Premiata Salumeria Italiana 4-2017

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXIX N. 4 Luglio-Agosto 2017

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ph: Franceschini Vincenzo

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N. 4 Anno XXIX Luglio-Agosto 2017

€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia Stampa

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988 Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Redazione New York Stefano Spadoni 1732 1st Ave #27220 – New York, NY 10128 Tel. 001 212 956-8566 E-mail: Stefanony@stefanospadoni.com Consulenti scientifici Prof. Giovanni Ballarini (Parma) – Prof. Fausto Cantarelli (Parma) – Prof. Carlo Cantoni (Milano) – Prof. Giuseppe Caserio (Milano) – Prof. Giorgio Catellani (Napoli) – Prof. Eugenio Del Toma (Roma) – Dr. Emanuele Guidi (Modena) – Prof. Riccardo Monacelli (Roma) – Dr. Alfonso Piscopo – Piero Pittaro (Udine) – Prof. Andrea Strata (Parma) – Angelo Valentini (Perugia) Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.

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Senza glutine Senza derivati del latte

SalumiďŹ cio Galli Remo s.r.l. Via Milano, 187 - 46019 Cogozzo di Viadana (MN) Tel. 0375 88249 - Fax 0375 790042 Sede produttiva: Via San Vitale 2 - 43038 Sala Baganza (PR) galli@galliremo.it

Sede operativa e produttiva:

www.galliremo.it


N. 4

In questo numero: Agenda

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Immagini

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Attualità

L’avanzata dei senzisti*

Guido Guidi

Bresaola, in arrivo quella 100% italiana

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Nitriti e nitrati sicuri, un errore eliminarli dalla salumeria

Giovanni Ballarini

Salame libero... da conservanti!

Maurizio Bongioanni 22

Il food in rete

Social food

Elena Benedetti

Aziende

Paganoni. Bresaola, naturalmente

Indagini

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Salumi San Bono, il valore di una buona comunicazione e quello dimenticato del grasso

Federica Cornia

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Norcineria di Maremma

Massimiliano Rella

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Il valore sociale dei salumi

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I consumi alimentari in graduale uscita dalla crisi

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Le regioni in etichetta

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Commercializzazione

Gli USA riscrivono le regole in fatto di igiene e sicurezza e tutto il mondo si adegua

Mercati

Dove vanno i salumi italiani?

Prodotti tipici

La pitina della Val Tramontina

Massimiliano Rella

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Il valore del capocollo di Martina Franca

Veronica Fumarola

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Il miracolo del Vinappeso, salume da meditazione

Gian Omar Bison

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Gailtaler Speck, più di una specialità, compagno di viaggio

Riccardo Lagorio

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Guido Guidi

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La Qualità

Dop, Igp e Stg di prodotti a base di carne in Europa

Andrea Gaddini

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Macellerie d’Italia

Bareato: carne e pancette si fanno in famiglia

Gian Omar Bison

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Eventi

Fracassi, i salumi, l’UNESCO e quella sua idea di qualità

Elena Benedetti

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Olio

L’Oro del Garda

Riccardo Lagorio

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Vino

Fattoria Paradiso, la cultura romantica del vino

Elena Benedetti

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Consorzio Terroir Marche e i vini bio di Offida

Massimiliano Rella

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I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: sarde, ricette e vini

Laura Franchini

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Birra

Alla ricerca della birra filosofale

Gian Omar Bison

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Bevande e distillati

Vodka da mangiare e da bere

Giorgia Fieni

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Caffè

Thai coffee

Massimiliano Rella

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Tecnologie

In buoni rapporti con la freschezza

Storia e cultura

Superstizioni in tavola

Libri

Marketing dei prodotti enogastronomici all’estero

108 Giovanni Ballarini

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In copertina: bresaola, gustosa e leggera, perfetta per l’estate (photo © Massimiliano Rella).

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AGENDA

Asiago (VI) Torna ad Asiago Made in Malga, la rassegna nazionale dei formaggi di montagna in calendario da giovedì 7 a domenica 10 settembre. Made in Malga si rivolge a tutti gli amanti del formaggio d’alpeggio, che si potrà assaggiare ed acquistare. Tanti gli appuntamenti: presentazioni di prodotto, assaggi liberi, aperitivi nei wine bar, degustazioni guidate da esperti. I banchi d’assaggio troveranno ospitalità nei negozi e nelle attività del centro di Asiago, creando tra le vie un percorso gastronomico dedicato alle specialità della montagna in cui ai formaggi di malga si aggiungono vini, birre artigianali, salumi, confetture e mieli. Un’occasione piacevole per scoprire in modo originale sapori e nuovi gusti (in basso, una malga sull’altipiano di Asiago; photo © forcdan – stock.adobe.com). www.madeinmalga.it

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Bra e Pollenzo (CN) Da venerdì 15 a lunedì 18 settembre le strade del piccolo comune cuneese di Bra saranno invase da produttori di formaggi e visitatori per l’edizione 2017 di Cheese, le forme del latte, la manifestazione internazionale dedicata al mondo lattiero-caseario di qualità che quest’anno si prepara a spegnere 20 candeline. Al centro di questa undicesima edizione, dalle conferenze ai Laboratori del Gusto, ci sarà il tema che ha segnato la storia della manifestazione: la battaglia in difesa dei formaggi a latte crudo. Un segnale forte in questa direzione verrà dal Mercato di Cheese, che per la prima volta presenta solo ed esclusivamente formaggi prodotti con latte crudo. Una scelta coraggiosa che rende concreto e tangibile quanto in questi anni la rassegna ha fatto per far conoscere questi formaggi, simbolo delle produzioni casearie d’eccellenza per diversità di razze autoctone, autenticità del territorio in cui sono prodotti e saperi dei pastori e casari che li hanno trasformati. Tra le novità di quest’anno, poi, c’è la doppia sede. Cheese sarà infatti in due luoghi: a Bra e a Pollenzo. Navette speciali traghetteranno i visitatori da un posto all’altro. A Pollenzo saranno attivi i Laboratori del Gusto presso la Banca del Vino, gli Appuntamenti a Tavola nell’Albergo dell’Agenzia e i Laboratori di analisi sensoriale nelle aule dell’Università mentre a Bra ci sarà Il Mercato italiano e internazionale, la Via degli affinatori e i food truck, oltre ai Presidi del formaggio. L’ala del mercato coperto su Corso Garibaldi ospiterà la Gran sala dei formaggi e l’Enoteca, mentre in piazza XX Settembre ci saranno gli stand dei partner di Cheese 2017, la Piazza della birra e le Cucine di strada. Un appuntamento da non perdere (in foto, Gorgonzola Dop; photo © 68.media.tumblr.com). cheese.slowfood.it

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Bolzano Si chiama Alto Adige Wine Summit ed è l’evento con cui il Consorzio Vini Alto Adige celebrerà i suoi primi 10 anni, radunando sul territorio centinaia di giornalisti, operatori del settore e semplici appassionati il 22 e il 23 settembre, per offrire una panoramica a 360 gradi sul vino altoatesino. L’evento si aprirà il pomeriggio del 22: dopo una mattinata dedicata a incontri su invito, ci sarà la presentazione in anteprima per gli operatori dei vini Riserva dell’annata 2015, insieme ad alcune bottiglie del 2016 che necessitano di una maggiore evoluzione e usciranno sul mercato in autunno. Saranno sessanta le aziende del territorio presenti al Bolzano Meeting and Event Centre (MEC), con orario di apertura dalle 16:00 alle 20:00. In contemporanea al banco, è prevista una serie di degustazioni guidate, degustazioni verticali e seminari, che permetteranno ai professionisti di settore di trattare in dettaglio i temi di maggior interesse. «Per la prima volta il mondo del vino altoatesino si riunisce per proporre a stampa e operatori internazionali etichette non ancora presenti sul mercato, offrendo nel contempo numerose opportunità di approfondimento e di confronto a tutti i presenti» afferma WERNER WALDBOTH, direttore del Consorzio Vini Alto Adige. «Dal punto di vista delle presenze professionali, aspettiamo fino a 100 giornalisti e partner provenienti dai nostri mercati di riferimento, in particolare Italia, Germania, Svizzera, Stati Uniti, Russia, Giappone, Regno Unito, Belgio e Paesi Bassi. Ci attendiamo anche una forte affluenza al banco di assaggio e alla manifestazione aperta al pubblico in programma il giorno successivo». www.winesummit.info

Val di Funes (BZ) Non solo canti, danze folcloristiche e specialità regionali: quest’anno la Festa dello Speck Alto Adige in Val di Funes festeggia i 15 anni di attività offrendo workshop, giochi a premi e video virtual reality. Il 30 settembre e il 1 ottobre, Santa Maddalena si prepara ad accogliere l’appuntamento con il re dei salumi altoatesini: lo Speck Alto Adige IGP! Due giorni di festa all’insegna del divertimento che porterà i visitatori ad immergersi nella natura incontaminata del luogo, godendo di un ricco programma di intrattenimento che verrà coronato da workshop sulle fasi di produzione dello speck e del suo uso in cucina. L’edizione 2017, che vedrà protagonista l’ormai famoso Gletscherhons, il tagliatore più veloce di speck, e l’elezione della Regina dello Speck, sarà condita da un’altrettanto corposa proposta gastronomica: dai piatti tipici come i classici taglieri di salumi, i canederli o i gröstel (patate arrostite e speck), fino alle pietanze più creative come la vellutata di zucca con fettine di speck o l’insalata di cavolo cappuccio con speck. www.speck.it

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IMMAGINI

Mare, spiagge attrezzate, shopping e divertimento per tutti i gusti, età e tasche: questa è la Romagna per la stragrande maggioranza delle persone che, con l’inizio della bella stagione e soprattutto durante i weekend, intasa letteralmente le autostrade italiane pur di raggiungerla. Ma c’è anche un’altra Romagna, un territorio fatto di colline vitate, piccoli borghi, castelli e ritmi lenti tutta da scoprire. I dati più recenti ci dicono che l’enoturismo si conferma per l’Italia come una risorsa economica e culturale con ampi margini di crescita e questo lo sa bene Graziella Pezzi che nella sua Fattoria Paradiso, a Bertinoro, nella provincia di Forlì-Cesena, ospita da anni turisti, appassionati e curiosi alla scoperta della sua produzione vinicola. A pagina 86 un articolo sulle novità di questa storica cantina romagnola (photo © GoneWithTheWind).

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ATTUALITÀ

L’avanzata dei senzisti* Si è svolta dal 13 al 21 maggio la 3ª edizione della Settimana Nazionale della Celiachia dedicata alla nutrizione. Presentati dati sulla patologia e la spesa in alimenti gluten free, non senza un vena polemica di Guido Guidi

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arebbero oltre 600.000 le persone affette da celiachia in Italia, ma solo 190.000 diagnosticate. È l’Associazione Italiana Celiachia a dirlo. Lo sostiene, però, con una velata nota di disappunto: per i celiaci, infatti, la dieta senza glutine non è una scelta alimentare, ma l’unica terapia possibile per non subire gravissimi danni alla propria salute. Non è la stessa cosa invece per i 6 milioni di consumatori che seguono in modo ingiustificato un regime privo di glutine,

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spendendo oltre 100 milioni di euro all’anno, per prodotti di cui, in realtà, non avrebbero bisogno alcuno. Ergo: ci sarebbero — secondo l’AIC — ben 6 milioni di Italiani celiaci per scelta, che in ragione di questa particolare fissazione arriverebbero a destinare buona parte del proprio budget per gli alimentari in cibi di cui non hanno necessità. Generando così uno spiacevole equivoco che fa in certo qual modo apparire la celiachia alla stregua di una tendenza, piuttosto che una serissima patologia.

Che ci fosse un trend di questo tipo l’avevamo capito da tempo. Il gluten free guadagna fette di mercato a ritmi di quasi il 30% all’anno e, solo in Italia, vale 320 milioni di euro, 105 dei quali spesi da soggetti senza diagnosi. Uno scontrino medio di alimenti gluten free è di almeno il 50% superiore a quello di prodotti realizzati con farine classiche. Un tendenza, quindi, che pesa anche sul portafoglio. Un prodotto privo di glutine su tre è oggi acquistato da soggetti che non hanno avuto alcuna diagnosi in

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A sinistra: farina di mandorle, farina di amaranto, farina di grano saraceno, farina di riso, farina di ceci. Per chi è celiaco, altre farine utilizzabili sono quelle di mais, sorgo, teff, miglio, canapa sativa e quinoa (photo © Baiba Opule). In alto: zuppa di ceci con sorgo e zucca (photo © blog.giallozafferano.it).

merito al morbo, ma che mangia senza glutine con l’idea — discutibile — di perdere peso o condurre così una vita più sana. Non ci sono però studi che dimostrino vantaggi su soggetti sani. Per quanto riguarda il peso, è noto che i prodotti senza glutine siano tendenzialmente più calorici e, quindi, poco funzionali ad una dieta dimagrante. Il British Medical Journal ha pubblicato gli esiti di un recente studio su oltre 110.000 soggetti, secondo cui, nei non celiaci, l’esclusione

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del glutine non solo non ridurrebbe il rischio cardiovascolare, come alcuni sostenevano — nella convinzione che incrementasse il livello di infiammazione anche in chi non è intollerante — ma anzi, in soggetti sani, implicherebbe una riduzione del consumo di cereali integrali, con possibili effetti negativi, proprio a livello cardiovascolare. In sintesi, la dieta gluten free su soggetti non celiaci, non solo non giova, ma potrebbe paradossalmente diventare dannosa!

Eppure — sempre secondo l’AIC — per un Italiano su dieci questo regime sarebbe più salutare e, addirittura, per tre su dieci farebbe dimagrire. Sono quindi ampiamente diffuse convinzioni prive di fondamento scientifico alcuno e l’associazione teme che questo fare banalizzi la malattia e, alla lunga, ne sminuisca la gravità agli occhi di istituzioni ed opinione pubblica. Per l’1% della popolazione nazionale, infatti, il glutine è un vero e proprio veleno e i prodotti che ne sono privi rappresen-

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Insalata di quinoa con pollo speziato, aglio, lime (photo © www.eatwell101.com).

tano l’unico modo per star bene e non subire, alla lunga, danni irreversibili. Per questa ragione, e ormai da diversi anni, il Servizio Sanitario Nazionale eroga ad ogni celiaco un voucher mensile del valore di 100 euro circa per l’acquisto di prodotti gluten free. Ma questo coupon — che rappresenta un diritto faticosamente conquistato negli anni — appare oggi banalizzato dalla “moda del senza” a tavola, tanto più che, in tempi di spending review, i Ministeri sono sempre alla ricerca di qualche spesa da tagliare. L’attenzione spasmodica di un mercato che vuole cavalcare la tendenza del momento rischia quindi di rappresentare per i malati più una minaccia che un’opportunità. Ma i paradossi non finiscono qui: in Italia, infatti, a fronte di un numero vastissimo di persone che fanno la dieta gluten free per scelta e non per necessità, ci sarebbe un esercito di celiaci non diagnosticati e quindi di malati che, non sapendo di esserlo, non si nutre in modo corretto. Il 70% degli interessati, non sa di avere questo problema. Che sia per moda o per necessità, la richiesta del senza glutine si è fatta sempre più pressante anche fuori casa e

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il mondo della ristorazione non si è fatto attendere. Se cucinare un piatto gluten free è operazione semplice, il dramma dei celiaci sono i locali pubblici, dove il rischio di contaminazione è sempre dietro l’angolo. L’AIC dichiara però che sono diverse migliaia gli esercizi dove si possono trovare prodotti gluten free e sono 4.000 i ristoranti, le pizzerie, gli alberghi, le gelaterie, i laboratori artigianali che hanno seguito un percorso di formazione e tuttora sono monitorate dai tutor dell’AIC. Un mondo di “senza” Il tema del “senza glutine” non è però che uno dei tanti — forse il più noto — che ricorre nelle scelte alimentari contemporanee. E non riguarda solo l’Italia. Dal “senza olio di palma” al meno recente “senza conservanti”, passando dal “senza zuccheri aggiunti” per una lunga lista di prodotti alimentari privi di qualcosa, la tendenza verso i cibi a cui manca un ingrediente è sempre più diffusa. E spesso si nutre di convinzioni prive di fondamento, generate da claim che hanno forte impatto commerciale. Ciò che i salutisti del momento però non considerano è che, se una sostanza necessaria o funzionale al prodotto

viene eliminata, verrà presumibilmente sostituita con un’altra. E non è detto che quella che viene introdotta, non sia addirittura più dannosa. I “senzisti” — così ribattezzati — non sempre attingono informazioni dalle giuste fonti. Molto frequentemente le ricerche sono limitate al web e a soggetti o siti non qualificati. È in questo clima di pressappochismo e sfiducia che nasce la teoria del complotto, che mette in dubbio ogni cosa e che butta fango su studi e ricerche autorevoli o concetti acquisiti e provati da tempo. Ed è così che si mettono in discussione elementi dalle basi scientifiche solide, per lasciare spazio a ipotesi prive di riscontro oggettivo. Spesso i consumatori sono guidati da questa (dis)informazione distorta e ancor più di frequente da quanto scritto in etichetta. In questo modo i maghi del marketing colpiscono il bersaglio e fanno passare un’idea di salute che —nella maggior parte dei casi — con la salute ha ben poco a che fare. Guido Guidi Nota *Prendiamo cortesemente in prestito il termine “senzisti” da PIETRO PAGANINI, LA STAMPA.

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Complimenti a Dispensa (e lunga vita alla carta!) Lo scorso giugno si è svolta a Yantai, in Cina, la cerimonia di premiazione dei Gourmand World Cookbook Awards 2017. Si tratta di un riconoscimento che premia l’editoria gastronomica mondiale. Dispensa, il bookazine italiano creato nel 2013 da Martina Liverani (www.dispensamagazine.com) ha ottenuto il secondo posto nella categoria Best Publisher, sezione Food Magazine. «È la seconda miglior rivista al mondo, prima in Occidente» ha commentato con giusta soddisfazione Martina. «Questo riconoscimento è un onore straordinario che vogliamo condividere con tutti i sostenitori di Dispensa. Lunga vita alla carta». Bravissimi!


Bresaola, in arrivo quella 100% italiana

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n accordo per sviluppare un progetto di filiera che incrementi la produzione di bresaola prodotta con carne italiana è stato firmato a Roma tra Filiera Agricola Italiana promossa dalla COLDIRETTI e RIGAMONTI SPA. “Una garanzia per gli allevatori e un impegno per Rigamonti — scrive nel comunicato stampa Coldiretti — di portare quanto più è possibile lavoro in Italia, favorendo la crescita di una filiera nostrana di qualità in un mercato che in 15 anni ha visto aumentare del 43% il consumo di bresaola a livello nazionale e che oggi trova spazio sulle tavole di ben 8 Italiani su 10 secondo la ricerca DOXA promossa dal Consorzio della Bresaola della Valtellina IGP”. La bresaola Rigamonti ottenuta con carne

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italiana sarà riconoscibile dai consumatori sul mercato dalla scritta 100% Italiana e dal marchio Firmato dagli Agricoltori Italiani. L’accordo stipulato ha l’obiettivo di sviluppare la filiera garantendo il lavoro degli allevatori italiani per arrivare entro tre anni alla macellazione di almeno 30.000 capi provenienti da bestiame nato, allevato, macellato e sezionato in Italia secondo regole e prezzi concordati. «Siamo ben felici con questo progetto di sostenere gli allevatori italiani e di incentivare una produzione di qualità attraverso un progetto di filiera che a noi permetterà di aumentare la quota di produzione 100% italiana» commenta CLAUDIO PALLADI, AD di Rigamonti Spa. «La bresaola nasce da una cultura alimentare profondamente legata alle nostre valli e poter sostenere

al massimo la filiera è per noi motivo di grande orgoglio». Per E TTORE P RANDINI , presidente Filiera Agricola Italiana, «l’arrivo sul mercato della bresaola con carne 100% italiana è una vera svolta che risponde alle domande di un numero crescente di consumatori che crede nella qualità del made in Italy dalla stalla alla tavola ma è anche un valore aggiunto per il territorio con il sostegno dell’economia e dell’occupazione». (Fonte: Ansa; Terra&Gusto; Eurocarne) Nota In foto, insalata estiva con pomodori, rucola, bresaola della Valtellina IGP, scaglie di Parmigiano Reggiano DOP e limone (photo © weyo – stock.adobe.com).

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Nitriti e nitrati sicuri, un errore eliminarli dalla salumeria L’eliminazione di giuste quantitĂ di nitriti e nitrati dai salumi non è assolutamente giustificata da alcuna ragione di pericolositĂ , esponendo anzi ai rischi di dannose tossinfezioni e alla riduzione delle caratteristiche organolettiche dei prodotti di salumeria di Giovanni Ballarini

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ella sempre più diffusa cultura del “senza” (colesterolo, zucchero, grassi, ecc…) il “senza additivi”, in particolare senza nitriti e nitrati aggiunti, colpisce anche la salumeria, soprattutto quella italiana, dimenticando che l’uso del salnitro fa parte di un’antichissima tradizione. Nitriti e nitrati sono abbondantemente e naturalmente presenti nell’alimentazione umana tradizionale perché si trovano in molti alimenti anche biologici. Il nitrato è infatti largamente presente nelle verdure: le concentrazioni più elevate si trovano nelle verdure a foglia come spinaci e lattuga, dove si possono raggiungere e superare i 3.000 milligrammi per chilo, ed entra nell’alimentazione attraverso l’acqua che beviamo. Come ha ricordato di recente l’EFSA1, l’Agenzia per la sicurezza alimentare dell’Unione Europea, i sali di nitriti e nitrati sono utilizzati per stagionare la carne e altri prodotti deperibili, e vengono aggiunti agli alimenti per conservarli e ostacolare la crescita di microrganismi nocivi, in particolare il Clostridium botulinum, batterio responsabile del pericolosissimo botulismo. Nitriti e nitrati consentono di mantenere il colore rosso nelle carni e di migliorarne il gusto, e sempre i nitrati impediscono in alcuni formaggi gonfiori di fermentazione. Secondo un calcolo dell’EFSA, nella normale alimentazione europea il nitrito e il nitrato aggiunti alle carni non superano il 5% del quantitativo presente nell’alimentazione media totale. In un’alimentazione vegetariana e/o vegana, dove abbondano gli alimenti vegetali ricchi di nitrati e nitrati, la loro quantità totale è certamente maggiore rispetto a quella di un’alimentazione onnivora. Se nell’abbondante porzione di un etto di salume sono contenuti dai 10 ai 15 milligrammi di nitrato o nitrito, infatti, in due etti di spinaci ve ne sono almeno 600. Nitriti e nitrati nell’organismo umano Nell’uomo i nitriti e nitrati degli alimenti vegetali, carnei e dell’acqua sono assorbiti rapidamente dall’organismo e per la maggior parte eliminati come nitrati. Una piccola quantità del nitrato assorbito è rimesso in circolo dalle ghiandole salivari e, di questo, un’ul-

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teriore piccola parte è convertita in nitrito dai batteri del cavo orale. Il nitrito assorbito può ossidare l’emoglobina dei globuli rossi del sangue trasformandola in metaemoglobina, che in eccesso riduce il trasporto dell’ossigeno nel corpo e soprattutto può contribuire alla formazione di un gruppo di composti noti come nitrosammine, alcune delle quali sono cancerogene; da qui le giuste preoccupazioni di non superare le dosi di sicurezza che hanno portato a stabilire le seguenti dosi giornaliere ammissibili (DGA) per chilogrammo di peso corporeo: • per il nitrito tra 0,06 e 0,07 mg; • per il nitrato 3,7 mg. Sicurezza dei nitriti, nitrati e nitrosammine Gli esperti scientifici dell’EFSA, nel loro recente rapporto che basa la propria valutazione su dati precedenti, nuova letteratura scientifica e di ricerca dati, confermano che il nitrato non è genotossico né cancerogeno, assicurando che la dose massima di 3,7 milligrammi giornalieri per chilo di peso corporeo tutela la salute del consumatore. Per i nitriti alimentari, che solo per circa il 5% derivano da additivi aggiunti, applicando ipotesi prudenziali (e cioè quelle peggiori), si deve constatare che la formazione nell’organismo di nitrosammine da nitriti aggiunti ai prodotti a base di carne nei livelli autorizzati non costituisce un problema anche minimamente rilevante per la salute umana, perché la loro quantità è in pratica ininfluente sul bilancio alimentare, considerando la quantità di nitriti e nitrati negli alimenti vegetali e nell’acqua. Bisogna tuttavia considerare che la concentrazione o la quantità di nitriti e nitrati assorbiti da un individuo in una popolazione o in un ecosistema può essere variabile per molti fattori, non ultimi l’ambiente e le modalità di produzione degli alimenti, non dimenticando infine che i bambini hanno livelli di consumo più elevati in rapporto al peso corporeo. Alimentazione sicura con nitriti e nitrati Sulla base delle evidenze disponibili, gli esperti dell’EFSA concludono che gli attuali livelli di sicurezza per nitriti

Gli esperti scientifici dell’EFSA confermano che il nitrato non è genotossico né cancerogeno, assicurando che la dose massima di 3,7 mg giornalieri per chilo di peso corporeo tutela la salute del consumatore e nitrati aggiunti alla carne e ad altri alimenti tutelano a sufficienza i consumatori. Utilizzando gli effettivi livelli di concentrazione nei cibi, l’esposizione del consumatore al nitrato usato come additivo alimentare è inferiore al 5% dell’esposizione complessiva al nitrato negli alimenti e non supera la dose giornaliera ammissibile (DGA), fatta eccezione per un lieve superamento nei bambini la cui dieta sia basata su un’elevata quantità di alimenti contenenti tali additivi. Considerando i rischi e i vantaggi per i consumatori dei nitrati nei vegetali, bisogna ritenere che gli effetti benefici superano i rischi e che il consumatore medio non supera la dose di sicurezza. I vantaggi di sicurezza microbiologici e di qualità organolettica forniti da nitriti e nitrati, aggiunti alle dosi consentite nei salumi e in alcuni formaggi, sono incontrovertibili e non esistono pericoli nel loro uso, per cui la loro eliminazione non ha alcuna giustificazione sensata, ed è tanto più assurda una loro criminalizzazione con irrazionali campagne scandalistiche. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Nota 1. Re-evaluation of potassium nitrite (E 249) and sodium nitrite (E 250) as food additives, EFSA Journal, 15 giugno 2017 (www.efsa.europa.eu/ it/efsajournal/pub/4786); a pag. 20 salame e formaggio stagionato. Nitriti e nitrati utilizzati per la stagionatura ostacolano la crescita di microorganismi nocivi per la salute dell’uomo (photo © B. ed E. Dudziski).

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Salame libero... da conservanti! di Maurizio Bongioanni

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engono aggiunti come additivi soprattutto in prodotti a base di carne, come insaccati, prosciutti e carni in scatola, ma anche in pesci marinati e a volte in prodotti caseari. Si tratta di nitriti e nitrati, sostanze addizionate agli alimenti, soprattutto industriali, per preservarli da contaminazioni microbiche ma anche per migliorarne l’aspetto e la consistenza. Se venissero utilizzati solo per aumentare la conservabilità del prodotto, il dosaggio sarebbe molto inferiore a quello attuale: il loro scopo, pertanto, è anche quello di alterare artificialmente alcune caratteristiche dei prodotti, come ad esempio il co-

lore delle carni. L’utilizzo massiccio di conservanti nei salumi è solo uno dei tanti sintomi dell’industrializzazione della produzione alimentare. I nitriti, ad esempio, consentono di produrre salumi utilizzando scarti di lavorazione — dove la contaminazione batterica è molto più alta rispetto alla lavorazione delle intere mezzene — mantenendo il colore rosso della carne. Tutto ciò a discapito non solo della qualità del prodotto, ma anche della salute dei consumatori. I nitriti, infatti, in ambiente acido (soprattutto nello stomaco) danno origine alle nitrosammine, molecole potenzialmente cancerogene. Mentre i nitrati, che di per sé sono innocui per la salute, in

determinate condizioni tendono a trasformarsi in nitriti una volta a contatto con la flora batterica della saliva. Per questa ragione l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (AIRC) sostiene che “il consumo eccessivo e prolungato di insaccati con conservanti è associato ad un aumento del rischio di sviluppare un tumore allo stomaco e all’esofago”. In Italia le attuali normative di legge, che sono tra le più stringenti in Europa, regolano l’uso dei nitriti come additivi alimentari consentendolo solo in piccole quantità (il limite massimo di nitriti ammissibile per la legge italiana è di 150 milligrammi per chilogrammo di prodotto alimentare).

In Italia le attuali normative di legge regolano l’uso dei nitriti come additivi alimentari consentendolo solo in piccole quantità (photo © Sebastian Radu).

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Oggi sembra imprescindibile e scontato l’utilizzo di questi additivi; tuttavia, si dimentica che i salumi sono stati prodotti per secoli utilizzando solo conservanti naturali come sale, pepe, peperoncino, spezie, fumo. Se dal Dopoguerra in poi la pratica dell’utilizzo dei nitriti si è diffusa al punto che perfino molti laboratori artigianali li ritengono indispensabili, esistono ancora (anche se sempre meno numerosi) produttori che realizzano salumi senza conservanti, commercializzati non solo nei propri punti di vendita ma in tutta Italia, senza problemi di conservazione. MASSIMO PEZZANI, gestore di Antica Ardenga, una piccola azienda che produce salumi nella Bassa Parmense, è uno di loro. L’azienda, che fa parte dei 13 produttori che danno vita al Consorzio del Culatello di Zibello, presidio Slow Food, ha da poco lanciato il “salame libero”, prodotto senza uso di nitriti né di nitrati. «Ho tentato di fare un prodotto il più naturale possibile — dice Massimo — partendo dal presupposto che ormai la stragrande maggioranza dei salumi prevede un uso massiccio di nitriti, nitrati e antiossidanti. Il lavoro che c’è dietro è notevole e la filosofia produttiva completamente diversa, ma sono sacrifici ripagati da un’elevata qualità del prodotto. Innanzitutto i maiali, macellati a 14 mesi di vita e intorno ai 260 chili di peso, sono nati e cresciuti in azienda e alimentati con mangimi privi di OGM. Ciò significa che, rispetto ad un allevamento industriale, la carne lavorata è di qualità superiore e contiene meno acqua poiché gli animali sono alimentati in modo più sano ed equilibrato. Così facendo si riduce il rischio di proliferazione dei batteri e, con un buon lavoro di asciugatura tramite l’utilizzo di celle frigorifere, si può evitare l’utilizzo dei conservanti. Si tratta di un modo diverso di produrre, che prevede tempi più dilatati e una stagionatura più lenta». Nel disciplinare dei propri presidi, Slow Food segnala che i nitriti vanno evitati, mentre l’utilizzo dei nitrati dovrebbe essere limitato. I consumatori possono capire quali livelli di nitrati siano stati impiegati leggendo l’etichetta e privilegiando quei prodotti che vi ricorrono meno, o che non ne utilizzano affatto. Maurizio Bongioanni Slow Food Italia

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A Cheese si parlerà di salumi liberi Per la nuova edizione di Cheese 2017 (15-18 settembre a Bra e Pollenzo, Cuneo), all’interno del ricco programma di conferenze ed eventi ve ne sarà uno dedicato ai salumi liberi da nitriti e nitrati. Il contenuto riguarderà l’eccesso di dosaggio, a discapito della qualità del prodotto e della salute del consumatore. L’appuntamento è per il 17 settembre, dalle 11:30 alle 13:00, all’interno della Casa delle Biodiversità in via Marconi a Bra. Seguirà un Laboratorio del Gusto dal titolo “Salumi si può. Ma buoni e naturali”, presso il Cortile delle Scuole Maschili a Bra, dalle 13:00 alle 14:30. I posti disponibili sono una cinquantina e il prezzo di iscrizione è pari a 30 euro (25 euro per i soci Slow Food). Nel corso della degustazione guidata si potranno assaggiare salumi dei presidi Slow Food, dal meurche (Bulgaria), alla salsiccia di Mangalica (Ungheria), alla ventricina del Vastese (Abruzzo) fino al cosiddetto “salame libero”. >> Link: cheese.slowfood.it cheese.slowfood.it/event/salumi-si-puo-ma-buoni-e-naturali

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IL FOOD IN RETE

Social di Elena 1. The Gourmand: il cibo è cultura Ideata e fondata nel 2011 da DAVID LANE e MARINA TWEED e stampata in Inghilterra da Lane & Associates con una tiratura di due numeri all’anno, The Gourmand (thegourmand.co.uk) è una bella rivista che esplora le numerose intersezioni che ci sono tra cibo e arte. Ogni numero conta 120 pagine di testi, foto e illustrazioni che raccontano il food attraverso un approccio mai banale o scontato. Decisamente una pubblicazione da collezionare e anche da seguire su instagram.com/ thegourmand (in foto, COOKIE MONSTER, The Gourmand n. 09, 2017; photo © instagram.com/thegourmand).

2. Savigni, agricoltori con stile Allevatori in quel di Pavana (PT) e trasformatori di carni e salumi, i SAVIGNI amano definirsi macelleria agricola. Tutto gira intorno alla loro terra di origine, alle stalle e ai loro animali. Il sito web www.savigni.com racconta la loro storia attraverso immagini “sporcate” da un design bello e moderno, che sottolinea i particolari e aiuta il visitatore a calarsi nella loro realtà. Li trovate in bottega a Pavana, al Mercato Centrale di Firenze, al Mercato Centrale di Roma insieme a ROBERTO LIBERATI e a Ponte a Calcaiola (PT) presso il Podere di Monaverde.

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food Benedetti

3. Natura delle cose, un mondo da scoprire È il blog di GAE SACCOCCIO, il wine philosopher e ricercatore di autenticità nel mondo del wine e food. Un contenitore di appunti, suggestioni, idee, esperienze che l’autore traccia su Generi Elementari Natura delle cose, accessibile al link www.naturadellecose.com. L’obiettivo di questo blog è alto: promuovere l’educazione civica alla cultura del buon mangiare e del bere meglio. Da leggere con attenzione anche la sezione Carta pensante, “un archivio virtuale dove memorizzo mie letture presenti/passate/future di fogli a stampa che sono per lo più libri persi eppure imperdibili, segni viventi del pensiero umano in azione. Perché certa scrittura è più vera, più potente e reale della stessa realtà che, invece, è quasi sempre finzione, debolezza, miseria”: cose belle! (in foto, Gae Saccoccio; photo © naturadellecose.com).

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4. Diamo soldi alle idee sul food Lo scenario delle startup sul food a livello mondiale continua ad avere un trend molto positivo. Sono parecchie le idee che animano progetti e business plan e altrettanti gli investitori a caccia dell’occasione giusta. Sul portale www.crowdfooding.co.uk è possibile creare la propria campagna di raccolta fondi, raccontando la propria idea di attività legata al food o finanziare progetti meritevoli. Della serie, diamo un po’ di soldi al merito (photo © blog.crowdfooding.co.uk).

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Consorzio Zampone e Cotechino Modena Igp: un nuovo look e il Concorso nazionale di cucina per gli chef di domani Un nuovo logo per uno dei Consorzi più rappresentativi del made in Italy alimentare, il Consorzio Zampone e Cotechino Modena Igp. «Il nuovo logo del Consorzio Zampone e Cotechino Modena Igp è stato creato ispirandosi al territorio di origine dei nostri due prodotti. I nuovi colori — azzurro e oro — riprendono quelli dell’araldica della città e l’elemento caratterizzante rappresenta il rosone del duomo di Modena», ha spiegato Paolo Ferrari, presidente del Consorzio. Una grafica che si rifà quindi alle radici più profonde del territorio: proprio come avvenne nel 2009 per lo stemma della città di Modena, quando per volontà del sindaco e del presidente del Consiglio comunale, si adottò una rinnovata grafica con una croce azzurra in campo oro. Ancora oggi, giallo e blu, sono i colori che campeggiano nello stemma cittadino: fin dal XII secolo hanno colorato la storia della città e del territorio, come una carta di identità cromatica di origine antichissima. «Nel nostro nuovo logo, tutti gli elementi grafici sono poi racchiusi in una targa, quale elemento simbolico di preziosità. All’interno del nuovo logo abbiamo anche voluto i colori della bandiera italiana, per evidenziare ancora di più la provenienza di questi prodotti, soprattutto nei confronti dei consumatori stranieri» ha concluso Ferrari. Il nuovo logo sarà presente su tutte le confezioni a partire dalla prossima stagione e per un primo periodo potranno convivere sul mercato le confezioni con il vecchio logo e quelle con la nuova effigie, nell’attesa che tutti i produttori smaltiscano le giacenze di confezioni con il logo che sta per essere sostituito. La nuova immagine sarà come sempre accompagnata dal marchio blu e giallo europeo, che rappresenta l’Indicazione Geografica Protetta. Per essere sicuri di acquistare il prodotto Igp autentico entrambi i loghi devono sempre essere presenti. Non solo rinnovati nell’immagine ma anche più attenti alle richieste nutrizionali dei consumatori. Dal 1o gennaio 2017, infatti, sia zampone sia cotechino Modena Igp sono realizzati senza glutammato aggiunto, senza derivati del latte e solo con aromi naturali. Il concorso per la VII edizione della Festa dello Zampone e del Cotechino Modena Igp: appuntamento al 9 dicembre Il Consorzio Zampone e Cotechino Modena Igp, con il patrocinio di Regione Emilia-Romagna e Comune di Modena, ha indetto la quarta edizione del concorso nazionale di cucina “Lo Zampone e il Cotechino Modena Igp degli chef di domani”, nell’ambito della VII edizione della Festa dello Zampone e del Cotechino Modena Igp, che si terrà sabato 9 dicembre 2017 in piazza Roma a Modena. Possono partecipare al concorso le classi quarte e quinte degli istituti professionali statali per i servizi dell’enogastronomia e l’ospitalità e le classi terze delle scuole e gli istituti alberghieri di formazione professionale. La partecipazione al concorso è completamente gratuita ed avviene a titolo di classe. A partire dal mese di giugno è possibile per le scuole interessate iscriversi sul sito al link: www. modenaigp.it/lo-zampone-cotechino-modena-igp-degli-chefdomani. Registrandosi sarà possibile ottenere le credenziali che daranno modo di caricare le loro ricette sul sito per partecipare al concorso. Le scuole avranno tempo fino al 3 novembre 2017 per caricare le proprie ricette sul sito www.modenaigp.it >> Link: www.modenaigp.it

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Slow Food Italia e Foodscovery partner per la digitalizzazione delle piccole imprese agricole e alimentari italiane Immaginate che i produttori di piccola scala di prodotti dei presidi Slow Food, e non solo, abbiano a disposizione un software per entrare a far parte di un ampio mercato virtuale e allargare così il loro raggio d’azione in tutta Italia e anche oltre i confi ni nazionali. Un software capace anche di assisterli nella gestione del magazzino e nelle principali incombenze amministrative collegate alla logistica e alla commercializzazione dei loro prodotti: questa è la piattaforma Foodscovery (www.foodscovery.it) che, grazie alla collaborazione con Slow Food Italia, presenta un nuovo programma per acquistare facilmente formaggi, salumi, pesce, carne, olio, vino e dolci. «Oltre a digitalizzare le imprese agricole e alimentari di piccola scala, garantendo per chi acquista un rapporto diretto con il produttore (saltando così i passaggi della distribuzione tradizionale), l’accordo con Foodscovery fornirà anche ai ristoranti e ai negozi uno strumento utilissimo per approvvigionarsi dai produttori dei presidi e da altri produttori di qualità, facilitandone così la logistica e la spedizione, spesso complicata proprio per queste piccole realtà», spiega Roberto Burdese, consigliere delegato di Slow Food Promozione. Scegliendo direttamente sul sito dall’ampio catalogo a disposizione, si ricevono le eccellenze regionali direttamente a casa propria con un solo clic, mettendosi direttamente in contatto con il produttore. >> Link: www.foodscovery.it


AZIENDE

Paganoni. Bresaola, naturalmente

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a tre generazioni l’azienda Paganoni di Chiuro, nella provincia di Sondrio, lega il suo marchio alla bresaola di alta qualità e ai sapori della tradizione valtellinese. Dalla Granbresaola ai salumi tipici di queste terre, in ogni prodotto è racchiuso tutto il sapere, l’esperienza e l’affidabilità che contraddistinguono l’azienda.

massimo non basta, è al fianco di clienti, fornitori e collaboratori per trovare insieme la soluzione migliore. «Rifiutiamo i compromessi — ci dicono i responsabili di Paganoni — vogliamo apparire esclusivamente per ciò che siamo e per ciò che mettiamo nei nostri prodotti: passione, impegno ed esperienza. Perché sappiamo quanto vale una promessa e per questo la manteniamo».

La qualità: la nostra promessa, la vostra certezza Con una cura attenta, Paganoni seleziona le materie prime tra i capi delle migliori razze provenienti da tutto il mondo, in particolare dall’Europa e dall’Italia. Le lavora artigianalmente per valorizzarne al massimo il sapore. Senza fretta, lascia che il tempo completi l’opera, così che il prodotto possa maturare e accogliere le note di sapore tipiche delle sue ricette. Paganoni è un’azienda orientata al miglioramento continuo. Alle scorciatoie e agli artifici preferisce l’impegno costante, il sacrificio e la pazienza. Dalla produzione alla distribuzione, al post vendita, dà il massimo, sempre. E quando anche il

La storia di un’antica passione L’azienda Paganoni affonda le proprie origini nella tradizione e nell’arte salumiera valtellinese. Alla fine degli anni ‘80, grazie alla sua energica passione, PARIDE PAGANONI acquista un piccolo salumificio a Caiolo, in provincia di Sondrio. Da qui inizia la storia di produttori di salumi tipici del territorio valtellinese, destinati all’autoconsumo e alla soddisfazione dei gusti dei consumatori locali. Nei primi anni ‘90, complici l’ascesa del mercato italiano della bresaola e la determinazione ad entrare con merito tra i nomi più conosciuti e rappresentativi dei produttori di bresaola della Valtellina, il tipico salume valtellinese diventa il simbolo

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indiscusso del Salumificio Paganoni. Il nuovo millennio sancisce “la grande svolta” con l’ingresso nel 2001 nel Consorzio per la Tutela della Bresaola della Valtellina IGP. Da lì a poco, forti dei successi ottenuti, l’azienda accetta una nuova sfida, quella di espandersi oltre i confini della Valtellina. Per questo, nel 2004 si trasferisce nell’attuale stabilimento di Chiuro (SO). La nuova sede, dotata di sistemi informatizzati per la gestione della produzione, garantisce una maggiore qualità e sicurezza, senza intaccare il gusto nostrano e la genuinità dei prodotti. Sfida accettata e vinta. Oggi come ieri la passione per il lavoro è ciò che guida l’azienda verso un costante miglioramento, per offrire ai clienti bresaole e salumi a regola d’arte dal profumo delicato, lievemente aromatico e dal gusto gradevole e ricercato. Paganoni Distribuzione Alimentare Srl Via Omobono Cenini, 19 23030 Chiuro (SO) Telefono: 0342 484349 Web: paganoni.com facebook.com/PaganoniBresaola instagram.com/paganoni_bresaola

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“Selezione top quality”: per scoprire la differenza, basterà un assaggio. Maestosa, la riserva di famiglia Passione ed esperienza, i segreti della sua bontà. Maestosa – Selezione Privilege, dall’imponente pezzatura, deve la sua sontuosa bontà al rispetto delle tradizioni, alla cura e la sapienza con la quale viene selezionato e lavorato ogni singolo pezzo della punta d’anca. Una vera “riserva di famiglia” che porta in tavola la storia e la passione per la qualità che da sempre contraddistingue l’azienda Paganoni (in foto a destra). Granbresaola, fate largo a Sua Maestà GranBresaola® Paganoni è il fiore all’occhiello dell’azienda. Deve la sua altissima qualità alle migliori carni di toro esclusivamente selezionate all’interno di allevamenti europei e rigorosamente lavorate fresche. È un prodotto dalle straordinarie proprietà organolettiche, anche grazie alla perfetta stagionatura, controllata con la massima cura e attenzione in ogni sua fase. Selezionata da Gambero Rosso come miglior bresaola. Rosa delle Alpi, solo il cuore della bresaola La fetta liscia, rotonda e calibrata di Rosa delle Alpi® nasce dalla particolare lavorazione a cui viene sottoposta la carne, selezionata tra i migliori allevamenti europei. Ottima bresaola di bovino, rifilata a mano da personale esperto, deve il suo caratteristico colore alla lavorazione del solo cuore della punta d’anca. Una gamma completa che soddisfa ogni palato La Selezione top quality rappresenta l’eccellenza della produzione Paganoni: Maestosa, GranBresaola® e Rosa delle Alpi®, dalle migliori carni fresche selezionate tra le razze europee più pregiate, lavorate artigianalmente e fatte stagionare con sapienza. Poi ci sono le inconfondibili: Bresaola della Valtellina Igp, genuina, dal gusto unico e sopraffino, Bresaola punta d’anca classica, un mito che non tramonta mai, Trancetto e Carpaccio di bresaola. Le speciali: La Chianina, la regina delle carni, una delle razze bovine italiane più nobili e pregiate, grazie alla finezza delle sue fibre che la rendono morbida al palato. Del Focolare, realizzata attraverso un particolare processo di affumicatura che dona alla classica bresaola un gusto leggermente affumicato. Bresaola alla Toscana, un incontro di tradizioni, un cuore di pregiata carne di razza Chianina avvolto in crosta di pepe. Piacevolmente saporita è pensata per stuzzicare l’appetito dei più curiosi e degli esploratori del gusto. I salumi più amati: Fiocco, il crudo della Valtellina, ricavato dai tagli più pregiati delle cosce di alta qualità e lavorato secondo l’antica ricetta di famiglia. Lo Speck AlteFette dal taglio particolare, doppia fesa, richiede tempi di stagionatura più lunghi e permette alla carne, all’aria di montagna e all’affumicatura di esprimersi al meglio. Le novità con Vestis (in foto a sinistra), la prima bresaola a tasso ridotto di sale, un alimento ottimo per coloro che sono attenti a ciò che mangiano ed in particolare alle donne, da sempre le più interessate ad una corretta alimentazione. Diavola, dove il piacere classico della bresaola incontra la passione del peperoncino. Diavola offre agli amanti del gusto piccante una bresaola di alta qualità, perfettamente insaporita col peperoncino che penetra nella carne durante la conservazione, amalgamandosi alla perfezione. Gourmet, tradizionalisti, salutisti: da sempre l’azienda Paganoni soddisfa ogni palato portando in tavola il gusto unico e inimitabile della Valtellina.

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Salumi San Bono, il valore di una buona comunicazione e quello dimenticato del grasso di Federica Cornia

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a una parte la Bassa Padana e i suoi campi, dall’altra le valli appenniniche che si spingono fino ai confini con Toscana e Liguria. In mezzo la Food Valley. Siamo in provincia di Piacenza, un’area le cui caratteristiche climatiche e territoriali sono fondamentali per l’ottenimento di quei sapori che l’hanno resa storicamente patria dei salumi. Forse non tutti sono al corrente, infatti, che Piacenza è l’unica provincia

dell’Unione Europea ad avere tre DOP in tale ambito: la Coppa piacentina, la Pancetta piacentina e il Salame piacentino. Ma i magnifici tre che spuntano dalla Cornucopia del Consorzio dei Salumi Piacentini DOP sono solo la punta dell’iceberg della tradizione salumiera che caratterizza questa zona e di cui il Salumificio San Bono, realtà attiva sul territorio da oltre trent’anni, è portavoce coi suoi prodotti. L’espressione del legame profondo tra tradizione

e territorio è materialmente racchiusa nello stabilimento di Ponte dell’Olio sotto forma di una produzione d’eccellenza di coppe, pancette e salami, oltre che segnata nella parabola ascendente delle vendite, lenta e costante, che a più riprese ha riscritto il perimetro dello stesso stabilimento (sono almeno 4 gli interventi d’ampliamento che lo hanno interessato negli anni). L’azienda, a conduzione famigliare, guidata da LUIGI PIAZZA e dal figlio

Coppa piacentina Dop a marchio San Bono. L’azienda, con sede Ponte dell’Olio, completa l’offerta delle Dop piacentine con Salame e Pancetta. Produce inoltre una vasta gamma di salumi tra cui la Mariola, prodotto tipico della zona.

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La gamma completa dei salami San Bono. NICOLAS, fino all’anno scorso affiancato anche dalla sorella PAOLA, purtroppo prematuramente scomparsa, conta oggi 20 dipendenti. Tra questi YLENIA, figlia di Nicolas, 29 anni, che si occupa di qualità e cura i rapporti con gli enti certificatori. Fondato nel 1984 come sito produttivo per Valnure, salumificio avviato da Luigi con il fratello Giovanni, San Bono inizialmente produceva pancette e salami conto terzi per acquistare poi piena autonomia produttiva con il trascorrere degli anni. Quando, nel 1991, Giovanni uscì dalla società, San Bono era già un’entità autonoma, solida ed efficiente, che andava costruendo e consolidando la propria rete di vendita indipendente, incentrata sulla distribuzione a piccoli negozi specializzati. Si iniziò subito con la produzione di pancetta insieme a coppe e salami. Da allora tradizione e innovazione si accompagnano all’attenzione per la qualità che si traduce in tutela del consumatore: quando nel 1997 Piacenza ottenne le tre DOP, ad esempio, San Bono fu uno dei primi salumifici ad aderire al Consorzio di tutela e al relativo disciplinare di produzione, e fu la prima

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azienda insieme al Valnure ad ottenere il bollo di esportazione CEE in provincia di Piacenza. L’azienda ha poi ricevuto anche le certificazioni ISO 9002 e Vision 2000; l’ultimo riconoscimento avuto è la certificazione ISO 22000 di sicurezza alimentare. Crescita costante, lenta ma progressiva quella del Salumificio San Bono che regge bene il cambiamento del mercato degli ultimi anni, sia grazie alla polivalenza funzionale delle maestranze che operano lungo la linea produttiva, consentendone quindi una certa flessibilità, sia grazie alla costante voglia di migliorarsi, che ha portato all’introduzione di una tecnologia all’avanguardia che permette il mantenimento di alti standard qualitativi.

«Oggigiorno è sempre più faticoso da ottenere un risultato in termini di crescita delle vendite. Questo anche perché il cliente è diventato molto esigente ed è più difficile da accontentare. Sempre più spesso la richiesta del consumatore è orientata verso un prodotto magro, con meno sale, e verso il biologico» ci dice Nicolas. Tendenza questa che, fortunatamente, non intacca il primo posto che la Coppa piacentina DOP occupa nella vasta gamma di produzione del Salumificio San Bono, seguita dal Salame piacentino DOP e dal salame gentile, sempre in crescita. Sarà che tutti i prodotti a marchio San Bono, senza allergeni e senza glutine, sono di qualità certificata, realizzati con materia prima attentamente selezionata, che nel caso

La pancetta Contadina, apprezzatissima nelle degustazioni, vive il paradosso della bontà negata al punto vendita, per via della tendenza del consumatore a ricercare un prodotto magro, dimenticando invece il valore del grasso nel determinare la qualità dei salumi

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In alto: Luigi Piazza. In basso: Nicolas Piazza. delle DOP arriva naturalmente da Emilia Romagna e Lombardia, dal circuito fornitore della denominazione. Oltre le DOP nelle celle frigo dello stabilimento troviamo appese, a riposare avvolte nella pelle di sugna, coppe come La Dolce, La Pesana, La Dolce Valle, molto magra, di piccola pezzatura, e insaccati magri come il Fiocchetto di coscia, dal gusto e profumo inconfondibili, dovuti alla quasi completa assenza di grasso che lo caratterizza, il Fiocco di spalla, ricavato dalla parte anteriore del maiale, e il Lombello, salume originale

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e innovativo, filetto stagionato ricavato dalla parte dorsale del suino e quindi quasi completamente magro. Non mancano certo i salami né il loro profumo a far capolino dalle celle di San Bono: il Gentile, con la sua grana fine, il Milano, l’Ungherese, il Pig Nic, salame rustico a grana grossa, il Campagnolo e i salami piccanti, la ventricina e la spianata. Tipici della zona, ci sono anche Mariola e Mariolone, pezzature diverse per uno stesso salame insaccato nella muletta. Grana 16, fatto coi tagli migliori del maiale tra cui gola e pancetta, 6-8 hg di prelibatezza stagionata 35 giorni (per il piacentino ne occorrono 45), il salame Casereccio riempie di orgoglio Nicolas, così come la Pancetta Contadina fatta con lardo e pancetta ottenuta dal taglio unico chiamato “mantello”. Rispetto alle altre pancette, la Tesa, quella con e senza cotenna, la Boscaiola, solo per citarne alcune, la Contadina è caratterizzata da una maggiore presenza di grasso e, sebbene apprezzatissima nelle degustazioni, vive il paradosso della bontà negata al punto vendita, per via di quella tendenza di cui sopra che vede il consumatore alla ricerca del prodotto magro, «dimenticando il valore del grasso nel determinare la qualità dei salumi» sottolinea Nicolas.

Questo, di un consumatore finale male informato sulle proprietà e caratteristiche dei salumi, sembra proprio essere il problema più scottante che oggigiorno riguarda non solo il comparto dei salumi ma anche quello delle carni. Che la comunicazione sia un fattore importante Nicolas lo ha intuito e ha da poco affidato a un’agenzia il restyling del sito web, con relativo potenziamento dei social e rinnovamento dei contenuti. Un’idea è quella di proporre sul sito nuove e interessanti ricette ideate da chef con i quali Nicolas sta prendendo contatti. Comunicare se stessi e farlo bene risponde all’obiettivo che San Bono si è dato per il 2017: occupare spazi di mercato ancora aperti e disponibili in Italia potenziando la rete dei propri agenti. Il mercato di San Bono è infatti per il 97% italiano, solo il rimanente 3% è estero, diretto in Francia e Germania. In Italia le regioni in cui si concentra il maggior numero di richieste sono Liguria, Lombardia, Emilia e Toscana. Fiducia nel mercato nazionale e nel proprio lavoro e un forte attaccamento al territorio sembrano i tratti salienti di quest’azienda che, in occasione della Fiera della pancetta, che si tiene ogni anno a Ponte Dell’Olio, partecipa all’iniziativa Salumifici Aperti facendo visitare lo stabilimento e preparando per tutti una degustazione finale dei propri salumi. «Un bell’impegno» sottolinea Nicolas, non senza una nota d’orgoglio. Obiettivo a breve termine è, invece, partecipare a Cibus, evento al quale da due anni San Bono si sta preparando con l’allargamento della propria rete di agenti di vendita. Viste la passione, la cura e la serietà che da sempre San Bono mette nei suoi prodotti, siamo certi ci arriverà in splendida forma. Federica Cornia

Salumificio San Bono Srl Via A. Vaccari 28/30 29028 Ponte dell’Olio (PC) Telefono: 0523 877625 E-mail: sanbono@sanbono.it Web: www.sanbono.it

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Rovagnati Bistrò raddoppia a Milano È stato inaugurato a Milano, in Corso Garibaldi 41, il secondo Rovagnati Bistrò Italiano che, sulla scia del primo aperto in Piazza XXV Aprile, offre piatti raffinati e gustosi, caldi e freddi con tutta la bontà e la qualità dei salumi Rovagnati. La presidente del gruppo Rovagnati Claudia Limonta, moglie del fondatore Paolo Rovagnati, insieme ai figli Ferruccio e Lorenzo, che ricoprono la carica di amministratori delegati, erano presenti all’inaugurazione (in foto). Il bistrò in Corso Garibaldi è aperto dal martedì alla domenica, dalle 10:00 alle 22:00. Da oltre 70 anni Rovagnati produce salumi italiani dal gusto inconfondibile, con tecnologie innovative e materie prime selezionate. I Rovagnati Bistrò sono pensati per accogliere gli amanti dei salumi di qualità ed offrire al pubblico la possibilità di assaporare ricette davvero gustose. Ce n’è per tutti i gusti: per i curiosi, per chi vuole sperimentare e anche per gli affezionatissimi al tradizionale ma sempre ottimo panino al Gran Biscotto. Dalla colazione dolce e salata, alla pausa pranzo, fino all’aperitivo passando per la merenda: i Bistrò Rovagnati offrono una varietà diversificata di prodotti adatti a tutti, da gustare in qualsiasi momento della giornata. >> Link: www.rovagnati.it

A Roma l’Osteria di Birra del Borgo con Bonci e Valente Un nuovo locale nella capitale tutto incentrato sugli abbinamenti cibo-birra. Si chiama Osteria Birra del Borgo ed è l’ultima iniziativa del giovane imprenditore e birraiolo LEONARDO DI VINCENZO, fondatore dell’omonimo birrificio in provincia di Rieti. Situata nel quartiere Prati, l’osteria coinvolge anche GABRIELE BONCI, noto pizzaiolo e panificatore romano, e l’oste MARCO VALENTE. Accanto all’ingresso c’è il laboratorio a vista per la panificazione, la pizzeria e la produzione di pasta tirata a mano. Più internamente c’è un piccolo luogo per la produzione di birre artigianali pensate appositamente per il locale, con un paio di vasche di fermentazione. La cucina offre piatti tipici e pizze di Bonci, servite anche in formula degustazione, piatti di pasta e qualche secondo di carne. Tra i fornitori, i fratelli ROCCIA di Pork’n Roll per suini e salumi, l’azienda agricola Giovanni Valente di Palestrina (RM) per l’agnello e ALBERTO DE MAGISTRIS di Optima Carne dal Piemonte. La carta delle bevande offre solo birre artigianali alla spina, birre ricercate in bottiglia e una lista di cocktail che usano la birra come ingrediente, tutte rivisitazioni ideate dal noto locale Jerry Thomas di vicolo Cellini (in foto, l’Osteria Birra del Borgo in via Silla 26; photo © bonci.it). >> Link: www.osteria.birradelborgo.it

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Al Salumificio Soranese il meglio della salumeria locale da tre generazioni

Norcineria di Maremma di Massimiliano Rella

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alame toscano, finocchiona, pancetta, guanciole stagionate: sono soltanto alcune delle specialità che Sa.So Salumificio Soranese produce a Sorano, piccolo ma graziosissimo paese medievale in provincia di Grosseto, a 379 metri di altezza. Ci troviamo in Maremma, in una terra caratterizzata dalla presenza di rocce tufacee e boschi. In questo territorio collinare delimitato dai fiumi Lente e Flora, vicino al confine con Umbria e Lazio, l’azienda artigiana della famiglia FRATINI, macellai e norcini da tre generazioni, è oggi gestita dai fratelli Roberto e Giuliano e impiega 15

dipendenti. La produzione aziendale esprime la tradizione gastronomica maremmana, quella dei sapori decisi e ricchi, della qualità e della genuinità prima di tutto. Da Sa.So. si lavora con attenzione e cura: dalla macellazione degli animali alla produzione dei salumi, dalla conservazione e stagionatura fino alla vendita e al rapporto con il cliente, con esperienza e conoscenza del prodotto e delle tecniche di lavorazione. La carne utilizzata dai fratelli Fratini per le loro specialità è ottenuta principalmente da suini umbri, in genere da allevamenti di piccole e medie dimensioni, con poche

decine di capi e spesso a gestione familiare. Il resto sono animali di altre regioni, selezionati da una rete di allevatori di fiducia e ben alimentati. La produzione richiede in media 120 maiali a settimana, macellati nel mattatoio interno. La carne fresca è selezionata per la norcineria o la vendita diretta. Oltre ai salumi di produzione interna, Sa.So. vende infatti tagli da cucina nell’annessa macelleria. In vista di una grigliata o di un arrosto non ci sarà che da scegliere tra una lombata, tenere braciole e bistecche di collo oppure un carré o salsicce appena fatte pronte da spadellare.

Le pancette del Salumificio Sa.So. di Sorano (GR). La carne utilizzata per realizzare i salumi arriva principalmente dall’Umbria, da allevamenti di piccole e medie dimensioni. La piccola percentuale rimanente viene selezionata dalla famiglia Fratini da una rete di allevatori italiani di fiducia (photo © Massimiliano Rella).

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Tipico paesaggio maremmano (photo Š Claudio Colombo – stock.adobe.com).

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Da Sa.So. si lavora con attenzione e cura, dalla macellazione degli animali nel mattatoio interno alla produzione dei salumi tipici toscani, dalla conservazione e stagionatura fino alla vendita e al rapporto con il cliente, con esperienza e conoscenza del prodotto e delle tecniche di lavorazione. La produzione richiede circa 120 maiali a settimana

Le guanciole (photo © Massimiliano Rella).

Con salame, coppiette e guanciole, un classico della tavola locale è la finocchiona, carne di suino macinata e aromatizzata con sale, aromi, spezie e finocchio selvatico, capace di regalare un inconfondibile sapore

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I prodotti di norcineria derivano dalla tradizione locale. Il salame toscano, ad esempio, è un insaccato saporito fatto per la parte magra di carne ricavata dalle cosce e dalle spalle del suino, per la parte grassa dalla schiena. All’impasto di magro sono aggiunti dadini di lardo, il tutto aromatizzato con sale e pepe. La finocchiona è un altro classico della tavola locale. È realizzata con carne di suino, in prevalenza spalle, guance e rifilature di coscio. La carne è macinata e aromatizzata con aggiunta di sale, aromi, spezie e l’immancabile finocchio selvatico, che oltre al nome conferisce l’inconfondibile profumo e l’originale sapore. L’impasto viene poi insaccato in un budello naturale messo a sua volta in una rete elastica. A fine stagionatura ciascun pezzo pesa circa kg 2,5. Un’altra tipicità è rappresentata dalle guanciole stagionate, guance di suino rifilate, sottoposte a salatura e

quindi stagionate. A questo salume viene conferita una forma rettangolare, la più adatta per limitare lo spreco di prodotto al momento dell’uso. La guanciola è poi ricoperta nella parte superiore da pepe e peperoncino, in quella inferiore dalla cotenna. Il salumificio produce inoltre prosciutto, salamella dolce e piccante da consumare cotta, ma anche piccoli guanciali a forma ovale e le coppiette, cioè delle “striscioline” di carne di maiale essiccata, gustose da mangiare così. Una tira l’altra. La produzione è distribuita nell’alto Lazio e nel Grossetano. I prezzi variano dai 6,00 €/kg delle guanciole ai 25 €/kg delle coppiette. Massimiliano Rella Sa.So Salumificio Soranese Loc. La Fratta 57 58010 Sorano (GR) Telefono: 0564 633185

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INDAGINI

Il valore sociale dei salumi Sono buoni e per tutte le tasche. Li mangiano 51,6 milioni di Italiani. Molto amati dai giovani e approvati dai genitori. Ma in quantità moderate: Italia al 16º posto in Europa per consumo pro capite. E la loro italianità è il filo comune del pluralismo della gastronomia locale

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ono 51,6 milioni gli Italiani che mangiano salumi. E nell’ultimo anno ha mangiato prodotti a base di carne suina (dai salami ai prosciutti, dalle salsicce all’arista) ben il 96% degli Italiani maggiorenni, di cui il 59,7% regolarmente (una o più volte alla settimana) e il 36,3% di tanto in tanto (qualche volta al mese), mentre solo il 4% dichiara di non mangiarli mai. Sono alimenti che hanno conquistato molto tempo fa, per non lasciarlo più, un posto fondamentale nei carrelli della spesa, nelle dispense e sulle tavole degli Italiani. Le elevate quote di consumatori di salumi e di carne suina indicano la capacità dei prodotti del settore di adattarsi alle esigenze specifiche di soggettività molto diverse tra loro. E attestano che la grande articolazione di tipologie dei prodotti del settore soddisfa un insieme differenziato di gusti e di disponibilità economiche. È quanto emerge dalla ricerca del CENSIS Il valore economico e sociale del settore dei salumi, presentata lo scorso 13 giugno a Roma, in occasione dell’Assemblea generale di ASS.I.CA., da MASSIMILIANO VALERII, direttore generale del CENSIS, con il presidente di ASS.I.CA. NICOLA LEVONI, il direttore generale di ISMEA RAFFAELE BORRIELLO e il presidente di SACE BENIAMINO QUINTIERI. La spesa per salumi e carne suina cresce più dei consumi alimentari Nel periodo 2008-2015 la spesa delle famiglie per salumi e carni suine ha registrato una riduzione del 2,6%, molto meno dei consumi alimentari complessivi (–8,3%). Nel biennio 20132015 la spesa per salumi e carni suine ha segnato un incremento del 6,9%, a

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fronte del +0,5% di quella alimentare complessiva. Nell’attuale fase della neo-sobrietà post crisi i prodotti del settore sono tra quelli per cui gli Italiani sono disposti a spendere qualche euro in più e non accettano di dovervi rinunciare. Niente eccessi, consumi maturi e responsabili Il consumo di carne suina e salumi pro capite annuo reale (al netto cioè delle parti di scarto) degli Italiani è stato, nel 2016, pari a 19,9 kg (elaborazione CENSIS su dati GIRA), 9 etti in più rispetto al 2008. In termini di consumi apparenti (al lordo cioè delle parti di scarto), con una stima di 39,5 kg pro capite annui di carne suina e salumi, l’Italia si colloca comunque al 16o posto nella graduatoria europea, con 25,6 kg pro capite all’anno in meno dei ciprioti, 16,5 kg in meno dei danesi, 15,3 kg in meno degli olandesi, 15,2 kg in meno rispetto alla Spagna e 12,9 kg in meno della Germania. Quello italiano è un modello di consumo responsabile, in quantità moderate, che beneficia anche della buona qualità dei prodotti. Li mangio perché mi piacciono: il valore del gusto L’86,7% dichiara di mangiare salumi e prodotti di carne suina perché piacciono e tale motivazione è prevalente in modo trasversale alle diverse aree geografiche (87,7% al Nord-Ovest, 88,3% al Nord-Est, 84,9% al Centro, 85,9% al Sud), alle classi di età (il 91,3% dei Millennials, l’88,6% dei baby boomers, il 77,7% degli anziani), alle tipologie familiari (l’88,5% nelle famiglie con figli minori, il 91% tra i single). Si tratta di una consacrazione

Se a lungo ha prevalso l’idea che il benessere corporeo, dalla salute all’estetica, dovesse passare per sacrifici, rinunce e un sistematico diniego del piacere, il rapporto consolidato e intenso degli Italiani con il buon cibo oggi mostra che l’Italian way of life disegna traiettorie in grado di far coesistere piacere, tutela della salute e rispetto di altri parametri di benessere soggettivo che le persone reputano importanti

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Prosciutto crudo con mozzarelline e melone (photo Š nblxer – stock.adobe.com).

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Tra i Millennials (18-34 anni) si registra il picco dei consumatori abituali di salumi e carni suine (photo © www.volontariatoggi.info). della bontà di prodotti che consentono un’alimentazione sicura e sana, che non pretende il sacrificio di nutrirsi con cibi che non gratificano il palato. Amati dai giovani, approvati dai genitori Si mangiano salumi e prodotti di carne suina nel 96,7% delle famiglie con figli (nel 63,4% regolarmente) e nel 97% delle famiglie con figli minori (nel

Per i genitori italiani i salumi e i prodotti della carne suina sono salutari e sicuri, tanto da metterli con regolarità nei piatti o nei panini dei figli. Il concreto salutismo delle mamme italiane sgretola il salutismo isterico basato su miti infondati

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70,9% regolarmente). La presenza di figli, più ancora se minori, è uno straordinario moltiplicatore del consumo di prodotti di carne suina. Ed è un dato molto indicativo, perché la dieta dei ragazzi è notoriamente l’esito di un severo scrutinio sull’impatto sulla salute da parte dei genitori, in particolare delle mamme. Per i genitori italiani i salumi e i prodotti della carne suina sono salutari e sicuri, tanto da metterli con regolarità nei piatti o nei panini dei figli. Il concreto salutismo delle mamme italiane, che genera un consumo regolare di salumi, sgretola quella sorta di salutismo isterico basato su miti infondati. Il successo tra i Millennials Se sono alte le quote dei consumatori di salumi e carni suine in tutte le classi di età, tra i Millennials (18-34 anni) si registra il picco dei consumatori abituali: il 67,6%. Questo successo tra le giovani generazioni è essenziale, perché saranno i protagonisti dei mercati nei prossimi anni e perché sono già oggi i più coinvolti dalle culture della sostenibilità, della sicurezza alimentare e del salutismo.

L’italianità dei prodotti filo comune del pluralismo della gastronomia locale Mangiano salumi e carni suine il 93,8% dei residenti al Nord-Ovest, il 98,1% al Nord-Est, il 95,9% al Centro, il 96,5% al Sud. Di questi, lo fanno con regolarità il 61,2% al Nord-Ovest, il 61% al NordEst, il 60,1% al Centro, il 57,5% al Sud. La trasversalità territoriale si mantiene anche al variare dell’ampiezza dei comuni di residenza: dal 96,9% nei piccoli comuni (fino a 10.000 abitanti) a quote non inferiori al 96% nei centri urbani di medie dimensioni (tra 10.000 e 250.000 residenti), fino al 93,4% nelle grandi città (oltre 250.000 abitanti). La presenza di questi alimenti nelle diverse diete e tradizioni culinarie evidenzia la capacità specifica dei prodotti del settore di modularsi sulla differenziazione gastronomica locale. Alimenti per un consumo interclassista da democrazia alimentare Consumano salumi e prodotti di carne suina il 96,4% degli impiegati e insegnanti, il 95,5% degli operai, il 94,3% degli imprenditori, il 97,4%

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dei disoccupati. E ne sono consumatori regolari (una o più volte alla settimana) il 71,6% degli imprenditori, il 61,8% degli operai, il 61,4% degli impiegati e insegnanti. Sono consumatori di questi alimenti il 94,2% delle persone con basso reddito (il 52,9% regolarmente) e il 96,1% di quelle ad alto reddito (il 67,4% regolarmente). Le alte quote trasversali alle condizioni professionali e reddituali degli Italiani disegnano un consumo democratico, interclassista, in netta antitesi con il ritorno di una differenziazione per ceti a tavola. È l’esito virtuoso dell’articolazione dei prodotti del settore per tipologie e fasce di prezzo. Né cibo solo per nuovi poveri, né solo per hipster, ma cibo per tutte le tasche, interprete della democrazia alimentare del ceto medio e del benessere di massa. Il valore sociale del settore È questo il messaggio semplice che emerge dalla ricerca, che riporta in primo piano i meccanismi virtuosi delle scelte alimentari degli Italiani, improntate a un sano pragmatismo e ad una capacità minuta di abbinare alcuni prerequisiti di sicurezza e salubrità degli alimenti con l’ineliminabile funzione sociale del cibo, che è quella di rispondere a una esigenza di benessere, di qualità della vita, di star ben con se stessi, cioè di mangiare le cose che le persone soggettivamente reputano buone. Il vero valore sociale delle imprese del settore è espresso da questa felice capacità di rispondere alle aspettative del consumatore italiano, dando la necessaria garanzia sui fondamentali di sicurezza e buon impatto sulla salute e al contempo riuscendo a rispondere a quel bisogno di mangiare quel che piace, che resta un connotato primario dello star bene anche nella contemporaneità. Se a lungo ha prevalso l’idea che il benessere corporeo, dalla buona salute alla propria estetica, dovesse passare per sacrifici, rinunce e per un sistematico diniego del piacere, ebbene il rapporto consolidato e intenso degli Italiani con il buon cibo mostra che l’Italian way of life disegna traiettorie in grado di far coesistere piacere, tutela della salute e rispetto di altri parametri di benessere soggettivo che le persone reputano importanti.

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I consumi alimentari in graduale uscita dalla crisi Dopo una serie di segni meno nel 2016, la spesa delle famiglie per gli acquisti agroalimentari registra un’inversione di tendenza nel primo trimestre 2017: a fare da traino i prodotti confezionati (+1,6%)

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e dinamiche dei comportamenti di acquisto delle famiglie italiane presso i punti vendita non sembrano più segnate ormai solo dalla categoria di appartenenza del prodotto, ma anche dalla sua modalità di presentazione con una tendenza che va consolidandosi a favore del confezionato. È questo uno dei primi dati che emergono dal Report sui consumi alimentari elaborato da ISMEA e relativo al primo trimestre 2017. In particolare, a fronte di una spesa che segna un +0,2% su base annua, sono i prodotti confezionati (provvisti di codice

EAN) che registrano, nel primo quarto del 2017, una dinamica positiva con un recupero sui valori del 2016 dell’1,6%. Questa categoria incide ormai per oltre i due terzi (68%) sul carrello della spesa. Nell’ambito dei confezionati, a crescere sono stati soprattutto la frutta fresca (+8,7%), gli ortaggi (+6,6%) e i prodotti ittici (+2,9%). Anche i salumi, in difficoltà se considerati nel complesso, se presentati in vaschetta hanno fatto segnare un +6%. Al contempo, i prodotti freschi a “peso variabile” (senza Codice EAN) hanno evidenziato una flessione della spesa, nell’ordine

del –2,4% su base annua, alla quale hanno contribuito i forti cali dei prodotti serviti al banco della carne (–5,4%), dei formaggi (–8,8%) e dei salumi (–6,3%). In definitiva, a segnare le dinamiche dei comportamenti d’acquisto presso i punti vendita non è più esclusivamente la categoria d’appartenenza ma anche le modalità di presentazione del prodotto con ormai una tendenza che va consolidandosi a favore del confezionato. In particolare, nel primo trimestre 2017, le famiglie italiane hanno dedicato ai prodotti ittici l’8,2% della loro spesa agroalimentare complessiva. L’aumento

Tagliere di salumi misti e formaggi (photo © fabiomax – stock.adobe.com).

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per questo comparto si ripete per il terzo anno consecutivo. Tuttavia, va evidenziato che non sempre all’aumento della spesa è corrisposto un aumento dei volumi: i dati del 2016 sottolineano, infatti, che l’incremento della spesa sia da ascriversi esclusivamente all’aumento dei prezzi unitari. I volumi risultano in contrazione per quasi tutti i sotto-comparti (freschi, conserve, salati, affumicati e decongelati), fanno eccezione solo i prodotti ittici surgelati confezionati. In particolare, è confermato anche nel primo trimestre 2017 il maggior esborso per l’acquisto di pesce fresco (il più importante in termini economici: pesa da solo la metà dell’intero comparto e il 4,3% del totale spesa agroalimentare), per il quale la spesa cresce del 7,4%; aumenta anche la spesa per le conserve di pesce (+1,9%) e per il pesce congelato (+0,7%); in flessione invece la spesa per i prodotti ittici affumicati ed essiccati (–13%). Le maggiori contrazioni si registrano per i prodotti di derivazione animale quali carni e lattiero caseari, con una spesa in forte contrazione già nel 2015 e nel 2016, flessione che non sembra arrestarsi nel primo quarto del 2017. Più da vicino, la spesa destinata ai prodotti del settore delle carni ha registrato, nei primi tre mesi del 2017, una contrazione tendenziale complessiva del 3,9%, riguardando in particolar modo le carni fresche di suino (–4,6%) e, in misura meno impattante, quella delle carni fresche bovine (–1,3%), mentre, dopo la performance negativa del 2016 (–4,6), torna a crescere la spesa per le carni bianche (+0,4%). Tale dinamica flessiva per le carni nel complesso appesantisce ulteriormente il dato già negativo del 2016 (–4% rispetto al 2015) e porta ad un’erosione progressiva della quota di spesa destinata a questo comparto, che passa dal 11,2% del 2014 al 10,3% del parziale 2017. In riferimento alle carni suine, il calo della spesa registrato nel primo trimestre 2017 su base annua risulta ancora importante, dopo il –5,4% del 2016 sul 2015, le vendite in questo primo frangente d’anno hanno infatti perso il 4,6% (corrispondente ad oltre il 5% in termini di volume). Anche per le carni bovine il confronto su base annua del primo

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Per quanto riguarda i salumi, secondo l’indagine Ismea, considerando l’insieme dello sfuso e del confezionato, nel primo trimestre 2017 si registra una lieve flessione della spesa pari ad un –0,7% (photo © contrastwerkstatt – stock.adobe.com). trimestre rimane negativo (–1,3 punti percentuali) ma in netto miglioramento rispetto a quanto rilevato nel 2016, quando il segmento perdeva quasi 3 punti percentuali. Per quanto concerne le carni avicole (spesa in crescita dello 0,3%), va evidenziato come la ripresa della spesa sia stata sostenuta soprattutto dal segmento confezionato, che a differenza delle altre carni rappresenta oltre i due terzi dell’offerta delle avicole, e per il quale il trend della spesa nel primo trimestre è stato del +5,7%, in parte ammortizzato dalla lieve flessione registrata per il prodotto sfuso per il quale si rileva un –1,7%. Per quanto riguarda i salumi, sempre considerando l’insieme dello sfuso e del confezionato, nel primo trimestre 2017 si registra una lieve flessione della spesa (–0,7%), che aggrava il calo del 3,6% del 2016. Le flessioni riguardano, seppur in diversa misura, tutti prodotti, compresi i prosciutti crudi (–3,9%) e cotti (–1%), nonché i salami (–3,1%), però anche in questo caso va evidenziato come la performance dei preaffettati e dei confezionati sia decisamente positiva (rispettivamente +8,1% per il crudo, +5,4% per il cotto, +6,5% per il salame), mentre la spesa per i salumi venduti sfusi al banco scende del 5,6% per il prosciutto cotto, del 8,8 per i prosciutti crudi, del 9,9% per il salame. Resta negativo il bilancio del comparto lattiero-caseario: alla flessione registrata nel 2016 (–2,8%), si aggiunge quella del –3,7% dei primi tre mesi del 2017. Il comparto, cui viene destinato il 14,2% della spesa agroalimentare

complessiva, continua a soffrire del trend negativo dei consumi di latte (che rappresentano circa un quinto del totale comparto), per i quali nel primo trimestre del 2017 si registra una contrazione della spesa del 3,3%, che investe sia il segmento del latte fresco (–5,3%) che quello dell’UHT (–2,3%). Anche la spesa per i formaggi, sulla scia di quanto osservato nel 2016, mostra generalizzate flessioni (–4,5% nel complesso), che investono tutte le categorie: in particolare i freschi segnano un –5,1%, i duri e i semi-duri rispettivamente –4,8 e –4,7%, i molli –3,2%. Per quanto riguarda la spesa per derivati dei cereali (segmento che rappresenta il 14,2% del totale spesa familiare per beni agroalimentari), che includono all’interno una miriade di prodotti di uso quotidiano tra cui pane, pasta, riso, farine, merendine, biscotti, e pizza, i dati di acquisto evidenziano nel primo trimestre una compressione della spesa complessiva del 1,5%. Tale dinamica è la sintesi della flessione della spesa per pasta secca e farine (rispettivamente –2,6% e –5,7%), per i quali i prodotti salutistici sostitutivi affiancati in scaffale hanno provocato una contrazione di prezzo e di volumi. A compensare la situazione si trovano segni positivi di spesa per i prodotti della prima colazione, (+1%), i sostituti del pane (+0,7%), il riso (+0,7%) le basi per pizze e i piatti pronti (rispettivamente +3,9% e +2,8%) Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale,Unità Operativa Studi e Analisi Ismea

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Le regioni in etichetta Cresce il richiamo al territorio d’origine sulle etichette dei prodotti alimentari italiani

I

l richiamo al territorio di provenienza conquista le etichette e i packaging dei prodotti alimentari italiani, che sempre più spesso evidenziano la regione da cui provengono. Lo rivela l’analisi sulle informazioni presenti sulle confezioni di circa 41.000 prodotti alimentari condotta dall’Osservatorio Immagino, il nuovo approccio allo studio dei fenomeni di consumo creato da GS1 ITALY e NIELSEN. Italiano è bello e buono, regionale è meglio Dall’Osservatorio emerge che le principali regioni che appaiono in etichetta

sono: Piemonte, Lombardia, Trentino, Toscana, Campania, Puglia e Sicilia per un totale di 2.082 prodotti alimentari venduti in super e ipermercati. Complessivamente, questi prodotti — dai taralli pugliesi ai cantuccini toscani, dallo yogurt altoatesino ai formaggi veneti — generano un giro d’affari di 818 milioni di euro con trend di vendita positivi, con la sola eccezione della Lombardia. «L’italianità dei prodotti è un valore importante che influenza il processo di acquisto, soprattutto per i prodotti alimentari a forte connotazione territoriale che hanno una sorta di

identificazione valoriale con l’area in cui sono prodotti» commenta MARCO CUPPINI, research and communication director di GS1 Italy. «Ecco allora che dal richiamo all’italianità si passa all’accentuazione del localismo, con prodotti che esibiscono con orgoglio sulle etichette le proprie radici locali o che comunicano come plus la provenienza da una precisa area geografica». Regionalità = italianità al quadrato L’attenzione alla regionalità è un fenomeno evidente e pervasivo, che intreccia

Il Trentino Alto Adige è la regione più citata sulle etichette dei prodotti venduti in super e ipermercati.

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Informare bene è la mission dei prossimi anni L’attenzione alla regionalità è un fenomeno che intreccia molti atteggiamenti dei consumatori di oggi. È correlata alla scoperta dei “giacimenti gastronomici”, che ha portato alla ricerca di prodotti tradizionali e locali con una forte identità e reputazione, e capaci di esprimere il genius loci delle zone geografiche di cui sono espressione

L’enfatizzazione della provenienza geografica di un alimento rappresenta un importante argomento di rassicurazione e fa leva sulla qualità, sulla sicurezza e sulle caratteristiche organolettiche che caratterizzano le produzioni locali nel vissuto degli Italiani

Quanto, come e dove ci si informa sui prodotti alimentari? Dalla ricerca svolta per GS1 Italy da GfK nel 2016 (mille interviste rappresentative della popolazione italiana dai 18 ai 74 anni) risulta che l’informazione alimentare rappresenta una grande opportunità. Perché il pubblico ne coglie innanzitutto le dimensioni di positività, gradevolezza e costruttività: è insomma una cosa “buona”. Non riguarda solo ricette e diete, ma si indirizza centralmente su caratteristiche, origine, incidenza sulla salute dei prodotti alimentari. Oggi “informazione alimentare” vuol dire “salute” e vuol dire “famiglia/casa”, cioè due delle dimensioni più importanti dell’esistenza umana. Ci sono tuttavia due elementi critici: 1. il pubblico avverte di non avere grandi competenze in merito; 2. al contempo, mancano punti di riferimento solidi: le figure di riferimento sono molteplici, ma nessuna possiede un’autorevolezza indiscussa e, soprattutto, manca un paradigma valutativo univoco in tema di dietetica e alimentazione. Oggi vi è la convinzione che l’informazione alimentare sia cruciale per la salute, ma poi non si sa bene come valutare “ciò che fa bene” e “ciò che fa male”. In realtà il pubblico sarebbe felicissimo di individuare una via d’uscita dal proprio disagio informativo, riconoscendo le marche e le insegne come interlocutori di primo piano. Vi è insomma uno “spazio di bisogni” su cui l’offerta potrà operare validamente. Punti vendita e marche (attraverso le confezioni) sono le due interfacce principali del processo informativo. È importante che mantengano la forte consapevolezza di non essere attori isolati, ma soggetti centrali di un sistema molto più esteso, frammentato e problematico (in particolare TV e motori di ricerca sono altri due snodi fondamentali), che deve dunque essere sempre gestito. “Informare bene” è oggi la mission costitutiva della grande marca/insegna. Sarà indubbiamente questo il territorio dell’innovazione e del marketing alimentare dei prossimi anni. Edmondo Lucchi Responsabile Dipartimento New Media GfK

molti atteggiamenti dei consumatori di oggi. È correlata alla scoperta dei “giacimenti gastronomici”, che ha portato alla ricerca di prodotti tradizionali e locali con una forte identità e reputazione, e capaci di esprimere il genius loci delle zone geografiche di cui sono espressione. L’enfatizzazione della provenienza geografica di un alimento rappresenta anche un forte argomento di rassicurazione e fa leva sulla qualità, sulla sicurezza e sulle caratteristiche organolettiche che caratterizzano le produzioni locali nel vissuto degli Italiani. La regione più presente sulle etichette: il Trentino Alto Adige È il Trentino Alto Adige la regione più citata sulle etichette dei 41.000 prodotti

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alimentari di largo consumo monitorati dall’Osservatorio Immagino. Il richiamo al Trentino è presente su ben 577 prodotti, dallo speck al succo di mele, dal latte alle mele, che rappresentano un giro d'affari di 256 milioni di euro e che hanno visto aumentare le vendite del 2,6% tra 2015 e 2016. Il trend più vivace si registra per le regioni meridionali, in particolare Puglia, Campania e Sicilia, che evidentemente stanno recuperando terreno e stanno accrescendo la propensione a valorizzare anche in etichetta l’origine territoriale delle loro produzioni agroalimentari Fonte: Osservatorio Immagino Nielsen GS1 Italy

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COMMERCIALIZZAZIONE La futura Bibbia dell’agroalimentare negli Stati Uniti d’America

Gli USA riscrivono le regole in fatto di igiene e sicurezza e tutto il mondo si adegua di Guido Guidi

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l contrario di quanto è stato erroneamente percepito nel resto del mercato globale, quella degli USA non vuole essere una politica restrittiva sull’importazione. La finalità è quella della sicurezza e lo è anche rispetto ad atti terroristici che il Governo federale

teme possano essere attuati attraverso il cibo. Si chiama Food Safety Modernization Act ed equivale al nostro Pacchetto Igiene. È quindi il documento destinato a diventare la Bibbia dell’agroalimentare negli Stati Uniti d’America. Fulcro dei nuovi protocolli è l’obbligo, per tutte le imprese che commercializzano prodotti

alimentari negli USA, di adottare il sistema Hazard Analysis and Risk-Based Preventive Controls, una procedura di autocontrollo molto simile al nostro HACCP. Si tratta infatti di un sistema di controllo e prevenzione dei rischi, insiti nel trattamento e produzione di prodotti, che ogni azienda deve considerare al

Gli Stati Uniti hanno messo a punto norme più severe per la commercializzazione dei prodotti alimentari che riguarderanno sia i prodotti del Paese che quelli d’importazione (photo © www.agraeditrice.it).

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proprio interno. Nella stessa norma vengono conferiti importanti e nuovi poteri alla Food and Drug Administration (FDA), quell’ente che potremmo semplicisticamente considerare come l’equivalente dell’EFSA in Europa. A questo organismo sono riconosciuti compiti di controllo sanitario su alimenti e farmaci commercializzati nel Paese. Pertanto il suo ruolo diverrà prevalentemente di prevenzione dei danni derivanti dalla cattiva qualità degli alimenti, sia quelli prodotti localmente, che quelli importati. Ma la FDA ha così acquisito in questa sede anche nuovi poteri coercitivi, mirati ad ottenere maggiore adesione agli standard di sicurezza alimentare in generale. La norma, licenziata dall’amministrazione Obama nel 2011, è molto vasta ed introduce, tra le varie cose, nuovi strumenti per assicurare che i prodotti alimentari importati rispondano agli stessi standard di quelli prodotti nel Paese, oltre a richiedere la costituzione di un sistema integrato nazionale di sicurezza alimentare, in collaborazione con le autorità statali e locali. Alcuni di questi passaggi si sono già attuati, come per esempio, l’attribuzione del potere che permette alla FDA di ordinare alle aziende il richiamo di prodotti. Altri, invece, necessitano di ulteriori norme di attuazione. Con le stesse modalità di entrata in vigore a più step, anche l’obbligo per le imprese è diviso in scadenze diverse, a seconda dei parametri aziendali. Facendo una valutazione complessiva si può osservare che, sebbene la nuova norma rappresenti per i nostri produttori l’ennesimo onere, la sua introduzione è comunque un fatto positivo, non solo per i consumatori statunitensi, ma anche per gli esportatori europei.

Le aziende dell’Eurozona si presentano infatti negli USA con produzioni di qualità medio alta e sono già da decenni soggette, in casa propria, a norme di stessa complessità e garanzia di quelle statunitensi. Il confronto quindi non solo non sarà traumatico, ma offrirà l’occasione di giocare una carta che un tempo, nel mercato, rimaneva nascosta e non poteva essere spesa. Non ci sono dubbi sul fatto che nel confronto con Paesi dove le regole e i controlli sui prodotti non sono adeguate, i nostri avranno la meglio. È bene altresì precisare che le nuove disposizioni non generano obblighi specifici per l’importazione, poiché la documentazione e le procedure richieste per l’ingresso negli Stati Uniti rimangono sostanzialmente le stesse. Tuttavia, l’adozione del protocollo HARPC è invece fondamentale ed obbligatoria in sede di ispezione degli impianti di produzione e dei magazzini, da parte della FDA. Alle aziende produttrici che non si fossero dotate di un sistema HARPC sarà vietato importare specialità alimentari negli Stati Uniti. Questo implica che qualunque importatore, dovendosi cautelare, a propria tutela richieda la prova dell’applicazione delle suddette norme. Il FSMA è composto da più parti, relative a temi comuni quali la prevenzione, l’aspetto ispettivo e la conformità alla norma, la sicurezza nella fase di importazione, la partnership e il miglioramento. La prima rule è finalizzata alla valutazione e prevenzione, ma comprende strumenti di monitoraggio di registrazione e relative azioni correttive. I soggetti interessati sono tutti i produttori alimentari, con alcune eccezioni relative ai settori dei succhi di frutta, del pesce, del vino e degli alcolici. I contenuti delle rules sulle ispe-

La nuova disciplina per la commercializzazione dei prodotti alimentari era attesa da tempo e si presenta decisamente in ritardo, sia sulla propria tabella di marcia iniziale che su provvedimenti europei similari, introdotti invece anni fa. E non varrà tanto o solo per le produzioni in ingresso negli Stati Uniti, ma anche per il mercato interno

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Il Food Safety Modernization Act equivale al nostro Pacchetto Igiene ed è il documento destinato a diventare la Bibbia dell’agroalimentare negli Stati Uniti d’America (photo © www.slideshare.net). zioni lasciano intravedere un aumento dei controlli, ma anche un metodo che prevede la valutazione dell’analisi del rischio specifico e la relativa risposta dell’azienda. Ogni caso si potrà pertanto considerare un caso a sé. Partnership e collaborazioni necessarie per aumentare la sicurezza a livello mondiale Allo scopo di elevare il livello complessivo della sicurezza alimentare, gli USA sottolineano nel documento la necessità di partnership e collaborazioni con tutte le agenzie per la sicurezza operanti a livello mondiale, a partire da quelle interne, nella consapevolezza che la cooperazione tra soggetti che operano con lo stesso scopo, sia fondamentale. Nell’ambito della sicurezza sulle importazioni è compreso, tra le varie cose, un programma di verifica per gli importatori, che offra uno strumento di controllo nei confronti delle aziende straniere che intendono commercializzare il proprio prodotto negli USA. Importatori che rispondono sia dei contenuti dell’etichetta che di eventuali adulterazioni e che, quindi, investiti di così vasta responsabilità, costringeranno le aziende partner ad operare in pieno rispetto della norma.

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Sono inoltre degne di nota le final rules che, tra le varie cose, prevedono indicazioni specifiche per le adulterazioni volontarie, il trasporto sanitario, i controlli di parte terza, i prodotti agricoli, l’alimentazione animale. Le differenze con la nostra normativa sono diverse e, sebbene gli Stati Uniti siano arrivati a certa disciplina con anni di ritardo rispetto all’Europa, la legislazione americana appare altrettanto completa ed esaustiva e, sotto certi profili, molto severa. Rimane inoltre aperto il campo dello scambio di prodotti di origine animale, rispetto ai quali esistono accordi di equivalenza veterinaria, che sostanzialmente si traducono in un reciproco riconoscimento delle norme e dei sistemi di controllo dei due Paesi. Norme che, per quanto diverse tra loro, garantiscono agli uni e agli altri, una certa protezione della sanità pubblica, in quest’ambito. Le differenze di approccio, soprattutto nel settore delle carni, continuano infatti ad essere significative.

Basti pensare alle nostre restrizioni sull’utilizzo degli ormoni, degli OGM, ai metodi di decontaminazione delle carcasse nei macelli utilizzati negli USA ed altri aspetti di minore entità. I tempi per l’adeguamento a queste nuove norme sono differenti a seconda delle dimensioni delle imprese, distinte in piccole o grandi aziende. Corre tuttavia l’obbligo di segnalare che, non potendo fare delle verifiche sul campo in maniera oggettiva e, altresì, per semplificare le cose, gli importatori stanno già chiedendo l’adeguamento alla norma a tutti, senza distinzioni di sorta. L’applicazione delle regole è quindi di fatto richiesta con notevole anticipo rispetto alle scadenze ufficiali. Gli importatori hanno la necessità di verificare le condizioni dei propri partner anzitempo, per tutelarsi dal rischio di sanzioni, anche penali. Inoltre, poiché l’applicazione delle disposizioni richiede tempi lunghi di introduzione in azienda, si vogliono altresì evitare lungaggini o,

peggio ancora, l’arresto della circolazione delle merci, per impreparazione delle aziende. Nel frattempo, le società di consulenza e alcuni enti di certificazione in Italia si stanno attrezzando per supportare le imprese in questa operazione che — pur non particolarmente difficoltosa — non è realizzabile in qualche giorno di lavoro e richiede impegno, professionalità e risorse. Non solo: è necessaria infatti una gap analysis in fase preliminare, ma anche l’effettiva messa in pratica di quanto previsto dalla FSMA, con l’adozione di un manuale HARPC che deve essere predisposto da un soggetto qualificati allo scopo e identificato dall’azienda solo in presenza di una serie di requisiti specifici dettati dalla norma. In alternativa, è possibile seguire un corso di formazione tenuto da docenti direttamente formati e approvati dalla FDA, ma anche per questo occorrono tempo e denaro. Guido Guidi

Accordo bilaterale UE-Cina: 200 Indicazioni Geografiche riconosciute, di cui 26 sono italiane Buone notizie dall’Europa: l’accordo bilaterale fra UE e Cina procede con ottimi risultati per le Indicazioni Geografiche. È stato infatti pubblicato un elenco contenente i 200 prodotti, cento per ogni parte, che saranno tutelate dal prossimo accordo da concludersi nel 2017 e, delle 100 europee, 26 sono italiane. Il mercato cinese dei prodotti agroalimentari è uno dei più grandi al mondo e sta aumentando ogni anno, grazie all’aumento crescente di una popolazione di classe media cinese che sempre più sceglie e cerca le nostre eccellenze. Il nuovo accordo commerciale con il governo di Pechino aprirà la strada ad alcuni dei nostri prodotti ancora non conosciuti e tutelerà le nostre IG contro le imitazioni. Portando vantaggi commerciali reciproci e aumentando la consapevolezza dei consumatori e la domanda di prodotti di alta qualità da entrambe le parti (fonte: Fondazione Qualivita; in foto a lato, bresaola della Valtellina, photo © www. turismoitalianews.it).

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La Fiera numero uno per il Food & Beverage. Nothing more to say.

www.anuga.com COLONIA, 07.–11.10.2017


MERCATI

Dove vanno i salumi italiani? Stabile la produzione e il fatturato. In lieve flessione i consumi. Prosciutto cotto e crudo sempre in testa alle preferenze degli Italiani. I dati di mercato presentati durante l’assemblea generale di ASS.I.CA.

N

el 2016 la produzione di salumi è stata praticamente stabile, attestandosi a 1,174 milioni di tonnellate, dagli 1,176 milioni dei dodici mesi precedenti (–0,2%). A fronte della lieve contrazione delle quantità prodotte, il valore della produzione è rimasto fermo a 7.875 milioni di euro. L’insieme di tutte le produzioni del comparto (salumi, grassi lavorati e altre carni conservate) ha presentato un fatturato lievemente inferiore (–0,1%) a quello del 2015, fermandosi a 8.179 milioni di euro nel 2016. Analizzando i singoli salumi, il

2016 ha visto ancora una crescita nella produzione di prosciutto cotto. Grazie allo stimolo ancora forte esercitato dalla crescita delle esportazioni, la produzione è salita a 290.000 t (+0,4%), per un valore di 1.962 milioni di euro (–0,1%). Il cotto si è confermato così il principale salume prodotto nel 2016 con riferimento ai volumi. Anno positivo, invece, anche se in lieve flessione, per i prosciutti crudi stagionati. Dopo il rimbalzo mostrato nel corso del 2015, la produzione di prosciutto crudo stagionato è tornata a segnare un piccolo aggiustamento,

registrando un –0,6% in quantità per 285.200 t e un +0,2% in valore per 2.173 milioni di euro. La quota di prosciutti crudi e cotti, prodotti leader del settore, si è così mantenuta sul 49% in quantità e sul 52,5% in valore. Trend negativo per la produzione di mortadella, attestatasi sulle 161.800 t (–1,9%), per un valore di 644 milioni di euro (–2,4%), e di würstel scesi a 60.900 t (–8%), per un valore di circa 188 milioni di euro (–13,5%). Ancora in crescita, dopo il notevole incremento del biennio 2014-2015, la produzione di speck, salita a 33.600 t

Il prosciutto cotto ha registrato ancora una crescita e si è confermato il principale salume prodotto nel 2016 (photo © al62 – Fotolia).

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Ismea, export salumi: l’Italia conquista la leadership mondiale superando la Germania e punta all’espansione in USA, Canada e Giappone Con un valore complessivo di quasi 1,38 miliardi di euro, nel 2016 l’Italia ha conquistato la leadership mondiale per le esportazioni di preparazioni e conserve suine, superando la Germania. Lo storico sorpasso è avvenuto soprattutto grazie alla crescita della quota detenuta dall’Italia nei primi tre mercati di sbocco (Germania, Francia e Regno Unito) che, complessivamente, rappresentano quasi la metà del valore generato dalle vendite all’estero dei salumi nostrani. «I salumi italiani vincono il confronto competitivo, pur posizionandosi su una fascia alta di prezzo» ha dichiarato RAFFAELE BORRIELLO, direttore generale di ISMEA, intervenuto all’assemblea generale di ASS.I.CA. «Il posizionamento dei prodotti italiani è nel segmento premium, ma lo scenario competitivo è più articolato e soprattutto con notevoli prospettive di espansione, anche in considerazione dell’apertura di due mercati rilevanti, come USA e Canada, a seguito del superamento di importanti barriere sanitarie. Significativo anche il caso del Giappone che, nel 2016, ha complessivamente ridotto dell’8% gli acquisti dall’estero di salumi, mentre i flussi dall’Italia sono risultati in aumento del 7%: segnale, questo, di una capacità competitiva in grado di spingersi anche oltre le tendenze del mercato-target». L’analisi di ISMEA evidenzia, inoltre, che la Germania ha incre- Campagna di promozione dell’agroalimentare negli USA nel 2016 da parte mentato i propri acquisti dall’Italia (+4% in di ASS.I.CA. (photo © www.assica.it). valore nel 2016) a discapito dei concorrenti spagnoli (–3%) e che, in Francia, i salumi italiani hanno guadagnato terreno (+7%) nei confronti dei produttori tedeschi (–7%). Complessivamente, negli ultimi cinque anni le esportazioni italiane di preparazioni e conserve suine sono cresciute del 27% in valore: oltre la metà è rappresentata dai prosciutti stagionati (692 milioni di euro nel 2016). A seguire, con poco meno di un terzo, salami e insaccati (417 milioni di euro nel 2016) e prosciutti cotti con una quota pari al 10% in valore (134 milioni di euro nel 2016). (ISMEA)

In un contesto economico ancora incerto, il buon andamento delle esportazioni ha continuato ad essere il principale traino del comparto salumiero

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(+3,9%), per un valore di 333,7 milioni di euro (+2,8%). In flessione, invece, nonostante il buon andamento dell’export, la produzione di salame, scesa a 107.600 t (–1,4%), per un valore di circa 892 milioni di euro (–2%). Trend cedente per la produzione di pancetta (–0,8% per 53.500 t, –2,6% in valore per 233,7 milioni di euro). In crescita invece la coppa (+1,5% per 42.900 t, –1% in valore per 322,1 milioni di euro). La bresaola ha chiuso il 2016 con +1,5% in quantità per

16.300 t, ma un –0,3% in valore per circa 256 milioni di euro. Il 2016 è stato un anno ancora molto complesso per i produttori di salumi. Il settore, come il resto del comparto alimentare, ha continuato ad essere penalizzato dalla debolezza dei consumi interni. In un contesto difficile e dominato dall’incertezza, il buon andamento delle esportazioni ha continuato ad essere il principale traino del comparto. I modesti risultati dell’economia nazionale e i timori dei consumatori sulla evoluzio-

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Levoni riconfermato alla presidenza ASS.I.CA. per il biennio 2017-2019 Le aziende associate ad ASS.I.CA. rappresentano oltre l’80% del fatturato industriale della produzione delle carni trasformate (salumi, carni in scatola, grassi suini lavorati), pari a circa 8 miliardi. Di questi, 1,4 miliardi di euro provengono dall’export. «Il 2016 è stato un anno ancora molto complesso per i produttori di salumi» ha commentato NICOLA LEVONI (in foto), presidente di ASS.I.CA. dal 2015 e riconfermato recentemente alla presidenza per un altro biennio. «Il settore, come il resto del comparto alimentare, ha continuato ad essere penalizzato dalla debolezza dei consumi interni. Le problematiche internazionali che abbiamo dovuto fronteggiare sono state molteplici. Nel corso dei mesi sono cresciute le preoccupazioni per le diffuse tensioni geopolitiche, che hanno generato approcci difensivi improntati al protezionismo e al nazionalismo con esiti importanti anche nelle economie avanzate, come nel caso di Brexit, dell’elezione del presidente Trump negli USA e della conferma dell’embargo adottato nell’agosto 2014 dal presidente russo Putin, in conseguenza alla crisi Ucraina. Per fronteggiare questi scenari internazionali siamo consapevoli che l’export è un traino irrinunciabile. ASS.I.CA. ha lavorato fianco a fianco con le nostre istituzioni e con quelle europee per sostenere il fondamentale lavoro che svolgono sia sul fronte tecnico-sanitario, sia in ambito commerciale e agroalimentare, e non da ultimo sul piano della diplomazia economica. Anche grazie all’attività della nostra associazione, il 2016 ha registrato buone performance di esportazioni di salumi, raggiungendo il valore record di 1,4 miliardi di euro (+4,8%), e il rafforzamento della presenza di prodotti della salumeria italiana sui mercati internazionali con l’apertura di nuovi sbocchi commerciali in aree di valenza strategica per l’agroalimentare italiano, come il continente Nordamericano e l’Asia».

La bresaola ha chiuso il 2016 con +1,5% in quantità per 16.300 t, ma con un –0,3% in valore per circa 256 milioni di euro. Il 2016 è stato un anno ancora molto complesso per i produttori di salumi. Il settore, come il resto del comparto alimentare, ha continuato ad essere penalizzato dalla debolezza dei consumi interni (photo © denio109 – Fotolia).

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ne della propria capacità di acquisto hanno frenato gli acquisti nonostante i prezzi ancora molto bassi e le frequenti promozioni al consumo. Nel complesso dell’anno la disponibilità totale per il consumo nazionale di salumi (compresa la bresaola) è stata di 1,054 milioni di tonnellate (–1%) contro 1,065 milioni dell’anno precedente. Il consumo apparente pro capite si è attestato intorno ai 17,5 kg contro i 17,7 dell’anno 2015, registrando un calo pari a –1%. Considerando l’insieme dei salumi e delle carni suine fresche, il consumo apparente pro capite è sceso a 29,4 kg da 30,1 dell’anno precedente (–2,3%). In relazione a questi dati la struttura dei consumi vede al primo posto sempre il prosciutto cotto, con una quota pari al 26,3% del totale dei salumi, seguito dal prosciutto crudo al 22%. Al terzo posto mortadella/ würstel, scesi al 19%; segue il salame in flessione al 7,8% e la bresaola in aumento all’1,3%. Chiudono gli altri salumi saliti al 23,7%. (Fonte: ASS.I.CA. – Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi)

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Passione per la carne per tradizione.


PRODOTTI TIPICI

La pitina della Val Tramontina Prodotto tipico friulano e presidio Slow Food, la pitina è un insaccato fatto con carne di pecora, montone o capra tritata finemente e compattata a forma di polpetta. Oggi sono rimasti pochi produttori. Tra questi Filippo Bier, dell’omonima macelleria di Meduno di Massimiliano Rella

L

a fantasia gastronomica dei nostri avi ci ha lasciato una straordinaria varietà di prodotti. Da ingredienti semplici, dalla necessità di non sprecare tutto ciò che si poteva utilizzare, dall’abilità di farne qualcosa di buono è derivato un patrimonio di specialità e ricette che ci sorprende. La pitina della Val Tramontina è, tra queste eccellenze, un insaccato della tradizione friulana fatto con carne di pecora, montone o capra. Oggi raramente, ma in passato era preparato anche con carne di capriolo, camoscio o altra selvaggina di montagna, utiliz-

zata per cibi adatti alla conservazione, provvidenziale riserva nei periodi in cui mancavano cibi freschi. Così come quando una pecora o una capra si feriva senza poterla curare oppure moriva improvvisamente, per esempio di parto, si recuperava la carne dell’animale. Invece che consumare subito tutta la carne, nelle famiglie contadine delle valli a nord di Pordenone si diffuse la consuetudine di farne delle grandi polpette affumicate da conservare. È così che nasce la pitina. Nella vallata delle Prealpi carniche attraversata dal fiume Meduna sembra che questo insaccato con la sua

particolare tecnica di preparazione fosse conosciuto nella prima metà dell’800. La carne era tritata finemente nella pestadora, un ceppo di legno incavato come un comodo recipiente, poi impastata con sale, pepe nero, vino, aglio ed erbe aromatiche di montagna e compattata a forma di polpette. Queste ancora oggi sono avvolte da un sottile strato di farina di mais e affumicate circa due giorni al fogher, sotto la cappa o sulla mensola del camino, esposte al fumo odoroso di legni di faggio, nocciolo e ciliegio. A differenza di altri prodotti della norcineria, la carne macinata non era

La pitina è una risorsa in cucina e in tavola.

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Il produttore Filippo Bier, responsabile dei presidi Slow Food del Friuli Venezia Giulia.

SPECIALISTI NELLA SANIFICAZIONE AGROALIMENTARE

Tanti fanno pulizie industriali.

insaccata in budelli né in altri involucri, così come il procedimento non richiedeva particolari attrezzature ma si poteva eseguire anche in montagna e lontano dalla malga. La carne asciugata al fuoco spesso veniva appesa in un locale fresco e ventilato adatto alla stagionatura, il camarin, che favoriva una più lunga conservazione. In questo caso potevano formarsi delle lievi muffe nobili, dovute alla stagionatura naturale, poi eliminate spazzolando la pitina prima del consumo. Oggi questa tipicità del Friuli Venezia Giulia, produzione di nicchia della Val Tramontina e della Val Cellina, è un presidio Slow Food. La ricetta è stata tramandata con piccole variazioni. La lavorazione si concentra nei mesi da settembre a giugno, escludendo i mesi estivi trascorsi da ovini e caprini all’alpeggio. La carne è disossata e pulita di grasso, tendini e, per ottenere un prodotto dal gusto più delicato, vengono aggiunti alla polpa magra, che corrisponde a circa il 70%, lardo e pancetta di maiale per la parte restante. Pochi i produttori che perpetuano questa tradizione. Uno è FILIPPO BIER, il responsabile dei presidi Slow Food del Friuli Venezia Giulia, che produce la pitina da 25 anni con lavorazione artigianale. La sua macelleria, fondata dal bisnonno nel 1875, oggi anche rosticceria, si trova a Meduno, i

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laboratori con gli affumicatoi a Cavasso Nuovo. «La pitina della Valtramontina si fa con la carne di animali anziani di 3-6 anni perché più asciutta» ci dice Bier. «Questo prodotto tradizionale è nato proprio per valorizzare anche gli esemplari adulti meno appetibili». La pitina è una risorsa in cucina e in tavola. Fresca, dopo 30 giorni di stagionatura, può essere mangiata cotta, affettata e appena scottata in aceto, oppure rosolata leggermente in burro e cipolla e servita con la polenta. È ottima anche con un minestrone di patate o cotta in latte di vacca appena munto. La ricetta più antica la vede cotta in brodo di polenta e aromatizzata con ginepro e rosmarino. Dopo 60 giorni di stagionatura è un gustoso insaccato da mangiare a fette con il pane o presentato su saporiti taglieri in abbinamento a qualche ottimo calice di vino friulano. Massimiliano Rella Macelleria Bier Via Roma 1 – 33092 Meduno (PN) Telefono: 0427 86189 E-mail: fibier@mac.com Web: www.macbier.it www.pitina.eu Nota Photo © Massimiliano Rella.

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Il valore del capocollo di Martina Franca I segreti dell’autentica ricetta e l’impegno della famiglia Cervellera per promuovere il salume della bassa Murgia. Le “serate degustazione” alla Braceria Rosso di Sera e un successo fatto di esperienza e innovazione di Veronica Fumarola

U

n tempo era semplicemente la Macelleria Cervellera. Da sette anni, invece, GIUSEPPE (norcino dal 1980), con il supporto del figlio GIANLUCA, ha trasformato la sua attività in una braceria: Rosso di Sera. Siamo a Martina Franca, nel cuore della Valle D’Itria, la terra dei trulli; è un caldo sabato mattina di giugno e Gianluca, responsabile

commerciale, racconta dell’evoluzione dell’azienda di famiglia. Terminati gli studi decide di lavorare con il padre: dapprima vende la carne al banco, fino al 2011; poi arriva l’intuizione. Sempre meno gente si reca in macelleria perché preferisce la comodità dei supermercati; perché non provare a cambiare? Senza cessare l’attività, padre e figlio decidono di proporre qualcosa di diverso: nasce

così Braceria Rosso di Sera, un locale con trenta coperti, in cui i clienti possono degustare taglieri di salumi e formaggi prodotti dalla famiglia Cervellera, così come la tipica carne alla brace locale (bombette e salsiccia), assistendo alla cottura e ricevendo sul tavolo la carne appena sfornata. Le “serate degustazione” riscuotono particolare successo, soprattutto con i

Il capocollo di Martina Franca della Macelleria Cervellera era tra i prodotti presenti alla recente edizione di Salumi da Re a Polesine Parmense (PR).

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Uno scorcio del centro storico di Martina Franca. Il comune tarantino è noto non solo per i tradizionali salumi del territorio, ma anche per l’architettura barocca (photo © e55evu – stock.adobe.com).

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Il capocollo di Martina Franca è il prodotto di punta tra i salumi Cervellera. Capocollo è il nome con cui nel Meridione si indica la coppa o lonza, quella parte del maiale che sta tra testa e costata. Questo salume si differenzia dal resto delle altre coppe per la marinatura nel vin cotto e per l’affumicatura. turisti, colpiti dalla qualità dell’offerta. Nell’ultimo periodo la produzione si è concentrata su un nuovo prodotto, la lonza lardellata, derivata dalla costata del maiale, una parte molto magra, avvolta dal lardello. Viene servita nel tagliere con delle bruschette, ma la vera specialità, il prodotto di punta dei salumi Cervellera, è il capocollo di Martina Franca, da sempre apprezzato dai pugliesi e da alcuni anni riconosciuto anche a livello nazionale dall’associazione Slow Food, che lo ha inserito tra i prodotti di qualità da tutelare e valorizzare. Il capocollo di Martina Franca Capocollo è il nome con cui nel Meridione si indica la coppa o lonza, quella parte del maiale che sta tra testa e costata; Martina Franca si è da sempre contraddistinta per la produzione di questo salume fino al punto da costituire, nel 2007, l’Associazione Capocollo di Martina Franca con l’obiettivo di realizzare, gestire e promuoverne l’intera

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filiera produttiva. Giuseppe Cervellera è tra i soci produttori che da circa dieci anni si impegnano per far conoscere il prodotto in tutta Italia e all’estero. Ma cosa diversifica il capocollo di Martina Franca dal resto delle altre coppe? Sono tre gli elementi che rendono questo salume unico: il vin cotto, in cui il capocollo viene fatto marinare dopo il periodo di salagione; l’affumicatura, che avviene facendo bruciare in appositi camini il timo e la corteccia di fragno, albero di quercia che si trova nella zona della bassa Murgia; il clima, fresco e ventilato, tipico della zona, che crea un connubio perfetto con i trulli, all’interno dei quali ogni capocollo resta dai 120 ai 180 giorni per la stagionatura. Oltre la Puglia Proprio sul capocollo e sulla sua promozione Gianluca ha puntato tutto a partire dal 2010, partecipando a fiere ed eventi che permettessero di far conoscere anche altrove la produzione

di famiglia. Con il tempo la richiesta è aumentata tanto da decidere di dar vita a un laboratorio più grande: dallo scorso gennaio, infatti, l’azienda non produce più solo salumi, ma alleva anche i maiali nell’entroterra martinese. Anche il figlio minore ANDREA, dopo due anni trascorsi in Inghilterra per imparare la lingua, è tornato a casa per occuparsi dell’esportazione degli insaccati: non solo il capocollo e la lonza lardellata, ma anche salame martinese, sopressata, guanciale, pancetta arrotolata, pancetta tesa e lardo, tutti acquistabili anche dallo shop on-line su www.capocollodimartinafranca.it. Una produzione che, a piccoli passi, mira a conquistare mercati sempre più grandi, per valorizzare la qualità di un prodotto, il capocollo, sempre più richiesto anche al di là dei confini regionali. E Gianluca, come più volte ripete nel corso dell’intervista, si impegnerà ulteriormente per ottenere altri riconoscimenti, ancora più prestigiosi. Veronica Fumarola

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“Aria di Festa” a San Daniele del Friuli chiude i battenti con un grande successo di pubblico e prosegue il tour il giro per l’Italia Con un grande successo di pubblico si è conclusa la 33a edizione di Aria di Festa (23-25 giugno), storica manifestazione celebrativa del Prosciutto di San Daniele Dop, realizzata dal Consorzio del Prosciutto di San Daniele e dal Comune di San Daniele del Friuli, in collaborazione con la Regione Friuli Venezia Giulia per il tramite di PromoTurismo FVG. Le bizzarrie meteorologiche, che hanno visto alternarsi temperature roventi a violenti temporali, non hanno scoraggiato i numerosissimi visitatori giunti sulla collina di San Daniele per la kermesse enogastronomica e culturale tra le più importanti della stagione estiva del Friuli Venezia Giulia. I risultati finali di quest’edizione 2017 sono stati più che positivi: si parla infatti di un incremento delle presenze dell’8% rispetto alla passata edizione. Sono state 80 le affettatrici attive nella festa, 15 gli stand degli esercenti e 4 quelli dei produttori presenti nel centro della cittadina e al Parco del Castello, assieme a 10 prosciuttifici aperti per l’occasione. Oltre 700 presenze ai corsi di cucina, di taglio e alle degustazioni, 250 visitatori del percorso sensoriale, 10.000 presenze alle visite guidate nelle aziende, tutto esaurito negli appuntamenti dedicati alla cultura realizzati in collaborazione con l’associazione LeggerMente.Anche sui social network c’è stato un grande riscontro in termini di coinvolgimento, condivisione ed entusiasmo per la manifestazione: Aria di Festa, infatti, è stata presente nelle tendenze italiane di twitter con gli hashtag #AriaDiFesta e #AriadiSanDaniele. Dopo la tappa di San Daniele, la manifestazione divenuta da quest’anno itinerante, prosegue con le tappe di Firenze nel mese di luglio, Roma a settembre e Bari a ottobre.

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Il miracolo del Vinappeso, salume da meditazione Nel Vigneto dei Salumi, ad Arbizzano di Negrar, in Valpollicella, Walter Ceradini impreziosisce gli insaccati coi vini più pregiati del territorio di Gian Omar Bison

S

i dice che nel vino si possano annegare dubbi, preoccupazioni, angosce. È un po’ quello che ha fatto WALTER CERADINI ad Arbizzano di Negrar (VR), in piena Valpolicella. Protagonista l’Amarone, tra i migliori rossi d’Italia che leggenda vuole essere il risultato di uno sbaglio di vinificazione: doveva essere Recioto ma il tempo, il troppo tempo lasciato a fermentare, lo ha scolpito passito secco. Co-protagonista un salume: doveva

essere “culatello” ma il tempo, il troppo tempo lasciato ad affinare in cantina, ha restituito un insaccato asciutto. Quasi immangiabile. E come lo ammorbidiamo? Con l’acqua in Veneto si fa poco e col vino si ubriacano i formaggi, vuoi vedere che non si possa inebriare anche un salume? Detto fatto! Dal 2008 Ceradini è titolare di una delle più originali e saporite superfici vitate della Valpolicella: il Vigneto dei Salumi, dove tagli diversi sono imprezio-

siti dai vini più pregiati del territorio in grado di conferire agli insaccati sfumature organolettiche distintive e originali. Un tuffo prima nell’Amarone e poi nel Recioto e il gioco è fatto. Ma anche il contrario e con tempi di immersione diversi per risultati diversi più o meno dolci, sapidi e strutturati. Tutti ottenuti partendo dagli stessi suini della filiera del prosciutto di Parma DOP. «Il miracolo del Vinappeso (così si chiamano i culatelli insaccati da Ceradini) è che il

Fondata nel 1960 dal padre di Walter, Elio Ceradini, il Vigneto dei Salumi si trova ad Arbizzano di Negrar (VR), nel cuore della Valpolicella, territorio noto per la produzione di vini pregiati.

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salume si scarica di sale e acquisisce i sentori del vino. Per un pezzo da tre chili il Vinappeso necessita di più di tre litri di vino tra Amarone e Recioto. La lavorazione richiede una delicatezza ed un’attenzione maniacale: ci vuole il tasso di umidità usato per il prosciutto crudo e la temperatura caratteristica necessaria per la produzione dei salami. Poi è una questione di ambienti idonei per la stagionatura naturale, di tempo e di pazienza. Fondamentale la legatura, fase in cui i salumi che hanno la presunzione di essere di alta qualità vengono avvolti manualmente con cura e attenzione in uno spago e, in seguito, appesi a stagionare. Un procedimento, questo, essenziale perché non si creino dei vuoti d’aria all’interno del salume. Il risultato, così mi piace pensarlo, deve essere un salume da meditazione». E pensare che i morsi della crisi economica stavano mettendo l’azienda, legata molto alla filiera produttiva dei prosciutti di Parma, in ginocchio. «Non riuscivo più a far fronte ai costi crescenti e alle difficoltà del mercato. Alle banche che mi costringevano a rientri forzati e che facevano fatica a rinnovarmi credito. Volevo chiudere. Solo la caparbietà di mia moglie Francesca, recentemente mancata, che voleva salvassi la società e dessi un futuro ai dipendenti, mi ha fatto desistere. Poi è arrivato il Vinappeso e su questo abbiamo costruito la nostra risalita culminata con i riconoscimenti al Vinitaly del 2016 e dei grandi ristoratori italiani». Un prodotto che supera in alcune tipologie i cento euro al chilo e che si esporta in Europa.

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In alto: sala di stagionatura dei Vinappesi. In basso: Walter Ceradini. Quattro le declinazioni del Vinappeso: 1. Romeo, caratterizzato da una stagionatura di 11/12 mesi e un affinamento in Recioto; 2. Giulietta, con una stagionatura di 16/18 mesi e due affinamenti in Recioto e uno in Amarone; 3. Isabella, stagionatura di 24/26 mesi e due affinamenti in Amarone e uno in Recioto; 4. Quattro Lune d’agosto, stagionato 26/30 mesi e poi due affinamenti in Recioto e due in Amarone. A questi si aggiungono il Grandentato, muscolo magro della coppa affinato per 45/50 giorni in vino cristallino e stagionato in cantina 120/150 giorni; lo Speck Wine, taglio anatomico della coscia (muscolo femorale o noce) stagionato circa 11/12 mesi in cantina che conosce il vino in salagione e viene aromatizzato con erbe fresche

e affumicato a fine stagionatura; il Lardivino, stagionato 6 mesi e affinato per 60 giorni in vino cristallino; il Cotevino, cotechino pronto da cuocere con busta contenente vino cristallino e commercializzato sotto vuoto intero. Si sommano a questi un’ampia selezione di insaccati tradizionali, dalla sopressa al guanciale. Tra le novità che saranno lanciate al Vinitaly 2018, i salumi agli agrumi. In anteprima, assaggiata quest’anno, la lonza al bergamotto. Salume stagionato con sale di Cervia, buccia e succo di bergamotto. Gian Omar Bison Vigneto dei Salumi Via Casa Zamboni 3 37024 Arbizzano di Negrar (VR) Telefono: 045 7514233 E-mail: info@vignetodeisalumi.it Web: www.vignetodeisalumi.it

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Italia enoturistica, il 2017 è l’anno del sorpasso L’enoturismo si conferma per l’Italia come una risorsa economica e culturale con ampi margini di crescita. Nonostante la qualità delle infrastrutture sia giudicata insufficiente da comuni e Strade del Vino, nonostante il basso utilizzo dei moderni sistemi di comunicazione (il 76% delle Strade non ha una App per smartphone e il 4% neanche un sito internet), e l’assenza in quasi la metà dei comuni di un ufficio dedicato, nel 2017 operatori e amministratori locali prevedono il sorpasso sul 2016. Per oltre l’80% del campione del XIII rapporto nazionale su Turismo del Vino — curato per conto di Città del Vino dall’Università di Salerno con il coordinamento scientifico del professor Giuseppe Festa, direttore del corso in Wine Business — il flusso degli arrivi in cantina e il fatturato dell’enoturismo sono aumentati o almeno rimasti stabili rispetto all’anno precedente. Gli arrivi in cantina e il valore dell’enoturismo sono aumentati per il 40,22% dei comuni e il 60,87% delle Strade Vino. Nel 2016 il XII Rapporto stimava in 14 milioni gli arrivi enoturistici alle strutture dei territori e un valore di 2,5 miliardi di euro. Luci e ombre sull’enoturismo? Sicuramente sì, ma i segnali che arrivano dal basso sono anche positivi. Tre comuni su 4 non prevedono la tassa di soggiorno, ma chi lo fa la utilizza come una possibilità in più per la politica turistica dell’amministrazione: come l’Ecomaratona del Chianti a Castelnuovo Berardenga (SI), le Feste dell’uva e del vino a Bardolino (VR), l’apertura di un ufficio dedicato a Suvereto (LI) e a Conegliano (TV) o la manutenzione dei sentieri escursionistici ad Aymavilles (AO). La formazione del personale di accoglienza e la conoscenza della lingua inglese sono ancora un punto debole, come in tanti casi infrastrutture, trasporti e collegamenti. Anche i rapporti tra istituzioni e operatori devono migliorare, poiché 1 Strada del Vino su 3 giudica ancora non propositivi e collaborativi i comuni di riferimento, mentre gli stessi Comuni non hanno sotto controllo il numero di visite alla filiera enoturistica dei propri territori: solo il 4,17% fa la raccolta dati. Di contro, il livello medio dei servizi offerti dagli operatori del settore enoturistico (cantine, ristoratori, albergatori, ecc…) agli enoturisti è giudicato dai comuni sufficiente/discreto (6,76 in media), con più del 30% che si spinge a riconoscere un voto pari a 8; il 44% delle Strade ha direttamente organizzato nel 2016 più di 3 eventi e le stesse Strade del Vino sono percepite dagli operatori enoturistici come un organismo importante sul territorio nell’84% dei casi. Rimane da migliorare però l’interazione tra gli operatori del settore, i Comuni e altri soggetti pubblici, giudicata insufficiente (5,48 nella media delle risposte delle Strade del Vino). (Fonte: Città del Vino e Università di Salerno)

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Tradizione e genuinità dal 1910

Prosciutto di Modena Dop un capolavoro del gusto italiano

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Gailtaler Speck, più di una specialità, compagno di viaggio di Riccardo Logorio

«L

o Speck della Valle del Gail IGP (Gailtaler Speck) non è solo una specialità. È un compagno di viaggio che per secoli ha guidato le popolazioni che vivono intorno al fiume Gail (che in Italia conosciamo come Zelia)», ci dice lasciando poco spazio all’immaginazione ALBERT JANK,

presidente e mentore del Consorzio di tutela. Lo Zelia scorre in direzione ovestest, parallelo al confine nord orientale dell’Italia, dove l’aria frizzante di montagna si mescola con i venti meridionali, attraversando cittadine importanti come Kötschach-Mauthen, Hohenthurn ed Hermagor. Il disciplinare di produzione prevede che l’area di produzione dello

Albert Jank, presidente e mentore del Consorzio di tutela dello Speck della Valle del Gail Igp (Gailtaler Speck).

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speck sia anche la Gitschtal, che taglia da nord ovest la valle dello Zelia. Con un ruolo centrale nella merenda delle famiglie che vivono queste montagne, il Brettljause, lo Speck della Valle del Gail IGP viene presentato tradizionalmente su un tagliere di legno insieme a formaggio locale, cetrioli e pane di segale. Ma il segreto è come tagliarlo. Per Jank è un’arte. «Lo spessore della fetta non può superare i 3 cm e successivamente va fatto a tocchetti sottili, pertanto lo speck deve essere ben stagionato. Rimaniamo stupiti quando vediamo degli stranieri che lo tagliano grossolanamente, poiché diventa difficile masticarlo: piuttosto deve sciogliersi». Di segreti lo Speck della Valle del Gail IGP ne conserva molti. In questa valle dove le chiese hanno il tetto di legno, i suini vengono allevati per disciplinare fino ai 120 kg, «ma spesso si raggiungono i 150», incalza Jank. Sono nutriti con orzo e frumento e un massimo del 10% di soia e, quando il prodotto è pronto per essere spedito al mercato, ci si può fregiare di due tagliandi di garanzia, il sigillo rosso e il sigillo verde. Quest’ultimo spetta a chi alleva gli animali, li trasforma e stagiona lo speck; il sigillo rosso spetta al prodotto elaborato da chi acquista le mezzene e le lavora secondo i dettami previsti dal disciplinare di produzione. Un metodo, semplice e immediatamente riconoscibile dal consumatore, che spezza una lancia a favore della accessibilità alle informazioni. Al momento gli utilizzatori del sigillo verde sono quindici, due coloro che possono vantare il sigillo rosso. Il peso complessivo di speck prodotto annualmente si aggira intorno alle 12 tonnellate. Dopo la macellazione, le mezzene sostano per circa 24 ore in apposite stanze di raffreddamento. Ha inizio il

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rito della stagionatura: quello che diventerà Speck della Valle del Gail IGP viene messo a contatto per circa tre settimane con sale, pepe, aglio e ginepro. Ogni tre giorni si provvede a massaggiare le parti anatomiche e a rivoltarle. «Tuttavia, l’aspetto davvero fondamentale per ottenere un buon Speck della valle del Gail IGP passa per l’affumicatura. Esistono apposite sale dove viene combusta a freddo della segatura di faggio. La temperatura non deve mai oltrepassare i 18 °C e si provvede a umidificare la segatura quando il fumo tende a scurirsi. Ciò provocherebbe un danno all’aspetto esterno dello speck, che deve risultare di colore giallo oro. Ogni poche ore si provvede al ricircolo d’aria e poi si riprende il processo di affumicatura. Questa ha anche il ruolo di rendere più soda la carne», svela Jank. Tra le caratteristiche dello speck è da evidenziare il colore rosso rubino mentre la parte grassa deve risultare bianca. In bocca il Gailtaler Speck IGP è equilibrato, poco salato, dal fumo ben percepibile. Al morso la carne deve risultare ben soda, ma sciogliersi facilmente a contatto con il palato. Un prodotto che nasce dalla lavorazione del Gailtaler Speck IGP è la parte più grassa, che viene macinata finemente con aglio e cipolla. Se ne ottiene una “marmellata suina”, che in valle passa sotto il nome di Verhacktes: è quella che a pochi chilometri da qui, in territorio sloveno e nel Tarvisiano, si conosce come sasaka. Anche il Verhacktes entra a far parte della merenda della valle, spalmato sul caratteristico pane di segale. Spesso viene offerto in barattoli o in vasi di vetro e sino a qualche decennio fa era il luogo più adatto per conservare le salsicce o i tocchetti di speck. «Queste carni pregiate potevano rimanere sotto Verhacktes, in contenitori di legno, anche per un anno, garantendo le scorte alimentari tra una mattanza e l’altra», con un filo di nostalgia racconta Jank. Riccardo Lagorio

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L’Acetaia Leonardi rappresenta la massima espressione della cultura legata all’Aceto Balsamico di Modena. Una tradizione secolare che ha le sue radici nel cuore della provincia modenese dove genuinità e passione per la tradizione rappresentano ancora valori, cardini dell’economia del territorio.

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LA QUALITÀ

Dop, Igp e Stg di prodotti a base di carne in Europa di Andrea Gaddini

L’

Unione Europea protegge i suoi prodotti agroalimentari tipici con marchi di origine: i due principali sono la Denominazione di Origine Protetta (DOP) e l’Indicazione Geografica Protetta (IGP), che garantiscono la tutela dei prodotti tradizionali, europei e non, e delle loro denominazioni, contro le imitazioni e le contraffazioni. Il sistema di controllo, messo in atto da appositi organismi, e la vigilanza su di essi delle autorità nazionali, assicura la difesa dei produttori e dei consumatori. Il marchio Specialità Tipica Garantita (STG) protegge invece metodi di produzione o trasformazio-

ne, con materie prime o ingredienti tradizionali, senza legare strettamente il prodotto ad un particolare territorio, ossia senza vincolare i produttori ad eseguire la produzione in una determinata area. Al 18 maggio 2017, delle oltre 1.300 DOP e IGP, 168 appartengono alla classe 1.2, “Prodotti a base di carne”, e 41 di queste, pari a oltre il 24%, sono italiane, rispecchiando la quota generale di denominazioni del nostro Paese sul totale. I prodotti italiani di carni fresche, invece, sono solo sei, pari al 3%. Tra i prodotti a base di carne, oltre ai marchi italiani,

troviamo 41 prodotti portoghesi (stesso numero di quelli italiani), 18 francesi e tedeschi e 15 spagnoli. Alla stessa classe 1.2, appartengono poi 14 prodotti a marchio STG, sui 55 totali; nessuno di questi è italiano, ma sono stati registrati da paesi dell’Europa orientale, a parte un marchio svedese ed uno spagnolo. Classificazione in base alla specie Dei 182 prodotti registrati con uno dei tre marchi europei, ben 163 sono a base di sola carne suina. Tre prodotti, tutti IGP, sono interamente a base di carne bovina — la Bresaola della Valtellina,

Jambon sec des Ardennes Igp (photo © www.andre-charcuteries.be).

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Jamón de Teruel Dop (photo © www.marianogomez.es). la spagnola Cecina de León e il salame bulgaro Gornooryahovski sudzhuk —, mentre le due DOP finlandesi sono a base di pura carne di renna, e la IGP francese Canard à foie gras du Sud-Ouest è interamente a base d’anatra. Tra gli altri prodotti, 9 sono a base di carne mista suina e bovina (due con prevalenza del bovino) e inoltre esistono la IGP italiana Salame d’oca di Mortara, a base di carne suina e d’oca, la gelatina belga IGP Potjesvlees uit de Westhoek, a base di carni bovine, avicole e cunicole, la salsiccia svedese STG Falukorv con carni bovine, equine e suine, e la IGP britannica Stornoway Black Pudding, insaccato delle isole scozzesi a base di sego e sangue, di origine bovina, ovina e suina. Le tre IGP portoghesi di Alheira, di Barroso-Montalegre, Vinhais e Mirandela, prevedono, oltre alla carne suina, un’aggiunta facoltativa di pollame, coniglio e selvaggina. Vincoli di razza nel disciplinare Ricordiamo che, per ogni prodotto, esiste una norma, il disciplinare di produzione, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, che

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stabilisce i requisiti da rispettare nella elaborazione del prodotto, tra i quali possono essere comprese, per i prodotti a base di carne, le caratteristiche degli animali che forniscono la carne. Si nota quindi che tutte le 41 specialità portoghesi, tranne una, devono essere preparate con carni di suini di razze autoctone, rustiche e pascolatrici, 23 da pura razza Alentejana (nera), una da Bísara (cinta) pura e 16 da razza Bísara pura o incrociata, mentre l’IGP Presunto de Barroso non specifica la razza. Al contrario, la Spagna ricorre molto meno per le sue specialità alla carne di suini di razze locali, di tipo pascolatore. Il rinomato Cerdo iberico, strettamente imparentato con il Porco alentejano portoghese compare solo in 4 specialità, tutte di prosciutto e spalla, mentre le restanti denominazioni non indicano la razza oppure prevedono l’uso di razze cosmopolite, in prevalenza Landrace, incrociate con Large White e Duroc. Per l’Italia 15 disciplinari, in gran parte relativi a salami, non specificano la razza dei suini, per 21 denominazioni si indicano le razze costitutrici degli incroci, di solito le selezioni italiane di

razze cosmopolite, come Large White, Landrace e Duroc, spesso vietando l’uso di alcune specifiche razze che potrebbero impartire caratteristiche negative al prodotto. Solo per le 4 specialità calabresi (capocollo, pancetta, salsiccia e soppressata), il disciplinare prevede, oltre alle razze cosmopolite, l’uso di suini di razza Apulo-calabrese. Tipologie di prodotti registrati Dei prodotti registrati con uno dei tre marchi, 114 sono insaccati, mentre per 78 il disciplinare di produzione prevede l’affumicatura, che in altri 11 casi è facoltativa, mentre per i restanti 93 questo trattamento non è ammesso, e spesso è esplicitamente vietato. Le specialità di prosciutto crudo sono in tutto 48, delle quali 11 in Italia: le DOP Parma, San Daniele, Carpegna, Modena, Toscano, Veneto Berico-Euganeo, Crudo di Cuneo e Valle d’Aosta Jambon de Bosses e le IGP Amatriciano, Norcia e Sauris. Il Portogallo conta 7 marchi di Presunto: le DOP Barrancos e Alentejo e le IGP Barroso, Vinhais, Melgaço, Santana da Serra e Camp Maior e Elvas.

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I prodotti a base di carne, con la loro varietà di materie prime e modalità di trattamento, danno un’interessantissima panoramica della diversità di culture e condizioni ambientali presenti in Europa, e forniscono una testimonianza delle influenze reciproche e degli scambi culturali tra i popoli

Butelo de Vinhais Igp. Si tratta di un tipico insaccato portoghese con carne di maiale di razza Bísaro (o incroci con altre razze ma con almeno il 50% di sangue Bísaro). La carne viene condita con aglio, paprica, alloro, vino della zona di produzione, acqua e sale, quindi subisce un processo di affumicatura (photo © Mario Cerdeira). Anche la Francia ha sette marchi di Jambon: la DOP sec de Corse (Prisuttu) e le IGP d’Auvergne, Bayonne, Lacaune, Ardèche, Vendée e sec des Ardennes. Il Belgio vanta la IGP Jambon d’Ardennes, per la Spagna si contano i Jamón DOP de Teruel e IGP de Serón e de Trevélez, oltre alla STG Jamón Serrano. La Croazia registra il pršut, con la DOP istriana (Istarski) e tre IGP, Drniški, Dalmatinski e Krčki, e in Slovenia si hanno le IGP Kraški pršut (prosciutto del Carso) e Prekmurska Šunka. La Germania ha registrato cinque IGP di schinken, e il Regno Unito conta una IGP, il Carmarthen Ham, prodotto gallese non affumicato. Otto specialità, spagnole e portoghesi, abbinano il prosciutto alla spalla (paleta), un prodotto spagnolo (Lacón Gallego) è costituito dalla sola spalla,

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mentre il marchio IGP lussemburghese Salaisons fumées, marque nationale grand-duché de Luxemburg comprende tre tipi di prosciutto e il lardo, tutti affumicati. L’affumicatura è obbligatoria per 11 prosciutti e facoltativa per 4. Tra questi troviamo tutti i 4 prosciutti tedeschi, 2 su 4 di quelli croati e 1 su 2 degli sloveni (non lo sono quelli di area ex-italiana). Alcuni prosciutti portoghesi comprendono l’intero arto posteriore, mentre il Vendée francese è disossato. Tra i 63 salami l’Italia conta 13 denominazioni, le DOP Brianza, Varzi, Piacentino, Salamini italiani alla cacciatora, soppressata di Calabria, sopressa vicentina e salame d’oca di Mortara, con carne d’oca, e le IGP Cremona, Felino, Piemonte, Sant’Angelo, salama da sugo e finocchiona.

Il Portogallo registra 14 IGP, quasi tutte denominate Chouriça o Chouriço: de Carne de Barroso-Montalegre, de Carne de Melgaço, de Carne de Vinhais, de Carne de Estremoz e Borba, de sangue de Melgaço, Doce de Vinhais, Azedo de Vinhais, de Abóbora de Barroso-Montalegre, grosso de Estremoz e Borba, de Portalegre e Mouro de Portalegre; inoltre si contano diversi tipi di insaccati, quasi tutti affumicati, con i nomi di lenguiça, farinheira, cacholeira, salpicão, oltre a morcela e sangueira, a base di sangue. Per la Spagna sono registrate le IGP Chorizo de Cantimpalos e Riojano. Le restanti denominazioni di salame sono in gran parte dell’Europa dell’Est, e spesso richiamano le denominazioni italiane di “salame”, come le IGP ungheresi Budapesti téliszalámi e Szegedi

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Le tre Dop piacentine: salame, pancetta e coppa (photo © www.lamadia.com). szalámi, la romena Salam de Sibiu e le STG transfrontaliere cecoslovacche Liptovská saláma e Lovecký salám, mentre la luganega è evocata dalla STG bulgara “Lukanka Panagyurska”, dalla IGP cipriota “Pafitiko Loukaniko” e dalla IGP spagnola Salchichón (o Llonganissa) de Vic, e la soppressata è richiamata dalla IGP spagnola Sobrasada de Mallorca. Le salsicce o altri insaccati da cuocere, anche a base di sangue, sono 38, e solo quattro sono italiane: la DOP “salsiccia di Calabria”, e le IGP Cotechino Modena, lo Zampone Modena e la Salama da sugo ferrarese. Come prevedibile la Germania ha registrato un gran numero di questi salumi (12), quasi sempre denominati wurst tre dei quali sono affumicati e quattro possono esserlo a scelta del produttore. Le restanti denominazioni sono distribuite tra Francia (saucisse, saucisson e boudin), Regno Unito (sausage e pudding), Portogallo (paia, butelo e le Alheira de Barroso-Montalegre, de Mirandela e de Vinhais. Gli insaccati non macinati, del genere lonza o capocollo, sono 13, tra cui le DOP italiane Culatello di Zibello,

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Capocollo di Calabria e Coppa piacentina e la IGP Coppa di Parma, oltre alle DOP francesi, ma di cultura italiana Coppa de Corse e Lonzo de Corse, tre specialità slovene IGP del tipo želodec e zašink, una delle quali originaria del goriziano sloveno e una del Carso. Tre IGP sono portoghesi, del tipo lombo e del tipo paia, e la IGP Chosco de Tineo è spagnola. I prodotti di tipo lardo o pancetta sono sei, quattro dei quali italiani, le DOP Pancetta di Calabria e Pancetta piacentina e le IGP Lardo di Colonnata e Valle d’Aosta Lard d’Arnad, oltre alle IGP slovena Kraška panceta (pancetta del Carso) e portoghese Lombo Branco de Portalegre. La IGP Porchetta di Ariccia si distingue come specialità di carne cotta non insaccata, mentre tra i prodotti di carne secca si contano tre IGP di speck, a volte erroneamente catalogate tra i prosciutti, gli austriaci Gailtaler e Tiroler e l’italiano Alto Adige/Südtiroler, le STG bulgare Kayserovan vrat Trakiya e File Elena, oltre alle già citate Bresaola della Valtellina e Cecina de León, di carne bovina, e le due Lapin Poron finlandesi di carne di renna.

Infine, tra i pasticci di carne, oltre alla citata IGP francese d’anatra, il Canard à foie gras du Sud-Ouest, si registrano tre IGP a base di carne suina, le francesi Pâté de Campagne Breton e Rillettes de Tours e la britannica Melton Mowbray Pork Pie. In conclusione, i prodotti a base di carne, con la loro varietà di materie prime e modalità di trattamento, danno un’interessantissima panoramica della diversità di culture e condizioni ambientali presenti in Europa, e forniscono una testimonianza delle influenze reciproche e degli scambi culturali tra i popoli, dando comunque evidenza della forte influenza della cultura italiana su tutta questa particolare produzione europea. Andrea Gaddini Riferimenti normativi • Regolamento UE n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari. Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, L 343 del 14/12/2012. • Commissione europea, Banca Dati DOOR: ec.europa.eu/agriculture/ quality/door/list.html

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MACELLERIE D’ITALIA

Bareato: carne e pancette si fanno in famiglia A Mira, in provincia di Venezia, incontriamo Luca Bareato e la sua famiglia, macellai e norcini di lunga tradizione e di altrettanto lunga prospettiva di Gian Omar Bison

Cotechino, sopresse, ossocolli, pancette… Tutti gli insaccati vengono realizzati con la carne di maiali provenienti da allevamenti di fiducia.

L

a carne si fa in famiglia. Uno slogan al quale non sfuggono neanche i BAREATO, macellai e norcini di lunga tradizione e probabilmente di altrettanto lunga prospettiva, considerato il recente ingresso della quarta generazione. SANTE BAREATO, macellaio e mediatore, dalla

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piccola Porto Menai di Mira (VE), a cavallo della seconda guerra mondiale, partiva per processare buoi e maiali nelle case dei contadini, porzionarne le carni e “far su” gli insaccati. «Siamo partiti da lì — ribadisce LUCA BAREATO, oggi unico titolare con la cognata MARIA PIA TONELLO — e lì vogliamo restare. Cam-

biano normative, regolamenti, bestie e consumatori, mode e gusti, ma per noi la famiglia e la passione per questo lavoro saranno sempre l’asse portante della nostra attività; della qualità che vogliamo certificare al cliente». Parliamo di un incrocio tra un fiume, il “Taglio Nuovissimo”, canale

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Realizziamo tutti gli insaccati tipici locali, dice Luca Bareato, dai cotechini alla sopressa, agli ossocolli, pancetta, ecc… E una cosa che facciamo, credo, solo noi: l’Imperiale. Una pancetta di trenta chili dal sapore inconfondibile

In alto e a destra: salumi prodotti dalla Bareato Carni in stagionatura.

artificiale derivazione del Naviglio Brenta, e una strada, via Stradona che unisce Sambruson a Piazza Vecchia. A due passi dall’idrovia Padova-Venezia, storica incompiuta tra le grandi opere pubbliche viabilistiche del Belpaese. E di un caseggiato piccolo e poco abitato che offriva un fornaio, un fruttivendolo,

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una macelleria e poco altro (oggi è rimasto il fornaio). «È bastato così per molti anni — ricorda Luca — nei quali mio padre GIUSEPPE, figlio di Sante, con mia madre GIOVANNINA, ha costruito la vecchia macelleria e le celle nelle quali io e i miei fratelli MARINO e PAOLO siamo stati impiegati fin da bambini».

Si lavora molto e si incassa il giusto per molti anni. Quanto basta per mandare avanti la famiglia, poi allargatasi nel tempo con le nuore e i figli. E si narrano storie di fatica e dedizione che ancora oggi nonna Giovannina racconta ai nipoti e che finiscono quasi tutte allo stesso modo:

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Luca Bareato, titolare con la cognata Maria Pia Tonello di Bareato Carni.

impegno e sacrificio fino a notte fonda per poi riunirsi in cucinotto stanchi e affamati a mangiare gli spaghetti con la pasta della salsiccia. «Tutto bene fino alla fine degli anni Novanta» ricorda Luca. «Già la carne iniziava ad essere soggetta periodicamente ad attacchi sulla stampa di natura sanitaria o sulla valenza nutrizionale. A volte, secondo noi, eccessivi. Ma con l’avvento di “mucca pazza” c’è stato un tracollo di consumi che ci ha spinti a prendere nel 2000 decisioni importanti: chiudere a Porto Menai e aprire a Piazza Vecchia, frazione più dinamica e abitata dove potenziare salumificio e gastronomia». A Piazza Vecchia la macelleria dei Bareato lavora ancora e, anzi, con l’apertura pochi anni fa del laboratorio nuovo, raggiungendo una produzione importante di salumi e insaccati, lavora anche di più. Inoltre, è all’interno di un mini-market, Punto Risparmio, sempre da loro gestito nel quale si trovano generi alimentari diversi, compresi latte e derivati e un po’ di frutta e verdura, e non solo. Non bastasse, da otto anni si sono aggiunte le botteghe interne alle Cantine

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sociali della Riviera del Brenta a Dolo (VE) e di Noale (VE) nelle quali, grazie a un connubio stretto con Lattebusche, si occupano di gestire la fornitura, oltre che di carne e insaccati, anche di latte e formaggi, in quello che chiamano Spaccio del Contadino. «Quello che fino ad oggi non abbiamo ancora pienamente valorizzato è la parte di cucina dei nostri prodotti. Ma su questo abbiamo dei progetti che contiamo di far venire a maturazione quanto prima, complice GIANMARIA, mio figlio, che da poco si è diplomato all’istituto alberghiero; è cuoco e lavora con noi. Così come resta un progetto l’apertura, un giorno, di una ristomacelleria che ci permetterebbe, sempre con l’aiuto di Gianmaria, di chiudere il cerchio. Ma i passi vanno cadenzati, fatti piano, in rajon dea gamba. Non è nostra intenzione caricarci di lavoro e quindi di costi da inseguire. Un po’ alla volta, lasciando il giusto spazio alla vivibilità e alla famiglia, che per noi resta la cosa più importante. È giusto essere ambiziosi, ma non avidi e ingordi». Il bovino fa la parte del leone tra le carni vendute e pesa per un buon

cinquanta per cento. Si pregiano di scegliere le bestie direttamente dai contadini che visitano e con i quali lavorano da anni. «E questo per noi — sottolinea Luca — significa qualità e sicurezza che vogliamo garantire al cliente. Lavoriamo solo femmine, Scottone e Sorane, di razza francese, che è quella che gli allevatori ristallano di più. Se abbiamo bisogno di integrare ci rivolgiamo ai grossisti del territorio. E sempre dai nostri contadini di fiducia per i maiali. Sono la nostra forza e anche il nostro futuro, considerato che la norcineria è un’arte oramai per pochi. Io personalmente impasto salami e insaccati con solo sale e pepe. E l’anno scorso ne abbiamo lavorati 232 quintali. Facciamo tutto, dai cotechini alla sopressa, agli ossocolli, pancetta, ecc… E una cosa che prepariamo, credo, solo noi: l’Imperiale. Una pancetta di trenta chili dal sapore inconfondibile». Gian Omar Bison Bareato Carni Piazza Vecchia, 1 – 30034 Mira (VE) Telefono: 041 567 6441 Web: www.bareatocarni.com

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EVENTI

Fracassi, i salumi, l’UNESCO e quella sua idea di qualità di Elena Benedetti

È

ufficialmente partita la candidatura all’UNESCO della Cucina italiana all’estero come patrimonio immateriale dell’umanità. L’occasione è stata l’edizione 2018 dell’Italian Cuisine in the world forum, un evento che lo scorso fine giugno ha riunito nella valle del Casentino, in provincia di Arezzo, professionisti giunti da tutto il mondo per celebrare la cucina italiana tradizionale e le produzioni enogastronomiche di qualità. L’iniziativa era abbinata ad uno degli appuntamenti più attesi dell’estate aretina, Capolavori a Tavola, che

da sedici anni è promossa da SIMONE FRACASSI, grande butcher e norcino, riunendo alcuni dei migliori chef stellati della Penisola, per valorizzare la carne bovina di razza Chianina e l’eccellenza del buon cibo italiano. «Il riconoscimento della cucina italiana nel mondo parte dal Casentino» ha sottolineato con orgoglio Fracassi. «Queste tre giornate hanno rappresentato l’occasione per presentare la nascita dell’associazione Italian Cuisine in the world che si occuperà di proporre all’UNESCO il riconoscimento della cucina italiana nel mondo come patrimonio immateriale.

L’obiettivo della candidatura e dell’associazione è di sostenere, diffondere e promuovere la cultura enogastronomica all’estero, rinforzando la collaborazione tra tanti professionisti e valorizzandone l’autenticità legata alle tradizioni e ai territori». Il Casentino è emblema delle tante aree rurali e periferiche d’Italia dove sono ancora visibili i processi che hanno modellato la cucina della tradizione enogastronomica che si è poi diffusa nel mondo, motivando così la scelta della vallata come base da cui far partire questa candidatura. La grande conclu-

Il prosciutto del Casentino di Fracassi viene prodotto con le carni di suino grigio allevato allo stato brado in Toscana. 78

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Simone Fracassi è anche ambasciatore della tradizione e della cucina italiana con la direzione di Capolavori a Tavola, l’evento benefico che quest’anno ha raggiunto la XVI edizione, riunendo nella splendida cornice di Borgo Corsignano (Poppi, AR) chef stellati, pasticceri, cantine vinicole e birrifici.

Prosciutto del Casentino e il suo legame col territorio di produzione: la conca dell’alto corso dell’Arno era un tempo terra di boscaioli e pastori. Vi pascolavano, bradi o semibradi, rustici maiali dal manto scuro, probabilmente della Cappuccia di Anghiari, una delle tre razze locali (le altre erano la Cinta Senese e la Mora Romagnola) allevate per la produzione di prosciutti crudi pregiati. In un testo storico dell’Ottocento si citano prosciutti pregiati che erano spediti perfino in Germania e in Inghilterra. La ricetta tradizionale prevede che le cosce dei suini, dopo una refrigerazione di almeno 24 ore, siano rifilate, massaggiate e salate. L’impasto per la salagione è preparato con sale, aglio e, volendo, altre spezie (pepe, peperoncino, noce moscata e ginepro macinato). Dopo 5/7 giorni si rimuove il sale residuo dalla superficie e si massaggia ancora. Quindi si passa a una seconda salagione, che si protrae per circa due settimane. Si elimina ancora una volta il sale in eccesso e si lascia maturare il prosciutto per 40/50 giorni. In questa fase, tradizionalmente, lo si appendeva in cucina, al calore del camino: per questo è consentito anche un leggero gusto di fumo naturale (ottenuto con legna di querce, faggio e, in misura minore, ginepro). Dopo la stagionatura, che non può durare meno di 18 mesi, il prosciutto è pronto (fonte: Fondazione Slow Food; in foto, uno scorcio della Valle del Casentino, un territorio della provincia di Arezzo ricco di arte, cultura enogastronomica e paesaggi stupendi; photo © discovertuscany.com).

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Simone Fracassi alla serata modenese con i rappresentanti dell’Academia Judices Salatii — Adriano Ballotta, Ileana Baruffaldi, Glauco Bellelli, Antonio Gozzi e Paolo Boschetti — in occasione della degustazione guidata dei salumi del Casentino. sione è stata Capolavori a Tavola, che ha rappresentato l’esaltazione concreta di questo progetto, configurandosi come un vero e proprio gala enogastronomico dove assaggiare i prodotti e i piatti da tutte le regioni. L’appuntamento, tra l‘altro, ha coinciso quest’anno coi novant’anni della Macelleria Fracassi, bottega storica del piccolo comune di Castel Focognano (AR), dove Simone lavora carni di maiale di razze autoctone e di Grigio del Casentino allevato allo stato brado,

Questi animali sono allevati allo stato brado e la loro alimentazione è costituita da ciò che trovano al pascolo. Il Grigio nasce e muore all’aperto e non prima dei 14 mesi. La macellazione ha luogo dal 1o ottobre al 30 marzo

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oltre a capi di Chianina rigorosamente selezionati in piccoli allevamenti del territorio, a cui fa seguito una frollatura magistrale in bottega. Ma la vocazione di Simone non è solo legata alla carne fresca: Fracassi è anche un incredibile produttore di salumi della tradizione toscana, realizzati con razze autoctone e lavorati con quella passione che solo la cultura, la famiglia, la contaminazione con un territorio unico ti possono trasmettere. Abbiamo incontrato Simone ad un recente appuntamento organizzato dall’Academia Judices Salatii svoltosi a Carpi (MO). L’Academia Judices Salatii, associazione che da anni raccoglie appassionati della storia e del recupero di antiche tradizioni legate al mondo dei salumi, ha invitato il norcino toscano ad una serata tutta dedicata alla scoperta dei suoi salumi di suino grigio, in una degustazione guidata attraverso la quale Simone ha raccontato l’anima dei suoi prodotti e il suo concetto di qualità. Filo conduttore della degustazione l’aromaticità dei salumi, a partire da un prodotto simile alla finocchiona passando per un salame toscano con lardelli, seguito da una salsiccia fino alla spalla cruda, al

lombino, al prosciutto, per poi chiudere con un lardo stagionato in una conca. Simone, ci racconti qualcosa sul maiale Grigio del Casentino? «Specifichiamo subito che non è una razza autoctona. In Toscana c’è la ben nota Cinta senese, che è ampiamente conosciuta anche oltre confine. Il Grigio del Casentino ha origine nel Dopoguerra, un periodo nel quale si facevano incroci tra la Large White e la Cinta. Via via si è arrivati ad un ibrido, incrociato con Cinta o Mora romagnola, riconosciuto anche da Slow Food con un Presidio di tutela. Questi animali sono allevati all’aperto, allo stato brado, e la loro alimentazione è costituita prevalentemente da ciò che trovano al pascolo, un sottobosco di querce e castagni ricco di bacche e altri nutrienti spontanei e un finissaggio naturale di granturco, orzo e favino no OGM. Il Grigio nasce e muore all’aperto e non prima dei 14 mesi. La macellazione ha luogo dal 1º ottobre al 30 marzo». Quali salumi ricavi dalle sue carni e quanti animali lavori? «Faccio il prosciutto e anche la spal-

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la. Sai, vorrei tornare al detto secondo cui “del maiale non si butta via nulla!”. In totale lavoriamo mediamente 50/70 suini da ottobre a marzo. Si tratta quindi di una piccola produzione». I tuoi prodotti sono la testimonianza di un lavoro di ricerca e recupero delle tradizioni locali del tuo territorio, un valore che l’Academia Judices Salatii promuove e diffonde con la propria attività. La qualità è indubbia. Ma cos’è per te la qualità? «Oggi qualità è un concetto molto soggettivo, del tipo “questo mi piace e

quello no”. Ma se una cosa ti piace ti fa anche bene? Ecco, per me la qualità è e deve essere sinonimo di salubrità. La qualità degli alimenti deve andare di pari passo con la loro capacità di apportare nutrimenti e mantenerci in buona salute. È con questa visione che io lavoro ed è con questo approccio che valuto cosa è di qualità o meno». Come si degusta quindi a pieno un salume? «Attraverso tutti i nostri sensi, guardando la fetta e osservandone l’intensità del colore, odorandola e gustandola in

bocca. Senza dimenticare che dietro a quel boccone c’è un mondo di professionisti che allevano, si prendono cura degli animali, li trasportano e macellano. E c’è chi quelle carni le lavora con profondo rispetto e le trasforma per rendere onore al loro grande valore». Elena Benedetti Macelleria Fracassi Piazza Mazzini 24/B 52016 Castel Focognano – Rassina (AR) Telefono: 0575 591480 FB: www.facebook.com/MacelleriaFracassiRassina

“La Regina della Testa”: ecco i vincitori del V Concorso Nazionale dedicato alla coppa di testa in tutte le sue varianti In occasione della quinta edizione del Concorso Nazionale “La Regina della Testa”, indetto dall’Academia Judices Salatii e dedicato alla coppa di testa nelle sue varie tipologie, il panel di assaggiatori chiamato a giudicare i prodotti, provenienti da 7 regioni, ha decretato i vincitori: per la categoria Aziende il primo posto è andato al prodotto del Salumificio F.lli Moschini (Ponte a Buggiano, PT; www.moschinisalumi.it) mentre Giampaolo Beltrami (Campagnola, RE) ha vinto nella categoria Privati. Nella categoria Aziende, 2o classificato L’Antica Norcineria (Ghivizzano, LU; www.anticanorcineria.it) e 3o classificato il Salumificio F.lli Conti, Prato. Tra i privati, al secondo posto Enore Bussei (Correggio, RE) e terzo classificato Pierino Folloni (Correggio, RE). L’Academia Judices Salatii – Gotha “Salami” è una realtà che accomuna appassionati della storia e del recupero di antiche tradizioni legate al mondo dei salumi alla divulgazione dei sistemi e dei modi per giudicare e “punteggiare” i salumi stessi. Essa non ha finalità di lucro e ha il solo scopo di tutelare e valorizzare la produzione di salumi, esaltandone le caratteristiche di una tradizione da preservare. C’è poi la volontà di educare i consumatori ad apprezzare i valori tradizionali, legati alla storia e alle caratteristiche peculiari del territorio, addestrando i propri associati all’analisi sensoriale e alla partecipazione a corsi e workshop. Il sito web è un ottimo strumento per seguire le attività dell’Academia. >> Link: www.academiajudicessalatii.it

Podio tutto toscano per i vincitori del V Concorso Nazionale “La Regina della Testa” dedicato alla coppa di testa. Da sinistra, la premiazione del 1º e 2º classificato nella categoria “Aziende” con il Salumificio F.lli Moschini di Ponte a Buggiano, Pistoia, e l’Antica Norcineria di Ghivizzano, Lucca.

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OLIO

L’Oro del Garda di Riccardo Lagorio

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nico nel nome, riconoscibile al gusto, ma con tre declinazioni diverse. È l’Olio extravergine d’oliva del Garda DOP, che si completa con le dizioni di Garda Bresciano, Trentino e Orientale (che coincide con i comuni delle province di Verona e Mantova). Un territorio composito che genera oli diversi riconducibili ad un sapore delicato e non greve. Per questo il Garda DOP è identificabile dal consumatore per aromi leggeri di erbe aromatiche, fieno, carciofo e lieve retrogusto di mandorla.

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Esistono peraltro piccole differenze nella composizione delle cultivar che ne fanno parte. Sono Casaliva, Frantoio e Leccino almeno per il 55% sul Garda Bresciano e Orientale, a cui si aggiunge il Pendolino nella parte trentina del lago, con l’80% almeno di queste varietà utilizzate. Maggiori, sotto il profilo organolettico, possono essere le differenze derivanti dall’ubicazione dei terreni e dal microclima, che varia sulle sponde del lago anche considerevolmente. Le caratteristiche organolettiche dell’olio Garda DOP lo rendono parti-

colarmente adatto e versatile in cucina: buono sia crudo sia in cottura. Peraltro, con la sua leggerezza, si abbina a molti piatti e ricette a base di pesce di lago, ma anche carni, carpacci di carne e di pesce, carne salada, pinzimoni, verdure cotte e crude, bruschette, e insaporisce formaggi magri o stracchino. Qualcuno azzarda l’abbinamento su cioccolato, sorbetti alla mela o gelato. Con l’obiettivo di stimolare la crescita qualitativa del prodotto, sono nati nel territorio gardesano concorsi di assaggio.

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A sinistra: ulivi sul Garda. Le cultivar che fanno parte della Dop Olio del Garda sono Casaliva, Frantoio e Leccino, almeno per il 55% sul Garda Bresciano e Orientale, cui si aggiunge il Pendolino nella parte trentina del lago, con l’80% almeno di queste varietà utilizzate (photo © www.giornaledelgarda.info). In alto: le tre declinazioni dell’Olio extravergine d’oliva del Garda Dop.

L’olio extravergine d’oliva del Garda Dop è disponibile nelle tre declinazioni Garda Bresciano, Trentino e Orientale. Dal 2013 il Consorzio di tutela organizza il Concorso “Oro del Garda” mettendo a confronto gli oli Dop sotto la lente di una giuria tecnica

Ma dal 2013 è il Consorzio di tutela del Garda DOP che organizza direttamente una gara, il Concorso Oro del Garda, mettendo a confronto gli oli Garda DOP sotto la lente di una giuria tecnica. «Gli extravergine Garda DOP della campagna olearia 2016 sono stati esaminati da una giuria di assaggiatori professionisti del Laboratorio Dogane di Verona», fa sapere il presidente del Consorzio Garda DOP ANDREA BERTAZZI. L’11 maggio si è tenuta a San Felice del Benaco (sulla sponda bresciana del lago) la premiazione. Le categorie

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in cui si sono suddivisi gli oli sono due: fruttato leggero e fruttato medio. Nella categoria fruttato leggero prima classificata è stata la Turri Fratelli Srl con la Selezione Villa (Garda DOP Orientale); seconda l’Azienda Agricola L’Ulif di SILVANO DELAI (Garda Bresciano DOP da agricoltura biodinamica e biologica) e terza ancora la Turri Fratelli Srl (Garda DOP Orientale). Grande soddisfazione in casa Turri, dove si frangono olive dal 1951. «Le drupe avviate alla produzione di Selezione Villa provengono da un solo fondo

sito nel territorio di Cavaion Veronese», racconta GIOVANNI TURRI con orgoglio. Il 50% è di varietà Casaliva, il 9% di Raza, il 4,2% di Leccino, il 3,2% Moraiolo e solo l’1% di Frantoio. Rispetto agli altri oli presenta intensità aromatiche e fragranze di sapori che dipendono anche dai metodi di lavorazione e dai tempi di raccolta delle olive, che avviene il 3 e il 4 novembre. Si procede alla spremitura entro 24 ore dal raccolto poiché la tempestività nella lavorazione è il segreto per ottenere un buon olio extravergine. Prezzo ne-

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Raccolta delle olive (photo © olioturri.wordpress.com). anche eccessivo: circa 17,00 euro al mezzo litro. La Turri si è aggiudicata anche il terzo posto nella medesima categoria. «Questo prodotto è stato ottenuto con le olive dei nostri conferitori, che seguiamo passo dopo passo durante il periodo della maturazione delle olive e della raccolta. L’area di raccolta va da Pastrengo a Costermano», continua Turri. Nella categoria fruttato medio, prima classificata è risultata l’Agraria Riva del Garda con l’olio Uliva (Garda Trentino DOP), monocultivar Casaliva, che sul mercato va sui 20,00 euro al mezzo litro. «Siamo contenti se vinciamo, ma ai concorsi partecipiamo soprattutto per capire il raffronto con gli

altri e sapere se facciamo le cose bene o no» esordisce MASSIMO FIA, direttore della cooperativa. «Per raggiungere questi obiettivi cominciamo a fare analisi all’interno degli uliveti per tutto l’anno. Siamo in tanti, 1.800 piccoli produttori che insistono su un territorio di circa 500 ettari. Per questa ragione abbiamo organizzato 11 zone tipicizzate, ovvero località, per monitorare durante l’anno l’evoluzione dell’olivo. Ogni settimana creiamo la curva di maturazione, considerando in particolare i perossidi e i fenoli della drupa, e quando è ottimale incominciamo la raccolta, cercando di mediare al meglio la resa di olio e l’ottenimento di un’alta qualità».

Le caratteristiche organolettiche dell’olio Garda DOP lo rendono particolarmente adatto e versatile in cucina: buono sia crudo sia in cottura. Con la sua leggerezza, si abbina a molti piatti e ricette a base di pesce di lago, ma anche carni, formaggi e verdure

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Proprio perché i produttori di olive sono tanti e la stragrande maggioranza produce olive per autoconsumo, tutti desiderano il massimo in salubrità. È possibile ottenere questi risultati da parte di una cooperativa grazie al modello trentino e in poche altre aree del nostro paese. L’Agraria Riva del Garda commercializza olio in 42 paesi. I più strani? «A Taiwan l’olio è sconosciuto e abbiamo dovuto portare delle piante per fare capire cosa fosse; in Norvegia lo usano anche sul salmone» scherza Fia. «Purtroppo in Italia le multinazionali ci tengono ignoranti sul prodotto olio, anche se qualcosa si sta facendo», dice con fare più serio. Secondo classificato l’olio Garda DOP della società agricola Madonna delle Vittorie di Arco (Garda Trentino DOP) e terzi, a pari merito, l’azienda Olivicoltura Bio Ferdinando Ferri di Monzambano nel Mantovano (Garda Orientale DOP da agricoltura biologica) e la Società Agricola Il Cavaliere di Salò (Garda DOP). Appuntamento alla prossima campagna olearia, che da queste parti inizia a ottobre. Riccardo Lagorio

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VINO

Fattoria Paradiso, la cultura romantica del vino di Elena Benedetti

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raziella Pezzi non ha certo bisogno di presentazioni: la sua Fattoria Paradiso è da sempre un punto di riferimento per la produzione enologica della Romagna, oltre ad essere quel luogo magico che accoglie il visitatore su un poggio vitato a pochi chilometri dal borgo medioevale di Bertinoro. Abbiamo incontrato questa signora del vino a Verona, in occasione del Vinitaly, e come sempre siamo stati travolti dal grande entusiasmo e dalla viva passione per un mestiere che ogni anno si rinnova secondo una filosofia che vede affiancate vita agricola antica e moderne e calibrate tecnologie, dove

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coltura e cultura del vino viaggiano sempre in parallelo. «Sotto i riflettori del Vinitaly abbiamo presentato le tre linee di Barbarossa, ovvero Vigna del Dosso, la Cuvèe Mario Pezzi e il Barbarossa rosé» mi dice Graziella. La varietà utilizzata è il Barbarossa 100%, un vitigno scoperto nel 1955 dal padre di Graziella, MARIO PEZZI, in una vecchia vigna di oltre 150 anni, non più produttiva e destinata alla ruspa dell’azienda. «Si tratta di un vitigno che è una vera e propria esclusiva mondiale per la nostra Fattoria Paradiso» precisa la titolare dell’azienda vitivinicola. «Il suo nome prende spunto dall’Imperatore alemanno Federico che soggiornò a

lungo nella Rocca di Bertinoro, detta per l’appunto Rocca del Barbarossa». Per realizzare la cuvèe Mario Pezzi si vinifica in fermentini troncoconici di rovere e l’affinamento avviene in barriques e tonnaux di Allier e Troncais non tostate per 12 mesi. Il risultato è un colore rosso rubino brillante, che al naso richiama la ciliegia, la fragola selvatica con note balsamiche di eucaliptus e mentolo, mentre al palato ricorda ciliegie mature e frutti di bosco che si fondono su note eleganti fini di tabacco e cioccolato bianco. Il Barbarossa rosé proviene invece da uve di un vitigno giovane, coltivato con metodo provenzale. «È un vino fresco, con una bella rotondità

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Foto grande: una veduta aerea di Fattoria Paradiso, la storica azienda vitivinicola della famiglia Pezzi a Bertinoro (FC). La tenuta si estende su 90 ettari di vigneto, su un terreno calcareo e sassoso, con elementi tufacei caratterizzati da una grande vocazione viticola. In alto: la bottiglia del Barbarossa Cuvée Mario Pezzi. Al centro: nella tenuta sono tanti i pavoni che si offrono allo stupore dei visitatori. In basso: all’interno dell’agriturismo di Fattoria Paradiso è presente un suggestivo Museo del Vino, nel quale il visitatore può perdersi tra antiche bottiglie e vasi vinari.

e acidità, è facile da bere ed è ottimo come aperitivo e con il pesce» mi dice Graziella Pezzi. Insomma, un vino perfetto per questa estate. Elena Benedetti Fattoria Paradiso Via Palmeggiana 285 47032 Bertinoro (FC) Telefono: 0543 445044 Web: www.fattoriaparadiso.com • Cantina: visite e vendita diretta dal lunedì alla domenica. • Agriturismo: in Cascina dei Giaggioli e Cascina Giardino, con 12 camere e 6 appartamenti.

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Consorzio Terroir Marche e i vini bio di Offida di Massimiliano Rella

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ggi che il consumatore è molto più interessato ai vini bio, le Marche hanno tante carte da giocare nel rimescolamento dei gusti di mercato. Pioniera del biologico già nel 1978, la regione approvò la legge 57 del 1990, fissando regole, stanziando incentivi e anticipando le disposizioni europee del ‘91 e ‘92. Cosa è cambiato da allora? I metodi e le pratiche del bio si sono largamente diffuse, non solo in vigna, fino ad arrivare al numero di quasi

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2.500 aziende biologiche e a una superficie regionale di 50.000 ettari (il 12,4% della SAU). Dopo i cereali (ca. 11.000 ettari) una filiera che conta è quella vitivinicola, con 3.752 ettari bio, dietro solo a Sicilia, Puglia e Toscana. Un Consorzio virtuoso tra le colline di Offida Partiamo da questa cornice di dati, fatti e numeri per vedere cosa accade, in dettaglio, in un piccolo borgo marchigiano, Offida, in provincia di Ascoli

Piceno, una terra che ha scalato i vertici dell’enologia regionale con il vitigno Pecorino, protagonista dell’Offida Pecorino DOCG: una varietà a buccia spessa e discreta concentrazione di acidità e zuccheri che danno al vino longevità e struttura, ideali per andare ben oltre l’annata. Tra le colline di Offida sono attive 3 delle 13 cantine del consorzio Terroir Marche, un sodalizio virtuoso che aggrega solo piccoli produttori biologici (vedi box) che usano solo le loro uve,

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insomma “contadini” con un rapporto stretto e diretto con la terra. Il sodalizio prevede infatti di produrre “in prima persona, dalla vigna alla bottiglia, vini che abbiano un legame assoluto con il territorio di provenienza e contribuire a costruire un mondo migliore attraverso un’agricoltura migliore”. Correva l’anno 1979 quando un gruppo di amici uniti da ideali comuni creò l’azienda Aurora, pioniera ante litteram del bio con una scelta allora avveniristica, ma potremmo dire avven-

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turosa. L’obiettivo era di mettere i soci in condizione di auto-produrre l’occorrente per vivere e lavorare, ma col tempo si vide che i terreni erano assai vocati alla vite e al vino. Il risultato? Oggi Aurora continua a coltivare frutta, ortaggi, cereali antichi e ulivi, a produrre miele e olio, ma il vino rappresenta l’80% della produzione totale di quest’azienda di 32 ettari (12 di bosco, 10 di vigna, ecc…). Sono quasi 60.000 bottiglie l’anno, in maggioranza bianchi, ottenute da vitigni Montepulciano, Sangiovese, Mo-

Questa terra ha scalato i vertici dell’enologia regionale con il Pecorino, protagonista dell’Offida Pecorino Docg: varietà che dà al vino longevità e struttura, ideali per andare ben oltre l’annata

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Il produttore Lorenzo Spaccasassi tra le vigne dell’azienda agricola Aurora a Offida (AP). rettone, Pecorino, Passerina, Trebbiano, Malvasia e altri. «Un tempo il biologico era discriminante — ricorda LORENZO SPACCASASSI, 62 anni, socio fondatore anche di Terroir Marche — ma oggi è ampiamente dimostrato che si possono fare vini di qualità con questo tipo d’agricoltura. Dal punto di vista sanitario le uve non sono molto diverse, ma per arrivare agli stessi risultati qui in Aurora non usiamo prodotti chimici. Inoltre, con il passaggio al biodinamico sparisce la concimazione organica della terra. Così il nutrimento è garantito da sovesci di

erbe miste e preparati biodinamici, che sono attivatori; una sorta di fermenti del terreno». Tempo dopo, a fine anni ‘90, anche SILVANO DI NICOLÒ, proprietario di 15 ettari in diversi appezzamenti di Offida (11 di vigne), fece il grande salto nel biologico, certificandosi però solo 5 anni fa. L’azienda La Valle del Sole attualmente produce 550-600 ettolitri l’anno, ma con appena 20.000 bottiglie il grosso della produzione è venduto sfuso. A fine anni ‘90 l’Università di Milano condusse uno studio di zonazione sul territorio. Nel

2001 nacque la Doc Offida Pecorino, divenuta DOCG nel 2011. Questa concomitanza spinse La Valle del Sole a rivoluzionare la gestione del vigneto applicando i suggerimenti e le indicazioni della ricerca (potature, sesti d’impianto, inerbimento su tutta la superficie vitata e tutto l’anno, ecc…). «Invece, attraverso l’agricoltura biologica — ricorda ALESSIA, figlia di Silvano — abbiamo riportato l’equilibrio e l’armonia in vigna, oggi un ecosistema ricco d’insetti. Zolfo e rame per i trattamenti sono sempre più ridotti, le distanze tra i filari sono aumentate

Il Consorzio Terroir Marche è stato fondato nel 2013 su iniziativa di cinque produttori. Oggi riunisce 13 cantine che praticano agricoltura biologica e biodinamica. I requisiti d’ingresso sono: la localizzazione regionale, l’applicazione di metodi di coltivazione sostenibili e rispettosi dell’ambiente, le piccole dimensioni e l’utilizzo di uve coltivate “in casa”. Queste le aziende partecipanti: a Offida le cantine Aurora, PS Winery e Valle del Sole; a Cossignano la cantina Fiorano; a Cupramontana le aziende La Distesa, La Marca di San Michele e Di Gilia; a Maiolati Spontini l’azienda Pievalta; a Montecarotto la cantina Col di Corte; a Monte Roberto l’azienda Peruzzi; a Colli del Tronto i Vigneti Vallorani; ad Ascoli Piceno la cantina Pantaleone; e, ultima arrivata, a Staffolo (AN) l’azienda Antonio Failoni. Complessivamente le consorziate coltivano 118 ettari di vigne, producono circa 419.000 bottiglie da uve bio, impiegano 28 soci-lavoratori e 21 dipendenti. E ogni anno, a maggio, organizzano Terroir Marche in Fiera, rassegna enologica con banchi d’assaggio, laboratori, gemellaggi con altri territori del vino. >> Link: www.terroirmarche.com

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Silvano Di Nicolò, proprietario con la famiglia della cantina Valle del Sole, a Offida, insieme alle figlie.

L’azienda agricola Aurora, tra le prime in Italia a credere nel biologico, è stata fondata nel 1979 da un gruppo di amici uniti dagli stessi ideali e amanti dell’agricoltura e del vino. Quest’ultimo oggi rappresenta circa l’80% della produzione aziendale, che conta su 32 ettari di terreni vocati soprattutto alla vite. Ma coltivano anche frutta, ortaggi, cereali antichi, ulivi e gestiscono un agriturismo di sei appartamenti autonomi con uso cucina. Sono 6 le etichette di vini Aurora, tra queste i bianchi Falerio Colli Ascolani Doc, uvaggio di Trebbiano, Passerina e Pecorino, e il Fiobbo Offida Pecorino Docg (www.viniaurora.it). PS Winery è la cantina biologica di Raffaele Paolini, ex giornalista e comunicatore, e Dwight Stanford, ex chirurgo americano di Kansas City: due ex che hanno interrotto le precedenti professioni per dedicarsi a tempo pieno al mondo del vino, ufficialmente con la prima vendemmia del 2010. Undici etichette, undici progetti diversi. La loro filosofia è di sperimentare e variare a seconda dell’annata tagli e uvaggi diversi per alcuni vini. Fiore all’occhiello del vigneto aziendale è il raro vitigno Bruni 54, nato dall’incrocio fra il Verdicchio dei Castelli di Jesi e il Sauvignon blanc. Tra le etichette prodotte il Marche Rosso Igt Confusion è un blend di Merlot, Cabernet sauvignon, Cabernet franc e Petit verdot, con percentuali diverse a seconda dell’annata. L’Offida Pecorino Docg Aurai, dall’omonimo vitigno in purezza, è un bianco dalle note floreali evidenti e i sentori agrumati, in bocca deciso e potente. Paolini e Stanford hanno allestito anche un grazioso B&B in una ex casa mezzadrile restaurata, il Nascondiglio di Bacco: otto camere e piscina (www.pswinery.it e www.nascondigliodibacco.it). La Valle del Sole di Silvano Di Nicolò e famiglia possiede 15 ettari in diversi appezzamenti di Offida, gestiti con agricoltura biologica da oltre 20 anni, ma certificata da 5. Sono vigne intorno ai 290 metri slm con un’età compresa tra 10 a 45 anni. Quelle di Montepulciano e Passerina hanno in media 40-45 anni e sono coltivate in un’ottica di basse rese per ettaro. Tra i quattro vini il Rosso Piceno Superiore Dop è ottenuto da uve Montepulciano e Sangiovese, mentre l’Offida Pecorino Docg è un bianco in purezza dall’ampio bouquet floreale con note di cedro e una piacevole freschezza al palato. Degustazioni con prodotti tipici € 10,00 a persona, possibilità di pernottamento in B&B in cinque camere e ristorazione con ingredienti dell’orto, ma su prenotazione (www.lavalledelsoleoffida.com).

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I produttori Dwight Stanford e Raffaele Paolini di cantina PS Winery. per l’aerazione tra le viti. E non usiamo anticrittogamici, antimuffe, antiparassiti. Il nutrimento dei terreni arriva dalle erbe trinciate con lo sfalcio. Se siamo contenti del bio? La qualità è maggiore, le uve sono sane e le rese più basse». Ultima in ordine cronologico a investire sul bio a Offida, tra le cantine associate a Terroir Marche, è stata PS Winery, dove P sta per PAOLINI (RAFFAELE) e S per STANFORD (DWIGHT). Un ex giornalista, il primo, un ex chirurgo di Kansas City, il secondo, che nel 2007, dopo aver condiviso un master di Scienze Gastronomiche, hanno deciso di gettarsi a capofitto anche in un progetto imprenditoriale comune. La prima vendemmia risale al 2010 e da allora, oltre all’aspetto biologico, i due soci hanno investito sulle basse rese per ettaro: 5060 quintali che arrivano a 30-40 per

la varietà Cabernet Sauvignon. Il tutto con un lavoro in vigna completamente manuale, potatura, cimatura, vendemmia verde, e una grande attenzione a prevenire le malattie. «Siamo nati verdi, il biologico non è stato una scelta» afferma Dwight Stanford, ex chirurgo laureatosi poi in Enologia. «Essere bio significa essere amici del pianeta. È un sentimento che provi dentro. I primi a bere il nostro vino e stare in vigna siamo noi. Oggi — conclude Stanford con una virata tecnica — c’è qualità anche nel bio, i vini possono essere buoni e puliti come gli altri. I prodotti scarsi di un tempo erano il risultato di una mancanza di competenza». «Però il biologico comporta più attenzione e lavoro» aggiunge Raffaele, mentre assaggiamo un calice di Offida Pecorino DOCG sulla bella terrazza pa-

Essere bio significa essere amici del pianeta. È un sentimento che provi dentro. I primi a bere il nostro vino e stare in vigna siamo noi. Oggi c’è qualità anche nel bio: un bravo produttore è un bravo produttore

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noramica. «Il primo bio era il cosiddetto vino del contadino. Oggi un bravo produttore è un bravo produttore. Però se è biologico deve lavorare di più, ma il risultato è lo stesso». A luglio la Mangialonga Picena Dieci tappe gourmet e di abbinamenti con i vini di Offida, su tutti il Pecorino Docg, ma anche con le birre artigianali del territorio. Appuntamento a domenica 23 luglio con la IV edizione della Mangialonga Picena (www.mangialongapicena.it), passeggiata enogastronomica tra i vigneti e il borgo di Offida organizzata dall’associazione culturale Picenum Tour in collaborazione con gli chef e le cantine della provincia ascolana. Quest’anno un percorso di gusto e natura lungo 6,5 km per far conoscere i tesori enogastronomici e paesaggistici del sud delle Marche. Massimiliano Rella Nota Alle pagine 88 e 89, le vigne della cantina PS Winery nella campagna di Offida (AP); tutte le foto sono di Massimiliano Rella.

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Rosso Rubino 2017 a Cantina dellaVolta: lo spettacolo del Lambrusco di Sorbara va in scena e conquista gli spettatori e i loro palati Un vino che fa perdere la testa a uomini e dei, efficace rimedio alla tristezza e al malumore oltre che potente filtro d’amore, capace di donare allegria e spensieratezza a chiunque lo assaggi, persino coraggio. Seducente medicina per l’anima, il Lambrusco portato in scena dagli attori della compagnia “Teatro in controluce” con lo spettacolo “Vitis Labrusca” ha conquistato il pubblico intervenuto come sempre numeroso all’evento organizzato da Cantina della Volta in occasione di Rosso Rubino 2017, Lambrusco Wine Festival. L’appuntamento enologico promosso dal Comune di Bomporto (MO), col patrocinio del Consorzio Lambruschi modenesi e di Città del Vino, e quest’anno svoltosi dal 9 maggio al 29 giugno, ha come finalità quella di raccontare il territorio del Sorbara e i suoi produttori con una serie di serate durante le quali il Lambrusco viene variamente sublimato dalle arti della gastronomia, della musica, del teatro, da cene e degustazioni a tema. «Siamo partiti nel 2006 — ha dichiarato il sindaco di Bomporto Alberto Borghi, salito sul palco a fare gli onori di casa insieme ad Angela Sini, amministratore delegato della cantina modenese — con l’obiettivo di far conoscere al pubblico il fascino, la storia e la cultura antica delle nostre cantine che per un giorno diventano anche luoghi di festa. Ogni anno cresciamo, così come cresce il Lambrusco nel mondo grazie alla qualità e continua innovazione da parte delle cantine». Ad accompagnare gli assaggi di alcune delle etichette firmate da Cantina della Volta, la creatività delle proposte gastronomiche dello chef romagnolo Simone Zoli dell’Osteria Don Abbondio di Forlì. Zoli, in occasione della serata, ha presentato al pubblico il nuovo progetto e l’idea di “cucina libera” di Benso-Pubblica ristorazione, ideato con lo chef Pier Giorgio Parini. Accanto alle etichette di Cantina della Volta anche quelle della Cantina Zucchi di San Prospero, con la presenza della giovane produttrice Silvia Zucchi e il debutto della nuova annata del Rito. A conclusione dell’evento una notizia di massimo interesse: nel mese di ottobre prossimo Cantina della Volta presenterà il suo Lambrusco rosso Metodo Classico rimasto sui lieviti 84 mesi. Per nessun lambrusco si era mai osato tanto: Christian Bellei continua a sorprenderci! >> Link: www.cantinadellavolta.com www.lambruscowinefestival.it

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I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA

Degustazione: sarde, ricette e vini di Laura Franchini

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a sardina (Sardina pilchardus) o sarda o sardella è un pesce osseo marino della famiglia dei Clupeidi diffuso in tutto il Mediterraneo e nelle acque europee dell’Oceano Atlantico. Conosciute nel nostro paese, ma non solo, per le carni gustose e tenere, le sardine sono oggetto di innumerevoli ricette, di diverse attività di lavorazione e conservazione, anche grazie alla loro economicità. Le troviamo in abbondanza nei nostri mari, nel periodo della riproduzione, cioè nei mesi più caldi, quando si riuniscono in branchi e si avvicinano alle coste, mentre nei mesi invernali si rifugiano in acque più profonde. La pesca delle sardine viene fatta soprattutto con le lampare ma anche con reti da posta, alla deriva, con reti a strascico e reti volanti. Sono pescate prevalentemente nel mare Adriatico, in Sicilia, in Liguria ed in Toscana. Le sardine pescate in primavera sono le più apprezzate, ma la pesca è praticata durante tutto l’anno, ed è particolarmente importante per il comparto ittico. Il novellame della sardina è il famoso bianchetto. Si tratta di uno dei pesci più acquistati dalle famiglie italiane, anche grazie

al fatto che viene commercializzato fresco, salato, sottolio e in conserva. Dal punto di vista nutrizionale le sardine sono un ottimo alimento, economico, gustoso e salutare, ricco di grassi Omega-3 che proteggono il nostro cuore. Sono lunghe circa 15/20 cm, ma possono arrivare anche a 27/28 cm nel Mediterraneo e 30 nell’Atlantico. Sono di colore verdastro e azzurro iridescente sul dorso, argenteo sui fianchi e biancastro sul ventre. Si nutrono di plancton e si muovono in branchi, cosa che permette una ricca pesca. Moltissimi le varianti dei nomi, in Italia e all’estero: Abruzzo, sarda o sardella; Calabria, sarda, sarducola o biancomangiare; Campania, sardone, pesantuni o janculilli (novellame); Lazio, sarda o sardella; Liguria, sardine, sardine, vestio, pausin e gianchettu (novellame); Marche, saracca o saraghina; Puglia, sardèdde e faloppe (novellame); Sicilia, sarda, sarda fimminedda, muccu e ninnata (novellame); Sardegna, sardinine; Veneto, sardèla, palassiola o renga; Friuli Venezia Giulia, sardon; Croazia, sredla; lingua francese, sardine; paesi anglofoni, pilchard; Olanda, pelser o sardien; Spagna, sardina e parrochi (novellame).

Le sarde si prestano a diversi tipi di cottura, anche se quelle che esaltano maggiormente il loro gusto sono la griglia, la frittura e la cottura in umido o al forno. Unico svantaggio? L’accurata pulizia cui devono essere sottoposte prima di cucinarle

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Sarde fresche e pomodorini (photo Š Zaira Zarotti)

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Terre Siciliane IGT Bianco Rami 2014 Cos L’azienda agricola Cos è stata fondata nel 1980 da tre amici: Giambattista Cilia, Cirino Strano e Giusto Occhipinti. L’acronimo dei loro cognomi (Cilia-OcchipintiStrano) dà origine al nome dell’azienda, situata a Vittoria, in provincia di Ragusa. Si tratta di una cantina fortemente orientata alla produzione di vini tipici e al rispetto del territorio e delle tradizioni. Questo calice è prodotto con il 50% di uve Grecanico e il rimanente 50% di Insolia, coltivate secondo i dettami dell’agricoltura biologica e vendemmiate a settembre. La fermentazione spontanea avviene sulle bucce con lieviti indigeni, il vino affina poi in vasche di cemento e in bottiglia. Ne risulta un vino armonico e intenso, elegante, con tratti marittimi ed erbacei, che ricordano le erbe aromatiche utilizzate in cucina. Una sorsata piena, convincente, facile ed immediato l’abbinamento con uno dei piatti iconici della cucina siciliana: la pasta con le sarde, condita con finocchietto selvatico.

Azienda Agricola Cos SP3 Acate-Chiaramonte km 14,300 97019 Vittoria (RG) Telefono: 932 876145 E-mail: info@cosvittoria.it Web: www.cosvittoria.it

Riviera Ligure di Ponente DOC Pigato 2015 Terre Bianche Il Pigato è una variante ligure del Vermentino che si è adattata alle coste della riviera ligure di Ponente. Il nome deriva dal dialetto genovese pigau ed indica le macchioline color ruggine che si vedono sugli acini in fase avanzata di maturazione. Un bicchiere preciso, pignolo nelle note eleganti e pulite, di color giallo paglierino con riflessi dorati. Sono sentori ampi e lindi di pesca bianca e acacia, erbe di campo e ruta, lungo, intenso come al palato, dove troviamo circolarità e armonia, buono il tono sapido, equilibrato con morbidezza e durata. Servito intorno ai 10 gradi si adatta splendidamente ai piatti di pesce, alle carni bianche, al pollo allo spiedo, ai prosciutti morbidi. Ottimo servito con i tagliolini al pesto ligure. L’abbinamento che ci sentiamo di consigliare è con le sarde ripiene alla ligure: morbidi filetti di sardine farciti con un impasto a base di ortaggi da foglia quali lattuga, bietole o spinaci.

Terre Bianche Loc. Arcagna Snc 18035 Dolceacqua (IM) Telefono: 0184 31426 E-mail: terrebianche@terrebianche.com Web: www.terrebianche.com

Soave DOC Classico Monte Stelle La Cappuccina Siamo a Monteforte d’Alpone con questa azienda che da molti anni ha abbracciato i criteri di coltivazione biologica delle uve, per questo calice Garganega in purezza. Si tratta di vigneti di vecchie pergole di 60 anni, coltivate in alta collina su basalti neri rocciosi. Olfattiva piena e seducente di intensa florealità, glicine e fiori di acacia, con ricordi di scorze di agrumi. Sorsata equilibrata ed armonica, buona la sapidità, accompagnata da una splendida e precisa freschezza, contornata da mineralità. Un calice che va servito freddo e che si accompagnerà con grande facilità ad antipasti di pesce, a mortadelle e prosciutti dolci, a calamari fritti e moeche. L’abbinamento con le sarde è facile ed immediato, in tante versioni, a partire dalle sarde fritte. Certamente è da provare con le sarde in saor, condite con cipolla, uvetta sultanina e pinoli, si consiglia di limitare l’uso dell’aceto per non compromettere l’abbinamento con il vino.

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La Cappuccina Via S. Brizio 125 37032 Costalunga di Monteforte d’Alpone (VR) Telefono: 045 6175036 E-mail: lacappuccina@lacappuccina.it Web: www.lacappuccina.it

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Terre Siciliane IGT Bianco 2016 Ottoventi

Agricola Ottoventi Srl Contrada Torrebianca – Fico S.S. 187 km 6+665 91019 Valderice (TP) Telefono: 0923 1877151 E-mail: info@ottoventi.wine Web: www.ottoventi.wine

Ai piedi del Monte Erice troviamo questa moderna cantina, con un lungo passato, ricco di tradizione. Una modernità che si esprime innanzitutto a livello visivo ed architettonico, dove la pulizia delle linee si è ispirata agli antichi bagli siciliani e dove le tecniche e le strumentazioni più innovative sono perfettamente integrate nel panorama. Questo calice è prodotto con uve Catarratto per il 50%, Grillo per il 35% e il rimanente 15% con uve Zibibbo, vendemmiate nella prima settimana di settembre, affinamento in acciaio. Ammaliante di note dolci la parte olfattiva, piena, intensa, lunga e fresca. Pere e mele, acacia e gelsomino, note aromatiche a contorno. Al palato entra con eleganza, tiene bene la lunghezza, con finezza. Armonia di profumi e di gusto, buona sapidità, spalla acida in equilibrio. Ottimo in abbinamento con i piatti di pesce, grigliate estive e spaghetti con le vongole. La ricetta che proponiamo: sarde a beccafico. Un piatto gustosissimo, ricco di pinoli, uva passa, aglio. Le sarde impanate nella mollica, precedentemente bagnata nel vino. In aggiunta un paio di foglie di alloro e zest di arancia.

Franciacorta DOCG Millesimato Vintage Collection Dosage Zéro 2012 Cà del Bosco

Ca’ Del Bosco Via Albano Zanella 13 25030 Erbusco (BS) Telefono: 030 7766111 E-mail: cadelbosco@cadelbosco.com Web: www.cadelbosco.com

Un calice di grandissima eleganza, prodotto con uve Chardonnay per il 65%, Pinot bianco 13% e Pinot nero 22%. Il marchio Cà del Bosco non delude le aspettative: particolare attenzione alla selezione delle uve per la Vintage Collection, raccolte a mano in piccole cassette, classificate e raffreddate. Ogni grappolo viene selezionato da mani esperte, per poi beneficiare di un particolare sistema di lavaggio e idromassaggio dei grappoli, tramite tre vasche di ammollo e un tunnel di asciugatura. Dopo la pigiatura in assenza di ossigeno, tutti i mosti dei vini base fermentano in piccole botti di rovere. Trascorsi 7 mesi dalla vendemmia si procede alle creazione della cuvée. Il Vintage Collection Dosage Zéro 2012 è il risultato di una sapiente unione di 25 vini base di Chardonnay, Pinot bianco e nero che conferiscono al prodotto finito complessità e linearità di gusto, armonia e freschezza. Ottimo nel rito dell’aperitivo, noi azzardiamo, centrandolo, l’abbinamento con una ricca e gustosa teglia di sarde al forno, con aglio, prezzemolo, pangrattato e olio extravergine d’oliva del Garda.

Puglia IGT Fiano Tufjano Colli della Murgia

Colli della Murgia Contrada Zingariello 70024 Gravina in Puglia (BA) Telefono: 080 3261271 E-mail: info@collidellamurgia.it Web: www.collidellamurgia.it

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Questa interessante cantina si trova a Gravina, in una delle zone più alte della Puglia, esattamente su un altopiano a circa 450 m sul livello del mare. Questo calice è prodotto con uve Fiano Minutolo in purezza, raccolte a mano e pressate direttamente, evitando la pigiatura. Segue la decantazione statica a freddo e la fermentazione a 16° per circa 2 settimane. Visivamente si presenta di un bel giallo paglierino brillante con riflessi dorati. Al naso è seduttivo e pulito di note fruttate esotiche, papaia e mango, con florealità a contorno, acacia e gelsomino. La sorsata è avvolgente, completa, equilibrata. La spalla acida è ben sostenuta dalle note morbide, tono sapido adeguato, ricordi minerali in chiusura. Adattissimo ai piatti di mare e ai piatti della grande tradizione pugliese. La ricetta in abbinamento: orecchiette con cime di rapa, pomodori secchi e alici. Si consiglia di completare il piatto con timo e pepe nero. Servire il vino ben fresco.

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BIRRA Birre artigianali, un Eldorado in evoluzione

Alla ricerca della birra filosofale di Gian Omar Bison

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irre artigianali, un fenomeno italiano (molto veneto anche) in rapida espansione. Un Eldorado in evoluzione, da agganciare alla birrogastronomia e al turismo birrogastronomico ancora tutto da mappare e promuovere, anche all’estero, in maniera omogenea e coordinata. Da normare senza ingessare l’effervescente briosità del fenomeno che

traspare anche dai maestri birrai, dalla sommelleria organizzata e riconosciuta e dalla ristorazione d’avanguardia. IVAN BORSATO, quarantenne birraio, titolare del microbirrificio Casa Veccia di Camalò, in provincia di Treviso (www.ivanborsato.it) e responsabile di categoria per Confartigianato Veneto, ne è convinto. «Da ex edile, settore nel quale ho lavorato per vent’anni e fino a

dieci anni fa circa con tutta la famiglia, e da appassionato di enogastronomia, e quindi conoscitore e cultore del nostro prosecco e della sua crescita strepitosa in volumi di produzione e fatturati, posso dire di sapere abbastanza bene cosa significhi la crescita verticale di un segmento produttivo e il rischio che finisca per implodere, vittima di una bolla speculativa gonfiata dall’ingordi-

Ivan Borsato, titolare del microbirrificio Casa Veccia di Camalò (photo © Riccardo Gasparini).

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gia degli imprenditori, dall’inevitabile volubilità dei consumi e dalla distrazione della politica. E temo che anche la categoria delle birre artigianali, dove i birrifici sono passati dai duecento del 2010 agli attuali mille circa in Italia, possa esserne vittima. Trovo sbagliato gli eccessi di regolamentazione. Lacci e lacciuoli che imprigionano la libertà di impresa e la creatività dei vignerons della birra. Però…». Però, sostiene Borsato, è necessario condividere nella categoria degli standard produttivi e di qualità omogenei; definire modelli affini per la valutazione organolettica della birra, disciplinando quali possano essere considerati difetti e quali le caratteristiche tipiche di una determinata birra; individuare, attraverso percorsi specifici di degustazione, dei canoni di corretto abbinamento birra-cibo. «È un lavoro enorme che dobbiamo affrontare come categorie e associazioni insieme a quelle della ristorazione e della sommelleria — sostiene Borsato — ma solo così il fenomeno potrà superare la curiosità dei gourmet, acquisire una valenza culturale e birro-turistica propria legandosi, così come il vino, alle diverse eccellenze del made in Italy».

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In alto: alcune delle birre prodotte da Borsato (photo © www.enjoyfoodwine.it). In basso: malti utilizzati per la produzione (photo © www.facebook.com/casavecciaivanborsatobirraio). In poche parole sembrerebbe esserci bisogno di un consorzio di tutela, di un disciplinare di produzione, di una certificazione che stabilisca comportamenti e controlli terzi di organismi riconosciuti. «La birra per definizione — continua Ivan — non è legata ad uno specifico territorio come i vini e le DOP; le materie prime hanno spesso provenienze diverse. Magari un ragionamento potrebbe essere fatto con le IGP. Tuttavia,

siamo orientati, al momento, verso un marchio privato tra produttori e magari, nel tempo, potremo giungere ad una certificazione di qualità riconosciuta dalle istituzioni». Tutto ha avuto inizio nel 2008 con un impiantino casalingo da cento litri. «Ma ho capito subito che la produzione di birra artigianale racchiudeva in sé tutto quanto è in grado di appassionarmi: il mondo della cucina, la ricerca degli

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Ăˆ un lavoro enorme che dobbiamo affrontare come categorie e associazioni insieme a quelle della ristorazione e della sommelleria, sostiene Ivan Borsato, ma solo cosĂŹ il fenomeno potrĂ superare la curiositĂ dei gourmet, acquisire una valenza culturale e birro-turistica propria legandosi, cosĂŹ come il vino, alle altre eccellenze del made in Italy

ingredienti diversi, i colori, la possibilitĂ di sperimentare e la convivialitĂ tipica di questo ambiente. Io rispetto la produzione industriale di birra, i fusti, ma ho scelto la bottiglia e il mercato della ristorazioneÂť. Il fatturato 2016 è stato di 300.000 euro circa fatto tutto da solo, per quanto Borsato abbia in animo l’assunzione di un dipendente. ÂŤNon per aumentare la produzione, che ad oggi è tarata sui 500 ettolitri all’anno, ma per crescere nella ricerca, nella sperimentazione e quindi nella qualitĂ . Ad oggi lavoro con un impianto da 300 litri, nettamente sotto la media nazionaleÂť. La grande discriminante è tra birra artigianale e birra industriale. I birrifici artigianali possono produrre la prima e, volendo, anche la seconda. Quelli industriali solo la seconda. La recente legge approvata a luglio 2016 col collegato agricolo (DDL S 1328-B) stabilisce chiaramente che “si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e microfiltrazioneâ€?. E che “per piccolo birrificio indipendente si intende un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente, che utilizzi impianti fisicamente distinti da

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quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza di utilizzo dei diritti di proprietĂ immateriale altrui e la cui produzione annua non superi 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantitĂ di birra prodotte per conto di terziâ€?. Ecco, per Borsato 200.000 ettolitri come limite per derimere tra industriale ed artigianale è un limite decisamente alto. I competitor della birra artigianale? ÂŤNon certo il vino. Al limite, fatto cento il consumo di alcol in Italia, la birra artigianale può conquistare fette di mercato a discapito della birra industrialeÂť. Anche perchĂŠ, proprio nell’abbinamento vino o birra e cibo — provochiamo Borsato — il vino, rispetto alla birra, è in grado di avere uno spettro piĂš ampio di caratteristiche organolettiche e sentori, ed è per questo abbinabile con piĂš facilitĂ . ÂŤQuesto non è vero!Âť, replica Borsato. ÂŤLa birra ha uno spettro piĂš ampio ed è, ugualmente al vino, abbinabile a quasi tutto (non ai carciofi, al gelato e altri cibi, per esempio) potendo giocare su aromi diversi, potendoci mettere la frutta e i vegetali che voglio, miele, ecc‌ C’è quella piĂš acida, che porta freschezza, tendente al dolce, che asciuga la bocca, che favorisce la salivazione, piĂš o meno intensa anche al naso, strutturata, aromatica, persistenteÂť. Certo, Borsato usa nelle sue diverse tipologie di birra (formenton, calibro 5, dazio, special, stayon, molo, radicchio, biancoperla, finta de pomi, ecc‌) ingredienti diversi, dal coriandolo al radicchio di Treviso, al bergamotto calabrese e molto altro. Ma non pensi, chiediamo, che la nicchia vada cercata e rafforzata comunque nell’ambito degli stili di birra basici e consolidati (Ale, Weizen, Lager, Lambic, Stout, Porter, ecc‌) senza aromatizzazione creativa? Non si rischia di disperdere le peculiaritĂ della birra, le caratteristiche distintive note a gourmet e consumatori? ÂŤAssolutamente no, anzi, è proprio il tratto distintivo. Nella birra artigianale va cercata proprio l’unicitĂ , la particolaritĂ . E il birraio è innanzitutto uno sperimentatore, un ricercatore, quasi un alchimista. Ecco, noi cerchiamo la birra filosofaleÂť. Gian Omar Bison

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BEVANDE Lunga vita al mio liquore preferito!

Vodka da mangiare e da bere di Giorgia Fieni

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gnuno ha il suo, quello che ama bere senza dover per forza metterlo in un cocktail. A me piace la vodka: va dritta in gola, col suo sapore forte, e non mi lascia un retrogusto fastidioso (specie se è aromatizzata). Come l’acqua. Infatti, è proprio questa l’etimologia della parola, nel significato di varie lingue slave, specie il polacco e il russo, dov’è prodotta da tempi antichissimi e usata come medicinale e magico elisir. Nel 1649 venne addirittura promulgato un editto dallo zar per regolarne la fabbricazione, adottata in distillerie ufficiali, ma anche clandestine. Negli anni ‘70, poi, il suo consumo si è talmente diffuso da superare, negli USA, anche quello del bourbon whiskey. Negli ultimi anni è invece passata agli “onori” della cronaca per l’abitudine di usarla nell’eye balling (si utilizza come fosse un collirio, per aumentare lo sballo. Una pratica che porta ad un inevitabile trapianto di

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cornea), per nuovi prodotti di pasticceria (nella panna montata e come diluente dei dust colours, perfetti per decorare le torte) e per essere riuscita, dopo averla sbattuta con albume e polvere d’oro, a “riportare le dorature della sala del Bol'šoj allo splendore originale”. Ottenuta da tre diverse distillazioni (dalla prima si ottiene la Brantowka, vodka bruciata, a 15 °C; dalla seconda la Prostka, vodka rustica, a 30 °C; dalla terza l’Okovita, l’acquavite, a 70 °C) di grano (ma pure da fecola e polpa di patate, barbabietole da zucchero, melassa), filtrata su materiali differenti (quali carbone e farina fossile), vanta innumerevoli varietà, dai sapori molto diversi, da consumarsi tal quali, nei cocktails o in cucina. Chi non ha mai assaggiato le penne alla vodka con salmone affumicato e/o pomodoro e/o panna? Negli anni Ottanta erano un classico, consumate in abbondanza nelle cene di gala o

durante le festività natalizie. «Chissà perché certi piatti passano di moda come i vestiti?» si chiede BENEDETTA PARODI, che le cucina con pancetta dolce, passata di pomodoro, panna, peperoncino. E ha ragione, quindi prepariamo nuove penne alla vodka: con stracchino e salsiccia; servite in un cestino di parmigiano; trasformate in un gelato e presentate con salmone croccante in un nido di tagliatelle; con ciliegini, salmone e nocciole; con pomodori essiccati e mascarpone. Oltre il sugo della pasta (linguine con capperi, pomodori e astice; orecchiette coi calamari; spaghetti al granchio), però, la vodka è in grado di sfumare perfettamente anche quello del risotto, al posto del vino bianco. È inoltre particolare se frullata con torrone e crema di whisky e completata con topping al cioccolato, ma anche nella ricetta di OLIVER GLOWIG, che serve Prugne con aria di vodka e limone

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Chi non ha mai assaggiato le penne alla vodka con salmone affumicato e/o pomodoro e/o panna? Negli anni ‘80 erano un classico, consumate in abbondanza nelle cene di gala o durante le festività. «Chissà perché certi piatti passano di moda come i vestiti?» si chiede Benedetta Parodi, che oggi le cucina con pancetta dolce, passata di pomodoro, panna, peperoncino Kulich, tipico “panettoncino” pasquale russo. La vodka è uno degli ingredienti fondamentali (photo © tanacha – stockadobe.com).

su semifreddo allo zafferano. Sempre parlando di dessert, consiglio di provare ad aggiungerla alla mousse o al budino, alla frutta (fresca in macedonia o in sciroppo o in cottura, magari coprendola poi con un lussurioso crumble), alla gelatina, ai ghiaccioli, allo zabaione, al sorbetto, alla crema. Chi preferisce il salato, invece, la sceglierà per dare sprint al condimento del carpaccio o della tartare (pesce o carne, poco importa), la metterà nella salsa di pomodoro in cui immergere le friselle (servite poi nei bicchierini durante un aperitivo) o nell’acqua delle ostriche (per dar loro un tocco ancora più afrodisiaco), oppure nella marinata per il pesce (accentuandone così il sapore salino). Buona in padella con alloro, scalogno, aglio, peperoncino, capperi, acciughe e salsa Worcester per una bistecca davvero “arrabbiata”, ma anche fondamentale nei Cyber Eggs di

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DAVIDE SCABIN, nello Splash di arselle di VALENTINO CASSANELLI e nei russi Bullshot (con brodo di carne e pepe) e Kulich (è il pandolce pasquale). Aromatizza la polpa di granchio: da gustare tal quale o nella pasta o nel ripieno (con maionese, yogurt ed erbe aromatiche) dei pomodori. Quanto ai cocktail, c’è solo l’imbarazzo della scelta con cui abbinarla. Per esempio: succo d’arancia e di cranberry; Grand Marnier e sciroppo di rosa e di lavanda; semi di papavero, miele, scorza di limone; caffè, crema di whisky, zucchero liquido; tè verde ai frutti rossi, gin, pompelmo rosa, confettura ai petali di rosa; frutto della passione, sciroppo di maracuja; kiwi, succo di arancia rossa, ribes; cetriolo, vaniglia, basilico, seltz. Aggiunta, in coppa Martini, al liquore al cioccolato bianco, coprendo il tutto con una tavoletta di fondente 66% speziata al pepe di Sichuan.

Chi invece è stanco di berla aromatizzata (dalla frutta — pesca, frutti di bosco — alle erbe/spezie — menta, cannella —, fino ai nuovissimi caramello salato, liquirizia rossa, red velvet…) potrebbe puntare sulle rarità, in cui la vodka è aggiunta ai frammenti d’oro e/o filtrata nella polvere di diamanti. Shottini consumabili solo se siete in grado di permetterveli, come DEREK ZOOLANDER nel seguito del film culto con Ben Stiller. Ma potreste anche essere il presidente americano FRANK UNDERWOOD di House of Cards, a cui viene regalata, dal presidente russo Petrov, una vodka confezionata in una bottiglia d’oro massiccio! Per noi esseri normali, basta lasciarvi dentro gli orsetti gommosi per almeno 4 ore: golosità assicurata! Giorgia Fieni Nota A pagina 102, Cyber Eggs di Davide Scabin.

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CAFFÈ Là dove un tempo c’era l’oppio, ora prosperano piantagioni di tè e caffè

Thai coffee di Massimiliano Rella

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à dove c’erano campi di oppio (Papaver somniferum) ora proliferano piantagioni di caffè e campi di tè. Merito di una quarantennale conversione agricola e di un lungimirante progetto di economia sociale, di scolarizzazione e d’avviamento al lavoro voluto dalla monarchia tailandese a partire dal 1987 in un’area povera del nord, ai confini con

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Laos e Birmania, in quella vasta zona chiamata Triangolo d’Oro nota, appunto, per la coltivazione dei papaveri da oppio. Circa quarant’anni fa, però, la Tailandia cominciò a combattere duramente la droga e i territori come Doi Tung dovettero riposizionarsi. Proprio qui la principessa madre Srinagarindra scelse d’avviare un ambizioso progetto, che cominciò con la riforestazione, la

nascita di un’economia sana, di scuole per bambini, di artigianato ceramico e naturalmente con la produzione di caffè, il Doi Tung Coffee. Step by step seguirono progetti di riconversione dei terreni sostenuti dalla monarchia e dalle autorità locali. Partendo da quell’esperienza oggi il nord della Tailandia rappresenta un’importante zona di produzione di arabica,

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A sinistra: Attit Komendrutkun, barista del Nanglae Coffe House. In alto: una piantagione di tè con stagno e pagoda in una vallata del villaggio di Lao Lee, provincia di Chiang Rai. In basso: Panachal Phisailert, direttore dell’azienda cooperativa Doi Chaang Coffee, produttori di arabica in ex piantagioni di oppio nel cosiddetto “Triangolo d’oro”.

la varietà più pregiata, con un’economia in ascesa e commerci internazionali, anche con l’Italia. La riconversione comportò studi preliminari per individuare le coltivazioni alternative. Sempre a nord, nel villaggio di Mae Suai, distretto di Waxi, la Doi Chaang Coffee (www.doichaangcoffee.co.th) nacque negli anni ‘80 in forma cooperativa. Fu fondata da PIKOR PHISAILERT,

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con l’aiuto del re Rama IX, riunendo una quarantina di famiglie delle minoranze cinesi Akha e Lisu, scappate tempo prima dalla rivoluzione culturale di Mao e qui insediatesi. Oggi a dirigere la “baracca” è il figlio del fondatore, PANCHAL PHISAILERT. «All’inizio avevamo a disposizione poche decine d’ettari strappati alla coltivazione dell’oppio» ricorda Phisailert. «Anche la mancanza

di collegamenti stradali e il ribasso dei prezzi applicati dai distributori in città furono di grande ostacolo». Ma dopo le prime difficoltà furono individuati altri appezzamenti, vennero coinvolte altre minoranze cinesi e realizzate le strade. Oggi la Doi Chaang Coffee è una realtà di un certo peso: 30.000 ettari di piantagioni di varietà arabica, 3.500 tonnellate di caffè all’anno,

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Interni di Akha Ama Coffee, a Chiang Mai. 1.200 famiglie coinvolte e un export avviato grazie a un accordo decennale con distributori del Canada in diversi Paesi, come Giappone, Singapore, Indonesia. Il caffè arriva anche da noi: la Oro Caffè di Udine ne importa 18 tonnellate l’anno, la prima in Europa a sposare questo progetto a marchio Fair Trade, cioè equo e solidale. Il caffè tailandese è venduto in due tipologie diverse: una miscela di qualità con un 10% di varietà robusta di altri Paesi per il classico espresso, distribuito nei bar del Triveneto e a Roma, e uno specialty coffee di singola origine, “in purezza”, non mescolato con altri caffè, e venduto in confezioni da 250 grammi. Gli specialty coffee sono pensati per metodi e macchinette di estrazione alternative alla moka, da cui si ottengono vere e proprie bevande di caffè. «Il cold drip, ad esempio, è un sistema d’estrazione con acqua fredda e ghiaccio che preserva alcuni aromi» ci spiega la marketing manager ELISA TOPPANO di Oro Caffè. «Un’altra è il chemex, un metodo a caldo: dopo una prima percolazione della miscela questa s’interrompe, poi riprende eliminando la parte amara del caffè, che risulta così filtrato, leggero, simile a una bevanda come il tè».

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Doi Chaang Coffee gestisce anche una rete di 300 caffetterie, inclusa una cinquantina di negozi in franchising. Se le piante di arabica furono importate dall’Etiopia e dal Kenya, dall’Italia sono arrivate invece le macchine per la tostatura. Il caffè tailandese ha ottenuto certificazioni biologiche europea e dell’USDA (Dipartimento americano dell’agricoltura), oltre al marchio Fair Trade per il commercio equo e solidale. L’azienda offre visite gratuite e organizza corsi di formazione, anche in pacchetti turistici. Un’altra piccola storia è quella di Akha Ama Coffee (www.akhaama. com), creata sette anni fa dal giovane LEE AYU CHUEPA, originario della minoranza Akha, per commercializzare il caffè coltivato dalla madre nel villaggio di Mea Chen Tai, nella provincia di Chiang Rai. Insieme a una decina di famiglie il giovane Chuepa fondò una piccola cooperativa. Oggi la produzione ammonta a una tonnellata l’anno, venduta in tutta la Tailandia. Dall’arabica, a seconda della tostatura, sono ottenuti vari tipi di macinato: il Full city roast, l’Italian roast, lo Strong roast e un blend delle tre tostature. E ancora, il Peaberry, una selezione dei chicchi più rotondeggianti, e i

Single origin, fatti solo con i chicchi delle singole famiglie di coltivatori. Nelle caffetterie di Akha Ama Coffee, nel locale di Chiang Mai, troviamo una ventina di proposte di caffè, dai classici espresso e americano fino alle bevande come il Black Juice, il Coffee Jelly, il Manee Mana. Sempre a Chiang Rai assaggiamo un buon caffè alla Nanglae Coffe House (FB: Alamacoffeefarm-414841198665858), caffetteria che serve il caffè coltivato e tostato in proprio con il marchio Alama Coffe Farm. Il proprietario THANAGORN LONAGIND lascia riposare i chicchi a temperatura ambiente in capannoni dove fermentano per tre anni, rivestiti della “corteccia”, prima di tostarli e macinarli, ispirandosi a un metodo di affinamento giapponese. Oltre all’espresso sono serviti caffè lenti e filtrati in tazza grande dal premiato barista ATTIT KOMENDRUTKUN. Troppo caffè renderà pure nervosi, ma sapere che un’economia sana ha cancellato le coltivazioni dell’oppio e allontanato le bande criminali ci fa dormire sonni tranquilli. Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella.

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


TECNOLOGIE

In buoni rapporti con la freschezza L’azienda familiare Bianchi ha trovato in CSB-System il partner IT ideale

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limenti freschi da tutto il mondo, tanta attenzione al cliente e ricerca continua di potenziali di ottimizzazione: è questa la ricetta per il successo della famiglia BIANCHI, che da quattro generazioni e da oltre 130 anni importa, lavora e vende generi alimentari freschi in tutta la Svizzera. Alla Bianchi si considerano “una grande azienda con il servizio di una piccola boutique”, dove la cura e l’attenzione per il cliente devono essere al centro di tutto. Per conquistare la fiducia dei clienti non basta però la buona volontà: occorre la qualità assoluta dei prodotti, un forte impegno in ricerca e

sviluppo e per ultimo, ma non meno importante, la scelta di partner che condividano la passione per l’eccellenza e la filosofia di servizio al cliente. «Abbiamo scelto il CSB-System perché è un gestionale specifico per il settore alimentare con soluzioni preconfigurate per il settore ittico, la gastronomia e il commercio, quindi particolarmente adatto alla nostra routine lavorativa», spiega MARKUS ULRICH, responsabile IT. Il progetto in generale L’azienda Bianchi rifornisce circa 9.000 clienti tra grossisti, piccoli negozi, ristoranti e alberghi. Questi possono sce-

gliere tra quasi 3.500 articoli, composti da pesce, crostacei, pollame, carne e specialità da tutto il mondo, e ordinare tramite internet, fax o telefonicamente. Non c’è una quantità d’ordine minima e i tempi di reazione sono brevissimi: chi ordina entro le 4 del mattino riceve la merce il giorno stesso e molti clienti vengono forniti perfino due volte al giorno. La collaborazione tra Bianchi e CSB-System, software house che da quasi 40 anni fornisce soluzioni gestionali su misura alle aziende del settore alimentare, è nata a fine 2004. La scelta dei fratelli Bianchi di affidarsi a

La famiglia Bianchi con il suo team.

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un software capace di integrare tutti i processi aziendali all’interno di un’unica piattaforma tecnologica è stata lungimirante: ha fornito soluzioni alle problematiche esistenti, ponendo però, allo stesso tempo, solide fondamenta per accompagnare l’azienda nella sua crescita futura. Il CSB-System, infatti, con la sua costruzione modulare, è estremamente flessibile e cresce insieme all’impresa. L’implementazione del CSBSystem ha interessato trasversalmente tutti i processi aziendali principali e con le attuali 80 licenze si spazia dalla gestione acquisti e magazzino alle vendite con gestione offerte, listini e condizioni, dalla totale rintracciabilità di filiera dal fornitore al consumatore finale, fino alla contabilità generale, senza dimenticare Web Shop ed EDI, anch’essi gestiti con il CSB-System. Vantaggi nell’acquisizione degli ordini con il CRM del CSB-System I circa 35 dipendenti delle vendite ricevono un supporto fondamentale dal CSB-System. Grazie al modulo delle vendite telefoniche del CSB-System, in presenza di una chiamata in entrata, il software ERP visualizza le informazioni principali, ovvero cliente, venditore associato, lingua, località e numero telefonico, contemporaneamente, sul monitor di tutti i dipendenti del reparto vendite; di conseguenza, nel giro di 2,8 secondi, la persona che chiama può parlare con il venditore. Inoltre il sistema è stato impostato in modo tale che ogni cliente venga contattato esattamente quando lo desidera. Nonostante, quindi, la gran mole di lavoro del reparto vendite, dove lavorano quotidianamente anche i due titolari, ad ogni cliente viene dedicata la massima attenzione. Ma le 2.000 telefonate in entrata al giorno non sono soltanto una semplice registrazione di ordini; i dipendenti della Bianchi propongono prodotti alternativi qualora l’articolo richiesto non sia presente in magazzino, oppure forniscono indicazioni sulle proprietà dei prodotti, fino a suggerire possibili preparazioni e ricette: il know-how dei dipendenti di Bianchi è vasto e i clienti se ne servono volentieri quando ordinano. Il Web Shop integrato nel CSBSystem consente invece ai clienti di inviare gli ordini anche al di fuori

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In alto: ricevimento ordini tramite apposito modulo CSB-System. In basso: per la distribuzione sono a disposizione 100 moderni furgoncini refrigerati, con i quali vengono riforniti tutti clienti. dei classici orari di lavoro. Gli ordini arrivati tramite Web-Shop sono inseriti automaticamente nei moduli Dispo del CSB-System; il gestionale, infatti, supporta l’azienda con controlli integrati della disponibilità, anche in considerazione dei tempi di consegna da rispettare. Costi logistici ridotti grazie a una pianificazione giri ottimale Il dialogo costante tra i moduli degli acquisti e delle vendite assicura la totale trasparenza nella pianificazione

della logistica. Gli ordini inseriti nel CSB-System vengono visualizzati in tempo reale in magazzino e qui si procede alla loro evasione. In totale vengono evase quotidianamente circa 30 tonnellate di merci provenienti da tutto il mondo, caricate su camion refrigerati. Per la distribuzione sono a disposizione 100 moderni furgoncini refrigerati di proprietà dell’azienda, con i quali vengono riforniti hotel, ristoranti, grossisti, ospedali, gastronomie al dettaglio e fornitori di catering in tutta

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Postazione CSB-Rack con bilancia ed etichettatrice. la Svizzera. Per il carico ottimale degli automezzi è essenziale una pianificazione efficiente. «Per arrivare dal cliente al momento giusto e con la merce giusta siamo ricorsi ad una soluzione di IT che svolga per noi una pianificazione giri ottimale. Per questo abbiamo optato per la pianificazione giri integrata del CSB-System. Ci aiuta a sfruttare sempre al meglio i nostri giri; in questo modo risparmiamo sui costi logistici e ogni cliente riceve puntualmente la merce ordinata», assicura Ulrich. Gestione documentale del CSB-System Per ottimizzare la gestione dei documenti di trasporto, Bianchi impiega da alcuni anni la gestione documentale (DMS-Document Management System) di CSB-System. Nella sede centrale, a Zufikon, vicino Zurigo, i documenti di trasporto firmati dai clienti vengono smistati e archiviati mediante riconoscimento del codice a barre. Sullo sfondo ha luogo anche un coordinamento e un’indicizzazione. Tutti i ddt e i documenti, pertanto, sono sempre a disposizione nell’intero processo in tutte le postazioni necessarie e possono essere richiamati rapidamente. Oltre a creare trasparen-

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za, ciò comporta un risparmio di tempo, ad esempio nel controllo della quantità, della qualità o del prezzo. «Oggi i nostri dipendenti non devono più ricercare i documenti nei raccoglitori» commenta Ulrich. «Con i circa 1.500 documenti di trasporto prodotti quotidianamente, risparmiamo oltre due ore al giorno». Visto il riscontro positivo, la soluzione è stata recentemente ampliata ed ottimizzata in modo che il processo di archiviazione si svolga elettronicamente. Vale a dire che i clienti di Bianchi ricevono ancora i loro ddt in forma cartacea, ma la ricezione della merce viene confermata su un ddt digitale con un terminalino mobile e inviato on-line alla sede centrale per l’archiviazione e la lavorazione ulteriore. La scansione dei ddt fa ormai parte del passato a vantaggio di una maggiore efficienza. La qualità per Bianchi, però, non si ferma ai prodotti realizzati e alla cura dei clienti, ma si spinge anche al consolidamento dei rapporti con tutti i partner aziendali. È infatti diffuso l’utilizzo del modulo di gestione EDI per lo scambio dati con fornitori e clienti, riducendo quindi al minino gli inserimenti manuali, lo scambio documentale cartaceo e le possibilità di errore del personale.

Sfide future Fondata nel 1881, l’azienda Bianchi è cresciuta costantemente fino ad arrivare ai suoi attuali 250 dipendenti e realizzare così un fatturato annuo di circa 170 milioni di franchi svizzeri. La fiducia nella collaborazione costruttiva tra Bianchi e CSB-System è stata recentemente confermata dalla decisione di implementare e integrare nell’ERP in uso anche i moduli per la pianificazione degli acquisti e la Business Intelligence. La CSB-System è lieta di essere il loro partner IT di riferimento.

Referente Italia: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb-system.it

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STORIA E CULTURA

Superstizioni in tavola Le superstizioni hanno sempre interessato le scelte alimentari, alimenti vegetali in primis, ma anche quelli di origine animale di Giovanni Ballarini

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n Italia, terra ricca di tradizioni e credenze popolari, non mancano certo le superstizioni, antiche e moderne, molte delle quali riguardano gli alimenti, la cucina e la tavola. Soprattutto nella cultura contadina, la superstizione è una forma d’interpretazione magica della realtà

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per valutare eventi, azioni o fenomeni, per cercare di prevederli ed eventualmente modificarli, negativamente o positivamente. In questa prospettiva, la superstizione opera mediante diverse forme: analogia, antipatia, coesistenza, contatto, dipendenza, repulsione, somiglianza.

Superstizioni di ieri e di oggi Come affermano gli antropologi MARINO NIOLA ed ELISABETTA MORO, le cosiddette superstizioni servono a dar senso agli aspetti più oscuri e sfuggenti del mondo, della natura, della società. E soprattutto ci aiutano a riconoscere e controllare le nostre ansie, paure, insicurezze dando

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Gli Etruschi consideravano l’anatra simbolo di fedeltà coniugale e per questo, adornata con nastri, veniva donata alla sposa nel giorno del matrimonio (photo © Natasha Breen – Fotolia).

loro un volto, una forma e persino un numero. Complesse e spesso malamente intese sono le relazioni tra superstizioni e religione. Se da una parte, qualche rapporto vi può essere con le religioni popolari di tipo pagano, la religione cristiana ha (quasi) sempre condannato questo genere di credenze. Nonostante

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ciò, vi sono superstizioni di finta derivazione religiosa, per esempio il divieto di mangiare mele il giorno di Natale (perché ricorderebbero il pomo della discordia) o ritenere che portino male le posate incrociate sul piatto (in quanto sembrano rievocare la crocifissione di Gesù), o che sia malaugurante invitare

ospiti a pranzo o a cena di venerdì (giorno nefasto perché coincide con quello della morte di Cristo), o infine accomodarsi a tavola in tredici (perché ricorderebbe l’ultima cena di Gesù con gli Apostoli, anche se è più probabile che questa credenza abbia un’antica origine romana, quando le cene importanti si svolgevano nel triclinio, dove venivano disposti tre letti sui quali si adagiavano i commensali, in numero di tre o quattro al massimo. Ed è ovvio che un tredicesimo convitato avrebbe significato stare in cinque in un unico letto, con conseguente scomodità e disagio per tutti). Ogni tempo e ogni cultura — affermano sempre Niola e la Moro — ha una propria idea della superstizione. Nei primi secoli del Cristianesimo il termine identificava ciò che restava dei culti pagani; più tardi la parola è diventata sinonimo di credenza, o credulità, popolare e l’Illuminismo, con il culto della dea ragione, volle stabilire una frontiera netta e invalicabile tra ragione e superstizione. Una frontiera che però, a tutt’oggi, si presenta sempre valicabile e attraversata in entrambi i sensi, soprattutto quando, nei periodi di crisi, la realtà diviene indecifrabile lasciando spazio ai dubbi. Per questo le superstizioni di ogni genere, con i loro maghi e veggenti, riti, amuleti, talismani, giorni fausti e persone infauste, sono diventate un mezzo per crearci l’illusione di controllare l’incontrollabile. Superstizioni e alimenti Le superstizioni dominano quindi ogni campo della nostra vita, non ultimo quello dell’alimentazione. Non più ammantate di religiosità, oggi possiedono più spesso una falsa scientificità, come quelle di tipo naturistico, crudista, vegetariano, vegano, biologico e simili. Almeno da un punto di vista aneddotico sono interessanti le superstizioni che riguardano in particolare alcuni animali e i loro derivati carnei, oltre a quelle concernenti alcuni alimenti e ingredienti molto usati in cucina. Anatra Gli Etruschi consideravano l’anatra simbolo di fedeltà coniugale e per questo, adornata con nastri, veniva donata alla sposa nel giorno del matrimonio. Tra le superstizioni connesse con questo

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animale, vi è quella secondo cui le sue uova, portate in casa dopo il tramonto, perdono la “bontà”. Se l’anatra depone uova di colore scuro, è una sfortuna per la famiglia, e se le anatre sbattono le ali mentre nuotano è segno di pioggia in arrivo. Un guanciale di piume d’anatra garantisce la fedeltà coniugale, anche se è noto che un maschio accudisce sette femmine. Coniglio Il coniglio è simbolo di scaltrezza e sopravvivenza. Per questo la sua zampa è un oggetto molto ricercato tra gli scommettitori e gli investitori. Lepre L’Antico Testamento considera la lepre un animale impuro e ne proibisce il consumo. Questo divieto cade nel Nuovo Testamento, ma l’animale rimane sospetto, perché ha fama di indurre alla lussuria: la stagione dei suoi amori dura sette mesi e un tempo, dato che non se ne distingueva facilmente il sesso, si credeva fosse ermafrodito. PLINIO IL VECCHIO asseriva che “qualsiasi donna sterile che mangia carne di lepre diventa feconda” e, secondo una superstizione popolare, le donne che vogliono concepire un figlio maschio devono mangiare utero e testicoli di lepre. Si riteneva anche che la carne

di lepre rendesse belli e il filosofo dell’antica Grecia ARCHELAO DI MILETO in proposito dichiarava: “chi si nutre di lepre per sette giorni consecutivi diventa molto bello”. Il poeta latino MARZIALE riportava però che una donna brutta, avendo sperimentato tale rimedio, non ne aveva tratto beneficio alcuno. I medici medievali ritenevano che mangiare la lepre (che aveva la reputazione di dormire con gli occhi aperti) avrebbe provocato l’insonnia, ma la sua carne era ugualmente molto apprezzata da nobili e plebei. Alla fine del 1500 si affermava che l’animale, ben cotto e arrostito, garantiva, oltre al sapore gustoso, “il flusso del ventre e della dissenteria… le sue cervella lesse giovano alle gengive e il suo fiele misto a zucchero permette di guarire gli occhi…”. Nel folclore germanico e scozzese la lepre, probabilmente perché nasce con gli occhi aperti e non chiusi come il coniglio, è considerata portatrice di malocchio.

Ogni tempo e cultura ha le proprie superstizioni e, attraverso credenze e riti irrazionali, cerca di dare un senso agli aspetti più oscuri e indecifrabili della vita. È un modo per controllare ansie, paure e insicurezze, e per tentare, in qualche modo, di prevedere, valutare e modificare gli eventi

Oca Mangiare la testa d’oca provoca la pazzia, probabilmente perché questo animale era ritenuto, a torto, stupido, in quanto gregario e fortemente condizionato da un imprinting che è stato ben studiato da KONRAD LORENZ, fondatore dell’etologia.

E la luna bussò… Durante il plenilunio, quando la luna raggiunge l’intensità massima e tutta la faccia visibile dalla terra appare illuminata, i granchi e le aragoste sono più pieni e polposi, i meloni e i cocomeri seminati in quella di marzo crescono più dolci, si imbottiglia il vino. La fase crescente della luna, compresa tra il novilunio e il plenilunio, è propizia a tutte le azioni che riguardano ciò che deve crescere e prosperare così si seminano i foraggi, si potano le piante e si mostrano i denari appena è visibile in cielo, credendo di raddoppiarli. Si raccolgono i funghi e gli asparagi.Vietato travasare il vino, altrimenti diventa acido o si guasta. Con la luna calante (o luna vecchia, fase compresa tra il plenilunio e il novilunio), si compiono le azioni riguardanti tutto ciò che deve morire o deve essere distrutto: si miete il grano e si raccoglie il granoturco; si potano la vite e gli alberi da frutto; si raccoglie la frutta e gli ortaggi; si mettono sotto conserva peperoni, pomodori e zucchine; si vendemmia per avere vino leggero e poco corposo; si taglia la legna da ardere e quella da lavoro; si seminano gli ortaggi perché vengano gustosi, i fiori perché vengano doppi; si innestano gli alberi perché attecchiscano e si seminano le patate. In quasi tutta Italia si crede che la luce lunare causi la putrefazione della carne (photo © www.scoopnest.com).

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Coniglio arrosto con patate, olive, rosmarino e capperi. Simbolo di scaltrezza e sopravvivenza, la sua zampa è ricercata da investitori e scommettitori (photo Š chudo2307 – Fotolia).

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Superstizione è la credenza irrazionale che eventi futuri possano essere influenzati da particolari oggetti, eventi o comportamenti senza una relazione causale. Il termine deriva dal latino superstitiònem, usato da MARCO TULLIO CICERONE nel De natura deorum per indicare la devozione patologica di chi trascorre le giornate rivolgendo alla divinità preghiere, voti e sacrifici, affinché serbi i suoi figli “superstiti” (cioè sani e salvi). Aglio – Protegge dai vampiri che non gradiscono il sangue con il suo aroma. Caffè – Un pezzo di pane o di torta caduto nella tazza del caffè preannuncia una visita. Ciliegie – Contando i noccioli rimasti nel piatto alla fine del pasto, le ragazze possono prevedere quando si sposeranno, recitando: “quest’anno, l’anno prossimo, un giorno, mai”; l’ultimo nocciolo contato fornirà la risposta. Se si desidera che un vigneto produca buon vino, bisogna piantarci in mezzo un ciliegio. Cipolla – Protegge dai demoni. Cucchiaio – Porta sfortuna tenerlo con la mano sinistra. Fondi di caffè – Dalla forma o dalle figure assunte dai fondi di caffè sul fondo della tazza si può presagire il futuro. Latte – La schiuma sul bordo della tazza annuncia la morte precoce di chi vi ha bevuto. Lenticchie – Mangiate la notte di San Silvestro (31 dicembre), propiziano un’annata con abbondanza di denaro. Melanzana – Basandosi sulla falsa etimologia di malum insanum (male che rende folli), si temeva che mangiare questo ortaggio facesse impazzire. Olio – Versarlo è segno di malaugurio. Nel passato l’olio era raro e prezioso, e rovesciarlo e perderlo era un danno economico. Pane – Posto a rovescio sulla tavola, porta carestia. Pesca – Le pesche sbucciate sono considerate indigeste. Mangiarne sette noccioli farebbe passare la sbronza ed eviterebbe di prenderne in futuro. Piselli – Sono il simbolo della felicità e della fortuna. Nell’antichità, con i loro fiori si intrecciavano coroncine da offrire alle spose. Pomodoro – Ortaggio ritenuto velenoso. Sale – Far cadere, versare e perdere il sale porta male. Nel passato il sale era costoso e rovesciarlo e perderlo era un danno economico. Sedano – Negli orti dei Greci e dei Romani non mancava mai. La pianta di sedano aveva la funzione di allontanare le potenze del male. Uova – Non gettare il guscio intero, ma spezzarlo per evitare che il demonio vi si annidi. Uovo con due tuorli – Annuncio di un decesso in famiglia. Uva – Mangiata la notte di San Silvestro, anch’essa propizia un’annata ricca. Zucchero – Una ragazza che mette prima il latte e poi lo zucchero diventerà una vecchia zitella.

Nel Medioevo il sale era legato all’idea di immortalità e rovesciare un elemento tanto prezioso era ritenuta causa di grande sfortuna (photo © Jirkaejc – Dreamstime.com).

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Sale La più conosciuta delle superstizioni legate al sale è che rovesciarlo sulla tavola, soprattutto di martedì, porta male. Un’altra prevede di non passare mai la saliera ad un commensale tenendola in aria, bensì posandola sul tavolo: ognuno deve prenderla con la sua mano. Secondo una superstizione siciliana le anime dei bambini che non sono stati battezzati provano grande dolore se il sale viene sparso per terra. In Campania si crede che le streghe che partecipano al convegno presso il “noce di Benevento” si nutrano di cibi insipidi, perché il sale e l’aglio distruggerebbero il sabba. Nel Medioevo si tracciavano delle linee di sale fuori dalla porta di casa per tenere lontani gli spiriti maligni, perché era credenza che, prima di entrare in casa, dovessero contare tutti i granelli di sale, uno per uno, e alla fine, grazie a

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Una nota superstizione vuole che la cipolla protegga dai demoni e favorisca la guarigione dei malati (photo © Lunipa – Fotolia). questo espediente, avrebbero desistito. Il sale era considerato “magico”; veniva usato per conservare il cibo e nella mummificazione, per questo era direttamente collegato al concetto di “immortalità”. Rovesciare un elemento così prezioso era perciò ritenuto causa di sfortuna e l’usanza (ancora attuale) di gettarsi un pizzico di sale alle spalle, nel caso questo succeda, servirebbe ad accecare i de-

moni pronti a infierire alle nostre spalle. Oggi sappiamo che, all’origine di buona parte delle superstizioni, spesso vi sono radici storiche e razionali. Il sale, infatti, fin dall’antichità è sempre stato un bene raro e necessario. Per questo si sono costruite le vie del sale (una di queste è la Salaria, che dalle saline costiere portava il sale nell’interno dell’Etruria), il sale è stato oggetto di

monopolio e nell’antica Roma i soldati delle legioni venivano pagati in sale, motivo per cui ancor oggi sentiamo denominare la retribuzione dei lavoratori col termine salario. Il sale ha anche valori simbolici. Nei Vangeli indica l’infusione della sapienza nei discepoli da parte di Gesù. Da sempre designa distruzione e morte, perché i vincitori cospargono di sale il terreno delle città conquistate.

Superstizioni alla tavola di Caterina de’ Medici CATERINA DE’ MEDICI, la mitica fondatrice della cucina francese, dotata di un insaziabile appetito, aveva gusti raffinati. Si narra che ricorse a superstizioni, magia e arte culinaria per costruire il suo successo. Con i cuochi e i pasticceri che portò con sé dalla corte fiorentina, la regina influenzò le trasformazioni già in atto nella cucina francese, inoltrando nuove ricette e l’uso sulla tavola della forchetta. Caterina riteneva afrodisiaci molti alimenti: cardo, scalogno, zucchine, sedano, funghi, fave, cipolle e i carciofi cotti nel vino erano i suoi prediletti. Per combattere la sua sterilità portava appeso al collo un sacchetto contenente ceneri di rana e testicoli di maiale. Le cronache riportano un pranzo di gala, dato in suo onore dalla città di Parigi nel 1549, quando furono serviti cibi in numeri divisibili per “tre”, ritenuto perfetto della superstiziosa regina: “33 arrosti di capriolo, 33 lepri, 6 maiali, 66 galline da brodo, 66 fagiani, 3 staia di fagioli, 3 staia di piselli e 12 dozzine di carciofi”.

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Superstizioni sulla tavola Fino al 1600 l’uso della mano sinistra era vietato a tavola, e solo da questo periodo cominciò a diffondersi l’uso della forchetta, impugnata con la sinistra. Di fatto la mano di destra, ritenuto il lato di Dio, era destinata a maneggiare il cibo e a portarlo alla bocca, mentre quella di sinistra, ritenuto il lato del Diavolo, era riservata all’igiene intima. Una distinzione importante, data l’assoluta scarsità d’igiene dei tempi passati, che attribuisce un’origine igienico-sanitaria a questa e ad altre regole dell’antico galateo. Il lato del diavolo, quello dietro al quale ancora oggi si getta il sale versato, è quello dell’igiene intima, del contatto impuro con la sessualità e la sporcizia delle pudende.

Olio e vino Anche l’olio, altro alimento prezioso per l’uomo, ha la sua parte nella storia delle credenze popolari e una superstizione siciliana vuole che, in caso di suo rovesciamento a terra, ci si rivolga alla Madonna perché lo raccolga, mentre un fedele vi sparge sopra un pugno di sale. Al contrario, rovesciare il vino porterebbe bene e allegria; per questo è bene che i commensali provvedano a intingervi il dito per bagnarsi la nuca ed essere partecipi di un’immancabile fortuna. Pane Una superstizione molto diffusa vuole che porti male buttare via il pane; essa trova origine nella preghiera del Padre Nostro, per cui sarebbe offensivo verso Dio gettare, e quindi rifiutare, il pane quotidiano che lui ci dona. La superstizione secondo cui il pane non deve mai essere “rovesciato” (messo a testa in giù) ha un’origine molto complessa. Nel Medioevo la paura collettiva della morte creava la proibizione assoluta di toccare qualsiasi cosa avesse a che fare con i cadaveri. Per questo motivo il boia viveva isolato dal resto della comunità, gli oggetti e cibi a lui destinati non potevano venire in contatto

con quelli degli altri, i suoi abiti erano lavati a parte, i suoi cibi erano preparati separatamente; addirittura i fornai si inventarono un sistema per rendere riconoscibile il pane che gli era destinato fin dal forno di cottura ed evitare che entrasse in contatto con quello altrui: consisteva nel girare il pane a testa in giù, rovesciandolo. Veniva chiamato il “pane del boia”, e ancora oggi il pane rovesciato si porta dietro un triste presagio di morte. Aglio Sterminate sono le superstizioni popolari che riguardano l’aglio, da sempre collegato al mondo magico degli spiriti buoni o cattivi. Gli Egizi appendevano collane d’aglio al collo dei bambini e i Romani lo raccomandavano ai legionari e ai gladiatori, perché ritenevano fornisse coraggio e resistenza fisica. Da questa usanza deriva il detto Ubi Roma, ibi allium! Una delle più note formule scaramantiche anti-malocchio, diffusa tra l’altro da PEPPINO DE FILIPPO, attraverso il personaggio di Pappagone interpretato negli anni Settanta è: “Aglio, fravaglio, fattura ca nun quaglio, corna, bicorna, capa r’alice e capa d’aglio”. Per funzionare deve essere seguita da

Sterminate sono le superstizioni popolari che riguardano l’aglio, da sempre collegato al mondo magico degli spiriti buoni o cattivi. Gli Egizi appendevano collane d’aglio al collo dei bambini e i Romani lo raccomandavano ai legionari e ai gladiatori, perché ritenevano fornisse coraggio e resistenza fisica

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tre sputacchiatine e tre gesti di corna volti all’ingiù, fatti con ambo le mani. L’aglio, secondo la superstizione, protegge dai vampiri perché purifica il sangue e lo rende per loro non appetibile. Nel passato si riteneva che l’aglio potesse distruggere le calamite e per questo nelle imbarcazioni doveva essere tenuto lontano dalla bussola. Il giorno di San Giovanni Battista, 24 giugno, è indispensabile comprare una testa d’aglio per avere soldi tutti l’anno. Per i musulmani, quando Satana fu cacciato dal giardino dell’Eden, lasciò un ricordo facendo spuntare una pianta d’aglio nel punto in cui Adamo teneva il piede sinistro e una di cipolla in quello in cui aveva il destro; ecco perché i maomettani non nutrono grande simpatia per queste piante. Cipolla Una nota superstizione vuole che la cipolla protegga dai demoni e favorisca la guarigione dei malati, ma solo se, almeno secondo antiche convinzioni popolari, è tagliata in due parti uguali ed è posta fuori dalla finestra di casa. Oracolo d’amore, in passato, di certe campagne del Nord Italia, se una ragazza incide il nome dell’uomo amato su una cipolla e questa germoglia significa che anche lui ricambia l’amore. Volendo conoscere in anticipo il clima dell’anno nuovo, il giorno del 24 gennaio bisogna mettere dodici spicchi di cipolla con sopra del sale fuori dalla finestra, uno di seguito all’altro. Ogni spicchio rappresenta un mese dell’anno che viene e dal loro aspetto e colore, da come assorbono il sale, ecc…, si tenta di prevedere il tempo dei mesi rispettivi. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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LIBRI

Marketing dei prodotti enogastronomici all’estero

L’

Italia gode di un indubbio fascino a livello mondiale, e questo anche grazie al cibo e al vino made in Italy e all’importante ruolo che essi svolgono nell’immaginario collettivo “globalizzato”. Al tempo stesso, per molti consumatori oltre confine, questo forte appeal si riflette anche sui prodotti che esportiamo: dalla pasta al vino, dall’olio ai salumi e ai formaggi, mangiare e bere italiano è, per chi si trova all’estero, un modo per “visitare” il Belpaese rimanendo a casa. Per riuscire a portare questi eccellenti prodotti all’estero c’è sempre più bisogno di un approccio di marketing ben strutturato e di competenze specifiche che si sintetizzano in una figura professionale relativamente nuova, l’export manager. Tali competenze includono aree d’azione sempre più ampie e hanno spesso bisogno di altre risorse specializzate, interne o esterne all’azienda: dall’individuazione e la creazione di contatti e rapporti di fiducia con buyer e importatori alla scelta dei corrieri, dalle complicate norme doganali a un tipo di comunicazione sempre più digitale e transculturale. Oggi più che mai l’export si rivela un canale essenziale per la crescita di un’azienda, ma se è vero che il mercato è sempre più globale e che i canali digitali rendono più facile raggiungere consumatori e utenti anche molto lontani, è pure vero che la competizione è elevata e che non c’è spazio per l’improvvisazione. Scritto da SLAWKA G. SCARSO, LUCIANA SQUADRILLI e RITA LAURETTI — professioniste del marketing, della comunicazione e dell’export del settore enogastronomico — questo volume vuole fornire strumenti strategici e consigli pratici ai piccoli e grandi produttori e imprenditori del settore che vogliano rivolgersi a mercati diversi da quello italiano, e naturalmente a chi ambisca a ricoprire la figura di export manager o si trovi a dover coadiuvare tale figura o dei

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SLAWKA G. SCARSO, LUCIANA SQUADRILLI, RITA LAURETTI Marketing dei prodotti enogastronomici all’estero. Guida completa per l’export delle eccellenze italiane Collana: MDB, Modelli di Business – Edizioni LSWR – € 19,90 corrispondenti in loco, avendo come obiettivo l’internazionalizzazione e la gestione di nuovi mercati, dalla logistica alla comunicazione attraverso i canali social e digitali. Dopo l’iniziale focus sul marketing dell’agroalimentare di qualità orientato all’export e l’attenta analisi delle risorse disponibili, si delineano le opzioni di internazionalizzazione più adatte alle specifiche esigenze aziendali. Si analizzano poi le figure chiave del settore che bisogna prendere in esame (competitor, buyer, consorzi, enti vari) e si affronta il marketing mix dell’export. Grande attenzione viene data alla comunicazione che da locale diventa globale: dal packaging usato — anche — come strumento di comunicazione all’importanza di creare una “marca globale” che sappia mantenere ben saldi i valori di fondo dell’azienda, fino all’annosa questione dell’Italian sound-

ing. Infine si affrontano gli aspetti più operativi dell’export: dai suggerimenti per trovare e approcciare buyer e importatori ai consigli per affrontare il processo di selezione dei prodotti, fino alla partecipazione a fiere, eventi e concorsi e alla delicata gestione degli aspetti logistici, come le spedizioni e gli sdoganamenti. Un compendio teorico-pratico arricchito da numerosi esempi e testimonianze di chi lavora quotidianamente in quest’ambito, ulteriormente approfondite nella parte finale del libro attraverso casi pratici di aziende, format di successo e interviste a professionisti, le cui testimonianze si vanno ad aggiungere ai riferimenti concreti fatti nelle parti precedenti del libro. Una ricca serie di illustrazioni e grafici, esempi, dati, foto a colori e schemi riassuntivi rendono il libro di facile consultazione e molto utile come supporto didattico.

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