobile che accoglie la macelleria nel piccolo centro di Lavis fu

fondato come chiesa protestante nel 1777, poi adibito a teatro, magazzino ed infine negozio per lo spaccio di carni dal 1922. Il negozio, decretato di valore storico, abbellito da un ingresso che vanta antichi marmi rossi come stipiti della porta principale, viene approvvigionato quotidianamente dal laboratorio, distante qualche centinaio di metri, sulla Statale che segue il corso dell’Adige fra Trento e Bolzano. È qui che si trasforma la carne e che si preparano i salumi in maniera ancora artigianale.

Il suino è di provenienza nazionale per quanto riguarda i salumi e gli stagionati; da Belgio e Olanda, che propongono carni più magre, la carne fresca venduta in tagli. I prosciutti cotti che si trovano ben esposti nel banco frigo del negozio sono di lavorazione propria. La coscia viene disossata e siringata con soluzione salina ed aromatizzata. Successivamente, passata nella zangola per 10 ore, si inserisce negli stampi che si ripongono nel forno a vapore per una dozzina di ore o poco meno a

Dalla curiosa forma a polpetta, fortemente affumicata, la mortandela è il salume tipico della Val di Non.

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Marika, Guido, Hermann e Dario dietro il fornitissimo bancone della macelleria di Lavis. 75°C, a seconda delle pezzature, che variano tra gli 8 e i 10 chilogrammi. La cottura a vapore vale anche per i würstel, che si trovano in versione classica, in budello di suino, senza pelle o bianco, non affumicato. In verità da queste parti i salumi affumicati sono particolarmente apprezzati, come la mortandela, un salume fresco o poco stagionato con l’impasto simile alla luganega, avvolto in reticella di suino, ricoperto con farina gialla ed infine affumicato con legno di faggio per mezz’ora. «Tradizionale della Val di Non, la mortandela si è diffusa anche nel capoluogo e sovente ci viene richiesta», afferma Dario Troier, che segue il negozio insieme a tre collaboratori. La stagionatura ideale è di circa 20 giorni per questo salume dalla forma di palla appiattita. L’affumicatura è elemento che caratterizza anche lo stinco, il carré e le puntine, ideali per l’accompagnamento ai crauti. Ed ovviamente per lo speck, lavorato in Val di Non. Anche per le carni di manzo, specie il magatello, si procede ad affumicatura. Si affetta sottile e viene consumato

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tal quale, caratterizzato da una lieve marezzatura. «Ma il salume tradizionale di qui è la carne salada. È molto diffuso e le prime tracce si trovano già nel Quattrocento. Lavoriamo fese di bovino adulto, ripulendole delle parti grasse e dei tendini. Le copriamo con sale, ginepro, pepe ed altri aromi per circa 2 settimane e le massaggiamo di tanto in tanto. La carne salada viene utilizzata cruda come tartare, meno di frequente saltata in padella o alla griglia», sottolinea Marika Troier. Dal laboratorio carni ed insaccati prendono la strada della macelleria ogni mattina, ma anche di numerosi ristoranti, mense, supermercati e scuole che hanno inserito i prodotti Troier nel proprio menu. Nella macelleria trovano sempre maggior successo i pronto-cuoci, «dove apprezzato è soprattutto il pollame perché viene suggerito dai medici», interviene Dario. «Fesa di tacchino, petto di pollo e arrotolato di tacchino sono molto richiesti, ma anche le ali di pollo condite con ginepro, rosmarino ed aglio. Si devono semplicemente accomodare sulla

griglia… Durante il periodo estivo molto richiesti sono gli spiedini con würstel, salsiccia, peperone e parti magre di bovino e le carni per le grigliate. In questo caso prepariamo le carni già con olio e rosmarino per offrire un servizio alla clientela». Tra le novità i panzerotti, elaborati con carne macinata all’esterno, prosciutto e formaggio all’interno. La grande quantità di carne lavorata permette alla macelleria Troier di mettere a disposizione dei clienti un banco frigo da primato. Infatti fanno bella mostra di sé numerosi tagli che vengono scelti direttamente dai clienti dopo opportuno suggerimento da parte dei banconieri. Bovino, suino e avicoli sono rappresentati nel migliore dei modi con carni fresche che non temono confronto: esperienza che vale le quattro generazioni. Riccardo Lagorio Carni e salumi Troier Via Roma, 13 – 38015 Lavis (TN) Telefono: 0461 246317 E-mail: troier@tin.it Web: www.carnitroier.it

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Genesi e rinascita di un prodotto tipico di Val Cellina e Val Tramontina

Pitina, pita o pituccia, presente e passato del Friuli di Giorgio Montanari

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iamo nella prima metà dell’Ottocento: fra le terre del Friuli Venezia Giulia (più precisamente in alcune frazioni del comune di Tramonti di Sopra) si consumava un prodotto a base carnea

chiamato pita o, se di dimensioni più piccole e con diverse aromatizzazioni, pitina o pituccia. Stiamo parlando di una sorta di polpetta composta da carni caprine, ovine o di selvaggina d’alta montagna (capriolo, camoscio)

che, forte di tradizioni contadine vecchie di duecento anni, sta godendo oggi della fama di essere uno dei pochi presidi Slow Food regionali. Come molti piatti della tradizione italiana la pitina è nata per cercare di non

La pitina si mangia cruda a fette come un qualsiasi salume oppure la si fa scottare velocemente nel burro per poi servirla su una polentina morbida cosparsa di ricotta fusa (photo © www.vogliosapere.org).

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sprecare una materia prima preziosa come la carne: una capra azzoppata, una pecora con malessere da parto, un camoscio ferito, un capriolo ucciso erano, in tempi difficili, materie prime troppo preziose per non essere riutilizzate. Vi era dunque l’esigenza di conservare la carne per poterla consumare totalmente e permettere in questo modo ai nuclei più poveri, fra le famiglie residenti nelle zone disagiate delle vallate a nord di Pordenone, di mangiarla anche nei mesi freddi. Ma le possibilità tecniche erano ridotte: non si parlava ancora di energia elettrica, tanto meno di frigoriferi; si doveva quindi ricorrere alle consolidate tecniche della salatura e dell’essiccazione. Nella preparazione della pitina è prevista un’accurata affumicatura: si adagiano le polpette su una montagnola di piccoli legni aromatici (in prevalenza faggio) creata sopra al fogolâr e lì riposano per alcuni giorni. Per conferire delle fragranze più invitanti è possibile bruciare legna resinosa come pino mugo e ginepro. La durata del processo dipende dalla tipologia di carne, la fiamma resta però sempre bassa in quanto, per ottenere una pitina “a regola d’arte”, è essenziale la bontà del fumo emanato dal processo di preparazione: la carne, se trattata in maniera imperfetta, si conserva meno a lungo o rischia di ammuffire. Per la realizzazione di questa specialità si onora tutto l’animale. Le carni sono sminuzzate e insaporite con sale, pepe ed erbe aromatiche del territorio (arsinc’). Si impasta il tutto a mano e si fanno delle polpette di media dimensione (una decina di centimetri di diametro e quattro centimetri di spessore), del peso di circa 250 grammi l’una. Una volta creata la forma tondeggiante, il semilavorato viene passato nella farina gialla da polenta, il che conferisce al prodotto la tipica copertura. La pitina è quindi pronta per essere posizionata sotto la cappa del camino dove subirà la giusta affumicatura. In alcune produzioni industriali si ricorre ad un sistema di confezionamento sottovuoto, al fine di mante-

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La Festa della Pitina, giunta quest’anno alla sua 18a edizione, si svolgerà a Tramonti di Sopra (PN) domenica 27 luglio 2014. Nella giornata dedicata al prodotto tipico del paese, i chioschi con vendita di prodotti tipici e degustazioni rimarranno aperti sia a pranzo che alla sera. Per informazioni: Pro Loco Tramonti di Sopra, telefono 0427 869412 (www.prolocoregionefvg.it).

nere inalterate le caratteristiche del prodotto per circa sei mesi. Originariamente, per produrre la pitina, si impastava carne di camoscio; attualmente si preferisce prepararla con carne di pecora o di montone, dal sapore meno forte rispetto alla selvaggina. In alcune lavorazioni familiari si includono tagli di suino (principalmente capocollo o lardo) che attenuano ulteriormente il gusto selvatico delle altre carni. Al taglio la pitina è riconoscibile per la fetta tonda, di colore rosso intenso con marezzature fra il rosa e il rosso scuro; da notare la grana medio-fine con una ridotta percentuale di grasso. Visto il sapore intenso procurato dalle note decise delle carni usate, si segnalano molteplici impieghi in cucina. La pitina può essere consumata sia cruda, a fette abbastanza spesse, sia cotta. In questo secondo caso la tradizione la vede tagliata a dadini e servita col brût de polenta, vale a dire una polenta liquida non troppo rappresa. La sua preparazione inebria la casa con un profumo di affumicato e, oltre a donare più sapore alla polenta stessa, permette (pur essendo una ricetta semplice e poco costosa), di saziare i componenti dell’intero nucleo familiare. Sfogliando un ricettario friulano leggiamo molti suggerimenti per altre preparazioni a base di pitina, come il ragù per condire gli gnocchi, oppure il servizio insieme alla ricotta per impreziosire la polenta fritta, oppure un secondo piatto completo ottenuto semplicemente soffriggendola nel burro. Uno dei principali produttori semi-artigianali della regione vende una pitina stagionata oltre quaranta giorni che, dopo la rimozione delle muffe e della farina gialla che l’ha protetta, viene rinvenuta immergendola nel vino Refosco per una dozzina di minuti: terminato il trattamento, dopo

una giornata di riposo, il prodotto è pronto per essere affettato, donando al palato dei piacevoli sentori di vino. Piccola cronologia del salume Nella storia della pitina si registra un periodo di oscurità iniziato negli anni ‘50 del Novecento. Molti abitanti di Frassaneit, ritenuto il paese dell’origine produttiva, decisero di trasferirsi in altre regioni o emigrare all’estero in cerca di lavoro. L’evoluzione tecnologica, inoltre, diffuse l’elettricità ed ebbe implicazioni anche nella ristrutturazione delle cucine casalinghe (il fogher venne sostituito da piani di cottura più performanti). La conseguenza di questi cambiamenti portò al progressivo affievolimento della produzione della pitina. La situazione cambiò alla fine del successivo decennio allorché la Pro Loco, interessata a movimentare il turismo in vallata, ripropose la “dimenticata” pitina in occasione della sagra che, ogni agosto, si svolge tuttora a Tramonti di Sopra. Una figura da citare, quando si parla di questo alimento, è MATTIA TRIVELLI: ecco un macellaio di Tramonti di Sopra che, all’inizio degli anni ‘90, intuì la potenzialità del prodotto. Forte dell’idea di fare conoscere questa specialità oltre i confini locali, decise di tutelarla registrando il nome “pitina” presso l’Ufficio Italiano Brevetti. Vent’anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1992, venne istituito il Premio Mattia Trivelli, destinato agli operatori della ristorazione desiderosi di valorizzare la pitina nei loro menù. Oggi il prodotto vive un periodo di grazia per merito della tutela e valorizzazione da parte di Slow Food: il presidio ha raggruppato i produttori che, seguendo le procedure tradizionali, sono in grado di promuovere la pitina ampliandone il mercato di sbocco e coinvolgendo i ristoratori locali. Giorgio Montanari

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In Alto Adige le storie dei produttori attraversano i secoli

Speck Igp, famiglia e territorio

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ffumicato con il fieno dei prati oppure con il ginepro dei boschi, stagionato all’aria frizzante che scende dai ghiacciai, ma anche arricchito con le spezie, dosate con sapienza. Dietro al successo dello Speck Alto Adige IGP ci sono persone, generazioni di produttori, famiglie che si tramandano l’amore per le cose buone e genuine, per i sapori di un territorio unico come l’Alto Adige. Una storia di successo che è soprattutto la storia di una passione trasmessa da una generazione all’altra, la storia di un lavoro che parte da una profonda conoscenza di ogni vallata, del clima e delle caratteristiche di lavorazione del prodotto. Da tutto questo nasce lo

speck, elemento integrante dell’identità altoatesina e ingrediente immancabile nella cucina di questa terra. Da oltre vent’anni, poi, il Consorzio di Tutela è in prima linea nel salvaguardare la produzione tradizionale e nel promuovere l’autentico Speck Alto Adige IGP (Indicazione geografica protetta), all’insegna della rintracciabilità, della sicurezza alimentare e del gusto inconfondibile di un prodotto unico e straordinario. In ogni vallata, in ciascuna azienda, lo speck assume poi delle connotazioni e delle caratteristiche particolari, il valore aggiunto di un’eccellenza che fa della varietà e versatilità i suoi punti di forza. La tecnica di affumicatura, ad esempio, cambia

di valle in valle, tramandata dalla consuetudine familiare e suggerita dalle caratteristiche ambientali. Ecco allora che nei dintorni di Bressanone la ditta Vontavon produce un particolare speck al fieno, usando il miglior foraggio raccolto in zona, mentre in Val Venosta la macelleria Mair di Glorenza pone particolare attenzione alla selezione della carne, che viene poi affumicata con cautela grazie all’utilizzo di rami di ginepro della valle. A Lagundo, la macelleria Gstör ha scommesso su di uno speck con un maggior contenuto di grassi, per un prodotto dal sapore deciso e ben definito. Altri storici produttori, invece, hanno scelto la strada dell’affumicatura più leggera. A

Ogni anno in Val di Funes, nel piccolo paesino di S. Maddalena, ai piedi delle Odle, si tiene la festa dello Speck Alto Adige. L’appuntamento per quest’anno è per il week-end del 4 e 5 ottobre.

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REGGIANO prima che

FOTO: CARLO GUTTADAURO

LAMBRUSCO

A.D. ANAM CARA COMUNICAZIONE

questo proposito, Senfter ha appurato come i consumatori tedeschi, che rappresentano una parte considerevole degli acquirenti, apprezzino un’affumicatura dall’aroma delicato e discreto. Anche l’aria gioca un ruolo importante. Ecco perché chi, come la ditta Recla, produce speck tra i massicci dell’Ortles e del Palla Bianca, si affida alla maturazione utilizzando quasi esclusivamente l’apporto di aria esterna, secca, fresca e pura, come si può trovare in quest’angolo di paradiso. Dalla piccola macelleria alla grande azienda, ciascun produttore di speck mette al primo posto la qualità della materia prima, selezionata con attenzione negli allevamenti suini. Non mancano le particolarità, come la produzione in quantità limitata, su iniziativa della famiglia Moser, di un cosiddetto “speck nazionale” ricavato dagli stessi suini impiegati per ottenere il prosciutto di Parma. Questi suini sono più grandi e perciò anche la maturazione dello speck è più lunga della media, almeno 8 mesi. Quattro produttori (Senfter, Windegger, Kofler e macelleria Steiner) propongono poi con successo il Bauernspeck, ottenuto da suini selezionati e allevati in piccoli gruppi nei masi dell’Alto Adige. Disponibile in quantità limitate, il Bauernspeck ha caratteristiche ricercate anche grazie ad un’adeguata quantità di grasso. I controlli sono parte integrante del processo di produzione dello Speck Alto Adige. Ogni passaggio, dalla materia prima al prodotto confezionato, è seguito dall’istituto indipendente INEQ (Istituto Nord Est Qualità). Le verifiche riguardano non solo i produttori di speck, ma a campione anche i fornitori della materia prima. Tutte le fasi di produzione, dalla coscia del suino fino al prodotto finito, vengono severamente controllate. Se tutti i requisiti richiesti dal disciplinare di produzione risultano soddisfatti, viene impresso a fuoco il marchio di qualità e un documento ne certifica la provenienza. Lo Speck Alto Adige viene quindi porzionato, confezionato ed etichettato. I controllori hanno anche la facoltà di ispezionare la merce esposta nei negozi. >> Link: www.speck.it

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www.vinireggiani.it


Mercati

Made in Italy alimentare: un Sistema Paese forte per crescere nel mondo Aiutare le imprese con meno burocrazia, ha sostenuto la presidente Lisa Ferrarini durante la recente assemblea annuale di ASS.I.CA. Intanto il settore “fa sistema” con salumitrasparenti.it

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SS.I.CA., Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi, è tornata a Roma lo scorso 16 giugno, nella prestigiosa sede di Confindustria, per la sua assemblea annuale. Un momento importante per fare il punto della situazione e per continuare il dialogo con le istituzioni sulle priorità del settore, prima fra tutte l’export. Il mercato dei salumi, con

quasi 1,2 miliardi di euro di export e un fatturato di 8 miliardi di euro, rappresenta infatti uno dei principali comparti dell’industria alimentare. Export: superare le barriere tariffarie e non tariffarie «Per la filiera è urgente risolvere in modo definitivo i problemi relativi all’export dei salumi e della carne suina in tutti quei Paesi extra UE in

cui ancora vigono barriere tariffarie e non tariffarie» ha affermato con forza la presidente Lisa Ferrarini. «Per ottenere questo risultato i temi dell’export, il superamento delle barriere tariffarie e non tariffarie, la tutela del made in Italy devono diventare una vera “ossessione” per tutta l’azione del Governo. Deve diventare priorità delle agende non solo dei Ministri direttamente coinvolti con il

Panino con prosciutto cotto.

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nostro settore (Agricoltura, Sviluppo economico e Salute), ma di tutti gli esponenti del Governo, dal Presidente del Consiglio al Ministro degli Esteri, dal Ministro della Difesa a quello della Cultura». L’Italia ha dall’autunno 2013 un nuovo strumento per affrontare le problematiche del food italiano: il tavolo agroalimentare. «Il tavolo, che vede la collaborazione del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e del Ministero dello Sviluppo economico, sta già facendo tanto — ha continuato la Ferrarini — ma non è abbastanza per aiutare le imprese ad esportare. Del resto è stato lo stesso presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che recentemente ha indicato l’ambizioso obiettivo di esportare 50 miliardi di euro di prodotti agroalimentari entro il 2020, crescendo dai 33 attuali. Ma senza un Sistema Paese forte temo che l’obiettivo dei 50 miliardi sia una chimera». In quest’ultimo anno le difficoltà per i produttori ad esportare i salumi sono, in alcuni casi, aumentate: dai problemi con gli Stati Uniti al blocco della Russia. Anche per questo è sempre più fondamentale la definitiva eradicazione delle malattie veterinarie, che l’associazione chiede da anni alle istituzioni e agli allevatori: la loro presenza in alcune regioni impedisce alle nostre aziende di esportare nei principali mercati internazionali carni suine fresche e salumi a breve stagionatura, comportando ogni anno perdite stimate in 250 milioni di euro circa. «Dobbiamo sfruttare pienamente i prossimi mesi, quando tra semestre di Presidenza europea ed Expo 2015 l’Italia avrà l’occasione unica di gestire una parte importante dell’agenda delle relazioni comunitarie e internazionali. L’industria agroalimentare è pronta a raccogliere la sfida e a fare la propria parte, anche lavorando per superare i suoi limiti strutturali» ha precisato la Ferrarini. Rendere l’Italia un luogo che non ostacoli chi vuole fare impresa Altro fattore non meno preoccupante per il settore è il fatto che la crisi ha compresso i margini della filiera in maniera non più sostenibile. Le aziende soffrono da troppo tempo la

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burocrazia eccessiva, i costi dell’energia, la rigidità del mercato del lavoro: tutti aspetti che compromettono gli utili e non permettono alle imprese di crescere e di investire. «Per il nostro settore un processo di razionalizzazione delle migliaia di controlli cui le aziende sono sottoposte sarebbe già un ottimo inizio. Un semplice registro unico permetterebbe infatti di diminuire le verifiche doppie realizzando un risparmio sia per lo Stato sia per le imprese. Il tutto senza intaccare la sicurezza della filiera» ha specificato la presidente Ferrarini. Informazione al consumatore: il settore fa sistema con la piattaforma salumitrasparenti.it Razionalizzare significa non solo burocrazia eccessiva ma anche una regolamentazione semplice, chiara e stabile per le imprese. «Bisogna evitare di continuare a proporre norme nazionali su temi di competenza comunitaria. Negli ultimi 10 anni si è assistito a diversi tentativi di introdurre una normativa italiana sull’origine degli alimenti, ma si è sempre trattato di norme non compatibili con il diritto comunitario e quindi inapplicabili» ha dichiarato Lisa Ferrarini. È evidente, però, che il tema dell’origine è molto sentito sia in Italia che in Europa. Sentito a tal punto che la Commissione europea ha presentato, il 17 dicembre 2013, una Relazione sull’indicazione obbligatoria del Paese d’origine per le carni utilizzate come ingrediente. La relazione evidenzia che il paese d’origine è la quarta informazione che i consumatori considerano quando comprano prodotti contenenti carne (48% dei consumatori). Sebbene interessati, però, non sono disposti a pagare di più per ottenerla: nella ricerca viene evidenziato che all’aumento di prezzo la “disponibilità a pagare” del consumatore diminuisce del 60-80%. Il settore dei salumi si è trovato quindi a studiare un sistema che rispondesse alle esigenze i consumatori, fornendo l’indicazione del paese d’origine della materia prima, senza però che questa informazione impattasse sul prezzo. Nasce così “Salumi Trasparenti” (si veda box di approfondimento a pag. 48), il primo

Lisa Ferrarini. progetto di settore a livello europeo che offrirà in modo semplice, veloce e gratuito la possibilità di verificare i dati di un prodotto presente in commercio, inserendone il codice EAN nel sistema. Sarà possibile scoprire luogo di produzione e Paese d’origine della materia prima in pochi passi. «Noi chiediamo al Governo di fare sistema, ma non stiamo a guardare e come settore siamo i primi in Europa ad offrire uno strumento simile» ha concluso la Ferrarini. 2013, un anno difficile per i salumi italiani: brilla solo l’export Il 2013 è stato il terzo anno critico per i produttori di salumi. Il settore, come il resto del comparto alimentare, nonostante le connaturate doti anticicliche, ha continuato a mostrare una notevole debolezza, legata alla stagnazione dei consumi e alla scarsa fiducia delle famiglie nel futuro. In un clima difficile, deteriorato dal prolungarsi della crisi, gli alti costi della materia prima e il rallentamento degli scambi hanno ulteriormente indebolito il settore. La produzione soffre ma tiene La produzione di salumi, dopo un 2012 difficile, ha registrato nel 2013 una lieve flessione, scendendo a 1,179 milioni di tonnellate dalle 1,197 milioni dei dodici mesi precedenti

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“Salumi Trasparenti”: il progetto dei produttori che informa sull’origine delle materie prime Il 17 dicembre scorso la Commissione europea ha presentato una relazione nella quale esamina i vantaggi e gli svantaggi di un cambiamento in materia di etichettatura d'origine nei prodotti che utilizzano la carne come ingrediente, compresi i salumi (http://ec.europa.eu/food/food/labellingnutrition/foodlabelling/docs/com_2013-755_it.pdf). L’analisi d’impatto, basata su studi indipendenti, evidenzia chiaramente che i consumatori potrebbero essere interessati a conoscere l’origine della carne come ingrediente, ma non sono disposti a pagare i costi che una tale indicazione comporterebbe sul prodotto finale. Il quadro che emerge evidenzia in effetti una contraddizione, tra interesse e disponibilità a sostenere i costi. Secondo la relazione, infatti, l’interesse complessivo dei consumatori per l'etichettatura d'origine è inferiore come importanza al prezzo, alla qualità e alle caratteristiche organolettiche: un aumento di prezzo inferiore al 10% riduce la “disponibilità a pagare” per ottenere l’indicazione d’origine del 60-80%. Cioè: i consumatori sono interessati a ricevere informazioni, se vengono offerte senza alcun aumento di prezzo sui prodotti. Una condizione pressoché impraticabile. Costi aggiuntivi e impatto sui consumi Chi non conosce a fondo la filiera di produzione alimentare, come quella dei salumi, non è in genere consapevole dei costi supplementari connessi all'etichettatura d’origine e tende a credere che essi si limitino al costo di “un po' più di inchiostro per la stampa”. Purtroppo non è così e questo perché l’elemento aggiuntivo in etichetta sarebbe il risultato di una serie di interventi necessari per rendere disponibile quel dato (che le aziende naturalmente possiedono, poiché garantiscono la tracciabilità e la rintracciabilità degli alimenti e dei loro ingredienti). L’adeguamento dei sistemi informatici e, più in generale, dei sistemi produttivi legati all’inserimento di questo dato in etichetta in maniera intellegibile per un consumatore, comporterebbe inevitabilmente un aumento di prezzo, per alcuni prodotti anche molto significativo. Secondo il citato studio indipendente svolto dalla Commissione, i costi aggiuntivi per l’indicazione del singolo Paese di provenienza delle carni oscillano tra il 15-20% e il 50%, compresi oneri amministrativi supplementari quantificati tra l'8 e il 12% dei costi totali di produzione. Aumenti assolutamente non sostenibili per le imprese e per i consumatori, soprattutto nel quadro economico attuale. In questo senso, tutti i prodotti oggetto della ricerca europea confermano un fattore comune: se l'etichettatura d'origine divenisse obbligatoria e ne risultasse in un incremento dei prezzi per i consumatori, il consumo di prodotti alimentari in cui le carni sono utilizzate come ingrediente potrebbe diminuire. Nell’ottica di trovare una soluzione che non comporti un aumento del prezzo per i consumatori, ma che soddisfi il loro interesse a conoscere l’origine della carne come ingrediente, in Italia è nato il primo progetto che coinvolge un intero settore: una piattaforma che offre queste informazioni gratuitamente e senza alcun costo aggiuntivo: www.salumitrasparenti.it La piattaforma: come funziona Salumi Trasparenti offrirà a partire dall’autunno in modo semplice, veloce e gratuito la possibilità di verificare i dati di molti prodotti preaffettati presenti in commercio, inserendone il codice EAN nel sistema. In questo modo sarà possibile

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scoprire luogo di produzione e Paese d’origine della materia prima in pochi passi. Per accedere alla scheda descrittiva di un prodotto, basterà inserire il codice nel motore di ricerca del sito, oppure arrivare a quel prodotto partendo dall’azienda produttrice. Nei prossimi mesi le aziende del settore inizieranno a inserire i dati relativi ai salumi che acquistiamo tutti i giorni. Una volta completata la prima fase di popolamento, sarà possibile iniziare a interrogare il sistema. Si potrà inoltre effettuare la ricerca durante l’acquisto, attraverso il download di una App gratuita (iOS e Android), semplicemente inquadrando con la fotocamera del proprio dispositivo il codice a barre: in automatico verrà mostrata la scheda prodotto. Oltre al motore di ricerca dei prodotti in database, la piattaforma Salumi Trasparenti si propone come uno strumento per approfondire il tema dei salumi italiani attraverso le sezioni informative come “Cosa e perché importiamo”, dove vengono spiegate la dinamiche di approvvigionamento delle materie prime dall’estero e come avviene la selezione, ed “Etichettatura”, dove vengono raccolte le informazioni per imparare a leggere le etichette dei prodotti alimentari, conoscendo qualcosa di più dei prodotti che acquistiamo. Un sito di servizio, che mira ad avvicinare aziende e consumatori, nell’obiettivo comune di avere a disposizione le informazioni senza alcun impatto economico, per aiutare entrambi a sgombrare il campo da falsi miti e strumentalizzazioni. Materia prima nazionale, importazioni, “made in” L’Italia è un Paese che, a parte in qualche settore, è strutturalmente in deficit di materie prime agricole. L’industria alimentare trasforma tutta la materia prima nazionale, ma questa è complessivamente carente per circa il 30% dei fabbisogni dei trasformatori. Per fare qualche esempio viene importato circa il 45% del latte, il 60% del grano tenero, il 40% del grano duro, il 90% della soia, il 40% della carne bovina. A questi si aggiungono prodotti che in Italia non possono essere coltivati, come il cacao o il caffè. In questo contesto, la filiera italiana dei salumi, da sempre, utilizza tutta la carne nazionale, che tuttavia copre il 60/65% delle necessità del settore. Per questo importa dai nostri partner comunitari (Germania, Francia, Olanda, Danimarca, Spagna, ecc…) il 35/40% della carne suina utilizzata nei salumi. Si tratta di una situazione strutturale, determinata dai limiti del nostro territorio. La carne prodotta in Italia a partire dal suino pesante (kg 160/180) e quella prodotta in Europa con suini leggeri (kg 90/110) hanno naturalmente caratteristiche qualitative, tecnologiche e di prezzo diverse. Per cui, per fare i prosciutti Dop e le altre produzioni a denominazione di origine protetta è obbligatorio utilizzare solo materia prima nazionale. Per gli altri salumi made in Italy può essere utilizzata sia la materia prima nazionale sia la materia prima estera (o un mix di materia prima nazionale e materia prima estera). La scelta comporta caratteristiche diverse nel prodotto finito, sia sotto l’aspetto qualitativo e organolettico (per esempio maggiore o minore quantità di grasso di copertura di un prosciutto crudo o cotto, maggiore o minore tenore di carne magra in un impasto) sia in termini di prezzo per il consumatore. Ciò che in ogni caso è assolutamente garantita è la sicurezza dei prodotti e delle materie prime. Questo è, per l’industria, un prerequisito assoluto. Le norme sanitarie sono le medesime in tutta Europa. A questo si aggiungono i controlli che le imprese eseguono sulle carni utilizzate, sia nazionali sia europee (oltre che su tutti gli ingredienti dei nostri salumi) e dal sistema nazionale di sicurezza sanitaria che effettua la propria attività di verifica e analisi delle materie prime e dei prodotti finiti. La missione dell’industria è quella di portare ai consumatori italiani e di tutto il mondo salumi realizzati in Italia buoni, sicuri e con il rapporto qualità/prezzo che soddisfi le esigenze di ogni singolo acquirente.

(–1,5%). Sulla scia della produzione anche il fatturato ha registrato un cedimento, scendendo a 7.943 milioni di euro (–0,5%). Un andamento che rispecchia il contenuto aumento dei prezzi. «La flessione produttiva — ha dichiarato in proposito Lisa Ferrarini — evidenzia una sostanziale capacità di tenuta del settore. In questa situazione ciò che ci preoccupa di più è la forte erosione della redditività aziendale: la crisi ha compresso i margini della filiera in maniera non sostenibile nel medio periodo. L’aumento abnorme della pressione promozionale è apparsa una soluzione efficace per sostenere i consumi. Tuttavia, deve essere chiaro a tutti che non può diventare la normalità, pena il fallimento delle imprese sia di pro-

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duzione (macelli, trasformatori) sia di distribuzione. Dobbiamo in altre parole evitare il rischio che l’eccezionale diventi normale. L’auspicata ripresa dei consumi dovrà accompagnarsi ad un ritorno verso livelli fisiologici di redditività per tutti». Nonostante la contrazione della produzione, prosciutto crudo e cotto, prodotti leader del settore, rimangono stabili al 48,8% in quantità e al 52,4% in valore. Ma, analogamente a quanto accaduto nel 2012, anche nel 2013 prosciutto crudo e cotto hanno evidenziato rispetto all’anno precedente una flessione: più sostenuta i prosciutti crudi, più lieve i prosciutti cotti. La produzione di prosciutti crudi è infatti scesa a 291.300 tonnellate (–1,9%), mentre quella di prosciutti

cotti si è fermata a 283.800 tonnellate (–0,9%). Diversi gli andamenti in termini di valore, con il prosciutto crudo che ha registrato ancora una flessione (–0,9% per 2.223 milioni di euro) e il prosciutto cotto sostanzialmente stabile (+0,2% per 1.943 milioni di euro). Ancora in calo sono risultate anche le quantità prodotte di mortadella, attestatesi sulle 170.800 tonnellate (–2%) per un valore di 675 milioni di euro (–1,1%). Risultato positivo, invece, per i würstel, che hanno tagliato il traguardo delle 69.900 tonnellate (+1%) per un valore di circa 245 milioni di euro (+1,1%), favoriti ancora una volta dal fattore prezzo e dalla dinamica domanda estera, soprattutto proveniente dall’Est Europa.

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Apertura del mercato brasiliano a salami, pancette e coppe Nel pieno svolgimento dei Mondiali di calcio, l’Italia ha segnato almeno un buon risultato: le autorità brasiliane hanno comunicato, infatti, l'approvazione del nuovo certificato sanitario per l'esportazione dall'Italia verso il Brasile di prodotti derivati dalle carni suine. È stato pubblicato nel mese di giugno il provvedimento con cui le Autorità locali hanno riconosciuto la regionalizzazione della malattia vescicolare e quindi autorizzato l'ingresso di prodotti di salumeria stagionati almeno 30 giorni (salami, pancette, coppe, ecc…) provenienti dalla “Macroregione del Nord”, che comprende Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Marche e le Province autonome di Trento e Bolzano. Si tratta di una negoziazione in corso da molto tempo e che ha previsto specifici sopralluoghi delle autorità brasiliane in Italia. «Sicuramente questa apertura arriva sull’onda del riconoscimento dell’anno scorso da parte degli Stati Uniti dell’indennità da malattia vescicolare del suino della Macroregione del Nord Italia» ha dichiarato Lisa Ferraririni, presidente di ASS.I.CA. «In Brasile i nostri prodotti sono molto diffusi e conosciuti grazie alle comunità di Italiani presenti nel Paese da circa 150 anni e che hanno anche avviato loro stessi produzioni locali di salumi. Sarà importante ora fare promozione dei nostri salumi in modo da far conoscere ai consumatori brasiliani le vere eccellenze del made in Italy». Un mercato, quello del Brasile, molto dinamico e in forte crescita. Nel 2013 le esportazioni dei nostri salumi hanno segnato un +21% in valore e +20% in quantità, se si considerano gli ultimi cinque anni il totale dell’export è più che raddoppiato. Per quanto riguarda i prodotti che si esportano la parte del leone la fa il prosciutto crudo che ha avuto una crescita del +17%, seguono i salumi cotti (mortadelle, würstel, cotechini e zamponi) con +9% (elaborazione ASS.I.CA. su dati ISTAT).

Gruppo Giovani Imprenditori: Bordoni confermata alla presidenza L’assemblea generale del Gruppo Giovani Imprenditori di ASS.I.CA. ha confermato alla presidenza del Gruppo per il biennio 2014-2016 Barbara Bordoni (in foto a lato), del Salumificio Bordoni Srl di Mazzo di Valtellina (SO). Nel corso dell’assemblea sono stati inoltre nominati i due vicepresidenti, Giorgia Vitali (Salumificio Vitali Spa), confermata, e Silvia Sassi (Sassi Spa), nuova nomina, e il nuovo consiglio direttivo, composto da Valentina Agnani (Suincom Spa), Simone Baldo (Baldo Industrie Alimentari Srl), Francesco Cattini (Salumificio Valtiberino Srl), Loris Largher (Salumificio di Casa Largher Srl), Alice Maini (Annoni Spa), Michelangelo Martelli (Martelli F.lli Spa), Nicoletta Montorsi (D’Autore Srl), Lorenzo Mottolini (Salumificio Mottolini Srl), Luigi Reggiani (Gigi Il Salumificio Srl), Sara Roletto (Rugger Spa) e Guglielmo Sassi (Salumificio San Pietro Spa). Barbara ha ringraziato tutti per la fiducia accordata e per il sostegno ricevuto in questi anni del suo mandato: «il Gruppo Giovani Imprenditori, di cui faccio parte dal 2010 e di cui sono presidente dal 2012, è sempre stato per me motivo di crescita personale e professionale. Essere imprenditori oggi richiede più che mai conoscenza, formazione e impegno e il Gruppo Giovani è un’occasione per sviluppare competenze e capacità anche grazie all’esperienza dei senior, che sono per noi un grande esempio». La presidente ha posto al centro dell’attività del Gruppo una serie di incontri istituzionali. «Vorrei ritornare a Bruxelles, alla Commissione europea e al Parlamento europeo, come già avvenuto due anni fa per approfondire meglio temi quali l’etichettatura, ecc…» ha precisato. Prima di Bruxelles il Gruppo avrà un incontro a Parigi, in occasione del SIAL. «Nel 2015 vorremmo organizzare una missione in USA in occasione della Winter Fancy Food che si terrà a San Francisco a gennaio per visitare una grande multinazionale del settore alimentare». Barbara Bordoni, laureata in Economia e gestione aziendale presso l’Università Cattolica del Sacro di Cuore di Milano, è impegnata nell’azienda di famiglia dove si occupa del settore commerciale, con particolare attenzione all’export e alla qualità.

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Marketing

Dadini di pancetta Il Colle: i cubetti perfetti L’elevata qualità della materia prima utilizzata, la lavorazione tradizionale e un’incredibile shelf-life di ben 120 giorni fanno dei cubetti di pancetta del Salumificio Il Colle un prodotto vincente sul mercato di Gaia Borghi

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na delle parole d’ordine per avere successo oggi sul mercato è senza alcun dubbio la praticità, richiesta sempre più dalla maggior parte dei consumatori che, presi dagli innumerevoli impegni del quotidiano, e sempre meno vogliosi — nonostante la nostra televisione e il web trabocchino letteralmente di programmi e blog o siti interamente dedicati ai cuochi e alla cucina — di perder tempo nella preparazioni dei pasti, ricercano sugli scaffali della Grande

Distribuzione, negli iper e supermercati della propria città o paese, prodotti già pronti all’uso, comodi e veloci da utilizzare. La pancetta a cubetti, nelle versioni dolce e affumicata, è certamente in cima alla lista dei salumi confezionati più venduti e ricercati dagli acquirenti, un must have da tenere sempre nel frigorifero domestico per ogni evenienza: vuoi perché è uno degli ingredienti base di moltissime ricette della tradizione gastronomica italiana, vuoi perché si tratta di un prodotto incredibilmente

versatile, capace di rendere saporito e gustoso qualsiasi piatto, dalla pasta al pomodoro alla semplice insalata, dalla frittata con le verdure all’abbinamento più audace con il pesce. Se a queste caratteristiche aggiungiamo una qualità ineccepibile, una grande varietà di formati disponibili, la mancanza di glutine e allergeni — che lo rendono adatto ad un inserimento in diete speciali per chi soffre di differenti patologie — e, udite udite, una shelf-life che può arrivare fino a 4 mesi, rispetto ai tradizionali 30/60

Cubetti di pancetta prodotti dal Salumificio Il Colle.

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giorni offerti dai produttori concorrenti, abbiamo tra le mani un prodotto di sicuro successo. Chi lo realizza è il Salumificio Il Colle, una realtà di cui abbiamo parlato molto di recente presentando il Gruppo di cui fa parte, la Valtidone Holding Spa (si veda l’articolo “Valtidone, i signori di coppe e pancette”, in PREMIATA SALUMERIA ITALIANA n. 3/2014, p. 50), insieme a Valtidone Salumi Srl, Pontenure Salumi Srl e Monpiù Srl. L’azienda di Vicobarone è specializzata nella produzione di coppe e pancette, queste ultime disponibili al naturale, tese, coppate, steccate e, appunto, a cubetti. Con una presenza nel settore di oltre trent’anni, Il Colle garantisce alla propria clientela l’utilizzo di un processo produttivo tradizionale nella realizzazione delle specialità tipiche del territorio, lo stesso che ha reso famosi gli artigiani salumieri piacentini nel mondo, consentendo al contempo l’ottenimento per la coppa e la pancetta piacentina del marchio europeo della Denominazione di Origine Protetta-DOP. La tradizione, naturalmente, si rafforza e diventa vincente sul mercato grazie alle attuali tecnologie, che hanno consentito a Il Colle di ottenere le certificazioni di qualità ISO 9001:2008, BRC e IFS, offrendo prodotti di alta qualità e igienicamente controllati. Produzione e vantaggi dei cubetti Dicevamo all’inizio dell’articolo dell’importanza della praticità perché un prodotto diventi appetibile per il consumatore di oggi, ma guai a dimenticarsi della qualità di base. I cubetti di pancetta che escono dallo stabilimento di Vicobarone sono infatti realizzati con una materia prima selezionata, scotennata e completamente sgrassata. La carne viene trattata meticolosamente ed è soggetta ad una lavorazione più accurata rispetto alla media: subisce infatti una salagione a secco di 22 ore, un successivo asciugamento di 48 ore e un congelamento che consente la cubettatura. Proprio in virtù di questo processo di salagione a secco (non viene fatta alcuna siringatura), il prodotto rimane bello asciutto e la confezio-

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Particolare della produzione dei dadini di pancetta. ne pulita, non umida come avviene in altri casi. La qualità del dadino è ben visibile all’acquisto, con la prima visione della confezione, ed in cucina, all’atto della cottura: non c’è rilascio di acqua. Inoltre, il suddetto processo consente l’ottenimento di garanzie igienico-sanitarie elevate ed una shelf-life di ben 120 giorni, con conseguente vantaggio sia per il consumatore finale che per la stessa Grande Distribuzione, che non è costretta ad un frequente controllo dei prodotti in scadenza. Altro grande vantaggio legato all’acquisto della pancetta a cubetti del Salumificio Il Colle è la regolarità dei cubetti: praticamente nessuno, nemmeno lo chef più esperto, potrà garantire la perfezione del taglio che può offrire un moderno macchinario. In questo caso, invece, tutti i dadini sono uguali nelle dimensioni, il che garantisce un miglior risultato durante la cottura e la presentazione dei piatti. I formati disponibili per i cubetti di pancetta in atmosfera protettiva (ATM) sono: • 50 grammi x 2 vaschette in versione sia dolce che affumicata (a marchio Il Colle e Valtidone); • 80 grammi x 2 vaschette in ver-

sione sia dolce che affumicata (a marchio Valtidone); • 100 grammi monovalva in versione sia dolce che affumicata (a marchio Il Colle); • 500 grammi formato catering. Esiste poi il formato sottovuoto da 5-10 chilogrammi specifico per l’industria di panificazione, conserviera, ecc… Tutti i prodotti possono essere realizzati anche con il marchio del distributore. Gli elementi appena menzionati hanno contribuito ad un costante e significativo consolidamento dei volumi di questa linea di prodotti. L’alto valore aggiunto offerto dalle confezioni de Il Colle è stato sicuramente apprezzato dagli addetti ai lavori e confermato poi dal consumatore finale che, scegliendo la pancetta de Il Colle, ha dimostrato di essere preparato ed attento anche alla qualità dei salumi destinati ad uso cucina. I cubetti del Salumificio Il Colle saranno argomento di sicuro interesse per tutti gli operatori della distribuzione moderna che, a parità di prezzo, saranno in grado di offrire un prodotto con un target qualitativo molto più elevato. Gaia Borghi

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Interviste

Il culatello minacciato dalla volgarizzazione del nome Tito Tortini, presidente del Consorzio di tutela del Culatello di Zibello Dop, ci parla di un fenomeno subdolo, a danno di produttori e consumatori. E intanto crolla la produzione per effetto della crisi

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l culatello di Zibello DOP chiede di proteggere il proprio nome, per evitare che il consumatore si confonda su un nome che generico non è e che non può essere utilizzato in maniera libera. A lanciare l’allarme all’ufficio stampa di Eurocarne, il Salone internazionale delle tecnologie per lavorazione, conservazione, refrigerazione e distribuzione delle carni in programma a Verona dal 10 al 13 maggio 2015, è TITO TORTINI, presidente del Consorzio di tutela del Culatello di Zibello DOP. «Non mi riferisco però alla protezione del culatello di Zibello — avverte — perché per quello c’è un disciplinare di produzione e un marchio europeo che ci difende, o almeno dovrebbe farlo, dalle imitazioni. Il fenomeno che si sta verificando è ancora più subdolo». Quale sarebbe, presidente Tortini? «L’invasione sul mercato di culatte, commercializzate spesso col nome di culatello con cotenna. Un prodotto che si presenta bene al taglio, non posso dire che non sia buono, ci mancherebbe, ma non ha nulla a che vedere con il culatello di Zibello DOP. Difatti, anche a valore, costa meno della metà, ma ha un’altra lavorazione, molto più industriale, con suini che provengono talvolta anche dall’estero. Manca la cura artigianale che mettiamo noi 22 soci del Consorzio di tutela, è un prodotto che non fa cantina e che non è nemmeno lontanamente nostro parente». Se non nel nome… «Purtroppo. È questo il problema, non ne possiamo più di una prolife-

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Tito Tortini, presidente del Consorzio di tutela del Culatello di Zibello Dop.

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razione di prodotti che utilizzano il nome di culatello come specchietto per le allodole: salame di culatello, lardo di culatello, pepita di culatello, culatta con cotenna». Facile confondersi, dice? «Noi della zona di Parma non ci caschiamo, ma gli altri? Sono tutti consapevoli del fatto che stanno acquistando un prodotto che non ha nulla a che vedere con il culatello di Zibello DOP?». Quale soluzione propone? «Abbiamo sollecitato il Ministero delle Politiche agricole e lo ha fatto anche l’assessore all’Agricoltura della Lombardia, GIANNI FAVA, affinché si ponga fine all’utilizzo di un nome come culatello, che riteniamo debba identificare una parte anatomica del maiale ben definita. Poi, una cosa sono il disciplinare e il marchio DOP, un’altra il nome di culatello, che tuttavia deve trovare una definizione precisa, puntuale e riconoscibile all’interno del cosiddetto decreto salumi. Solo chi utilizza una determinata parte anatomica del suino potrà usare il termine culatello, così come solo chi fa parte di una ben definita area, utilizza determinati suini con una provenienza specifica e si attiene al disciplinare del nostro consorzio potrà fregiarsi del marchio DOP. Non possiamo più tollerare la volgarizzazione del nome e ci aspettiamo una presa di posizione da parte dei tre ministeri coinvolti: quello delle Politiche Agricole, della Salute e dello Sviluppo economico».

Il Consorzio del Culatello di Zibello DOP quanto fattura? «Come ente di tutela preleviamo 1,10 euro per singolo culatello certificato prodotto e li usiamo per finalità promozionali, di tutela, istituzionali. Come Consorzio non facciamo attività di acquisto e vendita dei salumi, a quello ci pensano le aziende». Qual è la vostra produzione? «Le 22 aziende socie del Consorzio producono poco meno di 50.000 pezzi. Abbiamo avuto un crollo verticale dal 2012, quando siamo arrivati a produrne oltre 70.000 rispetto al 2011, quando eravamo intorno ai 50.000». Come mai questi sbalzi? «Nell’accelerazione che abbiamo impresso alla produzione siamo stati troppo ottimisti. Non ci siamo resi conto che la crisi ha colpito anche noi ed è per questo che poi abbiamo compresso i volumi, ritornando sui 50.000 culatelli. La recessione ha colpito un po’ tutti e non ha risparmiato un prodotto di alta qualità come il nostro, che non è a buon mercato e tradizionalmente trova un canale di commercializzazione forte nel cosiddetto regalo». Cioè? «Il 30% circa dei culatelli veniva regalato a Natale. Con la crisi, soprattutto nell’ultimo anno, non è quasi più così. Il contraccolpo è stato enorme e ritengo sia stato questo il motivo principale che ha portato alla contrazione delle produzioni. C’è ancora molto magazzino e un culatello quando arriva ai 36 mesi di stagionatura comincia ad essere al limite».

L’export non è una valvola di sfogo? «Esportiamo una piccola percentuale. Non abbiamo dati ufficiali, ma ritengo che la media sia intorno al 3-4% della produzione totale. Arriviamo in Europa e in molti altri paesi, dal Canada all’Australia, dal Giappone a Hong Kong. Il culatello è un salume delicato, di difficile gestione, serve una certa cultura per poterlo proporre e per poterlo apprezzare». Va molto bene, fra i salumi, il preaffettato in vaschetta. È così anche per il culatello di Zibello Dop? «No, è stata una grossa delusione. Siamo riusciti come Consorzio ad ottenere la possibilità di affettare e mi attendevo risultati positivi, invece non è stato così. Forse perché, se è pur vero che il preaffettato è in aumento, si tratta di un trend che riguarda in modo quasi esclusivo la Grande Distribuzione Organizzata, che privilegia una politica sui prezzi. Il culatello di Zibello DOP si rivolge prioritariamente alle gastronomie, alle salumerie, a target molto più specializzati e di livello superiore. Che però comprano il prodotto intero e non preaffettato. Pensavo che l’operazione potesse avere successo con i ristoranti, dove per alcuni può essere impegnativo acquistare un culatello di quattro chilogrammi. Invece mi sbagliavo, forse dovremmo divulgare di più questa opportunità ai ristoratori». E per far riprendere i consumi? «Dovrebbe riprendere il trenoItalia, ma non vedo la ripresa così vicina.

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Dovremmo accostarci di più, per la tipologia di prodotto che abbiamo, ad operatori qualificati. Il consumatore generico, infatti, si è constato che avvicina a noi finché è gratis».

Eurocarne 2015 per la prima volta si avvicinerà alla filiera completa del settore carneo. La ritiene un’opportunità? «Sì, nella misura in cui si instaurerà un dialogo diretto con consu-

matori qualificati e non generici e soprattutto, importante per noi, con ristoratori, gastronomie e salumerie tradizionali» (Fonte: Servizio Stampa Veronafiere)

Podere Cadassa: un viaggio dei sensi circondati da 7.000 culatelli Un caveau del gusto. Uno scrigno dei sapori che custodisce storia e tradizione di un territorio, regalando gusti ed emozioni sempre nuovi. Si presenta così a Colorno Podere Cadassa, la storica cantina dei Culatelli di Zibello Dop della famiglia Bergonzi, proprietaria anche del ristorante Al Vedel, dove lo chef Enrico Bergonzi, seguito da un giovane staff, propone piatti della tradizione parmigiana con uno stile creativo e moderno. Parola d’ordine: tradizione. Ma con un occhio al futuro. Ed è per questo motivo che quindici anni fa Enrico Bergonzi e la sorella Monica, insieme ai rispettivi coniugi, Edgarda Meldi e Marco Pizzigoni, decidono di avviare un ampio progetto di riqualificazione del Podere Cadassa, giunto al termine il 10 giugno con un grande evento di presentazione di quella, che a giusto titolo, può essere definita la “Casa del Gusto” di Colorno. Un investimento importante che ha comportato l’ampliamento della struttura per complessivi 400 m2, riqualificando la cantina naturale dove ora riposano appesi 7.000 culatelli. Un luogo magico, unico nel suo genere, da visitare con il naso all’insù! >> Link: www.poderecadassa.it

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Salumi in tavola

1.000 modi di cucinare la mortadella Al naturale, alla piastra, alla griglia, gratinata, al forno, in polpetta, come torta salata, in gâteau, in umido, al sugo, alla pizzaiola, negli involtini o infilzata negli spiedini, impanata e fritta, in frittata, negli gnocchi, in insalata, con la pasta fredda, fatta in casa e, nascosta, nell’impasto dei tortellini alla bolognese! di Nunzia Manicardi

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evo ancora trovare qualcuno a cui non piaccia il panino con la mortadella: fino a pochi anni fa era il pasto abituale di tanti muratori e studenti all’uscita dai cantieri e dalla scuola. Entravano tutti allegri dal salumiere il quale, ben assestato nel suo negozio di quartiere, sembrava tenesse aperto fino all’ultimo minuto proprio per aspettarli. E, anche se entravano altri

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clienti che si mettevano pazientemente in attesa, non mostrava alcuna fretta. Tutto allegro anche lui, anzi, si dedicava con la massima cura ad affettare le belle “bistecche” rosate e a deporle con delicatezza nel panino fragrante, morbido dentro e croccante fuori, che aveva prima aperto in due con un coltellaccio affilato. Sovrapponeva il “coperchio” e… voilà, la squisitezza era pronta, avvolta nella

sua carta gialla oleata all’interno e lasciata semiaperta quel tanto che bastava perché la pagnottina potesse essere addentata all’istante non appena fuori dal negozio. Mi viene ancora l’acquolina in bocca solo a ripensarci. Ma di modi di mangiare la mortadella ce ne sono tanti altri, così numerosi e sorprendenti da lasciarci… a bocca aperta! Riguardano, ovviamente, la sua cottura, perché per la mortadella

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Omelette con fave e mortadella (photo © blog.giallozafferano.it). cruda basta soltanto un po’ di fantasia. Cuocere la mortadella richiede invece la conoscenza di alcune ricette che adesso andiamo ad illustrare. Sulla piastra, grigliata o al forno Innanzitutto la mortadella può essere cotta alla piastra (o alla brace), secondo un uso antichissimo che si fa risalire addirittura agli antichi Romani e che ancora si pratica a Colledoro di Castelli, Teramo, quando, durante la sagra agostana ad essa dedicata da parecchi anni, viene pestata nel mortaio, cotta e insaporita con il mirto (arbusto odoroso tipico della macchia mediterranea). Un’altra sagra analoga, anch’essa in agosto, si tiene a Montesilvano, in provincia di Pescara, dove la mortadella, sempre preparata alla piastra nel modo tradizionale, si alterna ad arrosticini e porchetta. A casa vostra potete farla anche semplicemente tagliando delle fette tonde alte 1 cm da mettere a cuocere sulla piastra in precedenza scaldata fino a farla diven-

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tare bollente. La cottura è di circa 2 minuti per lato. Al termine le fette possono essere tagliate a spicchi e condite con un filo d’aceto balsamico. La mortadella può anche essere alla griglia, che è più o meno la stessa cosa della ricetta precedente solo che l’effetto finale è appunto quello grigliato. Si può servirla così, come se si trattasse di una bistecca ai ferri, oppure disporla sopra un letto di rucola appena condita. È ottima anche gratinata e cotta al forno. Per un trancio di mortadella occorrono circa 150 grammi di pangrattato, 1 uovo, 6 cucchiai di parmigiano, sale e pepe quanto basta. Tagliare la mortadella a fettine spesse circa 1/2 cm o poco più; preparare l’impasto con pangrattato, uovo sbattuto, un pizzico di sale, pepe e parmigiano grattugiato. Sistemare la mortadella in una teglia bassa e versarci sopra l’impasto. Infornare a 200 gradi per circa 10 minuti; spolverare con formaggio Parmigiano e lasciare un altro minuto; togliere dal forno e servire in tavola.

Polpette, torte e gattò Il trionfo della cottura della mortadella avviene in tegame, nella classica cottura in padella dove può essere preparata davvero in tanti modi diversi. Partiamo dalle polpette. Consigliamo le seguenti proporzioni: per 400 grammi di carne macinata aggiungere 50 grammi di mortadella e altri 50 grammi di pane grattugiato, 1 uovo, prezzemolo, sale e pepe. Formare le polpette, magari aiutando con l’apposito attrezzo, poi far cuocere in padella con un po’ d’olio finché non prendono il colore. Se si vuole attenuare l’impatto dell’olio si può utilizzare il sugo di pomodoro. Un’altra gustosa variante, gradita però soprattutto agli adulti, è quella delle polpette con amaretti, una piacevole nota dolce che richiede una ricetta un po’ più elaborata. Gli ingredienti per 4 persone sono: 300 grammi di carni macinate di manzo e vitello, 40 grammi di mortadella, 6 amaretti, 2 fette di pancarré, 1/2 uovo (uno intero è troppo), un po’ di latte, pangrattato, timo, olio extra-vergine, sale e pepe. Mettete le fette di pancarré spezzettate a bagno nel latte. In una ciotola mescolare la carne macinata con il pancarré strizzato, la mortadella tagliata a pezzettini, gli amaretti ben sbriciolati, un pizzico di timo tritato, l’uovo, il sale e il pepe. Impastate bene tutti gli ingredienti, lasciate riposare un paio di minuti e ricavatene delle polpettine grosse un po’ più di una noce. Passatele nel pangrattato, poi mettetele su una teglia con carta da forno leggermente unta e cuocere a 180 gradi per 15-20 minuti, girandole a metà cottura. La stessa ricetta può essere realizzata con ricotta e uvetta al posto degli amaretti. Tutto questo ci porta verso una versione davvero audace che è quella della torta dolce di mortadella, tanto da meritare la definizione di mortadella cake, anche se la versione più accreditata e utilizzata rimane quella della torta salata con formaggio o funghi. In quest’ultimo caso si adopera il solito rotolo di pasta sfoglia rettangolare (anche surgelata) su cui si dispongono le fette di mortadella e il formaggio (Emmental o altro del tipo filante e un po’ di stracchino per amalgamare il tutto) oppure i funghi o altri ingredienti a piacere (c’è chi

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aggiunge, per esempio, dei pistacchi o qualche rondella di porro, giusto per insaporire ulteriormente). Si inforna a 200 gradi per 15 minuti ed è subito pronto. Questa torta salata, facile fa preparare e rapida da cucinare, si gusta sia calda che fredda. Per il gâteau con mortadella (c’è chi italianizza scrivendo “gattò”, così come si pronuncia il termine francese) occorrono 4 grosse patate, 100 grammi di mortadella, 100 grammi di scamorza, 1 mozzarella, 50 grammi di Parmigiano grattugiato, 2 uova intere, sale, pepe e noce moscata, pangrattato. Dopo aver lessato le patate le si schiaccia e si aggiungono a pezzetti tutti gli altri ingredienti e, per ultimo, le uova, sale, pepe e noce moscata quanto basta. Si versa il composto in una pirofila da forno precedentemente imburrata e cosparsa di pangrattato. Si spolverizza di altro pangrattato, si aggiunge qualche fiocchetto di burro o un filo d’olio e si inforna a 180 gradi per 30 minuti circa. In umido e nel sugo La mortadella è buona anche in umido con patate (oppure con piselli o con fagioli). Si tratta, a quanto pare, di una ricetta anche piuttosto antica. Occorrono 500 grammi di mortadella in unico trancio e un kg di patate. Tagliare le patate a grossi pezzi e farle cuocere in un soffritto di sedano, carota e cipolla. Dopo un po’ unire la passata di pomodoro e acqua quanto basta per coprire le patate (e da aggiungere ancora, se occorre). A metà cottura delle patate si unisce la mortadella tagliata a dadoni. Cuocere ancora, almeno per una mezz’ora, finché le patate non siano tenere. Ottimo per quella che a Roma chiamano “scarpetta”. Rimanendo in tema di sugo ricordo che si può fare anche un sugo con la mortadella, molto gustoso, utilizzando 100 grammi di mortadella tritata grossolanamente, 1 cipolla 1/2 bicchiere di vino bianco, pomodoro (anche in passata), olio, sale e pepe. Altro piatto a base di sugo è la mortadella alla pizzaiola, un secondo facile e gradevole che prevede la mortadella preparata sotto forma di involtini da far cuocere nel sugo con aggiunta finale, a piacere, di qualche erba aromatica (per esempio, origano).

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C’è ma non si vede: la mortadella è uno degli ingredienti essenziali del ripieno dei tortellini bolognesi insieme a carne di vitello, maiale, salsiccia e prosciutto. Negli involtini e negli spiedini Per gli involtini di mortadella bisogna preparare innanzitutto un impasto di pangrattato, formaggio, uova, sale e prezzemolo tritato (eventualmente anche un goccio di latte per ammorbidire). Con questo impasto si riempiono le fettine di mortadella dando la tipica forma a involtino oppure formando dei saccottini. Nel frattempo, in un tegame, unite l’aglio e l’olio facendolo scaldare. Aggiungete gli involtini e lasciate cuocere per circa mezz’ora a fuoco lento. A questo punto gli involtini sono pronti. Si possono servire così o con aggiunta di salsa di pomodoro (fatta cuocere insieme con gli involtini nella fase finale). Gli spiedini alla mortadella e formaggio sono invece un piatto freddo, adatto ad ogni periodo dell’anno, molto adatto anche come antipasto. La versione più semplice prevede l’inserimento su di un lungo stecchino di legno di pezzetti di mortadella alternati a formaggio (Emmental o

Asiago o simili) sempre a pezzetti. Le varianti possono essere tante. Basti pensare a quanto può essere gradevole, anche per l’occhio, vedere questi pezzetti bianchi (o gialli) e rosa inframmezzati da olive nere. Oppure ai due ingredienti principali si possono abbinare pomodorini ciliegino o funghi sottolio o quant’altro possa anche essere avanzato in frigorifero e che si presti all’occasione. E fritta? Perché no! Una preparazione non proprio dietetica è quella della mortadella impanata e fritta per la quale si devono preparare delle cotolette di mortadella di circa 1 cm di spessore, infarinate leggermente e passate prima in 2 uova sbattute e poi nel pangrattato. Si friggono in padella con abbondante olio ben caldo per 2-3 minuti. Sgocciolatele su carta assorbente, salatele e servitele come secondo. Se volete un altro secondo, sempre nel settore “fritti”, potete rivolgervi alla frittata alla

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mortadella. Si taglia la mortadella a dadini; in una scodella si sbattono le uova con sale e pepe e si aggiunge la mollica di pane spezzettata e il formaggio (del tipo spalmabile). Con una forchetta amalgamare e schiacciare tutti questi ingredienti fino a ottenere un composto omogeneo, poi unire la mortadella a dadini. Friggere da un lato e dall’altro e accompagnare con un’insalata di stagione. Nei primi piatti o in insalata Se invece volete ricorrere al nostro amico salume per un primo piatto inconsueto potete preparare gli gnocchi di mortadella. Si ammorbidisce nel latte la mollica di pane. Dopo averla strizzata si unisce alla mortadella frullata e si completa l’impasto con l’aggiunta di uova, formaggio grattugiato, prezzemolo tritato, sale e pepe e farina in quantità necessaria per avere compattezza. Si formano dei rotolini lunghi e spessi circa 1 cm che

poi si tagliano a gnocchetti e successivamente si passano nella farina. Si lessano in acqua salata e, man mano che vengono a galla, si ritirano con l’apposita paletta forata. Si completa il piatto con parmigiano reggiano o con un po’ di burro e salvia. Volete invece rimanere sul leggero? Ecco l’insalata di mortadella, ricetta tanto semplice che non ha avrebbe neanche bisogno di spiegazioni. Comunque si taglia la mortadella a cubetti, la si condisce in una ciotola con prezzemolo tritato o rucola, olio extra-vergine, succo di limone e origano e la si aggiunge all’insalata. Naturalmente il condimento può variare a piacere. Allo stesso modo si può utilizzare la mortadella con la pasta fredda, creando un piatto saporito e adatto soprattutto al periodo estivo. Per finire in bellezza Siete amanti della cucina e volete mettervi alla prova? Provate allora a preparare la mortadella fatta in casa.

Ingredienti per 1 persona: 70% di carne magra di suino, 25% di grasso di suino, 5% di cotenna lessata, aromi vari (volendo anche pistacchi), sale, pepe in grani, pepe macinato, budello grosso per insaccare. Tritare finemente la carne e la cotenna con tritacarne e mixer e mischiarla ad aromi macinati, sale, pepe in grani, eventualmente pistacchi e grasso a tocchetti. Inserire l’impasto nel budello e, dopo averlo richiuso, passare in forno a 90 gradi per 4-6 ore mantenendo l’umidità con un pentolino d’acqua. Una volta cotta la mortadella, immergerla in una pentola con acqua fredda e conservare in frigo fino al consumo. Non dimentichiamo, infine, che la mortadella è ingrediente fondamentale nell’impasto dei tortellini alla bolognese per il quale bisogna farsi macinare 2 volte dal macellaio carne di vitello, maiale e salsiccia e, a parte, prosciutto e, appunto, mortadella. Nunzia Manicardi

Fagottini di Mortadella Bologna Igp Ingredienti per 6 persone g 300 di Mortadella Bologna IGP tagliata a fettine sottili • g 70 di caciotta • g 10 di pistacchi • 6 pomodori ramati maturi • 2 spicchi d’aglio • origano selvatico fresco • 1 mazzetto di basilico • olio extra-vergine d’oliva Preparazione Al centro delle fette di Mortadella Bologna ponete un composto di caciotta fresca, pistacchi tritati e un pizzico di sale. Chiudete formando un fazzoletto. Mettete in luogo fresco per far rassodare leggermente il composto. Sbucciate i pomodori, togliete i semi e la polpa e tagliateli a pezzetti, poi fateli soffriggere aggiungendoli al fondo d’aglio. Quindi aggiungete i fazzolettini di Mortadella Bologna e qualche foglia di basilico. Serviteli tiepidi con qualche goccia di olio e una spolverata di origano. Guarnite con rametti di origano e ciuffi di basilico.

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Al grido “Chi la fa l’affetta!”, Bologna si prepara a celebrare la seconda edizione di MortadellaBò, il grande evento organizzato dal Consorzio Mortadella Bologna in programma da giovedì 9 a domenica 12 ottobre. Quattro giorni che avranno come splendida cornice il cuore di Bologna, Piazza Maggiore, suggellando il profondo legame che da sempre lega la cultura gastronomica felsinea alla sua Regina rosa, una protagonista della tavola che tutto il mondo le invidia. La manifestazione punta a coinvolgere in maniera trasversale il pubblico di curiosi e appassionati, di grandi e piccini, con una serie di momenti “in rosa” dedicati al palato. E non solo. Accanto agli stand di degustazione e vendita, saranno, infatti, organizzate tavole rotonde e incontri di approfondimento, laboratori di degustazione e di cucina tenuti da esperti e rinomati chef, giochi e intrattenimenti a tema dedicati a tutta la famiglia, e ancora numerose iniziative che allargheranno alla città di Bologna il circuito della manifestazione: fra questi il coinvolgimento fattivo di ristoranti e botteghe del gusto, di locali aperitivo, di musei e dell’intero tessuto commerciale. Festa grande alla Notte Rosa 2014 Aspettando l’autunno, la Notte Rosa di Rimini ha celebrato la coppia più gustosa dell’estate. Lo scorso 4 luglio, infatti, due prodotti simbolo della tradizione regionale emiliano-romagnola hanno avuto un vero e proprio colpo di fulmine: la Mortadella Bologna e la Piadina. A suggellare l'unione oltre 4.000 assaggi di mortadella (per l’esattezza, più di 500 piadine e 75 chilogrammi di Mortadella Bologna Igp) serviti con le autentiche “piade”, distribuiti gratuitamente al pubblico durante la serata presso lo stand del Consorzio Mortadella Bologna, allestito accanto a Piazzale Fellini. L’amore è scoccato al primo assaggio Un autentico bagno di folla ha poi accompagnato la Sposa PerFetta, simpatica sposina “mortadellosa” testimonial di MortadellaBò da ormai diversi mesi impegnata nella sua “caccia amorosa” al compagno di vita — e di tavola — ideale con cui convolerà a nozze durante la prossima kermesse bolognese. >> Link: www.mortadellabo.it

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Sapori mediterranei

Riso arcano Quanti sanno che l’Italia semina circa 200 varietà diverse di riso? O che il nostro Paese produce oltre la metà del riso che ha origine nell’UE? Breve e appetitoso viaggio nell’universo riso di Riccardo Lagorio

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ll’onda o in bianco? Per minestra o supplì? Di riso sempre si tratta, ma quanti si immaginerebbero che l’Italia semina (e raccoglie) all’incirca 200 varietà diverse di riso? E chi si aspetterebbe che il nostro Paese produce qualcosa di più della metà del riso che ha origine nell’Unione Europea, garantendo un surplus di bilancia commerciale che pochi altri prodotti agricoli assicurano? Tutto ebbe inizio, pare, quando gli Arabi introdussero la coltivazione del cereale in Spagna, bene accolto dagli agricoltori per il fatto che attecchisse anche in terreni incolti e sterili. Ed in Lombardia e Piemonte il riso non tardò ad acclimatarsi perfettamente nelle paludi e nei terreni resi umidi dalle esondazioni dei fiumi. Già nel Quattrocento la coltivazione del riso era sicuramente ben diffusa in molte aree padane: lo si sa per certo grazie ad un documento con cui gli Sforza autorizzano ad esportare verso Ferrara sacchi di riso da semina. Fedele alla loro storia il Piemonte, Lombardia e Veneto sono le maggiori Regioni in Italia dedite alla risicoltura. Senza dimenticare la Sardegna e la Calabria.

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In verità Vercelli, Pavia e Novara sono le province dove la cultura del riso è più radicata, con marcite sommerse d’acqua ideali per la crescita delle pannocchie. Nel nostro Paese, per una legge datata 1958, le numerose varietà di riso, in base al rapporto tra quanto misura in lunghezza e larghezza il chicco, vengono classificate in comune, semifino, fino e superfino. Per semplificare, affermano alcuni, per mancanza di chiarezza dicono altri. Traduciamo meglio il concetto: quando andiamo a fare la spesa e compriamo un pacchetto dove si trova indicata la categoria di appartenenza, la marca commerciale e l’indicazione della varietà, non è detto che il contenuto sia esattamente lo stesso di quanto dichiarato. Nel caso specifico, al sottogruppo del Carnaroli (che appartiene al gruppo Superfino), tra le più note sul mercato, per un recente Decreto Ministeriale (febbraio 2013), vengono assimilate altre varietà come il Carnise, il Poseidone ed il Karnak. Una proposta di legge depositata a metà maggio 2014 prevede che sia addirittura possibile mescolare varietà appartenenti ad uno stesso gruppo in uno stesso contenitore.

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Riso con crudo di gamberi rossi e caviale di aringa dello chef Davide Botta. Il Karnak è una varietà conseguita da incroci partendo dal Carnaroli; in campo è di più facile coltivazione, con una resa per ettaro più elevata, quindi meno costosa da produrre, ma avente le stesse dimensioni del chicco. Alla cottura, però, uno si squaglia facilmente e l’altro rimane perfettamente al dente. Inoltre, in campo la pianta del Carnaroli è alta oltre un metro e con il vento si piega facilmente; se ne producono 50 quintali per ettaro. Il Karnak è alto 65 cm, resiste alle intemperie e arriva a 65 quintali per ettaro. Allo stesso modo circa il 90% di quello che si acquista con il nome Arborio è in realtà Volano. Ancora più misterioso è il contenuto delle scatole dove si cita l’utilizzo finale suggerito del prodotto, come nel caso del generico “riso per risotti”… Quanto detto esclude i risi che hanno ottenuto i riconoscimenti comunitari (Baraggia Biellese e Vercellese DOP, Vialone Nano Veronese IGP, Riso del Delta del Po IGP), che necessitano di una dizione puntuale della varietà che si trova all’interno della confezione e che insistono su circa 10.000 ettari. Poca cosa comunque rispetto all’intera superficie nazionale coltivata a riso (circa 235.000 ettari). Riso denominato In particolare, la Baraggia è un territorio che nel passato è stato fondale marino (perciò limoso), trasformatosi

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in ghiacciaio (con ghiaie e sabbie), plasmato infine dal vento e solcato dai fiumi (quindi caratterizzato da elementi erosivi). Caratteristiche visive del territorio sono gli altopiani, dove manca quasi del tutto la circolazione idrica superficiale e la presenza di terreni argillosi, fini e costipati, per nulla fertili. L’incapacità di trattenere l’acqua negli interstizi del suolo fa della baraggia un ambiente arido nei mesi estivi. L’unico mezzo per rendere i terreni utilizzabili dal punto di vista agronomico è di conseguenza la costante disponibilità di acqua irrigua. Per questa ragione il riso poteva diventare una delle poche colture adatte a questo tipo di terreno. L’avvio di un’agricoltura moderna risale alla fine degli anni Venti, quando il Governo si mosse per la trasformazione fondiaria, qui come in altre sette grandi zone del Paese dove si riscontravano condizioni arretrate di coltura. LUCA GUERRINI, uno dei produttori di riso DOP a Salussola (Società Agricola Guerrini F.lli S.S., via Mazzini 38, frazione Arro, 13885 Salussola, Biella, telefono: 0161 939829, www.risoguerrini.it) insieme ai tre fratelli, ricorda che «la denominazione di origine protetta Riso di Baraggia Biellese e Vercellese designa il prodotto risiero ottenuto mediante l’elaborazione del riso grezzo o risone a riso integrale, raffinato

o parboiled. Ogni fase del processo produttivo deve essere controllata dalla struttura di controllo attraverso l’iscrizione in appositi elenchi delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione. Sono quattro le varietà che possono diventare DOP: Carnaroli, Baldo, Sant’Andrea e Arborio. Noi mettiamo a coltura tutte le varietà tranne il Baldo. Produciamo a DOP 150 quintali di riso all’anno, poco più del 5% della nostra produzione totale ed il mercato riconosce alla DOP circa il 10% in più di prezzo». Ma la DOP è anche un prodotto sano: per disciplinare è vietato l’impiego di concimi nitrici e dei composti che contengono metalli pesanti mentre i trattamenti con insetticidi devono essere fatti almeno 40 giorni prima della raccolta. Il Riso del Delta del Po IGP viene coltivato tra Emilia-Romagna e Veneto nei territori di Ferrara e Rovigo formati dai detriti e dai riporti del fiume Po e dalle successive opere di trasformazione fondiaria. GIORGIO UCCELLATORI, dell’omonima azienda di Taglio di Po, in provincia di Rovigo (telefono: 0426 661564), è tra coloro che una decina d’anni fa si fece promotore del Consorzio ed oggi produce Riso del Delta del Po IGP (www. risodeltapoigp.it) su circa 100 ettari di terreno. Fu una grande scommessa

Luca Guerrini della Risicoltura Guerrini di Salussola (BI).

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quella che ha visto nascere il Consorzio di tutela nel dicembre 2012. «Le varietà che si possono coltivare e denominare sono il Carnaroli, il Baldo, che è molto richiesto all’estero, l’Arborio ed il Volano, in parte simili tra loro e commercialmente aventi le medesime caratteristiche. Il clima marino che si ha nel Rodigino facilita le caratteristiche positive del nostro riso in quanto si hanno poche giornate di rugiada. I terreni calcarei e salini sono inoltre perfetti per varietà come il Carnaroli. Per disciplinare abbiamo adottato la rotazione dei terreni: non si può coltivare riso per più di otto anni, a cui seguono sullo stesso appezzamento due anni di altre colture». Qui dove il Grande Fiume arranca e si fa quasi muto si sta preparando una linea di pasta e biscotti per celiaci. L’antico piatto dei pescatori, il riso alla canarola, la sera preparato con fagioli e pancetta e l’indomani quasi tostato sugli isolotti per mezzo della combustione delle canne non si trova più nei locali. Ma sono molti, come il ristorante Aurora di Porto Tolle (45018, località Cà Dolfin, Porto Tolle, Rovigo, telefono: 0426 384240, www.ristoaurora.com), a proporre risotti con i frutti di mare ed i molluschi di cui è ricca la pesca locale. Il Riso Nano Vialone Veronese IGP è coltivato in 24 Comuni della

Claudio Cirio della Cascina Falasco di Casalbeltrame (NO).

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provincia veronese. La caratteristica geomorfologica principale è la presenza di fontanili, la cui acqua feconda terreno ricchi di limo e sabbia. Qui le ricette principali sono i risotti, magari innaffiati di Amarone o con il tastasal, la pasta di salamella. Oppure, tramite alla fantasia che un grande cuoco come DAVIDE BOTTA (L’Artigliere, Isola della Scala, 37063, Verona, telefono: 045 6630710, www. artigliere.net) sa operare sulle materie prime, con crudo di gamberi rossi e caviale di aringa o formaggio caprino fresco con polipo, aringa affumicata e rapa rossa. Alle origini del riso Proprio all’interno delle sterminate superfici destinate a risaia, in territorio vercellese, c’è un cuore verde di circa 600 ettari. Si tratta del Bosco delle Sorti della Partecipanza di Trino, un bosco planiziale praticamente estinto altrove, riserva di legna estratta a sorte la seconda domenica di novembre tra le famiglie originarie di Trino. Non distante da qui si trova La Grangia del Principato di Lucedio, il luogo da cui si propagò in Italia la coltivazione del riso grazie al lavoro dei monaci cistercensi. Sottoposta nel corso dei secoli a numerosi passaggi di proprietà, l’attuale Principato di Lucedio (Cascina Lucedio, 13039 Trino, Vercelli, telefono: 0161 81519, www.principatodilucedio.it), è una moderna azienda agricola che ha saputo conservare gli ambienti medievali che la caratterizzavano: superata la cinta fortificata è possibile infatti ammirare la Chiesa del Popolo, la Chiesa Abbaziale, il singolare campanile, ottagonale nella parte superiore ma quadrato alla base. Quello colorato e profumato, ma anche la birra e la pasta… Colore e fantasia dei piatti sono elementi fondamentali della cucina italiana. Così non poteva mancare chi è riuscito a riprodurre in Italia varietà di riso colorato. CLAUDIO CIRIO, durante i suoi numerosi viaggi in Cina, aveva potuto apprezzare varietà di riso nero. Dalla regione dello Huang Xu Reng si fece arrivare semenza di riso nero da piantare nei terreni della

Birra di riso del Birrificio Sant’Andrea di Vercelli. sua Cascina Falasco a Casalbeltrame (Cascina Falasco Inferiore, 28060 Casalbeltrame, Novara, telefono: 0321 838238, www.aziendaagricolafalasco.com), terra di Novara. Dopo numerosi incroci con il riso locale, anche grazie al contributo di Sapise (Sardo Piemontese Sementi, con sede a Vercelli; telefono: 0161 257530), il riso Venere si iscrisse nel 1997 al registro nazionale e venne lanciato sul mercato nel 2000. Si tratta di un riso aromatico dal pericarpo nero con il chicco arrotondato. La naturale colorazione nera è conferita dalla presenza di antociani, che appartengono alla famiglia degli antiossidanti. «È un riso venduto integrale: non si perdono perciò oli, sali minerali e vitamine che sono sciupate nel riso sbiancato e se ne apprezza la versatilità in cucina», dice GIAMPIERO CRAVERO dell’omonimo ristorante a Caltignaga (via Novara 8, 28010 Caltignaga, Novara, telefono: 0321 652696, www.hotelcravero.it), dove il riso Venere, gamberi e salsa al Gorgonzola è uno dei piatti più richiesti. Oppure se ne fanno gallette, bianche, poiché il colore nero si trova esclusivamente nel pericarpo del chicco, e farina di riso, adatta per la panificazione ed in ristorazione (un’idea concreta la fornisce il ristorante Il Convento, via Hermada 3A, 13039

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Le confezioni di pasta di riso parboiled “Riso di Pasta” Viazzo, ideali per le persone che soffrono di celiachia, un’ottima alternativa alla pasta tradizionale. Trino, Vercelli, telefono: 0161 801325, www.ilconventoditrino.com, con il suo “uovo morbido in crosta di Venere con asparagi e fonduta leggera”). Il riso Venere è coltivato da quattro aziende in Italia su una superficie di 450 ettari. Dal colore nero ma con il chicco allungato è l’Artemide, nato dall’incrocio di riso Venere ed una

varietà dal chicco allungato, mentre Ermes è il riso rosso naturale, privo di glutine e ricco di fibre, sali minerali e proteine. Sono risi a lunga cottura, dai 35 ai 40 minuti, ideali nelle diete prive di glutine ed accattivanti in cucina per la loro nota vegetale e il caratteristico aspetto esotico.

Nella patria del riso il Birrificio Sant’Andrea di Vercelli (via Cima Dodici 22, 13100, Vercelli, telefono: 0161 1740266, www.bsabeer.it) propone anche una birra lussureggiante di aromi ed alcol. Recentemente, nell’ottobre 2013, nel centro di Vercelli, è stato aperto un elegante spaccio di pasta di riso (anzi, “Riso di pasta” come recita la loro insegna promozionale) da parte della Riseria Viazzo (corso XXI Aprile 43, 13040 Crova, Vercelli, telefono: 0161 970115, www.risodipasta.it, www.risoviazzo.com) per accondiscendere alle richieste di chi soffre di celiachia. Penne, fusilli, tortiglioni di solo riso parboiled, per non far perdere a nessuno il gusto tutto italiano della pasta. Riccardo Lagorio Nota A pagina 64 e 65, una panoramica delle risaie (photo © Andrea Cherchi) ed una mietitrebbia nel Vercellese. Vercelli, Pavia e Novara sono le province dove la cultura del riso è più radicata.

Risotto con bresaola, bitto e Sassella Ingredienti per 4 persone g 400 riso Carnaroli • ½ cipolla tritata finissima • 2 cucchiaio d’olio • 1 litro circa di brodo • 1 bicchiere di vino Sassella Valtellina Superiore DOCG • burro d’alpe • Parmigiano Reggiano grattugiato • g 200 di bresaola della Valtellina IGP a fette sottili • g 100 formaggio bitto giovane DOP della Valtellina Preparazione Preparate il brodo e, in una pentola bassa e larga, indicata per i risotti, soffriggete la cipolla con l’olio. Appena la cipolla è dorata versate il riso mescolando delicatamente con un cucchiaio di legno. Fate tostare il riso sino a che lo sentite bollente con il dorso della mano, quindi bagnatelo con il vino rosso Sassella Valtellina superiore DOCG e mescolatelo in modo da lasciarlo evaporare. Quando il vino è evaporato, aggiungete 2 mestoli di brodo, mescolate un paio di volte e poi non toccare più sino alla prossima aggiunta di bordo. Nel frattempo preparate la bresaola, mettendone da parte alcune fette intere che serviranno per decorare i piatti, e tagliate le rimanenti a striscioline. Continuate ad aggiungere brodo man mano che evapora, terminate la cottura con il riso ancora al dente, aggiungete le striscioline di bresaola IGP, il Parmigiano Reggiano, il formaggio bitto DOP e mescolate mantecando il tutto. Aspettate qualche minuto e poi impiattate, completando i piatti con una fetta di bresaola disposta al centro del piatto a rosellina (photo © www.paneprosciutto.it).

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Tendenze

Street e finger food: nomi internazionali per cibi tradizionali di Sebastiano Corona

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a magia del linguaggio sta anche nel fatto che certe cose, quando vengono chiamate con un nome diverso dal solito, appaiono inevitabilmente come una novità assoluta. Ed è così che cose che abbiamo sempre fatto e cibi che abbiamo sempre mangiato assumono un fascino tutto nuovo solo perché qualcuno gli attribuisce un termine esotico, meglio se in inglese. Il paradosso è che pilastri della nostra cultura culinaria che da millenni fanno parte della tradizione gastronomica nazionale prendono improvvisamente un certo fascino e quasi si riabilitano agli occhi degli

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esperti della materia solo perché qualcuno ritiene che con un appellativo anglosassone si possano in qualche modo nobilitare. Come se non fossero stati già sufficientemente nobili in precedenza. Gli esempi classici o forse solo gli ultimi in ordine di tempo sono il

finger food e lo street food. Siamo in un mondo globalizzato e ormai tutti ci muoviamo in un contesto internazionale, ma chi non ama prendere in prestito termini da altre lingue per indicare qualcosa che si può benissimo esprimere in italiano, non gradirà di certo questa ennesima incursione

“Prodotti culinari che da sempre fanno parte della nostra cultura acquisiscono una terminologia anglosassone che li rilancia e li rispolvera come se non fossero mai esistiti o avessero avuto un ruolo secondario nella nostra alimentazione. Ma non è affatto così e la storia lo dimostra” Premiata Salumeria Italiana, 4/14


dell’inglese nella vita quotidiana tanto più che qui forse si è esagerato. In fondo il finger food non è altro che il cibo che si può mangiare con le mani e lo street food quello che si consuma in strada. C’è dunque qualche novità in questo? Pare proprio di no. Possiamo forse dimenticare le bucoliche scene degli antichi romani durante infinite cene di gruppo innaffiate da ottimo vino? Della tavola non se ne vedeva nemmeno l’ombra. All’epoca, e in quei contesti, si mangiava sdraiati, appoggiati su un gomito, utilizzando una sola mano. Quella posizione — che oggi troveremmo tremendamente scomoda ma, soprattutto, sconveniente — permetteva allora di cibarsi e allo stesso tempo di portare avanti la conversazione in assoluta rilassatezza. L’unico imperativo era che si mangiasse con le mani e che si mangiassero cibi tagliati a piccoli pezzi, da buttare giù in un solo boccone! Quella disinvoltura non sarebbe stata probabilmente possibile in presenza di stoviglie e posate, magari seguendo tutte le regole imposte successivamente dal galateo… Mangiare con le mani: posata mia non ti conosco L’uso delle mani a tavola è cosa comune a molte culture — compresa la nostra — ed è un’usanza che viene da lontano. Nella cucina italiana il fi nger food è sempre esistito, sebbene avesse un nome meno affascinante o non ne avesse proprio. Eppure questi manicaretti di carne o pesce mangiati senza posate e magari pure senza piatto sembrano aver acquisito un loro spazio letterario e un proprio ruolo dentro le cucine dal momento in cui sono stati identificati e gli è stato attribuito un termine specifico. Come se prima le tartine, i salatini, i vol-au-vent, piuttosto che le pizzette, non esistessero o non avessero una propria dignità. Quel giorno pare essere il 12 febbraio del 2002, quando, in occasione dell’Expo-Gast di Salisburgo, durante la classica competizione triennale, il regolamento della manifestazione introdusse, appunto, una prova di “finger food”. Nel regolamento di gara lo si indicava come un piatto

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proponibile ad inizio pasto, da poter consumare in punta di dita e che poteva apparire variegato e complesso. Da quel momento in poi fu un tripudio di proposte, una migliore dell’altra. Sicuramente il fatto di aver introdotto una nuova terminologia, dunque, ha avuto il merito di elevare la qualità e la quantità delle proposte e di questo diamo merito agli organizzatori della manifestazione. Se da noi l’abitudine di mangiare con le mani si era persa o era diventata sempre più rara, ci sono popoli dove questa modalità continua a rimanere la norma. In Paesi come l’Etiopia, per esempio, mangiare con le mani anche i cibi unti o poco densi è cosa di tutti i giorni. Ma in altre zone del mondo ci sono contesti in cui semplicemente le nostre classiche posate vengono sostituite da altri accessori come le bacchette, una foglia di banano o del pane che serve — oltre che per nutrirsi — anche per raccogliere il cibo e portarlo alla bocca. Mille e più finger food Il finger food spesso ingiustamente relegato a cibo di utilizzo secondario, da impiegare solo in occasioni specifiche e magari con il vano scopo di

risparmiare, è in realtà un prodotto estremamente versatile e dalle mille risorse. Se nell’immaginario collettivo è pensato per un antipasto, da consumare in piedi ed esclusivamente a base di cibi frugali e poco costosi, nel tempo ha assunto tutt’altra veste e oggi si può certamente affermare che qualunque cosa potrebbe essere trasformata in finger food, sebbene l’ideale è non impiegare cibi particolarmente unti, troppo liquidi o poco compatti. La praticità non deve infatti mancare, così come la costante dovrebbe restare quella del piccolo boccone che si consuma con le mani e senza sporcarsi. Per sua natura il finger food ammette l’accostamento dolce/salato e porta con sé una cultura culinaria del dolce in forma ridottissima, come il classico mignon, così come può essere proposto in versione calda o fredda o in entrambe, ma si presenta preferibilmente in forma molto regolare e molto curata nell’immagine. La cosa bella è che ci si può sbizzarrire passando dai salumi al pesce, dalla carne alle verdure, dai cereali ai formaggi. L’unica cosa che non deve mancare è la creatività.

Arancini con provola e ‘nduja (photo © bricioledigusto.blogspot.it).

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Ormai il finger food è entrato nelle nostre abitudini culinarie, in particolare in caso di cerimonie, aperitivi, pranzi di lavoro e spesso con l’intento di fare bella figura salvando il portafoglio. Ma fate attenzione: non sempre il risparmio è assicurato e, soprattutto, il rapporto qualità/prezzo non è sempre vincente. Cibo di strada, il vero social food A proposito di salvaguardia delle proprie tasche e di terminologia anglosassone per indicare cibi nostrani, ecco comparire lo street food, il cosiddetto cibo da strada, quello cioè che in strada nasce e in strada viene consumato. Su cosa si intenda esattamente con questo termine, le scuole di pensiero sono diverse. Una di queste riconduce lo street food a qualunque cosa possa essere mangiata passeggiando e include il junk food, gli snack di ogni genere, il cibo da asporto in generale, gli spuntini, il fast food e il pranzo al sacco. La costante rimane il fatto che con il consumo di cibo in strada si possa mangiare in maniera più informale, più rapida, e meno costosa. L’aspetto economico non è secondario da questo punto di vista. Stime della FAO indicano infatti che ben 2,5 miliardi di persone al giorno si alimentano in questo modo. A noi Italiani, però, piace pensare che lo street food sia soprattutto quello legato alle cucine regionali, che per ragioni pratiche o storiche si consuma prevalentemente fuori casa e non sempre di fronte ad una tavola imbandita. Se un merito possiamo attribuire allo street food, oltre a quello di aver sfamato più che dignitosamente generazioni di Italiani, vi è certamente quello di conciliare una certa socializzazione tra le persone, al punto che oggi, in ragione del nobile intento di tutelare queste produzioni che esprimono l’aspetto più caratteristico di certe tradizioni culinarie locali, si sono costituite fior di associazioni anche allo scopo di perpetuare e rinnovare la memoria storica legata ai cibi da strada e a ciò che vi ruota attorno. Dalla bottega alla sagra paesana: lo street food regione per regione Dalla colazione alla cena, passan-

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Frittatine alla menta con speck e formaggio fresco (photo © blog.giallozafferano.it). do per la merenda, chi non ha mai consumato un pasto in strada anche nella vita quotidiana? I meno giovani, soprattutto quelli dei paesini dell’interno, ricorderanno senz’altro il pane con lo zucchero oppure il pane con acciughe o con olio d’oliva. Ma il nostro panorama gastronomico nazionale offre ben altro e con una varietà da lasciare senza parole. Non c’è sagra paesana, festa del patrono o fiera che si rispetti in Italia in cui non si mangi a dovere qualcosa di cucinato sul momento e sotto gli occhi di tutti. Ogni regione ha il suo cibo da strada e ne è giustamente fiera. Normalmente queste specialità sono espressione della vocazione produttiva e agricola locale e vengono proposte nel rispetto del legame con il territorio. Per lo stesso motivo vengono utilizzati per la preparazione, la cottura e la somministrazione dei cibi, degli strumenti, originali o rivisitati, sempre frutto dell’estro dei maestri artigiani locali. I cuochi di solito non sono chef di grido ma si mostrano all’altezza dell’arduo compito che viene loro assegnato: cucinare grandi quantità di prodotto per ore e sotto gli occhi

di tutti. Fainé, focaccia, lampredotto, crescentina o gnocco fritto, borlengo, piadina, arancino, olive ascolane, pizza, pane ca’ meusa, ziminata, arrosticini, pisch’e pontisi, panino con la porchetta, trippa, pitta calabrese, sfincione, quadriburger di razza, schiscèta milanese, o’ pere e o’ musso, bombetta, pesce fritto nel cono, cacciucco livornese sono solo alcuni esempi delle innumerevoli specialità regionali che si possono consumare nelle nostre strade. Impossibile riportarle qui tutte perché le varietà di prodotto sono davvero sconfinate, così come lo sono gli ambienti in cui vengono realizzate: dalle classiche botteghe ai chioschi, dalle baracche delle feste paesane agli ambienti domestici autorizzati per l’occasione. Con immutata passione si impasta e si inforna per poi friggere, arrostire, bollire, tagliare, condire, servire. Senza sosta, per delle ore, talvolta per giorni, per mesi o per anni… Sebastiano Corona Nota A pagina 70 vol-au-vent con pancetta, spinaci e crema di formaggio (photo © www.lifesambrosia.com).

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar Premiata Salumeria Italiana, 4/14 73 perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


L’arte in cucina

Marchesi: ritorno al futuro di Clara Scaglioni

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a alcuni anni ogni emittente televisiva propina, ai propri ascoltatori, a tutte le ore del giorno, più trasmissioni legate alla cucina e, per dare maggior enfasi e lustro ad un certo piatto e mostrarne i passaggi della preparazione, chiama lo chef in auge del momento. Per non parlare poi delle tante gare tra i fornelli con candidati a caccia di notorietà. Un esempio sono i concorrenti della trasmissione MasterChef dove alcuni tra i più noti cuochi a livello mondiale fanno i giudici di gara, comportandosi

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da grandi attori. È un fenomeno di oggi. Anche solo una trentina d’anni fa, quando si usciva da un ristorante, si commentava la bontà del pranzo consumato e non si aveva l’abitudine di collegarlo alla persona che in cucina lo aveva materialmente preparato. La fama era attribuita genericamente al ristorante e non al cuoco. Oggi, invece, si fa del turismo gastronomico per andare nel ristorante dove cucina il famoso chef osannato dai più; ci si reca per controllare de visu se davvero si mangia bene e se la fama raggiunta sia meritata. Il successo del ristorante

è quindi molto spesso collegato al lavoro del cuoco o, come si dice oggi, dello chef. Dobbiamo ritornare al 1977 quando si sente parlare per la prima volta di un certo Gualtiero Marchesi, il cui ristorante a Milano, in via Bonvensin Della Riva, aveva appena conquistato una stella della guida Michelin! Il riconoscimento venne accolto con entusiasmo dagli addetti ai lavori in grado di capirne l’importanza mentre, tra la gente comune, non fece notizia e non ebbe la giusta risonanza, non essendo questa sufficientemente

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preparata o in grado di recepire e comprenderne, a pieno, il vero significato. C’era, comunque, in fondo in fondo, un certo orgoglio, dato che la conquista ed il successo erano stati raggiunti da un italiano. Nel 1985 le stelle attribuite a Marchesi diventano tre ed è allora che il ristorante in Bonvensin della Riva, nell’immaginario collettivo, assume grande prestigio. Diventa un punto fermo ed un tutt’uno con questo cuoco, al quale si riconoscono grande professionalità tra i fornelli, notevole preparazione culturale in ogni campo, perfetta conoscenza della materia prima e delle nuove tecniche di cottura. È noto il suo asso nella manica: una insita curiosità intellettuale che lo spinge a conoscere e captare quanto gli ruota intorno, specie quando visita i tanti paesi del mondo e ne approfondisce in particolare la cucina, al fine di comprenderne anche la cultura. Viene considerato un innovatore tra i fornelli e padre della cucina moderna italiana. Anche all’estero viene riconosciuto come un grande maestro ed il suo ristorante diviene una meta imprescindibile per chi vuole mangiare bene, in un ambiente estremamente raffinato, dove imparare soprattutto come il cibo deve essere “imbandito”. Il padrone di casa, infatti, non si esprime solo con la buona cucina ma nel suo ristorante, su ogni tavola, con elegante e raffinata apparecchiatura, è poggiata una piccola scultura, scelta con cura tra le opere realizzate dai più noti artisti del momento, non solo italiani. Tutto ciò rivela il grande amore per l’arte in tutte le sue sfaccettature dell’uomo di cultura: l’eclettico Marchesi, appassionato e competente intenditore anche di musica e di pittura, il cui pensiero è espresso nella frase “la cucina è di per sé scienza, sta al cuoco farla diventare arte”. In quest’ottica, come custode di una cucina innovativa ma comunque di tradizione, sente la necessità, per primo in Italia, di aprire la porta del suo ristorante e diventare il maestro e insegnante di quei giovani di talento desiderosi di intraprendere, migliorandola, la professione di cuoco. Molti di loro, sotto la sua guida, sono diventati i migliori chef italiani e

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Gualtiero Marchesi nel suo ristorante in via Bonvesin de la Riva nel 1980. danno lustro e fama alla nostra cucina nel mondo. Forti degli insegnamenti ricevuti sono pronti, a loro volta, a formare altri professionisti ai quali insegnare quanto appreso da questo personaggio unico, il cui pensiero sull’argomento così si esprime: «se ti apostrofano chiamandoti maestro non c’è da gongolare troppo, semmai da stringere i denti e sentirti a qualsiasi età come il primo degli scolari. Per questo dico che bisogna farsi maestri con gli altri. Sono stato e continuo ad essere un allievo con gli entusiasmi ed anche le intemperanze di chi vuole aggiungere una domanda ed ancora un’altra». Accanto a questa scelta di essere il maestro di futuri cuochi ne fa un’altra veramente innovativa: dà la possibilità a 12 persone che lo desiderano, di entrare, l’ultimo sabato di ogni mese, nella cucina del ristorante, per imparare, sotto la sua guida, a realizzare un menu completo, dall’antipasto al dolce (e per potere essere presenti a questo appuntamento la lista di attesa diventava ogni mese sempre più lunga…). Ma nella vita arriva sempre il momento di fare scelte nuove e Marchesi, ad un certo punto, lascia la città per fare un salto nella campagna di Franciacorta, dove, ad Erbusco, Brescia, apre L’Albereta. Il suo lavoro si svolge principalmente in questa splendida sede ma è nel frattempo anche il rettore della nuova scuola di specializzazione (Scuola In-

ternazionale di Cucina Italiana) Alma nata a Colorno, in provincia di Parma. Milano però è sempre nel suo cuore e infatti, quando se ne presenta l’occasione, per far rivivere il mitico ristorante Teatro alla Scala apre, nel 2008, Il Marchesino, punto di riferimento in città per la buona cucina. All’alba dei suoi giovanissimi ottant’anni, nel 2010, comprende che è giunto il momento di creare una Fondazione in grado di custodire e valorizzare il suo sapere. La Fondazione Gualtiero Marchesi, nei suoi intendimenti, si dovrebbe attivare nella diffusione del bello e del buono, approfondendo le ispirazioni artistiche fondamentali per la cucina creativa. Trova casa nella Villa Mylius di Varese la cui ristrutturazione, ancora in atto, è seguita dello stesso Marchesi. Oggi, nella storia di questo incredibile personaggio, c’è una nuova svolta. Lasciata L’Albereta, dopo circa vent’anni, Marchesi ha infatti deciso di tornare in via Bonvensin Della Riva: la via dove la sua vita tra i fornelli è iniziata decretandone il successo. Non al numero civico 9, dove aveva il suo famoso ristorante, ma al numero 5, dove la Fondazione che porta il suo nome apre una Accademia per Cuochi Compositori (www.marchesi. it). Per Marchesi sarà l’occasione di continuare a svolgere il ruolo di maestro, formando dei cuochi in grado di guidare a loro volta le brigate di

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“Il Rosso e il Nero”, vera e propria opera gastronomica di Gualtiero Marchesi. cucina con nuovi strumenti creativi. «La cucina non è un fine ma un mezzo — ha dichiarato in proposito — è uno dei linguaggi con cui parlare a se stessi ed al mondo e per raggiungere questa dimensione bisogna passare dalla conduzione imprescindibile di esecutore a quella più indefinibile e profonda di compositore». Nell’Accademia cucina ed arte saranno oggetto di studio e sperimentazione. Non sarà una scuola come Alma, ma una proposta didattica integrata e complementare alle altre destinata ai cuochi professionisti e a quegli studenti che, pur avendo completato i corsi di studio, vorranno approfondire i principi di una sana

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alimentazione, dove la cucina e l’arte in tutte le sue manifestazioni, dalla musica, alla scultura, alla pittura, al teatro, sono considerate parte di un unico processo creativo teso alla realizzazione di una cucina del benessere. In questa sede, affacciata su un giardino di erbe aromatiche e predisposto ad essere anche il set di riprese fotografiche e di filmati, verranno anche studiate e messe a punto le ricette poi utilizzate nel Resort Gualtiero Marchesi, che alla fine dell’anno aprirà nel Castello di Agrate Conturbia (NO). Da emiliana ci tengo a sottolineare che tutta la cucina è stata impostata dalla Angelo Po di Carpi (MO).

P.S.: confesso di essere stata nel 1986 tra i 12 fortunati allievi di tanto maestro, anche se ho dovuto attendere qualche mese prima di essere chiamata. Posso dire come questa esperienza, ripetuta più volte, sia stata per me fondamentale perché ho imparato a muovermi con sicurezza tra i fornelli ma, soprattutto, perché ho potuto incontrare un grande cuoco, un uomo coltissimo, un gran signore come pochi ne ho conosciuti. Clara Scaglioni Nota A pagina 74, Gualtiero Marchesi, fondatore della “nuova cucina italiana” (photo © www.klatmagazine.com).

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Locali di gusto

Fud, quando l’hamburger è “gud” e local Una bottega sicula che è anche hamburgeria, dove la polpetta di carne non è solo di manzo ma anche di asino, cavallo, bufalo e suino Nero dei Nebrodi di Federica Cornia

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chi l’ha detto che oggi fast food è per forza uguale a junk food? Sì, perché di solito, almeno fino a qualche anno fa, nell’immaginario comune se dicevi hamburger dicevi polpetta di carne, prevalentemente di manzo, e dicevi fast food. E se dicevi fast food dicevi junk food. Ma oggi può anche capitare un corto circuito e che tu dica hamburger ma sul menu ci sia scritto Am burger, e che dentro a questo hamburger italianizzato non

ci sia solo carne di manzo ma anche di pollo, cavallo, asino e maiale. E che, soprattutto, la materia prima sia di altissima qualità. Così, scorri con lo sguardo l’elenco dei panini proposti e passi magari ad ordinare un Ors Burger, con la polpetta di carne di cavallo anziché di manzo, o lo Shek Burger, hamburger con carne di asino. Tutto questo magari con un amico vegetariano/vegano a fianco che addenta il suo Veg Che Bab, con seitan marinato in erbe aromatiche.

Se ti capita una cosa del genere sappi che sei a Catania, in via Santa Filomena, nel cuore enogastronomico della città, dentro un bel progetto, oltre che dentro ad un bel locale, che ha tutta l’intenzione di mettere in discussione proprio il luogo comune dell’equazione fast food uguale junk food. Il posto in questione si chiama Fud, italianizzazione letterale dell’inglese food, in un gioco linguistico che ironizzando sulla formula globaliz-

Una birra fresca accompagna il Classic di Fud: panino con prosciutto crudo di suino nero dei Nebrodi, mozzarella di bufala ragusana, pomodoro, origano siciliano, olio extra vergine al basilico in pane casereccio cotto nel forno a legna.

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Il bancone dove si preparano panini espressi e taglieri mentre la cucina sforna hamburger, hot dog e contorni. zata del cibo ne promuove invece la dimensione locale: si dà il caso infatti che il 90% dei prodotti sia qui proprio di origine siciliana. E, così, logo del locale, Fud diventa anche marchio garante di qualità applicato come sigillo sulla confezione della linea di prodotti Fud, almeno 120, nata da una selezione frutto di anni di ricerca e dalla frequentazione di allevatori e produttori della zona. Burgeria siciliana ma anche food store, il locale comunica subito la sua anima informale e spiccia, nell’accezione più positiva del termine di giovane, “friendli” (per dirla in gergo fudiano) e social: è su Instagram, Twitter e Facebook (con più di 19.000 “mi piace”!). Ed è friendly, un po’ hipster e green, anche nel servizio di consegna a domicilio degli hamburger, che in un “giro di pedali” in occasione dei Mondiali sono arrivati a casa dei tifosi catanesi. L’idea di offrire un cibo semplice, di alta qualità e di produzione locale, sdoganando lo stereotipo del fast food, di farlo in un ambiente informale ma contemporaneo e ricercato, è di Andrea Graziano, titolare dell’attività, e fa parte di quel più ampio progetto

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che è promuovere l’altissima qualità siciliana e renderne popolare il buon cibo. Non senza qualche divagazione regionale come nel caso di Uonderful, panino in cui protagonista, insieme al pesto di pistacchio e alla provola delle Madonie, è la mortadella di Bologna. Per farlo sessanta posti a sedere all’interno più una ventina fuori, tavoli “sociali” in cui ci si siede assieme a chi non si conosce e si consuma il pasto in tempi veloci, 12-15 minuti, aperto dalla mattina alle 11.00 fino all’una di notte. Se l’Ors Burger non stupisce gli avventori suggerendo un particolare e carnivoro esotismo — dal momento che rientra nella tradizione tipica di Catania il mangiar carne di cavallo — in questo caso di derivazione nazionale, è lo Shek Burger, con la polpetta di carne di asino di Chiaramonte di Gulfi, che rappresenta una novità «che sta prendendo piede» come ci dice Andrea. Assieme al salame d’asino, una rarità sull’isola che finisce sui taglieri di Fud col prosciutto di suino Nero dei Nebrodi, arriva dalla piccola bottega di uno dei fornitori di fiducia della burgeria siciliana, così come la carne di manzo, di vitello e bufalo provie-

ne da piccoli allevamenti ragusani e a volte da Giarre, in provincia di Catania, e il pollo è modicano, in un sistema di fornitura che promuove un circuito virtuoso d’economia locale con una richiesta che mette in difficoltà allevatori, produttori e macelleria. Specialità assoluta, incontrastato re degli hamburger è il Bec Burger, che sposa, assieme ad altri ingredienti, carne siciliana di manzo siciliano e guanciale croccante di suino Nero dei Nebrodi. I migliori clienti dei migliori produttori: così Fud si presenta promotore di qualità locale e lascia intendere la formula del suo successo. Dentro il panino, insieme a carni sicule di qualità, provola delle Madonie, formaggio ragusano DOP, caprini di capra Girgentana. Sotto e sopra pane lievitato 12 ore. Verrebbe voglia di assaggiarne uno proprio ora! Federica Cornia Fud Bottega Sicula Catania Via Santa Filomena 35 95129 Catania Telefono: 095 7153518 E-mail: info@fudcatania.it Web: www.fud.it

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Week-end

Picnic sulla spiaggia di Clara Scaglioni

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on il sopraggiungere della bella stagione, soprattutto se si è in una compagnia numerosa, cosa c’è di più divertente di una colazione rustica, senza bisogno di apparecchiare la tavola, stando seduti sull’erba, o sulla spiaggia, o in mezzo a un bosco, o vicino a un torrente, al mare, in montagna, sulle rive di un lago, soltanto con qualche cuscino o qualche plaid per stare più comodi? Ci si sente liberi, allegri, sembra perfino di avere più appetito. Spesso, fra i nostri ricordi più divertenti, ci sono proprio i picnic, le scampagnate, le colazioni al sacco, in allegra compagnia di amici e parenti, trasformati in feste gioiose grazie a mamme ben organizzate e pronte a portare sul posto quanto necessita. L’abitudine del picnic, la classica colazione all’aperto, il cui termine francese pique nique ha il significato letterale di “piluccare”, è nata parec-

chi anni fa. All’inizio del Settecento si hanno le prime testimonianze, attraverso le descrizioni precise e attente dei quadri di JEAN ANTOINE WATTEAU, dove sono rappresentati pranzi sotto agli alberi, organizzati, come si intuisce facilmente, a regola d’arte per la presenza di domestici, argenterie e personaggi elegantemente vestiti. I temi vengono ripresi in epoca successiva nei quadri di MANET e MONET, famosi e conosciuti proprio per le Colazioni sull’erba. Anche la belle époque francese, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, periodo d’oro della borghesia dal punto di vista economico e intellettuale, è stata teatro di raffinatezze incredibili. Sui prati venivano stesi dai domestici i tappeti, create tavole sontuose e piene di prelibatezze per dare gioia ed allegria ai partecipanti. Gli incontri culminavano spesso con un giro di

valzer suonato da musicanti ingaggiati per l’occasione. Forse proprio per reazione a tali raffinatezze un po’ esagerate è venuto di moda il picnic informale, con il necessario portato nei sacchi da montagna (da questo si pensa derivi il modo di dire “colazione al sacco”). Venendo ai giorni nostri, data la facilità con cui è possibile trovare nei negozi specializzati quanto serve per la vita all’aria aperta, l’organizzazione del picnic diventa un vero piacere, dovunque si decida di farlo, in montagna, in campagna o in riva al mare. Quest’ultimo è senz’altro tra i più apprezzati, specie se si ha la fortuna di trovare un posticino tranquillo in una delle ormai rare spiagge libere, o in uno degli angoli appartati, protetti e ombreggiati, messi a disposizione dei clienti negli stabilimenti balneari per permettere loro di fare uno spuntino con comodità.

Non è sempre facile preparare un menù adatto ad un picnic, specialmente al mare, dove le condizioni non sono ottimali per consumare i pasti. Inoltre, occorre fare molta attenzione ai cibi che sceglierete e al loro trasporto.

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Si tratta di picnic in piena regola e richiedono un’organizzazione attenta, fatta con precisione prima di uscire di casa. Occorre infatti studiare il menu, preparare cibi adatti alla circostanza, controllare che la propria attrezzatura sia corredata di contenitori per il trasporto delle stoviglie. Quali i piatti più adatti ad un pranzo all’aperto? Naturalmente tutti quelli che si possono gustare freddi, evitando preparazioni laboriose e preferendo piatti semplici per i quali non sia necessario l’uso del coltello. Si possono preparare panini, sandwich, torte salate, pizze, focacce, stuzzichini, cibi vari, qualcosa di speciale portato già pronto da casa, preparato il giorno precedente o la mattina stessa, sistemato in appositi contenitori. Sono senz’altro graditi polpettoni, arrosti di pollo o di vitello, cotolette, frittate, insalate di verdura, di riso o di pasta. Non volendo rinunciare alla pastasciutta, si possono cuocere dei rigatoni e condirli con olio aromatizzato alle erbe. Un jolly che piace sempre è la classica insalata di riso, ottima con aggiunta di tonno sottolio, sottaceti e qualche piccolo würstel. Altrettanto fresche sono le insalate di cuscus, di farro o di orzo condite con olive, pomodorini, ravanelli, cetriolini. Per praticità sono senza dubbio consigliabili le torte salate perché si possono tagliare a fette e mangiare senza posate. Le insalate di pollo, di pesce o di solo polpo, condite con olio e limone, sono sì leggere ma altrettanto golose. La scelta è vastissima e l’unica accortezza da tenere è evitare cibi che contengano maionese, panna e crema perché possono deteriorarsi. Per finire in bellezza non può mancare la frutta: va benissimo il cocomero fresco, che si può mangiare in tutta libertà, soprattutto se il picnic è in riva al mare, perché alla fine ci si lava comodamente la faccia… Galateo del picnic sulla spiaggia Trattandosi di un pranzo all’aperto sono da evitarsi le cerimonie e tutte quelle leziosità che contrasterebbero con la spontaneità e la cordialità del momento. Chiaramente rimangono invariate le regole dell’educazione:

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Assolutamente da ricordare nel cesto da picnic, soprattutto se la nostra direzione è una spiaggia, un sacchetto dove raccogliere i rifiuti a fine pasto! non si giustifica il disturbare i vicini con risate a squarciagola e radioline a tutto volume; il bere e masticare rumorosamente; il parlare a bocca piena e il piombare come falchi sulle pietanze per arraffare le parti migliori. Se il cibo si deve prendere con le mani, fatelo pure con disinvoltura e naturalezza. L’attrezzatura Per il picnic non sono necessarie attrezzature particolari come si può credere comunemente. Ovviamente si possono acquistare dei completi appositi che rendono tutto molto agevole in quanto sono dotati del necessario: piatti, bicchieri, posate, contenitori termici, boccette infrangibili per olio e aceto, sale e pepe. Sono comunque oggetti da riporre e da riportare a casa per essere lavati. Se si vuole evitare tale noia, si può ricorrere a piatti e bicchieri di carta, certamente più leggeri e meno ingombranti, da buttare dopo l’uso. Le vivande possono essere riposte in un cesto di vimini, dopo averle avvolte accuratamente nella carta di alluminio o in sacchetti di plastica, oppure, se si tratta di pietanze condite,

si possono chiudere in contenitori ermetici. Indispensabile è invece la borsa o cassetta frigotermica, il cui contenuto manterrà la temperatura iniziale se vi si introduce l’apposita mattonella freddo-caldo. Per concludere diciamo che tutti i sistemi sono buoni e persino divertenti, ma bisogna sapersi organizzare, per non trovarsi poi a non poter aprire una bottiglia per mancanza del cavatappi, a dover mangiare cibi insipidi perché si è dimenticato il sale, a mordere un salame perché non si trova il coltello… E non fate mai mancare i tovaglioli di carta perché, oltre a servire per pulire le mani e la bocca, saranno utili per reggere panini e cibi vari… Sono inconvenienti che talvolta provocano allegria, ma che rischiano spesso di guastare tutto il divertimento. Un’ultima raccomandazione: distinguetevi non solo per le doti culinarie,ma anche per il senso civico e la buona educazione. Sul luogo non lasciate il caos. Raccogliete i rifiuti in un sacchetto che poi getterete nel più vicino cestino o tutt’al più, se non lo troverete, porterete a casa. Clara Scaglioni

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A Sondrio successo di pubblico per la seconda edizione

Bresaola festival: tremila degustazioni in beneficenza

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ntusiasmo e partecipazione per un inizio di stagione davvero speciale: Sondrio saluta così la seconda edizione del Bresaola Festival. La manifestazione, organizzata dal Consorzio di Tutela Bresaola della Valtellina, ha confermato il successo dell’edizione precedente, valorizzando in un solo week-end (21 e 22 giugno) le eccellenze di un prodotto di altissima qualità, la Bresaola della Valtellina IGP, con il suo gusto unico, i suoi peculiari valori nutrizionali, la forte tradizione e il profondo legame con il territorio. Il fiore all’occhiello di un intero territorio Nella conferenza stampa inaugurale, al tavolo dei relatori, accanto ad Alcide Molteni, sindaco di Sondrio, e a Mario Della Porta, presidente

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del Consorzio di Tutela Bresaola della Valtellina, Cristina Galbusera, presidente di Confindustria Sondrio, ha affermato: «sono orgogliosa di essere parte di questo tributo oggi. La Bresaola della Valtellina IGP è il fiore all’occhiello della nostra produzione e sono felice che venga valorizzata con una manifestazione come questa, evento che dà lustro a tutto il territorio». I turisti e i partecipanti alla manifestazione hanno potuto apprezzare e assaporare tutti gli ingredienti fondamentali della Valtellina: gusto, con un super carpaccio di bresaola lungo 50 metri preparato istantaneamente dai produttori e degustato da tutto il pubblico presente, territorio, sport (a tagliare il nastro c’era il giovane campione italiano di sci alpinismo Michele Boscacci) e divertimento. Tra gli

altri appuntamenti, la Strabresaola, giunta al traguardo di pazza Garibaldi con la soddisfazione dei partecipanti. Grande successo per l’iniziativa di beneficenza: oltre 3.000 degustazioni a pagamento, il cui ricavato andrà a favore di LILT Sondrio-Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori. «Siamo soddisfatti della riuscita della seconda edizione del Bresaola Festival che aveva come obiettivo il coinvolgimento dell’intero territorio e quello di presentare Sondrio come una speciale vetrina di valori ed eccellenze. L’impegno continua verso la diffusione di questo prodotto in tutto il mondo, con un’attenzione particolare ai nuovi mercati emergenti» ha dichiarato il presidente Della Porta al termine della manifestazione. >> Link: www.bresaolafestival.it

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Sulle tracce degli Alpini e dei Kaiserjäger Lagazuoi, Sass de Stria e Col di Lana, in Alta Badia, furono il palcoscenico durante la Prima Guerra Mondiale di alcune delle più feroci battaglie tra uomini di diverse nazionalità ed etnie. Lo scorso 27 giugno, alcuni chef stellati della zona hanno dato il loro contributo alla sensibilizzazione nei confronti della ricorrenza storica, ricordando nelle loro ricette gli alimenti semplici ed umili consumati al fronte nella Grande Guerra. Questi piatti, serviti nelle classiche gavette, ispirate all’epoca, sono stati proposti in occasione dell’evento presso la Casa Forestale Salares al Passo Valparola, sopra San Cassiano (BZ). Ognuno degli otto chef stellati è abbinato ad una baita dell’Alta Badia, per la quale ha creato una ricetta. I piatti verranno serviti presso le otto baite partecipanti durante tutta la stagione estiva. Lo chef NORBERT NIEDERKOFLER (St. Hubertus c/o Relais & Châteaux Hotel Rosa Alpina, San Cassiano, 2 stelle Michelin) è abbinato al rifugio BIOCH, per il quale ha creato un dolce, lo Schupfnudel di patate e papavero con marmellata di prugne e gelato allo yogurt. ARTURO SPICOCCHI (La Stüa de Michil c/o Hotel La Perla, Corvara, BZ, 1 stella Michelin) ha scelto uno stinco di maiale affumicato, fagioli in umido e patate, in collaborazione con il rifugio I TABLÀ. Alla baita SCOTONI, abbinata allo chef stellato più giovane d’Italia, MATTEO METULLIO (La Siriola c/o Hotel Ciasa Salares, San Cassiano, 1 stella Michelin), si potrà gustare l’insalata di trota, mele, pane di segale, cavolo cappuccio e ricotta di pecora. La zuppa alle erbe con cappelletti alle rape rosse e millefoglie di patate è il piatto interpretato dallo chef stellato PAOLO DONEI (Malga Panna, Moena, TN, 1 stella Michelin) per il rifugio LÉE. FABRIZIA MEROI (Laite, Sappada, BL, 1 stella Michelin), abbinata al rifugio PIZ ARLARA, ha creato un carpaccio di canederli con formaggio di malga, stinco affumicato, misticanza spontanea e dressing di mela. SIMON TAXACHER (Rosengarten c/o Hotel Restaurant Spa Rosengarten presso Kirchberg in Tirolo, Austria) ha presentato un’interpretazione di uno dei piatti consumati maggiormente da parte dei soldati durante il periodo della Grande Guerra: si tratta della cosiddetta “Brennsuppe”, una minestra di farina tostata con canederli pressati, che potrà essere assaggiata durante tutta l’estate presso il rifugio PRALONGIÀ. Il rifugio MESOLES è abbinato agli chef RENZO DAL FARRA e PAOLO SPERANZON (Locanda di San Lorenzo, Puos d’Alpago, Belluno, 1 stella Michelin), che hanno ideato la ricetta di uno scapino di vitello salmistrato. CHRIS OBERHAMMER (Tilia di Dobbiaco, Bolzano) conclude la carrellata con una minestra di pasta, patate, verza e funghi di bosco, creata per il rifugio JIMMY. (Fonte: Consorzio Turistico Alta Badia, www.altabadia.org)

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Piaceri divini tra Volterra e Castagneto Carducci di Angelo Valentini

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orreva l’anno 1974. Ne sono trascorsi ben 40, quindi, da quando a Bergamo nasceva la catena dei Ristoranti Regionali (www.ristorantiregionali. it), un sodalizio gastronomico nato dall’intuizione dell’editore ROBERTO M AGGIANO ed oggi diretto magistralmente da MARINELLA ARGENTIERI MAGGIANO, giornalista, maestra nelle comunicazioni e nelle pubbliche relazioni. Lo scopo dell’associazione è quello di dare la possibilità ai propri associati di incontrarsi e confrontarsi promovendo festival di cucine regionali, con il fine di migliorare la preparazione professionale e la conoscenza enogastronomica delle diverse regioni italiane. Il sodalizio spazia da Trento alla Sicilia, annoverando ristoratori facenti parte dello stesso nucleo famigliare, con la garanzia per il cliente, determinata dalla passione e dalla ricerca del prodotto nel territorio. Agli incontri partecipano gli stessi ristoratori e giornalisti qualificati del settore enogastronomico e turistico.

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L’ultimo incontro, in ordine di tempo, è avvenuto a Volterra e nella vicina Riviera degli Etruschi. Claudia, una graziosa guida del Consorzio Volterra Tour, ci ha fatto scoprire le bellezze della città “dell’Ombra della Sera”, uno dei dodici centri (lucumonie) che formavano la nazione etrusca. Volterra vide il suo massimo splendore dopo il IV secolo a.C., quando i più importanti insediamenti rivieraschi vennero sottomessi dalla vicina Roma. I numerosi reperti archeologici conservati nel Museo Etrusco testimoniano il ricco e fastoso periodo. Determinante, per i buoni rapporti con Roma, fu la sua economia basata sullo sfruttamento delle miniere di rame e di argento, oltre alle cave del suo pregiato alabastro. Negli anni della caduta dell’Impero romano Volterra non lasciò tracce significative, ma trascorsi alcuni secoli divenne di nuovo teatro di importanti eventi storici. Nel 1208, in epoca comunale,venne iniziata la costruzione dell’imponente Palazzo

dei Priori e, nella stessa piazza, della ricca e monumentale cattedrale dai marmi bianchi e verdi scuri di stile pisano; venne inoltre realizzata la Fortezza Medicea, con le sue possenti mura perimetrali. Alla visita che abbiamo fatto a Volterra è seguito l’invito di Genuino Del Duca, membro del sodalizio della cucina regionale, che ci ha accolto nel suo Podere Marcampo (www. agriturismo-marcampo.com), dove ha restaurato un bellissimo casolare toscano per adibirlo all’accoglienza agroturistica. Camere e appartamenti accoglienti, con vista sulle vallate volterrane sitibonde ed arse, a cui fanno da contraltare una splendida piscina e un solarium belvedere. Il casolare è contornato da piante da frutto e da un vigneto ben tenuto, unico nella zona, dove si producono vini rossi di grande tessuto che non hanno niente da invidiare ai super tuscan. Una viticoltura che definirei eroica. Una bella cantina con impianto di imbottigliamento, ricca di

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vini preziosi esportati in molti paesi europei. In città ci ha accolti il ristoranteenoteca Del Duca (www.enotecadelduca-ristorante.it), in pieno centro storico, situato in un bel palazzo del XII secolo a ridosso delle imponenti mura urbiche. Ad accoglierci sempre Genuino con la moglie Ivana e la loro deliziosa figlia che opera in sala. Imponente, con le sue volte a crociera, la sala da pranzo, dove abbiamo gustato il tipico menù volterrano, ammannito con prodotti a km zero: tortino di zucchine alle erbe aromatiche, mousse di pecorino con miele di acacia, sformatino di ricotta al tartufo nero, una terrina di piccione con emulsione di olio extra-vergine e aceto balsamico, paté di fegato di pollo con ristretto di vinsanto. A seguire, un risotto mantecato con funghi prugnoli, un raviolo di cinghiale su crema di patate e pistilli di zafferano e una tagliata di Chianina con i classici fagioli pisanelli all’olio. A completamento, un tris di dessert. Un pranzo “di terra”, come si usa dire in Toscana, annaffiato da vini della casa Giusto alle Balze e Marcampo 2010. Attraverso curve e ricurve attornianti le colline volterrane, ricche di cave di alabastro, di minerali e di geotermia, con Larderello e i suoi

soffioni, abbiamo raggiunto il mare in quel di Marina di Castagneto Carducci, ospiti di PAOLA CARDELLINI e ALESSANDRO DUGHERA, associati storici del sodalizio e proprietari del ristorante-hotel I Ginepri (www. hoteliginepri.it): 44 camere superior battezzate con i nomi delle sette isole dell’Arcipelago Toscano, più 7 suite affacciantesi sull’adiacente spiaggia, intervallata da un boschetto di ginepri centenari attornianti una splendida piscina con servizio bar incorporato. L’albergo nasce da una preesistente foresteria dei conti Della Gherardesca, signori del territorio; la cucina è impostata essenzialmente sul pesce freschissimo, in gran parte pescato da un gozzo di proprietà dei titolari. Paola Cardellini, tra le prime donne chef a perfezionarsi presso la Boscolo Etoile Academy (la cui sede è stata recentemente trasferita da Chioggia a Tuscania, nel Viterbese), allieva di ANGELO PARACUCCHI, grande maestro da cui ha ereditato l’arte di trattare il pescato, in cucina è coadiuvata da MARCO PAPERINI, che dirige la brigata composta da Marco Baccarini, Lorenzo Giacone, Yahye Mohezoum e Cristina Mugurano, giovani dotati di tanta passione, profusa dagli stessi proprietari che esercitano

l’arte dell’accoglienza degna delle hôtellerie di un tempo. Il menu degustato è da scrivere negli annali della buona tavola, per l’armonia dei piatti e delle materie prime: insalatina di gamberi rossi e frutta con vinaigrette allo zenzero e gelato ai gamberi, seguita da un nodino di pescatrice al lardo con patate novelle e asparagi; spaghettini al nero di seppia, arselle, nipitella e bottarga; trancetto di tonno in crosta con salsa alle bietole e vongole; infine, una degustazione di formaggi stagionati e il gelato fatto in casa dalla gelateria de I Ginepri. I vini abbinati con maestria erano quelli dell’azienda agricola di Bolgheri Le Fornacelle (www.fornacelle.it), di proprietà di STEFANO e SILVIA BILLI, agricoltore e viticoltore il primo, esperto enologo e sommelier la seconda. Sono stati serviti un fresco Vermentino denominato Zizzolo e il Guarda Boschi Bolgheri DOC superiore ottenuto da Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc. Volete un consiglio? Quest’estate seguite l’itinerario che vi ho descritto, ne vale la pena! Angelo Valentini Nota A pagina 84 Volterra, Podere Marcampo (photo © blog.davidmcguffin.com).

Ad ottobre torna Autochtona a Bolzano Un’occasione unica per conoscere da vicino tante piccole realtà che custodiscono uno dei patrimoni più originali e più ricchi all’interno del panorama vitivinicolo italiano: i vitigni autoctoni. Questo lo spirito della manifestazione Autochtona, tradizionale appuntamento di Fiera Bolzano in programma il 21 e 22 ottobre in contemporanea con Hotel, Fiera internazionale specializzata per alberghi e gastronomia che giunge quest’anno alla 38a edizione. La manifestazione, che manterrà invariata la sua formula, sarà impreziosita da un’originale “anteprima”: Autochtona 2014 verrà infatti presentata ufficialmente in alta quota, a più di 2000 metri di altitudine, presso l’Alpenlounge Seegrube, nel comprensorio sciistico Nordkette di Innsbruck, in Austria, il 12 agosto. Nel corso dell’appuntamento verrà presentata anche la 15a edizione di “Vinea Tirolensis”, la degustazione dei vignaioli dell’Alto Adige in programma quest’anno mercoledì 22 ottobre. Organizzata in collaborazione con AIS, Associazione Italiana Sommeliers, l’11a edizione di Autochtona sarà concentrata come sempre in due giornate. Nell’edizione 2013 la manifestazione ha registrato la presenza complessiva di oltre 1000 operatori specializzati, che hanno potuto assaggiare 300 etichette autoctone provenienti da tutta Italia. Tra gli appuntamenti più attesi, “Autoctoni che passione!”, la selezione dedicata alle migliori etichette in degustazione che verranno premiate con gli “Autochtona Award” da una giuria di wine journalist e riconosciuti esperti. Confermata anche la rassegna “Tasting Lagrein”, che assegnerà i riconoscimenti per i migliori vini Lagrein. >> Link: www.autochtona.it

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Rassegne

Salone del Gusto e Terra Madre: all’Expo sì, ma in maniera critica Per Carlo Petrini, chi gli vuole bene non può stare zitto ed è per questo «che noi alziamo la voce, andando controcorrente»

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ome sempre è stato CARLO PETRINI, presidente di Slow Food, ad aprire ufficialmente le danze dell’evento più importante dedicato alla cultura del cibo. «Dieci edizioni del Salone e dieci anni di Terra Madre. Certo, se ripenso al 1996, era proprio un altro mondo!», ha esordito presentando il programma del Salone del Gusto e Terra Madre, dal 23 al 27 ottobre 2014, a Torino (Lingotto Fiere e Oval), disponibile su www.slowfood.it. L’evento è organizzato da Slow Food, Regione Piemonte e Città di Torino, in collaborazione con il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. «Ma non dimentichiamoci che le tematiche al centro dell’Expo sono nate qui, all’epoca non c’era coscienza che dietro il lavoro umile di pescatori, contadini e artigiani ci fosse l’elemento chiave per l’economia reale e per la storia del mondo. Passo dopo passo siamo riusciti a consolidare e traghettare il Salone fuori dalla gastronomia classica, sancendo questo cambio di rotta con la nascita di Terra Madre. Avevamo capito che questo sistema alimentare è malato — denuncia Petrini — ma se ci limitiamo a convivere con questa realtà, se non la denunciamo, allora non diamo il giusto valore a Terra Madre e al Salone. L’appuntamento di Torino è politico, riguarda la tutela dell’ambiente, la difesa della biodiversità, il diritto dei contadini ad essere trattati con dignità». E proprio di politica si parla quando Petrini si riferisce all’Expo 2015. «Da quando l’hanno presentato, si è trasformato in un evento che non ha nulla a che fare con il cibo, con la nutrizione e con il pianeta. Ma non

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Gaetano Pascale, presidente di Slow Food Italia (photo © Archivio Slow Food Evento Live, www.salonedelgusto.it). scordiamoci che l’asso di picche è rappresentato da Terra Madre! Parteciperemo all’Expo in maniera critica perché questo evento non ha anima. Expo va trattato con determinazione, chi gli vuole bene non può stare zitto, ed è per questo che noi alziamo la voce andando controcorrente. Dobbiamo metterci l’anima, e questo significa garantire il diritto al cibo per tutti», conclude Petrini. «Al centro della scena del Salone del Gusto e Terra Madre c’è la salvaguardia della biodiversità, purtroppo sempre più a rischio. Un esempio su tutti: nel mondo ci sono oltre 30.000 piante commestibili, ma solo 30 forniscono il 90% del nostro fabbisogno energetico» ha ricordato GAETANO PASCALE, presidente di Slow Food Italia. «Portate il prodotto che volete salvare a Torino, sarà il pros-

simo passeggero dell’Arca del Gusto, il progetto di Slow Food che segnala i cibi in via di estinzione». Altro tema fondamentale dell’edizione 2014 è l’agricoltura familiare, cui la FAO ha dedicato quest’anno. «Questo tipo di agricoltura dà l’opportunità di incentivare le economie locali e la sostenibilità delle comunità, restituendo il ruolo centrale al contadino, troppo spesso messo da parte da una meccanizzazione e industrializzazione eccessiva», ha concluso Pascale. Questi temi incrociano il lavoro di Slow Food e di Terra Madre e ogni giorno vengono declinati in tutta un’altra serie di argomenti come lotta alla fame, malnutrizione e cattiva alimentazione — facce della stessa medaglia — l’educazione alimentare, il rapporto tra cibo e ambiente e il

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rispetto dei territori e delle tradizioni. «Salone del Gusto e Terra Madre inaugurano un anno molto intenso per il Piemonte, in cui i riflettori saranno puntati più che mai sul mondo del cibo», ha raccontato PIERO FASSINO, sindaco della città di Torino. «Questi due eventi hanno contribuito a cambiare negli anni la cultura del cibo sia a livello nazionale che internazionale, creando quel mutamento culturale che fa sì che oggi milioni di persone guardino in modo diverso a ciò che mangiamo. Cambiamento, questo, non scontato e reso possibile grazie alle energie di Slow Food, che ha ripensato il destino del cibo e il suo futuro. Temi e indicazioni che ci accompagneranno nei prossimi mesi avvicinandoci a Expo 2015, occasione unica per mostrare le eccellenze di Torino e del Piemonte».

Dopo otto anni di ricerca e sperimentazione, Salone del Gusto e Terra Madre ha cambiato struttura e volto, riducendo l’impatto sull’ambiente del 65% rispetto al 2006, edizione di nascita del progetto. Primi tra le manifestazioni fieristiche a porsi la questione ambientale, per quest’anno gli organizzatori rilanciano: il prossimo obiettivo sarà migliorare anche gli aspetti sociali e sensoriali, mantenendo lo stesso spirito di apertura verso progetti innovativi. L’evento 2014 è reso possibile grazie al sostegno di numerose realtà, tra le quali citiamo gli official partner: Lurisia, Garofalo, Lavazza, Novamont, DHL, Intesa Sanpaolo; i sostenitori della Fondazione Terra Madre e di Slow Food: Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT e Associazione delle Fondazioni di origine bancaria del Piemonte.

Le novità La grande novità del programma è rappresentata dal padiglione 5 del Lingotto, interamente dedicato alla didattica e all’educazione del gusto. Immancabili gli appuntamenti nell’area Slow Food Educa per tutta la famiglia e le scolaresche e i Laboratori del Gusto, che quest’anno ci accompagnano in un viaggio agli angoli del pianeta. Al debutto Scuola di Cucina, dove seguire la nascita di un piatto proprio come nella cucina di un ristorante; la Fucina di Pane e Pizza, che coinvolge i maestri panettieri e pizzaioli dei corsi di Alto Apprendistato dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche; l’area Mixology con i migliori bartender del momento per diffondere l’arte e la cultura dei cocktail. Infine tornano gli Appuntamenti a Tavola, per chiudere l’esperienza del Salone con una cena di alta gastronomia in location esclusive a Torino e dintorni. Nuova formula anche per il programma delle Conferenze, che accanto a quelle classiche presenta le lectio magistralis, analisi più profonde di esperti e studiosi. Ritroviamo i Laboratori della Terra e gli appuntamenti nella Casa della Biodiversità, con i temi cari ai delegati delle Comunità del cibo. >> Link: www.slowfood.it

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Fiere

SIAL: la distribuzione alimentare è in fermento È in splendida forma il Salone Internazionale dell’Agroalimentare che torna a Parigi dal 19 al 23 ottobre, portando con sé le risposte alle ultime sfide nel campo della distribuzione: drive e zona mercato

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inquant’anni e non sentirli: è in splendida forma il SIAL, il Salone Internazionale dell’Agroalimentare, appuntamento imperdibile per l’intera distribuzione mondiale, che dal 19 al 13 ottobre torna a Parigi. Privilegiato luogo d’incontro degli operatori della filiera agroalimentare, con 200 Paesi rappresentati, 2.800 espositori e 150.000 visitatori attesi, il Salone conferma un forte orientamento al business rafforzando il suo ruolo di osservatorio globale sul mondo del cibo con SIAL Innovation, che non mancherà di presentare le ultime tendenze dei consumi e i prodotti più innovativi nei mercati alimentari.

Trend 2014: drive e zona mercato Fonte d’ispirazione per il retail, SIAL offre una panoramica sul futuro e una risposta alle diverse sfide della distribuzione che oggi si trova a dover affrontare profondi mutamenti. Tra questi la tendenza ad un consumo stabile, cui corrisponde però un numero crescente di superfici commerciali, cosa che intensifica la concorrenza tra insegne, rendendo il mercato più aggressivo. Parallelamente emerge una nuova forma di vendita, il drive. Ideata dal Gruppo Auchan nel 2000, poi ripresa da Leclerc nel 2007, il drive è oggi al centro delle strategie di tutte le insegne. Secondo lo studio Drive Insights, al 1o gennaio in Francia si

contavano 2.721 drive, cioè circa 750 nuovi siti aperti nel 2013. E il ritmo di aperture si conferma nel 2014: già 117 aperture in gennaio e febbraio. Intermarché è l’insegna che sfrutta il maggior numero di drive con 781 siti, seguito da Système U (591) e Leclerc (467). Se lo sviluppo del drive si realizza in parte a scapito dei negozi, il negozio non è condannato, anzi. Sui prodotti freschi tradizionali, infatti, il drive non convince (frutta e ortaggi, prodotti ittici, macelleria, ecc…, sono poco presenti fra gli acquisti realizzati al drive: il 2,9% delle spese rispetto al 17,8% negli ipermercati; fonte: Nielsen). In questo senso lo sviluppo

Visitatori a SIAL Innovation 2012.

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s res g n d’i s s pa is.com o r r ost ialpa v l i .s ate www n i Ord su

Il drive, come funziona? Il cliente ordina su internet e ritira i propri acquisti 2 ore dopo. Sul posto le insegne si impegnano (quasi) tutte ad un tempo massimo di 5 minuti per caricare i prodotti sull’auto del cliente. Come? • drive automobile: Il cliente si identifica ad una sbarra senza scendere dal suo veicolo (60% dei siti); • drive pedone: il cliente scende dal suo veicolo e si presenta al punto di ritiro spesso situato all’accoglienza del negozio (40% dei siti). Nel 2013 il drive ha generato 3,8 miliardi di euro di fatturato, con una crescita del 50% (fonte Ed. Dauvers).

>> Link: www.sialparis.com

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By Per ulteriori informazioni : Saloni Internazionali Francesi S.r.l. Tel. : 02/43 43 53 27 - Fax : 02/46 99 745 Email : adelpriore@salonifrancesi.it

Premiata Salumeria Italiana, 4/14 SIAL, a subsidiary of Comexposium Group

years of innovation

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della zona mercato è considerato dai vari settori come la strategia vincente per far ripartire gli acquisti nel settore alimentare e fidelizzare i consumatori. Le insegne utilizzano tre specifiche strategie: • la teatralizzazione, con l’ambizione di far avvicinare i loro reparti ai mercati tradizionali; • il posizionamento dei prodotti in una fascia di mercato più alta: formaggi stagionati, frutta matura al punto giusto, carne con marchio di qualità, ecc… L’obiettivo è quello di raggiungere il livello qualitativo dei migliori artigiani; • il “fatto in casa”: reparti pasticceria e gastronomia in cui parecchi punti vendita ritornano ad una preparazione sul posto, garanzia di ultra-freschezza. Tutte le aperture o ristrutturazioni recenti rispecchiano questo rinnovamento delle zone mercato. A Parigi è ad esempio il caso dell’ipermercato Carrefour Auteuil, riaperto nel marzo 2014 dopo un remodeling completo. Come non citare poi l’ultimo Eataly a Milano o ancora Whole Foods a New York Brooklyn, un punto vendita che produce in una serra installata sul tetto una parte degli ortaggi venduti, dispone di cucina e prepara sul posto tutti i prodotti di gastronomia.

SIAL, The Global Food Marketplace

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L’Italia da mangiare Il padiglione del Belpaese sempre più grande e più selezionato, pronto a confrontarsi con il mercato del Nord America nell’edizione 2014 di Summer Fancy Food Show, la fiera più golosa degli USA di Elena Benedetti

È

l’appuntamento d’obbligo per gli addetti ai lavori dell’agroalimentare di qualità nel mercato statunitense. Meta prediletta di produttori grandi e piccoli che aspirano a conquistare USA e Canada, un bacino enorme di potenziali consumatori. Stiamo parlando del Summer Fancy Food Show, un evento che non è solo manifestazione fieristica e vetrina dell’agroalimentare mondiale, ma

anche un luogo perfetto per cogliere i trend del mercato. Presso la sede del Jacob Javits Center di New York, dal 29 giugno al 1o luglio scorsi, si sono fatti avanti 24.000 operatori specializzati provenienti dal settore della GDO, ristorazione e food service, oltre ai top buyer e importatori del Nord America. Per l’edizione 2014, che ha fatto registrare il record assoluto di visitatori, sono stati superati i 2.730 espositori, in rappresentanza di

oltre 50 Paesi. L’Italia ha giocato un ruolo di tutto rispetto con la maggiore superficie espositiva dedicata ad un Paese straniero e con la presenza di 540 espositori, tra aziende produttrici, consorzi di tutela ed enti territoriali, tutti promossi e coordinati dall’Italian Trade Commission, la sede ICE che presidia il mercato del Nord America, in collaborazione con Universal Marketing, agenzia che in esclusiva per l’Italia ha coordinato

L’ingresso al Jacob Javits Center di New York ha visto transitare oltre 24.000 operatori specializzati.

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la presenza degli Italiani in fiera. Si tratta di una “collettiva del food” di grande rilevanza se si considera che il mercato americano oggi rappresenta circa il 10% delle esportazioni agroalimentari italiane. Sulla base dei dati di COLDIRETTI-ISTAT, nel 2013 i prodotti del made in Italy hanno realizzato Oltreoceano un fatturato record di 2,9 miliardi di euro. L’Italia è posizionata all’8o posto nella classifica dei principali fornitori di prodotti agroalimentari verso gli Stati Uniti. Nei primi 8 mesi del 2013 gli USA hanno importato generi alimentari e vini italiani per un valore di 2,6 miliardi di dollari. Tale cifra rappresenta un incremento dell’8,3% rispetto ai primi 8 mesi del 2012, e la quota di mercato è salita leggermente al 3,1% rispetto al 2,9% dello stesso periodo nel 2012. I principali partner commerciali degli Stati Uniti rimangono il Canada, il Messico, e la Cina, tutti in ascesa rispetto al 2012. Con i circa 30.000 m2, l’Italia è stata la protagonista della fiera, seguita da Cina, Francia, Turchia, Grecia, Spagna, Marocco

ed Egitto. Il direttore dell’Agenzia ICE negli Stati Uniti, PIER PAOLO CELESTE, ha seguito l’organizzazione del grande padiglione italiano che, come d’abitudine, ha catalizzato un gran pubblico di importatori, distributori, ristoratori e rivenditori di specialità alimentari. «Siamo fieri del lavoro fatto in questi mesi e arriviamo al Fancy Food 2014 — ha dichiarato Celeste all’inaugurazione della fiera — con la certezza di essere non solo il Paese maggiormente rappresentato con 540 aziende e consorzi, ma anche attrezzati e determinati per trarre il massimo da questa settimana di relazioni commerciali». Tra le aziende parmensi che hanno partecipato all’edizione 2014 c’era il Consorzio Parma Alimentare. «Oltre ad essere un luogo ideale per incontrare gruppi “target” e per stringere contatti di business di alto livello — ha dichiarato al quotidiano LA REPUBBLICA Alessandra Foppiano, executive Manager di Parma Alimentare — il Summer Fancy Food Show è anche la piattaforma migliore per cogliere i

trend del mercato. Per queste ragioni e data la forza strategica del mercato USA per l’agroalimentare made in Parma, è quindi importante per il nostro consorzio affiancare le aziende del territorio a New York. Il Summer Fancy Food Show rappresenta per Parma Alimentare anche un’ottima occasione per fare cultura sulle eccellenze agroalimentari della Food Valley e per sensibilizzare gli addetti ai lavori sul tema dell’autenticità: non dimentichiamo che negli USA il fenomeno dell’Italian sounding è estremamente radicato, con un valore stimato in oltre 3 miliardi di dollari al consumo». Successo di presenze presso lo stand del Consorzio del Prosciutto di Parma. «È stata un’edizione estremamente positiva — ci dicono dal Consorzio — che ha visto una grande partecipazione di pubblico e tanto interesse per il nostro prodotto. Tutto questo ci dimostra che abbiamo ancora molto da fare negli Stati Uniti, un mercato che offre ampi margini per investire e sfruttare le sue vaste

Un fuori-salone della passata edizione incentrato sullo street food (photo © specialtyfood.com).

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Il padiglione italiano in fiera. potenzialità. Abbiamo lavorato tenacemente, noi produttori, al fianco dei nostri importatori e di tutti gli operatori sapendo cogliere quelle opportunità più idonee a valorizzare e promuovere il Prosciutto di Parma, a tutelare il nostro marchio, senza dimenticare il gravoso impegno di adeguamento alle procedure sanitarie richieste. Per quest’anno abbiamo sviluppato un diversificato programma di attività certi che ci permetterà di consolidare la nostra posizione e guadagnare sempre più credibilità a tutti i livelli. Il nostro principale obiettivo resta quello di divulgare il concetto di Dop dove è maggiore l’esigenza di informare il consumatore sul settore

alimentare di prodotti tipici come in questo caso; molto importate inoltre è l’ampliamento del bacino di utenza del Parma e la diffusione del nostro prodotto anche in altri Stati americani adesso ancora poco esplorati». All’edizione 2014 non poteva mancare il ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, MAURIZIO MARTINA. «Siamo il Paese con più espositori al Fancy Food — ha dichiarato — grazie ad oltre 350 aziende italiane e 50 giovani imprese arrivate anche con il sostegno del nostro ministero. È la testimonianza dell’approccio di sistema che dobbiamo avere verso il mercato degli Stati Uniti, che per il nostro agroalimentare

vale già oggi quasi 4 miliardi di euro. Possiamo fare di più e siamo qui per questo. Dobbiamo promuovere l’autentico made in Italy, far conoscere le qualità inimitabili dei nostri prodotti, sviluppare nuove idee sulla distribuzione internazionale delle nostre eccellenze. Presto presenteremo il nostro piano per l’internazionalizzazione agroalimentare. Vogliamo fare un lavoro di squadra a tutti i livelli e spingere per raggiungere un risultato che è alla nostra portata, ovvero toccare i 50 miliardi di euro di export agroalimentare in tutto il mondo». Elena Benedetti >> Link: fancyfoodshows.com

Grandissimo successo anche per i prodotti Beppino Occelli presenti a New York e protagonisti di un evento eccezionale che si è svolto nel palazzo delle conferenze dell’ONU: un’esibizione del meglio dei prodotti italiani nell’ambito di innovazione, moda, design e cultura del cibo. Maurizio Martina (in foto), ministro delle Politiche Agricole e Forestali, e tutti i presenti hanno potuto degustare le specialità Beppino Occelli: particolarmente apprezzati l’Occelli al Barolo e l’Occelli con frutta e grappa di Moscato. Quest’ultimo è prodotto con latte di pecora e vacca. Stagiona per un minimo di 12 mesi e viene successivamente affinato con l’aggiunta di frutta e grappa di Moscato che ne arricchiscono ulteriormente il quadro organolettico, offrendo un’esperienza sensoriale assolutamente “speciale”.

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Formaggio In Valle Calanca, nel Cantone dei Grigioni

Raìsc, formaggi a due passi dal Paradiso di Riccardo Lagorio

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sistono contrade che assomigliano al Paradiso, che appartengono più all’immaginario e che all’improvviso si materializzano diventando realtà. Braggio è una di queste, vicina vicina al cielo. Braggio è uno dei sei comuni della Val Calanca, nel cantone italiano dei Grigioni, 56 abitanti iscritti all’anagrafe. Un solo modo per raggiungerlo: la funivia che parte da fondovalle, Arvigo, patria dello gneiss, originale pietra da muratura. Nel passato, DEMETRIO e LIDIA BERTA, i genitori di Luciano, coltivavano e allevavano in un’azienda contadina tradizionale. Nel marzo del 1981 Agnese prese domicilio a Braggio da

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Wetzikon, nella Svizzera centrale, e affittò due ettari e mezzo di terreno con due stalle, comprò 20 capre e iniziò la sua avventura di contadina alla guida di una minuscola azienda. Luciano era allora impiegato presso la stazione della funivia che collega Arvigo a Braggio e gli impiegati alla funivia erano i primi indigeni a prendere contatto con i nuovi arrivati. Fu così che Agnese conobbe Luciano e nel 1983 i due giovani celebrarono il loro matrimonio. Di lì a poco nacquero Romano e Aurelia; Luciano divenne socio di sua moglie e insieme allargarono l’azienda agricola infondendo anche ad Aurelia la passione per la campagna e l’ambiente rurale.

Oggi l’Agriturismo Raìsc è un punto di riferimento di accoglienza per tutta la valle e Aurelia trasmette nei suoi gesti e nelle sue parole quella pace che ogni giorno respira quassù. E dove si producono formaggi di straordinaria fattura grazie all’eccezionalità dei pascoli alpini. Quale elemento fondante della cultura alpina essi caratterizzano fortemente il paesaggio. Inoltre, sono elemento di punta della biodiversità europea in quanto ospitano circa 500 specie di piante vascolari. Di fronte alla generale riduzione di capi portati al pascolo, la comunità di Braggio corre in contro-tendenza. Nei 12 ettari di prati la pendenza impedisce quasi

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Aurelia Berta. ovunque l’utilizzo di macchinari, così il rastrellamento dell’erba per il fieno invernale è esclusivamente manuale. Le stalle sono occupate da 16 pecore di razza Lacon e una dozzina di vacche di razza Bruno alpina, di cui alcune incrociate con Grigie retiche. Il latte delle pecore Lacon contiene un apporto di grasso perfetto per la caseificazione, ma soprattutto è abbondante in quanto sfiora un litro a mungitura. Spesso, inoltre, i parti sono gemellari e gli agnelli sono molto apprezzati per la carne saporita e morbida. La tosatura degli animali avviene a maggio e la lana è utilizzata come isolate termico nelle case. Ma è nella caseificazione che la Lacon dà il meglio. Il più gustoso dei formaggi è a media consistenza, dopo tre mesi presenta una diffusa piumatura grigia e all’interno occhiature diffuse. Si presta ad essere utilizzato in cucina così come a fine pasto. Le vacche Bruno alpine forniscono una media che va dagli 8 ai 14 litri per turno di mungitura. Tra le proposte dei Berta la fa da padrona una formaggella a pasta molle da latte intero crudo dal colore giallo chiaro con crosta assai sottile e pasta compatta priva di occhiature. La contraddistingue il sapore intenso ed erbaceo. Durante il periodo in cui le vacche pascolano, lo stesso formaggio, ad adeguata maturazione raggiunta, si presenta con colore giallo intenso, ricco di occhiature, e sprigiona un

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Alcuni formaggi dell’Agriturismo Raìsc. intenso gusto floreale. La crosta rimane sottile e priva di muffa anche dopo stagionatura prolungata. Oltre ai lavori agricoli, Agnese e Aurelia offrono la possibilità di affittare ad ospiti per le vacanze quattro immobili nel paese e una struttura multi uso per corsi, seminari, festeggiamenti dove si può sperimentare l’ottima cucina a base dei prodotti elaborati dalla famiglia. Laddove l’offerta non è sufficiente, ci si procura il tutto da altre aziende agricole del Calanchino o del Moesano. Come nel caso dei formaggi di capra. CLETO CAPELLI alleva 30 capre di razza Saanen e dal 2007 lo elabora. Ne escono tronchetti di grande bontà e cremosità, piccole caciotte

e anche ricotta. Le capre non hanno perso però l’utilizzo iniziale: curare la selva castanile di Lostallo, uno dei comuni italofoni dei Grigioni sudoccidentale. Riccardo Lagorio Agriturismo Raìsc 6544 Braggio (Grigioni) Telefono: +41 91 8281334 E-mail: luag.berta@bluewin.ch. Azienda Agricola Bio Cabiè Cleto & Germano Capelli 6558 Lostallo (Grigioni) Telefono: +41 79 6500104 Nota A pagina 94, S. Maria in Calanca.

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Pasta

Paone: italiana per tradizione, buona per passione Dal laboratorio fondato nel 1878 al moderno stabilimento di Formia: con 110 formati di pasta, quella del pastificio Paone è la storia di una famiglia e di un successo del made in Italy nel mondo di Massimiliano Rella

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n marchio di pasta ancora poco conosciuto a livello nazionale promette di farsi strada sui canali della Grande Distribuzione. È Paone, lo storico pastificio di Formia (Latina), uno degli ultimi comuni del Lazio meridionale, già in odor di Campania. Oggi il suo mercato è al 50% italiano, in buona parte a cavallo tra le due regioni, ma da qualche tempo è entrato in Conad e Panorama a Roma. Curiosamente, però, Paone è il primo esportatore di pasta italiana in Venezuela, dove convivono due mercati “paralleli”, il pubblico e il privato, ma esporta anche negli USA, in Est Europa e in estremo Oriente. «Oggi all’estero dobbiamo affrontare la forte concorrenza della pasta turca, un prodotto competitivo fatto con buoni grani» avverte Domenico Paone, responsabile magazzino, packaging e produzione della grande azienda di Formia. La Paone conta 110 formati di pasta fatta solo con semole di grano e acqua, al 30%, senza sale, né conservanti. Nel 1930 l’azienda aveva il proprio molino, oggi invece acquista il grano macinato. L’acqua proviene da una sorgente di montagna, di proprietà familiare. La conservazione e la qualità della pasta dipendono anche dal processo di essiccazione (se per legge rimane un max del 12,5% di acqua, la Paone non supera l’11,90%) e dalla durata degli impasti, 30-40 ore per la pasta di Formia, contro le 10-15 di alcune paste industriali in vendita.

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A gettare le basi dell’impresa fu Domenico Paone nel 1878, agli albori dell’Unità d’Italia nell’ultimo lembo della resistenza Borbonica, a due passi da Gaeta. Anni dopo non passerà indenne dalle vicende del Belpaese, ma sempre risollevandosi. Distrutta due volte da tedeschi e americani, la fabbrica fu ricostruita sia nel 1918 che nel 1947, alla fine delle due guerre mondiali. Negli anni del boom fu ampliata e ammodernata. Domenico realizzò il primo laboratorio per fare

pane e pasta in un mulino a vapore, l’unico della zona, dotato di un’ampia terrazza per essiccare la pasta all’aperto. Dopo qualche tempo si concentrò però sulla produzione e la vendita, ma fu il nipote Erasmo a creare la società per azioni, passata poi ai figli Domenico e Francesco. Oggi continuano l’attività familiare il quarantatreenne Domenico — figlio di Francesco — e il cugino Stefano, 50 anni, amministratore unico della Paone.

Rigatoni Cicerone del pastificio Paone con calamaretti e pomodorino. Piatto del ristorante Chinappi di Formia.

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Pasta Paone,alcuni formati. Nel grande e moderno stabilimento di Formia vengono prodotte a marchio Paone tre linee di pasta. La “Classica” al teflon (il pacco da mezzo chilo costa al consumatore tra i 65 e 75 centesimi) ha una superficie più liscia e un colore più giallognolo rispetto alla pasta della linea “Delizie di Grano”. Quest’ultima, trafilata in bronzo e con una superficie più ruvida, è fatta con semole di grani di maggior qualità, per il 90-95% di coltivazioni italiane, da Molise, Puglia, Abruzzo e Toscana. Le maggiori ruvidità, che consentono al sugo di amalgamarsi meglio alla superficie, dipendono dagli inserti in bronzo per la trafilatura. Fanno parte di questa seconda linea anche le “Delizie di Grano Integrali”, da semole di grani macinati nell’interezza del chicco, con la “crusca” esterna, quindi più scure. I prezzi in azienda delle confezioni da mezzo chilo variano da € 1,00 a € 1,80 per i formati speciali. Infine, c’è una nuova linea lanciata per la manifestazione culturale “Le Notti di Cicerone” (si svolge a settembre a Formia, dove fu ucciso da sicari il noto oratore latino; per informazioni: www.nottidicicerone.it) che nasce da una ricerca sulle miscele di grano usate in epoca romana: grani duri con alto contenuto proteico. «Durante la miscelazione — sottolinea Domenico Paone — si crea una rete di proteine che rafforza il prodotto dando alla pasta un’alta tenuta alla cottura».

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Domenico Paone. Trafilata in bronzo, è adatta a sughi più saporiti. Il primo formato di questa linea è stato il rigatone, seguito da paccheri e calamarata, venduti a € 2,50 per il pacco da mezzo chilo. Le linee produttive, oggi a circa il 70% del potenziale, danno 50 quintali di pasta l’ora, circa 1.000 al giorno, destinati a una commercializzazione che genera un fatturato medio annuo di 8-9 milioni di euro. «Tra il 2007 e il 2010, nella prima ondata della crisi economica, il consumo di pasta ha tenuto» conclude Domenico. «Solo nell’ultimo periodo, nonostante il basso prezzo pro-capite di un pacco di pasta, gli acquisti sono leggermente diminuiti».

L’azienda partecipa ad iniziative che promuovono la pasta come alimento sano e gustoso. Insieme al ristorante Chinappi, sempre di Formia, ha creato ad esempio un piccolo ricettario di primi piatti. Riceve inoltre, su prenotazione, visite scolastiche e per piccoli gruppi. Vendita diretta lunedì-venerdì. Massimiliano Rella Domenico Paone fu Erasmo Spa Molino e Pastificio Via delle Industrie 64 – z.i. Penitro 04023 Formia (LT) Telefono: 0771 7389 Web: www.pastapaone.it Nota Photo © Massimiliano Rella.

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I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: lo chef di Laura

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ncontestabili protagonisti dell’attualità gastronomica del nostro paese e non solo, star della televisione circondati da fan e ammiratori, alcuni grandi chef o cuochi di professione hanno temporaneamente abbandonato le cucine dei loro ristoranti per dedicarsi a progetti di più ampia comunicazione, riscuotendo successo

anche grazie al proliferare di trasmissioni, canali tematici, magazine dedicati al mondo della cucina. La degustazione di questo numero sarà così dedicata a due di loro, Leandro Luppi e Giorgio Pellegrini, scelti non solo per fama ma, soprattutto, per sostanza e tecnica. I vini in abbinamento sono stati selezionati tra la vasta proposta del panorama

Bardolino DOC Classico 2013 Azienda Agricola Bigagnoli

Soave Doc Colli Scaligeri Castelcerino 2013 – Cantina Filippi

Valpolicella Classico Superiore DOC 2010 – Rubinelli Vajol

Sono uve di Corvina per il 75% e il rimanente equamente suddiviso tra Rondinella e Molinara, per questo calice fresco, giovane, brillante. Vinifica a contatto con le bucce per sette giorni in acciaio inox ad una temperatura di 25-28°C ed è soggetto a frequenti rimontaggi. Il risultato è un vino di grande spessore olfattivo e gustativo, di grandissima eleganza. Frutti rossi e speziatura leggera, grande equilibrio tra le parti, ottima armonia e, soprattutto, ottima bevibilità. Un calice giovane e gioviale, adatto al tutto pasto. Si presta all’abbinamento con paste al sugo o verdure e piatti di carne bianca, pur non disdegnando carni più intense di sapore. La scelta dell’abbinamento è andata sulla tagliata di manzo di Giorgio Pellegrini. Piatto caratterizzato da una succulenza di grande gradevolezza, che esalta umori e sapori della carne, nella sua purezza. Toni lievemente speziati arricchiscono il bouquet, che ben si completa con la sorsata, linda e soave, netta nella pulizia.

Uve Garganega in purezza, vinificate in bianco, per questo bellissimo calice, soave, di nome e di fatto. Il vino viene lasciato maturare a contatto coi lieviti di fermentazione per diversi mesi, quindi decantato senza filtrazione sgrossante. È anche grazie a queste pratiche che si presenta al naso con una finezza ben decisa e strutturata, complessa con grande stile. Note floreali decise con contorno di una certa mineralità molto interessante e ben amalgamata, mandorle verdi tipicissime. Al palato è circolare nei sentori e bilanciato tra le parti, con una bella nota sapida altrettanto armonica. Un calice dalle molteplici possibilità gustative e d’abbinamento, che qui proponiamo con la bruschetta di polpettine al sugo. Un piatto saporito ma di grande armonia, non eccessivo nell’intensità gustativa, non aggressivo, che si abbina splendidamente alle note sapide del calice. Buone le persistenze di cibo e vino, in equilibrio.

Le uve usate per questo vino sono Corvina per il 45%, 35% di Corvinone, 15% Rondinella e il rimanente 5% Molinara. Dopo una macerazione di circa 25 giorni a temperatura controllata affinano in acciaio, per preservare freschezza e immediatezza. Scelta riscontrabile al bicchiere, che regala note decisamente fresche di frutta rossa, con ricordi di ribes e di duroni. Corredo speziato, non invasivo. La sorsata è morbida, con una fragrante spalla acida che sostiene e regala grande bevibilità. Ottimo con antipasti, salumi e focacce salate, si presta ottimamente anche a piatti di carne mediamente strutturati. La scelta è caduta sul brisket (biancostato di manzo al forno cotto a bassa temperatura per 12 ore). Un abbinamento che risulta perfettamente riuscito, sia per corrispondenza gustativa che per struttura del vino, in grado di sostenere umori e succulenza del piatto, senza per questo risultare in alcun modo troppo intenso nella trama.

Azienda Agricola Bigagnoli Via Veronello 1 37010 Calmasino di Bardolino (VR) Telefono: 349 5633093 info@bigagnoliwines.com

Visco & Filippi Azienda Agricola Via Libertà 55 37038 Castelcerino (VR) Telefono: 045 7675005 info@cantinafilippi.it

Rubinelli Vajol Via Paladon 31, Loc. Vajol, S. Floriano 37029 San Pietro in Cariano (VR) Telefono: 045 6839277 info@rubinellivajol.it

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comanda, il vino risponde Franchini

veronese, che ospita anche, in quel del Lago di Garda, il ristorante dello chef Luppi, Vecchia Malcesine, dove viene esaltato soprattutto il pescato locale e il suo grande valore nutrizionale e creativo (sono famosissimi i suoi salumi di pesce). La carne, incontestabile fonte proteica ed incontestabile fonte di gusto, declinata in tre diverse preparazioni,

è invece la protagonista dei piatti di Pellegrini, titolare dell’omonima macelleria milanese ed esperto manipolatore delle nobili proteine. Le tre proposte sono state presentate nel contesto della manifestazione Eurocarne 2015 Road Show, presso La Scuola de La Cucina Italiana a Milano, entusiasmo gli ospiti presenti.

Soave DOC Classico Monte Carbonare – Suavia

Bianco di Custoza Doc Villa Medici

Soave Superiore DOCG Il Casale – Vicentini Agostino

Uva Garganega in purezza per questo bel calice, carico di tipicità e mineralità. Fermenta in acciaio e resta a contatto con le fecce fini per 4 mesi, pratica che regala al vino anche un bel colore giallo paglierino brillante, con riflessi verdognoli. Al naso si svela altrettanto vincente, con note floreali e minerali di pietra focaia, frutta bianca e giovane, mela e scorza di agrume, pompelmo rosa. Armonico il palato, particolarmente intrigante la nota sapida, degna compagna della bella mineralità. Un calice che si presta perfettamente come aperitivo, perfetto con fritture di pesce e carni bianche, così come su piatti della tradizione locale veronese, come gli gnocchi patate al pomodoro con scaglie di formaggio di malga. La scelta è caduta, magnificamente, sul piatto di Leandro Luppi chiamato tonno del Garda con misticanza e mimosa d’uovo. Abbinamento splendido (senza aceto, mi raccomando) come con tutti i salumi di pesce.

Siamo nel comune di Sommacampagna con questa cantina, che presenta un gran bel Custoza, ricco e raffinato. Le uve di questo calice fermentano per circa 20 giorni in botti di acciaio e provengono da terreni calcarei e argillosi, dotati di ottima esposizione. Al naso il bicchiere porge copiose note fruttate, ma è l’erbaceo, bello e netto ad affascinare con decisione, grazie a note di timo e basilico. Al palato è armonico con una splendida e decisa nota salina, di carattere. Un calice che si presta assolutamente a tutti i piatti di pesce, anche a crudi conditi con sale al timo o sale nero. La scelta di abbinamento è caduta sui nachos di pane nero con trota marinata, burro salato e asparagi. La marinatura della trota è soave e delicata e non si scontra con l’eleganza del vino, che pulisce magnificamente le note grasse, soprattutto del burro, abbinandosi con facilità al salato, contrappunto del medesimo, così come alla complessità e persistenza gustativa.

Un calice vibrante, di profumi, eleganza e, soprattutto, tipicità e rispetto del vitigno. Sono uve Garganega in purezza, fermentate a temperatura controllata per questo calice giallo paglierino brillante, con riflessi dorati netti. Al naso è fine e intenso di note floreali di biancospino e leggero tiglio, mandorle e erbe di campo. Notevole l’armonia tra le parti e gli equilibri, buona la freschezza, ottima grazia con nota minerale intrigante. Si presta a paste con sughi di carne e di verdure, tagliolini con gamberi e zucchine, secondi di carne e piatti di pesce. Ci siamo lasciati sedurre dalle “cime di rapa, aglio, olio, peperoncino, burrata e triglie” e non ci siamo sbagliati. Una buona componente aromatica e persistente sostiene le note articolate del piatto, elegantemente armonico nei sapori, mentre la struttura fresca ripulisce senza problemi le note grasse del palato, che difficilmente dimenticherà le sensazioni di questo riuscito abbinamento.

Suavia Azienda Agricola Frazione Fittà via Centro 14 37038 Soave (VR) Tel: 045 7675089 info@suavia.it

Cantina Villa Medici Via Campagnol 9 37066 Sommacampagna (VR) Telefono: 045 515147 info@cantinavillamedici.it

Az. Agr. Vicentini Agostino Via Cesare Battisti 62 37030 Colognola ai Colli (VR) Telefono: 045 7650539 www.vicentinivini.com

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Birra Uno sguardo veloce al mondo della birra artigianale italiana sempre più cult e legata al territorio

Birra e buoi dei paesi tuoi di Riccardo Lagorio

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ul numero 2 del 2013 di questa Rivista abbiamo narrato di alcune delle tipologie di birra artigianale presenti nel nostro Paese, ricordando quelle che per noi erano tra le più significative competenze. Ma il mercato della birra artigianale è a tal punto in fermento in Italia che a distanza di poco più di un anno sono tante le realtà di cui vorremmo scrivere. Birra del Borgo: “emozioniamo la birra” Molte sono ad esempio le esperienze volte a ricreare nella birra il percorso

tracciato da altri settori, attraverso l’utilizzo di materiale locale (come lieviti, luppolo od orzo) per ottenere il prodotto finale; altrettanto interessanti risultano essere le sperimentazioni, con caratteristiche aromatizzazioni della birra. A fare da apripista in molti casi è ancora la Birra del Borgo (via del Colle Rosso Snc, località Piana di Spedino, 02021 Borgorose, Rieti, telefono 0746 31287, www. birradelborgo.it), di cui già avevamo segnalato la Reale extra, una Indian Pale Ale, e la Duchessa, una Saison fruttata e pepata. 200.000 le bottiglie prodotte, delle quali un sorprendente

20% diretto all’esportazione. Ora LEONARDO DI VINCENZO e il suo nutrito staff si sono messi in testa di isolare lieviti autoctoni dalla Riserva Naturale della Duchessa per consolidare l’autentico marchio italiano anche nella birra. Si è constatato che essi migliorano il profilo aromatico di giorno in giorno ed esprimono un’impronta che nessun lievito commerciale è in grado di dare. L’Equilibrista è un’altra interessante sperimentazione, che prevede il connubio tra birra e vino: tramite un accordo con la Tenuta di Bibbiano, il 40% di mosto di vino è

Le birre di Opificio Birraio di Lavoria, Pisa.

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assemblato con il 60% di mosto di birra. Fermentano assieme e vengono lavorati come un metodo classico con invecchiamento in bottiglia, remuage e sboccatura. Gradazione alcolica di quasi 11°, un piacevole colore rosato, profumo di frutta rossa e bocca infine ammandorlata sono interessanti caratteristiche rinvenibili in questa bottiglia con chiusura in tappo di sughero e gabbia come per i vini spumanti. Opificio Birrario: il faut cultiver notre jardin Ma come spesso avviene, la produzione di birra inizia come interesse che l’appassionato inizia a coltivare… nel garage di casa. È accaduto a FABRIZIO DI RADO, perito elettrotecnico di Lavoria nel Pisano (Società Agricola Opificio Birrario s.s., via Cucigliana Lorenzana 79, 56040 Lavoria, Crespina, Pisa, telefono 3470818749, www.opificiobirrario.it). Di Rado parte dal concetto, peraltro assai condivisibile, che molti produttori di birra artigianale sono dei meri assemblatori: acquistano luppolo, malto, lieviti ed il gioco è fatto. Birra artigianale, buona certo, ma che ha poco a che vedere con l’espressione del territorio dove viene prodotta. Nasce così nel 2012 il progetto di mettere a dimora in territorio di Lorenzana un orzo da cui si ottengono tre malti base, a cui nella campagna 2014 si sono aggiunte alcune varietà di grani teneri recuperati da ROSARIO FLORIDDIA (www.ilmulinoapietra.it), una sorta di Noè pisano per quanto riguarda cereali e legumi. Da questa mescola di grani antichi, utilizzati senza maltazione, si ottiene una birra al frumento, Brama, dalla schiuma cremosa e persistente, l’aroma speziato ed il gusto vagamente citrico del coriandolo e della scorza d’arancia. Inoltre, riflettendo sul fatto che il luppolo è sempre cresciuto spontaneamente, è stata logica l’idea di poterlo coltivare. Le circa 150 piante di luppolo di proprietà maturano in agosto e vengono potate quindi essiccate, ovvero portando i germogli ad un’umidità sotto il 5%. «L’utilizzo del luppolo fresco conferisce particolare aromaticità al prodotto finale e note di freschezza

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La bottega del Borgo, il punto vendita del birrificio artigianale Birra del Borgo di Leonardo Di Vincenzo a Borgorose (RI). nella birra», conferma Di Rado. In verità il luppolo contribuisce ad ottenere dette caratteristiche in base a diversi criteri, i più determinanti dei quali sono la varietà ed il momento in cui viene inserito durante la bollitura. Se ci si permette un paragone forse azzardato, il luppolo è un po’ come la vite: al primo caldo germoglia e per ottenere un buon luppolo i germogli vanno potati drasticamente (da 20 se ne tengono 2). Gli altri 18 diventeranno nuove piantine, contribuendo alla crescita del campo. Nelle birre di Fabrizio Di Rado si privilegia la complessità aromatica sulla gradazione alcolica. È l’esempio di Odiosa (i nomi delle birre si rifanno curiosamente a specie di civette, uccelli ben presenti nel territorio), in cui il profilo sensoriale esalta le note apportate dalle materie prime e vengono caratterizzate dalla ve-

natura acidula finale. Lo stile belga della Glaux, dalla schiuma cremosa e persistente, colore ambrato ed aroma fruttato, quasi di caramello e miele, con gusto di frutta essiccata e stramatura, è invece indicata per piatti robusti. La Noctua, benché a bassa gradazione, ricorda le Belgian ale di puro malto sia nel colore sia nei profumi zuccherini. Non disdegna come accompagnamento i salumi ed i formaggi ricchi di gusto. In complesso sono circa 2.000 i litri prodotti ogni mese, tassativamente non pastorizzati e non filtrati. San Gabriel, un’ombra de bira Anche GABRIELE TONON (Birrificio San Gabriel, via della Vittoria 2, 31047 Levada di Ponte di Piave Treviso, telefono 0422 202188, www.sangabriel. it) ambisce con eccellenti risultati

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La sede del Birrificio San Gabriel a Levada di Ponte di Piave, nel Trevigiano. a legare la propria birra al territorio d’origine. Dal 2006, infatti, i 18 ettari coltivati ad orzo permettono di determinare una precisa origine del malto utilizzato per la produzione

di birra e nella campagna 2015 si raccoglierà anche la prima partita di luppolo, coltivato su un’estensione di 5.000 m2. Ma alcune tra le birre di San Gabriel godono di giusta notorietà

per essere prodotte con l’aggiunta di radicchio rosso al momento della bollitura, conferendo al risultato finale un piacevole retrogusto amarognolo. Ambra rossa, così si chiama la birra, è nata da una fortunata intuizione degli Amici del radicchio di Scorzè e Gabriele Tonon ne è stato valido artefice. Tanto che oggi Ambra rossa si è riprodotta: ne esistono tre declinazioni dedicate al radicchio rosso di Chioggia, a quello di Treviso e a quello di Verona. Il colore va dal rosso scuro all’ambrato con vari riflessi e sfumature e si accompagna bene ai risotti al radicchio, al pesce ed ai formaggi. A giugno del 2014 è stata aperta, accanto al birrificio, l’Osteria della birra, ristrutturando con gusto una vecchia stalla di cambio cavalli. L’ombra de vin di veneta memoria si trasforma in ombra de bira che i giovani apprezzano. Inalterata l’encomiabile creatività italica. Riccardo Lagorio

“Locali con orto amici della birra”: da Assobirra guida ai 20 locali dove si incontrano le due tendenze gastronomiche del momento Un giro d’Italia attraverso 20 tra ristoranti, osterie e trattorie che cucinano verdure, autoprodotte, “a metro zero”, dove si può trovare una buona offerta di birre. Un vademecum degli abbinamenti più sorprendenti e “giusti” tra birra e prodotti dell’orto. L’inedita mappatura di un fenomeno che arriva dall’estero — si pensi al Rosemary’s a New York con il suo orto sui tetti di Manhattan, al ristorante-serra De Kas di Amsterdam o al tristellato Arpège di Parigi — quello dell’incontro tra ristorazione e agricoltura di prossimità e che sta diventando sempre più di tendenza anche nel panorama enogastronomico italiano. Tutto questo è la guida “Locali con orto amici della birra”, realizzata da ASSOBIRRA — l’associazione che rappresenta il settore della birra e del malto e riunisce grandi industrie, aziende storiche e microbirrifici artigianali — in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente per quanti amano il mondo delle verdure naturali e apprezzano la birra e la buona cucina. Realizzato grazie alla collaborazione con l’esperto di enogastronomia e di birra Marco Bolasco, l’opuscolo è disponibile gratuitamente sul portale www.birragustonaturale.it ed è pensato per quanti hanno scelto, per convinzione personale, di mangiare “verde”, nel solco di un’antica tradizione mediterranea. In un gioco tra gusto e leggerezza che può essere sperimentato al ristorante e replicato a casa, l’opuscolo è arricchito da un prontuario degli abbinamenti tra orto e birra che conferma come la bevanda sia versatile, in grado di sostenere, senza sovrastarli, i sapori vegetali delle 4 stagioni. Alcuni esempi? Il pinzimonio con olio e sale è perfetto con le Blanche. Per le verdure fritte, in pastella o al naturale, il matrimonio d’amore è con le Pils più luppolate. Le Weizen vanno provate con le verdure cotte in tegame o al forno, come spinaci, broccoli o cavolfiori. Con la ratatouille bisognerebbe andare su una Lager dalle marcate tonalità di malto. La pasta al pesto “chiama” una Pils che ne contrasti il condimento, mentre per i risotti con verdure o cipolla la scelta dovrà cadere su una Bock. La frutta può suggerire abbinamenti con l’universo delle Ale, “pescando” tra quelle dolci e scarsamente luppolate ottime con le crostate con marmellata o crema e frutta fresca. Il territorio delle birre di Abbazia, infine, spazia dai dolci leggeri, come i sorbetti di frutta fresca, fino a quelli a base di cioccolato e frutta secca.

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Olio

Oliva di Gaeta, l’olio è servito Da sempre apprezzata come oliva da tavola, oggi la cultivar Itrana è oggetto di riscoperta e valorizzazione per la qualità dei suoi oli di Massimiliano Rella

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n campo sperimentale per la cultivar Itrana con 3.000 piante ordinate per filari di 25 diversi cloni è il più recente contributo del Frantoio Cetrone di Sonnino, Latina, alla ricerca su questa varietà di olive, che sta attraversando un periodo fortunato già da alcuni anni. Cloni selezionati — anche antichi recuperati — e olivi piantati nel 2010 che entreranno presto in produzione: è con questo risultato che si conclude la prima fase di una ricerca voluta da Alfredo Cetrone su una cultivar, l’Itrana, che si estende lungo la fascia collinare che delimita l’Agro Pontino, da Sermoneta a Itri. Per ottenere un prodotto sempre migliore il frantoiano Cetrone, 43 anni, non è impegnato solo in campo ma anche in frantoio. Utilizza infatti un impianto di ultima generazione che permette la gramolazione della pasta di olive in assenza d’aria. «Evitando l’ossidazione e l’evapotraspirazione si ottiene un prodotto più fresco dal punto di vista organolettico, che conserva aromi e profumi delle olive appena spremute», ci dice Cetrone mentre ci mostra il suo nuovo frantoio. L’azienda agricola familiare coltiva l’olivo dal 1860. I 100 ettari di oliveto di proprietà, con 20.000 piante secolari di Itrana, sono a 500 metri sul livello del mare, sulle montagne di Sonnino, alle spalle di Terracina, verso l’interno della provincia di Latina. Cetrone produce 1.500 quintali di olive da tavola e 2.500 quintali di olive da olio, per una produzione di 500 quintali di extra-vergine. Sono tre le etichette della casa, corrispondenti a tre tipologie di extra vergini: due fruttati da usare a crudo (15,00 €/l), uno più intenso e l’altro

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Prova dell’olio nel frantoio di Alfredo Cetrone, a Sonnino. più delicato, perfetto ad esempio con il pesce; e un terzo extra-vergine più adatto per cucinare (13,00 €/litro). Le olive da mensa sono invece di 4 tipi: la “schiacciata”, condita con

extra-vergine e spezie; la “rosata in salamoia naturale”; la “nera di Gaeta”; infine, le “olive nere grinze di Gaeta”, ottenute con le fiorescenze che hanno superato la maturazione e

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cominciano ad appassire sull’albero (Azienda Agricola Alfredo Cetrone, via Consolare Frasso n. 5800, 04010 Sonnino, latina, telefono: 0773 949008, www.cetrone.it). L’oliva Itrana, tipica della fascia costiera dei monti Lepini, da qualche anno è oggetto di riscoperta e valorizzazione per la qualità dei suoi oli. Come oliva da tavola quella di Gaeta è sempre stata molto apprezzata: il nome geografico deriva dal fatto che in passato veniva commercializzata e spedita dal porto di Gaeta, a circa 40 km a sud di Sonnino. Diffusa in questa provincia del Lazio meridionale, la cultivar è caratterizzata da una maturazione tardiva, raccolta fino a marzo-aprile. Da qualche anno vari produttori l’hanno valorizzata anche per la produzione di extra-vergine monovarietale, ottenendo prodotti che, presentati nei concorsi oleari nazionali e internazionali, conquistano premi e riconoscimenti. L’Itrana, insieme a varietà come Frantoio e Leccino, viene impiegata anche per la produzione della Dop Colline Pontine, che interessa i comuni di Sonnino, Terracina, Fondi, Itri, Monte San Biagio, Gaeta e altri,

in tutto una ventina, della provincia di Latina. Anche l’azienda agricola biologica Impero Maggiarra a Sonnino, fondata nel 1947 e gestita da Impero Maggiarra dal 1978, oggi over settantenne, produce extra-vergine d’oliva monovarietale, oltre alle olive da mensa. Nei 14 ettari di oliveto, Maggiarra coltiva piante secolari di 600-700 anni, solo di Itrana, e produce 1.700-1.800 quintali di olive l’anno. Circa 200.000 quintali sono trasformati in un olio extra-vergine che ha ottenuto vari premi in concorsi dedicati, e un extra-vergine DOP Colline Pontine (al litro € 12,00), mentre la parte più consistente del raccolto è destinato alla produzione di olive da tavola, verdi, nere, condite con olio e peperoncino (Az. Agr. Biol. Maggiarra Impero, via C.V. Pellegrini 10, 04010 Sonnino, Latina, telefono: 0773 98019, www.imperomaggiarra.it). Sempre a Sonnino l’Azienda agricola Madeccia, a conduzione familiare, produttiva dal secondo dopoguerra, ma che da qualche anno ha dato un maggiore impulso all’attività con il coinvolgimento delle nuove generazioni, produce olio extra-vergine d’oliva da cultivar Itrana, coltivata

Un clone di cultivar Itrana nell’uliveto Cetrone, a Sonnino. in 10 ettari di oliveto. La spremitura avviene entro 24 ore dalla raccolta e dà un extra-vergine con acidità bassa, sapore fruttato e piccante, circa 3.000 litri, confezionato in vari formati (Az. Agr. Madeccia, via Consolare Seconda 103, 04010 Sonnino, Latina, telefono: 347 1065782, www.madeccia.it). Massimiliano Rella

Quando si parla di cultura mediterranea si parla anche di cultura dell’olio: una cultura radicata e condivisa da diversi popoli, per i quali l’olivo è sempre stato oggetto di cure amorevoli e simbolo di valori preziosi. Infatti, la storia dei paesi del Mediterraneo, favoriti da un clima mite e fecondo, è stata da sempre segnata dalla produzione dell’olio d’oliva, tanto che diverse città sono nate e si sono sviluppate proprio grazie al commercio di questo antichissimo e pregiato prodotto della civiltà umana. Carlos Falcó ci accompagna in questo viaggio alla scoperta della cultura dell’oro liquido, partendo dalle prime testimonianze scritte sulla coltivazione dell’olivo, risalenti al III millennio a.C., per arrivare ai giorni nostri. E quello che ci presenta è un quadro esauriente dell’universo olio, capace di soddisfare ogni curiosità: dalle sue origini alle diverse tecniche produttive, dalle varietà esistenti alle loro numerose proprietà e applicazioni — in gastronomia, nella cosmesi, come fonte d’illuminazione — dal significato del termine “extra-vergine” ai modi per riconoscere un olio di qualità superiore. Con la stessa passione con cui illustra ogni fase del processo che trasforma le CARLOS FALCÓ olive nel più apprezzato dei condimenti, l’autore denuncia la frode che inquina parte del Il grande libro dell’olio vastissimo e ricco mercato dell’olio, fornendo al lettore importanti strumenti per orientarlo d’oliva verso un consumo consapevole. Secondo Falcó, l’olio extra-vergine d’oliva ha le carte Mondadori, 2014 in regola per raggiungere lo stesso livello di prestigio e considerazione di cui gode il vino, 240 pp. – € 28,00 suo storico compagno, purché venga prodotto in condizioni tali da preservarne le qualità organolettiche e gli effetti benefici sulla salute. Il che significa alimentare il circolo virtuoso fatto di controlli, innovazione tecnologica, degustazioni, premi. A questo punto non abbiamo più scuse. Se al ristorante ci sentivamo autorizzati a storcere il naso alla vista di una caraffa di vino sfuso, dopo aver letto questo libro avremo buone ragioni per eccepire anche sull’anonimo olio della casa. Carlos Falcó, marchese di Griñón, è nato a Siviglia. Ingegnere agronomo, ha introdotto nel suo Paese tecniche innovative e vitigni ricercati che lo hanno reso un pioniere della viticoltura spagnola. Dal 2002 si dedica all’olio d’oliva: gli ottimi risultati ottenuti hanno reso la sua produzione una delle più rinomate a livello mondiale.

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Aceto “Mentre il bravo produttore invecchia, il suo aceto migliora sempre!”

Universo balsamico di Leonardo Giacobazzi

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l balsamico è famoso nel mondo: oltre 97 milioni di litri, a diversi livelli qualitativi, partono da Modena ogni anno verso le cucine di tutti i continenti, quasi a confermare quell’iniziale gradimento che pronosticò, oltre duemila anni fa, futuro e successo per questo prodotto modenese-reggiano. I più non sanno però che esistono due tipologie di aceto balsamico, molto diverse fra loro dal punto di vista organolettico poiché sono ottenute grazie a processi produttivi

diversi. Entrambi si sono differenziati ed evoluti nel corso di due millenni per motivi di prestigio famigliare da una parte, commerciali dall’altra. Quale balsamico? Tutto ha origine da una tradizione antichissima che risale al tempo dell’Impero Romano; allora si cuoceva il mosto dell’uva per concentrarlo ed ottenere un prodotto denso e dolce, simile al miele e non più fermentescibile, in grado cioè di es-

sere facilmente trasportato. Si faceva questo ovunque si producesse uva, ma particolarmente nei territori oggi di Modena e Reggio Emilia, in quanto la produzione era rilevante e il vino che si ricavava dall’uva era buono ma poco resistente all’invecchiamento. Già nel I secolo d.C. Columella, studioso di agricoltura, testimoniava come il mosto cotto (sapa) prodotto in queste terre, diventasse facilmente acido (solet acescere…). Il prodotto agrodolce che si otteneva, anche se non voluto,

La produzione di aceto balsamico tradizionale di Modena è come un ponte fra le generazioni ed è grande “orgoglio” di famiglia. È considerato come un figlio o come il cognome di famiglia: per essi si può amare, odiare, combattere. Tutti capiranno ora perché non solo ogni produttore si considera depositario di tradizioni di famiglia e antichi segreti, ma è anche convinto che il suo aceto sia il “migliore” in assoluto… (photo © Guttadauro).

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Balsamico o salutare?

L’aceto Balsamico Tradizionale di Modena riveste grande importanza come rappresentante di cultura, tradizione e saper fare modenese, ma anche come simbolo eccelso delle produzioni tipiche italiane. Per questo, il 17 aprile 2012, Poste Italiane gli ha dedicato un francobollo. doveva certamente piacere molto se poi è arrivato fino ai nostri giorni! Vien facile pensare come questo aceto dolce e acido, ideale come condimento alimentare, fosse conservato in casa nei normali contenitori disponibili per il vino, allora botti di legno o vasi di ceramica. Non esistono testimonianze scritte, ma è legittimo supporre che si prelevasse parte del contenuto quando necessario in cucina e che al tempo della vendemmia si ripristinasse il livello dell’aceto con mosto nuovo. Come succede oggi anche allora percepivano che tanto più era piccola la quantità prelevata dalla botte e ripristinata alla vendemmia con nuovo mosto d’uva, tanto più l’età media del contenuto e quindi la sua qualità tendeva a migliorare. È da questo punto in poi che i due balsamici cominciano a differenziarsi per arrivare, entrambi, al successo ma seguendo diverse strade. Fin dall’anno 1046 (“De Vita Mathildis”, 1111 d.C.), è testimoniato il gradimento di questo aceto anche presso le corti reali. Spedito direttamente nelle botti, qualche volta era regalato, qualche volta era venduto (1605, documento di trasporto del produttore Giusti verso la Repubblica di Venezia). La perdita della botte era però un inconveniente che limitava

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Studi recenti testimoniano l’attendibilità dei documenti storici relativi all’uso medicamentoso che personaggi illustri come Lucrezia Borgia, Isabella d’Este, Francesco IV d’Este e lo stesso Gioacchino Rossini praticavano. Da tempo sono stati individuati gli effetti positivi dei polifenoli e in particolare del resveratrolo (di cui le uve del territorio modenese e reggiano sembrano essere particolarmente ricche), in relazione alle loro importanti attività antiossidanti, antiproteasiche, antimutagene e vasoprotettrici. Si tratta di una moltitudine di componenti che vanno dagli acidi fenolici ai flavonoidi — dai tannini idrolizzabili a quelli condensati, includendo anche le antocianine — dei quali è stata infatti dimostrata un’importante attività antiossidante dovuta alla cattura di radicali liberi nel sangue e all’inibizione della perossidazione lipidica con conseguente inibizione dei danni endoteliali coinvolti in tutti i processi infiammatori. Addirittura, il flavan-3,4-diol, una delle strutture di base dei tannini condensati, avrebbe dimostrato in diversi modelli biochimici in vitro di prevenire situazioni patologiche dei fenomeni riguardanti l’ischemia. Le procianidine invece mostrerebbero anche un’interessante attività protettrice vascolare favorendo anche un miglior nutrimento delle strutture della retina. Che dire poi del noto valore dei sali minerali, delle vitamine e degli zuccheri che al balsamico tradizionale arrivano direttamente dal mosto dell’uva? Nelle preparazioni alimentari a consumo specializzato (dieta dello sportivo) e negli integratori questi elementi sono normalmente proprio gli ingredienti di base. Fra le vitamine dall’uva troviamo vitamina C, fino all’1% della quantità edibile, ma anche carotene, tiamina, riboflavina e niacina, in quantità che aumentano con la maturazione. Il succo dell’uva contiene fino al 65% di fruttosio, lo zucchero a più basso potere calorico e normalmente molto utilizzato anche nel settore commerciale per la produzione di prodotti per diabetici, sportivi, studenti. I sali minerali, in particolare i sali di potassio, sono fondamentali nella funzionalità muscolare e contrattilità del miocardio. Dopo tutte queste considerazioni possiamo certamente affermare che l’Aceto Balsamico, oltre che essere un concentrato di tutti i citati elementi, presenta anche gusto e profumi incredibilmente buoni e inebrianti. Siamo autorizzati a definirlo, come si faceva in passato, uno straordinario condimento alimentare con grandi proprietà curative e medicamentose? Solo la medicina potrebbe affermarlo, ma la grande “enciclopedia universale” di internet offre innumerevoli informazioni al riguardo. In particolare, studi di circa 10 anni fa in USA attribuivano all’uso di aceto balsamico un aiuto alla digestione, in quanto crea una acidità più moderata di quella normalmente prodotta dallo stomaco e favorisce un conseguente minor lavoro di neutralizzazione per il fegato. Sempre dagli USA, una ricerca del 2009 evidenzia come l’uso di aceto balsamico favorisca la sensazione di sazietà e come quindi possa favorire le diete.

il proseguimento della produzione, in quanto ogni volta erano necessarie botti nuove, non così funzionali come le vecchie. Si iniziò quindi a spedire e vendere questo aceto già imbottigliato, riavviando ogni volta la produzione nella stessa botte con nuovo mosto debitamente acetificato mediante aceto di vino per rallentarne la fermentazione e permetterne il necessario invecchiamento. Questo processo discontinuo è arrivato ai nostri giorni: il prodotto oggi è tutelato dalla Unione Europea come Aceto Balsa-

mico di Modena Igp ed è famoso ed apprezzato in tutte le cucine del mondo. Nelle famiglie ricche e dell’alta aristocrazia modenese e reggiana, invece, che non avevano problemi di tempo né di denaro, l’aceto veniva conservato gelosamente per l’esclusivo uso famigliare, non certamente venduto ma a volte regalato come dono di prestigio. Allora come oggi si notava che se il ripristino annuale dell’aceto consumato non era fatto con mosto nuovo ma con aceto già invecchiato in altre botti, il miglio-

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Schema produttivo dell’Aceto Balsamico tradizionale di Modena Dop. ramento qualitativo ne era esaltato. Si iniziò quindi a mettere in serie le botti, cioè in batteria. Ogni anno, nel periodo invernale, ogni botte, a partire dalla più piccola, era rincalzata con la necessaria quantità di aceto prelevandolo dalla botte immediatamente precedente e operando successivamente così fino all’ultima, detta botte madre; quest’ultima era rincalzata con nuovo mosto cotto. Nei secoli si è così sviluppato questo processo di invecchiamento unico al mondo; è un processo “in continuo” e, solo dopo 12 anni di attività della batteria, comincia a gratificare il produttore di una piccola aliquota annuale di prodotto finito. Si tratta di non più di 2/3

litri a seconda delle dimensioni della batteria. Solo se questo prodotto viene poi approvato dalla commissione di assaggiatori esperti, sarà imbottigliato presso il consorzio e, una volta nella distintiva bottiglietta da 100 ml, unica autorizzata per tutti i produttori, potrà finalmente essere chiamato Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP. Questo prodotto è tutelato dall’Unione Europea fin dal 2000! Extra-vecchio Questo aceto di limitatissima produzione ma incomparabile dal punto di vista organolettico, è l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop di qualità superiore. Il nome potrebbe

trarre in inganno, infatti la sua altissima qualità non dipende soltanto dai 25 anni richiesti da Disciplinare, che comunque sono indispensabili, ma da tanti altri parametri fra i quali anche qualità delle botti e cura con cui la batteria viene mantenuta. In ogni caso, prima di acquisire il titolo, anche questo prodotto deve essere preventivamente approvato dagli assaggiatori esperti e imbottigliato. Inoltre anche fra gli “Extra-vecchio” esistono “eccellenze fra le eccellenze”, con anche grosse differenze di prezzo, caratterizzate da incomparabili intensità olfattiva, armonia al gusto, brillantezza e persistenza del retrogusto. Visitare delle acetaie, come in occasione di Acetaie Aperte, è sicuramente una opportunità più unica che rara per assaggiare aceti “fuoriclasse” e costosissimi, difficilmente reperibili in commercio. Questo aceto in passato veniva citato nei lasciti testamentari ed era dote prestigiosa per le giovani spose di aristocratiche origini. Era gelosamente conservato nei sottotetto e amorevolmente curato di generazione in generazione. Era considerato una sorta di Panacea dai principi medicamentosi in grado di curare tutti i mali. Di rado era ceduto in dono ma, nel caso, era il regalo degno di “Re e Principi”. Ancora oggi e più che mai, l’Aceto Balsamico Tradizionale è l’orgoglio delle province di Modena e Reggio Emilia. Leonardo Giacobazzi

Attenti a quei due: nel 1839 il conte Giorgio Gallesio scriveva che a Modena esistono due aceti prodotti, con diverso processo, direttamente dal mosto; uno è quello famoso nel mondo, detto oggi Aceto Balsamico di Modena Igp, economico e adatto all’uso quotidiano. L’altro è il raro Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop, detto anche Ambrosia Deorum, prodotto con solo mosto cotto e seguendo antiche e laboriose usanze. Per l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop la tipica bottiglia da 100 ml, detta di Giugiaro, è l’unica legale e autorizzata dal Ministero Italiano per l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena. Costituisce quindi l’unica garanzia di originalità e di qualità. In questa bottiglia è conservato un prodotto rarissimo, prezioso e dalle nobili origini.

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L’Aceto Balsamico di Modena Igp può essere venduto in bottiglie non più piccole di 250 ml e molto varie per forma e confezione; è disponibile a diversi livelli qualitativi e diversi prezzi. Ogni produttore confeziona direttamente il prodotto in bottiglie e confezioni di propria scelta, previo il controllo del Consorzio di Tutela e dell’Ente di certificazione.

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Tecnologie

CSB-System, software specifico di settore al servizio della gastronomia

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n periodi come quello attuale in cui sono sempre più ridotti i tempi che le famiglie possono dedicare alla cucina, la preparazione di ricette e specialità regionali offre alle aziende del settore nuove opportunità commerciali; la gamma è completa e propone innumerevoli varianti di sapori e gusti: dagli snack ai piatti pronti, dalle pizze ai pronto e cuoci. Tante varianti ma con un’unica esigenza: la gestione del ciclo produttivo! Perché allora non trasformare l’obbligo della tracciabilità e della sicurezza alimentare in un’occasione? È questo l’obiettivo che si prefigge l’azienda CSB-System con il suo software completo e modulare, specifico per il settore alimentare.

Il cuore del sistema I moduli degli Acquisti, del Magazzino, della Produzione con distinte base/ricette e delle Vendite sono il cuore del CSB-System, perché rappresentano la base della gestione di una qualsiasi azienda alimentare che voglia presentarsi al mercato con i propri prodotti a costi contenuti. Poi, grazie all’esperienza accumulata sul campo in oltre 35 anni di esperienza e in adempienza alle normative nazionali e internazionali, la CSB-System ha sviluppato programmi “su misura” che soddisfano le esigenze anche di aziende alimentari operanti in settori specifici come quello della gastronomia. Il modulo della Pianificazione della Produzione (PPS), per esempio, è

fondamentale per pianificare non solo la produzione ma anche le vendite e gli acquisti, poiché utilizzato all’interno di un sistema integrato. Il PPS centralizza tutte le informazioni: dagli acquisti alle vendite, dalla produzione al magazzino e attraverso una libera configurazione gestita dall’utente, elabora ordini/proposte di produzione nonché proposte di riordino a fornitori. È in grado inoltre di elaborare una pianificazione commerciale a lungo, medio e breve periodo tenendo in considerazione sia i dati storici di vendita (per esempio, statistiche e report sul venduto suddiviso per cliente/articolo, ecc…) sia ordini clienti e promozioni.

Pianificazione dei menu. 110

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Per quanto riguarda invece la necessità tipica del mercato del pronto e cuoci di gestire diversi tipi di packaging per ottemperare alle diverse richieste della clientela, il CSB-System offre un’ampia gamma di programmi e soluzioni: • gestione personalizzata dei layout di tutti i documenti comprese etichette, etichette private, label, packing list, schede tecniche, catalogo pubblicitario; • calcolo e gestione dei valori nutrizionali in base alle quantità dei componenti utilizzati in produzione, con relativa gestione degli allergeni e successiva stampa in etichetta o scheda tecnica; • collegamento con le linee di pesoprezzatura; • gestione dei codici a barre e dei codici SSCC; • tracciabilità e rintracciabilità del prodotto attraverso la gestione e la stampa dei lotti; • collegamenti attraverso il CIM con bilance, scanner, magazzini automatici, palettizzatori, muletti. Al fine di promuovere l’utilizzo del gestionale anche tra gli utenti meno propensi all’uso del PC, è possibile personalizzare l’interfaccia grafica utente (M-ERP) per agevolare soprattutto il personale di produzione nell’inserimento dei dati. Il CSB Rack, PC industriale specifico per il settore alimentare, rappresenta un ulteriore supporto. L’M-ERP è inoltre utilizzato per la gestione dei terminalini mobili, strumenti indispensabili per la gestione on-line dei magazzini che superano certe metrature e/o volumi di movimentazione delle merci. Il terminale è solitamente usato per svolgere il picking di vendita (evasione ordini cliente) in maniera mobile e svincolata da una postazione fissa ma è comunemente utilizzato anche per la gestione del ricevimento merce, movimenti tra magazzini, gestione degli inventari. Poiché anche dal punto di vista commerciale il mercato della gastronomia richiede la massima flessibilità, il CSB-System consente non solo di gestire condizioni commerciali per cliente (listini, sconti, promozioni,

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premi fine anno, ecc…) ma è un valido strumento di lavoro anche per l’agente, che lavorando fuori dell’azienda, attraverso una semplice connessione a internet può collegarsi on-line con la propria azienda evitando doppi inserimenti e contribuendo alla riduzione dei costi aziendali. Anche lo scambio dati tramite EDI, molto usato dalla GDO, è un valido strumento per la riduzione dei costi amministrativi delle aziende alimentari: il software CSB-System è in grado di ricevere e inviare ordini di acquisto, di vendita e comunque file in genere attraverso dei tracciati, pubblici o proprietari. CSB-KPM: Key Performance Monitor (KPI – OEE) Aumentare la produttività e contenere i costi a parità di risorse è possibile, se si utilizza un efficace sistema di misurazione, controllo e miglioramento dell’efficienza aziendale (OEE – l’Overall Equipment Effectiveness). I cosiddetti Key Performance Indicators (KPI) comunicano se ci sono scostamenti rispetto a quanto pianificato. Grazie al rilevamento e al confronto degli indici dei dati aziendali forniti dal CSB-System, i responsabili di reparto sono in grado di reagire senza perdite di tempo a situazioni critiche per materie prime e beni di consumo, evitando o quantomeno riducendo al minimo i tempi di fermo della produzione e delle macchine. CSB-KPM è uno strumento per la valutazione di tutti i parametri di processo è si adatta pertanto alle specifiche esigenze di ogni cliente. Pianificazione dei menu Per le aziende di gastronomia che integrano la preparazione di piatti pronti con il lavoro della ristorazione collettiva (mense scolastiche/aziendali/ ospedali, catering) è sicuramente di grande utilità il modulo della Pianificazione dei Menu, anch’esso integrato nel sistema gestionale. Questo modulo consente di creare e gestire vari menu, evitando doppi inserimenti e ottimizzando l’uso delle risorse necessarie, ovvero materie prime, personale, tecnologia e impianti.

CSB-System a supporto della vendita all’estero Le aziende alimentari che vogliano esportare all’estero hanno la necessità di essere certificate; perché allora non sfruttare il modulo CSB-System per il controllo e gestione della qualità integrato nel gestionale? Sicuramente l’integrazione comporta notevoli vantaggi come riduzione dei tempi d’inserimento dei controlli qualità effettuati, gestione delle “non conformità”, visualizzazione veloce e razionale dei dati attraverso report e statistiche, eliminazione del supporto cartaceo e adempimento a tutti i requisiti delle principali certificazioni (HACCP, ISO, IFS, BRC, GRMS, HALAL, KOSHER, ecc…). Poiché il CSB-System è un gestionale multilingua, inserendo la lingua del cliente, tutti i documenti a lui associati, cioè bolle, fatture, lista degli ordini, etichette, sono stampati automaticamente nella lingua richiesta. Altri moduli come la contabilità, il CRM, l’archiviazione elettronica dei documenti su supporto informatico, la gestione del Carbon Footprint, rendono il CSB-System un software completo in grado di gestire un’azienda alimentare a 360°. Per concludere, il software gestionale CSB-System, disponendo di una soluzione pre-configurata e specifica per le aziende di gastronomia riesce a garantire rapidi tempi d’implementazione e razionalizzazione dell’intero processo produttivo e vi consentirà così di cogliere l’opportunità che il mercato oggi offre.

Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: segreteria@csb-system.it Web: www.csb-system.it

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Una collaborazione vincente! Il sacco Cryovac® Alu300 permette di migliorare la sostenibilità e la sicurezza alimentare, soddisfacendo le richieste della Grande Distribuzione

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er il packaging dei propri prodotti, il salumificio FRATELLI RIVA Spa, leader del prosciutto cotto in Italia, era alla ricerca di un’alternativa alle tradizionali buste in alluminio che non presentasse compromessi in termini di sicurezza e sostenibilità. La posta in gioco era divenire fornitore della grande catena Simply che, oltre alla qualità dei prodotti, lega il proprio successo commerciale alla praticità e al branding. I sacchi Cryovac ® Alu300 si sono rivelati una scelta ideale per rispondere alle aspettative della distribuzione e dei consumatori. I vantaggi di questo prodotto vanno dalla pigmentazione, che elimina il

contenuto di alluminio (importante nel caso di equipment con metal detector integrato), all’apertura facilitata delle confezioni. La decisione dei supermercati Simply di introdurre i prodotti della Fratelli Riva in 269 dei suoi punti vendita conferma la validità di questo impegno nei confronti dell’innovazione. Ecco il commento di DAVIDE MARCOMIN, responsabile Acquisti freschissimi per Simply Italia: «Il sacco sottovuoto Cryovac®, coestruso e termoretraibile, risponde perfettamente ad una strategia che fa dell’innovazione un elemento determinante per la scelta dei nostri fornitori ed è prioritaria per quanto riguarda i nostri valori di sostenibilità e praticità».

Efficacia e tutela dell’ambiente Fratelli Riva Spa ha chiesto a SEALED AIR di sviluppare un sacco resistente che garantisse l’eccellente presentazione, nonché gli elevati standard di sicurezza e sostenibilità richiesti da Simply Italia. Specificamente progettato per il packaging e la distribuzione di prosciutti cotti e carni arrosto che richiedono un trattamento termico, il sacco Cryovac® Alu300 presenta una pigmentazione con effetto metallico che ha lo scopo di proteggere le carni, sensibili all’ossigeno e agli effetti della luce, e che garantisce una conservabilità di 150 giorni. Il sacco, inoltre, permette di minimizzare la quantità di materiali di packaging: kg 28 di materia plastica sono sufficienti

L’innovativo ed efficiente packaging Cryovac® Alu300 fornito dalla Sealed Air. 112

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Lo stabilimento del Salumificio Fratelli Riva Spa. per il confezionamento di 1.000 prodotti, a fronte di kg 70 di buste in alluminio. Si ottiene così una riduzione del 65% dell’impronta di carbonio ed un alleggerimento complessivo dell’impatto ambientale pari al 61%. I vantaggi in termini di sostenibilità si ripercuotono su tutta la catena di produzione / distribuzione e risultano determinanti per la soddisfazione dei consumatori. «Questa innovativa soluzione di packaging si accorda perfettamente con l’iniziativa di abbassamento del peso dei materiali di packaging che abbiamo varato nel 2006», spiega CARLO DELMENICO, diret-

tore responsabilità sociale d’impresa e relazioni esterne di Simply Italia. «Nel 2013 abbiamo ottenuto una notevole riduzione nell’uso di materie plastiche e supporti di cartone. Inoltre, l’adozione del sacco Cryovac® Alu300 ci permetterà di diminuire la quantità complessiva di rifiuti e di incrementare il volume dei materiali riciclati presso i nostri punti vendita». Una praticità molto apprezzata Gli operatori della Grande Distribuzione apprezzano la praticità dei prosciutti confezionati con i nuovi sacchi. L’apertura facilitata permet-

te di eliminare l’uso di strumenti taglienti, potenzialmente pericolosi e antigienici. L’impatto sui consumatori è stato anche determinante nella scelta di questa soluzione di successo che, con una presentazione ottimale, l’effetto metallizzato e la stampa a 10 colori su un’ampia superficie della confezione, costituisce una grande opportunità di promozione del branding. L’elevata retraibilità, infine, riduce la formazione di pieghe antiestetiche e migliora la visibilità delle informazioni sui prodotti. >> Link: www.sealedair.com

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Storia e cultura

Italia dai mille salumi Oggi si sa che la grande diversità genetica delle popolazioni italiane ha contribuito alla formazione della grande diversità dei nostri salumi tradizionali di Giovanni Ballarini

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salumi italiani, nonostante i tempi difficili che stiamo attraversando, tengono piuttosto bene il mercato: i motivi sono individuabili nella loro capacità di adattarsi a sistemi di produzione, distribuzione e consumo diversi, con ottimi rapporti tra qualità e prezzo. Duttili e, al tempo stesso, tradizionali, territoriali e insieme innovativi. Importante, poi, è anche la loro varietà. Ai salumi tipici, artigianali, valutati intorno a 666 tipi, si affiancano quelli industriali,

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che permettono di raggiungere una cifra intorno al migliaio. Ma da dove deriva questa grande varietà di salumi italiani, che d’altra parte si associa ad un altrettanto grande assortimento di formaggi, pani e vini, nonché di ricette e piatti tipici, e di cucine? Una recente acquisizione scientifica getta nuova luce su questa elevata e per fortuna persistente diversità in territori ristretti, tanto da essere definita microdiversità. Nonostante l’urbanizzazione, l’industrializzazio-

ne agroalimentare, la diffusione della Grande Distribuzione Organizzata e della ristorazione di massa, l’Italia resta uno dei paesi con la massima diversità alimentare. La persistenza dei piatti regionali e territoriali, diversi anche sulle piccole distanze spesso misurate a una giornata di cammino, sembra quasi un miracolo di resistenza ed è una ricchezza, fragile, che strenuamente resiste di fronte alla mondializzazione e alla globalizzazione alimentare.

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Solitamente si attribuisce l’estrema varietà delle nostre produzioni alimentari e delle nostre cucine alla grande irregolarità ed eterogeneità del territorio, che dalle Alpi alla Sicilia presenta una straordinaria diversità di climi, territori, nicchie ecologiche e paesaggi, segnati dalla complessa orografia italiana che funge spesso da barriera e divisione fisica tra una zona e l’altra. Tutte queste condizioni incidono sulle tipologie e varietà di vegetali e animali, quindi sui metodi di conservazione degli alimenti, e tra questi i salumi, sulle qualità delle cucine, ma anche sui processi di popolamento, antichi e recenti, quindi sulle culture di cui la cucina è espressione o specchio. Al tempo stesso l’Italia è un incomparabile territorio di passaggio di popoli e un paese attraversato da flussi migratori che producono mescolamenti, contaminazioni, ibridazioni, in termini di lingue e dialetti, tradizioni sociali e artigianali, prodotti agricoli, alimenti e cucine. Due caratteristiche che sembrano quasi tipiche dell’Italia e che hanno suscitato l’interesse di ricercatori che hanno cercato nuove e per certi aspetti inusitate strade di spiegazione. Ci si chiede in primo luogo se questi fenomeni di omologazione culturale mettono a rischio in qualche modo l’innumerevole microdiversità italiana e in secondo luogo perché oggi pare svilupparsi una ricerca di biodiversità alimentari. Ricercatori di quattro università italiane — Bologna, Cagliari, Pisa e Roma “Sapienza” — si sono posti la domanda se la variabilità biologica e culturale italiana non abbia anche un’altra base, più profonda, in un’altrettanto ricca variabilità genetica, che persiste nel tempo. Come si legge in un articolo di CAPOCASA M. e collaboratori (Journal of Anthropological Sciences, volume 92, 2013) la risposta non solo è affermativa, ma è andata oltre il previsto, dimostrando che la diversità genetica che si riscontra nella popolazione italiana è superiore a quella che vi è nell’intera Europa. Ad esempio, nell’ambito delle popolazioni del Veneto o della Sardegna, e quindi entro

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poche decine di chilometri, vi è una diversità genetica superiore a quella che vi è in Europa tra portoghesi e ungheresi, oppure tra spagnoli e rumeni che distano molte centinaia o migliaia di chilometri. La variabilità genetica interferisce anche sull’apprezzamento sensoriale ed è un nuovo campo d’indagine, la nutrigenetica, che si affianca alla psicodietetica. Anche se la genetica del gusto suscita molto interesse, e nella nutrigenetica vi sono molti aspetti da delucidare, oggi sappiamo che le variazioni genetiche nella percezione dei sapori, e quindi nella formazione del gusto, contribuiscono fortemente a determinare le diverse preferenze alimentari. Sulla base delle attuali conoscenze dobbiamo quindi ritenere che, nel corso dei tempi, in ogni singola ristretta area italiana, si sono formate tante sottoaree nelle quali una genetica particolare si è correlata ad un’altrettanto peculiare caratteristica degli alimenti e, soprattutto, del modo di combinarli e trasformarli in alimento, quindi fare cucina. Questo permette di dare una nuova dimensione alla ricerca, anche come strumento di conoscenza di un’ancora nascente antropologia alimentare italiana, soprattutto oggi quando vediamo mutare l’uso dei salumi nell’alimentazione italiana. Un esempio su tutti: il salame I salami hanno acquisito, rispetto a quelli di un tempo, una serie di nuove caratteristiche che li hanno praticamente nobilitati. Accanto ai tradizionali salami contadini di grandi dimensioni, ma di non sempre facile utilizzo in famiglie oggi composte da un minor numero di persone rispetto al passato o desiderose di una maggior diversità nell’alimentazione quotidiana, sono vincenti le buste di peso contenuto, preconfezionate, che mantengono il prodotto in condizioni di assoluta freschezza per un certo periodo di tempo, evitando il problema della sua conservazione (in frigorifero?, in un’inesistente cantina?, come è meglio conservarlo?, ecc…), spesso con l’inevitabile conseguenza di doverne scartare buona parte per-

ché, poco dopo averlo tagliato, nel frattempo si è ossidato. I tanti salami offerti dalla tradizione, dall’artigianato e dall’industria italiana, hanno una vasta gamma di utilizzazione in cucina e gastronomia. Riduttivo è pensare soltanto al classico e intramontabile “pane e salame”, perché molte sono le ricette anche innovative nelle quali viene utilizzato come ingrediente, ben associandosi a verdure, formaggi ed altri alimenti, nella preparazione di piatti freddi e caldi. La composizione dei salami di puro suino può variare e questo permette di produrre salami con diverse percentuali di grasso, quindi anche leggeri e adatti al consumatore moderno. Altrettanto importante è la grande varietà di aromatizzazioni dei salami italiani: ci sono quelli dolci e freschi, come taluni cacciatorini, quelli diversamente insaporiti con aglio (ad esempio salame mantovano), finocchio (finocchiona toscana), peperoncino (salsiccia napoletana), vino (salame piemontese) ed altre spezie autoctone o esotiche, ad iniziare dall’importantissimo pepe. Da non dimenticare che, mentre un tempo si preferivano i salami a media o lunga stagionatura, anche di molti mesi, fino ad avere un’intensa lipolisi (salami con la goccia), oggi si apprezzano molto quelli di gusto più fresco, ottenuti con una più breve maturazione, da qualche settimana a due o tre mesi. Non ultimo motivo dell’attuale successo dei salami italiani è la loro produzione, che, passando dal contadino al piccolo artigiano, alla media e grande industria, è stata capace di mantenere i necessari caratteri di tipicità, evitando gli errori e gli incidenti che non mancavano nella produzione familiare e che si pensava di poter giustificare con più o meno fantasiose motivazioni che chiamavano in causa il periodo degli amori suini, il ciclo mestruale delle donne di casa, o, ancora, le fasi lunari… Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Nota A pag. 114 salumi tipici del Lodigiano (photo © www.podilombardia.it).

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Libri Quando il cibo diventa intercultura

Cake, la cultura del dessert tra tradizione araba e Occidente di Nunzia Manicardi

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n libro insolito e affascinante che tratta di cucina e di arte poiché contiene, in dialogo con le ricette, le opere di diciannove artisti internazionali: è Cake, la cultura del dessert tra tradizione araba e Occidente, a cura di MANUELA DE LEONARDIS. Il volume viene così ad assumere le caratteristiche di una sorta di reportage di viag-

gio, un viaggio colto che attraversa il sapere contaminando linguaggi che si connotano di sapori, colori, profumi diversi. Cake è un libro di cucina perché raccoglie alcune ricette di dolci trovate in un piccolo tesoro acquistato in un charity shop di Kensington High Street, a Londra, nel maggio 2012: un vecchio quaderno dalla copertina rigida scura, con i fogli a quadretti

ingialliti, che misura 17x23x1 cm e le cui pagine sono fitte di scrittura a penna biro che cominciano a destra per procedere verso sinistra. Con inchiostro azzurro sono scritte meticolosamente, in arabo e francese, (spesso gli ingredienti sono elencati in francese e le spiegazioni in arabo), oltre sessanta ricette di dolci — come Mascot au chocolat, Koul Wal Ishkur,

I dolci di Sfouf Souad.

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Pain d’Espagne, Amandine, Biscuits à l’Anis ecc… — molte delle quali associate a nomi femminili: Gateau chocolat Rose, Biscuit Ely, Biscuit Linda, Sfouf Souad, Tarte Laurice, Kataif Souad, Gateau Tania, Tarte Hélène, Petits-fours Mary Karkalla… Attraverso la loro lettura incrociata Oriente e Occidente — mediati dal comune azzurro del Mediterraneo — si rafforzano nelle pagine di questo manoscritto. Ma, nello stesso tempo, Cake è un libro d’arte perché le ricette si rapportano con le opere di diciannove artisti internazionali (Hassan Al-Meer, Paolo Angelosanto, Yto Barrada, Beatrice Catanzaro, Maimuna Feroze-Nana, Parastou Forouhar, Maïmouna Patrizia Guerresi, Susan Harbage Page, Reiko Hiramatsu, Uttam Kumar Karmaker, Silvia Levenson, Loredana Longo, MAD_Angela Ferrara e Dino Lorusso, Şükran Moral, Ketna Patel, Pushpamala N., Anton Roca, Jack Sal, Larissa Sansour) che si sono confrontati con il suo contenuto attraverso diverse forme espressive e anche attraverso l’utilizzo di diversi materiali. Dalla prefazione di Manuela De Leonardis veniamo anche a sapere che la mano femminile che ha scritto le ricette ha, sempre anonimamente, appuntato sulla copertina (usando uno spillo) un ritaglio di foglio in cui ha trascritto la ricetta Cake che dà il titolo al volume: 6 uova, 300 grammi di burro, 400 grammi di zucchero, 400 grammi di farina + 2 cucchiai di lievito in polvere, 2 tazze di uva passa + frutta secca a piacere. “L’analisi della scrittura araba mette in relazione il quaderno di ricette all’area mediorientale, in particolare al Libano — scrive la De Leonardis. — Tra le ricette arabe, infatti, c’è quella del Sfouf, dessert tipicamente libanese. L’autrice ha annotato le sue ricette intorno al 1960/70. Questa voce femminile da singola diventa corale nel momento in cui traccia una mappatura di ricette trasmesse da altre donne (sorelle, mamme, zie, cugine, amiche o conoscenti)…”. Cake è, infine, anche qualcosa di più che non soltanto un libro: è infatti anche e soprattutto un progetto no-

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profit a cui tutti gli artisti, gli autori dei testi e del progetto grafico, i partner e mediapartner hanno contributo a titolo volontario con la finalità di sostenere “Bait al Karama Cookery School”, prima Scuola internazionale di cucina palestinese (e primo Convivio Slow Food in Palestina). Cake diventa quindi, a sua volta, un’opera corale anche per questo motivo, in quanto è nata per sostenere e richiamare un percorso analogo: quello delle donne di Nablus che, sotto la direzione di FATIMA KHADDOUMI (responsabile per i Women Affairs della Old City Charity di Nablus) e delle italiane CRISTINA BOTTIGELLA (cultural manager) e BEATRICE CATANZARO (artista), hanno dato vita a “Bait al Karama Cookery School” con l’obiettivo di creare posti di lavoro per le donne che vivono nella città vecchia di Nablus. A queste donne intraprendenti e creative va il sostegno di Cake, con l’auspicio che questo viaggio attraverso la cucina e l’arte possa contribuire a superare barriere visibili e invisibili. Il progetto Cake viene divulgato con svariati appuntamenti, l’ultimo dei quali è stato a Bologna ad “Artelibro Festival del Libro d’Arte” lo scorso settembre. Nell’occasione è stata presentata una serie di azioni performative realizzate specificamente da alcuni artisti presenti nel libro: PAOLO ANGELOSANTO, per esempio, ha assunto le sembianze di un telamone diventando una scultura vivente impiegata come sostegno strutturale e decorativo di una torta; SUSAN HARBAGE PAGE ha offerto il tè servendolo nelle tazze che sua madre ha portato negli Stati Uniti dall’Inghilterra, la terra dei suoi avi, e coinvolgendo il pubblico in una breve conversazione sul dessert preferito e sui dolci, esplorando frammenti di memoria che riguardano famiglia, vita sociale, luogo e cibo; JACK SAL ha dato vita ad una performance in cui ha esplorato il concetto di divisione attraverso grafici e altri dispositivi schematici tra cui i grafici a torta, mezzi classici della rappresentazione di dati statistici, utilizzati da Sal sia per riflettere, sia per rapportarsi alla connessione cibo/consumo, base

MANUELA DE LEONARDIS (a cura di) Cake, la cultura del dessert tra tradizione araba e Occidente Postcart Srl, Roma 2013 144 pp. – € 20,00 per la nostra interazione più diretta con i sistemi politici e sociali che definiscono l’esperienza dei popoli. Deliziose, non dimentichiamolo, sono poi le ricette contenute nel vecchio quaderno che costituisce il nucleo centrale di Cake. La maggioranza di esse ha anche il pregio di essere di facile esecuzione, come dimostra quella del libanese Sfouf Souad che abbiamo poc’anzi menzionato: 600 g di farina, 400 g di zucchero, 1 cucchiaio di anice in polvere, 1 mezzo bicchiere di olio di semi di mais, 2 bicchieri di latte, 1 cucchiaio di tahina (crema di sesamo), 1 mezzo cucchiaio di curcuma, 25 g di pinoli. Mischiare molto bene farina (con 3 cucchiai di lievito in polvere) e curcuma. A parte far sciogliere lo zucchero nel latte. Mettere il tutto nel frullatore per pochi minuti e aggiungere l’olio. Versare nella teglia su cui è stata precedentemente versata la tahina. Aggiungere i pinoli e cuocere nel forno a 175° per 25 minuti. Potrà essere anche questa un’esperienza che, senza bisogno di andare fisicamente molto lontano da casa nostra, ci aiuterà ad allargare i confini delle nostre conoscenze e dei nostri gusti. Nunzia Manicardi

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Un alimento della tradizione carrarese

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resentato recentemente nella sede dell’Accademia dei Georgofili a Firenze, il volume raccoglie un’ampia ricognizione storica sul lardo e sulle vicende del suo radicamento a Colonnata, una essenziale trattazione delle caratteristiche etniche e morfofunzionali della specie suina, una descrizione generale del lardo nei suoi aspetti peculiari e i risultati di un’indagine sperimentale di durata biennale sulle caratteristiche della composizione acidica, dello stato di ossidazione e della componente aromatica del lardo di Colonnata. In particolare sono riportati i dati scaturiti dalla ricerca eseguita su due tipi di lardo, uno derivante da suini di razza Large White e uno da suini di razza Cinta senese, posti a matu-

razione a Colonnata presso l’azienda di Gino Battella e Emanuele Sanguinetti (Le Larderie Srl di Battella & Sanguinetti). L’autore PIERLORENZO SECCHIARI, professore ordinario di Zootecnia generale nella Facoltà di Agraria dell’Università di Pisa fino al 2011, è titolare dell’insegnamento “Alimenti e fisiologia della nutrizione nell’uomo”. I suoi meriti scientifici sono documentati dalle quasi 300 pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali. PIERLORENZO SECCHIARI MAURO ANTONGIOVANNI (a cura di) Un alimento della tradizione carrarese: il lardo di Colonnata € 13,00

I salumi piacentini nella storia manuale

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innovato completamente nella grafica il libro di Arianna Belli e Silvana Sgorbati I salumi piacentini nella storia, realizzato dal Consorzio Salumi Piacentini DOP, è stato distribuito ai bambini della scuola primaria di Piacenza, Pavia, Lodi e Milano. È un testo molto utile per far conoscere ai ragazzi il proprio territorio, la storia, la cultura, le tradizioni enogastronomiche, tra cui si collocano sicuramente i salumi DOP piacentini. «La conoscenza della storia e della tipicità dei salumi potrà senza dubbio essere di supporto al lavoro degli insegnanti impegnati oggi anche in un’azione di educazione alimentare tesa ad un consumo consapevole e all’utilizzo di prodotti sani, sicuri e gradevoli al palato», ha affermato ANTONIO GROSSETTI, presidente del Consorzio Salumi Piacentini DOP. Nel libro si racconta la storia dei salumi già dalla preistoria, dai primi ritrovamenti di suppellettili preistori-

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Caratteristiche, informazioni nutrizionali e risate Nel libro vengono descritte le proprietà dei singoli salumi, il salame piacentino DOP, la coppa piacentina DOP e la pancetta piacentina DOP, con delle divertenti carte d’identità. Inoltre, ogni salume ha una descrizione della provenienza della materia prima e anche della produzione. Per la felicità dei bambini, alla fine del volume troviamo anche delle barzellette sui salumi e dei giochi. (Fonte: IVSI)

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che, realizzate utilizzando ossa suine, che ci fanno quindi dedurre che queste civiltà primitiva già conoscevano le carni gustose e il grasso succulento dei suini. Anche gli Etruschi dovevano essere estimatori della carne di maiale. Spesso si sono ritrovate nelle tombe statuette votive raffiguranti suini selvatici. Nel 500 a.C. vennero coniate a Populonia monete con l’effige di suino. Successivamente, in epoca romana, quando Annibale attraversò la Gallia Cisalpina (218 a.C.) dopo aver combattuto la battaglia della Trebbia, per festeggiare la vittoria, banchettò con carni salate che i Galli Boi producevano cacciando i suini selvatici. Ma il vero ambasciatore dei salumi piacentini fu, nel 1700, il cardinale GIULIO ALBERONI, grande diplomatico e primo ministro della corte di Spagna. Si servì più di una volta dei pregiati salumi piacentini per stringere importanti amicizie con i personaggi più influenti del tempo e mettere così a punto fini disegni di politica internazionale. Con l’aiuto dei salumi, da lui definiti “semplici bagattelle che non costano nulla”, riuscì a stringere importanti alleanze come quella con il generale francese duca di Vendôme, che acconsentì a mettersi al servizio della corte spagnola. Anche la regina Elisabetta Farnese, sposa di Filippo V di Spagna, era un’estimatrice entusiasta dei salumi della sua terra d’origine e periodicamente usava farseli inviare in notevoli quantità all’interno di grandi contenitori di legno ricolmi di cenere, che aveva il compito di mantenere inalterata la superba qualità dei salumi piacentini.

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Mangiato bene? Le 7 regole per riconoscere la buona cucina

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utti oggi danno voti e giudizi a ricette, menu, chef e ristoranti; le guide gastronomiche non bastano più. Ma in questo universo di foodies, gourmet e recensionisti selvaggi, di chi ci si può fidare? La risposta è che esiste un modo per riconoscere il Buono con la B maiuscola, al di là dei propri gusti e preferenze. E questo Buono non è fatto solo di ricette più o meno bene eseguite, ma di molti altri ingredienti e della loro combinazione. L’esperienza gastronomica non è fatta solo di cibo. Una buona cena può risultare irrimediabilmente rovinata da un servizio scadente; il locale in apparenza più raffinato può rivelarsi solo pretenzioso; uno chef merita più di altri perché… non si limita a cucinare. Nel

volume “Mangiato bene? Le 7 regole per riconoscere la buona cucina”, ROBERTA SCHIRA, con l’autorevolezza di chi scrive professionalmente da anni di cultura e critica gastronomica, svela le 7 regole universali e sempre valide che ci permettono di riconoscere e valutare la bontà di un’esperienza gastronomica e quindi di giudicarla a suon di voti, da 0 a 10. A lei si affiancano, in un’animata tavola rotonda sulla critica culinaria e il futuro della cucina, esperti del mondo del cibo, dell’economia, della cultura. ROBERTA SCHIRA Mangiato bene? Le 7 regole per riconoscere la buona cucina Firenze, Editore Salani, 2014 223 pp. – € 14,50

Il genio del gusto

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l cibo italiano per eccellenza? La pizza, verrebbe da dire, oppure la pasta. Leggendo Il genio del gusto dovremo forse ricrederci e scoprire come la nostra cucina sia stata in grado di accogliere lavorazioni e ingredienti da tutto il mondo per reinventarli e farli propri, costruendo attorno al cibo una cultura originale e una identità collettiva. Si svelano così le origini sorprendenti dei grandi protagonisti della gastronomia italiana: veniamo a sapere che la pasta ha origini arabe, che la pizza era preparata già dagli antichi greci, e che quando facciamo colazione al bar con caffè e croissant assaporiamo una bevanda turca accompagnata ad un dolcetto che simboleggia la bandiera ottomana. Perché la cucina è sempre contaminazione e migliora viaggiando e incontrando il diverso. La grandezza del genio italiano è stata — ed è ancora — il reinterpretare l’esotico, mescolarlo col casalingo e poi diffonderlo 120

in tutto il mondo: la forchetta arriva a Venezia da Bisanzio, ma è dall’Italia che si diffonde per il resto d’Europa; i bufali giungono in Campania e nel Lazio dall’Asia e poi la mozzarella conquista tutti i continenti; il Barolo diventa il vino dei re e la produzione di prosecco si sta avvicinando a quella dello champagne. ALESSANDRO MARZO MAGNO racconta anche storie di innovazione e coraggio imprenditoriale tutte italiane: il carpaccio, inventato nel 1963 da Giuseppe Cipriani a Venezia; la macchinetta per il caffè espresso, nata dall’inventiva di un fonditore di alluminio che osservava la moglie fare il bucato; e la Nutella, il cui primo barattolo uscì dalle linee della Ferrero, ad Alba, il 20 aprile 1964, esattamente cinquant’anni fa. Il genio del gusto descrive in che modo il mangiare italiano è riuscito a conquistare il mondo, imponendosi come sinonimo di qualità, benessere e autenticità.

ALESSANDRO MARZO MAGNO Il genio del gusto – Come il mangiare italiano ha conquistato il mondo Collezione Storica Garzanti 352 pp. – € 19,50 Premiata Salumeria Italiana, 4/14


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