Premiata Salumeria Italiana 4-2022

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Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98

Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXIV N. 4 Luglio-Agosto 2022

€ 6,70





N. 4 Anno XXXIV Luglio-Agosto 2022

€ 6,70 Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl

Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti

Comitato di redazione Sebastiano Corona – Guido Guidi – Riccardo Lagorio – Manrico Murzi – Massimiliano Rella

Redazione Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi

Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini

Segreteria di redazione Gaia Borghi

Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Emanuele Guidi

Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Chiara Zaccaroni Fotografia Luigi Credi

Euro Annuario Carne

Abbonamenti Fioretta Fiorentin

EURO ANNUARIO CARNE 2022

Amministrazione Andrea Tomassone

La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2022 Copia cartacea: € 95,00

Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2019. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2019.

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com — Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988

Premiata Salumeria Italiana, 4/22

Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 1121-9068 – Iscritta nel ROC – Registro degli Operatori di Comunicazione al n. 11256 del 14/6/2005

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N. 4

€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

A pagina 82.

In questo numero:

Immagini

Celebriamo il Prosciutto di San Daniele e il Friuli

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Tendenze

Nuovo Codice Consumi di GS1 Italy

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Fotografati e mangiati

Krumais – Salame di suino nero

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La copertina esplosa

Würstel Villani e senape

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Brevi storie di cibo lento La mia profumatissima estate sarda a velocità contemporanea

Premiata Salumeria Italiana, 4/22

Alessia Morabito

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Il food in rete

Social food

Speciale Würstel

Würstel, passione anche italiana

Aziende

Gaia Borghi

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Würstel di razza

Gaia Borghi

30

Jupiter è anche Duke

Gaia Borghi

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Perché Filotea è diversa?

34

IPV PACK SRL: un futuro in crescita e un nuovo impianto produttivo europeo

40

Analisi di settore

Assemblea ASS.I.CA., il 2021 marca il solco di una grande ripresa

Anna Mossini

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Rassegne

Aria di Friuli 2022

Riccardo Lagorio

50

Terra Madre e il gusto dei salumi naturali

Federica Cornia

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Antichi mestieri

La sfoglina si candida a Patrimonio dell’Umanità

Nunzia Manicardi

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Sapori mediterranei

Cotta e “ri-cotta”: alla scoperta delle ricotte più amate d’Italia

Chiara Papotti

56

Prodotti tipici

Coccoi Prena: dalla terra dei centenari un altro tesoro da mettere in tavola

Guido Guidi

60

Sitzigorru, la lumaca brada del Campidano

Roberto Villa

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Il gusto di camminare

Sul Cammino del Po attraverso la Pianura Padana, al cospetto del Grande Fiume

Elena Simonini

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Locali di gusto

Alla Vecchia Stazione, si guarda al presente e al futuro gastronomico dell’Altopiano di Asiago

Gian Omar Bison

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A pagina 40.

Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98

Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXIV N. 4 Luglio-Agosto 2022

€ 6,70

In copertina: würstel Villani e senape (photo © Massimiliano Rella).

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La Qualità

Il Violetto di San Luca

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Fiere

SIAL 2022, un’edizione all’insegna delle novità

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Torna B/OPEN il 13 e 14 ottobre 2022

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Formaggio

Vino

Birra

Degust “affineur” per passione

Veronica Fumarola

82

Great Moravia

Riccardo Lagorio

86

Fossa dell’Abbondanza tutte le espressioni dei formaggi

Veronica Fumarola

88

Pighin i pionieri del vino friulano

Gian Omar Bison

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Nautilus, le bollicine camune riemergono dalle acque lacustri del Sebino

Gaia Borghi

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A lezione di fondamentali: la birra spiegata in poche righe

Chiara Papotti

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A pagina 74.

A pagina 34.

A pagina 104.

www.premiatasalumeriaitaliana-online.com 8

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A pagina 94.

A pagina 100.

A pagina 90.

Lo chef dell’olio

A proposito di Extravergine, io vorrei…

Fabrizio Bertucci

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Aceto

L’Aceto Balsamico e gli altri Specialty food conquistano tutti al Summer Fancy Food di New York

Chiara Papotti

104

Salse

Un omaggio alla senape

Josette Baverez Blanco 108

Tecnologie

Otto motivi per scegliere l’ERP CSB-System

Storia e cultura

Bartolomeo Sacchi, il gastronomo del Rinascimento

Giovanni Ballarini

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Il Prosciutto di Parma nell’isola misteriosa

Giovanni Ballarini

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Tre libri

Vermouth di Torino – Viaggio nell’Italia del vino – Il Paese dei limoni

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www.premiatasalumeriaitaliana-online.com 10

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Referente vendite per l’Italia

Phone: +39 331 3439676 Tel/Fax: +39 0431 91352 www.andreaconticelli.com E-mail: info@andreaconticelli.com

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andrea.conticelli


IMMAGINI

Dal 26 al 29 agosto a San Daniele del Friuli torna “Aria di Friuli Venezia Giulia”, la rassegna dedicata alla celebrazione del Prosciutto di San Daniele e dell’enogastronomia regionale. Riccardo Lagorio ci racconta di più a pagina 50.

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Il calore di casa in ogni momento

Qualità

Famiglia

Tradizione

ANTICO MAGNO COSCIA ARROSTO

DA SUINI NATI E ALLEVATI IN ITALIA

COTTURA LENTA A BASSE TEMPERATURE

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SENZA LATTOSIO E DERIVATI DEL LATTE

SENZA GLUTINE


TENDENZE Nuovo Codice Consumi di GS1 Italy

I consumatori oggi si definiscono e agiscono in maniera differente dal passato: sono mutevoli e multidimensionali. La società evolve sotto la spinta di macro-forze, ma i modi in cui gli individui reagiscono alle spinte e i contesti in cui ciò avviene sono innumerevoli e variabili. Pandemia, guerra, aumento dei prezzi di beni energetici e materie prime e spinta inflattiva incidono sul modo di agire e pensare, complicando la comprensione dei fenomeni. Da questa premessa e dalla volontà di capire i comportamenti d’acquisto degli Italiani del 2022 e immaginare quelli del 2030, nasce il “Nuovo Codice Consumi”, realizzato da GS1 ITALY con Ipsos e MCKINSEY & COMPANY (in foto, il momento della presentazione durante l’evento “La spesa e gli Italiani: scenari e impatti sul sistema Paese”). «Comprendere i nuovi bisogni dei consumatori italiani in termini di offerta, modalità e canali di acquisto è fondamentale per consentire alle aziende del largo consumo di tracciare linee strategiche e di investimento, delineare una nuova modalità di relazione tra gli attori della filiera e definire le implicazioni per gli stakeholder» commenta FRANCESCO PUGLIESE, presidente di GS1 Italy. «Da questa esigenza è nato il progetto Nuovo Codice Consumi, che, grazie a una metodologia innovativa, ha saputo rappresentare la complessità, la mutevolezza e la “liquidità” della società italiana di oggi e, ancora più, di quella di domani. In quest’analisi produttori e retailer possono trovare spunti concreti da applicare alle loro attività per fornire le risposte adeguate alla complessità che ci circonda». Partendo dai più accreditati studi di mercato e integrandoli con interviste a key opinion leader del settore, si è arrivati ad identificare le 6 tematiche chiave nel rapporto degli Italiani con la spesa e i consumi: emozionalità di prodotti e marchi, innovazione dell’esperienza di consumo, omnicanalità ed esperienza d’acquisto, cura per l’ambiente e la persona, territorialità, convenienza e parsimonia. La prima parte dell’indagine è stata realizzata con una fase etnografica sulla vita quotidiana di 36 famiglie italiane, integrata da 9 focus group, a copertura di diverse fasce sociali e territoriali. Il terzo step di ricerca ha previsto una fase quantitativa estensiva su circa 4.000 responsabili di acquisto.

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Questo robusto e integrato impianto metodologico ha permesso di tracciare una nuova mappa dell’Italia, che integra due visioni complementari: * l’Italia delle persone, composta da 9 “comunità di sentire”, trasversali per età e collocazione geografica. Community aperte e dinamiche, in cui gli individui entrano grazie a pulsioni, affinità, attitudini e passioni comuni, da cui altrettanto velocemente escono e in cui coesistono atteggiamenti e apparentemente in conflitto; * l’Italia dei territori, con una nuova ripartizione in cui i 4 territori sono stati identificati in virtù della composizione del tessuto sociale e produttivo che li caratterizza e che può essere utilizzata per programmare attività specifiche per ogni area. Quattro sostanzialmente le strategie da adottare per rispondere alle sfide del mercato: 1. instaurare una nuova era di collaborazione per trarre beneficio dalla minore fedeltà dei consumatori e dalla variabilità delle community e dei territori; 2. caratterizzare i propri prodotti in modo selettivo, affinché conquistino selezionate community con attitudini e desideri specifici; 3. adottare un approccio multicanale, per offrire servizi pree post vendita sempre più personalizzati e integrati; 4. essere “agili” per adattarsi alla mutevolezza e transitorietà dei tratti distintivi dei consumatori evidenziati nel breve e nel lungo periodo. • Per approfondimenti: nuovocodiceconsumi.gs1it.org

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FOTOGRAFATI E MANGIATI

KRUMAIS solomais.com

Produttore: Solo Mais Srl, Meduna di Livenza (TV). Regione: Veneto. Ingredienti: farina di mais, burro di alta qualità, zucchero di canna, uova da galline allevate a terra, sale, agente lievitante (carbonato d’ammonio), bacche di vaniglia, aroma naturale di limone. Descrizione: ecco un biscotto buonissimo, semplice e speciale nel sapore. Le materie prime utilizzate dall’azienda Solo Mais, fondata 10 anni fa, sono naturali e ben in evidenza sulla confezione. In abbinamento a: un buon caffè, un tè o una tisana.

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SALAME

DI SUINO NERO www.dalmassimogoloso.com

Produttore: Dal Massimo Goloso, Coredo (TN). Regione: Trentino Alto Adige. Ingredienti: carne di suino italiano, pepe, sale di Cervia, vino Barbera. Senza: lattosio e glutine. Descrizione: un salume molto profumato, si percepisce quasi un’affumicatura. È realizzato con le carni dei suini neri di montagna, selezionate e lavorate con cura da Massimo Corrà e dal suo staff. «Il nostro maiale nero è un piccolo progetto a km 0 in crescita e nasce dalla voglia di allevare una razza di suini di altissima qualità qui in Trentino inesistente. La loro carne ha la caratteristica di avere un grasso ricco di Omega-3 e Omega-6 dato dall’allevamento allo stato brado”. All’assaggio è morbidissimo e gustoso. Davvero molto buono. In abbinamento a: pane nero del Trentino per una tipica merenda tirolese.

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LA COPERTINA ESPLOSA

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Periodico bimest bimestrale esst eest strale per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXIV N. 4 Luglio-Agosto 2022 20022 22

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Non è estate senza gli amati würst würstel,insaccati gustosi molto apprezzati anche d dai più piccoli. In cucina sono un ingredien ingrediente perfetto per fresche insalate di pasta o d di riso, per il classico hot dog condito con maionese, ketchup e senape, per un antipas antipasto o il condimento di una pasta. Questi in foto sono i würstel di VILLANI SPA, storica a azienda di specializzata Castelnuovo Rangone (MO) sp di salumi e nella produzione artigianale d (www.villanisalumi.it). altre tipicità regionali (www.villan

“Il mondo delle spezie impiegate in cucina per arricchire e aromatizzare i piatti è davvero variegato. Tra le più utilizzate ci sono ad esempio pepe, noce moscata, zafferano e chiodi di garofano, oltre naturalmente alla senape, ingrediente fondamentale anche per la preparazione della mostarda e della maionese, la cui ricetta originale prevede la presenza di semi di senape” (fonte: ilgiornaledelcibo.it). Quella in foto è la senape delicata DILORA LOUIT FRÈRES (www.louitfreres.com), indicata in gastronomia per insaporire condimenti e sughi che andranno ad impreziosire piatti a base di carne o verdure.

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BREVI STORIE DI CIBO LENTO A VELOCITÀ CONTEMPORANEA

La mia profumatissima estate sarda di Alessia Morabito (illustrazioni di Alessia Serafini)

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n filo di vento dalla finestra, sono sdraiata sul letto, caldo, le cicale. Arriva un ricordo, la mia profumatissima estate sarda. È il 2003, accetto una stagione in un ristorante sperduto nella campagna vicino a Santa Teresa di Gallura. Chef e proprietario sono maniaci delle materie prime e le ricette sono di nonna Mallena, che imperversa in cucina senza orari. Siamo accanto, facciamo teglie infinite di suppa cuata. «Di cos’è questo brodo?». «Di pecora, hai mai mangiato la pecora?». «No». «Finisci le suppe e aspettami». Finisco, ripongo, pulisco e nonna Mallena torna con qualcosa che ha la forma di un piccolo prosciutto e un coltellaccio vecchio quanto lei. Affetta. «Mangia, è Presuttu ‘e brebei». Il colore è scuro, rosso/bruno. Il profumo è penetrante, leggermente affumicato con un sentore di mirto, le note lattee di un pecorino stagionato. Il sapore è altrettanto originale, dolce e scioglievole, di un’eleganza che non mi aspetto. Il prosciutto di pecora, in dialetto Presuttu ‘e brebei, è un salume tipico, diffuso in tutta l’isola, che si ottiene dalla coscia di pecora di razza Sarda, salata e stagionata circa 6 mesi. Noce moscata, prezzemolo, peperoncino e aglio sono gli aromi. La coscia viene disossata e mondata, successivamente massaggiata con sale ed il pesto aromatico. Dopo circa un mese viene dissalata e messa a stagionare. Sembra che la sua codifica e la commercializzazione siano piuttosto recenti, tra gli anni ‘70/‘80, ma nonna Mallena mi racconta che è la preparazione che si era soliti riservare alle pecore a fine carriera di pascolo. Dalla cappina a fiori tira fuori una boccetta: «sulle gambe, tutte le sere dopo il lavoro, e anche sul Presuttu se ti piace, è olio di lentisco». Ringrazio fissandola negli occhi. Il turno di lavoro è finito, ci docciamo, lo chef ci carica in auto per andare a prendere il fresco. Al buio, con una torcia, camminiamo in mezzo al niente: «Ma dove stiamo andando??!!». «Attenta a dove metti i piedi, siamo a Lu Brandali, alla Tomba di Giganti. Parla piano». Ci sediamo e dallo zaino lo chef tira fuori birre e panini col presuttu. «Cos’è questo profumo? Elicriso?». «Sì, è tutto attorno. Hai l’olio di Mallena con te?». Ho l’olio nella tasca della felpa, ne mette due gocce in ogni panino. «Ha detto nonna Mallena che tu hai “il senso” e ti devo insegnare». Io non rispondo. Sono seduta sul masso millenario di una tomba nuragica, ho mangiato preparazioni ancestrali, mi passo l’olio di lentisco sulle gambe, mi sdraio come posso e le stelle sono così tante e nitide che sembrano trapassarmi per ricongiungersi con i sassi. Mi abbandona ogni pensiero, sono nella terra battuta, elicriso i miei capelli, lentisco le mie gambe, roccia la mia schiena. Sono nella notte, sono la notte, non sono carne, sono polvere, sono antica, sono qui e adesso, sono la Sardegna, non ho più una mia storia, non ho più un nome. Quell’estate ho cucinato semplice tra gli ingredienti più buoni della mia vita. Io “il senso” a tante cose ancora non lo trovo ma forse è come diceva nonna Mallena, “il senso” non si cerca, ce l’hai o non c’è l’hai. Non sono mai più tornata in Sardegna.

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IL FOOD IN RETE

SOCIAL di Gaia

1. Gueuleton, Bienvenue les Bons Vivants “Gueuleton, Le Repaire des Bons Vivants” (www.gueuleton.fr) è una catena di locali fondata nel 2013 ad Agen, in Francia, da VINCENT BERNARD-COMPARAT e ARTHUR EDANGE, cresciuta nel tempo grazie alla bravura e all’entusiasmo dei due imprenditori: stiamo parlando infatti di 16 ristoranti situati in varie località del Paese, 14 Gueuleton catering, un e-commerce che vende attrezzature per il BBQ, vini e specialità gastronomiche, una rivista e una distilleria di Gin e Armagnac. Gueuleton in lingua francese si riferisce al piacere “epicureo” della tavola, la gioia della convivialità, del buon mangiare e del buon bere condiviso. Da seguire sull’account di TikTok, Gueuleton des Bons V (@gueuleton), e su tutti i loro canali social, YouTube, Facebook e Instagram (photo © www.gueuleton.fr).

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2. RossoPiccante: filiera digitale per la Salsiccia di Castelpoto Un modello innovativo di suinicoltura, con le tecnologie digitali a supporto delle scelte decisionali degli allevatori, e una filiera sostenibile caratterizzata da sistemi di allevamento non intensivi, rispettosi di ambiente, biodiversità e benessere animale. Arriva dal Sannio il progetto RossoPiccante (www.rossopiccante.com), finanziato dal GAL Taburno e basato sull’agricoltura di precisione che utilizza il controllo da remoto di tutti i parametri coinvolti nel sistema allevatoriale. Il progetto riguarda la produzione della Salsiccia rossa tipica di Castelpoto (BN) e prevede l’inserimento nella filiera di soggetti deboli, giovani svantaggiati e persone con disabilità (photo © ecampania.it).

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FOOD Borghi

4. Life TTGG: software di supporto alle decisioni ambientali delle aziende 3. Museo multimediale Piadina Experience Il 27 giugno scorso ha aperto al pubblico “Piadina Experience”, il primo museo della piadina nato dalla volontà di ROBERTO BUGLI di voler «celebrare il pane nazionale dei Romagnoli». Il museo si trova all’interno dell’azienda di Bugli, Riccione Piadina, a San Giovanni in Marignano (RN). Attraverso un percorso multimediale, i visitatori saranno trasportati in un vero e proprio Viaggio nel mondo della Piadina, dal Neolitico al giorno d’oggi, alla scoperta della storia dell’indiscutibile simbolo della Romagna gastronomica (e il tutto raccontato da romagnoli DOC!). Il sito dedicato, www.piadinaexperience.com, promette di fare altrettanto: tenete a portata di mano squacquerone, prosciutto crudo e rucola durante la navigazione (photo © www.facebook.com/Riccione.Piadina).

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Sono stati presentati i risultati finali del progetto europeo Life TTGG (www.lifettgg.eu), voluto per migliorare l’efficienza della catena di approvvigionamento dei formaggi europei DOP. Il software elaborato, che si è sviluppato a partire dall’analisi della filiera del Grana Padano DOP, è il primo Strumento di Supporto alle Decisioni Ambientali (SSDA) ad unire il calcolo dell’impronta ambientale con l’identificazione di misure concrete e specifiche per ridurre i consumi di energia. Il sistema SSDA è vantaggioso sia per le singole aziende DOP IGP, in quanto elabora i dati e fornisce le indicazioni più efficaci per ridurre l’impatto ambientale ed energetico, sia per i Consorzi di Tutela DOP IGP, ai quali conferisce uno strumento condiviso ed omogeneo per tutte le aziende associate. Infine, consente l’implementazione di strategie di sostenibilità ambientale e l’adesione a schemi di sostenibilità ambientale per l’intera filiera DOP IGP (photo © www.facebook.com/LIFE.TTGG).

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SPECIALE WÜRSTEL

Würstel,

passione anche italiana

Photo © Ivanoff Dm

Gli ultimi dati di ASS.I.CA. confermano i würstel, insieme alla mortadella, al terzo posto dei salumi più consumati dai nostri connazionali, dopo prosciutto cotto e prosciutto crudo. Trend positivo anche per la loro produzione, arrivata nel 2021 a 60.800 t (+3,2%) e un valore di 188,5 milioni di euro (+0,6%)

I

l würstel — il termine proviene dal diminutivo della parola tedesca Wurst, “insaccato”, secondo i dialetti tedeschi meridionali, laddove il termine in Hochdeutsch (alto tedesco, NdR) suonerebbe Würstchen — è un insaccato realizzato con carni tritate, in particolare bovine e suine, tipico della Germania, dell’Austria

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e, in Italia, dell’Alto Adige. Il würstel commercializzato in Italia corrisponde generalmente al Wiener o Wiener Würstchen (letteralmente “salsicciotto di Vienna” o “viennese”) reperibile in Germania. Lo stesso prodotto in Svizzera è chiamato Wienerli ed in Austria Frankfurter würstel, letteralmente “salsicciotto di Francoforte”, sebbene in origine le

due tipologie (Wiener e Frankfurter) non siano identiche: il primo, più corto, viene solitamente servito appaiato ad un altro; il secondo, più lungo, è invece servito da solo. Il würstel “italiano” ha ormai raggiunto una sua individualità, tanto che si può parlare di una tipologia parzialmente distinta. I würstel sono

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si completa lo sminuzzamento e la miscelazione dei vari ingredienti e, contemporaneamente, grazie al grosso lavoro meccanico, viene a crearsi un’emulsione che trattiene l’acqua in maniera stabile. L’acqua non è aggiunta tal quale, ma sotto forma di ghiaccio, per mantenere bassa la temperatura della pasta carnea durante la lavorazione. L’emulsione passa poi all’insaccatrice sottovuoto, dove viene introdotta in un budello. Possono essere utilizzati budelli naturali o sintetici. Se l’involucro utilizzato è artificiale, viene allontanato dopo la cottura. I budelli naturali, generalmente intestino tenue di montone, sono di solito riservati alle produzioni più tipiche ed artigianali, visto il notevole impiego di manodopera che richiede il loro utilizzo. Cottura e affumicatura I würstel sono appesi su apposite aste e passano in forno per la cottura e l’affumicatura. Dopo circa due ore, la temperatura interna del prodotto raggiunge i 68-70 °C necessari per una riduzione della carica microbica, sufficiente per un’idonea conservazione del prodotto durante le fasi di commercializzazione. Durante il riscaldamento, avviene anche la coagulazione delle proteine muscolari e l’impasto si indurisce rimanendo compatto al taglio pure dopo ulteriori riscaldamenti. L’affumicatura conferisce al prodotto il profumo caratteristico e viene generalmente effettuata utilizzando legno di faggio.

insaccati cotti caratterizzati da una grana finissima e da un alto contenuto di acqua. Per la produzione vengono utilizzati tagli di carne di vari animali (anche pollo e tacchino), addizionate di grasso duro di suino, acqua, sale, condimenti e additivi. La tecnologia di lavorazione influenza moltissimo le caratteristiche del prodotto finale.

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Macinazione e insacco La prima fase della produzione consiste nella triturazione dei pani congelati di materia prima in apposite macchine spezzatrici. Subito dopo, i diversi componenti frantumati (parti carnee, cotenna o grasso, acqua sotto forma di ghiaccio, condimenti vari, additivi) vengono passati in un cutter. Nel cutter

Come avviene la cottura Nell’operazione di riscaldamento la carne subisce importanti alterazioni, che ne influenzano la tenerezza, il gusto, la consistenza e la capacità di legare l’acqua. Queste alterazioni sono dovute alla denaturazione delle proteine delle fibre muscolari e del collagene del tessuto connettivo. Con la denaturazione delle proteine muscolari, si forma un reticolo stabile che fissa nelle sue maglie le particelle di grasso e acqua. La denaturazione del collagene porta ad un suo rammollimento e alla trasformazione in gelatina. Il riscaldamento dei prodotti a pasta fine, come mortadella e würstel, è impiegato per ottenere il consolidamento (coagulazione) dell’impalcatura proteica dell’impasto, nonché

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di würstel, passando attraverso un tubo, sono sottoposte a un getto di vapore che umidifica e dilata il budello di cellulosa e ne favorisce il distacco dalla superficie del prodotto. Subito dopo, un getto di aria compressa separa la salsiccia dall’involucro precedentemente inciso e aperto da una lama. Se le tecnologie produttive non sono correttamente calibrate e condotte in modo adeguato, l’eliminazione della pelle è difficoltosa e si corre il rischio di asportare anche una parte del prodotto che, per esempio, può restare incollata al budello a causa di una pellicola superficiale di gelatina formatasi durante la cottura.

La classica e intramontabile insalata di riso con würstel, mais, piselli e le vostre verdure preferite (photo © Marzia Giacobbe). per distruggere i microrganismi presenti, inattivare gli enzimi e raggiungere le qualità organolettiche desiderate (colore, sapore, consistenza). L’entità di questi cambiamenti dipende da numerosi fattori, come, per esempio, la qualità della materia prima, il tipo di budello o di contenitore utilizzato e il formato, l’effetto termico (tempi e temperature di cottura) ed il procedimento di cottura. Quando la trama proteica non è sufficiente a trattenere al proprio interno le quantità crescenti di collagene (derivanti dal tessuto connettivo), che si solubilizzano durante la cottura, all’interno dell’impasto andranno a formarsi sacche di gelatina. Non essendo possibile, per lo stesso motivo, trattenere

il grasso che si fonde, può verificarsi anche la formazione di sacche di grasso. Per questo motivo, formulazioni povere in tagli ricchi di tessuto muscolare non possono sopportare cotture prolungate a temperature elevate. Raffreddamento e pelatura Terminata la cottura, i würstel sono sottoposti ad una docciatura con acqua fredda; quindi, vengono mantenuti in celle refrigeranti per circa 12 ore, affinché possano raggiungere la temperatura di circa 2 °C necessaria per procedere alle fasi successive. Una volta raffreddati, vengono inviati alla pelatura e al confezionamento. La pelatura viene eseguita con macchine automatiche che liberano la pasta di carne cotta dal budello. Le file

È IL SALUME PIÙ AMATO NEI PAESI DI LINGUA TEDESCA, PROTAGONISTA DELL’HOT DOG IN UK E USA DA BANCARELLE MOBILI E FURGONCINI. SI MANGIA NELLE BIRRERIE, NELLE OSTERIE E NEI BUFFET TRIESTINI. SI “SPORCA” CON SENAPE, MAIONESE E ALTRE SALSE. SI MANDA GIÙ CON UN BUON BOCCALE DI BIRRA. È TRASVERSALE, PIACE DAVVERO A TUTTI

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Confezionamento e pastorizzazione Quale ultima operazione, il prodotto è confezionato in buste di materiale plastico sottovuoto od in atmosfera di gas inerte. Dopo il confezionamento, il prodotto può essere sottoposto ad una pastorizzazione, un riscaldamento sopra i 70 °C per circa 15 minuti, al fine di inattivare i germi apportati in superficie dalle operazioni di pelatura e confezionamento, in modo tale da ottenere una shelf-life adeguatamente prolungata. La qualità del prodotto finito dipende molto anche dalla percentuale dei diversi tagli di carne presenti. Tale percentuale può variare da un 20% di sola carne bovina, nei würstel più scadenti, ad un 45-50% di sola carne suina per i würstel più pregiati. Il grasso può variare dal 20 al 40%; l’acqua dal 20 al 30%. Gli impasti di carne ottenuti per la produzione dei würstel sono sempre caratterizzati da una carica microbica discretamente elevata. Pertanto, i würstel sono prodotti particolarmente esposti allo sviluppo di microrganismi, specialmente se le condizioni di cottura non sono state ottimali al fine di un significativo abbattimento della carica microbica. Inoltre, la pelatura può comportare una ricontaminazione. Le alterazioni più comuni sono un rigonfiamento dovuto, per lo più, ad un abbondante sviluppo di batteri lattici e un rammollimento determinato da alcuni streptococchi. Nota Fonte: CANTONI C., Il Signor Würstel.

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WÜRSTEL DI RAZZA di Gaia Borghi

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würstel possono essere preparati con diversi tipi di carne: i più classici sono senz’altro quelli realizzati con carne suina ma oggi sono diffusissimi anche quelli preparati con carne di pollo — e qui vale la pena ricordare che la carne di pollo, anche nel 2021, è risultata di gran lunga la carne più consumata dagli Italiani (dati forniti da UNAITALIA, l’associazione che rappresenta oltre il 90% della produzione avicola nazionale), seguita a lunga distanza da manzo, maiale e vitello. In

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media lo consumiamo quasi 2 volte a settimana (dati: DOXA 2021) — tacchino, vitello e persino carne dei cosiddetti selvatici. La “personalizzazione” della ricetta di prodotto può però andare ancor più nello specifico, scegliendo di utilizzare ad esempio una razza suina o bovina particolare, appartenente al proprio territorio d’origine, così da rendere questo insaccato così poco italiano anche soltanto nella grafica e nella pronuncia addirittura locale! Abbiamo fatto un giro sul web alla ricerca delle

proposte più originali, dalla piccola macelleria all’azienda strutturata: ecco i prodotti che più ci hanno colpito. In Piemonte, nel Cuneese, LA GRANDA (www.lagranda.it), realtà fondata nel 2004 dal veterinario SERGIO CAPALDO, propone würstel realizzati con carne di bovino adulto di razza Piemontese e carne di suino italiano. Lavorati in modo artigianale, senza pelle, affumicati con legno di faggio, sono ideali alla griglia e nel classico abbinamento con i crauti.

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La MACELLERIA BELLI di Torrita di Siena (macelleriabelli.it) propone alla propria clientela il Würstel Chianino, un insaccato a base di carni fresche suine e bovine di razza Chianina, macinate a grana finissima, insaccate in budello naturale, cotto a vapore e affumicato: “si può mangiare così com’è per fare una pasta fredda veloce — scrivono sul loro sito i macellai toscani —, cotto alla griglia o bollito secondo la ricetta tedesca”. Rimanendo in regione, anzi, nella stessa provincia di Siena, l’AZIENDA AGRICOLA IL POGGIO di San Casciano dei Bagni (www.aziendagricolailpoggio.it) realizza artigianalmente würstel (e mortadella) con carne suina di razza Cinta Senese DOP aromatizzati con aglio, noce moscata e peperoncino: “Di fondamentale importanza è la qualità delle carni, così come gli aromi e le spezie del nostro orto che danno a questi prodotti profumi e sapori unici”. I FRATELLI CORRÀ (www.fratellicorra.it), produttori d’eccellenza di speck e salumi della tradizione trentina a Predaia, in provincia di Trento, producono würstel con carni miste di suino e bovino locali e anche würstel con carne di cervo e suino e mirtilli. I tagli utilizzati per questo particolarissimo prodotto sono la spalla, la pancetta e la coppa di suino del Trentino Alto-Adige e la spalla di cervo, anche questo di provenienza locale. “Questo würstel naturale prodotto in quantità limitate racchiude in sé tutti i sapori della montagna. Prepararlo è semplice: va immerso in acqua, portato a ebollizione e poi spento subito. Va servito caldo e può essere gustato con un chutney di frutti di bosco e pane integrale, accompagnato da un calice di vino rosso trentino come il Teroldego o il Groppello di Revò”. Tutta la linea di würstel dei Fratelli Corrà è completamente naturale, prodotta senza nessun conservante, colorante o additivo. Fondamentale per l’elevata qualità del prodotto la selezione a mano dei tagli nobili carnei, miscelati con spezie e aromi naturali e affumicatura a freddo con faggio e ginepro. A Ranzanico (BG), sul lago d’Endine, in Valcavallina, l’AZIENDA AGRICOLA MARONI produce una ricca gamma di salumi, compresi i würstel, con le carni di pecora Bergamasca grass-fed allevata allo stato brado. “Il nostro allevamento

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è a ciclo chiuso, ossia tutti gli animali da noi allevati sono nati e cresciuti al nostro interno e dedichiamo impegno e risorse al miglioramento genetico. Le nostre pecore sono al pascolo 365 giorni l’anno mangiando sempre erba fresca” (www.agricolamaroni.it). Nell’AZIENDA AGRICOLA DELLADIO NICOLETTA — MASO PIASINA di Lago di Tesero, in Val di Fiemme (TN), vengono allevate capre di razza Saanen, Camosciata delle Alpi e Alpina. La famiglia proprietaria, che è tra i soci e fondatori dell’associazione caprini della Val di Fiemme, accanto ad una linea cosmetica a base di ingredienti naturali con l’aggiunta di latte di capra ottenuto dalla mungitura degli animali del proprio allevamento, produce anche kaminwurst e würstel con carne di capra (telefono: 335 1017632; info@ delladionicoletta.it). Il würstel artigianale pugliese del SALUMIFICIO SANTORO, realtà di riferimento nella produzione del Capocollo di Martina Franca, viene preparato esclusi vamente con tagli di carne nobili (spalla e coscia) di maiali della filiera locale con una bassissima percentuale di grasso, sale e spezie naturali (www.salumificiosantoro.com). “I capi sono selezionati tra i migliori della Murgia, cresciuti allo stato semibrado, ovvero liberi di pascolare nelle campagne pugliesi, senza alcuna forzatura nel processo di crescita e nel loro nutrimento naturale, a base di prodotti tipici della macchia mediterranea: il maiale pugliese mangia soprattutto mais, orzo, crusca, favino e ghiande appartenenti al Fragno, quercia molto rara presente quasi esclusivamente in Valle d’Itria”. Consigliata una leggera cottura del prodotto, magari alla griglia. Non manca un würstel totalmente made in Sicily: lo produce con le carni di suino Nero siciliano MASSIMILIANO CASTRO del salumificio IL CHIARAMONTANO di Ragusa (www.ilchiaramontano.com), noto per la sua produzione di mortadella e salame di Asino ragusano. Proprio per la grande passione per la sua terra e i suoi prodotti, oltre che per la ricerca e la riscoperta di prodotti della tradizione culinaria regionale nello specifico settore della macelleria, Massimiliano è stato insignito nel 2012 del premio Best in Sicily come miglior macellaio della Sicilia. Gaia Borghi

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Jupiter è anche Duke E Duke, brand della salumeria triestina acquisito dal Salumificio Jupiter e specializzato nella produzione di würstel e cotti, figura oggi tra i “Marchi Storici d’Italia”, insieme ad altre aziende protagoniste del passato e del futuro dell’economia italiana di Gaia Borghi

all’ultima volta che sulle pagine di questa Rivista abbiamo parlato del SALUMIFICIO JUPITER di Oricola, provincia de L’Aquila, sono trascorsi oltre dieci anni. Me lo conferma MARCELLO PARMEGGIANI, alla direzione dell’azienda e per la quale ricopre anche il ruolo di responsabile qualità. Un decennio che ha visto concretizzarsi cambiamenti sostanziali nella società che il padre di Marcello, TIZIANO PARMEGGIANI, fondò nel 1998 con l’obiettivo di produrre würstel made in Abruzzo. Un primo importante cambiamento riguarda ad esempio l’acquisizione, già nel 2013, del marchio Duke Grandi Marche, storico salumificio triestino specializzato nella produzione di specialità e prodotti a base di carne tipici della tradizione austro-ungarica. Chiunque conosca o abbia visitato questa meravigliosa città da sempre profondamente cosmopolita, sa bene che la sua gastronomia riflette infatti la sua storia e le sue numerose “anime”, riflesso dei popoli che nei secoli l’hanno abitata. Non a caso, se parliamo di carne, tra i piatti più diffusi troviamo il gulasch e i cevapcici, il prosciutto cotto affumicato o in crosta di pane e naturalmente il maiale “da caldaia” in tutte le sue espressioni, dalla testina ai

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I würstel sono insaccati oggi diffusi in tutte le regioni d’Italia, prodotti sia a livello industriale che artigianale, apprezzati oltre che per il loro sapore anche per la loro versatilità in cucina e la facilità/velocità di preparazione. würstel, servito con contorno di capuzi garbi (crauti), senape e cren. «Duke Grandi Marche è stata una delle prime aziende nel panorama italiano a specializzarsi nella produzione industriale di prodotti tipici della tradizione mitteleuropea come i würstel e il prosciutto

cotto» mi dice Marcello Parmeggiani. «La famiglia fondatrice si occupava del commercio di carni nel territorio triestino dal 1903, espandendo via via il proprio commercio oltre i confini della provincia e riuscendo a conquistare prima il Triveneto e poi tutto il Sud Italia».

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Il brand Duke è stato acquisito nel 2013 dalla Jupiter (mentre lo stabilimento e i macchinari sono stati acquisiti rispettivamente dal Comune di Trieste e da un’altra azienda di salumi), che ha iniziato prima la produzione e commercializzazione di würstel, di puro suino, classici e di pollo, a marchio e poi, nel 2018, anche quella di prosciutto cotto di alta qualità. Marchio storico d’Italia Nel 2020 il Ministero dello Sviluppo economico ha emanato un decreto che disciplinava le modalità d’iscrizione al registro speciale “Marchio storico d’interesse nazionale”: un nuovo importante strumento messo a disposizione delle imprese per valorizzare i propri marchi e accrescere la competitività sul mercato nazionale e su quelli esteri. «Non appena siamo venuti a conoscenza di questa opportunità abbiamo svolto ricerche approfondite per ricostruire la storia del marchio Duke, ritrovando anche bellissime immagini risalenti agli inizi dell’attività dell’azienda» mi dice Marcello Parmeggiani. «Una volta ottenuto il riconoscimento, Duke è entrata a far parte dell’Associazione Marchi Storici d’Italia, costituita nel 2021 per valorizzare e tutelare il made in Italy nel mondo». I fondatori sono otto brand storici italiani — Antinori, Inghirami, Conserve Italia, Gabetti, Ekaf, Benetton, Terme di Saturnia e Amaro Lucano 1894 — cui si sono immediatamente aggiunti anche Cannella, De Cecco, Lampo, Mazzetti D’Altavilla, Modiano, Zacchera Hotels e appunto Duke. Le realtà imprenditoriali che ne fanno parte sono tutte aziende protagoniste del passato e del futuro dell’economia italiana, che operano sul territorio italiano da oltre cinquant’anni. Ad aprile scorso è stata inoltre sancita la piena operatività dell’associazione con la firma del primo accordo quadro con ICE – Agenzia: punto focale dell’intesa, le attività di formazione e digitalizzazione dirette ai soci. Nel suo programma l’associazione intende massimizzare le sinergie realizzabili tra le aziende titolari di Marchio Storico: un elemento oggi più che mai vitale sul mercato. Gaia Borghi >> Link: www.salumificioduke.it www.wursteljupiter.it

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Il marchio Duke ha da sempre mantenuto un’ampia offerta di würstel genuini e di alta qualità grazie all’utilizzo di tecnologie avanzate e alla disponibilità di personale specializzato. Si va dai würstel classici e di pollo ai würstel di puro suino, disponibili in diversi formati per privati, aziende, grossisti e discount d’Italia e d’Europa.

Costituita l’8 giugno 2021, l’Associazione Marchi Storici d’Italia è l’associazione delle imprese titolari di Marchio Storico iscritte al Registro dei marchi Storici di interesse Nazionale presso il MISE, ai sensi dell’art. 31 del DL 30 aprile 2019, n. 34 (cd. Decreto Crescita), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della Legge 28 giugno 2019 n. 58. “Non abbiamo altri motivi per costituirci in Associazione Marchi Storici d’Italia se non il dovere, il bisogno, semplice e primario, di tutelare la nostra Cultura d’Impresa, Patrimonio nazionale” scrivono i soci fondatori. >> Link: marchistorici.com

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AZIENDE

PERCHÉ FILOTEA È DIVERSA? 34

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La pasta all’uovo artigianale Filotea è realizzata da mani esperte come vuole la tradizione marchigiana. Cura dei dettagli e ingredienti genuini sono alla base di questa piccola produzione di grande qualità.

ilotea è una piccola azienda situata nel cuore delle Marche, nata con la volontà di fare la pasta allo stesso modo di come si faceva una volta. La pasta all’uovo ha una tradizione millenaria e Filotea ha fatto della ricerca del gusto autentico la propria vocazione. Ecco perché basa la sua realizzazione non solo sull’accurata lavorazione, ma anche su un’attenta cura di tutte le fasi di produzione della pasta, a partire dalla scelta della farina, della semola di grano duro e delle uova fresche. Il nome dell’azienda, Filotea, è stato utilizzato da San Francesco di Sales in

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uno dei più bei libri della letteratura spirituale Cristiana: “Filotea – Introduzione alla vita devota”. Un nome celebrato il 15 settembre e il 5 novembre. La pasta all’uovo Filotea viene realizzata secondo l’antica ricetta marchigiana seguendo alla lettera lo stesso processo di lavorazione usato dalle nostre nonne. Come nella realizzazione della pasta fatta in casa la domenica, vengono utilizzate solo le migliori uova e la migliore farina. Questa lavorazione artigianale e paziente è fondamentale per ottenere un prodotto unico nel suo genere, con straordinarie caratteristiche di leggerezza e digeribilità e con una

elevata capacità di assorbire i sughi esaltando ogni tipo di preparazione. Perché Filotea è diversa? Perché è frutto di una miscela di farina, semola di grano duro e uova fresche. Perché è essiccata lentamente a bassa temperatura. Perché è ruvida ed ha una straordinaria capacità di assorbire i sughi. Perché ha tempi di cottura molto brevi. Perché ha lo stesso sapore della pasta fresca fatta in casa, ma è secca ed ha una durata di due anni. Perché è più digeribile e leggera. >> Link: www.filoteapasta.com

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Prosciutto di Carpegna al fianco della Carpegna Prosciutto Basket Pesaro per il quarto anno consecutivo Prosciutto di Carpegna, fra le eccellenze DOP del Gruppo Fratelli Beretta, ha annunciato il rinnovo per il quarto anno consecutivo del rapporto di collaborazione come Title Sponsor con la Victoria Libertas Pallacanestro Pesaro, storica squadra di basket marchigiana. Dal 1986 lo sport costituisce un elemento di punta della strategia di comunicazione del Gruppo, espresso negli anni con oltre 15 sponsorizzazioni calcistiche, 7 presenze nell’automobilismo e ben 11 sponsorizzazioni pensate per sostenere altre discipline sportive minori. Ad avvicinare l’azienda alla Carpegna Prosciutto Basket Pesaro è la forte passione per il basket italiano sentita dai membri della famiglia Beretta, che hanno trovato nel management e in tutto il team della squadra marchigiana la massima espressione di un’intesa solida e della condivisione di valori e obiettivi. «Siamo orgogliosi di portare avanti il progetto di sponsorizzazione con la Carpegna Prosciutto Basket Pesaro e di confermare il nostro impegno nella stagione che vede il ritorno del coach Jasmin Repeša» dichiara Andrea Beretta, rappresentante del Gruppo Fratelli Beretta. «La VL è una squadra che ha scritto pagine indimenticabili del basket italiano e che, proprio come il Gruppo Beretta, è sinonimo di tradizione, passione e di forte legame con il territorio. Tutti elementi che caratterizzano il nostro lavoro nel preservare e valorizzare nel mondo un’eccellenza della salumeria italiana dal gusto senza tempo come Prosciutto di Carpegna». «Per noi ancora una volta è motivo di grande orgoglio il legame che prosegue ormai da anni con Prosciutto di Carpegna e che porterà questo brand sui parquet del massimo campionato per un’altra stagione che ci auguriamo ricca di successi» ha commentato il presidente della Carpegna Prosciutto Basket Pesaro Ario Costa. «Ringraziamo la Famiglia Beretta per la fiducia accordataci e siamo pronti a vivere questa nuova annata». «Il nostro auspicio è quello di vedere una Vitrifrigo Arena piena di tifosi» ha dichiarato il presidente del Consorzio Pesaro Basket Franco Arceci. «Coach Repeša ha deciso di tornare qui anche per contribuire alla crescita della società. Abbiamo obiettivi ambiziosi, un grande applauso va ad Andrea e alla famiglia Beretta formata da persone molto serie che continuano a essere main sponsor del nostro club. Per noi è motivo di grande soddisfazione, ci sono tutte le carte in regola per ritrovare il notevole entusiasmo respirato negli scorsi mesi». * Il Gruppo Fratelli Beretta, passione per la qualità dal 1812 è leader in Italia nella produzione e commercializzazione di salumi e piatti pronti. Con 29 siti produttivi e 2600 dipendenti, conta oltre 500 referenze a marchio proprio tra cui 19 produzioni IGP/DOP. >> Link: www.fratelliberetta.com

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“Ho voglia di”… Villani: nuova linea di affettati d’alta gamma in formato monoporzione Si chiama “Ho voglia di”, nome che non lascia spazio a dubbi. Soprattutto perché parliamo della nuova linea di affettati di Villani Salumi, storica azienda di Castelnuovo Rangone, in provincia di Modena. Il nome della linea, dicono dalla società, richiama “la modalità di acquisto e di consumo più occasionale di questi prodotti, pensati per rispondere alle esigenze del consumatore gourmand che vuole soddisfare un peccato di gola”. Si tratta di dieci prodotti scelti tra le migliori specialità salumiere dell’azienda fondata nel 1886: Prosciutto crudo 24 mesi; Culatta Madame (in foto); Salame Montanaro; Coppa Rinomata; Pancetta Pepe Nero; Tacchino Arrosto; Bresaola Superiore; Prosciutto Cotto Alta Qualità Prelibato; Specialità cotta Praga; Mortadella Dotta. La nuova gamma si contraddistingue per il formato monoporzione da 60-80 grammi e per il vassoio più piccolo e profondo che permette una disposizione ancora più mossa e soffice delle fette. Altri punti di forza del nuovo brand sono il vassoio totalmente trasparente e l’etichetta minimale su misura “per far parlare direttamente il prodotto”, con l’originale applicazione a pinza come se il prodotto fosse appena stato confezionato dal salumiere. «Gli affettati “Ho voglia di” sono lo specchio riflesso del prodotto da banco taglio e rappresentano la nostra risposta ai cambiamenti di stili di vita, abitudini e comportamenti dei consumatori» sottolinea GIOVANNI VENÉ, direttore business unit Affettati Villani. «Con questa nuova linea intendiamo rinnovare l’offerta anche nel segmento monoporzione, attraverso un formato originale e una proposta di alta gamma rivolta a chi vuole gustare un momento di piacere e concedersi un piccolo sfizio». Un altro mattone per la business unit degli Affettati Villani che, nel 2021, ha registrato un fatturato di 35 milioni di euro, in rialzo dell’11% rispetto ad un anno prima, con 15 milioni di vaschette vendute (fonte: EFA News – European Food Agency). >> Link: www.villanisalumi.it

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Culatello di Zibello DOP: il Consorzio premiato a Milano per l’impegno nella valorizzazione del territorio C’era anche il Consorzio di Tutela del Culatello di Zibello DOP tra le 30 realtà d’eccellenza espressione del made in Italy agroalimentare premiate a Milano nell’ambito del premio “Save The Brand”, promosso dalla testata Foodcommunity. it. La giuria ha riconosciuto l’importante ruolo giocato dal Culatello di Zibello DOP nella valorizzazione del territorio della Bassa Parmense. Questa la motivazione ufficiale del premio: «Il Culatello di Zibello DOP è espressione di un territorio, quello della Bassa Parmense, spesso dimenticato ma dalla forte impronta enogastronomica. Re, regine e attori e di tutto il mondo lo prenotano anno per anno. Ambasciatore del buon cibo italiano in tutto il mondo, il Culatello di Zibello DOP è un’eccellenza d’eccezione». Nella prestigiosa cornice del Four Seasons Hotel di Milano, a ritirare il premio in rappresentanza del Consorzio di Tutela del Culatello di Zibello DOP è stato il presidente Romeo Gualerzi (in foto).

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>> Link: www.consorziodituteladelculatellodizibello.com

Una sinfonia di prelibatezze

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IPV PACK SRL:

UN FUTURO IN CRESCITA E UN NUOVO IMPIANTO PRODUTTIVO EUROPEO Inaugurata il 1o maggio la nuova sede in Serbia per la produzione di packaging con i più alti standard qualitativi PV PACK Srl, uno dei principali player italiani nel settore del packaging, ufficializza un nuovo passo avanti nel proprio percorso di crescita e consolidamento a livello europeo. Lo scorso 1o maggio è stata, infatti, inaugurata una nuova sede in Serbia, la prima al di fuori dell’Italia, che si affianca alla sede storica di Carmignano del Brenta, in Veneto,

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IPV PACK DOO, questa la denominazione della nuova sede in Serbia, testimonia la grande e rapida evoluzione dell’azienda che ha saputo in brevissimo tempo internazionalizzare la propria offerta, dialogando con grandi player nazionali e europei grazie ad una proposta packaging di altissimo livello

Simone Palma, CEO e founder di IPV PACK Srl.

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IPV PACK DOO seguirà l’organizzazione e l’operatività pianificata nella sede centrale anche grazie a personale italiano in Serbia. Adotterà tutti gli standard che da sempre la sede storica garantisce ai propri clienti e che l’hanno resa una delle realtà più dinamiche e innovative del mondo del packaging. nella quale resterà l’Headquarter e dove continuerà ad essere sviluppata tutta la politica commerciale. IPV PACK DOO, questa la denominazione della nuova sede, testimonia la grande e rapida evoluzione dell’azienda, che ha saputo in brevissimo tempo internazionalizzare la propria offerta, dialogando con grandi player nazionali e europei grazie ad una proposta packaging di altissimo livello. E proprio per sostenere le sempre più considerevoli richieste di prodotti di qualità, Simone Palma, CEO e founder di IPV PACK Srl, ha deciso di “mettere un piede in Europa” anche per quanto riguarda la produzione. Un investimento importante che si accompagna ad una vision del mercato innovativa, capace di leggere i nuovi scenari e anticipare le richieste dello stesso mercato con soluzioni rapide, personalizzate ed efficaci, in pieno stile made in Italy. Grazie alla location produttiva in Serbia, IPV PACK sarà in grado di offrire maggiori opportunità ai suoi clienti, sia a quelli posizionati geograficamente più vicino alla nuova sede, sia a quelli dell’Europa centrale e occidentale, anche in questo particolare momento storico in cui i mercati evolvono in modo spesso repentino e imprevedibile.

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Nel contempo, la nuova sede, consentirà di seguire e sviluppare ulteriormente tutto il mercato dell’Europa dell’Est con un occhio di riguardo ai nuovi mercati dei paesi Asiatici. La scelta di aprire una nuova sede in Serbia, offre quindi nuove opportunità e rafforza gli aspetti chiave della proposta di IPV PACK: alta qualità dei prodotti offerti, servizi e consulenza personalizzati, flessibilità, rapidità nelle consegne. La nuova sede proseguirà la politica produttiva con il rispetto ferreo delle norme già applicate in Italia e il preciso controllo della qualità dei processi, esportando di fatto l’esperienza made in Italy di IPV PACK e i punti forza che ne hanno decretato il successo, in modo da aumentare ulteriormente la propria forza per rispondere alle sfide del mercato internazionale. IPV PACK DOO seguirà l’organizzazione e l’operatività pianificata nella sede centrale, anche grazie a personale italiano presente in Serbia. Adotterà, inoltre, tutti gli standard che da sempre la sede storica garantisce ai propri clienti e che l’hanno resa una delle realtà più dinamiche e innovative del mondo del packaging. >> Link: ipvpack.com

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ANALISI DI SETTORE

ASSEMBLEA ASS.I.CA., IL 2021 MARCA IL SOLCO DI UNA GRANDE RIPRESA Aumenti a due cifre in volume e in valore rispetto al 2020. Ma le conseguenze della guerra in Ucraina e lo spettro della Peste Suina Africana stanno minando la tenuta delle aziende. Per il presidente Lenti vanno individuate nuove strade da percorrere per salvaguardare il settore coinvolgendo tutti gli attori della filiera e le istituzioni preposte di Anna Mossini

Monica Malavasi, direttore di IVSI, il direttore e il presidente di ASS.I.CA., Davide Calderone e Ruggero Lenti, e la giornalista RAI Barbara Capponi che ha moderato l’evento.

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onostante un aumento dei consumi che in Italia ha toccato un +5,4%, e un export che ha raggiunto un +15,2% in volume e un +12% in valore, il 2021 della salumeria italiana ha dovuto fare i conti con un incremento dei costi di produzione e difficoltà del settore che perdurano tuttora. L’annuale assemblea di ASS.I.CA. (Associazione industriali delle carni e dei salumi), svoltasi nelle scorse settimane a Roma, è stata come sempre l’occasione per delineare lo stato di salute del comparto nel postpandemia e guardare allo scenario futuro, purtroppo minacciato da non poche preoccupazioni. Rincari energetici e Peste Suina Africana stanno oggi danneggiando pesantemente le esportazioni di salumi che sia in Europa che nei Paesi Terzi nel 2021 hanno rappresentato un traino fondamentale. Dopo la frenata produttiva del 2020 causata dalla pandemia, il 2021 ha registrato un aumento significativo (+7%), che ha generato un risultato positivo anche in valore, passato da 8.420 milioni a 7.927 milioni di euro (+6,2%). Un anno eccezionale Nello specifico, il 2021 per i prosciutti crudi stagionati si è rivelato un anno molto positivo con una crescita dell’8,2% ed una produzione totale di 282.500 tonnellate. In aumento la produzione dei prosciutti cotti (+6,3%), salita a 288.200 tonnellate. Positivo anche l’andamento produttivo della mortadella (+4,3%), che ha raggiunto 163.800 tonnellate, insieme a quella dello speck, che si è attestata a 33.600 tonnellate (+2,8%), e dei salami, che con un +10,3% hanno totalizzato un quantitativo di 120.200 tonnellate. In flessione invece la produzione di pancetta, con un –4%, e coppa (–1%), mentre è netta la crescita della bresaola a +8,9%. «Veniamo da un anno, il 2021 — ha detto nel suo intervento il presidente di ASS.I.CA., Ruggero Lenti — in cui i segnali di crescita registrati sono stati ottimi nonostante le chiusure dei canali HO.RE.CA., in alcuni periodi dell’anno, abbiano penalizzato la domanda interna rispetto ai livelli a cui eravamo abituati prima della pandemia. La disponibilità al consumo dei salumi si è infatti attestata a 17 kg, che corrispondono

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Grafico 1 – Ripartizione export salumi italiani (in quantità)

Fonte: elaborazione ASS.I.CA. su dati Istat.

Grafico 2 – 2021-2020 esportazione salumi (valori espressi in tonnellate e .000 di euro)

Fonte: elaborazione ASS.I.CA. su dati Istat.

Grafico 3 – Principali Paesi di destinazione dei salumi italiani (valori espressi in .000 di euro)

Fonte: elaborazione ASS.I.CA. su dati Istat.

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Un grande anno per l’export: +15,2% Un 2021 ottimo per le esportazioni, che secondo l’Istat hanno toccato il record di 197.759 t di salumi esportate per un fatturato di 1.836 milioni di euro, con un aumento a due cifre sia in volume che in valore: rispettivamente +15,2% e +12%. Un recupero che ha permesso di compensare la flessione registrata nell’anno della pandemia, il 2020, e che addirittura ha superato i pur ragguardevoli risultati del 2019 con un +7,9% in quantità e un +15,6% in valore. Per quanto riguarda il saldo commerciale del comparto, siamo a +15,7% rispetto al 2020, per un totale di 1.623 milioni di euro. Le destinazioni estere dei salumi italiani nel 2021 hanno interessato prevalentemente la UE a 27 ma, come abbiamo visto prima, non sono stati meno importanti i Paesi Terzi come gli USA. Le spedizioni verso gli Stati comunitari hanno incassato +13,6% rispetto al 2020, per un valore complessivo di circa 1.207 milioni di euro. Il primo trimestre 2022 ha registrato un’ulteriore crescita dell’export arrivato a +5,4% in quantità e a +9% in valore. Un dato importante che poteva essere ancora più significativo se non ci fosse stato lo stop da parte di alcuni Paesi, soprattutto asiatici, che a causa dei casi di PSA esplosi in Italia a inizio 2022 hanno bloccato tutte le importazioni di prodotti di origine suina. Tengono per ora le esportazioni verso la UE, con un +6,4% di prodotto e un +9,1% di valore. A. Mo.

ad un consumo medio reale pro capite di circa 11,3 kg/anno. Sul fronte dell’export possiamo dire che la domanda è stata particolarmente importante con gli USA che hanno fatto registrare un più che soddisfacente +53% in quantità e un +43,3% in valore. Oggi però dobbiamo fare i conti con uno scenario ben diverso: la guerra in Ucraina e le sue inevitabili conseguenze a cui si aggiungono le preoccupazioni legate ai focolai di Peste Suina Africana stanno alimentando tra tutti gli operatori del settore angosce più che fondate, a cui si uniscono i timori di una recrudescenza dei contagi di Covid-19. Le nubi all’orizzonte Le aziende finora hanno retto riducendo progressivamente i loro margini ed è importante sottolineare come l’aumento

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dei costi legati ai fattori produttivi e dei servizi non si sia tradotto in un aumento dei prezzi unitari dei salumi, che invece nel 2021 hanno evidenziato un calo rispetto all’anno prima. La crescita dei prezzi delle commodity e di tutti i costi di produzione è stato assorbito dalle aziende del settore, ma l’aumento anche dei costi della materia prima ha determinato una situazione che non è più sostenibile. Relativamente all’impatto della PSA sull’export del primo trimestre 2022, pur in presenza di una crescita generalizzata, l’analisi dei mercati rivela che i Paesi Terzi che non applicano la regionalizzazione stanno registrando una brusca battuta d’arresto a –27,6% sia in volume che in valore. Non possiamo sottovalutare questo dato — ha sottolineato Lenti — bensì capire quanto

sia urgente intervenire su questo fronte. In uno scenario sempre più incerto e volatile è quindi necessario percorrere nuove strade insieme alle istituzioni per assicurare alle aziende la stabilità indispensabile ad operare, investire e innovare. La crisi determinata dall’incremento delle commodity soffia sul vento della sostenibilità energetica verso la quale siamo chiamati con cambiamenti che nella loro numerosità richiedono di essere governati. I dati del 2021 dimostrano che il nostro settore è vivo e reattivo; la qualità dei nostri prodotti di salumeria è ampiamente riconosciuta in Italia e all’estero: è quindi indispensabile che l’intera filiera lavori insieme per difendere un grande patrimonio del food made in Italy». Anna Mossini

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Incoraggianti i risultati del Programma Sostenibilità Affermare e valorizzare la sensibilità del settore della salumeria nei confronti dello sviluppo sostenibile. È questo l’obiettivo del Programma Sostenibilità di ASS.I.CA. presentato in occasione dell’annuale assemblea di alcune settimane fa. Il Programma Sostenibilità, alla sua prima edizione, è realizzato in collaborazione con IVSI (Istituto Valorizzazione Salumi Italiani) e raccoglie tutte le attività e i progetti realizzati dalle aziende del settore e da ASS.I.CA. orientati verso lo sviluppo sostenibile. Fra i 17 obiettivi previsti dall’Agenda 2030 dell’ONU, 5 sono quelli su cui i produttori di salumi possono offrire un contributo significativo concentrando di fatto su di essi gli sforzi più consistenti. Nell’ordine sono: energia pulita e accessibile; lavoro dignitoso e crescita economica; imprese, innovazione e infrastrutture; consumo e produzione responsabili; lotta contro il cambiamento climatico. L’analisi condotta nel 2021 ha evidenziato che il 34% delle aziende è particolarmente attivo sul concetto e l’attuazione di lavoro dignitoso; segue al 26% il consumo e la produzione responsabile e al 24,2% imprese, innovazione e infrastrutture, mentre sull’energia pulita e accessibile le aziende danno al momento un modesto contributo, sono solamente il 15%, evidenziando che esiste un ampio margine di miglioramento da perseguire. Riguardo la sostenibilità ambientale, le principali best practice rilevate nel Programma riguardano il monitoraggio delle emissioni negli stabilimenti a tutti i livelli: dai generatori a biogas interni con raccolta di scarti e sottoprodotti derivanti dalla macellazione e dall’azienda agricola ai contratti di energia 100% rinnovabile. Mentre riguardo la sostenibilità economica il processo di miglioramento dei valori nutrizionali dei prodotti in commercio ha riguardato tutti i principali salumi italiani, così come è generale l’investimento in ricerca per soluzioni innovative capaci di ridurre l’utilizzo di plastica e contenere l’impatto ambientale del packaging a fine vita, trasformandolo da rifiuto a risorsa utile per la tutela dell’ambiente. La sostenibilità fa anche rima con benessere animale, un tema che investe specificamente le aziende di salumeria, nei cui confronti ASS.I.CA. sta lavorando per favorire una crescita culturale degli operatori finalizzata alla creazione di un sistema di filiera sostenibile, perfettamente in linea con le aspettative del consumatore. «Promuovere il settore, oggi e in futuro, vuol dire anche impegnarsi per incentivare e offrire un valido supporto alle aziende nello sviluppo sostenibile. La mission di ASS.I.CA. e IVSI si allarga e si arricchisce di un nuovo obiettivo — ha dichiarato il presidente di ASS.I.CA., Ruggero Lenti — per innalzare il profilo di sostenibilità ambientale, economica e sociale delle aziende. La trasformazione di questi impegni in risultati tangibili richiede che l’intera filiera si muova verso la medesima direzione. In questo contesto un ruolo decisivo viene svolto anche dalle istituzioni, nazionali e internazionali. Penso che l’obiettivo a cui dobbiamo guardare sia la creazione di un vero e proprio ecosistema di cooperazione. È per questo che la filiera zootecnica va intesa come parte della soluzione e la sostenibilità del settore può essere generata internamente, sfruttando la capacità di rendere economicamente sostenibili le naturali propensioni alla circolarità della produzione che lo caratterizza». Sostenibilità come opportunità e non come obbligo da subire, quindi occasione per rimanere competitivi sul mercato. A. Mo.

* Il volume “Programma Sostenibilità ASSICA”, che racchiude le buone pratiche e gli impegni concreti del settore della salumeria italiana verso il raggiungimento di 5 obiettivi chiave di Sviluppo Sostenibile (denominati Goal) dell’Agenda 2030 dell’ONU (SDGs), può essere richiesta gratuitamente inviando una e-mail a progetto1144@assica.it oppure è scaricabile dal sito www.assica.it

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Mortadella Bologna IGP: nuovo Disciplinare di produzione. Tra le novità, ancora meno sale, più proteine e ricetta più semplice A seguito di un lungo iter burocratico, il 22 giugno scorso è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il nuovo Disciplinare di produzione della Mortadella Bologna IGP che recepisce le modifiche proposte dal Consorzio a febbraio 2021 e l’approvazione dell’Unione Europea dello scorso 9 giugno. «L’esigenza della modifica del Disciplinare di produzione è nata con l’obiettivo di adeguare l’IGP ai nuovi stili alimentari dei consumatori, all’evoluzione tecnologica delle aziende e proseguire così il percorso di valorizzazione dell’immagine, anche percepita, della Mortadella Bologna IGP. Un percorso di miglioramento qualitativo già avviato dal Consorzio a partire dalla precedente modifica del Disciplinare che aveva eliminato il glutammato e introdotto l’utilizzo di soli aromi naturali» dichiara GUIDO VERONI, presidente del Consorzio italiano tutela Mortadella Bologna. «Tra le principali modifiche ci sono infatti l’introduzione del contenuto massimo di sale al 2,8%, l’aumento del contenuto minimo di proteine, che raggiunge il 14,5% e l’esplicitazione del divieto, peraltro già praticato dalle aziende, di utilizzo di polifosfati, coadiuvanti tecnologici e sostanze con effetti coloranti, in modo da avere una ricettazione ancora più semplice e naturale». Una ulteriore modifica introdotta nel nuovo Disciplinare è il limite massimo dello 0,3% di aromi naturali, gli unici consentiti in questa produzione, utilizzabili nella preparazione dell’impasto. Con questo nuovo Disciplinare di produzione si conferma il ruolo del Consorzio di tutela di garante della qualità della Mortadella Bologna IGP, tenendo sempre sotto osservazione i mercati e i nuovi trend che si manifestano, e di interprete dei cambiamenti in atto, con lo studio e l’elaborazione di soluzioni ad hoc condivise e collaudate con le aziende produttrici. >> Link: mortadellabologna.com

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Prosciutto di Modena DOP, aumenta il fatturato: +30% Il Prosciutto di Modena DOP ha chiuso il 2021 con un fatturato alla produzione di 6,5 milioni di euro che, comparato con quello del 2020 di 5 milioni di euro, fa registrare un incremento straordinario del 30% (dato che va però contestualizzato tenendo conto che il 2020 è stato l’anno della pandemia, dove si era avuta una forte contrazione delle vendite con la chiusura, pressoché totale, del canale Ho.Re.Ca). Con 66.674 cosce avviate alla produzione nel 2021, contro le 58.273 del 2020, si registra anche nella produzione un aumento a due cifre pari al +14%. In forte crescita anche il segmento dell’affettato che passa da 630.000 vaschette nel 2020 alle 728.000 nel 2021 registrando un aumento del 15%. L’export rappresenta l’8% del fatturato. Gli Stati Uniti, con una quota del 57%, si confermano come primo mercato di destinazione, seguito dai Paesi UE col restante 43% con ai primi posti in ordine decrescente: Germania, Francia, Belgio e Portogallo. La presidente del Consorzio del Prosciutto di Modena GIORGIA VITALI dichiara «Il forte aumento del fatturato è in gran parte dovuto alla riapertura del canale Ho.Re.Ca. che contribuisce per circa il 30% delle vendite. Positivo l’aumento dell’affettato con la crescita del 15%, a conferma della crescente notorietà e apprezzamento del nostro prodotto da parte del consumatore che trova estremamente comodo, pratico e veloce questo particolare formato. I nostri obiettivi per il futuro sono legati alla possibilità di dare ulteriore impulso alle vendite nel mercato statunitense e canadese». Il Consorzio del Prosciutto di Modena, che raggruppa oggi 10 produttori, ha sempre avuto una costante attenzione al prodotto, tanto da modificare qualche anno fa il Disciplinare di produzione in senso restrittivo per migliorare ancora di più il già alto livello qualitativo. La prima modifica ha riguardato la ricetta, solo cosce di suino e sale; l’aroma è dato dalla prolungata stagionatura. La seconda modifica ha stabilito una stagionatura minima di 14 mesi, la più lunga tra tutti i prosciutti DOP italiani. La materia prima utilizzata per la sua produzione è ottenuta esclusivamente da suini di origine italiana, nati e allevati in 10 regioni d’Italia centrosettentrionale. >> Link: consorzioprosciuttomodena.it

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RASSEGNE

Aria di Friuli 2022 È stata presentata il 12 luglio scorso Aria di Friuli Venezia Giulia, la kermesse enogastronomica programmata dal 26 al 29 agosto nella città di San Daniele del Friuli di Riccardo Lagorio

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ria di Festa, la storica manifestazione che da oltre 35 anni celebra il Prosciutto di San Daniele DOP nel luogo d’origine, ritorna a fine agosto integrandosi con la promozione dei principali prodotti enogastronomici e del territorio regionale, in collaborazione con la Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia. La formula dell’evento non cambia nella sostanza e si arricchisce per promuovere, oltre al Prosciutto di San Daniele, anche gli altri principali prodotti dell’enogastronomia del territorio — tra cui il formaggio Montasio DOP, i vini bianchi e i prodotti a marchio “Io sono Friuli Venezia Giulia” — creando un evento con forte attrazione turistica. Durante la quattro giorni saranno organizzate le molteplici attività che hanno caratterizzato anche le precedenti edizioni: laboratori di degustazione, in cui il Prosciutto di San Daniele sarà abbinato durante delle masterclass guidate ai vini, alle birre e agli altri prodotti DOP del territorio, stand enogastronomici e picnic, per gustare i prodotti locali nell’atmosfera conviviale del paese, e, infine, visite guidate alla scoperta delle bellezze architettoniche di San Daniele del Friuli e del territorio del Friuli collinare. Aria di Friuli Venezia Giulia racconterà l’intero territorio regionale anche attraverso una serie di appuntamenti

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organizzati lungo la Strada del Vino e dei Sapori del Friuli Venezia Giulia. Dal 22 al 25 e il 30 e 31 agosto, i riflettori si accenderanno infatti di volta in volta su un diverso territorio della regione che proporrà un programma con diverse attività. Gli eventi diffusi offriranno ai visitatori l’occasione di vivere un’esperienza autentica tra cultura e tradizioni, di conoscere i prodotti locali, immergersi nella natura incontaminata e scoprire la storia della regione attraverso laboratori per bambini, esperienze outdoor ed enogastronomiche nonché eventi serali, ad animare un palinsesto pensato per ognuno dei 6 itinerari che compongono la Strada del Vino e dei Sapori. La manifestazione, che di solito cadeva nel mese di giugno, trova collocazione temporale, in via del tutto eccezionale ed esclusivamente per l’edizione 2022, a fine agosto così da superare le limitazioni legate alle capienze previste dai provvedimenti adottati per la gestione della situazione pandemica e per evitare sovrapposizioni con altre importanti iniziative promozionali del Consorzio. «Aria di Friuli Venezia Giulia rappresenta un’importante occasione per il Consorzio e più in generale per la cittadina di San Daniele del Friuli di far conoscere e apprezzare la DOP friulana e il profondo legame con il suo territorio di origine e di produzione» ha

affermato Mario Emilio Cichetti, direttore generale del Consorzio. «Per il 2022 la storica manifestazione Aria di Festa viene arricchita dalla presenza della Regione Friuli-Venezia Giulia collocandosi eccezionalmente a fine agosto per promuovere in sinergia il comparto turistico ed enogastronomico regionale. L’evento, congiuntamente alle altre iniziative di comunicazione intraprese dal Consorzio, prosegue nell’obiettivo di rafforzare la consapevolezza del prodotto, avvicinando sempre più il consumatore al mondo del San Daniele, valorizzando tutte le componenti che lo rendono un importante rappresentante dell’agroalimentare italiano». Dal 22 al 31 agosto il Friuli Venezia Giulia aprirà quindi le porte ai numerosi visitatori che vorranno conoscere la gastronomia regionale attraverso numerosi appuntamenti organizzati lungo la Strada del Vino e dei Sapori e il mercato di “Io sono Friuli Venezia Giulia” allestito nella località simbolo, a rimarcare l’importanza che l’enogastronomia riveste per questa terra di confine. PromoTurismoFVG ha messo a punto un palinsesto di eventi dedicati per far scoprire l’autenticità di questa destinazione, tra storia, cultura e tradizioni, prodotti locali, una varietà ricchissima di paesaggi e la sua natura incontaminata. Riccardo Lagorio

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TERRA MADRE e il gusto dei salumi naturali di Federica Cornia

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erra Madre Salone del Gusto 2022, alla sua 14a edizione, torna in presenza a Torino dal 22 al 26 settembre prossimi, con le sue atmosfere, i suoi colori, i suoi profumi e la gioia di potersi incontrare di nuovo. Se il 2020 e il 2021 sono stati gli anni della Resilienza, il nuovo Terra Madre Salone del Gusto sarà l’edizione della Rigenerazione, di un rinnovamento radicale necessario per una reale transizione agroecologica, che — secondo Slow Food — può e deve partire dal cibo migliorando le pratiche agricole, i sistemi di produzione e distribuzione, le diete e le abitudini di consumo, nelle città come nei piccoli borghi. Parola d’ordine: RegenerAction RegenerAction: è questo il claim attorno al quale si riuniranno a Torino oltre 3.000 contadini e allevatori, popoli

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indigeni e cuochi, migranti e giovani attivisti da 150 Paesi. E Parco Dora è il luogo perfetto per affrontare queste tematiche. Parco post-industriale dove fino agli anni ‘90 sorgevano i grandi stabilimenti produttivi della FIAT e della MICHELIN, prende il nome da un fiume, la Dora Riparia, che negli anni ‘50 fu tombato, ovvero coperto con un solettone in calcestruzzo armato per ricavare un piazzale per il deposito dei rottami metallici da destinare alla fusione per la produzione delle acciaierie. Poi, a partire dal Duemila, è iniziata la stombatura del fiume. Un fiume rigenerato che oggi scorre liberamente. È chiaro il valore altamente simbolico di portare in quest’area, dove fino agli anni ‘90 sorgevano fabbriche e impianti produttivi e oggi oggetto di trasformazione e riqualificazione urbana, questo evento internazionale dedicato all’agricoltura, all’allevamento, alla

produzione alimentare e alle politiche ambientali e alimentari. Così come è chiaro il segnale che viene dalla nomina, lo scorso 16 luglio, del nuovo presidente Slow Food EDWARD MUKIIBI, agronomo ed educatore ugandese nato lo stesso anno in cui è stato fondato il movimento Slow Food — era il 1986 —, e vicepresidente dal 2014 fino ad oggi. «Emerge in maniera sempre più forte e chiara il ruolo del cibo come responsabile principale del disastro ambientale. Il nostro movimento, impegnato da trent’anni a garantire l’accesso al cibo buono, pulito e giusto per tutte e tutti, deve avere il coraggio di assumere un ruolo politico di primo piano nel frenare questa deriva dai risvolti catastrofici» dichiara CARLO PETRINI. «Abbiamo bisogno di una governance che lasci spazio alle nuove generazioni, dobbiamo avere la capacità di coniugare il nuovo con la storia, di avere

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coscienza che il percorso fatto fino a oggi ha permesso il conseguimento di obiettivi che sembravano irraggiungibili, permettendoci di essere ciò che siamo. Il mondo di oggi è però profondamente diverso da quello degli inizi del nostro movimento: c’è quindi bisogno di farci affiancare e indirizzare dalla creatività e dall’intuizione di soggetti nuovi capaci di interpretare il presente, per poi delineare la traiettoria che consentirà il raggiungimento di traguardi futuri». Cinque giorni di buone pratiche di rigenerazione Cinque i giorni della manifestazione durante i quali fare esperienza delle buone pratiche di rigenerazione, incontrare le centinaia di espositori italiani ed europei del Mercato, le Regioni con i loro spazi istituzionali e i progetti, i produttori dei presidi Slow Food, partecipare alle attività e ai percorsi interattivi dedicati alla Biodiversità, all’Educazione e all’Advocacy, agli oltre 40 Laboratori del Gusto e agli Appuntamenti a Tavola, alle grandi Conferenze e agli Incontri in Arena con filosofi ed economisti, attivisti, artisti e ricercatori. Cucine di strada, food truck e specialità brassicole dei birrifici italiani offriranno momenti dedicati alla conoscenza dei prodotti e alla degustazione, così come l’Enoteca, lo spazio che riunisce i produttori della Slow Wine Coalition. Previsti approfondimenti e degustazioni non solo di vino ma anche di Vermouth e cocktail. Luogo privilegiato per assaggiare tante preparazioni sarà la Cucina

Capocollo di Martina Franca.

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di Terra Madre, palcoscenico dei cuochi dell’Alleanza Slow Food. A chiudere il cerchio i caffè dei produttori della Slow Food Coffee Coalition. Terra Madre e i salumi? Naturali, naturalmente! I salumi naturali sono un perfetto esempio di rigenerazione perché sono realizzati con carni di razze autoctone, allevate localmente allo stato brado o semibrado, libere di assecondare i propri comportamenti naturali e alimentate bene, integrando quel che gli animali trovano grufolando all’aperto con foraggio verde e granella a base di mais, orzo, frumento, crusca, leguminose proteiche. Solo conservanti naturali: sale, pepe, peperoncino, spezie, fumo. No a nitriti e i nitrati. Fellata, ventricina, salsiccia rossa e capocollo: il Sud naturale I Laboratori del gusto propongono diversi appuntamenti in cui assaggiare diverse specialità regionali. Si inizia il 22 settembre con un viaggio nel Sud tra salumi lavorati a punta di coltello e insaporiti da spezie o polvere di peperoni: la Fellata di suino Nero dei Nebrodi, un salame insaporito con finocchietto selvatico; la Ventricina del Vastese, presidio Slow Food che nell’impasto ne contiene un altro, il peperone dolce di Altino; il salume campano tipica del Beneventano, la Salsiccia rossa di Castelpoto, con i papauli, peperoni dolci o piccanti mescolati all’impasto; il Capocollo di Martina Franca, salume

ricavato dalla coppa, la parte di maiale che si trova tra collo e costata. Pane, prosciutto e Franciacorta Non i prosciutti classici nazionali, ma alcune specialità regionali meno note, saranno protagonisti con il Franciacorta della giornata del 23 settembre. Si parte dal Sud col Crudo di Suino nero dei Nebrodi, presidio Slow Food, per risalire lo Stivale di poco e fermarsi in Calabria in compagnia del Suino nero calabrese. Si fa poi tappa in Toscana ad assaggiare il crudo fatto con la carne di Macchiaiola maremmana, per finire il viaggio col Culatello Oro di Zibello, salume tra i più nobili della norcineria italiana. Gli alternativi Ma i salumi non sono solo fatti con carne suina. A questa tipologia di salumi sarà dedicata la giornata del 25 settembre in cui si degusteranno il salame di cinghiale lucano; dalla Lombardia il salame di vacca della razza VarzeseOttonese-Tortonese, detta anche biunda; la bresaola di capra Garganica dalla Puglia; i salumi di pecora Cornigliese emiliano-romagnola. I salumi della Valle d’Aosta Ultima novità aggiunta al programma delle degustazioni riguarda i salumi della Valle d’Aosta, regione ricca di storia e biodiversità che sempre venerdì 25 porta in assaggio il Jambon de Bosses DOP, prosciutto crudo di coscia suina nazionale, salato con una preparazione a base di sale marino ed erbe locali certificate; il Lard d’Arnad DOP e l’originale Boudeun, salume con lardo, patate, barbabietole, sangue suino o bovino e spezie; il Saouseusse, realizzato con carne bovina e/o suina; il Teteun, prodotto con mammelle bovine salmistrate; infine, il Jambon à la braise Saint-Oyen, un prosciutto cosparso con un battuto di erbe aromatiche e sale, rosolato lentamente allo spiedo su bracieri alimentati da fuoco di legna. Ad accompagnare i salumi i pani realizzati dalla rete Slow Grains, di cui fanno parte produttori e trasformatori che nel mondo recuperano le varietà di grani locali coltivandole. Federica Cornia >> Link: 2022.terramadresalonedelgusto.com

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ANTICHI MESTIERI

LA SFOGLINA SI CANDIDA A PATRIMONIO DELL’UMANITÀ di Nunzia Manicardi

isale al 23 settembre 2009 la presentazione alle Camere della proposta di legge sottoscritta dai consiglieri regionali dell’Emilia-Romagna che riguarda la tutela, la salvaguardia e la valorizzazione della sfoglia e del lavoro della sfoglina. Purtroppo, a distanza di quasi 13 anni, si è ancora in attesa che da proposta diventi legge a tutti gli effetti. Il titolo del progetto è “Disposizioni per la valorizzazione e la promozione della sfoglia emiliano-romagnola e disciplina della relativa professione”. La legge prevede l’istituzione della figura professionale della sfoglina (e dello sfoglino) attraverso un apposito corso di formazione e l’istituzione di un comitato che si occupi di individuare quali sono i ristoranti e le osterie che servono ai clienti pasta fresca fatta a mano e che tuteli questa antichissima tradizione del “tirare la sfoglia” che costituisce uno dei vanti gastronomici dell’Emilia-Romagna. Ma non finisce qui… Le sfogline di Bologna si sono anche candidate per entrare nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO con l’appoggio del Comune, nella persona dell’allora sindaco VIRGINIO MEROLA (in carica fino al 2021) e del presidente della regione Emilia-Romagna, STEFANO BONACCINI. Il compito di seguire il percorso di candidatura è stato affidato a

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FRANCO GRILLINI, già deputato e consigliere regionale, che si batte da tempo affinché a questa professione venga dato un giusto riconoscimento e che sull’argomento è stato promotore del progetto di legge sopracitato. «Bisogna difendere il mestiere nobile della sfoglina: un lavoro tipicamente femminile che, come tutti i “lavori da donna”, è sempre stato dequalificato», ha detto Grillini, che porta avanti questo progetto dal 2004, quando è stato approvato in Commissione Agricoltura durante la XIV legislatura. Poi cadde il Governo e, come spesso succede in Italia, non si è più andati avanti. Sarebbe quindi ora di riprendere là dove ci si era interrotti, per portare a conclusione sia l’iter regionale e nazionale che quello ulteriore del riconoscimento UNESCO. Il progetto di legge a difesa della sfoglina, regina della pasta fresca tirata a mano per cui Bologna e l’Emilia-Romagna sono rinomate in tutto il mondo, si rende necessario a difesa di una figura professionale che ancora oggi non si può iscrivere alla Camera di Commercio con partita IVA come “sfoglina”, ma deve iscriversi come “pasticcere” oppure come “cuoco”. L’adozione della legge tutelerebbe il mestiere incentivando la formazione professionale e l’occupazione a livello nazionale e non solo locale. La pasta

In attesa che arrivi il riconoscimento UNESCO, le sfogline, cui si sono aggiunti nei tempi più recenti anche tanti uomini, continuano a usare mattarello e spianatoia per “tirare la sfoglia” rigorosamente a mano, creando la base per tagliatelle, tortellini e altre paste all’uovo ripiene e non.

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fresca, infatti, è amata in tutta Italia, per cui persone sarebbero invogliate a venire in regione per imparare a tirare la sfoglia, con l’obiettivo, poi, di aprire un negozio di pasta fresca a casa loro. Un lavoro antico da conservare e proteggere La sfoglia è la base della pasta fresca, composta normalmente solo da uova e farina, con la quale si preparano tutte le paste ripiene tipiche dell’Emilia-Romagna (con estensione anche alla cucina mantovana, marchigiana e umbra). Sulla spianatoia si lavora a mano un impasto dalla consistenza giusta, non troppo dura né, troppo morbida, tanto da poter essere tirata con il matterello fino ad ottenere una sfoglia rotonda e sottile (c’è chi riesce a farla quasi

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trasparente!). Questa sfoglia viene tagliata nella forma definitiva del tipo di pasta che si vuole ottenere (tagliatelle o altro) oppure suddivisa in quadri o rombi per i vari tipi di pasta ripiena (principalmente tortellini e cappelletti), sui quali viene poi collocato il “battuto” (impasto di formaggio parmigianoreggiano grattugiato, sale, uova e noce moscata). Preparare la pasta fresca era un rito casalingo eseguito dalla arzdôra (o rezdòura, a seconda delle zone), termine dialettale che deriva dalla parola “reggitrice” a indicare la massaia che presiedeva al governo della casa. Era la padrona della cucina ma anche la colonna portante della famiglia, di solito raffigurata col grembiule, le mani infarinate e il fazzoletto in testa per raccogliere i capelli.

Un antico detto romagnolo ricorda questo ruolo femminile di fondamentale importanza: “Quand che l’arzdôra la va a la campâgna la perd piò che la ’n guadâgna” (“Quando la massaia va a lavorare nei campi perde di più di quello che guadagna”), a significare che la sua presenza in casa era davvero insostituibile e fonte di innumerevoli benefici per tutti i membri. Oggi il ruolo, ovviamente, non è più lo stesso, anzi, il mestiere di tirare la sfoglia viene praticato pure da molti uomini, che imparano sia in casa che frequentando uno dei tanti corsi proposti ultimamente e con grande successo. Speriamo quindi che arrivino presto le tutele richieste, nell’ottica di un doveroso riconoscimento di una tradizione antichissima più che mai viva e attuale. Nunzia Manicardi

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SAPORI MEDITERRANEI

COTTA E “RI-COTTA”: ALLA SCOPERTA DELLE RICOTTE PIÙ AMATE D’ITALIA di Chiara Papotti

uando parliamo di ricotta è bene specificare che non si tratta di un formaggio, ma più genericamente di un latticino. Essendo prodotta dal siero e non dal latte, la ricotta non può formalmente rientrare nella categoria dei formaggi, ottenuti per legge da latte intero, parzialmente scremato o scremato, oppure dalla crema a seguito della coagulazione acida. Il siero si ottiene nelle prime fasi di lavorazione

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dei formaggi, quando, dopo che il latte è coagulato, il casaro frantuma la cagliata e la estrae, lasciando che il liquido (siero) spurghi spontaneamente. Il siero viene, dunque, sottoposto ad un ulteriore riscaldamento per produrre la ricotta. Ecco spiegato il suo nome: dal latino recoctus, ossia cotta due volte. Le differenze tra le varie ricotte in commercio dipendono dalla materia prima, dalla zona d’origine e dalle particolarità tecniche adottate nel ciclo

produttivo. Il siero varia a seconda dell’animale da cui proviene, può essere vaccino, caprino, bufalino, ovino o misto. In genere, le ricotte di bufala sono più grasse rispetto a quelle di capra, mentre quelle di vacca rimangono le più magre tra tutte. Possiamo, inoltre, classificarle per sapidità in dolci e salate, a seconda che la lavorazione preveda o meno l’aggiunta di sale. Oppure distinguerle tra fresche (tipicamente morbide e legge-

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La seirass piemontese In Piemonte e in Valle d’Aosta la ricotta è prodotta con il siero di latte vaccino, di pecora o di capra. Quella di fiscella, freschissima, è estratta dai canestri di vimini (le fiscelle). Ha un gusto molto delicato, la consistenza è morbida e il sapore leggero. In queste zone sono da provare anche le versioni stagionate, conservate col sale e cosparse di peperoncino rosso tritato o paprica.

L’ACETO BALSAMICO è DI MODENA

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re) e stagionate (dove l’aroma si fa più intenso e si accentuano le caratteristiche del siero di partenza). Tante variabili e una molteplicità di sapori, nonostante alcune operazioni fondamentali rimangono comuni alla preparazione di qualsiasi ricotta. Le fasi del ciclo produttivo di una ricotta, infatti, sono poche, ma molto delicate. Una volta raccolto il siero, viene corretto di acidità e riscaldato in recipienti conici fino a raggiungere una temperatura tra i 60 °C e i 70 °C. A questo punto vengono aggiunti altri ingredienti, a seconda delle tipicità (latte, sale, panna…) e si porta il tutto ad una temperatura che raggiunge gli 80 °C. Si procede con l’acidificazione del composto, aggiungendo l’agro, un siero acido, o acido citrico, e si lascia il composto in uno stato di agitazione, fino a quando le proteine si separano spontaneamente dalla parte acquosa. È attraverso la loro coagulazione che si formano i fiocchi, bianchi e soffici, che tendono a raccogliersi in superficie. Infine, si estrae la ricotta con un mestolo forato e la si ripone in appositi contenitori per farla sgocciolare. A questa lavorazione di base possono poi seguire ulteriori fasi: salagione, stagionatura, affumicatura, cottura… a seconda del prodotto finito che si intende ottenere. Per ragioni legate alla freschezza del prodotto e alla conseguente difficoltà di trasporto, la maggior parte delle ricotte, soprattutto quelle fresche, vanta da sempre un legame fortissimo con la zona di produzione. In ogni regione italiana le ricotte si esprimono in modo differente, a seconda delle tradizioni che le vedono protagoniste. Ecco, dunque, alcune delle produzioni più interessanti.

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CONSORZIO TUTELA


Cannoli siciliani, dolce a base di ricotta tra i più noti e amati (photo © Amirali Mirhashemian x unsplash). Friuli Venezia Giulia, la ricotta si trova fresca o affumicata. È soprattutto nelle vallate vicentine che la produzione di ricotte di vacca si è concentrata. Molto particolare è quella ottenuta dal siero del latte della razza Burlina, affumicata con legno di conifere verdi e ginepro. Ricotta abruzzese La ricotta di pecora che si produce sui monti di Anversa degli Abruzzi è davvero un prodotto unico. Di colore avorio, con odori di resina e mandorla che si fondono al fumo di ginepro. Il merito è della lavorazione, che prevede una lunga affumicatura a freddo, e del siero della pecora Sopravissana. Sempre nella zona di Anversa merita di essere citata anche la scorza nera, salata e stagionata per 100 giorni, fino a quando non si produce naturalmente un sottile velo protettivo di colore scuro. Ricotta romana Ottenuta dal siero delle pecore dell’Agro romano, la ricotta in questa zona ha origini antiche e rappresenta una vera e propria tipicità. I pochi pastori rimasti la preparano ancora col metodo del “fuoco e del bastone”, dove il suono del

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bastone battuto sul fondo del recipiente indica il momento esatto in cui si deve estrarre la ricotta. Ricotte di bufale in Campania Nella patria della mozzarella di bufala, si produce la Ricotta di Bufala Campana DOP dal “primo siero” (siero dolce) derivato dalla caseificazione del latte di bufala di razza Mediterranea Italiana. La pasta è di colore bianco porcellana, priva di crosta; la consistenza è granulosa ma non sabbiosa, morbida e cremosa. Il sapore è caratteristico, fresco e delicatamente dolce; l’odore presenta fragranze di latte e crema. Ha origini antiche, risalenti al XIV secolo e oggi è oggetto di rinnovata attenzione e valorizzazione. Marzotica pugliese In Puglia la ricotta trova alcune delle sue espressioni migliori. La Marzotica del Salento, di pecora, è avvolta con foglie di graminacee che ne caratterizzano il gusto. Altra ricotta davvero unica è la forte, dal gusto ricco e intenso, grazie alla lunga lavorazione nei cassoni di legno (martore); lavorata con sale e peperoncino piccante durante la sta-

gionatura, assume un gusto forte, ma molto piacevole al palato. Ricotte calabresi Oltre a quella fresca, cremosa e profumata, è da provare la versione condita con peperoncino ed essiccata in forno. Nella zona di Catanzaro si produce una ricotta di ovino che assume un caratteristico colore rosa ed è avvolta nelle foglie di ginestra. Imperdibili sono, poi, le ricotte affumicate di vacca e di capra, come quella salata di Mammola, con il tipico odore di legno di castagno e rametti d’erica. Le tante forme della ricotta sarda Tipica di tutta la Sardegna, la ricotta salata di pecora si può trovare sia fresca che stagionata. Cambia nome a seconda del territorio e della forma: toscanella, testa di morto, moliterna. Sull’isola i candidi fiocchi di ricotta ottenuti dalla lavorazione dei formaggi rappresentano storicamente il prodotto povero dell’ovile che accompagnava i pastori nelle campagne per la cura dei greggi. Chiara Papotti

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ph: Franceschini Vincenzo

Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.

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PRODOTTI TIPICI

Coccoi Prena: dalla terra dei centenari un altro tesoro da mettere in tavola di Guido Guidi

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e c’è un prodotto che vanta una lunga tradizione, ma guarda sfacciatamente al futuro, questo è la Coccoi Prena. Ed è sufficiente osservarla per comprenderne i motivi: un tortino di pasta cotto al forno con un invitante ripieno dorato di patate, formaggio e menta che emerge e straborda nella parte superiore. Una specialità ogliastrina tanto invitante quanto gradevole al palato. Un tempo sostituto del pasto principale, oggi ottimo come antipasto o piatto unico, anche considerate le dimensioni che possono essere molto diverse, a seconda dell’uso che se ne intende fare. Le Coccoi Prena sono universalmente apprezzate: dai bambini che possono consumarle come merenda, agli adulti, che le hanno scoperte per la loro versatilità, come finger food e

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street food. Si consumano con gran facilità, a tavola, ma anche in piedi e in assenza di stoviglie e utensili: non ungono, non sporcano, non richiedono particolari accorgimenti per essere servite e possono essere consumate anche a temperatura ambiente, a distanza di ore o giorni dalla cottura.

Prepararle è facile, trovare le occasioni di consumo anche di più. Ma chi non volesse rinunciare alla tradizione, e allo stesso tempo non fosse particolarmente avvezzo ai fornelli, può acquistare queste specialità tipiche dell’Ogliastra — la zona della costa centro-orientale della Sardegna — già

Il legame col territorio d’Ogliastra delle Coccoi Prena è evidente dal ripieno che condividono identico con i Culurgionis, fatto da patate bollite schiacciate, olio evo, formaggio pecorino e caprino, il Casu axedu, o vaccino, e menta. A seconda delle consuetudini locali, si aggiunge anche un po’ di cipolla o di aglio. Molto versatili, si consumano dalla merenda alla cena

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Le Coccoi Prena sono originarie dei comuni sardi detti “dei Tacchi”. Un’area popolata da moltissimi ultracentenari, particolare che ha fatto guadagnare al territorio la qualifica di Blue Zone (photo © Dolce e Salato di Miky). cotte oppure fresche o surgelate, pronte ad essere infornate e servite. Con un risultato davvero sorprendente e degno dei palati più esigenti. La loro origine si perde nella storia dei cosiddetti Comuni dei Tacchi (Ulassai, Jerzu, Tertenia, Osini, Ussassai), tra quelle popolazioni di ultracentenari che hanno contribuito a far guadagnare al territorio il titolo di una delle poche Blue Zone al mondo. Sorprende l’aspetto innovativo di un prodotto tipico che risponde perfettamente, per versatilità e completezza, ai tempi e alle esigenze della vita moderna che non lascia spazio alla cucina. Anche dal punto di vista energetico le Coccoi Prena garantiscono un certo apporto calorico e i valori nutritivi richiesti da una dieta completa: una quantità importante di carboidrati, ma anche proteine e grassi.

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Come tutti i prodotti tradizionali, venivano preparate in ambiente domestico ma oggi, complice anche una certa notorietà, si possono acquistare sfuse nei pastifici e nei panifici. «Al contrario di quanto accadeva per alcuni prodotti tradizionali pregiati che sono giunti sino ai giorni nostri, le Coccoi Prena non erano piatto tipico delle feste, ma dei giorni feriali» dichiara SALVATORE MARCI, che dal 1986 produce pasta fresca e dolci tipici, un tempo a Lanusei e ora a Cardedu. Marci, un passato da pastore, poi da emigrato in Svizzera e ora tra i pochi artigiani a proporre la referenza a catalogo aziendale sia cotta che fresca, chiusa in Atmosfera Protettiva e anche surgelata, è un profondo conoscitore del patrimonio enogastronomico locale. Aggiunge: «si realizzavano, in particolare, quando le massaie preparavano

il pane fresco o il pane Pistoccu, una volta al mese circa. Quel giorno potevano infatti sfruttare il fatto che il forno — che in molte comunità era rionale e quindi ad uso di numerose famiglie — fosse già acceso e già caldo. Inoltre, le padrone di casa, non avendo avuto tempo per cucinare, perché da molto prima dell’alba erano in piedi per fare l’impasto e seguire la lievitazione, preparando anche le Coccoi, risolvevano facilmente il problema del pranzo e dei pasti nei giorni a seguire, perché si tratta di una specialità che si conserva anche senza accorgimenti particolari». All’epoca dei forni rionali non si preparavano monodosi, che invece sono particolarmente diffuse adesso. Il prodotto veniva realizzato da una pallina di pasta per il pane, in cui veniva ricavato un incavo a contenere il ripieno. La chiusura avveniva con due mani e lasciando scoperta la parte alta. Il risultato era una pagnotta farcita e grassa — prena, appunto, che in sardo significa piena — di una quindicina di centimetri di diametro circa, che veniva tagliata a pezzi per essere poi servita a tavola. Più avanti le dimensioni medie si sono sensibilmente ridotte o oggi la forma più diffusa è quella simile ad una stella, con un perimetro tondeggiante e alcuni spigoli sui bordi. Piccole e buone, che si consumano in pochissimi morsi. Il legame con il territorio è evidente anche dalla somiglianza con i Culurgionis d’Ogliastra IGP, di cui non conservano la forma, ma un identico ripieno fatto da patate bollite e schiacciate, olio extra vergine d’oliva, formaggio pecorino, caprino o vaccino e menta. A seconda delle consuetudini locali, si aggiunge anche un po’ di cipolla o di aglio. La sfoglia è realizzata con farina e/o semola, acqua, olio, lievito e sale. Due elementi in particolare, riportano alla mente il legame tra l’Ogliastra e le Coccoi Prena. La menta, da una parte e il Casu axedu — un formaggio tipico locale — dall’altra. Quella specialità, che sino a qualche anno fa veniva realizzata unicamente in ambito domestico e per autoconsumo, è oggi divenuta regina negli aperitivi e nei buffet. E c’è da scommettere che abbia grandi prospettive dal punto di vista commerciale, in Ogliastra e non solo. Guido Guidi

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


Sitzigorrus con fregula (photo © Dolce e Salato di Miky)

SITZIGORRU, la lumaca brada del Campidano di Roberto Villa

hi no tenit agu no papat sitzigorru, chi non ha l’ago non può mangiare lumache, così recita un proverbio locale. I sardi, ad eccezione delle isole di antica colonizzazione genovese come San Pietro, non hanno una lunga tradizione di pesca, quindi hanno da sempre sviluppato di più i cibi di terra, la lumaca non fa eccezione a questa regola millenaria. L’allevamento delle lumache è praticato in Sardegna fin dall’epoca romana, tipicamente era condotto in recinti ubicati presso le ville rustiche, detti cocleari: infatti coclea era il nome della chiocciola in latino, tanto che in sardo logudorese essa è detta yoga, direttamente derivato dal suddetto termine latino. Nel paese quasi ogni podere aveva un muretto a secco, detto capizabi, dove venivano

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Allevata dai tempi dei Romani, dal 2018 è riconosciuta come Prodotto Agroalimentare Tradizionale della Sardegna. La ricetta più tipica locale è quella delle Sitzigorrus con bagna, che invita alla scarpetta, o in verde, con prezzemolo fresco, oppure con la fregula, la pasta di semola tipica sarda concentrate parte delle chiocciole che si raccoglievano nei terreni circostanti. Queste chiocciole novelle, ancora con la conchiglia da calcificare, trovavano nel muretto a secco il loro habitat, coadiuvato dalla collocazione di tegole sarde tebuasa, utilizzate dalle chiocciole come ricovero e riparo che garantiva poi più agevole l’introduzione delle

mani per la raccolta. Ancora oggi le persone più anziane utilizzano questa pratica manuale che non richiede grosse risorse ed energie. La Sardegna non può essere certo paragonata alla Francia, dove le lumache (in francese escargot) sono un piatto particolarmente pregiato, piatto forte pure nei ristoranti stellati,

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ma nell’isola le lumache sono la base per piatti eccellenti, apprezzate e ricercate un po’ dappertutto; in Marmilla addirittura la “cultura della lumaca” ha raggiunto livelli di apprezzamento di alto livello, nettamente superiori a quelli delle altre zone, con Gesico considerata la grande capitale culinaria di questo mollusco. A Gesico, un centro che conta meno di 1.000 abitanti, il terzo sabato di ottobre sin dal 1993 si tiene la Sagra della Lumaca, diventata successivamente di grande fama. Dal 1997, infatti, il paese fa parte del club delle “Dodici città italiane delle lumache”. Ora è una magnifica sagra, annoverata fra le più importanti non solo in Italia ma in tutta Europa, fra quelle dedicate alla lumaca. Promossa dall’amministrazione comunale e realizzata con Pro Loco, Circolo ACLI, Parrocchia di S. Giusta (in concomitanza con l’antica, secolare Festa di S. Amatore) e il contributo della Regione Sardegna, questa rassegna gastronomica dura diversi giorni, nel corso dei quali i numerosi visitatori possono degustare dei prelibati ed eccellenti piatti a base di lumaca. Anche in altri paesi dell’Iglesiente più recentemente si sono sviluppate sagre dedicate a questo saporito gastropode, come a Serbariu, frazione di Carbonia, che un secolo fa ospitava una delle più grandi miniere di carbone d’Europa. Nel 2018, grazie al lavoro dell’Istituto Zooprofilattico della Sardegna, dell’Agenzia Laore e dell’Assessorato regionale all’Agricoltura, che hanno predisposto la documentazione tecnica e storica, la chiocciola selvatica della Trexenta o Sitzigorru sardu1 è stata riconosciuta ufficialmente prodotto agroalimentare tradizionale. Questo prestigioso riconoscimento è assegnato esclusivamente a quei prodotti le cui pratiche di lavorazione risultano consolidate nel tempo e che vantano una storia non inferiore ai 25 anni. Descrizione della specie Il suo nome scientifico è Eobania vermiculata (Müller), ma è nota soprattutto come rigatella o, appunto, sitzigorru (in sardo-campidanese), ed è la specie più conosciuta e ricercata fra le chiocciole in Sardegna. Vive in un ambiente cespuglioso ed erboso ed è caratterizzata da una conchiglia a bande marroni più o

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Eobania vermiculata (photo © stock.adobe.com). meno scure, alternate ad altre chiare e la sua carne è molto apprezzata. Dopo le piogge autunnali la femmina depone circa 70 uova, dopo la schiusa le forme giovanili crescono di 12-13 millimetri di diametro ogni anno e raggiungono la maturità sessuale dopo due anni con una taglia di 25 mm. Tipicamente solo il 20% sopravvive ed è in grado di deporre le uova anche nel terzo anno, pochissime (meno del 10%) giungono fino al quarto anno. Il peso di ogni lumaca adulta è in media da 4 a 6 grammi, diverse aziende le vendono già spurgate (Sitzigorru matiu) e pronte per essere cucinate. Abbinamenti gastronomici ed enologici La ricetta più tipica è quella delle Sitzigorrus con bagna, ovvero le lumache al sugo: fatte con pochi e semplici ingredienti, sono un piatto irresistibile che invita a fare la scarpetta col sugo saporito che rimane nel piatto. A Gesico nell’annuale sagra, si gustano anche i Sitzigorrus con fregula: le lumache spurgate si mettono in una pentola con acqua fredda e uno spicchio d’aglio, si fanno bollire per 5-6 minuti e si scolano; una volta fredde vengono pazientemente “sculacciate”, cioè private della parte superiore del guscio, in modo che assorbano meglio il sugo fatto da un soffritto di olio di oliva, cipolla, aglio e passata di pomodoro. Durante la cottura nel sugo, che dura circa 10 minuti, si aggiunge

del brodo vegetale per evitare che si rapprenda troppo ed eventualmente del peperoncino; infine, si aggiunge la fregula, pasta tipica sarda simile al cous cous, e si completa la cottura a fiamma bassa rimescolando di tanto in tanto. Si serve la minestra calda accompagnata con fette di pane abbrustolito condito con olio e sale. Altra ricetta comune è quella in verde, con prezzemolo fresco: le lumache bollite vengono passate in padella dove è stato fatto soffriggere dell’aglio tritato fine nell’olio di oliva, si aggiunge poi del succo di limone e del sale, da ultimo si cosparge di pan grattato e prezzemolo fresco e si amalgama il tutto velocemente. L’abbinamento con il vino predilige i rossi locali come il Cannonau DOC o la Monica di Sardegna DOC, particolarmente nelle ricette più sapide e speziate, mentre le versioni più delicate come quella in verde possono trovare un felice accostamento con bianchi di media struttura come il Vermentino di Gallura DOCG, l’Orvieto DOC o la Falanghina del Sannio DOC. Roberto Villa Note 1. Sul Ditzionàriu in línia de sa limba e de sa cultura sarda compaiono altre varianti locali (sicigorru,cicigorru, sinsigorru, sintzigorru, sissigorru, tzintzigorra), ditzionariu.nor-web.eu/ it/faeddu/sicigorru

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IL GUSTO DI CAMMINARE

SUL CAMMINO DEL PO ATTRAVERSO LA PIANURA PADANA, AL COSPETTO DEL GRANDE FIUME di Elena Simonini

n estate fa caldo, va bene, ma non così caldo! Scrivo queste righe mentre qui si sta scatenando l’ennesima bolla di calore di una stagione che gli esperti descrivono tra le più aride e siccitose di sempre. Siamo dunque inequivocabilmente giunti dentro un lungo periodo paurosamente torrido, le cui foto più emblematiche e terribili rappresentano, per esempio, molti dei nostri fiumi ormai letteralmente vuoti, con i loro letti irrimediabilmente arsi e asciutti.

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La situazione preoccupa tutti, e preoccupa anche me che, come sempre, non trovo pace se non infilando le mie solite scarpette da trekking e mettendomi in cammino da qualche parte. Questa volta quindi, nonostante la calura, e nonostante tutto, ho pensato che la mia meta possano e, anzi, debbano essere proprio quei corsi d’acqua, linfa vitale del nostro paese, ormai secchi e scavati, per camminarvi affianco, rivolgendo loro un affettuoso sguardo, come di incoraggiamento a resistere,

a non scomparire, e a continuare in qualche modo a scorrere. E tra tutti i fiumi, il più grande e il più importante (e anche forse il più ferito da questa siccità) è il nostro Po, lungo il quale peraltro si sviluppa un meraviglioso nuovo percorso di circa 600 km (www.camminodelpo.it), recentemente istituito, che, partendo dal cuore del Parco del Monviso sulle Alpi Cozie piemontesi, sfocia nel mare Adriatico, a Porto Tolle, in provincia di Rovigo. Partiamo allora!

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In alto: i laghi di Mantova sono dei bacini fluviali situati lungo il corso del fiume Mincio. Il lago Inferiore è il meno profondo tra i tre laghi avendo una profondità massima di solo 9 m e una media di 3 m (photo © stock.adobe.com). A sinistra: la drammatica situazione del Po ben visibile al Ponte della Becca, Pavia, alla confluenza con il Ticino (photo © stock.adobe.com).

Il tragitto non è ancora del tutto correttamente segnalato, ma è tuttavia molto facilmente riconoscibile ed è stato realizzato con il fine di essere agevolmente percorribile veramente da tutti, a piedi, in bicicletta o con qualsiasi altro mezzo sostenibile, senza alcun vincolo di accessibilità, e questo proprio perché di tutti è il nostro Grande Fiume, e da tutti deve poter essere vissuto. Il Cammino del Po, pur essendo di notevole e impegnativa lunghezza,

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può chiaramente essere frazionato in diverse tappe, prevalentemente tutte pianeggianti, da percorrere secondo i propri tempi e modi. Questo percorso ha la stupefacente e unica caratteristica di riuscire a riassumere una grandissima varietà naturalistica, di paesaggi, di culture e di tradizioni, ognuna comunque intrinsecamente e indissolubilmente legata a questo imponente fiume, il quale da sempre segna queste terre e le plasma con le proprie acque. È possibile

intraprendere il viaggio che costeggia il Po in qualsiasi stagione, non vi sono impedimenti (tranne i momenti di piena, ovviamente, durante i quali è pericolosissimo nonché vietato avvicinarvisi), e l’unico suggerimento che mi sento di rivolgervi è di incamminarvi su questo itinerario senza fretta, con i vostri ritmi, rispettando l’incedere del vostro passo, come a riprodurre il lento ritmo delle acque le quali, potenti e inesorabili, scorrono verso il mare che le attrae a sé.

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La merenda del viaggiatore sa di pane e Salame Cremona IGP Lungo il Cammino del Po il Grande Fiume ci offre arte, storia, cultura. Città grandi e piccole, piene di fascino e di tesori da scoprire. Cremona è la piccola capitale della musica, con il Museo del Violino, l’Auditorium Arvedi, il Teatro Ponchielli, le botteghe di maestri liutai e il Saper fare liutario Patrimonio UNESCO. Di grande fascino sono le architetture medievali della piazza del Comune con il Torrazzo, la torre campanaria in mattoni più alta d’Europa. La Cattedrale di Santa Maria Assunta, che il critico Longhi definì la Cappella Sistina della Pianura Padana, incanta per i suoi affreschi. Ma Cremona è anche l’unica città dove si celebrano quattro feste dedicate ad altrettanti prodotti tipici di rilevanza nazionale: al torrone, alla mostarda, al formaggio e — come tutte le città padane inevitabilmente e indissolubilmente legate a Sua maestà il Maiale —, al salame. “Il Salame Cremona IGP è frutto della lavorazione di carne suina selezionata, ottenuta da suini pesanti, aromatizzata con sale, aglio pestato e insaccata in budello naturale» scrive Riccardo Lagorio nell’articolo “Salame Cremona IGP, così buono da fargli la festa” (in Premiata Salumeria Italiana n. 5/2019, pag. 98). «Il salame risulta così aromatizzato, speziato e profumato al palato e di un colore rosso intenso che sfuma gradatamente nel bianco delle parti adipose. Il prodotto si presenta in forma cilindrica con leggeri tratti irregolari. Le fette risultano compatte ed omogenee. Il salame è stagionato in base alla pezzatura da un minimo di 5 settimane per la pezzatura più piccola ad oltre 4 mesi per le pezzature grandi, conservando sempre morbidezza e pastosità. Il risultato finale è un prodotto eccellente in linea con la tradizione, ma in grado di soddisfare anche le esigenze della Grande Distribuzione moderna, grazie alla possibilità offerta dal preaffettato, confezionato in vaschette». La materia prima proviene da suini relativi al circuito del Gran Suino Padano DOP con caratteristiche ben definite (peso, età, alimentazione, tecniche di allevamento). «La carne suina da destinare all’impasto è quella ottenuta dalla muscolatura appartenente alla carcassa e dalle frazioni muscolari striate e adipose. A tale impasto verranno aggiunti: sale, spezie, pepe in grani o pezzi grossolani, aglio pestato e spalmato nell’impasto. Possono essere impiegati anche vino bianco o rosso fermo, zucchero e/o destrosio e/o fruttosio e/o lattosio, colture di avviamento alla fermentazione, nitrato di sodio e/o potassio, nitrito di sodio e/o potassio, acido ascorbico e suo sale sodico. Non possono essere impiegate carni separate meccanicamente. L’insacco, che avviene in budello naturale di suino, bovino, equino o di ovino, conclude la preparazione». La Festa del salame, Organizzata da SGP Grandi Eventi e promossa dal Consorzio di tutela, si terrà dal 7 al 9 ottobre prossimi. Il festival gastronomico si articolerà nel centro storico cremonese, con un ricco calendario di appuntamenti, showcooking, degustazioni e incontri culturali (photo e info: www.festadelsalamecremona.it). Per finire, secondo la tradizione, questo salume deve essere tagliato a mano e non in fette troppo sottili, magari passando prima una buccia di aglio sulla lama del coltello. La ricetta perfetta lo vede in abbinamento ad una buona fetta di pane fresco; se ne tagliate due di fette e ci fate un panino (o due o tre) sarà il sostegno ideale del vostro camminare.

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Questo lungo tragitto si identifica in quattro macro aree, dalle quali si possono riconoscere le differenti fasi evolutive del fiume: la nascita (da Pian del Re, in provincia di Cuneo, fino a Torino), lo sviluppo (da Torino a Cremona), la maturità (da Cremona a Ferrara), e infine la trasformazione (da Ferrara fino a Pila di Porto Tolle). La tappa iniziale prende le mosse da Pian del Re, località caratterizzata per la propria immensa biodiversità floristica e faunistica, e si snoda in direzione della città di Torino e poi procede, attraversando quattro regioni, in un tripudio di suggestivi paesaggi analoghi ma anche sempre diversi, alle volte delle province di Pavia, Mantova, Reggio Emilia, Ferrara e infine Rovigo. Su questo davvero stupendo itinerario affianco al Grande Fiume avrete la opportunità di passeggiare attraverso luoghi sconfinati che sembrano fissi nel tempo e nello spazio, con silenzi immensi e indimenticabili panorami che si stagliano per il lungo e per il largo, fino a perdita d’occhio. Se poi vi metterete in cammino in una stagione torrida come questa, avrete modo di constatare come tutto appaia letteralmente immobile, e di come persino le foglie delle infinite file di pioppi, i quali incorniciano di un inconfondibile verde argentato l’azzurro del cielo, riescano a restare sempre ferme. Purtroppo però, come abbiamo visto, da qualche mese a questa parte anche l’acqua nel letto del fiume, che da sempre si muove e scorre inesorabile verso il mare, appare immobile, quasi come se si fosse arrestata, o arresa. E il Po si presenta oggi ai nostri occhi così imprevedibilmente e pericolosamente nudo, restituendoci uno spettacolo davvero tetro e surreale. Allora, per questo, anche come azione simbolica e di buon auspicio, suggerisco di andare a camminargli vicino al Grande Fiume, lentamente ma inesorabilmente, sempre al suo cospetto lungo tutto il percorso. Onoriamo attraverso il cammino le acque e le terre che il Po rende vive e fertili, affinché non ci dimentichiamo di trovare nel nostro vivere quotidiano, proprio passo dopo passo, tutti assieme, il modo di preservare la semplice ricchezza di tutti i fiumi, verso il nostro futuro, e quello di tutti. Elena Simonini

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LOCALI DI GUSTO

ALLA VECCHIA STAZIONE, SI GUARDA AL PRESENTE E AL FUTURO GASTRONOMICO DELL’ALTOPIANO DI ASIAGO di Gian Omar Bison 70

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uardare al presente e al futuro gastronomico dell’altopiano di Asiago (VI) significa guardare, tra gli altri, alla cucina di MASSIMO SPALLINO, da anni chef del ristorante Alla Vecchia Stazione a Roana. Formatosi alla scuola alberghiera di Recoaro, Massimo ha iniziato a praticare i fornelli sotto la guida dello chef MARIO BARATTO del ristorante Remo di Vicenza. Da lì un continuo peregrinare su e giù per l’Italia per lavorare in cucine prestigiose oltre che nel banqueting e nel catering. Da molti anni Spallino è membro della Compagnia degli chef, team di professionisti che promuove le eccellenze italiane della cucina ed è rappresentante di categoria per la CONFCOMMERCIO MANDAMENTO di Asiago. Alla Vecchia Stazione è un locale storico dell’Altopiano, plurisecolare. Nasce nel 1910 col nonno di AMANZIO MOSELE, suocero di MASSIMO, quando iniziarono i lavori di costruzione della ferrovia. Emigrato per lavoro in Canada venne avvisato dei lavori dalle sorelle e prese la prima nave per rientrare in quel di Asiago, dove aprì un’osteria di fronte alla stazione. È iniziato tutto con un caffè e un bicchiere di vino, è proseguito con qualche minestra e qualche piatto di pasta. Da lì si è passati ai rinfreschi per gli sposi che attendevano il treno per il viaggio di nozze in pianura e alle camere che servivano per ospitare chi, trasferito altrove, aveva l’esigenza di tornare in altopiano. Dopo anni di pausa a cavallo della prima guerra mondiale hanno ripreso l’attività e non si sono più fermati. Negli anni, aumentando la richiesta, sono stati aggiunti piani, metri e stanze. Da due camere a trentasette, cento posti letto, piscina, centro benessere. «La vera svolta per quanto riguarda la ristorazione — ricorda AMANZIO MOSELE — è stata fatta nel 1993. È stato investito molto, rifatta una sala, c’era voglia di cambiare marcia». Attualmente a gestire il tutto, oltre ai coniugi Mosele, ci sono i figli Michele ed Elisa, moglie di Massimo, che guida la cucina da 10 anni. «Cerchiamo di essere sempre più aggiornati — sottolinea Massimo Spallino — e al passo con i tempi e le richieste di una clientela sempre più esigente. Siamo particolarmente interessati al mondo della produzione

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La pasta “formajo e pevare”, una sorta di cacio e pepe fatta con i formaggi dell’Altopiano. A pagina 70: lo chef Massimo Spallino e Gian Omar Bison. biologica dell’altopiano e alla grande e variegata realtà dei formaggi dove spaziamo dalla classica tosela fusa cotta sul burro come da tradizione, agli erborinati e stagionati dai mille profumi e sapori. L’importante è evitare la fuffa nel piatto, che per me sono tutte quelle spume, schiume e schiumette che finiscono per coprire e svilire i sapori che invece dobbiamo esaltare nelle loro caratteristiche organolettiche. La mia è una cucina connessa con l’ambiente straordinario in cui vivo. Abbiamo materie prime di estrema qualità come le erbe che devono essere raccolte ed usate nel momento giusto dell’anno. Raccolgo molto nei boschi e nei prati: asparagi selvatici, farinelle (buon enrico o spinacio di montagna), rosole e fiordalisi. E poi i funghi, che conosco e adoro: dai porcini ai cantarelli, spugnole e trombette». La storia di Massimo in cucina nasce nel 1993 a Vicenza e il suo grande maestro e mentore, come detto, è stato

MARIO BARATTO, uno degli alfieri della cucina tradizionale vicentina e veneta. «Uno chef riconosciuto — ricorda Massimo —, il primo a dirmi: “voi cuochi moderni non capite un c…! Ricordati giovane che la parola croccante ‘vol dir cruo’, crudo, e la parola delicato ‘vol dir desavio’, insipido, insapore». Dopo Baratto, Spallino ha lavorato in Sardegna, in Emilia-Romagna, in Sicilia e su e giù per la provincia di Vicenza tra catering, feste in villa e cerimonie. Da 12 anni è membro della Compagnia degli Chef e, oltre ai fornelli della Vecchia Stazione, si cimenta nel raccontare le sue peripezie culinarie in alcuni blog tra i quali saporie.com che è il blog di CONAD. E poi ci sono impegni come la banchettistica di CONAD ITALIA e la partecipazione sistematica ad eventi come il Cous Cous Festival e l’Umbria Jazz. «Mi sono trasferito in altopiano nel 2006 ed ho scoperto una grande tradizione gastronomica, con piatti che continuavano ad

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dell’altopiano e delle sue prelibatezze, formaggio Asiago in primis che auspico continui a lavorare col livello di qualità raggiunto e riconosciuto da anni. Proprio per promuovere le prelibatezze dell’Altopiano stiamo pensando ad un finger che si chiamerà Reggenza e avrà un ingrediente per comune. Registreremo la ricetta e la collocheremo presso tutte le aziende di distribuzione di tutti e sette i comuni. Nell’Altopiano ci sono aziende importanti in grado di fornire materie prime di qualità agli esercenti locali e a tutta la pedemontana. Mi viene in mente un allevatore di bovini di Lusiana che ingrassa il Black Angus con la linea vacca-vitello a monta naturale».

Insalata disidatrata con Piave DOP. essere fatti come li preparava la nonna di mia moglie. Penso al coniglio e alle lunghe cotture in genere. Sono piatti che devono essere fatti come sempre punto. Le basi e le preparazioni devono essere quelle, poi magari la presentazione e l’impiattamento può risultare un po’ più moderno. E poi qualche novità che ho seguito e introdotto personalmente: la Pasta formajo e pevare, una sorta di cacio e pepe fatta con i formaggi dell’Altopiano; la Sfogliatina con le mele, lo speck e l’Asiago che è di una banalità mostruosa ma straordinaria per croccantezza, intensità ed equilibrio dei sapori tra il dolce, il salato e l’affumicato. In listino abbiamo anche le foglie di cappero per le tartare, la battuta di gamberi di Mazara del Vallo, ecc… ma i cavalli di battaglia espressione del territorio e della sua storia e cultura culinaria sono così da sempre e tali devono rimanere. D’altronde la mia offerta deve essere completa e contemplare i piatti della tradizione graditi al turista ma anche pensare ad una proposta che accontenti gli indigeni che non vengono da me a mangiare la tosela o l’asiago cotto. Ciò detto, io mi considero un sostenitore del km buono non del km 0, concetto che mi fa un po’ sorridere e

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che fatico a comprendere. E il km buono è la stagionalità a qualsiasi latitudine. Capisco possano esserci valutazioni sulla sostenibilità, sull’impatto ambientale eccessivo che si verifica con l’acquistare, trasformare e proporre materie prime che hanno fatto il giro del pianeta. Ed è giusto possa diventare un parametro di valutazione. Pensare però che il km 0 possa essere il presente e il futuro della ristorazione a prescindere dalla stagionalità, dalle caratteristiche e dalla vera qualità della materia prima, anche no. Conta trasmettere al meglio la qualità intrinseca di quanto proponi. Ad esempio, il Caseificio Pennar produce un formaggio particolare che si chiama Grunalpe che viene fatto col latte estivo proveniente dalla parte bassa dell’Altopiano di Asiago. Il fresco dura 90 giorni poi non se ne parla più per nove mesi ed è un peccato. Ma è un prodotto straordinario: erbaceo, amarognolo, lungo in bocca. È un esempio di km buono per come lo intendo io». Dove ti vedi tra 5 o 10 anni in rapporto al ristorante e in rapporto alla tua cucina? «Mi vedo dove sono e a formare i giovani che vogliono fare questo lavoro. E dopo spero continuino queste soddisfazioni tra ristorante, eventi di promozione

Quante le difficoltà con la pandemia? Come sono stati gli ultimi due anni? «Straordinari, perché dopo 28 anni che faccio questo lavoro sono riuscito ad avere tempo per pensare e progettare. Il Covid ha fatto male, in tutti i sensi, ma se devo trovare anche qualcosa di buono lo vedo nella costrizione a trovare del tempo per fermarmi a riflettere e pianificare il futuro prossimo. Grazie a questo tempo di chiusure e restrizioni è nato “Altopiano in punta di dita”, festival locale del finger food, e sono nati piatti nuovi che ho messo in listino. Se penso a mio suocero che di fatto è nato e sempre vissuto in albergo, la prima Pasqua e il primo Natale della sua vita seduto a tavola in famiglia li ha fatti nel 2020». Vini, birre, bevande? «È un mondo che mi piace. Mi piace il mondo delle cose fatte bene che siano venete, italiane, francesi o altro. Io mi servo da chi ha qualità da comunicare e per questo il nostro vino spazia tra le eccellenze del mondo. Per restare all’Altopiano mi piace il progetto della birra cimbra prodotta dall’azienda agricola Bisele e fatta con l’orzo e il luppolo coltivati in Altopiano tra Canova e Gallio e con l’acqua della Val Renzola». Gian Omar Bison Albergo Ristorante Wellness Alla Vecchia Stazione Via Roma 147 36010 Canove di Roana (VI) Telefono: 0424 692009 Web: www.allavecchiastazione.it

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Salame Milano con piovra e triglie marinate, abbinamento dell’estate La combinazione salumi-pesce non è certo una novità in cucina. Si tratta però di un abbinamento che oggi non viene così spesso proposto. Citterio ha quindi chiesto allo chef Federico Quaglia di ricreare in chiave moderna questa combo di sapori attraverso due semplici ricette, mettendo in primo piano sia la delicatezza del pesce, sia la dolcezza aromatica del salame Milano. «Nella storia della cucina italiana recente, dagli anni ‘80 in poi, molti maestri della cucina hanno sperimentato l’abbinamento carne e pesce codificando anche piatti firma» afferma lo chef Quaglia. «Ultimamente però questa combinazione è stata ritenuta come qualcosa di antiquato e superato: nulla di sbagliato! Pensiamo infatti solo al classico gambero rosolato nella pancetta, il rieditato magatello di vitello con la salsa tonnata o ricette internazionali come la paella spagnola». Da questa constatazione nascono le due ricette che affiancano triglie marinate e piovra alla griglia al salame di Milano Citterio. «Ho voluto attingere anche dai gusti orientali per creare uno di questi piatti, con verdure saltate con olio di sesamo tostato, zenzero e aglio e qualche goccia di salsa di soia, e le triglie marinate a caldo con una bagna acidula e speziata di wasabi. Ho scelto il Salame Milano perché, col suo equilibrio tra la spiccata sapidità tipica degli insaccati e la dolcezza del grasso finemente battuto, invita a un viaggio sensoriale fatto di gioco di contrasti». Le due preparazioni, Triglie marinate con salame Milano Citterio e Piovra alla griglia, patate schiacciate all’aneto e chips di Salame Milano Citterio alla paprika, insieme a tante altre, le trovate sul sito aziendale, sezione Ricette. >> Link: citterio.com


LA QUALITÀ

Il Violetto di San Luca

a Basilica di San Luca è un punto di riferimento a Bologna, simbolo della città, che domina dal boscoso Colle della Guardia, e visibile da ogni sua zona. Il neonato presidio Slow Food del Carciofo violetto di San Luca vuole restituire attenzione a una varietà autoctona, un tempo apprezzata in tutta la regione, che trovava terreno fertile proprio nelle colline a sud di Bologna. «Fino a non molti anni fa — racconta RAFFAELA DONATI, responsabile del presidio — le colline della zona di San Luca erano piene di carciofaie. La natura ar-

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gillosa del terreno conferiva alla varietà violetto caratteristiche particolari, che la rendevano ricercata e conosciuta anche fuori dai confini cittadini. La sua coltivazione costituiva un’importante fonte di reddito per gli agricoltori locali; tuttavia, a partire dalla metà degli anni ‘70, è iniziata a diminuire drasticamente, causa anche lo spopolamento delle campagne. A differenza di altre varietà, inoltre, il violetto presenta dimensioni ridotte e produttività inferiore. «È tra gli ultimi a maturare, intorno alla metà di maggio — spiega ancora Donati — e quindi si colloca sul mercato nel

momento in cui per le altre tipologie la stagione volge al termine e i prezzi si abbassano, il che non consentiva al violetto di essere venduto a costi giusti ed equamente remunerativi per i suoi produttori. Infine, la sua coltivazione è resa più difficile dalle particolari modalità di riproduzione. Il violetto di San Luca si propaga infatti per via agamica, quindi non attraverso i semi bensì tramite i polloni, getti laterali che spesso rischiano di perdersi». Un prodotto apprezzatissimo dai bolognesi i quali, grazie alle ridotte dimensioni, usavano conservarlo sottolio e

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Il Carciofo Violetto di San Luca ha un colore viola intenso con lievi venature verdi. Le dimensioni indicativamente vanno dai 10 cm del cimarolo, il primo a comparire, ai 5 cm degli ultimi e più piccoli. Nella tradizione bolognese questi ultimi sono considerati una vera prelibatezza per chi ama i sottolio. «Per mantenere le caratteristiche che lo differenziano, morbidezza e dolcezza, il carciofo viene raccolto solo ed esclusivamente entro le prime ore di luce del mattino. Questo perché il carciofo è un fiore e come tale, dopo il fresco della notte, ha in sé il massimo dell’idratazione» scrive nel sito della sua azienda Andrea Querzè (violettodisanluca.it). Il miglior modo di consumare il violetto e apprezzarne la dolcezza è da crudo (photo © Ufficio Stampa Slow Food).

utilizzavano anche le parti meno nobili, come le foglie o i Carducci, protagonisti di numerose ricette anti spreco. Il progetto di recupero è partito dalla volontà di un gruppo di giovani produttori, costituitisi prima in associazione e divenuti poi promotori del presidio, reso possibile soprattutto grazie al confronto con gli agricoltori anziani del luogo che tramandavano saperi e tecniche legati alla coltivazione di questa particolare tipologia di carciofo. Una valorizzazione fortemente voluta e supportata dall’assessorato all’Agricoltura della Regione Emilia-

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Romagna, che con Slow Food ha all’attivo un protocollo volto proprio a promuovere le piccole produzioni di qualità del territorio. Tanti gli obiettivi per il futuro prossimo del violetto di San Luca, tra tutti quello di mantenere vivo il confronto con gli altri produttori di carciofi riconosciuti come presidi sul territorio nazionale (e che oggi ammontano a 9) e far conoscere o, meglio, riscoprire il prodotto soprattutto ai più giovani. Non a caso tra i produttori del presidio c’è infatti anche un istituto agrario, l’Arrigo Serpieri di Bologna. «Quando alla fine degli anni

‘90 i vecchi agricoltori che lavoravano il mio terreno mi regalarono 10 piante di questo meraviglioso ortaggio fu amore a prima vista» ricorda FEDERICA FRATTINI, referente dei produttori del presidio. «Fortunatamente ho conosciuto ANDREA QUERZÉ, appassionato produttore con cui, insieme a Raffaela, abbiamo cominciato a ridare vita al “nostro” ortaggio intraprendendo un percorso di riconoscimento istituzionale. L’interesse da parte degli chef c’era, così come quello di molti bolognesi che ancora si ritrovano a cercare disperatamente il sanluchino da mettere sottolio».

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FIERE

Torna l’appuntamento a Paris Nord Villepinte dal 15 al 19 ottobre

SIAL 2022,

un’edizione all’insegna delle novità 76

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Audrey Ashworth, nuova direttrice di SIAL Paris. Considerato l’appuntamento mondiale dell’innovazione alimentare, SIAL Paris 2022 si svolgerà dal 15 al 19 ottobre a Paris Nord Villepinte (photo © sialparis.com).

i avvicina velocemente l’edizione 2022 di SIAL Paris, la fiera internazionale dell’alimentazione in programma dal 15 al 19 ottobre. Un appuntamento che, oltre a promuovere e incrementare il business delle aziende presenti come espositrici, quest’anno sarà focalizzata sull’analisi e presentazione delle tendenze che stanno interessando il pianeta food, portando così alla luce il meglio delle innovazioni a livello mondiale. Anche per questa edizione verrà affrontato il

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tema Own The Change, lanciato nel 2020 per dare a tutti le chiavi di lettura necessarie a creare il cosiddetto “cibo di domani”. Quattro saranno comunque i pilastri di SIAL Paris: 1. SIAL INNOVATION. Le candidature al food più innovativo sono aperte agli espositori fino al 12 agosto. Una giuria di esperti premierà le aziende che, nella loro categoria, presenteranno prodotti più moderni e in linea con i nuovi trend di consumo; 2. SIAL START-UP, un nuovo spazio che

presenterà una selezione di nuove aziende di nicchia nel food con la collaborazione di Start-up Sesame e La FoodTech. I visitatori scopriranno aziende internazionali innovative operanti da minimo 5 anni; 3. SIAL INSIGHTS/THINK TANK presenterà studi sulle aspettative dei consumatori, innovazioni di prodotto, trend di mercato e del consumo fuori casa. NDP Group, nuovo partner, si è unito al team di Kantar e Protéines XTC;

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4. SIAL PODCAST, un nuovo appuntamento mensile sulle ultime novità della filiera per supportare e informare gli operatori del settore del Food & Beverage in corso d’anno. Due domande a Audrey Ashworth «Fin dalla sua fondazione nel 1964, SIAL Paris è stata una forza in costante rinnovamento per espositori e visitatori» dichiara AUDREY ASHWORTH, direttrice di SIAL Paris. «Combinando visione del futuro e ispirazione, business e convivialità, l’ambizione di SIAL Paris è sempre stata quella di essere più di una semplice fiera professionale. È un appuntamento imprescindibile per l’intero settore». Cosa significa per lei “Own the Change”? «Ci ricorda che siamo responsabili del cambiamento e dobbiamo cogliere le sfide ambientali, etiche, digitali e demografiche del pianeta. Sta a noi

rispondere alle sfide in merito a un equilibrio alimentare mondiale e al cambiamento delle abitudini di consumo. Significa anche individuare i talenti e dare spazio alle “giovani generazioni” che vogliono agire e contribuire all’ecosistema di domani». Quali sono le sue ambizioni per SIAL? «L’ambizione è quella di essere molto più di un semplice salone professionale. Desidero lavorare su tre elementi specifici: 1. Business, portando sempre più ricchezza e diversità, facilitare i contatti e gli incontri tra i partecipanti prima, durante e dopo la fiera; 2. Ispirazione, dando contenuti e servizi che aiutino i professionisti nella loro evoluzione e strategia di business per tutto l’anno; 3. Esperienza, ovvero fornire maggior supporto e consulenza, più comfort nella visita e, soprattutto, mantenere quella convivialità che da sempre caratterizza SIAL Paris».

A proposito di SIAL Paris Organizzato da Comexposium, SIAL Paris è parte del SIAL Network, il più grande network mondiale di fiere dedicate all’alimentazione e alle bevande che riunisce, attraverso tredici appuntamenti periodici (SIAL Parigi, SIAL Canada a Montreal e Toronto, SIAL China a Shanghai e Shenzhen, SIAL Middle East ad Abu Dhabi, SIAL Interfood a Jakarta, SIAL India a Nuova Delhi e Mumbai, SIAL America a Las Vegas, Gourmet Selection by SIAL, Salon du Fromage e Djazagro ad Algeri), 17.000 espositori e 700.000 operatori provenienti da 200 Paesi.

>> Link: www.sialparis.com

Trend e innovazione nel mercato della carne e dei prodotti a base di carne La superficie fieristica di SIAL Paris 2022 dedicata alle carni sarà, come d’abitudine, molto ampia, con una selezione di aziende ed espositori provenienti da tutto il mondo. Tra i macro-trend del settore carni che gli analisti al SIAL terranno in considerazione e per i quali offriranno approfondimenti, ci saranno sicuramente selezione e qualità delle carni, razze, benessere animale, offerta di prodotti biologici e, non ultimi, i pack innovativi. Col consumo mondiale di carne che continua a crescere e una media di 35,3 kg pro capite l’anno entro il 2025 (dati: FAO), l’industria mondiale si trova oggi ad affrontare nuove sfide necessarie a soddisfare una domanda sempre più esigente. Da qui la necessità di sviluppare strategie per innovare, in un processo continuo di analisi del mercato e dei sui trend di cambiamento nella modalità di acquisto dei consumatori, nelle loro aspettative sul prodotto. Per chi opera in questo settore questa non è certo una novità: il segmento carne e salumi è uno dei più innovativi al mondo. Secondo il Global Innovation Report di Protein XTC, nel 2018 esso ha infatti rappresentato il 5,8% di tutte le innovazioni alimentari mondiali, conseguendo il 6o posto tra le categorie più innovative dopo beverage, surgelati, cibi pronti, latticini e prodotti per aperitivi. La necessità di innovare per soddisfare la domanda è particolarmente forte in Europa, dove il settore è il terzo più innovativo dopo cibi preparati e prodotti lattiero-caseari. Benessere animale e ambiente Questi sono temi centrali per gli operatori del mercato delle carni, sensibili e strategici per il consumatore nella scelta d’acquisto e, sicuramente, veri driver per le nuove generazioni cresciute in un contesto di maggior consapevolezza verso queste tematiche. Origine della carne, metodo di allevamento, sostenibilità e impatto ambientale rientrano tutti in questa analisi. Naturalmente l’industria si sta muovendo da tempo per offrire soluzioni: dal comunicare origine del prodotto, tecniche di allevamento e certificazioni al packaging con un ridotto contenuto di plastica e riciclabile. Biologico e carni di alta qualità Il biologico è una tendenza in crescita nel mercato della carne. In Francia, il 74% dei consumatori afferma di mangiare carne biologica almeno occasionalmente, secondo un sondaggio IFOP condotto nel 2018. Questo dato è paragonabile al 59% del 2015, una prova tangibile del boom del biologico. Secondo Interbev il mercato della carne bovina bio in Francia ammonta a 317 milioni di euro, in crescita del 12,8% in un anno; il mercato dei salumi biologici 132 milioni di euro, in crescita del +22,2%; la carne di maiale bio totalizza 82 milioni di euro di vendite (+10,8%) e la carne di pecora (+12,2%) 55 milioni di euro.

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Cibus Tec Forum offre UN UNICO PADIGLIONE con: Una Sala Plenaria con quattro conferenze di prestigio internazionale: 25 ottobre 2022 • 10.00 - 13.00 - Processing e Packaging tra digitalizzazione e sostenibilità • 14.30 - 16.30 - Innovazioni e Tendenze della Sicurezza Alimentare 26 ottobre 2022 • 10.00 - 13.00 - Globalizzazione e Transizione Ecologica: dove vanno le politiche europee? • 14.30 - 16.30 - Materiali Innovativi per un’Economia Circolare

Cinque Sale Vertical Showcase Sessions

con workshop altamente specializzati dedicati ai diversi settori alimentari e alle tendenze future

Area Espositiva con

tecnologie all’avanguardia, innovazioni, start up e aree dimostrative


TORNA B/OPEN IL 13 E 14 OTTOBRE 2022

A Veronafiere la terza edizione della rassegna B2B dedicata al bio food orna a Veronafiere i prossimi 13 e 14 ottobre l’appuntamento con B/Open, rassegna B2B dedicata al bio food. Veronafiere si conferma così piattaforma internazionale per un settore in continua espansione (che per l’Italia vale oltre 4,6 miliardi di euro), in linea con le esigenze di consumatori sempre più attenti alla sostenibilità e con politiche comunitarie che ne sostengono la crescita. Verrà confermata la formula di 2 giorni “chiavi in mano”, che rafforza l’identità di manifestazione B2B, con l’opportunità di valorizzare al massimo le certificazioni richieste come condizione di partecipazione.

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B/Open anche per la sua terza edizione sarà un momento, come richiesto dagli operatori per confrontarsi con professionisti italiani ed esteri altamente selezionati e visti i risultati lusinghieri dell’ultima edizione (9-10 novembre 2021). Per il biologico si sta affacciando una nuova era, con la consapevolezza che la crescita del comparto non dovrà limitarsi ad una maggiore produzione, connessa all’obiettivo del Green Deal e delle strategie From Farm to Fork e Biodiversity di raggiungere una superficie agricola utile dedicata al bio del 25% in tutta Europa entro il 2030. Il futuro del modello organic dovrà abbracciare in maniera più ampia le

richieste di sostenibilità da parte dei consumatori e contribuire a sviluppare un approccio integrato fra produttori, trasformatori, distributori, acquirenti per ridurre al massimo gli sprechi, incentivare politiche di consumo di corto e medio raggio, promuovere una sostenibilità che sia innanzitutto economica, ma allo stesso tempo in grado di tutelare l’ambiente, l’occupazione e le comunità rurali. Il biologico, in particolare, è ritenuto uno strumento utile per contrastare i cambiamenti climatici, ridurre l’impatto ambientale e accompagnare in maniera efficace il percorso verso la neutralità climatica, che l’Unione Europea intende raggiungere entro il 2050.

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B/Open manterrà, anche per l’edizione di ottobre, un’offerta smart, declinando ancora più approfonditamente la formula fieristica confex, cioè convegni e workshop abbinati ad una parte espositiva e riservati esclusivamente ad un pubblico di operatori professionali selezionati provenienti dall’Italia e dall’estero. Il 2022 si è aperto per il biologico con premesse di crescita positive, legate da un lato all’applicazione del nuovo regolamento europeo sulla produzione e l’etichettatura dei prodotti bio (Reg. UE n. 2018/848), dall’altro dalla ricerca dei consumatori di prodotti percepiti come salutisti, legati alle specificità territoriali e biologici. Il 2022 dovrebbe finalmente essere l’anno dell’approvazione definitiva della legge sul biologico, una misura fondamentale per poter affrontare le sfide di un settore che potrebbe essere necessario per il rilancio dell’intero sistema agroalimentare italiano. Inoltre, l’Unione Europea ha promosso lo scorso anno un piano di azione per l’agricoltura biologica organizzato in 23 assi di sviluppo, individuando a livello comunitario la data del 23 settembre di ogni anno come “Giornata del Bio”.

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Anche la riforma della Politica Agricola Comune 2023-2027, che entrerà in vigore dal prossimo 1o gennaio, sostiene con misure specifiche le filiere del biologico con risorse intorno ai 450 milioni di euro all’anno fra sviluppo rurale ed eco-schemi, a conferma che, se gestite con equilibrio, le prospettive di crescita assicureranno una maggiore produzione e una più ampia diffusione dei prodotti organic nella dieta alimentare degli Italiani e degli Europei. L’Italia ha buone prospettive di incrementare le superfici a biologico per raggiungere l’obiettivo del 25% di Superficie Agricola Utile coltivata entro il 2030, collocandosi già oggi fra i Paesi europei a maggiore vocazione organic, alle spalle solamente di Austria, Estonia e Svezia. Insieme a B/Open la riflessione che istituzioni, operatori e player internazionali dovranno compiere riguarderà ora come armonizzare il modello biologico con le esigenze di sostenibilità, crescita dei consumi, integrazione delle filiere e delle comunità rurali.

La prossima edizione di B/Open è in programma il 13 e il 14 ottobre a Verona. B/Open proporrà la formula fieristica confex, cioè convegni e workshop abbinati ad una parte espositiva e riservati esclusivamente ad un pubblico di operatori professionali selezionati provenienti dall’Italia e dall’estero (photo © EnneviFoto).

>> Link: www.b-opentrade.com

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FORMAGGIO

DEGUST “affineur” per passione di Veronica Fumarola

a chef stellato ad affinatore: si potrebbe sintetizzare così la storia di HANSI BAUMGARTNER che, dopo aver aperto un ristorante in Val Pusteria negli anni Ottanta, piano piano si è appassionato sempre più alla storia, alle peculiarità, ai dettagli dei prodotti utilizzati in

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cucina. Prime tra tutti carni e verdure. «Tuttavia, volevo scoprire qualcosa in più sui formaggi, perché allora non era così semplice trovare produzioni di fattoria o d’alpeggio. E così mi sono avvicinato a questa categoria di prodotti, davvero tanto importante per l’offerta di un ristorante.

Sono andato alla ricerca di specialità e produzioni particolari; mi sono appassionato fino a creare una proposta ricercata per il mio locale, molto apprezzata dai clienti di allora. Ma non mi sono fermato qui. Ho pensato di fare uno sforzo in più e coinvolgere in questa mia passione i colleghi e

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Selezione di formaggi di Hansi Baumgartner, titolare con la moglie Edith di Degust.

ristoratori del territorio. Sono entrato nel settore, ho iniziato a selezionare e commercializzare il formaggio, convinto delle sue potenzialità. In quegli anni non aveva il valore che merita, ma con la mia dedizione e passione sono riuscito a far appassionare anche altri chef creando un nuovo mercato».

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Nel 1994 è nata Degust, l’attività di Hansi Baumgartner e sua moglie Edith. «Non siamo produttori — precisa —, ma selezionatori. Scegliamo tra i prodotti della nostra terra, il Trentino-Alto Adige, ma ci spingiamo anche un po’ più in là, lungo la Penisola, ad esempio in Piemonte, Sicilia, Toscana, andando alla

ricerca di produzioni di nicchia. A volte, arriviamo anche all’estero: in Austria, Francia, Germania, Inghilterra. Il nostro punto di forza, però, sono i formaggi del territorio: quelli freschi, appena prodotti e tolti dalla salamoia, noi ci occupiamo della loro maturazione; ma lavoriamo anche i formaggi semi-

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L’ormai ex-chef stellato Hansi Baumgartner ha trasferito le sue conoscenze culinarie nella raffinata arte dell’affinamento. Grazie alla sua esperienza, ha saputo abbinare ai formaggi ingredienti tra i più ricercati, creando tecniche di affinamento le cui radici affondano nei metodi di conservazione tradizionali ma che allo stesso tempo guardano all’avanguardia dei sapori. A pagina 85: le cantine di affinamento.

stagionati e d’alpeggio, li ritiriamo dai casari e li portiamo nelle nostre cantine di affinamento». Hansi e sua moglie hanno creato delle cantine ad hoc per le varie tipologie di formaggi affinché stagionino alla giusta temperatura e col

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giusto grado di umidità, con un solo obiettivo: assicurarsi che ogni forma mantenga il profilo organolettico originale, nel rispetto del lavoro del casaro. Gli abbinamenti, infatti, sono pensati allo scopo di esaltare le materie prime.

Amore per i formaggi d‘alpeggio Tra i formaggi che più appassionato Baumgartner ci sono quelli d’alpeggio. «Curo solo la stagionatura — racconta — non voglio fare ulteriori lavorazioni

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perché ogni forma ha in sé il suo valore, il latte d’alpeggio appunto». Ma, oltre l’amore per la tradizione, c’è anche la voglia di sperimentare e innovare. Da questo desiderio è arrivato CaRuBlù, formaggio erborinato simile al gorgonzola, affinato con rum e fave di cacao. «Le note burrose e dolci del formaggio sono smorzate dall’aroma caldo del rum e dall’amaro delle fave di cacao — spiega Baumgartner —; un gusto perfetto, bilanciato e armonico, in cui ogni elemento si incastra perfettamente con l’altro senza prevaricare. Gli abbinamenti migliori? Con la selvaggina, ma CaRuBlù è ideale anche come pre-dessert con vini passiti, rum, cioccolato». Tra le altre specialità di Degust ci sono i formaggi affinati in barrique ricoperte con fieno di alta montagna, come Fienoso, che si caratterizza per una struttura burrosa e solubile, con un gusto acidulo nel finale e aromi di

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nocciola e burro fuso. La varietà degli affinamenti non finisce qui e continua con Silentum: un formaggio affinato con foglie di fico che, oltre a conferire note vegetali e aromi di cocco, garantisce un packaging naturale che protegge il prodotto fino al consumo. La struttura è morbida e burrosa, con un gusto tra il dolce e il salato. C’è poi Satyricum, affinato con la santoreggia essiccata, un’erba aromatica, molto utilizzata nella cucina del Südtirol, che dona al formaggio intensi aromi vegetali e profumi che ricordano prati verdi e paesaggi di montagna. Queste e molte altre specialità, tra cui prodotti biologici, si possono trovare presso La Casa del Formaggio, la bottega di Degust, o meglio, “un vero e proprio atelier dedicato ai formaggi e a tutto ciò che fa parte del loro mondo: dagli accessori agli accompagnamenti”, come si legge sul sito.

I formaggi di Degust arricchiscono e impreziosiscono l’offerta di ristoranti e alberghi del Trentino-Alto Adige, ma arrivano anche in ristoranti (stellati e non), gastronomie ed enoteche delle varie regioni italiane. «Il formaggio è un alimento nutritivo e sano» conclude Baumgartner. «Può essere considerato anche un “prodotto meditazione”, perché mentre lo si gusta si possono analizzare diversi aspetti: sapori, profumi, aromi, struttura. È realizzato con pochi ingredienti, ma ogni forma sa farsi notare ed è espressione del territorio in cui viene realizzata, della flora botanica, del latte con cui viene prodotta. In due sole parole: è un’emozione gustativa». Veronica Fumarola Degust Bsackerau 1 – 39040 Varna (BZ) Telefono: 0472 849873 E-mail: info@degust.com Web: www.degust.com

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Olomoucké Tvarůzky IGP

GREAT

MORAVIA di Riccardo Lagorio

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a Moravia è una regione storica che appartiene oggi alla Repubblica Ceca. Un’area fertile, collinare, ricca di castelli e pascoli tanto che, nel 1945, lo storico GEORGE VERNADSKY avanza come una delle ipotesi di sviluppo del Principato della Grande Moravia del X secolo l’abile sfruttamento dei pascoli per la produzione di latte (Great Moravia and White Chorvatia). A fine Cinquecento il termine selske tvarůžky (che significa formaggio di fattoria) figura in un contratto di compravendita nella città di Olomouc. All’inizio del secolo successivo il formaggio diventa così importante per l’economia della

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Moravia da essere utilizzato come mezzo di scambio: in un contratto viene evidenziato che gli scavatori di un pozzo erano in parte pagati con lo tvarůžky. Risulta quindi impossibile fornire una data certa in cui venne alla luce il formaggio; tuttavia, si può affermare che si tratta di un prodotto che ha alle spalle alcuni secoli di storia. La prima fotografia della produzione della cagliata per ottenere il tvarůžky risale al 1886 e fu scattata a Prostějov mentre il formaggio venne immortalato a Loštice qualche anno più tardi. La consacrazione su scala globale (di quei tempi) avvenne all’esposizione mondiale di Vienna del 1872, occasione

in cui il tvarůžky ottenne ragguardevoli premi aprendo la strada a nuovi mercati. Nel 1909 il produttore ALOIS WESSELS compare in posa, circondato dai suoi dipendenti. I suoi discendenti sono ancora oggi gli unici produttori di questo formaggio, anche se nel corso di circa vent’anni, fino al 1913, vennero fondate 120 cooperative lattiero casearie e si producessero circa 3.000 tonnellate di cagliata di cui i Wessels furono grandi utilizzatori per dare vita al tvarůžky. Dal 1994 è stato dedicato a questo prodotto anche un museo. All’interno dell’IGP ricade l’intero territorio del fiume Haná, in particolare la città di Olomouc, nell’omonima regione.

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Dopo la rottura della cagliata viene aggiunto sale da cucina e il tutto viene fatto riposare all’interno di grandi contenitori d’acciaio. Sono quindi addizionati agenti di fermentazione e regolatori di acidità e il preparato viene mescolato fino ad ottenere una pasta morbida e modellabile, pronta per essere inserita all’interno di appositi stampi. Segue poi un primo periodo di maturazione, in locali a temperatura ed umidità controllate, durante il quale il formaggio inizia a maturare in superficie. Le forme vengono successivamente lavate, così da eliminare le muffe in eccesso, e sono fatte riposare per un secondo periodo di maturazione. In questa fase si forma la caratteristica crosta cerosa che dona all’Olomoucké Tvarůžky IGP il colore e il gusto che lo contraddistinguono. Esso ha forme regolari differenti come piccoli dischi, rotoli o ciambelle. La crosta è cerosa e ha un caratteristico colore giallo-dorato, mentre la pasta interna è più chiara e di consistenza da molle a semi-molle. Il tvarůžky IGP si conserva al meglio in luogo fresco e asciutto, o nel ripiano meno freddo del frigorifero. Può essere consumato al naturale, con del pane spalmato con burro e guarnito da cipolla tagliata sottile, o può essere utilizzato come ingrediente per numerose ricette della tradizione ceca. Nella regione di Olomouc, ad esempio, è consuetudine gustare questo formaggio dopo averlo fatto riposare per un paio di giorni all’interno di un contenitore di vetro o porcellana, coperto da un infuso di olio, birra, cumino e paprika. In alternativa, gli Olomoucké Tvarůžky IGP possono essere farciti con salame e paprika e quindi fritti. L’abbinamento perfetto è con della birra ceca ben fresca. Il prodotto è immesso in commercio nella tipologia Olomoucké Tvarůžky IGP. Viene commercializzato in formine rotonde, a disco o rotolo, dal peso di 20-30 grammi. L’Olomoucké Tvaruzky IGP è caratterizzato da odore e sapore estremamente complessi, che possono risultare anche molto pungenti, frutto del grado di maturazione del formaggio. Riccardo Lagorio A.W. Spol s.r.o. Palackého 4 – Loštice (Repubblica Ceca) Telefono: +420 583401211 Web: tvaruzky.cz

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Il Fiorino conquista 6 medaglie all’International Cheese Awards Tre ori, due argenti e un bronzo conquistati all’International Cheese Awards: si arricchisce di 6 nuove medaglie il già ricco palmares del Caseificio Il Fiorino, che tocca quota 156 tra premi e riconoscimenti ottenuti a livello nazionale e internazionale nei più importanti contest caseari. «Grande gioia e grande entusiasmo. Le abbiamo salutate così queste sei medaglie che arrivano fin qui a Roccalbegna dal Regno Unito e da un concorso che si caratterizza per l’altissima selezione dei partecipanti e per l’elevato spessore della giuria» affermano Angela Fiorini e Simone Sargentoni (in foto), titolari de Il Fiorino. «Abbiamo alle spalle una storia importante di tradizione casearia artigianale che viene dal 1957 e che abbiamo portato avanti rinnovando ma non snaturando la nostra anima. Il latte, la qualità del territorio in cui abbiamo la fortuna di abitare insieme all’arte casearia danno ai nostri pecorini la possibilità di essere distinti e riconosciuti al gusto, all’odore e al tatto». Doppio oro è stato conferito al Cacio di Venere, prodotto con latte bio di altissima qualità e con tartufo bianchetto biologico toscano. Un pecorino dalla forma larga e non molto alta per consentire una stagionatura più compatta e omogenea. Medaglia d’oro anche per la Riserva del Fondatore, creato per rendere omaggio al fondatore Duilio Fiorini. Prodotto con gli antichi metodi della tradizione e affinato in grotta per 2 anni, è un formaggio “da meditazione”. Le medaglie d’argento sono andate al Fior di Cardo, pecorino prodotto con caglio vegetale, estratto dai fiori di cardo, che si caratterizza per le note erbacee e animali tipiche dei pascoli della Maremma, e al Fiorin Blu, pecorino erborinato realizzato col miglior latte dei pascoli maremmani e col Penicillium roqueforti dal gusto intenso e ben bilanciato ed un odore vegetale. Medaglia di Bronzo al Cacio di Afrodite, new entry 2022. Si tratta di un pecorino semicotto stagionato, dal gusto equilibrato, piacevole, armonico. La pasta è compatta con un’occhiatura fine e regolare. >> Link: www.caseificioilfiorino.it

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FOSSA DELL’ABBONDANZA TUTTE LE ESPRESSIONI DEI FORMAGGI di Veronica Fumarola

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ffinatori per amore e per vocazione. RENATO BRANCALEONI e sua figlia ANNA seguono le orme dell’attività di famiglia, giunta alla 5a generazione, spinti sia dalla passione sia da un saper fare tra-

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mandato di padre in figlio. Ogni giorno lavorano nella loro azienda agricola, a Roncofreddo (FC), per offrire ai propri clienti formaggi dai profili inconfondibili. Come si può intuire già dal nome dell’azienda, Fossa dell’Abbondanza,

parte dell’attività ruota proprio attorno a una fossa che risale al 1300, all’interno della quale affinano i formaggi selezionati personalmente da Renato. «Come tutte quelle del tempo, anche la nostra nasce come fossa granaria,

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in cui veniva conservato il grano; noi, invece, la utilizziamo per realizzare i nostri formaggi» spiega Brancaleoni. «Dagli erborinati ai pecorini, dai vaccini a quelli di capra. Acquistiamo i formaggi da diversi casari, oppure chiediamo di seguire una nostra ricetta, purché siano realizzati in primavera, da aprile a maggio. La fossa in quel periodo è a riposo e ci resta fino alla seconda metà di luglio, quando viene completamente rivestita di paglie fresche di trebbiatura. Dopodiché, più o meno 4.500 formaggi, con un peso di circa 1,5 kg ciascuno, vengono raggruppati in gruppi da 6 e riposti in sacchetti. La fossa viene sigillata con una colla di farina e aceto e resta chiusa per 100 giorni. Ogni anno, a inizio novembre, organizziamo la festa di apertura e verifichiamo che ci siano le due condizioni essenziali per la buona riuscita dell’affinamento. In primis, muffe, poi che nella fossa non ci sia aria, calando al suo interno una candela». La particolarità di questa produzione? Ogni anno i formaggi cambiano; ognuno ha una sua espressione, mai assimilabile a quella dell’anno prima, ma tutti hanno un filo conduttore: una nota minerale sulfurea particolarmente marcata perché i terreni in cui si trova la fossa sono carichi di zolfo. Come si legge nel sito, infatti, Renato è convinto che: «Non esistano due forme di formaggio uguali, come non esistono due piante uguali, come non esistono due persone uguali. È la diversità che rende belle le cose». Cera d’api, Albana e gin I formaggi affinati da Renato sono prodotti con latti differenti: di pecora, mucca e capra; sono tanti “figli”, ognuno con le sue peculiarità. Tra quelli più particolari ci sono sicuramente i formaggi che stagionano in cera d’api. «La maturazione avviene lentamente, perché la cera d’api dà alla forma di formaggio una microporosità che gli permette di respirare; si tratta però di un respiro davvero lento, come quello degli uomini in alta montagna. Ma dopo un anno di stagionatura il risultato lascia davvero a bocca aperta: il formaggio non ha alcuna crosta, perché l’umidità resta all’interno e dona una grande cremosità, in maniera omogenea, anche all’esterno». Nel mondo dei blu, Renato propone

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In alto: la fossa aziendale. A pagina 88: Renato e Anna Brancaleoni. un formaggio lavorato con delle vinacce di Albana passito, «con il quel otteniamo un prodotto delicato» racconta. «Il nostro obiettivo, quando abbiamo sperimentato questa produzione, era donare a un erborinato, che normalmente è piccante, la dolcezza tipica del passito. Ci siamo riusciti, tanto che per tre anni consecutivi a Gorgonzola (MI) abbiamo vinto il primo premio come Miglior erborinato d’Italia». Una delle ultime novità a cui i Brancaleoni stanno lavorando è l’affinamento dei formaggi col gin. «Abbiamo scelto i gin di Baldo Baldinini, un profumiere che ha realizzato una linea di gin particolarmente aromatici. Ad oggi questi formaggi sono il nostro punto di arrivo, ma non ci poniamo mai dei limiti su quello che potrà essere domani: non siamo mai arrivati, anzi. Siamo all’inizio, perché il nuovo è ancora da scoprire e dobbiamo essere sempre stimolati a scoprirlo».

Il biologico come must Fossa dell’Abbondanza non è solo formaggi, ma una vera e propria azienda agricola. Renato e sua figlia producono tutte le essenze aromatiche e i frutti con cui affinano i formaggi e coltivano le paglie che ogni anno utilizzano per rivestire la fossa, in regime biologico. Attualmente stanno realizzando anche una linea di confetture con la frutta raccolta nei campi dell’azienda, dopo i test effettuati lo scorso anno. 4 referenze, una per ogni tipologia di pasta che caratterizza il mondo dei formaggi: erborinati, paste dure, paste molli e stravecchi. Un abbinamento per rendere la degustazione ancora più sorprendente. Veronica Fumarola Fossa dell’Abbondanza Piazza Allende 13 47020 Roncofreddo (FC) E-mail: info@fossadellabbondanza.it Web: www.fossadellabbondanza.it

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VINO

PIGHIN

I PIONIERI DEL VINO FRIULANO di Gian Omar Bison

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“Et però credo che molta felicità sia agli uomini che nascono dove si trovano i vini buoni”, Leonardo Da Vinci

La fatica a cui è stato abituato il popolo friulano ne ha forgiato il carattere di ferro. Una terra di confine. Qui la famiglia Pighin possiede più di 200 ettari vitati, divisi tra il Collio e il Friuli Grave. Ha iniziato nei primi anni ‘60 e, da allora, ha continuato ad essere tra i simboli più conosciuti del vino friulano nel mondo. In alto: la cantina di affinamento dei vini rossi nella villa storica. A sinistra: la Tenuta di Spessa di Capriva.

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PIGHIN, co-titolare col padre FERNANDO dell’omonima azienda vitivinicola friulana, è un personaggio schietto e gaudente che non le manda a dire, che mette i puntini sulle “i”, soprattutto quando si parla della storia imprenditoriale di famiglia. Entrato in azienda nel 1985 da sempre è impegnato nella promozione e nella commercializzazione del vino. Parliamo di un’azienda nata tra grandi sacrifici negli anni Quaranta del secolo scorso. I 220 ettari di superficie agricola di proprietà, di cui 160 vitati (su 190) presso la Tenuta di Risano di Pavia di Udine e 22 vitati (su 30) presso la Tenuta di Spessa di Capriva in pieno Collio friulano, sono il frutto di una visione lucida e perspicace e il risultato di un investimento fatto dai fratelli Luigi, Ercole e Fernando Pighin. «Sono partiti nel 1947 con un’azienda di trasporti — ricorda Roberto — quando l’Italia era disintegrata, con tutto da inventare e ricostruire. Tuttavia, considerato che mio nonno Ernesto gli ha sempre insegnato che la terra agricola se rispettata ti consente di vivere una vita dignitosa, hanno ritenuto di investire sul mondo della vite e del vino rilevando nel 1963 la Tenuta di Risano dai conti Agricola». 200 ettari di coltura estensiva mista, gestiti da 25 famiglie a mezzadria, con villa veneta al centro utilizzata ancora oggi come foresteria e sala congressi per convegni e cerimonie. «Da subito —

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OBERTO

sottolinea Roberto — l’azienda è stata reimpostata e da colture miste si è passati agli impianti di vite e frutteto. Poi, nel 1966, è stata costruita l’attuale cantina progettata dal famoso architetto Gino Valle. È l’unica cantina che progettò: super razionale, ordinata, adeguata a vinificare in maniera logica e pratica, avveniristica. Ancora oggi ci sono studenti universitari di architettura ed ingegneria che vengono a visitarla». L’idea vincente dei Pighin è stata quella di andare da subito in giro per il mondo a promuovere la vocazione vitivinicola delle terre friulane e a vendere direttamente il vino. «Figure storiche come i FELLUGA, COLLAVINI e MARIO SCHIOPETTO e poi noi con loro — puntualizza Roberto — hanno capito per primi la portata dei nostri vini friulani, bianchi in particolare, e unendo a questo la forza della comunicazione siamo diventati tra le regioni vinicole di riferimento nel mondo». L’anno successivo, nel 1967, i fratelli Pighin hanno acquistato 30 ettari a Capriva, nel Collio goriziano, con annessa cantina. Una collina all’epoca dissestata e che necessitava di grossi investimenti. «Nei primi anni ‘80 i fratelli hanno deciso di investire con lavori di movimento terra e installazione di drenaggi sotterranei. Il risultato è un vero e proprio anfiteatro naturale, con un posizionamento unico nel cuore del Collio goriziano. Colline esposte a sud e quindi soleggiate da

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Roberto Pighin. Il Friuli è tra le terre più vocate al mondo per la produzione di vini bianchi, conosciuta per questo fino dai tempi dei romani. mattina a sera e ventilate dalla corrente del golfo adriatico tra Trieste e Venezia con una brezza costante. In seguito, nel 2004, mio padre ed io abbiamo rilevato l’intera proprietà delle aziende agricole». Complessivamente, quindi, parliamo di una realtà tutta friulana con due zone di produzione e due cantine distinte. Nella zona a Sud-Est delle Grave del Friuli parliamo di un terreno a medio impasto di ghiaia e limo e quindi ricco e variegato, dove lavorano con una densità di impianto di oltre 4.000 ceppi ad ettaro allevati a guyot. Nel Collio troviamo un terreno asciutto, marnoso di origine oceanica, stratificato

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e drenante, ricco di carbonato di calcio, dove si coltiva con una densità di 6.000 ceppi ad ettaro e si ottengono vini che rispetto a quelli di pianura hanno una maggior mineralità, una concentrazione superiore e un tasso alcolometrico importante. In pianura si vinifica e si affina in acciaio utilizzando lieviti selezionati e si ottengono vini minerali, freschi e non troppo alcolici. «L’aspetto più importante per noi — puntualizza Roberto — resta la bevibilità e l’affidabilità testimoniate dal gallo, il nostro marchio. Noi imbottigliamo quello che coltiviamo, controlliamo la filiera completa in maniera esasperata, dai cloni delle barbatelle selezionate

presso i Vivai Rauscedo alla bottiglia finita. E anche in annate complesse siamo affidabili perché riusciamo a mantenere standard elevati di qualità governando meticolosamente fattori come i tempi di vendemmia, il raffreddamento immediato degli acini, la velocità di vinificazione. Tiriamo fuori dalle uve tutto quanto di meglio riescono ad esprimere sotto il profilo aromatico. Ne è garante il gallo. Gallo nel Collio e Gallo nelle Grave. Nessuna diversità di approccio, le attenzioni che abbiamo sono identiche. Non ci sono due politiche diverse dal Collio alle Grave». L’azienda esporta il 70% del prodotto e i mercati di riferimento, oltre all’Italia, sono gli Stati Uniti, il Canada, l’Europa, in particolare UK e Germania e poi Asia, Oceania e pure l’Africa. Non hanno conosciuto troppe difficoltà dalla Brexit, ma ne hanno avute, invece, dalla pandemia considerato che l’HO.RE.CA. è il loro sbocco quasi esclusivo di mercato. Nel 2021 hanno sofferto, com’era inevitabile, ma il 2022, ad oggi, ha un andamento superiore anche al 2019. «Il Pinot grigio — sostiene l’enologo CRISTIAN PERES — è il nostro vino di riferimento nelle Grave, così come in buona parte delle aziende friulane. Essendo un vitigno a bacca rossa va lavorato rapidamente e a temperature basse per evitare la cessione di colore». Il responsabile agronomo è MANUEL BRACCO in azienda da 20 anni, che ha seguito l’evoluzione dei sistemi di allevamento dal casarsa al guyot

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con un numero maggiore di ceppi ad ettaro riducendo la produzione di uva per ceppo e aumentando la qualità e la concentrazione della stessa. Con lui lavorano una trentina di persone. I vini L’elenco dei vini è importante. Afferenti alla DOC Grave troviamo: Pinot bianco, Pinot grigio, Sauvignon, Chardonnay, Friulano, Merlot, Cabernet Sauvignon, Refosco dal Peduncolo rosso. Tra i vini della DOC Collio abbiamo Pinot grigio, Sauvignon, Chardonnay, Ribolla gialla, Malvasia, Friulano, Merlot, Cabernet, Picolit. Come Spumanti due Brut: Ribolla gialla e Prosecco. Chiudono i tre IGT: Virdis (uvaggio), Ribolla gialla e il rosato, Merlot e Refosco dal Peduncolo rosso. Parlando dei vini del Collio, la Malvasia 2020 vinificata in acciaio a temperatura controllata e stoccata sempre in acciaio, si presenta con un colore giallo paglierino con qualche riflesso verdognolo. I profumi sono floreali e fruttati, agrume in particolare: emergono note balsamiche, di erbe aromatiche. La bocca è fresca e sapida, di grande beva. Secco, intenso e persistente. Considerata la nota aromaticità del vitigno, un vino che non cade, non risulta affatto stucchevole. Un vino che accompagna un aperitivo ma anche antipasti di mare e carni bianche. Il Sauvignon 2020, sempre vinificato in acciaio, ha un imprinting olfattivo inconfondibile: peperone e salvia, una leggera foglia di pomodoro e pesca bianca. È un vino

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A contatto con i vigneti di Risano e circondata da un meraviglioso parco, la villa veneta seicentesca è la sede di rappresentanza dell’azienda Pighin. equilibrato, più sapido che minerale, secco e lungo in bocca. Ottimo con minestre di verdure, soufflé e sformati. Il Pinot grigio 2020, sempre acciaio, ha un colore caratteristico che unisce al giallo paglierino qualche riflesso ambrato. Il naso è intenso, floreale e fruttato con sentori di ananas e banana. È un vino fine ed equilibrato, versatile negli abbinamenti, dall’aperitivo agli antipasti di mare fino al pesce alla griglia. Paste al ragù di corte o carni bianche salsate. Per quanto riguarda i vini delle Grave, il Pinot bianco 2020 vinificato e affinato in acciaio si distingue per i profumi caratteristici di fieno e nocciola. Il colore è giallo paglierino

e il sapore è pieno, intenso, persistente. Bollito di pesce, zuppe e carni bianche i piatti consigliati. Il Sauvignon 2020 è un vino verticale nei profumi e nei sapori. Al naso colpiscono i sentori di erbe aromatiche, di ortica, di foglia di pomodoro. Equilibrato, persistente e di ottima struttura. Salumi, soufflé e sformati di pesce, piuttosto che uova e asparagi gli abbinamenti ideali. Gian Omar Bison Pighin Aziende Agricole In Friuli Via Grado 11/1 33050 Pavia di Udine (UD) Telefono: 0432 675444 Web: www.pighin.com

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NAUTILUS, le bollicine camune riemergono dalle acque lacustri del Sebino di Gaia Borghi 94

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merge dalle acque come Venere ma è un vino di montagna. Si chiama Nautilus CruStorico e lo produce dal 2010 ALEX BELINGHERI di Agricola Vallecamonica, primo spumante Metodo Classico con affinamento lacustre, a 40 metri di profondità, nelle fredde acque del Sebino, presso Monteisola. Una cantina decisamente originale quella che Alex ha scelto per l’affinamento dei propri vini, nella quale temperatura, umidità e pressione rimangono naturalmente costanti. «Prima di scegliere il luogo esatto in cui effettuare il primo affinamento abbiamo fatto dei sondaggi sul fondale tramite robot» mi dice. «In questa parte del lago non ci sono particolari correnti e le bottiglie, avvolte nel buio più totale, subiscono una sorta di bâtonnage estremamente delicato. Le acque dell’Iseo sono ad una temperatura di circa 5 gradi e questo elemento influisce sulla cessione dei lieviti, che avviene molto molto lentamente. La carbonica del vino al termine dell’affinamento sarà quindi più fine e consistente… ma ogni volta è una sorpresa». Lo scorso 11 giugno ho assistito — (e poi degustato) — insieme a RICCARDO LAGORIO, giornalista che da tempo segue il progetto, al recupero delle oltre 6.000 bottiglie più 216 Magnum immesse in acqua nel 2017, quindi con oltre 60 mesi di affinamento, e alla posa dell’annata 2021. Il tutto avvenuto con l’aiuto dei sommozzatori, che si immergono anche una volta all’anno per controllare lo stato delle casse. «Si tratta del recupero più grande effettuato ad oggi. Il primo, nel 2011, lo avevamo fatto dopo soli 12 mesi di immersione delle bottiglie. Ci siamo resi conto immediatamente però che occorreva lasciare il vino più a lungo sottacqua per poter far emergere le caratteristiche che regala questa particolare conservazione al prodotto» prosegue il vignaiolo. «L’anno scorso c’è stato il primo recupero delle bottiglie di Nautilus dopo 5 anni di affinamento lacustre e ogni anno, salvo annate eccezionali, ho intenzione di metterne altre». Spumanti e cantine lacustri Nautilus è stato premiato nel 2019 come miglior spumante realizzato con uve autoctone al Challenge Euposia edizione 2019, concorso internazionale riservato agli spumanti Metodo

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In alto: il recupero delle bottiglie affinate 5 anni sottacqua. In basso: Riccardo Lagorio e Alex Belingheri. A pagina 94: le incrostazioni e la sabbia sulle bottiglie del Nautilus affinate sottacqua. Grazie ad un confezionamento particolare il produttore mantiene parte della sabbia attorno alle bottiglie. Classico. Alex, infatti, ha recuperato numerosi terrazzamenti posti tra i 250 e i quasi 800 m slm con uve autoctone, alcune delle quali provenienti da ceppi centenari di cui si conosce solo il nome in dialetto locale: Valcamonec, Hibebo, Gratù. «La biodiversità è un elemento essenziale nella mia filosofia produttiva» puntualizza Alex Belingheri. «Mi sono impegnato nel recupero di antiche varietà locali a bacca rossa e via via ho affinato le mie competenze, riuscendo a sistemare vigneti di oltre 100 anni con alcune piante pre-fillossera a piede franco». Nel 2016 Alex ha iniziato an-

che un nuovo progetto d’affinamento in quota con lo spumante Metodo Classico Estremo Adamadus, che riposa a 10 m di profondità, unico caso esistente, nel lago alpino Aviolo, a 1930 m slm. Acque freddissime e il contesto naturalistico da sogno del Parco regionale dell’Adamello. L’anno prossimo ci sarà il recupero della vendemmia 2019: «sto pensando di organizzare dei trekking» conclude Alex. E così anche il turismo del vino raggiunge nuove vette. Gaia Borghi >> Link: www.vinivallecamonica.com

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Salame di Montisola: orgoglio antico dei norcini di una montagna in mezzo al lago La gastronomia del Lago d’Iseo è fortemente caratterizzata dalla presenza del pesce e dei prodotti ittici, oltre che da numerosi vini, formaggi ed oli locali. Merita, però, un occhio di riguardo un prelibato insaccato realizzato ancora artigianalmente: il Salame di Montisola. Proprio qui, nell’isola lacustre più grande d’Europa, viene infatti prodotto da secoli un particolare salame, alla cui preparazione partecipava in passato tutta la famiglia, secondo un rituale ben preciso arrivato intatto fino ad oggi e che nessuno vuole modificare, anche perché pare che al di fuori dei confini isolani non funzioni…. A Montisola il mestiere di norcino, ormai rimasto nelle mani di pochi esperti, si concentra nelle case di Cure, Masse e Senzano. Il salame isolano si prepara con le carni di suini che si sono cibati prevalentemente con castagne e granturco. La sua particolarità, però, risiede nella grana, ottenuta tagliando i tagli di carne selezionati esclusivamente al coltello. L’impasto viene fatto poi riposare nel vino e, in seguito, viene effettuato l’insacco nel budello bovino, la legatura e una scrupolosa pungitura per evitare eventuali bolle d’aria. Il salame mantiene così inalterati profumo e fragranza. Dopo circa una settimana, il salame viene appeso per una notte in una stanza apposita (la “cà del salam”), una cantina con muri non intonacati, soffitto a volte e camini acceso chiuso con fuoco costante, alimentato con legno di olivo, alloro e bacche di ginepro. “Confezionare i salami ottenuti da un maiale occupa per una giornata più di un paio di persone, ognuna con un compito specifico: tagliare la carne tutta a mano a pezzi abbastanza grossi (poiché sono severamente banditi gli utensili elettrici per tritarla), mescolare l’impasto, insaccare, legare. Era d’obbligo che la luna fosse calante; chi non poteva aspettare, procedeva con luna crescente ma di venerdì” si legge nel sito dell’unico salumificio presente a Montisola (www.salumificiomonteisola.it), nella frazione di Senzano. “Questo piccolo insaccato lungo circa 15 cm e con un diametro di 5 cm, viene insaccato in un budello di bovino, comunemente chiamato bastone o dritto, che, grazie alla sua maggior resistenza, è indicato per questa lavorazione data la presenza di pezzi grossolani che potrebbero rovinare un qualsiasi altro tipo di insacco; la peculiarità di questo salame è proprio la sua grana interna, risultato del lavoro di taglio dei coltelli per le carni, per essere più precisi della loro punta. Non viene fatto alcun uso di impastatrici o altri macchinari, solamente la lama può venirne in contatto. Altra caratteristica è l’utilizzo dei “tagli nobili” del maiale come la coscia, la coppa, la spalla denervata, la lonza, il filetto e persino la carne compresa tra le costolette e di carni provenienti soltanto da maiali italiani per avere una maggiore tracciabilità e presumibilmente qualità (…). Una delle peculiarità di questo salame è poi la freschezza delle spezie che vengono utilizzate per la sua “concia”, essendo queste fresche e macinate solo al momento del loro effettivo utilizzo quindi non avendo alcun processo alle loro spalle (…). Prima di poter affumicare il salame lo si fa alloggiare per un paio di giorni in una camera con controllo di umidità e temperatura in modo da diminuirne i valori e renderlo migliore per la fase successiva; si portano i salami all’interno della camera per l’affumicatura dove verrà fatto bruciare del legno di ulivo, aromatizzato con alloro e bacche di ginepro per una durata che varia dalle 12 alle 15 ore a seconda della stagione e delle condizioni del salume. Superata questa fase, viene posto nella cantina di asciugatura e poi di stagionatura per circa 40 giorni”. Il Salame di Montisola a questo punto può essere consumato. I salami da conservare vengono invece ricoperti di grasso di maiale aromatizzato (la sugna) e riposti in anfore di terracotta, chiamate “ole”, dove mantengono intatta la loro morbidezza (fonte: www.bresciaatavola.it; photo © www.bresciatourism.it).

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BIRRA

A LEZIONE DI FONDAMENTALI:

LA BIRRA SPIEGATA IN POCHE RIGHE di Chiara Papotti

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n molte delle civiltà più antiche e nobili, dai Sumeri agli Egizi, sono innumerevoli i riferimenti all’uso della birra, soprattutto durante i riti religiosi. Una possibile spiegazione potrebbe collegarsi alla pratica del sacrificio: il sangue offerto a Dio è il simbolo vitale dell’animale ucciso, così come il succo dei frutti ne rappresenta la parte più nobile. Tra gli storici di alimentazione c’è chi ipotizza che proprio il desiderio di estrarne la vitalità, abbia portato l’uomo a far macerare la farina nell’acqua, dando origine a quella che potremmo definire una “birra primordiale”. È grazie all’introduzione del luppolo, probabilmente intorno al 1300, che la birra abbandona la sua fisionomia di semplice “vino d’orzo” per diventare la bevanda che oggi conosciamo. Ma resta estremamente affascinante pensare che a qualcuno sia venuto in mente di provare ad ottenere una bevanda a partire dai cereali migliaia di anni fa. Naturalmente votati alla tradizione vitivinicola, gli Italiani hanno sempre un po’ snobbato le produzioni di birra, considerandola quasi un prodotto di serie B; solo negli ultimi anni ne è esploso l’interesse, tanto che si sta diffondendo una vera e propria cultura della birra. Sono così tante le modalità di preparazione, che si parla spesso di “stili birrari”, per indicare le numerose famiglie di birre, accomunate da aspetto, gusto e caratteristiche di lavorazione. Lambic, Bock, Weizen, Lager, Pilsner, Ale, Stout, Barley wine… tantissime le tipologie fondamentali, ognuna declinata ulteriormente in una infinità di interpretazioni. Un universo di saperi raccolto nella zitologia, la scienza dedicata alla birra; da essa nascono la figura dello “zitologo”, una sorta di sommelier e vero intenditore di birre, e la “zitogastronomia”, ovvero lo studio degli abbinamenti tra birra e cibo. Una conquista che premia la ricchezza e la varietà di suggestioni che questa bevanda sa regalare. Nel corso dei secoli, le tecniche di preparazione si sono evolute ed il procedimento per la lavorazione delle materie prime ha subito enormi cambiamenti. Per capirne le potenzialità è necessario partire dalla selezione di ingredienti di qualità. Il cereale considerato la base ideale è l’orzo, o meglio il malto d’orzo, ottenuto macerando in acqua i chicchi

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Le birre hanno assunto oggi una tale personalizzazione che possono accompagnare, alla stregua del vino, una serie illimitata di pietanze, compresi naturalmente salumi, formaggi e persino cioccolato (photo © Passerotto bistrot, Saronno). di orzo, facendoli germinare e poi essiccare. Questo passaggio è fondamentale perché si formino e si attivino gli enzimi che trasformano l’amido dei chicchi in destrine e maltosio, zuccheri capaci di nutrire i lieviti durante la fermentazione. Il malto d’orzo è solo il primo dei quattro ingredienti fondamentali per ottenere la birra. Il secondo è l’acqua che, unita al malto, dà il mosto da fermentare: nessuna alterazione è ammessa, anche la sua durezza può incidere sulla personalità del prodotto finale. Terzo protagonista è il lievito, che compie la trasformazione del mosto, fermentando gli zuccheri, e producendo anidride carbonica e alcol. La birra, però, non sarebbe birra senza il quarto ed ultimo ingrediente: il luppolo. Costituito dalla infiorescenza di un rampicante, è alla sua presenza che si deve il tipico retrogusto amaro. La produzione della birra prevede quattro fasi fondamentali: la preparazione del mosto, la luppolatura, la fermentazione e la maturazione. Per il mosto si macina il malto per ottenerne farina, che si miscela con acqua calda in una apposita caldaia. Per effetto dell’umidità e delle alte temperature, si riattivano gli enzimi. Il calore in questa fase è determinante per le caratteristiche finali della birra e si può controllare con l’infusione (ossia la farina si mescola con acqua a 40 °C e si riscalda gradualmente il mosto fino a raggiungere i 65 °C), oppure con la decozione

(l’impasto viene preparato a freddo, poi riscaldato e portato a temperatura con aggiunte di mosto, estratto e riscaldato a parte). A questo punto la bevanda viene filtrata e inviata alla luppolatura: messa di nuovo in caldaia, fatta bollire e aromatizzata con il luppolo. A fine cottura, il luppolo è separato e il mosto raffreddato per la fermentazione, durante la quale si aggiunge il lievito. La birra matura per alcune settimane in tini chiusi dove si satura di anidride carbonica e raggiunge il giusto equilibrio. La valutazione qualitativa segue il classico schema del vino: analisi visiva, olfattiva e gustativa. Si considerano il colore, la limpidezza e la spuma; mentre per alcune la torbidità può essere un difetto, per altre può costituire un pregio essenziale. Poi entra in gioco la competenza dell’assaggiatore, che sa riportare le sue valutazioni personali a quelle del particolare “stile birrario”. Le produzioni artigianali sono quelle che maggiormente regalano soddisfazioni. Oltre agli ingredienti essenziali, la competenza e la sensibilità del mastro birraio portano in tavola una vera e propria cultura gastronomica. Quello delle birre artigianali e dei brew-pub è un mondo in continua espansione ed evoluzione. Non resta che prendersi il tempo necessario per viaggiare… e bere tutto! Chiara Papotti

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LO CHEF DELL’OLIO

A proposito di Extravergine, io vorrei… di Fabrizio Bertucci

orrei… Che le persone iniziassero a considerare l’olio extravergine di oliva al pari del vino. I numeri ci sono. In Italia abbiamo circa 600 vigneti, così come abbiamo circa 600 varietà di olive. Eppure oggi, quando ci riferiamo al vino, chiediamo UN CHIANTI, UN LAMBRUSCO, piuttosto che UN FRANCIACORTA, ma quando finisce l’olio compriamo… ”UNA BOTTIGLIA DI OLIO”. Vorrei… Che le persone che all’atto del tagliando pretendono in officina l’OLIO MOTORE da 19,00 €/l, e al supermercato comprano quello d’oliva a 4,00 €/l (totale 23 euro), iniziassero a spostare l’asticella senza variare i budget, magari acquistando quello per l’automobile a 14 €/l e quello per la meravigliosa e unica macchina che è il nostro corpo umano a 9 €/l (totale sempre 23 euro!). Vorrei… Che i sommelier e gli assaggiatori di olio extravergine di oliva recuperassero in fretta i VENT’ANNI di gap che ci dividono dalla data in cui hanno iniziato i sommelier del vino, al fine di far godere nasi e palati dei nostri ospiti con profumi, sentori e sensazioni meravigliose. Magari incentivando i più interessati a frequentare i nostri stessi corsi professionali. Vorrei… Che anche gli ultimi produttori arroccati sulla frase “MA IO HO L’OLIO MIO…”, partecipassero alle manifestazioni, alla vita associati-

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va, ai circuiti delle guide e dei premi, al fine di migliorare e migliorarsi con scambio di informazioni ed assaggi reciproci. Vorrei… Che i ristoratori, dalla trattoria di quartiere in poi, prendessero in seria considerazione la CARTA DEGLI OLI come strumento di qualità e professionalità. Inizialmente snella, contenente due oli extravergine fruttati leggeri, due medi e due intensi, magari del territorio, raccontati in sala ed abbinati con sapienza ai piatti in menu. Con bottiglie da 250 ml non necessariamente da consumare completamente sul posto, anzi, da portare a casa e cominciare ad avere nella dispensa domestica assaggi diversi da offrire agli amici. Vorrei… Che il movimento dell’OLEOTURISMO in breve tempo si diffondesse al pari dell’enoturismo, rendendo le due attività, ove possibile, complementari. Quindi FRANTOI APERTI, non solo cantine, eventi nel periodo di molitura, pranzi, aperitivi e cene in oliveto con candele accese e tovaglie a quadri. Degustazioni, racconti ed assaggi su bruschette, panzanelle, fino ai piatti gourmet. Vorrei… Che gli ISTITUTI PROFESSIONALI dedicassero più ore di lezione, atte a formare i futuri cuochi o responsabili di sala, all’olio extravergine di oliva, le sue origini, la sua diffusione, le proprietà nutraceutiche e organolettiche (se ci legge qualche preside, può contare su di me fin da ora!).

Vorrei… Che i FOOD INFLUENCER (per capirci quelli dei Reel e dei TikTok) utilizzassero i loro miliardi di follower come veicolo di diffusione di qualità, provando a sostituire la frase finale dei video, tanto vaga quanto sterile “CHIUDO IL PIATTO CON UN FILO DI OLIO BUONO”, aggiungendo almeno i dettagli della Cultivar, la regione di provenienza ed il motivo dell’abbinamento con quell’olio extravergine. Vorrei… Che la GRANDE DISTRIBUZIONE continuasse a dedicare parte dello scaffale, magari ampliandolo progressivamente, ai nostri oli extravergine di qualità, semplicemente partendo dalle DOP e dalle IGP. Insomma Vorrei… Che il movimento facesse cartello, media inclusi (a proposito, grazie ancora Premiata Salumeria Italiana per l’opportunità che mi riservate come professionista e divulgatore), al fine di guadagnare giorno dopo giorno quei famigerati CENTIMETRI di paciniana memoria (Ogni Maledetta Domenica, OLIVER STONE, 1999) e regalare al mondo dell’Olio Extravergine di Oliva Italiano di Qualità la platea che gli compete. Ma possiamo farlo soltanto tutti insieme. A presto, il vostro chef dell’olio * FABRIZIO BERTUCCI è chef Euro-Toques Italia e Sommelier dell’olio FIS–Fondazione Italiana Sommelier.

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Uno degli strumenti più efficaci per diffondere una corretta cultura dell’olio è la cosiddetta Carta degli oli. I vantaggi che ne deriverebbero andrebbero al ristoratore, che ne guadagnerebbe in prestigio, al produttore, che vedrebbe valorizzato al maglio il proprio lavoro, e al cliente, immediatamente nel piatto e a livello di conoscenza personale.

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Olitalia e Filiera Agricola Italiana insieme per valorizzare la filiera dell’olio extravergine d’oliva 100% italiano Olitalia, azienda italiana di proprietà familiare guidata dai fratelli Angelo, Camillo e Elisabetta Cremonini, specializzata nella produzione di oli e aceti, leader storico nel canale Food Service e Filiera Agricola Italiana, che rappresenta l’insieme dei produttori agricoli italiani appartenenti al sistema Coldiretti, firmano un accordo per valorizzare la filiera dell’olio extravergine d’oliva coltivato e lavorato in Italia. Con questo accordo, Olitalia si impegna ad acquistare olio extravergine d’oliva 100% italiano, garantito e tracciato da Filiera Agricola Italiana, per il suo prodotto italiano di punta “ORO”. Un ulteriore tassello all’impegno quotidiano di Olitalia nel selezionare materie prime eccellenti e offrire ai consumatori prodotti di qualità e origine garantita. La partnership con Filiera Agricola Italiana comporta un valore aggiunto per tutti gli attori coinvolti, in quanto comporta per i consumatori una maggiore garanzia sulla certezza dell’origine italiana della materia prima e sulla sostenibilità della filiera, contribuendo ad effettuare scelte di acquisto sempre più consapevoli e per gli agricoltori una maggiore stabilità economica ed una minore incertezza dovuta a contratti di acquisto della materia prima che prevedono prezzi fissati e premialità per la copertura dei costi di produzione. Infine, questo accordo per Olitalia rappresenta una maggiore garanzia di qualità, tracciabilità e rispetto dei valori etici nei processi produttivi. «In Olitalia ci impegniamo quotidianamente a selezionare materie prime eccellenti perché la qualità rappresenta uno dei valori fondanti dell’azienda» dichiara Angelo Cremonini, presidente di Olitalia. «Con questo accordo vogliamo contribuire alla valorizzazione della filiera italiana e offrire al mercato un prodotto che rispetto i valori etici della sostenibilità e di una maggiore garanzia sulla tracciabilità di filiera. In Olitalia crediamo anche che creare alleanze sia il modo migliore per tutelare una filiera, come quella dell’olio extravergine d’oliva, che rappresenta un simbolo della tradizione enogastronomica italiana». «Di fronte allo sconvolgimento dei mercati mondiali provocato dalla guerra è ancora più importante lavorare su accordi di filiera che garantiscano qualità, tracciabilità e valore aggiunto per tutti i soggetti della filiera coinvolti, nell’interesse dei consumatori» commenta Ettore Prandini, presidente di Filiera Agricola Italiana. Sulla confezione Olitalia Extravergine 100% Italiano – ORO venduta in Italia, sarà applicato il logo “Firmato dagli agricoltori italiani”, il marchio con il quale Filiera Agricola Italiana firma il progetto al consumo tra il mondo agricolo e gli operatori di eccellenza dell’industria e della distribuzione moderna. Questo marchio è simbolo di garanzia, sostegno e promozione dei valori di un modello gestionale etico dell’intera filiera produttiva volto a tutelare il lavoro degli agricoltori e il patrimonio agricolo italiano. A proposito di Olitalia Olitalia è un’azienda di proprietà familiare fondata nel 1983, oggi guidata dai fratelli Angelo, Camillo e Elisabetta Cremonini. Specializzata nella produzione di oli e aceti, è leader storico nel mondo della ristorazione e negli ultimi anni si è aperta al mondo del retail con l’obiettivo di portare direttamente ai consumatori la stessa qualità che ogni giorno mette a disposizione delle cucine professionali. L’azienda genera, attraverso 11 linee produttive, un fatturato di 200 milioni di euro dando lavoro a 140 dipendenti (dato aggregato Olitalia e Acetaia Giuseppe Cremonini). A proposito di Filiera Agricola Italiana Filiera Agricola Italiana è una realtà che rappresenta i produttori agricoli italiani, appartenenti al sistema Coldiretti. Attraverso il marchio “Firmato Dagli Agricoltori Italiani”, sviluppa progetti al consumo che promuovono, sostengono e garantiscono i valori dell’intera filiera produttiva agricola italiana. >> Link: www.olitalia.com

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ACETO

L’ACETO BALSAMICO E GLI ALTRI SPECIALTY FOOD CONQUISTANO TUTTI AL SUMMER FANCY FOOD DI NEW YORK Photo © Mauro Barbolini

di Chiara Papotti

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Il Summer Fancy Food Show è il più grande evento americano riservato agli operatori del settore e dedicato esclusivamente a specialità alimentari e bevande. È organizzato dalla Specialty Food Association, associazione senza scopo di lucro fondata nel 1952

Quello dei prodotti alimentari di qualità, i cosiddetti Specialty Food, è un mercato di grande rilievo negli USA: 170 miliardi di dollari il valore nel 2020, con un +19,4% di vendite al dettaglio. Una tendenza testimoniata dal fatto che circa la metà dei consumatori americani sembrerebbe disposta a cambiare le abitudini per ridurre l’impatto ambientale, un passo avanti verso la sostenibilità

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aceto balsamico torna protagonista negli Stati Uniti, nel cuore di New York, al Jovits Center di Manhattan. Dal 12 al 14 giugno scorsi, insieme ai suoi Consorzio di tutela, il prezioso condimento ha infatti calcato il palcoscenico americano, prendendo parte al Summer Fancy Food Show 2022, il più grande evento statunitense riservato agli operatori del settore Food & Beverage. Presenti tutte le 44 certificazioni DOP e IGP dell’Emilia-Romagna, raccolte nel Padiglione Italia, ideato per accompagnare gli ospiti alla scoperta delle tradizioni culinarie della Food Valley. Nessun’altra regione europea ne conta così tante; promosse alla kermesse da 4 Consorzi di tutela e 25 aziende espositrici, su un totale di 2.600 espositori e 25.000 buyer internazionali. A dare il via alla rassegna, insieme al presidente del Fancy Food, BILL LYNCH, e all’ambasciatrice italiana negli Stati Uniti, MARIANGELA ZAPPIA, il presidente della Regione Emilia-Romagna STEFANO BONACCINI, l’assessore regionale all’Agricoltura ALESSIO MAMMI e la presidente dell’Assemblea legislativa EMMA PETITTI. Raccontare ai mercati esteri l’affascinante mondo del balsamico non è affatto facile, tantissimi sono i particolari e le caratteristiche tecniche descritte dettagliatamente nei diversi Disciplinari di produzione, che fanno dell’aceto un alimento complesso. Proviamo a fare un po’ di chiarezza. L’origine è la stessa dell’aceto di vino: proviene dalla fermentazione, prima alcolica e poi acetica, del mosto d’uva. Nonostante questo comune punto di partenza, dal mosto di base si ottengono prodotti tra loro diversi, a seconda delle uve impiegate, delle tecniche produttive e delle aree di produzione. Ecco, dunque, le tre produzioni d’eccellenza emiliane: l’Aceto Balsamico di Modena IGP, differente per qualità e pregio dall’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP, a sua volta differente dall’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia DOP. È nell’aggettivo “tradizionale” che si nasconde una differenza fondamentale, in quanto non identifica solamente un distinto livello di pregio, ma anche e soprattutto caratteristiche organolettiche e commerciali decisamente separate.

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Le due DOP si ottengono in modo artigianale solo a partire dal mosto cotto, fermentato nelle acetaie, e invecchiato per almeno 12 anni prima di essere immesso sul mercato. Le somiglianze tra le due sono parecchie, ma le diversità esistono e sono riferibili soprattutto al territorio di produzione. Del resto è comprensibile: non solo la varietà di uva influisce sul prodotto finale, ma anche i fattori climatici incidono in modo determinante. Il mosto per l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena si ottiene dai vitigni Lambrusco, Ancellotta, Trebbiano, Sauvignon, Sgavetta, Berzemino e Occhio di Gatta (oltre alle uve dei vigneti iscritti alle DOC in provincia di Modena). Il Tradizionale di Reggio Emilia, invece, è prodotto con mosti di vigneti composti dagli stessi vitigni di quello di Modena, ma situati nella provincia di Reggio Emilia. I rispettivi Disciplinari differiscono, inoltre, per la cottura del mosto, la descrizione delle operazioni di affinamento e invecchiamento e le caratteristiche di composizione del prodotto (acidità e densità zuccherina). I produttori sono tenuti ad utilizzare bottigliette diverse per i due aceti: sferica con base rettangolare in vetro massiccio per quello di Modena, a forma di tulipano rovesciato per quello di Reggio. Il Tradizionale di Modena è commercializzato a due livelli di invecchiamento: almeno 12 anni per l’Affinato e almeno 25 per l’Extravecchio. Quello di Reggio è, invece, venduto in tre qualità, riconoscibili per la presenza di bollini dal colore diverso sulla bottiglia: Aragosta (oltre 12 anni), Argento (oltre 15 anni) e Oro (oltre 25 anni). L’Aceto balsamico di Modena con la certificazione IGP, invece, può essere prodotto con mosto concentrato, mosto cotto e aceto di vino (è consentita anche l’aggiunta di caramello, in una quantità massima del 2%, per stabilizzare il colore e dare la densità desiderata). Prodotto per lo più industrialmente, è invecchiato per un tempo molto più breve rispetto alle DOP (non meno di 2 mesi e, generalmente, non oltre i 3 anni) e mantiene un gusto più spiccatamente acido. Rispetto al comune aceto di vino, vanta comunque una composizione più ricca ed equilibrata, che gli conferisce una propria identità gastronomica.

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In alto: acetaia (photo © stock.adobe.com). In basso: l’assaggio (photo © Max Cavallari). L’esistenza di due differenti tipologie di aceto balsamico, distinguibili dalla presenza dell’aggettivo tradizionale, può lasciare perplesso il pubblico, ma, all’atto pratico, neppure al consumatore più sprovveduto può sfuggire l’abissale differenza di prezzo tra i due prodotti. Un divario giustificato dai diversi costi

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di produzione e che evita ogni possibile concorrenzialità tra le differenti categorie: più accessibile quello a Indicazione Geografica Protetta, di nicchia e da veri intenditori quelli Tradizionali. Gli aceti balsamici presentati al Summer Fancy Food rientravano fra gli Specialty Food, prodotti alimentari

unici e di grande valore realizzati in piccole quantità con ingredienti di alta qualità. Non c’è dubbio che tali eccellenze incontrino il favore di una quota sempre maggiore di cittadini statunitensi. Un export di grande rilievo: 170 miliardi di dollari il valore nel 2020, con un +19,4% di vendite al dettaglio (+24% nel biennio dal 2018). Gli Stati Uniti rappresentano, infatti, il secondo Paese di destinazione dell’export emilianoromagnolo, dopo la Germania e prima della Francia. L’agroalimentare costituisce il terzo settore dopo la meccanica e la salute, con un valore che sfiora i 670 milioni di euro nel 2021. Il motivo per cui la Regione intende lanciare il programma di promozione agroalimentare “Made in ER-Usa 2022-2023”, di cui la missione di questi giorni rappresenta l’inizio. Il grande salone dedicato al cibo di New York, giunto alla 66a edizione, ha contribuito a gettare le basi per una presenza più strutturata alla prossima edizione, con il desiderio di inaugurare anche uno stand ad hoc della Regione Emilia-Romagna. «Lo scopo e le modalità della partecipazione al Summer Fancy Food Show 2022 — spiega il direttore del Consorzio di tutela dell’Aceto Balsamico di Modena IGP FEDERICO DESIMONI — si differenzia sensibilmente da quanto fatto in passato; la presenza del Consorzio, infatti, è principalmente finalizzata a lanciare un nuovo progetto di interazione con il consumatore per cui è necessaria la collaborazione della distribuzione. L’intenzione è, dunque, quella di coinvolgere i rappresentanti del mondo della distribuzione, far conoscere loro il progetto Consortium Profile accompagnandoli in brevi momenti esperienziali e di degustazione». Per l’Aceto Balsamico di Modena IGP quello statunitense è un mercato particolarmente significativo: basti pensare che il prodotto qui esportato in volume supera i 30 milioni di litri e rappresenta circa un terzo di tutto l’export (32,6%). Un’occasione preziosa per creare nuove sinergie e favorire la conoscenza e la valorizzazione dei prodotti agricoli e alimentari in un mercato già oggi significativo come gli Stati Uniti. Chiara Papotti

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Food Valley–Motor Valley, sinergie per il turismo nel Modenese Numeri in crescita per il turismo in EmiliaRomagna nel primo anno post-pandemia. A livello regionale, l’incremento medio nel 2021 rispetto al 2020 riportato nel rapporto diffuso dalla Regione Emilia-Romagna è stato del 40,7% e tra le province, a guidare la classifica è stata proprio Modena, con +48,8%. All’interno di essa, a beneficiare maggiormente della ripresa è stato il comune capoluogo con +62,1%, seguito da Campogalliano (+57,5%) e Maranello (+48%). Un dato, quest’ultimo, che conferma l’importanza dei due settori trainanti dell’economia regionale — e nazionale — ovvero il food e l’automotive. È proprio nei territori di riferimento di questi che si sono concentrati maggiormente i flussi, confermando come essi rappresentino non solo un asset strategico a livello produttivo ma altresì nell’ambito dell’attrattività turistica. Ed è stato dedicato proprio alle sinergie e ai punti di forza della Food e Motor Valley il convegno “Emilia Romagna e turismo: sinergie e punti di forza tra Motor e Food Valley”, organizzato da Piacere Modena in collaborazione con l’Assessorato all’Agricoltura e Agroalimentare, Caccia e Pesca della Regione, col patrocinio della Camera di Commercio di Modena e del Comune di Modena, nell’ambito della quarta edizione del Motor Valley Fest. «I turisti stanno tornando e scelgono sempre di più vacanze esperienziali e Modena offre eccellenti opportunità con i due settori produttivi trainanti dell'economia: la Food Valley e la Motor Valley, che nel tempo sono divenuti degli attrattori, dei driver turistici di rilevanza economica e strategica per tutto il territorio» ha commentato il presidente di Piacere Modena Enrico Corsini. «Tra cibo e motori ci sono molte sinergie: c’è la qualità del nostro territorio, ci sono le competenze, c’è la passione che diventa business e crea benessere per il territorio» ha dichiarato l’assessore Alessio Mammi. «Piacere Modena è un unicum: ha saputo raggruppare le eccellenze del territorio di Modena, i nostri prodotti tipici, e gestire promozione, valorizzazione e tutela in modo coordinato ed efficiente. Questo modo di operare può essere da esempio anche per altri territori della regione». La velocità della pista, la lentezza dell’attesa per ottenere un buon Lambrusco Sergio Campana (in foto) è un testimonial d’eccezione della sinergia tra motori e cibo. Già pilota di Formula 3 e titolare dell’omonima tenuta agricola di Campogalliano (tenutecampana.it), Sergio ha infatti scelto di continuare la tradizione agricola familiare, lunga cinque generazioni e con oltre 200 ettari, 28 dei quali oggi coltivati a vigneto. Al mondo della velocità ha quindi deciso di affiancare paradossalmente quello della lentezza e dell’attesa che caratterizza la produzione agricola e in particolare quella del Lambrusco. L’azienda agricola Sergio Campana è stata inoltre scelta, con altri imprenditori, da “Fattore Futuro”, un progetto McDonald’s. La farina del pane McDonald’s, quindi, proviene anche da questi campi di grano in provincia di Modena.

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SALSE

UN OMAGGIO ALLA SENAPE di Josette Baverez Blanco

n semplice pranzo da un’amica mi ha ricordato che da tempo volevo scrivere qualcosa sulla famosa senape di Digione, in Borgogna. Lei ci aveva servito involtini alla senape, preparati per la prima volta con il terrore che il sapore fosse troppo forte. Erano invece deliziosi e l’ho spronata a cucinare più

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spesso con la senape, che, in cottura, diventa crema delicata al palato e ottima per la salute. La uso personalmente regolarmente per ricoprire arrosti, insaporire il fegato di vitello, avvolgere il coniglio, sorprendendo ed entusiasmando i miei commensali. Tanti la conoscono solo come intingolo o condimento di fast food, hot dog e patatine fritte. Accom-

pagna invece ottimamente anche verdure, patate lesse, uova sode, il bollito e più in generali tutte le carni crude o cotte. Solo il pesce dal sapore delicato verrebbe mortificato da un uso della senape in purezza. In Francia è infatti spesso accompagnato da maionese a base di senape come lo sono vinaigrette e remoulade per le insalate.

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La senape, che in Francia si chiama moutarde — ma non ha niente a che vedere con la nostra mostarda —, arriva Oltralpe nel 1500. Le prime tracce di coltivazione della senape risalgono al 3.000 a.C., in Asia. Dall’India passa da Greci e Romani, i quali preparavano una crema con i semi polverizzati, aceto, miele, noci e spezie. La senape veniva spesso aggiunta al mosto, il moût, in lingua francese, da cui moutarde. Nel XIII secolo il mustum ardens, il mosto che arde, era un impasto con il mosto caldo dal sapore piccante. La prima corporazione di produttori di senape nasce ad Orléans nel 1500 ma è Digione che ne diventa il portabandiera nel 1550. Siamo in Borgogna, zona viticola, e la senape bruna si arricchisce di succo di uva acidula senza maturazione oltre al solito aceto, sale e acido citrico. Tre regioni vinicole producono senape in Francia: quella di Bordeaux è più dolce ed è stata esportata assieme ai vini verso l’Inghilterra, mentre quella alsaziana, fatta anche con la birra, si è sviluppata verso la Germania. Nel 1825, a Digione, fiorisce la grande produzione industriale. In due secoli di vita, il prodotto ha cambiato pochissimo di sé: la stessa materia prima, identica qualità e una lavorazione, oggi come allora, basata su antiche ricette gelosamente conservate. In Italia, la marca Louit Frères ha trovato posto sia sugli scaffali della Grande Distribuzione che nelle boutique alimentari. La caratteristica boccettina in vetro ha sostituito i bicchieri illustrati o vasetti di Moutarde de Dijon fine et forte della mia infanzia firmati Amora, la marca allora più famosa per non dire unica. Louit Frères ha diversificato la sua produzione venendo incontro alla varietà di gusti richiesti da una clientela sempre più esigente. Sono almeno sei le senapi commercializzate dalle spiccate caratteristiche aromatiche, forte, semiforte, delicata, delicata al pepe verde, rustica, dragoncello. Le popolazioni orientali si nutrono anche con le foglie e i gambi della pianta, mentre i semini chiari venivano masticati assieme alla carne resa così più gustosa e digeribile. Per gli Egizi la senape aveva preziose virtù mentre Abramo serve agli angeli lingua di vitello bollita con senape.

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La senape si abbina molto bene alla carne, soprattutto a quella di maiale, e naturalmente anche agli insaccati, in particolare al prosciutto cotto, anche tagliato a fette spesse e arrostito, ai diversi tipi di salsicce e ai würstel. Meglio optare in questo caso per una senape gialla di qualità, come quella di Digione, coi semini lasciati interi. La senape usata in Italia è di solito ottenuta dalla miscelazione di semi bianchi e neri ridotti in polvere, mescolati con ingredienti come aceto di barbabietola e spezie. Dai Greci, il padre della medicina ESCULAPIO svela le proprietà rivulsive dei semi. Con i Romani abbiamo la prima ricetta documentata, nel Del re rustica di COLUMELLA (I secolo d.C.). Loro sfruttavano le proprietà antiossidanti della senape per conservare frutta, verdura, succhi e mosto. PLINIO il naturalista riprende le idee di Esculapio, IPPOCRATE e PITAGORA sostengono gli usi terapeutici dei semi tritai con aceto contro gli avvelenamenti, funghi, morsi di scorpioni o serpenti. L’elenco di Plinio inserisce disturbi eterogenei da trattare coi semi di senape. Si spazia dal mal di dente al mal di gola, dalle lombaggini all’epilessia, dall’asma all’epilessia o all’inappetenza. Si curano anche derma-

tosi, tetano, alopecia, letargia, micosi, calcoli, lividi, contusioni, spossatezza femminile, affezioni dello stomaco, problemi digestivi, tutte applicazioni per uso interno ed esterno ancora in vigore in fitoterapia. La pianta stessa della senape, del genere Brassica, famiglia delle Brassicacee, viene nominata nella Bibbia: il Regno di Dio viene paragonato al suo seme piccolissimo come la punta di uno spillo che cresce e, con grande dinamismo vitale, diventa una pianta che può raggiungere anche i tre metri di altezza, un albero che offre riparo agli uccelli come sarà il regno di Dio per gli uomini. Josette Baverez Blanco

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TECNOLOGIE

OTTO MOTIVI PER SCEGLIERE L’ERP CSB-SYSTEM l sistema ERP è la colonna portante di un’azienda e man mano che la digitalizzazione si espande o si rende necessaria a causa della pandemia in corso, la funzione ed il valore del gestionale diventano sempre più significativi. Di seguito otto buoni motivi per affidarsi al CSB-System.

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1. Tagliato “su misura” per il settore Il CSB-System è stato sviluppato specificatamente per il settore alimentare. È vero che i produttori di pane e prodotti da forno hanno sfide diverse da affrontare rispetto ai produttori del lattiero-caseario; anche i salumi seguono

una filiera diversa rispetto alla frutta & verdura, e così via… Ma si pensi piuttosto a tutto quello che hanno in comune tutte queste aziende: devono garantire la rintracciabilità del prodotto dal “campo alla tavola”, gestire le anagrafiche di clienti e fornitori, procedere agli acquisti di materie prime e componenti con pianificazione integrata sulla base dei fabbisogni completi, gestire la produzione e il confezionamento con stampa delle etichette secondo gli standard nazionali ed internazionali; si potrebbe continuare con la gestione delle vendite, il controllo qualità, la contabilità ma la lista sarebbe davvero lunga. CSBSystem conosce in modo dettagliato

tutti i comparti del settore alimentare e offre soluzioni preconfigurate per ognuno di questi. Inoltre, l’implementazione dell’ERP CSB-System offrirebbe anche l’opportunità di intervenire sui processi aziendali per migliorarli. 2. Funzionalità estese Il CSB-System è un ERP completo, ovvero offre funzionalità estese per ogni area aziendale lungo la filiera: dagli Acquisti alla Produzione, dal Magazzino alle Vendite. Si evitano così soluzioni ad isola, interfacce e molteplici inserimenti degli stessi dati con tutto quello che ne deriva: maggiori possibilità di errore, impiego non ottimale delle risorse umane,

Il CSB-System è stato sviluppato specificatamente per il settore alimentare, conoscendo il Gruppo tutti i comparti.

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È indispensabile per l’azienda ottimizzare continuamente i processi produttivi dall’inserimento dell’ordine fino al prodotto finito. Il FACTORY ERP® del CSB-System offre insieme i vantaggi di un ERP e un MES e fa in modo che si crei un legame tra gestione dell’azienda e della produzione e sia facilitato il collegamento in rete macchina verso macchina difficoltà nel coordinamento dei diversi fornitori IT, aumento dei costi. Molti dei clienti CSB hanno implementato strategicamente il 100% del software, per sfruttare al massimo i vantaggi di un software integrato: dalla Contabilità cespiti alla Rilevazione presenze, dal Controllo Qualità alla Gestione dei macchinari, fino alla Business Intelligence e Gestione Documentale. 3. Possibilità d’ampliamento L’ERP CSB-System è anche modulare, ovvero può crescere con le mutate esigenze dell’azienda o del legislatore, secondo step liberamente definibili. Una volta implementati i moduli base, collegare successivamente una linea di peso-prezzatura oppure dei tablet per la presa ordini dei rappresentanti non richiede sicuramente il dispendio di tempo e lo sforzo economico di un progetto ex-novo e garantisce una percentuale di successo maggiore. 4. Lo stesso software a livello globale L’ERP CSB-System è un software multilingua e vi sono sedi del gruppo CSB in tutti i continenti. Questo consente alle aziende con filiali in Paesi diversi di implementare e utilizzare lo stesso

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Nell’industria alimentare l’automazione semplifica il processo produttivo, evita gli errori causati da un inserimento manuale dei dati, controlla la performance dei processi e li migliora.

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In futuro l’intera filiera alimentare sarà molto più connessa di oggi: lo dicono gli esperti. Ma la strada verso la “fabbrica intelligente” richiede un’evoluzione consapevole e mirata e un’integrazione di tecnologie, processi e condizioni organizzative di base, perché non si può stravolgere tutto dall’oggi al domani. In altre parole la fabbrica intelligente comincia con il gestionale giusto come l’ERP CSB-System. software a livello globale. Un vantaggio competitivo enorme, dunque, se solo si pensa all’opportunità per la direzione aziendale di avere una supervisione centralizzata di dati e informazioni. E questo vale anche per le piccole e medie imprese che abbiano prospettive di crescita. Vale la pena aggiungere che il CSB-System dispone della contabilità specifica di ogni Paese e la integra nel pacchetto base del gestionale merci già nella sua versione standard. 5. Stabile e facile da aggiornare L’ERP CSB-System è facile e veloce da aggiornare nonché utilizzabile anche in Cloud; così i dipendenti potranno dedicarsi quasi esclusivamente al core business dell’azienda anziché occuparsi dell’infrastruttura tecnologica. Un gestionale basato sul web dà inoltre l’opportunità di collegare in rete in pochissimo tempo i settori logistica, produzione e distribuzione. Il gruppo CSB-System già nel 2009 ha costruito una Server Farm con un Centro Elaborazione Dati all’avanguardia in grado di soddisfare le più elevate esigenze in materia di sicurezza. La capacità di calcolo in outsourcing di dati viene stimata in circa 20.000 utenti in Cloud Computing. 6. MES integrato nel gestionale Per imporsi sulla concorrenza è indispensabile per l’azienda ottimizzare

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continuamente i processi di produzione dall’inserimento dell’ordine fino al prodotto finito. L’applicazione MES del CSB-System ha la principale funzione di gestire e controllare la funzione produttiva dello stabilimento. La gestione coinvolge il dispaccio degli ordini, gli avanzamenti in quantità e tempo, il versamento a magazzino, nonché il collegamento diretto ai macchinari per ricavarne informazioni utili sulla produzione. Il FACTORY ERP® del CSBSystem offre i vantaggi di un ERP e un MES contemporaneamente e fa in modo che si crei un legame tra gestione dell’azienda e gestione della produzione e che venga facilitato il collegamento in rete macchina verso macchina. 7. Supporto al processo di automazione Nell’industria alimentare l’automazione semplifica il processo produttivo, evita gli errori causati da un inserimento manuale dei dati, controlla la performance dei processi e li migliora. L’ERP CSB-System, grazie all’integrazione completa della logistica interna ed esterna nei processi operativi, supporta l’automazione dell’intralogistica, soprattutto per soddisfare le richieste del settore alimentare relativamente alla freschezza del prodotto. L’automazione dell’intralogistica pone le fondamenta per il passaggio verso l’Industria 4.0 e la fabbrica intelligente.

8. Pronto per l’Industria 4.0 Gli esperti valutano che in futuro l’intera filiera alimentare sarà molto più connessa di oggi. Ma la strada verso la “fabbrica intelligente” richiede un’evoluzione consapevole e mirata e un’integrazione di tecnologie, processi e condizioni organizzative di base, perché non si può stravolgere tutto dall’oggi al domani. In altre parole la fabbrica intelligente comincia con il gestionale giusto. L’ERP CSB-System accompagna le industrie del settore alimentare in questo percorso.

Referente: • Dott. A. MUEHLBERGER CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

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STORIA E CULTURA

BARTOLOMEO SACCHI, IL GASTRONOMO DEL RINASCIMENTO di Giovanni Ballarini

Bartholomaeus Platina, De honesta voluptate et valetudine, Venezia, 25 agosto 1494.

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Seicento anni del Platina el 2021 è caduto il sesto centenario della nascita di BARTOLOMEO SACCHI detto il Platina (Piadena, 1421 – Roma, 21 settembre 1481), umanista italiano riconosciuto come l’iniziatore della critica gastronomica moderna. Nato a Piadena, paese vicino a Cremona chiamato in latino Platina, da cui prende il soprannome, si trasferisce a Mantova per avviarsi agli studi umanistici e qui diviene precettore dei figli di Ludovico III Gonzaga. Nel 1457 si reca a Firenze entrando a far parte dell’ambiente culturale locale e stringendo amicizia con celebri umanisti quali MARSILIO FICINO, POGGIO BRACCIOLINI, FRANCESCO FILELFO, CRISTOFORO LANDINO, GIOVANNI PICO DELLA MIRANDOLA, LEON BATTISTA ALBERTI e molti altri. Sul finire del 1461 si trasferisce a Roma, dove FRANCESCO DELLA ROVERE, divenuto papa Sisto IV (1471-1484), con la bolla Ad decorem militantis Ecclesiae, il 15 giugno 1475 lo nomina bibliotecario della Biblioteca Vaticana. Morirà in questa città il 21 settembre 1481, trovando sepoltura nella basilica di Santa Maria Maggiore.

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Maestro Martino Nonostante una nutrita serie di pubblicazioni, il lavoro principale del Platina resta un breve trattato di gastronomia, il De honesta voluptate et valetudine, stampato anonimo e senza note tipografiche a Roma da Han nel 1474 e subito dopo, nel 1475, a Venezia, con indicazione di autore e note tipografiche. Il De honesta voluptate et valetudine — che avrebbe come titolo completo De natura rerum or de obsoniis or de honesta volupate, et de tuenda valetudine, come suggerisce una nota biografica sovrascritta nel 1841 sulla copia originale conservata al Museo Archeologico Nazionale di Cividale del Friuli—, ebbe un’ampia diffusione anche al di là dei confini italiani tanto che, in meno di cento anni, apparvero oltre trenta edizioni anche in Francia, Inghilterra e Germania. Tutto inizia con LUDOVICO TREVISAN, ricco e mondano cardinale patriarca di Aquileia nel 1439, ciambellano papale l’anno successivo e soprannominato Cardinal Lucullo per i suoi banchetti allestiti da Mastro Martino da Como. Questo cuoco scrive

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in lingua volgare il Libro de Arte Coquinaria, un ricettario che sarebbe rimasto misconosciuto se proprio Bartolomeo Sacchi non lo avesse utilizzato per la sua opera scritta in latino classico e indirizzata all’alta società dell’epoca: “Quale cuoco, o dèi mortali, può essere paragonato al mio Martino da Como, dal quale ho imparato la maggior parte delle cose che vado scrivendo?”. Col Platina la cucina rinascimentale inizia a dare addio al Medioevo: scompare ad esempio l’abitudine di condire ogni piatto con spezie pregiate per dimostrare quanto fosse ricco il padrone di casa, preferendo cucinare in modo naturale alimenti di per sé buoni e del luogo, ma non in maniera incondizionata. Quella del Platina è una gastronomia di élite che rifiuta le pappe e i purè di cereali o di verdure dei ceti poveri, respingendo alcuni odori ritenuti come grossolani: “l’aglio e la cipolla vanno bene per i contadini, che li mangiano volentieri e a cui si addicono per la povertà della loro condizione e per il lavoro che fanno”. Permane l’apertura ad altre gastronomie, soprattutto a quella araba, non solo nelle salse ma anche nella vasta gamma dei dolci. Dieci libri Il De honesta voluptate et valetudine si divide in dieci libri: i primi cinque descrivono la natura degli alimenti, gli altri sono un ricettario. Un ampio indice dei capitula testimonia quanto in realtà gli argomenti trattati siano vasti: già nel primo libro si trovano infatti i suggerimenti per la scelta di un giusto luogo per abitare e i consigli sullo stile di vita da seguire: de exercitatione corporis, de ioco et ludo, de somno e de exercitatione post somnu. Dopo le prescrizioni sulla preparazione della mensa e la scelta del cuoco, vi sono le proposte su quel che sia conveniente mangiar per primo. Nel secondo capitolo vi è un’approfondita descrizione della frutta e di altri prodotti come burro, olio, aceto, miele e latte. Il terzo capitolo è dedicato alle droghe e spezie usate in cucina, dei pistacia, degli aromata, delle radici del cinnamomo e del ginger, croco, noce moscata, menta e ruta, a dimostrazione che il Platina possedeva una grande conoscenza dal punto di vista storico e medico, proponendo

preziosi consigli alimentari. Il quarto capitolo è dedicato alla conditura di vario tipo e il quinto alla descrizione ed alla preparazione delle carni di selvaggina e animali domestici, mentre i capitoli dal sesto al decimo sono dedicati alle ricette ricavate, come si è detto, da Maestro Martino, e comprendono anche preparazioni di pasticceria. Un umanista gastronomo Il Platina è un umanista che legge e studia gli antichi e conosce gli scritti di MARCO TERENZIO VARRONE (116 a.C. – 27 a.C.), LUCIO GIUNIO MODERATO COLUMELLA (4 d.C. – 70 d.C.), CAIO PLINIO SECONDO IL VECCHIO (23 d.C. – 79 d.C.), MARCO GAVIO APICIO (fine del I secolo d.C.) e dei medici greci e anche per questo nel 1467 è imprigionato con l’accusa di avere idee pagane e essere un epicureo (dall’accusa sarà prosciolto all’inizio del 1469). Si ritiene conosca le idee di ARCHESTRATO DI GELA (IV secolo a.C.), cultore dell’arte del piacere e considerato un precursore di Epicuro, creatore di un nuovo pensiero gastronomico che si afferma durante la Roma imperiale e le cui tracce affiorano nella satira IV del libro II di QUINTO ORAZIO FLACCO (65 a.C. – 8 a.C.) e, indirettamente, nell’opera di Apicio. Il De honesta voluptate et valetudine è permeato da un’aria di risveglio umanistico e di modernità linguistica. Come rileva JEAN-FRANÇOIS REVEL (REVEL J.F., Un Festin en Paroles, Histoire littéraire de la sensibilité gastronomique de l’antiquité a nos jours, Jean-Jacques Pauvert, 1979), una delle caratteristiche principali del volume è la buona educazione, l’arte di vivere, di organizzare le mense e di stare a tavola e solo in posizione secondaria il libro contiene diverse ricette di Maestro Martino, il più celebre cuoco del XV secolo, di cui il Platina loda l’inventiva, il talento, la cultura. Ed è nelle questioni di galateo e ornamento, buon tono e raffinatezza che il libro esercita subito una grande influenza in tutta Europa e continua a mantenerla per lungo tempo. Seppure scritto e pubblicato nell’austera Biblioteca Vaticana, il De honesta voluptate et valetudine nasce e si sviluppa nell’ambito della rivoluzione artistica culturale di Firenze, quando Leon Battista Alberti scrive i trattati De pictura e

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Sisto IV nomina il Platina prefetto della Biblioteca Vaticana (Melozzo da Forlì, 1477, Pinacoteca Vaticana). De re aedificatoria abbandonando una visione medievale per cui l’arte è considerata espressione simbolica di verità teologiche e mettendo invece al centro il fondamento razionale delle arti e la necessità per l’artista di avere un’ampia conoscenza di base che spazia dalla storia alla poesia alla matematica. Quello che l’Alberti fa per le arti pittoriche, scultoree e architettoniche aprendo la strada a GIORGIO VASARI (1511-1574), il Platina lo fa per l’arte della cucina. In un nuovo pensiero di critica gastronomica rinascimentale, come indica il titolo stesso del volume, scopo dell’autore del De honesta voluptate et valetudine è permettere di godere

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dei piaceri della tavola (voluptate), senza violare regole morali ed estetiche (doppio significato di honesta), dando buoni consigli sulla salute (valetudine), con inedite, quanto avveniristiche per l’epoca, analisi sulla gastronomia, sulla dieta, sul valore del cosiddetto “cibo del territorio” e persino sull’utilità di una regolare attività fisica. Bisognerà attendere JEAN ANTHÈLME BRILLAT SAVARIN (1755-1826), con la sua Physiologie du Goût ou Méditations de Gastronomie Transcendante, opera anche questa di un homme d’esprit pubblicata anonima nel 1825 e solo postuma col nome dell’autore, per avere un altro libro di critica gastronomica che

consideri il piacere della tavola senza violare morale e estetica. Anche se, dominata da una lunga tradizione, la Fisiologia del Gusto non riesce a separare completamente l'aspetto medico da quello edonistico della gastronomia. Archestrato, Platina e Brillat-Savarin, in tempi e luoghi diversi e ognuno a suo modo, sono letterati che con la loro opera costruiscono la figura dell’intellettuale che con una critica gastronomica fornisce i capisaldi teorici dell’antica cucina ellenista, della cucina rinascimentale e barocca e della cucina borghese moderna. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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IL PROSCIUTTO DI PARMA NELL’ISOLA MISTERIOSA di Giovanni Ballarini

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iamo nel pieno della cosiddetta Guerra Fredda che dal marzo 1947 al dicembre 1991 contrappone politica ideologica e militare delle due potenze principali emerse vincitrici dalla seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti e l’Unione So-

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vietica, con una divisione dell’Europa in sfere di influenza e la formazione di blocchi internazionali ostili, l’Occidente degli USA e gli altri membri della NATO e l’Oriente dell’Unione Sovietica e i membri del Patto di Varsavia (e in seguito il terzo blocco dei Paesi non allineati).

In questo periodo Plum Island, nella Baia Gardiner al largo della costa di Long Island, nello stato di New York, è un’isola inaccessibile dove vi è il centro federale di ricerche Plum Island Animal Disease Center of New York (PIADCNY). Ufficialmente il centro conduce ricerche

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sugli agenti patogeni animali per proteggere agricoltori e allevatori e tutelare la produzione alimentare statunitense. Nel centro ricerche, nel 1949 e nell’ambito del programma Paperclip, è ospitato anche ERICH TRAUB (1906-1985), scienziato nazista che sull’isola di Riems aveva diretto il centro di ricerca per le armi batteriologiche del Terzo Reich. L’accesso al centro di ricerche e a tutta l’isola è proibito, ma circolano voci che riguardano misteriosi avvistamenti di animali trasformati in mostri da presunti esperimenti. L’isola e il centro saranno aperti al pubblico solo nel 1992, eppure, negli anni 1982-1984, entreranno alcuni Italiani a preparare dei prosciutti. I prosciutti italiani non entrano degli Stati Uniti Negli anni ‘70 del secolo scorso nei cinema italiani si proiettava la pellicola La Mortadella in cui SOFIA LOREN, diretta da MARIO MONICELLI, nella parte di Maddalena Ciarrapico, veniva fermata alla dogana negli Stati Uniti perché non voleva separarsi da una mortadella. Il celebre insaccato bolognese, infatti, non poteva oltrepassare la dogana perché nel Paese potevano entrare soltanto carni sterilizzate e in scatole metalliche, per evitare il possibile propagarsi di pericolose malattie per il bestiame nazionale. I salumi italiani erano già molto apprezzati dagli Statunitensi che col turismo del dopoguerra avevano conosciuto l’Italia, la sua cucina e i suoi prodotti di norcineria. Per questo motivo nel nostro Paese si iniziava a prevedere lo sviluppo di un mercato americano per i salumi, pensando alla possibilità di esportare prodotti nei quali una lunga stagionatura avrebbe inattivato anche i virus eventualmente presenti nella carne di maiale. Bisognava però dimostrare agli Americani che la lunga stagionatura del prosciutto equivaleva a una sterilizzazione ad alta temperatura e che questo prodotto era assolutamente sicuro e il suo commercio non avrebbe introdotto pericolose infezioni negli US. Di questo erano assolutamente convinti i ricercatori italiani soprattutto dell’Università degli Sudi di Parma, i tecnici della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari (SSICA) di Parma e DAVID ELLIS BILTCHIK (1936-2020). Ufficiale del Servizio estero del Diparti-

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In alto: prosciutti di Parma in stagionatura. A pagina 118: Plum Island. mento di Stato americano, Biltchik nel 1959 era a Genova come Vice Console Generale e nel 1981 aveva fondato il The Consultants International Group, nel quale operava nel commercio internazionale e affari tra Italia, Stati Uniti e Giappone, dimostrando una grande capacità di navigare e modificare le leggi commerciali esistenti: la persona più adatta insomma per aiutare il Prosciutto di Parma ad entrare negli USA. Prosciutti sull’isola misteriosa Alla fine degli anni ‘70 anche gli scienziati americani ritenevano che i procedimenti di lavorazione del Prosciutto di Parma potessero inattivare virus eventualmente presenti nelle carni. Bisognava però che questo fosse dimostrato con analisi ufficiali e compiute dagli stessi Americani: ecco perché, negli anni tra il 1982 e il 1984, presso il Plum Island Animal Disease Center, vennero effettuate le necessarie ricerche che consistevano nel produrre prosciutti da maiali infettati con alcuni virus (Afta Epizootica, Peste Suina Classica, Peste Suina Africana e Malattia Vescicolare) controllando in quanto tempo la stagionatura avrebbe inattivato i virus.

Le ricerche a Plum Island, controllate dai professori dell’Università di Parma e su prosciutti preparati e stagionati dai tecnici della SSICA, permisero di concludere che una stagionatura di 400 giorni inattivava ogni tipo di virus. Su questa base, nel 1988, gli USA stabilirono le normative che avrebbero aperto le frontiere al Prosciutto di Parma, che, nel 1989, arrivò sulle tavole americane. Da questo momento sarebbe iniziata la nuova era della salumeria italiana, perché altri Stati, come il Giappone, seguirono l’esempio degli USA. Nessun mistero sui prosciutti di Plum Island Una storia, quella dei prosciutti italiani di Plum Island, non proprio misteriosa, ma soltanto dimenticata, e che doveva essere ricordata anche perché grazie anche a quel lavoro svolto dai ricercatori dell’Università di Parma e della SSICA, oggi il mercato americano è il primo mercato estero del Prosciutto di Parma DOP, con oltre 700.000 pezzi esportati (dati 2021) fra interi, disossati e preaffettati. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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TRE LIBRI

GIUSI MAINARDI Vermouth di Torino Dai liquoristi del Settecento il nobile vino aromatizzato che inebria il mondo Edizioni: Kellermann Collana: GRADO BABO 128 pp. – € 16,00

DARIO STEFÀNO, DONATELLA CINELLI COLOMBINI ASSOCIAZIONE NAZIONALE CITTÀ DEL VINO NOMISMA-WINE MONITOR Viaggio nell’Italia del vino Osservatorio Enoturismo: normative, buone pratiche e nuovi trend Edizioni: Agra 120 pp. – € 25,00

MANUELA SORESSI Il Paese dei limoni Storie, profumi e sapori del re degli agrumi italiani Edizioni: Trenta Ricette e immagini: RAMONA PIZZANO 128 pp. – € 18,00

Il volume a cura di GIUSI MAINARDI, docente di Storia della Vite e del Vino presso il Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Torino, ripercorre le principali tappe di un prodotto centenario, fortemente legato al territorio piemontese. L’autrice conduce il lettore in un viaggio alla scoperta del Vermouth di Torino attraverso un’indagine antropologica ed enologica che, dalle origini, arriva fino al recente rinascimento qualitativo che ha portato il celebre vino aromatizzato verso un nuovo posizionamento di mercato. Nato nel 1700 dalla maestria dei liquoristi torinesi, già nel 1800 era un prodotto esportato ovunque, in grado di conquistare i mercati di USA, Brasile, Argentina, Ecuador, Cile e Colombia. Il Vermouth di Torino è noto anche per aver dato impulso a un nuovo modo di ideare le etichette da apporre sulle bottiglie, con nomi illustri del calibro di ADOLPH HOHENSTEIN, LEONETTO CAPPIELLO, MARCELLO DUDOVICH, GIUSEPPE MAGAGNOLI e ARMANDO TESTA che hanno dato vita a immagini rimaste celebri nella storia della pubblicità.

4 milioni di visite in cantina e un giro d’affari di 2,5 miliardi di euro: questi sono i numeri del turismo del vino, ma esistono oggi tutte le condizioni affinché possa diventare un importante asset per l’economia turistica del nostro Paese. La realtà e le prospettive del turismo del vino sono rappresentate in questo libro, frutto del lavoro congiunto delle Associazioni Città del Vino e Donne del Vino e del senatore DARIO STEFÀNO, padre della legge che ha introdotto l’enoturismo nell’ordinamento normativo italiano. Il volume contiene l’indagine di NOMISMA-WINE MONITOR su 92 comuni e 150 cantine turistiche. I contributi degli autori e l’indagine indicano il quadro normativo italiano aggiornato, le linee di sviluppo e raccontano il protagonismo che l’enoturismo va assumendo anche nel nostro Paese. Mostrano il comportamento dei visitatori e le caratteristiche della wine hospitality nelle diverse parti d’Italia, mettendo in rilievo il ruolo delle donne nelle cantine italiane. Un libro, quindi, di grande utilità per coloro che sono interessati a un settore in forte sviluppo, cantine in primis.

GOETHE ci ha definiti “il Paese dei limoni”: li abbiamo mandati in giro per il mondo come testimonial della nostra bellezza e ne deteniamo il record per numero di produzioni (7) tutelate con l’IGP. A raccontare peculiarità, storia, legami con il territorio e curiosità di questo frutto sempre di stagione ci pensa il libro Il Paese dei Limoni, della giornalista specializzata in food MANUELA SORESSI, corredato da ricette della food blogger RAMONA PIZZANO e con la prefazione di PAOLO DE CASTRO, già ministro delle Politiche agricole. «Dietro i limoni italiani c’è un mondo di storie bellissime — ha dichiarato l’autrice — ho cercato di rendere accattivanti una serie di informazioni, mettendo insieme stimoli e suggestioni che possano contribuire a cambiare il nostro modo di guardare questi agrumi. E a chiederci, al momento della spesa, che limoni siano quelli dentro la retina che mettiamo distrattamente nel carrello. Dando loro finalmente il valore che meritano».

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