Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98
Per il banco gastronomia o in vaschetta,chiamalo per nome: grazie alle 21 erbe aromatiche della ricetta originale tramandata dal 1956, il prosciutto cotto per eccellenza è soltanto uno... IL Ferrarini!
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Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food – Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
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Euro Annuario Carne
La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni.
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Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.
ph: Franceschini Vincenzo
A pagina 64.
Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
E chi non ama i panini? Un’idea da indossare in bottega. Si può acquistare su ubuy.ug
Food & Drink
INFOGRAPHICS
Bella da leggere e da esporre in bottega, questa pubblicazione di TASCHEN è un must per ogni buongustaio del XXI secolo. Il libro raccoglie le migliori infografiche su tutto ciò che riguarda cibo e bevande. Che si tratti dei segreti del sashimi o dell’organizzazione di eventi senza stress, questa guida gastronomica è accattivante e dettagliata, risolve gli enigmi in cucina con una grafica semplice e intuitiva ed esplora al contempo la rappresentazione visiva del cibo attraverso i secoli. Si può acquistare a € 60,00 su taschen.com
Mini
TAGLIERE
Questo mini tagliere tondo può essere utilizzato anche come sottobicchiere. In legno di mango (Mangifera indica) con inserti in marmo bianco e grigio. Très chic! Disponibile a €16,99 su Kave Home, kavehome.com
Realizzati dall’azienda agricola Le 4 Contrade di Andria (BT), questi buonissimi taralli sono fatti a mano con olio extravergine d’oliva e mandorle di propria produzione e semola rimacinata di grano duro Senatore Cappelli e zucchero italiano. A forma di nodino, sono “chicche” perfette per una pausa dolce, la colazione o un dopo cena.
Certificati bio e confezionati in comodo pack compostabile apri e chiudi. le4contrade.com
Crackerini
AL SESAMO
Questi piccoli cracker sono prodotti da Brio Gluten Free Bakery di LG Soluzioni Srl di San Martino Buon Albergo (VR) con farina integrale di grano saraceno. Si tratta di un prodotto bio, vegano che non contiene glutine e olio di palma. brioglutenfreebakery.com
Torta DI FREGOLOTTI
Tipico dolce trentino, la torta di fregolotti assomiglia molto alla sbrisolona mantovana. Questa in foto, al pistacchio, è prodotta e distribuita da Timbro del Gusto di Affi (VR). È buonissima! timbrodelgusto.it/prodotti-del-timbro-del-gusto
SALAME DI CAMOSCIO
Metzgerei Steiner di Anterselva (BZ) realizza questo stupendo salame di camoscio. L’affumicatura e la stagionatura, protratta per diverse settimane, avvengono secondo la classica tradizione altoatesina. Perfetto per una merenda tra i rifugi dell’Alta Pusteria o in città, a casa o al lavoro, per una pausa che ci ricordi i sapori della montagna. metzgerei-steiner.it
LA COPERTINA ESPLOSA
Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori
Le Nettarine di Romagna IGP, insieme alle Pesche, si riconoscono dal bollino ne identifica l’origine. Le varietà ammesse da Disciplinare sono numerose e si differenziano per calendario di maturazione e diversità di gusto. Sono comprese sia le varietà a polpa bianca che quelle a polpa gialla sia per pesche che per nettarine. Il calendario di commercializzazione delle pesche e nettarine IGP va dal 10 giugno al 20 settembre. pescanettarinadiromagna.it
Per una presentazione invitante, Prosciutto crudo di Parma DOP va preparato nel modo giusto. Tolta la cotenna, va sgrassato secondo gusto ed esigenza. Non va però eliminato tutto il grasso prima di tagliarlo. Aiuta a conservare il sapore inconfondibile del prosciutto: e a chi preferisce poco grasso, consigliamo di lasciarne almeno la metà. prosciuttodiparma.com
Il Basilico GenoveseDOP è un prodotto tutelato dalla Denominazione europea d’Origine Protetta e tutelato dal Consorzio di tutela. La DOP garantisce l’origine e la produzione tradizionale di questo prodotto unico al mondo che è alla base del successo del pesto genovese. basilicogenovese.it l ch lasc pr p
Sono formaggi a pasta filata di piccolo taglio perfetti per condire insalate estive, piatti freddi e qualsivoglia abbinamento che accolga ed esalti tutto il gusto della Bufala Campana DOP mozzarelladop.it
BREVI STORIE DI CIBO LENTO A VELOCITÀ CONTEMPORANEA
Ipotensione
di Alessia Morabito (illustrazioni di Alessia Serafini)
Estate, non ti aspetto mai. Non succedeva neanche da bambina.
Ti ho sbuffato contro, in passato, debilitata dalla tua temperatura, in bilico tra i lavori che dovevo portare a termine e le poche energie che mi sentivo a disposizione.
Quest’anno non mi oppongo e ti dico bentornata.
Desidero forte lo stato di incoscienza che sai darmi, mi costringi a mollare tutte le attenzioni, le resistenze, le concentrazioni, mi sfibri, accogli i miei pezzi sempre più numerosi. Ed io fluisco e lascio che tutto passi
Tarda mattinata, immobile, bollente, cicalante. Il bucato appena steso è già secco, evaporato in un soffio. Barcollo per andarlo a raccogliere, strizzo gli occhi al bianco delle lenzuola e al giallo del tavolo di formica. Mi gira un po’ la testa, i movimenti miei son lenti e misurati, come se rischiassi di evaporare pure io. Mi appoggio al davanzale.
Devo bere acqua, non fredda mi ripeto in mente.
Il fico d’india e la Carex nel vaso sono gli unici a loro agio.
Una alla volta le magliette, le mutande, i vestiti chiari di cotone. Nel catino di plastica azzurro.
Rientro in casa, gli occhi accecati, le macchie verdi. Mi appoggio al tavolo da pranzo, il catino con i panni sulla sedia, la finestra del balcone alle mie spalle spalancata.
Le cicale sono in sincrono, per strada il suono della marmitta di un motorino in levare e le tazzine di ceramica del “bar degli assassini” come campanelle.
Devo bere acqua.
Un piede avanti all’altro, gli occhi riprendono piano la profondità di sguardo.
Mi appoggio prima alla parete e poi alla poltrona, alla mensola dell’ingresso per avere lo slancio di entrare in cucina.
Apro lo sportello del nostro nuovo grande frigo, la luce chirurgica, le plastiche si appannano per il contrasto di temperature. Prendo la bottiglia di acqua gassata, con la mano sinistra la sorreggo, con la destra svito il tappo, indietreggio, mi siedo sullo sgabello alto, un respiro, due sorsi lunghi, spero di non congestionare.
Il frigo ancora aperto, mangio qualcosa o vado a sdraiarmi? È quasi ora di pranzo.
Parma, Mantova, Salento, Sicilia, Veneto, i luoghi dove consumare carne di cavallo resistono con fierezza. Ma gli sfilacci sono solo padovani, dei piccoli comuni di Legnaro, Ponte San Niccolò e Saonara, come certifica l’Arca del Gusto Slow Food. Si racconta che un contadino padovano, stracuocendo un pezzo di carne di cavallo al calore e fumo del focolare per cercare di mangiarla, nonostante fosse diventata dura, la pestò fino a sfilacciarla.
Che sia vera questa storia o la derivazione di una tradizione di origine longobarda, al giorno d’oggi gli sfilacci si ricavano dalla carne magrissima della coscia, tagliata a fette sottili e messa a marinare sotto sale per una decina di giorni. Successivamente viene cotta a vapore e poi affumicata, infine battuta fino a sfilacciarsi. Anche io mi sento tutta sfilacciata
Prendo il pomodoro verde appena rossastro e lo taglio a fette sottilissime come carpaccio, aggiungo sopra a spicchi la pesca noce, qualche fogliolina di basilico, condisco con cristalli di sale ed un filo d’olio. Tagliuzzo sottile sottile l’amaro radicchiello verde e lo distribuisco su pomodoro e pesche. Apro la confezione, a pizzichi, distribuisco gli sfilacci sopra le verdure. In una ciotolina mescolo due cucchiai di succo di limone, un cucchiaio d’olio extravergine, poco sale fino, mezzo cucchiaino di miele e mescolo bene amalgamando gli ingredienti. Irroro l’insalata e distribuisco, prelevandoli dal congelatore, due cucchiaini di polline fresco, con prevalenza di fiori di castagno. Aggiungo il pepe col macinino, lentamente.
Credo che una vicina stia grigliando peperoni, un’altra stia cuocendo del riso basmati. Qualcuno ha la TV accesa, il jingle di una qualche pubblicità, la sigla del notiziario.
Io appoggio il mio piatto sul banco di cucina, mi siedo ancora sullo sgabello alto, inizio a mangiare.
Ho l’ultima lavatrice con i grembiuli da lavoro da caricare.
Fatta questa posso pensare alla valigia delle vacanze.
SALUMI ITALIANI, SCARSA REDDITIVITÀ
Assemblea ASS.I.CA.: presentati i dati economici del settore. Aumento dei costi e Peste Suina Africana gettano ombre sul futuro del comparto
Lo scorso 18 giugno a Bologna si è tenuta l’assemblea generale dei soci ASS.I.CA. (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi aderente a Confindustria), durante la quale è stato eletto Lorenzo Beretta come nuovo presidente dell’associazione. A seguito della sessione privata, nel pomeriggio si è poi tenuto il convegno dal titolo “Dallo scenario globale alle sfide del settore: quali prospettive per la salumeria italiana?” e sono stati presentati i dati economici del settore per l’anno 2023: un anno con una crescita contenuta dello 0,7% in quantità nella produzione dei salumi, dopo la flessione registrata nel 2022, attestandosi a 1,151 milioni di tonnellate da 1,143 dell’anno precedente. In crescita del 7,2% il valore della produzione, salito a circa 9.168 milioni di euro da 8.553 milioni del 2022, spinto dall’alta inflazione e dagli ingenti aumenti dei costi aziendali, in particolare della materia prima carne. L’insieme delle produzioni del settore (comprese le lavorazioni dei grassi e delle carni bovine in scatola) ha presentato un fatturato di 9.498 milioni di euro, superiore (+6,6%) a quello del 2022 (8.907 milioni di euro).
«Il settore, non ancora ripresosi dai forti rincari delle commodity agricole e dagli alti prezzi dell’energia che avevano caratterizzato gran parte del 2022, nel 2023 ha dovuto affrontare i forti aumenti della materia prima, sia
Lorenzo Beretta, nuovo presidente di ASS.I.CA. La sua elezione è avvenuta in occasione dell’assemblea annuale dell’associazione. Beretta ha una ventennale esperienza in ambito consortile e associativo. Già vicepresidente di ASS.I.CA. dal 2016, ha rivestito il ruolo di presidente dell’ISIT dal 2015 al 2024. Dal 2012 è anche presidente del Consorzio Cacciatore Italiano.
nazionale sia estera, e la diffusione della PSA sul territorio nazionale» ha dichiarato il neopresidente Beretta. «Purtroppo, l’aumento dei casi riscontrati nel nostro Paese durante l’anno 2023 non solo ha pesato sull’export verso i Paesi Terzi, causando ulteriori chiusure e forti limitazioni adottate da alcuni Stati extra-UE, ma ha anche ostacolato
la ripresa della produzione suinicola nazionale, comprimendo l’offerta di carne disponibile e spingendo verso l’alto i prezzi. I prezzi della materia prima, infatti, sono rimasti molto alti, e per alcuni tagli si sono raggiunti i valori più elevati mai registrati nella storia del nostro settore. E questo per tutto il 2023, a causa della bassa offerta di carni suine
in Italia e in Europa. In conseguenza di ciò, oltre ad altri aumenti quali ad esempio i tassi di interesse, sono fortemente aumentati i costi di produzione, nonostante il ridimensionamento della bolletta energetica».
Ciononostante, il 2023 ha registrato anche un’importante crescita nell’export dei salumi italiani. Secondo i dati rilasciati da ISTAT, le spedizioni dei salumi italiani sono salite a quota 206.859 t (+6,2%), raggiungendo l’importante traguardo dei 2.157,6 milioni di euro (+8,7%). Nel corso del 2023 hanno mostrato una crescita anche le importazioni di salumi, salite a 49.922 t (+8,8%) per un valore di 296,3 milioni di euro (+16,4%). Il saldo commerciale del settore è così salito a quota 1.861 milioni di euro, in aumento (+7,6%) rispetto al 2022. Le esportazioni del comparto, in termini di fatturato, hanno mostrato un passo più veloce sia rispetto a quello dell’industria alimentare (+6,6%) sia, soprattutto, a quello generale del Paese (+0,1%).
«In un contesto caratterizzato da un elevato grado di incertezza e da oggettive difficoltà burocratiche, il settore ha dato grande prova di resilienza, cercando nuovi mercati di sbocco e adeguando le produzioni alle necessarie procedure imposte dai Paesi che hanno subordinato la possibilità di importare i salumi italiani a specifiche condizioni. Grande rispetto e grande plauso va dato a tutte le aziende che nonostante queste ulteriori difficoltà hanno continuato ad ottenere successi e traguardi nei diversi mercati esteri e hanno permesso di ottenere questi risultati.
Un grande lavoro, questo, che è proseguito con successo anche nel primo trimestre del 2024, ma che rischia di essere vanificato dall’avanzamento della PSA. Il ritrovamento di un cinghiale infetto nei territori delle colline non lontane da Parma a fine aprile, infatti, ha fatto scattare enormi limitazioni all’export verso Canada ed USA, Paesi extra-UE di grandi dimensioni, dove stavamo registrando le migliori performance di crescita degli ultimi anni per i prodotti a breve stagionatura» ha proseguito Lorenzo Beretta.
Nel complesso del 2023, la disponibilità totale al consumo nazionale di
salumi è stata di 996,5 mila t (+0,2%). Il consumo apparente pro-capite si è attestato intorno ai 16,7 kg, in linea con il 2022 (+0,2%). Considerando l’insieme dei salumi e delle carni suine fresche, il consumo apparente pro capite è sceso a 28,1 kg (–1,2%), penalizzato dalla flessione dei consumi di carne suina fresca (–3,3% per 11,3 kg).
«Per quanto riguarda i consumi interni, le famiglie italiane hanno dovuto fare i conti con un calo del potere d’acquisto, eroso dall’aumento dei prezzi, soprattutto di energia e generi alimentari, e dalla crescita del costo del denaro. Per far fronte quindi alla minor disponibilità di spesa, i consumatori sono stati particolarmente attenti al risparmio, modificando tipologia di prodotti comprati e canali di acquisto e prestando attenzione anche allo spreco. Purtroppo il 2024 si è aperto con un calo dei consumi in quantità e con un modesto incremento a valore, segno evidente che l’attuale situazione di alti costi non è sostenibile né per le imprese, né per i consumatori» ha concluso Beretta.
Con riferimento alle singole categorie di prodotti per il 2023, i consumi apparenti dei prosciutti crudi stagionati sono scesi a 212.300 t (–3,4%); quelli di prosciutto cotto sono saliti a quota 278.300 t (+0,8%). Sono risultati in aumento anche i consumi di salame, attestatisi a 85.500 t (+0,8%), mentre sono risultati in calo quelli di mortadella e würstel (–1,7% per 198.700 t), penalizzati dal forte calo dei würstel. La mortadella, infatti, ha registrato un aumento della disponibilità al consumo di circa il 2%.
Hanno evidenziato un ridimensionamento anche i consumi di bresaola, scesi a 23.500 t dalle 24.000 dell’anno precedente (–2,0%), mentre sono aumentati quelli degli “altri salumi”, attestatisi a 198.100 t (+5,8%).
La struttura dei consumi interni ha così visto al primo posto sempre il prosciutto cotto, con una quota pari al 27,9% del totale dei salumi, seguito dal prosciutto crudo al 21,3%, da mortadella/würstel al 19,9%, dal salame all’8,6% e dalla bresaola al 2,4. Chiudono gli altri salumi al 19,9%.
Fonte: ASS.I.CA. assica.it
Salumeria Italiana, 4/24
PSICOLOGIA DEI CONSUMI
Una scienza a supporto delle scienze aziendali e la collaborazione con Assaggezza, l’Academy di Levoni Spa
di Elena Benedetti
I“l comparto agroalimentare è oggi oggetto di importanti mutamenti, non solo relativi alle risorse disponibili e alle modalità produttive, ma anche alle dinamiche demografiche e socioculturali che stanno sfidando il rapporto azienda-consumatore”: è questo l’incipit della pagina web di presentazione del Centro di Ricerca EngageMinds HUB –Consumer, Food & Health Engagement Research Center, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, diretto da Guendalina Graffigna, Ordinario di Psicologia dei Consumi e della Salute. Quest’ultima ha tenuto recentemente un interessante seminario proprio sulla psicologia dei consumi in
occasione del lancio di Assaggezza, Accademia di formazione di Levoni Spa, un “percorso di approfondimento flessibile e modulare dove si conciliano conoscenza, passione e gusto”. Presentata nel corso del seminario da Marella Levoni, direttrice relazioni esterne e comunicazione Levoni, l’Accademia offre corsi per professionisti e incontri divulgativi aperti al pubblico.
La professoressa Graffigna ha tenuto una lezione magistrale sulla necessità, da parte delle aziende dell’agroalimentare, di comprendere i motivi profondi che determinano i comportamenti di scelta degli alimenti. Ciò è importante poiché aiuta a prevedere le nuove tendenze di consumo e, soprattutto,
consente di intervenire per orientare condotte alimentari più corrette, salutari e sostenibili. Riproponiamo alcuni dei passaggi più significativi del suo intervento.
La psicologia del consumo, a cosa serve?
“Serve a dare stimoli al comparto dell’agroalimentare, sia per le nuove tecnologie agroalimentari e per l’innovazione, sia a favorire lo sviluppo di nuovi prodotti e la comprensione di quelle che sono le tendenze di consumo e le leve — anche comunicative — che possono essere applicate chiaramente a partire dall’attività di ricerca scientifica e didattica che conduciamo in quest’ambito”.
Uno psicologo che studia i consumatori
Abbandoniamo l’idea generalista e stereotipata dello psicologo e del paziente sdraiato sul lettino in seduta, emblema della psicologia clinica, e concentriamoci sullo studio, da parte della psicologia, dei consumatori e delle loro scelte e non scelte. “Se il marketing e la comunicazione servono a orientare la scelta del consumatore su, per esempio, una data serie di prodotti, ricordiamoci che per provocare una conoscenza per tutto questo ci possono essere dei costrutti psicologici, delle scienze psicologiche che aiutano l’azione di marketing (…). Questo contributo è molto efficace nelle attività di naming, ovvero nella decisione di dare un certo nome, piuttosto che un altro, al prodotto da immettere sul mercato. Non si può infatti prescindere dal capire come quelle scelte andranno a veicolare dei significati, delle emozioni, dei desideri, delle fantasie nella mente dei consumatori. Quindi, ecco che c’è un mondo psicologico dietro al branding, dietro alla definizione e percezione di un prezzo”.
Identità e desideri
“È vero che il marketing è ciò che supporta il lancio e la vendita di un nuovo prodotto, ma quel nuovo prodotto verrà acquistato nel momento in cui andrà ad allinearsi con un bisogno o, meglio, con un desiderio del consumatore. Il desiderio, per noi psicologi, è qualche cosa che va di aldilà della fisiologicità o che va al di là dell’oggettività. Non è solo il bisogno di sopravvivenza. È il desiderio di quella identità e il desiderio anche di quel momento di festività, di quel momento di ricordo, di tradizione, anche magari di quel momento di energia, di sport.
Insomma, tutti questi diversi strati di percezione si chiamano desideri che, in termini psicologici, hanno una costruzione culturale soggettiva emotiva. Il marketing coglie questi desideri e fa in modo che, a fronte di quel desiderio a fronte di quel bisogno — che spontaneamente e, psicologicamente, il consumatore percepisce — si vada proprio a planare su quel particolare prodotto e brand, nonostante ci sia una grande competizione.”
Assaggezza, l’Accademia di Levoni
Assaggezza ha lo scopo di diffondere la cultura della salumeria italiana sia a livello professionale che amatoriale, contribuendo a tramandare il saper fare norcino in Italia e nel mondo. Questa Accademia offre la possibilità di seguire corsi per professionisti, ma anche prendere parte ad appuntamenti aperti al pubblico o incontri divulgativi, dove i migliori professionisti del settore contribuiranno ad arricchire la narrazione del mondo enogastronomico.
• Scopri i prossimi eventi formativi in calendario su: levoni.it/it/accademia
Il consumatore è pigro e sta dentro un gregge
“Il consumatore è pigro e noi esseri umani siamo, mediamente, tradizionali, ancor di più se il contesto sociale, economico e politico intorno a noi è troppo incerto. Ovvio che la propensione all’innovazione sia legata ai nostri tratti di personalità, ma è altrettanto vero che in determinati periodi storici, più incerti, il consumatore sia meno propenso a cambiare. Inoltre esso fa parte di un “gregge” che lo influenza e lo fa reciprocamente. L’economia classica ha sempre teorizzato che esista il cosiddetto Homo economicus e che nel momento in cui fa degli investimenti o delle spese è un individuo razionale che è governato dal principio dell’utilità (noi acquistiamo se ci serve quella cosa e se il beneficio che avrò a fronte del dispendio di denaro sarà a somma
positiva e governato da delle leggi di mercato economiche di scambio più o meno universali). Questo concetto è la base di qualsiasi teoria economica classica. Ma anche è vero che ci sono situazioni in cui, invece, prevale una valutazione psicologica soggettiva situata con delle norme soggettive”.
Acquisto come atto comunicativo
“Gli acquisti non sono solo funzionali e non è assolutamente vero che noi acquistiamo solo perché abbiamo bisogno di qualche cosa. Il consumo spesso diventa un atto comunicativo e identitario”. Un esempio? “Tutti i movimenti vegani, vegetariani, sono spesso dei movimenti politici, dei movimenti identitari”. In questo senso il consumatore cerca il consenso sociale.
Elena Benedetti
SOCIAL
di Elena
1. The Italian Show
Chi non ama il cibo italiano? Ma nessuno, naturalmente!
The Italian Show è un format di eventi e talk sviluppato e promosso dall’associazione emiliana I Love Italian Food, rivolto ai professionisti dell’HO R E CA. e agli operatori con competenze nell’export del nostro made in Italy all’estero. Ecco il link: iloveitalianfood.it
Grande affluenza di pubblico lo scorso 1o luglio per l’inaugurazione del primo Temporary Store del Consorzio Italiano Tutela Mortadella Bologna, che ha scelto il Mercato Centrale Firenze, con oltre 3 milioni di visitatori all’anno, quale piazza ideale per intercettare
Il 93% delle produzioni tipiche nazionali che si consumano nasce nei comuni italiani con meno di 5.000 abitanti, un patrimonio di gusto e biodiversità che fa da traino anche al turismo
Ben 297 di 321 prodotti a denominazione di origine (DOP/IGP) italiani riconosciuti dall’Unione Europea hanno a che fare con i Piccoli Comuni che, nel dettaglio, garantiscono la produzione di tutti i 54 formaggi a denominazione, del 98% dei 46 oli extravergini di oliva, del 90% dei 41 salumi e dei prodotti a base di carne, dell’89% dei 111 ortofrutticoli e cereali e dell’85% dei 13 prodotti della panetteria e della pasticceria. Ma grazie ai piccoli centri è garantito anche il 79% dei vini più pregiati che rappresentano il made in Italy nel mondo. Un patrimonio conservato nel tempo dalle 279.000 imprese agricole presenti nei piccoli comuni con un impegno quotidiano per assicurare la salvaguardia delle colture agricole storiche, la tutela del territorio dal dissesto idrogeologico e il mantenimento delle tradizioni alimentari. Ci sono 26 prodotti che si realizzano esclusivamente in piccoli comuni: Formai de Mut dell’Alta Valle Brembana, Strachitunt, Castelmagno, Robiola di Roccaverano, Puzzone di Moena/Spretz Tzaorì, Pecorino di Picinisco Alto Crotonese, Seggiano, Fagioli Bianchi di Rotonda, Melanzana Rossa di Rotonda, Castagna di Vallerano, Fagiolo Cannellino di Atina, Farro di Monteleone di Spoleto, il Limone di Rocca Imperiale, il Marrone di Castel del Rio, Asparago di Cantello, Pescabivona, Lenticchia di Castelluccio di Norcia, i Maccheroncini di Campofilone, il Salame di Varzi, il Prosciutto di Carpegna, Valle d’Aosta Jambon de Bosses, Valle d’Aosta Lard d’Arnad/Vallée d’Aoste Lard d’Arnad, il Prosciutto di Sauris, il Salame S. Angelo, il Prosciutto di Norcia. A raccontare questo bel pezzo di mondo agroalimentare italiano è il nuovo rapporto di Coldiretti-Fondazione Symbola “Piccoli Comuni e Tipicità”. Il rapporto vuole raccontare un patrimonio enogastronomico del Paese custodito fuori dai tradizionali circuiti turistici, valorizzato e promosso grazie alla legge n. 158/17, a prima firma Realacci, con misure per la valorizzazione dei Piccoli Comuni. Nei territori dei 5.538 piccoli comuni con al massimo 5.000 abitanti, in cui vivono quasi 10 milioni di italiani, si produce infatti ben il 93 per cento dei prodotti di origine protetta (DOP, Denominazione di Origine Protetta e IGP, Indicazione di Origine Protetta) e il 79% dei vini italiani più pregiati.
• Il rapporto completo si trova su symbola.net
quel pubblico, italiano e internazionale, che fa della scoperta dei territori e delle sue bellezze artistiche, paesaggistiche e delle sue eccellenze enogastronomiche, la spinta motivazionale per viaggiare. Al taglio del nastro erano presenti il direttore del Consorzio Italiano Tutela Mortadella Bologna, Gianluigi Ligasacchi, e il presidente del Mercato Centrale, Umberto Montano Grande partecipazione sia alla Masterclass di Daniele Reponi (in foto), che rientra nel programma “Deli Meat Academy”, riservata a giornalisti e comunicatori, che si sono divertiti a preparare un originale Croque monsieur alla Mortadella Bologna con besciamella, cipolle caramellate e il classico formaggio francese Comté, sia allo showcooking aperto al pubblico, che ha avuto modo di gustare due panini gourmet con la Mortadella Bologna IGP ispirati alla stagione estiva il primo e all’Unione Europea il secondo. Il Temporary Store resterà aperto tutti i giorni dalle 9:00 alle 24:00 fino al 12 gennaio 2025. È possibile acquistare e degustare la Mortadella Bologna IGP in tre modalità: panino “Classico”, panino “Gustoso” con stracciatella e lime e “Spassoso”, ossia il classico “cono da passeggio” ripieno di cubetti di Mortadella Bologna.
>> Link: mortadellabologna.com
A Milano il Cilento più autentico
Col nuovo format “Modus Gastronomia” i sapori della tradizione cilentana sono da consumare in loco e da asporto. Massimo focus sulla selezione dei prodotti e la scelta di Criocabin, partner del freddo
di Elena Benedetti
Èbastata una breve chiacchierata con Paolo De Simone — 44 anni, originario del Cilento e trapiantato per lavoro a Milano con una formazione ventennale nella panificazione e nella
cucina —, per comprendere la definizione di visione imprenditoriale. È quella capacità di “vedere” un risultato finale che si persegue. Non semplicemente un obiettivo ma una visione ben più ampia che ha profondamente a che fare con la
propria identità, coi propri valori. Alla base delle scelte imprenditoriali di De Simone c’è il forte attaccamento alla sua terra. Originario di Vallo della Lucania, in provincia di Salerno, ha avuto l’intuizione di portare i veri sapori e profumi
Modus Gastronomia conta 40 coperti e un orario che va dalle 8:00 alle 20:00, con somministrazione, asporto e spesa di prodotti.
Modus Gastronomia di Paolo De Simone ha portato il Cilento, i suoi prodotti e le sue specialità in Porta Vittoria a Milano.
cilentani a Milano, attraverso la pizzeria Modus e, da febbraio 2024, anche con Modus Gastronomia. Perché Modus?
«Perché faccio le cose a modo mio: alla base di tutto c’è sempre e solo la mia terra; la mia passione nasce e prende ispirazione dalle mie origini».
Un’esperienza di assaggi e di acquisto che a Modus Gastronomia acquista una forte valenza culturale, proprio per quella forza di appartenenza a un territorio che fa del cibo un modo d’essere.
Qual è a suo parere il trend della salumeria-gastronomia oggi?
«Sono convinto che la strada futura vada sempre più nella direzione della somministrazione. A casa si cucina e si mangia sempre meno. Vuole un esempio? Le nuove generazioni non conoscono le verdure! Nell’ampia offerta di contorni e piatti con la bassa presenza di proteine animali in bottega spesso i ragazzi ci chiedono informazioni sugli ingredienti a volte a loro sconosciuti.
«Tutto viene preparato rigorosamente dal fresco e gli ingredienti sono da noi selezionati presso produttori artigianali del Cilento» dice De Simone. «Abbiamo portato il cibo vero, autentico, contadino nel centro della metropoli più frenetica e operosa d’Italia».
Ethos,
la superficie e riduce lo spazio
Ethos ridefinisce gli standard: è un murale refrigerato che, rispetto ai tradizionali murali self service, offre l’opportunità di raddoppiare la superficie espositiva riducendo lo spazio occupato. È una vetrina dal design raffinato, altamente personalizzabile, con finiture pregiate: può conservare e offrire al consumatore di oggi, sempre più di fretta, la possibilità di servirsi da solo bibite, insalate, sandwich, gastronomia, frutta e verdura. È dotato di interno vasca in acciaio Inox e porte in thermopane per una maggiore efficienza energetica. Ethos è disponibile anche in versione bassa temperatura con refrigerante naturale R290, per l’esposizione di prodotti surgelati, canalizzabile con la versione refrigerata. Ethos HV è la versione calda con interno vasca e zona esposizione in acciaio inox e altezza frontale ridotta per garantire ottima visibilità. I ripiani sono inclinabili e completi di fermaprodotto in plexiglas.
>> Link: criocabin.com/projects/ethos
MAX, innovazione e versatilità nell’esposizione
Questo concept accresce la visibilità dei prodotti esposti avvicinandoli al cliente: è il metodo Criocabin per aumentare il desiderio di acquisto. Esso prevede una gamma completa e versatile per realizzare qualsiasi tipo di layout. Sono possibili innumerevoli personalizzazioni in termini di forme, finiture e materiali. È adattabile alle esigenze dell’operatore con due differenti versioni del sistema di apertura della vetrina (MB, vetri frontali apribili a battente e vetro cappello a ribalta oppure MF, vetrina ribaltabile verso l’alto). L’apertura combinata del vetro cappello e dei vetri frontali garantiscono la totale accessibilità alla zona esposizione. Questo agevola le operazioni di allestimento e pulizia. Frontali e pannelli laterali sono personalizzabili nei colori e nelle lavorazioni, e facilmente registrabili per una perfetta installazione. Grazie al nuovo sistema estremamente facile e veloce di aggancio/sgancio delle decorazioni frontali e laterali, si può inoltre rinfrescare nel tempo il design del proprio punto vendita in modo semplice, economico e veloce. La zona espositiva del banco è rialzata e regolabile in due altezze. Il piano di lavoro è sottile e disponibile in diverse finiture. Anche il retrobanco modulare è altamente personalizzabile con moduli di tre diverse lunghezze in cui inserire ciò che è più congeniale. Diverse opzioni di configurazione per il lato operatore con la possibilità di inserire innumerevoli e utili accessori che facilitino e ottimizzano il lavoro di tutti i giorni. MAX è disponibile in diverse versioni: refrigerata ventilata, con sistema G-Concept, calda Bain-Marie, H-COMBI calda ventilata, Hot Surface e anche in versione pesce. È canalizzabile con MAX Tower e Max MG semi-verticale.
>> Link: criocabin.com/projects/max
Vede, il progetto Modus Gastronomia si è formato nell’ultimo anno proprio dall’idea di creare un locale dove mangiare e/o acquistare per l’asporto. È la rappresentazione del mio territorio di origine che va incontro a chi va di fretta e cerca di qualcosa di buono da mangiare o da portare a casa».
Alla base di tutto c’è il Cilento…
«Sempre! Il concetto è mangiare semplice, veloce e di qualità. I nostri clienti mangiano all’interno del locale un piatto che mediamente ha 5/6 preparazioni alla base oppure se lo portano a casa.
Tutto viene preparato rigorosamente dal fresco e gli ingredienti sono da noi selezionati presso produttori artigianali del Cilento. Abbiamo portato il cibo vero, autentico, contadino nel centro della metropoli più frenetica e operosa d’Italia. Lavoro con tradizioni antiche cilentane trasformate per i nostri tempi moderni e questo mi tiene legato alla mia terra».
Come fornitore dei banchi refrigerati ha scelto Criocabin. Perché?
«Sì, quest’azienda è per me sempre stata un punto di riferimento, anche nel mio pastificio “Storie di pane”. La tec-
nologia Criocabin è per me sempre una garanzia di affidabilità e serietà e per quest’ultima avventura imprenditoriale di Modus Gastronomia hanno fatto praticamente tutto loro e il risultato è un progetto bellissimo!
Sono molto legato a Criocabin per la loro tecnologia avanzata. Il banco di Modus è lungo 5 metri e propone cucina già pronta, solo cotto, oltre ad un’offerta di prodotti tipici del Cilento, tra cui pomodori, alici, vino da cantine selezionate, salumi, formaggi e conserve, pasta artigianale, olio e sottaceti».
Il motivo per cui per il banco ha scelto MAX?
«Con Criocabin il prodotto ha una conservazione ottimale. Quando poi ho visto MAX — luminoso, dalle linee moderne, con tutto il contenuto al suo interno così ben visibile — mi sono letteralmente innamorato!».
Oltre alla scelta del giusto partner per la tecnologia, qual è il segreto del successo di Modus Gastronomia?
«Abbiamo lavorato tanto su come semplificare i processi senza perdere in tradizione e qualità. Ma, alla fin fine, alla base di tutto, c’è sempre il prodotto. Se non c’è la verità del prodotto non si va avanti. La nostra forza è l’identità del prodotto».
Elena Benedetti
Modus Gastronomia
Via Cesare Battisti 23 20122 Milano
Telefono: 02 82860060
E-mail: info@modusmilano.it
Web: modusgastronomia.pagedemo.co
Paolo De Simone
E-mail: paolodesimone@icloud.com
Cellulare: 392 6870848
Criocabin Spa
Via S. Benedetto 40/A
35037 Praglia di Teolo (PD)
Telefono: 049 9909122
E-mail: info@criocabin.it
Web: www.criocabin.com
ERGONomiA E ACCESSIBILITÀ
Un design innovativo che accresce la visibilità dei prodotti esposti avvicinandoli al cliente garantendo un accesso totale per l’allestimento e la pulizia.
La Spalla cotta Fumé XXL, nuovo prodotto della salumeria
firmata Bettella Maiale Tranquillo®
La Spalla cotta fumé XXL senz’osso è l’ultima creazione che va ad arricchire la gamma dei salumi XXL prodotti con le carni del Maiale Tranquillo®, il suino extrapesante che racchiude in sé la tradizione, la qualità e la passione dell’Azienda Agricola Bettella. Dal 2010, la famiglia Bettella ha scelto di investire in questo particolare suino, allevato nelle campagne cremonesi secondo metodi tradizionali che prevedono solo due “ingredienti”: cereali e tempo. Il Maiale Tranquillo® è cresciuto senza fretta in ampi spazi, alimentato esclusivamente con cereali coltivati nei 180 ettari di proprietà aziendali e tostati internamente per preservarne la salubrità e il sapore. Questa crescita lenta permette agli animali di sviluppare carni sane e saporite, caratterizzate da un grasso “buono” che contiene oltre il 50% di acido oleico. Solo dopo aver raggiunto i due anni di età e il considerevole peso di 350-380 kg, le carni del Maiale Tranquillo® sono pronte per essere trasformate dai migliori artigiani norcini italiani in prelibati salumi. La Spalla cotta fumé XXL è un salume che unisce la tradizione di due regioni: la Lombardia, per quanto riguarda la lavorazione, e il Friuli Venezia Giulia, per il suo gusto affumicato. Ricavata dalla spalla del suino, questa delizia viene rifilata e messa in salamoia prima di essere legata a mano. Dopo una lenta cottura a vapore che la rende morbida e succosa, la spalla viene affumicata con fumo di legni di faggio e ciliegio. Una volta completata l’affumicatura, le spalle vengono lasciate riposare per consentire agli aromi di impregnare uniformemente la carne. L’aspetto della Spalla cotta fumé XXL ricorda quello di un prosciutto cotto fuori stampo, ma si distingue per la sua ricchezza di sapori, il grasso fondente e il suo caldo profumo che evoca un camino scoppiettante. Questo salume dà il meglio di sé appena tiepido e tagliato al coltello, accompagnato da una giardiniera, una focaccia calda o il classico gnocco fritto. È ottima anche servita a temperatura ambiente e tagliata con l’affettatrice, ideale per farcire toast speciali, club sandwich o semplicemente del pane croccante. Per chi desidera degustare la Spalla cotta fumé XXL, la si trova a Milano in carta all’Osteria alla Concorrenza di Diego Rossi ed Enricomaria Porta, alla Vinoteca Centro Storico di Alessio Cighetti a Serralunga d’Alba (CN), alla Gastronomia Barozzini all’interno del Mercato Albinelli di Modena e all’Antica Drogheria Girardi nel centro storico di Salò (BS).
>> Link: salumibettella.it
Gelato gastronomico: Mortadella Bologna, Coppa piacentina,
Salame Piemonte e Bresaola della Valtellina finiscono in coppa
Realizzare un gelato ai salumi è un azzardo? C’è chi è pronto a dimostrare il contrario. Helga Cimino, titolare della gelateria romana Neve di Latte – Gelateria e Bistrot naturale (www.nevedilatte.it), ha pensato ad un gelato gastronomico gourmet dove ripropone in maniera “gelatabile” gusti della tradizione e lo ha mostrato alle telecamere di RAI 2 “Eat Parade” Le sue proposte? Il gelato con i salumi tutelati, come quello alla Mortadella Bologna IGP con aggiunta di pistacchi freschi, quello alla Coppa Piacentina DOP da gustare accanto al melone fresco (in foto), quello alla Bresaola della Valtellina IGP, da provare con un po’ di rucola, e quello al Salame Piemonte IGP da spalmare su una fetta di pane croccante.
A Gombitelli una delle specialità del salumificio della famiglia Cerù
Lardo di Pata Negra Cerù
di Josette Baverez Blanco
Photo
AGombitelli, piccolo borgo a 450 m sui fianchi meridionali delle Alpe Apuane, nel comune di Camaiore, ad appena 20 chilometri dalla bellissima città di Lucca, ho scoperto quasi per caso un meraviglioso connubio tra le tradizioni gastronomiche di due popoli del Mediterraneo, Italia e Spagna.
Anni fa, nel visitare le cave di marmo di Carrara e i bacini marmiferi della zona, mi ero avvicinata al lardo di Colonnata stagionato nelle conche di marmo, mentre conoscevo già da tempo quello di Arnad DOP, tipico della Val d’Aosta, stagionato nei doils di legno (castagno, rovere o larice), ognuno con un sapore caratteristico. Nel vantarne le qualità durante la mia permanenza in Toscana, è nato un dibattito con una persona del posto che ha tenuto a farmi assaggiare questo prodotto unico. Niente di più facile per convincermi data la mia passione per lo Jamón Pata Negra spagnolo.
La famiglia Cerù, che pratica l’arte della norcineria in questo comune dai primi del Novecento (Salumificio Cerù, www.salumificioceru.it ), ha avuto questa fantastica idea di lavorare in maniera artigianale una materia prima eccellente, il lardo del famoso maiale iberico Pata Negra allevato allo stato brado, valorizzandola ulteriormente. Nutrito esclusivamente di ghiande in zone collinari ben precise della Spagna, nel sud e sud-ovest del Paese, offre un grasso dal sapore specifico, morbido e profumato. “La sapiente lavorazione di queste carni pregiate ed una ricetta
segreta costruita con anni di passione, conferiscono al prodotto un connubio di sapori che trova radici nei boschi di grandi querce e negli antichi modi di vivere in campagna” si legge nel sito del salumificio toscano.
Ottenuto dalla salatura e stagionatura del grasso dorsale di copertura del suino, il lardo è sottoposto a tolettatura e rifilatura rigorosamente manuali. I pezzi di lardo (7/8 kg) vengono poi sistemati in vasche a strati alternandoli con una concia di sale, pepe, aglio e erbe aromatiche “in proporzione e quantità appropriate al tipo di prodotto”. I pezzi di lardo invecchieranno oltre 120 giorni per acquisire un particolare equilibrio gustativo.
Il Salumificio Cerù produce anche un lardo omonimo con materia prima di origine 100% italiana che viene sottoposto ad un invecchiamento di almeno 180 giorni e una crema di lardo ottima se spalmata sul pane per fare i crostini e bruschette e molto comoda nell’utilizzo domestico.
Evitiamo di spaventarci nel leggere la parola “grasso”, un termine demonizzato dagli anni ‘60 con il boom economico e la mania delle diete. Questo lardo 100% iberico ma lavorato in Italia sembra burro tanta è la sua scioglievolezza. Le sue delicate venature rosate lo rendono appetitoso a prima vista e il suo aroma delicato ci fa capire quanto possa elevare i nostri piatti, dal semplice pane, lardo e noci agli involtini di carne o verdure. Provare per credere!
Josette Baverez Blanco
Salumi e gavorchi: la prima cosa che si associa al piccolo borgo di Gombitelli è la nota produzione di norcineria con il biroldo, un particolare ed antico sanguinaccio, la mortadella nostrale e il lardo, che fa degna concorrenza al più celebre di Colonnata. In pochi lo sanno però che Gombitelli è un’isola linguistica dove si parla un particolare dialetto di origine nordica, portato probabilmente da un gruppo di fabbri germanici scesi in Italia al seguito di Carlo V. E il ferro è al centro anche della storia e dell’economiadel paese: a testimonianza della fiorente attività di questa lavorazione nelle case più antiche sono visibili i segni dei fuochi che servivano per forgiare il metallo. A Gombitelli si facevano in particolare chiodi detti “gavorchi”: erano brutti e non erano rifiniti a sezione quadrata perché servivano per la carpenteria. In tutta la Lucchesia una persona brutta e sgraziata è tuttora detta “un gavorchio” (fonte: Visit Tuscany).
CSB-System è l’ERP giusto anche per le aziende del settore lattiero-caseario
La soluzione preconfigurata di settore mette a disposizione funzionalità specifiche per ottimizzare i processi complessi e renderli più trasparenti.
Acquisizione flessibile ed integrata dei dati nel punto in cui si opera Grazie alla raccolta dei dati lungo la filiera proprio là dove questi sono
generati, l’ ERP CSB-System aiuta a strutturare i processi e ottimizzare i flussi di lavoro, così da massimizzare l’efficienza della produzione, del magazzino e della logistica. Indipendentemente dal tipo di lavorazione che si vuole intraprendere, l’acquisizione dati può avvenire tramite CSB Rack, PC industriali progettati proprio per operare a basse temperature e in presenza di umidità e spruzzi d’acqua. Questi sono solitamen-
te posizionati nelle aree di ricevimento latte, produzione e confezionamento. Per quanto riguarda invece magazzino e logistica, l’ERP CSB-System supporta qualsiasi tipo di dispositivo mobile di acquisizione dati, dalla raccolta latte fino alla registrazione del prodotto in uscita; i dati raccolti da questi dispositivi confluiscono direttamente nel CSBSystem senza interruzioni nel processo, eliminando ritardi e potenziali errori,
per garantire una rintracciabilità senza lacune. Anche il più piccolo passaggio di digitalizzazione può significare un salto di qualità. Un esempio è il ricevimento del latte crudo: grazie all’M-ERP, i dispositivi mobili acquisiscono i dati relativi al conferente, alla quantità e alla qualità del latte e queste informazioni sono poi elaborate digitalmente per definire in quale produzione confluirà quel latte e come verrà contabilizzato. Utilizzando la web app del Controllo Qualità di CSB-System, diventa molto semplice inserire le rilevazioni qualitative e quantitative di latte, semilavorati e prodotti finiti.
Gestione Serbatoi con M-ERP
La preparazione del latte necessario per la produzione e per le diverse fasi di lavorazione, ovvero miscelazione, attivazione, affioramento, può essere gestita in maniera molto intuitiva con funzionalità M-ERP di CSB-System. Per ogni lavorazione viene creato un lotto che, se confermato, registra lo scarico dal centro di costo del “conferimento” e successivamente anche del “serbatoio”. Gli operatori al quadro in tempo reale hanno a disposizione tutte le informazioni circa il latte contenuto nei serbatoi, compreso il giro di conferimento e la tracciabilità delle lavorazioni prece-
dentemente effettuate. Sulla base degli ordini di produzione, il CSB-System imputa per ogni prodotto i costi che vanno poi a definire il prezzo industriale del prodotto stesso.
Chiara pianificazione della produzione
In base alle esigenze commerciali, il modulo Pianificazione della Produzione del CSB-System elabora il piano di produzione per le varie tipologie produttive (prodotti a pasta filata, formaggi freschi, stagionati, ecc…). Schermate touch CSB, semplici e intuitive da utilizzare, semplificano la routine lavorativa degli operatori di reparto: dall’inserimento dei dati all’intero flusso di produzione, inclusa la gestione delle componenti, garantendo così, tracciabilità e calcolo dei costi dei prodotti.
Preparazione ordini efficiente
Postazioni di lavoro multifunzionali, quali i CSB-Rack, collegati all’ERP CSBSystem, consentono di svolgere su un’unica postazione le molteplici funzioni che il processo di preparazione ordini richiede: la prezzatura per cliente/ articolo, l’etichettatura di magazzino, il rilevamento dell’uscita merci tramite pesatura o scanner. Attraverso il controllo della produzione, il CSB-System verifica i risultati sulle linee di peso-prezzatura con il rilevamento di eventuali fermi macchina, dello stato di avanzamento del confezionamento e dell’ora prevista di fine lavoro, al fine di ottimizzare le linee, indipendentemente dal volume e dalla composizione dei singoli ordini da evadere.
Accesso mobile ovunque
Durante la pandemia, le industrie si sono trovate di fronte ad una nuova sfida: l’home office e l’accesso all’ERP aziendale lontano dalla sede operativa. Il CSBSystem permette di accedere al sistema sia dalla rete interna che dall’esterno indipendentemente dal luogo in cui i dati vengono generati. Può essere installato in locale o in un cloud center e l’utente in possesso dei necessari permessi può accedere sia operativamente sia alle statistiche relative ad acquisti, vendite, articoli, clienti e fornitori, ovunque e in qualsiasi momento. Negli ultimi anni diverse CSB web solutions sono state consolidate nell’ERP.
Collegamento alle macchine tramite sistemi MES e manutenzione predittiva
Con l’avvento dell’Industria 4.0, la quantità di dati proveniente dagli impianti di produzione e confezionamento è diventata enorme. Il MES, sistema di esecuzione e controllo della produzione, è parte integrante dell’ERP CSB-System: visualizza i dati della macchina, l’acquisizione dei dati di produzione e la pianificazione delle risorse e, sulla base di queste informazioni, consente il controllo ed il monitoraggio dei processi produttivi in tempo reale. Gli operatori possono così intervenire tempestivamente in caso di problemi per evitare tempi di inattività non pianificati. La web app della Manutenzione rende le procedure ancora più semplici, sicure e trasparenti.
Ottimizzazione basata su statistiche e cifre chiave
L’ERP CSB-System consente di creare statistiche e report liberamente definibili in qualsiasi area aziendale. Basti pensare al valore aggiunto di poter incrociare i costi di acquisto di latte e componenti e i dati di produzione con i dati derivanti dalla contabilità industriale (ammortamenti macchinari, costi reparto acquisti, costi reparto commerciale, costi di magazzino, logistica e amministrazione), tenendo sempre conto anche di tutte le condizioni dirette applicate nella vendita a terzi o nella fatturazione del servizio di produzione conto terzi. Si possono, inoltre, impostare statistiche personalizzate, che costituiranno la base per la valutazione dei fornitori e della produttività aziendale.
Referente:
• Dott. A. MUEHLBERGER
CSB-System Srl
Via del Commercio 3-5
37012 Bussolengo (VR)
Telefono: 045 8905593
Fax: 045 8905586
E-mail: info.it@csb.com
Web: www.csb.com
Lettura ottica del codice Datamatrix con applicazione M-ERP CSB.
UNA FILIERA AGROALIMENTARE SEMPRE PIÙ
TECNOLOGICAMENTE
AVANZATA
Sfide e possibilità offerte dalla sinergia tra Intelligenza
Artificiale e software per la tracciabilità come Track Alimenti
Un software di tracciabilità come Track Alimenti di Zuffellato Technologies si sposa perfettamente con le esigenze dei salumifici e delle aziende di lavorazione carni ma può essere utilizzato per la tracciabilità di componenti e ingredienti impiegati anche nella lavorazione di pasta, dolci, piatti pronti.
L’intelligenza artificiale (AI) sta rivoluzionando molti settori, incluso quello agroalimentare. Le prospettive per il suo uso in questo campo sono numerose e promettono di migliorare l’efficienza, la sostenibilità e la qualità della produzione alimentare.
Con l’ agricoltura di precisione l’AI può analizzare i dati raccolti da sensori e droni per monitorare lo stato delle colture, identificare aree stressate, valutare l’umidità del suolo e rilevare malattie o infestazioni. Attraverso l’analisi dei dati l’AI può aiutare a ottimizzare l’uso di fertilizzanti, pesticidi e acqua, riducendo gli sprechi e migliorando la sostenibilità.
Utilizzando algoritmi di machine learning è possibile prevedere i rendimenti delle colture basandosi su dati storici, condizioni meteorologiche e altri parametri. Questo aiuta gli agricoltori a pianificare meglio le attività agricole e gestire le risorse.
Trattori e altre macchine agricole equipaggiate con AI possono lavorare autonomamente, eseguendo operazioni come la semina, la raccolta e il diserbo
con maggiore precisione ed efficienza. L’AI può accelerare la ricerca nel campo della genetica agricola, aiutando a sviluppare nuove varietà di piante più resistenti a malattie e cambiamenti climatici. Con simulazioni e analisi dei dati può aiutare a perfezionare le tecniche agricole, migliorando la resa e la qualità dei raccolti.
Per quanto riguarda la gestione della filiera agroalimentare, se all’AI integriamo i Manufacturing Execution Systems (MES), nati per implementare il monitoraggio e il controllo in tempo reale delle operazioni di produzione, e un software di tracciabilità come Track Alimenti di ZUFFELLATO TECHNOLOGIES si può creare un ecosistema altamente efficiente, sicuro e trasparente per il settore agroalimentare.
Track Alimenti infatti non solo si sposa perfettamente con le esigenze dei salumifici e delle aziende di lavorazione carni ma può essere utilizzato per la tracciabilità di componenti e ingredienti impiegati anche nella lavorazione di pasta, dolci, piatti pronti. In particolare è impiegato anche da produttori di mangimi, industrie alimentari, molini
Un sistema integrato che combina AI, MES e software di tracciabilità come Track Alimenti può offrire una gestione centralizzata di tutte le operazioni, dalla produzione alla distribuzione, migliorando la coerenza e la trasparenza dei processi.
e pastifici, biscottifici. Per le sue caratteristiche si sposa perfettamente anche con le esigenze di salumifici e di chi si occupa di lavorazione salumi.
Track e i MES possono integrarsi per fornire una visibilità completa lungo tutta la catena di produzione e distribuzione Questo permette di monitorare ogni fase della produzione, dalla materia prima al prodotto finito.
Track Alimenti è in grado di tracciare tutte le operazioni di trasformazione e commercializzazione di prodotti alimentari. I MES possono generare e gestire i lotti di produzione, mentre Track Alimenti può tenere traccia di questi lotti lungo la catena di approvvigionamento, garantendo che ogni prodotto possa essere facilmente rintracciato.
L’AI può analizzare i dati raccolti dai MES in tempo reale per ottimizzare i processi produttivi, identificare colli di bottiglia e suggerire miglioramenti operativi.
Integrando l’AI con MES, è possibile prevedere guasti delle apparecchiature e pianificare la manutenzione preventiva, riducendo i tempi di inattività e migliorando l’efficienza operativa.
Track Alimenti permette di gestire l’intero flusso delle informazioni tramite ricette in cui si tiene traccia di tutti i passaggi dall’arrivo della merce alle fasi di lavorazione alla sua commercializzazione.
Tra le sue funzionalità più importanti: un’app completa per il controllo e la gestione della produzione, la gestione del conto lavoro e della produzione MRP (Material Requirements Planning), l’invio e ricezione dati per la GDO tramite File EDI (Electronic Data Interchange)
L’AI può analizzare i dati raccolti da software come Track Alimenti per identificare tendenze, anomalie e potenziali rischi per la sicurezza alimentare, permettendo interventi proattivi.
Utilizzando tecnologie di visione artificiale e algoritmi di AI è possibile automatizzare l’ispezione dei prodotti per garantire che rispettino gli standard di qualità e sicurezza alimentare.
Un sistema integrato che combina AI, MES e software di tracciabilità come Track Alimenti può offrire una gestione centralizzata di tutte le operazioni, dalla produzione alla distribuzione, migliorando la coerenza e la trasparenza dei processi
L’integrazione completa permette di reagire in tempo reale a qualsiasi problema lungo la catena produttiva, migliorando la capacità di risposta e la resilienza del sistema, riducendo gli sprechi di materie prime e prodotti finiti. L’analisi dei dati di consumo energetico può portare ad una gestione più efficiente delle risorse energetiche per un ambientale più contenuto.
L’AI può analizzare le preferenze dei consumatori e le tendenze di mercato per supportare lo sviluppo di prodotti personalizzati.
L’integrazione tra MES e Track Alimenti può accelerare il processo di sviluppo e lancio di nuovi prodotti, migliorando la capacità dell’azienda di rispondere rapidamente alle richieste del mercato. L’integrazione di queste tecnologie fornisce una visibilità completa sulla supply chain, migliorando la trasparenza e la fiducia dei consumatori.
L’integrazione dell’intelligenza artificiale, dei Manufacturing Execution Systems e di un software di tracciabilità come Track Alimenti rappresenta una svolta significativa per il settore agroalimentare. Queste tecnologie, lavorando in sinergia, possono migliorare la qualità, la sicurezza, l’efficienza e la sostenibilità delle operazioni produttive e della supply chain. Le aziende che adottano queste tecnologie integrate possono aspettarsi di ottenere vantaggi competitivi, migliorare la soddisfazione dei clienti e contribuire ad un sistema alimentare più sicuro e sostenibile.
>> Link: www.trackanyfood.com
>> Link: www.zuffellato.com
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44124 Ferrara
Telefono: 0532 904711
E-mail: info@zuffellato.com
Sani, sicuri, sostenibili e DOP
Il DOP cresce tra i claim che riguardano l’italianità dei prodotti messi nel carrello della spesa e resta alta l’attenzione alla loro naturalità e sicurezza produttiva. Ma è soprattutto il benessere a far decollare le vendite, spingendo i prodotti proteici o con meno zuccheri e grassi
L’effetto inflazione continua a farsi sentire e a far alleggerire il carrello della spesa. Ma ci sono prodotti a cui gli Italiani non rinunciano, e anzi di cui aumentano gli acquisti, anche in volume, come quelli con certificazione DOP (Denominazione di Origine Protetta), quelli ricchi in proteine, quelli con meno zuccheri o senza uova, quelli privi di glifosato o a residuo zero,
quelli realizzati in modo artigianale o di tradizione regionale, quelli vegani o certificati Halal. Questi (e molti altri) sono i fenomeni-chiave del 2023 individuati dall’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, il report semestrale che dal 2017 analizza e racconta i cambiamenti del carrello della spesa partendo dalle informazioni presenti sulle etichette di 139.302 prodotti, responsabili dell’83,1% del giro d’af-
fari 2023 del canale supermercati e ipermercati. «Semestre dopo semestre, Osservatorio Immagino continua a monitorare l’andamento dei fenomeni più diffusi e impattanti nel largo consumo individuando, in ogni edizione, nuovi e inesplorati trend di consumo, perché Industria e Distribuzione arricchiscono continuamente le etichette di nuove informazioni, ritenendole un importante mezzo di comunicazione con lo shop-
per» sottolinea Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy. «Ecco perché la metodologia innovativa adottata per Osservatorio Immagino, basata sui prodotti digitalizzati da Immagino di GS1 Italy Servizi e le rilevazioni di NielsenIQ, dimostra di reggere alla prova degli anni e si conferma di grande modernità e attualità».
I 36 claim in crescita a volume del 2023
Negli 11 panieri analizzati, tra food e non food, tra gli oltre 100 claim, loghi e certificazioni di cui Osservatorio Immagino monitora l’andamento nel canale supermercati e ipermercati, ce ne sono 30 che nel 2023 sono andati in controtendenza, registrando vendite in crescita non solo a valore ma anche a volume. Eccoli:
• DOP: +1,6% a volume e +9,1% a valore;
• Filiera: +0,9% a volume e +12,7% a valore;
• Regione/regionale: +10,6% a volume e +14,9% a valore;
• Puglia: +0,9% a volume e +12,8% a valore;
• Molise: +9,2% a volume e +17,3% a valore;
• Abruzzo: +0,6% a volume e +5,2% a valore;
• Basilicata : +4,3% a volume e +12,0% a valore;
• Valle d’Aosta: +6,2% a volume e +12,7% a valore;
• Pochi grassi: +0,4% a volume e +11,5% a valore;
• Pochi zuccheri: +1,9% a volume e +18,3% a valore;
• Senza zuccheri aggiunti: +5,4% a volume e +18,5% a valore;
• Senza grassi idrogenati: +1,7% a volume e +15,2% a valore;
• Senza aspartame: +5,1% a volume e +10,8% a valore;
• Senza/con uso limitato di pesticidi: +4,1% a volume e +10,7% a valore;
• Residuo 0/0 residui/senza residui: +43,4% a volume e +67,4% a valore;
• Senza glifosato: +34,2% a volume e +42,2% a valore;
• Proteine: +1,2% a volume e +12,8% a valore;
• Con fermenti lattici: +0,3% a volume e +12,1% a valore;
4/24
L’ACETO BALSAMICO è DI MODENA Unico. Autentico. Di Modena.
• Senza uova: +3,6% a volume e +12,8% a valore;
• Vegano: +0,2% a volume e +11,9% a valore;
• Halal: +5,9% a volume e +16,7% a valore;
• Ecolabel: +1,9% a volume e +15,6% a valore;
• Cruelty free: +0,8% a volume e +11,3% a valore;
• Artigianale: +17,1% a volume e +21,6% a valore;
• Essiccazione: +3,1% a volume e +7,8% a valore
• Cremoso : +0,1% a volume e +15,0% a valore;
• Morbido: +1,3% a volume e +14,2% a valore;
• Ruvido: +0,9% a volume e +13,7% a valore.
Made in Italy: un valore da preservare
Scrive Marco Cuppini nell’Introduzione dell’Osservatorio: “I prodotti dotati delle Indicazioni Geografiche riconosciute dalla UE sono protagonisti indiscussi del paniere di spesa italiano nonché
apprezzati ambasciatori del made in Italy. Considerando DOP, DOC (Denominazione di origine controllata) e DOCG (Denominazione di origine controllata e garantita), l’Osservatorio Immagino ha individuato ben 4.595 prodotti DOP, DOC e DOCG nell’assortimento di supermercati e ipermercati; un insieme di prodotti che hanno sviluppato nel 2023 oltre 1,5 miliardi di euro di sell-out con un aumento del +5,6% a valore ed una diminuzione del –1,2% in volume.
Ma chi compra i prodotti DOP? I principali profili di acquirenti di prodotti DOP fanno riferimento a consumatori attenti alla qualità, generalmente disposti a spendere di più per prodotti che garantiscano un elevato standard qualitativo, di eccellenza e autenticità. Ma anche amanti della tradizione che apprezzano i metodi di produzione ed il legame con il territorio. Ancora, consumatori consapevoli, informati e attenti alle etichette, che cercano prodotti con certificazioni di origine e qualità, sensibili agli aspetti etici e ambientali legati alla produzione alimentare. Spesso sono anche gourmet e appassionati
La nuova edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, la numero 15, racconta come le informazioni in etichetta abbiano guidato gli Italiani nelle scelte d’acquisto di più di 139.000 prodotti e il trend di oltre 100 informazioni on pack. Per scaricarla: osservatorioimmagino.it
di cucina che cercano ingredienti di alta qualità per le loro preparazioni culinarie. Infine, non va dimenticato il crescente numero di turisti e consumatori internazionali che durante i loro viaggi desiderano portare a casa un pezzo dell’esperienza gastronomica vissuta.
In generale, i prodotti DOP attraggono un pubblico variegato ma accomunato dalla ricerca di autenticità, qualità superiore e rispetto delle tradizioni. Questo tipo di consumatore riconosce e apprezza il valore aggiunto che tali prodotti portano alla tavola, rendendo il loro acquisto una scelta consapevole e significativa, spesso guidata da un bagaglio di informazioni veicolate dalle etichette che arricchisce il valore del prodotto. In sintesi, i dati delle etichette dei beni di largo consumo sono vitali per garantire quei valori di trasparenza e sicurezza tanto ricercati dal cliente, oltre a rappresentare una risorsa strategica da preservare per le aziende nel mercato competitivo attuale”.
• Si può scaricare la 15a edizione al link: osservatorioimmagino.it
PITINA IGP: LA “POLPETTINA”
DI CARNI OVICAPRINE O SELVAGGINA AVVOLTA NELLA FARINA DI MAIS
di Chiara Papotti
Tradizionalista, autarchica e ruspante: la cucina friulana è connotata da questi tre aggettivi che la rendono impermeabile alle mode. Un lusso che si può permettere grazie all’abbondanza e all’eccellenza degli ingredienti autoctoni che ne fanno un’oasi gastronomica autosufficiente e per giunta ricca.
Nelle valli inserite nel comprensorio montuoso soprastante l’alta pianura pordenonese, tra Val Tramontina e Val Cellina, si produce con gusto un salume straordinario: la Pitina IGP, che vanta l’essere stato il primo presidio Slow Food della regione. Traccia di una cucina di “recupero”, la pitina nasce per soddisfare l’esigenza di conservare carni ovicaprine o di selvaggina nei mesi più freddi dell’anno.
Il territorio dove trova origine è stato storicamente contrassegnato da povertà, emigrazione e da un’economia
di sopravvivenza, nella quale la carne era un bene prezioso. Erano rarissimi gli allevamenti di maiali, un lusso che in queste valli non ci si poteva permettere. L’unica provvista di proteine animali erano gli ovini. Quando si feriva un camoscio o un capriolo, o si macellava una pecora o una capra per raggiunti limiti di età, si doveva trovare il modo di non sprecare nulla. Ed ecco che l’ingegno dei nostri avi ha trovato il modo di farne qualcosa di unico al mondo. Nel caso della pitina, le carni che non venivano consumate subito e, più in generale, le parti meno pregiate venivano sgrossate, ripulite delle componenti adipose e dai tendini, sminuzzate finemente nella pestadoria, un ceppo di legno incavato, con un pesante coltello chiamato manarin. Si aggiungevano sale, aglio, pepe nero spezzettato e spezie (talvolta lasciate macerare nel vino), poi si impastava il tutto fino ad
ottenere un composto uniforme. A questo punto si formavano piccole polpettine (pitine) che venivano passate nella farina di mais fino ad ottenere una panatura uniforme e si lasciavano affumicare sulla mensola del camino (fogher o fogolar). Col passare dei giorni l’impasto si asciugava e, per consumarlo, era necessario ammorbidirlo nel brodo di polenta.
I primi produttori dei quali è rimasta testimonianza sono stati gli abitanti delle frazioni di Inglagna e Frassaneit, nel comune di Tramonti di Sopra. Intervistando anziani emigrati negli Stati Uniti si è potuto affermare con certezza che la preparazione e il consumo di questo antico prodotto erano largamente diffusi all’inizio dell’800 in Val Tramontina e nelle vallate limitrofe. La scarsità di documentazione scritta viene spiegata dai ricercatori col fatto che la pitina non era utilizzata come merce di scambio e, quindi, non si è trovata nessuna scrittura
contabile. Era un prodotto riservato al popolo, che difficilmente usciva dalla stretta cerchia familiare, lontano dai consumi dei nobili o dei benestanti.
Col trascorrere del tempo, la ricetta si è tramandata di generazione in generazione, adattandosi al gusto contemporaneo. Oggi le forme che si trovano in commercio hanno un sapore più gentile grazie all’aggiunta di grasso suino. La materia prima ammessa nel Disciplinare di produzione comprende le carni ovine, caprine, di capriolo, daino, cervo e camoscio.
Oltre alla versione tradizionale, si possono trovare in commercio anche due varianti: la “Peta” e la “Petuccia” La prima si distingue per le dimensioni più grandi, la seconda per le diverse erbe aromatiche aggiunte nell’impasto: quelle ammesse sono ginepro, kümmel o finocchio selvatico, semi di finocchio e achillea moscata.
L’affumicatura è un momento cruciale per la riuscita del salume. Il fumo è prodotto dalla combustione di legno di faggio, carpine o pochi altri alberi da frutto. In questa fase le “polpettine” rimangono a riposo per circa 12 ore a temperature non superiori ai 30 °C. Al termine, la carne affumicata subisce un processo di asciugatura, con lo scopo di favorire l’essiccamento e la diffusione della concia nella massa carnosa. Tale fase ha una durata compresa tra i 2 e gli 8 giorni, computati a partire dall’ora di inizio asciugatura, nel corso dei quali il prodotto viene mantenuto in ambienti a temperatura compresa tra 10 e 18 °C e umidità variabili tra 50 e 85%.
La produzione del Presidio si conclude con la stagionatura, che avviene in ambienti muniti di aperture verso l’esterno per consentire ventilazione che ricambio dell’aria. Può essere venduta non prima che siano trascorsi
30 giorni dall’inizio della lavorazione, intesa come data di impasto. Si mangia spesso cruda a fettine, ma è ottima anche cucinata. Può essere scottata nell’aceto e servita con la polenta, rosolata nel burro e cipolla e aggiunta nel minestrone di patate, o ancora al cao, cioè cotta nel latte di vacca appena munto.
Questa singolare e antica preparazione ha risposto perfettamente alla necessità di conservare il più a lungo possibile la poca carne disponibile, oltre a contribuire all’evoluzione delle tecniche di conservazione comuni a tutto l’arco alpino e all’area del Nord Europa, tra cui l’affumicatura e la stabilizzazione con l’aggiunta del grasso di suino. Grazie al coinvolgimento dei ristoratori locali e l’allargamento del mercato, la pitina ha evitato la scomparsa e rimane uno dei prodotti più affascinanti nel panorama gastronomico nazionale.
Chiara Papotti
Riso Nano Vialone Veronese IGP semilavorato: un chicco, infinite possibilità
Nel panorama delle eccellenze italiane, il Riso Nano Vialone Veronese IGP si distingue da tempo per la sua qualità superiore e la sua versatilità in cucina. Dal 2020, una nuova versione di questo prodotto iconico è disponibile per gli amanti della buona tavola: il riso semilavorato o semintegrale. Questa variante, riconosciuta e approvata dal Ministero nel 2020, offre ai consumatori una scelta più ricca e un’opportunità unica di assaporare una tradizione che si evolve continuamente.
Il Riso Nano Vialone Veronese IGP è coltivato nelle risaie alluvionali della pianura veronese, dove le pratiche di avvicendamento colturale e l’impiego limitato di presidi sanitari e concimazioni chimiche testimonia l’impegno verso una produzione sostenibile e rispettosa dell’ambiente. La variante semilavorata si caratterizza per una lavorazione che mantiene parzialmente l’embrione e il pericarpo, preservando così parte delle naturali proprietà nutrizionali e organolettiche del riso. Il chicco risulta visibilmente più ruvido e scuro, chiaro indicatore di una lavorazione meno intensa, che preserva le sue qualità originarie. Meno raffinato rispetto al riso tradizionale, questa variante mantiene un’alta concentrazione di fibre, arricchendosi di nutrienti e offrendo un sapore distintamente ricco e pronunciato. Questa tipologia presenta una perla centrale estesa e una consistenza che lo rende ideale per la preparazione di risotti cremosi. Il tempo di gelatinizzazione, compreso fra 15 e 20 minuti, assicura inoltre una cottura ottimale che valorizza il profilo gustativo unico di questo prodotto. La zona di produzione del Riso Nano Vialone Veronese IGP è strettamente delimitata ai territori amministrativi di specifici comuni nella provincia di Verona, tra cui Isola della Scala.
* Il Consorzio di Tutela della IGP Riso Nano Vialone Veronese è impegnato nel progetto di comunicazione “European Lifestyle Taste Wonderfood”, che ha lo scopo di promuovere e valorizzare le eccellenze enogastronomiche europee, simbolo della qualità dei prodotti locali e della gastronomia veronese. Gli altri protagonisti della campagna sono i vini tutelati dal Consorzio Valpolicella, tra questi l’Amarone della Valpolicella DOCG, il Valpolicella Classico DOC, il Valpolicella Ripasso DOC e al Recioto della Valpolicella DOCG, il formaggio Asiago DOP, l’Olio extravergine d’oliva Garda DOP, l’Olio extravergine d’oliva Tergeste DOP, l’Olio extravergine d’oliva Veneto DOP e tutte varietà tutelate dall’Associazione Produttori Olio Verona.
La
Francia
lancia il francobollo all’odor di baguette
Le Poste francesi hanno emesso un nuovo francobollo che ha l’immagine, ma anche il profumo, di una baguette. Sì, proprio così. Il pane francese per eccellenza, alimento che è anche simbolo culturale, è stato effigiato sulla stampa del nuovo francobollo: una baguette infiocchettata con un nastro nei colori della bandiera francese, ossia blu, bianco e rosso. D’altronde non dimentichiamo che, secondo le statistiche, la baguette è un rituale quotidiano di oltre 12 milioni di persone in Francia, dove ogni anno vengono prodotti 6 miliardi di sfilatini. Fin qui tutto bene, anche perché l’obiettivo delle Poste d’Oltralpe, con questa iniziativa, è di rendere omaggio al simbolo francese della gastronomia: un prodotto che è anche fiore all’occhiello della cultura nazionale e che, dal novembre 2022, è stato inserito nella lista del patrimonio immateriale dell’UNESCO. Il prezzo dello speciale francobollo, rivolto soprattutto al pubblico dei collezionisti, è di € 1,96, l’equivalente dell’affrancatura per la spedizione internazionale di una lettera da 20 grammi. La serie in edizione limitata è stata tirata poco meno di 600.000 esemplari. Quello che, però, rende del tutto speciale l’affrancatura è il fatto che strofinando la superficie del francobollo si sparge il profumo delle boulangerie, cioè delle panetterie transalpine, di primo mattino, quando sui banchi sono disposte le baguette appena sfornate. Come ha spiegato lo stampatore Damien Lavaud, «il profumo è incapsulato: la difficoltà è stata applicare l’inchiostro senza rompere le capsule in modo che la fragranza possa essere restituita al cliente quando strofina il francobollo, per essere precisi la baguette. In questo modo si liberano le capsule del caratteristico profumo di questo pane» (fonte: EFA News – European Food Agency).
Crudo di Cuneo DOP, delizia alla festa del Jambon de Bosses a Saint-Rhémy-en-Bosses
C’era anche il Prosciutto
Crudo di Cuneo DOP alla festa dedicata al Jambon de Bosses svoltasi domenica 14 luglio nel borgo di SaintRhémy-en-Bosses, ultimo comune della
Valle d’Aosta prima del confine svizzero e sede della tradizionale kermesse dedicata al prosciutto valdostano. L’evento ha voluto celebrare alcune delle migliori produzioni di prosciutti crudi DOP e i suoi produttori italiani e spagnoli: oltre
al “padrone di casa” Jambon de Bosses e al Crudo di Cuneo, hanno infatti dato bella mostra di sé il Prosciutto crudo di Parma DOP, il Prosciutto Veneto DOP e gli spagnoli Pata Negra e Jamón Serrano.
L’evento ha rappresentato un’importante vetrina per far conoscere e apprezzare le caratteristiche di questo prosciutto, frutto di una tradizione secolare e di un’attenta lavorazione.
La tradizionale kermesse dedicata al prosciutto crudo Vallée d’Aoste Jambon de Bosses DOP ha voluto celebrare e far conoscere ai visitatori alcune delle migliori produzioni di prosciutti DOP italiani e spagnoli.
Il Crudo di Cuneo DOP, con il suo sapore distintivo e le caratteristiche qualitative inconfondibili, ha catturato l’attenzione dei presenti, che hanno degustato il prodotto insieme ad altre delizie locali. L’evento, quindi, ha rappresentato un’importante vetrina per far conoscere e apprezzare questo prosciutto, frutto di una tradizione secolare e di un’attenta lavorazione. La presenza del Crudo di Cuneo DOP alla kermesse ha evidenziato infine ancora una volta l’eccellenza dei prodotti DOP italiani. I visitatori hanno avuto la possibilità di degustare e confrontare diversi prosciutti, quelli nazionali più dolci, morbidi e magri, e quelli spagnoli con sapori più forti e caratteristici delle loro tradizioni. Una vera e propria “festa” del prosciutto. Il prosciutto crudo Vallée d’Aoste Jambon de Bosses DOP, riconosciuto dall’Unione Europea nel 1996, vanta una storia secolare. La produzione del Jambon de Bosses è infatti documentata fin dal 1397, quando i prosciutti prodotti nel comune di Saint-Rhémy erano
denominati tybias porci salys bauchi Le cosce suine, sapientemente lavorate e conservate, venivano usate oltre che per il consumo familiare anche come oggetto di scambio: un documento del XIV secolo, depositato negli archivi del Gran San Bernardo, documenta che un tybias porci viene donato dai Canonici al Campanaro della Chiesa di Sant’Orso per un servizio reso al Vescovo.
La tecnica di lavorazione del prosciutto si è tramandata nel tempo. Il sapore aromatico del grasso, il gusto delicato della carne e la sua morbidezza lo rendono unico, anche grazie alla peculiarità del clima e dei venti provenienti dai colli che circondano Saint-Rhémy.
«Questo tipo di manifestazioni è fondamentale per promuovere le eccellenze gastronomiche del nostro territorio — ha commentato Chiara Astesana, presidente Consorzio di tutela e promozione del Crudo di Cuneo DOP — e per far conoscere i prodotti DOP, che spesso il consumatore conosce poco o, ahimè, non conosce per nulla».
>> Link: prosciuttocrudodicuneo.it
REGIONE PIEMONTE
FEASR: L.:Europa investe nelle zone rurali. PSR 2014-2020 – Sostegno per attività di informazione e promozione svolte da Associazioni di produttori nel mercato interno - Misura 3 Operazione 3.2.1 – Bando 1/2023_B
PROSCIUTTO BAZZONE della Garfagnana e della Valle del Serchio
Dalla Lucchesia tra le Apuane e l’Appennino settentrionale un prosciutto inconfondibile per grande pezzatura e particolare rifilatura, che lascia una sporgenza simile ad un mento prominente o bazza, da cui il nome
di Chiara Papotti
Principe dei salumi, il prosciutto crudo è apprezzato per le sue doti di gusto e leggerezza. Le fasi di lavorazione dei prosciutti in genere sono comuni, le differenze tra un prosciutto crudo e l’altro dipendono dalle caratteristiche della materia prima, dall’ambiente di stagionatura e da alcune diversità tecniche nella conduzione del ciclo produttivo.
Semplice in apparenza, la lavorazione del prosciutto è, invece, molto delicata e si fonda su una perfetta armonia di fattori umani e ambientali. Nei territori montani della media Valle del Serchio e della Garfagnana è radicata da più
di un secolo la tradizione di produrre il prosciutto bazzone, riconosciuta dal Presidio Slow Food. Il nome bazzone deriva dalla caratteristica forma di questo prosciutto, particolarmente allungata e con una distanza tra l’osso e la parte inferiore che varia dai 12 ai 18 cm, una particolarità che ricorda alla vista il bazzo (o bazza), parola usata nel dialetto locale per indicare un mento molto pronunciato.
In quest’area geografica, già dalla fine del 1800 si allevavano maiali dal mantello grigio allo stato semi-brado. Tradizionalmente i suini erano, e sono ancora oggi, alimentati con prodotti na-
turali, in particolare sfarinati provenienti dalla lavorazione del farro, cereale tipico della Garfagnana, da mele e pere cadute a terra, castagne, ghiande e dalla scotta, scarto di lavorazione dei piccoli caseifici presenti in zona.
Il Presidio riunisce tre produttori, che hanno raccolto la sfida di ricostruire un’intera filiera produttiva, così da garantire sia la provenienza dei maiali utilizzati, sia la loro alimentazione.
I maiali vengono macellati al raggiungimento di 180-200 kg di peso, dopo circa 15 mesi di vita, trascorsi in gran parte all’aperto. Dopo la macellazione, la coscia viene isolata
dalla carcassa e subito raffreddata, per farla rassodare e fermare lo sviluppo microbico. Segue la rifilatura, ossia l’eliminazione di parte del grasso, del muscolo e della cotenna, per arrotondarne il profilo.
Si passa, quindi, alla salagione, dove il prosciutto riposa sotto sale per 2/3 mesi, durante i quali è massaggiato varie volte per favorire l’assorbimento del sale e la perdita di umidità. Terminata la salatura, il bazzone viene fatto riposare in condizioni di temperatura e umidità controllate, quindi, dopo le operazioni di lavaggio e asciugatura, viene stuccato per ricoprire la parte
scoperta della coscia con un impasto di grasso e pepe. La stagionatura dura almeno due anni, in alcuni casi si raggiungono anche i cinque, per ottenere un inconfondibile equilibrio di aroma, sapore e consistenza.
La lavorazione del bazzone, unita all’alimentazione naturale dei suini, dona a questo prosciutto una morbidezza incomparabile e un aroma dolce e ricco, unico nel suo genere. Anche se viene impiegato in alcune ricette tipiche, non c’è dubbio che il miglior modo per apprezzarlo sia quello di gustarlo al naturale. Anche perché si abbina alla perfezione con una quantità di altri
alimenti che, oltre ad armonizzarsi nel gusto, ne completano il valore nutritivo.
La tradizione vuole venga tagliato esclusivamente a coltello: non solo per la sua dimensione, ma anche per esaltarne le caratteristiche organolettiche. I profumi prevalenti sono di tipo vegetale, dalla ghianda al muschio, dalla castagna alla noce. Il sapore penetrante e delicatamente aromatico, unito ad una buona persistenza, ne fanno l’ideale accompagnamento del pane casereccio toscano tagliato a fette, senza sale, servito a temperatura ambiente o appena tostato.
Chiara Papotti
A sinistra: la Fortezza di Verrucole a San Romano in Garfagnana. In alto: la tradizione vuole che il prosciutto bazzone della Garfagnana e della Valle del Serchio venga tagliato
NELLE MINIERE DI GORNO UN
di Lara Abrati
Le miniere di zinco di Gorno, nella Valle del Riso, una valle laterale della Val Seriana in provincia di Bergamo, erano conosciute già in epoca romana quando quassù erano mandati i condannati a “cavar metallo”. Le condizioni di umidità vicine al 100% e la temperatura ottimale e costante nel tempo delle cavità scavate nella roccia le rendono luoghi ideali per affinare i formaggi.
Se fossimo Francesi lo sapremmo. Per fare un buon formaggio servono tre figure: un buon allevatore, un buon casaro e un buon affinatore. Un bagaglio di conoscenze enorme, che può contribuire a dare vita a tesori caseari unici.
L’arte di affinare il formaggio è attività molto radicata in alcune zone d’Europa, come la Francia, la cui cultura a riguardo (ma anche della trasformazione del latte) è assai sentita e approfondita. Esistono molti affinatori anche in Italia, anche celebri: dagli industriali agli artigianali. Alcuni di questi hanno iniziato ad affinare i formaggi a condizioni estreme in termini di umidità, ma altamente stabili come temperatura.
Ecco che le cavità scavate nella roccia, come quelle delle miniere in disuso, si fanno i luoghi perfetti per ritrovare condizioni di umidità vicine al 100% e temperatura ottimale e costante nel tempo.
Nasce così il progetto Galleria N. 5, grazie all’intuizione, alla curiosità e alla voglia di fare di Gianni Danesi e Gerolamo Mazzucotelli, titolari di un locale nel cuore della città di Ber-
gamo, La Fiaschetteria, una piccola locanda in stile alpino in via Borgo Santa Caterina 8 (www.lafiaschetteria.eu).
Un progetto, quello di affinare i formaggi in una delle gallerie delle miniere Costa Jels di Gorno (BG), che non arriva per primo, ma parte da lontano e ha saputo unire le competenze apprese negli anni da Gianni per quanto riguarda l’arte dell’affinamento (grazie alle visite in Alto-Adige, ma anche in Valle d’Aosta, dove si affina la fontina) a quelle “pratiche” di Gerolamo, che ha ideato la migliore soluzione per l’installazione delle scalere nella galleria.
Un percorso lungo, complesso, con tante e piccole sfide. Dopo la fase di collaborazione con le istituzioni, di formazione, poi di predisposizione delle gallerie e di sperimentazione, che ha visto coinvolti diversi allevatori e produttori bergamaschi e i loro formaggi, ad oggi il progetto è ufficialmente partito.
«Alle giuste condizioni di umidità/ temperatura offerte dalla natura, senza alcuno spreco di energia elettrica, si innesta una proteolisi spinta che insolitamente porta avanti una stagionatura
Il caveau sotterraneo per l’affinamento dei formaggi nelle miniere Costa Jels.
centripeta, atipica per i formaggi a pasta semicotta/cotta che noi selezioniamo dopo un primo periodo di 30 giorni di maturazione nelle sale dei caseifici. La visita verifica la formazione della
crosta superficiale, per proseguire con il trasferimento nel caveau sotterraneo, dove riusciamo a garantire alla pasta del formaggio di allentarsi fino a diventare morbida invece di indurire. Questo fa
guadagnare loro un’aromaticità unica grazie alla proliferazione delle muffe in superficie.
Non è un caso che abbiamo scelto l’abete rosso per le nostre scalere, al fine di favorire lo scambio di umidità con l’ambiente ipogeo, creando proprio un microclima favorevole allo sviluppo delle muffe che renderanno unici i formaggi durante a stagionatura.
Per garantire l’adeguato comportamento igroscopico del legno e ottenere il migliore affinamento, una delle meticolose attenzioni che dedichiamo al nostro bunker è quindi la pulizia periodica delle tavole, al fine di continuare a stimolare le funzioni metaboliche del legno e ottenere così la cessione delle molecole antimicrobiche a carico delle forme» raccontano Gianni e Gerolamo.
Ciò che avviene nella Galleria n. 5 delle miniere Costa Jels di Gorno è il frutto della presenza di una microflora unica e delle perfette condizioni ambientali per la tipologia di stagionatura che si è scelta di portare avanti: con un’umidità media costante del 99% e una temperatura media stabile di 10/11 °C.
Sono diversi i produttori che hanno deciso di aderire al progetto. Diversa provenienza (anche se tutta lombarda), diverse tipologie e razze: dalla capra alla pecora fino alla vacca e alla bu-
fala. Sono la Cooperativa Agricola S. Antonio /casArrigoni di Peghera (BG), con i formaggi di vacca di razza Bruna alpina, l’Azienda Agricola Cà Morone di Brembilla (BG), coi formaggi di capra
Camosciata delle Alpi. Poi i formaggi di pecora prodotti dall’Azienda Agricola Cà Di Blac di Adrara San Rocco (BG) e quelli di Chiarelli Giovanni di Bossico (BG) di Bruna alpina, quelli di Morstabilini Sara di Villa d’Ogna (BG), sempre di vacca Bruna alpina, i formaggi di capra de Il Colmetto di Rodengo Saiano (BS), quelli di bufala del Caseificio Quattro Portoni di Cologno al Serio (BG) e, infine, i formaggi di Contrada Bricconi di Oltressenda Alta (BG).
Le forme vengono portate in miniera e la loro cura, per 12 mesi, è affidata a Gianni e Gerolamo. I formaggi riserva che ne nascono sono gioielli unici. Ogni tipologia regala all’assaggio caratteristiche tra le più diverse, tutte da scoprire e da cui lasciarsi stupire. La loro commercializzazione avviene in parti già porzionate e, fino all’autunno 2024, i formaggi saranno degustabili esclusivamente a La Fiaschetteria. Dal 2025 le quantità saranno tali da poterle proporre ad altre realtà interessate. Lara Abrati
La Galleria n. 5 delle miniere Costa Jels di Gorno.
NEL CUORE DEL CARCIOFO
di Josette Baverez Blanco
Una delizia proveniente da varie regioni e con forme e persino sapori diversi, da cucinare in tantissimi modi o da mangiare cruda. Nell’antica Roma, in Grecia ed Egitto troneggiava sulle tavole per la massima soddisfazione degli edonisti convinti che il carciofo avesse un qualche legame con la sessualità, una valenza afrodisiaca e permettesse di avere figli maschi. Questa credenza si
fa risalire al mito di Giove, noto seduttore, che si invaghì di Cynara, bellissima ninfa dai capelli color cenere e occhi verdi dai riflessi viola. La fanciulla non accettò di concedersi al padre degli dei e lui la trasformò in una pianta spinosa edibile, il carciofo. Cynara resta nel termine scientifico usato in botanica che designa la pianta del carciofo, Cynara scolymus, e in un noto digestivo italiano, il Cynar. La parola carciofo proviene
invece dall’arabo, “al-kharshuf”, pianta che punge, irradiata in tutte le lingue europee. Sono in effetti gli Arabi che ne hanno diffuso il consumo.
Molto presenti nel Sud del nostro Paese e nelle isole, lo troviamo coltivato ormai in tutta Italia: che sia il Carciofo spinoso della Sardegna o Violetto di Sant’Erasmo, il toscano Violetto della Val di Cornia, quello ligure di Perinaldo e quello di Sicilia, il romanesco di
Ladispoli o quello bianco di Pertosa, quello tondo di Paestum molto simile a quello bretone.
Per gli Arabi, il carciofo era un simbolo galante. Nel XI secolo il poeta AL-TALLA scrisse: “Figlia dell’acqua e della terra, la sua abbondanza si offre a chi la sospetta chiusa in un castello di avarizia. Sembra, per il suo biancore e per l’inaccessibile rifugio, una vergine greca nascosta in velo di spade”. Pianta ambigua, ne era vietato il consumo alle fanciulle credendo che il demonio potesse essere tentato dai suoi succhi, e questo fino al Medioevo. Nel 1446, FILIPPO STROZZI recuperò dei semi portati dai Mori nel Regno di Napoli. Ne sviluppò la coltivazione, prima in Toscana e successivamente in tutta Italia.
CASTORE DURANTE, medico e botanico, cita il carciofo nel suo Herbario Novo del Rinascimento, proponendolo come test di gravidanza: “Alla donna si dia da bere il succo di foglie di carciofo, se lo vomiterà è gravida”. Nel 1553 fu CATERINA DE’ MEDICI, diventata regina di Francia, a portare Oltralpe il carciofo. Ne era tanto golosa da avere persino rischiato un‘indigestione! Anche LUIGI XIV era un gran consumatore di carciofi e ne faceva coltivare varie qualità nell'orto reale di Versailles. Si sa che ENRICO VIII lo mangiava in abbondanza prima dei suoi incontri con le amanti e che il medico DE LA FRAMBOISIÈRE lo raccomandava a ENRICO IV di Francia perché “il carciofo scalda il sangue e lo eccita ai combattimenti amorosi”
Carpaccio di carciofi e Salame Felino IGP
Carciofi e salame? Ottima abbinata! Ecco una ricetta di Alice del Re per il Consorzio di Tutela del Salame Felino IGP.
Ingredienti per 4 persone
• 2 kiwi gialli non troppo maturi • 2 carciofi (scegliere una varietà ideale per il consumo crudo) • circa 80 g di Salame Felino IGP • circa 80 g di Pecorino toscano stagionato in scaglie • chicchi di melagrana • 2 limoni • olio extravergine di oliva • sale e pepe
Procedimento
Mondate i carciofi, tenendo solo la parte interna più tenera. Tagliateli a fettine sottili e immergeteli in acqua fredda acidulata col succo di 2 limoni. Affettate il Salame Felino IGP sottilmente. Sbucciate il kiwi e tagliatelo a fette molto sottili. Disponete su ogni piatto i carciofi ben scolati e asciugati, le fette di kiwi e il salame. Distribuite le scaglie di pecorino e qualche chicco di melagrana. Condite con olio evo, sale e pepe e servite subito.
Sono tanti i benefici del carciofo, grazie alle sue fibre, alla cinarina e ai sesquiterpeni lattonici; ne va utilizzata anche l’acqua di cottura, magari con aggiunta di limone, detossinante e ricca di sali minerali.
Mi hanno invogliata a parlare di carciofo in particolare due recenti weekend trascorsi prima in Toscana, dove ho avuto il piacere di tagliarli dalla pianta e assaggiarli subito dopo, e poi nella laguna veneta, a Sant’Erasmo. Quest’isola attraversata dai canali non è altro che un grande orto dal ‘500. I terreni argillosi e ben drenati, una salinità molto alta, permettono di coltivare verdure
particolarmente saporite. Il carciofo di Sant’Erasmo ha una tale nomea che anche quelli che crescono in altre isolette prendono lo stesso nome. È particolarmente carnoso e tenero, di forma appuntita e spinoso, con le foglie viola scuro e il cuore bianco dal gusto particolare ed incisivo pur essendo delicato. Da apprezzare da fine aprile quando si taglia il frutto apicale, la castraura Matureranno allora una ventina di altri carciofi sulla medesima pianta, tutti dal gusto unico e chiaramente benefici per il nostro organismo… Ma la salute passa prima dal piacere del palato! Josette Baverez Blanco
Una varietà di selezione carni, gusti, dimensioni, forme per soddisfare i tuoi clienti più esigenti.
TOAST A TUTTO PASTO: DI FRETTA MA CON GUSTO
di Giorgia Fieni
Due fette di pane in cassetta o pancarré, prosciutto e formaggio: il toast nella sua versione classica, ben abbrustolito nel tostapane, è il pasto da portare in viaggio, un piacere casalingo da gustare magari la domenica sera, quando non si ha troppa fame per via di un pranzo particolarmente abbondante, una merenda sempre gradita. Ma gli abbinamenti possibili sono infiniti: osate!
Èil pasto perfetto per quando ho fretta. Due fette di pane in cassetta (o pancarré), prosciutto, formaggio, fornetto apposito (2 minuti per lato, eventualmente avvolto nella carta stagnola, se contiene ingredienti che sgocciolano, ma in tal caso ci vorrà più tempo perché sia cotto e il pane non sarà molto croccante) ed è pronto per essere addentato. Quasi nessuno lo ammette, ma scommetto che siete in tanti a farlo, proprio come me.
Diana Henry lo ha definito “piacere privato” e “cibo emozionale” e penso abbia ragione. È molto difficile trovarlo anche solo durante un aperitivo o fra le scelte di un buffet… forse perché sembra troppo semplice. Emozionale invece mi fa pensare al fatto che fra i nostri primi ricordi ci può essere una mamma o una nonna amorevole che ce lo porgeva, ben caldo (magari anche bruciacchiato).
Un toast salva ogni pasto della giornata (colazione, pranzo, cena, merenda) e può essere sia dolce che salato. Perché fra quelle due fette tostate (da cui il nome) ci possono stare sia burro e confettura sia caviale, foie gras, salmone… anche gli avanzi del frigorifero!
Tra le versioni dolci (in Italia sicuramente meno comuni) troviamo il French toast: il pane è immerso nelle uova sbattute col latte, fritto nel burro e completato con sciroppo, miele o creme, o, in modo classico, con banana e cioccolato, oppure con fragole e panna.
Tra le versioni salate, iniziamo da quelle che distano poco dal tradizionale toast. Come formaggio di solito si usa la sottiletta, ma si può optare per una variante altrettanto facile a sciogliersi, come fontina, groviera o cheddar. Quanto al salume, meglio comprarlo di alta qualità (non mi stancherò mai di dire quanto faccia la differenza optare per questa scelta, in tutte le ricette).
Il pane può anche essere rustico. Per impreziosire questa versione, consiglio i classici Croque Monsieur e Croque Madame: entrambi sono arricchiti con
besciamella, coperti di groviera e cotti in forno, ma il Madame ha anche l’uovo. Ne esistono anche altre varianti, ovviamente, tutte da provare.
Continuiamo col salato casalingo. Ho letto di toast con funghi, pomodori secchi e crema di pecorino. Con cipolle caramellate, scamorza e cicoria. Con zucca, noci e gorgonzola (o con zucca e guanciale). Con salame e provola affumicata. Con culatello e carciofi. Con zucchine, frittata e caciocavallo. Con stracchino e piselli. Con polpettone e salsa di gorgonzola.
E terminiamo col salato gourmet. Niko Romito ha approvato la versione pan brioche, prosciutto cotto (preparato artigianalmente con capocollo ed erbe aromatiche) e caciocavallo. Quello di Walter Pedrazzi è pane tostato, raspadura, porcini, prezzemolo, yogurt. Moreno Cedroni prepara Toast al salmone affumicato, provola e zucchine Jamie Oliver usa pane bianco imburrato, Cheddar (o Leicester o un mix tra i due) e peperoncino di Caienna e, seguendo un procedimento ben preciso, lo cuoce in padella («questo è importante, perché se si abbrustolisce troppo e troppo in fretta non avrete quell’irresistibile cuore di formaggio fuso, dentro»). Benedetta Parodi chiama Toast di Alvaro (dal nome del gestore di un bar che frequentava) pane da tramezzini farcito con roastbeef, lattuga e pomodoro (e dice che era talmente buono che difficilmente si riusciva a mangiarne uno solo). Joshua Skenes nel 2010 offre una versione di Toast con riccio di mare (con salsa di pane all’alga kelp e saison sauce) che a San Francisco diventa celeberrima. Questi sono ovviamente solo alcuni esempi. Nei ricettari i toast appaiono sempre più spesso, anche in versione vegana e vegetariana, e la cucina di casa è piena di ingredienti che possiamo combinare per trovare la nostra versione preferita, quella che ci rappresenta. Perché è vero che andiamo di fretta, ma possiamo raccontare molto di noi stessi anche preparando un semplice piatto come questo.
Giorgia Fieni
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MARKUS SALCHER METZGEREI
Un macellaio-contadino-allevatore che vende la carne dei propri animali e gli straordinari salumi che ne derivano, nel centro di St. Lorenzen, nel Lesachtal austriaco, in un maso che è anche bottega “di un tempo”
di Riccardo Lagorio
Nella parte più alta della valle del Gail, la Lesachtal, la natura si risveglia tardi. Maggio e giugno sono i mesi migliori per ammirare il rinnovarsi dei pascoli, ascoltare il canto dei torrenti un tanto assopiti dalla neve invernale. Markus Salcher è l’unico macellaio nel raggio di qualche decina di chilometri. Un macellaio-contadino-allevatore. Vende la carne e i salumi dei propri animali nel centro di Sankt Lorenzen, in un possente maso di legno imbrunito dal tempo. Sulla collina un altro maso, dove vivono le 50 vacche: Pinzgauer dalla carne finissima e generose di latte, fiere Grigio alpine e Bionde carinziane. «Sono orgoglioso di possedere le Bionde carinziane, animali che si caratterizzano per la loro longevità, fertilità e adattabilità da una molteplicità di condizioni climatiche e territoriali. Sono inoltre animali frugali con una buona resa di latte, che serve per i vitelli, e carne davvero pregiata. I muscoli infatti sono ricoperti di grasso bianco e sprigionano un gusto speciale. Ma non solo: si tratta di una carne altamente digeribile grazie alla tenerezza delle fibre muscolari» spiega Salcher. In Italia è una razza poco diffusa e nei pochi allevamenti dove è diffusa, in Friuli, la raccontano come razza a triplice attitudine, particolarmente adatta ad allevamenti estensivi.
Gli animali sono allevati col fieno che viene raccolto sui pendii della valle, ma talvolta viene acquistato anche da altre aree dell’Austria.
Markus Salcher davanti alla sua bottega.
Nel banco frigo le carni esposte si presentano bene ordinate, ma in quantità minime «perché l’ultima sezionatura della carne avviene al momento, nel retrobottega, quando viene espressa dal cliente una certa necessità, come si faceva un tempo. Potremmo definirla una macelleria… espressa». Brillano per assenza i preparati, segno che le persone acquistano per cucinarsi da sé i piatti. La macelleria riveste anche il ruolo di bottega d’un tempo, fornendo servizio di approvvigionamento di cibi e beni essenziali, anche non alimentari, per la famiglia.
I salumi di produzione propria sono il fiore all’occhiello del punto vendita. «La carne essiccata di manzo è una preparazione assai apprezzata» racconta Salcher. La produce con le parti meno grasse del bovino che trascorrono del tempo in una concia di sale grosso, pepe, timo e una generosa dose di
aglio. È interessante notare che il sale ha sempre avuto come origine la Penisola italica, spesso attraverso il passo di Monte Carnico, una delle antiche vie del sale. «Le parti anatomiche vanno massaggiate almeno una volta alla settimana e ribaltate all’interno del contenitore: quelle in basso vanno spostate verso l’alto e viceversa». Trascorso in questa condizione un periodo variabile tra 3 e 5 settimane in base alla dimensione della parte anatomica, Markus Salcher procede all’affumicatura con legno di faggio. Il fumo viene attivato a una temperatura intorno ai 22 °C per periodi variabili tra 4 e 6 giorni. Trascorsi tre mesi a circa 15 °C, la carne essiccata è pronta per una merenda o un antipasto con formaggi e cetrioli sottaceto.
Una specialità molto diffusa in questa valle porta il nome di Almbeisser. Sono salametti dal diametro assai ridotto, non più grande di un grissino, di
carne bovina e pancetta di suino. Al loro interno la carne viene macinata finissima. Sono affumicati come Kaminwurzen e vengono rosicchiati come aperitivi o per merende con altri salumi. La perizia di Salcher come macellaio e stagionatore è evidente anche nello speck. I suini sono di razza Schwäbisch-Hällisches, dalla tipica macchiatura nera sul capo e sulla parte posteriore. Rustici e fisicamente molto simili ai cinghiali, vengono allevati nel vicino villaggio di Wiesen da un amico contadino. Ne vengono macellati circa 25 all’anno e seguono una precisa alimentazione che esclude mais e soia. «Con i suini che presentano maggior peso e maggior grasso preparo lo speck». Grasso bianco e sodo, tenace e saporito che migliora il gusto della pur ottima carne.
Un acquisto che si deve senz’altro fare in questa macelleria di frontiera sono i Kaminwurzen di cervo, quando disponibili. La carne dell’ungulato, circa il 55% del totale, e la pancetta suina sono macinate con piastre da 5 mm e amalgamate con pepe e sale. La leggera affumicatura esalta la selvaticità dell’insaccato. E tutti gli altri provati prima scompariranno dal radar. Riccardo Lagorio
Markus Salcher Metzgerei
St. Lorenzen 42 – 9654 St. Lorenzen
Lesachtal, Austria
Telefono: +43 471 622713
E-mail: info@lesachtaler-fleisch.at
Web: lesachtaler-fleisch.at
Il bel maso di Markus Salcher dove acquistare la carne e i salumi di sua produzione, come lo Speck e i Kaminwurzen.
Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza.
Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.
ANDREA CARELLI, COME TI RINNOVO
LA CLIENTELA DEL MERCATO
ATTRAVERSO SCELTE D’ECCELLENZA E SOCIAL
di Paolo Amedeo Garofalo
Se si volesse acquistare una carne di alta gamma, di razze ricercate o provenienze particolari per una cena o un barbecue sofisticato, probabilmente l’ultima delle scelte ricadrebbe sull’andare a cercarla in un mercato di provincia. I mercati della Bergamasca da qualche tempo, invece, stanno pian piano diventando un punto di riferimento anche per i consumatori più esigenti, grazie ad esempio alla rinnovata proposta di Andrea Carelli e della sua famiglia.
La storia del banco mercato “Da Carelli” parte negli anni ‘60, con il nonno di Andrea, chiamato “Il Sardela”, che vendeva come ambulante sardine e pochi altri prodotti alimentari. Verso la fine degli anni ‘70 i fratelli Luigi e Roberto Carelli iniziano con il primo auto-negozio a costruirsi un nome nei mercati comunali. Prima solo con i formaggi, poi con i salumi e, per ultimo, ma non meno importante, con l’inserimento della carne.
Da sempre la ricerca della qualità e la genuinità dei prodotti caratterizzano tutto l’assortimento del banco della famiglia Carelli ma la svolta innovativa si inizia ad avvertire con l’ingresso nel 2008 di Andrea, che accelera sulla ricerca di prodotti sempre più pregiati. Oggi, infatti, la proposta che si può trovare settimanalmente nei mercati
Come ti rinnovo il banco e la clientela di un mercato? La proposta di Andrea Carelli (a pagina 78 fotografato insieme a Paolo Amedeo Garofalo) e della sua famiglia, che consta oggi di oltre 150 tipi di formaggi, più di 70 tipologie di salumi e tagli di carne selezionati e pregiati, ha portato nei mercati della provincia di Bergamo una clientela nuova, esigente, abituata ad un altra tipologia di acquisto ma che, seguendo Andrea attraverso i social, lo raggiunge anche fisicamente nelle varie località lombarde in cui si sposta il banco: Osio Sotto, Dalmine, Caravaggio e Calusco d’Adda.
comunali di Osio Sotto, Almè, Dalmine, Caravaggio e Calusco d’Adda è arrivata a proporre più di 150 tipi di formaggi, tra i quali si può trovare un Parmigiano stagionato 40 mesi, oltre 70 tipologie di salumi con molte produzioni artigianali bergamasche ma anche la bresaola di Wagyu e, nel comparto carne, una selezione di Wagyu giapponese, Black Angus USA by Creekstone Farms e Scottona bavarese
Ma è durante il lockdown del 2020 che c’è il vero cambiamento, quando le attività dei mercati vengono sospese e bisogna trovare un’idea per non fermarsi del tutto. Andrea si reinventa e investe tutte le energie sulle vendite on-line , iniziando grazie alla sua simpatia creatività a girare video sui social per raccontare e presentare i suoi prodotti.
Il messaggio arriva immediatamente ai consumatori: il profilo Instagram @ DaCarelliFamily conquista rapidamente attenzioni e le vendite a distanza di tagli e carni speciali esplodono.
Tornati finalmente alla normalità post pandemia, l’attività si ritrova a lavorare su due fronti: il quotidiano lavoro al mercato e la preparazione degli ordini per le spedizioni nel laboratorio di Almè che partono per tutta Italia.
Quello che succede da lì in avanti è qualcosa di straordinario, con la fila davanti al banco Da Carelli che aumenta di volta in volta perché non solo i clienti affezionati da sempre all’assortimento tradizionale tornano finalmente al mercato ma, grazie al successo dei social, la clientela si rinnova, portando in un contesto come questo persone di una fascia di età che da tempo non si vedeva e che arrivano anche da regioni diverse dalla Lombardia solo per farsi servire da Andrea un taglio per la loro prossima grigliata.
Ma, al di là del successo social che oggi vede la sua pagina seguita da oltre 100.000 persone (117K!), il che sicuramente porta una notevole visibilità, Andrea durante la nostra chiacchierata sottolinea più volte come
questo lavoro lo si faccia soltanto se «hai dentro una passione infinita, che ti aiuta a superare i sacrifici delle sveglie mattutine, le difficoltà di tutti i giorni e che ti permette di essere sempre sorridente davanti al cliente».
Incontrare Andrea è stato piacevole, un confronto interessante con lui su come questo suo esempio di successo possa essere anche di stimolo per altri che operano nel suo stesso settore e che già propongono prodotti di qualità artigianale o eccellenze gastronomiche.
Importante rinnovare il target della clientela che frequenta i mercati per tramandare un pezzo della nostra tradizione gastronomica che si respira tra le bancarelle e che non dobbiamo per nessun modo perdere ma che è pronta per una ventata di innovazione. Paolo Amedeo Garofalo
Da Carelli
Web: dacarellifamily
Da Carelli
DaCarelliFamily
GALLO ROSSO, ESSENZA ALTOATESINA
di Riccardo Lagorio
L’apertura a Bolzano della Scuola di cucina del Gallo Rosso al maso Föhrnerhof, lo scorso settembre, si è rivelato un successo di persone e idee che fa dei contadini associati a questo marchio una delle realtà più significative nel panorama agroalimentare peninsulare. In ogni evento, ad ogni data, si registra il tutto esaurito: segno che l’originalità e la varietà dei prodotti bolzanini, tradotti in una cucina rurale mediterranea e nordeuropea, riescono
a cogliere nel segno. Che si tratti del Bauerngröstl (carne lessa di manzo con patate e cipolle), dello Schupfnudel (sorta di gnocchi rosolati con burro) o del collaudato strudel di mele, quello che arriva sul fornello viene poi condiviso con tutti: una formula vincente per avviare il consumatore verso la prospettiva di un consumo consapevole.
Consumo consapevole di carne significa anche utilizzare tutte le parti dell’animale, non solo quelle considerate pregiate. Per quanto si riferisce
alla carne degli associati, al Gallo Rosso si può iniziare con l’acquisto presso gli allevamenti locali dove gli animali nascono, ingrassano e vengono lavorati.
Per scoprire un esempio concreto bisogna arrivare a Prato allo Stelvio al maso Hof am Schloss (hof-am-schloss. com), a pochi passi dalle possenti rovine del castello di Montechiaro. «I nostri animali sono di razza Bruna originaria. Una volta macellati vengono venduti sotto vuoto in pacchi pronti all’uso»
spiega Manuela Wallnöfer. Nel maso della sua famiglia ci va anche chi è cerca di squisiti salumi «elaborati con suini provenienti dall’Alto Adige. I salumi vengono affumicati con rami di ginepro e lo speck è stagionato per un anno». Hof am Schloss è un maso pressoché autosufficiente dove, oltre a carni e salumi, «si allevano galline che forniscono uova e carne, api che danno miele, si coltivano alberi da frutta per la produzione di sciroppi e confetture, come quella di albicocche o di pera Pala».
Se si volesse proseguire con un’esperienza gastronomica d’altri tempi bisognerebbe fermarsi allo Schnalshuberhof di Lagundo. Dalla panoramica posizione si possono ammirare i vigneti del maso (tra le bottiglie di casa vanno ordinati Fraueler e Schiava di almeno due anni), mentre all’interno sopravvive intatta una Stube del 1642 con le pareti ricoperte da antichi quotidiani. Christian Pinggera non segue un menu, ma i piatti vengono pensati giornalmente sulla base della disponibilità delle materie prime. Eccezion fatta per speck e kaminwurzen, che vengono prodotti in proprio con la macellazione di una sessantina di suini. I canederli in brodo o al burro sono elaborati con una ricca presenza di speck. Nel periodo pasquale il Prosciutto di Pasqua Dall’autunno all’inizio primavera fanno la felicità degli ospiti le salsicce e le
costine di maiale con i crauti, mentre la succulenta guancetta brasata di manzo con brunoise di verdure è tra le migliori dell’Alto Adige. Tra le carni, anche arrosto di vitello, stinco arrosto e ossobuco.
Seguendo le orme degli allevatori e trasformatori di carne del Gallo Rosso un’altra tappa è nell’idilliaco scenario di Tre Chiese, nel comune di Barbiano. Dai 1120 metri si gode una spettacolare vista sulla Val d’Isarco con Chiusa, Lajon, il monastero di Sabiona e le Odle. Come
protagoniste le tre antiche chiese, una avviluppata all’altra, che danno il nome alla località. Sorsero su un sito accanto a una sorgente che in tempi remoti avrebbe dato rimedi soprannaturali ai malati di stomaco e alle donne infeconde. Guida d’eccezione è Lukas Gafriller, che gestisce con la famiglia il maso Messnerhof (www.messnerhof.com). «I terreni qui intorno, dove ora vi sono pascoli, erano dedicati alla coltivazione di grano saraceno, patate e segale e il maso era una stazione intermedia della transumanza. Ora riusciamo a produrre due volte il fieno per i nostri animali di razza Grigio tirolese, Simmenthal e un incrocio tra Braunvieh e Limousine». Ai tavoli del maso il gustoso brodo di carne lascia ben presto spazio a carne lessa presentata col cren, ma si può sempre scegliere dell’ottimo gulasch. Semplice carne alla piastra o cruda in tartare non si possono considerare tipiche di queste valli, ma servono a comprenderne la bontà. «Alla preparazione che avviene nella nostra cucina può seguire quella che si fa a casa propria: in vendita vi sono vasetti di ragù utili a condire pasta e gnocchi ma anche gulasch: si riscalda ed è subito pronto». Ma alle lezioni del Gallo Rosso si impara la modalità di preparazione di quello autentico altoatesino e sarà sufficiente la buona materia prima del maso. Riccardo Lagorio
Gallo Rosso è il nome del marchio che dal 1998 promuove e favorisce l’attività di circa 1.600 agriturismi in Alto Adige e che appartiene all’Unione Agricoltori e Coltivatori Diretti Sudtirolesi (Südtiroler Bauernbund). Sin dalle origini lo scopo principale di Gallo Rosso è sostenere i contadini dei masi nello sviluppo di attività da affiancare all’agricoltura. L’obiettivo di questo progetto è da un lato aprire agli agricoltori altoatesini nuove fonti di reddito e dall’altro dare ai consumatori la possibilità di conoscere il mondo contadino dell’Alto Adige. La classificazione dei masi che offrono alloggio (Agriturismo in Alto Adige) è organizzata in fiori, da 2 a 5; più alto è il numero dei fiori, più numerosi sono i criteri soddisfatti dalla struttura. Inoltre, attraverso standard qualitativi elevati e criteri severissimi, l’associazione sostiene il lavoro di oltre 120 masi che si dedicano alla produzione di prodotti gastronomici genuini (Sapori del maso), alla ristorazione contadina, o all’artigianato autentico (Artigianato contadino).
“La Romagna dei ristoranti: storie di menù” è il titolo di una nuova pubblicazione per Edizioni Moderna di Ravenna a firma di Maurizio Campiverdi, gourmet, collezionista di menu e presidente di Menu Associati – Associazione internazionale di menu storici (www.menuassociati.eu), e Franco Chiarini, fondatore di “CheftoChef emiliaromagnacuochi” (www.cheftochef.eu), associazione nata per favorire l’evoluzione della gastronomia regionale e la sua affermazione a livello nazionale ed internazionale, di cui è stato segretario generale negli anni della nascita. Un’opera di 150 pagine che racconta la storia della gastronomia romagnola attraverso oltre 200 menù della ristorazione, dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri. Una carrellata delle diverse tipologie di ristorazione, dalle prime pensioncine della Riviera ai Grand Hotel, dalle trattorie di campagna alla grande ristorazione delle colline romagnole, fino alla cucina delle città nelle sue diverse espressioni sia di tradizione sia di evoluzione rispetto alle correnti culturali internazionali. L’opera rende anche omaggio a quel cenacolo AIS di sommelier che, nel secondo dopoguerra, fondarono la grande ristorazione romagnola. Alcuni di loro sono stati intervistati qualche anno fa da Igles Corelli, per sottolineare i loro rapporti con “il maestro” Gualtiero Marchesi e “il filosofo del vino” Luigi Veronelli, che avevano intensi rapporti in particolare con Silverio Cineri, Gianfranco Bolognesi e Paolo Teverini. Queste interviste sono presentate da Alberto Capatti, presidente della “Fondazione Marchesi”, con un contributo sulla sua visione della Romagna gastronomica. Il volume si apre con una prefazione provocatoria del prof. Massimo Montanari, che potrà essere di spunto per un dibattito più consapevole sulla gastronomia regionale del futuro, da ripensare in termini di progetto, se ci saranno progettisti disponibili, a partire dalla Regione Emilia-Romagna. Il volume è strutturato in capitoli suddivisi per aree geografiche della Romagna, alcuni dei quali dedicati alla struttura del menù e al suo rapporto con le ricette dei singoli piatti. Attenzione anche ai vini, la cui storia più riconoscibile nasce con le prime etichette del secondo dopoguerra.
Maurizio CampiverdiFranco Chiarini
La Romagna dei ristoranti: storie di menù
Un viaggio inedito nella gastronomia romagnola
attraverso 200 menù storici
Editore: Edizioni Moderna
Prezzo di copertina: € 32,00
a una data di scadenza è stata data una speranza
È stato calcolato che il valore annuale del cibo sprecato in Italia è di 15,6 miliardi di euro* e questo rende ancora più insopportabile il dato che registra oltre 2 milioni di famiglie italiane in povertà assoluta, di cui quasi 200.000 sono in Lombardia*.
Ed è qui che siamo impegnati ogni giorno per contrastare l’insicurezza alimentare, distribuendo 1.200.000 kit di spesa ogni anno e sostenendo ogni giorno quasi 5.000 persone in di ff icoltà che passano dai nostri centri, senza fare distinzioni di nessun tipo, grazie ai nostri 250 volontari, ai privati e alle aziende che sostengono la nostra associazione Pane Quotidiano ONLUS.
Ma il numero di ospiti giornaliero è raddoppiato negli ultimi 5 anni e adesso abbiamo bisogno anche di voi.
Ci servono le vostre eccedenze di produzione: siamo organizzati per ritirare anche i prodotti freschi e in scadenza in tempi rapidi, con una piani ficazione digitalizzata che considera anche la catena del freddo. Con il dono di prodotti in surplus, oltre a contribuire a un importante impegno sociale, potete anche bene ficiare di vantaggi economici, fiscali e logistici.
Un grande aiuto per chi ha bisogno, e una scelta di sostenibilità per la vostra azienda.
*fonti: Waste Watcher International Observatory 2023, Istat
eccedenze@panequotidiano.eu
LA BOTTEGA DEL MACELLAIO: CERCA DEL TARTUFO, COOKING CLASS E
Savigno ombelico (di Venere) del mondo con la famiglia Mongiorgi
di Gaia Borghi
Le cooking class dedicate alla pasta fresca ealla salumeria con Anna Maria Amato e Guido Mongiorgi.
Tortellini in crema di Parmigiano Reggiano e tartufo: un classico di Bottega Del Macellaio.
Dedicato in primis alla clientela internazionale del locale di Savigno, un “pacchetto” turistico di tipo esperienziale che comprende diversi momenti all’esterno e all’interno della bottega. Si parte con la cerca del tartufo e si prosegue con due cooking class dedicate alla pasta fresca e ai salumi fino alla cena
AA La Bottega Del Macellaio arrivano gruppi da Stati Uniti e Brasile, Germania, Svizzera, Austria, Cina… «Mostriamo loro come si preparano tortellini, tortelloni, lasagne, come si fanno i nostri salumi, il salame, la salsiccia, ed è bello pensare che queste ricette possano giungere in altri Paesi nel mondo portando un po’ di noi»
ll’inizio di quest’anno sono volati negli Stati Uniti per un “tour” di tutto lo staff di bottega tra Philadelphia e New York, dove hanno portato tutta la loro meravigliosa esperienza e capacità culinaria fatta di salumi artigianali e paste fresche, tortellini, lasagne, salsicce e tartufo, tradizione e genuinità, l’arte della norcineria emiliana e il sapiente uso del mattarello, sapori semplici, popolari, eseguiti alla perfezione grazie ad una maestria guadagnata sul campo una sfoglia e un salame alla volta. Loro sono la famiglia Mongiorgi, Guido, la moglie Anna Maria e il figlio Amedeo, titolari della storica Bottega Del Macellaio di Savigno, nel comune di Valsamoggia, in provincia di Bologna. «Siamo fieri di portare la nostra cucina, l’arte della norcineria, la nostra idea di stare a tavola negli USA» ci aveva raccontato Amedeo Mongiorgi — che della bottega cura comunicazione ed eventi —, prima della partenza. Cos’è successo al rientro in patria? «È successo che abbiamo impostato in maniera più strutturata e precisa un’offerta di “accoglienza” riservata alla nostra clientela di provenienza internazionale in primis — ma non solo —, che c’è sempre stata ma che, aumentando nel tempo e in maniera esponenziale le richieste in questa direzione, aveva la necessità di essere definita» puntualizza Amedeo. Stiamo parlando per la precisione di un “pacchetto” di tipo esperienziale che comprende diversi momenti all’esterno e all’interno della bottega. Si parte con la cerca del tartufo nei boschi vicino al paese insieme a Guido Mongiorgi, tartufaio di grande esperienza. Ricordiamo in proposito che ad ottobre e novembre a Savigno si svolge il Festival Internazionale del Tartufo Bianco, Tartófla, giunto quest’anno alla sua 41a edizione (www.tartufosavigno.com), e quello dei Mongiorgi è da sempre un indirizzo di riferimento per gli appassionati del pregiato fungo ipogeo.
«A seguire proponiamo due cooking class» prosegue Amedeo. «La prima è dedicata alla pasta fresca, con mia mamma Anna Maria — regina incontrastata della cucina (emiliana e siciliana) — che mostra come preparare i classici della tradizione locale: i tortellini naturalmente, ma anche le lasagne, i passatelli e i tortelloni». Questi ultimi, ad esempio,
nella versione ripiena alle tre ricotte della Valsamoggia, sono un classico del menu del ristorante della Bottega Del Macellaio, “il nostro biglietto da visita” mi dicono, serviti magari con abbondante tartufo. I partecipanti guardano Anna Maria al lavoro con uova, farina e canèla e poi ad ognuno viene consegnato un opuscolo con le ricette e la storia della bottega in attività da quasi 130 anni. «Mostriamo come si prepara la nostra pasta fresca tra tradizione e innovazione ed è bello pensare che queste ricette possano giungere in altri Paesi nel mondo portando un po’ di noi» commenta Amedeo.
La seconda cooking class è dedicata ai salumi e vede impegnato di nuovo Guido Mongiorgi nel suo ruolo di macellaio e norcino: come si fa una buona salsiccia? E un buon salame? “Amo mostrare alle persone quello che stanno per mangiare perché è il frutto del mio lavoro e della mia passione” dice Guido sulle pagine social della Bottega Del Macellaio. Dalla preparazione della materia prima all’insacco, i partecipanti alla cooking class, che si svolgenel laboratorio dedicato alla stagionatura al naturale dei salumi de La Bottega, hanno la possibilità di vedere come nascono gli insaccati emiliani che sono noti e apprezzati, a giusta ragione, in tutto il mondo.
Dulcis in fundo, si passa alla degustazione. L’experience termina infatti nel migliore dei modi, ovvero a tavola, prima magari con un aperitivo a base di gnocco fritto e ciccioli e poi con una cena, dove il protagonista torna ad essere il tartufo trovato durante la mattinata di ricerca nella natura e che viene servito sui primi piatti e con le carni a km 0 selezionate da Guido. «Stiamo lavorando tantissimo» conclude Amedeo Mongiorgi. «Sono venuti già da noi gruppi dall’America, dal Brasile, svizzeri, austriaci, tedeschi, israeliani, cinesi…». E Savigno diventa l’ombelico (di Venere) del mondo.
Gaia Borghi
La Bottega Del Macellaio
Via Guglielmo Marconi 2
40060 Savigno (BO)
Telefono: 051 6708152
Web: labottegadelmacellaio.com
LA BOTTEGA DEL MACELLAIO labottegadelmacellaio1898
UNA CENA GOURMET
Indicazioni e consigli per occasioni speciali
di Giorgia Fieni
Siamo sempre tutti preda della fretta. Ciò che vogliamo, alla sera, dopo il lavoro, è solo sederci e non perdere troppo tempo ai fornelli. Se lo fate non sentitevi in colpa: è normalissimo. Ma ricordate anche di quando avete pensato: “Ok, stasera mi tratto bene… da ristorante stellato”. E siccome anche questo è normalissimo, mi sono detta che è tempo di darvi qualche consiglio per una cena gourmet.
Il primo riguarda le materie prime Non fermatevi nel primo negozietto a buon mercato che trovate ma andate in cerca del meglio e dello… strano. Per esempio, le verdure di colore diverso dal solito (carote gialle, patate viola…), la carne d’allevamento, il pesce pescato. Vale anche per vino, birra, cocktail e per l’eventuale liquore da meditazione che volete servirvi: pensateci bene e/o fatevi consigliare da una persona esperta. Concentratevi su salse e creme Materie prime d’eccellenza hanno bisogno di un mix perfetto per esaltarsi ed accompagneranno benissimo portate di un certo spessore ma anche un antipasto crudo e un dolce goloso. Tapenade di olive nere con formaggio cremoso. Guacamole con gamberi e ravanelli. Maionese al wasabi. Salsa di mango e zenzero. Cioccolato ad alta percentuale di cacao in ganache.
Potete cambiare del tutto il gusto di un piatto semplicemente usando sale grosso e pepe in grani… ovviamente accuratamente scelti, perché lo esaltino. Come il pepe rosso per il carpaccio di orata. O aggiungendo lamelle di tartufo alla pasta… Tagliate sottili e poche, perché non coprano gli altri sapori.
Il momento può essere propizio per provare quelle ricette che avete messo da parte pensando: “Quando avrò un giorno intero per cucinare farà questa”… Ricette che prevedono lunghe lievitazioni, marinature, cotture oppure con abbinamenti che vi intrigano. Oppure per rendere gourmet una ricetta che già
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amate, aggiungendo quell’ingrediente in più, o semplicemente alleggerendola (sto pensando per esempio a un fish burger di gamberi e burrata servito con salsa tzatziki o ad una pizza in cui ogni spicchio contiene un condimento diverso — anche una tartare, volendo — o ad un fagottino di sfoglia ripieno di brasato al Barolo). Vi lascio libera scelta ma, mi raccomando, le consistenze: equilibrate bene il morbido e il croccante o al secondo morso non avrete voglia di assaggiarne un terzo. E non preparate cose che non vi piacciono solo perché fa moda: se non avete idea di come siano le interiora, anche se i più grandi chef le giudicano come imprescindibili per una “vera cena”, non fatele.
Sull’impiattamento non mi soffermo, ma voi dovete. E stavolta sì che do pienamente ragione agli esperti: avete tempo e il web è pieno di tantissime idee per farlo in modo corretto anche senza bisogno di estrema precisione… Aprite le immagini, guardate e ripetete.
Una volta pronta la cena, ricordatevi di mangiare con tutti i sensi a disposizione: non un ingurgitare frettoloso davanti alla televisione, ma keep calm Mettete il telefono in modalità silenziosa, scegliete un brano musicale che vi piace come sottofondo e annusate, guardate e toccate prima di portare il cibo alla bocca. Cercate di non sentire il bisogno di condividerlo sui social… È una cena per voi, fatta apposta, non ci devono essere interferenze.
E non vi dovete sentire a disagio: se le posate d’argento vi fanno vivere il pasto con l’ansia di romperle o sporcarle, non mettetele. È il cibo che conta, non dove lo mettete. Scegliete semplicemente posate, bicchieri, tovaglia e tovaglioli che vi piacciono da guardare, che vi diano buone vibrazioni e andrà bene.
Alla fine di tutto ciò non mi resta ciò che il Galateo consiglia di non dire ma qui stiamo parlando di gourmet, ovvero di sensazioni piacevoli, per cui ve lo dico proprio col cuore: buon appetito! Giorgia Fieni
PAELLA, UN PIATTO DELL’ALTRO MONDO
di Riccardo Lagorio
La paella? Un piatto dell’altro mondo! Sembra proprio così scorrendo la classifica del Campionato mondiale che si è tenuto a fine settembre 2023 a Valencia, la città spagnola che della paella è capitale indiscussa. Tanto che, da qualche anno, il 20 settembre si celebra la Giornata Mondiale della Paella (World Paella Day Cup) e nella centrale Piazza del Municipio cuochi provenienti da ogni parte del mondo si sfidano a colpi di riso e cucchiai di legno. A Valencia, secondo tradizione, il 20 settembre è difatti la data d’inizio della raccolta del riso e questo spiega anche il perché si è scelto questa data per celebrare la competizione planetaria. La giuria è composta da esperti e cuochi: nell’edizione 2023 sotto la guida di JESÚS MELERO, per quarant’anni patron del ristorante RI-Ra, uno dei più celebri per questa preparazione tutta valenciana. Il giapponese KOHEI HATASHITA
ha sbaragliato gli avversari con una Paella d’anatra, arancia e porro. Al secondo e terzo posto l’ecuadoriano CRISTIAN RAÚL ARROBA con una Paella dedicata alle Ande con patate e pernici e il colombiano ARTURO BEDREGAL BARRERA con la sua versione di Paella di terra, con soli funghi. Bedregal aveva peraltro eliminato l’italiano in gara, LUCA ZANETTE di Sacile (PN), sostenitore di una Paella veneto-friulana con Prosecco, radicchio di Treviso IGP e pesce di Chioggia «Questo è l’unico giorno che noi Valenciani accettiamo di buon grado di non seguire la ricetta tradizionale» ha affermato la sindaca di Valencia MARÍA JOSÉ CATALÁ durante la premiazione. Ma allora quale è la ricetta della paella? «Quella originale, con poche varianti, prevede l’uso di pollo, coniglio, piattoni, garrofón e zafferano» spiega RAFAEL VIDAL del ristorante Levante, considerato tra i migliori a servire questo piatto (restaurantelevante.com). «Ma è
È stato lo chef giapponese Kohei Hatashita a vincere il World Paella Day Cup con una paella con carne d’anatra, arancia e porro. In questa quarta edizione della sfida sono state cucinate versioni di paella molto curiose, ispirate sia ai diversi Paesi di origine dei partecipanti che al piatto locale.
soprattutto il riso che fa la differenza e le tre varietà che si raccolgono intorno alla Albufera, la grande laguna a sud della città, sono le uniche indicate per ottenere una buona paella, che ha, come diciamo noi, i grani che si contano, cioè ben sgranati». A fine cottura sul fondo si deve inoltre creare una leggera crosta dal colore bruno che prende il nome di socarrat.
Le varietà di riso alle quali fa riferimento Vidal sono il Bomba, il Senia e l’Albufera, tutti dai chicchi tondi e corti. In Italia una certa somiglianza visiva è con il Balilla e l’Originario, non sempre facili da trovare in commercio. Come alternativa, per realizzare una buona paella si potrebbe scegliere la varietà Arborio, mentre da escludere per le caratteristiche dei chicchi il Carnaroli e il Vialone Nano.
Per entrare nello spirito della ricetta vale la pena dedicare mezza giornata
alla visita di El Palmar, 30 km scarsi a sud di Valencia, che si raggiunge in automobile o con le linee 24 e 25 dell’autobus che parte dalla piazza del Municipio di Valencia. Si dice che la paella si nata in questo borgo di pescatori-contadini-cacciatori. Appena terminata la distesa di palazzi della periferia iniziano gli orti e gli aranceti; poi in un batter d’occhio sulla destra è facile scorgere la laguna, dichiarata parco naturale negli anni ‘80. Una gita in barca può aiutare a comprendere meglio questo ecosistema dove l’acqua e il lavoro dell’uomo hanno creato una serie di canali e navigli indispensabili per la coltivazione del riso. Chi ha la possibilità di arrivarci a settembre verrà accolto da un fulvo ondeggiamento delle spighe. Nel centro di El Palmar è d’obbligo una fotografia all’unica barraca superstite, un’antica casa dal tetto in paglia.
Per rinfrescarsi, una volta rientrati a Valencia, ci si siede ai tavolini della Horchateria El Collado (Carrer d’Ercilla 13) e, con un po’ di fortuna, si fanno quattro chiacchiere con il frizzante proprietario, JOSÉ CIVERA. Svelerà tutti i segreti della chufa (lo zigolo dolce), un tubero che viene lavorato e rilascia un liquido biancastro assai dissetante.
Per fare provviste e prepararsi la paella a casa il luogo ideale è il vicino Mercato Centrale, un edificio in stile liberty sempre affollato di prodotti locali dove anche i cuochi del concorso hanno fatto la spesa. L’alternativa è a pochi passi, Original CV, una farmacia di fine ‘800 trasformata in negozio gourmet (originalcv.es). La proprietaria, ISABEL REIG, sa dare utili consigli sui prodotti a scaffale. Per la preparazione della paella bisogna utilizzare la caratteristica pentola bassa e larga. «Il diametro dipende dal numero dei commensali e per facilità si
può affermare che a ciascun commensale corrispondono 10 cm: per 4 persone si consiglia l’uso di una paella (questo è il nome della padella) dal diametro di 40 cm» chiarisce GUILLERMO PEDRÓS, la cui storica ferramenta si trova accanto al Mercato Centrale di Valencia. L’accompagnamento non può che essere con del vino rosso.
Nell’enoteca di V ICENTE G ABARDA (Bodegas Baviera, C/ de la Corretgeria 40, 46001 Valencia, Telefono: +34 963918060) si trovano rare e magnifiche bottiglie. Se disponibile quello di uve Forcallat di RAFAEL CAMBRA, una volta a casa toccherete il paradiso. Mentre a fine pasto, nei vicoli del capoluogo, se si vuole spizzicare qualcosa, difficilmente si trova di meglio di un dolcetto all’anice a forma d’anello del Horno Pastelería Alfonso Martinez, fondato nel 1886 (Carrer d’Ercilla 17): è il modo migliore per concludere in dolcezza la giornata. Riccardo Lagorio
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L’Albufera (dall’arabo al-buhayra, “il piccolo mare”) è una delle lagune più grandi della penisola iberica, oggi Parque Natural de la Albufera. Un’oasi urbana circondata da risaie e boschi. El Palmar è il villaggio di pescatori-contadini-cacciatori che da secoli sono i custodi di queste acque e delle sue immense risaie. La barraca era la casa tipica della zona costruita con argilla, canne, cannicci e giunchi.
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TARTUFO NERO PIEMONTESE: CONOSCENZA E PROMOZIONE DI
UN PRODOTTO E DI UN TERRITORIO
Testi e foto di Massimiliano Rella
Lo scorso inverno, a Bit Milano, la principale fiera del turismo italiana, è stato presentato un nuovo progetto di valorizzazione del tartufo nero in Piemonte, che prevede eventi, formazione professionale, corsi di analisi sensoriale e attività di comunicazione. Il sodalizio unisce tre territori della Regione Piemonte sotto il denominatore comune del tartufo nero: il Monferrato Alessandrino, la prima collina di Torino e il territorio UNESCO di Langhe Roero Monferrato. Dietro c’è anche un obiettivo di destagionalizzazione del turismo enogastronomico Il cuore del progetto, però, riguarda le
attività di comunicazione, promozione e formazione sul tartufo nero (nero pregiato e nero estivo o scorzone). Sono previsti anche: una pagina web (in costruzione), che ospiterà webinar formativi, spazi di formazione in stile world café per operatori, ristoratori e studenti di accademie alberghiere, sessioni di analisi sensoriali e degustazioni di tartufo nero all’estero e sui territori coinvolti, e tour sul territorio riservati alla stampa. Tra i rappresentanti più qualificati di questo lembo di Piemonte c’è Atam, l’Associazione Trifulau Astigiani e Monferrini fondata nel 1980, oggi con 100
soci, guidata dal presidente Piero Botto, che è anche vicepresidente del Centro Nazionale Studi del Tartufo di Alba (CN). Lo scopo dell’associazione è di promuovere il territorio e l’ampliamento e il buon mantenimento delle tartufaie. In primavera i soci, ad esempio, distribuiscono e piantumano pioppi e tigli e fanno la pulizia delle tartufaie. «Sono presenti tartufi in tutti i comuni astigiani e sono il bianco pregiato, il bianchetto, il nero pregiato e lo scorzone» ci spiega Botto a margine di una dimostrazione di cerca con un cane lagotto.
Nei noccioleti si trova il nero, poco apprezzato, usato anche per addestrare
Cerca del tartufo con l’Associazione
Trifulau Astigiano e Monferrato
1) Vanghetto per l’estrazione dei tartufi. 2) Piero Botto, presidente Associazione Trifulau Astigiani e Monferrini. 3/4) Aldo Guarnero, produttore di vino e cercatore di tartufi, con Luca Merlino, cuoco dell’osteria Vecchia Carrozza, durante la cerca.
i cani e nell’industria della pasta e dell’olio come aromatizzante. La stagione del bianco comincia invece il 1o ottobre e prosegue fino al 31 gennaio; quella del nero pregiato dal 15 dicembre a fine febbraio; lo scorzone da giugno ad agosto. Ci sono però due fermi biologici, a maggio e settembre. Nel 2023 si è comunque registrata una bassa produzione per la scarsità di piogge.
Ma come funziona il mercato del tartufo localmente? Ogni mercoledì la Camera di Commercio di Asti pubblica i prezzi del borsino del bianco pregiato e il mercato, molto riservatamente, anche per non rivelare dove sono trovati i tartufi ai cercatori concorrenti, si svolge in piazza Statuto. È un mercato di basso profilo, senza bancarelle. In tutta la provincia, comunque, ogni giorno c’è un mercatino del tartufo: il lunedì a San Damiano d’Asti, il martedì a Canelli, il mercoledì ad Asti, il giovedì a Moncalvo, il venerdì a Nizza Monferrato, il sabato di nuovo ad Asti, la domenica a Nizza.
Ma vediamo quali sono le principali caratteristiche nel nero pregiato (Tuber Melanosporum Vitt.), un tartufo di forma globosa, a volte lobata, con peridio bruno-nero e verruche depresse all’apice. La gleba è di colore bruno o nero rossastro, solcata da venature chiare e sottili, molto ramificate. La dimensione può raggiungere e superare quella di una grossa mela. Viene raccolto durante tutto il periodo invernale e in particolare nei primi mesi dell’anno, specialmente sotto querce, noccioli e carpini neri. Di questo tartufo, considerato il più pregiato tra i neri, è possibile la coltivazione in tartufaia. Qui, per permettere la formazione di nuove radichette (che saranno a loro volta micorrizate), è importante che il cercatore rimetta a posto il terreno rimosso per favorire la riproduzione.
E a tavola? «I tartufi considerati minori vanno riscaldati e non tagliati crudi perché l’acidità può disturbare lo stomaco» ci spiega lo chef cercatore Luca Merlino, dell’osteria Vecchia Carrozza di Asti. «I bianchi pregiati si trovano sotto tigli, querce, salici, noccioli, pioppi bianchi e neri. Gli altri sotto le stesse piante, che se fanno il bianco non fanno il nero e viceversa, però un bianco può virare al nero». Massimiliano Rella
SANA riparte da SANA Food
Nuovo format di BolognaFiere per Ho.re.ca. e retail specializzato
Il 2025 segna una svolta per SANA, lo storico evento che, in un percorso lungo 35 edizioni, si è imposto quale riferimento fieristico per il mondo del biologico e del naturale. A partire dall’edizione numero 36, in programma a BolognaFiere dal 23 al 25 febbraio, SANA si presenta nella nuova veste di SANA Food, concept dedicato al mondo della sana alimentazione e ai temi di rilevanza sociale e ambientale che esso implica. A determinare questa svolta è l’evoluzione registrata nei trend soprattutto dei consumi fuoricasa che, oltre ad abbracciare in misura sempre più significativa i prodotti biologici, registrano un’impennata della domanda di opzioni nutrizionali più
sane e sostenibili per il pianeta, più innovative e, al contempo, rispettose delle tradizioni territoriali.
Come spiega Claudia Castello , exhibition manager di SANA Food, «il nuovo format propone alle imprese del food service e dell’HO RE CA. le soluzioni per l’eating out of home più utili a sintonizzarsi meglio con le esigenze di un consumatore sempre più orientato verso prodotti salutari, sostenibili e di qualità. Tre concetti che SANA Food, pur assegnando un ruolo centrale al biologico, estende a tutto il mondo della sana alimentazione a filiera controllata e con volumi di produzione medio-piccoli. Presenteremo, quindi, anche prodotti vegani, vegetariani, plant based, free
from per intolleranti certificati, soggetti sensibili e per chi ha adottato un certo stile di vita, “arricchiti da” — compresi i cibi per sportivi, terza età e infanzia —, DOP, DOC e IGP. E una delle novità di SANA Food, ovvero il Progetto 100 giorni sani — sviluppato in collaborazione con LightUp! Claudia Maccarini e Toluna, la community di settanta milioni di consumatori di oltre 70 Paesi che, con le proprie opinioni, partecipano alle scelte di marketing delle aziende consumer oriented — contribuirà a delineare più precisamente la fisionomia del consumatore che sceglie questo tipo di prodotti, ponendo le basi per la creazione di un osservatorio consumer inedito in Italia».
Il target
La proposta espositiva sarà resa ancora più ricca dalla concomitanza con la 4a edizione di Slow Wine Fair(slowinefair. slowfood.it), la fiera del vino buono, pulito e giusto che BolognaFiere organizza da un’idea di Slow Food e con cui SANA Food condivide i valori, la filosofia e il visitatore specializzato del mondo HO RE CA. Da questa contemporaneità, gli espositori trarranno maggiore visibilità e più opportunità di incrementare il proprio business, mentre i professionisti della distribuzione ai quali SANA Food si rivolge potranno rendere la propria offerta più adeguata ai nuovi orientamenti del pubblico.
B2B, bio e novità
Dalla sua matrice SANA, SANA Food eredita alcuni appuntamentie tratti particolarmente qualificanti. Tra questi, innanzitutto una spiccata attenzione al business networking, che si concretizzerà in un’area dedicata agli incontri B2B tra espositori e buyer internazionali. Confermati anche gli Stati Generali del biologico di Rivoluzione Bio, con approfondimenti e momenti di confronto
sui temi prioritari per le istituzioni, gli stakeholder e gli opinion leader del biologico. Sia nell’area espositiva in fiera che sotto forma di guida on-line, tornerà l’attesa sezione SANA Food Novità, vetrina qualificata per prodotti inediti ed estensioni di linee già esistenti, nuove formulazioni negli ingredienti e packaging rivisitati.
Dalla colazione all’aperitivo Come già a SANA 2023, SANA Food accenderà i riflettori su due precisi momenti di consumo. Quello della colazione sarà affrontato attraverso incontri scientifici sull’importanza di nutrirsi in modo sano sin dal mattino e cooking demo dedicate ai professionisti dell’HO.RE.CA. che vogliono offrire colazioni sane, bilanciate e innovative. Si passerà, poi, all’aperitivo con Organic Aperitivo@SANA2025: un’area che farà conoscere agli operatori i trend del settore e proporrà in degustazione i prodotti degli espositori più adatti a un aperitivo tutto SANO, elaborato per l’occasione da bartender professionisti. In collaborazione con V Label Italia, SANA Food metterà i segmenti
di mercato del free from, del vegan e del vegetarian al centro di una terza area di lavoro, dove esperti del settore cureranno, in particolare, workshop e dimostrazioni relative al gluten free e al lactose free
Programma Educational Il ricco calendario di Cooking Show e di Masterclass sarà il momento culminante di un articolato programma educational propedeutico alla fiera: sessioni di formazione con esperti del settore saranno indirizzate soprattutto al pubblico dell’HO RE CA. con lezioni su materie prime, menù creati ad hoc, blind panel, ecc…
SANA Food BolognaFiere 23-25 febbraio 2025
>> Link: www.sana.it
SANA Food coinvolge tutto il mondo della sana alimentazione per l’eating out of home.
SIAL PARIS COMPIE 60 ANNI
La principale fiera mondiale dell’innovazione alimentare celebrerà il suo 60o anniversario dal 19 al 23 ottobre presso il Parco delle Esposizioni di Paris Nord Villepinte. Un’opportunità unica per gli operatori del comparto di riflettere su sei decenni di innovazioni rivoluzionarie e anticipare il futuro del settore alimentare
Con una partecipazione stimata di 285.000 operatori, tra cui 8.000 grandi buyer con un potere d’acquisto complessivo di 50 miliardi di euro, SIAL Paris offre visibilità e opportunità di business senza eguali sulla scena globale.
SIAL Paris 2024, in programma dal 19 al 23 ottobre prossimi a Parigi, è pronto ad accogliere più di 7.500 espositori in rappresentanza di oltre 130 Paesi, con una previsione del 75% di visitatori internazionali. SIAL è considerato un evento imperdibile per gli operatori dell’industria alimentare di tutto il mondo e la prossima edizione promette di essere un appuntamento senza precedenti per aziende e decision maker. Per cinque giorni l’ecosistema alimentare pulserà di vitalità e convivialità, sia nel quartiere fieristico che in tutta Parigi, con varie attività di valorizzazione del mondo food
Ispirarsi al passato per sostenere il futuro
Col tema “Own The Change”, SIAL 2024 mira ad invogliare i professionisti del settore ad abbracciare le trasformazioni in corso e ad affrontare con entusiasmo le sfide globali anche attraverso iniziative come SIAL insights, un’analisi biennale delle tendenze del settore, SIAL innovation, che offrirà uno sguardo agli sviluppi futuri, e SIAL start-up, che, nel 2024, presenterà il doppio delle start-up rispetto all’edizione passata.
Nuova planimetria
nuove dinamiche
Tra gli highlights ci sarà la nuova disposizione degli stand espositivi. Per migliorare l’esperienza dei visitatori, infatti, la nuova planimetria della fiera, come richiesto dai visitatori stessi, raggrupperà gli espositori per tema.
Cuore della food industry
In termini di partecipazione alla fiera, Francia e Italia si contendono il primo posto, con l’Italia attualmente in testa per superficie espositiva, con circa 17.000 m2. La Cina torna con vigore, con oltre 6.000 m2 occupati dai propri espositori, mentre Ucraina e India dimostrano la loro crescente influenza sulla scena globale. Saranno presenti anche diversi Paesi africani, con alcune partecipazioni collettive nel padiglione 5a. Le aspettative per una maggiore presenza rispetto alle precedenti edizioni sono alte, con Costa d’Avorio e Senegal che hanno già confermato la loro partecipazione, sottolineando l’impegno di SIAL per costruire un evento inclusivo grazie all’internazionalità espressa in ogni settore. Ci saranno infine per la prima volta espositori provenienti da Uganda, Libia e Iraq che arricchiranno ulteriormente la presenza culturale del SIAL. In ultima battuta, USA e Spagna si stanno preparando per una presenza indimenticabile a questa storica edizione.
Qualche numero
• L’83% dei buyer ha effettuato acquisti in loco o dopo il SIAL.
• 9 visitatori su 10 considerano il SIAL strategico per le loro aziende.
• +400.000 prodotti esposti e +7.500 espositori attesi.
>> Link: www.sialparis.com
L’Italia a SIAL Paris 2024
Il nostro Paese, ad oggi, sarà presente al salone con una superficie espositiva di circa 17.000 m2, posizionandosi al primo posto davanti alla Francia. I settori dove si ha una presenza maggiore di espositori italiani sono: “Drogheria, Prodotti Secchi”, “Prodotti Lattiero-caseari/Uova” e “Prodotti Dolciari, Biscotteria e Panificazione Fine”.
SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE
di Fabrizio Bertucci
Estate, tempo di riposo e riflessioni. Immaginate una serata in oliveto, un filo di lucine sospese tra albero e albero, una carezza di quel vento leggero che viene dal mare, un calice e qualche amico di quelli giusti. Si parla della stagione appena trascorsa, della prossima, resoconti, aspettative, passato e futuro. Ma soprattutto presente.
Una bruschetta croccante con un filo di quell’extravergine oggetto e soggetto del nostro discutere, il secondo calice, e si va a ruota libera.
Il male dell’olio extravergine italiano è la Xylella. No, il male dell’olio extravergine italiano è la Grande Distribuzione con prodotti di scarsa qualità a prezzi esagerati. Non credo, il male sono i premi e le guide, autoreferenziati e autoreferenzianti.
E che mi dici degli assaggiatori accondiscendenti? E le alluvioni e la siccità? E la Spagna che ha azzerato l’IVA? E tu, chef, che ne pensi?
Per fortuna mi ero addormentato. E ho continuato la conversazione solo e soltanto nella mia testa, tra le braccia di Morfeo.
Complice la brezza dal tenue profumo di salsedine e il brusio degli astanti, ho iniziato a ripercorrere i miei ultimi cinque anni da quando la professione di cuoco ha intersecato l’olio extravergine di oliva attraverso il corso di Sommelier dell’olio FIS, unendo inscindibilmente le due passioni. Da lì studio continuo, approfondimenti,
specializzazioni, visite ad aziende agricole, frantoi, oleoturismo, e poi assaggi, tanti assaggi (a chi mi segue sui social saranno andati anche a noia, ma se soltanto in uno di loro è scattata la curiosità di emularmi, abbiamo vinto tutti), criteri di abbinamento con i miei piatti, ma, soprattutto, racconti, divulgazione (quella vera), per presa visione personale, palato e naso inclusi e per voce dei produttori.
Ma in questi cinque anni il tempo è passato per tutti, anche per gli altri e di conseguenza per tutto il “movimento”, modificandolo.
L’olio extravergine tira e fa moda Ergo si moltiplicano premi, guide, riconoscimenti, eventi, comunicatori competenti (pochi), pontificatori (tanti), influencer, TikToker con relativi balletti urlati, testimonial che si attaccano alla bottiglia e bevono dal tappo antirabbocco un prodotto di grande qualità come se fossero muratori assetati in canotta e cappello di carta sul terrazzo a dare di guaina rovente…
Io ho il mio personalissimo metodo di approccio e selezione nei confronti di questo nuovo mondo. Una semplice domanda: ”Ma tu, esattamente, che lavoro fai?”. Il produttore vero, il frantoiano vero, il dottore agronomo e forestale vero, il giornalista enogastronomico vero, il giornalista medico-scientifico vero, l’assaggiatore vero, il capopanel vero, il cuoco vero, il sommelier vero, e poco altro. Tutto il resto mi fa un po’ sorridere.
Mentre ci si chiede come sia andata l’ultima campagna olearia, si pensa già alla prossima. Stato di salute degli alberi, clima, mignolatura, allegagione, raccolta, e poi stato dei frantoi, scorte disponibili, valore, prezzo.
Ecco, il mio doloroso cruccio: valore e prezzo. Che detta così sembrano la stessa cosa, ma vi garantisco che non lo sono, soprattutto nella testa di chi pensa che un mero condimento, una mera base nella quale far sguazzare sedano, carota e cipolla non possa costare almeno 15 euro al litro.
Godetevi le vostre vacanze e i vostri viaggi estivi, andate nelle aziende e nei frantoi, assaggiate gli extravergine autoctoni realizzati con le Cultivar del posto, parlate con i produttori, ascoltateli. Che questo nostro mondo EVO, al netto della fuffa, è sempre meravigliosamente interessante
È difficile. E allora dipende da noi operatori, che prima di esserlo siamo stati semplici fruitori. E che prima di esserlo di extravergine di qualità coi loro profumi, sentori, sapori e aromi, abbiamo assaggiato anche quello così così che comprava mamma.
Io faccio in questo modo: non perdo occasione per farlo assaggiare ai miei amici, ai colleghi cuochi, al mondo che mi circonda. Poi mi dedico a ricette di piatti diversi ponendo l’attenzione su quanto un extravergine con determinate caratteristiche esalti una pietanza o quanto non sia indicato per un’altra, alla quale preferirei in abbinamento
qualcosa di più delicato o più deciso, a seconda. Intanto racconto la storia di quel produttore, il territorio, l’evoluzione dell’azienda dai primordi al frantoio di nuova generazione. La raccolta anticipata atta ad esaltare le note polifenoliche che ci regalano profumi e salute nonostante abbassi le rese.
Quel corso di Sommelier dell’olio FIS del 2019 mi ha cambiato la vita (a proposito, a settembre celebreremo i 5 anni con una serata molto bella, seguitemi su Insta e FB, e ne saprete di più). Ma mi ritengo ancora ospite, spero gradito, di un mondo che va approcciato con rispetto e che con
altrettanto rispetto per gli attori veri va raccontato e divulgato.
Godetevi le vostre vacanze e i vostri viaggi estivi, andate nelle aziende e nei frantoi, assaggiate gli extravergine autoctoni realizzati con le Cultivar del posto, parlate con i produttori, ascoltateli.
Io sto per svegliarmi, e la voglia di portare avanti i miei progetti congiuntamente a crearne dei nuovi è sempre più forte. Che questo nostro mondo EVO, al netto della fuffa, è sempre meravigliosamente interessante. Buona estate dal vostro Chef dell’olio Fabrizio Bertucci
FORMAGGIO, PARTICELLA… O CITTÀ?
di Giorgia Fieni
Quark, formaggio fresco morbido e cremoso, tipico della tradizione nordica, dal sapore leggermente acidulo.
Salmone affumicato, compagno ideale del formaggio quark sulle tartine di pane di segale con aneto e rafano.
Parlare del quark è più complicato del previsto. La prima idea è quella della particella, anzi, secondo WIKIPEDIA, “una particella elementare, costituente fondamentale della materia”, e, secondo il dizionario OXFORD LANGUAGES, “in fisica subnucleare, il costituente fondamentale degli adroni” (segue spiegazione un tantino complessa che non vi riporto).
La seconda idea, però, è innominabile, perché ci ritroviamo in uno di quei casi in cui la marca del prodotto è più famosa del nome reale (tipo la crema spalmabile alla nocciola, per intenderci). Facciamo così: io non pronuncerò quel nome (un po’ come accade a tu-sai-chi nella saga di HARRY POTTER) però sappiate che è quel formaggio spalmabile che ha il nome di una città americana nominata anche da un film con un TOM HANKS da Oscar (bellissimo film, tra l’altro) e dove ROCKY andava a correre. Qui lo chiameremo con lo stesso nome della trasmissione di il-fu-Pieroe ora-Alberto Angela (inutile, non se ne viene a capo… è pieno di coincidenze), ovvero formaggio quark.
Il quale non è affatto nato in quella città, ma era più comune in Germania, Polonia, Baviera e Austria. Il latte viene fatto fermentare (come in altri formaggi) e poi si raccoglie il siero e lo si passa al setaccio (aggiungendovi eventualmente panna). Non ha bisogno di alcuna ma-
turazione ed è quindi immediatamente pronto per il consumo.
In cucina perciò il quark è appunto un ottimo sostituto della panna, nei sughi (o in quelle pastasciutte che sembrano particolarmente sciape, tipo tonno e/o zucchine e/o limone) e, in quanto spalmabile, è l’ingrediente perfetto per panini e piadine, blinis e canapè, focacce e brioches (provatele col quark mescolato al pesto… aperitivo perfetto).
Sta benissimo nelle torte salate (con funghi e prosciutto, per esempio) e nei salatini, anche usato nell’impasto per renderlo più saporito (magari con del pepe, che gli dà uno sprint in più). Rende cremoso il risotto.
Il quark, però, si esprime al meglio in alcune ricette dove la sua presenza è fondamentale. Nella farcia cremosa della cheesecake: la parte “cheese” è proprio la sua, perché, mescolandosi con zucchero e vaniglia, diventa l’amalgama perfetto da poggiare sulla base di biscotti e burro sciolto e in grado di sostenere i più svariati topping.
Nelle mousse: più leggero del mascarpone, più saporito della ricotta, le rende scioglievoli e adatte per essere servite su tartine, crostini, crackers e fette biscottate, una volta aggiunte dell’ingrediente principale ( Moreno Cedroni consiglia salmone Loch Fyne, che serve con la crema al quark — resa rosa dalla presenza di barbabietola —, olio affumicato e gelatina al cavolo
cappuccio rosso, ma, tranquilli, va benissimo anche il tonno, o il cioccolato, o il caffè).
Nei cupcakes: è morbido ma solido, quindi si appoggia sulla base di muffin senza mai crollare e può essere decorato a spirale e ospitare confettini, zuccherini, gocce di cioccolato, caramelle, ecc…
Non consiglierei di usarlo come ingrediente per le insalate, perché hanno bisogno di alimenti più consistenti. Consiglierei invece di aggiungerlo ad un toast con mele e mandorle (eventualmente cannella) o come ripieno per i friggitelli, con Parmigiano e pomodori secchi (lo ammetto, non è un’idea mia ma di Antonella Clerici). Alessandro Borghese invece vi propone un Savarin in bianco e nero cotto in forno e servito con salsa di fragoline di bosco, liquore all’arancia, zucchero a velo e frutta fresca, in cui la parte bianca è ottenuta da formaggio quark, burro di arachidi, mentre quella nera da yogurt greco e cioccolato amaro, entrambi su una base di tuorli, farina e zucchero.
Non mi sono soffermata sul mangiarlo tale e quale perché penso sappiate di cosa sto parlando. Quando ci affondi il cucchiaio e lo senti spalmarsi in bocca, non ti importa che sia una particella, una città, un programma televisivo scientifico o semplicemente un formaggio… Ti senti solo vincente, come Rocky!
Giorgia Fieni
Ragusano DOP
L’antico Caciocavallo a forma di tavoletta di cioccolato
di Nunzia Manicardi
Èuno dei formaggi più antichi della Sicilia. Di nicchia, poiché prodotto in piccole quantità ed esclusivamente sull’altopiano ibleo, la zona montuosa fra Ragusa e Siracusa, nei territori dei comuni di Acate, Chiaramonte Gulfi, Comiso, Giarratana, Ispica, Modica, Monterosso Almo, Pozzallo, Ragusa, Santa Croce Camerina, Scicli e Vittoria, in provincia di Ragusa, e Noto, Palazzolo Acreide e Rosolini in provincia di Siracusa.
Storicamente è chiamato Caciocavallo ragusano, in siciliano Cosacavaḍḍu, per l’usanza di asciugarne le forme “a cavaddu”, a cavalcioni, di un asse, o Scaluni, probabilmente in analogia alla sua forma e dimensioni che ricordano quelle di uno scalino o, se vogliamo, di una tavoletta di cioccolato, dato che la crosta — liscia, sottile e compatta—- è di un giallo dorato o paglierino tendente al marrone col protrarsi della stagionatura per i tipi da grattugia. Oggi però è chiamato ufficialmente Ragusano.
È un formaggio semiduro a pasta filata prodotto con latte vaccino crudo da vacche di razza Modicana (presidio Slow Food) utilizzando strumenti tradizionali. Dal sapore dolce e deciso, che a fine stagionatura tende al piccante, è molto utilizzato nella preparazione di piatti tipici ragusani.
L’altopiano calcareo degli Iblei, che occupa il lembo sudorientale dell’isola, là dove digrada verso sud è caratterizzato da pascoli naturali e campi coltivati — delimitati dai caratteristici
muretti a secco — che arrivano fino alle dune sabbiose della fascia costiera, ricche di vegetazione spontanea. In quei pascoli aspri, ma dalle abbondanti erbe foraggere, pascolano liberamente le vacche dell’autoctona e molto pregiata razza Modicana, in seguito integrate per la produzione di latte da vacche delle razze Frisona italiana e Bruna italiana che rendono molto di più (quasi il triplo). Attualmente, infatti, gran parte della produzione casearia è conferita all’industria che, nella provincia di Ragusa, presenta le principali strutture operative dell’intera isola per le quali il Ragusano è l’elemento trainante e più qualificante con concomitante necessità di notevoli quote di latte. La razza Modicana risulta così oggi confinata in poche aziende di tipo artigianale a conduzione familiare, che producono modeste quantità di formaggio.
Fin dal XIV secolo il Ragusano è stato oggetto di un fiorente commercio oltre i confini del Regno di Sicilia. Nel 1955 è stato riconosciuto come Prodotto tipico (DPR n. 1269 del 30/10/1955), nel 1995 ha ottenuto la Denominazione di origine (Decreto del 2/5/1995) e nel 1996 ha acquisito il riconoscimento CEE della DOP (Regolamento CEE n. 1263 dell’1/7/1996), perdendo la denominazione storica di “Caciocavallo” (col quale, per altro, non ha mai avuto nulla a che fare).
L’ente certificatore e organismo di controllo è il Consorzio Ricerca Filiera
Lattiero Casearia (CoRFiLaC), con sede a Ragusa, designato dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali con Decreto del 13 giugno 2000 quale autorità pubblica incaricata di effettuare i controlli per certificare la conformità ai requisiti del Disciplinare (D 13/06/95) per poter rilasciare la DOP.
Prodotto nel rispetto del Disciplinare di produzione (Provvedimento 29 luglio 2003 del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali), il Ragusano risponde a determinati standard produttivi per cui la sua produzione è limitata alle stagioni foraggere (da novembre a maggio) in cui i pascoli sono particolarmente rigogliosi. La lavorazione avviene rigorosamente a mano e con utensili in legno.
Il procedimento di produzione segue un’antica tradizione attentamente osservata. Innanzitutto si lascia coagulare il latte di una o più mungiture, assecondando lo sviluppo naturale della microflora con il caglio in pasta di capretto o agnello e, in aggiunta, acqua e sale in quantità tale (8 litri per ettolitro di latte) da permettere l’indurimento della pasta in 60/80 minuti.
La cagliata viene ridotta in piccoli pezzi utilizzando un’asta di legno (jarozzu) terminante a disco. La massa caseosa, ottenuta per sedimentazione e separata dal siero, è sottoposta a pressatura per favorirne la spurgatura. La pasta, trattata col liquido risultante dalla lavorazione della ricotta o con acqua a temperatura di circa 80 °C e
Il Ragusano DOP è un formaggio dolce e poco piccante nei primi mesi di stagionatura, diventando piacevolmente piccante a stagionatura avanzata. Per info: www.consorzioragusanodop.it
coperta con un telo per evitare bruschi abbassamenti della temperatura, viene fatta riposare per circa 85 minuti.
Per asciugare la si lascia su appositi supporti per circa 20 ore, dopodiché è tagliata a fette, ricoperta con acqua alla temperatura di circa 80 °C per 8 minuti, quindi lavorata con molta cura fino ad ottenere una forma sferica con la superficie esterna esente da smagliature e saldata ad un polo. Il prodotto viene successivamente modellato e poi raccolto in contenitori in legno detti mastreḍḍi, che danno al Ragusano DOP la sua caratteristica forma di parallelepipedo. Le forme sono calate in salamoia per la salatura. Vi restano da 2 a 8 giorni, a seconda del loro peso.
Il Ragusano è stagionato dai 12 ai 6 mesi all’interno di locali (maizzè) freschi, umidi e ventilati e a volte interrati; non di rado si tratta di cantine e grotte naturali dove, come già si è accennato, i formaggi legati a coppia con funi di lijama o corde di cannu, di zammarra (agave) o di cotone vengono appesi a cavallo di una trave di legno.
Durante la maturazione e la stagionatura si utilizzano, per la pulizia e manipolazione delle forme, impalcature, scaffali e attrezzi in legno o altro materiale, sempre indicati con i suggestivi nomi in dialetto.
A lavorazione ultimata il Ragusano va conservato in frigorifero, coprendo con un panno la parte tagliata.
Nunzia Manicardi
Pasta senza GLUTINE
di Giovanni Ballarini
La pasta è un cibo tradizionale italiano popolare in tutto il mondo per la sua convenienza, versatilità, valore sensoriale e nutrizionale. Per sapore, colore, composizione e proprietà reologiche la semola di grano duro è la migliore materia prima per la produzione di pasta e, sebbene la pasta sia composta da soli due ingredienti, semola e acqua, la qualità sensoriale e le caratteristiche chimico/fi siche del prodotto fi nale possono variare notevolmente, perché molti eventi diversi in ogni fase della produzione portano allo sviluppo di varietà di pasta con caratteristiche diverse, partendo dalle materie prime (semola e acqua), formato, tipo di trafilatura (bron-
zo o teflon), condizioni di temperatura e umidità, durata della essiccazione e altre condizioni operative.
Glutine
e qualità della pasta
La principale caratteristica della semola di grano duro è il suo contenuto in glutine, un complesso proteico tipico di alcuni cereali insolubile in ambiente acquoso e composto da due proteine, la prolammina o gliadina nel frumento e la glutenina. La gliadina nel frumento è anche responsabile dei principali fenomeni di reazioni avverse nelle persone allergiche. Il glutine conferisce agli impasti viscosità, elasticità e coesione e interferisce sulla lievitazione del prodotto, per cui il glutine, per il suo
comportamento viscoelastico, è responsabile delle caratteristiche della pasta. La lavorazione della pasta sviluppa e imposta la rete proteica del glutine che si aggrega con il calore e con reazioni chimiche. Il glutine determina anche le caratteristiche di cottura, le sensazioni percepite durante la masticazione e il gusto stesso. La pasta può avere la stessa forma ma ha una microstruttura molto diversa nei prodotti contenenti o no glutine, con diversità che si manifestano sui tempi di cottura, tessitura dell’impasto (collosità, durezza ecc…), comportamento masticatorio e degradazione strutturale durante la masticazione. In presenza di glutine la pasta mantiene la sua consistenza “al dente”.
Glutine e celiachia
Il mercato dei prodotti gluten free (senza glutine) è in continuo aumento. Prima erano le farmacie, ora sono i supermercati che partecipano a questa crescita di vendite ad alto prezzo. Una tendenza che sembra inarrestabile e, se non guidata, almeno favorita dai personaggi che dicono di seguire un’alimentazione senza glutine. Di pari passo sulle scansie delle librerie sono in crescita i libri che spiegano come vivere e dimagrire eliminando il glutine. E così, nei supermercati la dizione gluten free compare anche su confezioni di alimenti che non dovrebbero mai contenerlo, perché “senza glutine”, come altri “senza”, oggi sembra la parola magica per vendere.
A disposizione dei celiaci ci sono tantissime farine naturali alternative con le quali preparare la pasta e tante altre preparazioni che necessitano di questo ingrediente. La farina di mais è probabilmente la più utilizzata tra quelle gluten free, seguita dalla farina di riso. Ma anche i legumi e la frutta secca possono essere trasformati in farine senza glutine e utilizzati per fare la pasta, il pane, ecc…
Lontanissimi e dimenticati dai più sono i tempi nei quali le panetterie avevano insegne o cartelli che pubblicizzavano le pastine glutinate, preparate secondo un’idea di GIOVANNI BUITONI nel 1847. Dalla fine di quel secolo arrivando a metà del 1900 la pastina glutinata, una pasta alla quale è aggiunto il 15% in peso di glutine secco, entra nelle case degli Italiani come “il miglior alimento per bambini, ammalati e convalescenti, prodotto di regime per obesi, gottosi, uricemici e diabetici” e con pubblicità che dicono “Il latte materno non basta più, ora ci vuole la pastina glutinata!”, “Il profitto a scuola dipende dalla buona salute. La buona salute si difende con la pastina glutinata”.
Proporre oggi un alimento che vanta l’aggiunta di glutine, come peraltro di sale o di zucchero, sarebbe come decantare l’aggiunta di un “veleno”. Tutto questo perché, nella seconda metà del secolo scorso, è stata scoperta la celiachia, malattia sulla quale si è però fatta e continua a mantenersi una grande confusione.
La celiachia è una malattia causata dal glutine dei cereali, condizionata da una predisposizione genetica e di cui si hanno tracce preistoriche. È definita dalla presenza di lesioni intestinali provocate dall’attacco autoimmune dell’organismo al glutine, con presenza di determinati anticorpi nel sangue. A parte i sintomi che possono anche
non esserci o essere molto lievi, solo se ci sono le lesioni e gli anticorpi si può parlare di celiachia. La malattia pare abbastanza rara e comunque non interessa più dell’1% della popolazione mondiale, mentre in Italia, nelle diverse regioni si varia dal 2,5% dell’Abruzzo al 17% della Lombardia, per un totale di oltre 150.000 persone. Ma saranno tutti casi veri di celiachia? Accanto alla celiachia vera e propria esistono infatti altre condizioni che si possono confondere con questa malattia. Riconosciute dalla medicina vi è l’allergia ad altre componenti (non al glutine) del frumento ed esiste la Sindrome del colon irritabile che non ha niente a che fare col frumento.
La celiachia vera pare però in aumento e i motivi sono indubbiamente diversi. Innanzitutto una malattia esiste se la si conosce e la si diagnostica.
Altre condizioni favorenti l’aumento dei casi di celiachia sono la completa scomparsa dei parassiti intestinali, l’uso di alimentarsi con paste poco cotte e, soprattutto, il consumo di pane non più ottenuto con lievito madre, che con la sua acidità sembra ridurre l’attività sensibilizzante del glutine. La quantità di glutine dei grani non pare comunque in questione. Un fatto incontrovertibile è che se il glutine è un nemico dei celiaci veri, una minoranza, fortunatamente, la stragrande maggioranza delle persone che segue una dieta senza glutine non soffre di questa malattia, ma di altri disturbi: ad esempio, una certa percentuale di persone ha difficoltà a digerire il glutine della pasta “al dente” o del pane ottenuto con una rapida fermentazione non acida con lievito di birra, con la conseguenza di fermentazioni nel grosso intestino.
LA PASTA È UN ALIMENTO IRRINUNCIABILE PER MOLTI, ANCHE PER LA SUA VERSATILITÀ:
BASTA INFATTI UN SEMPLICE SUGO DI POMODORO PER METTERE TUTTI D’ACCORDO
Diffusione degli alimenti senza glutine
Indubbio è il successo commerciale dei prodotti senza glutine e tra questi delle paste. Senza negare l’esistenza e/o l’importanza della celiachia vera e propria e avvalorando la non colpevolezza delle graminacee, ma a come le loro farine sono trasformate in pane e cotte come pasta, il boom dei prodotti “senza glutine” è prevalentemente di tipo mediatico e commerciale. Non bisogna dimenticare che il prezzo di un prodotto “senza glutine” è sempre nettamente superiore al corrispettivo alimento normale, senza reali e giustificate motivazioni tecnologiche, ma di altra natura.
In Italia, i prodotti senza glutine sono considerati alimenti dietoterapeutici sovvenzionati dal Servizio Sanitario nazionale, con la conseguenza che, pagando lo Stato, il prezzo di questi prodotti rimane alto e all’aumentare del numero delle diagnosi, e quindi dei celiaci, il loro prezzo, anziché scendere come succederebbe per quelli di libero mercato, rimane costante, anzi tende ad aumentare…
Per tutti i prodotti alimentari per cui sia stata attestata l’idoneità al consumo da parte di celiaci l’Associazione Italiana Celiachia ha registrato un marchio a tutela dei consumatori: la spiga sbarrata (www.celiachia.it). Il simbolo, di proprietà dell’associazione, viene concesso ai prodotti che abbiano contenuto di glutine inferiore alle 20 ppm, secondo quanto indicato dall’associazione e dal Ministero della Salute. Anche prodotti non italiani possono ottenere il simbolo concesso dalle varie associazioni per i rispettivi territori di competenza, ma le modalità di certificazione sono diverse. In alcuni Paesi la spiga certifica un contenuto in glutine di 20 ppm, in altri si possono raggiungere anche le 100 ppm.
Pasta senza glutine
Per produrre la pasta senza glutine si utilizzano farine diverse da quella di grano duro come ad esempio quella di mais o altri cereali o farine di grani classificati come quasi-cereali, ricchi di carboidrati (60-70%), proteine (14-18%) e fibre (10-15%): amaranto, quinoa, grano saraceno, miglio, sorgo, mais. L’avena è priva di glutine, ma nelle
La pastina glutinata o iper glutinata consigliata a bimbi, ammalati e convalescenti fu un idea di Giovanni Buitoni nel lontano 1847. Era una pasta a cui veniva aggiunto il 15% di glutine secco, quindi con una concentrazione proteica che arrivava fino al 30%.
preparazioni industriali risulta spesso contaminata da cereali contenenti glutine, quindi occorre cercare l’indicazione aggiuntiva “avena senza glutine”. Altre scelte senza glutine per produrre la pasta riso, tapioca, soia, lupino e componenti proteici (latte scremato o siero di latte in polvere, uova, concentrati o isolati proteici di soia, lupino e piselli).
Nella produzione della pasta molti produttori utilizzano farina di mais bianco al posto di quella tradizionale ma la consistenza della pasta, soprattutto con cotture non prolungate, risulta diversa da quella tradizionale. Vi sono anche produttori che preferiscono utilizzare una mistura che comprende sempre farina di mais, alla quale sono aggiunti in percentuale variabile amido di patate o di mais, patate liofilizzate e una sfarinata di altri cereali che non contengono in alcuna percentuale glutine. Anche in questo caso il risultato è piuttosto diverso da quello della pasta originale.
La crescente domanda di prodotti alimentari senza glutine da parte dei consumatori ha spinto i tecnologi alimentari a studiare una vasta gamma
di ingredienti provenienti da diverse fonti per riprodurre la struttura di rete proteica sviluppata dal glutine nella pasta e che ne determina le caratteristiche e, negli ultimi tempi, l’attenzione si è concentrata soprattutto sulle farine di legumi. L’interesse per questa categoria di farine è principalmente attribuito alle loro proprietà funzionali, come la solubilità e la capacità di legare l’acqua, che svolgono un ruolo importante nella formulazione e lavorazione degli alimenti senza glutine e sulle loro caratteristiche. Il profilo nutrizionale di queste farine è importante perché rappresentano una preziosa fonte di proteine, fibre alimentari, vitamine, minerali e carboidrati complessi, che a loro volta hanno un impatto positivo sulla salute umana.
Giovanni Ballarini
Bibliografia
CULETU A., DUTA D.E., PAPAGEORGIOU M., VARZAKAS TH. (2021), The Role of Hydrocolloids in Gluten-Free Bread and Pasta; Rheology, Characteristics, Staling and Glycemic Index, Foods, 10 (12) 3121.
DELCOUR J.A., JOYE I.J., PAREYT B., WILDERJANS E., BRIJS K., LAGRAIN B. (2012), Wheat gluten functionality as a quality determinant in cereal-based food products, Annual Review of Food Science and Technology, 3, 469-492.
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A TUTTA BIRRA, LE ACIDE ARTIGIANALI
Le birre artigianali hanno proprietà sensoriali dovute ai microrganismi della fermentazione e la loro richiesta aumenta con le tecnologie che permettono di ottenere nuove varietà di questa antichissima bevanda
di Giovanni Ballarini
La birra è antichissima, quasi certamente più del vino. Già conosciuta dai Sumeri circa 5000 anni fa e poi dagli Antichi Egizi (denominata zithum, era bevanda nazionale e medicina) e dai Celti e dai Romani, ha un grande sviluppo presso i popoli germanici nel Medioevo e in Baviera nel 1516 viene emanata la prima legge che ne
regola la produzione, la Reinheitsgebot o Editto della Purezza. Molte sono le condizioni che influiscono e determinano le caratteristiche delle birre: oltre alle materie prime (tipi di cereali), importanti sono i microrganismi della fermentazione (lieviti e batteri) presenti nei diversi luoghi di produzione, per cui nel tempo si sono sviluppati molti tipi di birra differenti per caratteri sensoriali.
Tipi e microrganismi delle birre Nel vastissimo panorama delle birre, si possono distinguere tre grandi categorie in base ai microrganismi fermentanti. Le birre Ale sono prodotte dal lievito Saccharomyces cerevisiae, le Lager dal Saccharomyces pastorianus (Saccharomyces carlsbergensis) e il grande gruppo delle Acide, nella fermentazione delle quali intervengono
altri microrganismi, in particolare la famiglia delle Enterobacteriaceae, batteri lattici e lieviti diversi che provengono spontaneamente dall’ambiente e dalle attrezzature impiegate, dando origine a birre di particolari stili quali Lambic, Gueuze, Berliner Weisse, American Coolship Ale (ACA) e molti altri. Le Lager rappresentano la maggior parte del mercato della birra (90%), seguite dalle Ale (5%) e dalle Acide (5%), sempre più apprezzate e ricercate dagli intenditori. L’aumento della domanda di birra artigianale ha portato a tecnologie di produzione innovative al fine di ottenere nuove tipologie di birra caratterizzate da proprietà sensoriali peculiari. Al fine di raggiungere tale obiettivo, l’impiego di microrganismi fermentativi rappresenta una valida alternativa ai classici ceppi di lievito attualmente in commercio.
Italia terra della birra artigianale
L’Italia era e rimane la terra del vino — come testimonia anche il suo antico nome di Enotria, dal greco ôinos (vino), a causa dei floridi e numerosi vigneti del nostro territorio —, ma in questi tempi sta diventando anche la terra della birra. Già in una ricerca di alcuni anni fa il nostro Paese era quarto in Europa per numero di birrifici, 757, con una produzione di 14,5 milioni di ettolitri (decimo posto fra i Paesi europei). Ogni italiano in media ogni anno beve 40 litri di vino, ma anche 31 litri di birra, con un trend del vino in discesa e di birra in ascesa. Tra le scelte brassicole dei nostri connazionali le birre speciali occupano sempre più spazio: dal 2010, in Italia, sono infatti aumentati del 50% i volumi di birre speciali venduti tramite i canali della Grande Distribuzione Organizzata.
Per quanto riguarda le birre artigianali nazionali, la Guida alle Birre d’Italia 2023 (Slow Food Editore) censisce 456 birrifici, 38 dei quali segnalati con il riconoscimento della Chiocciola (la Guida riconosce la Chiocciola a quelle aziende eccellenti e slow per la qualità e costanza dei loro prodotti, per il ruolo svolto nel settore, per i valori identitari e per l’attenzione al territorio e all’ambiente, NdR) e 80 con l’Eccellenza (destinata alle aziende che esprimono un’elevata qualità media su tutta la
La prova scientifica più antica della produzione della birra risale a 5000 anni fa, in Asia, in reperti appartenenti alla popolazione dei Sumeri. Cinquecento anni dopo, nella fascia di territorio compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate, una tavoletta assira non solo nomina esplicitamente la birra, ma addirittura il mestiere di birraio.
produzione, NdR). Vengono nominate 2.346 diverse birre, mentre le premiate, insieme ai sidri, sono 651. Nel volume sono elencati anche 700 locali, tra beer shop, pub, osterie, dove bere e acquistare birre artigianali.
Birre acide, caratteristiche
Nelle birre acide lieviti e batteri fermentanti non sono scelti dal birraio, ma provengono dall’ambiente e dalle botti scelte per la conservazione. L’invecchiamento avviene in base al gusto e alle esigenze del birraio, dando alla birra sentori e aromi particolari, più o meno intensi. Anticamente le birre erano tutte più acide, prodotte da lieviti naturali e batteri e invecchiate in botti di legno o vasi di terracotta, quindi in realtà sono le più simili alle prime birre prodotte. Ancora oggi è il lavoro e l’abilità del birraio che individua anche le giuste botti, stabilendo la migliore per far fermentare la propria birra. Tra le più importanti birre acide bisogna ricordare le seguenti:
• Lambic, la acida per eccellenza creata mediante fermentazione spontanea — il metodo più antico di fare la birra —, è una birra di frumento, in cui l’acidità sostituisce l’amaro del luppolo. Per tradizione è fermentata spontaneamente nella zona di Bruxelles (Pajottenland). Ha una fragranza acida con note terrose, debole aroma fruttato-agrumato e notevole sapidità acido-lattica;
• Gueuze, prodotta miscelando Lambic di diverse annate, è caratterizzata da una forte carbonazione. Ha fragranze fruttate, aromi di agrumi, frequentemente pompelmo, e al palato è moderatamente acida;
• Fruit Lambic, fruttata e piacevolmente acida, deriva dalla frutta impiegata, normalmente aggiunta a metà maturazione. Ha un retrogusto secco ed aspro che dipende anche dalla frutta usata. Gli stili più tradizionali Sono la Kriek (ciliegie/ marasche), la Framboise (lamponi) e la Druivenlambik (uva moscato);
• Oud Bruin e Flemish Red Ale sono birre prodotte con fermentazione “mista” (Sour), poiché, oltre al lievito ad alta fermentazione, competono batteri e lieviti presenti nei tini di legno adoperati per fermentazione e maturazione. L’acidità è la loro caratteristica principale;
• Berliner Weisse, specialità di Berlino e dintorni, ha un basso contenuto alcolico con acidità lattica pulita data dall’impiego di lattobacilli. È spesso servita con uno sciroppo (mit Schuss) di lampone (Himbeer), asperula odorosa (Waldmeister) o liquore di cumino Carvi (Kümmel) per bilanciare la decisa acidità;
• Gose di Lipsia ha un’acidità prodotta
dai lattobacilli e si associa al gusto di altri ingredienti come sale e coriandolo. Ne consegue un gusto aspro, acidulo, salato e speziato;
• American Coolship Ale è un tipo di birra prodotta negli Stati Uniti a fermentazione spontanea che impiega metodi simili al tradizionale Lambic del Belgio. Il nome coolship (da koelschip, fiammingo) deriva dal tipo di recipiente usato per la sua produzione.
Abbinamenti
Le birre acide si abbinano bene con formaggi e carni, soprattutto di selvaggina o di maiale. Sono spesso associate anche a piatti di pesce molto saporiti,
Le birre acide vengono prodotte in diversi Paesi ma ci sono luoghi particolarmente fedeli alle tradizioni storiche. Si pensi alla Lambic, della regione del Pajottenland, nei pressi di Bruxelles, in Belgio. Oggi queste birre sviluppano aromi e sapori estremamente particolari, sfruttando la fermentazione spontanea
come il baccalà. Utilizzata come ingrediente, una birra acida può servire per la marinatura di un crudo di pesce.
Presente e futuro delle birre artigianali
La domanda dei consumatori è la chiave per le innovazioni nel settore delle birre speciali tra le quali anche quelle a basso contenuto alcolico e di carboidrati, senza glutine, probiotiche e arricchite. Queste birre sono prodotte e sviluppate tenendo presente la loro funzionalità e le tendenze dei mercati emergenti, oltre alla salute/benessere del consumatore. Rispetto alla birra convenzionale, sono produzioni tecnologicamente impegnative e richiedono fasi di processo particolari, microrganismi fermentanti e attrezzature speciali che comportano costi aggiuntivi. Il mantenimento della qualità e della stabilità e dell’accettabilità del prodotto sono le principali sfide per il successo di queste birre. Indubbio è però che un’integrazione armoniosa delle pratiche tradizionali di produzione della birra e dei moderni approcci tecnologici avrà uno sviluppo futuro.
Giovanni Ballarini
Le birre acide sono ottime in abbinamento con i formaggi.
ABorgo Vodice, in provincia di Latina, a pochi chilometri da Sabaudia e dal Circeo, note località balneari, Cantina Sant’Andrea è una fra le più interessanti realtà del vino laziali. Un’azienda enoturistica che valorizza anche alcuni vitigni autoctoni e dell’Italia centrale, vanto della famiglia Pandolfo, le cui radici enologiche giungono addirittura nella vulcanica Pantelleria e nelle terre ancor più esotiche della Tunisia. A metà ‘800, infatti, il fondatore Andrea Pandolfo, nonno di Gabriele, attuale proprietario insieme al figlio Andrea III, emigrò dall’isolotto siciliano nella regione di Grombalia, a Khanguet Gare, dove cominciò a produrre vino, allora venduto soprattutto in Francia. L’azienda prosperò fino al ‘38, quando subì una battuta d’arresto a causa della Fillossera, ma impiantando barbatelle resistenti tornò a produrre senza pericolo, fino al maggio del ‘64, quando l’allora presidente tunisino HABIB BOURGHIBA fece espropriare i possedimenti degli stranieri, che dunque lasciarono il Paese.
Dalla Tunisia, dopo una breve tappa a Napoli, i Pandolfo si trasferirono nelle pianure pontine, bonificate durante il regime fascista, con forza lavoro di Veneti, Friulani e Romagnoli, che colonizzarono queste terre un tempo paludose e malariche. E qui, da un piccolo podere, i Pandolfo crearono negli anni una tenuta importante, che oggi supera i 110 ettari, un centinaio dei quali solo di vigneto. 50 ettari di filari attorno alla cantina, altri appezzamenti tra i comuni di Aprilia, Sabaudia e Campo Soriano, terre che dal promontorio del Circeo lambiscono le colline di Cori e Terracina.
Un’area affacciata sul Tirreno e caratterizzata da un microclima ventilato grazie alla brezza marina e da suoli in cui hanno trovato un humus ideale vitigni come gli internazionali Merlot, Syrah e Cabernet sauvignon, ma anche la Malvasia puntinata, l’Aleatico, il Moscato di Terracina e l’autoctono Cebuco o Abbuoto. Insomma, terre che
Cantina Sant’Andrea esprime al meglio nei suoi prodotti. Quali? Su 1,1 milioni di bottiglie, circa 500.000 rientrano nella linea top Acquerelli, altrettante nella linea Botti e 120.000 nella linea Kosher, un segmento che i Pandolfo presidiano da anni, rivolto al mercato internazionale ma con uno sbocco nella comunità ebraica romana.
Le prime due linee finiscono invece sugli scaffali del canale HO RE CA. — nulla in GDO — e in parte sono vendute in azienda o consumate nel ristorante interno Seguire le Botti, aperto tre anni fa per dare concretezza enoturistica a una cantina collocata proprio sulle rotte estive dei romani verso i lidi della cosiddetta Riviera di Ulisse: Sabaudia, il Circeo, Terracina, Fondi, Sperlonga fino a Gaeta e Formia, più a sud, in odor di Campania.
Cantina Sant’Andrea produce anche 50.000 bottiglie di spumanti e 100.000 di frizzanti, due tipologie in crescita, ora sostenute da una rinnovata linea d’imbottigliamento, inaugurata a gennaio 2024.
La linea più pregiata della cantina, Acquerelli, è composta da 16 etichette, disegnate su sfondo ad acquerello; a realizzarle l’artista di Formia Pompeo Cupo, che per Riflessi (Circeo DOC rosso e rosato) ha riprodotto l’immagine della chiesa della Sorresca, che si riflette appunto nelle acque del lago di Paola, per l’etichetta Dune (Circeo DOC bianco da uve Trebbiano e Malvasia) ha optato per le note dune di Sabaudia, mentre per l’Oppidum (Moscato di Terracina DOC secco) ha raffigurato in etichetta il bel centro storico di Terracina, un insediamento Volsco preromano (dal latino oppidum, fortezza, roccaforte). Infine, con il Templum (Moscato di Terracina DOC, amabile), ha raffigurato il monumentale tempio di Giove Anxur, uno spettacolare sito che i romani costruirono in cima allo sperone roccioso di monte S. Angelo, che sovrasta Terracina e il golfo. Con una vista spettacolare. In effetti potrebbe essere una location fantastica anche con un calice tra le mani. www.cantinasantandrea.it
Alcune immagini dalla prima edizione di “Aglianico – Festival Enologico della Basilicata”, mostra enologica dei vini lucani con talk di approfondimento, laboratori di assaggio, degustazioni e masterclass.
BASILICATA
“AGLIANICO” FESTIVAL
Lo scorso marzo a Potenza si è tenuta la prima edizione di Aglianico, una mostra enologica nel centro del capoluogo lucano interamente dedicata ai vini della regione Basilicata. Su tutti l’Aglianico del Vulture DOCG, un rosso potente, strutturato e anche molto promettente. Per rintracciare un evento analogo a Potenza bisogna addirittura andare indietro ad una “vecchia” Mostra Enologica tenutasi negli anni 1887 e 1888, tante vite fa, poco dopo l’Unità d’Italia… Un’epoca, tra l’altro, di grande fermento nelle ricerche ampelografiche ed enologiche in Basilicata, grazie al lavoro di un medico e ricercatore locale,
Michele Lacava, il quale, dopo tentativi compiuti da altri all’inizio del XIX secolo, fece entrare di diritto la Lucania fra le principali regioni italiane produttrici di vino. Nelle due mostre enologiche che organizzò insieme alla Camera di Commercio di Potenza coinvolse 220 produttori e accese i riflettori su numerose varietà di vite autoctone, oltre all’Aglianico, che costituiscono la base ampelografica regionale. Analisi chimiche dei vini, punti di forza e debolezza, correttivi tecnici, canali commerciali: furono questi e altri i temi affrontati durante le due rassegne.
Partendo da qui a marzo di quest’anno è stata dunque lanciata Aglianico, con un successo di pubblico inaspettato che fa ben sperare per una nuova e
rinforzata edizione dedicata ai vini DOCG, DOC e IGP della Basilicata e che coinvolga anche il bellissimo Teatro Stabile, da poco ristrutturato.
«Alle mostre enologiche del 1887 e del 1889 parteciparono 109 aziende il primo anno e 110 il secondo» ha ricordato Paride Leone, presidente di Slow Food Basilicata e proprietario della cantina Terra dei Re, a Rionero in Vulture, Potenza (www.terradeire.com). «Erano indicate addirittura 199 varietà di vite, un numero molto maggiore delle 28 che oggi sono iscritte nel Registro nazionale della vite e del vino per la sola Basilicata. Varietà come Zagarese, Vesparola, Vitola, Arciprete. Dalle due mostre enologiche il governo regio dell’epoca intuì che c’erano evidenti carenze e decise di mandare enologi e agronomi nelle campagne per insegnare ai contadini come coltivare correttamente la vite: vennero fondate le Regie Cattedre Ambulanti di viticoltura ed enologia per migliorare la qualità produttiva. In seguito arrivò la Fillossera e a Rionero in Vulture nacque l’Istituto sperimentale: gli impiegati erano reduci di guerra, creavano barbatelle per 200 ettari di vigna, ogni anno».
Insomma, ce n’è da raccontare anche nella piccola Basilicata, dove è stato istituito un paio d’anni fa l’Elenco regionale per l’enoturismo (una decina per ora le cantine) ed è oggi in progettazione un Distretto del vino: sono state concluse le procedure in Regione e i vari soggetti imprenditoriali (cantine, consorzi, enoteche, ecc…) devono adesso costituire e siglare la nascita del nuovo distretto. Sono previsti circa 15 milioni di finanziamenti per vari progetti sul territorio.
Un territorio che adesso deve promuoversi meglio con il «turismo della conoscenza, dello scambio e dell’accrescimento culturale, sia per chi ospita che per chi arriva» ha dichiarato Antonio Nicoletti, direttore dell’APT Basilicata. «Non un turismo di consumo, ma un turismo delle passioni, che stiamo cercando di costruire insieme alle persone che in Basilicata hanno creato qualcosa d’importante. Questo interessa anche le cantine, che stiamo contattando per farle aderire al nostro progetto di racconto di questa piccola ma splendida regione».
Massimiliano Rella
Packaging circolare e ruolo del consumatore
“responsabile”
Quando etica, valori e best practice guidano le scelte d’acquisto
di Emiliano Caradonna
La sostenibilità si configura come una delle questioni più urgenti e impattanti del XXI secolo. Il concetto di sviluppo sostenibile, definito nel Rapporto Our Common Future del 1987, indica la necessità di soddisfare i bisogni dell’attuale generazione, senza tuttavia compromettere la capacità delle nazioni future1. La politica, e in particolare gli organismi internazionali, hanno promosso diverse iniziative in questa direzione. A tal proposito, l’Agenda 2030 fa propria una visione multidimensionale della sostenibilità che si articola in tre pilastri (ambientale, economico e sociale), i quali, a loro volta, sono declinati in 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile con i relativi target. La centralità del ruolo del consumatore viene sancita dal Target 12.8, che pone la necessità di “accer-
tarsi che tutte le persone, in ogni parte del mondo, abbiano le informazioni rilevanti e la giusta consapevolezza dello sviluppo sostenibile e di uno stile di vita in armonia con la natura”2. L’idea di fondo è che se le persone fossero adeguatamente informate sull’impatto che le proprie scelte di consumo possono avere sugli obiettivi di sviluppo sostenibile, cambierebbero le proprie abitudini, investendo maggiori sforzi nella promozione della sostenibilità e quindi condizionando la stessa strategia delle aziende produttrici.
In questo scenario il packaging svolge un ruolo cruciale, poiché può influenzare diversi aspetti ambientali e sociali lungo l’intera catena di approvvigionamento e distribuzione dei prodotti acquistati; stando agli ultimi dati EUROSTAT del 2021, l’UE ha generato
188,7 kg di rifiuti di imballaggio per abitante, 10,8 kg in più per persona rispetto al 2020, l’aumento maggiore in 10 anni, e quasi 32 kg in più rispetto al 2011. Dati destinati a crescere, a causa dell’aumento di acquisti on-line, consegne a domicilio e consumo di prodotti da asporto.
In totale, l’UE ha generato 84 milioni di tonnellate di rifiuti di imballaggio, di cui il 40,3% in carta e cartone, il 19% in plastica, 18,5% in vetro, 17,1% in legno e il 4,9% in metallo. Nel 2021, ogni cittadino ha generato in media 35,9 kg di rifiuti di imballaggio in plastica, con una media di riciclo pari a 14,2 kg. Tra il 2011 e il 2021, la quantità pro capite di rifiuti di imballaggio in plastica generata è aumentata del 26,7% (+7,6 kg/pro capite) e la quantità riciclata di rifiuti di imballaggio
in plastica ha segnato un incremento nello stesso periodo pari al 38,1% (+3,9 kg/pro capite). Tra i Paesi più virtuosi nel riciclo dei rifiuti di imballaggio in plastica troviamo Slovenia (50,0%), Belgio (49,2%) e Paesi Bassi (48,9%) con un tasso quasi vicino al 50%, al contrario si collocano nel fanalino di coda: Malta (20,5%), Francia (23,1%) e Svezia (23,8%). Qwarzo si pone al centro di questa sfida, promuovendo pratiche sostenibili lungo l’intera catena del valore e ridefinendo gli standard di un settore sempre più orientato alla responsabilità ambientale.
Il ruolo del consumatore responsabile
Secondo la nuova PwC Consumer Insights Survey3, a fronte di una situazione finanziaria complessa che spesso
guida le scelte d’acquisto verso i beni prettamente essenziali, i consumatori dichiarano di essere in ogni caso disposti a pagare un prezzo più elevato per l’acquisto di prodotti eco-friendly. In particolare, il 78% dei consumatori è disposto a pagare una cifra maggiore per un prodotto realizzato/reperito localmente, fatto con materiale riciclato, sostenibile o eco-compatibile (77%) o da un’azienda nota per le proprie pratiche di sostenibilità (75%)4. Sul fronte nazionale, CONFINDUSTRIA ha di recente presentato uno stato dell’arte della sostenibilità con l’obiettivo di produrre un’analisi quantitativa del sentiment dei consumatori sui temi della sostenibilità5 Lo studio rileva come la sostenibilità ambientale e sociale sia rilevante per l’80% degli intervistati. Inoltre, la consapevolezza di coloro che hanno figli è ancora più elevata nei confronti delle scelte sostenibili che devono essere effettuate lungo tutta la filiera.
Secondo i dati forniti dall’Osservatorio Packaging del Largo Consumo di N OMISMA 6, il 40% degli Italiani prevede di incrementare gli acquisti di prodotti alimentari e bevande dotati di packaging sostenibile nei prossimi 12 mesi. Questa percentuale aumenta notevolmente tra le famiglie con bambini e persone della Generazione Z, il segmento demografico più sensibile alle questioni legate alla sostenibilità ambientale.
Il ruolo del green packaging sta diventando sempre più determinante nelle decisioni di acquisto alimentare degli Italiani. Nel corso degli ultimi 12 mesi, il 54% dei cittadini italiani ha optato per marche diverse da quelle acquistate normalmente a favore di un imballaggio più sostenibile; inoltre, il 18% ha cessato di acquistare un prodotto a causa della sua confezione ritenuta non ecologica. L’analisi evidenzia che il cambiamento climatico, riconosciuto come uno dei problemi globali più gravi da oltre il 60% degli Italiani, ha un impatto significativo sulle scelte dei consumatori. La sostenibilità, unita all’attenzione per l’ambiente, rappresenta un fattore chiave per il 32% dei cittadini nelle loro decisioni di comportamento e acquisto, mentre il 59% dichiara di tenerne comunque conto. Questo cambiamento di priorità si manifesta in un maggiore impegno verso scelte di consumo più sostenibili,
con un trend in netta crescita rispetto a cinque anni fa. In particolare, l’82% delle famiglie presta maggiore attenzione ai consumi.
Nella scelta del packaging, le caratteristiche più ricercate sono l’assenza di imballaggi in eccesso (59%), l’utilizzo di confezioni completamente riciclabili (58%), la produzione con ridotte emissioni di CO2 (46%), l’utilizzo di materiali riciclati (45%) o biodegradabili (44%). Si nota anche un forte interesse per gli imballaggi privi di plastica e quelli riutilizzabili. In questo contesto, Qwarzo emerge come pioniere nell’innovazione del settore, offrendo una risposta concreta alle sfide ambientali del nostro tempo e alle esigenze che il consumatore richiede.
Quasi l’80% degli Italiani ritiene di vitale importanza avere informazioni sul ciclo di vita delle confezioni, inclusa la loro seconda vita post riciclo. Questo interesse sottolinea la necessità per le aziende di adottare strategie di marketing che enfatizzino la sostenibilità dei propri imballaggi. La trasparenza riguardo alle pratiche di sostenibilità e al ciclo di vita dei prodotti diventa un elemento chiave nella costruzione della fiducia del consumatore e nell’influenzare le decisioni di acquisto.
ALL4PACK CIRCULARITY: la circolarità al centro dell’industria del packaging
Di fronte ad importanti sfide economiche, tecnologiche, ambientali e normative, il settore del packaging e dell’intralogistica vive profonde trasfor-
mazioni. In questo contesto, ALL4PACK EMBALLAGE PARIS — la principale fiera internazionale in Francia per tutti gli attori del settore dell’imballaggio, in programma dal 4 al 7 novembre
ALL4PACK EMBALLAGE PARIS pone al centro delle sue riflessioni i temi dello sviluppo sostenibile nel packaging e si posiziona come vetrina per tutte le innovazioni al servizio della sostenibilità, delle performance e della redditività delle aziende settore.
prossimi a Paris Nord Villepinte — si posiziona come think tank, consentendo a esperti e professionisti del settore di comprendere la realtà del mercato di domani. Il salone ha immaginato quest’anno ALL4PACK Circularity, uno spazio dedicato ad aziende e start-up impegnate in iniziative di riduzione, riciclo e riuso (3R). Lo spazio ospiterà un’agorà che permetterà di affrontare questi temi, nell’ambito di workshop e pitch che metteranno in luce tutta la dinamicità del settore. Le start-up presenti in quest’area in particolare offriranno soluzioni innovative e agili per l’imballaggio e la manutenzione: nuovi materiali, contenitori riutilizzabili e connessi, strumenti di programmazione robotizzata, ecc… Tra le start-up già iscritte:
• Bag’Innov , piccola azienda a conduzione familiare con sede a Narbonne, specializzata nelle buste flessibili autoportanti. Bag’Innov offre una busta riconosciuta come “Riciclabile” da CITEO (Francia) o Fost+ (Belgio) da 1,5L a 5L con rubinetto, compatibile per il contatto alimentare e non. Le buste Bag’Innov sono adatte per il confezionamento a caldo (83°) o a freddo, per prodotti senza o con alcool (fino a 50°), per alimenti, detersivi, cosmetici; • ECocert Greenlife. «Di fronte alle
sfide ambientali, Ecocert ha scelto di rispondere alla crescente domanda di soluzioni sostenibili nel settore dei materiali offrendo certificazioni e garanzie che promuovono l’adozione di buone pratiche» ha dichiarato Sylvana Scampini, responsabile Business Unit Materiali Sostenibili. «La Business Unit di Ecocert Greenlife dedicata ai materiali sostenibili è principalmente interessata alle materie plastiche e offre la certificazione GRS, che garantisce la tracciabilità dei materiali riciclati lungo tutta la catena del valore, rispondendo al contempo alle impegnative sfide ambientali e sociali»;
• Tecnologia Magma, un sistema di visibilità di nuova generazione per ottimizzare la gestione degli asset logistici;
• Opack, il “pacchetto del futuro!”. Riutilizzabile fino a 100 volte e made in France, riduce i rifiuti di 25 kg e l’impronta di carbonio del 90%, pur essendo più economico del cartone monouso. Il suo punto di forza? Un cuscino gonfiabile brevettato che protegge tutte le spedizioni in 2 secondi;
• Pack Me Up, specializzata nella produzione di soluzioni di imballaggio sostenibili. Durante ALL4PACK EMBALLAGE PARIS presenterà il pluriball in carta riciclata e completamente riciclabile, offrendo un’alternativa ecologica ed efficace per proteggere tutti i tipi di prodotti durante la loro spedizione.
Saranno presenti altre start-up come:
• Cilkoa, servizi logistici e sistemi informativi;
• Opopop, il primo servizio per i pacchi riutilizzabili e restituibili;
• Packitoo, migliora il ciclo di vendita dei produttori di imballaggi, dall’acquisizione di nuovi clienti al lancio degli ordini di produzione;
• Releaf Paper: ricicla gli scarti vegetali in materie prime preziose, offrendo così un’alternativa alle fibre vergini nella produzione della carta.
>> Link: www.all4pack.com
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UN CARRELLO BEN FATTO
È
della modenese Officina Masetti, mix perfetto di tecnologia e artigianalità che garantisce prodotti destinati a durare nel tempo
di Elena Benedetti
Èuna delle Imprese Storiche Nazionali, con tanto di certificato d’iscrizione al Registro che censisce e certifica le imprese che tramandano, con la loro attività centenaria, un patrimonio di competenze e valori del “fare impresa”. È in provincia di Modena, a pochi chilometri dall’uscita autostradale di Modena Sud, e conta 7 dipendenti. A capo di Officina Masetti Srl c’è Marco Masetti, l’artigiano dei transpallet manuali e dei carrelli idraulici. Da oltre un secolo l’azienda che porta il suo nome realizza prodotti di alta qualità e affidabilità: fondata nel 1911, dal 1958 è specializzata nella fabbricazione di transpallet ed è oggi un esempio dell’ingegno italiano. Qual è il segreto dei suoi prodotti? «Curiamo la qualità dei materiali impiegati per la costruzione dei carrelli e offriamo un’assistenza post vendita e una disponibilità di ricambistica che i nostri clienti apprezzano molto» mi risponde. «Il miglior acciaio inox, la lavorazione e la cura artigianale che riponiamo nella produzione di ogni transpallet lo rendono un pezzo unico destinato a durare nel tempo. Qui in Officina si crea il carrello adatto per essere impiegato nei luoghi dove le condizioni ambientali sono più difficili e in cui bisogna rispettare stringenti normative sanitarie» aggiunge l’imprenditore alla quarta generazione della famiglia a capo dell’azienda.
Soluzioni per ogni necessità di trasporto pallet
• Transpallet manuali — Disponibilità di modelli standard, personaliz-
Forti, agili e robusti, i carrelli elevatori Masetti sono progettati per ogni necessità di movimentazione merci.
zazioni e costruzione ex novo di modelli speciali a seconda delle dimensioni e della portata richieste.
• Carrelli idraulici inossidabili per utilizzo nel settore alimentare e chimico.
• Carrelli pesatori per trasportare e pesare correttamente materiali fino a 20 quintali di carico ed oltre.
Perché scegliere i carrelli Masetti?
«In oltre un secolo di attività abbiamo trovato soluzioni per un’ampia casistica di necessità che si presentano nell’ambito della movimentazione merci, in particolare in ambienti difficili come l’industria alimentare e casearia. Facendo tesoro di questa esperienza, oggi possiamo offrire al cliente un servizio di progettazione personalizzata dei transpallet manuali che garantiscano robustezza e affidabilità nello specifico ambito di utilizzo. I nostri carrelli sono un investimento che dura nel tempo e hanno un alto ritorno grazie all’efficienza e alla possibilità di risparmiare notevolmente su ricambi e riparazioni» sottolinea Masetti.
Nella fluidità che caratterizza i tempi attuali, è un orgoglio constatare che ci sono imprese che hanno attraversato oltre un secolo di storia, passando di generazione in generazione la passione per il proprio lavoro e il patrimonio di competenze e conoscenze, mantenendo salda la loro posizione sul mercato con un’offerta capace di coniugare tecnologia e artigianalità. Officina Masetti è decisamente una di queste.
Elena Benedetti
Officina Masetti Srl
Via Vignolese 1170
41126 S. Damaso (MO)
Telefono: 059 469112
E-mail: info@officinamasetti.it
Web: officinamasetti.it
Ogni transpallet manuale in acciaio inox è un pezzo unico, realizzato con cura artigianale e attenzione per ogni dettaglio.
Officina Masetti fornisce un servizio di ricambistica di alto livello, che si distingue soprattutto per la flessibilità. La lunga esperienza nella produzione di carrelli elevatori permette all’azienda modenese di conoscere il settore in modo accurato, prevedendo eventuali problematiche e, soprattutto, di rispondere repentinamente alle esigenze del cliente con una struttura particolarmente agile: grande magazzino ricambi con ampio catalogo di pezzi sempre disponibili; spedizione garantita in 24/48 ore su tutto il territorio nazionale; possibilità di reperire pezzi speciali e di adattarli presso l’officina di proprietà. L’esperienza permette inoltre a Masetti di riconoscere immediatamente un problema e suggerire le migliori alternative, per una risoluzione rapida, efficiente ed economica. “Il nostro impegno è quello di essere un partner affidabile per la tua azienda e di garantirti la massima attenzione per i tuoi carrelli idraulici, in modo da evitare spiacevoli inconvenienti dovuti a revisioni poco accurate o ritardo nella consegna di ricambi” (fonte: officinamasetti.it).
ZOE BURGESS
Il Laboratorio dei cocktail
L’arte, la scienza e il piacere di miscelare il drink perfetto
Edizioni: Guido Tommasi
240 pp. – € 28,00
Cosa distingue il Martini di JAMES BOND dal French 75 di Casablanca? E il Gin Ricky del Grande Gatsby dal Cosmopolitan di Sex and the City? Se volete saperne di più, questo libro è i perfetto per voi! “Il laboratorio dei cocktail” racconta il loro fascino e l’arte della mixology, per scoprire i profili gustativi e tutti i segreti di un perfetto bartender. Dai bicchieri da acquistare (coppetta, flûte, hightball, ecc…) alle tecniche di base (build, muddle, stir, ecc…), dagli ingredienti più interessanti ai vari tipi di guarnizione (agrumi, olive, menta e fiori), ZOE BURGESS vi accompagnerà nel mondo dei drink, analizzandone i sapori e le strutture per aiutarvi a creare quello perfetto per voi e i vostri ospiti. In più, 80 ricette divise per tipologia (champagne, stirred, bitter, sour e long cocktail), con foto e illustrazioni per aiutarvi a costruire la vostra bar station.
LARA ABRATI (testi), MATTEO ZANARDI (foto)
13 ravioli per 13 chef
Edizioni: La.Ma. Food Specialists, condiremag.it
131 pp. – € 20,00
Per ordini: info@lama.studio
“Ma perché proprio il raviolo e la pasta fresca?” si domanda LARA ABRATI, che ha realizzato questo libro autoprodotto con MATTEO ZANARDI, che ne ha curato progetto grafico e immagini. “Sembra forse un po’ anacronistico trattare questo tema, in una società che predilige il tutto e subito. Forse sarebbe stato più utile trattare ricette facili e velocissime, dal risultato assicurato: questo è quello a cui aspiriamo, ma in fondo è solo una grande illusione. Nulla è facile, veloce e dal risultato assicurato. Ma comunque la verità sta nel mezzo, perché in realtà non è così vero che fare la pasta in casa, anche ripiena, richieda così tanto tempo. (…) Lo sapete che tutto ciò che viene considerato un ‘avanzo’ può diventare un gustoso ripieno? E per la pasta? Bastano pochissimi ingredienti, per ottenere risultati strepitosi. Perché il raviolo è anche questo: un esercizio per nobilitare ciò che consideriamo povero o scarto. Come diceva il poeta e scrittore Tonino Guerra ‘Per me, il tortello è una pasta piena di pensieri…’. Impastare può far bene a tutti: ai bambini, agli adulti, ai depressi, agli infelici, ma anche ai soddisfatti della propria vita, perché impastare è un po’ come dare forma alla propria vita”.
YOSHIKO NODA “YOCCI”, AYA YAMAMOTO
Menrui tsuru tsuru
Ramen, udon, soba e molto di più!
Edizioni: Corraini
152 pp. – € 22,00
Se diciamo “menrui” stiamo dicendo “pasta” in giapponese e, proprio come in Italia, questa parola racchiude un mondo vasto e variegato di tipologie, ricette e occasioni in cui questa pietanza amatissima viene cucinata. In questo libro YOCCI, illustratrice, e AYA YAMAMOTO, fondatrice della Gastronomia Yamamoto, entrambe nate e cresciute in Giappone, ci portano alla scoperta di un piatto che ha secoli di storia e su cui c’è ancora tanto da imparare! Una storia affascinante che parla di samurai, inventori, mercanti, e persino astronauti!
Soba, yakisoba, udon, kishimen, harusame, hiyamugi, chanpon e le altre tipologie di pasta descritte in queste pagine danno vita ad un variegato e gustosissimo arcipelago di ricette, con tantissime combinazioni possibili di ingredienti e modalità di preparazione.