Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXX N. 4 Luglio-Agosto 2018
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N. 4 Anno XXX Luglio-Agosto 2018
€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia Stampa
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Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Redazione New York Stefano Spadoni 1732 1st Ave #27220 New York, NY 10128 Tel. 001 212 956-8566 E-mail: Stefanony@stefanospadoni.com Consulenti scientifici Prof. Giovanni Ballarini (Parma) – Prof. Fausto Cantarelli (Parma) – Prof. Giuseppe Caserio (Milano) – Prof. Giorgio Catellani (Napoli) – Prof. Eugenio Del Toma (Roma) – Dr. Emanuele Guidi (Modena) – Prof. Riccardo Monacelli (Roma) – Dr. Alfonso Piscopo – Piero Pittaro (Udine) – Prof. Andrea Strata (Parma) – Angelo Valentini (Perugia) Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CC 2018. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2018.
Premiata Salumeria Italiana, 4/18
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N. 4
In questo numero: Agenda
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Immagini
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Salumi & Co.
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Il food in rete
Social food
Elena Benedetti
18
Aziende
Chiocciole in Franciacorta
Riccardo Lagorio
24
Prodotti tipici
La qualità
Eventi
Citterio e l’origine del salame di Milano
28
Mariola, buona sempre
30
Frabosana-Roaschina, formaggi e salumi di carattere
Roberto Villa
34
Prosciutto crudo di Veglia: prima Igp croata
Riccardo Lagorio
38
Pitina Igp, via libera dall’Europa
42
Il crudo di Cuneo Dop presentato ad autorità e operatori di mercato
44
A pagina 64.
Premiata Salumeria Italiana, 4/18
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Comunicazione
Tipico vendesi
Sebastiano Corona 50
Associazioni
Macellerie di montagna, i macellai trentini fanno rete
54
Indagini
Gli analfabeti funzionali? Combattiamoli dalla scuola
62
Italia spaccata a metà sui consumi alimentari
64
La carne in tavola
Cinghiale, carne dei forti
Giovanni Ballarini
70
Sapori mediterranei
La bufala tra passato e presente
Giorgia Fieni
74
Turismo enogastronomico
Le molte virtù (e i pochi vizi) del turismo esperienziale
Sebastiano Corona 76
Week-end
Genazzano, tra pane, fiori e cultura da preservare Valgrande, ricerca e riscoperta della tradizione gastronomica polesana
Assemblee
Rassegne
80 Gian Omar Bison
82
Federalimentare, il valore aggiunto siamo noi
Sebastiano Corona 84
ASS.I.CA.: assemblea generale e tendenze del settore
Riccardo Lagorio
88
Quattro giorni di vino e culture che si intrecciano
Riccardo Lagorio
90
Aria di Festa: si chiude con successo la 34a edizione
94
Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXX N. 4 Luglio-Agosto 2018
€ 6,70
A pagina 96. In copertina: rose di culatello di Zibello Dop (photo © Massimiliano Rella).
6
Premiata Salumeria Italiana, 4/18
Formaggio Vino
I vini di Premiata Salumeria Italiana Tecnologie
Libri
I quattro mercati del formaggio in Olanda
96
La prima vigna della capitale
Massimiliano Rella
Nobile di Montepulciano Docg: quando un territorio fa rima con vino
Riccardo Lagorio
100
98
La Cité du Vin, invito al viaggio nella capitale del vino francese
Gaia Borghi
104
Degustazione: aperitivo sul mare
Laura Franchini
110
Che cos’è un Factory ERP?
114
Zanetti & Sealed Air: formaggi più sicuri e sostenibili dall’Italia al mondo
116
La buona cucina italiana
120
A pagina 100.
A pagina 18.
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Premiata Salumeria Italiana, 4/18
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AGENDA Roccolo del Lago (VR) Tagliatori professionisti e per passione, il corso da non perdere per affinare le tecniche di taglio del prosciutto a coltello è fissato per mercoledì 25 luglio a Roccolo del Lago, in provincia di Verona, dalle 9:00 alle 18:00. La giornata formativa è organizzata da RAFFAELE BERTOLINI, il nostro cortador italiano, che si occuperà anche della docenza. “Il taglio del prosciutto a coltello è un’arte che si impara da un maestro tagliatore e che si esercita col tempo, acquisendo rapidità e perfezione nel taglio di fette geometriche e coreografia nella presentazione delle stesse nel piatto” si legge nel sito di Raffaele, “Tagliato per il gusto”. “La particolarità dell’affettatura a coltello sta nel fatto che l’operatore può, di volta in volta, offrire una parte distinta del prosciutto al proprio cliente: si può decidere se servire la parte più dolce (il gambuccio), la parte più saporita (la punta), la parte più equilibrata (la parte centrale) o se utilizzare la parte più magra (per clienti attenti alla dieta) o quella più grassa (per clienti gourmet)”. In foto Raffaele Bertolini (photo © instagram. com/tagliatoperilgusto). www.tagliatoperilgusto.it
Parma La XXI edizione del Festival del Prosciutto di Parma sarà inaugurata dallo chef DAVIDE OLDANI il prossimo 31 agosto a Langhirano. Il Festival si terrà dall’1 al 9 settembre coinvolgendo il comune di Parma per tutta la durata della manifestazione con tante attività e degustazioni al Bistrò del Prosciutto di Parma e quello di Langhirano con la Cittadella, l’1 e il 2 settembre, un’area dedicata ai produttori che racconteranno il prodotto e le sue caratteristiche. Finestre Aperte, che offre la possibilità di visitare i prosciuttifici e assistere al ciclo di lavorazione, si svolgerà soltanto nei fine settimana, ovvero 1/2 e 8/9 settembre (photo © www.fotocarra.it). www.festivaldelprosciuttodiparma.com
Franciacorta (BS) Come ogni anno, sabato 15 e domenica 16 settembre per turisti, appassionati di vino o semplici curiosi torna il Festival Franciacorta in Cantina. Un intero programma pensato per vivere in compagnia attività che variano tra cultura, sport, natura e, ovviamente, food & wine. I visitatori potranno scoprire il territorio attraverso le svariate proposte della Strada del Franciacorta: dai tour in bus ai percorsi di trekking o in bicicletta, passando per le visite ad abbazie, borghi, palazzi, ville, giardini e riserve naturali. Le visite in cantina, fiore all’occhiello del Festival, daranno l’opportunità di esplorare le cantine e degustare le diverse tipologie di Franciacorta con abbinamenti creati ad hoc. Sul sito del Festival sarà possibile visionare il programma completo, conoscere le tipologie di eventi delle singole cantine e consultare i pacchetti di escursione nel territorio proposti. La prenotazione delle visite è obbligatoria contattando direttamente le cantine (photo © Roberto C. – stock.adobe.com). www.festivalfranciacorta.it
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Premiata Salumeria Italiana, 4/18
CARRÙ
30 SETTEMBRE Torino Dal 20 al 24 settembre torna a Torino Terra Madre – Salone del Gusto. Giunta alla XII edizione, la manifestazione è organizzata da Slow Food, Città di Torino e Regione Piemonte, in collaborazione col MIPAAF e il coinvolgimento del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del turismo nell’ambito delle attività previste per l’anno del cibo italiano. Food for Change è il tema dell’edizione 2018, a partire dal progetto stesso dell’evento, diffuso e aperto, fino ai contenuti dei forum e delle conferenze, «perché riteniamo che il cibo sia il più potente strumento per avviare una rivoluzione lenta, pacifica e globale: se vogliamo cambiare il mondo, cominciamo dai piccoli gesti quotidiani, come la scelta consapevole delle materie prime che usiamo per realizzare le nostre ricette» ha dichiarato CARLO PETRINI, fondatore del movimento della Chiocciola. «Se lo facessimo tutti, vedremmo gli effetti sulla qualità e salubrità dei prodotti, sulla tutela degli ecosistemi e della biodiversità, sui mercati globali e la distribuzione delle risorse. Sulla vita di ogni giorno». La manifestazione internazionale dedicata al cibo buono, pulito, sano e giusto per tutti rimodella quindi i propri confini per offrire alle centinaia di migliaia di visitatori e agli espositori e delegati provenienti da tutto il mondo un’esperienza di partecipazione ancora più appagante (photo © Andrea Guermani). www.salonedelgusto.com
Premiata Salumeria Italiana, 4/18 piemontese
IMMAGINI
Alla fine di maggio una quindicina di macellerie trentine ha lanciato il circuito Macelleria di Montagna, un progetto fortemente voluto dall’Associazione provinciale dei Macellai per distinguere la qualità delle carni provenienti da animali allevati in Trentino e lavorate da una rete di professionisti che puntano sulla valorizzazione del territorio. «Dietro al banco carni delle Macellerie di Montagna ci sono professionisti preparati, che sanno fare bene il proprio lavoro e non solo» ha detto Massimo Corrà, presidente della neonata associazione. A pagina 54 la presentazione del progetto (photo © fotografiche.eu – stock.adobe.com).
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Premiata Salumeria Italiana, 4/18
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Ismea ha recentemente pubblicato un’analisi che conferma la ripresa della spesa per i prodotti alimentari nel 2018 anche per i salumi: il famoso tagliere è diventato oramai un must per gli aperitivi e le cene con gli amici in casa. A pagina 64 il servizio sull’analisi dei consumi domestici delle famiglie italiane (photo © B. and E. Dudziński – stock.adobe.com).
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Premiata Salumeria Italiana, 4/18
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SALUMI & CO.
Taglieri I taglieri sono sempre più ricercati, non solo per le forme e i materiali, dal legno alle ceramiche, fino anche ai cartonati lavabili. Oggi i taglieri sostituiscono un piatto o un vassoio nel gastro-bistrot di tendenza. Sono in bella mostra nella bottega di salumeria. Fanno arredo e possono, a pieno titolo, diventare veri oggetti di design come questo tagliere in noce di FOOD52 (photo © Food52).
Abbigliamento Sul grembiule professionale abbiamo ancora tanto da imparare. Se tutti concordiamo sul fatto che l’immagine del personale di una salumeria sia un elemento importante nel comunicare al cliente professionalità e qualità dei servizi offerti, ecco che una “divisa” moderna e curata potrà fare la differenza. Possiamo prendere a esempio i grembiuli giapponesi, dalle linee pulite e semplici, in lino e dai pattern moderni di en.smallable.com (photo © smallable.com).
Comunicazione Oggi viviamo in una società delle immagini, nella quale, smartphone alla mano, la comunicazione è sempre più veicolata attraverso fotografie e illustrazioni. Queste ultime, in particolare, tramite segni, forme e colori promuovono prodotti e servizi, raccontano stati d’animo e sviluppano emozioni. In fatto di salumi, a noi piace molto questa di LNSDES che trovate su www.stock.adobe.com (photo © Lnsdes – stock.adobe.com).
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Vintage Il sapore contemporaneo del vintage è forte, anche negli arredi di un locale. Non è solo nostalgia del passato ma un filo conduttore che non si spezza mai. I prodotti che offre una bottega di salumeria sono tanti e altrettanti gli spunti coi tempi andati. Come questo, un poster del film “La Mortadella” diretto da MARIO MONICELLI con protagonista SOPHIA LOREN e GIGI PROIETTI, datato 1971. La storia è nota (e ancora attuale): Maddalena, ex operaia in un’azienda di salumi, viene trattenuta alla dogana dell’aeroporto JFK di New York perché si rifiuta di consegnare agli agenti una grande mortadella, dono dei suoi colleghi. Il poster del film, una produzione italo-francese, fu realizzato dall’artista RAYMOND SAVIGNAC e oggi, con un po’ di fortuna, si può acquistare sul web (photo © chairish.com).
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IL FOOD IN RETE
Social di Elena
1. I video tutorial del Parma Dop Come si riconosce un Prosciutto di Parma DOP? Come si conserva? Quali sono le tecniche corrette per prepararlo al taglio e affettarlo? Il web ci mette a disposizione strumenti utili anche per rispondere a queste domande. Attraverso che cosa? Per esempio, col canale YouTube che il CONSORZIO DI TUTELA ha creato al link www.youtube.com/channel/UC6v2sTcxnYafYAlxSDJn4Q, attraverso il quale sono disponibili video tutorial in ben 15 lingue straniere (photo © Igor Normann – stock.adobe.com).
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2. The Gourmand si sfoglia su Instagram THE GOURMAND è una tra le più belle riviste di cultura gastronomica che fonde temi di attualità ad una visione artistica della realtà. Pubblicata nel Regno Unito, si trova nelle belle librerie in giro per il mondo. Da seguire anche su instagram. com/thegourmand (photo © instagram.com/thegourmand).
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food Benedetti
3. Alla scoperta del Pane toscano Dop “Oggi il pane toscano, il cui nome è riservato esclusivamente alla produzione del Pane toscano DOP, mantiene le stesse forme di una volta, con la crosta chiaroscura e la mollica compatta, friabile, porosa e caratterizzata dall’assenza di sale. L’ideale per accompagnare salumi e formaggi saporiti e molto altro”. Il Consorzio di tutela ha recentemente aggiornato il sito web che accompagna il consumatore alla scoperta dell’identikit di questo prodotto straordinario. Al link www.panetoscanodop.it trovate informazioni sulla sua storia, sulla filiera, sulle aziende produttrici e tante idee per abbinarlo a salumi e formaggi (photo © instagram.com/consorziopanetoscano).
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4. Prepariamoci a Terra Madre Salone del Gusto 2018 Si svolgerà dal 20 al 24 settembre prossimi Terra Madre Salone del Gusto e le novità dell’edizione 2018 sono tante! Cinque le aree tematiche #foodforchange — Slow Meat, Slow Fish, Semi, Cibo e salute, Api e insetti — con un programma messo a punto con le comunità del cibo di Terra Madre. Per organizzare al meglio la visita, l’iscrizione ai laboratori e la partecipazione ai corsi ecco il link al portale salonedelgusto.com. La trasferta a Torino sarà un’ottima occasione anche per scoprire le tantissime birre artigianali nella più grande piazza della birra d’Italia. “Il cibo è motore di cambiamento e tutti possiamo prenderne parte con gioia e gusto” (photo © instagram.com/slow_food_italia).
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I prodotti Dop e Igp entrano nel patrimonio della lingua italiana È on-line dallo scorso 27 giugno il Dizionario dei prodotti Dop e Igp italiani, il primo dizionario enciclopedico che rende facilmente accessibili le corrette informazioni sul patrimonio agroalimentare e vitivinicolo italiano. L’opera, a cura di Treccani Gusto, in collaborazione con Fondazione Qualivita, presenta in modo esauriente gli 821 lemmi (526 riferiti a vini e 295 ad alimenti) che definiscono le produzioni ad Indicazione Geografica italiane riconosciute. Pubblicato da Treccani, il dizionario si inserisce coerentemente nella tradizione dell’Istituto della Enciclopedia Italiana, che prende l’avvio, fra il 1955 e il 1961, con il Dizionario enciclopedico italiano, la prima grande opera lessicografica italiana del Novecento giunta a compimento. L’attenzione per la lingua italiana — sia nei suoi specifici aspetti linguistici e lessicografici, sia come specchio dei cambiamenti sociali e civili che il nostro Paese conosce — è una prerogativa costante che la Treccani ha coltivato negli anni, sin dalla sua fondazione. Tra questi importanti cambiamenti, negli ultimi decenni, ci sono quelli rappresentati dallo sviluppo del mondo agricolo e alimentare e, in particolare, dai prodotti difesi e valorizzati dalle Indicazioni Geografiche. Grazie allo straordinario lavoro dei Consorzi di tutela e dei produttori, sia sui singoli territori che in ambito nazionale, questi prodotti possono essere annoverati tra gli elementi portanti della cultura italiana e i loro nomi e le loro caratteristiche sono entrati nel nostro linguaggio quotidiano. Oggi tutto questo viene accolto in un sistema digitale unificato, capace di parlare a tutti: il portale Treccani. Per garantire la massima diffusione dei suoi contenuti, infatti, il Dizionario dei prodotti Dop e Igp italiani entra a far parte della base dati Treccani liberamente consultabile on-line, condividendone gli scopi e le finalità generali, volti a favorire la diffusione di un sapere critico e certificato e a contrastare la diffusione di informazioni false e di conoscenze sbagliate. Nello specifico ambito di pertinenza del Dizionario dei prodotti a Indicazione Geografica, l’offerta di uno strumento di orientamento, che consenta al pubblico più vasto possibile di distinguere ciò che è affidabile e autentico da ciò che non lo è, nasce per essere uno strumento concreto sia per valorizzare queste eccellenze, sia per lottare contro ogni forma di contraffazione. «Nell’anno del cibo italiano ho il piacere e l’onore di accogliere i prodotti agroalimentari Dop e Igp nel sistema dei contenuti digitali Treccani» ha detto Massimo Bray, direttore generale Treccani. «Grazie ai circa 600.000 accessi unici quotidiani al nostro portale, le eccellenze italiane del settore agroalimentare hanno a disposizione un nuovo, importante strumento per una tutela delle loro caratteristiche identitarie. Una tutela che, a partire da oggi, sarà sempre più connessa, anche nel panorama internazionale, a una migliore comunicazione dei valori culturali di cui questi prodotti sono portatori». >> Link: www.treccani.it/enciclopedia/elenco-opere/Dizionario_dei_prodotti_DOP_e_IGP
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Nasce Osservatorio Alimentare, la piattaforma per la corretta informazione della filiera agroalimentare Ha debuttato lo scorso maggio a Cibus Osservatorio Alimentare, la piattaforma digitale dedicata al settore agroalimentare italiano. Osservatorio Alimentare è un luogo di dibattito che privilegia sempre l’approccio scientifico, senza cedere ai facili sensazionalismi. Ma, soprattutto, è uno spazio di approfondimento a disposizione di cittadini e giornalisti su ciò che più ci riguarda da vicino: quello che mangiamo. Il cibo, infatti, è sempre più centrale nella nostra vita quotidiana. Basti pensare che, come si apprende da un’analisi del Censis (“Mangiare informati: come gli Italiani scelgono cibo buono e sicuro”, 2017), conosce, parla e si appassiona di cibo il 90,9% degli Italiani e il 93% dei giovani. Non solo. Da un’altra analisi del Censis emerge che sempre di più i consumatori chiedono informazione di qualità sul settore: l’85,7% degli Italiani e l’87,4% dei Millennials si informano prima di acquistare un alimento. Di questi, il 57% lo fa tramite il web. “Solo” il 30,1% degli Italiani prende come punto di riferimento per la propria informazione alimentare la TV. È evidente allora che una riflessione profonda sul “come” si parla dell’industria e della filiera agroalimentare italiana debba partire proprio dal canale più utilizzato oggi: il web. La nascita dell’Osservatorio va proprio in questo senso: garantire una corretta informazione basata su dati scientifici e contributi autorevoli di scienziati, nutrizionisti e professori universitari. >> Link: www.osservatorioalimentare.it
Tante storie, una sola Favola.
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AZIENDE Elicicoltura 3.0
Chiocciole in Franciacorta Nel Bresciano, a Monterotondo e Passirano, Tania e Manola Bosio allevano chiocciole a ciclo naturale biologico. Grazie alla collaborazione con il prestigioso Istituto Internazionale di Cherasco, oggi l’azienda la Regina del bosco organizza un allevamento di elicicoltura completo, che estrae anche secreto, utile per prodotti cosmetici di Riccardo Lagorio
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Chiocciole Helix aspersa in allevamento (photo © www.facebook.com/lareginadelbosco.bio).
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ono campi recintati che sbracciano circondati dai vigneti della Franciacorta quelli di TANIA e MANOLA BOSIO, giovanissime gemelle-custodi delle chiocciole bresciane allevate a ciclo naturale e biologico completo. La realizzazione di un sogno, una passione che prende forma nel 2015, dopo la laurea: il desiderio di un lavoro a contatto con la natura le porta ad approfondire un tema che avrebbe potuto garantire un buon rendimento, ma che soprattutto fosse… verde. «Ma cercavamo anche un lavoro che ci desse la possibilità di destinare un poco del nostro tempo all’impresa edile di nostro padre», racconta Manola. Gli incontri con SIMONE SAMPÒ, presidente dell’Associazione Nazionale Elicicoltori e direttore dell’Istituto Internazionale di Elicicoltura di Cherasco (CN), hanno fatto scoccare la scintilla perché «l’elicicoltura oggi rappresenta una valida alternativa ai sistemi tradizionali di allevamento, offrendo inoltre l’opportunità di interpretare il proprio ruolo in una dimensione imprenditoriale grazie alla creazione di una filiera ricca e diversificata. Dentro ci sono possibilità a portata di tutti: per chi desidera un ritorno al rapporto con la terra ed i suoi ritmi, chi ha un talento nel commercio, dalla gastronomia alla cosmesi, ai dispositivi medici, e ideale per chi possiede doti organizzative e comunicative», ha ricordato Sampò. Un progetto di elicicoltura 3.0, insomma.
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Tra le colline moreniche franciacortine, La Regina del bosco nasce dal desiderio della famiglia Bosio di stare a stretto contatto con la natura e gli animali. L’azienda è cresciuta rapidamente, con un progetto chiaro di sviluppo, e nel 2017 ha ricevuto il premio Lumaca d’oro, durante il Festival della chiocciola
La riproduzione avviene da giugno a settembre. Le chiocciole sono ermafrodite e depongono, dopo circa 24 ore di fecondazione, 100 uova l’una. Con un elevato tasso di mortalità (80%), soltanto 20 di quei 100 soggetti si risveglieranno dal letargo l’anno dopo In alto: Roberto Bosio. In basso: la Regina del bosco conta due allevamenti elicicoli a ciclo naturale completo di 20.000 m2 complessivi (photo © www.facebook.com/ lareginadelbosco.bio).
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La famiglia Bosio. Il progetto aziendale ha preso vita grazie all’interesse verso il mondo delle chiocciole di Tania, che ha poi coinvolto l’intera famiglia (photo © www.facebook.com/lareginadelbosco.bio). Le gemelle Bosio aderiscono senza tentennare al Disciplinare Chiocciola Metodo Cherasco e, nel 2016, il primo impianto a Monterotondo di Passirano (BS) è pronto. Manola spiega che «si parte dall’idea che le chiocciole vengono nutrite esclusivamente con vegetali freschi e senza ricorso ai mangimi. Oltre a garantire un prodotto alimentare sano e nutriente, ciò permette la creazione di una filiera che consente anche l’estrazione della bava, chiudendo il processo con la sua trasformazione per i settori della cosmetica, farmaceutica e i prodotti per la cura degli animali. Questo sistema non prevede la soppressione delle chiocciole». Operazione resa possibile grazie all’utilizzo del macchinario MullerOne per l’estrazione della bava di lumaca: un processo frutto della ricerca condotta dall’Istituto Internazionale di Elicicoltura, che ha permesso di superare i sistemi tradizionali ed ha offerto l’opportunità di raggiungere l’obiettivo di estrazione di bava con un metodo innocuo per gli animali. Il principio alla base del funzionamento è l’utilizzo dell’ozono per l’abbattimento delle cariche batteriche e di
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una soluzione stimolante a base naturale che non provoca danni alle chiocciole esposte al processo estrattivo, mentre gli altri sistemi prevedono impianti di acidificazione e vibrazione, che possono causare lesioni alla chiocciola. «La bava viene da noi conservata e poi trasformata a Cherasco», chiarisce Manola. La buona riuscita dell’investimento fa sì che i recinti raddoppino nel giugno 2017 e raggiungano la dimensione di 2 ettari dove crescono circa 2 milioni di chiocciole, metà destinate all’estrazione di bava, metà al settore alimentare. Le chiocciole destinate a uso alimentare devono crescere almeno 12 mesi per avere un guscio solido. «Le vendiamo vive, spurgate e insaccate da noi, oppure surgelate da parte dell’Istituto Nazionale Elicicoltori. Un laboratorio terzo provvede a preparare spiedini di chiocciola alla pancetta affumicata, che vengono consumati con polenta. Vendiamo tutti questi prodotti nel nostro spaccio, a pochi chilometri dagli allevamenti». Il cibo delle chiocciole consiste di colza, cavolo nero, bietola e varie insalate amare. L’assenza di diserbanti, di mangimi per gli animali e la raccolta a
mano fanno di questa giovane azienda uno dei pochi esempi a livello nazionale. «Uno dei momenti di soddisfazione più grandi, e di cui siamo più orgogliose, è sicuramente coinciso con la crescita dei primi esemplari fino al peso e alle dimensioni ideali per la vendita», riferiscono le due gemelle. Nel mese di dicembre intanto, anche prendendo spunto da esperienze condotte da parte dell’Istituto Internazionale di Elicicoltura di Cherasco, a Monterotondo di Passirano, Manola e Tania Bosio inaugurano “Coccole e chiocciole”, un’azienda didattica provvista di percorso benessere, al cui interno si trova anche una stuzzicheria in funzione per aperitivi, cene, eventi e cerimonie. In sostanza, una costola dell’Accademia della Chiocciola Metodo Cherasco, dove si propongono percorsi didattici per i bambini oltre a corsi di cucina e abbinamento vinochiocciole per gli adulti tra i filari della Franciacorta. Riccardo Lagorio La Regina del bosco E-mail: info@bionaturabosio.it Web: lareginadelbosco.bio
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Citterio e l’origine del salame di Milano Nato più di un secolo fa, ha permesso di portare le tradizioni italiane Oltreoceano. La ricetta originale, inventata da Giuseppe Citterio, ha legato questo prodotto alla sua città e ha fatto il giro del mondo
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l salame di Milano è certamente una delle eccellenze dell’agroalimentare italiano più amate, anche all’estero. Ma quanti conoscono esattamente la sua vera storia? L’origine risale a più di un secolo fa, nel 1870, quando un giovane GIUSEPPE CITTERIO aprì la sua salumeria a Rho, alle porte di Milano, inventando questa straordinaria ricetta per gli Italiani che emigravano
Oltreoceano in cerca di fortuna. La bontà del prodotto, l’intuizione di rendere continua una produzione che fino a quel momento seguiva cicli stagionali, insieme ad periodo storico particolare, crearono un mix vincente per la diffusione del salame di Milano anche in America, dove Citterio ha aperto nel 2016 uno stabilimento interamente dedicato alla produzione di salumi a
Freeland, in Pennsylvania. La produzione del salame di Milano venne talmente apprezzata che la sua partecipazione all’Esposizione Nazionale di Milano nel 1881— la prima grande mostra della produzione industriale italiana con oltre 7.000 espositori e un milione di visitatori — gli valse la conquista di una prestigiosa medaglia d’oro. Grazie alla particolare cura nella preparazione
Salame Milano Citterio. Oggi è prodotto a Santo Stefano Ticino, nei pressi di Milano, e segue ancora l’antica ricetta tramandata da generazioni. 28
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Vecchie pubblicità del salame Milano Citterio. dei suoi prodotti e l’innovazione dei processi produttivi, Giuseppe Citterio venne insignito di altre cinque medaglie d’oro nel corso di soli altri cinque anni. La grande tradizione e la bontà del lavoro fatto sono stati confermati dagli ottimi risultati conseguiti dall’azienda, non ultimo l’essere stati scelti per rappresentare la salumeria italiana all’interno del Padiglione Italia ad Expo Milano 2015. “Il salame di Milano si chiama così — spiegano dall’azienda — perché nasce nella periferia milanese. Il nome è legato alla sua origine e questa è una
visione che guida ancora oggi Citterio e il suo sviluppo industriale. Da sempre Citterio lavora e produce i suoi principali salumi nei rispettivi territori d’origine, nel rispetto e in difesa dei principi regolati dalle indicazioni DOP e IGP, rafforzando il legame tra il territorio e le sue ricette tradizionali. Ed è per questo che Citterio conta sette stabilimenti in diverse regioni: a Santo Stefano Ticino (MI), Poggio S. Ilario – Felino (PR), Vignola (MO), San Daniele del Friuli (UD), Gordona (SO) e Soprabolzano – Renon (BZ), Pandino (CR)”. Il salame
di Milano viene oggi prodotto a Santo Stefano Ticino, seguendo ancora l’antica ricetta tramandata da generazioni. Legato a mano e lentamente stagionato con fermentazione naturale, si ottiene un prodotto dal colore rosso rubino, con grana di grasso ben definita dalle dimensioni di un chicco di riso, profumo caratteristico, sapore pieno e delicato e consistenza compatta. Il gusto inconfondibile, insomma, è lo stesso, unico e genuino di un secolo fa. >> Link: www.citterio.com
Giuseppe Citterio è un giovane salumiere che, dopo un periodo di tirocinio a Milano, apre nel 1870 la sua salumeria a Rho. Ha inventato una ricetta per produrre e conservare la carne di maiale: il salame di Milano. La sua visione imprenditoriale diventa realtà nel giro di pochi anni: acquista un terreno alla periferia di Rho e fa costruire uno stabilimento modello. È il 1878. Quest’anno Citterio festeggia 140 anni di qualità, tradizione e innovazione nella produzione di salumi.
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PRODOTTI TIPICI
Mariola, buona sempre Nei mesi freddi si mangia cotta come un cotechino, mentre d’estate quella stagionata è deliziosa a fette con del buon pane
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aese che vai, salume che trovi. In quella fetta di terra tra la Bassa Parmense, il Piacentino e parte del Cremonese, ci imbattiamo in uno dei salami più tradizionali. È la mariola (o ciota come la chiamano nei dintorni di Cremona). Le versioni sono due: la mariola da cuocere, molto simile ad un cotechino, anche per le materie prime con le quali viene realizzata, e quella stagionata, un salame da tagliare a fette e gustare anche solo con un po’ di pane. Un tempo i signori di campagna volevano soltanto la seconda, la più difficile da stagionare, mentre chi non poteva permettersi un prodotto così difficile da conservare la mangiava cotta. La mariola nasce dalla tradizione salumiera cremonese. Per quanto riguarda la mariola cruda, le sue carni sono molto più leggere e digeribili rispetto a quelle del cotechino: anche se mantengono una giusta percentuale di cotenna, che viene finemente macinata, sono accuratamente sgrassate durante la preparazione, fino a farle assomigliare al salame cotto, ma meno asciutta. La mariola stagionata richiede invece una preparazione molto più lunga ed elaborata: questo grosso salame, più diffuso nel Piacentino e nel Parmense, è costituito da una miscela di carni magre macinate e da una piccola quantità di tenera cotenna finemente conciata, inserite assieme in un budello di maiale di dimensioni piuttosto importanti, molto più grandi di quelle del cotechino. Il particolare budello impiegato per
Una mariola realizzata con la lavorazione di carni suine selezionate, sale, vino, aglio e pepe dall’Antica Corte Pallavicina di Polesine Zibello (PR). Per insaccare la mariola si usa un particolare budello del maiale, dalla grande sezione e dalla forma irregolare e un po’ bitorzoluta, le cui pareti sono doppie e fra loro c’è un interposizione di uno strato di grasso. l’insaccato ha una forma bitorzoluta e irregolare: le sue pareti sono doppie e, tra di loro, si interpone uno spesso strato di grasso, che isola il composto in esso contenuto, mantenendolo fresco
per diversi mesi e facendogli assumere un particolare profumo. Il nome mariola deriva dal budello nel quale viene insaccata, dato che la “mariola” è una “tasca interna
Mariola, quella cruda è anche presidio Slow Food Il presidio valorizza esclusivamente quella cruda tradizionalmente prodotta nell’Appennino piacentino fino alla Bassa Parmense. Si produce utilizzando parti nobili del maiale e si insacca nell’intestino cieco che garantisce una lunga stagionatura (tradizionalmente un anno), mantenendo la carne morbida all’interno. Agli inizi del secolo infatti era consuetudine di queste zone che attorno al giorno della Madonna dell’Immacolata venisse macellato il maiale. Il maiale aveva oramai raggiunto il peso ideale dei 150/200 kg ed il clima freddo favoriva le pratiche di macellazione e conservazione delle carni. I prodotti ottenuti dovevano essere sufficienti per tutta l’estate e parte dell’inverno seguente, sino alla successiva macellazione. La mariola per le sue dimensioni di salame largo, il caratteristico sapore e la lunghissima stagionatura era spesso il salame delle festività natalizie. La sua conservazione era frutto dell’esperienza tramandata da generazioni. Il clima delle zone collinari del Piacentino, che verso il tardo inverno e durante la primavera risentono dell’aria temperata che spira della vicina Liguria, è l’ideale per la maturazione di questi salumi. >> Link: www.fondazioneslowfood.com
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nascosta” (dizionario etimologico italiano BATTISTI-ALESSIO, 1952). In effetti, nell’anatomia animale, l’intestino cieco può essere definito una “tasca”, in quanto privo di un’uscita, ed è proprio in una parte di budello dell’intestino cieco del maiale che si insacca il composto di carni — preferibilmente dello stinco e della spalla — e la morbida cotenna tritata, che vanno poi a costituire la mariola. L’area di produzione di questo salume, ormai molto raro, abbraccia oggi solo i comuni rivieraschi del Po come Polesine Zibello, Soragna, Roccabianca, Busseto, Colorno e Sissa. La sua stagionatura, infatti, è piuttosto difficoltosa senza additivi chimici ed è facile che, data la sezione particolarmente grande dell’insaccato, ed il suo
budello molto spesso, il risultato finale venga compromesso. In molti, per non correre rischi, utilizzano il particolare budello pensato per la mariola da stagionare per insaccare cotechini molto grandi, in modo da essere certi del risultato finale. Più diffusa nella provincia di Cremona, in passato destinata anche alle tasche dei meno abbienti, la mariola da consumarsi previa cottura è ottima servita calda, ma ugualmente buona fredda. Si presenta a fette larghe, di un colore rosa intenso e solitamente viene accompagnata da purè di patate oppure gustosamente accostata alla mostarda di frutta, altro prodotto tipico della Bassa Parmense. Alla mariola cotta vengono spesso aggiunte spezie, come cannella, noce moscata e macis.
Tradizionalmente quella cruda si consuma, come il culatello, durante le festività natalizie; la sua pezzatura è piuttosto abbondante (può arrivare a un peso di circa 2,5 kg), è decisamente più grande e pesante del salame e ha la forma di un palla un po’ schiacciata. Il suo impasto, spesso fatto con le carni avanzate dopo la produzione dei salumi più importanti, è più fine del salame piacentino ed è aromatizzato diversamente, con aglio, pepe e un po’ di vino bianco. In tavola si presenta a fette molto grandi, che vengono solitamente tagliate di sbieco. Al naso è muschiata con una piacevole nota di funghi, mentre al gusto è sapida e un po’ astringente. Ben si accompagna a vini frizzanti del territorio, sia bianchi che rossi, come l’Ortrugo e la Malvasia.
Igp alla salsiccia “Lucanica” di Picerno: per la Basilicata è il diciassettesimo prodotto ad ottenere l’Indicazione Geografica «Dopo oltre 10 anni di attesa, grazie anche al lavoro degli uffici dipartimentali, l’Indicazione Geografica Protetta per la Lucanica di Picerno è arrivata e il salume può essere finalmente commercializzato fregiandosi del riconoscimento europeo di qualità attribuito sia per i luoghi che alle tecniche di produzione. Le produzioni Igp e Dop sono una fetta consistente del nostro agroalimentare, dal potenziale economico in crescita, e che auspichiamo possano avvalersi dell’utilizzo della protezione europea al fine di potenziare ulteriormente sul territorio la filiera completa, dalla produzione alla trasformazione e, di conseguenza, la presenza nei diversi canali distributivi». Lo ha dichiarato l’assessore alle Politiche Agricole e Forestali Luca Braia in una recente conferenza stampa tenutasi presso il Dipartimento Agricoltura a Potenza, alla quale hanno partecipato anche il presidente del Consorzio Lucanica di Picerno Giovanni Lettieri, il professor Ettore Bove dell’Unibas, l’assessore all’Agricoltura del Comune di Picerno Nicola Figliuolo, gli imprenditori coinvolti nella produzione del salume e i sindaci dei 14 comuni dell’areale di produzione (Picerno, Tito, Satriano di Lucania, Savoia di Lucania, Vietri di Potenza, Sant’Angelo Le Fratte, Brienza, Balvano, Ruoti, Baragiano, Bella, Muro Lucano, Castelgrande, Sasso di Castalda). La salsiccia o Lucanica di Picerno è un salume dalla storia antica, di cui abbiamo traccia già dal I secolo a.C. negli scritti di Marco Terenzio Varrone. Prodotto e produzione sono fortemente legati all’identità di un territorio dove sono localizzate diverse aziende zootecniche suinicole e, naturalmente, i tre salumifici consorziati. Una produzione di circa 815.000 di salsiccia all’anno (di cui 15.000 kg di produzione casereccia), che per l’80% viene venduta fuori dai confini regionali, Puglia e Campania in primis, con un valore economico di circa 7,3 milioni di euro. Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea avvenuta a maggio, il MIPAAF ha autorizzato l’uso del marchio temporaneo, che garantisce, fino all’ufficialità del riconoscimento prevista per settembre, la protezione della denominazione di prodotto Lucanica di Picerno Igp. Nella foto a lato, una composizione di Lucanica della fotografa Barbara Cirigliano. Seguitela sul suo bel profilo instagram.com/bcirigliano (photo © instagram.com/bcirigliano). (Fonte: Regione Basilicata)
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Consorzio di Tutela e Promozione del Crudo di Cuneo D.O.P. Corso Dante Alighieri 51 - 12100 Cuneo · info@prosciuttocrudodicuneo.it
Dalla razza del Cuneese in pericolo di estinzione
Frabosana-Roaschina, formaggi e salumi di carattere di Roberto Villa
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riginaria delle vallate del Cuneese, era la razza ovina da latte più diffusa in Piemonte. Allevata nelle Valli Monregalesi, in alta Val Tanaro, nelle Valli Gesso, Vermenagna e Pesio in provincia di Cuneo e nella Valle Pellice in provincia di Torino, venne gradualmente sostituita con la razza delle Langhe; si sono salvaguardati nuclei di Frabosane in purezza solo nelle zone montane più impervie. Da una consistenza iniziale di 16-17.000 capi stimata negli anni Cinquanta dello scorso secolo, in seguito al rapido declino subito si contano attualmente circa 6-7.000 capi. La minor tendenza a gemellare e la produzione lattea inferiore furono i principali motivi della graduale sostituzione delle pecore Frabosane con quelle delle Langhe, soprattutto nella zona dell’Alta Langa dove, un tempo, le prime prosperavano per i loro spiccati caratteri di rusticità e resistenza. Altra causa del declino fu l’incrocio con razze a prevalente attitudine per la carne come la Biellese, praticato per migliorare la velocità di accrescimento degli agnelli. Le principali aree di allevamento sono alcune vallate alpine della provincia di Cuneo (Valli Monregalesi, Valle Gesso, Vermenagna e Pesio, Valle Grana) e la Val Pellice in provincia di Torino; alcuni allevamenti sono presenti anche in provincia di Asti, Alessandria e Vercelli. È stata inserita nelle razze a rischio di estinzione dalla normativa comunitaria ed ha ottenuto un Registro Anagrafico nel 1995. Il Consorzio e la rinascita, fino al presidio Slow Food Come mostrano le storie di decine di situazioni simili in giro per l’Italia, viene il momento in cui l’orgoglio e la passione
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Sola di pecora Frabosana-Roaschina a latte crudo dell’azienda agricola biologica En barlet di Chiusa di Pesio (CN). del territorio prendono il sopravvento sulle scelte meramente economiche, solitamente alla base dell’abbandono delle razze locali. Contestualmente all’iscrizione nel Registro nazionale delle Razze in via di estinzione, si è formato un Consorzio di valorizzazione e tutela, impegnato attivamente nella salvaguardia e nel recupero della Frabosana-Roaschina. Nel logo del Consorzio, depositato presso la Camera di Commercio di Cuneo, sono rappresentati gli elementi che caratterizzano l’allevamento: la ruota di un carro, che ricorda l’antica pratica della transumanza; la montagna, ambiente prevalente nel quale si svolge l’attività di allevamento; la testa di un montone con la scritta Frabouzan-Rouaschin, i due nomi
locali con cui è conosciuta questa razza ovina. Dopo un ventennio di attività del Consorzio, seppure con andamento altalenante per via della scarsità di risorse, nel 2016 è stato raggiunto l’importante traguardo del riconoscimento della razza come presidio Slow Food, che attualmente conta 16 allevatori, di cui 12 in provincia di Cuneo, 3 in provincia di Torino e 1 nell’Alessandrino. Ogni anno, la terza domenica di maggio, si tiene la Fiera interprovinciale dedicata alla pecora Roaschina per la promozione del suo allevamento e dei prodotti caseari locali (Brus, toma, nostrale). La manifestazione è organizzata dal Comune di Roaschia, in collaborazione con il Consorzio per il Recupero e la Valorizzazione della
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Tradizione e genuinità dal 1910
Prosciutto di Modena Dop un capolavoro del gusto italiano
Prosciuttificio Nini Gianfranco Srl Via Sicilia, 61 - 41056 Savignano sul Panaro (MO), Italy - Tel.: 059 730103 - Fax: 059 731599 E-mail: info@prosciuttificionini.it - Web: www.prosciuttificionini.it
razza Frabosana-Roaschina, la locale Pro Loco, l’Associazione Regionale Allevatori – Sezione di Cuneo, e con il patrocinio di Unione Montana “Alpi del Mare”, Regione Piemonte, Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ed ente di gestione Aree Protette delle Alpi Marittime. Sono previste inoltre altre iniziative culturali di promozione del patrimonio storico-culturale (realizzazione del Museo della transumanza roaschiese, valorizzazione della tradizione gastronomica, ecc…) a potenziamento e sinergia dei pacchetti turistici con i limitrofi comuni turistici di Valdieri, Entracque, Vernante e Limone Piemonte.
Principalmente formaggi, ma anche salumi L’attitudine prevalente della razza è la produzione di latte, che varia da 80 a 200 litri per una lattazione media di 150-180 giorni, con produzioni medie giornaliere non superiori ai 500 ml/ capo. Il latte munto viene trasformato in formaggio, puro (sola, saras) o miscelato a latte vaccino per la preparazione di formaggi tipici come Raschera e Castelmagno nella provincia di Cuneo, Toma e Seirass sotto fieno nella provincia di Torino. La produzione di carne è orientata verso l’agnello da latte di 12-15 kg di peso vivo ed è favorita dalla buona
precocità della razza (primo parto intorno a 13 mesi). La lana, ricavata da un’unica tosatura annuale (2-2,5 kg/ capo), è lunga e grossolana, adatta unicamente per materassi. Un tempo la pelle lanata degli agnelli, resa pregevole da una notevole arricciatura delle fibre, era ricercata per la preparazione di guanti e pelletteria varia. Tra i salumi ottenuti con le carni della razza, tipicamente da animali a fine carriera, vi sono sia salumi stagionati sia salumi cotti. Il salame di pecora è ottenuto utilizzando per la parte magra carne di pecora e per la parte grassa pancetta suina. Le carni dopo mondatu-
Caratteristiche biometriche e produttive della razza. Si tratta di una razza autoctona di taglia media, rustica e frugale, dal profilo tipicamente camuso e dalle corna appiattite, spiralate nei maschi e rivolte all’indietro nelle femmine, che ha una spiccata attitudine alla produzione di latte. La taglia è media con peso vivo di 75-85 kg nei maschi e 60-65 kg nelle femmine. La testa è pesante, con profilo spiccatamente montonino in entrambi i sessi; presenta caratteristiche corna appiattite e ricurve, avvolte a spirale nei maschi e rivolte all’indietro nelle femmine; le orecchie sono medio-piccole portate in basso e all’infuori; il collo è di media lunghezza, bene attaccato alla testa e al tronco. Il tronco è lungo, con diametri longitudinali prevalenti sui trasversali; gli arti sono piuttosto lunghi e leggeri; il vello si presenta di colore bianco-paglierino o marrone molto chiaro, con bioccoli conici e grossolani aperti che lasciano scoperta la testa, l’addome e gli arti; la pelle presenta frequenti macchie di colore fulvo sul naso e sugli arti. Sono stati individuati due tipi morfologici differenziabili sulla base delle caratteristiche biometriche: un tipo più pesante e più alto (85 cm al garrese) denominato Roaschino ed uno più leggero (75 cm al garrese) denominato Frabosano. L’origine di tale differenziazione sarebbe da attribuire ai diversi sistemi alimentari e di allevamento praticati un tempo: i pastori di Roaschia portavano le greggi a svernare in pianura mentre quelli di Frabosa trascorrevano l’inverno in montagna. La razza Brigasca (o la francese Brigasque) — allevata nelle due regioni confinanti, Liguria e Provence Alpes Côte d’Azur — è ritenuta affine o addirittura identica alla razza Frabosana. Identiche sono, in effetti, le principali caratteristiche morfologiche e le origini. I parti, di norma uno all’anno, sono concentrati nel periodo autunnale al rientro dall’alpeggio, ma possono protrarsi anche fino all’inizio della primavera successiva; la prolificità non è elevata (1,1-1,3 agnelli per parto). Gli agnelli sono allattati dalle madri per 30-35 giorni di età, fino al raggiungimento di un peso vivo medio di 12-15 kg. Successivamente, le pecore vengono munte manualmente per un periodo di circa cinque mesi. Relativamente alle tecniche di allevamento, un tempo era tipico per questa razza, in particolare per i pastori di Roaschia, scendere in pianura dopo aver sfruttato i pascoli di alta montagna. Il pastore girovagava per la Pianura Padana fino all’inizio della primavera, quando riprendeva la strada verso il comune di origine. Sono frequenti, presso la popolazione di Roaschia, le nascite in provincia di Pavia, Alessandria, ecc… In estate funzionava a Roaschia la scuola estiva, appositamente per i figli di pastori che in inverno erano via. In tempi più recenti, anche in pianura ci si appoggiava ad una cascina, almeno per i mesi più freddi. Ora tale usanza è praticamente scomparsa. Gli attuali allevamenti sono di tipo stanziale, utilizzando i pascoli alpini in estate, ma fermandosi nel periodo invernale presso l’azienda a fondovalle. L’alimentazione è basata sull’erba pascolata nella stagione vegetativa, mentre è quasi esclusivamente a base di fieno prodotto in loco in inverno.
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Tra i salumi cotti vi sono la terrina, la pancetta cotta ripiena, il prosciutto cotto e la spalla cotta al forno. La terrina di pecora si ottiene utilizzando i tagli non adatti alla produzione dei salumi, con l’aggiunta di fegato, sempre di pecora, e pancetta di suino. L’impasto è arricchito con aromi, spezie, uova, formaggio grattugiato, e cotto in forno ad una temperatura di 72 ºC al cuore. Il prodotto può essere consumato caldo oppure conservato sottovuoto ad una temperatura non superiore ai 4 ºC. La pancetta cotta ripiena si ottiene utilizzando la pancetta di pecora trattata con salamoia e farcita con un impasto di magro di pecora, pancetta di suino, verdure e spezie. Il preparato viene cotto in forno ad una temperatura di 72 ºC al cuore e può essere consumato caldo oppure conservato sottovuoto ad una temperatura non superiore ai 4 ºC. Prosciutto cotto e spalla cotta al forno di pecora sono ottenuti entrambi da un pezzo anatomico intero; vengono utilizzate cosce o spalle disossate di pecora. La carne viene trattata con salamoia costituita da: acqua, sale, marsala e nitriti
per il prosciutto; acqua, sale e marsala per la spalla. Le carni sono insaccate in rete e vengono conciate con un misto di spezie; la cottura avviene in forno fino a raggiungere una temperatura di 72 ºC al cuore del prodotto. Roberto Villa Contatti Consorzio per il recupero e la valorizzazione di razze ovine locali delle vallate piemontesi, Sezione I, Razza Frabosana-Roaschina SEDE LEGALE Municipio di Roaschia SEDE OPERATIVA Comunità Montana delle Alpi del Mare P.zza Regina Margherita 27 12017 Robilante (CN) Telefono: 0171/78240 Web: www.cmalpidelmare.org Nota La gran parte delle informazioni per la redazione dell’articolo sono state tratte dai siti web del Comune di Roaschia e della Comunità Montana delle Alpi del Mare.
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ra vengono macinate a grana media. La concia prevede l’uso di sale, pepe nero rotto e spezie. Viene insaccato in budello naturale di suino e fatto stagionare per circa un mese e mezzo a temperatura e umidità controllate. Il filetto baciato è un salume stagionato ottenuto dalla lavorazione delle carni di pecora. Il filetto viene avvolto prima da carne macinata di pecora e grasso di maiale poi si avvolge il preparato ottenuto con un fazzoletto di collagene e lo si pone in reti contenitive. La stagionatura è all’incirca di 6 settimane a temperatura e umidità controllate. Il violino è ottenuto dalla coscia non disossata della pecora. Prende il nome dalla forma e dalla modalità con cui viene affettato. Le carni vengono lavate con vino, salate, speziate e messe a riposo per 7 giorni a 2 ºC. Successivamente vengono massaggiate e messe a riposo per un medesimo periodo. Dopo il secondo riposo vengono massaggiate, legate e messe a stagionare per almeno 2 mesi. Talvolta le carni possono essere affumicate.
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Prosciutto crudo di Veglia prima Igp croata di Riccardo Lagorio
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all’aprile del 2014 il prosciutto crudo di Veglia (Krčki pršut) vanta il primato di essere il primo prodotto croato a vestirsi con un marchio europeo, una IGP. “Il maiale è uno dei membri indispensabili alla famiglia dell’isolano” scriveva nel 1874 GIAMBATTISTA CUBICH nel testo che analizza l’isola sotto l’aspetto sociale e naturale, specificando che i cittadini “condiscono la pasta con gli stufati mentre chi vive in campagna la cosparge di formaggio e l’annaffia
con brodo di prosciutto”. Anche un manoscritto rinvenuto nel monastero dell’isolotto di Cassione cita il modo per la lavorazione della coscia di maiale al fine di ottenerne prosciutto. Ha contribuito a suffragare il conferimento dell’IGP anche il voto ottemperato da STJEPAN ŽUŽIĆ di Monte di Veglia: all’inizio degli anni Venti del secolo scorso, una moria di maiali colpì il suo allevamento. Promise allora di versare almeno un prosciutto all’anno al convento di Cassione se le preghiere dei
monaci avessero arrestato l’epidemia. Così avvenne e, testimone l’abate, la consuetudine durò per oltre cinquant’anni, consentendo di provare i contenuti storici della produzione. Per fortuna che c’è la bora L’isola di Veglia possiede un clima umido ed è caratterizzata da estati afose e temperature superiori di 4 °C rispetto ad altre località poste sulla medesima latitudine. Ma è il vento a influire in maniera sostanziale sull’asciugatura
Le fette del prosciutto di Veglia sono di colore rosso-rosato, screziate di grasso intramuscolare. Morbido, il profumo di carne ben matura, in bocca vengono esaltati gli aromi della concia e il gusto, privo di difetti.
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Nella Casa del prosciutto crudo di Veglia è possibile toccare con mano le varie fasi produttive di questa specialità e conoscerne le particolarità. Per antica tradizione inoltre, dall’8 al 10 agosto di ogni anno, il prosciutto di Veglia Igp è al centro delle degustazioni di tutti i locali. Un’occasione da non perdere
della carne. «La bora porta vento e sale dai quadranti settentrionali. In inverno non passa giorno senza che ci venga a trovare», spiega ANTONIO ŽUŽIĆ, che con il fratello VJEKOSLAV continua la storica produzione di prosciutto sull’isola. Se per secoli gli stazzi sull’isola hanno provveduto alla fornitura di materia prima, da qualche tempo i suini provengono soprattutto dalla Slavonia. Almeno da quando l’incremento del consumo spinto dal turismo ha richiesto quantità superiori a quelle che potevano essere offerte dagli allevamenti locali. Ragione che ha convinto i produttori a scegliere la strada dell’IGP. Le cosce non devono comunque subire alcun trattamento di conservazione, se non la refrigerazione, e l’arco di tempo tra la macellazione e la salatura non deve essere superiore a 120 ore. «All’interno del nostro laboratorio garantiamo la salatura dopo 48 ore. E le cosce devono pesare almeno 15 kg, tre in più di quelli previsti dal disciplinare. Ma spesso lavoriamo cosce di peso ben maggiore», precisa Žužić, mostrando alcuni giganteschi pezzi che vantano anche tre anni di stagionatura dietro la vetrata nel laboratorio di Monte di Veglia.
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Veglia è nota per la sua žlahtina dorata e l’ottima carne di agnello, però è anche l’unica isola con un prosciutto crudo tutelato a livello europeo. Antonio Žužić, in foto, col fratello Vjekoslav continua la storica produzione isolana di prosciutto. Né dalmata, né istriano: un prosciutto croato Per ottenere un Prosciutto di Veglia IGP la coscia va separata dalla mezzena del suino fra l’ultima vertebra lombare e la prima vertebra sacrale. Inoltre, si richiede che sia priva di osso iliaco, ischio e osso sacro e che la muscolatura della coscia venga regolarmente arrotondata a semicerchio in modo che il bordo della coscia rifilata disti una decina di cm dalla testa del femore. Il prosciutto è privo di zampetto, che viene asportato a coltello a livello dell’articolazione tarsale, sopra la quale si può legare il prosciutto per il processo di asciugatura. La salatura avviene a secco. Poi il prosciutto di Veglia IGP segue parzialmente le due scuole di pensiero croate nella stagionatura del
pezzo anatomico e attinge qualcosa da entrambe: la coscia viene asciugata senza affumicatura, a differenza del prosciutto dalmata, ma viene mantenuta la pelle, a differenza del prosciutto istriano. «La salatura avviene con una miscela di sale, pepe, rosmarino e alloro, che conferiscono un caratteristico aroma al prodotto finale mentre il tessuto muscolare scoperto non viene cosparso di grasso se non nei punti in cui si creano delle incrinature. Su foglie di alloro adagiamo le cosce salate per circa 40 giorni, poi togliamo il sale e li portiamo a 2 °C con il 50% di umidità per la fase dell’asciugatura. La maturazione vera e propria avviene al 70% di umidità ad una temperatura variabile tra 15 e 18 °C», chiarisce Antonio Žužić.
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La Casa del prosciutto crudo di Veglia Nella trattoria, che è anche Casa Museo del prosciutto, questo viene tagliato a coltello, sotto lo sguardo allegro di una collezione di sopile (strumento musicale tipo oboe, NdR). Le fette sono di colore rossorosato, screziate di grasso intramuscolare. Il bordo della fetta è morbido, il profumo di carne ben matura. In bocca vengono esaltati gli aromi della concia, il gusto, privo di difetti. Il modo migliore per assaggiarlo è accompagnandolo al formaggio ovino locale. Nella Casa del prosciutto il pane, morbido e ancora caldo, viene impastato con una leggera fetta di prosciutto. Col prosciutto si celebra anche il patrono, San Lorenzo Per antica tradizione, dall’8 al 10 agosto di ogni anno, in occasione della festa di San Lorenzo, il prosciutto di Veglia IGP è al centro delle degustazioni di ogni locale. Occasione da non perdere. Riccardo Lagorio Kuća Krčkog Pršuta Žužić di Vjekoslav Žužić Bok od Brozića 40 51500 Vrh, Krk (Monte di Veglia, Isola di Veglia) Croazia Telefono:+385 51 220210 E-mail: krckiprsut@gmail.com Web: www.kuca-krckog-prsuta.com
Il pane impastato col prosciutto servito nella Casa Museo del prosciutto.
Lorenzo Beretta riconfermato alla presidenza dell’ISIT L’assemblea dell’Istituto Salumi Italiani Tutelati (ISIT) ha rieletto alla presidenza per il secondo mandato consecutivo Lorenzo Beretta, in carica dal 2015. ISIT, associazione che riunisce i Consorzi di tutela di 22 salumi italiani Dop e Igp, si occupa in particolare del coordinamento strategico dei Consorzi che vi aderiscono, di tenere continui rapporti con le istituzioni di riferimento e di promuovere iniziative di valorizzazione, comunicazione e salvaguardia. Beretta, laureato in Economia e Commercio e da anni è impegnato presso l’azienda di famiglia, la F.lli Beretta Spa, ha una qualificata esperienza in ambito consortile e associativo. «Sono orgoglioso di poter continuare il lavoro cominciato tre anni fa al fine di potenziare sempre di più il ruolo di ISIT quale ente di riferimento della salumeria tutelata sia verso le istituzioni, nazionali ed internazionali, sia verso altri interlocutori, tra cui le associazioni di categoria, per far fronte alle sfide e ai continui cambiamenti dello scenario in cui operiamo» ha dichiarato Beretta. «Stiamo vivendo un momento straordinario per le Dop e le Igp, sempre più traino del comparto agroalimentare soprattutto grazie all’export. I nostri salumi Dop e Igp sono richiesti ed apprezzati dai consumatori che guardano all’Italia come punto di riferimento dell’agroalimentare di qualità. Come istituto, continuerà il nostro impegno per valorizzarli, farli conoscere e salvaguardarli dalle continue imitazioni». >> Link: www.isitsalumi.it
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Pitina Igp, via libera dall’Europa Prodotto tipico friulano e già presidio Slow Food, la pitina è un insaccato fatto con carne di pecora, montone o capra tritata finemente e compattata a forma di polpetta. Ora ha ricevuto il riconoscimento Igp dall’UE
È
ufficiale, la pitina è finalmente un’Indicazione Geografica Protetta. Questo tradizionale salume a base di carni ovicaprine o di selvaggina, è stato riconosciuto dall’Unione Europea prodotto IGP. Si tratta del 296o prodotto italiano ad entrare nel registro dei prodotti agroalimentari di qualità riconosciuta e certificata dell’UE. L’Italia è il Paese che gode del maggior numero di prodotti iscritti a questo registro (statistiche Italia
Qualivita) e il Friuli Venezia Giulia ne contempla 9 in tutto: 5 nel solo territorio regionale (Prosciutto San Daniele DOP, Prosciutto di Sauris IGP, Pitina IGP, Tergeste DOP, Brovada DOP), 1 il cui areale si estende anche in Veneto (Montasio DOP), oltre alle 2 STG nazionali (statistiche Friuli Venezia Giulia Qualivita). Descrizione La pitina IGP è un prodotto a base di carni ovicaprine o di selvaggina
ungulata, conservata grazie ad un processo di affumicatura e a uno strato protettivo di farina di mais. Si ottiene da un impasto costituito da una frazione prevalentemente magra di carne di una delle seguenti specie animali: ovino, caprino, capriolo, daino, cervo, camoscio e una frazione prevalentemente grassa di pancetta o spallotto di suino. Può essere messa in commercio non prima che siano trascorsi 30 giorni dall’inizio della lavorazione (data di impasto).
La pitina è simbolo delle tradizioni enogastronomiche del Friuli Venezia Giulia e l’ottenimento della Igp contribuisce a dare impulso alla produzione e alla promozione anche in chiave turistica del territorio (photo © Massimiliano Rella).
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A differenza degli altri salumi, la pitina non ha involucro. Questo perché nelle zone montane era difficile procurarsi budelli per la conservazione degli insaccati. Aspetto e sapore La pitina IGP si presenta esternamente di forma semisferica. Il colore è compreso tra il giallo dorato e il giallo bruno, mentre all’interno è compreso tra il rosso vivace ed il bordeaux carico con la parte più esterna più scura. Al taglio l’impasto è visibilmente magro con grana molto fine. Il sapore è complesso e sapido con caratteristico aroma di fumo. Il peso è compreso tra i 100 e i 300 grammi. Zona di produzione Esclusivamente nel territorio dei comuni di Andreis, Barcis, Cavasso Nuovo, Cimolais, Claut, Erto Casso, Frisanco, Maniago, Meduno, Montereale Valcellina, Tramonti di Sopra e Tramonti di Sotto, in provincia di Pordenone. Commercializzazione La pitina IGP viene commercializzata intera, confezionata sottovuoto o in atmosfera modificata. In cucina È buona sia cruda che cotta. Può essere scottata nell’aceto oppure ammorbidita nel brodo e servita con la polenta. Una delle ricette tradizionali, il cao, la vede cotta nel latte vaccino appena munto. Ancora, può essere rosolata nel burro e aggiunta in zuppe, vellutate o minestroni.
Oggi sono rimasti pochi produttori di pitina, tra i quali Filippo Bier, dell’omonima macelleria di Meduno (photo © Massimiliano Rella).
La parola a Filippo Bier Filippo Bier è titolare della Macelleria Bier di Meduno (PN), responsabile dei presidi Slow Food del Friuli Venezia Giulia e produttore di pitina da 25 anni con una lavorazione artigianale. «La pitina della Valtramontina — ci dice Bier — si fa con la carne di animali anziani di 3-6 anni perché più asciutta. Questo prodotto tradizionale è nato proprio per valorizzare anche gli esemplari adulti meno appetibili». La pitina è una risorsa in cucina e in tavola. Fresca, dopo 30 giorni di stagionatura, può essere mangiata cotta, affettata e appena scottata in aceto, oppure rosolata leggermente in burro e cipolla e servita con la polenta. È ottima anche con un minestrone di patate o cotta in latte di vacca appena munto. La ricetta più antica la vede cotta in brodo di polenta e aromatizzata con ginepro e rosmarino. Dopo 60 giorni di stagionatura è un gustoso insaccato da mangiare a fette con il pane o presentato su saporiti taglieri in abbinamento a qualche ottimo calice di vino friulano. >> Link: www.pitina.eu
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EVENTI Successo per il “Porte aperte” al prosciuttificio Carni Dock di Lagnasco
Il crudo di Cuneo Dop presentato ad autorità e operatori di mercato
S
uccesso per l’iniziativa “Porte aperte del Prosciutto crudo di Cuneo DOP”, svoltasi il 4 giugno scorso al prosciuttificio Carni Dock di Lagnasco con l’obiettivo di far conoscere e apprezzare le innumerevoli qualità di questa eccellenza cuneese. Al workshop hanno partecipato quasi 300 persone — tra le quali, il prefetto di Cuneo GIOVANNI RUSSO, i senatori GIORGIO BERGESIO, MARCO
PEROSINO e MINO TARICCO, e l’assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte GIORGIO FERRERO — che hanno potuto scoprire i segreti del prelibato salume cuneese e conoscerlo a fondo nella successiva degustazione guidata al Castello di Lagnasco. Qui il prosciutto crudo di Cuneo DOP ha incontrato altre prelibatezze del territorio, come i formaggi Bra e Raschera DOP e i vini del Piemonte. «Sono felice di rimarcare
ciò che è stato fatto in questi anni» ha commentato CHIARA ASTESANA, presidente del Consorzio di tutela e promozione del crudo di Cuneo. «Quando siamo partiti, alla fine degli anni ‘90, non pensavamo di raggiungere un risultato simile. Nel 2009, dopo aver ottenuto il riconoscimento dalla Comunità europea, durante la presentazione dissi che avevamo raggiunto un primo traguardo ma che molta strada rimaneva da fare.
Il prosciutto crudo di Cuneo Dop presenta un colore rosso uniforme e un peso, a stagionatura ultimata, fra i 7 e i 10 kg.
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produzione di 2.000 pezzi, l’anno scorso siamo arrivati a 14.000. Quest’anno puntiamo a 16.000. Questa è la conseguenza della politica dei piccoli passi, lavorando duramente, senza fretta ma con tanta determinazione».
Nel corso del pomeriggio i partecipanti al workshop hanno potuto conoscere a fondo la produzione del crudo di Cuneo, scoprendone tutte le fasi di lavorazione: salagione (1o sale e 2o sale), periodo di riposo, pre-stagionatura, durante la quale vengono eseguite due o più applicazioni di sugna (sugnatura) allo scopo di proteggere la parte della coscia non ricoperta dalla cotenna, e stagionatura, che può durare anche più di un anno. Complessivamente il processo produttivo dura 24 mesi. Ho avuto la fortuna di trovare in LUIGI ALLASIA, AD di Carni Dock, la persona che ha condiviso con me questo progetto (Luigi Allasia è recentemente scomparso, si veda box dedicato, NdR). Non è stato
facile perché dovevamo distinguerci da altri marchi nazionali ben più strutturati del nostro. Per farlo dovevamo puntare su un prodotto di alta qualità, prodotto in modo artigianale. Siamo partiti con una
Dolce, magro e con una tracciabilità unica Dal punto di vista nutrizionale il crudo di Cuneo DOP appartiene alla categoria dei salumi magri, con basso contenuto di sale. La riduzione del contenuto di sale è consentita dalle condizioni igieniche ottimali nelle quali vengono lavorate le cosce e dal rispetto rigoroso della catena del freddo nelle prime settimane di lavorazione. Inoltre, grazie alla carta d’identità fissata ad ogni prosciutto, leggibile con un QR code, si può conoscere l’esatta provenienza del prodotto, garanzia unica di un prosciutto DOP. >> Link: www.prosciuttocrudodicuneo.it Nota L’iniziativa “Porte aperte del Prosciutto crudo di Cuneo DOP” rientra in un programma di azioni più complessivo realizzato insieme ai Consorzi di tutela dei formaggi Bra e Raschera DOP e al Consorzio Vini del Piemonte ed è cofinanziato dalla Regione Piemonte nell’ambito del PSR 2014.2020 Misura 3.2.1.
Lutto nel Consorzio di tutela del Prosciutto Crudo di Cuneo Dop: il settore salumiero piange la scomparsa dell’imprenditore Luigi Allasia Lo scorso 20 giugno è improvvisamente mancato l’imprenditore Luigi Allasia, 50 anni, stroncato da un male incurabile. Era vicepresidente del Consorzio di tutela del Prosciutto Crudo di Cuneo Dop e amministratore delegato del marchio Carni Dock, azienda di Lagnasco di cui era stato il fondatore nel 1990 con Pierino Rubiano e in cui oggi lavorano un’ottantina di dipendenti. Professionalmente era cresciuto negli anni, iniziando la sua attività come allevatore di terza generazione. Molto stimato nel Cavourese e nel Saluzzese, tutti lo ricordano come un uomo di grandi valori morali, coraggioso, professionale e lungimirante. La sua idea di avviare una produzione industriale di prosciutto crudo mantenendo le caratteristiche della lavorazione artigianale ha dato al Piemonte un crudo Dop: il riconoscimento è arrivato nel 2009 per un prodotto di altissima qualità, ben riconoscibile sul mercato e venduto solo nei negozi e nei ristoranti di nicchia. Luigi Allasia lascia la moglie Chiara Ballarino (titolare con il fratello Giovanni della gioielleria omonima a Cavour), le figlie Angelica e Goretta e i figli Francesco e Danilo. Le più sentite condoglianze alla famiglia Allasia da parte della Redazione di Premiata Salumeria Italiana. (Fonte: Eco del Chisone)
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Medaglia d’oro per il Piemonte al Mondial Rabelais du Saucisson Un salame crudo dal gusto antico, prodotto e lardellato a mano e lasciato stagionare per 40 giorni al calore della stufa, seguendo una tradizione familiare che si tramanda da secoli. È questa la ricetta vincente che lo scorso 10 giugno ha permesso al Salam ‘d Giors di conquistare la medaglia d’oro nella categoria Grand Tradition al Mondial Rabelais du Saucisson, il primo concorso dedicato ai migliori salami del mondo svoltosi a Vanosc, nel Dipartimento dell’Ardèche, Francia. Col suo Salam a Moda Veja, piccolo gioiello della tradizione salumiera piemontese, l’azienda agricola di Giorgio “Giors” Bertoli (qui fotografato insieme al salame vincitore) ha conquistato una selezionata giuria internazionale, sfidando oltre 200 agguerriti salumieri. Dopo aver superato con successo la prima selezione a marzo, il giovane salumiere di Macello (TO) ha onorato, in finale, i colori della bandiera italiana, conquistando un premio prestigioso e portando Oltralpe un assaggio dell’eccellenza gastronomica della sua regione. Passione, pazienza e genuinità ma anche sincero rispetto per i suoi maiali, allevati allo stato semibrado e nutriti con ottimi mangimi naturali sono i segreti che fanno della produzione artigianale de I Salam ‘d Giors una bontà tutta da scoprire. «Sono onorato ed emozionato di aver ricevuto questo premio» ha detto Giorgio. «È una grandissima soddisfazione personale ma anche un auspicio: quello di riscoprire e riportare in tavola il valore e la qualità delle vere produzioni artigianali del nostro territorio, dove è proprio il gusto a fare la differenza». >> Link: www.isalamdgiors.com Facebook e Instagram: @isalamdgiors
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Inaugurata la nuova sede del Consorzio di tutela dell’Aceto Balsamico di Modena Igp Nuova sede per il Consorzio di tutela dell’Aceto Balsamico di Modena Igp: è stata presentata mercoledì 11 luglio, con un convegno tematico presso Palazzo Fontanelli in via Ganaceto 113 a Modena. A portare un saluto istituzionale il vicepresidente della Camera di Commercio di Modena Gian Carlo Cerchiari, il sindaco di Modena Gian Carlo Muzzarelli, il direttore della Fondazione Qualivita Mauro Rosati, il presidente di AICIG Cesare Baldrighi e l’assessore all’Agricoltura della Regione EmiliaRomagna Simona Caselli. «Siamo una regione con 44 denominazioni tra Dop e Igp – ha premesso la Caselli — un record europeo frutto di un lavoro molto forte di protezione di prodotti che vengono in molti casi da tradizioni iniziate secoli fa. In un contesto simile, è importante garantire al sistema le condizioni per essere competitivo e ciò lo si può fare attraverso gli investimenti in innovazione, preservando la componente tradizione nelle modalità in cui il sapere, inteso come conoscenza ed esperienza, si è tramandato nel tempo». «L’apertura della nuova sede a Palazzo Fontanelli, di fronte alla sede della Camera di Commercio, rappresenta un segnale della volontà di consolidare il legame con la città e il territorio» ha detto la presidente del Consorzio Aceto Balsamico di Modena Igp Mariangela Grosoli. «Un’operazione strategica, dettata dalla sempre più stretta coesione tra i soci per una crescita ulteriore sia del Consorzio che del comparto, un segmento dell’agroalimentare di qualità italiano con un valore economico di oltre un miliardo di euro, primo tra le Dop e Igp per l’export con oltre il 92% della produzione. Tutto questo genera migliaia di posti di lavoro e rappresenta l’esempio positivo di un’Italia imprenditoriale fondata sulla tradizione che ha saputo fare sistema e guardare al futuro con fiducia».
I 120 anni in rosa della Bottega del Macellaio “La cosa più preziosa che puoi ricevere da chi ami è il suo tempo. Non sono le parole, non sono i fiori, i regali. È il tempo. Perché quello non torna indietro e quello che ha dato a te è solo tuo, non importa se è stata un’ora o una vita. Un ringraziamento a chi è stato con noi, agli amici, ai clienti e a tutte le persone che hanno partecipato alla nostra storia”. Con queste parole e un po’ di emozione Guido Mongiorgi, titolare della Bottega del Macellaio, storico locale situato nel centro di Savigno, in provincia di Bologna, ha voluto ringraziare i partecipanti — oltre un centinaio — alla cena sotto le stelle organizzata già da qualche estate nella piazzetta antistante il locale e con la quale quest’anno si è voluto celebrare un compleanno davvero speciale. Sono infatti ben 120 le candeline spente dalla Bottega, indirizzo sicuro per i buongustai in visita nel territorio della Valsamoggia. Un’attività, quella della famiglia Mongiorgi, che è cresciuta e si è arricchita nel tempo grazie all’intraprendenza e alla passione di Guido, affiancato da sempre dalla moglie Anna e oggi anche dal figlio Amedeo, allargando la tradizionale offerta della macelleria-salumeria con un ricco reparto di gastronomia, una proposta enologica importante e un’attività saltuaria di ristorazione. Solo l’indirizzo non è mai mutato e questo tempio delle cose buone si trova ancora lì, sotto i portici del paese, in via Marconi 2, dove lo aprirono nel 1898 Cleofe Maselli e il marito Guido Mongiorgi. La cena di compleanno della Bottega del Macellaio, dedicata al “gusto delle tentazioni”, ha visto protagonista il rosa, declinato nei dettagli della tavola, nel grembiule dei camerieri, nei bicchieri, col rosé Rosamara della cantina Costaripa di Valtenesi, sul Lago di Garda, che ha collaborato alla realizzazione della serata insieme alla Majani Cioccolato e al Club amici del Toscano. Rosa anche per gli eleganti abiti vintage delle artiste della Silk Ribbon Burlesque Academy ma, soprattutto, rosa come simbolo di tutte le donne ed in particolare di quelle dell’associazione “Il Seno di Poi Odv” (www.ilsenodipoi-odv.it), che dal 1999 offre assistenza e sostegno delle donne operate di carcinoma mammario. “Con questo evento celebriamo i 120 della nostra attività nella maniere più bella!” ha detto Guido Mongiorgi. Anche il futuro è rosa. >> Link: labottegadelmacellaio.com
A sinistra: i tavoli apparecchiati con dettagli “rosa” nella piazzetta di fronte alla bottega. A destra: l’antipasto ovvero crema di ricotta con cipolla caramellata, filetto di speck e cialdine di polenta.
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COMUNICAZIONE
Tipico vendesi Abbiamo un patrimonio enogastronomico tra i più ricchi al mondo, vantiamo il maggior numero di prodotti a denominazione e, nonostante ciò, incontriamo forti difficoltà a far arrivare al consumatore un messaggio chiaro ed efficace sui cibi tipici e tradizionali. Di contro i consumatori, scarsamente informati, fortemente disorientati nella giungla dei marchi pubblici e privati, non sono ancora in grado di cogliere le caratteristiche distintive dei prodotti della nostra cultura. Non sanno dunque come trovarli, dove acquistarli, come distinguerli di Sebastiano Corona
L’
alimentare vive momenti di gloria. Non c’è canale televisivo in cui, ad una certa ora, non compaiano degli chef nel pieno delle loro funzioni; le sagre di prodotti locali si sprecano; i flussi turistici, secondo i sondaggi,
sono in gran parte dovuti al desiderio di mangiare bene; l’export va a gonfie vele. Potrebbe bastare, forse. Ma non è così, tanto più che una fascia ampia di prodotti ha comunque difficoltà a raggiungere alcuni mercati e ad ottenere la giusta remunerazione. Nel
contempo, sono molti quelli di incerta provenienza e discutibile fattura che, in particolare all’estero, riescono a sfruttare parassitariamente il nome del prodotto tradizionale italiano per trarne grandi ed immeritati vantaggi. Il mercato del tipico porta in dote una
Banco salumi e formaggi a Eataly Roma (photo © admissions.johncabot.edu).
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Nel tipico, il connubio di odori, profumi, sapori, colori, rievoca sensazioni che vanno al di là delle reali caratteristiche del bene. In sostanza, il tipico fa rivivere uno o più momenti della nostra esistenza e ciò diventa il fattore chiave che fa apprezzare il prodotto al di là del suo gusto
Nella comunicazione sul prodotto tipico il canale distributivo riveste molta importanza, in quanto è in grado di modificare la percezione del consumatore (photo © www.gruppogranarolo.it).
Nella promozione dei prodotti a denominazione gioca un ruolo essenziale il Consorzio di tutela, che deve invitare, educare e informare il consumatore verso la scelta del prodotto giusto e il suo riconoscimento tra i tanti. Questa azione compatta, inoltre, consente di evitare “fughe” di imprese che pretendono di operare in solitudine, danneggiando concorrenti e mercato
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serie di marchi e certificazioni che hanno lo scopo di garantire qualità. Il rovescio della medaglia è che, in un mare di loghi, il consumatore non sa esattamente cosa scegliere, proprio perché stordito dall’abbondanza di elementi che non sono per lui così significativi. Si va dalle denominazioni europee quali DOP, IGP, STG — queste forse le più semplici da individuare — a marchi geografici collettivi, marchi pubblici e privati, certificazioni di qualità, di prodotto, di origine… Molta confusione, dunque, nonostante gli investimenti importanti che negli anni sono stati fatti a tutti i livelli in comunicazione. Si tratta, tuttavia, di un elemento non trascurabile, tanto più che un messaggio scarsamente efficace, o addirittura distorto, non solo non produce l’effetto sperato, ma paradossalmente è foriero di problemi, poiché dirotta il consumatore verso altri prodotti e finisce addirittura per premiare cibi di qualità e prezzo inferiore, generando danni importanti alla filiera. La questione non è dunque quanto comunicare, ma soprattutto come farlo. Il punto di partenza è il prodotto che si intende promuovere. Il tipico e il tradizionale sono strettamente legati al proprio vissuto, per questo nel nostro Paese assumono un tale peso. Nell’ad-
dentare una specialità regionale, il consumatore spera di rivivere l’esperienza sensoriale che lo riporta ad alcuni valori simbolici per lui importanti. Nel tipico, il connubio di odori, profumi, sapori, colori rievoca sensazioni che vanno al di là delle reali caratteristiche del bene. In sostanza, fa rivivere uno o più momenti della propria esistenza e questo fatto diventa il fattore chiave che fa apprezzare il prodotto al di là del suo gusto. Non a caso tipico e tradizionale evocano un senso di appartenenza e di gratificazione che subito riporta il consumatore alla sua famiglia, alla tradizione, all’infanzia e alla convivialità. Ed ecco che il prodotto e la sua qualità divengono la sintesi di una serie di elementi, dove la dimensione intrinseca (sapore, gusto distintivo, gradevolezza al palato) ha un ruolo parziale. Ci sono una serie di altri elementi di pari importanza, infatti. Tra questi, le caratteristiche estrinseche, cioè il suo aspetto, il colore, il formato, la confezione. È anche la sicurezza a guidare il consumatore: la sua convinzione che quel prodotto sia realizzato in condizioni igieniche ottimali, con l’impiego di materie prime genuine e sane, e possibilmente garantite da un ente terzo.
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Asiago Dop Prodotto della Montagna, specialità riconosciuta dalla UE dal 2006. I prodotti a denominazione hanno un vantaggio competitivo importante su quelli che ne sono privi dato dal logo che li accompagna, ma scontano anche tutte le difficoltà legate ad una platea di produttori quasi sempre ampia e variegata e non necessariamente compatta e con una comune visione di sviluppo. Sorge subito dopo la necessità di accertare la provenienza geografica del cibo, che si intenda semplice luogo di trasformazione delle materie prime, o anche loro esatta zona di coltivazione o allevamento. Subentrano, infine, con un’importanza affatto secondaria, elementi come il senso di appartenenza, e quindi la capacità di identificare il prodotto come un cibo della propria comunità, della propria cultura, della propria tradizione locale o famigliare. C’è inoltre un fattore strettamente soggettivo che induce ad acquistare una specialità tipica: l’emozione che evoca per un legame a ricordi personali. L’esperienza, che pure è un elemento importantissimo nella vendita dei prodotti alimentari, ha dovuto purtroppo cedere il passo alla necessità di razionalizzare ciò che si mangia per sentirsi più sicuri. Gli scandali alimentari degli ultimi anni, talvolta anche privi di fondamento — o anche solo dell’importanza che certi organi di stampa gli hanno volutamente assegnato — hanno generato nel consumatore una tale paura che l’esigenza di accertarsi che il prodotto sia genuino e privo di sofisticazioni è
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divenuto più importante del desiderio di esplorare in ambito alimentare. Va bene dunque l’assaggio di cose nuove, purché qualcuno assicuri che sono state opportunamente manipolate. Un’importanza fondamentale nella comunicazione sul prodotto tipico è rappresentata dal canale. Quello non specializzato attribuisce automaticamente al prodotto un’aura di più scarsa qualità. Al contrario, il canale specializzato lo qualifica a prescindere dal fatto che abbia o meno elementi intrinseci di valore. Ciò che viene acquistato in canali despecializzati sembra dunque — agli occhi del cliente — mostrare una qualità inferiore rispetto allo stesso identico prodotto acquistato in negozi di specialità tradizionali, dove anche solo il nome del rivenditore diventa elemento di garanzia. Ne deriva che l’azione comunicativa assume un ruolo fondamentale, soprattutto laddove è necessario colmare il gap rappresentato dal canale distributivo che — come detto — paradossalmente rappresenta di per sé una variabile importantissima. E poiché le grandi superfici di vendita sono comunque indispensabili nella nostra vita quotidiana, chi sceglie quel
canale per vendere il prodotto tipico si deve prendere la briga di intervenire per colmare il gap. E lo deve fare in ambito comunicativo, facendo cadere il pregiudizio del consumatore. Per questo può essere efficace una promozione che includa l’assaggio, ma anche la realizzazione di una linea specifica di prodotti tipici; si pensi a quelle che valorizzano le specialità regionali e che hanno talvolta anche degli spazi dedicati all’interno dello store, oltre che un marchio ben identificabile come garanzia di tradizione, di qualità e di provenienza. Queste tipologie di brand, pur essendo marchi privati dove è un operatore della Distribuzione Organizzata o della Grande Distribuzione Organizzata a fare una cernita tra prodotti a cui attribuire il marchio, appaiono agli occhi del mercato come brand collettivi, con tutta l’importanza che a questi viene normalmente riconosciuta. I brand industriali, al contrario di quelli dei distributori, non hanno un impatto forte sul consumatore. Paradossalmente, il fatto di investire grosse risorse in comunicazione rende il prodotto, agli occhi del mercato, come più dozzinale e la stessa campagna capace di snaturare il cibo proposto, svilendolo. Nell’immaginario collettivo, un prodotto buono, tipico, genuino, ha di per sé le carte in regola per essere apprezzato, pertanto non necessita di ampie campagne promozionali. Tutt’altro. C’è un ulteriore elemento che fa breccia nel consumatore: la scarsa specializzazione dell’azienda. Il produttore che ha un catalogo molto ampio e una produzione importante, per ovvie ragioni anche standardizzata, agli occhi del mercato si allontana dal tipico, a prescindere dal valore intrinseco del prodotto. Ma le variabili risiedono altresì nella dimensione geografica, nella storia e nella cultura del luogo in cui il prodotto viene proposto. È chiaro che, a seconda della regione o della zona di provenienza, un certo tipo di comunicazione può essere infatti più o meno efficace. Va valutato quindi ogni singolo caso. Il consumatore esperto tende ad affidarsi al produttore locale associato al consorzio e, solo in seconda battuta, ad un negozio specializzato i cui prodotti gli sono però già noti, talvolta anche
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perché fregiati di una denominazione europea o di un marchio prestigioso. Il ruolo della marca, in generale, cambia in ragione del consumatore e di quanto sia esso preparato in materia di prodotti alimentari. I brand collettivi, pur avendo maggior presa rispetto a quelli industriali di una singola impresa, sono più facilmente riconoscibili dal consumatore esperto anziché da quello disinformato. L’estimatore è in grado di riconoscere le caratteristiche intrinseche dei prodotti, ma anche il luogo di provenienza, i processi e la stagionatura, se necessaria. Esistono altre contraddizioni. Il brand industriale su un prodotto tipico non è sempre un elemento negativo. Diventa infatti tanto più garanzia per il consumatore quanto più ci si allontana dalla zona di produzione. Coloro che comprano il prodotto tipico del proprio territorio lontano dalla propria zona di provenienza — soprattutto se all’estero — tendono ad acquistarlo in uno spazio di vendita non specializzato e per questo, a maggior ragione, si affidano al brand industriale. Tendenzialmente i consumatori ricercano il marchio industriale — come fosse un elemento di garanzia della qualità —, tutte le volte che si trovano lontani dal proprio territorio di provenienza, dove invece sono altri fattori a governare la fase d’acquisto. Quanto ai cibi a denominazione europea, sarà evidente, anche da una prima lettura dei dati su produzioni e vendite, che, a dispetto delle centinaia di prodotti che possono oggi vantare il prestigioso logo, le maggiori performance sono concentrate su poche decine di produzioni tradizionali, che da sole rappresentano il 90% del valore e della quantità venduta. La denominazione, quindi, pur essendo un formidabile valore aggiunto che concretamente aiuta ad affermare il brand in Italia e nel mondo, da sola non è sufficiente e anch’essa necessita di azioni di comunicazione per imporsi nel mercato. In più, nel caso dei prodotti DOP e IGP, c’è l’ulteriore aggravante che il prodotto non può essere modificato in ragione delle preferenze del mercato, perché il Disciplinare viene predisposto in base ad una serie di elementi che poco hanno a che vedere con le preferenze del consumatore.
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Scatto dall’edizione 2018 di Chianti Lovers alla Fortezza da Basso, Firenze. L’anteprima, promossa dal Consorzio Vino Chianti e giunta alla sua quarta edizione, ha visto la presenza del Consorzio di Tutela del Morellino di Scansano. I consorzi di denominazione giocano un ruolo fondamentale nella tutela e nella promozione di prodotti e produttori, con effetti importanti di regolazione di mercato (photo © Federica Di Giovanni). I prodotti a denominazione hanno, quindi, un vantaggio competitivo importante dato dal logo che li accompagna, ma, oltre a risultare poco dinamici perché impossibilitati a mettere in piedi elementi di differenziazione rispetto ai beni dei concorrenti, scontano anche tutte le difficoltà legate ad una platea di produttori quasi sempre ampia e variegata e non necessariamente compatta e con una comune visione di sviluppo. Coloro che producono lo stesso cibo a denominazione hanno poche possibilità di differenziarsi dal partner/ concorrente, proprio perché costretti da un Disciplinare rigido sul quale i margini di manovra sono minimi. Di contro, le politiche di prezzo hanno ridotte differenze rispetto ai prodotti privi di denominazione e addirittura rispetto ai prodotti non tipici. Il prodotto a denominazione è pertanto costretto giocoforza a collocarsi su una fascia alta, ma con poche possibilità di aumento o di diminuzione. Un abbassamento dei prezzi comprime eccessivamente i margini, ma un innalzamento notevole può dirottare su prodotti similari. I canali di distribuzione, anche in ragione di quanto detto sopra,
sarebbero preferibilmente quelli del lusso, dalla ristorazione di alto livello ai negozi specializzati. Tuttavia, per quanto riguarda le produzioni dove non ci sono problemi di sorta sui quantitativi, sia le grandi superfici della GDO sia l’estero sono ottimi riferimenti. Nella promozione dei prodotti a denominazione gioca un ruolo fondamentale il Consorzio di tutela, che ha grandi poteri sui soci, con effetti importanti di regolazione del mercato. Sul piano promozionale, il Consorzio, sopra ogni cosa, deve spingere all’acquisto con un’azione di promozione collettiva, ma anche invitare, educare e informare il consumatore verso la scelta del prodotto giusto e il suo riconoscimento tra i tanti, in modo che questa azione compatta eviti fughe in avanti di imprese che pretendono di operare in solitudine e magari danneggiando concorrenti e mercato. Che si tratti di denominazioni o di brand privati è comunque evidente che è sempre un’azione collettiva corretta a dare i maggiori frutti. Insomma, anche in questo caso si può dire che l’unione fa la forza. Sebastiano Corona
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ASSOCIAZIONI
Macellerie di montagna, i macellai trentini fanno rete Nuova associazione e nuovo logo per comunicare l’unicità e la garanzia di qualità delle carni provenienti da animali allevati e macellati in Trentino
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Alla base del progetto non c’è solo un logo ma un decalogo che impone ai macellai aderenti di garantire la qualità in materia di allevamento, lavorazione, formazione, oltre all’impegno per tutela del territorio e unicità del prodotto, allevato e macellato in Trentino
I macellai aderenti hanno fatto formazione, seguito corsi per approfondire la loro conoscenza sul contenuto nutrizionale delle carni. Ciò significa che dietro al banco carni delle Macellerie di Montagna ci sono professionisti preparati, che sanno fare bene il proprio lavoro, e non solo, ha detto Massimo Corrà, presidente della neonata associazione
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fine maggio una quindicina di macellerie trentine ha lanciato il circuito Macelleria di Montagna, un progetto fortemente voluto per distinguere la qualità delle carni provenienti da animali allevati in Trentino e lavorate da una rete di professionisti del banco carne che puntano sulla valorizzazione del loro territorio. Questo è solo l’inizio di una serie di attività che non si esauriscono presso i singoli esercizi ma si propongono di valorizzare le carni trentine anche al di fuori della macelleria. Un esempio? Nel corso dei mesi estivi le macellerie aderenti sono state protagoniste di Trentino Barbecue (visittrentino.info), 54 eventi che hanno avuto luogo in ristoranti della regione, dedicati alle carni alla griglia. Alla base del progetto non c’è solo un logo ma un vero e proprio decalogo che impone ai macellai aderenti di garantire la qualità in materia di allevamento, lavorazione, formazione, oltre all’impegno per la tutela del territorio e l’unicità del prodotto, allevato e macellato in Trentino. «I macellai aderenti hanno fatto formazione, hanno seguito corsi per approfondire la loro conoscenza sul contenuto nutrizionale delle carni. Ciò significa che dietro al banco carni delle Macellerie di Montagna ci sono professionisti preparati, che sanno fare bene il proprio lavoro, e non solo» ha detto MASSIMO CORRÀ, presidente della neonata associazione. «C’è anche un forte legame col nostro territorio, che va dalla stalla al consumatore finale». «Oggi contiamo 15 attività — ha aggiunto NICOLA CAPPELLETTI, vicepresidente — e siamo capillarmente presenti su tutta la nostra provincia». Il protocollo di intesa L’Associazione provinciale dei Macellai ha promosso la realizzazione della Macelleria di Montagna (MdM) nell’ambito più ampio della valorizzazione del comparto carneo e dei trasformati sul territorio trentino. L’obiettivo è anche creare una sinergia col marchio QT (Qualità Trentino). Il servizio Il servizio all’interno del punto vendita della “Macelleria di Montagna” deve essere garantito dal titolare/macellaio in possesso dei seguenti requisiti:
• la responsabilità diretta e di direzione dell’azienda. La presenza di personale dipendente deve essere comunque coordinata in prima persona dal macellaio, titolare della licenza d’uso del marchio “Macelleria di Montagna” (nel caso di società, almeno uno dei soci deve assumere le responsabilità diretta e di direzione della MdM); • la cultura gastronomica legata alle carni deve essere assicurata da un macellaio che ha ereditato l’arte dalla tradizione familiare da almeno 20 anni (ivi compresi eventuali passaggi intergenerazionali e/o eventuali variazioni di ragione sociale dell’azienda) non si può prescindere da una significativa trasformazione personalizzata della carne sia per i tagli freschi che per i salumi. Per significativa si intende un intervento caratterizzante del macellaio nella lavorazione fino alla vendita per almeno qualche tipologia di carne (es. disosso e sezionatura): inderogabile per bovino adulto e il vitello; • per il suino sono ammessi tagli “pronti” (baffa speck, pancetta rifilata,coppa disossata, spalla disossata, ecc…) acquistati da macelli/laboratori autorizzati operanti sul territorio trentino e accompagnati da certificazione del marchio QT; • nessun vincolo per avicoli, ovini, caprini e salumi. La selezione delle carni Il punto vendita della Macelleria di Montagna si vuole identificare e caratterizzare il più possibile col proprio territorio. Del resto, il territorio trentino non garantisce quantità sufficienti di materia prima e soprattutto l’offerta non copre tutti i generi e/o i picchi stagionali. Pertanto, il punto vendita della Macelleria di Montagna deve proporre: • carne bovina, ivi compresa quella di vitello (ovvero bovino di età < 8 mesi); • carne suina, proveniente da allevamenti trentini all’60% del totale commerciato verificato nell’anno solare; derogabile in percentuale massima del 10% e comunque non < del 54% in approvvigionamento extra territorio trentino; in alternativa, fino alla concorrenza del 40% (46% massimo) su base annua dovrà essere di provenienza esclusivamente italia-
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Speck trentino (photo © Studio Gi – stock.adobe.com). na. Con questo si intende allevato da almeno 6 mesi rispettivamente in Trentino e/o in Italia e macellato sul territorio trentino o nazionale; • carne bovina giovane (vitello < 8 mesi) nato e allevato in Trentino e/o
territorio nazionale; • carne suina fresca da animali macellati con peso minimo da vivo di 130 kg di provenienza Trentino e/o nazionale; • ovini e caprini di provenienza
dalla regione Trentino Alto-Adige al 100% (unica deroga ammessa per allevamenti ovicaprini soggetti a nomadismo); • avicolo e cunicolo: provenienza Trentina e/o nazionale.
Il logo delle Macellerie di Montagna «L’idea trainante è stata quella di creare un logo specifico con relativo disciplinare operativo al quale aderiscono liberamente le aziende che ritengono avere i requisiti richiesti» spiega Massimo Corrà. «Finora sono 15 le macellerie che hanno raccolto la “sfida” o “appello” che dir si voglia, ma si conta di aumentare progressivamente il numero degli associati per garantire una rete diffusa capillarmente sul territorio provinciale. La parola d’ordine — prosegue Corrà — che aleggia come un mantra è formazione. Formazione a tutti i livelli per fornire agli aderenti strumenti teorici e pratici idonei ad arricchire la propria professionalità e competenza lavorativa, affiancandola alla tradizione familiare che spesso connota e contraddistingue le nostre aziende. Il progetto delle Macellerie di Montagna mette al centro il territorio, elemento distintivo dei prodotti offerti dalle macellerie aderenti. Un logo così strutturato, moderno e chiaro con l’acronimo MdM deve, col tempo, entrare nell’immaginario collettivo ed essere immediatamente riconosciuto come simbolo di qualità trentina. Contestualmente all’adozione del nuovo logo, affinché questo possa essere adeguatamente utilizzato, si è adottato un Disciplinare operativo che traccia una linea di demarcazione chiara, dove prevale la tradizione, la filiera corta e una abilità artigianale non riscontrabile nella grande distribuzione organizzata». (Fonte: La Voce del Trentino)
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Altri prodotti La Macelleria di Montagna vuole essere punto di proposta e acquisto per altri prodotti di generi merceologici diversi. Potranno essere inseriti nella MdM tutti i generi agroalimentari in possesso di tutele e riconoscimenti come prodotti tipici trentini e prodotti della gastronomia trentina preparati e confezionati sul territorio. Non sono ammessi prodotti non di origine e/o tipicità trentina se non nella misura del 20% (da verificare se ampliabile) del totale del fatturato extracarneo.
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BEVI RESPONSABILMENTE
www.enzopancaldi.it - ph: Carlo Guttadauro, Archivio www.lambrusco.net
Salumi tipici trentini Si intendono tali tutti i salumi realizzati all’interno del circuito delle MdM e facenti parte della tradizione salumiera trentina, ovvero: Speck; Pancetta affumicata; Pancetta arrotolata, aromatizzata, al pepe, ecc…; Pancetta stufata; Coppa stagionata, affumicata; Guanciale stagionato,affumicato; Lardo salato, affumicato, aromatizzato; Lingua salmistrata; Carne salada; Manzo cotto; Manzo affumicato; Prosciutto cotto; Prosciutto cotto affumicato (nella varie desinenze: erbe-ginepro-cirmolo, ecc…); Carré affumicato, stufato e/o cotto con o senza osso; Puntine affumicate, stufate e/o cotte; Stinco salmistrato, affumicato, stufato e/o cotto; Lucanica stagionata di suino, asino, capra, cacciagione; Mortandela della Val di Non; Salame di suino, ecc…; Kaminwurzen; Sopresse e Sopressine trentine; Würstel/luganeghette; Lucaniche e salsicce fresche; Cotechino; presenti al 50% obbligatoriamente in listino. Prodotti della salumeria generica ed extraregionale (prodotti con materia prima nazionale o solo con indicazione DOP, IGP e STG) dovranno occupare uno spazio non superiore al 20% del volume di vendita totale dei salumi, salvo non siano di propria produzione. Per la gestione dei picchi di vendita compresi tra il 01/12 e il 30/04 e tra il 1/6 al 30/09 si prevede la possibilità di derogare dai punti esposti riguardanti il bovino, con facoltà di mettere in vendita merce di provenienza UE limitatamente ai tagli anatomici del posteriore. Tale merce dovrà essere identificata nel banco in maniera chiara ed inequivocabile e venduta negli spacci direttamente gestiti da essi.
Chi sono le macellerie che promuovono la carne trentina d’alta quota Le macellerie che hanno aderito al progetto Macellerie di Montagna, promosso dalla categoria dei macellai trentini aderenti all’associazione dei commercianti al dettaglio, sono le seguenti: Antica Macelleria Ballardini Giovanni, Roberto e Arrigo Ballardini Via del Foro 14 – 38079 Tione (TN)
Macelleria Salumeria Dagostin dal 2 Novembre 1963 Giuseppe Dagostin Piazza Mercato 1 – 38030 Varena (TN)
Macellerie Bazzoli Snc Sergio, Luca, Patrick Bazzoli & C. Via Benedetto Lucchi 18 38087 Sella Giudicarie, Fraz. Roncone (TN)
Dei Cas Valerio Macelleria Valerio Dei Cas Piazza del Moléta, 11 – 38086 Giustino (TN)
Macelleria Bertoldi Macelleria Trentina Albino Bertoldi Via San Nazzaro 4 – 38066 Riva del Garda (TN)
Marchiori Carni e Salumi Roberto Marchiori Loc. Fanch 1 – 38013 Fondo (TN)
Macelleria Salumeria Cainelli Marco & C. Via di Revolta 27 – 38123 Sopramonte (TN)
Macelleria Paolazzi Via Perlaia 6 – 38030 Faver (TN)
Antica Macelleria e Salumeria Cappelletti Nicola Cappelletti Via Colpi 1 – 38064 Folgaria (TN)
Macelleria Sighel Sandro Sighel Via C. Battisti 35 – 38042 Baselga di Pinè (TN)
Casagranda Macelleria Via Cristoforo Colombo 3 – 38043 Centrale (TN)
Macelleria Zendron Modesto & Figli Via Galleria 7 – 38034 Lisignago (TN)
Macelleria Cis Massimo Cis Via XXI Luglio 8 – 38067 Bezzecca, Ledro (TN)
Carni Salumi Troier via Roma 13 – 38015 Lavis (TN)
Macelleria Salumeria Dal Massimo Goloso Massimo Corrà Piazza Cigni 6 – 38010 Coredo (TN)
Sistema di controllo Il sistema di controllo verificherà il supporto documentale cartaceo al fine di verificare l’effettivo rispetto dei limiti imposti all’approvvigionamento. La verifica periodica durante l’anno controllerà che i picchi stagionali gestiti con merce non trentina rimangano comunque all’interno delle percentuali massime previste prendendo come base di calcolo i sei mesi precedenti fino al 30 giugno e la frazione di anno in corso fino al 31 dicembre. Il punto vendita In ogni punto vendita verrà allestito un idoneo punto di informazione per la clientela per quanto riguarda la Macelleria di Montagna nonché le finalità e la
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rete di macellerie sul territorio aderenti al progetto. Facoltativamente, saranno disponibili: • brochure e materiale promozionale riguardante tutta la proposta enogastronomica trentina, in particolar modo a supporto degli articoli del punto vendita; • raccolte di ricette e menù della tradizione trentina; • segnalazione di pubblicazioni legate all’enogastronomia trentina o di rassegne/fiere/manifestazioni di promozione del settore enogastronomico trentino. Il personale Il personale presente nel punto vendita dovrà essere in grado di proporre,
promuovere e spiegare ricette di cucina trentina ed eventuali abbinamenti base con vini trentini. Il materiale informativo distribuito dovrà comunque essere scelto e gestito dal direttivo; per tale compito quest’ultimo si avvarrà della supervisione da parte delle istituzioni (per ambito di competenza) e del materiale informativo che verrà distribuito ai consumatori. L’esercizio deve proporre un’atmosfera calda ed accogliente, deve essere impegnato fortemente nella valorizzazione della macelleria/salumeria trentina e dei prodotti del territorio, deve caratterizzare la propria tipicità anche con riferimento alla struttura ed all’arredamento dei locali in sintonia con la località in cui è ubicato.
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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com
Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.
INDAGINI
Gli analfabeti funzionali? Combattiamoli dalla scuola L’ASL TO5 ha sviluppato un progetto con le scuole per il contrasto alle fake news sulla sicurezza alimentare
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econdo un’indagine dell’OCSE, pubblicata nel 2013 e relativa al periodo 20112012, un Italiano su cinque (dai 16 ai 65 anni) sarebbe analfabeta funzionale, contro la media internazionale di 1 su 10 o su 20. Con il termine “analfabeta funzionale” si intende colui che sa scrivere e leggere, ma non sa utilizzare queste competenze per interpretare la realtà
in cui vive o per trarre considerazioni personali. Livelli così preoccupanti di analfabeti funzionali condizionano la produzione (quindi l’economia), la partecipazione e la vita sociale (quindi la politica) del nostro Paese. Il terreno su cui l’analfabetismo funzionale sta trovando linfa vitale è senza dubbio lo sconfinato e insidioso mondo del web: gli utenti-analfabeti funzionali non sanno districarsi nei suoi meandri,
non sono in grado di riconoscere una “bufala” dalla realtà, abboccano a trappole “acchiappa click” e diffondono a macchia d’olio una mole sconfinata di inesattezze. Uno degli argomenti che riscuotono maggiore interesse sui social, e sui media, riguarda i vari scandali veri e presunti legati alla sicurezza degli alimenti che mangiamo. La ragione di tale interesse risiede nel fatto che il
Analfabeti funzionali si diventa. Come? Ad esempio, non sollecitando per molto tempo le competenze acquisite come la lettura, la creatività e lo sviluppo di un pensiero critico generale. Da uno studio recente realizzato dal PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) emerge che l’Italia è al quarto posto nel mondo, alle spalle soltanto di Giacarta (69%), Cile (53%) e Turchia (47%) e appaiata con Spagna e Israele, mentre la Grecia ci segue, ma solo per un punto percentuale (27%). Un triste primato su cui riflettere quando si parla di fake news e manipolazione (photo © pathdoc – stock.adobe.com).
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Come distinguere le bufale dalla realtà: ecco i temi oggetto di analisi La campagna di promozione ed educazione alla sicurezza alimentare svoltasi nelle scuole professionali del Piemonte e denominata “Sicurezza nel piatto” ha coinvolto 60 docenti e 250 studenti di 3 istituti tecnici. Questi gli argomenti scelti dai docenti e oggetto di approfondimento: • utilizzo glifosate (pesticidi); • problematiche legate alle api (neonicotinoidi); • problematiche legate al consumo del pesce (assunzione di metilmercurio nelle fasce di popolazione a rischio, sushi e pesce crudo, produzione di istamina, infestazione da anisakis); • consumo di carne cruda e cancerogenicità delle carni rosse e trasformate; • etichettatura; • olio di palma; • alimenti biologici e alimenti a km zero; • mozzarelle blu; • lavaggio delle uova; • micotossine; • OGM; • fitosanitari; • utilizzo di farmaci negli allevamenti.
tema della sicurezza alimentare attira l’attenzione e “vende copie” (o, meglio, “porta clic”), coinvolgendo una larga parte della popolazione, in quanto il rapporto con il cibo riguarda tutti ed è sempre più sentito il rapporto tra alimentazione e salute. In un paese come l’Italia, dove il cibo non è solo nutrizione ma emozione, cultura e tradizione, gli effetti di questo fenomeno sono significativi: secondo i dati EUROBAROMETRO, un sondaggio svolto dall’Unione Europea nel 2010, oltre
l’80% degli Italiani è preoccupato per il cibo che mangia. Questo eccesso di preoccupazione potrebbe essere uno dei fattori in grado di contribuire, secondo alcuni esperti, all’aumento dei casi di disordini alimentari negli adolescenti rilevati da alcuni centri specializzati nazionali ed europei. I casi legati alla possibile presenza di ormoni nelle carni o di pesticidi nella frutta e verdura, alle mozzarelle blu, all’olio di palma, sono solo alcuni degli argomenti che continuano a creare
Il decalogo anti-bufale 1. Controlla sempre l’indirizzo web. 2. Dai un’occhiata alla sezione “Chi siamo”. 3. Occhio alla spunta blu sui profili social. 4. Diffida dei titoli troppo urlati. 5. Risali alla fonte primaria della notizia. 6. Cerca sempre altre conferme. 7. Verifica la data e le località menzionate. 8. Assicurati che non sia uno scherzo. 9. Fai attenzione ai fotomontaggi. 10. Rifletti bene prima di condividere.
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interesse tra i consumatori che cercano risposte da fonti non sempre attendibili, con la possibilità di incorrere in notizie errate o prive di fondamento, le famose “bufale”, che rischiano di creare ansie ingiustificate o la sottovalutazione di rischi reali con conseguenti scelte sbagliate o non opportune. In tale contesto, e sulla base dei lavori di analisi sulla percezione del rischio legato al consumo di alimenti condotti negli ultimi anni dal Centro Interdipartimentale di Ricerca e Documentazione sulla Sicurezza Alimentare (Ce.I.R.S.A.), gruppo di lavoro multidisciplinare e multiprofessionale dell’ASL TO5 attivo dal 2005, nasce il progetto “Sicurezza nel piatto”, realizzato in collaborazione con le direzioni didattiche e gli insegnanti degli istituti professionali agrari e alberghieri presenti sul territorio dell’ASL TO5. Tale progetto di “fact-checking” (traducibile in “verifica delle notizie”) ha l’obiettivo di fornire agli studenti che stanno già seguendo un percorso formativo relativo alle produzioni animali e vegetali con relativa gestione del territorio, all’industria della trasformazione e commercializzazione agroalimentare e alla ristorazione pubblica/collettiva, gli strumenti per una lettura critica delle notizie legate alla sicurezza degli alimenti. L’iniziativa ha previsto una prima fase di “ascolto” tra esperti e insegnanti mediante focus group gestiti da psicologhe dell’ASL TO5 e una seconda fase di approfondimento gestita da medici veterinari esperti in sicurezza alimentare, sempre insieme agli insegnati, basata su quanto emerso dagli incontri precedenti. In una terza fase è stata realizzata una serie di incontri tra gli studenti che nel futuro dovranno occuparsi di produrre gli alimenti, e di utilizzarli, e gli esperti mediante un percorso interattivo (anche con l’uso di questionari on-line e discussione dei risultati in tempo reale) con la mediazione degli insegnanti, per sperimentare le modalità di lettura critica delle notizie al fine di individuare le fake news (“notizie false”) spesso allarmistiche, riguardanti la sicurezza alimentare. (Fonte: Ce.I.R.S.A. Centro Interdipartimentale di Ricerca e Documentazione sulla Sicurezza Alimentare www.ceirsa.org)
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Italia spaccata a metà sui consumi alimentari Secondo Ismea corrono i consumi alimentari al Centro e al Nord, mentre flette la spesa al Sud. Emerge il food delivery, in decisa espansione
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resce, ma non al Sud, la spesa alimentare delle famiglie italiane nel primo trimestre 2018. È la fotografia che emerge dalla consueta indagine ISMEANIELSEN sui consumi alimentari domestici,
da cui si evince un incremento dell’1,4% degli acquisti in valore su base annua, sintesi di un andamento fortemente disomogeneo tra le diverse aree del Paese. Ai ritmi di crescita sostenuti del Centro Italia (+5,6%), Nord-Est (+5%)
e — in misura minore — del Nord-Ovest (+3,3%), si contrappone, infatti, una flessione dell’1,1% nel Mezzogiorno. Quanto alla composizione del carrello della spesa, i primi tre mesi del 2018 vedono un deciso balzo in avanti del
La spesa delle famiglie per i prodotti alimentari ha registrato nel primo trimestre 2018 un incremento dell’1,4% rispetto all’analogo periodo del 2017. I consumatori italiani, nel periodo da gennaio a marzo 2018, hanno speso circa l’1,3% in più per l’acquisto di beni alimentari e l’1,9% in più per le bevande.
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Tagliere con crostini e salumi toscani servito all’osteria Boccanegra di Firenze (photo © Iuri Niccolai_photography). comparto dei proteici, con una crescita a doppia cifra della spesa per le uova (+19%), un aumento di quasi il 5% delle carni (sulla scia di un 2017 in ripresa) e un +2% dei prodotti ittici. Meno bene i lattiero-caseari (+0,7%), che scontano la perdita di appeal di prodotti tradizionali come il latte fresco e gli yogurt. Per gli ortaggi, le elaborazioni ISMEA indicano una contrazione della spesa del 4,5%, di riflesso ad un andamento flessivo dei prezzi medi di quasi tutte le referenze. Stabile la spesa per la frutta e in lieve aumento quella per i derivati dei cereali (+0,8%). Relativamente al vissuto e agli stili di vita dei consumatori, emergono indicazioni interessanti. Segnano una crescita importante tutti quei prodotti rivolti a un consumatore con specifiche esigenze di salute, efficienza fisica, lifestyle, responsabilità sociale o intolleranze, quei prodotti cioè che
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certificano direttamente sulla confezione la loro peculiarità (Bio, Veg, Ricco in…, Senza…). I Millennials (la generazione fino a 34 anni), ad esempio, risultano particolarmente sensibili ai prodotti cruelty free e rispettosi di altri temi etici, mentre per i baby boomers (50-64 anni) e i great gen (over 65) risultano più attrattive le certificazioni legate alla provenienza e al metodo di produzione (segmento Bio e DOP). Tra i trend emergenti, trovano più spazio, nel carrello della spesa, prodotti legati alla cucina di altri Paesi come zenzero, curcuma, salsa e spaghetti di soia, tortillas, quinoa, che riflettono un consumatore sempre più multiculturale e attratto dai cibi etnici. Quanto ai canali di vendita, infine, i dati Nielsen confermano la competizione esercitata dai canali digitali su quelli tradizionali. Dall’indagine emerge infatti che l’8%
degli Italiani (pari a circa 4,4 milioni di individui) ha utilizzato nel 2018 almeno una volta al mese i servizi on-line di food delivery (consegna del cibo a casa, cotto o in forma di spesa). Un’abitudine che coinvolge prevalentemente i consumatori nella fascia 25-34 anni. Ittico: ok ma rallenta Rallenta il tasso di crescita della spesa per i prodotti ittici, pur confermando un ulteriore +2% rispetto al primo trimestre 2017. A trainare la spesa sono i surgelati con un +6%; in terreno positivo, seppure con minor enfasi, anche la spesa per il pesce fresco (+1%), le conserve e gli affumicati. Bene i salumi Aumenta la spesa per i salumi: il famoso “tagliere” è diventato oramai un must per gli aperitivi e le cene
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con gli amici in casa, e i “preaffettati vaschettati” una presenza costante nei frigoriferi delle famiglie con figli adolescenti. Dall’analisi dei dati emerge una maggiore attenzione alla qualità e una maggiore disponibilità a spendere di più per quei prodotti con una maggiore shelf-life, a fronte di volumi a volte in contrazione. Formaggi & C. Il comparto dei freschi proteici, i prodotti lattiero-caseari, pur registrando una spesa in crescita nel suo complesso (+0,7% nel primo trimestre), evidenziano atteggiamenti, da parte degli acquirenti, differenziati nei confronti delle singole referenze. Anche in questo caso sono i prodotti con maggior apporto innovativo a riscontrare il favore dei consumatori, mentre continuano a perdere appeal i prodotti tradizionali quali il latte fresco (–1,3% a volume e –0,6% a valore) e lo yogurt bianco (–3,3% in valore e volume). Tra i formaggi si può dire che il consumatore stia privilegiando quelli legati al territorio e alla cucina tradizionale e gourmet, ossia i “duri” nei quali la maggior quota è rappresentata dai grana DOP (+6,1 in valore e +5,1% in volume), mentre perdono posizione gli “industriali” (–5,5% in volume e –2,7% in valore). Per quanto riguarda il burro, nel primo trimestre si registra un contenimento dei volumi acquistati (–4%) a fronte di prezzi ancora molto sostenuti (+20% rispetto all’analogo trimestre 2017) che mantengono il valore della spesa superiore del 16% rispetto allo scorso anno.
Aceto Balsamico di Modena L’Acetaia Leonardi rappresenta la massima espressione della cultura legata all’Aceto Balsamico di Modena. Una tradizione secolare che ha le sue radici nel cuore della provincia modenese dove genuinità e passione per la tradizione rappresentano ancora valori, cardini dell’economia del territorio.
Vi invitiamo a visitare la nostra Acetaia e il Museo, dove, da più di 130 anni, i migliori Balsamici invecchiano in una riserva di botti unica al mondo.
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Multiculturalità anche a tavola Il consumatore è sempre più multiculturale ed è per questo che ai cibi tradizionali affianca spesso i cibi etnici, quelli conosciuti nei viaggi o nelle esperienze “fuori casa”. Tra i trend emergenti, nei prodotti a scaffale trovano spazio infatti molti altri prodotti non legati alla cucina nazionale (zenzero, curcuma, salse di soia, spaghetti di soia, tortillas, quinoa), ma anche piatti pronti ispirati a pietanze tipiche di cucine lontane (soprattutto cucina cinese, giapponese, messicana e turca). (Fonte: ISMEA – Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale Unità Operativa Studi e Analisi www.ismeamercati.it)
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Az. Agr. LEONARDI Giovanni Via Mazzacavallo, 62 - Magreta - Modena - Italy - Tel. +39 059 554375 www.facebook.com/AcetaiaLeonardi - www.acetaialeonardi.it
Uno studio della FAO conferma che i prodotti IG promuovono lo sviluppo sostenibile L’Indicazione di origine Geografica (IG) aumenta le vendite arricchisce i territori. L’Italia, che ha un numero record di prodotti con indicazione di origine, lo sa bene, ma la conferma arriva ora anche da un importante studio internazionale. I prodotti alimentari registrati con un’etichetta d’indicazione geografica vantano a livello mondiale un valore commerciale annuale di oltre 50 miliardi di dollari. Tali prodotti hanno caratteristiche, qualità e reputazioni specifiche derivanti dalla loro origine geografica. Lo studio “Rafforzamento dei sistemi alimentari sostenibili attraverso le indicazioni geografiche” condotto dalla FAO e dalla Banca europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo ha rilevato che i prodotti alimentari collegati al loro luogo di origine sono economicamente e socialmente vantaggiosi per le aree rurali di provenienza e promuovono lo sviluppo sostenibile. La ricerca ha analizzato l’impatto economico della registrazione dell’indicazione geografica in nove casi: il caffè colombiano, il tè Darjeeling (India), il cavolo Futog (Serbia), il caffè Kona (Stati Uniti), il formaggio Manchego (Spagna), il pepe Penja (Camerun), lo zafferano Taliouine (Marocco), il formaggio Tête de Moine (Svizzera) e il vino Vale dos Vinhedos (Brasile). In tutti e nove i casi, la registrazione legata all’origine configura uno sviluppo sostenibile in quanto ha sostanzialmente aumentato il prezzo del prodotto finale, con un valore aggiunto compreso tra il 20% e il 50%. Uno dei motivi è che i consumatori identificano caratteristiche uniche — come gusto, colore, consistenza e qualità — in prodotti con lo status d’indicazione geografica e come tali sono disposti a pagare prezzi più alti. «Le indicazioni geografiche sono un approccio alla produzione alimentare e ai sistemi di marketing che pongono considerazioni sociali, culturali e ambientali al centro della catena di valore», ha affermato Emmanuel Hidier, economista del Centro investimenti della FAO. «Le indicazioni, quindi, possono rappresentare un percorso per lo sviluppo sostenibile delle comunità rurali — ha concluso Hidier — promuovendo prodotti di qualità, rafforzando le catene di valore e migliorando l’accesso a mercati più remunerativi» (fonte: World Food Press Agency).
Bocconcini di specialità spagnole, dal formaggio Manchego al salchichón, un salame realizzato con carni di suino iberico, al jamón ibérico (photo © Alonso Aguilar – stock.adobe.com).
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LA CARNE IN TAVOLA
Cinghiale, carne dei forti Fin dall’antichità la carne di cinghiale era l’ambito cibo dei “forti” e oggi mantiene il suo posto nella cucina e nella gastronomia di Giovanni Ballarini
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ià nel Mesolitico e nel Neolitico i nostri diretti antenati Cro Magnon e i loro stretti parenti Neanderthal, per il proprio sostentamento, cacciavano il cinghiale con lance primitive. La caccia a questi animali era particolarmente pericolosa perché l’uomo, per quanto armato di lance o coltelli, doveva confrontarsi con loro corpo a corpo, come ben racconta OMERO (Odissea, XX, versi 428-466), quando descrive la ferita in una gamba, e la conseguente cicatrice, provocata da un cinghiale a Ulisse, che gli consentì, al suo ritorno a Itaca, di essere riconosciuto dalla nutrice. La loro uccisione era considerata un vero e proprio atto d’audacia — costituiva una prova di coraggio e un allenamento ai combattimenti già nell’antica Roma — che suscitava scalpore e ammirazione: nel 799, la soppressione di un cinghiale con una lancia da parte di CARLO MAGNO venne apprezzata addirittura da PAPA LEONE III. La caccia divenne più efficace e meno rischiosa quando, durante il Medioevo e in epoche successive, si iniziò a compierla a cavallo, con l’ausilio di cani di grossa taglia, come levrieri e molossi, dotati, per la difesa, di ampi collari di cuoio con punte di acciaio o di maglia di ferro che a volte si estendevano sino a ricoprire il torace o parte della testa. Compito dei cani era scovare il cinghiale, inseguirlo, morderlo fino a indebolirlo e farlo crollare esausto, permettendo al cacciatore di finirlo a distanza ravvicinata. Dal Rinascimento in avanti lo sviluppo delle armi da fuoco rese la caccia al cinghiale molto meno pericolosa: i nobili uccidevano senza sforzo grandi quantità di animali, finché si arrivò alla loro quasi totale scomparsa (i cinghiali sopravvivevano in pochi territori isolati ancora selvaggi). Oggi,
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in Italia e nei paesi industriali la caccia al cinghiale è praticata come svago, ma spesso la specie è allevata per venderne la carne, sia fresca che sotto forma di insaccati, considerata una vera specialità gastronomica. Cinghiale e cinghiali Col termine “cinghiale” si fa riferimento ad un genere di mammiferi suini che comprende quattro specie e diverse sottospecie. Il rappresentante più noto e ricercato per la sua carne è il cinghiale “comune” (Sus scrofa), molto diffuso in Italia dove vivono il cinghiale “maremmano” (Sus scrofa majori), poco più piccolo del cinghiale comune e diffuso soprattutto nell’Italia centrale, e il cinghiale “sardo-corso” (Sus scrofa meridionalis). Il cinghiale è un maiale selvatico interfecondo col maiale domestico; da adulto raggiunge un peso che varia tra i 100 e i 200 kg, ma nelle sottospecie più grosse può arrivare a 350 kg. Carne di cinghiale Il progressivo abbandono delle montagne e delle alte colline, di cui l’Italia è ricca, ha visto l’estensione dell’incolto, che è stato occupato dagli animali selvatici, sicché nelle radure si sono moltiplicati i grandi ungulati e nei boschi i cinghiali. Sulle Alpi sono oggi presenti 80.000 cervi, mentre in tutta Italia l’ISPRA (Istituto per la Protezione e la Ricerca Ambientale) stima che i cinghiali superino il milione di esemplari, diffusi in tutte le regioni e nel 95% delle province. Il grande incremento della popolazione di cinghiali è la conseguenza di diversi fattori. Partendo dallo sviluppo del bosco, habitat a loro favorevole, l’odierna esplosione demografica della specie è anche la conseguenza di un
mancato controllo da parte di “eventi naturali”, quali la scomparsa di animali predatori e l’assenza di infezioni, e di una caccia che nei suoi diversi aspetti è fortemente controllata. In diversi casi essa provoca squilibri ecologici e forti contrasti sociali con eventi sempre più spesso al centro della cronaca: dai danni alle coltivazioni agli incidenti stradali. Eccezion fatta per le popolazioni di religione musulmana e israelitica, la carne del cinghiale è apprezzata da molti; una certa disaffezione è manifestata da parte di chi la trova di sapore troppo forte o preferisce le carni bianche. In Italia, la carne di cinghiale solitamente proviene, oltre che da allevamenti, da cinghiali selvatici abbattuti dai cacciatori o uccisi all’estero, principalmente in Ungheria, nei Balcani e in Europa centrale. Una piccola quantità proviene anche da parchi che praticano abbattimenti selettivi, e in questo caso è di ottima qualità, anche perché gli animali abbattuti sono immediatamente trattati, gli abbattimenti compiuti con proiettili privi di piombo così che la carne risulta esente da residui di questo metallo pesante pericoloso per la salute umana. Prima del consumo, le carni di cinghiale andrebbero per legge sottoposte ad esame trichinoscopico effettuato presso l’Azienda Sanitaria Locale e, solo dopo un responso negativo, potrebbero essere destinate alla vendita e al consumo. Tuttavia, questa prassi, attuata dai cacciatori, non è seguita dai bracconieri, che nella maggior parte dei casi destinano la carne al consumo familiare fidandosi dell’azione sterilizzante dovuta alle lunghe marinature e cotture che si usano tradizionalmente in cucina per la selvaggina. La carne di cinghiale è disponibile in diverse modalità. Oltre la carne fresca,
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Salsicce secche di cinghiale.
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Per preparare il salame di cinghiale, i norcini usano solitamente le carni magre dell’animale con grasso di maiale, al fine di renderlo meno asciutto e prolungarne la conservabilità più frequente è la carne conservata sotto vuoto, refrigerata e soprattutto congelata. Poco calorica e piuttosto magra, ad oggi non sono note controindicazioni al suo consumo, a meno che non si soffra di allergia a questo alimento. In presenza di particolari stati patologici, come uricemia e ipercolesterolemia, è comunque opportuno limitare il consumo di tutti i tipi di carne. Sul mercato ha prezzi variabili: si va dai circa 6-7 €/ kg per mezzene di animali ottenuti da abbattimenti selettivi ai 18 €/kg per la polpa con osso e 20 €/kg o più per la polpa senza osso.
Salame di cinghiale.
Tabella 1 – Composizione nutrizionale della carne cruda di cinghiale (valori riferiti a 100 g) Nutrienti
Valori
Energia
122 cal
Acqua
72,0 g
Proteine
21,5 g
Lipidi Colesterolo
85,0 mg
Sodio
51,0 mg
Ferro
3,4 mg
Calcio
5,0 mg
Fosforo Magnesio Potassio
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3,3 g
202,0 mg 23,0 mg 318,0 mg
Tiamina (vitamina B1)
0,2 mg
Riboflavina (vitamina B2)
0,4 mg
Niacina (vitamina B3 o vitamina PP)
6,3 mg
Vitamina E
0,2 mg
Cucina del cinghiale In tutte le cucine mediterranee ed europee il cinghiale è una carne molto ambita. Risalendo all’antica Roma, il cinghiale è più volte citato negli Epigrammi di MARZIALE (I sec. d.C.). Nel Satyricon di PETRONIO ARBITRO (I sec. d.C.), il cinghiale occupa il posto d’onore tra le vivande servite alla cena del ricco TRIMALCIONE, famoso per i suoi banchetti spettacolari, dove è protagonista il porcus troianus, un grande cinghiale arrostito da cui escono tordi in volo e salsicce. Presso i Celti il totem del cinghiale è presente in moltissime storie, spesso direttamente o indirettamente coinvolto nella morte dell’eroe di turno, ed è il compagno di Diana, la dea celtica che partecipa alla “caccia selvaggia”, un corteo ultraterreno di fate e fantasmi. Per questo la carne di cinghiale è la preferita da questo popolo, in quanto l’animale è un emblema di fertilità, coraggio, forza ed è sinonimo di ospitalità. Secondo la cultura celtica, negli incontri importanti deve essere sempre presente la carne di cinghiale: servire cinghiale indica, oltre all’abilità del villaggio a cacciarlo,
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la posizione dâ&#x20AC;&#x2122;onore data allâ&#x20AC;&#x2122;ospite. Il cinghiale appartiene al gruppo della cosiddetta â&#x20AC;&#x153;selvaggina da peloâ&#x20AC;? (insieme a lepre, capriolo, camoscio e cervo) e la sua carne è classificata come â&#x20AC;&#x153;neraâ&#x20AC;?, contrapposta alle carni â&#x20AC;&#x153;biancheâ&#x20AC;? di uccelli e pesci e a quelle â&#x20AC;&#x153;rosseâ&#x20AC;? della selvaggina di grande taglia (come caprioli, cervi e daini). La carne del cinghiale adulto ha una consistenza piuttosto dura e un sapore selvatico intenso; è rinomata e apprezzata perchĂŠ al sapore della carne suina unisce quello della cacciagione. Come per il maiale, la coscia è il taglio maggiormente impiegato in cucina, ma anche altri tagli sono usati per brasati e spezzatini, soprattutto pancia, costoline o stinco, e per preparare ragĂš. Per cotture in forno si usano, oltre alle cosce, anche spalle e carrĂŠ. La carne deve essere trattata in modo diverso a seconda dellâ&#x20AC;&#x2122;etĂ . Negli animali molto giovani (dai tre ai sei mesi di vita) è tenera e delicata e non necessita di alcun tipo di trattamento prima della cottura. I cinghiali giovani (da sei mesi a un anno) hanno una carne tenera dal sapore non accentuato, mentre per gli animali maturi (di uno o due anni) occorre effettuare una marinatura prima della cottura. Pregiati sono i tagli della coscia, ma in alcune zone anche la carne della testa è valutata una prelibatezza. Essendo piuttosto fibrosa, la carne del cinghiale si presta a cotture in padella, come stufati, a cotture in umido o sughi, usati per esempio nelle pappardelle al cinghiale o nel cinghiale alla maremmana, ma non sfigura in arrosti o carni allo spiedo (in questi ultimi casi deve essere lardellata). I cinghialetti o piccoli di cinghiale, ritenuti particolarmente squisiti, sono arrostiti interi, previa eviscerazione. Per ridurre il gusto di selvatico, la carne andrĂ sottoposta, prima della cottura, ad una marinatura a base di vino rosso, cipolla, sedano e carote, con una permanenza di almeno dodici ore in frigorifero. Questa è la piĂš utilizzata perchĂŠ gli enzimi presenti nel vino contribuiscono a modificare le fibre muscolari rendendo la carne piĂš morbida e digeribile. Altro tipo di marinatura, particolarmente adatta per il cinghiale in agrodolce, è a base di aceto, erbe fresche e spezie. In alternativa esiste la marinatura a base di latte, che agevola
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la distribuzione del grasso della carne, rendendola piĂš morbida. Salumi di cinghiale Lâ&#x20AC;&#x2122;esigenza di conservare la carne il piĂš a lungo possibile, quando congelamento e surgelazione non esistevano, ha fatto sĂŹ che, soprattutto in Italia centrale, divenisse popolare la produzione di salumi analoghi a quelli ottenuti dal maiale domestico. Inoltre, essendo il cinghiale presente in tutte le regioni italiane, altrettanto diversi sono i salumi ottenuti in analogia a quelli di maiale. Tra i salumi di cinghiale sono da ricordare il prosciutto, il salame (dalle forme classiche cilindriche a quelle tese e schiacciate) e le salsicce (preparate con una miscela di carne magra, grassa e spezie), come nella produzione dei salumi tradizionali di suino. Per preparare il salame di cinghiale, i norcini usano solitamente le carni magre dellâ&#x20AC;&#x2122;animale con lâ&#x20AC;&#x2122;aggiunta di grasso di maiale (soprattutto pancetta), al fine di renderlo meno asciutto e prolungarne la conservabilitĂ , dal momento che la carne di cinghiale, se utilizzata da sola, per le sue caratteristiche, stagionerebbe rapidamente. Una volta preparato il composto, che prevede lâ&#x20AC;&#x2122;impiego di spezie e aromi naturali differenti per ogni regione, lo si insacca nel budello e lo si pone prima ad asciugare poi a stagionare. Per il prosciutto (e talvolta la spalla) si seguono le stesse procedure applicate al maiale. I salumi di cinghiale hanno un prezzo variabile tra 11,00-18,00 â&#x201A;Ź/kg e un prosciutto stagionato, del peso di circa 4 kg, può anche costare 180,00 â&#x201A;Ź. Sicurezza della carne di cinghiale Rischi di infezioni da Trichinella o da altri agenti infettivi, non ultimi quelli da epatite E, si possono avere mangiando salsicce crude o poco cotte, oppure prosciutti e salami a breve stagionatura. Per la Trichinella, la prevenzione migliore è una cottura delle carni almeno a 77°C o un congelamento a â&#x20AC;&#x201C;23°C per almeno 10 giorni. Salatura, affumicatura, essiccazione spesso risultano inefficaci, almeno a breve termine, e lo stesso è per la cottura con forni a microonde, troppo breve per inattivare il parassita. Prof. Em. Giovanni Ballarini UniversitĂ degli Studi di Parma
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SAPORI MEDITERRANEI
La bufala tra passato e presente di Giorgia Fieni
Bruschetta con mozzarella di bufala, alici, pomodori secchi e basilico (photo © ultimissimedalforno.blogspot.com).
L
a storia dell’uomo ci ha svelato che la presenza degli animali gli permetteva non solo di spostarsi da un luogo all’altro con più velocità e aiuto nel trasporto, ma anche di poter usufruire delle loro carni (oltre che del latte) come nutrimento (cibo che ne ha notevolmente irrobustito il fisico). Egli portava quindi con sé specie adatte allo scopo, come equini, ovini e bovini. Ciò non toglie che durante il cammino ne incontrasse altre con le medesime “qualità”. Come i bufali. La loro raffigurazione nelle antiche pitture testimonia quanto ardimento e tecnica ci volesse per catturarli, perciò è facile immaginare che il loro utilizzo
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in cucina fosse piuttosto raro. In Italia la documentazione relativa è addirittura posteriore al XII secolo. Nel volume “Il cuoco galante”, del 1773, il gastronomo VINCENZO CORRADO non li cita nemmeno mentre, ne “I pranzi giornalieri”, scritto nel 1832, ne nomina sette ricette commentandole con: Sebbene la carne di bufala non sia da soddisfare ogni palato, il lacerto però siccome il fegato, la lingua e la zinna, è eccellente. Questa carne, di colore rosso intenso, ma con tonalità scure, si avvale infatti di un sapore pieno e robusto (da servire con vini rossi di buon corpo, morbidi, con bouquet intenso e persistente) e richiede preparazioni con cotture ed ingredienti che rispettino queste
sue caratteristiche, esattamente come suggeriva ALEXANDRE DUMAS nel “Grand dictionnaire de cuisine” (pubblicato postumo nel 1872): Spurgate il bufalo, sbianchitelo e raffreddatelo, poi raschiatelo e fiammeggiatelo, infine mettetelo in un buon fondo e fatelo cuocere per tre ore. Sgocciolatelo e sistematelo in un piatto cosparso di buona salsa tritata molto saporita e servite. Diverso destino ha avuto il latte di questi animali, che fin dall’inizio è trasformato dai monaci in un formaggio a pasta filata, rotto a mano, prendendo l’appellativo di “mozzarella”. Ecco quindi che, sul mercato campano (regione in cui, assieme a basso Lazio, Puglia e Molise, si concentrava — ma anche
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tuttora — l’allevamento di bufali; lo testimonia GOETHE nel resoconto di una gita a Paestum: …attraversando canali e ruscelli e incontrando bufali dall’aspetto di ippopotami e dagli occhi selvaggi e iniettati di sangue) i due prodotti iniziano ad affiancarsi. Poi, col miglioramento delle condizioni stradali e lo sviluppo delle ferrovie, la mozzarella si diffonde in tutto il Paese e, successivamente, con quello navale e aereo, nel mondo. Ovviamente con le precauzioni del caso: è sbagliato metterla in frigorifero, ma va tenuta semplicemente al fresco, nel suo latticello (anche se, a fine XIX secolo, si conservava, asciutta, in fogli di giunco e di mortella in cassette di vimini e di castagno). Nel 2014 è esploso un caso riguardo il poterla congelare, il che, a detta di molti, ne rovinerebbe irrimediabilmente le caratteristiche organolettiche. È piaciuta parecchio invece l’idea di creare dei Mozzarella Bar (presenti a Milano, Roma, Palermo, ma anche a New York, Tokyo, Los Angeles, Istanbul) in cui essa, sempre di prima qualità, viene declinata in preparazioni sia tradizionali che innovative. Lo stesso per il proporre, sul menù dei ristoranti, carne di bufala, nonché concorsi gastronomici a tema, pratica questa che sta iniziando ora a diffondersi, per cui le idee sono ancora in fase di progettazione e sperimentazione. Io per esempio mi affiderei a un bel chili. Al ragù e al brasato. All’arrosto e allo spezzatino. Alle polpette e agli straccetti. Ai bocconcini al vino rosso e alla tagliata con le castagne. Al filetto con rosmarino e all’ossobuco. Provate anche voi a sostituire il bufalo nelle ricette in cui di solito usate il manzo e stupitevi. Quanto alla mozzarella, invece, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Piace sia tale e quale o condita con colatura di alici e aceto balsamico (o con una gremolata “alla Nigella Lawson” di peperoncino, olive nere, scorza di limone, aglio, olio extravergine,
Fagottini di fesa con ricotta di bufala su crema di piselli (photo © www.sfizioso.it). prezzemolo), sia su bruschette, pizza, toast, sandwich (originale l’idea di ANGELA MACI che la sostituisce al pane, la riempie con fette d’anguria e copre con ciliegie e rucola), gattò di patate, spiedini, tartare (mi piace di ricciola con fragole), crostini, crêpes, frittate, polpette, panini, parmigiana, arancini, nonché come sugo per la pasta, il risotto, le lasagne e ripieno per i tortelli (con seppie e scorza di limone o astice e scorza d’arancia, se ne volete due versioni particolari). Vi suggerisco anche la mozzarella di bufala ripiena di pesto e coperta di caramello al pomodoro. Tagliata a fette e ricomposta mettendo fra esse una crema a base di melanzane, aglio, menta e aceto di mele. A bocconcini panati nella polenta istantanea e fritti. «Sono un’esplosione di latte fresco coperti da una calda crosticina croccante» ha commentato CSABA DALLA ZORZA. «Ci vuole un po’ di tempo a friggerli, ma per un cocktail sono insuperabili». Al forno con scaloppine di pollo, pomodori cuore di bue e basilico,
Provate la mozzarella di bufala ripiena di pesto e coperta di caramello al pomodoro o i bocconcini panati nella polenta istantanea e fritti. Un’esplosione di latte fresco, coperti da una crosticina croccante
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coprendo poi con polvere di pane carasau. Nel sushi, con riso, tonno rosso, pomodorini e semi di papavero. Nella cheesecake allo zafferano con pesche grigliate, mandorle e caramello salato, usando biscotti ai cereali come base. Tritata con fiori di zucca, alici sottolio, basilico, origano, pomodori secchi, in cui passare un roast-beef marinato al brandy prima di rosolarlo in olio e servirlo con cipolla fritta. A millefoglie con verdure grigliate, patate lesse, pomodori ramati e frittata di spaghetti. L’unico “punto oscuro” sembra essere l’uso della bufala per la mozzarella in carrozza: alcuni la sconsigliano in quanto troppo brodosa, altri ne scongiurano il pericolo lasciandola una notte intera sotto un peso. Anche gli chef non sono troppo decisi al riguardo, per cui preferiscono adottare soluzioni più fantasiose. Come EMANUELE SCARELLO e MORENO CEDRONI, che la trasformano rispettivamente in un gelato (da servire con arrosto di triglia e crema di melanzane) e in una confettura (col pompelmo rosa). Ma vorrei qui omaggiare GUALTIERO MARCHESI, che la pungeva con una siringa piena di passato di pomodoro, la serviva su un piatto (bianco con un quadrato nero) e consigliava di mangiarla con le mani. Una classica caprese ma reinterpretata in modo che la bufala, dal passato e passando per il presente, possa proiettarsi direttamente nel futuro. Giorgia Fieni
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TURISMO ENOGASTRONOMICO
Le molte virtù (e i pochi vizi) del turismo esperienziale Si dice spesso che il turismo sia una voce importantissima del bilancio pubblico, che traina molti altri settori. Non è da meno l’agroalimentare, che spesso contribuisce ad attrarre flussi turistici attraverso il nome dei suoi prodotti più prestigiosi. L’esperienza in fatto di cibo è però fondamentale di Sebastiano Corona
S
econdo il World Tourism Barometer, l’Europa è la meta turistica più ambita e visitata al mondo. Forte di un patrimonio storico e architettonico importantissimo, di paesaggi e identità che si esprimono in mille modi diversi, il Vecchio Continen-
te ha raggiunto, nell’anno 2015, quota 607,7 milioni di arrivi, con 27,5 milioni di turisti in più rispetto al 2014. Un aumento notevole che si registra anche nelle aree meridionali che si affacciano sul Mediterraneo, complice il timore di attentati nei Paesi del Medio Oriente e
del Nord Africa. In questo contesto, secondo l’OMT, il Belpaese è posizionato al quinto posto per gli arrivi e al settimo per gli introiti. Secondo la Banca d’Italia (dati 2015), la spesa dei viaggiatori stranieri nel nostro Paese ha raggiunto 35.556 milioni di euro, con un incre-
L’offerta enogastronomica è da tempo diventata da sola una delle motivazioni primarie di viaggio, al punto che l’Ipsos, in una sua ricerca, la pone, in termini di appeal, al pari delle città d’arte e dei monumenti (photo © goodluz – stock.adobe.com).
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mento del 3,8% rispetto all’anno precedente. Quanto descritto si traduce in indici economici di tutto rispetto: 167,5 miliardi di euro quale impatto dell’economia allargata del settore turistico sul Prodotto Interno Lordo e un’incidenza percentuale del 10,2%. L’occupazione turistica, considerati diretti ed indiretti, è di 2.609.000 unità, pari all’11,6% dell’intera occupazione nazionale (stime del WTTC – Travel & Tourism Economic Impact per l’anno 2016). Semmai ce ne fosse stato bisogno, queste cifre, decisamente incoraggianti, confermano l’importanza del turismo nell’economia nazionale e sono la prova di come il comparto, in qualunque realtà, possa fare da traino per molti altri settori. Grazie ai flussi di visitatori, soprattutto quelli stranieri, si muove una serie di altre tipologie produttive direttamente o indirettamente collegate. Oltre ai servizi, infatti, c’è l’artigianato locale, ma soprattutto l’industria agroalimentare. Quest’ultima, in alcune realtà, è direttamente coinvolta, al tal punto che in alta stagione registra un’impennata nella produzione che va rapidamente scemando al concludersi dei periodi di maggior flusso. Stagioni ristrette e impattanti, a causa di un intenso traffico che si concentra in pochi mesi all’anno — si pensi al turismo balneare che interessa soprattutto luglio e agosto — possono però generare problemi di approvvigionamento cui segue un drastico calo di vendite, con tutte le conseguenze negative che si possono immaginare. Il tentativo di destagionalizzare si rende necessario per una serie di problemi di carattere organizzativo, ambientale, ma anche per garantire continuità di lavoro per un arco temporale il più ampio possibile. Le strategie da mettere in campo sono diverse e oggi, fortunatamente, il mercato turistico ne offre una in più che può investire seriamente il comparto agroalimentare con grandi soddisfazioni. L’offerta enogastronomica è da tempo diventata infatti, da sola, una delle motivazioni primarie di viaggio, al punto che l’IPSOS, in una sua ricerca, la pone, in termini di appeal, al pari delle città d’arte e dei monumenti che il territorio offre. Se le diverse cose vanno poi di pari passo, si è certi di fare breccia
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Tour in vigna in occasione di Cantine Aperte. Ideata nel 1992, Cantine Aperte è diventata una delle manifestazioni di primavera più attese da winelovers ed esperti del bere bene. Con cene e picnic tra i filari, le cantine si promuovono sempre più come luoghi di esperienze sensoriali a tutto tondo (photo © www.lavocedimaruggio.it). nel cuore del visitatore. Cosa c’è di meglio che fare un viaggio in luoghi dove è possibile godere, oltre che di paesaggi e monumenti spettacolari, anche di una buona cucina e dell’ottimo vino? Gli stranieri questo cercano, le nostre eccellenze enogastronomiche, ma non si accontentano più di gustarle, perché vacanza è sempre più sinonimo di esperienza e, in questo caso, di esperienza sensoriale, di vita d’azienda, di partecipazione al processo produttivo. Il mero assaggio fine a sé stesso non è più sufficiente. Il viaggiatore, durante il suo soggiorno, chiede sempre più spesso di allargare i propri orizzonti. E lo vuole fare con tour culturali, laboratori dove la manualità la fa da padrona, lezioni di cucina, visite aziendali in cui sia possibile mettersi in gioco partecipando in prima persona alla produzione.
Sono sempre più richieste le vacanze in cui si impara qualcosa, si vive un momento speciale, si fa un’esperienza unica, impossibile da ripetere a casa propria. Il turista di oggi non va alla ricerca di tour organizzati, tutt’altro. È un viaggiatore indipendente, che programma in autonomia il suo soggiorno e vuole stare quanto più possibile lontano dall’omologazione. E quell’esperienza unica che intende vivere è sempre più spesso legata al mondo agroalimentare. Cultura, convivialità, incontro Il cibo non è solo nutrimento ma anche cultura, convivialità, incontro. Cosa c’è di meglio, per entrare a contatto con un luogo, che esplorarne la tavola e tutto quello che ad essa è legato? L’alimentare è espressione linguistica, è costume, è il frutto di usanze e vocazione
Il mero assaggio fine a sé stesso non è più sufficiente. Il viaggiatore, durante il suo soggiorno, chiede sempre di più di allargare i propri orizzonti con tour culturali, laboratori dove la manualità la fa da padrona, lezioni di cucina, visite in cui sia possibile mettersi in gioco partecipando in prima persona alla produzione
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Degustazione presso l’Acetaia Giusti di Modena. Il cibo è anche convivialità e sempre più aziende dell’agroalimentare stanno puntando su questo aspetto per attirare visitatori. Nel Modenese, ad esempio, alcune acetaie organizzano visite presso le aziende durante le quali si svelano i segreti del prodotto, si gusta un pranzo a base di piatti tipici e si può personalizzare l’etichetta dell’aceto acquistato (photo e info: www.visitgiusti.com). locale, richiama la storia, è un pezzo — certamente il più prelibato — dell’identità di un popolo. Anche per questo motivo sono sempre di più le aziende del comparto agroalimentare che del turismo sfruttano l’aspetto conoscitivo, cogliendo l’occasione per avere con i visitatori un rapporto diretto che non si fermi alla vendita del prodotto. In principio fu l’agriturismo È stata la formula dell’agriturismo, diversi decenni fa, a fare da apripista. Oggi queste strutture assomigliano per la maggior parte a degli alberghi e, in certi casi, hanno paradossalmente anche un po’ perso il loro legame con il mondo rurale. In realtà questa forma di ospitalità nasceva con lo scopo di permettere al visitatore di vivere la campagna in maniera diretta. Non a caso l’ospite veniva coinvolto nel lavoro, coadiuvava, a suo modo, per qualche giorno, il titolare dell’azienda, diveniva egli stesso un fattore. Pertanto sveglia presto, mungitura, colazione del pastore, lavoro nei campi e, se era tempo di tosatura, anche questa imperdibile esperienza.
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Un modo di vivere la vacanza lontano dalla frenesia della città e staccare da ogni punto di vista. A distanza di anni, sempre più imprese aprono le porte del laboratorio per accogliere visitatori che non solo hanno occasione di degustare il prodotto laddove è stato realizzato, ma possono assistere anche alle diverse fasi produttive e — perché no? — in certi casi anche partecipare alla lavorazione in prima persona, mettendosi in gioco in un’esperienza completamente nuova. Nel Modenese alcuni mastri acetai portano il visitatore in azienda, gli svelano i segreti del proprio aceto, gli offrono il pranzo a base di piatti tipici, gli personalizzano l’etichetta dell’aceto che compreranno poco prima di lasciare il laboratorio. In altre zone, guide esperte organizzano escursioni in montagna o in collina in cui si va alla ricerca di prodotti selvatici di stagione, dai funghi alle erbe aromatiche, dalle more ai tartufi e molto altro ancora. In serata, al rientro, è forte l’emozione di poter gustare a tavola quanto raccolto. Nelle malghe si va nei percorsi della transumanza o si visitano i piccoli ca-
seifici per imparare a fare il formaggio. Nelle regioni a vocazione vinicola sono sempre di più le aziende agricole che organizzano picnic nelle vigne, all’aperto. Ad Atzara, nel centro Sardegna, c’è una cantina a conduzione famigliare che produce ottimi vini, ma che in più offre il pranzo a base di prodotti tipici locali all’interno della struttura e organizza le visite nei vigneti storici da cui si approvvigiona. I turisti hanno in quel momento l’imperdibile occasione di “adottare un ceppo” che scelgono personalmente nelle campagne dell’azienda. Con una modica spesa di quella pianta possono monitorare, a distanza, gli sviluppi nel tempo, grazie ad una webcam puntata sul vigneto. I “genitori adottivi” riceveranno a casa una bottiglia di vino all’anno, proveniente, appunto, dai ceppi scelti. Le forme in cui si esprime il turismo esperienziale e gli esempi di questo nuovo modo di viaggiare sono moltissimi. Tuttavia, sebbene questo approccio porti grandi soddisfazioni, soprattutto nei periodi di minor lavoro, sull’offerta in Italia si potrebbe fare ancora molto in
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termini di organizzazione complessiva, di comunicazione e anche di dialogo tra operatori. La proposta è ancora fortemente frammentata e di scarsa visibilità on-line e pertanto di difficile individuazione, soprattutto per gli stranieri. C’è dunque molto da fare, sia sul piano pubblico che su quello privato, dove le aziende dovrebbero forse fare lo sforzo di creare ambienti belli da vedere, ma soprattutto fruibili e facilmente visitabili. Le commistioni tra turismo e agroalimentare non finiscono però qui. È vero che i flussi turistici sono un ottimo mezzo per drenare produzioni locali, dagli approvvigionamenti delle strutture ricettive ai ristoranti, passando per le sagre paesane e molto altro ancora, ma spesso è proprio l’agroalimentare a rendere noto il nome di una regione o di una località nel mondo. E ad attrarre, così, i turisti. Dal nome di un cibo può partire la curiosità, il desiderio di approfondimento e la voglia di visitare un luogo di cui magari non si conosceva l’esistenza, prima di gustare un suo prodotto tipico. In questo sono di fondamentale aiuto le denominazioni europee, siano esse DOP o IGP, comprese quelle dei vini. A quanti, in Italia, ma soprattutto all’estero, la cittadina di Colonnata era nota sino a quando il suo squisito Lardo non è entrato nell’Olimpo dei cibi più prestigiosi, ottenendo l’Indicazione Geografica Protetta? E lo stesso discorso non vale forse per Asiago, Altamura, Norcia, Modica, Bronte, Vignola e molti altri luoghi ancora, che, in assenza dei loro prodotti a denominazione, sarebbero forse passati inosservati? E quante regioni o aree specifiche vengono richiamate nel nome dei propri prodotti di punta come un’autentica leva di marketing dove il richiamo turistico è solo uno dei fronti che si può sfruttare? Pensiamo al Chianti, a Modena, al Garda. Pensiamo ad intere regioni che sono diventate un vero e proprio brand. Il richiamo è forte e passa attraverso quello di un prodotto di alta qualità, certificato tra i più pregiati al mondo. Così dovrebbe il turismo essere volano per l’agroalimentare, così l’agroalimentare dovrebbe aprire le porte al turismo, in Italia e nel mondo. Sebastiano Corona
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WEEK-END
Genazzano, tra pane, fiori e cultura da preservare
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ttraverso una semplice delibera il sindaco certifica la provenienza di ogni prodotto della sua terra»: così LUIGI VERONELLI spiegava la DE.C.O., la Denominazione Comunale di Origine. Un’idea nata dal basso per valorizzare quegli immensi giacimenti enogastronomici che l’Italia conserva: risorse e ricchezze che appartengono alla terra, al luogo d’origine. Questo è il riconoscimento della tipicità di quei tanti prodotti agroalimentari che non rientrano, per motivi diversi, in altre forme di tutela. Un modo per legare un prodotto al suo territorio, al suo comune, al luogo dove si produce da sempre. Anche Genazzano, piccolo comune di 6.000 abitanti a 40 chilometri da Roma, ha i suoi giacimenti di cultura enogastronomica. Arroccato su uno sperone di tufo vulcanico a 380 metri sopra il livello del mare, questo borgo medievale è immerso nella verdissima vallata del Sacco, tra i Monti Prenestini. È un incanto camminare tra i vicoli perfettamente conservati, scorgendo il verde delle colline, antiche residenze, abitazioni, passaggi e scorci di grande bellezza. Conosciuto già ai tempi dell’antica Roma come meta di villeggiatura delle Gens Genucia, Antonina e Iulia, il borgo prese vita nel XI secolo, divenendo poi feudo storico della famiglia Colonna, che dal Palazzo Baronale, comunemente chiamato Castello Colonna (o ancor più semplicemente Castello), controllava il passaggio verso Napoli e Roma. Succede solo a Genazzano: la magia della provincia e del pane col proprio nome Genazzano è una di quelle perle della provincia italiana che merita di essere visitata. Sono parecchi i motivi: per scoprire ogni angolo e vicolo del borgo antico, per mangiare gli gnocchi a coa de sorica (a coda di topo), una pasta fatta a mano con acqua e farina dalla forma allungata, per vedere il santuario della Madonna del Buon Consiglio, per ordinare nei forni tipici il famoso pane casereccio e le barachie, dolcetti di pasta frolla ripieni di marmellata. Qui il tempo scorre lento tra le case ristrutturate che ancora conservano gli stemmi delle arti e dei mestieri antichi sopra i portoni. Qui ogni anno si celebra
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Paese d’altri tempi, a Genazzano il pane si può ordinare e pagare la sera e ritirare la mattina dopo in forno dove, assenti i fornai per il meritato riposo, tra il pane pronto sul tavolo ci sarà quello col proprio nome. il Palio di Brancaleone e la rievocazione storica della Disfida di Barletta, senza dimenticare l’Infiorata la prima domenica di luglio, con la processione del Sacro Cuore che sfila su un tappeto floreale. Attraverso le stradine in pietra passano rilassati i camminatori della via Francigena. Tutto è magia e rito liturgico delle tradizioni locali. Perché essere significa appartenere. Perché se verso sera vi capita di passare dall’Antico forno di San Giovanni a ordinare una
pagnotta, la pagate e l’indomani troverete la porta della bottega aperta e vuota, con i fornai giustamente a casa a riposo. Sopra un tavolo ci sarà il pane pronto tra cui quello con il proprio nome, da ritirare e portare via. Solo a Genazzano. Nota Per dormire: Locanda delle Ginestre, via del Papa 16, 00030 Genazzano (RM), www.locandadelleginestre.it; a pag. 80 photo © Sergiogen – stock.adobe.com
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Valgrande, ricerca e riscoperta della tradizione gastronomica polesana Riso col tastasal, bigoli al ragù di corte e faraona sono solo alcuni dei piatti proposti dall’agriturismo Valgrande, azienda agricola multifunzionale, fattoria didattica e sociale, che punta sulla tradizione gastronomica del territorio e riscopre gli animali di bassa corte senza perdere di vista il maiale trasformato in insaccati di produzione propria di Gian Omar Bison
Alberto Faccioli e Monica Bimbatti. Insieme gestiscono l’agriturismo Valgrande, nato sulla scia dell’azienda agricola di proprietà del padre e del nonno di Alberto.
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alla profonda campagna alto-polesana è luogo comune aspettarsi nebbie, afa e zanzare. Pochissimi centri urbani, poca densità abitativa. Ma le campagne sono enormi distese di
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terre grasse e feconde. E la cultura e la tradizione contadina radicate e caratteristiche così come la cucina. L’agriturismo Valgrande di ALBERTO FACCIOLI e MONICA BIMBATTI a Runzi di Bagnolo di Po è nato sulla scia di
un’azienda agricola che il padre e il nonno di Alberto hanno gestito per decenni. Con Alberto e la sua famiglia c’è stata l’evoluzione per aprirsi alla possibilità di pernottamento prima e proposta gastronomica poi. Un relais di
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campagna multifunzionale che, oltre ad essere fattoria didattica certificata dalla Regione Veneto, è anche fattoria sociale. «Siamo con orgoglio la struttura capofila del progetto “Star bene insieme”, in essere con l’ULSS 5», sottolinea Monica. «Accogliamo ragazzi con disagio familiare che lavorano manualmente nei nostri laboratori e siamo contenti di contribuire al fatto che queste nuove competenze si trasformino per loro in opportunità diverse di inserimento nel mondo del lavoro». Complessivamente l’azienda poggia su venti ettari di superficie utile, la stessa da sempre. «L’attività di frutticoltura — sottolinea Alberto — esisteva prima dell’attività agrituristica; ora in azienda esiste un piccolo frutteto per le produzioni aziendali inerenti l’attività agricola». Oltre agli animali di bassa corte c’è stato anche il periodo dell’allevamento bovino con stalle capienti fino a trenta capi al massimo. «Poi — continua — la crisi generalizzata del comparto carni ha coinvolto anche noi e per questo abbiamo accantonato l’attività». Il sogno di evolvere in agriturismo come struttura dedita alla ricezione e al pernottamento degli ospiti risale a quindici anni fa. «Già da qualche tempo si parlava di multifunzionalità delle aziende agricole. Vedevo colleghi toscani e trentini che aprivano l’attività agli esterni e piano piano siamo partiti anche noi, cominciando con la ristrutturazione della casa colonica». All’inizio solo alloggio con cinque stanze e quattordici posti letto a disposizione e prima colazione. «Poi però la richiesta degli ospiti di poter consumare un pranzo o una cena è stata sempre più frequente. Da lì abbiamo iniziato ad affinare e costruire una proposta gastronomica e ad attrezzare la cucina. La voce si è diffusa tra gli amici, che sempre più numerosi ci hanno spinto a cucinare anche per loro, e così abbiamo allargato la ristorazione agli esterni scegliendo di proporre quello che da sempre si consuma nelle famiglie rurali. È il nostro punto di forza: proporre piatti con i prodotti del territorio coltivati per buona parte in azienda, ma non solo. E così siamo arrivati ai quaranta posti a sedere, aumentabili eccezionalmente. Numeri limitati per poter servire esclusivamente prodotti locali e stagionali. Di fatto siamo sempre
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Stagionatura dei salumi.
aperti e sempre chiusi perché lavoriamo esclusivamente su prenotazione». Ricerca e riscoperta della tradizione gastronomica polesana la base su cui poggia l’offerta al Valgrande. «Esiste una cultura e una tradizione gastronomica polesana, per quanto la provincia di Rovigo non elenchi tanti piatti strettamente territoriali. Ma l’anatra, la faraona e gli animali di bassa corte allevati e preparati in modi diversi stanno a pieno nella nostra migliore tradizione, così come il maiale che lavoriamo con salumi e insaccati di nostra produzione, dai salami ai cotechini, alle pancette. E poi il riso, in particolare quello col tastasal (la carne macinata e conciata per fare i salumi), le paste fatte in casa come le tagliatelle». I maiali provengono da un allevamento distante pochi chilometri dall’azienda, gestito da una cooperativa di cui è stato parte anche Alberto. «L’avicolo, invece, tranne le oche, è tutto nostro: anatre, faraone, galline. E così i conigli». Il cliente secondo Alberto rispetto a 10 anni fa è molto attento. L’invasione di programmi televisivi inneggianti alla cucina fanno sì che si sentano tutti esperti e cuochi capaci. «In ogni caso cercano ancora il prodotto locale e con esso piatti che si stanno perdendo anche nel modo di concepirli e proporli. Si mangia meno carne e per questo abbiamo anche un menù completamente vegetariano». I piatti forti? I bigoli fatti in casa con ragù
di corte e la faraona. Gli ospiti arrivano per lo più dall’Italia settentrionale, soprattutto dalla Lombardia, e, per quanto riguarda gli stranieri, dal Nord Europa. Tre i collaboratori agricoli applicati in azienda. Investimenti strutturali importanti non sono in previsione, a parte qualche piantumazione nel frutteto. «Comunque stiamo chiudendo la fase di conversione e da febbraio la nostra azienda diventerà biologica». Alberto è anche vicepresidente veneto di Agriturist e da vicepresidente sottolinea «l’eccessivo carico normativo e burocratico cui siamo soggetti. Troppi controlli per l’attività che facciamo, considerato che sono tutte piccole e medie aziende. Troppi vincoli. Siamo l’unica regione che chiede che il 65% del proposto sia aziendale, con riduzione al 50% se si utilizzano DOP e IGP. Nel nostro caso utilizziamo il prosciutto Veneto BericoEuganeo DOP, l’insalata di Lusia IGP e il riso polesano del Delta del Po DOP, oltre ai vini, tutti DOP, del Trevigiano, dei Colli Euganei e del Veronese». Una buona cucina tradizionale, insomma, servita con garbo e presentata con eleganza. Che si distingue per una ricerca e una sperimentazione continua, fino al recupero e alla rivisitazione di ricette rinvenute negli archivi degli istituti alberghieri locali. Gian Omar Bison >> Link: www.agrivalgrande.it
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ASSEMBLEE
Federalimentare, il valore aggiunto siamo noi Cibus giunto alla sua XIX edizione apre, come di consueto, con l’assemblea pubblica annuale della Federazione Italiana dell’Industria Alimentare, dedicata quest’anno al nostro know how, dal titolo “Il quinto elemento. Made in Italy, made with care” di Sebastiano Corona
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nostri prodotti alimentari, quelli che ci danno il primato per i numeri di DOP e IGP, quelli per i quali la nostra cucina è nota in tutto il mondo, possono essere realizzati in un altro luogo del pianeta, con lo stesso risultato in termini di gusto? La risposta è immediata ed è negativa. Lo dice forte e chiaro FEDERALIMENTARE e lo fa
in un’assise speciale, quella del Cibus 2018, dove il 7 maggio scorso si è tenuta l’assemblea annuale aperta dal presidente LUIGI SCORDAMAGLIA. L’occasione non poteva essere più propizia: la XIX edizione della più nota fiera di prodotti agroalimentari di qualità, in un momento storico in cui non solo la manifestazione registra numeri da record, ma anche il
comparto dà segnali di ottimismo dopo una crisi senza precedenti. Il Centro Studi Federalimentare mostra infatti dati importanti, già per il primo bimestre del 2018: un +4,9% di produzione, rispetto allo stesso periodo del 2017; il fatturato pari a +3,7% (in linea con l’anno precedente), ma soprattutto l’export, che assume una
Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare, in occasione di Cibus 2018, durante il quale si è tenuta l’assemblea annuale dell’associazione (photo © www.efanews.eu).
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Il tavolo dei relatori all’assemblea. ragguardevole accelerazione, con un +8,7%, superando l’industria totale di ben 2 punti percentuali. Il nostro cibo è in sostanza apprezzato in casa ma, soprattutto, oltre confine, dove i margini di crescita sono ancora notevoli, non solo per consolidare posizioni già acquisite, ma anche per penetrare nuovi mercati dove la presenza è ancora debole e coprire gli spazi che al momento sono occupati dal cosiddetto Italian sounding. Questa è stata l’assemblea di Federalimentare in cui — parole del presidente Scordamaglia — «facciamo una riflessione su noi stessi e su quello che siamo come comparto. Una serie di riflessioni prive di richieste e rivendicazioni quest’anno,
tanto più che in assenza di Governo, non sapremmo a chi rivolgerci». Il quinto elemento È dal nome dato all’assemblea che si è partiti nella discussione, con un bellissimo video presentato da R ICKY TOGNAZZI. Il noto attore figlio d’arte ha colto l’occasione per parlare della rappresentazione ricchissima, del cibo, nel cinema italiano, citando film e passaggi che ne hanno fatto la storia, dove uno o più piatti non erano solo scenografia, ma talvolta protagonisti. Entrando in intimità col pubblico presente, Tognazzi ha voluto regalare racconti della vita del padre Ugo, descrivendo nei dettagli la sua proverbiale e ma-
È sul cibo che si rendono evidenti forti disuguaglianze tra fasce sociali e tra popolazioni, dove si esasperano le ingiustizie e le diversità. Ed è ancora sul cibo che si misureranno sempre di più le forze dei singoli e degli Stati, anche attraverso misure protezionistiche, barriere, limitazioni
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niacale passione per la cucina, dove si cimentava quotidianamente, spesso sperimentando sapori e abbinamenti che sottoponeva al giudizio di amici e parenti. Cose che solo noi Italiani possiamo capire. Da qui si è partiti per spiegare quale sia il quinto elemento. Non sono tanto o solo l’acqua, la terra, l’aria, il fuoco a fare dell’alimentare italiano ciò che lo rende unico al mondo. C’è un ulteriore fattore che è il “fatto con cura”, il fatto in Italia, che rende ogni cosa unica ed irripetibile. È il made in Italy, quello straordinario talento del trasformare ogni materia prima in un prodotto di eccezionale pregio. Siamo inimitabili, da molti punti di vista, ed è qui che risiede il nostro valore aggiunto. Ed è proprio per questo che gli stessi processi produttivi, con pari materie prime e pari procedimenti, realizzati altrove, non garantiscono uguali risultati. Non siamo tanto o solo incubatori di gusti pregiati, ma piuttosto un vero e proprio modello di produzione d’eccellenza, essendo riusciti nei secoli a trasformare in maniera magistrale materie prime anche non locali e poi, nel tempo, ad unire, in un’alchimia perfetta,
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tradizione ed innovazione, senza mai tradire la prima, senza mai rinunciare alla seconda. Tutto questo riporta l’Italia tra i Paesi maggiormente attrattivi per gli investimenti esteri e lo fa nonostante gli immensi ostacoli rappresentati da burocrazia, pressione fiscale, deficit infrastrutturale. L’alimentare nazionale è insomma un fenomeno in assoluta controtendenza e lo è a dispetto dei consumi interni che continuano a restare stagnanti e ancora inferiori a quelli pre-crisi. Distribuzione e investimenti il nostro tallone d’Achille Che ne siamo consapevoli o meno, abbiamo un ruolo di primaria importanza in un comparto che è diventato centrale a livello mondiale e sul quale si sta scatenando una nuova guerra fredda, a cui si dirigono gli appetiti dei principali attori finanziari del pianeta. È sul cibo che si rendono evidenti forti disuguaglianze tra fasce sociali e tra popolazioni, dove si esasperano le ingiustizie e le diversità. Ed è ancora sul cibo che si misureranno sempre di più le forze dei singoli e degli Stati, anche attraverso misure protezionistiche, barriere, limitazioni. In un’assise moderata in tandem dai noti giornalisti NICOLA PORRO e LUCA TELESE erano presenti anche il CENSIS, nella persona di MASSIMILIANO VALERII, direttore generale, e MICHELE SCANNAVINI, presidente dell’Agenzia ICE, Istituto per il Commercio Estero. È stato quest’ultimo a sottolineare che come Paese abbiamo molti più vantaggi competitivi di quanto si pensi. «Tuttavia — ha ricordato — ci sono due problemi che più di altri ci limitano nel raggiungimento degli obiettivi che ci siamo posti, sia in termini di consumi interni sia all’estero. Il primo è quello della distribuzione. Una distribuzione dove l’Italia è pressoché assente e che al momento, in Europa, è quasi esclusivamente in mani francesi e tedesche. Il secondo è quello degli investimenti, soprattutto nelle imprese più piccole, quelle che rappresentano la maggior fetta del nostro tessuto produttivo. Gli investimenti sono sempre troppo modesti». E per citare un esempio più che positivo, soprattutto per le performance all’estero, porta il caso del Prosecco, un vino che ha sfondato nella patria dello Champagne, dove è stata imboccata
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la strada giusta: presentare un prodotto qualitativamente più che soddisfacente, di prezzo però accessibile, proposto come aperitivo. In questa ed altre occasioni di consumo, il Prosecco è diventato esso stesso un’abitudine, una moda che ne impone l’utilizzo in una modalità completamente nuova per i Francesi. Cibus, contraddizioni, valori e potenzialità Prima delle conclusioni del presidente BOCCIA, ci hanno pensato Telese e Porro a rendere briosa la conversazione, con una domanda piccante, considerato il contesto. Nell’era del digitale e delle vendite on-line, che senso hanno ancora le fiere? «Le manifestazioni fieristiche hanno ancora un loro senso, eccome!» ha risposto prontamente Massimiliano Valerii. «Cibus per esempio, è un racconto di racconti, una straordinaria piattaforma di contenuti, un valore immateriale che prende forma. Oggi a Cibus, dopo molto tempo, ho visto la società nella sua migliore espressione, non la società del rancore, ma quella del fare, che guarda con speranza al futuro. Certo, non basta. Ci sono ostacoli importanti, ma molti non sono nuovi. C’è il problema delle fake news che periodicamente mettono in ginocchio settori interi. Ci sono tentativi protezionistici, ma anche questi esistevano già in passato seppur in forma diversa. Ci sono tendenze che mostrano tutte le contraddizioni di un Paese fortemente variegato dove molte anime, spesso diametralmente opposte, convivono, cercandosi uno spazio. Rimane in tutto questo un obiettivo importante: dobbiamo incrementare il valore di tutto ciò che produciamo e proponiamo». Sulla definizione del Cibus come luogo di perfetta rappresentazione di ciò che siamo, gli ha fatto eco il presidente di CONFINDUSTRIA, che nel suo intervento fortemente critico sulle imminenti prospettive economiche e politiche del Paese ha sottolineato: «girando per gli stand, il Paese non lo senti raccontare, ma lo vedi». In tutta la sua interezza, in tutte le sue contraddizioni, in tutte le sue potenzialità, aggiungiamo noi. L’agroalimentare nazionale è la testimonianza del fatto che nulla è perduto, nonostante le enormi difficoltà. Possiamo fare ancora molto, dobbiamo però fare presto. Sebastiano Corona
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ASS.I.CA.: assemblea generale e tendenze del settore di Riccardo Lagorio
L’
assemblea generale di ASS.I.CA. (l’Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi aderente a CONFINDUSTRIA) si è assunta tradizionalmente il compito di tracciare le tendenze del settore. Tanto che l’incontro di Milano del 12 giugno ha posto al centro della discussione il tema dell’internazionalizzazione di fronte ai rigurgiti neoprotezionisti, cercando di tratteggiare le prospettive del settore della salumeria e delle carni. La relazione del presidente
NICOLA LEVONI ha voluto rimarcare il buon andamento dell’annata 2017 pur in un contesto che, ad inizio del 2018 prelude a luci (poche) ed ombre (molte). La sua eloquente sintesi si legge nelle parole usate. «Le crisi mediatiche, anche a sfondo etico, connesse al consumo di carne, il ritorno di protezionismi e barriere doganali nonché l’aumento del costo delle materie prime hanno stemperato i benefici derivanti da un contesto di mercato interno in ripresa, seppur debole».
Per quanto riguarda il sentimento anticarne, bisogna rilevare i continui sforzi messi in campo da parte delle aziende a comunicare gli impegni profusi dal settore per realizzare un corretto benessere animale. Intanto, sia da Occidente quanto da Oriente, si concretizzano nuove opportunità e le imprese italiane non si sono fatte trovare impreparate, con un export («leva irrinunciabile per la crescita e lo sviluppo del comparto») che è schizzato a 1,5 miliardi di euro su un totale di 8
Nicola Levoni, presidente di ASS.I.CA., durante l’assemblea che si è svolta lo scorso 12 giugno a Milano. Al centro della discussione il tema dell’internazionalizzazione.
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per quanto riguarda la carni lavorate. «Una distintività qualitativa rispetto ai concorrenti internazionali che i consumatori in Italia e nel mondo continuano ad apprezzare. Questa specificità della nostra salumeria lega strettamente il nostro comparto all’immagine del made in Italy alimentare» ha inoltre dichiarato Levoni. GIOVANNI UMBERTO DE VITO, che lavora per la promozione del Sistema Paese alla Farnesina, ha snocciolato i dati dell’export dell’agrobusiness: 41 miliardi. Ma ha anche dipinto gli scenari che ci si può aspettare nei prossimi mesi: le incertezze legate al neoprotezionismo, al rischio dell’imposizione di nuovi dazi, la crisi del multilateralismo e l’introduzione dei cosiddetti semafori alimentari (eccentrici strumenti di un’altrettanto eccentrica tendenza salutistica) potrebbero creare un rallentamento di questo fondamentale sbocco di mercato. Azioni legate alla promozione della cucina italiana nel mondo e il contrasto all’Italian sounding sono avviate da tempo da parte della Farnesina. L’auspicato inserimento di addetti commerciali specializzati in ambito agricolo presso le ambasciate potrebbe fungere da leva per migliorare la presenza attiva nei Paesi sensibili, come Germania e Stati Uniti. Ancora Levoni: «in questi lunghi anni di crisi abbiamo sperimentato ogni giorno come l’export sia una leva irrinunciabile per la crescita e lo sviluppo del comparto. Il futuro dell’industria alimentare e del settore è strettamente legato alla nostra capacità di crescere all’estero. Quest’anno abbiamo assistito a fenomeni che fanno nascere dei timori circa una futura positiva evoluzione degli scambi. Mi riferisco al riaffermarsi di politiche daziarie, soprattutto nei rapporti fra USA e Cina,
Nella composizione della spesa alimentare si è assistito a un repentino cambio di rotta nel consumo di prodotti a base di carne, con un +3,1% del 2017 sul 2016
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Il 2017 ha visto ancora una crescita nella produzione di prosciutto cotto, confermatosi così il principale salume prodotto con riferimento ai volumi (photo © Valerio Pardi, www.valeriopardi.com). ai mancati progressi in merito alle politiche sanzionatorie verso la Russia e al conseguente perdurare dell’embargo adottato da Mosca ormai quasi 4 anni fa e al clima politico di sfiducia verso i trattati di libero scambio, che l’Unione Europea ha faticosamente portato avanti negli ultimi anni». A livello interno, il 2017 ha evidenziato nuove tendenze dei consumi, dopo il sensibile calo di domanda della carne e dei salumi nel biennio 2014 e 2015. Lo ha rilevato FABIO DEL BRAVO, direttore dei servizi per lo sviluppo rurale di ISMEA. «Nella composizione della spesa alimentare si è assistito a un repentino cambio di rotta nel consumo di prodotti a base di carne, con un +3,1% del 2017 sul 2016», superati solo dall’olio extravergine di oliva (+9,3%) e delle bevande alcoliche (+5,2%). Col 17%, le carni e i salumi continuano tuttavia a rappresentare la componente più importante del carrello della spesa. All’interno della famiglia dei prodotti proteici i dati rivelano che la tendenza continua. Il consumo di carne cresce del 5% nel secondo trimestre del 2018 rispetto allo stesso periodo del 2017, molto più dei prodotti ittici (2%) e dei salumi
(2%). Nel 2017 è risultata in aumento la produzione di salumi, che ha chiuso i dodici mesi attestandosi a oltre 1,177 milioni di tonnellate da 1,174 del 2016 (+0,3%). Il valore della produzione ha mostrato una crescita più sostenuta, portandosi a 7.977 milioni di euro (+1,3%). In merito ai singoli salumi, il 2017 ha visto ancora una crescita nella produzione di prosciutto cotto. Grazie alla ripresa dei consumi interni e allo stimolo esercitato dalla crescita delle esportazioni, la produzione è salita a 295.200 tonnellate (+1,8%), per un valore di 2.007 milioni di euro (+2,3%). Il prosciutto cotto si è confermato così il principale salume prodotto con riferimento ai volumi. Del Bravo ha sottolineato inoltre che «i prodotti confezionati rappresentano ormai il 52% del totale contro il 43% del 2013 e la crescita nell’ultimo anno si è attestata intorno al 23%». Segno dei tempi: la comunicazione ha saputo utilizzare al meglio le caratteristiche positive del preconfezionato cogliendo l’aspetto della convenienza e delle informazioni nutrizionali riportate in etichetta. Riccardo Lagorio
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RASSEGNE Seconda edizione del Scirocco Wine Fest
Quattro giorni di vino e culture che si intrecciano di Riccardo Lagorio
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orse non tutti i trentamila visitatori che si sono recati al cospetto della seconda edizione di Scirocco Wine Fest a Gibellina, nel Trapanese, fanno parte di quella grande famiglia di winelovers che percorre anche centinaia di chilometri per provare e collaudare i sorsi più amati. Certo è che nei giorni dal 28 giugno al primo luglio questo centro della Sicilia occidentale ha offerto l’occasione per sperimentare insolite degustazioni grazie a questa kermesse promossa dal gruppo CANTINE
ERMES – TENUTE ORESTIADI e inserita nel programma Destinazione Gibellina. La cittadina della Valle del Belice sorge a mezz’ora di automobile dall’originaria Gibellina, dilaniata dal terremoto del 1968 e che giace sotto la mastodontica opera a cielo aperto di ALBERTO BURRI, nota come il Cretto di Burri: una colata di cemento bianco divisa da strade e da sentieri che separavano le abitazioni e che rifrange i raggi del sole come sa fare un miraggio, una visione onirica. Simbolo dell’iniziativa è lo Scirocco, il vento che percorre il Mare Nostrum,
ne unisce i popoli che lo vivono e ne permea le culture. «Si tratta di un progetto che abbiamo fortemente voluto perché crediamo che il vino sia una forza aggregante che oggi può divenire simbolo del dialogo» dichiara Rosario Di Maria, presidente del gruppo Cantine Ermes – Tenute Orestiadi. «Gibellina, con la sua storia di rinascita, è il luogo ideale in cui far incontrare enogastronomia, arte e cultura. Del resto lo Scirocco soffia su numerosi Paesi, ne caratterizza la viticoltura ma anche l’arte».
Trentamila visitatori per Scirocco Wine Fest 2018, la rassegna, alla seconda edizione, che a Gibellina ha messo a confronto i Paesi del Mediterraneo attraverso il vino (photo © Flavio Leone).
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Gibellina, con la sua storia di rinascita, è il luogo ideale in cui far incontrare enogastronomia, arte e cultura. Del resto lo Scirocco soffia su numerosi Paesi, ne caratterizza la viticoltura ma anche l’arte, ha ricordato Rosario Di Maria, presidente di Cantine Ermes – Tenute Orestiadi
L’enoteca del Mediterraneo era composta da una ventina di etichette, rappresentative delle aziende che hanno organizzato il percorso sensoriale: la Cooperativa di Samo dalla Grecia, Emmanuel Delicata Winemaker da Malta, Codorníu dalla Spagna, Les Caves Richemer dalla Francia, Corvus dalla Turchia e Tenute Orestiadi per l’Italia
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Il programma della rassegna ha ospitato degustazioni di vini e specialità gastronomiche mediterranee, master class, sfide di cucina, cooking show, ma anche incontri con scrittori italiani, tour alla scoperta del territorio, spettacoli e concerti gratuiti (photo © www.sciroccowinefest.it). Quattro giorni all’insegna di vino e culture che si intrecciano: “trame mediterranee” le ha definite CALOGERO PUMILIA, presidente della Fondazione Tenute Orestiadi. I vini in degustazione, ma anche oggetto di approfondimenti sensoriali guidati, si sono potuti abbinare ad un menu che racconta la civiltà mediterranea nei sei Paesi partecipanti: Francia, Grecia, Italia, Malta, Spagna e Turchia. Ecco quindi bicchieri e forchette incro-
ciarsi su paella, cuscus, busiate (lunghi fusilli, la pasta fatta a mano di questa parte di Sicilia), kofte (le polpette turche), i fritti di mare e i fritti di terra. La grande enoteca del Mediterraneo è stata composta da una ventina di etichette, rappresentative delle stesse aziende che hanno organizzato il percorso sensoriale: la Cooperativa di Samo dalla Grecia, Emmanuel Delicata Winemaker da Malta, Codorníu dalla Spagna, Les Caves Richemer dalla
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Concerto a Gibellina durante Lo Scirocco Wine Fest (photo © www.sciroccowinefest.it). Francia, Corvus dalla Turchia e Tenute Orestiadi in rappresentanza dell’Italia. La Cooperativa di Samo è costituita da 2.200 soci che contano circa 1.400 ettari vitati. Impressi nella memoria lo Psiles korfes, Moscato di Samo, ha catturato il naso con i suoi profumi balsamici mentre Aegean breeze si è presentato al naso resinoso, quasi ossidato, con ricordi di pan brioche lasciando la bocca morbida e un poco più lunga del primo campione. I vini di Delicata, un gigante per l’isola con oltre 1,2 milioni di bottiglie consumate prevalentemente in loco,
sono stati illustrati da GEORGES MEEKERS. Il Medina è una mescolanza di uve Chardonnay e Girgentina, presente solo nel piccolo paese a sud-est della Sicilia. La Girgentina matura tardi e conferisce un piacevole profumo di frutta, tra cui pera e mela verde. Sorso snello e fresco. Vinone complesso al naso, speziato, purpureo agli occhi, morbido e con una netta impronta di ribes nero in bocca lo Shiraz e Cabernet della linea GrandVin de Hautville, Malta DOC superiore, da uve raccolte a mano e coltivate su appezzamenti grandi metà campi di calcio.
Corpus è la Riserva 2010 della cantina Corvus, di Reşit Soley sull’isola turca di Bozcaada, all’ingresso dello Stretto dei Dardanelli. L’etichetta non poteva non essere dedicata al mito, ricordando che nell’harem di Na’vi, la donna che avrà più lunga la vita è quella che versa questo vino al marito (la tradizione vuole che i nobili turchi si sbarazzassero delle mogli con estrema facilità). Giusto che sia così: occhio impenetrabile, naso contrassegnato da susina matura e quasi balsamico, in bocca si fa largo un tessuto setoso dal retrogusto di confettura di ciliegia. Delle Cantine Ermes (gruppo Tenute Orestiadi) un piacevole Quattro Quarti, di quattro varietà a bacca bianca locali, che conquista il naso con profumi di albicocca, zagara e pesca mentre l’acidità sostenuta lo rende ideale per confronti a tutto pasto. Alcuni grandi autori italiani hanno presentato le loro opere sorseggiando calici di vino a Palazzo Di Lorenzo, una ricostruzione di quello che era il palazzo più importante di Gibellina. La rassegna ha dato spazio anche alle antiche ricette del territorio, preparate dalle signore del luogo che si sono sfidate in una gara di cucina. Ad aggiudicarsi la vittoria Maria Lanfranca, gibellinese, con la sua ricetta di involtini di pesce spada da abbinare, aggiungiamo noi, al Catarratto 2016 di Tenute Orestiadi. Indimenticabile. Riccardo Lagorio >> Link: www.sciroccowinefest.it
Autochtona raddoppia: debutta Lagrein Experience Autochtona, il forum nazionale dedicato ai vini autoctoni in programma a Fiera Bolzano, si prepara ad un’edizione particolarmente ricca di novità e di eventi. Ad aprire il programma il 15 e 16 ottobre sarà il forum, che accoglierà oltre 100 produttori provenienti da tutta Italia con oltre 300 etichette. Un’occasione unica per incontrare e talvolta scoprire tante piccole realtà che, giorno dopo giorno, contribuiscono alla salvaguardia di uno dei patrimoni più ricchi e originali del panorama vitivinicolo italiano. Sarà inoltre possibile scoprire i vincitori di “Autoctoni che passione!”, il premio assegnato alle migliori etichette autoctone tra quelle presenti da una giuria internazionale. Il palinsesto proseguirà mercoledì 17 con Vinea Tirolensis, vetrina dedicata ai vini prodotti dai vignaioli indipendenti altoatesini, con oltre 60 espositori provenienti da tutte le migliori zone di produzione dell’Alto Adige. Nella giornata conclusiva della kermesse, giovedì 18, debutterà infine la Lagrein Experience, appuntamento dedicato alla valorizzazione del vitigno più antico fra quelli storicamente documentati e tuttora coltivati in Alto Adige (photo © Marco Parisi). >> Link: www.autochtona.it
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Rosso Rubino – Lambrusco Wine Festival 2018, un viaggio nelle terre del Sorbara Otto serate, dal 27 maggio al 27 giugno, per celebrare il Lambrusco, compagno fedele delle tradizioni culinarie più classiche di questo pezzo d’Emilia riscopertosi vino moderno, versatile, in grado di soddisfare tutti i palati. Ha sempre più seguito Rosso Rubino – Lambrusco Wine Festival, la rassegna “frizzante” organizzata dal Comune di Bomporto (MO), giunta alla sua tredicesima edizione, che coinvolge le principali cantine del territorio produttrici di lambrusco di Sorbara per un mese di eventi a base di musica, teatro, cene e degustazioni a tema. Particolarmente originale l’ouverture della manifestazione di quest’anno: complice l’inaugurazione del nuovo ponte sul fiume Panaro, proprio nel comune di Bomporto, si è infatti deciso di organizzare un “Ponte party”, con degustazione dei lambruschi e assaggi di pietanze realizzate dagli chef dell’associazione Cheftochef – Emilia Romagna cuochi. Durante la serata si è svolta inoltre la selezione regionale per il concorso nazionale “Sparkling on Tour – Un cocktail per il Sorbara”, promosso dalla Federazione Italiana Barman. Grande festa e successo di partecipanti per tutte le serate organizzate nelle cantine di Rosso Rubino: Cantina Paltrinieri (cantinapaltrinieri.it); Cantina Righi e Francesco Bellei (www.francescobellei.it); Cantina Bellei Aurelio; Cantina Della Volta (www.cantinadellavolta. com); Cantina Garuti (garutivini.it); Cantina Divinja (www.cantinadivinja.com). E anche il centro storico modenese si è colorato di rosso: mercoledì 6 giugno il lambrusco di Sorbara ha infatti invaso la bellissima via Cesare Battisti grazie alla collaborazione di Enoteca Archer e dell’associazione Modenamoremio, sotto lo sguardo attento della Ghirlandina e il perfetto accompagnamento del gnocco fritto firmato Gnock & Roll. In foto, un momento della serata a Cantina della Volta, che ha visto protagonista il nuovo “Classico Quotidiano”, il Lambrusco di Sorbara Metodo Classico CDV BRUTROSSO (photo © Andrea Liverani). Il vitigno Lambrusco di Sorbara è una varietà autoctona di antiche origini, che deriva dall’addomesticamento di viti selvatiche (Vitis Labrusca, citata anche da Plinio il Vecchio) dette anche uzeline o oseline perché, crescendo spontaneamente al limitare dei boschi, venivano depredate dagli uccelli che ne erano ghiotti. Il Sorbara è caratterizzato dal fenomeno dell’acinellatura (i chicchi rimangono del diametro di pochi millimetri) e ciò è dovuto ad un’anomalia floreale (sterilità del polline) che provoca una sensibile perdita di prodotto. Questa particolare caratteristica del vitigno contribuisce a renderlo unico, contraddistinguendolo tra tutti gli altri tipi di Lambrusco. Il vino che si ottiene dal vitigno Lambrusco di Sorbara è di colore rosso rubino, chiaro. Al palato è fresco, vinoso, floreale, fragrante. >> Link: www.lambruscowinefestival.it
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Aria di Festa: si chiude a con successo la 34 edizione La storica manifestazione dedicata al Prosciutto di San Daniele si è conclusa con oltre 45 ore di degustazioni, showcooking, corsi di taglio, spettacoli ed eventi culturali sold out. Nei prossimi mesi si proseguirà con il tour che porterà “l’Aria” di San Daniele in giro per l’Italia fino a dicembre
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i è conclusa con successo la 34a edizione di Aria di Festa, la storica manifestazione organizzata dal Consorzio del Prosciutto di San Daniele che ogni anno celebra il prosciutto DOP friulano e il territorio unico nel quale questa eccellenza ha origine con un week-end di eventi enogastronomici e culturali. Questa edizione di Aria di Festa rinnova il grandissimo riscontro di una manifestazione che, da oltre trent’anni, richiama nella cittadina in provincia di Udine turisti e amanti del San Daniele che anche quest’anno hanno affollato le vie del centro storico a migliaia, con un incremento del 20% dei visitatori rispetto all’edizione precedente. La realizzazione dell’evento è stata possibile grazie alla collaborazione del Consorzio con la Regione Friuli Venezia Giulia, Promo Turismo FVG, il Comune di San Daniele del Friuli e le numerose associazioni culturali e turistiche locali, che hanno organizzato diverse iniziative volte alla scoperta delle tradizioni e delle bellezze artistiche, culturali e del territorio. Nelle giornate del 22, 23, 24 e 25 giugno i 13 stand gestiti dalle osterie e dai ristoranti di San Daniele in centro storico hanno servito oltre 2.000.000 “dolci fettine rosa”. Sul parco del Castello, il “salotto verde” di San Daniele, i prosciuttifici DOK Dall’Ava, Io Prosciutto, King’s e La Galcere hanno presentato agli ospiti il loro San Daniele così come hanno fatto le 10 aziende aperte Arbea, Prolongo, Principe, Testa & Molinaro, Alberti, Il Camarin,
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Il tradizionale taglio della prima fetta a Aria di Festa 2018 a San Daniele del Friuli con Pietro Valent, sindaco di San Daniele, la conduttrice Diletta Leotta, madrina dell’evento, Giuseppe Villani, presidente del Consorzio del Prosciutto di San Daniele, e Stefano Zannier, assessore regionale (photo © Luca A. d’Agostino/Phocus Agency). Bagatto, La Galcere e Dok Dall’Ava, che hanno proposto degustazioni e le viste guidate in prosciuttificio. Oltre a ciò, Aria di Festa ha registrato oltre 20 appuntamenti con degustazioni, showcooking e corsi di cucina e di taglio del prosciutto, cui hanno partecipato più di 1.000 persone. Tanti visitatori stranieri, austriaci, sloveni e tedeschi in testa. Alcuni fortunati sono arrivati a bordo del Treno Storico Aria di Festa, una locomotiva a vapore d’epoca che, domenica 24 giugno, è partita da Treviso per raggiungere la stazione di Sacile/San Daniele intorno alle ore
12.00, giusto in tempo per un pranzo a base di San Daniele. Aria di San Daniele in tour Gli appuntamenti col San Daniele non finiscono qui. Il tour di Aria di San Daniele porterà infatti la DOP friulana in giro per l’Italia: a luglio a Firenze, Grado (Ein Prosit) e Jesolo, ad agosto a Gallipoli, a settembre a Torino e a ottobre a Bari e Tarvisio/Malborghetto (Ein Prosit), per concludersi nel mese di dicembre con le tappe di Napoli, Cortina e Corvara. Il calendario del tour è disponibile sul sito www.ariadisandaniele.it
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Il San Daniele è naturale, perché fatto solo con carne di maiale italiano, sale marino e l’aria di San Daniele. Detto così sembra semplice ma in realtà non lo è affatto. Perfetto per ogni dieta, è privo di additivi e conservanti, nutriente e facilmente digeribile (photo © Comugnero Silvana – stock.adobe.com).
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FORMAGGIO Alkmaar, Edam, Gouda e Woerden
I quattro mercati del formaggio in Olanda
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n Olanda sono ben 4 i mercati turistici del formaggio: si trovano ad Alkmaar, Edam, Gouda e Woerden e ognuno di loro si svolge in giorni diversi della settimana. Sono appuntamenti particolarmente suggestivi in quanto, oltre allo scopo
prettamente commerciale di vendita del prodotto, questi mercati offrono spettacoli e ricostruzioni storiche in costumi d’epoca relative alle tradizioni che sono collegate al formaggio sin dal Medioevo, facendo fare al visitatore un salto indietro nel tempo.
Il mercato del formaggio di Alkmaar È l’attrazione principale della cittadina, uno spettacolo variopinto e folcloristico che si svolge nella pittoresca piazza Waagplein. Qui è possibile osservare la vendita del formaggio secondo un’an-
A Gouda il mercato del formaggio si svolge nella mattina del giovedì ed è l’occasione perfetta per fare un salto indietro nel tempo. Protagonisti indiscussi di questo evento sono i portatori e pesatori in abiti tradizionali e con i grossi, tipici, zoccoli olandesi.
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tica tradizione che risale al 1365. Dal momento che esisteva una sola pesa, il formaggio veniva infatti venduto solamente in piazza Waagplein. Il formaggio arrivava la mattina presto e gli ispettori e i commercianti controllavano che le forme venissero impilate correttamente. Oggi sono circa 30.000 i chili di formaggio, equivalenti a 2.200 forme, che vengono allineati in attesa dei compratori. Portatori di formaggio In un mercato del formaggio non possono ovviamente mancare i kaasdragers, ossia i portatori di formaggio. Ma anche gli zetters (collocatori), gli ingooiers (tiratori) e i waagmeesters (pesatori) svolgono ruoli essenziali per il mercato. Quando Dal 31 marzo al 29 settembre, il venerdì mattina dalle 10:00 alle 13:00 e alcuni martedì sera dalle 19:00 alle 21:00. >> Link: www.kaasmarkt.nl Il mercato del formaggio di Gouda Il formaggio Gouda è famoso in tutto il mondo e il fatto che oggi sia uno dei principali prodotti esportati dall’Olanda è piuttosto sorprendente, se si pensa che è nato in questo angolo tranquillo della provincia meridionale del Paese. Attualmente, la maggior parte del formaggio olandese viene prodotta o conservata nella regione che circonda la città di Gouda, nota anche come Cheese Valley. Il mercato del formaggio di Gouda costituisce oggi un’attrazione imperdibile, caratterizzata da antichi rituali che risalgono addirittura al 1395. A Gouda le forme arrivano nella piazza principale su carretti trainati da cavalli, quindi vengono impilate a terra prima di essere vendute di fronte allo splendido edificio che un tempo ospitava il municipio. I contadini e i commercianti concludono l’affare con un gioco di mani, in modo decisamente teatrale. Attività Gouda offre una serie di attività dove il formaggio è protagonista assoluto: dal giro in carrozza con il Kaas Express alla tradizionale pesatura del formaggio nell’edificio della pesa fino
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Le forme di Gouda vengono ordinatamente impilate prima della vendita. alla merenda a base di formaggio nel giardino del museo. Quando Dal 5 aprile al 30 agosto, ogni giovedì mattina, dalle 10:00 alle 13:00. >> Link: www.goudakaasstad.nl Il mercato del formaggio di Edam L’Edam è un piccolo formaggio rotondo di circa 1,7 kg di peso. Prende il nome dalla cittadina situata nella provincia del Noord-Holland che nel XIV secolo divenne un importante porto di esportazione per il formaggio. Il mercato era il cuore della città: i fattori vi portavano il loro formaggio da pesare, vendere ed esportare. Nel 1520, Edam ottenne il diritto di tenere il mercato e mezzo secolo dopo le venne concesso a titolo perpetuo il diritto di tenere una “casa di pesatura del formaggio”. Oggi soltanto nei mesi estivi si ridà vita al tradizionale mercato, con rievocazioni e ricostruzioni sceniche in costume. Quando A luglio e agosto, tutti i mercoledì mat-
tina dalle 10:30 alle 12:30, più un sabato sera dalle 20:30 alle 22:30, insieme ad un grande mercato delle pulci. >> Link: www.kaasmarktedam.nl Il mercato del formaggio di Woerden Per tradizione, gli agricoltori hanno sempre portato i loro prodotti freschi presso il mercato in piazza Kerkplein di Woerden, una cittadina circondata da una campagna rigogliosa. Risalente al 1410, è il più antico della regione. Woerden vanta inoltre un popolare mercato del formaggio attivo dal 1885. Altri motivi per scegliere di visitarla sono la giornata del formaggio Graskaas (svoltasi quest’anno il 2 di giugno) ed il Kaaspakhuis (deposito del formaggio), con la sua esperienza interattiva alla scoperta dell’arte della produzione del formaggio. Quando Dal 24 aprile all’11 agosto, tutti i sabati mattina. >> Link: boerenmarktstad.nl
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VINO
La prima vigna della capitale di Massimiliano Rella
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a prima vigna della capitale — una vera vigna per dimensioni, non certo un piccolo filare — è stata battezzata lo scorso febbraio nell’Orto Botanico di Roma. È il Vigneto Italia, un’iniziativa promossa dal critico enologico LUCA MARONI insieme all’Università La Sapienza, con il supporto tecnico di Vivai Cooperativi Rauscedo, leader mondiale nel campo della vivaistica e della viticoltura, che ha fornito gratuitamente tutte le barbatelle e i portinnesti delle varietà selezionate per l’impianto, avvenuto già lo scorso autunno e in conclusione entro aprile, meteo permettendo. La vigna “tricolore” è una collezione di varietà autoctone del nostro Paese, al momento 154 in rappresentanza delle 20 regioni. Un appassionato, uno studente o un semplice curioso, passeggiando in questo incantevole giardino a
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ridosso di Trastevere, sotto la collina del Gianicolo, accanto a un boschetto di bambù, troverà tra i vitigni a bacca bianca tanti nomi curiosi, come la Cococciola e la Passerina dell’Abruzzo, o tra i rossi il Nero buono e il Violone del Lazio. Dalle Marche potrà ammirare le varietà Bianchello del Metauro, la Lacrima di Morro d’Alba, il Verdicchio e il Maceratino; nella piccola parcella dedicata alla Valle d’Aosta il Blanc de Morgex, il Cornalin, il Fumin, il Mayolet e altre. Troverà inoltre l’unico vitigno autoctono
del Molise, il Rosso tintilia, e ovviamente i vitigni delle più importanti regioni enoiche d’Italia, il Nebbiolo, il Barbera e il Roero arneis nell’area del Piemonte; il Sangiovese, il Colorino, il Prugnolo e la Malvasia del Chianti in quella della Toscana; solo per citarne alcuni. Non è certo la prima volta che ci imbattiamo in un vigneto cittadino. Basti pensare a Zurigo, Svizzera, dove a 400 metri dal lago, tra le belle case di un quartiere residenziale, nel 1984 la cantina Landolt impiantò il vigneto Sonnen-
Un’arca con 154 varietà di vitigni provenienti da tutte le regioni italiane: è questo Vigneto Italia, il primo Museo Ampelografico italiano presso l’Orto Botanico di Roma, oasi di verde tra il Gianicolo e Trastevere
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berg (montagna del sole) per celebrare i 150 anni di vita aziendale. Vigneto composto, questo, da oltre 5.000 viti di Pinot nero e Klevner e sottoposto a ricerca clonale, oltre a essere produttivo per una delle etichette di punta della cantina. Ancora in Svizzera, ma nella cittadina di Losanna, sul lago Lemano, si produce il “vino del sindaco” con le uve di un vigneto municipale di 36 ettari nell’area protetta UNESCO del Lavoux. E ancora: il piccolo vigneto di Montmartre, a Parigi, oppure la vigna — più simbolica che altro — di Stoccarda, in Germania, e addirittura i 700 ettari vitati sulle colline di Vienna, dentro i confini amministrativi della capitale austriaca, che conquista così il podio di “capitale del vino”. Proprio a Vienna, vista sul Danubio, ben 300 viticoltori e 12 cantine producono tra le tante etichette il Gemischter Satz, il vino più viennese di tutti, ottenuto da un superuvaggio di vitigni diversi coltivati nella stessa vigna in vegetale promiscuità. Se nella capitale austriaca beviamo questi vini anche negli heuriger, che sono delle taverne di cucina tipica sparse qua e là tra le vigne e negli abitati della periferia, chissà se anche a Roma tra qualche anno non nascerà un vino “trasteverino”; così, solo per rappresentanza… Al momento il progetto ha le caratteristiche di un campo da collezione a disposizione degli studiosi, ma anche del pubblico dell’Orto Botanico, per appagare una semplice curiosità o per ragioni estetiche. L’idea guida è quella di riprodurre un museo “vivo” dell’ampelografia italiana per la conservazione, lo sviluppo e la divulgazione della conoscenza della cultura vitivinicola nazionale, con 3 piante ad alberello per ciascuno dei 154 vitigni considerati. In totale 462 piante in un terreno di 624 m2, uno spazio concesso gratuitamente dall’Università La Sapienza per un progetto a costo zero per le finanze pubbliche, grazie a una donazione della società di Luca Maroni e alle barbatelle offerte dai Vivai Cooperativi di Rauscedo. Tutti attori che hanno agito a titolo gratuito, compreso l’esperto di biodinamica. Il vigneto è condotto, infatti, con tecniche di agronomia biodinamica, con impatto ecologico, inquinante e chimico pari a zero, sotto la supervisione di LEONELLO ANELLO, responsabile agronomico dell’impianto e tra i massimi esperti
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Luca Maroni a Vigneto Italia. Il progetto è stato sviluppato dall’enologo insieme all’Università La Sapienza di Roma (photo © Donato Passiatore). italiani di viticoltura biodinamica. «Ogni pianta ha necessità climatiche, di terreno, di sole e di acqua differenti» ha commentato Anello. «Solo con la biodinamica si potrà affrontare una complessità simile: spero quindi di riuscire nell’intento e di farle prosperare. La scelta di piantare le barbatelle ad alberello è stata fatta per ottimizzare lo spazio, che non era moltissimo, e poter inserire più piante possibili». Secondo Luca Maroni, «non esisteva in Italia e nel mondo un museo ampelografico e viticolo vivo che raccoglie le principali varietà autoctone nazionali. Le viti sono state piantate ad alberello, il sistema di potatura più antico e più adatto a conferire a Vigneto Italia l’aspetto di un giardino vitato e curato a mano». Poiché Roma, come tante altre capitali del vino,
era priva di un vigneto cittadino, ed essendo l’Orto Botanico privo di una pianta di vite, pur essendo in passato ricoperto da vigneti, la nuova iniziativa ha il merito senz’altro di recuperare un gap. La professoressa LORETTA GRATANI, direttrice del Museo Orto Botanico, ha dichiarato infatti che «la raccolta, che si va a unire a quelle già presenti, avrà la giusta importanza» anche nel percorso di visita con l’installazione di pannelli esplicativi. Massimiliano Rella >> Link: www.ortobotanicoitalia.it Nota A pagina 98 veduta di San Pietro dai tetti del centro storico di Roma (photo © Leonid Andronov – stock.adobe.com).
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Nobile di Montepulciano Docg: quando un territorio fa rima con vino di Riccardo Lagorio
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ontepulciano fa rima con vino. Da così tanto tempo che è difficile stabilire quando queste colline mutevoli nella struttura, da quella argillosa a medio impasto a sabbiosa, hanno
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ospitato la prima vite. E quando nel 1966 la Gazzetta Ufficiale pubblicava il decreto dell’ottenimento della DOC, trasformata in DOCG quindici anni più tardi, questa era solo la tappa di una storia che oggi affascina chiunque
passi per questo borgo dell’alta Val di Chiana. Un conferimento quello del 1966 che premiava a pieno titolo il concetto di territorialità, aprendo le strade ai fenomeni, trascorsi 50 anni, che sono ben noti: la promozione di
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luoghi limitati geograficamente che grazie alla loro proposta gastronomica e vinicola riescono a far decollare un’intera economia. Non sono eccessive a tale proposito le parole di PAOLO SOLINI, coordinatore del Consorzio del Vino
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In alto: all’azienda agricola Metinella la vendemmia avviene dopo un’attenta analisi dei livelli di maturazione dei frutti, esclusivamente a mano e in più tempi al fine di cogliere la bacca nel momento di migliore maturità fenolica. In basso: le botti in rovere da 25 a 50 ettolitri di Metinella (photo © Mauro Guerrini).
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L’azienda agricola Metinella, nata dall’unione di due preesistenti realtà aziendali nella zona di produzione del Nobile di Montepulciano, si estende su 22 ettari, di cui 18 vitati. Titolare dell’azienda l’imprenditore Stefano Sorlini, che ha deciso di valorizzare ceppi di uve locali come il Colorino e il Mammolo, che possono rientrare per un massimo del 30% nella composizione del vino, a fianco del Prugnolo Gentile, spina dorsale del Nobile di Montepulciano Docg (photo © Giacomo Crociani). Nobile di Montepulciano (via San Donato 21, Montepulciano, telefono: 0578 757812, e-mail: info@consorziovinonobile.it, www.consorziovinonobile.it). «Se nell’antica fortezza, che è sede del Consorzio, ospito degli stranieri, loro vanno via con Montepulciano nel cuore perché vivono una realtà di paesaggi incantevoli e gente con spiccata propensione ai rapporti umani. Questo è ciò che lascia il segno e risulta molto più efficace di quando ci spostiamo noi a promuovere il nostro vino. Da qui possono ammirare a nord il borgo di Montefollonico, a est Cortona e a sud lo sguardo raggiunge Orvieto». Negli ultimi anni, inoltre, si è proceduto a tracciare il suolo per mezzo di una carta di produzione che intende sottolineare le differenze organolettiche dei segmenti di territorio nella zona produttiva. Il Nobile di Montepulciano DOCG è fortemente legato al suo territorio
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di origine, variegato e complesso. Per capire e comunicare al consumatore da dove prendano le loro peculiarità i grandi cru di Montepulciano, il Consorzio del Vino Nobile ha realizzato uno studio sulla zonazione dei vigneti, per capirne le peculiarità pedoclimatiche. «L’obiettivo è aiutare il consumatore a ritrovarne le caratteristiche principali». Senza contare che nell’enoliteca accanto il pavimento di cristallo permette avere sotto i piedi le rovine etrusche e romane. Un’atmosfera fuori dal tempo dove si assaggiano i vini degli associati in abbinamento con i pecorini e i salumi locali. A tavola con il Nobile «Anche il vitigno, che è la spina dorsale del Nobile di Montepulciano DOCG, è strettamente legato a queste terre: il Prugnolo gentile per decenni è stato scambiato per un clone del Sangiove-
se, ma oggi gli studi dimostrano che si tratta di una varietà a sé. Gli studi della zonazione iniziati negli anni Novanta hanno aiutato a raggiungere questo traguardo scientifico», ricorda Solini. «Si è cercato anche di coordinare i vari aspetti di cultura materiale organizzando nel mese di agosto A tavola con il Nobile, durante la quale le contrade di Montepulciano si sfidano nella preparazione di ricette da abbinare al Nobile e quest’anno è fissata la presentazione del cortometraggio di RICCARDO PAOLETTI su Montepulciano e il suo vino». Metinella, un’azienda speciale Una terra, quella di Montepulciano, che in continuazione riesce ad attrarre investimenti. Come ha fatto il bresciano STEFANO SORLINI nel 2015, «folgorato dalle colline e dal vino che generano, dalla natura e dalla pianta che riesce a trasformare i frutti in un liquido che
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dà gioia» dice. Imprenditore nel campo della manutenzione aeronautica e degli esplosivi industriali, creò Metinella (via Fontelellera 21A, Montepulciano, telefono: 0578 799139, metinella.it), unendo due preesistenti aziende in una delle aree più vocate alla produzione del Nobile. «La storicità del Nobile di Montepulciano DOCG è un aspetto che mi ha coinvolto profondamente. Tanto è vero che nelle vigne abbiamo cercato di valorizzare i ceppi di uve locali come il Colorino e il Mammolo, che possono rientrare per un massimo del 30% nella composizione del vino. Durante la vendemmia li rincorriamo letteralmente, dato che i vigneti sono posti ad altitudini assai diverse che vanno da 300 a 600 metri, con microclima e gradi di maturazione diversificati». Il rispetto per la natura è un altro aspetto centrale nella coltivazione delle viti, che a Montepulciano è dettata
dalla necessità di preservare l’aria, che è parte integrante del territorio. «La coltivazione è unicamente umana, non utilizziamo macchine né prodotti chimici in vigna. E in cantina non entra nessun prodotto chimico per la pulitura dei macchinari: solo temperatura e pressione dell’acqua ci permettono una pulizia più che sufficiente. Guai a inquinare la bellezza di questi luoghi e soprattutto del vino, che poi anch’io mi bevo…» ci scherza su Sorlini. Vini che tradizionalmente mettono insieme naso di garbo e potenza, profumi intensi e bocca asciutta e che all’estero vengono presi come modelli del wineinitaly. Risultati che sono possibili anche grazie ad una selezione di uve che non fa sconti. «Il Burberosso, Vino Nobile di Montepulciano DOCG, è la massima espressione del territorio poliziano dove si incontrano Canaiolo e Mammolo. Con numerosi passaggi in
vigna in fase di vendemmia raccogliamo solo i grappoli con maturazione fenolica ottimale. L’affinamento avviene in botti di rovere da 25 a 50 ettolitri per un mino di 18 mesi. La successiva sosta in legno permette un ulteriore affinamento finale. Poiché è la passione che mi guida, mi sono proiettato sin dall’inizio verso una fascia di mercato alta. I volumi mi interessano poco, il gioco di squadra molto di più. E mi sono reso conto fin da subito che qui è all’ordine del giorno». Necessaria per la conquista dei mercati più esigenti, giapponese e americano su tutti. Riccardo Lagorio
Nota Alle pagine 100 e 101, veduta del borgo di Montepulciano in Toscana, nella magnifica Val d’Orcia (photo © oscity – stock.adobe.com).
Pantone crea il color “spumante inglese” I fan dello spumante inglese ne saranno entusiasti, perché ora potranno letteralmente dipingerci casa. La marca di vernici Valspar ha infatti collaborato con Laithwaite’s Wine e Pantone Colour Institute dando vita al colore delle bollicine inglesi. Il risultato? Una nuova tonalità chiamata English Sparkling, perfetta per un aggiornamento primavera/estate delle pareti domestiche. Sviluppato dagli esperti di colore globali di Pantone, il nuovo colore prende spunto dalle tonalità del vino spumante. “Una sfumatura del bianco naturale sottile ed elegante, cremosa, che esprime bene l’effervescenza, trasmettendo sensazioni di freschezza” dichiarano da Pantone. La tonalità English Sparkling si inspira in realtà ad uno degli spumanti inglesi più premiati della nazione, il Wyfold Vineyard Brut di Barbara Laithwaite. I dati di vendita della società presentati lo scorso ottobre — dopo un aumento del 76% negli ultimi cinque anni — hanno rivelato un vero boom per questo vino spumante. Poco prima di Natale, la catena di supermercati Tesco aveva fatto presente che i clienti di Champagne stavano spostando le proprie preferenze sul vino spumante inglese: i dati di vendita del supermercato hanno infatti rivelato che quasi un terzo degli acquirenti di spumanti inglesi in precedenza aveva acquistato Champagne. «Proprio come Borgogna e Champagne sono molto conosciuti anche come colori, la creazione di un colore ufficiale per l’English Sparkling è un ottimo modo per riconoscere la crescente popolarità del vino inglese nel mondo», ha affermato David Thatcher, CEO di Laithwaite’s Wine. (EFA News)
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La Cité du Vin, invito al viaggio nella capitale del vino francese Un luogo dedicato all’universo del vino nelle sue dimensioni storica, culturale, artistica, economica e ambientale. Un progetto architettonico che evoca la sensualità e la sinuosità della bevanda. Tappa imperdibile di ogni soggiorno nell’elegante città di Bordeaux e nella regione dell’Aquitania di Gaia Borghi
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naugurata a Bordeaux il primo giugno del 2016, dopo sette anni di lavori e grazie ad una partnership insieme pubblica e privata, la Cité du Vin (la Città del Vino in italiano) è una sorta di museomolto più di un museo dedicato al vino inteso come patrimonio culturale
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dell’umanità, in cui il vino prende vita attraverso il suggestivo progetto firmato dallo studio parigino XTU Architects di ANOUK LEGENDRE e NICOLAS DESMAZIÈRES, già artefici del Padiglione francese a Expo 2015, in collaborazione con lo studio inglese di scenografia CASSON MANN. Forma e contenuto si fondono
armoniosamente nell’opera: l’ispirazione per la realizzazione dell’edificio, infatti, sarebbe proprio l’anima, lo spirito del vino, una “rotondità senza soluzione di continuità, intangibile e sensuale” che, resa materia, cambia colore col trascorrere del giorno grazie a pannelli di vetro serigrafato alternati a
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In basso: l’edificio che ospita la Cité du Vin, simile ad un decanter, cambia aspetto con l’avanzare del giorno: la facciata è infatti costituita da pannelli di vetro serigrafato e pannelli iridescenti in alluminio laccato perforato (photo © Anaka, La Cité du Vin, XTU Architects).
In alto: la fornitissima enoteca al pian terreno. In basso: il belvedere, a 35 metri di altezza, offre la possibilità di una interessante degustazione di vini dal mondo con panorama sulla città Bordeaux ed i suoi dintorni (photo © Anaka, La Cité du Vin, XTU Architects).
pannelli in alluminio laccato iridescente, riflettendosi contemporaneamente nel fiume sottostante. Un enorme decanter che brilla sulla Garonna, insomma. Le movenze del vino quando lo si fa roteare nel calice per far sì che sprigioni e se ne possa cogliere al meglio la ricchezza di aromi, profumi, colori, corrispondono
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ai volumi curvilinei del museo, sia a quelli esterni che a quelli interni, uno scheletro in legno formato da 574 archi che ricorda il telaio di una barca ed è in buona parte rivestito con speciali tele acustiche. «Ma, al di là e oltre la sua estetica, la Cité du Vin vuole essere un elemento di sviluppo economico per la
città di Bordeaux e per la sua regione» ha detto in proposito il sindaco ALAIN JUPPÉ. «Un luogo da vedere, vivere e visitare tutto l’anno, con cui abbiamo voluto rendere omaggio ad uno degli elementi che maggiormente ha contribuito alla notorietà e alla ricchezza di questo territorio attraverso i secoli».
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In alto: il “Buffet dei cinque sensi”. In basso: le “Metamorfosi del vino”. Per garantire le migliori condizioni di visita, 3.000 m2 di percorso dell’esposizione permanente sono stati rivestiti con tessuto acustico CLIPSO (per entrambe le immagini, photo © Anaka, La Cité du Vin, Casson Mann).
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In alto i calici! Con la sua torre alta 55 metri che si scorge distintamente dalla magnifica Place de la Bourse, la Cité è concepita come un viaggio interattivo attraverso il tempo e lo spazio, un’immersione in profondità alla scoperta del vino dal punto di vista della storia, dell’arte, della religione, della geografia dei territori e delle tecniche produttive, degli “uomini del vino” e dell’indotto economico che ne deriva, fino al marketing e alla gastronomia. Un percorso impegnativo (la visita completa impegna circa tre ore), che il visitatore compie usufruendo di una guida digitale, disponibile in ben 8 lingue, di utilizzo semplice e al contempo ricchissima di informazioni. La cultura enologica nella sua universalità è resa democratica ovvero realmente accessibile ad un pubblico ampio, astemi compresi, con un’attenzione speciale a persone con handicap e famiglie con bambini, anche a chi, quindi, del vino in sé conosce poco o quasi nulla. L’edificio si estende su 13.350 m² ripartiti su 10 livelli. Al secondo piano si trova il percorso permanente, il cuore della Cité, comprendente 19 moduli tematici per la maggior parte interattivi e visitabili in totale autonomia, guida al collo e auricolari ben piazzati. Si va dalla visione su maxischermo dell’incredibile diversità dei paesaggi vinicoli nel mondo al racconto personale di 50 vignaioli, dal tête-à-tête con gli esperti che “rispondono” virtualmente alle tante domande e curiosità sul vino al divertente “Buffet dei 5 sensi”, dalla sorprendete galleria delle civiltà alle aree dedicate in maniera specifica alla città di Bordeaux e ai suoi vini. Non dimentichiamo infatti che la regione viticola bordolese è la più importante di Francia, fornendo un terzo dei vini a denominazione d’origine controllata, ed era già famosa al tempo dei Romani: il poeta AUSONIO, console a Treviri, decanta la bontà di quelli prodotti nella sua villa vicino a Burdigala, il nome latino di Bordeaux. All’esposizione fissa si aggiungono la Sala delle colonne, uno spazio concepito per accogliere due mostre differenti nel corso dell’anno (personalmente ho potuto ammirare quadri, strumenti ed oggetti vari inerenti il tema “Le Vin & la Musique, accords et désaccords”), l’auditorium Thomas Jefferson che ospita
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spettacoli, concerti e proiezioni, tre spazi di degustazione e altrettanti di ristorazione, una fornitissima enoteca, una sala di lettura con un’ampia selezione di libri e riviste di settore, una boutique, l’area Strade del Vino per informarsi e prenotare la visita nelle tenute e negli Châteaux della zona, i giardini ad accesso libero. Il belvedere, infine, è la cosiddetta “ciliegina sulla torta”: situato all’ottavo piano dell’edificio, offre l’esperienza di una “degustazione panoramica”. Quotidianamente è disponibile una selezione di venti vini dal mondo: per continuare a viaggiare. Gaia Borghi >> Link: www.laciteduvin.com Nota La Cité du Vin è aperta tutti i giorni dalle 10:00 alle 19:00 (solamente alcuni giorni fino alle 18:00 da verificare sul sito). Dal centro storico di Bordeaux, che l’UNESCO ha posto tra i siti patrimonio dell’umanità, si può raggiungere abbastanza agilmente a piedi, in tram (linea B) o in battello con partenza da Place des Quinconces.
Metti una domenica al mercato Se decideste di raggiungere la Cité du Vin facendo una piacevole passeggiata lungo la Garonna, e il giorno prescelto per la vostra visita fosse domenica, potreste ritrovarvi a curiosare tra i piccoli banchi di frutta e verdura, carne, pesce, formaggi, vino, pane appena sfornato e dolcetti golosi del Marché des Quai. La domenica mattina, infatti, dalle 7:00 fino alle 13:00 (o fino alle 15:00 per i punti ristoro), gli abitanti di Bordeaux e i turisti di passaggio possono approfittare di questo grazioso mercato che si snoda sul Quai des Chartrons. Si tratta di una sessantina di stand tra produttori e food truck (compresa una mini boat truck per la cottura e vendita di deliziosi gamberetti alla piastra) che si riuniscono sulla sponda del fiume, consentendo di acquistare qualche ingrediente speciale per il pranzo domenicale a casa o di gustarlo direttamente sul posto, usufruendo delle sedie e dei tavolini messi a disposizione qua e là tra i banchi o sedendosi direttamente sulle panchine, sul marciapiedi, sull’erba, sempre e comunque vista fiume. Imperdibili le ostriche e i frutti di mare freschissimi, i formaggi di capra, il foie gras e, come dessert, un’éclair o i famosi canelés bordelais (in foto a lato), deliziosi dolcetti al profumo di rum e vaniglia nati nel lontano 1500, morbidi all’interno e croccanti e caramellati all’esterno, da mangiare in un sol boccone insieme al caffè.
Alla scoperta delle dimore storiche del Belpaese Anche quest’anno ADSI – Associazione Dimore Storiche Italiane era presente al Vinitaly di Verona con un numero crescente di cantine storiche appartenenti ai propri soci. Questi ultimi sono proprietari di beni culturali vincolati come monumento nazionale che, nel caso delle tenute viticole, comprendono, oltre alle cantine, giardini, vigneti, oliveti e boschi, in un insieme di straordinaria bellezza al tempo stesso architettonica e paesaggistica. Una visita alle cantine storiche dei soci ADSI costituisce un vero e proprio Grand Tour che offre un’opportunità unica di turismo esperienziale, in cui la scoperta di molti vitigni autoctoni nel loro ambiente naturale si combina all’offerta di eccellenze gastronomiche del territorio. Tutte le cantine storiche sono visitabili su prenotazione, oltre 50 sono anche agriturismi, con un’offerta complessiva di 800 camere che, dal Trentino-Alto Adige alla Sicilia, consentono agli appassionati dell’enogastronomia di soggiornare in luoghi ricchi di storia e tradizione. «I proprietari di dimore storiche dedicano un impegno costante non solo alla conservazione e tutela di una parte rilevante del nostro patrimonio culturale, ma anche, ove possibile, allo sviluppo e promozione di attività che hanno un impatto diretto sull’economia dei territori, in particolare all’interno delle comunità rurali» ha dichiarato il presidente dell’Associazione Dimore Storiche Italiane Gaddo della Gherardesca (in foto uno scorcio di Tenuta Pallavicini a Colonna, Roma). >> Link: www.dimorestoricheitaliane.it
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Il vino in pillole Un Manzoni rosa spumante Grazie a Ca’ di Rajo arriva il rosè da Manzoni rosa, uno vitigni più rari al mondo, un autoctono quasi introvabile che la cantina di San Polo di Piave (TV) coltiva a “bellussera”, un metodo d’allevamento della vite basato su un sistema a raggi messo a punto a fine ‘800 dai fratelli Bellussi per combattere la peronospora, una malattia della vite. Le viti, posizionate a 2,50 metri da terra, vengono disposte a raggio con l’ausilio di cavi di ferro sorretti da un palo dell’altezza di 4 metri. Il sistema è diffuso principalmente in Veneto. Delicato e raffinato, con note fragranti di frutti di bosco, agrumi, rosa passita e albicocca, questo extra dry millesimato ha un’ottima armonia tra acidità e zuccheri; sapido, asciutto e vellutato con sentori di frutti di bosco. Il Manzoni rosa di Ca’ di Rajo racchiude un pezzo di storia della viticoltura: la varietà nacque infatti grazie alle sperimentazioni del prof. Manzoni, genetista, che tentò un miglioramento genetico della vite contro le epidemie devastatrici che colpirono i vigneti a fine Ottocento. Ca’ di Rajo è guidata da tre fratelli con meno di trent’anni ed oggi esporta in 40 Paesi, dagli USA alla Thailandia, dall’Estonia alla Malesia. La storia di quest’azienda, che ha aperto le sue porte ai giovani, offrendo opportunità di lavoro anche agli under 40, è quella di vignaioli legati a filo doppio con il territorio. Nel 1960 la famiglia Cecchetto, allora mezzadri di Giol, trasforma la nuda terra in vigneti di pregiate uve e, col sudore del proprio lavoro, nel 1972 ne diviene proprietaria. La storia di una realtà veneta che ha saputo spalancarsi le porte dell’export anche in un momento difficile per l’economica mondiale. www.cadirajo.it Argento al rosato di Michele Placido e Domenico Volpone A pochi mesi dal debutto delle etichette di Placido-Volpone, la nuova cantina che vede protagonista in società l’attore Michele Placido e che mira alla rivalutazione del territorio pugliese e dei suoi autoctoni, è arrivato un importante riconoscimento. Il rosato, ottenuto da uve Sangiovese e Aglianico, colore rosa brillante e delicate note di frutti rossi, si è aggiudicato la medaglia d’argento al Mondial du Rosé, competizione nata nel 2004 a cura dell’Unione degli Enologi Francesi. Un prestigioso concorso che mira alla valorizzazione del rosato, vino già da qualche anno alla ribalta, e che vuole operare una selezione di etichette d’eccellenza, affidata a una giuria di esperti, che interpretino al meglio le caratteristiche e i valori del rosé. www.placidovolpone.it
In basso: il Rosone della cantina Placido Volpone che si è aggiudicato la medaglia d’argento al concorso Mondial du Rosé (photo © picbear.online).
In alto: coltivazione a “bellussera” della cantina Ca’ di Rajo di San Polo di Piave (TV).
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I nuovi orizzonti dei vini vulcanici “Vulcanei” è il più grande banco d’assaggio di vini da suoli vulcanici tenutosi a metà maggio al Castello di Lispida, nei Colli Euganei, in provincia di Padova. A quasi dieci anni dalla sua nascita, il Volcanic Wines network, la rete di produttori dei Volcanic Wines che mette in rete 19 territori italiani d’origine vulcanica, consorzi di tutela e altri soggetti, vuole diffondere l’uso del proprio marchio sui “vini dei vulcani”, potenziare la ricerca sulle caratteristiche dei vini da suolo vulcanico per definirne le peculiarità e pervenire ad una carta dei suoli vulcanici frutto di un lavoro scientifico super partes ovvero convalidata da una rete di Università. L’ultima edizione dell’evento ha registrato la presenza record di 72 cantine e oltre 400 etichette provenienti da 18 territori vulcanici tra italiani ed europei con i vini dell’isola greca di Santorini e dei territori ungheresi del Lago Balaton e del Tokaj. I vini dei terreni vulcanici hanno caratteristiche di spiccata sapidità unita a freschezza, sono complessi e longevi. Non facili da approcciare, sono vini “gastronomici”, complemento ideale per il cibo. Provengono anche da territori di grande interesse enoturistico: termalismo, parco regionale e biodistretto nei Colli Euganei; i basalti colonnari dell’area di Soave (VR); le grotte scavate nel tufo di Pitigliano (GR), solo per citarne alcuni. Un esempio virtuoso arriva anche dalla Stiria, regione austriaca molto povera che da quando ha scoperto “l’acqua calda” ha cambiato il suo nome in Volcanic Land costruendo un’offerta turistica integrata importante. www.vulcanei.wine Massimiliano Rella (a cura di)
In alto: il Castello di Lispida nel cuore dei Colli Euganei. La splendida location ha ospitato lo scorso maggio la terza edizione di “Vulcanei”, il più grande banco d’assaggio di vini da suolo vulcanico (photo © www.vinievino.com).
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I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA
Degustazione: aperitivo sul mare di Laura Franchini
L’
estate. Il caldo. Il mare. Chi di voi non si è mai ritrovato a sognare una crociera durante le calde giornate estive, magari costretti in ufficio, al lavoro, lontani dalle onde? Qualcuno se lo può anche permettere e si ritaglia una vacanza in barca a vela o a motore, a seconda dei gusti e della disponibilità. Certo è che il nostro paese ispira l’esplorazione marittima, coi suoi 8.000 chilometri di costa e le sue acque cristalline, tra le più belle e famose al mondo. Un paese noto anche per la grandissima tradizione gastronomica e la ricchezza dei propri mari, nelle vicinanze dei quali, esclusi i periodi di fermo ittico, è possibile gustare specialità e prodotti di grande qualità e gusto, freschi di pesca. E così, avvicinandoci alle coste del
Cilento e della Penisola sorrentina andremo alla ricerca di pizze e mozzarella, in Sardegna di pecorini gustosi e pane carasau, mentre nel Salento ci mangeremo le orecchiette con le cime di rapa, ma non mancheranno piatti a base di cozze, vongole, polpi, cernie e di tutto quanto i nostri mari regalano con grande generosità. Se volessimo goderci un calice di aperitivo al tramonto, senza scendere a terra, bisognerà organizzarsi per tempo e rifornire la cambusa. Vi forniamo così alcune idee che si presteranno sia ad un brindisi sul mare che ad una serata in città, col condizionatore acceso. Perché l’estate, in fondo, è bella ovunque, basta essere in buona compagnia e poter contare su un calice di ottimo vino alla giusta temperatura.
L’aperitivo estivo, in barca, sulla spiaggia o a bordo piscina, nell’immaginario collettivo vede protagonista il calice di vino bianco: la tradizione, il sorso a cui non si rinuncia. Negli ultimi anni ha però guadagnato molti consensi il Rosé, un colore che va su tutto
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Con le alte temperature estive si fanno largo i bianchi. Fermi o frizzanti, serviti freschi, accompagnano verdure di stagione, formaggi morbidi, affettati, insalate e sono ottimi per lâ&#x20AC;&#x2122;aperitivo (photo Š yatcenko â&#x20AC;&#x201C; stock.adobe.com).
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Spumante Dosaggio Zero “Il Mattaglio” Metodo Classico Cantina della Volta CHRISTIAN BELLEI eredita dal padre Francesco la passione per il Metodo Classico e, con l’ausilio di ANGELA SINI, veicola in tutto il mondo la vocazione per l’eccellenza vinicola emiliana, raccogliendo numerosi riconoscimenti. Un calice brillante e d’effetto, composto da uve Chardonnay e Pinot nero coltivate a Riccò di Serramazzoni, in provincia di Modena, a circa 650 metri di altitudine e raccolte rigorosamente a mano. Al tramonto, davanti alle spiagge di Milano Marittima o di Riccione, dove vi aspetta un fritto misto di pesce appena fatto, gusterete questo calice di un bel giallo paglierino brillante dalle note olfattive intense di glicine e acacia, frutta fresca e pane croccante. La sorsata è morbida, avvolgente il perlage, persistente e fine, ottima l’armonia tra sapidità e freschezza. Un vino equilibrato, ben secco, di classe, tenace, beva piacevolissima, da servire freddo.
Cantina della Volta Via per Modena 82 41030 Bomporto (MO) Telefono: 059 7473312 E-mail: info@cantinadellavolta.com Web: www.cantinadellavolta.com
Franciacorta DOCG Millesimato Dosage Zero Vintage Collection 2013 Ca’ del Bosco MAURIZIO ZANELLA sviluppa la sua passione per la zona del Franciacorta quando, all’età di 15 anni, si trasferisce ad Erbusco con la madre, momento in cui viene anche impiantato il primo vigneto di quella che diventerà una referenza indiscussa del territorio. Il Vintage Collection Dosage Zero è prodotto con uve di Chardonnay al 65%, Pinot bianco, 13%, e Pinot nero, 22%. L’olfattiva è persistente e armonica, sentori netti e verticali di frutta e mineralità leggera, lieviti finissimi, ottima persistenza anche al palato. Un calice di estrema armonia e freschezza, da servire freddo, che accompagnerà splendidamente i piatti di pesce, in particolare i crudi. Da provare con gamberi freschissimi conditi semplicemente con olio EVO, davanti alle colonne romane di Tharros, nella Penisola del Sinis, splendido sito archeologico circondato dalle limpide acque di Sardegna, in provincia di Oristano.
Ca’ del Bosco Via Albano Zanella 13 25030 Erbusco (BS) Telefono: 030 7766111 E-mail: cadelbosco@cadelbosco.com Web: www.cadelbosco.com
Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC classico Sora Elvira Alberto Serenelli Siamo nel comprensorio di Staffolo (antico castello di Jesi, cuore della zona classica di produzione della DOC “Verdicchio dei Castelli di Jesi”) con questo vino, uve di Verdicchio in purezza. Uve raccolte a mano, diraspate e pigiate utilizzando la tecnologia di vinificazione “in riduzione” per esaltare il corredo aromatico del vitigno. Il calice si presenta di un bel giallo paglierino intenso, con note olfattive altrettanto decise e linde. Sono soprattutto tinte fruttate e fiorite di tiglio e acacia, con ricordi minerali e di pietra focaia. Una sorsata piena, equilibrata, fresca e dal bel grado sapido, che la rende facilmente abbinabile anche a piatti mediamente saporiti. Da gustare freddo, il suggerimento immediato è con un brodetto alla marchigiana, ma sarà perfetto anche un piatto abbondante di oliva all’ascolana, davanti alla spiaggia dei Gabbiani, paradiso del Conero raggiungibile solo via mare.
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Alberto Serenelli Via Bartolini 2 60129 Ancona Telefono: 071 31343 – 071 35505 E-mail: info@albertoserenelli.com Web: www.albertoserenelli.com
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Costa d’Amalfi Furore Bianco Marisa Cuomo
Cantine Marisa Cuomo Via G.B. Lama 16/18 84010 Furore (SA) Telefono: 089 830348 E-mail: info@marisacuomo.com Web: www.marisacuomo.com
Furore, un paese che non c’è, amano così definirlo i suoi abitanti. Sono case e vigneti strappati alle rocce, a strapiombo sul mare, in quel luogo unico e meraviglioso che è la Costiera Amalfitana, la Divina Costiera. Qui MARISA CUOMO e il marito ANDREA FERRAIOLI, con l’ausilio dell’enologo LUIGI MOIO, decidono di fondare, nel 1980, l’azienda vinicola. Un calice composto da uve Falanghina al 60% e Biancolella per il rimanente 40%, vendemmiate a mano nella prima decade del mese di ottobre. Il vino si presenta color giallo paglierino delicato, mentre al naso porge pulitissime note fruttate e di macchia mediterranea. La sorsata è piena ed armonica, ottima la spalla acida a sostegno di sapidità e struttura. Vino di grande riuscita, qualità e gusto, che ha ottenuto numerosi riconoscimenti e che si presta ad accompagnare con facilità numerosi piatti. Saranno perfetti ad esempio un piatto di scialatielli all’Amalfitana o ai frutti di mare, al tramonto, ammirando le meraviglie del paesaggio.
Calafuria Salento IG T Rosato Tormaresca
Tormaresca Soc. Agr. a R.L. Masseria Maìme Strada Prov.le 86 per Torre San Gennaro km 5,00 72027 San Pietro Vernotico (BR) Telefono: 0831 671046 E-mail: tormaresca@tormaresca.it Web: www.tormaresca.it
Una visione lungimirante e un’esperienza storica hanno spinto la famiglia Antinori ad investire in Puglia, intuendone le grandi potenzialità. Questo vino di grande successo, rappresentativo del brand aziendale, è prodotto con uve Negroamaro in purezza, rigorosamente vendemmiate a mano dopo accurata selezione. Un rosato di carattere ed eleganza, che porge generoso note fruttate di ciliegie e pesche bianche, con ricordi di buccia di pompelmo e petali di viola. Circolare la sorsata, ampia e diretta, con armonia. Buona la freschezza e notevole, con equilibrio, il contenuto sapido, che lo rende particolarmente adatto all’abbinamento col cibo. Adatto alle zuppe e ai piatti di pesce, anche mediamente strutturati, sarà perfetto compagno di veleggiate salentine, magari ammirando dal mare la bianca cittadina di Ostuni, gustando un piatto di riso, patate e cozze.
Metodo Classico Brut Sicilia DOC Bianco 2014 Planeta
Planeta Via Michele Amari 22 90139 Palermo Telefono: 091327965 E-mail: planeta@planeta.it Web: planeta.it
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Non poteva mancare nel ricco catalogo dell’universo Planeta un Metodo Classico. Come per le altre referenze, ancora una volta questa cantina, che così tanto successo ha ottenuto in Italia e all’estero, presenta un prodotto di grande qualità, un cavallo di razza. Ottenuto con uve Carricante in purezza, vendemmiate in anticipo, questo calice ha avuto la supervisione e la consulenza dell’esperto JOSEF REITERER, che ha saputo valorizzare le potenzialità del vitigno e del terroir. Al naso snocciola copiose note fiorite, ben contornate da ricordi agrumati e minerali, su toni croccanti di lieviti soavi. Palato circolare e fresco, verticale e ben armonico. Un calice perfetto per un brindisi tra amici, magari durante una crociera alle isole Eolie, ammirando il cielo stellato e la scia di fumo del vulcano Stromboli.
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TECNOLOGIE
Che cos’è un Factory ERP?
I
sistemi ERP sono attualmente molto diffusi all’interno delle aziende e rappresentano l’asse portante della struttura IT aziendale. Non tutti i sistemi sono uguali però: alcuni hanno il loro punto di forza nel settore Contabilità & Finanze, altri esprimono il massimo delle loro potenzialità nel processo produttivo.
Requisiti specifici della produzione alimentare I classici sistemi ERP sono nati dall’ampliamento dei MRP – Materials Requirements Planning (Pianificazione dei fabbisogni materiali). L’MRP era un modello molto semplice utilizzato per una pianificazione basilare dei fabbisogni materiali, ovvero per determinare i componenti necessari al soddisfacimento delle esigenze del piano di produzione. Alcuni dati erano presi dal sistema contabile, il resto era affidato alla capacità dell’operatore di raccogliere informazioni, se esistenti in azienda, e tener conto della domanda di mercato, della distinta base, delle giacenze di magazzino e dei tempi di produzione. Così, a poco a poco, l’MRP è diventato un gestionale merci, ovvero un ERP. Gli ERP generati in questo modo, però, presentano purtroppo difficoltà di base a modellare processi specifici di settore all’interno dell’azienda. In particolar modo nelle industrie a processi
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come Alimenti & Bevande vi è maggiormente bisogno di sistemi IT completi, in grado di coordinare la produzione, gestire le distinte base nonché garantire la rintracciabilità della filiera. La produzione alimentare ha le sue leggi Le ricette sono il cuore di ogni azienda produttrice di alimenti; qui si discute dello sviluppo del prodotto: dal calcolo fino all’acquisto dei componenti, incluso dispo necessarie e modalità di produzione. In questa fase è necessario considerare fattori variabili quali la qualità delle materie prime, loro deperibilità, le miscele così come la preparazione di semilavorati utilizzati per la produzione di altri prodotti. In base alla ricetta, inoltre, è utile per un’azienda conoscere i costi di un prodotto, ottimizzare le miscele ed è obbligatorio evidenziare gli allergeni, i valori nutrizionali e gli ingredienti senza trascurare la garanzia di rintracciabilità dell’intera filiera. Una vera sfida, dunque, per il software aziendale! Ma anche in altri ambiti si richiede al software una conoscenza specifica del settore. Ad esempio, nell’inserimento di dati quali le variabili di peso e qualità, nel caricamento lotti in fase produttiva, o nell’etichettatura e peso-prezzatura dei prodotti finiti. I sistemi ERP tradizionali si scontrano spesso con i loro limiti, se— sviluppati per la produzione di
singoli pezzi — devono poi coprire un processo produttivo ben più complesso. Spesso addirittura mancano le informazioni necessarie per procedere ad una giusta pianificazione della produzione o statistiche che lascino diagnosticare dove sono i punti deboli aziendali. Il Factory ERP a completamento del software di Contabilità & Finanze Tutto questo accade perché multinazionali o società molto grandi del settore Alimenti & Bevande hanno in uso un ERP di gruppo sviluppato inizialmente per il settore Contabilità & Finanze e che quindi riesce a soddisfare a fatica i requisiti sopra menzionati e per giunta solo dopo aggiustamenti impegnativi. Buona notizia: l’ERP contabile può essere ampliato con una soluzione specifica di settore Attraverso il Factory ERP, il gruppo CSB-System ha sviluppato un concetto, ormai ampiamente consolidato nella pratica, con il quale si coprono tutte le richieste delle aziende alimentari. Con le sue innumerevoli implementazioni a livello globale della soluzione completa per il settore Alimenti & Bevande, il CSB-System ha accumulato negli ultimi 40 anni una vasta conoscenza su quali siano le reali esigenze delle aziende. Il Factory ERP è un software
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che idealmente si colloca tra l’ERP contabile e un MES – Manufacturing Execution System utilizzato per gestire in maniera integrata ed efficiente il processo produttivo di un’azienda. Caratteristica principale di un Factory ERP è la capacità di armonizzare la gestione aziendale e la produzione al fine di ottimizzare l’utilizzo delle risorse produttive. In altre parole, il Factory ERP va a perfezionare il software di Contabilità & Finanze per una gestione completa dell’azienda; può anche essere visto come il completamento del gestionale contabile a cui si collega tramite interfaccia standard. Prendiamo ad esempio una grande catena di supermercati che ha la caratteristica di possedere vere e proprie fabbriche per la lavorazione del pesce e della carne. Le fabbriche utilizzano il CSB Factory affinché i supermercati possano pianificare, gestire e controllare a livello ottimale i complessi processi a livello di Shop Floor: dall’entrata merci ai diversi tipi di produzione attraverso i vari livelli di lavorazione e l’intera logistica fino alla consegna al cliente. Alcuni cenni sul Factory ERP del CSB-System Il Factory ERP del CSB-System ha la principale funzione di gestire e controllare la funzione produttiva di un’azienda. La gestione coinvolge il dispaccio degli
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ordini, gli avanzamenti in quantità e tempo, il versamento a magazzino, nonché il collegamento diretto ai macchinari per ricavarne informazioni utili ad integrare l’esecuzione della produzione così come il controllo della stessa. Il Factory ERP del CSB-System offre i vantaggi di un ERP e un MES insieme e fa in modo che si crei un legame tra gestione aziendale e gestione della produzione, facilitando il collegamento in rete macchina verso macchina. Integrazione come base per l’automazione L’integrazione di produzione, impianti e macchinari pone le basi per un’ampia ed estesa automazione dei processi (cosiddetta Internet of Things), un’alta qualità dei dati, più trasparenza ed efficienza. Vi è anche un altro vantaggio: mentre l’ERP di gruppo serve soprattutto alla direzione aziendale, il Factory ERP supporta gli operatori del settore nel loro lavoro di routine. Questo vale non solo per le sue funzioni di pianificazione e controllo ma anche per l’operatività vera e propria relativamente a produzione, confezionamento e preparazione ordini. Entrambi i gestionali funzionano in maniera eccellente per due motivi: innanzitutto perché il gestionale contabile non interviene in profondità sui processi di fabbrica e poi perché le interfacce standard si sono dimostrate valide,
stabili e consolidate nella pratica. Il Factory ERP è estremamente interessante sia per le imprese con attività diversificate sia per le multinazionali che operano a livello globale. La gestione dell’intero processo produttivo può essere affidata interamente ad un gestionale sviluppato proprio per questo fine. Non è necessario modificare il gestionale contabile. Questo manterrà i settori Finanze & Controlling e verrà semplicemente collegato al Factory ERP tramite un’interfaccia standard. Così il gruppo alimentare o la multinazionale approfittano del meglio di due mondi: soluzione specifica di settore in fabbrica e un gestionale consolidato a livello globale per Finanze & Controlling.
Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com
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Una soluzione di confezionamento per potenziare sicurezza alimentare, sostenibilità ed efficienza operativa
Zanetti & Sealed Air: formaggi più sicuri e sostenibili dall’Italia al mondo
I
stituita nel 1900, ZANETTI rappresenta tutta l’esperienza e la tradizione di un’azienda italiana fondata oltre un secolo fa. Opera in tutti e cinque i continenti, esportando direttamente in oltre 80 Paesi del mondo, con sette stabilimenti di produzione in
Italia. L’azienda produce ogni anno oltre mezzo milione di forme di Grana Padano e una linea completa di 14 famiglie di formaggi italiani. Con un fatturato di oltre 440 milioni di euro, Zanetti ha registrato una crescita continua, in gran parte attribuibile all’attività
di esportazione. L’azienda è in rapida espansione, grazie all’apertura di nuove sedi e alle operazioni di ampliamento o acquisizione dovute all’invidiabile reputazione che il marchio gode in tutto il mondo. Gli elevati standard qualitativi dei prodotti e dei servizi offerti sono
L’azienda Zanetti è leader mondiale nella produzione di formaggi italiani e detiene due importanti denominazioni di origine protetta (Dop) per Grana Padano e Parmigiano Reggiano.
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Haripro, leader in Italia nella produzione di proteine e aromi naturali, fornisce le piĂš importanti aziende produttrici di ingredienti per la salumeria. Haripro grazie ad una continua ricerca, ha sviluppato negl'anni prodotti sempre piĂš all'avanguardia, come proteine funzionali ed aromi naturali anallergici ad alto valore nutrizionale. Haripro is a leading producer of proteins and natural flavours in Italy. It supplies the most important Companies which blend ingredients for the meat industry. Haripro, thanks to a continuous research, had developed through years more advanced products like functional proteins and hypoallergenic natural flavours with high nutritional value.
spa
41057 Spilamberto (Modena) - Italy - via Ghiarole, 72 - Tel. +39 059 78 41 11 - Fax +39 059 78 37 47 www.haripro.it e-mail info@haripro.it
l’elemento alla base della soddisfazione dei consumatori. Con la crescita continua dell’esportazioni, si è quindi reso necessario identificare una soluzione di confezionamento conveniente e sicura per la distribuzione internazionale di prodotti di alta qualità come Grana Padano e Parmigiano Reggiano. L’ampia filiera dei prodotti Zanetti necessita di confezioni ermetiche, sottovuoto, per garantire la sicurezza alimentare di tutti i prodotti ed evitare gli scarti.
Sealed Air ha proposto l’adozione dei sacchi Cryovac® OptiDure™ per le quattro linee di produzione dell’azienda casearia. Grazie all’eccezionale termoretraibilità e all’elevata resistenza alle sollecitazioni meccaniche, la soluzione ha offerto a Zanetti un’impareggiabile sicurezza nelle fasi posttrasporto ed esportazione, mantenendo il prodotto sicuro attraverso la lunga catena di distribuzione
Impegno nei confronti della sicurezza alimentare Il desiderio di Zanetti di garantire la sicurezza dei prodotti riflette la consapevolezza dei consumatori attuali. Un’azienda che non riesce a prevenire i problemi di sicurezza alimentare mette a repentaglio la propria reputazione. Difatti, oltre la metà dei consumatori europei valuta in modo più favorevole i negozi che utilizzano l’imballaggio per garantire la sicurezza degli alimenti1. Inoltre, Zanetti sta rispondendo alle richieste di mercato anche per quanto riguarda la sostenibilità, che rappresenta un valore fondamentale per l’azienda. Nel 2017, uno studio di PLANET RETAIL commissionato da Sealed Air in merito agli scarti del processo alimentare e alle differenze inventariali ha rilevato che i retail di tutta Europa ritengono che fino al 26% dei prodotti a scaffale vada sprecato. Zanetti ha voluto affrontare questo problema al fine di migliorare le sue credenziali di sostenibilità e l’immagine del suo marchio.
Alla ricerca di una soluzione Da oltre 30 anni, Sealed Air è un fornitore di packaging per Zanetti, che ha utilizzato una serie di soluzioni. Quando Zanetti ha esposto l’esigenza di potenziare la sicurezza alimentare e la sostenibilità, Sealed Air ha proposto l’adozione dei sacchi Cryovac® OptiDure™ per le quattro linee di produzione dell’azienda casearia. Grazie all’eccezionale termoretraibilità e all’elevata resistenza alle sollecitazioni meccaniche, la soluzione ha offerto a Zanetti un’impareggiabile sicurezza nelle fasi post-trasporto ed esportazione, mantenendo il prodotto sicuro attraverso la lunga catena di distribuzione. Zanetti è stata in grado di apportare un netto miglioramento alla sicurezza alimentare, come dichiarato da un cliente con sede negli Stati Uniti che ha riportato un’elevata riduzione degli scarti derivanti dalla perdita del sottovuoto. Grazie all’adozione dei sacchi Cryovac OptiDure, Zanetti ha anche ridotto lo spessore del materiale di
Sealed Air Corporation è una società knowledge-based focalizzata sulle soluzioni di packaging che possono aiutare i clienti a raggiungere i loro obiettivi di sostenibilità di fronte alle più grandi sfide sociali e ambientali di oggi. Il portfolio della società comprende marchi noti tra cui Cryovac®, soluzioni di confezionamento alimentare, e Bubble Wrap®, imballaggio di protezione a bolle. Le nostre soluzioni consentono una catena di fornitura alimentare più sicura e con meno sprechi e la protezione di merci pregiate spedite in tutto il mondo. Nel 2017 Sealed Air ha generato un fatturato di 4,5 miliardi di dollari e ha circa 15.000 dipendenti che servono clienti in 122 Paesi. >> Link: www.sealedair.com
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confezionamento del 30% da >100 micron a 75 micron, offrendo significativi vantaggi di sostenibilità in tutta la sua catena di fornitura globale. La soluzione ha consentito di ridurre il consumo di energia in fase di produzione e di limitare le emissioni rispetto allo standard di mercato. L’azienda ha inoltre assistito a un aumento dell’efficienza operativa, che si è tradotto in una notevole riduzione dei costi. «Grazie alla collaborazione con Sealed Air, abbiamo ricevuto una soluzione di confezionamento che massimizza la sicurezza alimentare, preserva la qualità e protegge dalle perdite di vuoto all’interno della nostra estesa catena di fornitura» ha dichiarato ATTILIO ZANETTI, amministratore delegato di Zanetti. «La soluzione proposta ha poi aiutato a migliorare la nostra sostenibilità e la resa visiva del prodotto. Tutti questi vantaggi si allineano con la strategia delineata nel nostro primo bilancio aziendale sociale». Zanetti è rimasta favorevolmente colpita dai vantaggi offerti dall’introduzione della soluzione, che sta estendendo l’uso dei sacchi OptiDure alle unità di consumo più piccole (1 kg). Ora l’azienda è in grado di esportare formaggi di alta qualità con la massima fiducia per quanto riguarda la sicurezza alimentare ed è in grado di adempiere ancora meglio ai propri impegni in materia di ambiente e sostenibilità. Nota 1. Sulla base di uno studio eseguito da HARRIS POLL nel 2016 “Europe Grocery Shoppers and Food Waste” condotto per conto di Sealed Air Food Care in Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Spagna.
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LIBRI
La buona cucina italiana
L
a buona cucina italiana. I ristoranti del territorio: questo il titolo della guida che il Touring Club Italiano ha deciso di dedicare alla cucina e ai prodotti del territorio che, nella loro straordinaria varietà, rappresentano una componente determinante del patrimonio italiano, di innegabile valore storico-culturale. Un valore oggi ancora più evidente, dal momento che ricerche e dati assegnano alla varietà, all’autenticità e alla qualità del cibo che i territori italiani offrono, un indice di attrazione per i viaggiatori nazionali ed internazionali di primissimo piano, quasi a pari merito con arte e cultura. Inserita nella collana “Guide Touring” (che ospita titoli dedicati a tematiche specifiche) il libro narra, con la piacevolezza di un racconto, di decine di luoghi da Nord a Sud della Penisola, notevoli non solo per il loro patrimonio storico-artistico, ma anche per la loro precisa identità rappresentata da prodotti e tradizioni gastronomiche pregevoli. In ogni luogo, viene segnalato e raccontato il ristorante dell’Unione Ristoranti Buon Ricordo che vi si trova e che, facendo parte dell’associazione, ha scelto di caratterizzare la sua linea di cucina con le tradizioni del territorio in cui opera, spesso da generazioni.
Continua così la collaborazione avviata da vari decenni fra Touring Club Italiano (convinto che anche il cibo è una chiave di conoscenza affascinante, che rende nobile l’arte del viaggiare) e Unione Ristoranti Buon Ricordo, la prima associazione fra ristoratori nata in Italia nel 1964, senza scopi di lucro, creata con l’obiettivo di rispettare, difendere e praticare una cucina del territorio che certamente e doverosamente evolve, ma conserva la consapevolezza identitaria del genius loci. La guida, oltre ad essere in distribuzione nelle librerie, è reperibile anche presso molti ristoranti del Buon Ricordo. Un grande mosaico “La cucina italiana è un grande mosaico: in un Paese che vanta la catena alpina e la dorsale appenninica, che per più di 8.000 chilometri si affaccia al Mediterraneo, che va dal parallelo di Zurigo a quello di Tunisi, la varietà e unicità dei prodotti agroalimentari è eccezionalmente vasta e ricca. Il ristoratore deve essere un artigiano dotato di adeguata competenza, creatività ed esperienza per trasformare le ‘materie prime’ disponibili in un prodotto finito capace di soddisfare il gusto, ma anche e soprattutto la salute del consumatore.
FRANCESCO SOLETTI La buona cucina italiana I ristoranti del territorio Touring Club Italiano, 2018 192 pp. – € 19,90 www.buonricordo.com Se sceglie di dedicare la sua linea di cucina ai prodotti e alla cultura gastronomica del territorio in cui opera fornisce la sua ‘tessera’ alla composizione di questo grande e prezioso mosaico culturale”.
54 anni d’età, un centinaio di insegne, di cui una decina all’estero: dal 1964 l’Unione Ristoranti del Buon Ricordo salvaguarda e valorizza le tradizioni e culture gastronomiche del nostro Paese, accomunando sotto l’egida della cucina del territorio (a quei tempi scarsamente considerata) ristoranti e trattorie di campagna e città, dal Nord al Sud. Nel 1964 quella del Buon Ricordo è stata la prima associazione selettiva di imprenditori della ristorazione e ancora oggi è la più nota tra i consumatori. A caratterizzare ciascun ristorante, e a creare fra loro un trait-d’union, è, oggi come un tempo, il piatto dipinto a mano dagli artigiani della Ceramica Artistica Solimene di Vietri sul Mare su cui è effigiata la specialità del locale, che viene donato agli ospiti in memoria di una piacevole esperienza gastronomica da ricordare. Nel loro insieme, ristoranti e trattorie associati rappresentano, con la varietà straordinaria delle loro cucine, il ricchissimo mosaico della gastronomia italiana.
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