Grazie 2024 allePENNEdel
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BUONE FESTE
dalla Redazione di Premiata Salumeria Italiana
alle autrici e agli autori di quest’anno, a chi ci legge sulla rivista cartacea, a chi ci legge on-line, a chi ci segue, a chi ci sostiene con l’abbonamento e con la pubblicità.
A questi ultimi un GRAZIE di cuore perché, senza di voi, nulla di tutto ciò che facciamo sarebbe possibile.
Elena Benedetti con Fioretta Fiorentin
insieme a Gaia Borghi, Maria Cristina Brambilla, Federica Cornia, Luigi Credi, Marco Credi, Andrea Tomassone e Chiara R. Zaccaroni
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Euro Annuario Carne
La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni.
Edizione 2024 Copia cartacea: € 95,00
Siamo gli specialisti del San Daniele DOP
Il segreto è tutto
menti riet
Allevamenti di proprietà
Le carni dei nostri prosciutti di San Daniele DOP provengono da suini nati e cresciuti nei sei allevamenti della famiglia Aimaretti o da siti rigorosamente selezionati.
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Benessere animale
ere e
dell’animale sono una priorità. I nostri allevatori controllano attentamente l’alimentazione, si assicurano che gli ambienti siano spaziosi e areati e riducono al minimo lo stress del suino.
Prosciutto di San Daniele DOP Etichetta Nera SanDan. Inimitabile.
Solo le cosce migliori
I nostri mastri salumieri mettono al primo posto la genuinità delle materie prime e selezionano le cosce migliori per portare in tavola il gusto inconfondibile di un prodotto sano e naturale.
ono una tori che o cono ess lu genuinit le n ondibile s
Con pa
Con pazienza, secondo tradizione
tra
La salatura, a mano, e l mini vi d natura
La salatura, rigorosamente a mano, e la stagionatura minima di 18 mesi, danno vita ad un crudo dal gusto unico, naturalmente buono.
A pagina 50.
CACIO DI AFRODITE
SAPORE DELLA PERFEZIONE
Dalle colline della Maremma alla vetta del mondo: il Cacio di Afrodite è nell’Olimpo dei pecorini. Premiato nel 2023 con la Golden Fork come miglior prodotto italiano dalla Guild of Fine Food. La lavorazione artigianale, il latte di eccellente qualità proveniente solo dai pascoli della Maremma fanno di questo formaggio un capolavoro di arte casearia, firmata dal Caseificio Il Fiorino.
A pagina 66. A pagina 62. A pagina 136.
Lo chef dell’olio Vini & Oli
Olio da carne, olio da pesce L’olio d’oliva di Alfredo Cetrone
Fabrizio Bertucci
Rella 136
Vino Turetta-Cà Bianca, euganei che più euganei non si può Gian Omar Bison
Vini di Natale 2024, calici di paradiso
Gli assaggi di Max Rella Maremma e Agro-Pontino
Riccardo Lagorio
Rella 148
Dolci Non è mai troppo presto per cercare il panettone perfetto! Chiara Papotti
Libri Il senso buono – Mangiare secondo la scienza – Guarda dove mangi…
Storia e cultura Luganega cibo dei legionari romani Giovanni Ballarini
Cappuccini e schiuma di latte
www.premiatasalumeriaitaliana-online.com
Per il banco gastronomia o in vaschetta,chiamalo per nome: grazie alle 21 erbe aromatiche della ricetta originale tramandata dal 1956, il prosciutto cotto per eccellenza è soltanto uno... IL Ferrarini!
un
T radizione di grande Nobiltà
Un grande aceto che viene dalle tradizioni della nobiltà modenese
L’aceto balsamico ha avuto origine dall’antichissima usanza dei Romani di cuocere il mosto dell’uva, grazie alle caratteristiche delle uve del territorio modenese. Oltre alla produzione dell’Aceto Balsamico di Modena IGP, ottimo per l’uso quotidiano, nelle acetaie delle famiglie più ricche e nobili si è nei secoli sviluppato un processo lentissimo e laborioso che produce un aceto senza eguali, raro e prezioso. Arrivato ai nostri giorni è chiamato “Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP (Denominazione di Origine Protetta); in passato veniva citato nei lasciti testamentari ed era dote prestigiosa per le giovani spose di aristocratiche origini. Era gelosamente conservato nei sottotetto e amorevolmente curato in famiglia, di generazione in generazione. Era considerato una sorta di Panacea dai principi medicamentosi in grado di curare tutti i mali e, nell’occasione, era considerato un regalo degno di “Re e Principi”.
ORIGINALE
BOTTIGLIA
Questa bottiglia da 100 ml è garanzia di originalità e qualità per l’ aceto della antica tradizione delle nobili famiglie modenesi.
Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP
La tradizione produttiva è certamente antichissima, ma... che l’aceto invecchi è un dire tutto modenese. In realtà chi invecchia è il padrone, mentre l’Aceto Balsamico Tradizionale DOP matura nelle botticelle e sublima a pura essenza attraverso un lunghissimo processo produttivo. Si tratta di un processo “in continuo” che segue la famiglia e unisce le generazioni, e che solo dopo almeno 12 anni di attività, inizia a dare una piccola
aliquota annuale di prodotto finito. Si dovranno poi attendere almeno 25 anni per ottenere la qualità ”Extra Vecchio”. Solo dopo aver superato l’esame degli assaggiatori esperti, il prodotto viene imbottigliato presso il centro di imbottigliamento autorizzato, naturalmente nella famosa bottiglietta da 100 ml detta “di Giugiaro”, il famoso designer che la realizzò nel 1987 perchè fosse il simbolo di questo aceto unico nel mondo.
REGALI A NATALE
feat. Basquiat DOM PÉRIGNON
Dom Pérignon (@domperignonofficial) rende omaggio a Jean-Michel Basquiat, uno degli artisti più iconici e potenti del nostro tempo, con un’edizione speciale di Vintage 2015. La scelta della Maison francese è ricaduta in particolare su un capolavoro enigmatico dell’artista newyorchese: “In Italian” (1983). Il design delle bottiglie “è stato immaginato secondo il principio dell’assemblaggio, fondamentale sia per Dom Pérignon che per Basquiat. La serie comprende tre diversi coffret, ciascuno raffigurante una porzione del dipinto, che possono essere riassemblati se uniti insieme”. La tribute collection è arricchita da un pezzo unico, in soli otto esemplari” (fonte: ARTRIBUNE, @artribune). domperignon.com
Olio e DESIGN
Ci piace tantissimo questo olio evo multicultivar (blend) “Agnano” prodotto dal Frantoio d’Orazio. Una perfetta sintonia fra le varietà di olive locali del territorio di Conversano (BA) Olivastro, Cima di Mola, Leccino, Coratina, Cima di Melfi, Picholine, Simona e Nociara. Dal gusto fruttato leggero, è esaltato da note di foglia ed erba. La bottiglia in latta da 500 ml celebra il Lago di Agnano, con un motivo che richiama le ceramiche pugliesi, i colori della terra e dell’acqua: stilosissima! frantoiodorazio.it
VERMOUTH GLEP PANETTONE pere, cioccolato e
Per gli amanti degli spirits, ecco un grande classico del Natale rivisitato: il panettone di Glep Beverages, distilleria di Borgomanero (NO) nata nel 2018 dalla passione per “il Gin, il Vermouth, il Bitter e l’Amaro” di EZIO PRIMATESTA, albergatore e ristoratore, e LUCA GAROFALO, designer e creativo. La ricetta del panettone “Vandalo” Pere, Cioccolato e Vermouth prevede 3 ingredienti fondamentali: il Vermouth rosso Vandalo di Glep, la pera candita Agrimontana e il cioccolato fondente al 70%. Altre caratteristiche? 36 ore di lievitazione, farine macinate a pietra, burro piemontese, confezione graffiante. Disponibile anche la versione “classica” con arancia, uvetta e Vermouth rosso Vandalo. glep.it
MORTADELLA
Buona da mangiare e bella da osservare anche in questa stampa fotografica, disponibile in vari formati e acquistabile on-line su redbubble.com
SUGGESTIONI A NATALE
BOULANGERIE, FRANCIA
Abbondanza! Un esterno ricco di decori per dare risalto all’offerta di prodotti. Belle le tovaglie rosse a scacchi sui tavolini esterni.
DECORO MINIMAL IN INTERNO
Per chi si identifica in un allestimento più essenziale, sono sufficienti anche pochi elementi per esprimere lo spirito delle feste con grazia e misura. Bastano un tocco di rosso, aghi di pino profumati (non di plastica!) e una bella ghirlanda.
E MANGIATI
Salsiccia DI CANCELLARA
È prodotta dall’azienda agricola biologica
Bioagrimar di Genzano di Lucania (PZ) senza conservanti, nitrati, nitriti o coloranti aggiunti. “Simbolo secolare della comunità cancellarese, è realizzata da carni selezionate di suino Nero lucano private manualmente delle parti nervose e del grasso in eccesso. Le carni sono lavorate a punta di coltello e poi impastate con sale, polvere di peperone dolce e finocchietto selvatico. Il tutto viene insaccato con budello naturale di suino formando almeno tre anelli dal diametro di 4 cm l’uno che vanno a formare la tradizionale “catena”. Seguono 45 giorni di stagionatura al tepore naturale e ad una temperatura fresca e priva di correnti umide” Buonissima. bioagrimar.com
Taralli ai semi di finocchio
Realizzati a Giovinazzo (BA) da Riserva Domini, questi taralli scaldati sono impastati con solo olio extravergine di oliva e lavorati a mano. Ingredienti: farina 00, olio evo (25%), vino bianco, sale, lievito di birra e semi di finocchio. Uno diverso dall’altro. Perfetti per uno snack e per l’aperitivo. riservadomini.myshopify.com
CASTAGNE SNACK
Queste castagne biologiche, coltivate e trasformate in Italia, sono uno snack gustoso e nutriente pronto da mangiare o un ingrediente per primi piatti, insalate e dolci. Sbucciate e cotte al naturale, sono fonte di potassio, hanno un alto contenuto di fibre e un basso contenuto di grassi saturi. Sono prodotte da Prima Colta, natural smartfood di San Michele di Serino (AV).
Attenzione, creano dipendenza! primacolta.com
Salsa al rafano BIO
Gaustchi produce salse e condimenti con materie prime d’eccellenza e senza l’uso di additivi chimici da oltre 40 anni a Utzenstorf, nel cantone di Berna, in Svizzera. A noi è piaciuta molto questa salsa al rafano, realizzata con olio di girasole, preparazione di rafano (18%), tuorlo d’uovo pastorizzato, senape, aceto di vino bianco, aceto di mele, zucchero grezzo di canna, sale marino e succo di limone. Tutti gli ingredienti provengono da coltivazioni biologiche.
SALSICCETTA A PUNTA DI COLTELLO di Suino Nero
Realizzata da Bottega Liberati, questa piccola salsiccia ci riconnette con i sapori autentici. C’è anche la versione con il finocchio. Da acquistare nel negozio di Roberto Liberati in via Flavio Stilicone 278/280/282 a Roma. @bottega_liberati
Pagamenti cashless in crescita
Sono in crescita i pagamenti digitali: in Italia si parla di 223 miliardi di euro nei primi sei mesi del 2024 per quanto riguarda il transato dei pagamenti con carta, in crescita dell’8,6% rispetto ad un anno fa. Proseguendo su questa strada, a fine anno i pagamenti cashless raggiungeranno da noi un valore tra 465 e 475 miliardi di euro, con una crescita tra il 7% e il 9%. A dircelo è la ricerca dell’Osservatorio Innovative Payments, giunto alla sua 16a edizione. L’osservatorio studia e analizza tutte le modalità di pagamento e le relative opportunità: dai pagamenti con smartphone e wearable a quelli effettuati tramite oggetti connessi e assistenti vocali, fino ai pagamenti biometrici e alle Central Bank Digital Currency (CBDC).
L’Osservatorio Innovative Payment è uno degli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano, punto di riferimento in Italia sull’innovazione digitale.
Le attività di ricerca sono svolte da un team di quasi 100 tra professori, ricercatori e analisti impegnati su circa 50 differenti osservatori nelle imprese e nella pubblica amministrazione.
>> Link: www.osservatori.net
FOOD PACK
Sfilacci di pollo e di manzo di Coppiello Giovanni Srl di Vigonza (PD), disponibili anche nella classica versione con carne equina, perfetti per uno snack proteico, un’aggiunta gustosa ad un’insalata, nel condimento di una pasta.
>> Link: sfilacci.it
LA COPERTINA ESPLOSA
Anno XXXVI N. 6 Novembre-Dicembre 2024
Il Cotechino Modena IGP è costituito da una miscela di carni suine, cotenna, sale, pepe intero e/o a pezzi. Possono inoltre essere impiegati vino, acqua, aromi naturali, spezie e piante aromatiche, come vuole la ricetta originale. Il prodotto è senza derivati del latte e senza glutammato aggiunto. L’impasto ottenuto viene insaccato nel budello naturale o artificiale. Il prodotto precotto è confezionato in buste ermetiche e sottoposto a trattamento termico ad elevate temperature per garantirne la stabilità organolettica. Il prodotto crudo è invece sottoposto ad asciugamento in stufe ad aria calda. Per poterne apprezzare le caratteristiche organolettiche è necessario quindi sottoporlo a una prolungata cottura, così da fargli acquistare il sapore tipico, il colore roseo quasi rosso e la consistenza al taglio propria del Cotechino Modena. modenaigp.it
È un antico alimento rustico di tradizione popolare a base di farina di mais, conosciuto in diverse varianti in tutte le regioni del nostro Belpaese. Il termine ha origine latina e deriva da puls, pietanza diffusa tra i Greci e i Romani. In passato ingrediente di base della cucina rurale, è tradizionalmente mangiata anche nelle zone di montagna del Centro Italia e si sposa perfettamente con il Cotechino così come lo Zampone Modena IGP e altri insaccati e salumi cotti e da pentola.
No una ’interno d estate of omi ità di man capaci
, unica per le ridotte dimensioni e il sapore inconfondibile, è una delle protagoniste della famosa “fioritura” dei piani di Castelluccio, all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, evento naturale che ogni anno in estate offre uno spettacolo suggestivo di colori e profumi. I suoi pregi gastronomici sono un tempo di bollitura non superiore ai 30 minuti e la capacità di mantenere la cottura (fonte: qualigeo.eu; photo © ilfruttoncino.it).
E allora CARBONARA
di Alessia Morabito (illustrazioni di Alessia Serafini)
Questo scritto, premetto, non è l’ennesima disamina di dove e quando nasca la carbonara, di come e dove si diffonda, della sue varianti legittimate dal tempo o dall’Oltreoceano.
Sulla ricetta della carbonara è in corso un’avvincente e seria ricerca storica capace di animare gli animi fino alle minacce contro l’autore della ricostruzione a ritroso, il giornalista e ricercatore Luca Cesari (vi rimando ai suoi approfondimenti ed al suo libro “Storia della pasta in dieci piatti. Dai tortellini alla carbonara”). Sembra comunque nata piuttosto recentemente, a metà degli anni ‘40 per sfamare le truppe alleate, e questo spiegherebbe la scarsità di versioni scritte e documentate: insomma, nessun carbonaio, nessun pastore, nessuna setta politica segreta e neanche nessuna antica bisnonna o prozia. Solo tante persone da sfamare, quello che c’è di disponibile in un dato territorio e una discreta dose di quello che si chiama “amor proprio”, che abbiamo la tendenza ad assolutizzare e trasformare in dogma quasi sacro.
Questo mio scritto, dicevo, è un gesto intimo di stima nei confronti di chi, la carbonara, se la prepara a casa per autogratificazione e conforto. “Amare se stessi” è un argomento abusato tanto quanto la carbonara, miliardi di parole per insegnare ad instaurare una routine di cura nei propri confronti, ma non pensate che si manifesti più cura decidendo di fare qualcosa che renda felici invece che organizzando e inducendovi una nuova abitudine?
Sì certo, il mio ragionamento pare superficiale, stiamo parlando della soddisfazione di un istinto, la fame e di una sovrastruttura, la golosità. Ma, andando oltre, amare se stessi e prendersi cura di se dovrebbe significare concedersi il permesso di essere felici
Avviso il mio compagno che dovrò assentarmi da casa alcuni giorni per lavoro.
“Dove vai?”, “Cosa andrai a fare?”, “Ma quando torni?”…
Mentre rispondo vedo che si sforza nel nascondere un po’ di preoccupazione e dispiacere.
Poi i tratti del viso si distendono, deve essergli sopraggiunto un pensiero a tranquillizzarlo.
“Allora mi faccio la carbonara! Divertiti mentre sei via”: fine del dramma domestico.
La carbonara che si preparerà Giovanni è quella classica codificata col guanciale di Amatrice, pecorino romano, uovo a crema, sale e pepe, pasta lunga oppure corta, a sentimento
Il guanciale è un salume stagionato prodotto prevalentemente del Centro/Sud Italia, ricavato dalla guancia del maiale, comprensivo della cotenna. Il taglio di carne viene leggermente rifilato assecondando la tipica forma a triangolo, messo alcuni giorni in una salagione con una percentuale di zucchero e aglio, poi drogato di pepe o peperoncino e infine appeso a stagionare almeno 30 giorni. Ne esiste una versione leggermente affumicata con essenze vegetali naturali, a ricreare il tempo di quando era appeso a stagionare accanto al camino.
Al taglio il grasso pregiato è candido, con venature magre dal colore vivo, il morso è più consistente della pancetta ed il sapore intenso e caratteristico.
La sua zona di produzione più importante è nella Sabina, ma ci sono eccellenti interpretazioni anche altrove. Gota, barbina, barbozza, goletta sono alcuni dei nomi tipici nelle altre regioni. Fra tutti spicca il guanciale di Amatrice (Amatrice, Accumuli e Campotosto), paesi dalla radice abruzzese, i primi due annessi alla provincia di Rieti nel 1927.
Oltre alla carbonara ha dato origine ad una serie di primi piatti semplici e sostanziosi, amatriciana e gricia su tutte, perché il guanciale era cibo di transumanza, pratico da trasportare e conservare durante le trasferte dei pastori.
È stato riconosciuto come PAT (Prodotti Agroalimentari Italiani) di Abruzzo e Lazio
Per Giovanni la carbonara è soddisfazione e certezza, è terapeutica. Rappresenta anche una rivalsa nei miei confronti perché io non la cucino quasi mai.
Quello che ci rende esseri evoluti è come scegliamo di affrontare emotivamente le situazioni quotidiane: ora provate ad empatizzare con la reazione di Giovanni, estraniatevi e cercate di scorgere questa successione codificata — abbandono, tristezza, rabbia, vendetta — cucinarsi la carbonara diventa un gesto di “PsicoCucina”
CAMBIANO LE TENDENZE DI CONSUMO
Il settore agroalimentare nazionale si sta confrontando con una rapida evoluzione del mercato, condizionato sia da un mutamento nei consumi, sia dei comportamenti d’acquisto.
La congiuntura sfavorevole, che incide direttamente sull’andamento dei prezzi dei prodotti agroalimentari sui mercati internazionali, si ripercuote anche sui comportamenti e sulle tendenze di consumo. NOMISMA AGROALIMENTARE ne ha parlato con Denis Pantini, responsabile Agrifood e Wine Monitor Nomisma. «Il settore agroalimentare nazionale si sta confrontando con una rapida evoluzione del mercato, condizionato sia da un mutamento nei consumi, sia dei comportamenti d’acquisto Peraltro, entro il 2050 nel nostro Paese è previsto un calo della popolazione stimato in 5 milioni di persone, con gli over 65 che arriveranno a rappresentare oltre 1/3 degli abitanti. Questo plausibilmente produrrà un’ulteriore contrazione dei consumi alimentari. Inoltre, in Italia, così come in molti Paesi occidentali, stiamo vivendo una fase generale di downgrade dei consumi, all’insegna di uno stile di vita improntato da un less is more, dettato anche da una ridotta capacità di spesa che colpisce una crescente quota di consumatori.
È stato rilevato anche nell’ultimo Rapporto Coop 2024 (si veda approfondimento a pagina 96) sui consumi e gli stili di vita degli Italiani, realizzato con il contributo scientifico di NOMISMA: si riduce il superfluo nel carrello della spesa, all’insegna del
de-consumismo, mentre cresce la propensione delle famiglie verso gli acquisti nei discount.
A questo calo trasversale nel canale retail, risponde parzialmente la ripresa dei consumi fuori casa, che avevano subito una pesante battuta d’arresto durante la pandemia e che, negli ultimi anni, hanno trovato nuova spinta grazie all’afflusso di turisti, in particolare stranieri» osserva Pantini.
Di certo, la sostenibilità sembra in questo momento il driver d’acquisto emergente e tra i più sentiti dai consumatori italiani, «tanto che potrebbe presto diventare un prerequisito indispensabile nelle scelte d’acquisto dei prodotti agroalimentari» prosegue Pantini.
Al pari della sostenibilità, va ricordato il peso crescente di wellness e salutismo, che finiscono con l’avere riflessi diretti anche sul carrello della spesa: «In questa logica, in molti Paesi avanzati continuano a calare i consumi di carne rossa e alcolici mentre è in crescita l’attenzione verso i prodotti bio, consumati sia in casa sia presso ristoranti e bar. Al contempo, però, non si registra un incremento nei consumi di frutta e verdura come ci si sarebbe potuti aspettare» aggiunge Pantini.
Uno sguardo verso il futuro Dinamiche così complesse e mutevoli relativamente ai consumi non possono
escludere nessuno scenario per i produttori e i distributori italiani di prodotti agroalimentari. Per questo è fondamentale monitorare costantemente le evoluzioni di un settore determinante per la bilancia commerciale del nostro Paese e in continuo divenire.
«Nel complesso io resto ottimista» conclude Denis Pantini. «Se il mercato interno presenta qualche criticità, a livello internazionale spazi di crescita ce ne sono ancora molti, soprattutto in quei Paesi dove il made in Italy non è ancora approdato o lo ha fatto solo marginalmente, come i mercati asiatici e l’Africa, in cui vivono miliardi di persone.
Certamente il comparto agroalimentare italiano presenta criticità e limiti strutturali ma, proprio per questo, ritengo ci siano margini per fare un ulteriore salto di qualità. Bisognerà però essere capaci di attivare nuove leve e introdurre efficaci strategie di business per cogliere tutte le opportunità che, senza dubbio, si presenteranno in futuro».
Per interpretare le dinamiche di mercato e delineare le prospettive future, Nomisma Agroalimentare è un partner affidabile, forte di una consolidata esperienza e delle solide competenze multidisciplinari del proprio team di analisti e consulenti.
Fonte: Nomisma Agroalimentare nomisma.it
RAZZA SARDA, IL RISCATTO DEL SUINO ISOLANO
In Sardegna si attendeva questo momento da oltre 40 anni di embargo, isolamento e misure restrittive rigidissime
di Maria Antonietta Dessì
La PSA, che oggi purtroppo dilaga in altre zone d’Italia, in Sardegna è ufficialmente eradicata e sono state abrogate le norme che impedivano la libera circolazione di capi vivi o macellati. Ma i Sardi oggi celebrano anche il Presidio Slow Food del Maiale di razza Sarda, un prestigiosissimo riconoscimento che riguarda tutta la regione e che — si spera — coinvolgerà col tempo sempre più allevatori, macellatori e trasformatori.
La razza suina Sarda è una delle 6 razze autoctone italiane sottoposte a programmi di conservazione e iscritte al Libro Genealogico gestito dall’Associazione Nazionale Allevatori Suini (ANAS, www.anas.it). Si tratta di capi diffusi in Barbagia, nel Gennargentu, nel Supramonte, in Ogliastra, nel Sarrabus-Gerrei, nel Monte Linas e nel Sulcis-Iglesiente, in particolare nelle aree ricche di foreste.
Le caratteristiche peculiari sono il colore scuro (nero, grigio ma anche fulvo o pezzato), la piccola taglia (60 cm al garrese per 80-150 kg di peso), la criniera di lunghe setole sulla schiena,
la coda cavallina, gli arti corti e robusti, la testa conica con le orecchie piccole erette o anche pendenti in avanti, il dorso rettilineo e poco convesso. Grazie al lavoro di conservazione della razza da parte di alcuni allevatori, oggi il Suino Sardo è stato recuperato. I controlli funzionali per il Libro Genealogico vengono svolti dall’AARS (Associazione Allevatori della Regione Sardegna) e gli allevatori custodi, una novantina in tutto, sono iscritti anche al Repertorio regionale dell’agrobiodiversità
Se da una parte si sta lavorando per la IGP del maialetto sardo, il presidio Slow Food si preannuncia persino più
rigido nelle regole: allevamento semibrado, possibilmente in spazi recintati delle comuni foreste di leccio che in Sardegna costituiscono oltre il 40% del territorio delle aree interne, spesso delimitate in ricoveri chiusi con legni e materiali naturali locali.
E ancora: un’alimentazione a base di prodotti naturali che i maiali trovano grufolando, integrati unicamente da orzo o granaglie locali, ghiande, carrube e castagne (perfetti per il lungo finissaggio, che può durare, a seconda della produzione di ghiande, anche 6 mesi), che restituiscono una carne dal grasso importante ma dalle
Acquistano così una nuova onorabilità piatti fortemente identitari come su proceddu arrustiu, il maialetto da latte arrosto che forse più di ogni altro prodotto incarna la cultura enogastronomica isolana, e la norcineria sarda, che annovera prodotti di interesse quali prosciutto, salsiccia, mustela o lonza, testa in cassetta, guanciale, coppa, lardo, strutto
caratteristiche nutrizionali ottimali in virtù di una quantità di acidi grassi insaturi superiore, conseguente al pascolo semi brado.
La partecipazione alla filiera può però essere dalla prima fase — quella dell’allevamento — a quelle intermedie o limitata alla produzione, stagionatura e confezionamento dei salumi. Alcuni produttori incorporano ogni anello, altri solo uno o alcuni. In ogni caso i salumi del Presidio saranno lavorati senza conservanti o altri additivi.
Le aziende sinora direttamente coinvolte, che Slow Food spera di integrare quanto prima, sono le imprese di SANDRO TRULLU di Perdaxius (SU), FRANCESCO DERIU di Bonorva (SS), 2G DI GIOVANNI E GIACOMO PILUZZA di Ittireddu (SS), SALUMIFICIO BIRDESU di Rocco Piras di Girasole (OG), GIANFRANCO LECCA di San Basilio (SU), COOPERATIVA STROVINA 78 (AZIENDA AGRICOLA SU STAI di Sanluri), I SALIS di Ardara e, a breve, MARIO MUSU di Samugheo.
Ci hanno creduto fortemente MAURO MONACO e VALERIO TARAS di Slow Food Sardegna ma in questa operazione
ha avuto un ruolo fondamentale anche l’Agenzia regionale Agris e in particolare l’agronomo SEBASTIANO PORCU, instancabile ricercatore, impegnato, al di là del ruolo, nell’approfondimento delle modalità per sconfiggere la Peste Suina Africana.
A Porcu si deve la ricostruzione della storia, delle caratteristiche e delle peculiarità del maiale sardo, di cui ha cercato per decenni di evidenziare, a favore del pubblico, le infinite qualità e valorizzare ogni aspetto, senza tralasciare l’impatto economico e sociale. Sono stati infatti anni duri in cui si era persa la speranza di eradicare la PSA e, nel contempo, sono venute meno competenze, usanze e orgoglio di un’identità che in una certa fase è apparsa come una colpa.
La Sardegna è stata a lungo un sorvegliato speciale, la Cenerentola d’Europa, sebbene la Peste l’avesse suo malgrado importata e subita. Sulla storia di una razza animale importante come questa per un intero popolo, la PSA si è abbattuta come un flagello,
cambiandone le sorti e segnandone il destino in maniera indissolubile.
Tuttora dei pregiudizi aleggiano insensatamente sulle sue qualità, probabilmente anche per giustificare la preferenza verso altre razze alloctone che hanno maggiori rese, ma che non sono superiori in termini di qualità e di gusto.
A questo proposito si esprime MICHELANGELO SALIS, salumiere da generazioni e convinto sostenitore del progetto a cui ha aderito dal primo momento: «noi operatori dobbiamo fare lo sforzo di riprendere consuetudini di lavoro, che un tempo erano la norma e che ora sono considerate straordinarie. Per esempio, non si è più abituati a gestire alcune parti del maiale che si tende a scartare e che invece si potrebbero essere utilizzate, con grande successo. Come il lardo, utilissimo in cucina e per la conservazione dei salumi, prezioso da consumare anche a tavola. È chiaro che bisogna badare alle dosi, ma questo è un principio che vale per ogni prodotto».
D’altronde la storia del maiale di razza Sarda parla da sola: una consuetudine produttiva che si perde nei secoli, per molto tempo regolata dagli usi civici e da codici non scritti. Le foreste di leccio e le ghiande erano infatti una risorsa della comunità e, finito l’inverno, i maiali venivano spostati per ritornare ad autunno inoltrato. In assenza di ghiande, infatti, i maiali, con il loro grufolare, avrebbero arrecato danno alle coltivazioni.
L’allevamento brado della razza locale è stato messo a forte rischio a seguito del diffondersi della PSA, perché l’introduzione di razze alloctone ha di fatto inquinato il patrimonio genetico originario. Il riconoscimento ufficiale della razza Sarda è avvenuto già nel 2006, sebbene poco o nulla si sia fatto dopo. Ma con l’istituzione recente del presidio e l’eradicazione della PSA, un nuovo slancio è stato finalmente dato al settore.
Acquistano così una nuova onorabilità piatti fortemente identitari come su proceddu arrustiu, il maialetto da latte arrosto, che forse più di ogni altro
incarna la cultura enogastronomica isolana e ne è l’emblema fuori e dentro la Sardegna. La norcineria sarda annovera anch’essa dei prodotti di assoluto interesse quali la salsiccia, in certi casi con la variante dei semi d’anice, tipica del Sud Sardegna e in particolare del Cagliaritano, o con l’aceto o il vino, la vernaccia nell’Oristanese, secca o fresca e in questo caso ulteriormente arricchita di aromi e spezie. È diffusa anche affumicata e quella secca si presenta a forma ad U o arrotolata su sé stessa.
Tra le tipicità locali cotte a base di suino si fa spazio la testa in cassetta. Mentre per stare su suini oltre i 6 mesi, la tradizione sarda comprende anche la mustela (lonza), il guanciale, la coppa, la pancetta, il lardo e, ovviamente, lo strutto. Quest’ultimo utilizzato anche per friggere o impreziosire altri piatti o prodotti tipici come la sfoglia delle Sebadas, solo per citare un’altra specialità isolana molto nota.
Vale inoltre la pena citare i prosciutti, in particolare quelli dell’Ogliastra e
della Barbagia, che si possono ricondurre sostanzialmente a tre tipologie: il tradizionale, il prosciutto di spalla con guanciale e sartizza a lorika
Il prosciutto tradizionale, lavorato a livello familiare, ha una forma particolare e del tutto simile alle raffigurazioni di alcune monete romane del I secolo a.C. mostrate dal PROF. J. GONZALEZ BLASCO in occasione del III Congreso Mundial del Jamón a testimoniare l’origine antica di questo tipo di lavorazione.
Tutte specialità, quelle citate, per lungo tempo bandite, che potevano essere consumate unicamente in Sardegna e non potevano varcare il mare se provenienti da suini nati ed allevati nell’isola. La suinicoltura sarda, dopo anni di oblio e dannazione, rivede finalmente la luce e si presenta al grande pubblico con questo prestigioso riconoscimento, di recente celebrato anche a Torino a Terra Madre – Salone del Gusto 2024 finanziato da LAORE SARDEGNA, riscuotendo l’interesse e la curiosità di amatori e esperti di tutto il mondo.
Maria Antonietta Dessì
di Elena
1. Il Tempio del Bagòss
Dal 1938 Paolo Market è un invitante gastronomia a gestione familiare specializzata nella vendita di prodotti tipici del territorio bresciano e trentino, con una selezione che arriva anche da altre regioni italiane. Il negozio è però specializzato nella stagionatura e vendita del noto formaggio Bagòss (Bagò), con oltre 30 tipologie disponibili: da visitare di persona e on-line su paolomarket.com (photo © facebook.com/paolomarket).
2. Salumeria Toscana
A Castelfalfi (FI), Salumeria Toscana è un vero paradiso delle carni, dei salumi, dei formaggi toscani artigianali e di tante altre specialità gastronomiche del territorio. Una bottega da seguire su instagram.com/salumeria_toscana_dop e da andare a visitare il prima possibile. Bravissimi (photo © facebook. com/salumeriatoscanadop).
FOOD
Benedetti
3. Le Tavole di Terrae
Bellissime le Tavole del nuovo progetto editoriale non periodico di Terrae Opificio Culturale Enogastronomico acquistabili su terrae.info/tavole: “Fra parole e immagini, tra cultura e cibo, con tante voci diverse, vi guidiamo come una mappa di tesoro in tesoro”. Anche su instagram.com/opificioterrae (photo © terrae.info).
4. I pani di Carlo Di Cristo
Non si può non seguire Carlo Di Cristo su instagram.com/ dicristo_carlo. Zoologo e neuroscienziato dell’Università del Sannio, è un esperto panificatore co-autore del volume “Le fermentazioni spontanee nei prodotti da forno”. Le foto dei suoi pani sono assoluta meraviglia (photo © instagram.com/ dicristo_carlo).
COME VENDERE ALL’ESTERO CON LA GDO?
Essere selezionati da una GDO estera è un processo lungo e complesso, spesso precluso a molte aziende italiane per via delle piccole dimensioni. Grazie agli accordi che ICE-Agenzia ha siglato con oltre 80 catene della GDO internazionale, è possibile superare questo limite
Uno dei metodi che le aziende hanno a disposizione per commercializzare i propri prodotti, sia in Italia che all’estero, è la vendita attraverso la Grande Distribuzione Organizzata (GDO), il segmento del settore retail maggiormente diffuso nel mondo. Si tratta di una tipologia di vendita al dettaglio di prodotti di largo consumo (sia alimentari che non) realizzata tramite una serie di punti vendita come supermercati, ipermercati e discount , organizzati su grandi superfici e, generalmente, aderenti ad un’organizzazione o ad un gruppo che gestisce più punti vendita contrassegnati da una o più insegne commerciali comuni.
I vantaggi di vendere attraverso la GDO
Vendere all’estero attraverso la GDO può consentire l’accesso ad un mercato globale poiché la stessa catena di distribuzione è spesso presente in diversi paesi, e quindi, usufruendo anche di un sistema di distribuzione più capillare, è possibile raggiungere nuovi clienti in più aree geografiche e diversificare così il proprio bacino di utenza. Ven-
dere con la GDO può anche aiutare a condividere i rischi di vendita con il partner di distribuzione: ad esempio, se un prodotto non si vende bene, il partner di distribuzione condividerà il rischio con l’azienda fornendo un feedback utile per migliorare il prodotto. Allo stesso tempo, si può guadagnare una conoscenza più approfondita dei mercati internazionali e delle preferenze dei consumatori locali, cosa che può consentire di sviluppare prodotti e strategie di marketing più adatti al mercato estero.
Essere presenti sugli scaffali della GDO, inoltre, può offrire maggiore visibilità al proprio marchio perché si può beneficiare della pubblicità e delle
promozioni organizzate dalla catena, che gode di una più grande presenza mediatica, riducendo così i propri costi di marketing e promozione.
Come riuscire ad accedere alla GDO?
I vantaggi sono indubbi, ma la GDO non è per tutti, soprattutto per chi produce prodotti di nicchia, ed in quantità limitata. I prodotti commercializzati da un player operante nella grande distribuzione organizzata, infatti, sono solitamente beni poco costosi, destinati ad essere venduti in grande quantità con un ciclo di magazzino decisamente veloce. Inoltre, quello della GDO è un contesto altamente competitivo dove
Agenzia-ICE è da anni impegnata nel sostegno alle imprese italiane sui mercati esteri. La promozione del made in Italy in collaborazione con i department store e i retailer on-line ha l’obiettivo di incrementare la riconoscibilità e la visibilità dei prodotti autentici italiani per aumentarne distribuzione e vendite
è difficile emergere in mezzo alla concorrenza, soprattutto all’estero. Tuttavia, con la giusta pianificazione e i giusti strumenti è possibile riuscire a posizionarsi con successo nella GDO internazionale.
Il primo passo da compiere è un self assessment relativo alle proprie capacità tecniche, operative ed organizzative, in termini di volumi di produzione e di efficienza della rete logistica. Ciò significa essere in grado di fornire grandi quantità di volumi di prodotto e farlo 12 mesi l’anno entro i tempi stabiliti, ma anche essere in grado di integrarsi perfettamente nel sistema logistico della GDO che per sua natura è particolarmente complesso, dal momento che implica il coinvolgimento di numerosi attori della supply chain e la movimentazione di un numero importante di merci, assicurando al contempo velocità, sicurezza ed efficienza.
Se si è pronti da questo punto di vista, si può passare allo step successivo: lo studio del mercato di riferimento e l’analisi delle esigenze dei consumatori locali. Questo passo è di fondamentale importanza, perché non avrebbe alcun senso imbarcarsi in un’avventura nella GDO estera — con conseguente di-
spendio di tempo, energie e denaro —, se poi il prodotto che si va a proporre non ha mercato in quella specifica area geografica.
Nella scelta del Paese una regola spesso seguita è quella di seguire la corrente. Il rovescio della medaglia di questa strategia, però, è che la concorrenza è forte e il consumatore (quindi il buyer) è esperto, e quindi esigente. Un mercato nuovo per le imprese richiede più ricerca ma può essere preferibile perché c’è meno concorrenza e può essere più facile affermarsi.
Una volta accertatisi che il proprio prodotto sia in grado di esercitare un certo appeal sulla clientela locale, vanno analizzate le caratteristiche intrinseche del prodotto stesso ed il modo in cui questo si posiziona rispetto alla concorrenza. La domanda da porsi a questo punto è: perché un supermercato e i suoi consumatori dovrebbero scegliere il mio prodotto anziché quello di un’altra azienda? Quali sono sue le sue particolarità e quelle stesse peculiarità sono presenti già in altri prodotti venduti nella grande distribuzione?
Se la risposta è no, si è sulla buona strada per posizionare un prodotto alimentare nella GDO. Se invece la
risposta è sì, si dovrebbe cercare di elaborare un’offerta diversa, che sia in grado di rispondere a un’esigenza dei consumatori che non è ancora stata esplorata dai competitor. I consumatori potrebbero essere interessati ad un formato differente, ad un diverso metodo di produzione, ad una particolare materia prima, ecc…
Per semplificare questo passaggio, potrebbe essere utile realizzare collaborazioni di co-branding per condividere idee e produrre referenze innovative unendo i prodotti di diverse aziende. La GDO, infatti, vuole fornire ai suoi clienti un’offerta che sia più ampia possibile, e per questo è sempre interessata alle novità. I prodotti, inoltre, devono essere provvisti di un’etichettatura adeguata per essere conformi alle normative locali e delle certificazioni richieste dal paese in cui vuole esportare.
Un altro aspetto da non sottovalutare è il packaging, che deve essere attraente ma allo stesso tempo coerente con la filosofia aziendale: per esempio, se si vuole distribuire un prodotto biologico capace di comunicare ai consumatori la propria dedizione nel mantenere le referenze il più naturali possibili, bisogna rafforzare questa associazione
mentale attraverso un confezionamento idoneo, come un packaging ecologico, in grado di comunicare fin da subito la propria preoccupazione per le questioni ambientali.
Lo stesso vale per la promozione: sito internet, brochure, cataloghi ed altro materiale informativo devono seguire tutti la stessa linea di comunicazione che deve essere coerente con il brand e con i suoi valori per immagine e tono di voce. Allo stesso tempo, deve essere accattivante e deve essere in grado di attrarre buyer e consumatori.
Se si è in possesso di tutti questi requisiti, è giunto il momento di individuare la catena che più si adatta alle caratteristiche del prodotto proposto. I vari attori sulla scena della GDO sono molto diversi tra di loro: alcuni, come i discount, puntano tutto sul basso prezzo e sugli sconti, altri, come le catene specializzate, hanno un approccio più attento alla qualità. La scelta va fatta in base alle specificità della propria offerta. Ma è qui che arriva il passo più difficile: la ricerca del contatto. Convincere il buyer è di fondamentale importanza e, per farlo, occorre mostrare il prodotto al meglio.
A meno che il nostro brand abbia grande notorietà occorre molta pazienza: i buyer non ci conoscono, sono assediati dalle proposte, conoscono bene i loro fornitori attuali (che sono i nostri concorrenti), ma non noi, e prima di riceverci personalmente vogliono leggere di noi e vogliono leggere nella loro lingua. Ecco perché il materiale promozionale deve essere curato in ogni minimo dettaglio e deve essere localizzato in funzione del paese in cui si vuole entrare. I buyer vogliono anche testare i nostri prodotti in anteprima, quindi è opportuno inviare delle campionature delle referenze che si vogliono proporre, presentazioni fotografiche e schede tecniche del prodotto, contenenti tutte le informazioni necessarie. Quando ci ricevono ci danno poco tempo e preferiscono le presentazioni brevi, schematiche, efficaci, che vanno al sodo: piano di marketing e disponibilità a fargli conoscere come produciamo e dove produciamo possono essere decisivi.
Essere selezionati da una GDO è dunque un processo lungo e complesso, che richiede adeguata struttura
organizzativa, gestionale e produttiva, capacità di interagire rapidamente e con flessibilità, possesso di certificazioni richieste nei diversi mercati, spesso l’adattamento delle confezioni e delle etichette alle regole, usi e costumi del mercato, e a volte anche una pregressa esperienza con la GDO di altri Paesi. Per tali motivazioni questo importante canale rischia di essere precluso a moltissime aziende italiane, soprattutto a quelle di dimensioni piccole e medio/ piccole, in cui aiuto vengono però i numerosi accordi che ICE-Agenzia ha siglato con le principali catene della GDO internazionale attive sia attraverso punti vendita fisici che on-line: WORLD MARKET negli USA, SECOMA in Giappone, DOUGLAS in Germania e FRISCO in Polonia, solo per citarne alcuni.
Accordi GDO con Agenzia-ICE
La strategia di ICE Agenzia punta a:
• consolidare e migliorare le performance dei brand già presenti;
• inserire, per quanto più possibile stabilmente, nuovi brand e nuove merceologie;
• promuovere dell’immagine del made in Italy;
• potenziare le azioni di comunicazione verso il consumatore;
• contrastare fenomeni di contraffazione e Italian Sounding Agenzia-ICE, attraverso la sua rete estera e di concerto con la rete diplomatica e consolare, individua potenziali partner tra le catene distributive internazionali, disponibili ad aderire alla campagna e all’investimento richiesti in accordo con i parametri fissati dall’Agenzia. Le GDO partner, pur restando completamente autonome nella selezione dei fornitori e delle tipologie di prodotto, a volte si avvalgono della collaborazione di Agenzia-ICE per lo scouting e il recruiting di nuove aziende italiane. Le nuove aziende sono coinvolte nelle promozioni supportate dall’Agenzia ampliando il portafoglio fornitori delle catene. Tutti gli aspetti dell’inserimento della merce sul mercato sono curati direttamente dalla GDO: dallo stoccaggio del prodotto, alla vendita finale, alle consegne, ai pagamenti, ai resi/sostituzioni.
Fonte: Agenzia-ICE, Italian Trade & Investment Agency www.ice.it
Salumeria Italiana, 6/24
SALUMI FATTIBENE DI NOME E DI FATTO
di Gianluca Bianchini
A sinistra: il salumificio Fattibene produce salumi tipici come musciska, soppressata, capocollo, pancetta, filetto, guanciale, lardo e altri prodotti molto apprezzati seppur non parte della tradizione locale come carpaccio di Angus e di maiale.
In alto: Francesco Saverio con i suoi collaboratori a banco della macelleria nel centro di Bovino, in provincia di Foggia.
Per gli abitanti di questo comune dei Monti Dauni Fattibene è sinonimo di carne di qualità. E lo è da quasi 200 anni. L’insegna del negozio recita infatti Macellai in Bovino dal 1826. Ma ad onor del vero in questo borgo della Capitanata, i Fattibene giunsero già nel ‘700, allorquando, ancora pastori, conducevano le greggi. Poi, dedicatisi all’arte della macelleria, hanno cominciato a proporre carne fresca e, di tanto in tanto, anche qualche pregiato salume. Così, da secoli, sono diventati un punto di riferimento per questa piccola comunità.
Dal 2010, però, il rapporto fra carne fresca e carne trasformata non è più lo stesso, essendo cambiato a favore di quest’ultima. La macelleria esiste ancora, è sempre lì nel centro storico, a due passi dal castello, ma l’ispirazione norcina ha preso il sopravvento. L’attività di famiglia, infatti, ormai vende più salami che bistecche, grazie ad uno stabilimento aperto a un chilometro fuori dal paese. A decidere la svolta sono stati Francesco Saverio
(classe 1970) e sua sorella Rosaria (classe 1968). Col senno di poi si può dire che hanno avuto ragione, visto che oggi il loro è uno tra i salumifici più importanti dei Monti Dauni. Conta infatti una produzione annua di 100.000 chili di salumi esportandoli in Italia e anche all’estero (Spagna, Francia, Germania e Olanda).
Per capire le ragioni di questa svolta norcina dobbiamo fare un passo indietro. Dobbiamo tornare agli anni ‘90, un periodo difficile per i Fattibene, perché papà Luigi e mamma Carmela sono venuti a mancare e Francesco si è ritrovato da solo a prendere le redini dell’azienda. Francesco, dunque, costretto ad accantonare il sogno di diventare geometra, ha cominciato a lavorare duro. L’impegno era di quelli importanti, anche 18 ore al giorno di lavoro, ma non ha mai avvertito la fatica perché si è sempre sentito coinvolto in un’attività redditizia e in continua crescita. In quel periodo Francesco ha cominciato anche ad elaborare i ricordi. Un processo che gli è stato utile ad indirizzare l’attività di famiglia.
sono prodotti artigianalmente senza conservanti, lattosio e glutine. L’aromatizzazione è delicata. L’azienda è situata nel verde dei Monti Dauni, e dispone di impianti di asciugatura e stagionatura appositamente posizionati a nord, in modo tale da potersi avvalere di aria esterna per dare maggiore fragranza ai salumi.
I momenti trascorsi col padre sono stati molto importanti. Andava con lui per i campi a scegliere gli animali, restando affascinato dai colori dell’alba e dell’erba, dall’odore delle stalle e dal profumo stagionato dei salumi. «Mio padre li preparava solo su richiesta e solo d’inverno, specialmente per quei clienti che non erano di Bovino. Li asciugava in una stanza adibita allo scopo e il profumo che emanavano quelle salsicce e quelle soppressate mi inebriava. Mi ha fatto sempre venire voglia di trasformare la carne, fino a quando, nel 2010, ho finalmente realizzato questo desiderio». Il suo è uno stabilimento all’avanguardia, pensato per rendere sostenibile la produzione. I pannelli solari e fotovoltaici assicurano sia l’acqua calda che la corrente elettrica necessaria a far funzionare i macchinari. In più, essendo in una zona di bassa montagna, a 650 metri di altitudine, il microclima è ideale per l’asciugatura dei salumi. Un processo che avviene nel modo più naturale possibile. «Quando le
condizioni atmosferiche lo consentono, ovvero quando c’è la giusta temperatura e la giusta umidità, apriamo le finestre affinché l’asciugatura avvenga all’aria aperta» racconta Francesco.
La filosofia aziendale è dunque chiara: salumi prodotti in modo naturale usando solo energia pulita. La materia prima, inoltre, è di ottima qualità, parliamo di suini di filiera italiana Dalle loro carni si ottengono prelibati insaccati, rispettando la tradizione locale che vuole una lavorazione artigianale e quindi ogni passaggio viene fatto a mano.
Nascono così i salumi tipici dei Monti Dauni: salsiccia a punta di coltello, soppressata, pancetta affumicata con legna d’ulivo, guanciale aromatizzato con origano selvatico, capocollo massaggiato con mosto di vino e affumicato con legna d’ulivo. Tutti salumi prodotti senza utilizzare conservanti, dunque, niente nitriti, nitrati, lattosio e glutine, aromatizzati il giusto e con un gusto leggermente sapido. In più, l’azienda propone anche prodotti che, pur non
facendo parte della tradizione locale, sono comunque molto apprezzati. «Tra i nostri migliori clienti c’è la ristorazione — afferma Francesco — quindi su richiesta produciamo sia il carpaccio di maiale che quello di Angus, entrambi affumicati con legna d’ulivo».
Per gli amanti della carne fresca invece c’è la macelleria, di recente rinnovata, dove si servono tagli di scottona di razza Limousine allevata in Puglia e, grazie a celle frigo modernissime, le mezzene vengono frollate anche 45 giorni per offrire un prodotto più tenero e saporito.
Gianluca Bianchini
Macelleria Fattibene
Via Castello 14 – 71023 Bovino (FG) Telefono: 0881 961344
Salumi Fattibene
C.da Padula S.P. 122 – 71023 Bovino (FG) Telefono: 0881 961344
E-mail: info@fattibene.it
Web: fattibene.it @fattibenesalumi
SAPORI DELLA VALDICHIANA, DA OLTRE 50 ANNI DISPENSA DI TOSCANITÀ
Sul tagliere, insieme a finocchiona, lardo di Cinta, sbriciolona e capocollo, sono stese fette di salame e bresaola di Chianina. Siamo in Toscana, e più precisamente a Monte San Savino, nelle campagne di Arezzo, seduti ai tavoli del ristorante Le Delizie di Aldo, il locale di ALDO IACOMONI sito — come l’altro locale di famiglia, la griglieria Qui Ciccia — a pochi metri dalla sua macelleria. Aldo, quella macelleria, la aprì con la moglie GIORGINA GALOPPI (che sovrintende i lavori nelle cucine della trattoria) nel 1960, in Piazza Gamurrini, proprio al centro del borgo.
Una famiglia, una storia
La “Macelleria di Aldo” è infatti il luogo dove tutto è cominciato, la realizzazione del sogno di Aldo Iacomoni che, terminato il servizio militare, fa ritorno a casa e rileva l’attività del porchettaio del paese, inseguendo la passione nata
poco più che bambino per la norcineria, lui che proveniva da una famiglia di pescivendoli. Poco a poco alla vendita della porchetta si aggiungono quella del pollame e della carne di Chianina e si instaurano stretti rapporti di fiducia con gli allevatori di zona che gli riservano i capi migliori.
Ed è così che, grazie alla qualità della materia prima e all’abilità nell’arte norcina, con la richiesta che aumenta e travalica col tempo i confini del paese, arrivando a regalare una grande notorietà a questa piccola macelleria di provincia, nasce il desiderio e la necessità di aprire — nel 1990, insieme al figlio Giorgio — uno stabilimento, Sapori della Valdichiana, in cui prendono forma le varie Linee di prodotti (Linea classica, Linea Bio, Filiera Valdichiana, Le Chianine, Cinta senese) che finiscono sugli scaffali della bottega, prima, e poi nel piatto, con l’apertura dei due ristoranti di proprietà.
L’azienda della famiglia Iacomoni, “ampliamento” della storica macelleria nel centro di Monte San Savino, si è fatta conoscere per la qualità delle sue produzioni, dai salumi alle carni di Chianina, Angus e Cinta senese ai ragù e sughi in vasetto fino alla porchetta, con cui il “patron” Aldo è entrato anche nel
Guinness World Records
Risultato: da oltre 50 anni Sapori della Valdichiana è dispensa, sia sul territorio nazionale che all’estero, di prodotti tipici toscani. Salumi stagionati, insaccati, cotti, porchetta…
La creazione di un prodotto eccellente ha regole precise e qualche segreto, ma ciò che è sempre fondamentale sono il controllo della filiera produttiva e la materia prima: per questo Aldo e Giorgio controllano personalmente i luoghi dove vengono allevati gli animali che intendono lavorare nel laboratorio di Monte San Savino.
I prodotti realizzati sono ottenuti dalla lavorazione e trasformazione di carne di razze autoctone come la Chianina, il suino di Cinta senese DOP e, dal 2016, il Suino brado toscano, una carne pregiata che ha ottenuto la certificazione di filiera ISO 22005. Ogni fase della lavorazione è eseguita secondo le tradizioni della Toscana, forni a legna e lenta stagionatura.
Azienda al passo coi tempi, Sapori della Valdichiana ha creato una linea di prodotti biologici certificati ICEA (sbriciolona, rigatino, salame, finocchiona, prosciutto, lombo, capocollo, gota) e una serie di prodotti, Le Chianine, salame e bresaola, ottenuti dalla lavorazione e dalla trasformazione artigianale della carne di carne di bovino Chianino – Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP.
Passione porchetta
Accanto ai salumi tipici toscani e ai tagli di carne selezionata, particolarmente apprezzata e richiesta da chi conosce
le specialità di Aldo e della sua famiglia è la porchetta, ottenuta dalla pancia del suino accuratamente disossata e aromatizzata, cotta nel forno a legna con erbe aromatiche come alloro ed erica e poi raffreddata. Una grande passione di Aldo la porchetta, tanto da renderlo promotore della Sagra della Porchetta di Monte San Savino, arrivata quest’anno alla sua 60a edizione (4-8 settembre 2024). Passione che nel 2010 lo ha fatto entrare nel Guinness World Records con 44,93 m di porchetta, la più grande del mondo. Crosta esterna color castano chiaro, la carne interna morbida, succosa e saporita, oggi la
Porchetta di Monte San Savino è inserita nell’elenco della Regione Toscana come Prodotto Tipico Tradizionale.
Che si tratti di salumi, porchetta, tagli di carne fresca, o sughi e ragù in vasetto, ogni prodotto di Sapori della Valdichiana parla del rapporto di Aldo Iacomoni e della sua famiglia con la terra, il lavoro, il rispetto per le tradizioni, la straordinaria capacità artigianale alla base della salumeria. Tutti valori che hanno fatto grande questa azienda famigliare che dalla Valdichiana porta nel mondo sapori autentici di Toscana.
>> Link: www.saporidellavaldichiana.com
Guida
Salumi d’Italia 2025: conferma per il Salumificio Mec Palmieri, la Mortadella Favola Gran Riserva è il miglior salume d’Italia
La Mortadella Favola Gran Riserva del Salumificio Mec Palmieri viene premiata come Migliore Salume d’Italia e si aggiudica nuovamente i Cinque Spilli, il più alto riconoscimento assegnato dalla Guida Salumi d’Italia 2025 che recensisce il mondo della norcineria e salumeria italiana. Ecco le motivazioni al premio: “Il Premio come Miglior Salume d’Italia è stato conferito a Mortadella Gran Riserva perché non si tratta di una comune mortadella. È un salume che incarna il lusso popolare e accessibile, realizzato grazie alla passione e all’amore della famiglia Palmieri e ad un’attenta e scrupolosa selezione delle materie prime. Insaccata e cotta in una sacca di cotenna cucita a mano nella sartoria del Salumificio Palmieri, presenta una sagoma unica e caratteristiche inconfondibili. La cottura in antichi forni in pietra esalta il suo profumo, conferendole un tocco delicato e distintivo. Un’opera morbida e irresistibile, dal gusto raffinato e leggero”
Ma non è finita qui. Il Premio speciale come Giovane dell’anno è infatti andato a Margherita Palmieri, quarta generazione nell’azienda omonima con il fratello Francesco. «Sono onorata di rappresentare la mia famiglia in questo importantissimo evento che celebra il settore dei salumi italiani» ha commentato Margherita Palmieri, marketing manager del salumificio emiliano. «Condivido questo premio con tutte le persone della nostra azienda poiché i riconoscimenti ottenuti sono frutto del lavoro quotidiano e della passione che mettiamo per offrire prodotti della massima qualità come Mortadella Favola».
Mortadella Favola Gran Riserva, già premiata come Migliore Mortadella d’Italia nelle precedenti edizioni della Guida, è un prodotto che si distingue sul mercato per le sue caratteristiche: è infatti la prima mortadella al mondo insaccata e cotta nella cotenna naturale, un brevetto della famiglia Palmieri del 1997. Caratterizzata dall’inconfondibile timbro a fuoco e dalla legatura fatta a mano con corda tricolore, Mortadella Favola Gran Riserva si distingue per la sua qualità, ulteriormente esaltata dalla cottura in forni in pietra. La ricetta, custodita dalla famiglia, prevede l’utilizzo di sole nobili carni italiane, sale integrale dolce di Cervia, aromi naturali e un tocco di miele d’acacia, che le donano un sapore delicato e inconfondibile.
Mortadella Favola è senza glutine e senza lattosio. Quattro le referenze disponibili: Classica, Pistacchio, Gran Riserva e Gran Riserva Pistacchio
La Guida Salumi d’Italia, in lingua italiana e inglese, è la prima guida di settore che ha l’obiettivo di recensire e raccontare la salumeria italiana. Curata dal Master Sommelier Sabatino Sorrentino, realizzata da esperti del settore, offre una selezione dei migliori salumi provenienti dalle diverse regioni d’Italia. Ogni anno vengono premiati i produttori che si distinguono per l’eccellenza dei loro prodotti. La Guida è un punto di riferimento per appassionati e professionisti del settore gastronomico. In foto, alla cerimonia di premiazione tenutasi lo scorso 28 ottobre presso il Teatro Giuseppe Verdi a Busseto di Parma (PR), Sabatino Sorrentino, Marcello e Margherita Palmieri e Manfredi Maretti, editore della Guida.
>> Link: www.palmierisalumi.it – www.guidasalumiditalia.it
La Culatta di Busseto Ibis è la migliore italiana:
massimo riconoscimento della Guida Salumi d’Italia 2025
Ibis Salumi, brand storico della salumeria italiana, controllato da Italia Alimentari (Gruppo Cremonini), si conferma un’eccellenza tra le produzioni tipiche. La Culatta di Busseto Ibis — riconosciuta come prodotto d’eccellenza anche nelle precedenti edizioni del volume — ha infatti ricevuto il riconoscimento di massimo prestigio dei “5 Spilli”, assieme al titolo di Miglior Culatta d’Italia, assegnato dalla Guida “I Salumi d’Italia” 2025. La Guida ha aggiudicato i 5 Spilli d’eccellenza per l’ottima fattura anche ad altri due prodotti a marchio Ibis: la Mortadella Gran Ducato 100% italiana e, per la prima volta, il Carpaccio di vitellone italiano prodotto nello stabilimento di Postalesio, in Valtellina. In più, altra novità di questa edizione è lo “Spillo Verde” assegnato ad Italia Alimentari, grazie all’impegno e agli investimenti in ottica di sostenibilità. Mauro Fara, AD di Italia Alimentari, ha dichiarato: «La Guida Salumi d’Italia è l’unica pubblicazione che raccoglie e giudica la varietà e l’unicità della salumeria italiana nel mondo, con un panel di degustatori che ha assaggiato centinaia di salumi. Siamo orgogliosi di poter vantare anche in questa edizione diversi prodotti rappresentativi delle eccellenze territoriali che contraddistinguono Ibis, dal 1963. La Culatta di Busseto è uno dei prodotti più iconici della nostra azienda ed è stata premiata dalla Guida sin dalla prima edizione nel 2014. E, per la prima volta, siamo orgogliosi che i 5 Spilli siano stati riconosciuti anche al Carpaccio di vitellone italiano».
>> Link: ibis-salumi.com
Una varietà di selezione carni, gusti, dimensioni, forme per soddisfare i tuoi clienti più esigenti.
Tradizione e sostenibilità: cinque premi per la famiglia Spigaroli
L’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense (PR) di proprietà della famiglia Spigaroli ha ricevuto ben cinque premi dall’edizione 2025 della Guida Salumi d’Italia, fra cui la novità del Premio Spillo Verde per la produzione sostenibile. I Cinque Spilli per le eccellenze produttive dell’azienda sono andati a:
• Culatello 30 mesi Le Antiche Razze Spigaroli (premiato anche nella categoria Migliore Salame suino nero d’Italia);
• Salame Verdiano Antiche Razze 3 mesi;
• Culatello di Zibello DOP Platino 40 mesi.
A ricevere i premi Massimo Spigaroli insieme alla nipote Benedetta Spigaroli: «Oggi ritiriamo con orgoglio questo riconoscimento che è nostro e di quelli venuti prima di noi» ha dichiarato lo chef, ricordando il passato e la tradizione della famiglia (ben cinque generazioni) nell’arte della norcineria. Il bisnonno Carlo era stato il norcino di fiducia del maestro Giuseppe Verdi.
>> Link: www.anticacortepallavicinarelais.it
Speck Alto Adige IGP in TV con “Il secondo che non ti aSPECKti”
Chi l’ha detto che lo Speck Alto Adige IGP non può essere un secondo piatto? Col massimo di sale al 5%, ricco di proteine, leggero, delicatamente affumicato, versatile e sicuro perché garantito dal Consorzio di Tutela Speck Alto Adige e dal sapore unico, lo Speck Alto Adige IGP è invece proprio il “secondo che non ti aSPECKti”, capace di sorprendere tutti i consumatori sfidando la tipica organizzazione convenzionale dei pasti a cui siamo abituati. È questo il concept creativo della nuova campagna firmata dall’agenzia Grey e dai registi Luca e Marcello Lucini dedicata allo Speck Alto Adige IGP che, dopo 20 anni, riporta l’eccellenza altoatesina sugli schermi delle principali emittenti televisive italiane. La campagna nasce con l’obiettivo di riposizionare lo Speck Alto Adige IGP, coinvolgendo anche il target più giovane e informato, e di aumentare la conoscenza del salume, presentando nuova modalità di consumo. Un alimento adatto anche alla dieta degli sportivi e di chi fa una vita attiva, grazie all’elevata quantità di proteine nobili, ovvero quelle proteine che contengono tutti gli aminoacidi essenziali (che l’organismo non è in grado di produrre e che devono pertanto essere introdotte con gli alimenti) in quantità ottimali. Inoltre, il salume altoatesino contiene una buona quantità di amminoacidi ramificati (rispettivamente 1,6 g di valina, 1,4 g di isoleucina e 2,3 g di leucina su 100 g) che danno energia, favoriscono la crescita muscolare (anabolismo) e il recupero post esercizio. Lo Speck Alto Adige IGP è anche ricco di sali minerali — come ferro, potassio, fosforo e zinco — e di alcune vitamine del gruppo B che favoriscono il normale metabolismo energetico e il corretto funzionamento del sistema nervoso.
>> Link: instagram.com/speckaltoadige — www.tiktok.com/@suedtirol.official
Martelli
C’ERA
UNA VOLTA UNA GRANDE PASTA. E C’È ANCORA
di Maria Antonietta Dessì
Siamo all’inizio del secolo scorso quando i coniugi Catelani avviano a Lari un pastificio che però, non avendo figli, non sanno a chi lasciare in eredità. Dopo qualche titubanza, sono due dei loro dipendenti, i giovani Guido e Gastone Martelli, a subentrare e a dare continuità ad un’impresa che tuttora, dopo quasi 100 anni di attività, continua ad operare. Il testimone è infatti passato dapprima ai figli Mario e Dino, con
le mogli Valeria e Lucia, poi ai nipoti. Oggi sono otto gli addetti, tre generazioni che convivono, in un’attività che sembra per certi versi fuori dal tempo, ma che, invece, è perfettamente inserita ed esporta in ben 30 Paesi!
Di ciò che era l’attività ai tempi dei coniugi Catelani nulla o quasi è cambiato. La sede è la stessa, modesta nelle dimensioni e certamente non molto funzionale secondo una visione moderna. Il laboratorio è piccolo ma suggestivo,
trovandosi all’interno di un castello. La produzione si snoda su tre livelli e trova al piano terra la lavorazione, al primo piano l’essiccazione della pasta corta e in cima quella di Spaghetti e Spaghettini
Un luogo scomodo, forse, ma che trasuda tradizione e saper fare e che riporta a decenni or sono, quando la pasta si faceva con l’ausilio di poche macchine e con un apporto manuale importante. È in questo ambiente che
SpaghettiMartelli: prima della Legge 580/1967, negli empori di tutta Italia la pasta veniva conservata nei cassetti di legno, appoggiata su un foglio di carta, in Toscana “carta paglierina”.
Al Pastificio Martelli sono la dote e il talento del pastaio a dettare tempi e modi dell’essiccazione della pasta.
fa bella mostra di sé un essiccatoio del 1944, certamente tra i più antichi esistenti al momento ancora in uso, per una produzione non domestica.
Le celle coibentate dove umidità, temperatura e ventilazione sono gestite da un computer non sono ancora apparse. Qui sono la dote e il talento del pastaio a dettare tempi e modi dell’essiccazione. E se sino a qualche anno fa era solo Dino Martelli a decretare se fosse possibile passare al confezionamento, adesso quell’onere/onore è riconosciuto anche a suo figlio Luca, che ha imparato dal padre, affinando una dote che probabilmente aveva innata, essendo entrato in pastificio che era ancora in fasce.
La sede aziendale, pur piccola e per certi versi apparentemente poco funzionale ad una produzione in quantità, merita visite guidate di grandi e piccini che i Martelli gradiscono, sia per promuoversi, sia per promuovere la pasta e tutto ciò che ci gira intorno. Il catalogo prevede solo 5 formati: Spaghetti, Spaghettini, Penne Classiche, Maccheroni di
Toscana e Fusilli di Pisa. E a tal proposito è d’obbligo una precisazione. Le penne di Martelli non sono rigate ma lisce, sebbene questo formato riscuota oggi poco successo di pubblico. La ragione è presto detta: la versione industriale delle penne classiche (che inizialmente era liscia, appunto!) con difficoltà riesce a trattenere la salsa, perché viene estrusa ad alta temperatura. Un processo veloce che, oltre a renderla più scura nel colore, le attribuisce una consistenza poco porosa. La lavorazione Martelli restituisce invece un prodotto chiaro,
che trattiene il condimento, lo assorbe e lo esalta.
I Fusilli di Pisa, seppur giovani (sono stati introdotti in catalogo solo 10 anni fa), hanno una storia, essendo ispirati alla nota torre pendente. Le spirali sono infatti 7 come i suoi anelli, con ai bordi una leggera rigatura ad indicare il camminamento. Si susseguono in un vortice che eleva il gusto alla sua massima potenza e, nel contempo, rendono omaggio alla città toscana.
Questi 5 formati sono proposti in confezioni inconfondibili che richia-
Dino Martelli si è fatto promotore, tra una sessantina di pastifici italiani, di una chiamata a raccolta che parte dal corretto utilizzo di termini come qualità e artigianale e potrebbe trasformarsi in associazione. Microimprese che si distinguono per processi produttivi, quantità prodotte, tempi di lavorazione, scelta della materia prima e approccio al mercato
I
mano il passato e la storia, anche normativa, del prodotto. Le buste sono infatti in una rustica carta paglia, dorata come il grano maturato al sole di Toscana. Prima dell’introduzione della Legge 580/1967, che ha disciplinato molti aspetti del settore, negli empori la pasta, in tutta Italia, veniva conservata nei cassetti di legno, dove poggiava su un foglio di carta blu. In tutta Italia… o quasi. In Toscana, infatti, si utilizzava la carta paglierina, la stessa che è poi diventata una confezione a sacchetto a cui i Martelli hanno aggiunto soltanto le informazioni di legge e il proprio nome in un inconfondibile corsivo.
Il successo dei Martelli si rinnova nel tempo: non a caso il loro principale problema è quello di un magazzino sempre vuoto, perché la richiesta supera la produzione. Ma le quantità modeste immesse nel mercato non impediscono a questa famiglia di pastai di far arrivare il prodotto che porta il loro nome in tutta l’Italia e in Paesi come Giappone, Australia o Stati Uniti, senza mai cedere alla tentazione di fornire la Grande Distribuzione Organizzata. Il mercato di riferimento sono infatti i negozi tradizionali e le superette, le enoteche, le macellerie e in generale le realtà commerciali di dimensioni
ridotte dove la qualità è privilegiata. Le piccole botteghe sono considerate “una potenziale nicchia di mercato per chi non si accontenta delle dilaganti produzioni industriali ma apprezza e ricerca il valore che le migliori materie prime, il tempo e la passione aggiungono a ciò che si porta in tavola” recita il sito aziendale.
Quella dei Martelli non è una semplice professione. La loro passione per la pasta li porta a cercare una tutela per il prodotto e a ragionare su iniziative collettive che siano di interesse per produttori e consumatori. Dino Martelli da anni cerca di far dialogare tra loro i piccoli pastifici di pasta secca e, nel maggio scorso, in occasione del Pastaria Festival a Firenze, si è fatto promotore, tra una sessantina di colleghi di altrettanti pastifici italiani, di un’azione che potrebbe trasformarsi in un secondo momento in associazione.
In troppi ormai abusano dei termini “artigianale” o di “qualità”. E in un mondo in cui tutti vogliono essere grandi, ma sembrare piccoli e semplici, non è giusto che chi è davvero a misura d’uomo, nelle dimensioni e nelle quantità prodotte, venga invece penalizzato. Pastifici di qualità sono — secondo questa visione — quelli che producono quantità tra i
10 e i 100 quintali al giorno. Tradotto: quello che queste piccole realtà davvero artigianali confezionano in tutto l’anno, alcuni grossi pastifici lo realizzano in poche ore.
Tutti hanno diritto ad uno spazio nel mondo e nel mercato, sia chiaro, ma ciò che non appare corretto nei confronti del consumatore è l’equivoco che spesso si vuole creare nel mostrarsi artigiani quando in realtà si è tutt’altro. Queste microimprese che fanno pasta secca, e che al momento sono chiamate a dibattito da Dino Martelli, non sono particolari solo nelle quantità prodotte, ma lo sono anche nei processi produttivi, nei tempi di lavorazione, nella scelta della materia prima e nell’approccio al mercato.
Questa sorta di movimento in erba vorrebbe per esempio ripartire dall’essiccazione degli spaghetti che, secondo i cultori del prodotto come lo si faceva un tempo, dovrebbe avvenire in 50 ore circa, ad una temperatura massima di 33 gradi. Questa ed altre regole non scritte delle produzioni di nicchia potrebbero tramutarsi presto in una proposta di legge.
Maria Antonietta Dessì
>> Link: www.famigliamartelli.it
NATALE FA RIMA
CON ALBERTENGO
Perseguire la qualità a 360°, investendo in ricerca e innovazione e migliorando i prodotti, rimanendo fedeli alla tradizione
di Maria Antonietta Dessì
Il Panettone Albertengo è ben riconoscibile da una particolarità: la glassa è sempre rotta in modo disomogeneo. Gli ingredienti, zucchero, nocciole, mandorle, farina di riso e albume d’uovo, sono macinati in rulli a pietra così da non farla scaldare. Per questo motivo, in cottura, quando il panettone cresce, si spacca in modo disomogeneo (photo © facebook.com/albertengoofficial).
Un’impresa famigliare alla quinta generazione nota per la raffinatezza dei suoi Panettoni, Pandori e Colombe che dal Piemonte arrivano sulle tavole di decine di Paesi nel mondo.
Un’azienda moderna che considera le tradizioni il bene più prezioso, produce quantità importanti, ma lo fa seguendo processi artigianali e rispondendo a richieste personalizzate
“Senza fare troppo rumore, come in una lievitazione silenziosa, un modesto forno si è trasformato in una grande azienda”: così si presentano gli Albertengo nel raccontare la loro storia, familiare ed imprenditoriale. Lo fanno con la stessa discrezione che caratterizza i piemontesi, donne e uomini di poche parole, più propensi al lavoro che alle chiacchiere.
Quel sacrificio che dal 1905 ad oggi non è mai mancato, ha consentito di trasformare una piccola panetteria in un’impresa conosciuta in tutto il mondo per la raffinatezza dei suoi Panettoni, Pandori e Colombe che oggi partono dall’Italia per arrivare sulle tavole di decine di Paesi.
Quella realtà del saper fare nell’arte bianca — che col tempo si è concentrata sul dolce natalizio e su quello pasquale — è oggi giunta alla quinta generazione e si presenta come un’azienda grande e moderna che, pur guardando con interesse al futuro, non dimentica l’esperienza delle origini e considera le tradizioni il bene più prezioso, produce quantità importanti,
ma lo fa sempre seguendo processi artigianali e rispondendo a richieste personalizzate.
Un’attenta scelta di materie prime di qualità e una lievitazione naturale, in tre passaggi obbligatori, consentono agli Albertengo di realizzare un prodotto d’eccellenza, che viene esportato ovunque. La lavorazione, e in particolare la lievitazione, è alla base della qualità del prodotto: se da una parte si utilizzano linee studiate sulle specifiche richieste ed esigenze degli Albertengo, dall’altra si rispettano i tempi e le modalità di lievitazione naturale nella “camera bianca” come accadeva in passato.
Il segreto di un panettone eccellente è anche nei fornitori delle materie prime selezionati negli anni e molto raramente sostituiti: burro locale, uvette dei Paesi Arabi, canditi siciliani o calabresi, zucchero unicamente di canna, passito di Pantelleria, Moscato d’Asti, grappe e distillati e molti altri vini anche meno convenzionali come il Brachetto d’Acqui, il vin santo o il Fiano, il Torcolato e l’Albana. E, immancabile, il cioccolato piemontese.
Nocciole Piemonte IGP delle Langhe della Tenuta San Giorgio Pian delle Violette a Levice, in Alta Langa, di proprietà degli Albertengo, che finiscono nella glassa dei Panettoni Albertengo (photo © facebook.com/albertengoofficial).
Gli Albertengo sanno che ogni cosa incide sulla qualità del prodotto finale, compresa la qualità dell’acqua usata nell’impasto, il lievito madre utilizzato, la forza della farina che deve contenere ingredienti importanti come la frutta secca e candita.
Dai rapporti con i fornitori di lunga data nasce il “protocollo Albertengo”, che consente un minuzioso controllo di tutta la filiera, una tracciabilità documentata e un’eccezionale stabilità dei prodotti. Tutti accorgimenti che in conclusione garantiscono qualità del prodotto, profumo, sofficità, consistenza e sapore.
Una precisazione a parte merita il progetto agricolo realizzato su 14 ettari nella Tenuta San Giorgio Pian delle Violette a Levice, per produrre nocciole del Piemonte IGP delle Langhe in Alta Langa, avviato nel 2012 al fine di garantire una produzione di nocciole che consenta di realizzare glasse per decorare i panettoni Albertengo. Glassa
la cui macinatura avviene ancora oggi con la lavorazione a pietra.
I 5 mesi all’anno in cui l’azienda è ferma nella produzione non solo sono dedicati alla manutenzione straordinaria degli impianti, ma anche alla visita dei vecchi fornitori e alla ricerca di nuovi che gli Albertengo vogliono conoscere personalmente prima di instaurare un rapporto di fiducia come quello di approvvigionamento. Il resto lo fanno impianti progettati e costruiti ad hoc, ma, soprattutto, l’esperienza di una famiglia come poche e di personale specializzato e fidelizzato con un turn over prossimo allo zero.
Sono necessari anni per insegnare e imparare un mestiere come questo, per trattare una materia viva come gli impasti in lievitazione e questa competenza trasmessa e acquisita diviene un patrimonio e resta al servizio delle persone e di un’impresa che evidentemente gratifica sotto molti punti di vista ed è ricambiata.
Questo e molto altro sono valsi agli Albertengo il riconoscimento del Marchio storico di interesse nazionale da parte del Ministero dello Sviluppo economico, assegnato all’azienda anche per l’uso continuativo, da oltre cinquant’anni, del marchio utilizzato per la commercializzazione dei prodotti. Un riconoscimento importante del lavoro di salvaguardia del made in Italy e dell’orgoglio piemontese svolto in due secoli dalle varie generazioni.
Oggi l’azienda di Torre San Giorgio produce oltre un milione e mezzo di lievitati all’anno tra Panettoni, Pandori e Colombe pasquali. Esporta in una trentina di Paesi esteri e riesce a realizzare, oltre a formati standard, anche pezzature e formati particolari da 5, 10 e 20 kg, con farciture e glassature su richiesta. E, pur producendo oltre 2.000 panettoni all’ora e 25.000 al giorno, garantisce anche eventuale un confezionamento su richiesta in cui ogni dettaglio è curato in maniera maniacale perché ogni pezzo è chiuso da un addetto che lo realizza così come commissionato. Moltissime commesse riguardano combinazioni a piacimento su peso, ingredienti, glassature, confezionamento e ulteriori dettagli che implicano personalizzazioni elevatissime.
L’impresa è certificata ISO 14000, sistema di gestione ambientale, e ISO 45000, sistema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e UNI/PDR-125 parità di genere. Non ha le certificazioni classiche di chi serve la GDO perché non troverete le specialità Albertengo negli scaffali del supermercato. Il modo per acquistarli è di accedere alla rete di distribuzione: un selezionato elenco di negozi specializzati, enoteche e pasticcerie. L’alternativa è navigare sul sito internet aziendale che offre un’idea soddisfacente di quanto Albertengo sia in grado di realizzare per il cliente, soprattutto quello più esigente.
Noi però vi consigliamo di andare di persona ad acquistarlo alla Maison del Panettone a Torre San Giorgio (CN) e cogliere l’occasione per visitare le Langhe, un luogo incantato dove boschi e vigneti si alternano e dove cibi, vini, paesaggi e accoglienza non vi deluderanno.
Maria Antonietta Dessì
>> Link: albertengo.com
L’arte del Prosciutto Cotto.
ZIVIERI, L’INIZIO DI UN NUOVO CAPITOLO
Dopo l’acquisizione, nel corso del 2024, del 100% di Fattoria Zivieri, grazie a un’operazione di equity crowdfunding, il Gruppo aprirà, la prossima primavera, un ristorante con bottega in centro a Bologna e darà vita al Club Zivieri
Artigianalità e filiera chiusa, ovvero controllo lungo tutto il processo di lavorazione delle carni, sono i punti di forza del Gruppo Zivieri, nato nel 1987 con la prima macelleria nel cuore dell’Appennino emiliano grazie a Massimo Zivieri, pioniere, già trent’anni fa, di concetti allora avanguardisti: tracciabilità della carne, carne etica e consapevole, benessere degli animali.
Dopo la sua improvvisa scomparsa, nel febbraio 2009, la famiglia Zivieri (i genitori Adua e Graziano con i figli Aldo, Elena, Fabrizio e Stefano) decide di proseguire con maggiore determinazione il cammino intrapreso da Massimo, portando avanti la sua filosofia e facendo crescere l’impresa attraverso l’acquisizione di un’azienda agricola con agriturismo sulle colline di Sasso Marconi, con oltre 90 ettari di boschi, pascoli, orto e allevamenti, avviando un macello e dei laboratori per la lavorazione delle carni fresche al servizio dell’alta ristorazione di tutta Italia e dei privati e dando vita ad un salumificio artigianale e diversi punti vendita, sia nell’area metropolitana bolognese sia nel cuore del capoluogo emiliano.
Dopo i traguardi raggiunti in questi anni, ora la famiglia Zivieri è pronta ad affrontare una nuova sfida: aprire, all’interno degli spazi dello storico ristorante Pappagallo di Bologna, un nuovo ristorante con bottega di vendita di carni e salumi artigianali a marchio Zivieri grazie ad un progetto di equity crowdfunding. Come e perché ha inizio questo nuovo capitolo della storia del Gruppo ce lo racconta l’Amministra-
tore Unico Aldo Zivieri: «Nasce dalla volontà di riunire tutte le nostre attività sotto un’unica struttura. Fino a qualche tempo fa, infatti, partecipavamo alla quota societaria di Fattoria Zivieri con altri soci. Dopo questi anni di lavoro insieme, e un investimento importante di oltre 5 milioni di euro, abbiamo capito che la Fattoria non può esistere senza un collegamento diretto con la Macelleria Zivieri, perché in Fattoria c’è l’inizio e la fine della nostra filiera. Ci sono gli allevamenti dei bovini e quello degli ovini per la produzione di latte e formaggi, l’orto, l’agriturismo col ristorante e le camere. Nel mezzo ci sono la nostra macelleria, il macello di Valsamoggia, i laboratori, lo stabilimento di trasformazione di Zola Pedrosa con annesso punto vendita. Oltre alla nostra filiera della selvaggina, di cui oggi siamo leader nella produzione e commercializzazione in Italia. Attività che ci permettono di vantare una filiera 100% di Macelleria Zivieri, gestita direttamente da noi: il nostro grande punto di forza e distintività.
A fronte di tutto questo, quindi, abbiamo deciso di rilevare le quote della Fattoria. Nel mentre, siamo entrati in contatto con la proprietà che gestisce lo stabile dove prima c’era il ristorante Pappagallo con cui abbiamo condiviso di sviluppare un’attività ristorativa e di vendita in uno dei punti più storici e caratteristici di Bologna e abbiamo pensato che fosse la strada giusta da intraprendere per scrivere un altro capitolo della nostra storia».
Il Gruppo non è nuovo alla gestione di attività ristorative. Per diversi anni ha gestito due innovative macellerie con cucina nel capoluogo emiliano: RoManzo, nel cuore dello storico Mercato di Mezzo, e il Teatro della Carne, all’interno di FICO Eataly World. Partendo da questa esperienza, la famiglia Zivieri ha deciso di tornare in centro a Bologna. «Il ritorno — dice Aldo — è dovuto alla conoscenza del mercato e alla possibilità di poter contare su una clientela già sviluppata, che ci fa credere che i nostri prodotti, la nostra filiera, la visione di un allevamento etico e un prodotto sostenibile possano essere in grado di soddisfare anche chi da questi concetti si sta allontanando a causa della standardizzazione generale del mercato».
Corner “veloci” a Bologna e Modena
Oltre all’apertura della macelleria e del ristorante in centro a Bologna, il progetto di espansione finanziato dal crowdfunding e il relativo business plan prevedono anche l’apertura di due corner “veloci”: piccoli spazi in cui saranno somministrati i salumi, gli hamburger e alcuni tagli di selvaggina della filiera Zivieri, oltre alla vendita della carne. L’apertura di un corner è in programma a Bologna, nella zona di Via Mazzini, l’altra a Modena, città di origine della famiglia Zivieri in cui il Gruppo, negli anni, ha instaurato importanti collaborazioni commerciali che hanno permesso di far conoscere il marchio. «Questo ci fa presupporre — afferma Zivieri — che un corner possa dare un ulteriore sviluppo al brand mentre i clienti potranno gustare più facilmente i nostri prodotti».
Dall’equity crowdfunding nuove relazioni e conoscenze Nel ristorante che vedrà la luce la prossima primavera, naturalmente, verranno utilizzate le carni della filiera Zivieri e i prodotti di Fattoria Zivieri: da quelli lattiero-caseari alle verdure alla frutta coltivati nell’azienda agricola. Ma questa non è l’unica nota positiva del progetto, che risulta interessante e innovativo per le sue modalità di realizzazione e organizzazione. Il punto di partenza, infatti, è l’equity crowdfunding, da cui nascerà il Club Zivieri
«Quando si è prospettata la possibilità di aprire il ristorante in centro a Bologna mi sono chiesto quale fosse lo strumento migliore per realizzarlo» racconta Zivieri. «Poiché mi sono occupato per tanti anni di gestione dei patrimoni, anziché preferire il classico sostegno all’investimento attraverso il debito bancario, ho iniziato a valutare quali potevano essere le soluzioni che potessero portare la nostra azienda, fortemente legata al concetto di famiglia, ad aprirsi a un possibile coinvolgimento di soci sul mercato.
Per oltre un anno con i miei consulenti abbiamo studiato il progetto di crowdfunding, che ci ha portati ad avviare una campagna lo scorso 6 novembre (che si conclude il 3 dicembre)». C’è un aspetto, in particolare, di questo nuovo
capitolo che entusiasma Aldo Zivieri: la possibilità di mettere in relazione tanti piccoli-medi investitori per farli crescere in termini di esperienza, conoscenza, capacità, sinergie. «La nostra realtà — fa notare — ha avuto sempre come tratto distintivo quello di cercare strade non ancora percorse. Lo ha fatto Massimo parlando di tracciabilità nel lontano 1987 e, successivamente, quando ha avviato un suo allevamento di suini allo stato brado. Anche dopo la sua scomparsa abbiamo voluto seguire la strada tracciata, sviluppando la filiera della selvaggina, seguendo un allevamento incentrato sul benessere animale, avviando un’attività di commercializzazione a supporto dei nostri prodotti e un’azienda agricola visitabile tutti i giorni. Questa volta abbiamo puntato sul crowdfunding non solo per ottenere capitali, ma, soprattutto, per lavorare con nuovi soci che facciano crescere le conoscenze, le sfide, le possibilità del Gruppo. Non siamo certo i primi a farlo, ma credo che questa formula sia per le PMI una nuova opportunità di crescita, che permette di migliorare efficienza e potenzialità».
Club Zivieri, generatore di sinergie
Chi investe nell’equity crowdfunding diventa, di fatto, socio della macelleria, con opportunità e diritti diversi in base alla somma investita, ma tutti gli investitori potranno godere nel tempo dei risultati che il progetto otterrà ed entrare a far parte del Club Zivieri, che è, a tutti gli effetti, una costola del progetto di
crowdfunding: un contenitore all’interno del quale si possono creare relazione sociali e sinergie, anche imprenditoriali. «Tutto questo — afferma Zivieri — non ci fa paura. Anzi, siamo entusiasti che centinaia di persone possano darci dei consigli. La linea guida del gruppo resta fortemente nelle mani della famiglia, ma riteniamo che la presunzione di essere i migliori sia molto meno interessante della volontà di aprirsi ad un mondo e a persone che apprezzano ciò che facciamo e le nostre scelte». Obiettivo del Club Zivieri, infatti, è proprio quello di creare tante occasioni per far conoscere ai soci i prodotti della macelleria, ma soprattutto far interagire gli “investitori” tra loro. Uno dei benefit previsti è la partecipazione a “Chef… al Massimo”, la kermesse culinaria in memoria di Massimo Zivieri, che la famiglia organizza dal settembre 2009 (chefalmassimo.it).
Grandi ambizioni, con le persone sempre al centro La nuova sfida intrapresa dal Gruppo Zivieri implica delle evoluzioni dal punto di vista strutturale e operativo. «L’azienda — dichiara Zivieri — perde la sua dimensione prettamente familiare per entrare in una nuova era, quella in cui la famiglia, pur restando al comando, si apre al mercato e alle opportunità che potranno nascere dalle nuove sinergie. Dall’altro lato, potremo consolidare il rapporto con la clientela attuale, svilupparne di nuova e contare su un’importante visibilità in pieno centro a Bologna, oltre a fortificare l’attività in fattoria
affinché diventi sempre più un bacino di conoscenza. A tutto ciò si aggiunge la possibilità di sviluppare un servizio di commercializzazione e vendita dei nostri prodotti negli agriturismi, che li potranno acquistare direttamente da noi e somministrare all’interno della loro attività perché prodotti da un’azienda agricola che vanta una filiera certificata. Le regole, infatti, prevedono che l’80% dei prodotti presenti in agriturismo provenga da produzione propria o da un acquisto diretto da azienda agricola».
In questo percorso di crescita ed evoluzione, per la famiglia Zivieri restano sempre centrali le persone. «Il Gruppo è cresciuto con le nostre idee, ma anche grazie alla fidelizzazione dei collaboratori. Massimo era da solo, supportato da mamma, papà e nostro fratello Stefano. Oggi contiamo 50 collaboratori, a cui presto si aggiungeranno altre 20-25 persone con l’apertura del ristorante e della macelleria in centro a Bologna. La forza di un Gruppo come il nostro è data anche dalla condivisione, soddisfazione e fedeltà che hanno i collaboratori verso l’azienda. Continueremo quindi a credere nelle persone e a investire nella loro formazione, perché stiamo costruendo una struttura artigianale, dove l’uomo è ancora presente e importante, e perché riteniamo che i collaboratori entrino nel bilancio aziendale come costi, ma in realtà sono il valore aggiunto di un’azienda».
Veronica Fumarola
>> Link: macelleriazivieri.it www.fattoriazivieri.it
Criocabin, i suoi primi 40 anni
UNIONE E VISIONE DEL FUTURO FANNO SEMPRE LA FORZA
di Elena Benedetti
In un contesto di mercato spesso complesso e in continua evoluzione, le imprese del nostro Paese, pilastro dell’economia nazionale, hanno dimostrato una straordinaria capacità di adattarsi ai
cambiamenti, preservando la propria identità e puntando su valori forti come la qualità, l’innovazione tecnologica e l’estro creativo. Nata come produttore di celle frigorifere, CriocabinSpa, azienda padovana leader nel design e nella
produzione di banchi per la refrigerazione che recentemente ha festeggiato i suoi “primi” 40 anni di attività, è un esempio eccellente di questa capacità di continuità e crescita nel tempo. Nel 1984 LucianoBabetto, un pioniere nel
L’open day Criocabin, nella sede di Praglia di Teolo (PD), riservato a collaboratori, dipendenti con famiglia e amici (photo © Criocabin Spa).
settore della refrigerazione commerciale, fondatore, nel 1965, del rinomato marchio Criosbanc, diede vita insieme al figlio Andrea a Criocabin, un’azienda che ha saputo evolversi costantemente, diventando leader nella progettazione e produzione di soluzioni refrigerate per la Grande Distribuzione e il Food Retail. Uno dei suoi punti di forza? Sicuramente il design innovativo e la capacità di personalizzare i prodotti in base alle esigenze dei clienti.
Tra specializzazione, sostenibilità e design
Tra i vari passaggi che hanno caratterizzato la crescita di Criocabin ricordiamo, nel 2000, l’acquisizione da parte dell’azienda padovana di Creative con la conseguente specializzazione nella produzione di banchi refrigerati che oggi costituiscono l’80% della sua produzione. «Nel 2007 abbiamo rivoluzionato il settore introducendo i banchi a vetri dritti e, nel 2010, abbiamo lanciato una gamma innovativa di murali self service per le piccole e medie superfici» precisa Andrea Babetto. Nel 2014 si è completata la messa a punto del sistema di refrigerazione G-Concept, progettato specificamente per la carne e diventato un best seller nei Paesi del Nord Europa e in Italia. Questo sistema assicura un’ideale conservazione della carne, con un calo di peso significativamente inferiore rispetto ai normali banchi ventilati, portando ad un risparmio annuale medio di 9.000 euro per i macellai. Inoltre, la tecnologia G-Concept permette alla carne di rimanere esposta durante la notte senza problemi, risparmiando fino a 720 ore di lavoro ogni anno.
«Nel difficile contesto dell’agosto 2020, abbiamo avviato un gruppo di lavoro per mettere a frutto l’esperienza accumulata negli anni, ascoltando i bisogni espressi dai clienti da tutto il mondo, frutto di viaggi in tutti i continenti. Da questa iniziativa è nato MAX, lanciato a Euroshop nel 2023. MAX rappresenta una soluzione innovativa che semplifica tutti gli aspetti, dalla produzione alla installazione, fino all’utilizzo e alla manutenzione. È una nuova concezione di esposizione e refrigerazione che risponde alle esigenze attuali del mercato» ha ricordato Babetto.
In alto: in 40 anni di attività Criocabin è cresciuta, ha innovato e anticipato i cambiamenti del mercato, mantenendo sempre in primo piano i valori fondamentali di design, made in Italy, innovazione tecnologica e impegno per il miglioramento continuo. In foto, Andrea Babetto con Barbara Caron, responsabile marketing, e un rappresentante della Croce Rossa. In basso: uno scatto nel corso della visita allo stabilimento da parte delle famiglie dei dipendenti. «Abbiamo voluto far vedere ai tanti bambini presenti all’open day dove passano le giornate le loro mamme e i loro papà» commenta Barbara Caron (photo © Criocabin Spa).
Una festa per la comunità Criocabin
Il 20 settembre scorso, nella sede di Praglia di Teolo (PD), Andrea Babetto ha celebrato questo importante traguardo in un open day riservato ai collaboratori, ai dipendenti con le loro famiglie e agli amici, «onorando lo spirito di squadra che ci contraddistingue e riflettendo con
orgoglio su quanto abbiamo realizzato» ha sottolineato Babetto. «L’evento è stato un momento per aprire le porte della nostra azienda e mostrare come nasce un prodotto Criocabin, dal processo di ideazione quotidiana dei nostri designer in ufficio tecnico, ai macchinari e alle tecnologie intelligenti presenti in azienda che, grazie alla programmazione dei
Il regalo più bello? Un MAX firmato dai dipendenti per Andrea Babetto (photo
nostri operatori altamente qualificati, realizzano tagli e pezzi precisissimi che verranno poi assemblati manualmente in fase di montaggio del banco» ha ricordato BarbaraCaron, responsabile marketing di Criocabin. «Fino ad arrivare al nostro showroom che, proprio come nei concept store che realizziamo nel mondo, è suddiviso nelle varie aree di destinazione d’uso dei nostri prodotti tra cui Meat & Deli, GDO & Promotion, Cheese area, Unique Custom Made». «La nostra comunità è stata essenziale per il nostro successo» ha rimarcato Andrea Babetto. «Con gratitudine, quindi, ringraziamo i dipendenti, i clienti e i partner che ci hanno sostenuto e che continuano a farlo in questo viaggio. Insieme, abbiamo costruito una strada importante di evoluzione nel settore della refrigerazione commerciale tailor made e siamo entusiasti di proseguire nella scrittura della nostra storia nei prossimi anni».
Progetti e allestimenti iconici
«Negli anni la nostra continua evoluzione ed espansione ci ha permesso di realizzare progetti sempre più com-
plessi e sofisticati, diventati riferimenti iconici di ciò che Criocabin è in grado di realizzare.
Parliamo di progetti prestigiosi come Harry’s Table by Cipriani a New York, in cui il Martin Brudnizki Design Studio ha scelto il made in Italy dei nostri banchi per creare un’esperienza culinaria ispirata al glamour italiano degli anni ‘50. Ancora, nel mondo della pasticceria, i banchi cioccolateria Epsilon Dual Technology sono stati realizzati totalmente su misura per l’apertura della Chocolate Hall di Harrods a Londra e per altre referenze prestigiose come Fortnum & Mason e Peggy Porschen» ha aggiunto Barbara Caron.
«Nel settore della macelleria Criocabin è leader e viene scelto da nomi importanti in questo settore in Italia e all’estero. Abbiamo realizzato diversi progetti per il famoso macellaioimprenditore Nusret Gökçe, più noto come Salt Bae, che ha aperto ristoranti in tutto il mondo. La prima boutique di carne del nostro paese, aperta da Pantano Carni a Forte dei Marmi (LU), è all’insegna del su misura e porta la firma dei prodotti Criocabin».
Nelle aziende oggi non basta la solidità. Servono visione di lungo periodo e capacità di anticipare i desideri e le necessità di un mercato sempre più esigente. Le imprese italiane come Criocabin hanno saputo far leva su un patrimonio di sapere dove inventiva e estro stilistico, elementi distintivi del made in Italy, sono combinati con tecnologie d’avanguardia e una cura meticolosa per i dettagli. Il tutto con l’attenzione al benessere aziendale e la condivisione di successi e traguardi. Questo quarantesimo ne è la dimostrazione.
Elena Benedetti
Criocabin Spa
Via S. Benedetto 40/A 35037 Praglia di Teolo (PD) Telefono: 049 9909122
E-mail: info@criocabin.com Web: www.criocabin.com
Genesis, per tutti i gusti e prodotti
La cella Genesis, fiore all’occhiello di Criocabin. Concepita per rispondere ad ogni necessità dimensionale e costruttiva, anche le più complesse, questo modello, unico nel suo genere, ha rappresentato la chiave del successo dell’azienda padovana negli anni, senza concorrenti realmente equivalenti sul mercato. Ogni pannello della gamma Genesis è realizzato con una struttura all’avanguardia. Il bordo contenitivo è composto da un profilo estruso in plastica che risponde a tre esigenze fondamentali: mantenere unite le lamiere, facilitare l’allineamento dei pannelli tramite allineatori e garantire una tenuta stagna grazie a due “baffi” di plastica morbida in grado di compensare le dilatazioni. La cella Genesis è ancora oggi ineguagliabile e personalizzabile in termini di forma, altezza e dimensione. Grazie alla sua versatilità, è ideale per la conservazione di carne, vino, salumi e formaggi.
EDB, viva le carni frollate! Focalizzandosi sul mondo della carne, l’ufficio tecnico di Criocabin nel 2017 ha ideato l’EDB, un espositore per la frollatura che garantisce un processo di maturazione ideale e un’elegante esposizione del prodotto. Costruito interamente in vetrocamera serigrafato “all black”, l’EDB è diventato un elemento imprescindibile per le macellerie all’avanguardia e i ristoranti dal design moderno.
L’arte della salumeria di Simonini incontra la competenza informatica di CSB-System
La storia salumiera della famiglia Simonini, di Salumi Simonini (salumisimonini.it), ha radici lontane ed è cresciuta nel tempo coniugando la maestria artigianale trentina con le evoluzioni delle tendenze di consumo. Oggi l’antica macelleria, con i suoi 30 dipendenti
ed un fatturato di 9.000.000 euro, ha raggiunto una dimensione industriale: sistemi avanzati di produzione si affiancano a procedimenti manuali perché «la cura artigianale nella lavorazione della carne è rimasta invariata» afferma con soddisfazione Grazia Bertè, COO dell’azienda trentina di Ala (TN).
La qualità nelle scelte «Nel 2008 abbiamo cominciato un grande processo di rinnovamento aziendale — prosegue Grazia Bertè — con l’acquisto di macchinari sempre più performanti e con l’efficientamento di ogni segmento aziendale. Un’evoluzione che è stata possibile solo grazie alla
passione e alla profonda conoscenza del mestiere, delle materie prime e dei processi di trasformazione della carne sia da parte del nostro personale specializzato che dei nostri partner. E, a proposito di partner, avevamo bisogno di un software che semplificasse il conseguimento dei nostri obiettivi: sicurezza e controllo alimentare, trasparenza della filiera, servizio al cliente e controllo dei costi. Dopo attente valutazioni abbiamo scelto l’ERP CSB-System. Ci ha convinti la loro dettagliata conoscenza del settore carne».
Il software, infatti, è già configurato secondo le best practice del settore e Simonini lo utilizza per gestire gli acquisti di carne e componenti di alta qualità, la produzione con distinte base e ricette coadiuvata da 3 CSB Racks, lo stoccaggio e le movimentazioni del magazzino, il controllo qualità, le vendite con calcolo di incentivi, provvigioni e premi di fine anno, l’evasione degli ordini e la contabilità generale e industriale per sfruttare al massimo i vantaggi di un software integrato, senza doppi inserimenti e limitando le possibilità di errore. In qualsiasi momento la direzione potrà avere dati aggiornati sulle giacenze di materie prime, sui prodotti finiti, sugli imballi, sullo stato di avanzamento della produzione. Tutto questo anche grazie a statistiche ed indici forniti dal gestionale, quali l’efficienza di reparto o i margini sui clienti.
La qualità nei prodotti
Nell’azienda trentina l’attenzione per la sicurezza alimentare è elevatissima. All’arrivo, ogni articolo viene controllato e lottizzato per essere sempre tracciabile durante tutte le fasi produttive e di commercializzazione. Nello specifico, una volta definiti i cosiddetti Critical Control Points, le informazioni sono inserite, registrate e analizzate on-line nel CSBSystem, senza soluzione di continuità. Allo stesso tempo, il Sistema Informativo Lotti di CSB-System assicura la gestione dei dati di provenienza e produzione secondo gli standard europei. Tutte qualità, queste, che hanno permesso a Simonini il conseguimento di prestigiose certifi cazioni alimentari come IFS (International Food Standard) e DTP108 SENZA GLUTINE di CSQA
La qualità nel servizio al cliente
Fondendo l’antico “saper fare” del territorio trentino a un processo industriale all’avanguardia, Simonini offre una grande varietà di prodotti per rispondere alle esigenze della sua variegata clientela. «Operiamo sia con la GDO che con il retail e i grossisti e gestiamo quasi 100 referenze tra prodotti freschi,
Il consumatore è oggi più consapevole delle proprie scelte alimentari, attento a salute, territorialità e genuinità dei prodotti. In una parola, qualità al posto di quantità. «A questa evoluzione rispondiamo nell’unico modo che conosciamo: lavorando con responsabilità, trasparenza e innovazione. E scegliamo partner che condividano questi valori»
Caricamento ordine di produzione gestito con CSB-System.
cotti, stufati, stagionati e specialità trentine, a marchio proprio e private label. A ciascun cliente dedichiamo la massima attenzione.
Siamo attrezzati per ampliare la gamma prodotti e soddisfare ordini minimi e speciali oppure ordini più consistenti, con puntualità e precisione» spiega Daniele Simonini, CEO e quarta generazione alla guida dell’azienda. «Lo scambio di documenti coi nostri partner commerciali — prosegue — è automatico e avviene attraverso EDI di CSB-System. Le quattro linee di pesoprezzatura gestite tramite il CSB-System ci assicurano la massima trasparenza nella commercializzazione della carne, inserendo tutte le informazioni previste dalle normative vigenti».
L’ERP CSB-System amministra centralmente le anagrafiche a bordo macchina, i layout di stampa personalizzati per cliente, l’etichettatura promozionale o neutra, i diversi impegni per linea, i prezzi di vendita al pubblico. «Massimizziamo le performance, minimizzando i cambi articoli e gli allestimenti
macchina» continua Daniele Simonini. «Lavoriamo su tempistica e flessibilità, per garantire ogni giorno la consegna dei nostri prodotti».
Un ulteriore aiuto è dato dalla pianificazione giri di CSB-System, una soluzione integrata che sfrutta i potenziali di ottimizzazione per quanto riguarda itinerari, ripartizione, peso e volume di carico nonché impiego di personale e mezzi, con lo scopo di ridurre i costi e di aumentare l’affidabilità di consegna. L’idea di fondo della gestione giri è di definire tutti gli avvenimenti necessari per ottenere la perfetta gestione dell’ordine e di controllarli in sequenza.
Cogliere le sfide del futuro Il consumatore è oggi sempre più consapevole delle proprie scelte alimentari. È cresciuta l’attenzione alla salute, ai temi etici, alla territorialità e alla genuinità dei prodotti. Alla quantità, si sostituisce la qualità. «A questa evoluzione del mercato noi rispondiamo nell’unico modo che conosciamo: lavorando sempre con responsabilità, trasparen-
za e innovazione» conclude Grazia Bertè. «E scegliamo solo partner che condividano questi valori». Il gruppo CSB-System è lieto che Simonini abbia scelto il suo ERP, strumento essenziale per la digitalizzazione dell’intera azienda.
Referente:
• Dott. A. MUEHLBERGER
CSB-System Srl
Via del Commercio 3-5
37012 Bussolengo (VR)
Telefono: 045 8905593
Fax: 045 8905586
E-mail: info.it@csb.com
Web: www.csb.com
ANTICA CORTE PALLAVICINA
Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO”
43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com
Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza.
Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.
Le prossime sfide per il settore agroalimentare: sostenibilità e innovazione
IL RUOLO DI TRACK ALIMENTI E TRACK AGRI PER UNA FILIERA TRACCIATA, GREEN E SICURA
Mancano poche settimane all’inizio del 2025 e alla cifra tonda di meno 5 anni al 2030, anno entro cui l’Unione Europea punta a raggiungere obiettivi ambiziosi per la sostenibilità. Il 14 ottobre 2024 l’UE ha anche ribadito il suo impegno a sostenere quelli della Convenzione delle Nazioni Unite sulla biodiversità (CBD) , confermando il target di proteggere il 30% delle terre e degli oceani sempre entro il 2030. L’iniziativa, nota anche come “30x30”, mira a preservare ecosistemi cruciali, migliorare la resilienza climatica e sostenere il benessere umano e naturale. L’obiettivo è non solo conservare la natura ma anche assicurare che le risorse da essa fornite possano continuare a garantire cibo, acqua e aria pulita per le generazioni future.
L’UE sta quindi lavorando per rafforzare le aree protette e promuovere un approccio più sostenibile in settori come l’agricoltura, la pesca e la silvicoltura, integrando l’agenda della biodiversità con altre iniziative come il Green Deal e la strategia Farm to Fork. Entrambi
mirano già infatti a promuovere una transizione ecologica nel settore agroalimentare.
Questi programmi prevedono importanti cambiamenti che coinvolgeranno direttamente le aziende del settore. Il Green Deal punta a rendere l’Europa il primo continente climaticamente neutro entro il 2050 ma, già entro il 2030, si dovrà arrivare ad una riduzione del 50% dell’uso di pesticidi chimici per diminuire l’impatto ambientale dell’agricoltura e proteggere proprio la biodiversità, ad un –50% anche nell’uso di antibiotici negli allevamenti e a destinare il 25% delle terre agricole a coltivazioni biologiche.
Questo lo scenario che va a delinearsi per il futuro, non troppo lontano, del settore agroalimentare: sostenibile, sicuro, sano e tracciato. Ed è in questo contesto che due software come Track Alimenti e Track Agri di Zuffellato Technologies possono essere strumenti che supportano le aziende agroalimentari nella loro transizione verso pratiche più green. I software offrono la possibilità di monitorare ogni fase della filiera
produttiva, dalla coltivazione alla distribuzione. Track Agri permette, tra le altre, di svolgere le funzioni del quaderno di campagna, fornendo informazioni specifiche su:
• consumo e scarico di magazzino dei prodotti impiegati nelle coltivazioni agrarie;
• piano colturale per appezzamento, coltura e varietà, in particolare lavorazioni sul campo e trattamenti fitosanitari impiegati;
• storico e mappatura terreni con definizione delle colture previste o in essere per terreno e relativi costi per appezzamento.
Grazie ad un monitoraggio in tempo reale, con Track Agri è possibile identificare le aree critiche per la riduzione delle sostanze chimiche e garantire pratiche agricole conformi alle normative
Il software contribuisce anche alla gestione del personale, al controllo budget/consuntivo e alla gestione del ciclo di vita della pianta per i vivaisti. Track Agri consente una tracciabilità dalla materia prima in campo fino allo scaffale della GDO, è studiato anche
Track Alimenti è la soluzione gestionale per la tracciabilità di tutte le operazioni di trasformazione e commercializzazione di prodotti alimentari. Permette di gestire l’intero flusso delle informazioni tramite ricette, in cui si tiene traccia di tutti i passaggi dall’arrivo della merce alle fasi di lavorazione alla sua commercializzazione.
per la certificazione dei prodotti alimentari vegani e biologici ed è adatto ad aziende e cooperative agricole, a quelle ortofrutticole, della IV gamma e ai vivaisti.
Track Alimenti è la soluzione gestionale per la tracciabilità di tutte le operazioni di trasformazione e commercializzazione di prodotti alimentari. Permette di gestire l’intero flusso delle informazioni tramite ricette, in cui si tiene traccia di tutti i passaggi dall’arrivo della merce alle fasi di lavorazione alla sua commercializzazione. Il software contribuisce alla pianificazione della produzione, facendo una mappatura del magazzino e calcolando il fabbisogno. Ogni stadio della lavorazione viene monitorato secondo il disciplinare di qualità in uso.
L’interfacciamento con sistemi wi-fi, a partire dai dispositivi palmari, semplifica le attività di confezionamento ed evasione degli ordini. Il software supporta le aziende nell’ottimizzare i processi di supply-chain, riducendo gli sprechi e migliorando la sostenibilità di tutto il processo produttivo
Attraverso tecnologie avanzate e analisi dei dati, Track Alimenti aiuta le imprese ad ottimizzare l’uso delle ri-
sorse, contribuendo ad una produzione più responsabile, a fornire sempre più informazioni sull’origine dei prodotti ai consumatori e a garantire la conformità agli standard di sicurezza alimentare lungo tutta la filiera.
Grazie alle funzionalità di tracciamento di ogni passaggio produttivo, Track Alimenti è adatto anche per confezionare prodotti bio: il software permette infatti di verificare e certificare la provenienza di ingredienti e alimenti, soddisfacendo i requisiti normativi sulla filiera biologica.
Track Alimenti è assolutamente flessibile e integrato col sistema ERP aziendale, può essere utilizzato per la tracciabilità di componenti e ingredienti impiegati nella lavorazione di pasta, dolci, piatti pronti. In particolare è adatto a molini e pastifici, biscottifici, produttori di mangimi, industrie alimentari, salumifici. A questi ultimi consente di monitorare l’origine di carni, spezie e altri ingredienti, mantenendo un registro completo di tutti i lotti in entrata e in uscita, li aiuta a rispettare i requisiti di sicurezza igienico-sanitaria, registrando temperature di conservazione, pulizia degli impianti e altri parametri critici per prevenire contaminazioni, permette di
seguire in tempo reale ogni fase della produzione, dalla macinatura della carne alla stagionatura dei salumi, archivia automaticamente certificazioni, report di laboratorio e documenti di conformità per supportare il salumificio durante le ispezioni normative e garantire che ogni prodotto sia conforme alle normative europee e nazionali.
Track Agri e Track Alimenti rappresentano un valido alleato per le aziende agroalimentari nel percorso verso una maggiore sostenibilità, trasparenza e qualità, così come richiesto dall’Unione Europea. La capacità di monitorare e analizzare le pratiche produttive permette alle aziende di adattarsi rapidamente alle richieste del mercato e alle normative emergenti, contribuendo così a un sistema alimentare più responsabile e sostenibile.
Con il supporto di software innovativi le imprese saranno meglio posizionate per affrontare le sfide future e rispondere alle esigenze di un consumatore sempre più consapevole.
0532 904711
E-mail: info@zuffellato.com
L’ASCESA DEL GIN NEI CONSUMI DEL FUORI CASA IN ITALIA
Lo sostiene uno studio di CGA by NIQ
Il gin è la terza bevanda più scelta nel fuori casa dopo aperitivi (42%) e amari (34%), consumata oggi dal 16% degli Italiani. Resta salda la posizione nel mercato dei brand britannici e più della degli italiani consuma gin aromatizzati dai gusti più diversi.
Il Gin ha un potenziale che potrebbe portarlo a primeggiare nel mercato del fuori casa italiano. A dirlo è la nuova ricerca di CGA by NIQ (cgastrategy.com), che sottolinea le significative possibilità di crescita della bevanda se combinate all’azione strategica di produttori e fornitori nei confronti dei consumatori, dei canali e delle occasioni di consumo. Ad oggi il Gin Tonic occupa una delle posizioni più alte nella classifica dei cocktail preferiti dagli Italiani, trovandosi al quarto posto dopo Aperol Spritz, Mojito e Campari Spritz. Tuttavia, per guadagnare posizioni, l’innovazione del servizio rappresenta il primo passo per valorizzare la bevanda e garantirne una maggiore attrattiva da parte dei nostri connazionali. Tra queste, in primis, la realizzazione di cocktail che si allineino alla cultura italiana della ristorazione e dell’aperitivo.
Dallo studio di CGA by NIQ emerge inoltre che il 25% dei consumatori di gin considera decisive le raccomandazioni dei baristi nel momento della scelta: i
barman esercitano quindi una certa influenza sui drink ordinati, soprattutto nei locali in cui il gin non è tradizionalmente una delle scelte principali.
Attualmente il gin è scelto, nel fuori casa, da una percentuale di Italiani di poco inferiore rispetto alla media globale — 16% a fronte del 19% — e occupa una posizione più alta in classifica rispetto ad altri alcolici come il rum (14%) e il whisky (12%) mentre segue, in termini di gradimento, aperitivi (42%) e amari (34%). Tra i fattori che ne influenzano l’ordinazione spicca la reputazione del brand, ritenuta fondamentale per il 49% dei consumatori, seguita dalla qualità complessiva del servizio, che si attesta ad un 34%. In base alle tipologie di gin, invece, rimane salda la posizione nel mercato dei brand britannici, mentre un 52% degli Italiani consuma gin aromatizzati dai gusti più diversi (il 28% dei consumatori opta per il limone, il 23% per il lime, il 20% per l’arancia e il 17% per il pompelmo).
Questa bevanda, dapprima ordinata principalmente nei locali notturni,
viene ora riscoperta in altre occasioni di consumo, più rilassate, come i pasti al ristorante, in pizzeria, per gli aperitivi, occasioni in cui il gin viene accompagnato dal cibo.
«Attraverso questa analisi, CGA by NIQ suggerisce le possibilità di crescita di una bevanda che in Italia ha sempre occupato una posizione interessante del mercato senza mai riuscire a imporsi sulla concorrenza» commenta Luca Gerosa, Sales Industry Leader Italia. «Il gin si scontra da anni non solo con drink affermati e amati ma anche con una tradizione tipicamente italiana, che predilige situazioni di ritrovo tranquille e informali, che ben si differenziano dagli ambienti in cui, solitamente, si ordina questa bevanda. Sempre più consumatori, tuttavia, lo stanno scegliendo in contesti che si differenziano da quelli originari: ciò significa che il trend di fruizione sta cambiando, e che il gin può, anche grazie a cambiamenti di marketing e partnership, ambire a occupare un posto ancora più allettante nel mercato italiano».
SIAL 2024
Tendenze, innovazione e un’offerta superlativa di prodotti
di Elena Benedetti
Sono state intense e cariche di contatti e relazioni commerciali le cinque giornate di SIAL Paris 2024, che si è lasciata definitivamente alle spalle i toni più dimessi del post pandemia e che è tornata al centro del mondo agroalimentare internazionale con una ricchissima presenza di espositori e visitatori: sono stati infatti più di 285.000 i professionisti provenienti da tutto il mondo che si
sono confrontati sulle ultime tendenze e innovazioni alimentari. Insieme, hanno esplorato soluzioni per il futuro di fronte alle grandi sfide dell’alimentazione di domani. Noi, come d’abitudine, ci siamo focalizzati sul mitico Padiglione 6, il più bello, dedicato a carni e salumi. Visitandolo in lungo e in largo abbiamo notato un’ampia varietà di alimenti “super proteici” e un netto di calo nell’offerta di “carni vegetali”, in linea
col fatto che questo segmento — almeno in Italia — non è decollato. Insomma, le proteine stanno riscontrando parecchio interesse e la forte attrattività della carne e dei prodotti a base di carne (vera) si è riscontrata nel traffico di visitatori e operatori.
Questa era la 60a edizione di SIAL, ampiamente celebrata al Parc des expositions de Paris-Nord Villepinte. «Questa edizione di SIAL è stata caratterizzata
un’energia eccezionale. Abbiamo provato tutti un grande piacere a riunirci ed è questa atmosfera unica che rende SIAL un evento imperdibile» ha commentato Audrey Ashworth, direttrice di SIAL Paris. «Il salone ha consolidato la sua posizione di leader mondiale nel settore food, con una crescita significativa sia degli espositori che dei visitatori. In cinque giorni ci siamo resi conto di quanto, in un mondo sempre più digitalizzato, il contatto umano e la collaborazione tra start-up e grandi aziende siano fondamentali».
«SIAL Paris 2024 è stato un salone vivace, ottimista e impegnato» ha sottolineato Nicolas Trentesaux, direttore generale di SIAL. «SIAL rafforza così il suo ruolo di leader nel sostenere la transizione alimentare e coinvolgere tutti a diventare attori del cambiamento per affrontare insieme la grande sfida di domani: cibo sano e sostenibile per 10 miliardi di consumatori».
SIAL
Innovation, parole d’ordine: innovare e rinnovare SIAL 2024 ha tenuto a battesimo la presentazione di oltre 400.000 prodotti, ma tra i contenuti più interessanti del salone francese c’è da sempre l’attesissimo concorso SIAL Innovation, l’osservatorio globale sull’innovazione alimentare gestito in collaborazione con Protéines XTC, che ogni due anni esamina diverse migliaia di domande presentate dagli espositori del salone. L’industria agroalimentare mondiale si sta reinventando per rispondere alle sfide attuali e alle aspettative dei consumatori, sviluppando prodotti innovativi e più sani con nuovi ingredienti e imballaggi. SIAL Paris premia queste innovazioni attraverso una ventina di premi tematici per categoria (prodotti lattiero-caseari, frutti di mare, surgelati, ecc…), oltre a premi speciali come gli Own the Change (CSR), i premi Start-up e i Public’s Choice. Questa edizione ha
previsto nuovi premi speciali come i Top 3 Countries Awards, per la scelta delle nazioni che hanno offerto i prodotti più innovativi, e gli Africa Awards
SIAL Insights e i nuovi trend di consumo
SIAL Insights è uno studio esclusivo realizzato dal salone in collaborazione con i suoi partner, che ha l’obiettivo di analizzare le aspettative dei consumatori e le tendenze dell'innovazione alimentare, della ristorazione fuori casa e del retail su scala globale. Attraverso questo studio, SIAL Paris condivide con gli operatori le principali tendenze del 2024 e intende anche sensibilizzare i consumatori di tutto il mondo a diventare attori impegnati. I risultati sottolineano l’importanza centrale del food nella nostra vita e si basano su tre pilastri principali: emozione (il piacere prima di tutto, la ricerca di sapori potenti), connessione (il ritorno in forze della
Tutti i numeri di SIAL Paris 2024
• 400.000 prodotti esposti
• 7.500 espositori
• 205 Paesi rappresentati
• 11 padiglioni
• 10 settori merceologici
• 285.000 operatori professionali (dei quali il 75% proveniente dall’estero)
• 100+ delegazioni ufficiali estere
• 650 start-up
• 8.000 top buyer
• 200 contatti fatti in medi per espositore
• 83% percentuale di buyer che hanno siglato acquisti in fiera
Il ricco stand della San Vincenzo
Salumi di Spezzano Piccolo
Casali del Manco (CS). L’azienda calabrese ha portato a Parigi salumi prodotti e stagionati tra le montagne della Sila.
Il Consorzio del Prosciutto di Parma tra i protagonisti di SIAL Paris
Al SIAL di Parigi il Consorzio del Prosciutto di Parma ha messo a disposizione dei propri associati un ampio spazio in cui organizzare incontri con clienti e ospiti, una sorta di quartier generale al servizio delle proprie aziende, dominato dall’iconica esposizione di Prosciutti di Parma. «SIAL è un palcoscenico internazionale imprescindibile per un prodotto d’eccellenza come il nostro. Consolidare il dialogo e lo scambio con gli operatori degli altri Paesi si conferma per noi di estrema importanza, anche nell’ottica di rafforzare la nostra presenza nei mercati esteri e di favorire lo sviluppo di nuovi canali di vendita, con un’attenzione particolare ai consumi fuori casa», ha commenta Alessandro Utini, presidente del Consorzio del Prosciutto di Parma. L’export del Prosciutto di Parma mantiene un ruolo di assoluto rilievo per l’economia del comparto: il 2023 ha infatti visto circa 2 milioni e mezzo di Prosciutti di Parma lasciare l’Italia per raggiungere le tavole di tutto il mondo. «SIAL giunge, come sempre, in un periodo dell’anno particolarmente strategico, poiché ci permette di tracciare, con i nostri partner commerciali, il bilancio del 2024 e, al tempo stesso, di iniziare a pianificare le attività per il 2025. Anche lo scorso anno un terzo dei Prosciutti di Parma prodotti è stato destinato all’estero: un risultato di questo tipo è frutto di un lavoro assiduo portato avanti negli anni e su cui abbiamo intenzione di continuare ad investire importanti risorse ed energie. Con questo spirito e questi obiettivi partecipiamo nuovamente a questa manifestazione a cui siamo particolarmente legati», ha sottolineato Utini (fonte: EFA News – European Food Agency).
Ferrarini lancia al SIAL la linea di cubettati “Quel tocco in più”
Innovazione e internazionalità: sono queste le coordinate che hanno mosso la partecipazione di Ferrarini al SIAL di Parigi. Un avvenimento speciale, in quanto segna la prima presenza del brand alla manifestazione, che quest’anno è giunta alla sua sessantesima edizione, la più grande di sempre, dal titolo Own the Change: un ulteriore segno della spinta all’internazionalizzazione di Ferrarini, che fa seguito alla partecipazione ad Alimentaria a Barcellona lo scorso marzo e alle diverse iniziative svolte negli Stati Uniti, a conferma della crescente presenza nel mercato estero.
Per questo motivo, il SIAL ha rappresentato la cornice ideale per il lancio della nuova linea di ingredienti “Quel tocco in più”: una ricca gamma di salumi a cubetti e petali, in confezione da 100 grammi, che segna l’apertura del brand verso un modello di consumo comodo e agile, grazie ad un prodotto estremamente versatile. La linea “Quel tocco in più” sarà disponibile, con un packaging moderno progettato per valorizzare il prodotto all’interno, per sei referenze: pancetta dolce, pancetta affumicata, pancetta piccante, guanciale, prosciutto cotto e petto di tacchino arrosto.
«Siamo orgogliosi di debuttare quest’anno al Salone Internazionale dell’Alimentazione», ha dichiarato Claudio Rizzi, direttore marketing di Ferrarini. «La partecipazione ad una manifestazione così prestigiosa riflette le ambizioni dell’azienda, che grazie all’ingresso nel Gruppo Pini e anche agli importanti investimenti fatti e a quelli futuri, segue un percorso di sviluppo caratterizzato da una forte impronta internazionale e dall’attenzione all’innovazione e alla ricerca. Il prodotto che presentiamo risponde infatti alle tendenze di consumo emergenti, che studiamo costantemente per soddisfare le nuove e più ampie preferenze dei consumatori».
Lo stand del Consorzio del Prosciutto di Parma, durante i quattro giorni di fiera, è stato luogo d’incontro e di confronto fra le aziende produttrici di Prosciutto di Parma e i clienti italiani e internazionali.
Meat Japan ha portato al SIAL Paris tante novità di prodotto, diversi tagli, tra cui lo Steak cut, i prodotti surgelati per l’Ho. re.ca. comprendenti hamburger di Wagyu, spiedini per yakitori e ravioli gyoza, Juku, il primo Wagyu sostenibile, vincitore della Medaglia d’oro al World Steak Challenge 2024, il Ginkakuji Onishi Wagyu e la linea esclusiva di Charcuterie di Wagyu giapponese. Allo stand, i tre soci Paolo Tucci, Salvatore Di Mento e Hideki Onishi con tutto lo staff.
convivialità dopo la pausa forzata della pandemia) e attenzione (il nostro rapporto con il cibo per prenderci cura di noi stessi, degli altri, del pianeta).
SIAL Insights nasce dalla sinergia tra lo studio food 360™ realizzato da Kantar ogni due anni per il SIAL, il barometro globale dell’innovazione di ProtéinesXTC e l’analisi sulle tendenze del consumo di massa e della ristorazione fuori casa realizzato da CIRCANA A causa delle continue interruzioni dell’approvvigionamento in un contesto geopolitico instabile, l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari ha raggiunto i massimi storici negli ultimi due anni, spesso superando i tassi d’inflazione complessivi. Di conseguenza, la spesa alimentare è in aumento, anche nel settore della ristorazione. Se da un lato c’è stata un’impennata della spesa, c’è stato anche un calo generale dei volumi, con il ridimensionamento che è diventato un modo per preservare il potere d’acquisto, insieme a carrelli più piccoli e il passaggio a marche/ negozi. In un contesto in cui la nostra transizione alimentare è messa in discussione dall’aumento del costo della vita, il settore si trova ora ad affrontare un’equazione ancora più complessa di prima, in cui la questione dei prezzi rimane centrale.
SIAL Paris, con l’aiuto dei partner, ha anche pubblicato uno studio sull’open innovation nell’industria alimentare, rivelando le numerose sfide e i vantaggi di questo approccio collaborativo. Lo studio evidenzia il ruolo cruciale che le strutture giovani e agili svolgono nell’accelerare l’innovazione: non a caso il Villaggio delle Start-up quest’anno ha raddoppiato la sua superficie espositiva rispetto all’edizione precedente, diventando il cuore pulsante della manifestazione, simbolo dell’ascesa delle giovani imprese nella trasformazione del settore alimentare.
Elena Benedetti
Prossima edizione
SIAL Paris 2026 17-21 ottobre sialparis.com
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Tuttofood Milano ridefinisce il calendario fieristico del food
Al termine della seconda giornata di SIAL Paris, si è svolta la presentazione ufficiale del nuovo Tuttofood 2025 (tuttofood.it) targato Fiere di Parma, in programma a Milano dal 5 all’8 maggio prossimi. Dalla suggestiva terrazza dell’Automobile Club di Parigi, a due passi dalla piramide del Louvre, l’AD di Fiere di Parma Antonio Cellie ha dichiarato: «Sono certo che, anche grazie alla partnership con Koelnmesse, Tuttofood già dal 2025 si affermerà come appuntamento chiave del calendario internazionale delle fiere del food». Da oggi diventa ufficiale la nuova programmazione di Tuttofood Milano: dopo l’edizione di maggio 2025, che segnerà il debutto del nuovo format internazionale, Tuttofood si sposterà negli anni pari, e dunque a maggio 2026 (11-14) e maggio 2028, così da alternarsi con l’Anuga di Colonia, la più grande fiera europea B2B dedicata al mondo del food e, sul piano nazionale, con Cibus Parma, oggi più che mai casa del made in Italy agroalimentare e dei suoi territori. «Tuttofood sarà la piattaforma privilegiata di promozione dei nuovi modelli di produzione e consumo responsabili. In fiera sarà possibile scoprire e toccare con mano le nuove tendenze, i processi produttivi più avanzati ed i prodotti più contemporanei alla domanda dei prossimi anni. Il nostro obiettivo è supportare e promuovere il cibo di qualità e renderlo disponibile, tramite retailers e distributori, ai consumatori di tutto il mondo».
Alla serata è intervenuto anche Thomas Rosolia, AD di Koelnmesse Italia e presidente di Koeln Parma Exhibitions, secondo il quale il progetto Tuttofood 2025 «è riuscito ad intercettare le reali esigenze delle imprese, mettendo loro a disposizione una piattaforma unica di business e networking. Ne è la dimostrazione l’adesione di numerose aziende e collettive internazionali provenienti da 30 Paesi del mondo, particolarmente interessate anche alla Tuttofood Week, anch’essa un unicum nel panorama fieristico internazionale».
Gli oltre 150.000 m2 di spazio espositivo Rho Fiera si amplieranno andando ad abbracciare l’intera area metropolitana di Milano grazie alla concomitante Tuttofood Week, che già dalla settimana precedente (3-8 maggio), in collaborazione con Mondadori, promoverà una rassegna itinerante tra luoghi iconici della città, tra food show, tavole rotonde, eventi serali, degustazioni guidate, percorsi di mostra e rassegne cinematografiche, con una previsione di afflusso superiore ai 500.000 accessi (fonte: EFA News – European Food Agency).
PROSPETTIVE DEL BIO
Aspettando SANA Food 2025
Cresce il peso del biologico all’interno del settore agroalimentare, aumentano i prodotti bio nell’offerta del canale HO RE CA. e l’attenzione dei consumatori verso cibi e ingredienti considerati più sani. Sono queste le evidenze rilevate negli ultimi anni da NOMISMA analizzando il mercato biologico italiano, uno dei fiori all’occhiello del made in Italy
Per fare il punto sul ruolo del bio in vista di SANA Food, manifestazione che si terrà in una veste rinnovata nel
quartiere fieristico di Bologna dal 23 al 25 febbraio 2025, NOMISMA AGRICOLTURA ha intervistato Evita Gandini, responsabile Market Insight Nomisma. «Sul posizionamento del biologico sui mercati italiani e stranieri Nomisma ha iniziato a raccogliere dati nel 2012. Registrando una crescita costante» spiega Evita Gandini. «Basti considerare che oggi il bio vale quasi 5,5 miliardi di euro sul mercato italiano e 3,6 miliardi di euro sui mercati internazionali, con un incremento del 9% nel primo caso e dell’8% nel secondo, dati registrati nel
2023 sull’anno precedente. E sull’export emerge un balzo a tre cifre: +203% la variazione 2023-2012. Numeri che certificano la crescente rilevanza del prodotto bio nell’agroalimentare. Per quanto riguarda, invece, l’incidenza sul totale, possiamo esaminare cosa accade nel canale della distribuzione moderna (solo iper e supermercati), dove il bio pesa il 3,2% sul carrello della spesa delle famiglie, con un aumento negli ultimi dieci anni di un punto percentuale». Analizzando nello specifico i dati della GDO è, inoltre, possibile cono-
L’evoluzione nei consumi e nei trend di settore si traduce in una nuova concezione di manifestazione fieristica: da fiera di prodotto, SANA diventa fiera di canale, creando il format SANA Food, dedicato esclusivamente al mondo dell’alimentazione.
SANA Food propone alle aziende del bio e della sana alimentazione target profilati di visitatori nazionali e internazionali in rappresentanza dei settori dell’Ho.re.ca, dei negozi specializzati e dei distributori
I dati di mercato rivelano un’impennata della domanda di prodotti plant based, free from, rich in, DOP, IGP e STG, guidata da una crescente consapevolezza dell’impatto ambientale della produzione alimentare. Nella proposta espositiva di SANA Food, questi prodotti si affiancano al biologico, da 36 anni cuore pulsante di SANA, per offrire al pubblico professionale un’esperienza di visita e opportunità di business più articolate e in sintonia con le tendenze di mercato. Ciò anche grazie alla contemporaneità con Slow Wine Fair, con cui
SANA Food condivide valori, filosofia e il visitatore specializzato del mondo Ho.re.ca
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scere quali sono i prodotti biologici più apprezzati dai consumatori. «Nella top 10 dei più venduti troviamo uova, gallette, confetture spalmabili a base di frutta, sostituti del latte e olio extra vergine di oliva. Queste sono le macro categorie principali, molte delle quali, come ad esempio gallette e confetture, presentano un’incidenza del bio molto alta. Ovviamente, più questa incidenza sale, più è probabile trovare a scaffale il prodotto, con una ricaduta positiva sulla consumer base».
Il biologico fuori casa vale 1,3 miliardi di euro
Gli ultimi dati raccolti da Nomisma, e presentati a SANA nel 2023, mostrano come i consumi fuori casa abbiano dato un forte impulso alla crescita complessiva del mercato biologico. «Il bio away from home vale 1,3 miliardi di euro, con un balzo in avanti del 18% sul 2022, considerando sia la ristorazione collettiva, come scuole e ospedali, sia quella commerciale, specializzata o generalista, che offre prodotti biologici. Abbiamo approfondito questa tendenza dal punto di vista di consumatori e ope-
SANA Food 23-25 febbraio 2025 BolognaFiere
In contemporanea a: Slow Wine Fair La fiera internazionale dedicata al vino buono, pulito e giusto
ratori HO RE CA. tramite l’Osservatorio SANA 2022: qui i dati ci dicono che 7 ristoranti su 10 e 6 bar su 10 propongono sul menù almeno un ingrediente o un piatto biologico. Una penetrazione trasversale in Italia nel canale extradomestico che sarà oggetto di ulteriore analisi a Rivoluzione Bio 2025: gli stati generali del biologico italiano. In questa occasione Nomisma presenterà i dati aggiornati al 2024». Ma la presenza del bio è aumentata anche nella ristorazione collettiva, grazie alle decisioni lungimiranti prese a livello amministrativo. «Oggi i menù delle scuole e degli ospedali sono molto più attente a cosa mettere in tavola rispetto al passato. Si può certamente fare di più, perché sono gli stessi cittadini che chiedono una maggiore presenza di alimenti biologici nelle mense scolastiche, ospedaliere e aziendali, come abbiamo rilevato nelle survey» commenta Gandini.
Perché scegliere bio?
Le motivazioni di ristoratori, baristi e consumatori Interpellati sulle motivazioni che orientano verso il biologico, ristoratori e
baristi esprimono posizioni strategiche analoghe, mentre i consumatori confermano una tendenza ormai radicata. «Le risposte cambiano in base al target. Per i ristoranti, ad esempio, è soprattutto una scelta etica o legata all’obiettivo di presentare sulla carta prodotti di maggiore qualità. Per i bar si aggiunge una valutazione di posizionamento: i locali che scelgono bio vogliono distinguersi e differenziarsi rispetto alla media dei colleghi, oltre che offrire prodotti salutistici alla propria clientela.
Mentre il driver che più di altri indirizza i consumatori verso scelte bio è legato ai motivi di salute. Un prodotto biologico è ritenuto più sicuro e salubre rispetto ad uno convenzionale. Ma non solo. Fra le motivazioni emerge anche il gusto e la qualità, perché si ritiene che il prodotto bio sia più buono».
Più informazioni bio
Tutte le indagini effettuate da Nomisma negli anni passati evidenziano un fattore che probabilmente si confermerà anche nel prossimo rapporto, ovvero la necessità di avere più informazioni sui prodotti biologici. «Questo accade sia
Consumatori da una parte e operatori del settore Ho.re.ca. dall’altra ritengono di non avere informazioni sufficienti su ciò che riguarda il metodo di produzione e le caratteristiche dell’alimento o dell’ingrediente bio
dal lato domanda che dal lato offerta» prosegue Evita Gandini. «Consumatori da una parte e ristoranti e bar dall’altra ritengono di non avere informazioni sufficienti su tutto ciò che riguarda il metodo di produzione e le caratteristiche dell’alimento o dell’ingrediente bio. Solo il 27% dei baristi e il 32% dei ristoratori dichiara di essere adeguatamente preparato.
Disporre di maggiori informazioni per conoscere e promuovere i prodotti bio non è una velleità fine a se stessa ma diventa una necessità perché, da una parte, consente una selezione consapevole dei prodotti da parte dell’esercente e, dall’altra, sensibilizza i consumatori affinché riconoscano le proprietà e le virtù del biologico».
In questo scenario, soprattutto negli ultimi due anni, il prezzo è stato un freno per chi non si era ancora avvicinato a questo mondo, una situazione che
oggi — col calo dell’inflazione e dei prezzi — può cambiare. «Nonostante un tasso di penetrazione che ha raggiunto il 90% (9 Italiani su 10 hanno acquistato cibi biologici almeno una volta in un anno), oggi chi non sceglie bio lo fa essenzialmente per il costo. Tuttavia, va detto che gli ultimi dati 2024 registrano un calo dell’inflazione e questo sta avendo come conseguenza un calo dei prezzi importante, anche nel bio, che incide sulla crescita del comparto emersa nella GDO».
Rivoluzione BIO 2025: numeri e analisi al servizio del settore biologico
Come detto, all’interno di SANA Food 2025 si terrà la sesta edizione di Rivoluzione Bio. «Rivoluzione Bio, in calendario il 24 e 25 febbraio, sarà il momento all’interno di SANA Food in cui parleranno i numeri. Un evento
di diffusione e condivisione dei dati raccolti e aggiornati, sia rispetto ai dati strutturali del comparto, come superfici, aziende e operatori, sia rispetto ai dati di mercato più recenti.
Scatteremo una fotografia del bio 2024 in tutti i canali, con un focus sull’export attraverso un’indagine diretta sulle imprese che ci permetterà di individuare il ruolo delle esportazioni italiano sui mercati internazionali, grazie anche alla piattaforma ITA.BIO, supportata da ICE. Ci sarà, inoltre, un approfondimento dedicato ai consumi fuori casa, per definire opportunità e prospettive di un comparto in continua ascesa» conclude Evita Gandini.
Fonte: Nomisma Agroalimentare Ricerche di mercato, servizi e consulenza per il settore vinicolo e agroalimentare
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36° salone internazionale del biologico e del naturale
LA SCELTA DEL CIBO, QUESTIONE PIÙ DI TESTA
CHE DI PANCIA
Lo afferma il Rapporto Coop 2024 che analizza consumi e stili di vita degli Italiani di oggi e di domani
Èstato pubblicato il “Rapporto Coop 2024 – Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani” redatto dall’Ufficio Studi di ANCC-COOP (Associazione Nazionale Cooperative di ConsumatoriCoop) con la collaborazione scientifica di NOMISMA, il supporto d’analisi di NielsenIQ e i contributi originali di Circana, GS1-Osservatorio Immagino, CSO Servizi, GfK, Mediobanca Ufficio Studi, Campo Ricerca-Scomodo. L’edizione 2024 del Rapporto è orientata a leggere le scelte che gli Italiani sono pronti a compiere e che quotidianamente fanno partendo dal loro rapporto con il cibo.
Il mondo al bivio “È il tempo delle scelte, quelle che cambiano i destini del mondo, quelle dei singoli Paesi, fino ad avere impatti sulla vita quotidiana di ciascuno di noi. Il 2024 è l’anno in cui hanno votato o voteranno i cittadini di 76 Paesi, tra i maggiori del mondo (a partire dagli USA), elezioni che coinvolgono oltre metà della popolazione mondiale, ma mai come ora la democrazia non può darsi per scontata e va invece difesa Non è certo un caso se nell’ultimo anno l’affluenza alle elezioni europee sia stata in media del 51% a fronte di poco più del 42% di 10 anni fa. Ed è anche questo l’anno in cui per il proliferare dei conflitti il ricorso alle armi torna ad essere un’opzione concreta. Una consapevolezza quest’ultima che sembra oramai acquisita anche nel nostro Paese: un Italiano su 3 dichiara la sua preoccupazione per le tensioni
internazionali, la maggioranza (il 55%) si dice favorevole alla reintroduzione della leva militare obbligatoria e il 65% ritiene necessario intervenire in un conflitto nel caso l’adesione alla Nato lo richiedesse, accettando anche per il 15% del campione l’invio di truppe di terra. A generare altra preoccupazione fra i nostri connazionali è anche il cambiamento climatico. Se è vero infatti che le conseguenze del climate change si scaricheranno soprattutto sul Sud del mondo (anche se la metà delle emissioni dei gas serra è responsabilità di appena un decimo della popolazione, la più ricca), l’Italia, per la sua condizione geografica e la posizione al centro del Mediterraneo, ne subirà i maggiori effetti in Europa, come teme il 55% dei manager intervistati nella survey Looking Forward, per non parlare del 37% degli intervistati che vede tra i principali rischi
del surriscaldamento del Pianeta anche la difficoltà di approvvigionamento di materie prime (e il 52% dà già per certo l’aumento dei costi operativi). Peraltro, proprio la sua posizione espone l’Italia ai maggiori flussi migratori che verranno dal continente africano, protagonista nei prossimi trent’anni di una eccezionale crescita demografica. A livello economico, scampato il pericolo della stagflazione e con un PIL globale che va meglio di quanto previsto (+3,2% le ultime previsioni sulla crescita), a tirare la volata sono sempre più le economie emergenti (al fianco della Cina, si rafforza l’India), ma con l’Italia che rivela una sorprendente capacità di resilienza e non è più l’ultima d’Europa anche se in un contesto continentale certo non brillante. +0,9% la previsione PIL UE a fine 2024 a fronte di una previsione pari a +0,7% del PIL del nostro Paese, mentre il 61% dei
Dopo un anno complesso diviso tra andamenti altalenanti dell’inflazione e crisi internazionali, gli Italiani vivono il 2024 preparandosi al momento delle scelte.
Si frammenta l’identità alimentare degli Italiani a tavola.
manager intervistati dichiara il suo ottimismo su una crescita economica dell’Italia superiore o quanto meno in linea con la media europea nei prossimi anni.
Un Paese inquieto
La fotografia scattata dal Rapporto Coop 2024 è quella di un Paese inquieto, dove si riduce la quota di chi guarda con fiducia al futuro (che scende di 4 punti in due anni) e aumenta il timore (+11 punti percentuali 2024 su 2022). Un’inquietudine di fondo generata anche dal fatto che la maggioranza degli Italiani (il 55%) è alle prese con una vita ben diversa dalle proprie aspettative di partenza molto spesso in senso peggiorativo (44% del campione). Se è vero infatti che il potere di acquisto nel nostro Paese ha recuperato i livelli pre-pandemia e che oggi più di ieri sono diminuiti gli Italiani che hanno vissuto situazioni di disagio profondo (l’ammettevano 20 milioni di persone nel 2022 rispetto ai 12 milioni di oggi) e che le famiglie in difficoltà ad affrontare una spesa imprevista di 800 euro passano dal 45% del 2023 al 33%, restano comunque ampie le difficoltà sociali del Paese. E anche questa faticosa tenuta non è avvenuta senza sacrifici. Innanzitutto, l’overworking è la leva principale con cui gli Italiani provano a difendere il loro tenore di vita: infatti, già nel 2023, per
ottenere redditi reali di poco superiori a quelli di 5 anni, fa sono stati costretti a un surplus di ore lavorate (un miliardo e mezzo di ore in più). E, come spesso accade, sono molto ampie le differenze tra i settori economici. Ad esempio, i redditi per occupato dei lavoratori della sanità sono calati dell’8,5%, quelli dell’istruzione dell’11,2% mentre per altri, come il settore costruzioni o l’ambito immobiliare, i redditi sono cresciuti rispettivamente del 4,6% e del 6,4%. Forse anche per questo a precisa domanda il 75% degli intervistati non esita a dichiararsi insoddisfatto in primo luogo della propria retribuzione.
La vita al risparmio
Col recupero dei redditi anche i consumi tornano, in termini reali, ai livelli prepandemia (+0,3% nel 2023 vs 2019), ma più che in passato sono ostaggio delle spese obbligate che limitano di molto gli spazi discrezionali delle famiglie. Non sorprende allora che la parola chiave con cui gli Italiani si approcciano ai consumi sia il risparmio, di gran lunga il primo criterio di scelta negli acquisti (lo dice il 75% del campione), sia che si tratti di riempire l’armadio sia di scegliere un’auto (peraltro sempre più frequentemente usata, tanto che sono 15 milioni gli Italiani che hanno rinunciato all’acquisto dell’auto nuova nel 2024), mentre rimane un
miraggio la casa di proprietà (–2,1% le compravendite nel corso di quest’anno).
Anche i prodotti tecnologici, a partire dallo smartphone, fino all’altro ieri oggetto dei desideri, hanno perso buona parte della loro attrattività e le vendite a volume nell’ultimo anno scendono di oltre il 6% e proprio lo smartphone con i suoi accessori (–7,4% e quanto a numero di pezzi quasi un milione in meno anno su anno) insieme alle TV e ai PC registrano cali significativi (mentre crescono prodotti tech per la cucina e il beauty).
Sostanzialmente una vita a basso impatto, dove l’essenziale diventa centrale, il superfluo viene drasticamente ridotto. Tra i comportamenti emergenti in fatto di abitudini di consumo non stupisce trovare il tema del riparare oggetti piuttosto che sostituirli. Ed è così che si fa largo un ripensamento significativo della propria identità. Per l’85% del campione piuttosto che la capacità economica e lo status sociale è proprio la dimensione personale e privata a caratterizzare la percezione di sé stessi, a partire dalla famiglia, dalla propria situazione affettiva e anche dal dispiegarsi delle proprie doti etiche e morali. Anzi, l’acquisto e il possesso di beni smettono di essere aspirazionali e sembrano perdere per buona parte degli Italiani quegli attributi di gratificazione personale e di riconoscibilità sociale che pure
hanno caratterizzato una lunga fase della nostra società degli ultimi decenni. Una indifferenza per gli acquisti (coloro che aumenteranno gli acquisti solo per il mero piacere di comprare sono meno di chi invece aumenterà questo approccio di consumo, –3 punti percentuali) e uno strisciante de-consumismo che relega i forzati del lusso in una trincea sempre più minoritaria e oramai appannaggio solo dei super ricchi.
In tanta frugalità, sopravvive invece, e anzi si rafforza, la propensione al benessere personale e a un vero e proprio culto del corpo. Ne deriva, da un lato, una sana attenzione alla propria salute, che tra l’altro spinge gli Italiani nelle braccia della sanità privata (il 23% della spesa sanitaria nel nostro Paese — 40,6 miliardi di euro — è finanziata direttamente dai cittadini). E qui spunta anche una propensione positiva verso un’applicazione dell’AI per quanto riguarda il progresso tecnologico, le scoperte scientifiche e anche le applicazioni in campo medico a tutela proprio della salute. Dal culto del proprio corpo deriva anche il mantra del tutti a dieta, siano esse diete ipocaloriche, salutistiche e dello sport praticato oramai a vario titolo da 4 Italiani su 10 (quasi 17 milioni di persone). E dall’altro si profila l’ossessione per i trattamenti estetici e la cosmesi, dove la parsimonia prima evidenziata sembra attenuarsi e in certi casi scomparire.
La dimensione olistica del cibo
Dopo gli anni difficili dell’impennata dei prezzi, che aveva messo in profonda difficoltà gli acquisti degli Italiani e la loro stessa identità alimentare, nel 2024 l’inflazione si azzera e i volumi del largo consumo tornano dopo quattro anni in positivo (+0,9% nel primo semestre 2024 rispetto al 2023). Guardando ai soli canali iper, super e libero servizio, nel primo semestre 2024 le vendite a volume sono state superiori a quelle del 2019 del 3,9%. Il cibo rimane, anche nelle previsioni, l’unico comparto in cui tagliare la spesa è una opzione solo per una ristretta minoranza degli Italiani; il 21% del campione dichiara che aumenterà la sua spesa contro il 10% che intende diminuirla. Torna a crescere il numero degli Italiani che dichiara una identità alimentare (+6% sul 2023), non più una sola, però, ma molteplici. Pur nel
solco della tradizione, sono infatti molti gli Italiani che si aprono alla scoperta di nuovi stili alimentari (…). Da sempre, d’altronde, il cibo è per noi Italiani rispetto alla media europea più di un nutrimento fine a sé stesso e, vista la propensione attuale, non stupisce come i nostri connazionali siano ben più attenti ad una alimentazione sana rispetto al resto degli europei. Coloro che pensano di rafforzare questa propensione sopravanzano di 36 punti percentuali chi la diminuisce; una differenza più alta di quella europea che si ferma a 31 punti percentuali. Sempre gli Italiani sono anche gli unici, almeno a parole, a dirsi disposti a pagare di più per avere prodotti salutari (complessivamente e al netto di chi non sarà disposto, +15%, a fronte di una media UE ferma a +1%). Sempre di più la scelta del cibo passa dalla testa piuttosto che dalla pancia e questo spiega molte delle rinunce in atto. Una riscossa salutistica che non lascia a casa nemmeno il biologico, ritornato dopo anni di appannamento tra i desiderata degli Italiani: sono 24,8 milioni le famiglie già acquirenti, con una penetrazione del 96,6% e 9,6 milioni gli Italiani che nei prossimi mesi ne aumenteranno l’acquisto. Queste nuove sensibilità si ritrovano anche nell’approccio che le generazioni più giovani hanno nei confronti del cibo dove, al pragmatismo nella ricerca del prezzo più basso (il 51% lo considera il fattore su cui basa la sua decisione di acquisto), si affiancano alternative più rispettose dell’ambiente (il 58% sceglie prodotti di stagione, il 39% privilegia freschezza e qualità). Sul versante dei comportamenti di acquisto, i prodotti a marchio del distributore (MDD) e i discount continuano a rappresentare i migliori interpreti di questa nuova saggezza dei consumi Nel primo semestre 2024 la MDD raggiunge a volume il 38,2%% delle vendite totali del mercato con un incremento di 2,2% a valore e 2,4% a volume rispetto allo stesso periodo 2023, a fronte di una variazione dei prodotti di marca (TOP 20) del –0,5% a valore e –2,2% a volume. Allo stesso modo continua la crescita del discount che, anche grazie ad una continua espansione della rete di vendita, raggiunge il 23% di quota di mercato, con un incremento di circa 4 punti percentuali rispetto al 2019”. Fonte: italiani.coop
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Salumeria Italiana, 6/24
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BOCARIA CALL,
CULTURA DELLA CACCIA E AMORE
PER LA MONTAGNA A BANCO
«Il nostro miglior fornitore di carne, oltre ai contadini della zona, siamo noi stessi» spiegano Helmut, Helga e Melanie Call, proprietari di questa bottega ricca di leccornie altoatesine, carni e salumi. Come i Kaminwurz di camoscio, cervo e capriolo, lo speck e i würstel fatti in casa
di Riccardo Lagorio
C’è Helga, radiosa insieme alla figlia Melanie e alcune collaboratrici, dietro il banco. Lo lascia volentieri, però, se capisce che il cliente ha bisogno che venga illustrata la marea di prodotti locali che colorano gli scaffali in legno. Una dozzina di varietà di miele, grappe, sciroppi, farina da polenta, patate e altre leccornie altoatesine. «Raramente acquistiamo prodotti che non sono sudtirolesi, perché li ritengo di buon livello qualitativo, avendoli provati tutti e conoscendo le persone che ci mettono passione e competenza» afferma. Ma ovviamente è soprattutto per la carne che qui bisogna fare sosta. «Il nostro miglior fornitore di carne, oltre ai contadini della zona, siamo noi stessi» spiega additando i tagli nel banco frigo con orgoglio. Nel maso di Tomesc, poco fuori San Vigilio, la famiglia Call alleva infatti Tiroler Grauvieh (la razza Grigia tirolese) sui pascoli nelle vicinanze, mentre d’estate gli animali prendono la strada dell’alpeggio di Plan Pecei, all’interno del Parco Fanes-
Sennes-Braies, un intorno naturale di alte cime che proteggono malghe e altopiani. «Tutti noi lavoriamo per offrire ai nostri animali uno spazio e una vita il più serena e sana possibile, a contatto con un ambiente tra i più affascinanti dell’arco alpino» dice con convinzione. Dall’apertura da parte del nonno del marito, Helmut Call, nel 1938, non è cambiato nulla nell’approccio di presentazione delle carni, esclusivamente locali, anche di selvaggina. «Persino prima che si realizzasse la macelleria, il bisnonno, che era guardiacaccia a Marebbe, accompagnava a caccia mio padre Karl.
La cultura della caccia e dell’amore di vivere da vicino i boschi e la montagna si è tramandata di generazione in generazione e ora anche mia figlia Melanie è una cacciatrice» afferma Helmut, rispolverando con orgoglio i propri ricordi. «Noi cacciatori-macellai possediamo una visione etica e di rispetto verso le vite degli esseri viventi. Solo così si prende coscienza di quanto sia importante utilizzare al meglio ogni parte dell’animale».
Vengono per questa ragione privilegiati un continuo contatto e scambio d’informazioni con i clienti, tesi a migliorare le caratteristiche delle carni
«L’immagine
del cacciatore è spesso travisata nell’opinione comune. Per me la caccia significa interessarsi all’habitat e al ritmo di vita degli animali selvatici, e soddisfa un bisogno fondamentale per conservazione della specie» dice Melanie Call
Le salsicce affumicate, i famosi Kaminwurz, sono la gloria del locale. Altrettanto apprezzati dalla clientela sono speck e würstel fatti in casa.
vendute: il ristretto numero di preparati nel bancone è il segnale che nei consumatori locali e nei turisti prevale l’idea di cucinare partendo dalla qualità della materia prima. Pochi sono infatti i piatti pronti disponibili: il giovedì lo stinco, il sabato pollo allo spiedo, gli hamburger e gli spiedini sempre. Ci sono invece, ben disposti all’interno del bancone, tagli per bistecche, brodi e gulasch.
I fattori decisivi per ottenere un plauso così esplicito dal mercato sono senz’altro il metodo di allevamento (i vitelli vengono allattati direttamente dalla madre intorno al maso) e di macellazione, che deve avvenire senza intoppi e nel più breve tempo possibile, «evitando ogni stress all’animale. La crescita con il latte delle madri e poi con il fieno proveniente dai prati attorno al maso è di sicuro la premessa a una carne sana, gustosa e di alto profilo organolettico.
Ai primi raggi di sole gli animali escono dalla stalla aspettando impazienti la vacanza in montagna. Da lì
si torna in valle finché le temperature permettono di stare all’aperto.
In inverno passano le giornate al caldo, tutti insieme, e il fieno che abbiamo raccolto noi stessi in estate è molto apprezzato» continua Helmut trasferendosi dal negozio al laboratorio che sta sul retro. È qui che nascono alcuni dei salumi proposti nella macelleria. Helga esibisce orgogliosa le salsicce affumicate, Kaminwurz, di camoscio, manzo e suino. Sono la gloria del locale, ma, soprattutto, «Helmut mi ha conquistato con questi salametti 35 anni fa, facendomeli assaggiare con del pane nero. Sono il riflesso della sua personalità che fonde fascino e romanticismo».
Anche speck e würstel sono fatti in casa. Ma la macelleria è nota per gli elaborati di selvatici. I Kaminwurz di cervo e capriolo, unitamente a carne di suino per un massimo del 20%, sono particolarmente apprezzati dai turisti. «Per me la caccia significa interessarsi all’habitat e al ritmo di vita degli animali selvatici. L’immagine del cacciatore è spesso travisata nell’opinione comune,
ma bisogna rendersi conto che la caccia nella nostra regione soddisfa un bisogno fondamentale in termini di conservazione della specie» spiega la giovane Melanie. «Trascorrendo una gran quantità di tempo nella natura, si osserva molto più di quanto si possa fare durante una passeggiata e bisogna sapere che il 90% delle battute di caccia finiscono con lo zaino vuoto e il cuore pieno di emozioni. Durante la caccia vivo albe uniche, lenti tramonti, il corso delle stagioni, il sapore della primavera, la freschezza delle sere d’estate e il vento leggero dell’autunno». C’è pathos tra queste pareti di legno d’abete scuro.
Riccardo Lagorio
Macelleria Call
Strada Catarina Lanz 20 39030 San Vigilio di Marebbe (BZ)
Telefono: 0474 501041
E-mail: info@macelleriacall.it
Web: www.macelleriacall.it bocariacall @bocariacall
SALUMI & SAPORI DI TIMAU: SCOPRIAMO LA VARHACKARA
testi e foto di Massimiliano Rella
La varhackara, il pesto presidio Slow Food in vendita alla bottega Salumi & Sapori di Timau. Nato per valorizzare il lardo conservando al suo interno ritagli di salame, speck affumicato, guanciale, pancetta e ossocollo, la varhackara si mangia sul pane o scaldata in padella e come condimento di verdure fresche o
La bottega di Massimo Mentil. L’attività salumiera in Carnia è sempre stata familiare, risentendo dell’influsso della vicina Austria. La varietà dei salumi era dovuta alle caratteristiche fisiche del luogo: l’isolamento per le vie di comunicazione disagevoli e lo stesso carattere della popolazione, hanno fatto sì che quasi ogni paese avesse la sua caratteristica nel preparare i salumi o addirittura salumi unici, come la varhackara, prodotto esclusivo di Timau.
Timau, frazione del comune di Paluzza in provincia di Udine, ai piedi del monte Gamspitz, è l’ultimo abitato prima del Passo di Monte Croce Carnico, che ci conduce in Austria. Gli abitanti parlano tra l’altro un dialetto sud-bavarese simile al carinziano, dalle radici antiche. Secondo la tradizione il paese fu fondato nel 1284 da minatori tedeschi e anche alcune tradizioni gastronomiche avrebbero origini germaniche.
Nel borgo c’è una bottega e laboratorio norcino che produce salumi autoctoni e artigianali. Si tratta di Salumi & Sapori di Timau, una macelleria e salumeria aperta dal 1959 di proprietà della famiglia Mentil, oggi alla terza generazione, gestita da Massimo. I Mentil acquistano carni suine allevate in Friuli e in Carnia e le trasformano
artigianalmente nel loro laboratorio dotato di celle per l’asciugatura, la stagionatura e l’affumicatura, quest’ultima eseguita esclusivamente con legno di faggio. Pancette, guanciali affumicati, speck di schiena (Ruka Speck), salsicce fresche e, tra ottobre e marzo, un ottimo cotechino con la cotenna bollita, un procedimento che lascia il salume più morbido. Finita l’asciugatura l’insaccato viene leggermente affumicato per una notte con legna di faggio, come precedentemente accennato.
Ma il prodotto principe del territorio e di questa norcineria a conduzione famigliare è un presidio Slow Food, la Varhackara, un tradizionale “pesto” di lardo bianco con aggiunta di salame, speck e pancetta affumicati e ossocollo macinati ed erbe aromatiche di montagna per arricchirne il gusto. Il pesto
viene lavorato fino a ottenere una crema venduta in piccoli barattoli pronti per l’uso. Nasce così un prodotto saporito al punto tale da richiederne piccole quantità in cucina.
Già perché questo pesto cremoso, tradizionalmente conservato in contenitori di pietra, è il condimento perfetto per tanti piatti: spalmato su pane bianco, pane di segale e crostini caldi, si abbina inoltre a verdure fresche e insaporisce minestre, sughi e primi, pasta, gnocchi di patate o i cjarsons della Carnia, ravioli con sfoglia di patate e vari tipi di ripieno.
Da sola, la varhackara va leggermente sciolta in padella con olio o burro e servita con una spolverata di ricotta grattugiata.
È sorprendente quante specialità gastronomiche italiane siano nate per necessità e con creatività, binomio che ha permesso nei secoli di inventare eccellenze agroalimentari e culinarie. La necessità di conservare i cibi nei periodi di carestia, senza sprecare quanto faticosamente prodotto in campagna e in stalla, ha innescato la nascita di prodotti e ricette uniche come, appunto, la varhackara.
Massimiliano Rella
Salumi & Sapori di Timau
Via M. Plozner 42 33026 Timau (UD) Telefono: 0433 779008
E-mail: maxment72@gmail.com
Salumi & Sapori di Timau snc
Il cotechino con cotenna bollita e lapancetta e il guanciale affumicati della bottega Salumi & Sapori di Timau. Il maiale è il “re” della tavola carnica e per l’affumicatura della norcineria tipica del territorio la famiglia Mentil utilizza legna di faggio dei boschi locali ed un sapiente dosaggio della durata dell’operazione e della densità del fumo sprigionato.
IL BUONO SECONDO LARA
DUE DE.CO. MOLTO GOLOSE
La promozione di un territorio passa anche dalla gastronomia e dalla valorizzazione di prodotti che lo caratterizzano. Un esempio virtuoso viene da Covo, Bergamo, coi suoi ravioli nostrani e la neonata büdelina
di Lara Abrati
Covo è un piccolo centro abitato della Bassa Bergamasca: le grandi distese di campi destinati all’attività agricola accolgono ancora corti e cascine, testimoni di una lunga storia rurale che ha forgiato persone, usi e cultura.
In realtà, ogni angolo della nostra Penisola è denso di racconti e testimonianze di come le genti di ogni epoca si siano ingegniate per trovare soluzioni creative ad uno dei grandi problemi dei secoli scorsi, prima che l’epoca industriale e moderna avesse il sopravvento: la sopravvivenza delle comunità rurali Con ingegno e creatività le persone hanno saputo far fronte alle proprie esigenze che, man mano, anno dopo anno, decennio dopo decennio, sono inequivocabilmente mutate, così come le soluzioni maturate di fronte a tali necessità. Ed è in questo contesto che sono nate e nascono anche quelle che noi chiamiamo tradizioni: non intese come un qualcosa di statico e immutabile nel tempo, ma un processo di trasferimento di saperi, soggetto come normale che sia ad un naturale processo di acculturazione.
Quello che oggi è il nostro patrimonio culturale gastronomico lo si deve infatti a chi ha saputo trasferire tali nozioni, di generazione in generazione, mettendoci anche un po’ del proprio. Perché il cibarsi è un vero e proprio atto culturale. E anche a Covo c’è stato chi, negli anni, ha saputo custodire e trasferire saperi legati ad un uso comune: la
I ravioli di Covo, pasta fresca all’uovo con un ripieno a base di carni miste di manzo e suino brasate al vino rosso (photo © Matteo Zanardi).
preparazione di un raviolo, ma anche di un secondo prodotto, la büdelina, una salsiccia che racconta molto della storia delle nostre campagne e dell’economia rurale che ha per secoli sostenuto i mezzadri di queste zone, dell’allevamento del suino, dell’arte della norcineria e di come, unendo ingredienti così semplici, potessero nascere autentici tesori gastronomici.
Il raviolo nostrano di Covo De.Co.: storia e caratteristiche La seconda domenica del mese di ottobre, tra la fine dell’800 e i primi del ‘900, era in uso nella zona del comune di Covo festeggiare con colossali mangiate di ravioli: un modo godereccio e conviviale di celebrare la fine dell’annata agraria nei campi prima del riposo e della stagione fredda. Di ravioli se ne
Una salsiccia che non ha eguali, la büdelina di Covo. Perfetta se cotta alla brace, lasciandola rosa, ma anche preparata in umido (photo © Matteo Zanardi).
facevano in grandi quantità e, a turno, ne mangiavano le diverse categorie professionali: il lunedì, ad esempio, era il giorno dei contadini, il martedì quello dei commercianti e via dicendo. Questo è il racconto orale che da alcune generazioni si riporta.
La “sagra” antica ha avuto il suo periodo di maggior partecipazione negli anni dell’immediato dopoguerra e del boom economico, periodo in cui in molti andavano per trattorie. E di trattorie ce n’erano diverse nel piccolo paese, addirittura si pensa a più di dieci (tante per un paese di circa 2.000 abitanti). Questo, almeno, è quello che si racconta e non è dato, per ora, di trovarne testimonianza scritta.
Così come non si trova scritta la ricetta per la preparazione del ripieno e della sottile sfoglia di pasta dei ravioli. Le famiglie si sono tramandate precise quantità e il rapporto di combinazione tra gli ingredienti, ma, come per tutte le ricette di casa, ognuno ci metteva del proprio.
La “sagra” è stata riportata in vita nel 1984 grazie ai soci della “Cooperativa 25 Aprile”, che si mettevano ogni anno al lavoro per preparare i golosi ravioli nostrani mangiandoli fino a poco tempo fa (purtroppo oggi non più) nel salone della cooperativa stessa.
Ma il raviolo nostrano non può e non deve andare perduto. Per questo motivo, grazie all’impegno di molti, tra istituzioni e gente del posto, piano
piano si è riusciti a codificare la ricetta proteggendola con una Denominazione Comunale (De.Co.) a cui oggi aderiscono alcune realtà del paese, in particolare Losteria (via Europa 25, Covo, telefono: 340 0820080), il regno di Eleonora Ceresoli, dove è possibile gustare i ravioli quasi tutti i giorni in pausa pranzo, ma anche per la cena del sabato. Eleonora ha una grande passione per il mondo delle paste ripiene ed è stata una delle più ferventi sostenitrici del progetto: se li volete assaggiare, questo è il posto giusto. Più recentemente hanno aderito anche la Pasticceria Gelateria Maccalli e la Panificeria da Matteo, che ne producono per la vendita. Si tratta di una pasta fresca all’uovo con un ripieno a base di carni miste di manzo e suino brasate al vino rosso. I ravioli devono essere di forma quadrata o a mezzaluna e vengono cotti nel brodo Ma le novità non finiscono qui: grazie al lavoro instancabile del sindaco Andrea Cappelletti e di un bel gruppo di persone, in questo 2024 è tornata la Sagra del raviolo nostrano De.Co
La büdelina De.Co. di Covo: cosa è e come si produce Una salsiccia che non ha eguali, la büdelina, che ricorda a tratti la rinomata salsiccia di Bra. Per la sua produzione, viene insaccata in un budello naturale (la “bagetta”, che presenta le giuste caratteristiche e la giusta dimensione) lievemente più grande della comune
salsiccia a cui siamo tutti abituati, del calibro di 32-34 mm: questo per evitare di disperdere i succhi durante la cottura, mantenendola morbida e succulenta. Il vero plus di questo insaccato sta però nelle sensazioni che regala quando la si porta alla bocca. Innanzitutto la dimensione della grana del macinato di carne rigorosamente suina è molto fine: non deve infatti superare i 4,5 mm ed essere composto dal 70-75% di carne magra. Poi, la presenza nell’impasto di brodo di manzo e di Grana Padano DOP regalano un deciso gusto umami. Ne risulta un prodotto dalla giusta e bilanciata sapidità, ben digeribile, che si scioglie in bocca. Perfetta se cotta alla brace (l’importante e non cuocerla troppo, l’ideale è cuocerla al rosa), ma anche se preparata in umido. Attualmente hanno aderito alla De.Co. la Società Agricola Agripig e la Macelleria Riva
La gastronomia è un modo perfetto per valorizzare un territorio anche dalle piccole dimensioni come potrebbe essere un comune di provincia simile a Covo. Un’esperienza virtuosa che richiede la disponibilità di tutti, istituzioni, realtà locali, commercianti, artigiani e popolazione, ma che regala momenti di condivisione, confronto e convivialità fondamentali per le piccole comunità e per la tutela e salvaguardia del contesto in cui ogni giorno viviamo e operiamo.
Lara Abrati
ESISTE LO SPUNTINO
PERFETTO? L’IMPORTANZA
DELLO SNACK NELLA NOSTRA ALIMENTAZIONE
L’evento organizzato dal Consorzio Cacciatore Italiano per scoprire la formula innovativa dello Smart Snack Q+
Gli spuntini rappresentano un momento importante della nostra dieta quotidiana, rispondendo a bisogni di praticità, gusto e nutrizione. Indispensabile per il ritorno a scuola e la concentrazione, per avere le energie
necessarie a praticare attività sportiva, per gestire lo stress ritagliandosi una pausa lavorativa, e ancora, utile agli anziani per combattere l’inappetenza: lo snack, oggi, ha superato il suo semplice ruolo di spezza-fame, trasformandosi in una scelta consapevole legata a stile di
vita, benessere e vicinanza alla nostra cultura gastronomica.
Per approfondire questo tema, il Consorzio Cacciatore Italiano ha organizzato a Milano l’evento “Smart Snack” al fine di esplorare “l’evoluzione dello spuntino” insieme a SONIA PERONACI,
Marisa Maffeo con le tre tipologie di panino farcito con Cacciatore Italiano DOP: fitness, gourmet e tradizionale.
moderatrice, ALEX SORINI REVELLI, docente di culture e politiche alimentari dell’Università San Raffaele Roma, che ha presentato il Vademecum dello Smart Snack Q+, MATTEO CUNSOLO, maestro panificatore, e alla chef MARISA MAFFEO, che ha presentato tre tipologie di panino con il Cacciatore Italiano DOP:
1. Snack fitness (rucola e hummus di ceci);
2. Snack gourmet (cipolla caramellata e provolone del Monaco DOP);
3. Snack tradizionale (peperoni scottati al forno e tomino).
Il tradizionale e intramontabile binomio pane e salame, rivisitato alla luce dei nuovi studi nel campo della corretta nutrizione, si propone come alleato perfetto per uno stuzzichino equilibrato e gustoso, adatto a tutte le età, dall’adolescenza all’età adulta, fino alla terza età ed offre un giusto mix di proteine di alta qualità e sapori tradizionali.
Infine, il nutrizionista Nicola Sorrentino ha suggerito i giusti elementi per rendere lo snack leggero e gustoso, senza perdere di vista l’altrettanto importante aspetto della convivialità.
Il vademecum in 5 punti per creare uno spuntino perfetto (Smart snack Q+)
Lo Smart Snack Q+ si basa su un principio molto semplice: deve racchiudere significati culturali, storici, ingredienti eccellenti e nutrizionalmente bilanciati.
1. Pane di qualità
Un prodotto artigianale, realizzato con ingredienti selezionati e tecniche di lavorazione tradizionali, che rispettano tempi di lievitazione lunghi e naturali. Tipologia: preferire pane integrale, ai cereali, di segale o con semi.
2. Verdure stagionali
Le verdure di stagione sono quelle che vengono raccolte in un determinato periodo dell’anno, sfruttando al meglio le condizioni climatiche e ambientali. Consumare verdure di stagione ha diversi vantaggi, oltre ad essere sostenibili, offrono un sapore più intenso, una maggiore freschezza e un apporto nutrizionale ottimale.
3. Salame Cacciatore Italiano
Il Cacciatore Italiano DOP è una delle eccellenze del patrimonio gastronomico italiano. I produttori lavorano costantemente per migliorarlo anche sotto il profilo nutrizionale, sempre nel rispetto delle tradizioni.
4. Salse e condimenti
L’olio extravergine di oliva, grazie ai grassi “buoni” e agli antiossidanti, è da considerarsi il condimento da preferire. Spezie ed erbe aromatiche sono elementi altrettanto essenziali, non solo per il loro contributo al gusto e all’aroma delle pietanze, ma anche per i benefici a livello di salute.
5. Estetica e socialità
Anche l’aspetto, la forma ed eventuali colori sono elementi importanti per appagare il nostro senso della vista. È poi l’azione della condivisione che trasforma un semplice snack in un momento ricco a livello sociale, culturale e personale. Attraverso il cibo condiviso non solo si nutre il corpo, ma anche lo spirito, contribuendo al benessere complessivo delle persone coinvolte.
>> Link: salamecacciatore.it
13900 BIELLA - ITALY Sede Via Vercellone, 17 Stab. Via Mongilardi, 3 Tel. (+39) 015 8408301
Salumeria Italiana, 6/24
Il pasticcio, golosa confusione
di Giorgia Fieni
In italiano, quando vogliamo far capire che abbiamo combinato qualcosa fuori dall’ordinario, generando caos, diciamo “ho fatto un pasticcio”. Ma questa non è la
prima definizione del termine. La prima, dal vocabolario TRECCANI, è: “Pietanza per lo più costituita da un involucro di pasta frolla o d’altro tipo e da un ripieno di pasta alimentare, precedentemente cotta e adeguatamente condita, o di carne, pesce, ortaggi, variamente trattati, generalmente fatta cuocere al forno”. Si parla poi anche di patè e pasticcini della domenica e dei pasticciotti, che
qui non tratterò. Nella mia definizione di oggi, dunque, un pasticcio è ogni torta salata che ha una copertura, comprese le classiche “pies”
Il dizionario ha citato la pasta frolla, ma niente vieta che possiate usare anche una sfoglia. Lo scopo è quello di contenere il ripieno, cuocerlo in maniera adeguata, proteggendolo dall’eccessivo calore (che oggi è il forno ma un tempo erano le braci) e conservarlo il più a lungo possibile: poco importava che fosse anche gradevole al palato (spesso era anche molto unto). Nella gastronomia odierna, invece, anche l’impasto è importante, perché fa da contrasto, donando una nota croccante (specie se è coperto di pangrattato o pennellato con uovo sbattuto) e meno saporita che smorza la preponderante farcia.
Quando penso al ripieno di pasta mi soffermo subito sulla tradizione e sull’abitudine (da non dimenticare) di riciclare gli avanzi. Basta un po’ di mozzarella e una salsa al pomodoro (oppure besciamella e prosciutto cotto) e un buon guscio per finire dei cappelletti (o tortellini o anolini). Se, invece, ricerchiamo raffi natezza dobbiamo rivolgere l’attenzione al “Pasticcio di maccheroni alla ferrarese”, preparato per la prima volta nel 1528 da CRISTOFORO DA MESSISBUGO per il matrimonio di Ercole II d’Este con la figlia del Re di Francia (e poi ripreso anche da PELLEGRINO ARTUSI) con animelle, Parmigiano Reggiano, burro, tartufi, funghi, prosciutto grasso e magro, rigaglie di pollo, fagioli, uova non nate (ovvero prelevate dall’addome della gallina), creste e testicoli di gallo, zucchero e noce moscata e che “tutto questo gran condimento non vi spaventi, poiché esso sparirà sotto la pasta frolla”. Quando penso al ripieno di carne mi viene subito in mente il Rinascimento, con quelle torte sontuose composte da parecchi strati che potevano contenere anche un animale intero (specie selvaggina) e un mix di ingredienti che al nostro palato potrebbero sembrare incongruenti. Si usavano anche molte spezie, che spesso servivano a coprire cattivi sapori o una conservazione della materia prima non proprio da manuale.
A proposito di difficoltà: se siete capaci di trattarlo, consiglio un “Pasticcio
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L’ACETO BALSAMICO è DI MODENA Unico. Autentico. Di Modena.
Lo Scrigno di Venere di Bruno Barbieri, un piatto ricchissimo fatto di tanti passaggi e preparazioni. Si tratta di un “pasticcio” emiliano, di origine bolognese (ma si parla anche di una preparazione ferrarese che sarebbe più antica), una ricetta complessa e lunga da realizzare, con uno scrigno di pasta brisè al cui interno troviamo tortellini, besciamella e ragù. Meglio attendere che sia tiepido per mangiarlo, altrimenti non se ne gusteranno al meglio i sapori che lo compongono (photo © @barbierichef).
di carne e rognone” con strutto e senape nell’impasto e funghi e birra nella farcia (NIGELLA LAWSON dice che si divora “con voracità famelica”). Se vi piace il piccione, cimentatevi con la Bastela, piatto di origine marocchina in cui il fondo è lavorato con zenzero, zafferano, coriandolo, cannella, uova sbattute e va ad alternarsi con la carne, fogli di brik e mandorle fritte.
BRUNO BARBIERI consiglia il “Pasticcio di coniglio in terrina con misticanza e olive taggiasche”, usando lardo di montagna e fegatelli per rivestire il contenitore. JAMIE OLIVER il “Pasticcio di maiale e patate dolci” coperto da uova di quaglia fritte e accompagnato da insalata condita con aceto di sidro e miele.
Quando penso al ripieno di pesce invece mi viene in mente una scena di “Kiki – Consegne a domicilio” (film d’animazione del 1989 diretto da HAYAO MIYAZAKI) dove la streghetta protagonista deve consegnare un pasticcio a base di aringa e zucca preparato da una nonna… Perché il pasticcio è una di quelle ricette simboli della cura e dell’amore: “te la offro perché voglio che ti nutri nel modo giusto”. Concetto ribadito anche da SOPHIE DAHl, che abbina merluzzo e gamberi ai piselli (“preferibilmente spappolati”) e da DANA CARPENDER, con tonno e gruviera (e usa per l’impasto farina low carb). Ma anche il ripieno di pesce possiede un aneddoto storico: quello del pasticcio con verdure e ortaggi lessati, ricci di mare, polpa di pollo, merluzzo, ostriche e formaggio fresco proposto da GAVIO APICIO
Per rimanere in tema “Roma imperiale” mi viene in mente CATONE, che, nel “De agricultura”, racconta di un pasticcio di formaggio (fresco o ricotta, con o senza miele), un involucro a base di farina e acqua, braci e un contenitore di argilla, oliato e coperto di foglie d’alloro. Poi il mio pensiero corre a versioni vegetariane quali il “Pasticcio di funghi, lenticchie e sedano rapa” di TOM HUNT, con sciroppo d’acero e vino rosso, e a tutte quelle proposte da esperti e appassionati che propongono ottime ricette tutte da provare.
Perché proprio questo si fa con il pasticcio: si crea confusione, caos… Qualcosa che sembra fatto male e invece, al palato, è sempre una delizia!
Giorgia Fieni
FAAK: CIBO E VINO A RIBELLIONE NATURALE
Con la stagione fredda il locale di Viviana Varese estende l’uso della brace, arricchendo piatti a base di carne, pesce e verdure
Con l’arrivo del freddo FAAK
“Cibo e Vino a Ribellione Naturale”, il progetto milanese della chef Viviana Varese, aperto ad aprile scorso in zona Scalo Farini, rinnova la propria offerta gastronomica. La proposta del locale continua a variare a seconda del momento della giornata, dalla colazione alla cena, ampliando in questa stagione l’offerta dei diversi menu, mentre la passione di Viviana per il mondo dei lievitati e del forno continua ad esprimersi attraverso nuove pizze e torte salate.
Uno degli elementi più significativi del nuovo menu, ad esempio, è l’uso sempre più centrale della brace: la chef salernitana gioca infatti con il fuoco per creare abbinamenti interessanti e gustosi, come il Diaframma con carote al BBQ e crema di carote o l’Anatra con rapa rossa bruciata e crema di rapa rossa piccante, due piatti presenti tra le nuove proposte della cena e del fine settimana. “La brace è il cuore ardente di FAAK, la scintilla che ci rende un focolare del quartiere” si legge sulla
pagina IG del locale che, non a caso, è @faakfuoco
Sempre più spazio viene riservato però anche alla componente vegetale, non intesa come semplice contorno ma come protagonista del piatto, trattando sapientemente ogni vegetale per esaltarne sapore e versatilità. E anche il pesce viene celebrato attraverso la cottura alla brace e tra le novità in menu spiccano il Baccalà leggermente cotto con salsa pil pil e il Polpo con patata alla cenere, salmoriglio, maionese al limone e salicornia
Se nel menu del giorno trovano ampio spazio insalate e piatti freddi, torte salate e panini — tra cui il Club sandwich con pollo fritto, cavolo fermentato e maionese alla senape e il Bun con porchetta, scamorza, salsa al BBQ e cetriolo marinato con insalatina — per gli amanti della “carne al fuoco” non manca l’offerta alla brace con la Salsiccia con peperone crusco e crema di sedano rapa e la Costata di Fassona con osso e purè di patate
La sera l’offerta si fa più articolata e
A pagina 116: FAAK, in via Arnaldo da Brescia 5 a Milano, è pasticceria, panetteria, bar, ristorante e laboratorio (photo © Azzurra Primavera).
A sinistra: confetture e spalmabili di produzione propria in vendita nel laboratorio a vista del locale.
conviviale: dai piccoli piatti e spiedini, con le bombette pugliesi, i turcinieddi e gli arrosticini di agnello, agli speciali come il Foie gras bruciacchiato su crostone di pane con composta di albicocca e timo o l’Ossobuco al BBQ con diaframma, Tartare di Fassona piemontese, cipollotto, maionese alla senape e neve all’aceto
L’attenzione si rivolge anche alle pizze, con impasto lievitato 48 ore e suddivise tra rosse, con base pomodoro San Marzano, gialle, con base pomodoro giallo ciliegino campano, e bianche, categoria nella quale sono presenti due novità: Fichi, realizzata con mozzarella di Agerola, prosciutto crudo di Parma, fichi e rucola, e Tonno e cipolle, preparata con mozzarella di Agerola, tonno Campisi e cipolla al BBQ.
Per il Natale, presto disponibili anche due panettoni artigianali da 750 g realizzati a lenta lievitazione e con grani autoctoni: agli agrumi e all’albicocca e timo, con confettura firmata FAAK.
>> Link: www.faakfaak.it
UNA RIVOLUZIONE GENTILE
TERRA MADRE SALONE DEL GUSTO 2024
HA VISTO PROTAGONISTI GIOVANI
CONTADINI, PRODUTTORI, CUOCHI E ATTIVISTI
«Vorrei che questa edizione di Terra Madre fosse dedicata a due amici, due delegati che erano qui con noi nel 2022: DROR OR, produttore di formaggi israeliano, e BILAL SALEH, produttore di olio palestinese della Cisgiordania. Il 7 ottobre scorso i terroristi hanno sequestrato Dror e i figli e ucciso la moglie. Dopo qualche mese lui è stato trovato morto, mentre i bambini fortunatamente sono in salvo. Saleh è stato ucciso il 30 ottobre mentre si trovava nell’oliveto, freddato da un colono che gli ha sparato dal villaggio vicino. Terra Madre è un luogo di pace, perché a Torino arrivano persone da tutto il mondo per dialogare. Senza dialogo, senza ascolto, senza rispetto per la diversità non esiste pace». Lo ha detto CARLO PETRINI, fondatore di Slow Food, in chiusura della 15a edizione di Terra Madre Salone del Gusto, svoltasi a Torino dal 26 al 30 settembre scorsi, negli spazi del Parco Dora e in altri luoghi della città, intorno allo slogan Noi siamo Natura
Slow Food si occupa di biodiversità da oltre 30 anni, avendo contribuito a
cambiare la percezione del cosiddetto “prodotto di nicchia” e avendo trasformato molti cibi a rischio di estinzione in potenziali strumenti di rilancio economico e turistico. Come? Attraverso i progetti dell’Arca del Gusto (il catalogo di Slow Food che accoglie oltre 6.000 prodotti in tutto il mondo), i Presidi (più di 600 comunità di produttori e artigiani che hanno cura di prodotti e saperi tradizionali) e i Cuochi dell’Alleanza Slow Food, i primi testimonial della gastronomia di un territorio grazie alla loro innata capacità di educare al gusto i propri clienti. «Il futuro è qui, oggi, perché a Terra Madre è protagonista un’agricoltura che si occupa dei prossimi secoli, non soltanto dei prossimi mesi» ha commentato Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia. «Migliaia di donne e uomini, contadine, allevatori, pescatori che hanno testimoniato modelli altri, modelli agroecologici che tutelano la biodiversità e sanciscono la necessità della sovranità alimentare. Modelli in grado di garantirci un progresso che intreccia indissolubilmente il benessere umano con quello animale e con gli ecosistemi».
In cinque giorni il “popolo” di Terra Madre ha animato Torino con la proposta di modelli agroecologici che tutelano la biodiversità e garantiscono un progresso che intreccia il benessere umano con quello animale e con gli ecosistemi (photo © Paolo Properzi e Alessandro Vargiu /Archivio Slow Food).
Terra Madre Salone del Gusto 2024 dà i numeri
• 5 giorni di evento
• Oltre 300.000 persone
• 250 conferenze con 700 relatori dall’Italia e dall’estero
• 5.000 visitatori solo nel percorso dell’Orto Slow Food
• 80.000 m2 l’area interessata nel complesso della manifestazione
Dalla periferia al centro Boschi e aree interne, pastorizia e apicoltura, sono alcuni dei temi che ha messo al centro l’edizione 2024 del salone organizzato da Slow Food, Regione Piemonte e Città di Torino. Visti come marginali, questi luoghi (oltre il 70% del territorio italiano) e questi mestieri rappresentano in realtà una prospettiva concreta, un paradigma economico e sociale basato sull’accoglienza e la cooperazione. Luoghi dove si pratica l’agroecologia, un approccio alla produzione che tutela e rigenera la biodiversità, i suoli e le acque, in cui gli esseri umani sono parte della natura. Un’idea di futuro che i visitatori hanno potuto ascoltare dalle parole di 700 relatori arrivati dall’Italia e dall’estero
per prendere parte alle conferenze in programma. Ma anche dalle testimonianze di centinaia di contadini, cuochi, artigiani e attivisti che hanno animato il Mercato italiano e internazionale e i mille eventi collaterali all’esposizione.
La moltitudine di Terra Madre si è ritrovata per affermare con forza che il futuro è in un sistema alimentare che non depreda e inquina la natura ma la rispetta, che non genera iniquità e sfruttamento ma promuove condivisione e giustizia. Una rivoluzione gentile, culturale e colturale, che parte dal basso, affermando a gran voce che un cibo buono, pulito e giusto per tutte e per tutti è possibile. È una questione di scelte: della politica, delle istituzioni, ma anche di ognuno di noi.
Da Terra Madre il messaggio e l’idea di un sistema alimentare che non depreda e inquina la natura ma la rispetta, che non genera iniquità e sfruttamento ma promuove condivisione e giustizia. È una questione di scelte: di politica e istituzioni e di ognuno di noi
Col Cibo si educa, col cibo si cambia
Il futuro del cibo e dell’agricoltura dipende innanzitutto dalla consapevolezza e dalla capacità di scegliere delle cittadine e dei cittadini di domani. Per questo Carlo Petrini ha lanciato un appello al Governo per inserire l’educazione alimentare nelle scuole italiane “Le scelte alimentari che compiamo più volte al giorno possono diventare un’importante leva di cambiamento. Affinché ciò avvenga, urge un importante investimento in educazione alimentare, che fornisca ai giovani gli strumenti per diventare protagonisti del proprio futuro.
Il 36% delle ragazze e il 43% dei ragazzi italiani è obeso o in sovrappeso. Il 59% delle persone che si rivolge ai centri per i disturbi alimentari ha tra i 13 e i 25 anni, mentre il 6% ha meno di 12 anni: l’educazione alimentare permette di riscoprire il piacere del cibo, di comprenderne il valore, di conoscere il modo in cui viene prodotto, trasformato e distribuito, di capirne le dinamiche sociali, culturali, economiche e ambientali. Attraverso l’educazione alimentare e i comportamenti alimentari virtuosi di tutti noi la tavola può diventare un luogo di
consapevolezza e piacere, e l’ambito in cui la conversione ecologica prende corpo in maniera più rapida, efficace, concreta e quotidiana. Al contempo, il cibo è lo strumento ideale per sperimentare e promuovere un’educazione articolata, complessa e creativa, che dia valore all’interdipendenza, all’ambiente e ai beni comuni. Il cibo diventa noi. Col cibo si educa, col cibo si cambia” La petizione si trova sulla piattaforma Change.org
L’esempio dei giovani
Al salone sono stati celebrati i 20 anni degli Orti Slow Food a scuola. «Fare l’orto è stato determinante nella costruzione della mia autostima» ha raccontato Simone Diana, 23 anni di Moncalieri, in provincia di Torino, ricordando la sua esperienza di bambino come elemento fondamentale per la crescita personale. «È stata una delle esperienze più belle della mia vita» ha raccontato Jacopo Febi, 19 anni di Livorno: «Da bambini era soprattutto un momento divertente, ma oggi riflettiamo su ciò che abbiamo imparato anni fa e ne traiamo insegna-
mento». Tra i tanti giovani protagonisti a Torino ricordiamo anche Olimpia Maesano, attivista della rete giovani di Slow Food, impegnata su diversi fronti nel suo territorio. Con la rete Slow Grains (la rete mondiale dei custodi di semi, coltivatori di grano e trasformatori di farine in pane, pasta e prodotti da forno), ad esempio, ha contribuito a far conoscere nove pani dell’Aspromonte, tra cui il pane di Pellegrina, che viene prodotto solo da donne, comunità molto forte nata grazie ai forni comunitari e che permette di preservare 12 ettari di grani tradizionali.
I Presidi
I Presidi sono progetti di salvaguardia di piccole produzioni tradizionali a rischio estinzione: a Terra Madre Salone del Gusto 2024 ce n’erano 180, 28 dei quali erano novità assolute. Si tratta di formaggi, legumi, grani, ortaggi, varietà vegetali e razze autoctone che si aggiungono al già ricchissimo bagaglio di biodiversità tutelato da Slow Food.
In Basilicata, e più precisamente in Val d’Agri, incontriamo ad esempio
il Prosciutto di Marsicovetere, un salume reso speciale dal microclima del borgo, arroccato a 1.000 metri di altitudine, dove avviene la stagionatura. Nella maggior parte delle famiglie locali è tutt’oggi viva l’abitudine di allevare uno o due capi di maiale come scorta di cibo per l’inverno. Il prosciutto è quindi storicamente e tradizionalmente legato al territorio, ma oggi è prodotto da un numero esiguo di produttori che praticano ancora l’antica tecnica di lavorazione.
La Gentile di Puglia è invece una pecora legata a doppio filo con il territorio di cui è originaria, l’antica Daunia e la Capitanata. Questa razza ovina era allevata col sistema della grande transumanza sui pascoli del Tavoliere da ottobre a maggio e su quelli montani molisani e abruzzesi da giugno a settembre. Per via della resistenza alle malattie e della capacità di adattarsi alle condizioni climatiche del territorio, rappresenta un simbolo per la biodiversità di queste zone d’Italia. Il Presidio mira a preservare la razza, minacciata da crisi dell’industria lanie-
ra, scarsa quantità di latte prodotta e cambiamenti del passaggio.
L’abbandono della pastorizia e l’introduzione delle razze cosmopolite portò alla scomparsa quasi definitiva anche del Suino Nero Pugliese. Un gruppo di piccoli allevamenti semibradi dell’area storica sta investendo nel recupero di questa razza grazie all’aiuto di piccoli trasformatori che ritirano le carni ad un prezzo giustamente remunerativo. Il presidio coinvolge dunque allevatori, macellai e trasformatori in una comunità di filiera che si pone come fine il rilancio di questa razza storica pugliese e dei trasformati ottenuti con le sue carni.
Restando in tema razze animali, nelle campagne della Romagna è tornata a scorrazzare una razza di pollo rustico grazie all’impegno di un pensionato ravennate che mise a disposizione alcuni esemplari per poter recuperare questa specie e farla ripopolare. Dalla livrea variopinta, una cresta medio grande e
dai tarsi variabili, il Pollo romagnolo razzola in ampi spazi ed è allevato all’aperto, incarnando perfettamente la filosofia promossa da Slow Food e che difende il benessere animale.
Crosetti, corzetti, curzetti, cruxetti: sono infiniti i modi per indicare questa pasta che, nelle varianti più commerciali e meno fedeli alla tradizione, si incontra in tutta la Liguria. La sua particolarità è legata all’origine degli stampi, risalenti alla Repubblica Marinara di Genova, quando erano utilizzati per coniare monete. Diffusi nella tradizione popolare per omaggiare la futura nuora con un vassoio e annesso stampo in legno, si preparano impastando farina con tuorli d’uovo e acqua tiepida e vengono serviti con diversi condimenti: au tuccu, in giancu e au pestu.
Dalla Francia provengono due formaggi a latte crudo di montagna: l’erborinato noto come Bleu du Queyras, prodotto con il latte delle mucche di Tarine, Abondance e Montbéliarde,
che pascolano sui pascoli montani delle Hautes-Alpes orientali, e il Tomme de la Brigue, tradizionalmente associato alla pecora Brigasque o Brigasca, razza che prende il nome dal villaggio di La Brigue, nel dipartimento delle Alpi Marittime. La rete Slow Mays ha presentato a Torino alcuni esempi di biodiversità: il pan de Sorc, un pane dolce e speziato nato nelle terre di Gemona in Friuli, il mais Quarantino, antica varietà di granoturco marchigiana, e il mais Piadera, coltivato da oltre tre generazioni a Fregona (TV). Grande rappresentanza anche dei componenti della rete Slow Beans, che attraverso i legumi raccontano culture agricole e sapori autentici: come il gialet della Comunità della Valbelluna o la Cicerchia degli Iblei e la sua farina, da cui nasce una polenta speciale.
Arrivederci al 2026!
>> Link: 2024.terramadresalonedelgusto.com
VIVA CHAMPAGNE EXPERIENCE
La settima edizione si riconferma un successo con oltre 6.000 presenze
Un grande successo, certificato da oltre 6.000 accessi, tra espositori, operatori del settore e appassionati, durante i due giorni di kermesse. La 7a edizione di Champagne Experience, manifestazione di riferimento in Italia e in Europa dedicata alle più famose bollicine francesi, si
è svolta nei padiglioni di ModenaFiere il 20 e 21 ottobre, organizzata da Excellence SIDI, realtà che riunisce 21 tra i maggiori importatori e distributori di vini e distillati di eccellenza. «Il bilancio della due giorni di Champagne Experience è positivo, la vasta presenza di operatori e appassionati ci ha
confermato che è forte l’interesse per il mondo dello Champagne» afferma Luca Cuzziol, presidente di Excellence SIDI. «In un mercato sempre più competitivo, la capacità di creare valore lungo la filiera distributiva fa la differenza. Il modello di governance di Excellence SIDI è strategico, così come l’approccio
condiviso con le aziende associate. Il successo di Champagne Experience è una riconferma di come il nostro modello di collaborazione tra imprese, seppur in concorrenza sul mercato, sia vincente. Si tratta di un ottimo auspicio per questo fine anno: i dati dell’ultima trimestrale delle nostre aziende sono positivi e questo ci fa ben sperare anche in vista del Natale, periodo come sempre centrale e fondamentale per le vendite di champagne. Il nostro obiettivo è di quello fornire un servizio sempre aggiornato ed efficiente a tutti gli operatori del mercato HO RE CA. e del dettaglio specializzato».
La manifestazione, che quest’anno ha visto la partecipazione di 167 maison, con oltre 900 etichette in degustazione, ha offerto anche un ampio numero di masterclass di approfondimento. Da sottolineare, inoltre, due importanti presenze a Modena per questa edizione: quella del presidente dell’Union des Maisons de la Champagne, David Chatillon, e del presidente del Syndicat Général des Vignerons de la Champagne di Épernay, Maxime Toubart, che hanno dato il loro contributo nel corso della due giorni
che rappresenta un unicum in Europa. «A Champagne Experience ho potuto constatare la presenza di un ampio pubblico di professionisti e appassionati» ha commentato Chatillon, che è anche copresidente del Comité Champagne, l’organismo interprofessionale che riunisce viticoltori e produttori della regione e una delle prime interprofessioni viticole ad essere creata nel 1941. «La presenza di così numerosi Champenois è un valore aggiunto per questo evento, che ha assunto una dimensione molto significativa. È una vera opportunità quella di essere in stretto contatto con un così bel mercato come quello italiano e di trasmettergli il nostro messaggio». «Questo evento rappresenta un’opportunità per rafforzare ancor più i legami tra la tradizione vitivinicola francese e il mercato italiano» conclude Maxime Toubart. «La nostra visita a Champagne Experience ci ha permesso di comprendere come il mercato italiano valorizzi e apprezzi lo champagne. Il livello di interesse dimostrato dai professionisti presenti alla due giorni è stato entusiasmante».
>> Link: champagneexperience.it
Champagne Experience™ è la più importante manifestazione in Europa dedicata alle bollicine francesi. Promossa e organizzata da Excellence SIDI Srl, quest’anno ha visto la partecipazione di 167 maison, con 900+ etichette in degustazione. In basso: Remo Pasquini, titolare insieme alla sorella Paola della Marino Srl a Bovolone, Verona. Un’azienda artigianale di eccellenza che propone linee di prodotti destinati alla ristorazione e, in particolare, ai complementi d’arredo per la conservazione dei vini.
MARCA BY BOLOGNAFIERE, RINNOVATA FINO AL 2031 LA PARTNERSHIP
CON ADM
ADM e BolognaFiere hanno deciso di rendere strutturale la loro collaborazione, condividendo la proprietà del marchio della rassegna che, dall’edizione 2026, diventerà MARCA by BolognaFiere ed ADM. La registrazione congiunta del nuovo marchio conferma la volontà delle insegne della distribuzione moderna organizzata di identificare in MARCA un luogo di riferimento fondamentale per stabilire relazioni commerciali con chi vuole entrare nel settore della marca privata in Italia. «Il consolidamento della partnership con ADM — ha spiegato Antonio Bruzzone, CEO di BolognaFiere — rappresenta l’importante riconoscimento della qualità del lavoro organizzativo svolto in questi 20 anni, al servizio del settore della distribuzione moderna e del comparto agroalimentare e del largo
consumo. Crediamo nella crescita strategica del mercato della MDD al punto che abbiamo iniziato a geoclonare l’evento nel mondo, prima in Cina e, dal 2025, in Polonia con partner locali, per internazionalizzare la manifestazione e aiutare le aziende del made in Italy ad entrare nella distribuzione moderna organizzata in mercati dove difficilmente riuscirebbero ad entrare stabilmente da sole».
L’intesa raggiunta prevede un coinvolgimento sempre più attivo di ADM nello sviluppo della manifestazione, a partire da una maggiore presenza delle insegne associate. «Siamo consapevoli delle opportunità che ci aspettano e pronti a lavorare insieme per raggiungere nuovi traguardi» ha aggiunto Mauro Lusetti, presidente di ADM.
L’indagine recentemente condotta da CIRCANA sull’andamento nei primi
nove mesi del 2024 del mercato totale omnichannel in Italia conferma che la MDD è stato il segmento più dinamico, con una crescita delle vendite a valore di +2,7%, per 22 miliardi di euro di ricavi complessivi e 30 punti di quota. L’offerta di prodotti a marca del distributore è cresciuta, si è arricchita di tante linee che interpretano anche i nuovi gusti dei consumatori (pensiamo al bio e dei prodotti tipici regionali) e oggi è sempre più apprezzata dagli Italiani perché coniuga qualità e convenienza. «Lo scouting accurato di espositori che facciamo in tutto il mondo, ha l’obiettivo di far crescere il numero e la qualità dei partner della Distribuzione Moderna italiana, i cui contratti durano in media oltre cinque anni» conclude Antonella Maietta, Exhibition manager di MARCA». Fonte: EFA News – European Food Agency, efanews.eu
Bologna, 15-16 gennaio 2025 marcabybolognafiere.com
MARCA by BolognaFiere 2025 cresce e per la 21a edizione propone un nuovo layout con 9 padiglioni (16-21-22-25-26-28-29-30-36) pronti a ospitare retailer, aziende e business community del settore MDD.
IL FORMAGGIO PIÙ STANCO DI TUTTI
Stracchino a tavola
di Giorgia Fieni
Scommetto che ieri, proprio ieri, avete fatto rientro dal lavoro e avete detto: «Ora mi sdraio un attimo perché ho bisogno di riposarmi» e il divano ha subito accolto la vostra stanchezza, anche solo per pochi minuti prima di fare la doccia. Consolatevi, anche le mucche si stancano, pure se trascorrono la giornata in alpeggio a lavorare molto meno di quanto avete fatto voi. La storia racconta che quando arrivavano stanche producevano poco latte, troppo poco per venderlo tale e quale…. Così i pastori lombardi lo usavano (aggiungendo caglio di vitello) per produrre un formaggio molle, poco stagionato (da 10 giorni a 1 mese), che chiamarono appunto “stracchino”
E oggi quel formaggio è spesso la cena di persone stanche che non hanno voglia di cucinare, per cui aprono il frigorifero, controllano la data di scadenza (mi raccomando fatelo sempre perché è molto delicato per cui è sempre a breve termine), scartano la confezione e lo gustano (anche nelle pratiche monoporzioni), con un contorno (consiglio verdure un po’ amarognole come radicchio o carciofi). O in una piadina. O in un panino. O in una tigella: con prosciutto crudo, noci e sapa. O in un tramezzino O su un crostino (ripassatelo in forno, con qualche goccia d’olio sopra, per ottenere croccantezza e morbidezza in un solo morso). O su una bruschetta: con cachi e aceto balsamico. O in un toast (consiglio la versione coi piselli, servito con patatine chips). È dalla semplicità che ci si accorge che quel
formaggio è versatile e sta bene con una gran quantità di ingredienti, per cui si può decidere, per quando si è meno stanchi, di provare qualche ricetta più complessa. Un risotto: con le zucchine o con zucca e porri o con le fragole. Una focaccia, dove lo stracchino può essere sia nell’impasto che nella farcia. Una torta rustica: al salmone o con ‘nduja e noci o con castagne, bietole e speck. Una pasta al forno: con salsiccia e funghi. Nella farcia di crêpes o verdure o pere o frittate (anche preparate solo con gli albumi e aggiunte di gamberetti e/o asparagi) o uova sode (con prosciutto crudo e rucola) o di involtini di pollo o tacchino (coi peperoni). Lo si aggiunge alle zuppe o alle vellutate (al posto della panna) per ammorbidirle. Alle crocchette di patate (con pesto ligure e amaretti) per renderle più appetitose). Alle frittelle Sulla pizza o nel calzone, al posto della mozzarella o come ingrediente in più (abbinato con salame ungherese). Sul carpaccio. Sugli gnocchi. Sui salatini Ma lo stracchino è fantastico anche come sostituto del formaggio spalmabile nelle cheesecake o della crema nella farcia di biscotti e torte
Mauro Improta prepara Ravioli di speck con stracchino e fichi (il formaggio è all’interno con basilico e pepe, la frutta come condimento, con gli spinaci); lo stesso fa Benedetta Parodi, che aggiunge un cucchiaio di pesto alla pasta all’uovo, mentre il condimento è di carciofi. Marianna Franchi propone le Lasagne con bietola, stracchino e fior di latte e usa nell’impasto farina di grano saraceno e di kamut, ma senza
besciamella. Riccardo Camanini il Riso, stracchino e sarda di lago allo spiedo Paolo Griffa ha fatto della Girella di barbabietole, stracchino di capra alle erbe, insalate di stagione condite con olio alle noci il piatto dell’inverno 2018. Bruno Barbieri potrebbe costruirci sopra un intero menù monotematico, con: Cocotte di tarassaco e polenta con lardo e stracchino, Orzotto con stracchino, tarassaco all’aglio e calamaretti spillo, Grill di ananas con zucchero di canna bruciato, mousse di stracchino e miele di corbezzolo e Crostata con composta di fichi e stracchino. Simone Rugiati, infine, più semplicemente, lo mette, con mortadella e granella di pistacchi, nei bignè.
Rimane solo una domanda: chi è intollerante al lattosio o vegetariano o vegano è destinato a perdersi il sapore cremoso ma acidulo dello stracchino?
La risposta è no. Perché oggi esistono varianti prodotte con bevande e yogurt vegetali (preferibilmente alla soia), amido di mais, fecola di patate, lievito alimentare, limone e olio d’oliva. Il web è pieno di possibilità (anche i libri: Valentina Goltara, per esempio, ha scritto nel suo la ricetta di una Piadina con avocado, pomodoro e stracchino di riso) e si può scegliere la propria combinazione preferita, aggiungendovi erbe o spezie per aumentare la golosità.
Lo stracchino sarà dunque un formaggio stanco, ma di certo ha le energie per farci trascorrere le giornate lavorative con la prospettiva di un pasto fantastico che ci aspetta una volta a casa.
Mini bruschette con stracchino, miele, noci e timo. Il termine stracchino deriva dal dialetto lombardo “stracch”, che significa stanco. Questa definizione, sottolinea Assolatte, si riferisce al tipo di formaggio preparato, ossia “stanco” dopo la transumanza delle vacche che andavano dalle pianure padane agli alpeggi e viceversa. Durante la sosta in montagna si produceva un formaggio grasso, mentre nella pausa in pianura le vacche stanche potevano produrre soltanto un formaggio leggero, che non aveva neppure bisogno di essere preparato con latte riscaldato o di una lunga stagionatura. Lo stracchino, appunto.
Inaugurata Casa Fiorini, seconda sede del Caseificio Il Fiorino
Casa Fiorini ha finalmente aperto le porte al pubblico lo scorso 16 ottobre, in via Cina a Grosseto. Il negozio, che si sviluppa su una superficie di circa 130 m2, sarà la seconda sede del Caseificio Il Fiorino, che continuerà a mantenere la produzione a Roccalbegna (GR). Casa Fiorini è un grande spazio multifunzionale dedicato alle eccellenze casearie dell’azienda maremmana. In negozio sarà possibile trovare l’intero assortimento di formaggi de Il Fiorino, compresa la ricotta fresca ogni giorno, ma anche molte specialità dell’enogastronomia italiana e non solo: salumi, vini, confetture, olio, birre artigianali…. La selezione di prodotti, oltre alla qualità, guarda anche alla filiera etica, in piena sintonia con la filosofia de Il Fiorino, e sarà possibile trovare, per esempio, i prodotti dell’Azienda Agricola Biologica Podere “Il Ghiacciale”, le uova di Paolo Parisi e “La Conserveria” dell’Associazione Ragazzi Speciali Onlus. Casa Fiorini avrà inoltre degli spazi dedicati agli incontri e alle riunioni coi clienti e con tutti coloro che vogliono scoprire più a fondo i pecorini de Il Fiorino e il suo territorio attraverso visite e degustazioni.
Tutte le novità de Il Fiorino
Insieme al negozio sono stati presentati quattro nuovi formaggi firmati Il Fiorino. I primi due sono il Cacio del Grifone, un pecorino che è un omaggio al capoluogo maremmano dove l’azienda ha deciso di investire e continuare a crescere, e il Pecorino alle castagne, dedicato al Monte Amiata, territorio dove si trovano le radici de Il Fiorino. A Casa Fiorini sarà possibile acquistare e gustare anche il Boccon d’amore, un formaggio dedicato a Sofia e Valentina, le due figlie di Angela Fiorini e Simone Sargentoni, alla guida dell’azienda fondata nel 1957 da Duilio Fiorini, e che sarà, per il momento, un’esclusiva del negozio grossetano. Per celebrare la grande famiglia de Il Fiorino nasce anche Noi, un grande pecorino nei sapori e nella forma: 40 kg per due anni di stagionatura, un vero e proprio unicum che supera nelle dimensioni la storica Riserva del Fondatore. «Il nuovo negozio — spiega Angela Fiorini — sarà costantemente arricchito e aggiornato nelle sue specialità. Ogni prodotto che troverete a Casa Fiorini è scelto con cura e ha per noi un significato preciso, perché quello che vogliamo è offrire, accanto ai nostri pecorini, altre eccellenze maremmane, toscane, italiane e non solo. Oggi per noi è una giornata importante e ci piace condividerla con tanti amici e tante persone che guardano con affetto e interesse al nostro lavoro. Andiamo avanti con l’umiltà e la passione di sempre, cercando di fare sempre il meglio per la nostra azienda e di creare valore per la nostra città e il nostro territorio».
Al taglio del nastro di Casa Fiorini erano presenti Angela Fiorini e Simone Sargentoni e le figlie, lo staff del negozio, Antonfrancesco Vivarelli Colonna, sindaco di Grosseto, Francesco Limatola, presidente della Provincia di Grosseto, Stefania Saccardi, vicepresidente della Regione Toscana, Paola Berardino, Prefetto di Grosseto, Claudio Ciccimarra, Questore di Grosseto, e Don Enzo Capitani, sacerdote della Diocesi di Grosseto e già direttore della Caritas diocesana.
Il Consorzio del Parmigiano Reggiano celebra il 90o anniversario della fondazione con il presidente Mattarella
Lo scorso 16 ottobre il Consorzio del Parmigiano Reggiano ha celebrato il 90o anniversario della fondazione con una serata speciale al Teatro Regio di Parma alla presenza di Sergio Mattarella, presidente della Repubblica italiana, a riconoscimento dell’importanza della DOP come prodotto fondante del patrimonio italiano e del valore dell’opera di chi ogni giorno partecipa alla sua creazione. L’evento, dal titolo 7 battiti, 90 anni di futuro, è stato un momento per celebrare l’importante ricorrenza con tutti i caseifici soci, gli operatori della filiera, le autorità locali, i media nazionali e le rappresentanze degli enti economici della zona di origine e un’occasione per presentare due importanti progetti che saranno punti di riferimento per il futuro del Consorzio: l’archivio storico digitale, un lavoro di ricerca e digitalizzazione importante che rende accessibili questi materiali a tutti coloro che vorranno approfondirne la conoscenza (archiviostorico.parmigianoreggiano.com/it), e la nuova identità sonora del Parmigiano Reggiano.
Il Parmigiano Reggiano DOP è una risorsa economica che alimenta consumi per oltre 3 miliardi di euro all’anno, con 292 caseifici produttori, oltre 2.100 allevatori e conferenti latte, e una filiera produttiva che coinvolge oltre 50.000 persone. Inoltre, il Consorzio è da sempre un attore in prima fila nella promozione delle Indicazioni Geografiche come strumento di sviluppo del settore agroalimentare in Europa, a partire dalla conferenza di Stresa del 1951 fino alla stesura dei recenti regolamenti comunitari sulle IG. «Il Consorzio fu fondato il 27 luglio 1934 da 28 produttori animati da una formidabile intuizione: quella di raggiungere obiettivi irraggiungibili dai singoli, grazie all’azione comune. Questo è il perno della nostra storia, il saper “fare insieme” che ha legato i produttori della comunità del Parmigiano Reggiano e ci ha permesso di attraversare e superare le grandi sfide della storia del nostro Paese» ha dichiarato presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano Nicola Bertinelli (in foto con il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella). «Questa sera abbiamo preso un impegno, a nome di tutti i produttori e lavoratori della nostra comunità, dinnanzi al Presidente della Repubblica: quello di affrontare le sfide di oggi e del futuro con rinnovata convinzione nella nostra azione basata sul “fare insieme”, che ci ha premiato fino ad oggi. Consapevoli che questa non è solo un’opportunità per tutti noi, ma anche una responsabilità per il ruolo di portabandiera e di esempio che ricopriamo per una parte assolutamente rilevante di imprese, lavoratori e cittadini italiani».
Prodotti amarchio
VINI & OLI
Ho sessant’anni. E sono di quella generazione che ha vissuto il “trapasso”. Mi spiego. Quando mamma mi mandava in drogheria, all’alimentari sotto casa, erano nati e già crescevano i primi supermercati, a tal punto che anche la bottega del Sor Gino, quella
che aveva sempre i latticini di qualità («me li porta il pastore»), o gli affettati luxury («li prendo a Parma») e il pane caldo («me lo portano ogni mattina da Lariano»), iniziava a prendere in affitto il locale accanto al fine di unirli e poter piazzare “gli scaffali”.
Come se l’unico sinonimo di espansione aziendale fosse fare il verso al supermercato, omologarsi al carrello, le casse, il controsoffitto di cartongesso e l’altoparlante, qualche volta, inesorabilmente, a discapito della qualità. Ma il negozio era sempre pieno e Gino, tronfio del suo successo, aveva abbandonato il camice a favore della cravatta. A questo punto starete pensando che potevo intitolare l’articolo “operazione nostalgia”. Tranquilli, sta per finire. Mi lego soltanto al titolo per farvi notare che il Vini & Oli stava già scomparendo allora: sì, quel piccolo locale con il mobile di formica verde acqua, quello della mescita in fondo, alle spalle dell’oste, con i dispenser (diremmo oggi…) dai quali si spillava vino bianco e vino rosso e mamma, dandoti le bottiglie “vuoto a rendere” lavate con lo spazzolino colorato, ti diceva di fartele riempire a volte di vino, a volte una di olio e l’altra di aceto.
Ma qui sta il punto. Già nei primi del ‘900 si scriveva sulle insegne (a proposito, guardate questa presa dal web che bella!) OLI al plurale! Con tutte le difficoltà lessicali del caso. Uno scriveva con una “i”, l’altro con due “i” finali proprio perché plurale. Insomma, sarebbe stato più semplice mettersi grammaticalmente al sicuro scrivendo OLIO. Invece già si mandava il messaggio che l’olio extravergine di oliva non è uno solo
Nonostante all’epoca si realizzasse in maniera che oggi neanche si inizierebbe (raccolta delle olive a terra, trasporto come capita, frantoio con le macine di granito, pressatura delle gramole con fiscoli sporchi, temperature alte, presenza continua di ossigeno, stoccaggio e conservazione che… apriti cielo!). Non mi stancherò mai di raccontarvi che in Italia abbiamo oltre 500 varietà di olive. Posto che non si realizzi olio extravergine con tutte, vi garantisco che il ventaglio di assaggi è immenso. Ma promettetemi che inizierete a farli questi assaggi.
Vini & Oli è anche il fil rouge che lega le mie serate, i miei eventi. Non c’è pietanza o ricetta che non venga esaltata dall’abbinamento con l’extravergine e il vino giusto. Iniziate a farlo per regione, abbinate una Trofia al pesto con un filo di Taggiasca ed un calice di Pigato della Riviera ligure. Oppure un Tortello verde con un giro d’olio di Brisighella ed un calice di Lambrusco di Sorbara.
E poi ancora Un fegato alla veneziana con un extravergine Favarol a crudo ed un buon bicchiere di Ripasso Valpolicella. Insomma, il panorama è infinito. Stupite i vostri ospiti con “La cena di una vocale”: un filetto di ombrina su crema di patate con un giro di extravergine di Biancolilla abbinato ad un calice di Biancolella bianco ghiacciato. Poi ancora in Sicilia con un’Insalata tiepida di polpo e patate rifinita a crudo con un filo di Nocellara del Belice abbinato ad un calice di Catarratto. Un salto in Sardegna per una Fregula mantecata ai frutti di mare condita con un filo di evo Semidana ed un calice di Vermentino di Gallura per il brindisi.
Concludendo l’operazione nostalgia, vorrei farvi notare come la tendenza del Sor Gino sia finalmente invertita: oggi è la Grande Distribuzione che all’interno crea un corner di qualità, riservando parte dello scaffale alle DOP e alle IGP che, con i loro Disciplinari, garantiscono territorialità, competenza e bontà. Per quanto riguarda il Sor Gino persona fisica, oggi riposa in pace insieme con i miei genitori, ma i figli continuano. Uno è Sommelier del Vino e dell’Olio e nel suo reparto, oramai enoteca, saprà consigliarvi al meglio abbinamenti, tannini, persistenza, fruttato, lieviti e quant’altro. L’altro al banco vi somministra primizie, chicche del territorio ed assaggi di rango.
Oggi in zona li nominano metaforicamente come un noto gioielliere romano oramai facente parte di un altrettanto noto gruppo francese che si occupa di lusso, ma sappiamo noi i giri che fanno sti ragazzi anche di sabato e domenica a negozio chiuso, con rispettive mogli e figli per andare in giro per l’Italia per aziende, vitigni e frantoi ad assaggiare per voi cose nuove. Insomma, Buona Qualità a tutti dal vostro Chef dell’olio. Fabrizio Bertucci
L’OLIO D’OLIVA DI ALFREDO CETRONE
A destra: il produttore Alfredo Cetrone nella sua azienda agricola a Sonnino (LT). A sinistra: olive di varietà Itrana. La cultivar ha nomi diversi a seconda dell’area di coltivazione: oliva di Gaeta, Gaetana, grossa di Esperia e Itrana. Nel ‘600 era molto apprezzata come oliva da mensa.
L’Itrana è una varietà del Basso Lazio, della fascia costiera (85-90 km), tra Roccamassima e Spigno Saturnia, Latina, al confine con la Campania. Il cuore della coltivazione abbraccia però le zone di Sonnino, Priverno e Itri, non lontano dai porti di Gaeta e Formia, dove per secoli quest’oliva veniva imbarcata e venduta, non solo in Italia. La cultivar ha nomi diversi a seconda dell’area di coltivazione: oliva di Gaeta, Gaetana, grossa di Esperia e Itrana. Nel ‘600 era molto apprezzata come oliva da mensa; così per lungo tempo.
La sua reputazione nell’ambito degli oli extravergini di oliva risale invece ad anni più recenti e uno dei maggiori protagonisti del settore è l’oleologo Alfredo Cetrone, tra i più premiati d’Italia per la qualità dei suoi evo e per le innovazioni introdotte.
Cetrone è un noto produttore di Sonnino, un bel paese dei monti Lepini, nell’Agro Pontino, a nord di Terracina, a
sud di Latina. A Sonnino coltiva 20.000 ulivi su 100 ettari.
Alfredo, oggi 56enne, cominciò a lavorare da ragazzo con le olive da mensa nell’azienda di famiglia. L’Itrana, infatti, è una cultivar dalla duplice attitudine: oliva da tavola e da olio. In quegli anni, però, si raccoglieva tardivamente e le olive per fare l’olio venivano lasciate a maturare in pianta per tutto l’inverno. I “frutti” più belli e grandi erano raccolti come olive da mensa, mentre i rami più carichi e con le drupe più piccole erano destinati all’olio. Si attendeva addirittura marzo e non era certo l’olio buono che oggi conosciamo.
Cetrone intuì che, anticipando la raccolta e trasformando una drupa più verde e meno matura, poteva ottenere risultati qualitativi ben superiori. Così fece e già a fine ottobre sperimentò la raccolta delle olive per fare l’olio. «L’Itrana è una varietà tardiva e a maturazione scalare, cioè matura più tardi, lentamente e non con tutte le olive insieme, anche sulla stessa pianta» sot-
tolinea. «Questo mi ha portato a fare un lavoro mirato e diversificato sull’olio». Con risultati eccellenti, ci permettiamo di dire, come attestano da anni le principali guide e i concorsi oleari.
Sul territorio è maturata nel frattempo una diversa consapevolezza: la raccolta comincia a metà ottobre e si conclude a metà dicembre. Cetrone, però, continua a fare oli evo diversi valorizzando momenti differenti del ciclo di maturazione, con un “affinamento botte per botte” (le cisterne di conservazione) a seconda della zona, dell’uliveto e del periodo di raccolta.
Poiché coltiva esclusivamente Itrana, ha voluto diversificare gli oli valorizzando le caratteristiche del terreno, dell’altitudine e dell’uliveto, trasmettendole al prodotto: ad esempio, gli olivi coltivati nella fascia collinare più alta, su terreni rocciosi, intorno ai 500 metri slm, danno extravergini molto intensi e profumati, mentre gli olivi delle zone pedemontane, dove le radici affondano in un terreno di roccia e argilla, rendono oli più delicati.
Questo in sintesi il segreto dell’oleologo, quell’esperto di “olive-terrenimicroclima e frantoio” che, dopo la spremitura, destina il prodotto in serbatoi distinti, filtrati e pronti all’imbottigliamento con etichette differenti.
Quest’anno, poi, c’è un’altra novità: con le prime olive raccolte Cetrone lancia sul mercato il Novolio, un «novello per temporeggiare» spiega. Al momento 6.000 bottiglie da 0,50 l con packaging accattivante; un evo fresco, di qualità, appena franto, da consumare in attesa di assaggiare il top di gamma, cioè la migliore selezione di novembre, quando raccoglie le olive per fare le tre etichette
di punta: In, De e Colline Pontine DOP Tutte estratte a freddo.
I prodotti
L’olio evo Cetrone In è una monocultivar di Itrana perfetta con piatti di carne, su insalate di carciofi, porcini e tartare di manzo, di pesce azzurro (più saporito) o tonno scottato. All’olfatto è complesso e avvolgente, dai profumi erbacei intensi, con sentori di carciofo, cardo e pomodoro. Al palato è armonico, con le note olfattive che ritornano insieme a erbe balsamiche di salvia e mentuccia; l’amaro e il piccante decisi ma equilibrati. Le olive sono raccolte negli uliveti
Poiché coltiva esclusivamente Itrana, Alfredo Cerrone ha diversificato gli oli valorizzando le caratteristiche del terreno, dell’altitudine e dell’uliveto, trasmettendole al prodotto: ad esempio, gli olivi coltivati nella fascia collinare più alta, intorno ai 500 metri slm, danno extravergini molto intensi e profumati, mentre gli olivi delle zone pedemontane, rendono oli più delicati
Il frantoio
La produzione complessiva ammonta a 500 quintali di olio, circa 50.000 litri. Nel 2016 Cetrone ha però impiantato altri 20 ettari di uliveto, presto in produzione. In frantoio impiega macchinari Alpha Lavel integralmente in acciaio inox, tutto gestito in touch screen con monitoraggio costante delle fasi di lavorazione in tempo reale. Il macchinario è personalizzato con frangitore raffreddato ad acqua (nelle intercapedini) per non raffreddare la pasta. Inoltre, con gramole che lavorano in assenza di aria e pressa centrifuga a basso consumo idrico, con pochi reflui, senz’acqua. Infine un separatore finale ancora targato Alpha Lavel. «Non servirebbe neanche filtrare l’olio — puntualizza Alfredo Cetrone — lo facciamo per perfezionismo».
più alti dei terreni più rocciosi, tra i 250 e i 500 metri slm.
L’olio evo Cetrone De è un’altra monocultivar di Itrana, ma più delicato, perfetto abbinamento per piatti di pesce, risotti con crostacei, crudi e grigliate, ma anche insalate di farro e legumi, vellutate di asparagi, formaggi freschi a pasta filata, addirittura fragole con gelato alla vaniglia. Elegante e complesso all’olfatto, colpisce per i sentori fruttati di pomodoro, mandorla e banana, che tornano al gusto accompagnati da erbe balsamiche di salvia e menta, l’amaro e il piccante perfettamente armonici.
Infine, il Colline Pontine DOP, una “via di mezzo” tra i due, da pesce e da carne: zuppe di pesce, carpacci e tartare di pesce o di manzo, crostacei crudi, carni bianche e rosse ai ferri. Insomma, grande versatilità in un altro prodotto che stupisce. Dai profumi erbacei con sentori fruttati di pomodoro, al gusto complesso, armonico, di grande eleganza e struttura.
Massimiliano Rella
>> Link: cetrone.it
Turetta-Cà Bianca, EUGANEI CHE PIÙ EUGANEI
NON SI PUÒ
di Gian Omar Bison
I Colli Euganei, che coi loro volumi conici si stagliano inaspettati nel cuore della pianura veneta, sono lo scenario naturale in cui è immersa l’azienda agrituristica Turetta–Cà Bianca. Aperta dal 1990, il suo core business è il vino. Il sabato e la domenica, però, a pranzo, è possibile abbinare all’esperienza enologica quella culinaria.
Euganei che più euganei non si può. Euganei nei vini, che sono il business principale dell’azienda Turetta-Cà Bianca di Cinto Euganeo (PD), ed euganei pure nei piatti. Mangiare e bere da Stefano Turetta, figlio di Giuseppe e nipote di Angelo Silverio, dai quali ha rilevato l’azienda agricola, significa immergersi pienamente nei profumi e nei sapori di questi colli così celebrati e magnificati da poeti ed artisti, storici e studiosi, FRANCESCO PETRARCA su tutti
ma anche UGO FOSCOLO e ANTONIO F OGAZZARO . I Turetta sono azienda agrituristica dal 1990 e, da allora, i calici e i piatti, che propongono solo a pranzo al sabato e alla domenica, hanno radici forti e profonde nella migliore tradizione enologica e culinaria di questi luoghi incantevoli. Parliamo, su tutti, del Serprino, vino frizzante 100% Glera, e del Rosso stile bordolese. E parliamo, tra gli altri prodotti e trasformati, di maiale in tutte le sue declinazioni. La norcineria è una cosa seria: per i Turetta
di più. «Abbiamo 15 maiali in stalla che progressivamente rimpiazziamo — sottolinea Stefano — e che macelliamo dai primi di novembre tre alla volta ogni 15 giorni. Gli ultimi sei mesi di vita, per portarli ad un peso definitivo di due quintali circa, li nutriamo con solo impasto di crusca, cruschello, farina e mais. E nell’impasto per sopresse e salami utilizziamo solo i tagli anatomici migliori, macinati con sale, pepe, un pizzico di cannella ed aglio». Il risultato — ammetto di avere un debole per la loro sopressa —, è veramente goloso. In azienda hanno inoltre poco più di mezzo ettaro coltivato ad ulivi per olio evo (le olive le portano a frangere presso il Frantoio di Valnogaredo), un piccolo appezzamento a frumento Silverio, dal quale ricavano la farina necessaria a preparare la polenta bianca, i panificati e le paste fresche, soprattutto i bigoli, mezzo campo ad orticole e frutticole da destinare anche a salse, confetture e giardiniera.
Il punto di forza resta comunque il vino; si tratta di poco più di 20 ettari per il 60% a bacca bianca. E non poteva
essere diversamente, essendo notoriamente i Colli Euganei terra da vigne non solo per condizioni orografiche ma anche considerata la composizione media dei terreni. «Pur producendo quasi tutto in azienda — continua Stefano — non vogliamo fare ristorazione in senso stretto, inseguire i coperti. Per noi l’agriturismo è il giusto completamento della nostra realtà ma, soprattutto, la migliore vetrina per tutti i nostri prodotti. I clienti che vengono a mangiare, infatti, finiscono spesso per acquistare i nostri vini, gli insaccati, i nostri salumi, e alle sette di sera chiudiamo.
Prima del 1990, i clienti che venivano in primavera ad acquistare le damigiane di vino sfuso, mangiavano pane e sopressa nei tavoli sotto il porticato e poi tornavano a casa. E a questa tradizione e convivialità abbiamo voluto ispirarci senza stressare troppo il personale. Ante Covid facevamo da venerdì a domenica sia a pranzo che a cena. Ma, se c’è stata una cosa buona ci ha portato in dote la pandemia, è l’aver compreso l’importanza dell’organizzazione del lavoro e del tempo libero».
Il menù tipico, sotto la regia attenta di Paola Lavorano, moglie di Stefano, cuoca e regina della cucina da trent’anni dopo aver passato i primi dieci ad imparare da Isolina, mamma di Stefano, prevede primi piatti con paste e ragù di carne e di verdure, lasagne, capretto arrosto e al forno, oltre a qualche animale di bassa corte. Ma, come detto, la parte del leone la recita il maiale.
Il “menù degustazione” tipico inizia con pane da pociare in olio d’oliva, prosegue con gli affettati misti accompagnati da caciotte di piccoli casari e allevatori di bovine da latte accompagnati dal classico schizzotto (un pane condito, non lievitato, prodotto con farina, ciccioli di maiale, acqua, sale, tipico di Montagnana e dei Colli Euganei), polentina morbida e cotechino, ministra di fagioli con le cotiche, lasagna di tastasale (un impasto morbido di carne di maiale conciata con sale e pepe), fegato di maiale e salame cotto scottati ai ferri e, per chi ce la fa, i tradizionali “ossi de mascio” (ossa di maiale lessate).
In azienda lavorano anche i nipoti Lucio e Martina Turetta, che si occupano anche della norcineria, e i figli di Stefano Alessio, Valentina e Francesca, coi primi due che stanno studiano enologia all’Università di Conegliano (TV). «Per me — sottolinea Stefano — è importantissimo che la famiglia sia unita nel lavoro e in tutte le decisioni».
I vini
I Turetta sono dove sono da cinque generazioni e “Cà Bianca” è presente nel Catasto napoleonico di inizio ‘800. Hanno una storia che viene da lontano che intendono preservare e una tradizione produttiva molto legata al territorio e al suo folclore. Ed è così anche e soprattutto nei vini, che imbottigliano da una quarantina d’anni; prima di allora solo sfuso a damigiane e cisterne. «Nel tempo — evidenzia Stefano — siamo arrivati a gestire in azienda tutte le fasi di lavorazione, dal vigneto alla vinificazione all’imbottigliamento. Questo ci permette di avere un controllo assoluto della filiera produttiva, cosa che per noi è funzionale alla qualità del risultato finale. Cerchiamo di non avere la necessità di rivolgerci a terzisti e al massimo acquistiamo un 3/4% di uve da conferitori della zona».
Di tutto il vino che producono molto, come anticipato, è Serprino DOC frizzante dei Colli Euganei. «Una tipologia sulla quale confidiamo molto, considerato il nuovo corso e i nuovi obiettivi del Consorzio di tutela, che da pochissimo ha lanciato un piano strategico per la valorizzazione del Serprino visto che il mercato lo sta chiedendo con continuità. È un vino che, per quanto si tenda a definire mediamente facile, è funzionale ai suoi obiettivi: fresco, agevole da essere sbicchierato, piacevole soprattutto da aperitivo. Un vino che deve avere su tutte l’ambizione di diventare il vino di riferimento di enoteche, bar e ristoranti di Padova, città che sta conoscendo uno spolvero artistico, culturale, di eventi veramente pregevole. Una città per i giovani, per gli studenti, con tantissimi locali di tendenza.
Tra l’altro, noi siamo stati i primi, quattro anni fa, a proporre questo vino frizzante con tappo a vite. Una chiusura che salvaguardia da tutti i problemi che possono incontrare gli altri sistemi di tappatura e che non si è ancora conquistata
lo spazio che merita, ma che all’estero chiedono sempre più come garanzia sulla qualità del prodotto e sulla sua agevole e funzionale trasportabilità su container, navi, perché resiste anche a pressioni importanti. Oltretutto, un tappo a vite e sottovuoto costa di più di un tappo sughero da vini frizzanti.
Che abbia appeal lo vediamo dai clienti dell’agriturismo che ci chiedono sempre vino frizzante con i nostri salumi ed affettati, ma poi continuano a berlo anche con i primi e i secondi perché versatile negli abbinamenti. D’estate, considerate le calure, per giunta in aumento, ce lo chiedono ancora di più».
I Turetta sono talmente convinti della tipologia frizzante che ne hanno fatta anche una versione in rosso: il Maranza, uvaggio di Merlot e Raboso. «È stata una felice intuizione così come il vino “col fondo” che produciamo. Gli intenditori un po’ supponenti potrebbero anche storcere il naso, ma il “popolo” che beve senza cercare ogni volta vini intellettuali e complessi è il 95%».
Da sottolineare l’austerità del Chardonnay Passo Santa Lucia Colli Euganei DOC 2022 da un vigneto posto su Colle Santa Lucia, tra il Monte Gemola e Monte Rusta, prodotto con fermentazione controllata in parte in tonneaux e affinamento di 8 mesi in tonneaux. Un vino di grande longevità a cui il legno conferisce senza invadenza note burrose e di frutta secca.
Poi i bordolesi, in particolare il Colli Euganei Riserva DOC Rossura dei Briganti. Il 2018 che abbiamo assaggiato, se pur maturo, ha evidenziato un’integrità, quasi una croccantezza del frutto da far pensare fosse ancora piuttosto lontano dalla sua veste più piena ed elegante. Per chiudere, la complessità e piacevolezza del nuovo Mare di Note, Moscato giallo secco.
È di ottobre scorso il premio San Martino 2024 conquistato dai Turetta con il Rossura dei Briganti 2018 come Miglior Rosso Riserva dei Colli Euganei Gian Omar Bison
Turetta-Cà Bianca
Azienda Vitivinicola e Agrituristica
Via Cinto 5 – 35030 Cinto Euganeo (PD) Telefono: 0429 94288
E-mail: info@turettacabianca.it Web: www.turettacabianca.it
Premiata Salumeria Italiana, 6/24
VINI DI NATALE 2024, CALICI DI PARADISO
di Riccardo Lagorio
“La donna non si vestirà da uomo, né l’uomo si vestirà da donna; poiché chiunque fa tali cose è in abominio all’Eterno, il tuo Dio. L’eunuco a cui sono state infrante o mutilate le parti non entrerà nella radunanza dell’Eterno” (DEUTERONOMIO, 22-23). Perché allora vestire il vino di cose che non sono sue, il territorio, l’aria, la luce? I vini che nascono da uve non generate dal loro stesso territorio da secoli non entrano, va da sé, nel Paradiso. Entrano nel Paradiso, nel Natale delle famiglie, le bottiglie che parlano di uve italiche trasformate in vino laddove da secoli hanno radici! Lasci ad altri stappare scurrili bottiglie che parlano francese, Sciardonnè, Pinònero e ti affidi a quella bella storia che hanno saputo raccontare, piemontesi, emiliani e calabresi soprattutto in un anno intero, lungo le balze italiche.
Parti allora dall’archeoenologo Francesco Gabriele Bofaro di Acri (CZ), Acroneo. Nella piccola cantina si trasforma l’uva in vino secondo modalità riprese da testi antichi. Dal 2017 Bofaro, affiancato dai genitori, lavora su liste di prenotazione e con alcune partite di cui desidera capirne l’evoluzione. Le uve vengono spremute nelle navazze, le vasche di legno, «e macerate in
particolari anfore interrate che sono realizzate senza l’uso di smalti o altri materiali moderni. La chiusura avviene con legno o pietra come insegnava Plutarco: non vi è infatti traccia di acciaio e plastica perché ogni materiale viene ripreso da testi antichi» spiega meglio Bofaro. L’affinamento è in locali dove è mandata in onda musica classica “in quanto le anfore erano utilizzate anche per amplificare i suoni”. Per realizzare il proprio sogno, Bofaro ha dovuto vestire i panni di cacciatore di antiche vigne. Per l’Elektron (Greco bianco con il 20% di Malvasia bianca) la ricerca l’ha portato a San Demetrio Corone, comune di antica lingua albanese, arbreshe, in vigneti semiabbandonati. Al naso rivela nette sensazioni di albicocca e miele di castagno. acroneo.it
Per una breve rassegna degli spumanti che aiuteranno il lettore a trascorre al meglio in Natale, bisogna sottolineare il coraggio, l’intraprendenza, di Laura Pacelli a presentare un Magliocco declinato in Metodo Classico. Bisogna correre a Malvito, ancora nel Cosentino, per lasciarsi trasportare gli occhi dal rosa del Magliocco: induce d’istinto al piacere perché è originale, profumato, solare. tenutepacelli.it
Dal canto suo la Cantina Settecani di Castelvetro (MO) si sta cimentando dal 2020 nella elaborazione di Metodo Classico. Le note tanniche del suo Settimocielo Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOC si liquefanno via via e le bollicine prendono il sopravvento. Le sensazioni gustative di visciole sono a… scoppio ritardato, invitando a un altro sorso e quasi a voler dialogare con l’avventore. cantinasettecani.it
Vino da caviale il primo, da ostriche Belon il secondo. In mezzo l’Umbria, con quello straordinario Sagrantino che viene esportato per il 40%. Sì, anche il Sagrantino si presta a diventare vino spumante metodo classico. Ci ha pensato Liù Pambuffetti, alias Cantina Scacciadiavoli. Vendemmia a mano e poi 24 mesi (almeno) sui lieviti. Bollicine fini, persistenti, che interrompono e rallegrano il rosa scuro del vino. Che è floreale al naso, sopraffatto nel finale da aromi di mela e pompelmo. Giusta acidità e calore in bocca. Si masticano, quasi, bacche di mirtillo e fiori di rosa. cantinascacciadiavoli.it
Peana si alzino a chi, come l’Azienda Agricola Andreola, mantiene alta l’identità del Valdobbiadene Prosecco DOCG! Alla Glera si assommano in percentuali vicine al 5% Bianchetta e Perera
nell’Etichetta del Fondatore – Dirupo. Su un dirupo allignano le viti, eroica è la vendemmia e la spumantizzazione Charmat non toglie nulla alla grandezza del vino: bollicine sottili e persistenti, aggraziati sentori di melone e pera, giusta persistenza di gusto, perlopiù floreale. Vino che non si combina solo per aperitivi, ma dà il meglio con minestre di legumi e pesce d’acqua dolce al forno. andreola.eu
Si rimane scossi di meraviglia dinanzi a Grace, Slave to Love, il Metodo Classico di Nico Danesi, elaborato con uva Schiava in territorio di Brescia, località Caionvico. Colore ammaliante con bollicine persistenti, delicati aromi vinosi che sostengono il desiderio di ripetere l’assaggio. L’assenza di dosaggio finale lo rende adatto a tutto pasto, anche con i tradizionali salumi natalizi, cotechino e zampone. Terminata la bottiglia, rimane una grande emozione. posapiano.com
In questo viaggio virtuale la prossima tappa è il Piemonte, dove ci si sofferma per i vini rossi com’è intuibile, ma anche per lieti bianchi. Proprio a Barolo, una delle capitali dei rossi italiani, c’è l’Azienda Agricola di Luca Marenco, giovane, giovanissima. «Il vino porta con sé un linguaggio universale» dice Luca. «Noi contadini non abbiamo giorni di
vacanza, ma viaggiamo grazie al vino, grazie alle persone che lo cercano qui da noi». Si è messo in gioco da pochi anni, Luca. Lo guidano, si vede al primo sguardo, la passione per il territorio e i valori della famiglia.
Coltiva anche un’uva a bacca bianca abbastanza rara, la Nas-cëtta. L’olfatto agrumato e delicatamente erbaceo si cela tra note di erbe officinali. Corpo non altrettanto complesso, gusto battente. lucamarenco.it
Ottime anche le sue bottiglie di Barolo La Volta, di meditata struttura il San Ponzio. lucamarenco.it
Il Timorasso ha assunto ormai un ruolo rilevante nel panorama vinicolo nazionale. Tuttavia, quello de La Colombera merita citazione per quanto riguarda l’energia, il vigore che sboccia una volta stappata la bottiglia grazie ai sentori di pesca e ananas, zucchero filato e fiori d’acacia. Elisa Semino, artista gigante nell’accoglienza, illustrando le annate più invecchiate, fa notare una gradevole nota di idrocarburi. Sì: bastano 4 anni e tutto torna. Ma il Timorasso può rimanere in bottiglia per molto, molto di più, sviluppando quelle note di sottobosco e felpate che lo rendono sublime. lacolomberavini.it
Non ci sono solo le blasonate vendemmie derivanti da Nebbiolo in Piemonte. Il Dolcetto, per decenni accantonato dagli scaffali, val bene un Natale. Quello di Roberto Valletti anche un Capodanno. Il suo Vescu DOCG nasce da una vigna a corpo unico in borgata Pianezzo a Dogliani, una delle capitali del vitigno, da uve di piante cinquantenni nel pieno della maturazione. Speziato al naso, si schiudono sulle papille aromi di nocciola che fanno la felicità se accompagnano arrosti di selvaggina da piuma. Valletti ha idee chiare: «Bisogna sempre confrontarsi con gli altri, ma, frequentando le diverse parti del mondo prima di approdare nella azienda di famiglia, ho imparato che la viticoltura italiana ha come cardine i vitigni autoctoni, nei quali credo con convinzione». Più chiaro di così… www.facebook.com/valletti.wine
Gli fa eco Vittore Alessandria a Verduno. Qui è il Pelaverga a farla da padrone, Speziale nella fattispecie l’etichetta, che si annuncia con un seducente bouquet di fiori e spezie e continua il dialogo con il suo gusto fresco e succoso, un’ondata di pepe rosa ogni sorso che va d’accordo con antipasti e secondi piatti. fratellialessandria.it
Riccardo Lagorio
MAREMMA E AGRO-PONTINO
di Massimiliano Rella
MAREMMA
CANTINA DI PITIGLIANO
Fondata nel 1954, Cantina di Pitigliano è un’importante cooperativa vitivinicola della Maremma toscana sita del comune omonimo, una splendida Città del Tufo in provincia di Grosseto. Con 370 ettari coltivati, 300 soci viticoltori in larga parte piccoli vignaioli e una produzione di 1 milione di bottiglie + il vino sfuso, Cantina di Pitigliano lega il suo nome soprattutto ad un prodotto identificativo del territorio: il Bianco
di Pitigliano, nelle tipologie DOC e Superiore DOC. Sono entrambi frutto dell’assemblaggio di uve a bacca bianca: il Trebbiano toscano, la Malvasia toscana e gli internazionali Chardonnay e Sauvignon.
Il primo dei due, l’etichetta Gli Archi, ha colore paglierino scarico, al naso sentori di frutta e fiori bianchi, mentre al palato è sapido ed equilibrato. Ideale abbinamento a tavola con antipasti di mare, crudi di pesce, carni bianche e
formaggi a pasta molle. Il secondo, l’etichetta Ildebrando, è un Bianco di Pitigliano Superiore DOC affinato in bottiglia per almeno due mesi: un vino fine ed elegante, dalle note più spiccate di frutta esotica, fresco, sapido, delicatamente aromatico, ma con una certa complessità e struttura che lo rendono un buon compagno di viaggi gastronomici insieme a crudi di pesce, crostacei e molluschi, risotti alla pescatora, primi piatti con sughi leggeri e carni di pol-
lame e cortile. Non sono però gli unici due bianchi della cantina, che infatti produce anche il Maremma Toscana DOC nella tipologia Vermentino, altra etichetta interessante in cui prevalgono le note di biancospino.
C’è poi una discreta brigata di rossi (il 40% dell’imbottigliato), tra cui il Sovana DOC Vignamurata ottenuto da un blend di Sangiovese, Ciliegiolo e Cabernet Sauvignon, e la versione Superiore, ottenuta invece da uve Merlot in purezza. Un rosso, questo, dai sentori di ciliegia e mora, fragrante e speziato, al palato morbido, elegante e versatile. Abbinamento ideale con carni rosse e selvaggina, ma anche formaggi leggermente stagionati.
L’areale che abbraccia l’estensione delle vigne della cantina comprende i comuni di Sorano e marginalmente Manciano, sempre in provincia di Grosseto.
L’azienda è impegnata su più fronti. Ha ottenuto la certificazione Equalitas sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica, grazie ad un progetto integrato di filiera (PIF) e, ad esempio, nel regolamento interno di vendemmia è dichiarato che i soci sono obbligati a ricorrere esclusivamente a lavoro regolare. Per la sostenibilità ambientale, invece, sta sviluppando il fotovoltaico, con 200 kW di pannelli montati sui tetti e una capacità di accumulo di 100 kW di batteria, una scorta di energia pulita che le permette l’autosufficienza per quasi tutto l’anno, ad eccezione dei periodi di vendemmia delle uve e della frangitura delle olive, poiché Cantina di Pitigliano produce anche un olio extravergine. È coinvolta, infine, in un progetto di ricerca su un’antica varietà a bacca bianca, il Nocchianello, che viene macerato in anfora in fase sperimentale.
Il vino è fermentato con lieviti indigeni selezionati dall’Università di Firenze e valutato in due panel di degustazione. La vendemmia 2023, la prima annata, uscirà presto in commercio, al momento con le bottiglie sufficienti al contenuto di 3 anfore di terracotta, una piccola produzione. cantinadipitigliano.it
AGRO-PONTINO CASALE DEL GIGLIO
Tradizione e innovazione in un calice dell’Agro-Pontino, terra a lungo inesplorata per la produzione di vino, poi divenuta interessante grazie ai successi di una oggi nota cantina laziale: Casale del Giglio. Etichette ben presenti nell’alta ristorazione italiana e non solo, premiata qualche mese fa
dall’importante rivista DECANTER per il suo Anthium 2023 Bellone di Anzio IGP (97/100). Un vino bianco da uve autoctona di origini antiche e ottenuto da una macerazione sulle bucce, per favorire l’estrazione degli aromi, da pressatura soffice e fermentazione spontanea con lieviti indigeni per 10-12 giorni. Giallo intenso dai riflessi dorati, ha profumi di frutta esotica matura (mango, papaia su tutti) e una bella acidità che lo rende idoneo a lunghi affinamenti in bottiglia. Al palato è ampio, persistente, dalle sfumature floreali e speziate.
La cantina, che ha sede a Le Ferriere, provincia di Latina, è nota anche per l’impegno — controcorrente — con cui ha valorizzato i vitigni internazionali già dagli anni ‘80: Syrah, Petit Verdot, Petit Manseng e altri, attraverso una ricerca scientifica, al fine di individuare le varietà più adatte al territorio della pianura pontina. Da qui sono nati vini come il bianco Viognier Lazio IGP, note floreali di tiglio, acacia, ginestra
e palato che ricorda sentori di pesca e albicocca, o il Tempranijo Lazio IGP, rosso dai sentori fruttati di lampone e ribes nero, aromi di sottobosco, in bocca ricco e concentrato, tannini dolci, note speziate e fruttate. La lunga ricerca venne condotta già all’epoca con la consulenza di Paolo Tiefenthaler, oggi enologo della cantina e braccio destro del produttore Antonio Santarelli, titolare di Casale del Giglio. La loro è la dimostrazione che i buoni vini non si fanno soltanto in collina. A parlare, del resto, sono le guide e i concorsi enologici che nel tempo hanno ingrossato l’elenco di premi e riconoscimenti. Ma riavvolgiamo il nastro.
Casale del Giglio fu fondata nel ‘67 da Dino Santarelli, originario di Amatrice, Rieti; terra colpita, lo ricordiamo, dal terremoto del 2016. Nella vicina Accumoli il figlio Antonio, attuale proprietario, ha piantato mezzo ettaro di Pecorino, vitigno a bacca bianca dell’Italia centrale. Questa piccola iniziativa
ha anche un risvolto sociale, poiché la vigna è gestita da manodopera di un territorio che dopo il sisma ha subito un flusso di spopolamento. Il vino di Accumoli è in fase di sperimentazione.
Sull’isola di Ponza, altro caso di viticoltura in ambienti estremi, Santarelli già da anni coltiva un vigneto di Biancolella, in località Faro della Guardia, in un’isola di terrazzamenti “eroici”, con alti costi di gestione, impegno manuale per curare le vigne e dove le più facili remunerazioni del turismo di massa hanno a poco a poco scoraggiato la coltivazione dell’uva. Santarelli, però, probabilmente ama le sfide difficili.
Eppure, leggiamo nella presentazione aziendale, inizialmente Casale del Giglio era solo “la tenuta di famiglia”, il luogo dove trascorrere “i fine settimana da bambino, sfrecciando sui primi motorini”. A 25 anni Antonio intuì che la mancanza di una tradizione vitivinicola nell’Agro Pontino, anziché essere un limite, poteva diventare un’occasione per sperimentare e innovare senza limiti e pregiudizi. Era il 1985 quando con il padre Dino “arruolò” ampelografi (esperti e studiosi di vitigni, NdA) e ricercatori universitari per piantare 57 varietà sperimentali nei loro terreni con l’obiettivo, appunto, di identificare quali vitigni potessero interagire meglio con il microclima locale, per produrre vini di qualità superiore. La ricerca fu poi estesa a zone limitrofe e portò alla riscoperta anche di vitigni autoctoni del Lazio, tra cui la Biancolella di Ponza, il Bellone di Anzio, il Cesanese di Affile e Olevano Romano e il pecorino di Amatrice e Accumoli.
La tenuta di Casale del Giglio ha inoltre un suo appeal culturale: è situata nell’area dove sorgeva l’antica città di Satricum, fondata dai Latini e abitata da Etruschi e Volsci. Al luogo si ispira un grande vino come il Mater Matuta Lazio Rosso IGT, dal nome della divinità cui era dedicato il tempio di Satricum: un rosso potente da uve Syrah leggermente appassite e Petit Verdot. Complessità e carattere, profumi intensi di marasca e spezie di coriandolo e noce moscata. Al palato freschezza, tannino elegante e seducente. Un bel calice in vista del Natale. Con tanti auguri. www.casaledelgiglio.it
Massimiliano Rella
Gli chef di domani
Venerdì 13 dicembre 2024
MODENA - Teatro Storchi
Ore 21:00: serata con lotteria benefica a cura di Hospice Modena in favore di Hospice Modena – Dignità per la vita Cristina Pivetti.
Ingresso su invito.
Artisti: Marco Ligabue, Maria Pia Timo, Dado.
Concorso nazionale di cucina
Lo Zampone e il Cotechino Modena IGP degli Chef di domani
Giudice Massimo Bottura
Il programma completo è disponibile su www.modenaigp.it @consorziozamponecotechinomodenaigp @consorzio_zamponecotechino_mo
13a Festa dello Zampone e del Cotechino Modena IGP
Sabato 14 dicembre 2024
MODENA - Piazza Roma
Ore 10:30: Gli studenti dei 10 istituti finalisti presenteranno le loro ricette a base di Zampone e Cotechino Modena IGP e i vincitori saranno premiati da Massimo Bottura.
Ore 12:00: degustazioni gratuite dei prodotti DOP e IGP di Modena in collaborazione con Piacere Modena.
Ore 16:00: Andrea Barbi e Marco Ligabue live.
In diretta televisiva su -TRC canali 11 e 15 Emilia-Romagna -SKY canale ER24 n°518 -Live streaming su www.modenaindiretta.it
Con il patrocinio di
M
MODENA - Piazza Roma 13 - 14 - 15 dicembre 2024
Presenta: Andrea Barbi
Domenica 15 dicembre 2024
MODENA - Piazza Roma
Dalle 10:30 alle 12:30: diretta TV TRC “Ci vediamo in Piazza” con Andrea Barbi. Ospiti i Consorzi di Piacere Modena.
Dalle 10:30: vendita dei pacchi regalo solidali dei prodotti DOP, IGP e Tradizione e Sapori di Modena.
Alle 12:30: “Pranzo della Solidarietà” con i prodotti del territorio modenese. Parte del ricavato sarà donato alla Fondazione Hospice Modena Cristina Pivetti.
Programma, info e prenotazioni: 059/208671 info@piaceremodena.it www.piaceremodena.it
L’identikit non lascia dubbi: forma a cupola, pasta dorata costellata di uvetta e canditi, crosta marrone e fragrante, segnata dal tradizionale taglio a croce. Stiamo parlando del panettone, dolce di Natale per eccellenza dal successo meritato. Superati i confini milanesi, dove trova origine, ha conquistato notorietà in tutto il mondo.
Soffice, aromatico e ben conservabile, è ottenuto da pochi e semplici ingredienti, ma la ricetta è complessa e laboriosa, richiede tempo e grande abilità da parte dei mastri pasticceri.
Farina, lievito naturale, burro, zucchero, uova, frutta candita e uva sultanina. Sono loro i protagonisti che garantiscono la genuinità del prodotto, con l’eventuale aggiunta di altri elementi, per lo più di origine naturale, come la vaniglia, il miele, il cioccolato.
Nonostante le inevitabili differenze che caratterizzano le diverse aziende, le fasi di produzione per la preparazione del panettone industriale prevedono in sintesi poche operazioni: miscelazione degli ingredienti, lievitazione naturale, spezzatura e arrotondatura, posa nel pirottino, seconda lievitazione, cottura e confezionamento.
La riuscita del dolce è influenzata moltissimo dal tipo di lievito utilizzato e dai tempi di lievitazione. I lieviti chimici non sono in grado di garantire standard qualitativi elevati e, per questo motivo, chi opera nel rispetto della tradizione e tiene alla qualità utilizza sempre il
lievito naturale, in rari casi tramandato di generazione in generazione.
La “madre”, o pasta lievitata acida, si ottiene unendo la farina, impastata con acqua, all’azione dei lieviti naturalmente presenti nell’ambiente. Il lievito naturale comprende funghi (Saccharomyces) e batteri, ciascuno con un ruolo preciso nel processo di lievitazione.
L’impasto madre va curato e lavorato ogni giorno, mantenuto alla giusta temperatura, umidità ed ossigenazione. Quando si prepara il panettone, dopo 36 ore dalla prima lievitazione, si procede ad una serie di impasti e reimpasti, aggiungendo volta per volta i diversi ingredienti. Dopo l’ultimo riposo, il composto viene adagiato in appositi stampi e inciso a croce, quindi viene messo a cuocere in forno e lasciato raffreddare a testa in giù per almeno 12 ore, con lo scopo di evitare che si abbassi nel centro.
La storia del panettone comincia nei primi anni dell’800 a Milano. Lo si poteva acquistare nella forma più tradizionale, un pane schiacciato con crosta e pasta simili a quella che oggi noi conosciamo, in alcune pasticcerie storiche della città: da Marchesi, che aprì la sua prima pasticceria nel 1824, o nella confetteria di Giuseppe Baj
Per tutto il XIX secolo la popolarità del panettone crebbe, ma il vero boom si ebbe solo intorno agli anni ‘30, quando Angelo Motta, pasticcere ancora sconosciuto, ebbe l’idea di alzare la forma
Prima della degustazione del panettone, è consigliabile lasciarlo in ambiente caldo, al fine di ammorbidire la componente grassa e renderne perfetta la sofficità. Alcuni lo passano velocemente in forno prima di servirlo.
del panettone, dandogli il particolare aspetto a cupola. Questo semplice tocco di personalità fu decisivo nel fare uscire il panettone dai confini della città meneghina. Fu allora che Motta diede avvio ad una produzione sempre più grande, gettando le basi per una industria dolciaria divenuta tra le più famose nel mondo.
La crescente diffusione del panettone, però, se da un lato ha rappresentato un valore, dall’altro è stata un azzardo: sono sempre di più, infatti, ancora oggi, i panettoni industriali dal gusto artificioso, che ricordano solo in lontananza il sapore tradizionale. Molte sono produzioni mediocri, motivate più da logiche di commercio che dalla ricerca della qualità. Basta leggere in
etichetta per trovare grassi idrogenati al posto del burro, aromi artificiali anziché vaniglia e arancia o semilavorati in polvere utilizzati per ridurre i tempi di preparazione. Tutti ingredienti che non trovano spazio nei prodotti di alta qualità.
Al taglio un panettone fatto a regola d’arte trasmette sofficità e non risulta mai “gommoso”. La fetta ha i canditi e l’uvetta ben distribuiti su tutta la superficie, segno di accurata attenzione nelle diverse fasi di lavorazione. L’aroma, agrumato e deciso, non è invadente e invita all’assaggio; in bocca, il sapore è equilibrato e non eccessivamente dolce: basta un morso per riconoscere se la materia utilizzata è di prima scelta. Il panettone andrebbe consumato almeno
Il panettone è il dolce natalizio per eccellenza che, da qualche anno a questa parte, tenta di vincere una nuova sfida, quella diventare una proposta adatta a tutte le stagioni. Perfetto con il gelato durante l’estate, così come a colazione o a merenda nel quotidiano, l’elemento imprescindibile è che sia ben fatto!
dopo una decina di giorni dalla produzione, dopo che ha avuto il tempo di riposare e trovare un suo equilibrio, rimanendo ben sigillato nel sacchetto. Prima della degustazione si consiglia di lasciarlo in ambiente caldo, al fine di ammorbidire la componente grassa e rendere perfetta la sofficità (alcuni lo passano velocemente in forno prima di servirlo). Si sposa perfettamente col Moscato spumante Metodo Classico e con lo zabaione. Se tenuto al riparo da aria, sbalzi di temperatura e luce, può mantenere intatte le sue caratteristiche anche per un mese.
In oltre un secolo di storia il panettone è diventato per i milanesi quello che è la pizza per i napoletani. È un simbolo gastronomico che, da qualche anno a questa parte, tenta di vincere una nuova sfida, quella di uscire dalla logica natalizia per diventare una proposta adatta a tutte le stagioni. C’è chi lo prepara e lo vende tutto l’anno nelle piccole pasticcerie artigianali e lo propone a colazione o a merenda, chi lo consiglia con il gelato in piena estate. L’importante è che sia ben fatto. Ci riuscirà? A noi non resta altro che cercarlo!
Chiara Papotti
IPV PACK: UN NUOVO CAPITOLO DI CRESCITA E INNOVAZIONE
L’anno 2024 segna un momento chiave nella storia di IPV Pack. Con l’inaugurazione del nuovo headquarter e investimenti strategici su tutti i fronti, infatti, l’azienda si prepara ad affrontare le sfide future con determinazione e visione.
Questa fase di espansione e rinnovamento rappresenta un ulteriore passo avanti nella trasformazione di IPV Pack da azienda commerciale a leader innovativo nel settore del packaging
Dal 2017, IPV Pack ha intrapreso un percorso di evoluzione che l’ha vista trasformarsi da distributore di imballaggi a produttore con un proprio sito produttivo in provincia di Padova. Questa svolta ha permesso all’azienda di assumere un controllo diretto sulla qualità e sulla produzione, favorendo una crescita costante.
L’apertura di una seconda fabbrica in Serbia nel 2022 ha ulteriormente accelerato il processo di internazionalizzazione, aumentando significa-
tivamente la capacità produttiva e ampliando la presenza sul mercato internazionale.
Uno dei punti di forza di IPV Pack è la sua struttura organizzativa snella e flessibile, che permette di rispondere rapidamente alle esigenze dei clienti. La combinazione di esperienza consolidata e l’ingresso di manager provenienti da settori diversi, come l’automotive, ha consentito di sviluppare processi produttivi e logistici avanzati, migliorando la sincronizzazione delle fasi operative.
«La nostra capacità produttiva è stata dimensionata e implementata negli anni per ridurre i rischi di saturazione degli impianti mantenendo però una qualità molto elevata», spiega Simone Palma, founder e CEO di IPV Pack.
Nel 2024, l’azienda ha ulteriormente rafforzato la sua struttura organizzativa con la creazione di tre diverse business unit, una dedicata al mondo carni, una al pet food e la terza al settore human food. Questo nuovo assetto permette a IPV Pack di diversificare le proprie attività e di investire in nuovi settori, portando innovazione e nuove competenze. «Crediamo fortemente che la crescita a lungo termine possa essere raggiunta solo attraverso un continuo miglioramento del nostro impatto sul mercato, sull’ambiente e sulle persone», afferma Palma.
L’ampliamento della produzione ha permesso anche di dedicare maggior
spazio al laboratorio qualità e alle aree per i test qualitativi, con un aumento significativo dei macchinari disponibili per la verifica delle caratteristiche tecniche degli imballaggi.
IPV Pack punta ad offrire soluzioni personalizzate, adattate alle esigenze specifiche dei clienti, con particolare attenzione alla qualità dei materiali e alle finiture esterne.
Dal 2004 al 2016, IPV Pack operava come azienda commerciale senza macchinari interni. Tuttavia, nel 2017, l’azienda ha deciso di affrontare la sfida della produzione interna, avviando quella che Palma definisce “l’avventura produttiva”. Grazie all’esperienza di Adriano Vesco, technical development manager, IPV Pack ha adottato macchinari di ultima generazione, customizzati per soddisfare le esigenze dei diversi mercati. Oggi, le linee di produzione sono attive sia in Italia che in Serbia,
con una continua espansione della capacità produttiva.
La sede in Serbia, inaugurata nel 2022, ha raddoppiato la sua capacità in un anno e mezzo, con ulteriori espansioni previste a breve. «L’impianto in Serbia ci sta dando molta soddisfazione», dice Palma, sottolineando come la nuova sede stia contribuendo significativamente alla crescita internazionale dell’azienda.
Il 2024 ha portato anche ad una riorganizzazione aziendale strategica, con l’ingresso di nuovi membri nel consiglio di amministrazione e l’assunzione di un nuovo COO e CFO. Questa nuova struttura manageriale, insieme alla consulenza strategica di Gianni dal Pozzo, CEO di Considi, sta aiutando IPV Pack a perseguire rapidamente i suoi ambiziosi obiettivi di crescita.
La crescita di IPV Pack ha portato non solo ad un’espansione del personale, ma anche ad un impegno verso la diversità e l’inclusione. L’azienda sta lavorando per promuovere un equilibrio di genere, in linea con le migliori pratiche aziendali moderne. Allo stesso tempo, l’età media dei dipendenti si è ridotta, portando nuove idee e dinamismo, pur mantenendo un solido bagaglio di esperienza tra i membri del team.
L’azienda ha investito nel miglioramento di tutte le funzioni strategiche, dall’amministrazione alla qualità, dalle vendite alla programmazione della produzione.
L’azienda sta crescendo ulteriormente nel settore degli imballaggi per l’industria alimentare umana e soluzioni packaging innovative per prodotti sterilizzabili e microondabili. Le tre business unit, già operative e ora oggetto di un importante potenziamento, beneficiano della guida di nuovi responsabili che hanno portato il loro prezioso knowhow da realtà di successo. Questo piano di sviluppo ambizioso si estende al prossimo triennio, con l’obiettivo di rafforzare ulteriormente la nostra posizione di mercato e incrementare i fatturati in tutti i settori.
La sostenibilità è un tema centrale per IPV Pack. L’azienda ha adottato un approccio rigoroso all’utilizzo di materiali riciclabili, in linea con le direttive di Recyclass di cui è platinum partner
IPV Pack è impegnata nella riduzione dell’impatto ambientale, eliminando vernici esterne e garantendo la stabilità dei processi produttivi. «Abbiamo dedicato molto tempo alla progettazione e industrializzazione del monomateriale, ottenendo risultati molto confortanti nei test di tenuta».
In conclusione, IPV Pack sta affrontando il futuro con una visione chiara e una strategia ben definita. Con il nuovo headquarter, importanti investimenti e una struttura organizzativa solida, l’azienda è pronta a superare le sfide del mercato e a consolidare la sua posizione di leader nel settore del packaging.
Le soluzioni packaging
Le soluzioni packaging offerte da IPV
Pack sono realizzate con materie prime di altissima qualità. Sono disponibili prodotti personalizzabili secondo le esigenze del cliente.
Prodotti TOP
Sacchi termoretraibili
• Massima trasparenza e brillantezza;
• Alta barriera;
• Miglioramento shelf-life;
• Massima retrazione;
• Spessori disponibili da 45 a 100 my;
• Altissima resistenza alla perforazione;
• Disponibilità di tutte le presentazioni richieste dal mercato PROTEINE;
• Misure standard pronta consegna.
Skin film
• Massima trasparenza e brillantezza;
• Con o senza barriera;
• Miglioramento shelf-life;
• Massimo effetto “skin” confezione;
• Spessori e fasce a richiesta.
Film per termoformatrici
• Massima trasparenza e brillantezza;
• Massima resistenza alla perforazione e alla termoformatura;
• PA/PE – PA/EVOH/PE – PA/PP –PA/EVOH/PP;
• Spessori e fasce a richiesta.
Buste sottovuoto
• Idonei alla pastorizzazione;
• Massima trasparenza e brillantezza;
• Altissima resistenza alla perforazione;
• Vasta gamma di spessori;
• Misure standard pronta consegna.
Corde-Spaghi
• Colore azzurro MOCA;
• In rotolo o tagliata a misura;
• 2 mm, 4 mm, 5 mm, 6 mm;
• Con anime su richiesta;
• Confezionata in cartoni.
Stocchinette
• Bianca/Nera/Personalizzata;
• In rotolo o tagliata a misura;
• Massima resa;
• Leggera;
• Resistente;
• Elastica;
• Varie grammature;
• Materiale pronta consegna.
Tela paraffinata
• Supporto in TNT;
• Supporto in cotone;
• Alta resistenza alla perforazione;
• Altissima aderenza al prodotto
• Varie fasce disponibili;
• Disponibile anche pretagliata varie misure;
• Materiale pronta consegna.
Sacchi/rotoli/fogli MONO PE
• HDPE – LDPE – COEX;
• Colorati o trasparenti;
• Per congelamento;
• Per cottura (cartene);
• Disponibili in sacchi, in rotoli pretagliati, in fogli singoli o a strappo;
• Materiale pronta consegna.
Reparti trasformazione e magazzino.
IPV Pack Srl Unipersonale
Via dell’Industria e dell’Artigianato 2 35010 Carmignano di Brenta (PD) Telefono: 049 9431318
E-mail: info@ipvpack.com Web: www.ipvpack.com
ANNA PRANDONI
Il senso buono
Più cibo meno food, più cuochi meno chef, più vino meno sommelier: manuale per ritrovare la giusta misura in un mondo di integralismi e falsi miti
Edizioni: Linkiesta Books
160 pp. – € 15,00
Tra modernità e tradizione, tra biodinamico spinto e agricoltura intensiva, tra cucina ipercreativa e recupero ossessivo delle tradizioni fermentative, tra vino naturale e convenzionale, tra vegani a tutti i costi che mangiano quinoa prodotta in modo intensivo e carnivori che si nutrono solo di Chianina, le fazioni si scontrano e la verità si allontana sempre di più. Perché anche il partigiano più etico proverà a tutti i costi a convincerci della bontà della sua tesi e si opporrà strenuamente alle verità altre, quelle propugnate dall’opposta fazione gastronomica, climatica, enologica. Con questo saggio sull’enogastronomia ANNA PRANDONI cerca di riportare i grandi temi del dibattito alla responsabilità civile del buon senso Per restituire un senso “buono” agli altri cinque che ci permettono di gustare cibi e vini sempre migliori.
ELISABETTA BERNARDI
Mangiare secondo la scienza
La salute nel piatto
Edizioni: Dedalo Collana: ScienzaFACILE
ISBN: 9788822069245
212 pp. – € 17,00
MARTINA LIVERANI
Guarda dove mangi
Ceramica in tavola
Edizioni: Polaris
176 pp. – € 25,00
Ho il colesterolo alto, quali alimenti devo prediligere? E per proteggere le mie ossa? Per prevenire il diabete devo limitare tutti gli zuccheri? Cosa mangiare per combattere la cellulite o la pancia gonfia? Il legame tra alimentazione e salute è molto stretto, perché noi siamo ciò che mangiamo e in questo modo forniamo all’organismo i mattoni per la sua rigenerazione continua. Ma un eccesso di alcuni nutrienti o un difetto di altri possono impedire al nostro corpo di reagire e difendersi dalle patologie che lo colpiscono. Questo libro cerca di mostrare il ruolo preventivo di alcuni cibi e di sfatare i miti che legano la dieta all’insorgenza di determinate malattie Scopriremo, ad esempio, che è preferibile mangiare la frutta dopo i pasti o che la pasta fredda fa ingrassare meno. Tutto in coerenza con l’evidenza scientifica, citando solo gli studi fatti sull’uomo e non i risultati “preliminari” di ricerche condotte su animali o in vitro. Prefazione di Alberto Angela
Quanti tipi di zuppiera esistono in Italia? Qual è la città delle caraffe? Come si sceglie e come si usa un servizio da tè in ceramica? Quali sono i decori tradizionali delle grandi manifatture storiche e quali invece le tendenze degli artisti contemporanei? E, soprattutto, dove si compra la migliore ceramica italiana per la tavola? La ceramica è un’opera di artigianato e quindi migliaia di ore di abilità manuali, progettazioni, ricerca, intuito, esecuzione perfetta. È destinata a chi è capace di riconoscerne l’unicità, carpirne la bellezza assoluta e farne parte. Questo volume, che aiuta a conoscere, scoprire ed essere in grado di acquistare o ammirare la ceramica artigianale italiana al meglio, è un viaggio tra la storia delle forme e dei colori della ceramica artigianale nello spazio geografico delle città della ceramica italiane, dentro i musei e nelle botteghe. Un viaggio nella storia e nel futuro, per vedere come sono nati alcuni oggetti e come si sono evoluti nel tempo in un rapporto inscindibile con la cucina, la tavola e le abitudini.
JUAN PASCUAL
Perché essere onnivori
Per la vostra salute e quella del pianeta
Edizioni: LSWR
208 pp. – € 28,40
FULVIO MARINO
Tutta l’Italia del pane
Ricette e segreti di pagnotte, pizze, focacce, dolci della tradizione regionale
Edizioni: Slow Food Collana: Slowbook
240 pp. – € 24,50
Questo volume esplora la natura onnivora degli esseri umani, analizza le principali sfide che bisogna affrontare per sradicare la fame nel mondo e la produzione alimentare necessaria per una popolazione in crescita, tenendo nella giusta considerazione il benessere animale. Per SUSANNA BRAMANTE, meat specialist & nutrition adviser, questo è “un libro che consiglio a tutti, soprattutto a vegani e animalisti che così capiranno che con le loro scelte otterranno solo l’opposto di quanto vorrebbero. Quindi la morte di un numero di maggiore di animali, più inquinamento per il pianeta e salute peggiore. Leggete il libro e capirete quanto l’ideologia vegan si fondi su presupposti completamente sbagliati”
“Questo non è un libro sulla storia del pane, è un libro sulle persone e sui territori, che vuole celebrare la tradizione dei pani italiani, valorizzarla e darle continuità attraverso ricette che tutti possiamo replicare in casa”. L’ultima opera di FULVIO MARINO — mugnaio, fornaio e personaggio televisivo di grande seguito e popolarità — è un viaggio attraverso l’Italia dei pani, alla scoperta di una biodiversità straordinaria: da Nord a Sud si scopriranno i cereali più coltivati, le diverse tipologie di pizza e focaccia, i dolci delle feste, i segreti della lievitazione, il tutto accompagnato da 60 ricette della tradizione. Perché non c’è una sola Italia per quanto riguarda il mondo dei forni, ma tanti paesi in uno.
LUGANEGA CIBO DEI LEGIONARI ROMANI
di Giovanni Ballarini
Nel XX canto dell’Odissea, Omero (725-675 a.C.) racconta di Ulisse che, nell’atrio della reggia di Itaca, pensa a come aggredire i Proci. “Come quando un uomo volta e rivolta sulla fiamma ardente un budello pieno di grasso e di sangue, impaziente che sia presto
arrostito, così da una parte all’altra si volgeva Ulisse e meditava…”. La luganega, anche nota come luganiga o luganica o lucanica, secondo i vari dialetti regionali italiani, è un insaccato antichissimo che nasce nelle regioni mediterranee. L’ipotesi di origine più diffusa è quella lucana, intendendo per
Lucania l’area meridionale della penisola poi detta Italia coincidente grosso modo con l’attuale Basilicata, parte della Campania meridionale (Cilento) e della Calabria settentrionale, e così forse denominata per i suoi lucus (bosco sacro) ricchi di lupi (lykos) e, soprattutto, di maiali selvatici poi addomesticati.
Il salume dei legionari
Già al tempo dei Romani le carni suine erano molto apprezzate, come alcuni salumi tra i quali il prosciutto (perna) e la spalla (petaso). Altre parti del maiale, e quindi anche i budelli riempiti di carni, grasso e visceri, cotti e mangiati nell’immediato, ma anche più o meno a lungo conservati con il sale, non godevano molto dei favori dell’alta gastronomia, mentre erano largamente usati nella dieta dei legionari che li fecero conoscere ai popoli conquistati. L’alimentazione dei legionari — che arriva fino ai tempi dell’Imperatore GIUSTINIANO I IL GRANDE (482 – 565) e oltre —, era costituita da buccellatum (galletta) e pane, vino o aceto con l’aggiunta di lardo e montone. MARCO TERENZIO VARRONE (116 a.C.–27 a.C.) nella sua opera De lingua latina (V, 111) ci informa che “una salsiccia fatta con l’intestino crasso del maiale è chiamata lucanica, perché i soldati l’hanno imparata a fare dai Lucani” È anche possibile, ma non vi è alcuna dimostrazione, che a portare la luganega nell’Italia settentrionale siano stati i Longobardi, barbari di origine germanica, durante l’occupazione della Langobardia minor (corrispondente ai ducati di Spoleto e di Benevento, NdR). Essi sarebbero venuti a conoscenza del costume delle popolazioni locali e avrebbero poi trasferito a Nord la ricetta. Vi è inoltre la storia, per altro non documentata e un poco fantasiosa, secondo la quale ALESSANDRO I D’EPIRO (370 a.C.-331 a.C.), richiamato nel 323 a.C. dalla città di Taranto, dopo aver vinto diverse battaglie, avrebbe deportato famiglie aristocratiche lucane in Epiro (regione tra la Grecia e l’Albania, compresa tra la catena montuosa del Pindo e lo Ionio, NdR), che con le loro usanze avrebbero fatto conoscere le luganighe nel territorio ellenistico dove sarebbero divenute note coi nomi di loukaniko o loukanika. Dopo quindici secoli l’insaccato, per opera dei Veneziani, sarebbe ritornato sulla nostra penisola come luganega.
Una abitudine che si mantiene L’abitudine di preparare insaccati con parti diverse del maiale rimane nei tempi e dà origine a differenti denominazioni tra le quali quelle di salsiccia (sale e ciccia o carne) e di cervellato
o cervellata (forse per l’uso anche del cervello o per il colore e la pastosità del cervello quando si usa anche formaggio fresco), ma il termine lucanica o luganiga rimane in diverse regioni, in particolare nell’area occupata dal Longobardi, popolo che amava le carni e soprattutto quelle di maiale.
Ancora all’inizio del 1300 e nell’area settentrionale del Friuli e dei territori veneziani la luganiga è un salume fresco, da consumarsi fritto nella stagione fredda, e tale denominazione permane fino ad oggi. È in quest’area inoltre che le luganiche entrano con altri ingredienti nelle minestre e quando sono insaccate in tutta la lunghezza del budello divengono simbolo di altezza*.
Non una ma mille luganiche
Oggi in Italia la luganega è un insaccato fresco di buone carni suine, con limitate quantità di grassi e dalla grana fine, lungo, stretto e arrotolato “a chiocciola”, particolarmente diffuso nel Nord Italia. La differenza fra luganenga e salsiccia è territoriale e di forma. In Lombardia, Veneto e altre regioni padano-alpine, nella luganega, con moltissime varianti di nome e ingredienti, la carne macinata insieme a grasso di suino è insaccata a filza ed è da consumarsi previa cottura diretta del prodotto oppure nella preparazione di altre pietanze.
Particolarmente ricca è la Luganega di Monza, nel cui impasto si trovano anche formaggio grana (Grana Padano), brodo di carne e vino (Marsala); è l’ingrediente fondamentale per il Risotto alla monzese con lo zafferano. Nella versione trentina l’impasto è composto solo di suino e spezie in dosi variabili e viene insaccato in budello di vitello, più resistente e robusto.
Accanto alla Luganega classica di suino troviamo la Luganega di cavallo e le Lucaniche mochene, tipiche della Val dei Mocheni trentina, di cavallo, piccanti o stagionate, la Lucanica di capra o pecora, la Lujanie di cjavre friulana, la Luganega affumicata, la Luganega secca della Valle di Cembra. Particolari sono la Lughenia da passola, salume di Livigno conosciuto anche come Salame di rape bianche, chiamate appunto passole, e grasso di maiale, e la Lugànega da riso o Lugànega bianca trevisana che si distingue per il caratteristico colore
bianco con puntinature rosate. Molte Luganeghe sono riconosciute come PAT dalle Regioni Lombardia e Veneto. La Luganighetta e le Luganighe de Cragno sono due varianti della Svizzera italiana e della Slovenia.
Salume gentile e gustoso
Il sapore della luganega è esaltato quando è cotta alla brace o in padella, abbinata a patate al forno, cipolle arrostite o verdure cotte, ma si presta bene anche come condimento per primi piatti, frittate o ripieno di rustici. Ricette tradizionali sono la Luganega al forno e il Risotto con la luganega. In Trentino si usa nei Canederli, nello Smacafam, una sorta di torta salata che solitamente si prepara per Carnevale, o è servita con pane, polenta o crauti. In Romagna ed Emilia, come la salsiccia, è usata come condimento della pasta, soprattutto della gramigna Prof. Em. Giovanni Ballarini
Nota
* Nel libro “Vecchia cucina in Brianza” di OTTORINA PERNA BOZZI si legge “Una volta il consumo della luganega era tra i più importanti dei prodotti suini, tanto che il salumiere ne derivava il nome di luganeghée, come a Milano, e per la stessa ragione il salumiere si chiamò cervellée. Sempre per l’invadente importanza della luganega nella gastronomia locale, in Brianza i salamitt o salamelle milanesi diventano luganeghitt, il codeghin o cotechino diventa il luganeghin de codega , quello con l’aglio, il luganeghin d’aj C’è poi la luganeghetta o salsiccetta e il luganegott, grosso cotechino che in milanese si chiama codegott Ona resta de luganega indica un filo di salsiccia, ossia un intero budello che per comodità si tiene raddoppiato. Infatti un budello di salsiccia è tanto lungo che per indicare una persona alta e dinoccolata si dice L’è long come la luganega e sovente il suo soprannome è brevemente El luganega. La sua lunghezza le valse anche il soprannome di corda, che degenerò in un significato truce perché se ne fece un gioco di parole: Dar la corda, ossia dare la tortura della corda, si disse anche dar la luganega, e reciprocamente oggi la luganega viene a volte chiamata per scherzo La corda di Monza”
Cappuccini e schiuma di latte
di Giovanni Ballarini
C’è chi dice che la sua invenzione sia merito di un monaco italiano, chi di un soldato austriaco, ma è probabile sia nato a inizio ‘900 insieme alle macchine per l’espresso. La bevanda italiana per eccellenza, più diffusa dell’espresso perché più dolce, e la prima che apre le porte ad un vero caffè made in Italy
Il cappuccino è una bevanda composta da caffè espresso e latte montato a schiuma ed è un simbolo della caffetteria italiana nel mondo. Secondo una leggenda non documentata gli Europei avrebbero conosciuto l’infuso del caffè preparato con l’acqua dopo la sconfitta degli Ottomani nella battaglia di Vienna del 1683, ma sarebbe stato il frate cappuccino friulano MARCO D’AVIANO che in una caffetteria viennese avrebbe corretto il gusto troppo forte del caffè con del latte bollente e la nuova bevanda sarebbe stata soprannominata kapuziner, ovvero cappuccino in tedesco. Sebbene questa bevanda sia un semplice caffellatte, non sappiamo come siano andate realmente le cose, perché pare che un certo JOHANNES THEODAT, titolare di una caffetteria viennese, avesse già sperimentato nuove miscele di bevande al caffè. Un’altra ipotesi riconduce l’invenzione del cappuccino a FRANCISZEK JERZY KULCZYCKI, un caffettiere viennese che nel 1685 corresse il sapore amaro del caffè con latte e miele.
Nel corso del XVIII secolo il kapuziner viennese si arricchì di nuovi aromi, spezie e panna montata diffondendosi soprattutto in Friuli Venezia Giulia e in tutto l’Impero austro-ungarico. Alla fine del XIX secolo il cappuccino con la sua schiuma era di preparazione manuale. All’inizio del XX secolo, con l’introduzione della macchina per caffè espresso dotata di un beccuccio dal quale sgorga vapore, il cappuccino cominciò a prendere la forma attuale.
Le leggende a parte, è probabile, se non certo, che il cappuccino come lo conosciamo sia nato tra la fine dell’800
e l’inizio del ‘900 nei caffè dopo l’invenzione della macchina per l’espresso. Il nome, quindi, probabilmente deriva dal colore del latte circondato da un cerchio scuro di caffè, simile alla tonsura dei capelli dei frati cappuccini.
Schiuma o crema
Il cappuccino è composto da caffè (circa 25 ml) e latte (circa 125 ml) montati a vapore. La schiuma o, meglio, la crema deve essere di bell’aspetto, densa e in quantità pari a circa un terzo della tazza. Talvolta si aggiunge una spolverata di cacao o di cannella in polvere. Esistono molte varianti e in Italia le principali sono il cappuccino scuro e il cappuccino chiaro. Per accrescerne l’estetica oggi ci sono le tecniche dell’art coffee o latte art con le quali si decora la superficie del cappuccino con disegni fatti col bricchetto del latte o strumenti manuali.
La schiuma o crema del cappuccino è normalmente preparata insufflando vapore acqueo e aria nel latte per ottenere bollicine così piccole da essere quasi invisibili ad occhio nudo, con una consistenza setosa e buona scorrevolezza. La preparazione di una schiuma perfetta per il cappuccino più che una scienza è un’arte, anche se la scienza fornisce alcune indicazioni per la sua preparazione. Bisogna innanzitutto ricordare che i grassi sono dannosi per la stabilità della schiuma: meno grassi sono presenti nel latte, più sarà facile ottenere una schiuma stabile. Con un latte scremato, solitamente 0,1% di grassi, è facile avere una schiuma persistente; meno facile sarà avere una schiuma persistente adoperando un latte parzialmente scremato e più difficile usando il latte intero che ha una percentuale di grassi del 3,6%. Il gusto ha la sua parte e il latte scremato non è solitamente utilizzato per un buon cappuccino, mentre si preferisce quello ottenuto con il latte intero intervenendo in modo opportuno per avere una buona crema.
Per avere una buona crema da un latte con il 3,6 % di grassi, bisogna incorporare la maggiore quantità possibile di gas e questo si ottiene partendo da latte freddo di frigo (circa 5 °C), perché a queste temperature l’aria si scioglie meglio nel liquido. Riscaldando il latte insufflando vapore man mano che la
temperatura si innalza, le lattoglobuline del latte si denaturano e cambiano la loro struttura divenendo un emulsionante che contribuisce alla stabilizzazione delle bollicine. Partendo dal latte freddo vi è più tempo per formare la schiuma prima che il latte raggiunga la temperatura di 65 °C. Raggiunta la temperatura, la schiuma può essere raccolta e aggiunta sul caffè espresso così da creare il cappuccino. Una variante, peraltro discussa, è di riscaldare con il vapore il latte a 65 °C, raffreddarlo e poi insufflare di nuovo vapore, ma vi è il rischio di diluire eccessivamente il cappuccino.
Quando per sicurezza era necessario bollire il latte bisognava stare attenti perché, quando arrivava a bollore, la schiuma traboccava e, cadendo sul fuoco, sprigionava quel caratteristico odore di bruciato che invadeva tutta la cucina. Per evitare questo inconveniente esistevano particolari bollitori nei quali la schiuma ricadeva nel recipiente senza traboccare. La schiuma del latte è un inconveniente per i costruttori di impianti di mungitura, raccolta e lavorazione del latte mentre è una cosa preziosa per i baristi che la usano per dare vita ad uno dei simboli più famosi dell’inventiva gastronomica del nostro Paese: il cappuccino, appunto, e suoi derivati quali il mocaccino, il marocchino e l’espressino.
Mocaccino, marocchino, espressino
Il successo del cappuccino non ha impedito la nascita e lo sviluppo di varianti “golose” che vedono soprattutto l’aggiunta del cacao. Il mocaccino (o mokaccino) ad esempio è una bevanda calda costituita da cappuccino, panna e cioccolata, talvolta con l’aggiunta di polvere di cacao. È di solito servito al bar in bicchiere di vetro, in modo da rendere visibili gli strati di caffè, cioccolata e schiuma di latte. In alcuni locali al posto della cioccolata viene usato un liquore al cioccolato leggermente alcolico. Il marocchino non prevede l’uso di cioccolata ma solo caffè, crema di latte e cioccolato fondente in polvere. Viene servito anch’esso in un bicchiere di vetro. L’espressino, servito sempre in un bicchiere di vetro, risulta un piccolo cappuccino, perché alla base di un caffè ristretto è aggiunta crema di latte
e una spruzzata di cacao in polvere o liquido in superficie. Non va confuso col mocaccino che prevede un tipo di lavorazione inversa, col cioccolato sul fondo e il caffè in superficie, o con l’espressino freddo, una fredda crema densa di caffè, servita in bicchieri di vetro soprattutto in estate.
Schiuma del latte e gastronomia degli alimenti aerati
La schiuma del latte è formata dall’aria intrappolata sotto forma di bolle e il latte stesso. Nella schiuma del latte le bolle sono visibili ad occhio nudo diversamente dalla panna montata o dal gelato dove la dimensione delle bolle è così piccola da far apparire l’alimento come un tutt’uno. Le bolle che si formano con il riscaldamento di un liquido (non a caso si dice che questo arriva a bollore e bolle) tendono a dissolversi se non
sono stabilizzate dalla presenza di alcuni componenti dell’alimento chiamati surfattanti, tensioattivi o emulsionanti e che permettono di prolungare la vita di questa complessa struttura, frutto dell’interazione fra un alimento ed un gas, che nel latte è l’aria.
Agitando acqua pura non si ha nessuna schiuma che invece si forma e rimane relativamente stabile nella birra e nel latte grazie alle proteine che agiscono da surfattanti disponendosi sulle bollicine di gas intrappolate stabilizzandole per un tempo più o meno lungo e impedendo che scoppino troppo velocemente o che si uniscano ad altre bollicine.
Nel latte gli emulsionanti che danno origine alle bolle di gas sono soprattutto le lattoglobuline, grazie alle quali si formano e si stabilizzano le bolle. Il grasso del latte, invece, pur fondamentale per il sapore del prodotto, ha un’azione
di contrasto sulla formazione della schiuma. Il trattamento termico del latte agisce sulle lattoglobuline determinanti la formazione ed il mantenimento della schiuma introducendo un ulteriore elemento per la valutazione del risultato finale.
Per formare delle schiume sono necessari un liquido, un gas, energia e dei surfattanti. Per le schiume alimentari il liquido fondamentale è l’acqua mentre i gas sono i più diversi: nelle acque gassate si usa l’anidride carbonica, nei vini e nelle birre è l’anidride carbonica a formare la schiuma, ma nella birra irlandese Guinness si usa anche l’azoto ad alta pressione, per produrre la panna con la bomboletta il gas è il monossido di diazoto (N2O). L’energia per produrre una schiuma può essere quella meccanica (agitazione a mano o con un frullatore) o derivante dalla decompressione del liquido (come nelle birre e spumanti) o dal calore come nel latte messo sul fuoco o nel quale è immesso del vapore. Diversi sono i tensioattivi, le molecole che stabilizzato le bollicine formate dall’agitazione del liquido o dall’iniezione di gas.
I cibi aerati rappresentano l’apice dell’arte culinaria. I soufflé, le mousse, la panna montata, i pani lievitati, le birre, i gelati, i vini frizzanti e non ultimi, per restare sempre in Italia, il caffè espresso e il cappuccino e suoi derivati sono considerati la migliore testimonianza dell’abilità del cuoco e dei produttori di cibi e bevande d’alta qualità.
Fin dall’antichità numerosi sono sistemi per produrre alimenti e bevande contenenti gas in forma dispersa, dando vita prodotti soffici con una densità inferiore, quindi una migliore palatabilità, e una piacevole impressione sensoriale perché schiume e creme migliorano l’apprezzamento degli aromi e dei sapori.
Inoltre, i cibi aerati sono dai consumatori associati ad un concetto di light con un alto livello di accettazione. Tipici esempi sono proprio il cappuccino e suoi derivati, che hanno rapidamente conquistato il mondo in diverse “posizioni” gastronomiche: se in Italia infatti il cappuccino è parte della colazione mattutina, in Germania, con l’aggiunta della panna montata, diviene un dolce da consumare a fine pasto.
Giovanni Ballarini