Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXVI N. 5 Settembre-Ottobre 2014
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N. 5 Anno XXVI Settembre-Ottobre 2014
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Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988 Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910
Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Renato Bergonzini – Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Redazione New York Stefano Spadoni – Alessandra Rotondi P.O. Box 569, New York, NY 10101-0569 Tel./Fax +1 212 956 8566 E-mail: stefanony@stefanospadoni.com Consulenti scientifici Prof. Giovanni Ballarini (Parma) – Prof. Fausto Cantarelli (Parma) – Prof. Carlo Cantoni (Milano) – Prof. Giuseppe Caserio (Milano) – Prof. Giorgio Catellani (Napoli) – Prof. Eugenio Del Toma (Roma) – Dr. Emanuele Guidi (Modena) – Prof. Riccardo Monacelli (Roma) – Dr. Alfonso Piscopo – Piero Pittaro (Udine) – Prof. Andrea Strata (Parma) – Angelo Valentini (Perugia) Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.
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N. 5
In questo numero: Anteprima
10
Tendenze
Taglieri stellati
Il food in rete
Social food
Elena Benedetti
14
Comunichiamo
Dalla Russia con amore
Chiara Russotto
18
Attualità
Eppure nonna lo faceva così
Sebastiano Corona
23
Aziende
Saladini, l’arte del taglio made in Tuscany Modena Estense: idee, cose buone e molto cuore
12
32 Elena Benedetti
34
Gaia Borghi
40
HPP Italia, la tecnologia al servizio dell’industria dei salumi Prosciutto di Parma Dop 24 mesi Monpiù: la tradizione, il territorio, la cura
Prodotti tipici
38
Tagliato per il gusto
44
Jamón de buey, dalle Asturie un prosciutto davvero speciale
48
Barbozzo, tipicamente umbro
Giorgio Montanari
La Valle del Tresinaro e la cultura della pecora da carne La giardiniera di Mamma Augusta, così buona non s’è vista mai! Mercati
50 53
Federica Cornia
56
Salumi piacentini tutelati: fatturato in crescita per coppa e pancetta Dop
58
Suini, prevista la ripresa, meteo permettendo
60
Bio: in alto la fiducia delle aziende di trasformazione
64
Salumi in tavola
Regione che vai, involtino che trovi
Clara Scaglioni
68
Sapori mediterranei
Miele e tempi moderni
Riccardo Lagorio
73
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7
Turismo enogastronomico Prosciutto d’Oltremura Igp, la Slovenia che ci piace
Riccardo Lagorio
78
Valle d’Itria: capocollo e formaggi in masseria
Riccardo Lagorio
80
Eventi
Tutte le forme della mozzarella
Luciana Squadrilli
84
Rassegne
L’Italia dei Festival
Elena Benedetti
90
Fiere
Vinitaly 2015 edizione speciale: si punta all’export
Formaggio
La Slovenia riscopre il trnič, saporito pegno d’amore
Riccardo Lagorio
103
Dalla guerra per il Puzzone è nato il Cuor di Fassa
Nunzia Manicardi
106
Vino
L’Italia enoica ad Expo 2015
Massimiliano Rella
108
I vini di Premiata Salumeria Italiana
Degustazione: spaghetti con le vongole. E il vino?
Laura Franchini
110
Tecnologie
Non solo tradizione e qualità, ma anche innovazione: Gagliazzi sceglie il CSB-System
Curiosità
Il perché delle regole a tavola
Sebastiano Corona
116
Il nome dei pasti: un’eredità dei Romani e della religione
Giovanni Ballarini
120
A pranzo con Babette
Gemma Zubiani
122
Libri
100
114
La repubblica del maiale, come siamo, da dove veniamo
124
Stupdt o l’arte di rialzarsi da terra
126
Il sapore dei ricordi
126
Sangiovese vino di Romagna
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In copertina: l’asturiano jamón de buey importato dal Gruppo Giraudi di Montecarlo.
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Anteprima
Lo scorso 20 settembre il Caseificio Busti ha riunito ad Acciaiolo di Fauglia (PI) straordinari produttori toscani di salumi, vini, birre, dolci e conserve per festeggiare l’inaugurazione del ristorante Il Rifocillo. Un vero ristoro a km zero che la famiglia Busti, dopo la realizzazione del nuovo caseificio nel 2011 e l’apertura dello spaccio, ha voluto creare raggiungendo l’ennesimo traguardo fatto di scommesse vinte e di successi. Dalla mattina alla sera amici, clienti, fornitori e giornalisti hanno potuto visitare la struttura, dalla grotta di stagionatura sotto terra, al negozio, al ristorante e fino su in terrazza. Tra assaggi guidati, musica e un bellissimo sole di fine estate. Sul prossimo numero di Premiata Salumeria Italiana trovere un ampio servizio (in foto, in alto: Patrizia Nencioni, Marco Busti, Remo Busti, Gino D’Agostino, Annalisa Vannucci, Angela Capantini. In basso: Azzurra Bertolucci, Alessandro Tagliagambe, Paolo Campigli, Virginia Mosti, Giulia Tognarelli). 10
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Tendenze
Taglieri stellati
È un’abitudine tutta italiana quella di riporre su un tagliere di legno salumi affettati, formaggio, qualche oliva da offrire agli amici con un buon calice di vino. Per un aperitivo o per ingannare il tempo prima di mettersi a tavola. I taglieri, se “arredati” con un pizzico di fantasia e creatività, posso diventare delle piccole opere d’arte. Un esempio? Questo dello chef inglese JAMIE OLIVER, grande estimatore della cucina italiana, che qui ci conferma quanto scriveva Fabio Volo in un suo libro: “nella semplicità si nasconde il divino”.
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Il food in rete
Social di Elena
2. Ristorazione su ruote: saperne di più
1. Doniamo il pane con un’app! È in arrivo una nuova app per smartphone e tablet contro lo spreco alimentare che incentiva l’incontro tra offerta di pane e bisogno. Si chiama BREADING ed è stata ideata da nove giovanissimi ragazzi. Il funzionamento è semplice: i panificatori segnalano sull’app l’eccesso di pane fresco prodotto e le associazioni più vicine grazie alla geolocalizzazione ricevono una notifica. Dopodiché possono passare a prendere il pane per distribuirlo alle persone bisognose.
Nuova frontiera del business della ristorazione mobile, il FOOD TRUCK è una tendenza esplosa in tutto il mondo. Diverte, crea occupazione ed è terreno fertile per rendere accessibili tanti piatti della tradizione gastronomica italiana. Ma come districarsi tra le normative e le autorizzazioni? Per questo viene in aiuto il nuovo portale foodtruckitalia. it. Realizzato da un gruppo di appassionati, convinti sostenitori dello street food, il sito offre informazioni, idee e segnala eventi e corsi sulla ristorazione a quattro ruote (in foto, un bacon truck a Seattle; photo © bacontoday.com).
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food Benedetti
4. È on-line il nuovo sito web di Massimiliano Rella 3. Un progetto per informare sull’origine delle materie prime Segnatevi questo link: salumitrasparenti.it. A partire dall’autunno questo portale consentirà in modo semplice e veloce la possibilità di verificare i dati di molti prodotti preaffettati presenti in commercio, inserendone il codice EAN nel sistema. In questo modo, sarà possibile scoprire luogo di produzione e Paese d’origine della materia prima. Per accedere alla scheda descrittiva di un prodotto, basterà inserire il codice nel motore di ricerca del sito, oppure arrivare a quel prodotto partendo dall’azienda produttrice.
Si occupa di viaggi, design, food & wine e lifestyle e da anni collabora con PREMIATA SALUMERIA ITALIANA. Dal 2012 MASSIMILIANO RELLA firma infatti le nostre copertine. Giornalista e fotografo, oggi Max è on-line con un nuovo sito accessibile al link maxrella.com che presenta le sue foto più belle. Volete accompagnarlo in qualche viaggio? Nella sezione “Travel with Max” trovate tutte le info.
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In ricordo di Stefano Bonilli: ci ha lasciato un grande innovatore della cultura enogastronomica È morto a Roma lo scorso 3 agosto, all’età di 67 anni, Stefano Bonilli, guru del giornalismo enogastronomico italiano. Ex giornalista de IL MANIFESTO, nel 1986 fondò il GAMBERO ROSSO, nato prima come supplemento di otto pagine del quotidiano poi come pubblicazione indipendente. Bonilli ha diretto il Gambero Rosso per 22 anni, fino al 2008, creando la TV e la Città del Gusto. È sempre lui, negli stessi anni, insieme con Carlo Petrini, a partecipare alla fondazione del movimento Slow Food, in una collaborazione che per tanti anni ha poi portato a cofirmare la GUIDA DEI VINI D’ITALIA, sotto la direzione di Daniele Cernilli. Dopo il 2008 Bonilli ha espresso sui social network le sue idee visionarie sul mondo dell’enogastronomia con lo sviluppo del suo blog PAPERO GIALLO e poi con la nascita del magazine digitale GAZZETTA GASTRONOMICA. Scopritore di talenti, fucina di idee e di innovazioni, stava scrivendo un nuovo libro sulla storia della cucina italiana del dopoguerra. Su Twitter, dove spesso ha lanciato i temi di dibattito con maggior seguito settimanale, aveva di recente ironizzato sul proprio stato di salute: “È la legge di #Murphy, non c’è nulla da fare, ti ammali il 2 agosto quando il tuo medico è in vacanza”. Il suo ultimo post è un omaggio poetico a Roma, la città dove aveva scelto di sviluppare cultura enogastronomica, con un testo in versi: “deserto e sole, città di Roma, la festa di Pietro, il mare è lontano, naufrago a casa, letture nell’ombra, ti parlo via Twitter, risponde un’eco” (fonte © Ansa; photo © Maurizio Camagna).
2. Il blog Papero Giallo (attivo su blog.paperogiallo.net), aperto nel 2004, è da subito punto di riferimento per chef e appassionati di cultura enogastronomica.
1. Nel febbraio 1992 il Gambero Rosso diventa una rivista. Questa è la copertina del primo numero.
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3. La rivista digitale Gazzetta Gastronomica viene fondata nel 2011. Accessibile al link www.gazzettagastronomica.it, alla sua realizzazione collaborano attivamente una ventina di giornalisti specializzati nel food & wine, tra i quali anche Elisia Menduni.
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Comunichiamo
Dalla Russia con amore di Chiara Russotto
M
entre stavo scrivendo (e riscrivendo) l’incipit di questo articolo, ho ricevuto sul mio profilo personale Facebook una richiesta di amicizia da una ragazza russa. Ho poi scoperto essere un contatto di Elena Benedetti e quindi, dopo uno scambio di SMS con il Boss, ho contattato Svetlana aggiungendola come amica. Svetlana amministra e gestisce tutta la parte marketing di Italy Augmented, un suo progetto
volto alla promozione delle eccellenze italiane (enogastronomiche e turistiche) verso un target ben preciso: i turisti russi che hanno soggiornato, soggiornano e soggiorneranno in Italia. Un progetto molto interessante, che abbina alla strategia marketing la forza comunicativa di Facebook — per attirare e coinvolgere gli utenti interessati all’Italia — all’utilità di una applicazione multilingua, Italy Augmented appunto (gratuita per IOS
e Android), per trovare i rivenditori più vicini, comprare con un clic i prodotti attraverso l’e-commerce in App e molto altro. Svetlana è abbonata alle riviste pubblicate da questa casa editrice e, leggendo la mia rubrica, ha deciso di contattarmi per mostrarmi i risultati di un post fotografico (Immagine 1) incentrato su una ricetta della Macelleria Papotti di Fossoli di Carpi e per chiedermi di spiegarvi ancora una volta quante occasioni si perdano
Chiara Russotto ha 37 anni, è consulente di comunicazione e titolare insieme a Federico Roveda di Smarti Editrice. Si occupa prevalentemente di food, adora i suoi clienti, cede al cibo per amore, lotta con la dieta, ride, ha due cani ed una passione per i libri che trattano argomenti dei quali, lei, non capisce assolutamente nulla.
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comunicando con profili Facebook privati piuttosto che con pagine Facebook aziendali. Guardate bene l’Immagine 1: guardate tutti i numerini a destra dell’immagine — l’insight del post — e ragionate sulla marea di opportunità che danno le pagine. Questa immagine ha attirato l’attenzione di 3.890 persone. Riuscite a capire il potenziale di queste 3.890 persone? Vi propongo un esempio: navigando sul web vedete qualcosa che vi piace molto, approfondite (perché tutte le informazioni sono a vostra disposizione) e, oltre a scoprire come è stato prodotto quel determinato bene, cominciate a conoscere anche le persone che l’hanno prodotto. La curiosità, accesa da quella singola informazione reperita su web, renderà memorabile quel prodotto e vi spingerà a cercare l’opportunità di testarlo o, molto più semplicemente, al banco del supermercato, tra 100 marche diverse, vi spingerà automaticamente a selezionare ciò che vi aveva incuriosito. Un esempio da cui prendere… esempio: la Macelleria Papotti su Facebook Entriamo nello specifico e studiamo insieme la comunicazione della Macelleria Papotti (con la quale mi scuso da subito per averla presa come esempio per la stesura di questo articolo, ma voglio che voi impariate ad utilizzare con proprietà un mezzo, il social network, in grado di farvi entrare nelle case di tutti). Facciamo una ricerca generica per Macelleria Papotti (Immagine 2): la prima informazione che reperisco è che questa macelleria è a conduzione familiare. Così, per approfondire la loro conoscenza, clicco sul Gruppo Facebook Macelleria Papotti (Immagine 3) che trovo… CHIUSO. Non c’è niente da fare, ho sentito parlare di loro ma non riesco a capire come lavorano. Immaginate che io sia un cliente qualunque (e non un competitor o un comunicatore, con interesse ad approfondire questa attività): alla
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Immagine 1.
Immagine 2.
Immagine 3.
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prima porta chiusa — il Gruppo Facebook — abbandonerò la ricerca e mi concentrerò su qualche altra macelleria della mia città che non mi costringa ad una azione più impegnativa di un Like su una pagina. Perché io, consumatore medio, devo fare parte di un gruppo ristretto per acquistare in macelleria? Continuiamo ad approfondire: clicco sul profilo privato di Roberto Papotti (Immagine 4), il titolare della macelleria e sorrido! Guardo la foto grande sopra l’immagine del suo profilo (timeline) e capisco che è una persona che si impegna a fondo per le cose in cui crede: Roberto ha messo in evidenza la foto di gruppo dell’evento Butchers For Children – Insieme per Ricostruire tenutosi a Carpi il 1° settembre 2013 scorso. Il profilo è aperto, posso cioè vedere gli aggiornamenti di stato e le foto pubblicate, senza però poterle commentare. Va bene, Facebook mi dà la possibilità di condividere comunque le foto di Roberto Papotti. Ma, secondo voi, non conoscendo il titolare e non essendo sua “amica”, mi sentirò libera di condividere la sua fotografia per farla vedere ai miei amici? No. Continuo a osservare. Il profilo Facebook del titolare è perfetto, fatto bene, belle immagini, tono di post giusto e capisco che Roberto è a suo agio con questo social network, si diverte nel comunicare ed è una persona di spirito. E quindi… che cosa non va? Nulla, Roberto è bravissimo, deve soltanto continuare a fare quello che fa nel suo profilo privato in una pagina pubblica Facebook chiamata Macelleria Papotti. Dovete imparare a lasciare scorrere le informazioni utilizzando il web come anni fa si utilizzava il Po: la più grande via fluviale per tessere i propri rapporti commerciali! E dovete semplificare la vita delle persone che vorrebbero seguire la vostra attività,
Immagine 4.
Immagine 5. facendogli fare solo un Like sulla vostra pagina! In più, con una pagina “FB” potete promuovere a costi non eccessivi la vostra azienda. Guardate quanti Like ha Italy Augmented (Immagine 5). Per Svetlana — bravissima comunicatrice — è importantissimo avere un numero enorme di interlocutori interessati, perché in questo modo avrà la certezza di raggiungere una
percentuale di prospect sempre più alta, assicurandosi la promozione delle attività coinvolte nel progetto. Ma come può Svetlana aumentare i Like sulla sua pagina? In tre modi: 1. mantenendo alta la qualità dei contenuti pubblicati e coinvolgendo così le persone all’interazione con i post; 2. attraverso questo meccanismo di condivisione, coinvolgere gli ami-
Domandateci, chiedeteci, contattateci: ogni mese, attraverso questa rubrica, risponderemo alle mail che ci sembreranno più utili ad approfondire gli argomenti trattati. Vi preghiamo di darci più informazioni possibili, così da rendere i nostri consigli efficaci o nel caso siate interessati ad argomenti specifici, di comunicarcelo a info@pubblicitaitalia.com
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ci dei fan della pagina. Ogni nostro Like viene visto dai nostri amici FB, e questo ci spinge a conoscere quello che loro apprezzano; 3. pubblicizzando la pagina e promuovendo i Like. Pagine Facebook dà infatti la possibilità di promuovere le attività (ma anche i post) attraverso campagne pubblicitarie estremamente efficaci, in grado cioè di raggiungere il pubblico più interessato all’argomento trattato dalla vostra pagina. Negli ultimi mesi mi sono chiesta tantissime volte se avesse un senso proseguire con questa rubrica. Il nostro obiettivo, quando iniziammo, era quello di aiutarvi a risparmiare soldi, insegnandovi ad utilizzare da soli, e in maniera efficace, le nuove risorse del web. Questa rubrica vi era utile? Rispondeva bene a quella che, secondo noi, era una necessità? Ecco, dopo il contatto di Svetlana, la risposta è: forse sì. Chiara Russotto N.B. PREMIATA SALUMERIA ITALIANA ed io non abbiamo percepito nessuna forma di compenso per l’articolo che avete letto. Il nostro obiettivo è quello di darvi la possibilità di osservare il panorama economico con occhi diversi, darvi cioè gli spunti per crescere oltre ciò che avete sempre immaginato. In Italia il mercato è fermo, ma i nostri prodotti — per quanto piccole le vostre aziende possano essere — rappresentano per il mercato estero, la qualità più alta e buona che si possa desiderare in tavola. E, cari lettori, ve lo scriverò fino a che non avrò consumato la pelle dei polpastrelli: è ora di scrollarsi di dosso ogni remora e diffidenza nei confronti dei nuovi media (web, social e applicazioni) per vendere percorrendo strade… molto più entusiasmanti! Per chi di voi avesse perso gli articoli in cui spiegavamo come creare una pagina Facebook aziendale, potrete recuperare tutte le informazioni visitando il sito di Edizioni Pubblicità Italia agli indirizzi: • http://goo.gl/eYOYRo • http://goo.gl/wRu4Ln • http://goo.gl/Z6vOd6
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(ora Visentin)
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Attualità
Eppure nonna lo faceva così Il dibattito su ciò che è davvero tradizionale e ciò che non lo è non si placa mai. La lotta fratricida tra integralisti ed innovatori, pur stimolante da un certo punto di vista, non giova però né alle imprese né al mercato di Sebastiano Corona
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onostante i vari problemi che di tanto in tanto lo attanagliano, l’agroalimentare resta uno dei pochi comparti che ancora mostra indici economici rassicuranti. Al pari della moda, dell’artigianato di qualità e dell’arte, è tra le poche cose che ci rende orgogliosamente famosi nel mondo. Eppure sempre più spesso i tentativi di delegittimazione delle nostre produzioni non giungono da Ol-
tralpe. Anzi, in una dialettica accesissima che talvolta assume i connotati di una vera e propria guerra, il fuoco che colpisce, non è fuoco nemico. Sarà che con il tempo siamo diventati particolarmente esigenti. Sarà che, a voler essere pignoli, è facile trovare margini di miglioramento ovunque, ma la critica, ormai all’ordine del giorno, nasce soprattutto tra quelle che si potrebbero definire “mura domestiche”.
Uno degli ultimi esempi è portato da Carlo Petrini, giornalista e gastronomo di fama internazionale, fondatore, tra le altre cose di Slow Food, che nel luglio scorso, sul quotidiano LA REPUBBLICA, ha messo in dubbio l’attendibilità di strumenti come le DOP e le IGP. Il Petrini-pensiero è noto ed è spesso condivisibile, soprattutto quando chiede che ciò che mangiamo sia prima di tutto buono, pulito e giusto. Come non essere
Salame di Varzi Dop (photo © www.cucinadibarbara.com).
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Formaggio di Fossa Dop (photo © www.gola.it). d’accordo sulla necessità di costruire un nuovo concetto di qualità che racchiuda in sé la bontà e il gusto, ma anche l’attenzione per l’ambiente e il diritto di ogni uomo di nutrirsi? L’esigenza di riportare l’alimentare a modalità produttive che tengano conto di questi principi è certamente cosa corretta. Tuttavia, pensare che ciò che non corrisponde a determinati canoni, non abbia diritto di stare sul mercato, appare cosa quanto meno discutibile. È necessaria maggior trasparenza nella comunicazione, non certo maggior confusione Il concetto della “DOP facile” per esempio, soprattutto quando è richiamato da una voce autorevole come quella di Petrini, rischia di confondere le idee di chi non è avvezzo alla materia. Non ci sono infatti DOP di serie A e DOP di serie B. Non ci sono DOP facili da acquisire e bollini che non significano qualità. Il percorso per l’ottenimento di una denominazione europea è nella stragrande maggioranza dei casi lungo
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e travagliato. La media di un procedimento che non subisca particolari intoppi, considerati i tempi necessari per costituire le associazioni tra produttori, fare sintesi e definire un disciplinare, è di diversi anni. Ma altrettanti ne occorrono per vedere la propria richiesta superare le forche caudine di Regione e Ministero prima e di Unione Europea poi. Considerato che nel complesso l’iter burocratico impegna i richiedenti per almeno 7 o 8 anni, far credere che ottenere una DOP sia cosa scontata, non è fare una buona opera di informazione. Ma appare azzardato anche il confronto tra DOP e IGP, come se tra le due non ci fosse una gran differenza. Oltre alla normativa di riferimento, ciò che accomuna i cibi con il bollino, è il fatto che siano diventati sinonimo di qualità, sempre. Il concetto non ha un significato univoco, ma se per qualità si intende un prodotto che risponde a standard specifici e predeterminati e che questi standard siano frutto di una storia e di un legame con il territorio di provenienza, oltre ad essere certificati da un organismo
accreditato, beh allora nessuno può affermare che le DOP e le IGP non siano sempre riferibili a prodotti di qualità. La normativa che vi sovrintende è molto stringente e quindi, al contrario di quanto possa apparire, quando vengono superati una serie di ostacoli, prima in sede regionale e ministeriale e poi a Bruxelles, certamente e senza ombra di dubbio quel prodotto si può definire rispettoso di rigide prescrizioni. Prescrizioni che, sia chiaro, nascono a tutela del consumatore e non del produttore, al contrario di quanto si sia portati a credere. Se nella Dop non è possibile alcun discostamento da ciò che si produce in loco, nella IGP questo aspetto è meno rilevante. Non a caso uno o più processi produttivi, in un disciplinare di IGP, possono aver luogo fuori dall’areale. Questo è scritto nella norma e questo si deve considerare cosa lecita ed ammissibile. Far credere che invece richiedere una IGP sia solo un modo per evitare di utilizzare materie prime locali o per operare con processi produttivi più moderni e quindi meno nobili, non è corretto.
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Valle d’Aosta Jambon de Bosses Dop, qualche informazione Il Jambon de Bosses è un prosciutto crudo ottenuto dalla coscia fresca di suini adulti provenienti da allevamenti situati nel territorio delle regioni Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. I suini nati, allevati e macellati nelle suddette regioni sono conformi alle prescrizioni già stabilite a livello nazionale per la materia prima dei prosciutti a denominazione di origine di Parma e San Daniele. Gli allevamenti devono infatti attenersi alle citate prescrizioni per quanto concerne razze, alimentazione e metodologia di allevamento. I suini debbono essere di peso non inferiore a kg 160, più o meno 10%, di età non inferiore ai nove mesi, aventi le caratteristiche proprie del suino pesante italiano definite ai sensi del Reg. CEE n. 3220/84 concernente la classificazione commerciale delle carcasse suine. Il macellatore è responsabile della corrispondenza qualitativa e di origine dei tagli. Il certificato del macello, che accompagna ciascuna partita di materia prima e ne attesta la provenienza e la tipologia, deve essere conservato dal produttore. La zona di elaborazione del prosciutto comprende l’intero territorio del Comune di Saint Rhemy-en-Bosses ad una altezza di circa 1.600 m slm. Il regime climatico dell’area di elaborazione è determinante nella dinamica del ciclo produttivo che è strettamente collegato con l’andamento meteorologico caratteristico ed alle particolari condizioni ambientali. Dopo la macellazione le cosce sono isolate dalla carcassa, rifilate dal grasso e dall’eccesso di cotenna e dopo almeno 24 ore e non oltre i quattro giorni subiscono il trattamento della salatura. La salatura deve avvenire in ambienti freddi, essere eseguita a secco e deve prolungarsi per un periodo di 15-18 giorni. Durante tale periodo la coscia è frazionata almeno due volte nella direzione dal gambo verso la testa del femore, onde favorire la fuoriuscita di eventuali residui di sangue e di serio. È assolutamente vietato usare nella miscela ogni tipo di colorante e conservante artificiale ivi compreso il salnitro. A salagione ultimata il prodotto deve essere previamente lavato, accuratamente asciugato e appeso per la stagionatura in ambiente oscuro, fresco e ben ventilato. La stagionatura è condotta in appositi locali dove i prosciutti sono tenuti al buio, a temperatura ed umidità adeguate, assicurando un sufficiente ricambio dell’aria in relazione all’andamento climatico locale. Ad essiccamento iniziato la testa del femore e le superfici muscolari esposte sono abbondantemente ricoperte di pepe puro macinato grossolanamente, al fine di evitare l’ossidazione delle parti esposte. La fase di stagionatura deve durare un periodo non inferiore ai 12 mesi. >> Link: www.politicheagricole.it
Taglio a mano del Jambon de Bosses.
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Il Lardo di Colonnata è una Igp italiana conosciuta in tutto il mondo e oggi in fase di riscoperta. Il segreto della sua prelibatezza sta soprattutto nel metodo di stagionatura (photo © www.badiaamontemuro.it). Non si può lasciar intendere che la IGP sia una sorta di lecito inganno al consumatore. Tra l’altro, la scelta di una IGP in luogo di una DOP può essere dettata dai fattori e dalle motivazioni più disparate e non sempre riconducibili al produttore finale. A maggior ragione non si può credere che tutto ciò che è IGP sia sofisticato e quindi meno degno di tutela. C’è inoltre da aggiungere che nei prodotti complessi come quelli trasformati, che si possono considerare alimenti ma non prodotti agricoli tout court, la tendenza è quella di riconoscere l’IGP e non la DOP perché blindare un nome, senza avere la garanzia più completa di poter produrre in maniera costante, è rischioso sia per i produttori, sia per il mercato. Troppo spesso si omette di sottolineare che chi produce DOP e IGP è sottoposto a rigidi controlli di organismi accreditati. Non fosse sufficiente, queste imprese, già vigilate, rischiano pesantissime sanzioni da parte di organismi diversi, laddove le norme di riferimento o il disciplinare di produzione approvato venisse violato anche in forma leggera. Ciò che appare però eccessivamente autoreferenziale è il riferimento esplicito ai presidi Slow Food, che, a detta del Carlin, sarebbero di maggior tutela rispetto ai procedimenti codificati dall’Unione Europea.
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Petrini intende forse sostenere che l’intervento di un privato (questo è di fatto Slow Food) è meglio di un sistema basato su regolamenti comunitari recepiti dallo Stato ed applicati dai produttori prima e dalle Regioni e dal Ministero poi? Possiamo davvero pensare che chi opera nell’ambito dei Presidi — pur con tutta la stima e il rispetto dovuto a chi si impegna in un così importante compito — possa fare di più e meglio di organismi di certificazione accreditati che vigilano secondo standard internazionali? E che questi soggetti siano altresì più scrupolosi ed autorevoli nelle verifiche di organi come la ICQRF, i NAS, le ASL, la Forestale e chi più ne ha più ne metta? Il beneficio del dubbio ci deve essere riconosciuto. È bene altresì chiarire che “denominazione europea” non deve necessariamente significare “prodotto a mano”, in quantità modeste, con tempi biblici di lavorazione e magari proposto alla vendita sfuso perché la confezione — si sa — è fonte di inquinamento e di danno ambientale. Pensare, sostenere e lasciar intendere
che le denominazioni, se correttamente riconosciute, debbano essere precluse al mondo dell’industria alimentare è utopistico, ma soprattutto insensato. Se le DOP e le IGP fossero riconosciute solo al piccolo agricoltore o all’artigiano che lavora a mano, potrebbero chiudere i battenti le imprese che più di tutte hanno contribuito, negli ultimi decenni, a preservare prodotti, ricavarne reddito per interi territori, dare lavoro a centinaia di migliaia di persone e generare un indotto come pochi altri comparti in Italia. Se la pasta si facesse ancora con il mattarello — come alcuni integralisti della materia vorrebbero — ne avremmo perso la tradizione produttiva già 60 anni fa. Certi prodotti tradizionali sono sopravvissuti sino ad oggi proprio perché ne sono cambiate le modalità di lavorazione e gli strumenti impiegati per realizzarle. Se così non fosse stato, visti i tempi di lavoro, l’impegno fisico richiesto e una serie di altri elementi, quei prodotti non verrebbero più realizzati da nessuno. Che dire poi delle questioni igieniche e sanitarie? Se certe imprese provassero oggi a realizzare dei prodotti come accadeva un secolo fa, verrebbero chiuse dopo qualche ora dai NAS o dalla ASL. Possiamo forse dire che il Parmigiano Reggiano DOP, solo perché prodotto da grandi imprese e con strumenti tecnologicamente all’avanguardia, non abbia legami con il territorio? O che non sia espressione della storia gastronomica del nostro Paese? Pare proprio di no, anzi. Il segreto per preservare dall’estinzione certe specialità gastronomiche locali, è stato proprio quello di utilizzare modalità nuove di produzione. In questo ragionamento non è secondario nemmeno l’aspetto prettamente economico. Le imprese che infatti non si adeguano a certi criteri di lavoro, che non optano per soluzioni che riducano i costi e che non
“Far credere che ottenere una DOP sia cosa scontata non è fare una buona opera di informazione, ma appare azzardato anche il confronto tra DOP e IGP, come se tra le due non ci fosse una gran differenza” Premiata Salumeria Italiana, 5/14
rendano più economici i processi, non si reggono in piedi e sono destinate al fallimento. E con la loro chiusura non potrebbe che giungere, prima o dopo, la scomparsa del cibo che realizzano. Piaccia o non piaccia, qualunque prodotto, per avere un futuro, deve essere pagato più di quanto è costato al produttore realizzarlo. Ma se il prezzo di vendita è improponibile, il prodotto scompare dal mercato perché, seppur i consumatori sono diventati più esigenti, è pur vero che in pochi sono disposti a spendere cifre esagerate per un prodotto alimentare, seppur eccezionale. Prodotti locali, materia prima locale? In merito invece alla discutibile tesi secondo cui i prodotti nazionali, per essere considerati davvero tali, debbano essere realizzati unicamente con materia prima locale, sarebbero necessari dei distinguo. Questa linea ha un suo perché dal punto di vista economico poiché, se applicata, contribuisce attivamente al sostegno dell’agricoltura e a ridurre i costi ambientali per mancata o scarsa movimentazione delle merci. Ma in troppi dimenticano che il talento degli Italiani nell’agroalimentare non è da ricondurre tanto alle produzioni primarie quanto alla capacità — forse unica al mondo — di trasformarle. Anzi, a dirla tutta, per una serie di produzioni vegetali ed animali, non siamo in grado di garantire sufficienti volumi da soddisfare il fabbisogno interno e dei mercati che serviamo. Pertanto, se ci precludessimo completamente la strada dell’importazione delle materie prime, saremmo costretti a non lavorare più il prodotto finito. Quale sarebbe in questi casi la scelta giusta da fare? Smettere di produrre per non voler impiegare materia
Dop e Igp: che cosa c’è da sapere Prodotti a Denominazione d’Origine Protetta (Dop) Riconoscimento assegnato ai prodotti agricoli ed alimentari le cui fasi del processo produttivo vengono realizzate in un’area geografica delimitata ed il cui processo produttivo risulta essere conforme ad un disciplinare di produzione. Queste caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico, comprensivo dei fattori naturali ed umani. Prodotti a Indicazione Geografica Protetta (Igp) Il termine “Igp” è relativo al nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e di cui una determinata qualità, la reputazione o un’altra caratteristica possa essere attribuita all’origine geografica e la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengano nell’area geografica determinata.
prima estera? Dovremmo rinunciare davvero a fare la cosa per la quale siamo più famosi al mondo? E pur producendo, per esempio, degli spaghetti che non hanno uguali sul pianeta, potremmo davvero sostenere che quella pasta non sia italiana solo perché è realizzata con semole canadesi? Ma allora che senso avrebbe vantare secoli di storia a Gragnano, piuttosto che a Campofilone, se poi noi stessi non crediamo che quella nostra straordinaria capacità di lavorare le semole per farne gioielli gastronomici sia la cosa più importante che abbiamo? Nel caso della Bresaola della Valtellina IGP, per fare un altro esempio, ciò che è rilevante non è tanto la provenienza della carne, quanto il modo in cui questa venga lavorata e poi stagionata. Se venisse realizzata da altre parti e con altre modalità non potrebbe più vantare le caratteristiche per le quali i consumatori la scelgono.
“Certi prodotti tradizionali sono sopravvissuti sino ad oggi proprio perché ne sono cambiate le modalità di lavorazione e gli strumenti impiegati per realizzarli. Se così non fosse stato, visti i tempi di lavoro, l’impegno fisico richiesto e una serie di altri elementi, quei prodotti non verrebbero più realizzati da nessuno” 28
Sono quindi quelle peculiarità che la rendono speciale ed appetibile. E poiché si tratta di una IGP, e non di una DOP, la pretesa che la materia prima impiegata sia lombarda è eccessiva. D’altro canto, appare ingeneroso sostenere che quel prodotto, grazie al quale vive un ampio tessuto imprenditoriale, non sia degno di tutela. Nostalgie del passato, crisi economiche moderne Gli integralisti del cibo locale sostengono che nel mare magnum delle denominazioni i piccoli soccombano di fronte alle grandi industrie e che dentro un disciplinare di DOP o IGP si confonda il prodotto fatto con “tutti i crismi” con quello realizzato secondo criteri più elastici. Se questo fatto da un lato è condivisibile, è pur vero che il produttore ha più di un modo per evidenziare caratteristiche proprie e migliorative del prodotto pur rimanendo nel perimetro della denominazione. Verrebbe altresì da dire che di fronte a due prodotti ugualmente marchiati, ma realizzati da imprese diverse, chi determina il successo di uno o dell’altro è unicamente il mercato. E il mercato non può essere tacciato per il suo orientamento. Semmai l’elemento che non deve mancare è quello della corretta e soddisfacente informazione al pubblico. Ma questo
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non è certo il caso dei prodotti a denominazione che non possono avere segreti. Poiché i cibi con il prestigioso bollino sono più di 260, sparare a zero contro il sistema in generale, non giova davvero a nessuno. Inoltre, considerare casi specifici come fossero la norma ed utilizzarli per giudicare l’intero sistema delle denominazioni è un metodo discutibile di affrontare l’argomento. Nel vasto mondo dei prodotti con il bollino si annoverano situazioni di ogni tipo, molte delle quali particolari che vanno valutate nella loro singolarità e non come fossero la regola. Non varrà forse secondo il Petrini, gastronomo e attivista, aumentare il numero delle DOP e delle IGP italiane, ma verrebbe da chiedergli se da cittadino, invece, ritenga che certi prodotti universalmente apprezzati, seppur discussi da alcuni gastronomi, possano continuare a trainare l’economia italiana senza timori. Oppure ci dobbiamo nostalgicamente legare ad un’idea di prodotto che fu, bandendo tutto ciò che è realizzato
Bresaola della Valtellina Igp. Nella sua produzione ciò che è rilevante non è tanto la provenienza della carne, quanto il modo in cui questa viene lavorata e poi stagionata. in modo diverso da come avrebbero fatto i nostri nonni? Forse non è il caso, soprattutto non adesso. Adesso il plauso va a chi consente di tenere in piedi questa
MOSCA FRANCESCO Via dell’Artigianato , 22 Loc. Ripa Montespertoli Firenze Italiana, 5/14 Premiata-Salumeria Tel./Fax 0571 670950 info@moscafrancesco.it - www.moscafrancesco.it
Italia allo sfacelo, mediando senza mentire, tra il fatto a mano e il fatto a macchina, il vecchio e il nuovo, il tradizionale e l’innovativo. Sebastiano Corona
LA PORCHETTA ARTIGIANALE TOSCANA DAL 1975 29
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Aziende
Saladini, l’arte del taglio made in Tuscany Materia prima e design, tradizione e innovazione. Sono gli ingredienti dell’arte della coltelleria Saladini. Perché il gusto di carne e salumi inizia dal taglio
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carperia, antico borgo medievale edificato dalla Repubblica Fiorentina nel 1306, può a pieno titolo definirsi il “paese dei coltelli”. Un paese che, fin dalla sua fondazione, ha costantemente manifestato la sua vocazione per la lavorazione dei “ferri taglienti” e che, proprio grazie a questa antica arte, è diventato famoso nel mondo. Le origini di questa tradizione risalgono al
XV secolo, quando vennero pubblicati gli Statuti per tutelare e strutturare già da allora il processo di lavorazione dei coltelli e il loro commercio. Le prime tracce di coltellinai Saladini risalgono invece alla metà del 1700, quando un censimento della popolazione, per conto della Pieve di Fagna a Scarperia, racconta che la famiglia Saladini produceva coltelli facendone menzione in quanto maestri coltellinai.
Da allora si sono succedute diverse generazioni, che hanno continuato a produrre manufatti secondo i dettami della tradizione e con la stessa passione di un tempo, dando vita ad una cultura artigiana che si esprime e manifesta nelle forme dei coltelli forgiati, nella scelta di materiali pregiati, nell’attenzione e cura dei particolari, ma anche nella continua innovazione e nella ricerca che
Il coltello per salumi Saladini.
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permettono all’azienda di evolversi guardando sempre più avanti, non rinunciando al vero valore aggiunto che è il grande lavoro manuale che in questa realtà continua a vivere. Gli insegnamenti tramandati, uniti al gusto per il design e alla sensibilità verso le moderne esigenze di mercato, hanno portato la Coltelleria Saladini ad arricchire la propria produzione con un’offerta completa ed accurata. Alla serie dei coltelli tradizionali si è aggiunta nel tempo una vasta gamma di coltelleria da tavola e da cucina e di accessori per la tavola, dalla posateria fino a cavatappi e tagliasigari. Una produzione completamente artigianale che ha sempre preposto la qualità dei materiali e la originalità dei prodotti. Ne parliamo con LEONARDO SALADINI, titolare e responsabile commerciale dell’azienda, insieme al socio GIACOMO CECCHI, che si occupa della produzione e del design. «Senza dubbio nessuno sa meglio di noi toscani quanto sia importante gustare al meglio una buona bistecca» ci racconta Leonardo. «Dal nostro amore per la carne è nato un coltello dal taglio netto e preciso, che non permette alla carne di sfibrarsi così da mantenere intatto il sapore. Il coltello da bistecca ha dunque una lama liscia e molto affilata per garantire un taglio perfetto, in acciaio inox “Nitro B” forgiato e i manici in corno di bue o bufalo o legno di olivo». Esiste poi una linea esclusiva della coltelleria Saladini, nata dalla creatività di Giacomo Cecchi e concepita appositamente per la carne. «Si tratta del coltello e della forchetta Spira. La forchetta, infatti, ha solo due rebbi, per consentire alla carne di mantenere il più possibile i succhi al suo interno in modo da risultare tenera e gustosa. Il coltello ha notevoli doti di taglio come tutte le lame Saladini, in modo da non sfibrare la carne e permettere di assaporarne appieno il gusto. Caratteristica principale di questa linea è un design moderno e semplice, il coltello e la forchetta nascono infatti da una lamiera di acciaio piegata a spirale (da qui il nome) in modo da dare ai manici una forma accattivante ed ergonomica, in
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In alto: coltello da bistecca Saladini. In basso: coltello e forchetta Spira. grado di unire praticità, modernità e tradizione». E per i salumi? «Il nostro coltello da salumi si può utilizzare per tutti gli insaccati, le sue caratteristiche principali consistono in una lama lunga per tenere meglio la fetta e rigida per ottenere precisione di spessore. Come gli altri coltelli da cucina di nostra produzione il coltello da salumi ha la lama in acciaio inox “AISI 420B” forgiato e il manico in materiali naturali come legno di olivo, corno di bue o corno di bufalo». Tutti i manici dei coltelli Saladini sono “pieni”, sono cioè ricavati da una parte intera di legno o corno, in questo modo, a differenza di ciò che accade
per la coltelleria a piastre rivettate, lo sporco e l’acqua non penetrano all’interno, garantendo una minore usura e quindi una maggiore durata nel tempo.
Coltelleria Saladini Via Solferino, 19/2 50038 Scarperia (FI) Telefono: 055 8431010 E-mail: info@coltelleriasaladini.it Web: www.coltelleriasaladini.it
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Modena Estense: idee, cose buone e molto cuore Una giovane azienda che punta tutto sul canale delle gastronomie e macellerie di fascia medio-alta, con una private label che ci riporta ai fasti della cucina rinascimentale e in un’ottica moderna di servizio al cliente di Elena Benedetti
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arlo Lucarelli scrive che l’Emilia “non è soltanto un luogo, un posto fisico in cui stare, ma soprattutto un modo di fare e di vedere le cose”. E in queste zone si fa tanto, per essere, per avere, per stare meglio. E spesso e volentieri si fa con gli altri, tutti
insieme. Anche a tavola, per condividere con amici e persone care un pasto che diventa liturgia di un piccolo momento di felicità. Prendiamo allora Modena, una terra con radici centenarie radicate in una tradizione gastronomica già presente quand’era Ducato degli
Estensi (1452-1796, mentre fu poi sotto gli Asburgo-Este fino al 1859, con la successiva annessione al Regno d’Italia, Ndr) e agganciamoci un’idea imprenditoriale. Quella di promuovere una selezione di prodotti di qualità, tra pasta, sughi, sottolii, condimenti, riso, dolci e biscotteria, tutti prodotti
Marcello Turini, amministratore delegato di Modena Estense con Francesca Pagliari, addetta al commerciale, Barbara Poli, alla comunicazione e promozione, ed Andrea Vittorio Lenzi, responsabile logistica.
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1) Olive e sottolii tra le offerte di Modena Estense. 2) Sughi e pesti sono prodotti da artigiani selezionati in tutta Italia. 3) I prodotti della strenna di Natale Francesco I. da artigiani italiani e offerti con il marchio Modena Estense 1598 alle gastronomie italiane ed europee di qualità. Il progetto è stato sviluppato da MARCELLO TURINI, una consolidata esperienza nel sales & marketing dell’agroalimentare e una profonda conoscenza del canale tradizionale, quello delle premiate salumerie — quei negozi al dettaglio posizionati ad un livello medio-alto — o quello delle gastromacellerie, attente ad offrire, insieme ai tagli di carne, magari anche una pasta e un sugo di qualità, una buona bottiglia di vino, biscotti ed altre golosità artigianali.
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Servizio e flessibilità L’azienda ha sede in un moderno edificio ben organizzato tra uffici, showroom e magazzino, ubicato alle porte di Formigine, centro ai limiti dell’area ceramica tra Modena e Maranello. Siamo a due passi dall’architettura barocca del Palazzo Ducale di Modena, un tempo residenza del duca Francesco I d’Este (che proprio nel 1598 spostò la sede del Ducato da Ferrara a Modena), e a pochi chilometri dal circuito di Fiorano, sede dei test di Formula 1 della Scuderia Ferrari. Qui si respira dinamismo imprenditoriale, voglia di innovare e piacere per il buon vivere. Tutto sempre e rigorosamente di corsa!
Mi dice Marcello dalla sede di via Cantalupo a Formigine: «Abbiamo due parole d’ordine: servizio e flessibilità. Consegniamo ovunque in Italia e all’estero, anche con consegne contenute in quantità. Entro 4/5 giorni la merce arriva al negoziante ed è pronta da esporre. A pensarci bene il nostro è quasi un e-commerce. A fronte dell’ordine, anche solo di 10-15 cartoni, parte subito la spedizione!» L’espositore di Modena Estense è un mobile vero, in legno nero, importante, e viene fornito al punto vendita a fronte di un piccolo contributo. Il design è curato e l’oggetto ben si inserisce all’interno degli spazi preposti alla vendita. Il personale si
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I panettoni e i pandori delle strenne natalizie sono confezionati in raffinati sacchi di raso e confezionati a mano da due cooperative sociali modenesi. muove veloce, con FRANCESCA PAGLIARI al commerciale ed ANDREA VITTORIO LENZI in logistica. La rete commerciale è in pieno sviluppo sia in Italia che all’estero. Difendiamo il margine del dettagliante! «Il lavoro di selezione sui prodotti è impegnativo, ma è anche la chiave strategica del business; ciò che conta è un rapporto qualità/prezzo medioalto. In questo modo, siamo in grado di offrire ai nostri clienti un prodotto facilmente rivendibile e, soprattutto, con un margine contributivo adeguato», puntualizza Turini. Ricorrenze, aumenta l’offerta A poco più di un anno dall’inizio dell’attività Modena Estense ha colto subito il trend in crescita dei prodotti legati alle ricorrenze. Natale e Pasqua catalizzano ordini da parte di salumerie e gastronomie, sempre alla ricerca di prodotti d’eccellenza
e curati nella confezione, senza dimenticare gli ordinativi da parte di grandi aziende, liberi professionisti o semplicemente di privati. BARBARA POLI si occupa principalmente della comunicazione e promozione di questo target di prodotti, a cui è dedicata una sezione del portale (modenaestense.it). Sono sette le strenne 2014 proposte dall’azienda modenese, per portare sulle tavole di Natale il meglio della tradizione gastronomica italiana. «Due in più rispetto allo scorso anno, con una selezione di prodotti, oggetto di tanto lavoro e ricerca, un packaging perfetto e raffinato, e tutte nominate con i nomi di duchi e duchesse Estensi», ci dice Barbara. I prezzi variano dai 18 ai 100 euro per questi piccoli grandi scrigni di bontà. Anche tutti i prodotti a base di carne sono di elevata qualità, dal prosciutto di Parma Dop, al Cotechino Modena Igp al Salame Levonetto amabile, solo per citarne alcuni.
Se volete curiosare tra un Maria Beatrice e un Barbara d’Este, sul web sono presenti in dettaglio foto e contenuti di ogni singola strenna, con indicazione delle misure della confezione e del peso totale. E se riprendiamo gli scritti di Lucarelli sugli emiliani, gente che si mette insieme per farsi sentire, per fare le cose “con un cuore che batte come un motore a quattro tempi, con una testa che sogna cose, fantastiche, ma con le mani che poi ci arrivano, a farle, quelle cose” scopriamo che tutte le strenne sono confezionate dai ragazzi di due cooperative modenesi, la Cooperativa Sociale Gulliver di Modena, e la Coop. Monte Tabor di Formigine, che si occupano di disabilità, integrazione sociale ed assistenza alla terza età. Sono loro a confezionare con rasi, nastri e fiocchi i panettoni e le scatole eleganti che andranno in dono il prossimo Natale. Ecco un bell’esempio di piccola rete d’impresa: produttori d’eccellenze agroalimentari del Belpaese, imprenditori con la conoscenza pluriennale del mercato della distribuzione tradizionale, un legame forte con la bella salumeria o macelleria, a cui resta un buon margine sul prodotto e una commessa di lavoro per ragazzi con alle spalle qualche fragilità che oggi possono rientrare nel mondo del lavoro. Il tutto all’insegna di quella qualità della vita che contraddistingue, ancora una volta, il cuore dell’Emilia. Elena Benedetti Modena Estense 1598 Srl Via Cantalupo 35/a 41043 Formigine (Modena) E-mail: info@modenaestense.it Natale@modenaestense.it Web: www.modenaestense.it
Perché Estense? Modena è legata agli Estensi da un passato di sfarzi, che si esprimevano anche attraverso le ricche tavole imbandite. Il Ducato di Modena e Reggio, con capitale a Modena, fu uno Stato che visse dal 1452 al 1796 e dal 1815 al 1859, prima sotto il dominio della famiglia degli Este e poi degli Asburgo-Este. Per un lungo periodo la Corte Estense fu riconosciuta in tutta Europa per il livello qualitativo dei suoi banchetti, la cui fama si diffuse anche presso altre corti europee. Nel Seicento alla Corte Estense la cucina Italiana conobbe il suo Rinascimento con quel Cristoforo di Messisbugo, cuoco ducale, grande maestro dell’arte e del cerimoniale della tavola signorile.
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HPP Italia, la tecnologia al servizio dell’industria dei salumi Soddisfare le esigenze dei consumatori, garantirsi una maggiore brand protection, ampliare gli orizzonti di business all’estero: sono le sfide che il trattamento degli alimenti con le alte pressioni, offerto da HPP Italia, può far vincere all’industria dei salumi
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er risultare competitiva, l’industria italiana dei salumi deve vincere tre differenti sfide: soddisfare le esigenze di consumatori attenti alla qualità di ciò che mangiano, garantirsi una maggiore brand protection e aprirsi nuovi orizzonti di business. Un aiuto importante viene da HPP Italia (www. hppitalia.it), azienda della food valley parmense e prima realtà imprenditoriale del nostro Paese ad offrire, in modo specialistico e dedicato, il servizio per conto terzi di trattamento degli alimenti con le alte pressioni. Questa tecnologia può essere applicata con successo ai salumi stagionati, così come ad una gran varietà di altri alimenti sia solidi che liquidi.
HPP Italia, una start-up dal solido background imprenditoriale HPP Italia nasce dall’esperienza cinquantennale di Terre Ducali (www. terreducali.it), una delle realtà più dinamiche nel panorama italiano del settore salumiero. A spiegarci la genesi del progetto ci pensa il CEO GIULIO GHERRI. «HPP Italia è uno spinoff aziendale che risponde all’esigenza specifica di Terre Ducali di trovare un sistema di pastorizzazione a freddo e di sterilizzazione adatto al Prosciutto di Parma DOP come per altri salumi a più breve stagionatura (dai salami agli altri stagionati tipici italiani). Il tutto per garantirci nuove opportunità di business legate all’internazionalizzazione. Ora abbiamo deciso di
mettere il nostro expertise al servizio di altri imprenditori del mondo food & beverage, con un focus specifico sui salumi». Tecnologia esclusiva a stelle e strisce A garantire la qualità del servizio offerto da HPP Italia c’è la partnership tecnologica esclusiva con la statunitense Avure Technologies, leader globale nella tecnologia delle alte pressioni, con oltre 1.700 sistemi installati in tutto il mondo in 50 anni.
Il metodo HPP può aprire nuovi orizzonti di business all’industria degli alimenti, anche perché comporta un’estensione significativa della shelf-life, destinata a raddoppiare.
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Grazie alla profonda conoscenza delle normative del mercato americano propria di Avure Technologies, HPP Italia è in grado di offrire un servizio specializzato ai clienti interessati ad esportare Oltreoceano. Freschezza e naturalità assicurate Uno dei plus che HPP Italia assicura all’industria italiana dei salumi è quello di soddisfare le esigenze del consumatore in termini di freschezza e naturalità del prodotto. A spiegarlo è il prof. GIANNI GALAVERNA del Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università degli Studi di Parma. «Le alte pressioni idrostatiche appartengono alla categoria dei processi atermici di conservazione degli alimenti. Si può quindi affermare che i cambiamenti sia dal punto di vista qualitativo e organolettico sia sotto il profilo nutrizionale siano nulli». Sicurezza alimentare al top Il secondo beneficio dell’applicazione industriale del trattamento offerto da HPP Italia interessa la brand reputation dell’industria italiana dei salumi: le alte pressioni, infatti, favoriscono l’eliminazione di forme microbiche pericolose per la salute umana e frenano la proliferazione di microflore alteranti. Il consumatore, pertanto, risulta più tutelato sotto il profilo della sicurezza alimentare.
Lo staff di HPP Italia. Listeria monocytogens addio Da questo punto di vista, tra gli studi più interessanti si può citare quello del dott. GIUSEPPE MERIALDI di IZSLER, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna, condotto sui salumi italiani destinati all’esportazione negli USA. L’applicazione delle alte pressioni determina un abbattimento della contaminazione da Listeria monocytogens, un batterio molto resistente alle condizioni ambientali, responsabile di una patologia pericolosa per le donne incinte, per gli anziani e per le persone con sistema immunitario compromesso. Così, il servizio di trattamento ad alte pressioni offerto da HPP Italia è lo strumento ideale per risolvere il
problema dei rigidi vincoli sanitari imposti da alcuni Paesi sull’esportazione di prodotti alimentari. Shelf-life? Raddoppiata Oltre che per il suo effetto sanificante sugli alimenti, il metodo HPP può aprire nuovi orizzonti di business all’industria dei salumi, anche perché comporta un’estensione significativa della shelf-life, destinata a raddoppiare. Il motivo è semplice. La durata di un prodotto alimentare è strettamente correlata al numero dei batteri in esso presenti e alla loro crescita: le alte pressioni stabilizzano microbiologicamente i cibi, inattivando microbi e batteri. >> Link: www.hppitalia.it
La qualità del servizio offerto da HPP Italia è garantita dalla partnership esclusiva con Avure Technologies, leader globale nella tecnologia delle alte pressioni, con oltre 1.700 sistemi installati in tutto il mondo in cinquant’anni.
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Prosciutto di Parma Dop 24 mesi Monpiù: la tradizione, il territorio, la cura Nei due stabilimenti di Costa di Castrignano e di Neviano degli Arduini, il Salumificio Monpiù, del gruppo Valtidone Holding Spa, produce i salumi tradizionali del territorio parmense, tra i quali spicca il crudo di Parma Dop stagionato 24 mesi. Una gemma di rara bontà di Gaia Borghi
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anghirano è una delle cittadine della provincia parmense tradizionalmente e storicamente vocate alla produzione di prosciutto di Parma Dop, quella food valley dove l’aria è profumata e la brezza del mare supera la barriera degli Appennini più facilmente. Proprio da questa cittadina ha preso il via lo scorso 5 settembre il Festival del Prosciutto di Parma, ovvero la rassegna che, giunta quest’anno alla sua diciassettesima edizione, celebra con appuntamenti di ogni genere, di carattere gastronomico e non, la dolcezza e la bontà di questo salume, tra i più noti e consumati dentro e fuori i confini del nostro Paese. Dai dati forniti dal Consorzio del Prosciutto di Parma, stante una lieve flessione dei consumi del mercato interno, che assorbe ancora ben il 72% della produzione, anche lo scorso anno si sono infatti registrate ottime performance dei mercati internazionali. Si parla di 2.500.000 prosciutti con la corona esportati nel corso del 2013 e un fatturato alla produzione di 237 milioni di euro. Una vera boccata di ossigeno per l’agroalimentare italiano! Nel comune di Langhirano, a Costa di Castrignano, si trova il Salumificio Monpiù, specializzato nella produzione di prosciutto di Parma e dei salumi tipici della zona
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Prosciutto di Parma 24 mesi prodotto dal Salumificio Monpiù.
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Dall’alto, le operazioni di salatura, sugnatura e stuccatura delle cosce.
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da quasi cinquant’anni: salame Felino Igp, culattello con cotenna, culatello tradizionale, fiocco di prosciutto e culatta. Risale infatti al 1967 la costruzione della prima unità produttiva dell’azienda, soggetta a completo rinnovamento delle strutture nel corso del 2008. Il Salumificio, che dal 2012 fa parte del gruppo Valtidone Holding Spa, insieme a Valtidone Salumi Srl, Pontenure Salumi Srl e Salumificio Il Colle Srl, sorge a circa 600 metri sul livello del mare, in posizione isolata dal centro abitato, all’interno di un territorio agricolo non contaminato e con la presenza nelle immediate vicinanze di ampie zone boschive, l’ideale per il tipo di lavorazione svolta. Ad una ventina di chilometri di distanza, e precisamente a Lupazzano, nel comune di Neviano degli Arduini, si trova l’altra sede dell’azienda, uno stabilimento per la produzione del prosciutto di Parma Dop che ha un’ubicazione simile a quella di Castrignano, nelle vicinanze di boschi e parchi, in un ambiente naturale protetto, a circa 500 metri sul livello del mare. Perché il territorio è uno degli elementi che determinano l’eccellenza di questo prodotto della gastronomia, vanto del made in Italy alimentare. Un salume tutelato dall’osservanza da parte delle aziende produttrici aderenti al Consorzio di un rigido disciplinare che ne regola severamente tutte le fasi di realizzazione, a partire dalla scelta dei suini utilizzati e selezionati per la produzione del Prosciutto di Parma, che devono essere nati e allevati esclusivamente in 10 regioni del Centro-Nord Italia, provenire da razze specifiche alimentate con cibi di qualità, macellati oltre i 9 mesi e pesanti mediamente 160 chilogrammi. La produzione di prosciutto di Parma Dop, con stagionatura 16, 20 e 24 mesi, proveniente da entrambi gli stabilimenti Monpiù, è pari ad oltre 100.000 pezzi l’anno. «Come l’ambiente produttivo, anche l’accurata selezione delle carni, l’unicità delle condizioni climatiche, l’abilità dei maestri salatori e il lento lavoro di stagionatura nelle cantine secondo la tecnica di lavorazione tradizionale
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Stagionatura dei prosciutti. donano ai nostri prodotti quel tocco di eccellenza in grado di soddisfare i palati più esigenti» puntualizza DANILO FRANZONI, Amministratore Delegato di Alimvest, società che controlla l’85% della Valtidone Holding Spa. Il prosciutto di Parma è un alimento completamente naturale, i cui unici ingredienti sono la carne di maiale e il sale. Il peso delle cosce fresche selezionate per questo tipo di produzione è di circa 16 kg. Al termine della stagionatura si otterranno prosciutti di circa 11/12 kg. «A proposito della stagionatura — prosegue Danilo Franzoni — il Salumificio Monpiù è
Salumificio Monpiù Srl Via della Resistenza 8 Frazione Costa di Castrignano 43013 Langhirano (PR) Telefono: 0521 846131 E-mail: info@monpiu.it
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dotato di un sistema automatico di apertura delle finestre che si aprono quando la temperatura e l’umidità esterna raggiungono valori ideali per la stagionatura stessa. Il risultato è che la climatizzazione riesce quindi ad essere anche naturale e non solo artificiale». Anche in virtù di queste caratteristiche della produzione (cosce di suino pesante di grossa pezzatura), l’orientamento aziendale è quello di incrementare la quota di prosciutto di Parma con stagionatura 24 mesi. Profumatissimo e delicato, il crudo di Parma è un concentrato di energia:
pochi grassi, molti sali minerali, proteine facilmente digeribili e tante, tante vitamine. «La Monpiù serve un ampio mercato, sia in Italia che in Europa, a partire dal dettaglio fino alla Grande Distribuzione Organizzata» conclude Danilo Franzoni. «Siamo presenti in modo capillare presso la GDO italiana ma è nostra intenzione aprirci sempre più nei confronti del mercato internazionale, ragion per cui l’azienda ha deciso di certificarsi a fronte degli standard BRC e IFS con l’ente DNV-GL». Gaia Borghi
Salumificio Monpiù Srl Strada Lupazzano 50/1 Frazione Lupazzano 43024 Neviano degli Arduini (PR) Telefono: 0521 846131 E-mail: info@monpiu.it
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Tagliato per il gusto L’eccellenza della presentazione al vostro servizio
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“T
agliato per il Gusto” nasce dalla passione per i salumi e per i formaggi della tradizione italiana e, volendo allargare gli orizzonti, internazionale. Una passione che accompagna RAFFAELE BERTOLINI, il titolare, da una quindicina di anni, attraverso molteplici esperienze commerciali e personali, durante le quali ha maturato una semplice idea: il nostro paese si distingue per l’eccellenza gastronomica a livello mondiale e nello specifico settore caseario e norcino vanta una posizione di prestigio. Tuttavia, non sempre l’eccellenza del prodotto si specchia nell’eccellenza della presentazione. «Frequento da anni fiere di settore per motivi lavorativi e personali e mi accorgo con sempre maggior consapevolezza che in Italia i formaggi e i salumi peccano di mancanza di originalità all’atto della loro presentazione al pubblico. Intendo dire che prodotti eccellenti, soprattutto se non di provenienza industriale, soffrono un deficit di professionalità nel momento in cui devono essere affettati o porzionati e disposti su un tagliere per farli conoscere al visitatore. In altri Paesi, penso alla Francia, al prodotto caseario, prodotto principe della gastronomia d’Oltralpe, vengono riconosciuti onori e professionalità di pari merito. In Italia purtroppo non c’è questa cultura di raffinata fantasia nell’arte della presentazione». L’arte del servizio e dell’impiatto per valorizzare la norcineria made in Italy Per supplire a questa mancanza nasce appunto “Tagliato per il Gusto”. Si tratta di una manualità e tecnica del taglio e allestimento al servizio di molteplici realtà. «Prendiamo in considerazione il prosciutto crudo italiano. Abbiamo realtà produttive di cui essere orgogliosi. Non abbiamo, se non sporadicamente, un’arte del servizio e dell’impiatto del prosciutto. Gli Spagnoli sono maestri in questo. Non a caso la mia formazione tecnica è di derivazione spagnola. Ho imparato il taglio a coltello e l’arte dell’impiatto da maestri spagnoli. Un’azienda che produce San Daniele o prosciutto di Cinta senese
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Raffaele Bertolini. sa che il prodotto tagliato a coltello supera per fragranza e carica aromatica il prodotto affettato meccanicamente. Il mio supporto entra in gioco nel momento in cui il produttore, o il Consorzio, o il bottegaio vogliono offrire il meglio alla propria clientela: il loro prosciutto nella massima espressione organolettica». Il taglio a coltello comunque non ci dà la piacevolezza della fetta sottile al palato come può fare una Berkel, potrebbe obiettare qualcuno. «Non è del tutto vero» rassicura Raffaele. «Le fette sono comunque sottili e sono corte, proprio nel segno della tradizione spagnola, per evitare una masticazione eccessiva. Il taglio eseguito nella stessa direzione di crescita delle fibre muscolari, inoltre, agevola la masticazione, lasciando il prodotto più morbido in bocca. Con la tecnica appropriata il prosciutto viene affettato nella sua
interezza, fino all’osso, offrendo al consumatore, dall’inizio alla fine, una qualità del taglio eccellente». La stessa abilità nel taglio viene utilizzata per la preparazione di taglieri di salumi in occasione di catering aziendali o di promozioni aziendali mirate. Un esempio banale di quanto si possa migliorare l’estetica della presentazione in poche facili mosse lo abbiamo con la mortadella. «Questo magnifico e unico prodotto, vanto della norcineria italiana, è affettato o a macchina o cubettato. Non ho mai visto altro. Quindi ho pensato di nobilitarne l’immagine creando un cono con spuma di mortadella alla base e due fette di mortadella sottili a coronarne la parte superiore. A mo’ di gelato, insomma. Oppure, per gli amanti dei cubetti, l’ho tagliata con formine in alluminio e cosparsa di pistacchio di Bronte». L’immagine del prodotto in questo modo ne è esaltata, e con essa il
“Nato dalla passione per i formaggi e i salumi della tradizione italiana, e una lunga esperienza lavorativa nel settore, Tagliato per il Gusto mette a disposizione di aziende il suo saper fare ed esperienza, nonché fantasia, per dare lustro al prodotto, con semplicità e raffinatezza” 45
“Tagliato per il gusto” significa l’arte del servizio e dell’impiatto per valorizzare la norcineria ed i formaggi. prodotto e il produttore a sua volta. All’estero si dà molto valore all’immagine del prodotto alimentare. Quasi più che al suo valore intrinseco. Vantaggi per il mercato estero e le diverse tipologie di consumatore Per assecondare le esigenze anche del mercato estero, “Tagliato per il Gusto” mette a disposizione di aziende il suo saper fare ed esperienza, nonché fantasia, per dare lustro al prodotto, seducendo buyer, privati e capi d’azienda con un semplice tocco di raffinatezza. «La conoscenza del prodotto da un punto di vista sensoriale e il mio background nella vendita al dettaglio, sia nel comparto GDO che nel retail, mi aiutano a riconoscere nel prodotto i lati da accentuare e quelli da passare in secondo piano. Tutti sappiamo che il pubblico femminile non ama il grasso animale, ma se da una fetta sottile di lardo ne ricaviamo una rosa, allora l’occhio ne sarà catturato e avrà la meglio sui preconcetti. Lavoro con un’importante azienda salumiera italiana — prosegue Raffaele — sia in occasione di fiere che in ambito formativo. Mi sposto all’estero per insegnare ai dipendenti dei supermercati come ci si rapporta col prodotto di salumeria e anche con il cliente. Nei Paesi a recente contagio capitalistico, infatti, il prodotto italiano è molto ricercato e valutato,
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ma purtroppo gli addetti alla vendita mancano delle astuzie e del saper fare tecnico. Il mio ruolo è quello di aiutare l’azienda a massimizzare le vendite formando lo stesso personale addetto, trasmettendo conoscenze tecniche sul prodotto, capacità di organizzazione e gestione del banco, atteggiamenti virtuosi con il cliente e modi di utilizzo in cucina del salume o del formaggio». Tagliato per il gusto anche per i formaggi L’utilizzo della cucina applicata al formaggio è una seconda nota distintiva di questa azienda. «In Italia non mancano i prodotti di alta qualità. Direi che ormai siamo sazi, data la generosa presenza di questi sui mercati. Manca, a mio avviso, la proposta alternativa di questi alla clientela. Un’azienda dovrebbe puntare, oltre che sul prodotto, anche sul servizio al cliente, inteso come trasmissione di sapere circa l’utilizzo del prodotto secondo tradizione o fantasia. Con alcuni formaggi DOP di area veronese, per esempio, abbiamo creato delle salse con cui farcire bigné e vol-auvent, presentandoli in maniera nuova e stuzzicante. Forse, come me, molti consumatori sono un po’ stanchi di consumare lo stesso cibo nelle stesse forme. Proviamo a dare nuova veste ai nostri prodotti».
Buste per il sottovuoto e taglieri personalizzabili L’azienda inoltre ha portato sul mercato italiano due prodotti di servizio di altissima qualità e sicuro interesse: buste spagnole per il sottovuoto, con la caratteristica presenza di una pellicola in PVC trasparente interna al sacchetto per l’impiatto di prosciutto tagliato a coltello, e taglieri in legno di betulla per il servizio di take away di formaggi e salumi. Di diverso formato e dotati di coperchio trasparente personalizzabile, sono la miglior maniera per incontrare le esigenze attuali della clientela, cioè ridotte e variate quantità di prodotto per occasioni particolari.
Tagliato per il Gusto di Bertolini Raffaele 37017 Lazise (VR) Cell.: 328 8268743 E-mail: info@tagliatoperilgusto.it Web: www.tagliatoperilgusto.it
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Prodotti tipici
Jamón de buey, dalle Asturie un prosciutto davvero speciale Uno jamón realizzato con carni selezionate di bovini allevati localmente, stagionato per 16-18 mesi, ideale come antipasto leggero e gustoso. In Spagna lo produce l’azienda Trasacar, in Europa lo importa e lo distribuisce la monegasca Giraudi
S
iamo nel Nord-ovest della Spagna e più precisamente nel Principato delle Asturie. Una bellissima regione con paesaggi mozzafiato (come il Parco Nazionale dei Picos de Europa e le spiagge del mar Cantabrico) e un’ampia offerta di itinerari culturali e gastronomici per i turisti che ogni anno transitano da queste parti, non solo per completare il cammino di Santiago de Compostela. Qui la cucina ha sapori forti e decisi con piatti come la fabada, tipica zuppa asturiana a base di fagioli e carne di maiale, o i tanti formaggi vaccini o di capra. Le carni sono protagoniste della cultura gastronomica della regione, cucinate spesso in umido oppure lavorate per essere trasformate in insaccati. Proprio tra questi ultimi c’è un prosciutto particolare che merita la nostra (e vostra) attenzione. A differenza del classico jamón prodotto con i maiali iberici, questo jamón de buey è realizzato con carne bovina ed è un prodotto dell’asturiana Trasacar (www.trasacar.com), azienda attiva da 25 anni nell’industria delle carni, in possesso della certificazione di qualità ISO 9001. Diretta da Ceferino Trabadelo, nella sede di Oviedo la Trasacar seleziona le carni migliori provenienti da capi di razza Frisona, allevati senza ormoni né promotori della crescita, ponendo molta attenzione alla qualità dei mangimi durante la fase cruciale di ingrasso degli animali. Dopo la macellazione, la carne viene sottoposta a frollatura per un periodo che varia tra i 21 e i
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Lo jamón de buey è importato dal Gruppo Giraudi. 25 giorni, al fine rendere il prodotto particolarmente tenero. Un processo, questo, che si svolge in una moderna
cella riservata alla maturazione delle carni, a 4°C e ad un livello di umidità costante.
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Le fasi di lavorazione del prosciutto di bue Alla base della qualità di questo delicato prosciutto di manzo c’è la selezione delle materie prime. Questa è una delle fasi più critiche e al contempo strategiche. Trasacar sceglie le cosce degli animali migliori, per razza e conformazione. Una volta completata la selezione si procede a lavorare la coscia, con relativa rifilatura. Segue la salagione: in questa fase la carne si insaporisce e perde parte dell’acqua dei tessuti. Si passa poi al lavaggio delle cosce e all’asciugatura. L’ultima fase, quella della stagionatura, avviene come accennato in ambiente a temperatura e umidità controllata, per un periodo che varia dai 16 ai 18 mesi. Questo processo comporta un ulteriore calo di peso e la maturazione in termini di sapore e aromi del prodotto. Un prodotto versatile Il prosciutto di bue è un prodotto altamente digeribile e con un contenuto di grassi particolarmente basso. Deve essere tagliato rigorosamente a mano. La fetta si presenta di un bel colore rosso acceso. In bocca il sapore è intenso, la consistenza è morbida, deliziosa. In cucina è un ingrediente versatile, che ben si sposa non solo con i piatti della cucina asturiana. È perfetto come antipasto, per farcire panini gustosi e leggeri o come piatto unico, sano ed equilibrato, abbinato a verdure di stagione. Da accompagnare con un buon bicchiere di vino rosso per un piacere sensoriale a 360 gradi.
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Il prosciutto di bue è un prodotto con un contenuto di grassi particolarmente basso. Deve essere tagliato a mano. La fetta è di un bel colore rosso acceso. In Europa con Giraudi Il Gruppo Giraudi con sede a Montecarlo è tra i leader a livello mondiale nella commercializzazione di carne di altissima qualità proveniente dall’Europa, dalle Americhe, dall’Oceania e, unica in Europa, del pregiatissimo Kobe dal Giappone. Il portafoglio clienti Giraudi spazia dai grossisti e rivenditori fino ad arrivare alla GDO. Inoltre, il Gruppo è proprietario di diversi ristoranti: con Monaco Restaurant Group, ad esempio, oggi annovera sei locali nel Principato. «Questo delicato prosciutto di manzo è sempre presente nel menu dei nostri Beefbar, steakhouse sofisticate dove è possibile assaggiare le migliori carni del mondo» dichiara Riccardo Giraudi, titolare dell’omonimo Gruppo insieme al padre Erminio. «Servito
insieme al pane profumato all’aglio è una prelibatezza apprezzata dalla clientela più esigente».
Giraudi Group 74, Boulevard d’Italie Le Monte Carlo Sun 98000 Monaco Telefono: +377 93 104242 E-mail: giraudi@giraudi.com Web: www.giraudi.com
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Barbozzo, tipicamente umbro Simile alla ventresca tesa, presenta un maggior contenuto in grasso e ciò lo rende ancora più indicato per la preparazione di sughi e saporite pietanze, come la tradizionale scafata di Giorgio Montanari
N
orcineria è un termine usato ancora oggi per definire una delle più elevate arti nella preparazione delle carni. In molti avranno collegato questo termine con il paese di Norcia, un comune di meno di 5.000 abitanti sito nella provincia di Perugia. L’Umbria si rivela, dunque, terra di grandi salumi, lavorati da sempre con particolare rispetto delle procedure antiche. In queste pagine descriveremo al meglio il barbozzo (ma è conosciuto anche come la barbozza, barbazza, barbotta), prodotto diffuso proprio nel cuore della questa regione. Modalità di produzione e caratteristiche Il barbozzo è una specialità della salumeria locale simile, come preparazione, a più note produzioni a base di carne di suino (guanciale, ventresca tesa). La materia prima di partenza è la gota del suino privata della cotenna. La prima fase, di rifilatura, inizia a donare la caratteristica forma triangolare al prodotto finito. Successivamente si procede con la salatura, un’operazione effettuata ancora oggi a mano; il semilavorato riposa quindi per circa quattro-cinque giorni, al termine dei quali viene prima privato della parte di sale in eccesso, poi lavato, infine conciato con aglio e vino. A questo punto del percorso si è soliti ricoprire la carne con frammenti di pepe, che caratterizzerà l’aspetto visivo del salume fino al termine della stagionatura (di durata di circa due/tre mesi). Il barbozzo stagionato si presenta a forma di triangolo irregolare
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di medie dimensioni (pezzatura variabile fra gli 800 e i 1.000 grammi). Al taglio sprigiona un profumo intenso e aromatico, dove convivono la dolcezza della parte grassa e la
fragranza di quella magra. Queste due entità sono riconoscibili anche all’analisi visiva: la fetta presenta infatti un’alternanza fra il rosa/rosso marmorizzato della carne magra
Il barbozzo (photo © leterredelverde.files.wordpress.com).
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e il bianco della materia adiposa. A monte sta la scelta e la qualità dei capi: i suini sono allevati al pascolo, dove possono crescere in maniera naturale, mangiando alimenti selezionati che favoriscono la loro struttura. Per procacciare il cibo e consumarlo gli animali potenziano la muscolatura dell’apparato masticatore, un’attività importante per il salume che si otterrà dal relativo taglio anatomico. Il barbozzo, data la ricca presenza di grasso, è un insaporitore utilizzato con frequenza nella preparazione di sughi e ragù: la natura ha permesso ad un unico salume di avere sia un gusto deciso, sia una succulenza appetitosa. La regione Umbria, in una scheda identificativa dei prodotti agroalimentari tradizionali, descrive minuziosamente, oltre alle carni, anche gli strumenti da impiegare nelle lavorazioni del barbozzo (varie tipologie di coltello, contenitori per favorire la salatura) nonché gli ambienti atti alla produzione (sala di sezionamento, celle frigorifere, sala di asciugamento e di stagionatura). In cucina, dalla gricia alla scafata Gli impieghi in cucina sono decisamente numerosi. Con l’obiettivo di farvi venire l’acquolina in bocca, ve ne presenteremo alcuni. I primi piatti sono quelli dove si registra l’uso più frequente del salume. Fra le tante ricette regionali citiamo, ad esempio, gli umbricelli (tipica pasta fresca fatta in casa, simile ai pici) con barbozzo e maggiorana. Per la preparazione del condimento si parte soffriggendo la cipolla in olio extravergine di oliva DOP Umbria, si
aggiunge il “nostro” salume stagionato, poi, una volta rosolato, si unisce la maggiorana precedentemente frullata insieme a mezzo spicchio di aglio e ad un cucchiaio di olio. A cottura ultimata, dopo aver scolato la pasta ancora al dente, si consiglia un’abbondante spolverata di parmigiano-reggiano grattugiato. Altri ristoranti propongono i tagliolini con salvia, guanciale, cacio, pepe e barbozzo. In questo piatto, una sorta di “gricia” adattata alle tradizioni umbre, il salume è protagonista in un tripudio di pecorino (deciso e stagionato) e aromi dalle duplici connotazioni olfattive: il pungente del pepe e il fresco della salvia. Con due primi piatti di spicco come quelli sopra citati si consiglia l’abbinamento con un calice di Grechetto, un vino bianco Colli Perugini DOC connotato da un aroma raffinato e da sentori fruttati (pesca gialla, banana, pera) e floreali (ginestra, mandorlo). Un altro uso storico del barbozzo è riscontrabile nelle zuppe umbre, dalla tradizionale scafata (una minestra primaverile preparata con fave, bietole, cipollotti, sedano, finocchietto e barbozzo) alla moderna minestra di legumi misti. Passiamo ora ai secondi piatti. In qualche trattoria a gestione famigliare potreste trovare in menù un succulento filetto di vitello cucinato in padella mirabilmente accompagnato da Sagrantino e barbozzo. Un’altra ricetta locale suggerisce di tagliare il barbozzo a fette sottili, scottarlo in padella con un filo d’olio umbro, rosolarlo con salvia e infine sfumare il tutto con un goccio di aceto. Il piatto,
La scafata (photo © briggishome. wordpress.com). ancora caldo, va servito su un crostone di pane casereccio abbrustolito. Infine, ricordiamo che una volta il barbozzo era utilizzato anche per impreziosire un contorno: stiamo parlando dei piselli di Bettona, una varietà coltivata nella provincia perugina (ora difficilmente reperibile) caratterizzata da una buccia tenera e da un sapore delicato e dolciastro. Oggi come un tempo, per la produzione di un buon salume non serve solo una cantina fresca e adatta, ma anche una materia prima nostrana d’eccellenza e un metodo di lavorazione consolidato. L’incontrarsi armonioso di queste situazioni hanno conservato viva la tradizione del barbozzo, rinnovando e inventando nuovi usi nella cucina umbra. Giorgio Montanari
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La Valle del Tresinaro e la cultura della pecora da carne Un’escursione nell’Appennino reggiano a caccia di barzigole e violini, eredità bizantine a base di carne di pecora
A
lto Medioevo, Appennino reggiano: da un lato del limes che li contrapponeva i Goti, dall’altro i Bizantini, che si erano fortificati a destra del Tresinaro da Carpineti sino a Viano e Baiso. Due culture contrapposte che a distanza di mille anni lasciano ancora il segno sul territorio, anche nella cucina. Se già da tempi immemorabili era diffusa la cultura dell’agnello pasquale, i Bizantini che resistevano nelle loro fortezze insistevano piuttosto sull’allevamento della pecora, mentre i Longobardi erano affezionati alle loro vacche da latte, come le Rosse, e al maiale nero per la carne. I militi bizantini di frontiera erano chiamati non solo a combattere, ma anche a sostenersi attraverso attività agricole. In tal modo venne tramandata la pastorizia e la cultura connessa. Gli ovini erano preziosi per la lana, il latte, la carne e erano anche la fonte di per gli scriptoria delle abbazie benedettine di Marola, Canossa e San Prospero, in città. Ancora oggi nell’Appennino reggiano i prodotti della macelleria e della salumeria legati alla carne di pecora trovano un importante utilizzo. Vengono macellate soprattutto pecore femmine di età superiore all’anno, massimo due anni. L’aspetto più caratteristico è quello del binomio carne e concia, sempre presente in questi preparati per armonizzare congiuntamente la cottura il gusto tipico della pecora adulta. Barzigole o berzigole In ristoranti e macellerie attorno al Monte Valestra è probabile imbattersi nelle prelibatissime barzigole
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Prosciutto di pecora, detto “violino”. o berzigole. Abbondantemente condite, esaltano aromi caratteristici e ricercati e incredibilmente ricchi di
storia. Sono presenti come prodotto da macelleria tutto l’anno. Passati circa tre giorni dalla macellazione di
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La Val Tresinaro si presenta oggi come un luogo ricco di fascino, sia nella parte più bassa, che si affaccia sulla pianura presso Scandiano, sia nel suo medio e alto corso, più spiccatamente appenninico, fino alle sorgenti ubicate a Felina, in comune di Castelnovo Monti, presso il monte Fosola, all’ombra della grande Pietra di Bismantova. Convivono in essa ricordi storici diffusi e, spesso, spettacolari nello svettare di castelli, case a torre e campanili, insieme a un sostrato economico vivace ma non invasivo del paesaggio, con un progressivo ritorno al ripopolamento di borghi già abbandonati e che oggi costituiscono una fascinosa alternativa alla casa di città. La valle è percorsa da una fitta rete di sentieri, alcuni locali, altri di maggior respiro, divisi per tappe. Fra questi ultimi figura il Sentiero Matilde, che attraversa la valle da ovest a est nella zona di Carpineti, e il Sentiero Spallanzani, che parte da Scandiano e segue per lungo tratto la dorsale del torrente. La rocca dei Boiardo di Scandiano L’imponente complesso architettonico, costruito dai Fogliani nei primi decenni del 1300, ospitò episodi significativi della storia di Scandiano. In una stanza del primo piano nacque il poeta Matteo Maria Boiardo. Nei sotterranei era solito compiere i suoi esperimenti il grande scienziato Lazzaro Spallanzani. Alloggiarono nel castello il poeta Francesco Petrarca, il riformatore Giovanni Calvino e Papa Paolo III. Nel 1500 il conte Giulio Boiardo trasformò l’antico fortilizio in sontuoso palazzo commissionando ad importanti maestri opere d’arte che porranno Scandiano tra le corti rinascimentali più splendide dell’epoca. Nicolò dell’Abate realizzò nella zona est del palazzo preziosi affreschi che furono poi trasferiti alla Galleria Estense a Modena. Anche il cortile era completamente dipinto. Nel 1565 i marchesi Thiene, di origine vicentina, intrapresero la grande impresa edilizia che trasformò l’edificio nelle forme attuali, con l’elegante scalone di ingresso a doppia rampa, opera dell’Aleotti (1620). Agli inizi del 1700, i marchesi d’Este realizzarono il cosiddetto “Appartamento Estense”, il più raffinato di tutta la rocca, recentemente restaurato, che si sviluppa lungo diverse sale. Attualmente il monumento è di proprietà statale ed è in concessione al Comune di Scandiano che lo ha reso visitabile (photo © Giorgio Galeotti). La Pietra di Bismantova Salendo in quota, la Pietra di Bismantova, presso Castelnovo Monti, si affaccia isolata e imponente, scenografica avanguardia del crinale appenninico che si staglia sullo sfondo. La Pietra, paragonata da Dante al monte del Purgatorio, è il residuo di una più estesa bancata di arenaria che nei millenni si è frantumata a causa della minore consistenza delle marne e delle argille su cui stava appoggiata. La salita sul tavolato sommitale è una piacevole e facile passeggiata, premiata all’arrivo da un panorama senza eguali su tutto l’arco appenninico. Per chi ama le scalate, la Pietra è una palestra di roccia tra le più rinomate d’Italia, ottima anche per la recente pratica del bouldering per la quale si prestano i numerosi massi sparsi intorno al monte.
una pecora adulta o di un agnellone, vengono selezionati i tagli ritenuti più interessanti quali spalla o pancia, sezionati a fette di giusto spessore. Si aggiunge la concia preparata amalgamando sapientemente olio, aglio, alloro, salvia, rosmarino e sale. Le barzigole vengono consumate in padella o come componente delle grigliate miste dove sono un’alternativa ai preparati a base di maiale e bovino. Violino o cushöt A Valestra, nel baisano e sino a Viano, aree anticamente bizantine, le famiglie producono ancora un prodotto
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autoctono d’eccellenza: il prosciutto di pecora, scuro e saporito. Il cosciotto di pecora, tradizionalmente definito “violino” per la particolare forma ma conosciuto anche come cushöt, è un prodotto tipicamente invernale. Passati circa due giorni dalla macellazione dell’animale viene prelevata la coscia asciutta, che viene salata e conciata. Terminata la salatura, che si protrae per un periodo che di circa 10/12 giorni, la coscia viene lavata con acqua ed aceto di vino. Si esegue una prima asciugatura attraverso “canovaccio” e si provvede
ad appendere le cosce per un periodo di circa una settimana. Ottenuta una completa ed omogenea asciugatura si provvede alla stuccatura superficiale mediante un impasto costituito da lardo di maiale, pepe e sale. Il violino viene stagionato in luogo fresco ed asciutto per circa un mese. La modalità di utilizzo più comune è quella di affettarlo sottilmente. (Fonte: Reggio Emilia Turismo) Nota Photo © Mario Rebeschini, Reggio Emilia Turismo, reggioemiliaturismo.provincia.re.it
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La giardiniera di Mamma Augusta, così buona non s’è vista mai! di Federica Cornia
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edano, carote, cipolla, finocchio, peperone giallo e peperone verde. Fagiolini e cavolo romano no perché troppo scuri. Colori brillanti in un vasetto trasparente. L’impatto visivo è accattivante per gli occhi e stuzzica le papille gustative. Piena corrispondenza tra vista e palato: la bellezza coincide con la bontà. È la giardiniera di Mamma Augusta. Che è una mamma vera o, meglio, una vera mamma, di quelle di una volta, dispensatrice di ricette e gusti del passato, custode di una tradizione gastronomica di stampo contadino e casereccio. Se per Carlo Petrini la giardiniera è una sorta di madeleine della civiltà contadina, con un gusto che difficil-
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mente si dimentica, un gusto, quello dell’aceto in cui è immersa, incancellabile, che si imprime in modo indelebile nella memoria e senza il quale sarebbe ben più difficile raccontare certi momenti (CARLO PETRINI, “Buono, Pulito e Giusto. Principi di nuova gastronomia”, 2011 Einaudi Torino), per altri diventa un’avventura gastronomica che nasce dal recupero di una ricetta materna che contiene in sé le migliori promesse, oltre che le migliori verdure, resa possibile dalla passione per la gastronomia e da un giusto incontro. Punto d’origine la preparazione di Augusta, mamma di Stefano Montanari, agente di commercio del settore alimentare e appassionato buongu-
staio; punto d’approdo un prodotto lavorato ad arte da Claudio Rizzi, cuoco provetto nonché imprenditore e proprietario di Corte Donda a Viadana (www.cortedonda.com, telefono: 0375 785697), splendida cascina del ’700 sulle rive del Po tra Mantova e Parma, completamente ristrutturata, azienda agricola e agrituristica con frutteto e orto da cui provengono frutta e verdura che finiscono nelle mostarde di produzione propria fatte secondo la tradizione viadanese e, per l’appunto, nella giardiniera. Quando non è così, vengono acquistate da aziende particolarmente attente nell’uso di prodotti e metodi di assoluto rispetto per l’ambiente e la salute. Provenienza italiana e
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stagionalità, però, sono d’obbligo. Numerose le prove per definire cottura, croccantezza, colore, durata e tutte le procedure necessarie per arrivare al risultato ottimale, quello in commercio oggi e che risponde a precisi standard di produzione. Non facile raggiungere il risultato odierno se si tiene conto della materia prima utilizzata. È difficile valutare quali possono essere le reazioni della verdura essendo senza conservanti. Claudio e Stefano infatti ci spiegano come «lavorando con prodotti naturali bisogna considerare le innumerevoli varianti, per cui, per esempio, in un peperone cambia la percentuale di acqua in base alla provenienza e nelle fasi di cottura si deve stare attenti perché si potrebbe cuocere troppo o troppo poco e anche perché durante le fasi di pastorizzazione potrebbe lasciar uscire una percentuale troppo alta di acqua rovinandoti il liquido di governo (a base di aceto e zucchero)». «La stagionalità è importante» Claudio e Stefano ci tengono a sottolinearlo che si usano solo prodotti di stagione: per questo la giardiniera si fa da aprile fino ad ottobre, al massimo fino a novembre, cioè finché si trova un prodotto nazionale dignitoso, sempre prestando particolare attenzione naturalmente a come si produce. «Un peperone a gennaio sarà un peperone che sì, avrà la forma e il colore del peperone, ma non ne avrà di certo il profumo e il gusto» dicono. Raccolta delle verdure o loro arrivo in azienda, lavaggio manuale, mondatura e taglio (verdure come il cavolo vengono lavate dopo il taglio perché la pulitura possa essere effettuata bene), asciugatura, scottatura in aceto, raffreddamento e invasettamento a mano sono le varie fasi della lavorazione. Ne risultano composizioni vegetali dai colori vivaci immerse nelle calibrate trasparenze della soluzione di governo a base di aceto, zucchero, sale con aggiunta di una percentuale di acqua aromatizzata con anice stellato. Ed ecco che la naturale bellezza viene sigillata e pastorizzata a vapore in un forno e poi stoccata in magazzino. La lavorazione della giardiniera è davvero impegnativa per il tempo
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La salsa verde e la salsa rossa completano la linea “di Mamma Augusta” (photo © Alessandro Carra). che prende nel taglio certosino delle verdure e nella realizzazione di tutto l’iter esecutivo. Per questo il prezzo non può poi essere così popolare perché non lo è il prodotto. «Di giardiniera esiste una certa proposta ma difficilmente la si trova interamente fatta a mano con carote tagliate a bastoncini irregolari» sottolineano. Da modo antichissimo di conservare parte della sovrabbondante produzione di verdure dei mesi estivi allo scopo di consumarle durante l’inverno, se fatta artigianalmente cambia di segno e si fa indiscutibilmente preziosa. Aspro l’aceto, la linea che si cerca di produrre è modulata sul dolce. A gennaio 2013 iniziano le prime prove per l’esordio al salone Taste 2014, dove la giardiniera ha debuttato insieme ad altri due prodotti della linea “Mamma Augusta”: la salsa verde e la salsa rossa. Ed è stato un discreto successo, con buona soddisfazione di tutti, mamma Augusta in testa. Il packaging semplice ma accattivante: vasi in vetro, il logo con un galletto, classico animale da corte (marchio regionale degli agriturismi in Lombardia), inserito in un tondo, e la corsiva, familiare, molto italica dicitura in bianco “di Mamma Augusta”. Insomma, le gastronomie hanno apprezzato e l’obiettivo ora è entrare anche nella ristorazione. Perché con sua maestà il bollito misto la giardiniera, e perché no, anche le salse, vanno a nozze.
La salsa rossa è preparata con gli stessi ingredienti della giardiniera solo tritati più finemente e in parte frullati per renderli una purea cui si mescola una parte di verdure tagliate in maniera più grossolana in modo che ci sia una componente croccante da masticare. Poi un po’ di aglio, le cipolline borettane e un po’ di scalogno per dare più di gusto. La salsa verde contiene soprattutto verdure verdi: peperone verde, sedano, finocchio, cavolo, carote e cipolla e anche qui una puntina di aglio a dare struttura. Ottimo l’accompagnamento con un piatto di formaggi e salumi. Queste appetitose preparazioni artigianali, perle gastronomiche composte manualmente in vasi di vetro dai 250 g fino ai 6 kg (400 g solo la salsa verde) di capienza, sembra abbiano anche una vocazione cosmopolita: beneficio della presenza di Stefano e Claudio a fiere come Taste e Cibus, i bei vasetti trasparenti in cui si legge chiara la stratificazione delle verdure dai colori brillanti infatti oggi raggiungono anche l’estero e vanno in Belgio, Austria, Francia (per info: smontanari@alice.it). Federica Cornia Nota A pagina 56 Claudio Rizzi, Augusta Baranzoni ed il figlio Stefano Monatanari (photo © Francesco De Marco).
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Mercati
Salumi piacentini tutelati: fatturato in crescita per coppa e pancetta Dop
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Piacenza il comparto alimentare dei salumi DOP cresce: la coppa piacentina DOP del +1,9%, con 348.323 pezzi prodotti, la pancetta piacentina DOP del +5,7%, con 127.268 pezzi prodotti. Solo il salame piacentino DOP ha avuto un calo del 3%, con 1.082.402 pezzi prodotti. Questi i dati forniti lo scorso luglio dal Consorzio Salumi Piacentini in occasione della presentazione della relazione di gestione. Tenendo come riferimento gli anni dal 2000 al 2013, la produzione di coppa piacentina è aumentata di 5 volte (515%), quella della pancetta piacentina di circa 10 volte (980%), mentre quella del salame piacentino di 4 volte (487%). «Siamo contenti che i nostri prodotti abbiano tenuto
nonostante la diminuzione dei consumi» ha affermato ANTONIO GROSSETTI, presidente del Consorzio Salumi Dop piacentini. «Siamo però preoccupati dalla costante erosione della redditività aziendale. Appare evidente che la crisi ha compresso i margini in maniera non sostenibile nel medio periodo. L’auspicata ripresa dei consumi dovrà accompagnarsi quindi a un ritorno verso livelli fisiologici di redditività per tutti. Al riguardo è doveroso rilevare anche che allo stato delle cose il costo dei tagli freschi di coppa e pancetta ha raggiunto quotazioni non più sopportabili. In questo scenario assai preoccupante — ha concluso Grossetti — un dato positivo proviene dal fatto che nessuna nostra azienda ha chiuso
e che il livello di occupazione si è mantenuto pressoché costante. I nostri associati hanno dimostrato di credere profondamente nel proprio lavoro cercando di non subire la crisi ma reagire ad essa, tanto che parecchi di loro hanno investito in nuove tecnologie impiantistiche, in ampliamenti e ammodernamenti degli impianti di produzione, nel cercare nuovi mercati, anche esteri». Prossimo importante appuntamento per il Consorzio è la Coppa d’Oro, Premio istituito e promosso dalla Camera di Commercio di Piacenza, in collaborazione con il Consorzio Salumi Tipici Piacentini, che si svolgerà quest’anno presso la splendida cornice di Palazzo Gotico a Piacenza dal 10 al 12 ottobre.
La coppa piacentina Dop.
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Sial Parigi dal 19 al 23 ottobre Hall 1 - stand D134
Salone del Gusto Torino dal 23 al 27 ottobre Padiglione 2 - stand 2E 114
PECORINO PASCOLI DI PIENZA. LA QUALITA’ LASCIA TRACCIA.
Questo pecorino è prodotto con latte di pecora proveniente da greggi che pascolano all’interno del territorio del comune di Pienza e ha aderito al progetto “Latte di pecora della nostra terra” promosso dalla Regione Toscana e dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni del Lazio e della Toscana che ha visto l’implementazione di un Sistema di Rintracciabilità di Filiera conforme alla norma ISO 22005:2008. L’etichetta recante il Codice QR permette al consumatore di risalire all’origine dei formaggi attraverso l’ausilio di uno smartphone o collegandosi al portale www.toscopecora.it
info@caseificiobusti.it
Suini, prevista la ripresa, meteo permettendo Produzioni giù del 5% su base tendenziale. Per Andrea Cristini, presidente Anas, «serve dialogo. E premiare la qualità dei capi»
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a suinicoltura italiana intravede una ripresa del mercato, anche se non tutti gli indicatori — a partire dal meteo — sembrano andare nella direzione favorevole. ANDREA CRISTINI, presidente di ANAS, si dice “cautamente ottimista” nell’intervista che ha rilasciato a Eurocarne, rassegna internazionale dedicata alla carne in programma a Verona dal 10 al 13 maggio 2015.
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Le ultime quotazioni della Commissione unica nazionale parlano di un trend rialzista a 1,577 €/kg. La direzione è quella giusta? «Sì, le previsioni sono corrette. Spero che nelle prossime settimane ci sia un posizionamento di prezzo adeguato dei suini italiani, anche perché, in termini di movimentazione, è confermato un calo del 5% dei suini commercializzati rispetto
allo stesso periodo dell’anno scorso. La freccia delle mercuriali dovrebbe tendere verso l’alto». Quali ostacoli potrebbero rallentare la ripresa dei prezzi? «Al momento direi l’incognita dei consumi, perché l’andamento meteorologico non è assolutamente in linea con la stagione. E questi capricci del tempo influiscono sui consumi di
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carne suina, che d’estate vive la fase dei barbecue. Inoltre, abbiamo visto che nelle ultime due settimane il mercato tedesco ha perso circa 1012 centesimi al chilo, e per la carne fresca è un po’ un riferimento di quali dinamiche potrebbero influenzare i listini in buona parte dell’Europa, Italia compresa». Il blocco delle esportazioni verso la Russia quanto incide? «Difficile dare dei confini. Ma di certo è venuto a mancare uno sbocco consolidato sia per la carne fresca che per i salumi che ha rimbalzi negativi sull’Europa. L’auspicio è che i paesi confinanti con la Russia possano riprendere l’export». In Italia è sempre emergenza sugli allevamenti? «La situazione è complessa. Ci sono difficoltà di accesso al credito, un mercato altalenante, redditività che rimbalza spesso al di fuori della filiera, l’avanzata della soccida. E i numeri dei suini in Italia sono sempre più in contrazione. Vengono in parte attenuati con l’import di suinetti in primavera, ma la rotta è quella, purtroppo». L’Unione Europea ha acceso i riflettori sul benessere animale e sulla castrazione dei suinetti. Un eventuale divieto potrebbe mettere in
grave pericolo la grande salumeria made in Italy. «Abbiamo ottenuto un’autorizzazione per proseguire in deroga la castrazione dei suini. Sicuramente per la castrazione dei suinetti dovremo utilizzare metodiche meno invasive, anche usando degli antidolorifici, ma portare i suini a 160 chili di peso e praticare l’immuno-castrazione chimica non è così automatico. Il rischio, piuttosto scontato, è avere carne che odora di verro. Il consumatore italiano non è preparato, crollerebbero i consumi di carne e di salumi, con ogni probabilità. Non possiamo permettercelo, anche e soprattutto per la peculiarità della produzione italiana. Discorso diverso, invece, è su una produzione europea, orientata a suini leggeri. In questo caso l’immunocastrazione funziona e la risposta, a livello di catene distributive, è buona, con richieste sia per la carne di suino non castrato che per le femmine».
Andrea Cristini, presidente Anas. 20% delle cosce destinate a diventare prosciutti di Parma e di San Daniele. La posizione di ANAS qual è? «Aspettiamo le decisioni del MIPAAF, inutile fare dichiarazioni oggi».
Che differenza c’è fra la carne di maiale del maschio e della femmina? «Tendenzialmente la femmina è più magra. Ma in Italia è un aspetto che, a differenza di altri paesi, non è riconosciuto in termini economici».
L’equazione di stima elaborata dovrà essere rivista, onde evitare l’esclusione di un numero rilevante di cosce? «Anche in questo caso, prima di fare commenti attendo che sia il Ministero delle Politiche Agricole a fare delle analisi».
Una questione importante sul piano economico riguarda la classificazione delle carcasse suine. Dal 9 settembre si rischia di avere un calo superiore al
Che cosa mi dice della nuova geografia dei macelli? «Ritengo che, se nulla cambierà, la chiusura del macello Virgilio sarà
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Padiglioni: 9 – 11 – 12 Superficie espositiva: m2 16.040 Ingresso dedicato: Re Teodorico Parcheggio interno riservato agli espositori: (area C e D) Parcheggi riservati visitatori adiacenti agli ingressi: Multipiano e Re Teodorico Date: 10-13 maggio (nuova formula da domenica a mercoledì) Orari: 9:00 – 18:00 Ingresso singolo: € 15,00 in cassa, € 10,00 in prevendita on-line Abbonamento valido per tutti i giorni di manifestazione: € 28,00 in cassa, € 18,00 on-line
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un’occasione mancata per la suinicoltura italiana nel sistema cooperativo. Trovo corretto che una parte della suinicoltura rimanga in cooperazione; spostare tutto sul privato restringe i margini di autonomia degli allevatori. Senza dubbio, mi auguro che le iniziative in atto si consolidino e portino dei risultati. E mi auguro che anche OPAS possa andare avanti col proprio progetto in ITALCARNI». Da qualche tempo avete un nuovo player in Italia sul versante della macellazione. Che cosa è cambiato? «L’arrivo di Pini nel settore della carne suina in Italia lo ha proiettato, grazie a cospicui investimenti in
strutture importanti come BERTANA e GHINZELLI, a diventare una delle realtà più importanti, se non addirittura la prima per numeri, a livello nazionale. E pensare che gli hanno sbarrato la strada nella costruzione di un grande impianto a Manerbio in tutti i modi, tanto che si è diretto appunto altrove». Recentemente è stata avanzata la proposta di segmentare la produzione suinicola. Qual è il suo commento? «A mio avviso ci saremmo già arrivati, perché già ora si fanno diversi tipi di suini; il problema è che sono pagati come se fossero tutti uguali. Non regge più un sistema dove chi fa
qualità incassa gli stessi soldi di chi ha scelto di non curarsene. La qualità, dove c’è, andrebbe riconosciuta anche in termini di pagamento». Le piace la formula di Eurocarne, che affianca alle tecnologie anche una logica più ampia di filiera? «Certamente. Sono convinto che non bisogna solo sostenere gli allevatori; anche i macelli e la trasformazione meritano di rientrare in un discorso di visione organica. Servono progettualità condivise e di largo respiro. Solo così la suinicoltura italiana avrà un futuro». (Fonte: Servizio Stampa Eurocarne-Veronafiere)
MiPAAF: 1.000 giorni di Politiche Agricole, le prime misure sul sito passodopopasso.italia.it «Abbiamo davanti un lavoro intenso e appassionante per far crescere un nuovo modello di sviluppo agricolo e agroalimentare. In questi mesi abbiamo lavorato, in una prima fase, al miglioramento dell’impiego delle risorse europee, a nuove azioni per l’occupazione e a forti misure di semplificazione amministrativa, come fatto con “Campolibero” nel dl competitività. Da oggi l’obiettivo rinnovato è potenziare sempre di più il made in Italy, concentrando la nostra azione su due fronti decisivi: innovazione organizzativa e tecnologica ed export. Il sistema agroalimentare italiano costituisce un’esperienza decisiva per il futuro del nostro Paese». Così il ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Maurizio Martina, ha commentato la pubblicazione sul sito passodopopasso. italia.it delle prime misure da realizzare nei prossimi mille giorni per l’agricoltura. «Puntiamo a creare occupazione — ha aggiunto Martina — e per farlo cerchiamo di coltivare i nostri talenti migliori spingendo sul tasso di innovazione nel settore. Abbiamo già predisposto il piano nazionale della ricerca e dell’innovazione, per coordinare gli investimenti nazionali e regionali dei prossimi 7 anni nel comparto. Quasi un miliardo di euro è già destinato a queste attività con i fondi comunitari agricoli, ai quali si aggiungono i progetti che verranno presentati all’interno dei circa 4 miliardi di euro previsti da Horizon 2020 e gli altri disponibili nei fondi coesione. Sono stati individuati, con il decreto “Terrevive”, 5.500 ettari di terreni dello Stato da riportare all’agricoltura, attraverso l’affitto o la vendita ai giovani. Sono tutte componenti di un grande piano per raggiungere l’obiettivo di aumentare le imprese agricole gestite da giovani da 48.000 a 60.000. Con il decreto “Sblocca Italia” abbiamo gettato le basi per un altro traguardo ambizioso ma raggiungibile: portare il volume dell’export del made in Italy agroalimentare da 33 a 50 miliardi entro il 2020. In questo, naturalmente, Expo giocherà un ruolo fondamentale, permettendoci di entrare in contatto diretto con oltre 140 Paesi mostrando loro la reale forza del made in Italy. Siamo consapevoli che la nostra qualità va tutelata e per questo pensiamo anche al rafforzamento della riconoscibilità del prodotto italiano anche mediante l’istituzione di specifici sistemi di qualità nazionale. Una delle sfide più importanti che ci aspettano — ha proseguito il ministro — è l’attuazione delle misure della nuova Politica Agricola Comune che vale 52 miliardi di euro e sulle quali abbiamo già impostato un lavoro con le Regioni per l’adattamento alle specifiche caratteristiche dei vari territori. Lo stesso abbiamo fatto nel settore della pesca e dell’acquacoltura, programmando investimenti nel periodo 2014-2020 per 537 milioni di euro, con l’istituzione di una task force ministeriale per evitare spreco dei fondi comunitari 2007-2013. Siamo decisi ad andare fino in fondo, come una squadra che vuole raggiungere il migliore risultato. Con tenacia, impegno e dialogo sono sicuro che ce la faremo». (Ufficio stampa MiPAAF)
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Bio: in alto la fiducia delle aziende di trasformazione Presentata al Sana l’indagine Ismea su aziende agricole e imprese industriali del comparto biologico. Le carni fresche e trasformate hanno registrato un +11,3%
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ottimo andamento delle vendite di prodotti biologici spinge in alto la fiducia degli operatori del settore. È quanto emerge da un’indagine ISMEA su un panel di circa 500 aziende, tra imprese agricole e industrie di trasformazione, presentata lo scorso 8 settembre al SANA, Salone internazionale del naturale e del biologico, organizzato da BolognaFiere in collaborazione con FEDERBIO. L’indagine ha evidenziato, presso gli operatori del bio, con particolare riferimento alla fase industriale, un sentiment positivo e nettamente migliore rispetto al clima di fiducia rilevato per il settore alimentare nel suo complesso. I giudizi sull’andamento degli ordini (in particolare quelli esteri in area UE), sul livello delle scorte e soprattutto sulle aspettative di produzione sono favorevoli o molto favorevoli; l’ottimismo prevale inoltre sull’evoluzione del settore nella seconda metà del 2014. Nonostante la crisi economica, il mercato italiano del bio continua a crescere, confermando una dinamica positiva in atto ormai dal 2005.
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Sulla base delle elaborazioni ISMEA dei dati del Panel famiglie Gfk-Eurisko, nei primi cinque mesi del 2014 gli acquisti domestici di biologico confezionato presso la GDO sono aumentati del 17,3% in valore rispetto ai primi cinque mesi del 2013, mentre nello stesso periodo la spesa agroalimentare è risultata in flessione (–1,4%). Il consistente incremento del biologico, risulta essere il più alto degli ultimi dodici anni, poiché solo nel 2002 vi era stato un aumento più elevato. Nonostante si riferisca comunque soltanto ad un periodo di cinque mesi, tale crescita dipende da una serie di fattori che possono essere così riassunti: • aumento del numero di referenze e della profondità di gamma dei prodotti bio nella GDO; • introduzione nella GDO di nuove linee di prodotto che negli anni passati non erano presenti (es. pasta Senatore Cappelli, prodotti a base di kamut, farro, grano saraceno); • segnali positivi dal mercato che hanno indotto ad offrire questi prodotti;
•
introduzione di nuove private label bio anche nei discount. Il comparto biologico sembra quindi ancora andare in netta contro tendenza rispetto al settore food nel suo complesso, oltre che mostrare un promettente tasso di incremento che apre speranze su un possibile ampliamento della quota di mercato nell’ambito dei consumi nazionali. Nell’analisi per categoria, la dinamica dell’anno in corso è dipesa in modo particolare dai forti aumenti fatti registrare dalla pasta, dal riso e dai sostituti del pane e dalla categoria “zucchero, caffè e tè”. Incrementi dall’11 al 15% si registrano per gli ortofrutticoli, biscotti, dolciumi e snack. Le carni fresche e trasformate hanno registrato un +11,3%. Aumenti più contenuti si registrano invece per le uova (+5,2%), i lattiero-caseari (+3,2%) e le bevande bio (+2,5%), mentre molto buoni sono risultati gli incrementi per il miele. Gran parte dei consumi di prodotti bio confezionati sono concentrati su poche categorie: le prime quattro (ortofrutta fresca e trasformata, lattiero-caseari, uova, pasta, riso e
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Molto buoni gli incrementi degli acquisti anche per la pasta, che gode anche dell’introduzione di nuove referenze di maggiore qualità con formati speciali e di un assortimento più ampio. Ciò ha portato ad un incremento delle famiglie acquirenti e della spesa media per famiglia. A questo proposito va evidenziato che di recente tutti i prodotti a base di kamut, e quindi anche la pasta, in forza di una disposizione da parte del detentore del marchio devono essere immessi sul mercato solo con la certificazione.
sostituti del pane) coprono nel 2013 circa il 71% della spesa complessiva sostenuta dalle famiglie italiane presso la GDO. Ciò che valorizza ancora di più le buone performance del comparto bio è il confronto delle relative tendenze con comparti di prodotti analoghi aventi un riconoscimento di qualità e con l’intero settore agroalimentare. Negli ultimi anni, la spesa bio ha sempre registrato performance migliori rispetto ad altri settori “di qualità” (prodotti e vini DOP e IGP) e all’agroalimentare nel complesso. Fonti ISMEA – Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (www. ismea.it) SINAB – Sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica (www.sinab.it) MIPAAF – Ministero italiano delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (www.politicheagricole.it) CIHEAM – Istituto agronomico mediterraneo (www.iamb.it)
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Salame Cacciatore Dop, da oggi anche in vaschetta I Salamini Italiani alla Cacciatora Dop saranno disponibili anche già affettati in pratiche vaschette. La scelta di intraprendere questa nuova operazione commerciale, fortemente voluta ed appoggiata dal Consorzio di Tutela del Salame Cacciatore Dop, è stata dettata dalla volontà di dare ai consumatori un prodotto pronto al consumo e ancora più versatile. Preaffettato in vaschetta, questo prodotto di eccellenza della salumeria italiana avrà da oggi ancora più occasioni di consumo: sfizioso durante la pausa pranzo, gustoso per una merenda al parco e pratico per tutte quelle occasioni in cui abbiamo poco tempo ma necessitiamo di uno spuntino rapido e goloso, già pronto all’uso. «Il Salame Cacciatore Dop affettato può rappresentare uno snack veloce e corretto da un punto di vista nutrizionale in grado di soddisfare i gusti di un pubblico molto vasto, anche perché può essere utilizzato come ingrediente di fantasiose ricette» spiega Lorenzo Beretta, presidente del Consorzio Salame Cacciatore Dop. «Le aziende che aderiscono al Consorzio proporranno sul mercato diversi formati: dalla vaschetta piccola da 60 grammi, perfetta per uno spuntino veloce, fino ai formati più grandi, ideali per soddisfare le esigenze di tutta la famiglia». Con volumi produttivi che nel 2013 hanno raggiunto i 3,6 milioni di chilogrammi e un fatturato alla produzione di circa 40 milioni di euro, il Cacciatore è il salame Dop più consumato dagli Italiani. Il Consorzio Costituitosi a maggio del 2003, con lo scopo di proteggere e promuovere i Salamini Italiani alla Cacciatora Dop, il Consorzio Cacciatore rappresenta oggi 26 aziende. I consorziati hanno un’etichettatura comune e uniforme (un tassello consortile di facile e d’immediata identificazione) per facilitare la riconoscibilità del prodotto per il consumatore. Il Consorzio ha la facoltà di agire su tutta la filiera del prodotto Salamini Italiani alla Cacciatora Dop, anche verso i soggetti non consorziati; dispone di poteri di vigilanza, grazie anche a propri “agenti vigilatori” in grado di contrastare abusi, imitazioni, atti di pirateria e contraffazione su tutto il territorio nazionale e non solo. Si rende promotore di programmi per migliorare la qualità della produzione in termini di sicurezza igienico-sanitaria, caratteristiche chimiche, fisiche, organolettiche e nutrizionali del prodotto tutelato. Il riconoscimento del Consorzio da parte del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali — avvenuto nel 2005 — lo rende l’organo ufficialmente accreditato a svolgere le funzioni di informazione, tutela e valorizzazione dei Salamini Italiani alla Cacciatora Dop. (IVSI – Istituto Valorizzazione Salumi Italiani)
Con Beppino Occelli al Salone del Gusto Dal 23 al 27 ottobre a Torino si terrà la decima edizione del Salone internazionale del Gusto, organizzato da Slow Food, Regione Piemonte e Città di Torino. L’evento è un luogo d’incontro e aggregazione dove si praticano l’economia e lo scambio della cultura enogastronomica. L’obiettivo è fornire ai consumatori-visitatori delle indicazioni per conoscere ed imparare a scegliere il cibo. Ecco perché il Salone diviene un vero e proprio luogo di dibattito sui grandi temi: dalle filiere ai consumatori, dalla pubblicità all’educazione, tutto, insomma, quello che concerne enogastronomia ed economia ad essa legata. Beppino Occelli, che da sempre condivide e sostiene la filosofia Slow Food, prenderà parte anche a questa edizione. Il Castelmagno di Alpeggio Dop “gran riserva” ed il Burro Stelle Alpine sono alcune delle novità che saranno presentate dalla maison Occelli alla kermesse di Torino. Appuntamento imperdibile al Padiglione 2 – Stand 2D 118 >> Link: www.occelli.it
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Bresaola della Valtellina e moda, abbinamento di tendenza Good Food in Good Fashion è un’iniziativa che si è svolta a Milano durante la Settimana della Moda Donna dal 17 al 23 settembre scorsi. Una settimana ricca di stimoli ed appuntamenti, in cui anche la Bresaola della Valtellina Igp è stata reinterpretata da prestigiosi chef che hanno realizzato fantastici fashion appetizer ispirandosi alla collezione di Claudia Gian Ferrari, in mostra a Palazzo Morando. «Dopo l’esperienza di aprile, dove abbiamo partecipato al Good Food In Good Design in concomitanza con il Fuori Salone del Mobile, abbiamo aderito con entusiasmo a questa edizione abbinata alla moda, perché riteniamo molto importante promuovere, attraverso la cucina d’autore, le eccellenze agroalimentari lombarde e il made in Italy di cui il nostro prodotto è un degno rappresentante» ha affermato il presidente del Consorzio di tutela Bresaola della Valtellina, Mario della Porta. La Bresaola della Valtellina è tra i salumi quello che meglio risponde alle esigenze nutrizionali del consumatore attento alla propria alimentazione ed agli imperativi di una dieta salutistica, oltre a rappresentare un eccellente ingrediente per la raffinata gastronomia. Il contenuto proteico è elevato, la quantità di grassi molto bassa e l’apporto calorico ridotto, importante il contenuto di ferro, zinco, vitamine B2 e PP (in foto, bresaola della Valtellina Igp con mele di Valtellina Igp su crostone di polenta e veli di Grana Padano Dop realizzata dall’executive chef Augusto Tombolato del The Westin Palace). Il Consorzio Oggi la Bresaola della Valtellina è garantita dal marchio comunitario dell’Indicazione Geografica Protetta, utilizzato esclusivamente dai produttori della Provincia di Sondrio, che si attengono al rigoroso Disciplinare di produzione. Per dare operatività ed efficacia a questa importante attestazione di tipicità, il 23 maggio 1998 si è costituito il Consorzio di tutela Bresaola della Valtellina, riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali con decreto 27 settembre 2004, che garantisce la provenienza di questo raffinato prodotto, ne promuove l’immagine e lo salvaguardia da imitazioni e contraffazioni. (IVSI – Istituto Valorizzazione Salumi Italiani)
Salumi in tavola
Regione che vai, involtino che trovi La varietà degli ingredienti utilizzabili, la facilità con cui si riescono ad assemblare e i tanti modi in cui si possono cucinare fanno degli involtini uno dei piatti più amati di sempre. Ma fate attenzione ai nomi: molto diversi da una zona all’altra d’Italia, possono creare confusione di Clara Scaglioni
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on il termine involtino o rotolo in cucina si intende definire una preparazione che, come principale caratteristica, prevede venga adagiato, all’interno di una falda di carne, di pesce o di verdura, un ripieno realizzato con ingredienti saporiti
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ben amalgamati tra loro. La farcia potrebbe essere sostituita da una fetta di salume, da un formaggio, da una frittata o anche da semplici erbe profumate come la salvia, il rosmarino, l’erba cipollina, dall’aroma pungente, che ben si accompagnano alla carne e al pesce esaltandone il
sapore. La falda, una volta farcita, viene in seguito arrotolata a guisa di cilindro e fermata con il refe (lo spago da cucina) o con il classico stecchino perché non si apra durante la cottura. Va precisato che, nel caso in cui l’elemento avvolgente sia una pasta, il termine corretto non è più involtino
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Involtini di lonza di maiale con pancetta (photo © guidecucina.pianetadonna.it).
Involtini ammucca ammucca Ingredienti • 16 fettine di fesa di vitello non molto grandi • 1 grossa melanzana • 1 bicchiere di sugo di pomodoro • 1 uovo • 2 etti di caciocavallo stagionato • 1 etto di pane grattugiato • un ciuffetto di basilico • sale e pepe • olio di arachidi per friggere Esecuzione Sbucciate le melanzane, tagliatele a tocchetti e friggetele in olio bollente. Scolate i pezzetti, lasciateli raffreddare, versateli in una ciotola, aggiungete il basilico sminuzzato, il sugo di pomodoro e il caciocavallo grattugiato. Amalgamate bene i vari ingredienti e subito dopo preparate le fettine di carne ben stese sul piano di lavoro. A cucchiaiate mettete il composto in mezzo ad ogni fettina, arrotolatela su se stessa chiudendola da tutti i lati e comprimendola. Passate un involtino per volta nell’uovo sbattuto e poi nel pane grattugiato. Friggete gli ammucca ammucca in olio abbondante e serviteli caldi.
Involtini all’aceto balsamico Ingredienti • 18 fettine sottili di fesa di maiale • 18 fettine di pancetta • 18 bastoncini di parmigiano-reggiano stagionato • 2 cucchiai di aceto balsamico • 1 mestolo circa di brodo di carne o di dado • sale e pepe • olio d’oliva q.b. Esecuzione In questo ordine, stendete la carne, la pancetta e il formaggio, arrotolate l’involtino tenendo ben chiuse le estremità in modo che non esca il formaggio durante la cottura. Non è necessario legare gli involtini perché la carne funziona bene da collante. Infarinate gli involtini e metteteli in una padella con un poco d’olio d’oliva in modo che stiano bene appaiati. Rosolateli a fuoco moderato da tutte le parti ricordando che non debbono arrostire. Quando sono rosolati salateli, sfumateli con il brodo e un cucchiaio di aceto e fate andare ancora per una decina di minuti. Appena il liquido si sarà assorbito spegnete e aggiungete il resto dell’aceto.
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bensì rosetta, fagottino, crespella, cannellone o altro. Per preparare i classici involtini la regola consiglia di utilizzare delle fette di carne magra: le migliori sarebbero quelle di vitello, ma ottimi risultati si ottengono anche con il maiale, il vitellone, il bovino adulto, il pollo e il tacchino. La falda di carne andrebbe sempre battuta e assottigliata con il batticarne, facendo molta attenzione a non romperla perché la caratteristica di questo piatto è una cottura rapida, per la quale tenerezza e sottigliezza sono requisiti fondamentali. Attenzione particolare occorre avere quando si avvolgono i pesci prima sfilettati poi farciti, come la sogliola, il branzino o i tranci di spada e di tonno. I pesci devono essere freschissimi e vanno manipolati il meno possibile perché non si sfaldino e mantengano in cottura la loro forma iniziale. La varietà degli ingredienti utilizzabili, la facilità con cui si riescono ad assemblare e i tanti modi in cui si possono cucinare fanno degli involtini uno dei piatti più amati e presenti ovunque. Attenzione ai nomi Da un’analisi approfondita sulla cucina delle varie regioni italiane risulta che preparazioni similari si trovano un po’ dappertutto; sono però chiamate, di volta in volta, con nomi differenti, che spesso ingenerano confusione. A Milano, ad esempio, gli involtini vengono chiamati polpett, mentre le polpette vere e proprie sono i mondeghili. In Friuli quelli realizzati con un ripieno avvolto nelle foglie di verza non si chiamano “verzotti” ma rambasicci. In Liguria gli involtini di carne si chiamano tomaxelle e la ricetta classica prevede che la fetta di vitello venga farcita con macinato, sempre di vitello, a cui vengono aggiunti una tettina di vitello prima lessata poi tritata, un panino bagnato nel brodo, pinoli, funghi secchi prima ammollati, prezzemolo e maggiorana. In Piemonte, dove l’involtino prende il nome di rollata e si può realizzare con vitello, manzo, pollo o altro tipo di carne, la fetta avvolgente,
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Involtini impanati con prosciutto, prezzemolo e fontina (photo © www. leifoodie.it). prima di essere legata, viene farcita con fette di prosciutto cotto o di lardo, salsiccia tritata, uovo sodo o altro ancora, a seconda dei gusti personali di chi la cucina. Una volta cotta e tagliata a fette, i vari strati colorati daranno piacere al palato e alla vista. Nell’Italia meridionale, compresa la Sicilia, quando si parla di involtini si usa la parola braciola, che sta a indicare la fettina adatta all’involtino classico, mentre in tutte le altre regioni questa denominazione indica la fetta con l’osso, che a seconda della grandezza diventa braciolona, braciola, bracioletta, braciolettina, ecc… Piatto tipico campano delle feste di famiglia più importanti, le braciole si fanno con fettine di maiale piuttosto spesse, farcite con prosciutto, caciocavallo, uvetta, pinoli tritati, prezzemolo e basilico. Stufate su di un battuto di sedano, carota e cipolla, vengono cotte a fuoco lento per alcune ore, con aggiunta di passata di pomodoro e vino bianco. Il risultato, a fine cottura, è una carne delicata immersa in una gustosa salsa scura, lucida e densa, adatta a condire la pasta. Nella cucina siciliana non vanno dimenticate le specialità tipiche più
conosciute, come le sarde a beccafico e gli involtini di pesce spada, ma accanto a queste, legate alla pesca, ne esistono tante altre legate alla terra. Nel ragusano molto apprezzati sono gli involtini di fesa di vitello farcite con un ripieno a base di caciocavallo e melanzane prima ridotte a piccoli pezzetti poi soffritte. Proprio le melanzane, verdure tra le più saporite di questo territorio, rendono gli involtini talmente gustosi da essere chiamati involtini ammucca ammucca. Lo strano nome dato al piatto non ha però nulla di misterioso: deriva infatti dalla parola siciliana ammuccari, che significa divorare, ingoiare con voluttà. Sarebbe come dire che, quando gli involtini arrivano in tavola, al solo vederli viene l’acquolina in bocca e si prova il desiderio primitivo e impellente di farne una gran scorpacciata! Clara Scaglioni Nota A pagina 68, involtini di carne di pollo con prosciutto, formaggio e salvia (photo © italiansdoeatbetter. blogspot.it).
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Sapori mediterranei
Miele e tempi moderni di Riccardo Lagorio
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on la crisi il carrello della spesa è in trasformazione. Viene di moda il pane preparato in casa, crollano i consumi dei cibi pronti, ma soprattutto si registra un aumento record della spesa per miele (+12%), farina (+7%), uova (+5%), in netta contro tendenza rispetto al calo complessivo degli acquisti alimentari stimato pari al 4%. È COLDIRETTI a diffondere questi dati relativi al 2013: un ritorno al “fai da te” in cucina che ricorda a tratti l’economia di guerra. In particolare questo aspetto inquietante si riscontra proprio negli acquisti di dolci e pasticceria, che allietavano i fine settimana delle famiglie italiane, tagliati del 10% nei sei anni che vanno dal 2008 a tutto il 2013. E malgrado il clamoroso
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incremento di consumo di miele, la quantità utilizzata in Italia si stabilizza intorno ai 400 grammi pro capite, praticamente la metà di quello portato in tavola dai Greci ed ancor meno dai Tedeschi (che ne impiegano un chilo e mezzo) e dai Danesi (kg 1,3). Lunga tradizione e mieli pregiati Nondimeno l’Italia ha una lunga tradizione apistica e negli anni Trenta erano censiti 100.000 apicoltori che il conflitto mondiale spazzò praticamente via. L’interesse verso il settore scemò e fu ingiustamente trascurato per decenni, riprendendosi negli anni Settanta, specie per l’intervento delle politiche comunitarie, tanto che oggi il numero complessivo di addetti professionisti si stima intorno alle 20.000 unità e il valore del miele ammonta
a 45 miliardi. In Italia, a fronte di un fabbisogno di circa 23.000 tonnellate, la produzione annua si aggira intorno alle 12.000 tonnellate, con un deficit molto elevato derivante dall’importazione da altri Paesi (soprattutto dal continente americano ed est europeo). Eppure qui da noi si producono, grazie a particolari condizioni climatiche ed alla professionalità degli apicoltori, oltre 30 tipologie di miele pregiato malgrado la monocoltura, la perdita degli ecosistemi boschivi e l’agricoltura intensiva con l’utilizzo massiccio di diserbanti e pesticidi. Secondo la legge È l’Europa a definire in maniera precisa e univoca il prodotto che si può chiamare miele: “si intende per miele il prodotto alimentare che
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In Italia si producono, grazie a particolari condizioni climatiche ed alla professionalità degli apicoltori, oltre 30 tipologie di miele pregiato. le api domestiche producono dal nettare dei fiori o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o che si trovano sulle stesse, che esse bottinano, trasformano, combinano con sostanze specifiche proprie, immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell’alveare”. Si specifica altrove che al prodotto come tale non può essere aggiunta nessun’altra sostanza. Impossibile sbagliarsi in buona fede, quindi. Non si può definire miele un prodotto a cui sono state aggiunte da parte dell’uomo sostanze zuccherine, neanche attraverso l’alimentazione alle api, come non è possibile chiamare miele una sostanza a cui si sono addizionati aromi, oli essenziali, conservanti. Attenzione alle frodi Vi sono però quattro tipologie di frodi che facilmente riescono ad aggirare il consumatore: l’aggiunta di sciroppi zuccherini, una denominazione scorretta, l’indicazione geografica ingannevole e soprattutto la vendita di miele industriale come miele. Il miele
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industriale o miele per pasticceria è un prodotto che, pur idoneo per il consumo umano, presenta difettosità (odore e sapore estraneo alla natura del miele, elementi fermentativi) dovute alla cattiva conservazione tali che non dovrebbe essere destinato al consumo tale e quale. Si aggiunga che l’industria agroalimentare è oggi in grado di produrre dei composti molto simili al miele, sciroppi che vengono anche offerti come alimentazione alle api elaborati partendo dall’amido del mais o di altri cereali sottoposti a processi enzimatici che portano ad ottenere un elevato quantitativo di fruttosio, gli HFCS (High Fructose Corn Syrup). Il fenomeno si è aggravato da quando la Cina è diventata il maggior fornitore dell’Unione europea poiché il miele che proviene da là presenta molto spesso processi fermentativi bloccati proprio per l’esportazione, ma che ormai hanno alterato interi container. Le differenze più significative tra miele e miele derivano peraltro dalla variabilità del nettare che costituisce
la materia prima di cui si approvvigionano le api e ciascuna varietà di miele possiede specificità relazionate non solo al gusto ma anche alle variabili salutistiche che si porta dietro. Le regole dettate da Bruxelles prevedono che si possa definire l’origine floreale qualora il miele provenga da tale origine e ne possegga le caratteristiche organolettiche e chimico-fisiche. Secondo noi A livello nazionale esistono numerosi concorsi rivolti a valutare le caratteristiche organolettiche del miele. Iniziative tutte volte a far sì che il miele possa avere il giusto ruolo che si merita nella piramide alimentare dei connazionali. Non possiamo però sottrarci al compito di segnalare ai nostri lettori alcuni mieli che ci hanno particolarmente convinto sotto il profilo organolettico. È il caso del miele di castagno dell’apicoltura FRANCO RONDINELLA di Ripacandida (Potenza; telefono: 0972 644011 – 0972 644289, info@mielerondinella. it, www.mielerondinella.it), alle
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pendici del monte Vulture. Franco ama il suo lavoro e ne fa trasparire l’impegno nel punto vendita, curato come se fosse il migliore angolo della casa per gli ospiti. Cento i quintali di miele annui invasettati, alcune delizie come le confetture con miele (dove il contenuto percentuale di frutta è pari al 70%; strepitosa la confettura di fragole) e le creme spalmabili (che contengono cacao, nocciole e miele). Meticolosità certosina nella scelta dei luoghi dove posizionare gli alveari, ma soprattutto durante la smielatura: Rondinella tiene ad esempio separati i millefiori estivi da quelli autunnali o primaverili (evidentemente le essenze conferiscono gusti diversi al risultato finale). Il suo miele sta riscuotendo grandi successi in Russia. Primo fra tutti quello di castagno, dal colore ambra, naso intenso ed aromatico, sapore persistente, complesso e dal dolce poco marcato. Per trovare un altro miele di castagno degno di nota ci si deve spostare nel Reatino, ottenuto a oltre 1.100 metri di altitudine sopra Corvaro, frazione di Borgorose, nella Valle di Malito. FABRIZIO CORAZZA (telefono: 3468 349167) sposta i pochi alveari all’interno della Riserva Naturale Montagne della Duchessa e ottiene così un miele privo di qualsiasi tipo d’inquinamento che va a ruba tra i pochi che riescono ad aggiudicarselo.
Bisogna invece recarsi a San Ferdinando (RC), da FRANCESCO ARTESE (telefono: 0966 765014), per uno dei migliori mieli d’arancia. La produzione è particolarmente vincolata agli andamenti climatici e il prodotto si contraddistingue per il colore giallo chiaro, l’odore della zagara ed il sapore gradevolmente dolce, mai stucchevole. Ancor più delicato è il miele di asfodelo che si può trovare da SALVATORE MARREDDA a Benetutti, in Sardegna (telefono: 079 796552). La fioritura degli arbusti avviene tra gennaio e maggio, ma il miele si produce tra marzo e aprile. Ha colore chiaro e si cristallizza con facilità, assumendo colore biancastro o perlaceo. Il profumo è appena accennato, ricorda il gelsomino, così come la dolcezza è soave, quasi impercettibile il retrogusto acidulo. Altrettanto raro ed in balia delle bizze meteorologiche è il miele di marasca. Quello ottenuto sui rilievi del Carso, prodotto dalla COOPERATIVA CASA DELL’APE di Gorizia (telefono: 0481 535624) — i cui soci ogni anno si attrezzano per brevi transumanze alla ricerca dei luoghi migliori per la fioritura del ciliegio di Santa Lucia — si caratterizza per il colore ambrato con sfumature rossastre, profumo di mandorla e bouquet floreale che si ripercuote con gradualità in bocca.
La prima operazione alla quale vengono sottoposti i melari consiste nell’eliminare i copercoli di cera che chiudono le celle contenenti il miele (photo © 95acresofsky.files.wordpress.com).
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Gli alveari all’interno della Riserva Naturale Montagne della Duchessa di Fabrizio Corazza (RI). Ben più complessa la transumanza degli alveari di CHRISTIAN MASSARA che dal suo agriturismo La Biandrina di Carpignano Sesia (Novara; telefono: 0321 825063) pratica una transumanza di medio tragitto fin sopra Varallo, in quei luoghi incontaminati tra 1000 e 1800 metri dove la fioritura del rododendro permette di ottenere un miele dal colore giallo carico, quasi beige, dai profumi floreali spiccati e sapore dolce delicato. La Pianura padana è luogo ideale per la fioritura dei tigli. Il bresciano EDOARDO MOMBELLI (telefono: 3477 510922) raccoglie il lavoro delle api che li bottinano lungo i fiumi ed i canali di Quinzano d’Oglio, della Bassa bresciana e della vicina provincia di Cremona, lontano da elementi inquinanti che ne potrebbero alterare le caratteristiche di salubrità. Facilmente il miele di tiglio si cristallizza, cambiando colore da giallo chiaro ad avorio, mantenendo un tipico odore mentolato ed un sapore decisamente dolce. Un miele dolce-salato lo si ottiene invece nella laguna veneta dalla fioritura del Limonium vulgare, anche detta fiorella di barena. I piccoli fiori, spesso invasi dal salmastro dell’andamento delle maree, trasmettono al miele color ambra il caratteristico retrogusto salato. Uno dei maggiori produttori di questo miele davvero singolare si trova nelle campagne
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di Mira e sposta gli alveari in laguna: LUCA SEMENZATO (telefono: 041 477103). G IANNI M ORANDI e C ATHERINE BUJARD gestiscono invece 35 arnie in Val Mesolcina, nel cantone Grigioni (telefono: +41 91 8274110). Il loro è un hobby, fatto con passione ed impegno, molto spesso volto a sperimentare modalità di utilizzo alternative del miele. Partendo da un ottimo millefiori (in prevalenza composto da castagno, tiglio e rododendro) raccolto intorno alla Torre Pala che guarda la piccola e fertile pianura prodotta dalle esondazioni del Moesa, ma anche a Soazza e Mesocco, la materia prima viene talvolta aromatizzata ottenendo inaspettati interessanti risultati. Tra quelli più significativi, il miele aromatizzato allo zenzero fresco e alla salvia e timo. I prodotti utilizzati sono sempre biologici. Un’altra interessante frontiera aperta dalla coppia Morandi-Bujard è la crema di miele, un composto di solo miele ottenuto grazie ad un particolare procedimento che rende la materia prima simile ad uovo montato a neve. In collaborazione con la storica CANTINA BOLDINI, sempre di San Vittore, si stanno sperimentando liquori e distillati di miele. Lune di miele Il miele di castagno è ideale come merenda sul pane e burro, mentre dato il suo retrogusto lievemente amarognolo ci pare poco indicato come dolcificante. Qualcuno lo suggerisce come accompagnamento di formaggi piccanti e stagionati. Visto la idiosin-
Diversi tipi di miele. Il più comune è il Millefiori. crasia di chi scrive nei confronti di chi abbina confetture, miele ed altro ancora al formaggio (da consumarsi puro o eventualmente con tipologie differenti di pane), mi astengo dal dare giudizi. Il miele d’arancio è un ottimo dolcificante per tisane ed infusi, di cui ne esalta le doti organolettiche. Il miele di asfodelo, per la sua delicatezza, è perfetto per addolcire il caffè (posto che non riusciate proprio a fare a meno di berlo tal quale), il cui spettro di acidità può essere dilatato proprio da questa tipologia. Anche il miele di marasca potrebbe essere utilizzato per il caffè, ma soprattutto per macedonie di frutta, dato il suo piacevole ammandorlato.
Un sottile filo di miele di rododendro può invece arricchire i gelati alle creme, quello di tiglio rendere sfizioso un gelato di frutta ricoperto di granella di nocciola. Insolito può essere l’utilizzo del miele di barena, come accompagnamento a piatti di crostacei, grazie alla peculiare caratteristica salmastra. I mieli aromatizzati allo zenzero o con altre erbe aromatiche sono senz’altro un’ottima opportunità per tornare alla più sana delle colazioni: pane, burro e miele. Riccardo Lagorio Nota A pagina 73 miele e drizzler in legno.
Se non ci fosse stato il miele il destino sulle nostre tavole delle seadas, o sebadas — piatto tipico della tradizione sarda a base di semola, formaggio e miele — sarebbe stato ben diverso e probabilmente ce le troveremmo ancora come portata dopo un bel piatto di malloreddus o di fregola. E non perché nel tipico menu sardo si è deciso di passare direttamente al dolce, ma perché in origine erano considerate un secondo piatto essendo l’ingrediente principale il formaggio, nella fattispecie pecorino (inizialmente si usava formaggio fresco di pecora inacidito ma in alcune zone anche formaggio vaccino). Nata nelle aree della Sardegna dedite alla pastorizia, preparata un tempo in occasione delle feste pasquali e oggi reperibile in ogni periodo dell’anno, appena pronta la seada si frigge in abbondante olio extravergine d’oliva, o come un tempo anche nello strutto, e si cosparge con zucchero o miele. Generalmente viene proposta ricoperta di miele di arancia o corbezzolo; quest’ultimo è senza ombra di dubbio il più caratteristico della Sardegna, il suo profumo è di media intensità e ricorda quello delle foglie d’edera e dei fondi di caffè.
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Turismo enogastronomico
Prosciutto d’Oltremura Igp, la Slovenia che ci piace Terra ricca di tradizioni gastronomiche, negli ultimi anni è diventata una destinazione particolarmente interessante per gli appassionati di cibi e vini. Tra le eccellenze salumiere, il prosciutto d’Oltremura, oggi tutelato dall’Identificazione Geografica Protetta di Riccardo Lagorio
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oi Italiani siamo spesso tacciati di provincialismo nei confronti dell’Europa: ce ne interesseremmo poco, non la conosceremmo a dovere. E non è facile controbattere a queste asserzioni: è sufficiente chiedere ad un italiano di elencare almeno cinque prodotti DOP o IGP foresti. A questa mancanza concorre forse l’abbondanza di prodotti tricolore inseriti negli elenchi europei, che però non ci esime dall’avere almeno una sommaria conoscenza di quanto avviene altrove nel continente. Verso la conoscenza dei prodotti europei ha contribuito
negli ultimi anni la pubblicazione, da parte della nostra casa editrice, del ciclopico Euro Genuine Food. Tra i prodotti marchiati UE lo sloveno Prosciutto d’Oltremura IGP (Prekmurska Šunka) ha recentemente ottenuto la protezione (aprile 2014). I fiumi Mura e Raba delimitano lo spazio del territorio sloveno, confinante con l’Austria e l’Ungheria, all’interno del quale è possibile effettuare la produzione. Sempre qui devono essere allevati i suini e deve svolgersi l’intero processo di produzione. Dalla medesima area proviene anche il cibo che serve per alimentare gli animali.
I suini avviati al macello hanno peso variabile tra 140 e 160 kg. Il Prosciutto d’Oltremura IGP si ottiene da cosce di suino disossate che conferiscono al prodotto finale la caratteristica forma a pera. Si può risalire con facilità al nome dell’allevatore grazie ad un codice che viene impresso sulla coscia. Una volta disossata, la coscia si sala a secco depositandola in apposite vasche per quattro settimane. La risistemazione dei prosciutti nelle vasche avviene settimanalmente: quelli sul fondo vengono portati in superficie in maniera tale che si concreta una pressatura naturale.
Il Prosciutto d’Oltremura (photo © www.passero.si).
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Una delle sale del Salumificio Kodila, specializzato nella produzione di Prekmurska Šunka. Nel Salumificio Kodila, uno dei meglio attrezzati della zona, si utilizza il sale di Pirano DOP per meglio rappresentare la relazione con il territorio nazionale. La struttura, aperta nel 2011, dal tetto in paglia e i muri costruiti in fango secondo i criteri della tradizione pannonica e della moderna bioarchitettura, consente di affumicare il prosciutto ad una temperatura che va dai 15°C ai 25°C. L’affumicatura a freddo con legna e segatura di faggio si svolge in apposite camere, prive di sostegno informatico, e per questa ragione si richiedono molta esperienza e capacità. Una volta conclusa l’affumicatura, il prosciutto passa al locale di stagionatura, dove essicca e matura in maniera naturale per un periodo che parte dai sei mesi in avanti. Nella sala di stagionatura viene introdotta aria dall’esterno che permette di mantenere una temperatura sempre al di sotto dei 15°C. Solo in estate si ricorre a tecniche di raffreddamento dell’aria. Al terzo mese di maturazione il prosciutto viene spalmato con una
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miscela di grasso e farina di grano saraceno che impedisce un’ulteriore essiccazione e consente una più lunga stagionatura con l’obiettivo di acquisire uno specifico aroma e maggiore succosità della carne. Il prodotto finale si presenta dal colore rosso bruno, con venature di grasso più o meno marcate, profumato di carne matura. Il metodo migliore per consumare il Prosciutto d’Oltremura IGP è tagliarlo a fette spesse un centimetro e poi a tocchetti: si assapora così il piacevole e delicato ma persistente sentore di fumo. Ideale l’accompagnamento con il Franconia della vicina cantina Marof (www.marof.eu). Presso Kodila si possono però trovare anche altri prodotti della tradizione oltremurana. Come il prosciutto affumicato a caldo: in questo caso la carne è commestibile subito dopo l’affumicatura. Il marchio Kodila è noto però soprattutto per i ciccioli, elaborati tagliando la pancetta a cubetti e friggendola in particolari padelle. Appartiene alla storia locale anche il salame arricchito da semi di
zucca essiccati che conferiscono un caratteristico piacevole gusto. Con il carré affumicato e la coppa, la gamma dei salumi viene resa ancora più ampia. Kodila ha saputo esaltare negli ultimi anni la nomea dei paté. Hanno tutti come base il fegato suino e sono pastorizzati e privi di conservanti. Quello che ha maggior seguito tra i consumatori è aromatizzato ai semi di zucca, ma di grande attrazione sono anche quelli alle erbe e con selvaggina, gustosi biglietti da visita di questa realtà condotta da quattro generazioni dall’omonima famiglia. Riccardo Lagorio Associazione per la Promozione e Protezione delle Specialità dell’Oltremura Lendavska ulica 1 9000 Murska Sobota Web: www.disi-po-prekmurju.si Kodila d.o.o. Markišavci 44 – 9000 Murska Sobota Web: www.kodila.si
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Valle d’Itria: capocollo e formaggi in masseria di Riccardo Lagorio
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egli ultimi anni le masserie pugliesi hanno saputo conquistare un pubblico sempre più vasto grazie alla propensione degli imprenditori
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locali a ristrutturare edifici storici, valorizzandoli tramite quei servizi che il turista di oggi considera necessari, come attività di svago interne al perimetro aziendale e buona cucina.
Incastonata nella Valle d’Itria, a metà strada tra gli abitati di Martina Franca, Locorotondo e Cisternino, la Masseria della Madonna dell’Arco è una di queste, a guardia di 23 ettari di
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I formaggi tradizionali murgesi esposti nel punto vendita della Masseria Madonna dell’Arco a Martina Franca, Taranto. campi, vigneti, uliveti, pascoli e folti boschi di fragno e querce secolari. Non distante pascolano liberi i cavalli, gli ovini e diversi esemplari dell’asino Martinese, corroborando l’idea di genuinità e rapporto incantato con la natura circostante. Dopo la ristrutturazione della dimora risalente al Seicento da parte della famiglia Carbotti, durata 4 anni, nel 2002 la masseria è diventata operativa. Gli animali che servono all’agriturismo, alla macelleria ed al suo frequentato spaccio vivono allo stato semibrado: suini e bovini. L’alimentazione naturale e le condizioni di libertà di cui godono gli animali costituiscono la miglior garanzia per la bontà delle carni e del latte da cui si ottengono i formaggi tradizionali murgesi.
Nella rivendita la carne viene proposta fresca oppure lavorata e trasformata in salume. Non c’è neanche bisogno di dirlo: tra gli insaccati primeggia il celebre Capocollo martinese, salume per la cui produzione deve essere rispettato un rigido protocollo, tramandato da secoli. «Per la sua produzione bisogna partire dalla carne di suino proveniente dal fascio dei muscoli cervicali posizionati tra la testa e l’inizio della zona vertebrale. Devono pesare almeno 2,5 kg, ma molto spesso arrivano a 4» ci confida Ferruccio Rossani, giovane ed esperto macellaio che segue il sezionamento delle carni e lo spaccio della masseria. «Il Capocollo martinese viene lasciato in concia con sale grosso marino e pepe per due settimane. Lo
“La carne e gli insaccati venduti nello spaccio e presentati secondo tradizione sulle tavole dell’agriturismo della Masseria Madonna dell’Arco a Martina Franca provengono da animali allevati allo stato semibrado. Imperdibili i formaggi ed il celebre capocollo” Premiata Salumeria Italiana, 5/14
laviamo e lo lasciamo in infusione per alcune ore nel vino bianco secco al quale aggiungiamo vin cotto di Alessano ed erbe selvatiche. Infine, lo insacchiamo in budello naturale stringendolo con spago a rete e fasciandolo con tela naturale. Solo così il capocollo riuscirà a maturarsi per i successivi 15 giorni, trascorsi i quali procediamo con l’affumicatura bruciando le cortecce delle mandorle: un’ora al fumo forte e diretto, un’ora aprendo le porte del locale e mantenendovi i capicolli. Infine si riportano nella sala di stagionatura dove rimangono a circa 15°C per i successivi 5 mesi». L’aspetto della fetta deve essere di un rosso vivace, dove le marezzature di grasso siano ben visibili. L’impatto con l’affumicatura sarà deciso ma non violento, sprigionando i sentori della carne ben matura, che risulta morbida e compatta, dalle quasi impalpabili sensazioni aromatiche del vino. I prodotti di salumeria sono esposti nell’elegante frigorifero. Accanto ai capicolli spiccano le pancette aromatizzate al peperoncino, dallo sgargiante colore arancione,
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La pancetta, il Capocollo martinese e altri salumi di produzione propria nel punto vendita della masseria. o al pepe nero. Le pancette vengono proposte nello spaccio già affettate e sottovuoto. La pancetta stesa al pepe nero è ideale involucro della scamorza, prodotta in azienda: se ne fanno gustosi bocconcini avvolgendo con sottili fette i cubetti di formaggio fresco. Anche questo prodotto è venduto sottovuoto e si consuma friggendolo in padella con pochissimo olio: le infiltrazioni di grasso lasceranno trasparire incantevoli filamenti di cacio. «Ma i nostri clienti apprezzano molto le salsicce fresche, adatte per essere passate sulla griglia, siano esse insaporite solo da sale e pepe o anche con peperoncino piccante» continua Rossani. Negli ultimi anni, anche su suggerimento degli avventori, sono state inserite alcune proposte gastronomiche pronte per essere cucinate. «Oggi la loro vendita si aggira intorno al 50% del fatturato della macelleria», ci conferma Anna Lia Ancona, la giovane fidanzata di Giuseppe Carbotti, gerente della fattoria insieme ai genitori. Molte preparazioni appartengono alla tradizione alimentare pugliese come gli gnumariedd’, gli involtini di
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interiora di agnello, o le bombette. Le bombette sono fette alte mezzo centimetro di coppa suina ben segnate dalla presenza di venature di grasso che si passano in sale ed aromi per qualche ora. Successivamente vengono guarnite con caciocavallo aziendale, richiuse su se stesse ed infilzate su stecchi dalla misura adeguata. Ne esiste una variante che prevede l’impanatura. A casa verranno cucinate al forno oppure cotte alla brace, non a fuoco diretto, ma con il riverbero del calore. Per quanto riguarda la carne bovina, nei recinti pascolano animali di razza Marchigiana e Charolaise o loro incroci. «La carne che danno viene sottoposta a breve frollatura poiché i consumatori non la richiedono e non sono abituati a tempi prolungati», riprende Rossani. E non apprezza neppure la carne troppo marezzata, aggiungo io, avendo potuto scorgere le costate di scottona pronte per essere esposte nel frigorifero a vista. Carne magra e poco frollata, quindi. Gli animali di bassa corte come galline e conigli vengono ospitati in
comodi recinti, con ampio spazio per la mobilità. Sui tavoli dell’agriturismo arrivano piatti elaborati da animali allevati in azienda, formaggi preparati con la perizia di preparati casari e ricette che prevedono anche il loro assemblaggio, come le ottime scaloppine alla mozzarella. Trippe, minuscole polpette e salumi sono solo una parte di un menu fatto anche da cacioricotta, scamorze e sbalorditive mozzarelline di capra. Dopo aver visitato la settecentesca chiesetta all’interno della masseria dedicata a Santa Anastasia, riposerete nei caratteristici trulli. Riccardo Lagorio Masseria Madonna dell’Arco Via Madonna dell’Arco Zona M89 74015 Martina Franca (TA) Telefono: 080 4805135 E-mail:info@masseriamadonnadellarco.it Web: www.masseriamadonnadellarco.it Nota A pagina 80 uno scorcio dei trulli della Masseria Madonna dell’Arco a Martina Franca, Taranto.
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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com
Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar Premiata Salumeria Italiana, 5/14 83 perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.
Eventi
Tutte le forme della mozzarella Bianca, tonda, morbida, succosa: a Paestum grandi chef di fama internazionale e giovani emergenti chiamati a presentare piatti e ragionamenti sulla Mozzarella di Bufala Campana Dop di Luciana Squadrilli
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a Mozzarella di Bufala Campana DOP è uno dei simboli del made in Italy gastronomico, invidiata (e copiata) in tutto il mondo. È talmente buona da dare il meglio di sé nature ma, ogni anno, i migliori chef italiani — e non solo — sono chiamati a proporre usi creativi e innovativi di mozzarella & Co., con risultati sorprendenti, e buonissimi. Bianca, tonda, morbida, succosa; grassa al punto giusto, ma mai stucchevole; praticamente la sintesi della perfezione, per non parlare del gusto allo stesso tempo giustamente sapido, leggermente acidulo e incredibilmente lattoso.
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La mozzarella di bufala — o, per essere più precisi e soprattutto per essere sicuri di ritrovare tutte le caratteristiche descritte, Mozzarella di Bufala Campana DOP — è talmente buona così come viene creata dalle esperte mani dei casari che a molti sembra quasi un’offesa volerle aggiungere qualcosa vicino. Nemmeno olio e sale, secondo i puristi, poiché bastano la sapidità intrinseca appena accentuata dalla salamoia e il “latte” bianco e fresco che sgorga ad ogni morso. Al massimo due pomodori e una foglia di basilico, in stagione, a contrastare con la freschezza quella sua “tanta” morbidezza.
Usarla in cucina per molti è un sacrilegio e anche un errore. Meglio, allora, usare il fior di latte (quello buonissimo e super saporito di Agerola, ottenuto dal latte delle vacche che pascolano sui monti Lattari, a trovarlo) più asciutto e meno grasso, e più propenso a filare. E se proprio mozzarella deve essere — come ad esempio su molte pizze gourmet che sempre più spesso vengono proposte in varianti “bufaline” — allora che sia vecchia di qualche giorno, fatta opportunamente scolare in frigorifero e tagliata nel modo giusto, senza romperne le fibre.
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Insomma, l’uso della bufala in cucina è una materia delicatissima. Eppure sono sempre di più gli chef — anche stranieri — che decidono di inserirla nei loro menu: chi lasciandola pressappoco intatta e accostandola ad altri ingredienti, chi lavorandola in maniera ardita e complessa, chi ancora utilizzando dei suoi “derivati”, dal latticello (il liquido ottenuto spremendo o riscaldando la mozzarella stessa) al liquido di governo in cui si conserva. ROSANNA MARZIALE, la chef del ristorante Le Colonne di Caserta, dedica alla bufala (non solo alla mozzarella, ma anche alla sua carne) gran parte del suo menu, dalla “palla di mozzarella” (mozzarella sciolta, farcita con taglierini al basilico, rimozzata, impanata e fritta) alla “scottona di bufala con frutti di bosco e aceto balsamico”. Il giovane cuoco campano PIETRO PARISI — detto “il cuoco contadino”, grande valorizzatore di prodotti del suo territorio — al suo ristorante-
pizzeria Era Ora di Palma Campania (NA) propone una pizza “al lievito fujuto” ottenuta usando per l’acidificazione e fermentazione dell’impasto, al posto di acqua e lievito, un attento blend di liquido di filatura (l’acqua utilizzata per lavorare la mozzarella) e acqua di governo, ricca dei batteri responsabili del processo fermentativo. Le Strade della Mozzarella Ma non sono solo i cuochi campani a cimentarsi con la mozzarella. Anzi, forse i colleghi di altre regioni o nazioni, non avendo un legame “affettivo” con questo prodotto, sono anche più pronti a sperimentare e mettersi in gioco per proporne nuove interpretazioni. È questo lo spirito con cui ogni anno, a Paestum (SA), per tre giorni grandi chef di fama internazionale e giovani emergenti vengono chiamati a presentare piatti e ragionamenti sul delizioso latticino in occasione dell’evento Le Strade della Mozzarella, la bella kermesse ideata alcuni anni fa
da Barbara Guerra e Albert Sapere. In occasione dell’edizione 2014, che si è svolta dal 12 al 14 maggio nelle sale del Savoy Beach Hotel, si è assistito a un “ritorno alla semplicità” che rende evidente il grande rispetto che questo prodotto ha guadagnato anche da maestri della cucina internazionale: per la prima volta, infatti, Le Strade della Mozzarella ha ospitato anche chef stranieri di altissimo livello come il catalano QUIQUE DACOSTA, il basco JOSEAN ALIJA e il francese JEAN-FRANÇOIS PIÈGE. Tra i tanti interventi interessanti, alcuni hanno colpito più degli altri non tanto per la tecnica, quanto per il pensiero che vi era dietro. Quasi ogni chef ha cominciato il proprio intervento con una “dichiarazione d’amore” per la mozzarella in sé. ANTONINO CANNAVACCIUOLO, star chef televisivo, ai fornelli di Villa Crespi sul lago d’Orta, ha addirittura esordito addentando un succoso bocconcino e dicendo: «Ecco, questo è il primo piatto che presento».
Da Mauro Uliassi il gelato di Bucarello, polvere di yogurt di bufala, meringa ricoperta di polvere di capperi, polline di acacia, polvere di rovo e di quercia, camomilla e miele “barriccato”, in una straordinaria fusione di sapori contrastanti.
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Lo yogurt di bufala di Niko Romito con mandorle, salvia, limone e nocciole. DAVIDE SCABIN, geniale chef del Combal.0 e creatore di piatti avveniristici ed estremi, è venuto a Paestum a portare “idee, non ricette”, a lanciare dei “segni di pensiero” che ognuno possa poi personalizzare, ispirandosi un po’ ai piatti delle zie di una volta che si cimentavano in cucina armate
di tanta buona volontà, e buon senso. E allora, la mozzarella fresca si mangia così com’è ma se ne dovesse avanzare un po’, e solo allora, piuttosto che farla rovinare in frigorifero va abbattuta subito, poi frullata e messa in forma per farne una originale “terrina” con pomodori e basilico. Oppure la si può
mettere in infusione in del succo di fragole, che ne colora la superficie di rosa (tutt’altra storia rispetto alle famigerate “mozzarelle blu”). Affettandola sottile, si ottiene un insolito carpaccio dolce da guarnire con fragole fresche e piccole meringhe; ma qui, il trucco dello chef c’è eccome,
La MozzyBag, tutto in un boccone Avete presente i tristi bocconcini di “finta bufala” che campeggiano sui buffet di aperitivi e cerimonie, spesso contornati da ancor più esangui pomodorini? Beh, dimenticateli. Lo chef di origini campane Ilario Vinciguerra, ormai da anni di stanza in Lombardia, attualmente chef-patron dell’omonimo ristorante a Gallarate (VA), ha messo a punto con Raffaele Barlotti, insieme ai fratelli al comando di uno dei migliori caseifici di Paestum, un’idea per affermare il sapore tutto meridionale della bufala nel rito milanese (ma non solo) dell’aperitivo. Presentata in anteprima proprio a Le Strade della Mozzarella, la MozzyBag è tanto semplice quanto geniale: durante la tradizionale filatura, le ciliegine di mozzarella vengono lavorate in modo da formare un piccolo incavo da farcire a piacere. Ogni bocconcino diventa così un perfetto contenitore per aperitivi e fingerfood. A Paestum, lo chef lo ha proposto in tre assaggi diversi sia dolci sia salati — battuto di acciughe e pesto, gamberi crudi e pinoli, fragole e origano — ma ci si può sbizzarrire come meglio si crede. >> Link: www.facebook.com/MozzyBag
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Piatto del napoletano Andrea Aprea: tortello di bufala che nasce dalla rivisitazione del “cacio e pepe” romano servito in un cucchiaio (da mangiare in un boccone) su un letto di pepi aromatici ed esotici. visto che si è fatto fare appositamente una mozzarella senza sale dal casaro di fiducia. MAURO ULIASSI, super-energetico chef di Senigallia (AN), interpretando alla lettera il detto (parafrasato) “della bufala non si butta via niente”, ha proposto diversi assaggi a base di prodotti di recupero della mozzarella o affini: dal “cracker” a base di mozzarella e siero che ricrea il sapore di
pizza bruciacchiata, ai cappelletti con prosciutto e piselli a cui la panna di bufala regala un tocco “selvaggio”, fino all’incredibile dessert composto da un gelato di Bucarello (formaggio da latte di bufala proveniente da un allevamento di Senigallia), polvere di yogurt di bufala, meringa ricoperta di polvere di capperi, polline di acacia, polvere di rovo e di quercia, camomilla e miele “barriccato” (fatto “stagio-
nare” in una barrique!), in una straordinaria fusione di sapori contrastanti. Sceglie un dessert — come sempre giocato sul filo dell’acidità e molto poco dolce, come tutti i suoi finepasto — anche l’abruzzese NIKO ROMITO, chef del Reale di Castel di Sangro (AQ). E sceglie lo yogurt di bufala ad accompagnare con il suo sapore pieno e morbido mandorle, salvia, limone e nocciole, di cui modifica struttura e
Tutte le strade portano a Paestum La località campana famosa, oltre che per i magnifici resti dei templi greci, per la qualità assoluta della mozzarella che vi si produce, è ormai diventata la capitale riconosciuta della bufala anche grazie alla manifestazione creata da Barbara Guerra e Albert Sapere. Gourmet e consulenti cilentani con la passione per il buon cibo e un grande amore per il proprio territorio, Barbara e Albert — lavorando a stretto contatto e in ottima sintonia con il Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana Dop e con alcuni imprenditori locali come Peppino Pagano, albergatore e viticoltore cilentano — sono riusciti nell’impresa di coinvolgere negli anni tantissimi chef e cuochi, quest’anno anche stranieri, che si sono innamorati di questo prodotto e ne sono diventati tra I più affezionati testimonial (nonché consumatori, nei propri locali). E lei, la mozzarella, riesce nell’impresa di mettere tutti d’accordo sulla sua bontà, e di far conoscere e appezzare il territorio in cui nasce anche da chi vive e lavora molto lontano ed è abituato ad altri gusti e altri prodotti. >> Link: www.lestradedellamozzarella.it
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consistenza — ora liquida, ora solida e ariosa, ora croccante — in un affascinante gioco di rimandi tra acido, amaro e vegetale. Gioca sulla consistenza pure MORENO CEDRONI — concittadino di Uliassi e creatore, oltre che della Madonnina del Pescatore, anche del suggestivo Clandestino sulla spiaggia di Portonovo (AN) — che ripropone un abbinamento da lui già collaudato: quello tra mozzarella e seppia. Insospettabilmente il latticino e il cefalopode hanno una struttura proteica affine e, opportunamente trattati, acquistano una texture simile. Così avviene nella “polpetta di Momotaro”, delizioso boccone ispirato all’omonima fiaba giapponese, in cui vengono frullati e ricomposti in una sorta di polpetta; lo chef la congela, la passa nel miglio e la frigge ottenendo un bonbon liquido all’interno e croccante all’esterno, da accompagnare con una salsa di mandorle appena dolce, una salsa leggermente piccante di friggitelli, pesche, daikon e friggitelli crudi, salsa di soia e mirin. La seppia torna anche nei piatti di ALESSANDRO NEGRINI — in coppia con Fabio Pisani alla guida della cucina del Luogo di Aimo e Nadia a Milano — e di JOSEAN ALIJA, lo chef del Nerua all’interno del Guggenheim di Bilbao. Il primo ne fa un “raviolo” 100% seppia accompagnato da una serie di ingredienti super mediterranei, dalla gelatina di lampascioni alla maionese di pistacchi di Bronte fino alla marmellata di limoni. E la bufala? Abbraccia il tutto, con una piacevole nota fumé, sotto forma di latticello di provola, ottenuto facendo macerare il latticino affumicato nel latte di bufala per una notte, poi frullando a caldo e setacciando il tutto. Alija, nonostante l’aria da eterno ragazzino, è un grande cuoco e un professionista maniacale: approccia gli ingredienti, solitamente appartenenti al mondo vegetale, come materia di studio e ricerca alla stregua di un ricercatore scientifico. Per Le Strade della Mozzarella ha messo la bufala sul vetrino del suo microscopio immaginario, studiandone sfumature, forme e consistenze e non rinunciando al gusto del gioco: così,
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La Mozzarella di Bufala Campana Dop è un formaggio fresco a pasta filata prodotto esclusivamente con latte di bufala proveniente dalla zona di origine e realizzato secondo il disciplinare di produzione in vigore dal 1996, anno di iscrizione nell’albo comunitario dei prodotti a Denominazione di Origine Protetta. Con esso vengono istituzionalmente riconosciute le caratteristiche organolettiche e merceologiche derivate prevalentemente dalle condizioni ambientali e dai metodi tradizionali di lavorazione esistenti nella specifica area di produzione delimitata, che comprende diversi comuni campani in provincia di Benevento, Caserta, Napoli e Salerno e anche alcune zone del Lazio (tra Frosinone, Latina e Roma) e della Puglia, in provincia di Foggia. Il 58% della mozzarella Dop viene prodotta tra le province di Caserta e Napoli, il 34% a Salerno, il 7% nel basso Lazio e l’1% nel Foggiano. I caratteri essenziali della "vera" bufala sono il latte — quello di bufala è più ricco di proteine, grassi e calcio rispetto a quello di vacca, privo di carotenoidi da cui il colore bianco porcellana, e dal gusto inconfondibile ma che conosce diverse sfumature a seconda della stagione e dell’alimentazione — e la lavorazione che segue ancora i dettami della tradizione, inclusa l’acidificazione con siero innesto naturale (cizza) proveniente dalla lavorazione del giorno precedente e spesso anche la filatura e mozzatura manuale. La Mozzarella di Bufala Campana rappresenta il più importante marchio Dop del Centro-sud Italia e il terzo tra i formaggi Dop italiani. Il Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana, nato nel 1981, è l’unico organismo riconosciuto dal MiPAAF per la tutela, la vigilanza, la valorizzazione e la promozione di questo straordinario formaggio apprezzato in tutto il mondo. (www.mozzarelladop.it)
il pomodorino, svuotato ed essiccato in forno, nasconde un cremoso “latte di mozzarella” aromatizzato all’origano, una sorta di caprese trompe l’œil da mangiare in un boccone. Tanta tecnica nascosta anche nel piatto — un benvenuto del Vun dell’hotel Park Hyatt di Milano — di ANDREA APREA, napoletano trapiantato nel capoluogo meneghino: un tortello di bufala che nasce dalla rivisitazione del “cacio e pepe” romano servito in un cucchiaio (da mangiare in un boccone) su un letto di pepi aromatici ed esotici. La farcia viene ottenuta emulsionando liquido di governo di mozzarella e latte di bufala ed aggiungendovi la mozzarella fresca tagliata a pezzetti. Il mix viene lavorato a 60ºC ed addensato con colla di pesce, poi colato negli stampini ricavando dei “bottoni” con cui farcire la sfoglia. Com’è consuetudine, anche quest’anno a chiudere è stato chiamato uno chef che “gioca in casa” perché campano, perché amico e sostenitore della manifestazione, perché grande amante e conoscitore della mozzarella e da sempre grande interprete dei prodotti regionali: GENNARO ESPOSITO. Proprio lui, testimonial della cucina
mediterranea, ha scelto di chiudere con un dessert in cui un gelato al latte viene servito con una sfoglia a base di burro. Ma si tratta di un burro tutto particolare, e non solo perché di bufala: viene ottenuto a partire da una treccia di mozzarella (dalla texture particolare rispetto alla classica “aversana”) che viene frullata, passata al setaccio e poi fatta riposare in frigorifero fino a che non assume una consistenza simile a quella di un panetto da usare per la sfoglia, che acquista così una friabilità tutta particolare. Queste sono solo alcune delle forme che ha dimostrato di poter assumere la mozzarella durante la tre giorni di Paestum. Si può scegliere di seguire l’esempio e le indicazioni dei grandi chef che si sono susseguiti sul palco del Savoy oppure continuare a mangiarla in purezza, come tradizione comanda. Luciana Squadrilli Note A pagina 84, il carpaccio dolce con fragole fresche e piccole meringhe di Andrea Scabin (photo © Francesca Massa per tutte le immagini utilizzate a corredo dell’articolo).
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Rassegne Quando cultura fa rima con promozione turistica e sviluppo del commercio
L’Italia dei Festival di Elena Benedetti
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ittà che vai, festival che trovi. In Italia il fenomeno dei festival culturali continua a mietere successi di pubblico e visibilità mediatica. E così, mentre il Paese fatica a ripartire, gli Italiani continuano a riempire piazze e teatri per ascoltare rapiti scrittori, scienziati, filosofi, architetti e attori, per non parlare poi dei cuochi! Insomma, questa è forse l’Italia più bella, quella assetata di cultura, curiosa e al contempo godereccia. Un’Italia che nutre la mente con la pancia
possibilmente piena di cose buone del territorio locale. Per portare a casa un bagaglio di esperienze che fanno riflettere, che alimentano interessi e passioni, magari trascurati nei freddi mesi invernali ma che, immagazzinati nel lasso di un fine settimana, avranno l’effetto di dare sollievo allo spirito, un po’ come delle medicine a rilascio graduale. Tra le centinaia di Festival che ogni anno si celebrano ad ogni latitudine dello Stivale, ne ripercorriamo tre: il Festival dell’Economia a
Trento, il FestivalFilosofia a Modena (qui giochiamo in casa e siamo dichiaratamente di parte) e il Festival della Letteratura di Mantova. Tre eventi che, edizione dopo edizione, si confermano catalizzatori di visitatori, buona parte dei quali studenti (e ciò non è cosa di poco conto), promotori di un impatto economico molto positivo sull’indotto del turismo e del commercio locali. Eh già, perché tra una lezione magistrale o la presentazione di un libro o un dibattito di macroeconomia, le
Non è mancata una soluzione veloce ed economica per pranzare e cenare a Modena durante FestivalFilosofia, consentendo così di seguire le lezioni magistrali e di assaporare piatti e prodotti tipici della provincia emiliana. È la “razionsufficiente”, in vendita a 5 euro: un primo caldo, un secondo di carne o pesce, un contorno di verdura o legumi, pizze o panini con misti di formaggi o di affettati, frutta, dolce e acqua (photo © Andrea Nemiz).
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migliaia di visitatori in arrivo in città mangiano, dormono, fanno shopping. Trento, economia Un’ottantina di eventi con oltre cinquanta relatori, 400.000 connessioni alle dirette con internet, un milione e mezzo di accessi al sito solo nella prima giornata. Questi sono solo alcuni dei numeri della IX edizione del Festival dell’Economia, che si è svolto a Rovereto di Trento tra il 30 maggio e il 2 giugno scorso. Numeri che ancora una volta danno l’idea di un grande evento. “Classi dirigenti, crescita e bene comune”, era il tema dell’edizione 2014. «Con il Festival di Trento — ha dichiarato il curatore scientifico Tito Boeri — vogliamo dare il nostro contributo ad un Paese che intende ripartire e compiere una svolta, un contributo che deve però andare al di là della percezione comune e mediatica, dritto al cuore dei problemi. Sul tema del rinnovo della classe dirigente occorre chiedersi innanzitutto quali siano i percorsi formativi e i criteri di selezione di chi va ad occupare le
posizioni di potere. Bisogna quindi affrontare il nodo degli incentivi per garantire che le classi dirigenti non sviluppino un’agenda personale ma rimangano attente all’interesse pubblico e concentrate sulla crescita e il perseguimento dell’obiettivo comune. Il Festival risponderà a queste domande fornendo dati precisi, interpellando economisti al top della ricerca, ma non solo». Il coinvolgimento del territorio si è notato soprattutto nel corso della NotteVerde, una 24 ore no stop che a Rovereto ha coinvolto i visitatori su tre temi: food, città intelligenti e innovazione. Naturalmente il cibo è stato uno degli ingredienti principali dell’intera manifestazione, con il coinvolgimento dei ristoratori e dei bar della città, che per l’occasione sono stati liberi di inventarsi le formule e i menù più originali, sfruttando il potenziale di un centro storico ricco di fascino e di storia. Il Festival dell’Economia si terrà a Rovereto nel 2015 in data da definire. >> Link: 2014.festivaleconomia.eu
Un’opera del progetto “Glorya P. Dispositivo di visibilità” esposto presso la Galleria Art Ekyp Eventi a Modena, realizzato dalla collaborazione tra l’artista Mauro Barbieri e il curatore Fulvio Chimento. Mantova, libri Lo scenario di crisi che si respira in questi mesi è evidente, ma una grande
Piazza Grande a Modena nel corso del FestivalFilosofia edizione 2014 (photo © E. Baracchi, S. Campanini).
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Traffico non solo nelle piazze di Mantova. Durante il Festival della Letteratura il sito e i social hanno registrato una larga interazione. Su Facebook oltre 60.000 persone hanno commentato, cliccato e condiviso notizie.
Food & Book, la seconda edizione a Montecatini Terme dal 10 al 12 ottobre Food & Book, il Festival del libro e della cultura gastronomica, torna a Montecatini Terme dal 10 al 12 ottobre con l’obiettivo di consolidare e sviluppare il positivo risultato della prima edizione. Si conferma il concept che declina “la cultura del cibo, il cibo nella cultura” ma con alcune novità. Per l’edizione 2014 lo svolgimento del Festival prevede la concentrazione degli eventi presso lo stabilimento termale Tettuccio e l’arricchimento del programma sviluppato nelle tre giornate con nuovi appuntamenti. Inoltre, anticipando l’evento da novembre ad ottobre, si potranno utilizzare anche gli spazi all’aperto delle Terme, come il suggestivo colonnato e le aree verdi circostanti. Food & Book vuole affermarsi come “il luogo unico” di presentazione e confronto su quanto di più significativo matura nel settore editoriale dell’agroalimentare, dell’enogastronomia, della storia del cibo e dei romanzi: si farà il punto sulle tendenze emergenti e sui relativi fenomeni socioeconomici, ma ci saranno anche sperimentazioni sul campo e degustazioni selezionate, coinvolgendo importanti professionisti del settore (chef, autori, editori) con la partecipazione attiva del pubblico degli appassionati. Quindi, un momento di incontro a livello professionale B2B e al contempo di richiamo per quello consumer. Il programma prevede presentazioni di romanzi in cui il cibo abbia un ruolo nella narrazione, show-cooking per i quali sarà allestita una grande cucina a vista, cene con gli chef e cene con gli scrittori con menu speciali, eventi come “La Notte Stellata di Food & Book”, in occasione della quale in una quarantina di alberghi e negozi di Montecatini sarà possibile effettuare degustazioni di piatti e specialità alimentari, attività per i ragazzi in uno spazio appositamente allestito per ospitare laboratori, degustazioni, percorsi sensoriali, attività ludiche, presentazioni di libri. Come avvenuto nella prima edizione, ad aziende del settore alimentare (agricoltura, artigianato, industria, ristorazione e distribuzione) che si siano distinte in progetti a sostegno e promozione della cultura sarà assegnato il Premio FoodCult.
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1/2/3) Sono stati oltre 60.000 i partecipanti a Festivaletteratura 2014 a Mantova. Sempre presente al Festivaletteratura la Levoni Spa di Castellucchio (MN). Quest’anno nel desk di piazza Sordello sono stati affettati 435 kg di salumi e serviti 180 cotechini e 875 kg di pane. Uno staff di 12 persone ha preparato panini al momento per un totale di 55 ore in 5 giorni di evento. Uno sforzo considerevole per far fronte alle tantissime richieste da parte dei visitatori giunti a Mantova da tutta Italia. 4) Ricca l’offerta di prodotti tipici della cucina trentina durante le giornate del Festival dell’Economia, tra formaggi, salumi e vini locali (photo © it.julskitchen.com).
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«Il cibo è cultura, con tante sfumature, come testimonia il successo di scrittori di tutto il mondo, l’attenzione costante dei media, l’aumento dei giovani che seguono studi specifici legati all’alimentazione e alla gastronomia. Ecco perché Il Consorzio Tutela Grana Padano collabora da tempo al Festival della Letteratura curando uno spazio di confronto e di degustazione, due aspetti essenziali della conoscenza». Così Nicola Cesare Baldrighi, presidente del Consorzio che riunisce 132 caseifici con una produzione di oltre 4,5 milioni di forme e un export di più di 1,5 milioni, ha presentato “Le parole del cibo”, il ciclo di incontri gratuiti che si è sviluppato nello spazio Tenda del Libri allestito in piazza Sordello nel corso della manifestazione. Ha guidato il pubblico in itinerari di gusto tra alta cucina e design Bruno Gambarotta. Lo scrittore e giornalista ha presentato il libro “Quaranta variazioni geometriche sul tema Grana Padano”.
energia abbinata ad un ottimismo concreto hanno segnato l’edizione 2014, che si è svolta dal 9 al 13 settembre. È nella risposta calda del tanto pubblico intervenuto che si inserisce la soddisfazione degli organizzatori, affezionati all’idea che la voglia di impegno, la riflessione, lo scambio di opinioni, la cultura, possano essere elementi importanti nella ripresa del Paese. Il Comitato promotore ha ancora una volta registrato quel carattere di festa popolare da sempre caratteristica del Festivaletteratura di Mantova che si è ripetuto anche quest’anno: sono ancora i libri letti e discussi, gli autori entusiasti, i partecipanti disposti alla coda per scambiare idee, il successo di Festivaletteratura. Appena archiviata l’edizione 2014 già si pensa al prossimo anno, con iniziative dedicate all’evoluzione del
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lavoro culturale e alla nuova fruizione dei contenuti, in un contesto di giornalismo e di editoria molto fluidi, in corso di radicale cambiamento. I numeri in aumento confortano: sono 66.000 i biglietti staccati e 53.000 i partecipanti agli eventi gratuiti. Traffico notevole anche per le piazze virtuali della rassegna — dal sito agli account social — che hanno registrato larga interazione: un dialogo fatto migliaia di tweet tra pubblico, autori e volontari della redazione; su Facebook oltre 60.000 persone coinvolte che hanno commentato, cliccato e condiviso notizie su Festivaletteratura e più di 700.000 il totale degli utenti raggiunti. Festivaletteratura si terrà a Mantova dal 9 al 13 settembre 2015. >> Link: www.festivaletteratura.it
Modena e i suoi filosofi Per tre giorni “La gloria” ha fatto riflettere tre città. Modena, Carpi e Sassuolo da venerdì 12 settembre a domenica 15 si sono riempite di giovani, studenti, stranieri e cittadini di ogni età. Molto soddisfatti gli organizzatori, come ha sottolineato Stefania Cargioli, presidente del Consiglio direttivo del Consorzio per il FestivalFilosofia e membro del Consiglio d’amministrazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. «Anche quest’anno la manifestazione ha registrato numeri straordinari. Lezioni magistrali, spettacoli e manifestazioni artistiche… Si stima che l’affluenza di pubblico ai 190 appuntamenti in programma — tutti gratuiti — si attesti intorno alle 200.000 presenze. Questa edizione, poi, ha visto maturare le tre città
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Trento e Rovereto ospitano ogni anno il Festival dell’Economia. che lo ospitano, grazie a una partecipazione sempre più consapevole di Modena, Carpi e Sassuolo». È “Ereditare” il tema della prossima edizione. Un argomento complesso, come tutti quelli scelti finora, come ha sottolineato Remo Bodei, presidente del Comitato Scientifico del Consorzio per il FestivalFilosofia. «È una parola che pone l’accento sul passaggio dal presente al futuro. Invita a riflettere sulla trasmissione di esperienze e conoscenze alle generazioni future e sul ricambio generazionale». E naturalmente è stata la gloria l’ingrediente principale dei nove “menu filosofici” ideati da Tullio Gregory che sono stati proposti in oltre 70 ristoranti ed enoteche. L’iniziativa, ormai consolidata, sottolinea la centralità del convito nella civiltà umana e ne celebra gli artefici di cucina e di bottega. Tullio Gregory firma la sezione “cucina filosofica” del FestivalFilosofia fin dalla prima edizione. Già professore di Storia della Filosofia alla “Sapienza” di Roma,
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fondatore del Centro Studi del CNR sul Lessico intellettuale europeo, direttore dell’Enciclopedia Italiana di scienze, lettere e arti, edita dall’Istituto Treccani, membro del Comitato scientifico del FestivalFilosofia e noto gourmet, Gregory ha ideato menu per pranzi e cene filosofici all’insegna della tradizione e a partire dai prodotti tipici modenesi e della cucina dell’Emilia-Romagna (menu completi e indirizzi dei ristoranti si possono consultare nel sito ufficiale della rassegna). Spiega Gregory: «vi è chi cerca la gloria in cielo, chi in terra; chi nella contemplazione del vero, chi nella manipolazione del falso; chi sui campi di battaglia, chi negli spettacoli televisivi. Ognuno cerca la gloria secondo miti e riti antichi e moderni, inseguendo modelli aristocratici o populisti, del santo martire o dell’icona pop. Noi abbiamo pensato di proporre una via antropocentrica alla gloria, anche per reagire alle tante polemiche contro questo povero uomo:
celebreremo le glorie del creato nelle mediazioni dell’homo faber e edens, dei cuochi, gloriosa stirpe di antichi sacerdoti del nostro vivere quotidiano: con loro potremo ripercorrere le strade maestre della cucina emiliana, in modo sobrio e umano, anche per uscire dalle strettoie problematiche dei vari ideali di gloria legati alla spettacolarità e al potere, al narcisismo, all’immagine e all’apocalisse del consenso». Da qui l’idea di articolare i menu filosofici per rispondere al desiderio di una “gloria tutta mondana”, pronta a essere consumata in gustose portate create dalla tradizione enogastronomica emiliana. FestivalFilosofia si terrà a Modena dal 11 al 13 settembre 2015. >> Link: www.festivalfilosofia.it Concludendo… Insomma, chi investe in cultura fa bene al Paese e, se ben lavora, rischia anche ci guadagnarci. Elena Benedetti
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Pane, speck e fantasia: il 3, 4 e 5 ottobre in Val di Funes Il pane di qualità in mostra a Bressanone Dal 3 al 5 ottobre piazza Duomo, il cuore pulsante della città di Bressanone, profuma di pane. Torna infatti l’appuntamento annuale con il tradizionale Mercato del Pane e dello Strudel e i panettieri si preparano a sfornare e far degustare un prodotto che è parte integrante della cultura altoatesina. Esistono decine di tipologie di pane che portano il marchio di qualità Alto Adige: dal pane alla frutta alle pagnotte venostane Vinschger Paarl, dal pane nero a quello integrale, dalla pagnotta pusterese Pusterer Breatl al tipico pane croccante di segale (Schüttelbrot) per concludere con i dolci tipici, dallo Zelten allo strudel di mela. Per tre giorni i visitatori potranno immergersi in un’atmosfera di festa, degustando e scoprendo le tradizioni altoatesine attraverso le dimostrazioni dei panettieri che illustreranno ai visitatori l’arte antica dei fornai e le tecniche e i segreti della lavorazione e della cottura per la riuscita di un ottimo pane di qualità. Il coordinamento della festa sarà seguita dall’Organizzazione Export Alto Adige della Camera di commercio di Bolzano. L’evento si svolgerà in contemporanea alla Festa dello Speck Alto Adige a cui sarà collegato da un apposito servizio shuttle. >> Link: www.mercatodelpane.it Festa dello Speck Alto Adige 2014 Per quest’anno le date da segnare in calendario sono il 4 e il 5 ottobre. Nel primo fine settimana del mese, ai piedi dello straordinario spettacolo del gruppo alpino delle Odle, e precisamente a Santa Maddalena, torna il tradizionale e tanto atteso appuntamento con la Festa dello Speck Alto Adige. Lo Speck Alto Adige IGP, contraddistinto dalla sua pettorina verde, è il protagonista indiscusso di questa festa che di anno in anno vede aumentare il numero di buongustai provenienti dall’Italia e dall’estero, i quali si recano in Val di Funes per festeggiare, divertirsi con musica, giochi per bambini e il mercato di prodotti contadini e soprattutto gustare le prelibatezze a base di speck. La festa nasce da un’iniziativa comune dell’Associazione Turistica Val di Funes, del Consorzio Tutela Speck Alto Adige e dell’Organizzazione Export Alto Adige della Camera di commercio di Bolzano, ed è supportata da tutte le associazioni della vallata. >> Link: www.festadellospeck.it
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Alba, vini e tartufi
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Il successo è una questione di sistema
Arriva l’autunno, la stagione che regala a migliaia di visitatori tutte le più famose bellezze del territorio di Alba, nel Cuneese: settembre segna l’inizio infatti di uno dei più importanti eventi enogastronomici e della cultura locale. Già domenica 28 settembre, per la Festa del Vino il centro storico di Alba è stato trasformato in una “via del vino” dove poter degustare, negli stand delle aziende locali, i migliori vini che il territorio piemontese e langarolo ci offrono. Dal 6 ottobre al 18 novembre, invece, la città ospiterà la Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba, giunta alla sua ottantaquattresima edizione. Già nel ’700 il tartufo piemontese era considerato presso tutte le corti europee una vera prelibatezza. In modo particolare il tartufo bianco di Alba, raccolto nei territori di Langhe, Roero e Monferrato, è considerato in assoluto il più pregiato al mondo. Il cuore della Fiera è il Mercato Mondiale del Tartufo, aperto il sabato e la domenica, che racchiude in un’unica struttura cercatori e commercianti. L’acquisto è garantito dalla presenza costante di una Commissione di controllo della qualità. Durante la Fiera si alternano in città rievocazioni storiche ed eventi in costume. >> Link: www.fieradeltartufo.org
Caseus Veneti festeggia il decennale: l’eccellenza dei formaggi a Villa Emo La squadra dei grandi formaggi Dop e Stg del Veneto è schierata e unita per scendere in campo con una grande edizione che festeggerà il decennale di Caseus Veneti, Concorso Regionale dei Formaggi del Veneto. I magnifici otto del comitato organizzatore formato dalle 7 Dop del Veneto: Asiago, Casatella Trevigiana, Grana Padano, Montasio, Monte Veronese, Piave, Provolone Valpadana e da Mozzarella Stg tornano per il X Caseus Veneti sabato 4 e domenica 5 ottobre nella splendida villa palladiana di Fanzolo di Vedelago, Treviso. I grandi consorzi si faranno promotori anche in questa edizione di tutto lo straordinario giacimento caseario del Veneto, fatto di importanti realtà dell’agroalimentare i cui marchi sono conosciuti a livello globale, di piccoli caseifici di tradizione artigianale e di malghe d’alpeggio che realizzano prodotti di nicchia che rappresentano la storia del territorio veneto. Oltre 300 i formaggi attesi in villa per il concorso che assegnerà le medaglie d’oro per ciascuna categoria definita.
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Fiere
Vinitaly 2015 edizione speciale: si punta all’export Il prossimo anno sarà ancora più stretta la sinergia tra Vinitaly e i saloni Sol & Agrifood ed Enolitech: dal 22 al 25 marzo 2015 i professionisti del vino in arrivo da 120 Paesi avranno una panoramica completa della produzione italiana, unicum inimitabile fatto di vini di qualità, tradizione alimentare e tecnologie innovative
È
un’edizione speciale quella di Vinitaly che si sta preparando per il marzo 2015. Come di consueto, in contemporanea si svolgeranno anche Sol & Agrifood ed Enolitech, ed è proprio sulla sinergia che da sempre contraddistingue le tre manifestazioni che punta Veronafiere per valorizzare, in
chiave business, l’unico appuntamento fieristico a livello internazionale in grado di fornire una visione a 360° della filiera vitivinicola e di quella oleicola, partendo dai mezzi tecnici fino alla produzione. L’obiettivo è quello di supportare il settore del vino, e dell’agroalimentare nazionale in generale, dando nuovo spunto
all’export, che in fase positiva da anni deve trovare ora nuovi motivi di crescita per rimanere sempre un passo avanti rispetto ai competitor. «La concorrenza internazionale è sempre più agguerrita — dichiara Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere — ma l’esperienza di Vinitaly garantisce risultati
Degustazioni al Vinitaly edizione 2014 (photo © Ennevi).
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Primo forum wine2wine Tappa intermedia prima di Vinitaly 2015 sarà wine2wine (www.wine2wine.net), il primo forum del vino in Italia. In programma il 3 e 4 dicembre sempre a Verona, wine2wine si propone come momento di informazione e approfondimento economico per la crescita del sistema produttivo vitivinicolo nazionale. >> Link: www.vinitaly.com
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IL TERRITORIO DEI LAMBRUSCHI DOP
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commerciali concreti». La conferma viene dall’indagine sulla customer satisfaction realizzata a conclusione di Vinitaly 2014, dalla quale è risultato che durante i quattro giorni di manifestazione il 68% degli operatori stranieri — 53.000 da 120 Paesi su un totale di 155.000 — ha realizzato ordini di acquisto, mentre il 73% ha trovato nuovi fornitori. Alla stessa indagine, il 97% degli espositori ha dichiarato di voler riconfermare la propria presenza nel 2015. Le iscrizioni sono aperte e potrebbero confermare la tendenza emersa negli ultimi due anni, che ha visto un crescente numero di aziende investire risorse in uno stand proprio piuttosto che continuare a condividere uno spazio collettivo istituzionale, per avere maggiore visibilità e incrementare il numero di contatti con buyer italiani ed esteri. Per aumentare la presenza di operatori qualificati dai mercati internazionali più interessanti, Veronafiere ha iniziato un’intensa attività di incoming, sia potenziando gli investimenti economici sia attraverso una stretta collaborazione con le aziende e le associazioni di categoria. «Con l’Expo, il 2015 sarà un anno importante per il nostro Paese, e il vino e l’olio extravergine di oliva, insieme all’agroalimentare di qualità, sono produzioni trainanti del made in Italy, che però non potrebbero esistere senza un know-how tecnico di eccellenza» afferma Ettore Riello, presidente di Veronafiere. «Veronafiere lo sa bene e proprio per questo ha sempre puntato sulla contemporaneità dei tre saloni che, pur indipendenti, si completano tra loro dando un’immagine unitaria agli operatori in arrivo da tutto il mondo».
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La Slovenia riscopre il trnič, saporito pegno d’amore Con il recupero delle bovine autoctone di razza Cika, torna sulle tavole il trnič, un formaggio salato riccamente decorato di Riccardo Lagorio
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sistono cibi che hanno un alto contenuto rituale e sono legati a cerimonie religiose o sociali (le ossa dei morti sono biscotti che si preparano a cavallo del 2 novembre ed in passato avevano la funzione di offerta alimentare alle anime dei parenti defunti, mentre le lenticchie del 31 dicembre hanno
valore propiziatorio che risale al periodo pagano), e cibi che per le stesse ragioni vengono vietati (i precetti cattolici dovrebbero far sì che ci si astenga dal mangiare carne i venerdì quaresimali, come a musulmani ed ebrei è vietato il consumo di carne suina). Chi consuma cibo rituale appartiene ad una comunità. Nella
società dei consumi, tuttavia, il ruolo della liturgia è talvolta andata persa o è difficilmente leggibile così che il significante riporta ad un significato solo per pochi. Altrove il significante non ha più un valore rituale o a quello originario se ne è sostituito un altro, leggibile nel diverso contesto sociale. Kamnik, Slovenia centrale, poco più
Trnič e pisave (photo © www.srce-slovenije.si).
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di mezz’ora di strada da Lubiana, cittadina dalle antiche origini dove la cultura pastorale ha avuto incontro con quella commerciale, industriale e borghese, persino religiosa. Tanto importante da battere, secoli passati, moneta quando la strada da Aquileia all’Europa centrale (Budapest, Praga e non solo) passava per di qua. Ma l’altopiano di Velika Planina è stato per secoli anche il luogo delle transumanze dal fondovalle e per genti che frequentavano questo spazio delle Alpi. Poco meno di tre anni fa si sono accesi i riflettori su un singolare prodotto caseario, che tale Rozaljia Rezka, ottantaseienne, ricordava come prodotto della propria infanzia, il trnič. Si sta ricomponendo la storia del trnič, per un suo utilizzo in cucina prima ancora che per riportarlo all’antico impiego. Connesso al recupero del trnič, a Kamnik stanno lavorando per quello altrettanto avvincente del reimpiego della razza di vacca locale, la Cika. Risale al 2002 la scoperta che in alcune aree montane della Slovenia esistevano bovini sfuggiti alla politica ufficiale degli incroci tra razze e avevano mantenuto caratteri primigeni individuabili con la razza Cika appunto.
La decorazione del trnič con la pisave (photo © www.gorenjskiglas.si). Un pegno d’amore dalle formi femminili Al momento il trnič viene lavorato da una sola azienda agricola che è in grado di commercializzarlo, quella di Helena e Sonja Kropivšek, madre e figlia. Il latte utilizzato è quello di bovine locali; viene lasciato riposare per due giorni (talvolta sino a 5) dopo la munta e se ne preleva la panna
che diventerà burro. Il latte inacidito rimanente è scaldato per circa un’ora a 55°C, portando in superficie le parti solide (che chiameremmo ricotta se avessimo prodotto prima del formaggio…). La pasta si lascia sgrondare per un giorno intero aggiungendovi del sale (circa 2 grammi per 100 grammi di prodotto) e si sgrana.
La razza Cika è stata oggetto di studi da quando si è diffusa la consapevolezza di avere di fronte a sé un’apprezzabile risorsa per il mantenimento e lo sviluppo del territorio. La popolazione ha mantenuto i caratteri qualificanti laddove non si è proceduto all’inseminazione artificiale, cioè in allevamenti marginali che utilizzavano gli animali per autoconsumo. Da lì si è iniziato il recupero della razza analizzando l’opportunità dell’allevamento per la linea vacca-vitello e per la produzione di latte da trasformare in burro e formaggio. Sotto il profilo genetico si è constatata una parentela significativa con la razza balcanica Busha più che con la Simmenthal e sotto il profilo produttivo un’interessante predisposizione nella linea vacca-vitello. Il peso medio delle bovine varia tra kg 300 e 450, per un’altezza al garrese che sta tra 115 e 125 cm. Le bovine sono apprezzate per la buona fertilità e la facilità di allattamento; inoltre, detengono un’aspettativa di vita molto elevata. Il colore dei soggetti di razza Cika va dal rossiccio poco intenso al rosso scuro, con una parte bianca sulla parte terminale della groppa verso la coda. La testa è sempre piccola e rossa mentre le corna sono piccole e rivolte verso l’alto. Al momento esistono solo 5 agriturismo che allevano anche la Cika e propongono salsicce e salami, ma ancora non è stato creato un apposito marchio di riconoscibilità della carne di Cika. Quindi, ci sono grandi spazi per la crescita commerciale dei prodotti derivanti dalla sua lavorazione. La Cika si adatta bene all’ambiente, è assai resistente alle malattie ed aiuta a mantenere la biodiversità e l’agricoltura sostenibile. Nel febbraio 2010 è stata costituita un’organizzazione degli allevatori riconosciuti di Cika. Le vacche di razza Cika di cui si conosce l’esistenza sono oggi poco meno di mille.
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Se ne compongono poi con grande accuratezza a mano forme molto particolari, lontanamente simili a pere e sulla cui parte alta sporge una protuberanza (in lingua slovena la radice trn- indica qualcosa di acuminato), che si è interpretato come un capezzolo. Oltre alla curiosa forma, la formetta viene istoriata con l’impressione di stampi di legno sulla superficie (pisave: è lunga circa 20 cm e larga 2,5): ritraggono elementi floreali, alberi della vita, cuori, oggetti aguzzi simili a lance. Sulla superficie del trnič la pisave viene premuta per 5 o 6 volte. Il trnič ottenuto pesa circa 200 grammi e matura per un periodo di circa 3 settimane, durante le quali il colore bianco si modifica in giallo ed il peso si dimezza. Ricordano qui che un tempo veniva anche sottoposto ad affumicatura. Il trnič fresco ha un sapore dolce, appena acido nel finale; con il trascorrere dei giorni acquisisce un gusto forte, adatto per essere grattugiato sulla pasta o altri piatti. Ma soprattutto, secondo tradizione, i pastori avrebbero portato alla propria amata il trnič come impegno di fedeltà in autunno, dalla discesa dai pascoli, al termine della stagione dell’alpeggio. Venivano regalati sempre a coppia, ma decorati con la stessa pisave, una sorta di firma del pastore. Uno lo si teneva per sé, l’altro era il pegno d’amore. Se la donna lo accettava (e lo poteva tenere anche per anni prima di esprimersi), significava che avrebbe accolto la corte del pastore. Risulta evidente l’alto valore simbolico, rafforzato da fattori che richiamano la sfera più profonda dei sentimenti. Significati che per molti versi sono andati persi. Oggi il recupero del trnič passa per i ristoranti. Non più strappato coi denti da indigenti pastori, ma grattugiato su ravioli o parte del ripieno di questi, assieme ad una sontuosa crema a base di pino mugo come propone PRIMOŽ REPNIK nella trattoria di famiglia. Cambia la società, il significato non corrisponde più — almeno per il momento — al significante primigenio. Riccardo Lagorio
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Storie italiane, storie di campanile
Dalla guerra per il Puzzone è nato il Cuor di Fassa Pur di non cedere il proprio il latte ai “rivali” della Val di Fiemme i produttori della Val di Fassa si sono inventati un nuovo formaggio di Nunzia Manicardi
I
l Puzzone, il formaggio trentino — simile alla fontina e dall’analogo fortissimo e particolare odore — diventato ormai famoso in tutto il mondo (lo si trova nei migliori negozi di gastronomia in Europa e anche a New York), ha ottenuto la DOP dall’Unione Europea dopo un processo lungo ed articolato. Ci sarebbe di che essere contenti, se non fosse che il raggiungimento di questo importante traguardo ha scatenato una “guerra di campanile” tra due vallate un tempo rivali territorialmente e politicamente e oggi… gastronomicamente: la Val di Fassa e la Val di Fiemme. Il Puzzone (un nome che è tutto un programma) fino a non molto tempo fa veniva prodotto solo in Val di Fassa e, per la precisione, a Moena, di cui costituiva il prodotto tipico locale anche se il nome — che è stata scelto con il preciso intento di farsi notare sul mercato — risale ad appena una trentina d’anni fa; prima infatti, quando nessuno aveva ancora pensato di esportarlo, si chiamava semplicemente formaggio “nostrano” o, nella lingua ladina della Val di Fassa, Spretz Tzaorì (“saporito”). Ma questo formaggio di strada da allora ne ha fatta davvero tanta, diventando anche presidio Slow Food. Con l’ottenimento della DOP i Puzzoni potranno essere prodotti soltanto nelle Valli di Fassa, Fiemme, Primiero e negli adiacenti comuni altoatesini di Trodena e Annerivo. E
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qui sta il problema: perché, mentre si era in attesa del tanto sospirato riconoscimento, il caseificio di Moena ha chiuso i battenti a causa della posizione troppo disagiata soprattutto per i camion che venivano a caricare i prodotti e si è fuso con quello della confinante Predazzo, che purtroppo per i fassani non si trova già più in Val di Fassa bensì in Val di Fiemme. Quindi, le 38.000 forme annuali di Puzzone oggi vengono prodotte lì: 7 km più a sud, stessa valle (quella del torrente Avisio), però nome diverso: non più Fassa, ma Fiemme. Non è
una differenza di poco conto, quando si tenga presente che fino al 1918 sopra Moena, al Passo San Pellegrino, correva il confine fra Austria e Italia: di qua il Trentino irredento, di là la provincia di Belluno. E adesso, cent’anni dopo, un’altra guerra viene combattuta quasi sugli stessi confini: quella del Puzzone. Gli allevatori della Val di Fassa, dall’alto delle loro malghe a 1.0001.200 metri di altitudine, si sono infatti ribellati al grido di: “Niente latte!”, considerando la fusione del caseificio di Moena con quello di
Puzzone di Moena noto anche come Spretz Tzaorì. La sua fama, oggi ormai internazionale, inizia nel 1984 al Concours International des Fromages de Montagne di Grenoble, dove il merito del Puzzone fu riconosciuto con una medaglia di bronzo.
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Predazzo una sorta di tradimento. I fassani, d’altronde, hanno sempre visto Moena con un certo sospetto in quanto, ultimo comune a sud, un tempo stava sotto il vescovo di Trento e non con Bressanone, come il resto della Valle. Si sono così rifiutati di portare il proprio latte, che prima versavano al caseificio di Moena, a quello “rivale” di Predazzo, rimanendo fedeli all’altro loro caseificio sociale, quello di Campitello di Fassa (appena trasferito nella nuova sede di Pera). Il quale, visto il successo del Puzzone, ha pensato bene di “inventare” un formaggio praticamente uguale, sia per sapore che per etichetta, ma con un nome diverso: “Cuor di Fassa” (Cher de Fasha in ladino). Questo nuovo formaggio, a quanto pare, ha già ottenuto grandi consensi. «Produciamo 15.000 forme l’anno», ha dichiarato PAOLO BRUNEL, presidente del caseificio di Pera. Comunque sia, Puzzone e/o Cuor di Fassa meritano senz’altro un’attenta visita gastronomica. Il segreto della loro “puzza” è ovviamente la stagionatura, durante la quale ogni forma, prodotta esclusivamente con il latte delle malghe locali che viene conferito due volte al giorno, deve essere lavata. Un lavoro faticosissimo: nel magazzino ci sono alcune migliaia di forme e ogni settimana bisogna girarle una per una e lavarle con uno straccetto imbevuto d’acqua. E così da un minimo di 60 giorni, a 6/7 mesi. Il trattamento della crosta con acqua crea uno strato untuoso e favorisce fermentazioni batteriche che danno al formaggio un profumo intenso e penetrante e l’inconfondibile crosta rosso mattone. Come si può intuire dal nome, il Puzzone si caratterizza infatti per la personalità aromatica che per alcuni è semplicemente puzza, mentre per altri è bouquet penetrante e complesso. Come dice Slow Food, “si avvertono inizialmente al taglio le note pungenti fermentative e di cantina conferite dal trattamento in crosta, ma tali note via via si allargano al sentore di pascolo, di erba alpina, di frutta matura. In bocca è suadente, solubile, con cenni di nocciola tostata e un’incredibile lunghezza gustativa”.
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Canederli al Cher de Fascia su crema di noci (photo © www.tastetrentino.it). Da dove sia arrivata in Val di Fassa la tradizione della lavatura non si sa (gli unici altri esempi di croste lavate in Italia sono la Fontina e il Taleggio). Non esiste alcuna documentazione storica, ma i testimoni garantiscono che si è sempre fatto così, dal tempo di nonni e bisnonni. Più recente invece — dagli anni Settanta — è, come già detto, l’idea di chiamarlo Puzzone (e, adesso, anche “Cuor di Fassa”). La “M” di malga è il marchio del Puzzone del Presidio: solo le forme contraddistinte con questa lettera sono prodotte con il latte di malga, quello munto d’estate dalle vacche al pascolo e che può essere integrato solo con materie prime di qualità: niente insilati, niente sottoprodotti dell’industria e niente OGM. Il Puzzone è un formaggio ad alta stagionalità poiché lo si produce solo nel periodo d’alpeggio, da giugno a
settembre. Deve avere una stagionatura minima di tre mesi e massima di sedici mesi. Ad aspettare il latte al caseificio c’è il casaro, che con la precisione di un orologiaio controlla la temperatura, verifica i tempi, misura sul palmo della mano la dimensione dei granuli di cagliata. Nelle caldaie di rame riscalda il latte (34°C), lo innesta (solo con latte innesto prodotto in azienda, perché sono bandite le bustine di fermenti lattici), aggiunge il caglio di vitello e aspetta. Poi rompe la cagliata in grani poco più grandi di un chicco di mais e la cuoce col vapore (47°C). Quando si deposita sul fondo, si tira su con una pala di legno e si raccoglie con un telo. Tagliata a pezzi e sistemata nelle fascere di legno, si pressa a mano lievemente e si lascia sgrondare. Poi le forme vanno ancora sotto la pressa e infine in salamoia, per quattro giorni. Nunzia Manicardi
I formaggi prodotti nelle malghe trentine vengono chiamati genericamente “nostrani di malga”. In realtà ogni malga produce un suo formaggio con caratteristiche irripetibili. Nelle Valli di Fiemme e Fassa, oltre che nel Primiero, si producono dei nostrani di malga “a crosta lavata”; nelle zone della Valsugana si producono invece formaggi tendenzialmente più magri che si possono inserire nella famiglia dei nostrani “d’arlevo o d’allevo”, cioè ben stagionati; sugli Altopiani di Lavarone, Folgaria e Vezzena il famoso “Vezzena”; nelle malghe della Val di Sole (famosa per il “Casolèt”) e della Val di Non un nostrano semigrasso; nelle malghe della Val del Chiese domina il nostrano tipo “Spressa delle Giudicarie”, un formaggio particolarmente magro e saporito; verso Storo il Bagoss, formaggio a pasta dura. In diverse zone del Trentino vengono prodotti anche i “caprini di malga”. (www.trentinoagricoltura.it)
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Vino
L’Italia enoica ad Expo 2015 di Massimiliano Rella
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ancano pochi mesi al taglio del nastro ma l’attenzione è già ai massimi livelli su Expo 2015, l’Esposizione universale che si svolgerà a Milano dal 1 maggio al 31 ottobre. “Nutrire il pianeta, Energia per la vita” è il tema del grande evento che avrà una duplice valenza: sarà una grandiosa vetrina che si sviluppa in uno straordinario processo partecipativo su educazione, alimentazione, cibo, risorse mondiali. I numeri ci anticipano le dimensioni e il valore dell’evento: 144 Paesi da quasi tutti i continenti e 3 organizzazioni internazionali — ONU (Organizzazione
delle Nazioni Unite), Unione Europea e CERN (Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare) — sono già censiti come partecipanti ufficiali. Ma ci sono anche 13 organizzazioni internazionali della società civile e 3 grandi aziende che si presentano in autonomia. L’Italia ha rivelato una delle forme della sua partecipazione. “Vino – A Taste of Italy” sarà uno spazio dedicato in esclusiva al vino. Il progetto, frutto della collaborazione tra MIPAAF, Padiglione Italia e Veronafiere, è stato presentato a Roma alla presenza del ministro Maurizio Martina e di altri rappresentanti dell’organizzazione di Expo 2015.
Il Padiglione dedicato all’esperienza vinicola italiana è un’installazione progettata dall’architetto milanese ITALO ROTA. Descriverà la nostra storia del vino, fatta di territori e vitigni ma anche di popoli e persone in uno spazio di circa 2.000 m2 e su diversi livelli. E darà l’opportunità ai visitatori di avvicinarsi e approfondire la conoscenza attraverso esperienze sensoriali che coinvolgono la vista, l’olfatto, il gusto. L’architetto ne ha illustrato forma e funzione. «Il padiglione ruota attorno al concetto di sincerità. Una grande area introduttiva attirerà il pubblico grazie a un apparato tridimensionale
Un’anteprima del Padiglione del Vino italiano a Expo Milano 2015. Il progetto del Padiglione è stato messo a punto dal Ministero delle Politiche Agricole e da Veronafiere con Vinitaly sotto la guida di un comitato scientifico presieduto da Riccardo Cotarella, presidente Assoenologi (photo © www.expo2015.org).
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Sarà di ben 2000 m2 il Padiglione del vino. Su diversi livelli, lo spazio, tutto da vivere, sarà dedicato a wine-tasting, masterclass, incontri e dibattiti. e digitale che proietta un film che racconta un anno di vita, il ciclo del vino. Vasche contenenti 50.000 litri di vino mostreranno il liquido e ne faranno sentire i profumi. Al primo piano si potranno scoprire, leggere e degustare mille vini». Lo spazio sarà tutto da vivere, non solo attraverso wine-tasting, masterclass e altre iniziative di consorzi e produttori, ma anche in incontri e dibattiti. Tante le possibilità per aziende e operatori del settore: potranno delinearsi nuovi progetti, nascere proficue sinergie. È questo che ci si aspetta dal mondo del vino italiano, complesso e dinamico, che sarà rappresentato dai tanti territori del Paese, un patrimonio ineguagliabile per varietà e ricchezza di vitigni, di tipologie e denominazioni. «Il Paese deve ripartire e l’Expo è la svolta su cui misurarci», così ha sintetizzato il presidente di Veronafiere ETTORE RIELLO il significato dell’evento. E per dare un efficace contributo Vinitaly partecipa con due interes-
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santi iniziative, e cioè l’International Wine Academy, per formare nuovi “ambasciatori del vino italiano”, e una cantina web che consentirà l’acquisto attraverso un sito di ecommerce con consegne in tutta Italia e all’estero. L’enologo R ENZO C OTARELLA , presidente del comitato scientifico del MIPAAF per Expo 2015, ha messo l’accento sull’unicità e le potenzialità del vino italiano. «Sono sorpreso dalle relazioni esistenti con il mondo dell’arte» ha detto.«Il vino è al centro di opere di poeti come di progetti realizzati da architetti. C’è inoltre una creatività industriale che ci ha portati a un livello di eccellenza nel comparto enomeccanico. Ho visitato di recente cinque cantine in Giappone e tutte avevano macchinari italiani». Tra vino e indotto si producono 15 miliardi di euro di PIL, 5 miliardi di export e sono 700.000 le aziende coinvolte a vario titolo nel settore. Ben 700.000 ettari di vigne ma con una miriade di piccole aziende. «Essere
piccoli ha però i suoi vantaggi — ha sottolineato Cotarella — nel nostro caso tante piccole imprese hanno contribuito ad esportare la cultura del vino italiana nel mondo». L’altro lato della medaglia sono i punti deboli del sistema italiano, due in particolare: l’incapacità di fare sistema e la parcellizzazione nella comunicazione che si traduce a volte in inefficacia. Difficoltà non insuperabili. Ottimistiche le conclusioni del ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Maurizio Martina. «Attraverso il vino e il padiglione dedicato non parliamo solo a un settore ma cerchiamo di rappresentare una chiave d’interpretazione del Paese nei suoi punti di forza e nei suoi limiti. Nel vino c’è passato e futuro, bellezza e innovazione, cura quotidiana e idea di territorio. L’esperienza vitivinicola italiana deve rappresentare un esempio per l’Italia del futuro». Massimiliano Rella
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I vini di Premiata Salumeria Italiana
Degustazione: spaghetti di Laura
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n piatto della grande, immensa, famosissima tradizione culinaria italiana. Un piatto del mare, che si trova con facilità nei migliori ristoranti come nelle osterie e nelle pizzerie, né facile, né banale. Innanzitutto per l’ingrediente principe, la vongola, che,
tralasciando l’ovvia freschezza del prodotto, pone la prima incognita: verace o tellina? E già da questa prima questione si apre un mondo, di abitudini e di gusto. La seconda è: in bianco o con il pomodoro? E l’aglio, tagliato finissimo o lasciato a spicchi interi? Ultima questione, ma non per
Ribolla Gialla 2013 Colli Orientali del Friuli DOC – Grillo Iole
Ronco delle Cime 2013 Friulano Collio DOC – Venica & Venica
Il Moro Lazio Bianco Igt 2012 Marco Carpineti
Un calice di Ribolla gialla in purezza, a sottolinearne caratteristiche organolettiche piene di tipicità e di territorialità. I vigneti si trovano ad Albana di Prepotto, più precisamente nelle frazioni di Guardafuoco e Centa, dove i terreni sono composti da marne ed argille e l’esposizione solare è ottimale per la tipologia di vitigno e di produzione. La vinificazione viene effettuata tramite diraspatura e macerazione, cui segue l’inoculo di lieviti selezionati e la successiva fermentazione malolattica in inox. Affina per circa 10 mesi, sempre in acciaio. Il risultato è un vino caratterizzato da grande armonia, che esprime con forza e altrettanta classe note organolettiche preziose e ricche. Tinte che ricordano tamerici salmastre e cedri, mandorle e fiori bianchi. Perfetto l’equilibrio e la suadenza, adattissimo come aperitivo e, soprattutto, con piatti a base di pesce, fritti e grigliate estive. Ottimo con uno spaghetto con le vongole, fumante.
Nel Collio della viticultura d’eccellenza la cantina Venica & Venica si eleva per qualità e riconoscibilità. Questo calice, che fino a poco tempo fa avremmo chiamato Tocai, è limpido e cristallino, pieno di gusto ed eleganza. Il mosto, grazie a metodi di produzione innovativi, è ottenuto con uve protette dall’ossidazione e affina sui lieviti per 5 mesi, in contenitori di acciaio. La purezza delle scelte di cantina, come di quelle effettuate in vigna, rende questo vino limpido e netto. Visivamente è di un bel giallo paglierino, brillante. Al palato sprigiona copiose note fruttate di pera, mela acerba, pesca bianca, frutti esotici con una tinta fiorita, leggera, quasi di fiori di campo freschi. Vellutato e intenso, ma con equilibrio, non disdegna spunti sapidi, adattissimi alle portate a base di pesce. Sbizzarritevi con trote friulane e polenta e piatti di prosciutto di Sauris, ma non dimenticate di metterlo in frigorifero per tempo quando deciderete di preparare una gustosa spaghettata con le vongole per gli amici. Vi ringrazieranno.
Siamo a Cori, 55 km a sud di Roma, ai piedi dei Monti Lepini, a circa 400 metri slm, con questa cantina che produce questo splendido calice da uve Greco di due varietà: il Greco moro, qui utilizzato per l’80%, ed il giallo, per il rimanente 20%. Appartenenti alla famiglia del Greco bianco, queste due tipologie di uve, note sin dall’antichità e scomparse a causa della scarsa produttività e difficoltà nella coltivazione, grazie all’impegno della cantina sono state riscoperte e coltivate. Dopo la selezione in vigna e la macerazione degli acini a freddo, seguono la fermentazione e l’affinamento in barrique di rovere. Un calice giallo paglierino intenso, lindo, che porge note di pesche e albicocche, nocciole e amaretto. Al palato è morbido e avvolgente, con una bella nota sapida integrata e suadente, che lo rende adatto a tutte le preparazioni con ricordi salmastri. Ottimo con le zuppe di pesce, non sfigurerà con un ricco piatto di spaghetti con le vongole e pomodorini confit.
Azienda Agricola Grillo Iole Via Albana 60 33040 Prepotto (UD) Telefono: 0432 713201 info@vinigrillo.it
Venica & Venica Località Cerò 8 34070 Dolegna del Collio (GO) Telefono: 0481 61264 info@venica.it
Marco Carpineti Az. agr. biologica S.P. Velletri Anzio km 14,300 04010 Cori (LT) Telefono: 06 9679860 info@marcocarpineti.com
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con le vongole. E il vino? Franchini
importanza: spaghetti, bucatini o linguine? Insomma, le varianti sono molte e le interpretazioni altrettanto, come accade sempre per ciò che riscuote grande successo, pizza docet. Al di là degli esperimenti fantasiosi, se ci si affida alla tradizione e a ingredienti di qualità, il piatto è di grande
soddisfazione. Resta solo il dilemma del vino in abbinamento. A questo rispondiamo noi, con una degustazione ad hoc, partendo dalla ricetta che preferiamo, in bianco (modificabile…), e dal presupposto che vi godiate, senza dubbi e remore, uno dei migliori piatti della nostra cucina.
Selva delle Monache 2013 Costa d’Amalfi DOC Ravello bianco – Sammarco
Fiano di Avellino 2013 DOCG Villa Raiano
Vermentino di Sardegna 2013 DOC Stellato – Cantina Pala
Siamo sulla Costiera Amalfitana, mica cotiche… Qui però non si tratta solo di panorami mozzafiato e sole a picco, ma anche e soprattutto di sapienza contadina e produttiva, che agisce nel rispetto delle uve come della tradizione. Sono uve di Falanghina per il 60% e Biancolella per il 40%, per questo vino, ma non solo: l’azienda ci tiene a sottolineare anche la presenza di numerosi vitigni autoctoni “minori” come il San Nicola, la Ginestra, la Pepella e la Biancatenera. Il risultato è un vino dalla grande piacevolezza e bevibilità, con tinte fiorite intense e aggraziate allo stesso tempo, ginestre in fiore e mandorli. Un equilibrio preciso tra le parti, tra cui spicca una splendida e solare nota sapida che rimanda subito, senza passare dal via, al piatto di spaghetti con le vongole, magari guardando il mare, possibilmente quello di Ravello, potendo scegliere.
Siamo nell’Irpinia del vino, quella zona che ha esportato in tutto il mondo i vini da uve Falanghina e Fiano, riscuotendo tanto successo. Proprio con uve Fiano in purezza, affinate esclusivamente in tini di acciaio, è prodotto questo vino. Il risultato è un calice limpido, brillante, di un bel giallo paglierino con riflessi verdognoli. La degustazione olfattiva è ricca e decisamente soddisfacente, grazie a piene tinte floreali e a ricordi fruttati di pesche bianche e mandorle, con sensazioni vegetali e aromatiche, spunti di menta piperita, scorze di agrumi, note salmastre e di cioccolato bianco. Una copiosità che ritorna anche in retrolfattiva e al palato, dove entra morbido e suadente e resta grazie ad una buona persistenza. Armonia tra le parti, buona la trama e la tessitura acida, intrigante la nota sapida, che, assieme al carattere d’insieme, regge l’abbinamento con piatti saporiti, soprattutto di pesce, anche elaborati. Ottima la compagnia delle vongole e degli spaghetti, anche con salsa di pomodoro e basilico.
Sono uve Vermentino al 100% per questo calice, coltivate su terreni sabbiosi/argillosi a circa 150/180 metri slm. Il mosto ottenuto dalla pigiatura soffice delle uve dopo una prima pulizia e l’innesto di lieviti selezionati, fermenta in tini inox alla temperatura costante di 12°C. Terminate le fermentazioni, il vino rimane a contatto con le fecce fini per circa tre mesi al termine dei quali, dopo pulizia, si procede all’imbottigliamento. Intenso il giallo paglierino che risplende nel bicchiere, come intense sono le note olfattive che giungono al naso, nettamente linde ed eleganti. Fiori e frutti, pesche e mele, timo e tamerici, macchia mediterranea aromatica. Corrispondente il palato, che sprigiona armonia di parti e intensità di gusto, lungo e pieno. Bella la trama acida e la nota sapida, grandi e ampie le possibilità di abbinamento. I crostacei tutti, i pesci del mare nostrum, le paste condite con ragù di pesce. Ovvio l’abbinamento con uno spaghetto con vongole veraci in bianco, spolverato di prezzemolo.
Casa Vinicola Ettore Sammarco Snc Via Civita 9 84010 Ravello (SA) Telefono: 089 872774 info@ettoresammarco.it
Villa Raiano Via Bosco Satrano 1 83020 San Michele di Serino (AV) Telefono: 0825 595663 info@villaraiano.com
Pala di Mario Pala & C. s.s. Agricola Via Verdi 7 09040 Serdiana (CA) Telefono: 070 740284 info@pala.it
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Dai tappi di sughero al design made in Italy Alla base del progetto c’è un’idea tanto semplice quanto efficace, soprattutto oggi che si parla tanto di sostenibilità. Prendere tappi di sughero usati e trasformarli in oggetti di arredo e design. Ci ha pensato un’azienda vicentina, Livingcap, con la linea Greencorks, una completamente ecofriendly che utilizza solo materiale di recupero. Da questa creatività sono nati gli sgabelli, ottenuti dal riciclo di chiusure in sughero. Lo sgabello a forma di tappo spumante di dimensioni più piccole nasce dal riutilizzo di 700 tappi e fissa il doppio della CO2 emessa in caso di mancato recupero, ovvero 14 chilogrammi. Per dare vita a quello più grande servono 2.500 tappi per un totale di kg 32 di CO2 fissata (dati frutto di una ricerca commissionata al Politecnico di Milano). L’azienda ha ideato anche un tavolino a forma di tappo per botte. Elementi che costituiscono complementi adatti ad ogni ambiente, sia interno che esterno. Prodotti in un laboratorio artigianale di Vicenza, grazie anche al supporto dell’architetto Manuel Cason dello studio Mca & Partners, questi oggetti sono veri e propri elementi di design all’insegna del rispetto per la natura. Il progetto Greencorks si propone di incentivare uno sviluppo ecosostenibile. Il sughero viene raccolto all’interno di specifici contenitori, chiamati Save Planet Box, in appositi punti segnalati. Tutta la realizzazione avviene senza l’utilizzo di materiali artificiali. «Anche i collanti impiegati sono di tipo naturale, così come la materia prima», spiega Alessia Zanin, sales manager di Livingcap. «Greencorks nasce per dare vita a prodotti come sedie, tavoli, cantinette, pouf a partire da una materia sempre viva come il sughero che è durevole nel tempo e riciclabile infinite volte». L’intera linea è acquistabile anche on-line. >> Link: www.corksdesign.com
Bta: appuntamento ad aprile 2015 In calendario dal 21 al 24 aprile 2015 a Barcellona, la 14a edizione di Bta – Barcelona Tecnologías de la Alimentación sarà come di consueto dedicata al settore delle macchine e tecnologie per l’industria alimentare. Il salone è organizzato su tre segmenti, Tecnoalimentaria, Tecnocárnica e Ingretecno: 1) Tecnoalimentaria, salone internazionale dedicato alle macchine, tecnologie e servizi per l’industria ed il commercio di alimentari e bevande; 2) Tecnocárnica, salone internazionale riservato a macchine, tecnologie, attrezzature e forniture per l’industria della carne; 3) Ingretecno, salone internazionale dedicato al settore degli ingredienti per l’industria alimentare. Bta 2015 rappresenta oggi una delle più qualificate piattaforme internazionali in cui i produttori dei vari comparti del settore della tecnologia alimentare presentano le proprie innovazioni tecnologiche legate a tutti i comparti dell’industria alimentare e delle bevande, del commercio alimentare, del packaging. >> Link: www.bta-bcn.com
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# 4mila articoli disponibili on-line # 12mila anagrafiche di produttori nelle banche dati di Dop-Igp-Stg
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Tecnologie
Non solo tradizione e qualità, ma anche innovazione: Gagliazzi sceglie il CSB-System Grazie al software CSB-System l’azienda di Dello, in provincia di Brescia, è stata in grado di razionalizzare il proprio ciclo produttivo in ogni suo punto
L
a F.LLI GAGLIAZZI Srl di Dello, un paesino a pochi chilometri da Brescia, è stata fondata nel 1950: l’attività ruotava intorno al negozio di macelleria che con orgoglio era stato aperto nel centro del paese da Mario insieme al fratello Giuseppe. Con l’avvento della nuova generazione, la macelleria è stata ampliata e si è dato inizio ad una nuova fase dell’attività aziendale, in linea con l’evoluzione degli stili di vita degli Italiani. «Il riconoscimento e l’apprezzamento dei nostri clienti ci hanno spinto ad investire in qualcosa di nuovo e, così, nel 2009 abbiamo intrapreso la produzione di prodotti di gastronomia per negozi alimentari e piatti pronti per la ristorazione, bar e mense sia scolastiche che aziendali» afferma Giacomo Gagliazzi, che con i fratelli Fabio e Severino è riuscito a portare l’alta gastronomia sulle tavole di tutti i giorni. «Arrivati a questo punto, è intuibile che la gestione dei cicli produttivi e la supervisione dei processi aziendali stessero diventando sempre più complicati. Le piccole e medie imprese come la nostra, infatti, si differenziano dai grandi
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gruppi per le loro strutture più snelle ed enormemente più flessibili, ma i processi aziendali ed i cicli produttivi sono, in realtà, gli stessi». Per tale ragione, nel 2011 l’azienda ha deciso di investire in un software gestionale ed ha scelto il CSB-System. «La nostra — continua Giacomo — è una realtà dinamica ed in continua evoluzione: pertanto avevamo bisogno di qualcosa di più di un semplice software per la rintracciabilità; a noi serviva un gestionale integrato con cui coprire efficacemente tutti gli ambiti aziendali, conservandone, però, una supervisione unica e il CSB-System, con la sua struttura modulare e integrata, ci
consentiva proprio questo». Quindi, si è deciso di implementare sin da subito i principali moduli base del CSB-System: Acquisti, Magazzino, Produzione e Vendite. Gli acquisti diventano più efficienti con il CSB-System Grazie all’integrazione del modulo Acquisti con Magazzino, Produzione e Vendite, la F.lli Gagliazzi è in grado di pianificare in modo ottimale la copertura dei fabbisogni di materie prime, con conseguente eliminazione delle situazioni critiche e aumento della sicurezza alimentare e della produttività a medio termine.
La F.lli Gagliazzi è in grado di offrire etichettature di prodotto e/o di cartone secondo le specifiche richieste del mercato e dei clienti.
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Maggiore controllo sulla produzione Il controllo permanente della fase di preparazione dei piatti pronti, ottenuto in virtù del modulo della Produzione, garantisce all’azienda concorrenzialità e capacità di stare al passo con i tempi. «Anche nel laboratorio di produzione, attiguo alla macelleria — spiega Severino Gagliazzi — siamo in grado di gestire i movimenti di magazzino, l’entrata in produzione e la distinta base del prodotto, in maniera ottimale. Ogni ricetta viene controllata sia nella quantità degli ingredienti stabiliti sia nell’allocazione puntuale sul prodotto finito di tutti i lotti di materia prima, ingredienti e materiali di consumo. Ne deriva una tracciabilità trasparente con definizione precisa anche dei costi reali di ogni singola produzione. Il processo termina con la preparazione e la gestione degli ordini e l’uscita merci. La Tracciabilità dei prodotti è garantita sull’intera filiera, tramite un Sistema Informativo Lotti con creazione automatizzata di etichette con codificazione EAN 128, riportanti le caratteristiche del prodotto, come il suo codice, il peso, il numero di lotto e la data di scadenza. Questi codici a barre sono utilizzabili anche dal cliente, rendendo l’obbligo di legge della tracciabilità e rintracciabilità un’operazione facile, veloce ed economica». Etichettature personalizzate Grazie all’integrazione del CSB-System con le bilance, la F.lli Gagliazzi è in grado di offrire etichettature di
F.lli Gagliazzi di Gagliazzi Severino & C. Snc Via Roma, 131 – 25020 Dello (BS) Telefono: 030 9718043 E-mail: info@gagliazzi.it Web: www.gagliazzi.it
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La nuova generazione della F.lli Gagliazzi rappresentata dai fratelli Giacomo, Fabio e Severino. prodotto e/o di cartone secondo le specifiche richieste del mercato e dei clienti, in modo assolutamente trasparente per l’operatore del reparto di confezionamento. La preparazione ordini che segue, presenta oggi meno errori del passato e comporta, soprattutto, maggiore soddisfazione da parte del cliente. Magazzino e Vendite come elementi integranti Il modulo Magazzino — completo d’inventari e statistiche per lotti, gestione di diverse unità di misura parallele e contemporanee (pezzi, chilogrammi, cartoni, ecc…), date e partite — garantisce all’azienda una produzione perfettamente pianificata ed una conseguente puntualità delle consegne nel reparto vendite, con veloce compilazione di offerte, accettazione, gestione e valorizzazione degli ordini. Anche la valorizzazione delle giacenze, per merito della gestione inventari, è sempre precisa con il CSB-System. Inoltre, è possibile analizzare tutti i costi di acquisto, compresi quelli accessori, quali costi doganali, di trasporto e assicurazione, ripartiti in maniera proporzionale sugli articoli. «Il nostro laboratorio artigianale ha assunto ancor di più un’impronta industriale — aggiunge Giacomo — quando abbiamo implementato l’EDI per consentire ai
supermercati la rifatturazione elettronica. In passato le fatture erano stampate e spedite manualmente; ora con il CSB-System i supermercati le ricevono direttamente sotto forma di scambio dati elettronico». Nuove sfide per il futuro Dalle parole di Giacomo Gagliazzi traspare soddisfazione per la realizzazione del progetto. «Grazie al software CSB-System siamo riusciti a razionalizzare il nostro ciclo produttivo in ogni suo punto. Oggi siamo in grado di monitorare i processi aziendali in tempo reale, di elaborare statistiche e di rintracciare un prodotto in tutti i suoi movimenti, all’interno dell’azienda e fino alla consegna al cliente, nonché di ricavarne tutti i costi di trasformazione e gestione». Ma nell’azienda bresciana non ci si annoia mai: i cassetti sono pieni di idee che attendono di essere realizzate e la CSB-System, con la sua professionalità ed esperienza, è lieta di essere il loro partner informatico. Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: segreteria@csb-system.it Web: www.csb-system.it
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Curiosità
Il perché delle regole a tavola Che il cibo non sia solo nutrirsi è cosa risaputa. Non tutti conoscono però le motivazioni storiche o economiche delle regole che si impongono quando si è seduti di fronte al piatto. Le buone maniere hanno un perché che può essere interessante scoprire anche per sapere chi siamo stati un tempo di Sebastiano Corona
«I
l galateo non è solo forma, è soprattutto so stanza e chi lo segue si accorge che rende la vita più semplice», così mi diceva mio padre quand’ero bambino. Con il tempo mi sono reso conto che quelle parole avevano un fondamento. Non solo alcune regole si sono rivelate convenienti dal lato pratico, ma ho anche constatato che spesso hanno una motivazione storica che vale la pena di approfondire. Questo conferma, semmai ce ne fosse bisogno, che la tavola è lo specchio della vita sociale e della realtà che ci circonda. Un primo esempio: mai chiedere il sale alla padrona di casa. Sebbene il
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piatto sia insipido, non bisogna cedere alla tentazione di aggiungerlo, tanto più se non è a disposizione sulla tavola. La richiesta, infatti, potrebbe in qualche modo sottolineare il fatto che la pietanza non sia cucinata ad arte e che quindi la cuoca non sia all’altezza. Storicamente questa regola aveva ben altro fondamento ed era legata al fatto che essendo il sale, in passato, un bene prezioso, utilizzato addirittura come moneta di scambio, per alcuni era un lusso. Pertanto, pretendere del sale poteva mettere in imbarazzo i padroni di casa. Ancora: mai dire buon appetito per aprire una cena o un pranzo. Non solo questo augurio non è un
atto di cortesia, ma parte anche da un presupposto sbagliato. Un tempo infatti, per gli aristocratici, la tavola era solo, o principalmente, un’occasione per conversare, creare alleanze e sinergie. Non si mangiava assieme ai propri ospiti per fame. Il cibo era unicamente un contorno piacevole alla conversazione, cioè al reale motivo di quell’incontro. Anche per questo la nobiltà non arrivava mai affamata ad un appuntamento formale. L’inizio del pasto quindi, ora come allora, deve avvenire in silenzio e con disinvoltura, facendo attenzione a non considerare il cibo come protagonista assoluto.
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Se una certa fascia della popolazione non aveva problemi e poteva mangiare più volte al giorno, ce n’era tuttavia un’altra — ben più folta — che non sempre riusciva a mettere assieme il pranzo con la cena. Forse è stato pensando a questi soggetti, in particolare a coloro che lavoravano nelle cucine delle case dei nobili, che è stata inventata la regola di non tagliare il pane con il coltello, ma di spezzarlo con le mani sopra un piattino posto alla sinistra del commensale, vicino ai bicchieri. Le briciole, infatti, potevano essere poi consumate dalla servitù che talvolta si doveva accontentare di questo o poco più per sfamarsi. Per lo stesso motivo pare inopportuno spazzolare via dal piatto ogni minimo residuo di cibo. Se proprio non si resiste alla tentazione di raccogliere la salsa o il sugo che resta, che almeno la “scarpetta” venga fatta con un piccolo pezzo di pane infilzato nella forchetta e non con le mani. Forse questo è l’unico modo per mostrare il giusto apprezzamento verso la pietanza senza sembrare degli affamati che non si cibano da giorni. Sempre per lo stesso motivo, bisogna evitare di consumare elementi disposti nel piatto con pura funzione decorativa, sebbene commestibili (ad esempio piccole parti di ortaggi, o foglie di piante aromatiche). Se ci sono le condizioni, ci si può concedere il bis — anche al fine di gratificare i padroni di casa — ma non il tris. Così come risulta sgradevole e poi anche difficile da gestire un piatto oltremodo pieno, o una forchettata troppo pesante che rende difficile la masticazione. Meglio fare bocconi piccoli e facili da “gestire”. Buon senso, linea e pulizia Come si diceva, il galateo è per molti versi buon senso. Il fatto che il pane non possa essere mai consumato se non viene servita almeno una portata è in primo luogo buona prassi dal punto di vista nutrizionale. D’altronde, se si comincia da subito ad ingerire carboidrati, fare il bis con il pane non fa che aumentare le calorie oltre misura. In questo caso, oltre che di galateo, è anche una questione di linea. La regola secondo cui la fettina o i cibi
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a grandi pezzi (è il caso, ad esempio, di lasagne o timballi) debbano essere tagliati man mano che si portano alla bocca risponde all’esigenza di non far freddare troppo la pietanza. Ridurre una cotoletta in tanti piccoli pezzi prima di mangiarla non solo è poco bello da vedere, ma non permette di gustare la carne calda, al massimo della sua fragranza. Lasciamolo dunque fare ai bambini, che ancora non sanno usare forchetta e coltello contemporaneamente. Sarebbe bene evitare di lasciare sulla tovaglia tracce spiacevoli della nostra presenza, come macchie di unto o di vino, pezzetti di pane o briciole in grande quantità. Le posate vanno appoggiate sui lembi al piatto, con le punte rivolte verso l’alto in modo che salse e olio non possano colare giù, sporcare i manici, la tovaglia e poi anche le mani. Durante le pause vanno messe nella posizione delle lancette dell’orologio alle ore 20.20 e, finito il pasto, si dispongono parallele, con i lembi verso l’alto, alle ore 6.30. Mai debbono essere posati i manici sulla tavola e la lama del coltello o i denti della forchetta sull’orlo del piatto. E, sempre a proposito di salvaguardia della tovaglia, ma soprattutto della propria camicia, attenzione nel consumare il brodo. Quando si giunge agli ultimi cucchiai, la tazza deve essere rivolta verso l’interno del tavolo e non verso se stessi. Il rischio, infatti, sarebbe quello di versarsi il
liquido addosso, con conseguenze nefaste. Chissà se, anche nel caso del caffè, le regole sono legate ad un’esigenza di tutela della biancheria (poi difficilissima da smacchiare). In questo caso, infatti, il galateo impone di mescolarlo piano, dal basso verso l’alto, e non velocemente in senso circolare, che, oltre ad essere poco elegante, è anche rischioso per le fuoriuscite del liquido sul tavolo. Mai, dopo aver mescolato il caffè, portare alla bocca il cucchiaino e leccarlo per “pulirlo”. Va invece appoggiato, prima di sorseggiare la bevanda, sul lato del piattino, che ha, tra gli altri compiti, questa funzione. In tema di pulizia, ecco comparire il tovagliolo, questo sconosciuto. Talvolta viene appoggiato sulle gambe e dimenticato lì sino a fine pasto, nella convinzione che serva a proteggere gli indumenti che si indossano, e non debba essere impiegato ad altro scopo. Non c’è invece nulla di più triste che vedere sulla tavola calici e bicchieri di cristallo con i segni delle labbra oleose di chi li sta utilizzando. L’uso del tovagliolo è d’obbligo soprattutto quando si lascia la forchetta per bere un sorso d’acqua o di vino. No comment A tavola le distrazioni non sono consentite, sebbene la cena o il pranzo siano spesso momenti ludici. Per esempio, è bene tenere sempre le mani a vista, ma mai poggiare i gomiti. È
Telefonate e messaggi quando si sta pranzando o cenando, specialmente se insieme ad altri, dovrebbero essere evitati sempre (photo © demotywatory.pl).
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sgradevole chiedere o proporre assaggi anche tra “fidanzatini” alle prime uscite e, tanto per non dare l’idea di essere dei dobermann che temono gli venga sottratta la ciotola, non è il caso di circondare il piatto con il braccio. Assolutamente vietato dichiarare che una certa pietanza non è di proprio gusto perché si mette in difficoltà la padrona di casa, rea di aver cucinato qualcosa di poco gradito. Piuttosto, in questi casi, è meglio lasciare passare il piatto di portata senza commenti, dicendo semplicemente “no grazie”. L’equilibrio è il segreto per un corretto comportamento a tavola e così come non si devono fare commenti su un piatto poco gradito, è bene non esagerare in complimenti per qualcosa che è piaciuto particolarmente. Di fronte a un vassoio di tartine o di pasticcini non si devono passare delle ore prima di decidere quale prendere. La scelta va fatta senza indugi, prelevando il pasticcino dolcetto o la tartina con il suo contenitore per non lasciare sul vassoio, a fine giro, una montagna di carte e rifiuti. È sempre bene evitare di mettere a disagio la padrona di casa chiedendo qualcosa che non sia già a disposizione dei commensali. Se accidentalmente dovesse cadervi una posata, evitate di buttarvi sotto il tavolo alla ricerca della stoviglia, frugando tra i piedi
dei commensali. Lasciatela lì sino a fine pasto oppure aspettate che sia la padrona di casa, o altri per lei, a recuperarla. D’altronde, nell’immediato, non è più utilizzabile. Nemmeno ai più accaniti è permesso di fumare tra una portata e l’altra. Semmai, su autorizzazione della padrona di casa, una sigaretta potrebbe essere concessa a fine pasto. Evitare le telefonate o i messaggi. Sempre. Quando i padroni di casa siano noi Apparecchiare la tavola per una cena informale è più semplice di quanto si creda. Le regole sono poche e certe. A destra del piatto vanno i coltelli, la cui lama deve essere sempre rivolta verso l’interno. A seguire il cucchiaio, che sta nella parte più esterna. Le forchette, a sinistra, vanno posizionate in ordine di utilizzo dall’esterno verso l’interno. I bicchieri stanno invece sulla metà a sinistra del piatto. Il bicchiere del vino sta all’altezza della punta del coltello e verso il centro si posiziona quello dell’acqua. Vicino ai bicchieri, viene collocato il piattino per il pane. A cena fuori Il ristorante può essere un luogo pieno di insidie. Chi non si è mai sentito in imbarazzo entrando in un locale pubblico al primo appuntamento?
Remo (Alberto Sordi) e Augusta (Anna Longhi), fruttivendoli romani, protagonisti del film “Dove Vai In Vacanza?” del 1978, ci mostrano come non si dovrebbe mai mangiare un piatto di spaghetti. Ma la fame, a volte, si sa…
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Dal punto di vista del galateo, invece, è severamente vietato tentennare o sentirsi in imbarazzo. Se all’ingresso del locale si trova la porta chiusa, la persona che invita precede l’ospite o gli ospiti, fermandosi però sulla soglia per far entrare gli invitati. Questo vale anche per l’ingresso in un locale a porta aperta. In sostanza, si deve fare strada come un atto di cortesia e quasi di tutela dei propri ospiti. Quando invece l’ingresso è aperto con personale di servizio sulla soglia, chi invita lascia il passo all’invitato o agli invitati. Poiché un tempo era disdicevole per una signora entrare in un locale da sola o per prima, tuttora il suo accompagnatore deve precederla, anche per evitarle incontri spiacevoli. In passato questa esigenza era così sentita che in certi casi il cavaliere inviava in perlustrazione un proprio servitore, o ispezionava personalmente il locale, prima di far entrare la sua dama. La parità di genere ricompare però quando ci si deve rivolgere al maître per richiedere un tavolo o segnalare la prenotazione. Chi si fa avanti, in questo caso, è infatti colui o colei che deve pagare il conto, uomo o donna che sia. Il cameriere accompagna la signora, o le signore, alla tavola, facendo strada. Gli uomini invece seguono e restano in piedi sino a quando tutte le donne sono sedute. Al contrario di ciò che avviene di solito, il posto che consente maggiore visibilità spetta alla donna, alla quale deve essere permesso di essere ammirata dai presenti in sala e dal suo stesso accompagnatore, mentre all’uomo è riservato quello che gli consente di “controllare la situazione”. Se nel raggiungere il proprio tavolo si incrociano dei conoscenti, non è il caso di sostare e trattenersi in lunghe conversazioni che potrebbero essere fastidiose per tutti, soprattutto per chi sta consumando il pasto. Tuttavia, se le conoscenze sono comuni, è concesso un saluto più cordiale del semplice cenno. In questo caso gli uomini presenti a tavola si alzano, mentre le signore ne sono dispensate. Sempre. I menu vengono sottoposti prima alle signore e solo dopo agli uomini, sebbene le donne non parlino mai con il cameriere, ma lo facciano sempre
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Sarah Jessica Parker, Carrie Bradshaw nella fortunata serie televisiva Sex and the City, fuma una sigaretta a tavola. È vivamente sconsigliato dal galateo fumare tra una portata e l’altra (photo © www.nonsidicepiacere.it). per interposta persona e nello specifico tramite colui che pagherà il conto, soprattutto se la tavola è limitata a un numero di persone ristretto. Quando invece i commensali sono tanti, anche per evitare problemi pratici, le specifiche richieste di ognuno vengono raccolte direttamente dal cameriere senza intermediazioni. Nei ristoranti particolarmente attenti al galateo, dovrebbe essere a disposizione anche un menu privo dei prezzi, destinato alle signore o agli ospiti che non pagheranno il conto. Le scelte sul piatto da consumare devono essere comunicate con celerità e decisione, senza lungaggini inutili e sgradevoli. Per rispetto nei confronti della sala e del personale del ristorante, l’attenzione del cameriere dovrebbe essere richiamata con un cenno discreto, mai con esternazioni irriverenti o rumorose. Il cameriere non è un vecchio amico o un ex compagno di scuola, pertanto va trattato con rispetto, dandogli del lei ed evitando uno sgradevole atteggiamento di superiorità. Anche se il servizio o il cibo sono stati pessimi, mai usare arroganza. I piatti di portata vengono offerti, da chi accoglie i convitati, prima alle signore, poi alla propria moglie e infine agli uomini. I piatti singoli
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invece vanno serviti in primo luogo alle signore, poi all’ospite d’onore e, solo alla fine, a colui che pagherà il conto. Soltanto se i commensali sono più di otto si può iniziare a mangiare, anche se non tutti sono stati serviti. Questa è una regola del galateo contemporaneo per evitare che le pietanze si raffreddino. Chi invita è tenuto all’assaggio del vino — o, in alternativa, delega una persona che a suo parere ha maggior competenza in fatto di vini — e deve fare attenzione che non manchino mai sulla tavola l’acqua, il vino e il pane, richiedendoli al cameriere in caso di necessità. Infine, sarà sua cura tenere viva la conversazione e non escludere nessuno. Quando arriva il conto Quello del pagamento è un momento delicato e in quanto tale va gestito con cura e discrezione. Il conto si salda in separata sede, assentandosi dal tavolo con una scusa e senza enfasi. Nel caso in cui lo si paghi al tavolo, non solo si deve evitare ogni tipo di commento in presenza degli altri commensali, ma non è nemmeno cortese controllare meticolosamente il numero delle portate. Se si tratta di un pranzo o di una cena di lavoro, il conto deve
essere pagato da chi chiude l’affare e da chi ha avuto interesse ad incontrare l’altro. Se invece il totale viene ripartito tra un gruppo di amici, è bene dividere in parti uguali e senza tener conto di quanto o di cosa ognuno ha consumato. In situazioni del genere, anche per evitare discussioni, è il caso che uno dei commensali faccia il calcolo del dovuto in maniera veloce e discreta. Terminato il pranzo, gli ospiti si avviano verso l’uscita lasciando che sia chi ha offerto il pranzo ad abbandonare per ultimo il locale, eventualmente fermandosi sulla soglia per salutare i suoi commensali. Il giorno dopo chi è stato ospite deve fare una telefonata di ringraziamento e riaffermare quanto ha gradito l’invito. Non barate, un sms non è sufficiente. Ovviamente questo vale per inviti un po’ formali. Si può derogare nel caso di un incontro tra amici dove certe convenzioni possono risultare eccessive. Non ci si scordi però mai delle buone maniere: quelle non sono mai inopportune, né sono mai troppe. Sebastiano Corona Nota A pagina 116, comportamenti da evitare quando si è a tavola (illustrazione di Silje Eirin Aure, siljeaure.com).
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Ecco perché non mangiamo i cavoli a merenda o la bistecca a colazione
Il nome dei pasti: un’eredità dei Romani e della religione di Giovanni Ballarini
P
erché non si mangiano i cavoli a merenda e neppure una bistecca per colazione? Qual è l’origine dei nomi che diamo ai pasti che in passato, più di oggi, ritmavano il tempo? Non solo abitudini, ma anche regole sagge, che non di rado segnavano le norme alimentari, un tempo anche di tipo religioso, o che trovavano riferimento nelle comunità religiose. L’etimologia, soprattutto gastronomica, è un’arte infida e spesso fonte d’inganni. Noi vi diamo solo alcune piccole indicazioni. Abitudini romane e precetti religiosi Sulla terminologia dei pasti giornalieri oggi regna un po’ di confusione, mentre nel passato le cose erano più chiare. Gli antichi Romani distinguevano tra la colazione del mattino (ientaculum), il pasto di mezzogiorno (prandium) e il pasto principale (cena), una sorta di banchetto con diverse portate. Iniziava di solito il pomeriggio, tra le 15.00 e le 16.00, e si protraeva fino a notte inoltrata. Era l’occasione per incontrarsi con gli amici, discutere, aggiornarsi sui fatti del giorno e assistere a spettacoli. Lo ientaculum e il prandium erano consumati senza sedersi, per strada o sul luogo di lavoro. Crollato l’Impero di Roma, la cena perse il suo prestigio e il pranzo di mezzogiorno divenne il pasto principale. Nelle comunità religiose la giornata iniziava rompendo il digiuno della notte e per questo il piccolo pasto della mattina prese il nome di
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desdejunare, da cui derivano il francese déjeuner e l’italiano desinare (non manca però chi fa derivare desinare da digneriun, le prime parole della preghiera dignere Dominum, recitate all’inizio del pasto mattutino). Anche in lingua inglese con il primo pasto della giornata, breakfast, c’è l’interruzione (break) del digiuno (fast); in francese il petit déjeuner è un piccolo (petit) pranzo (déjeuner), che a sua volta deriva dalla parola jeûne, digiuno; in spagnolo la parola desayuno vuol dire interrompere (-de) il digiuno (ayuno). In tedesco, invece, Frühstück è un
qualcosa/pezzo (Stück) che si mangia presto (früh). Al mattino ci si accontentava spesso di riunire o collazionare gli avanzi del giorno prima e da qui l’odierna parola di colazione. Tra gli avanzi del giorno prima non vi era certamente la carne e tanto meno una bistecca, da usare eventualmente in una cucina degli avanzi per un pasto di maggiore importanza. Il termine pranzo viene da prandium e il significato originario doveva essere quello di “primo pasto”, mentre la parola cena, anche per i Latini, nascerebbe da kert-sna o por-
Fino a qualche anno fa il pranzo di mezzogiorno era considerato il pasto principale della giornata. Attualmente, invece, per non perder tempo ci si riduce sempre più spesso ad addentare un panino veloce davanti al computer, seduti alla propria scrivania.
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zione, perché i cibi erano presentati in piccole porzioni da prendere con le mani, quando non era stata ancora inventata la forchetta (l’odierno finger food). Sull’ora della cena valeva la regola dei dieci piedi, vale a dire quando l’ombra del corpo si era allungata fino a misurare dieci piedi. Una misura del tempo facilmente determinabile quando non vi erano orologi e che variava secondo le stagioni. Merenda è il gerundio latino del verbo merere, meritare, letteralmente quindi significa “qualcosa da meritare”. I cavoli erano un cibo comune e vile, non certo un premio! Ecco perché non mangiamo cavoli a merenda, ma un cibo prezioso, ricco, possibilmente dolce, come pane, burro e marmellata. Vi aspetto a pranzo… per cena? Quando nacque la lingua italiana, la colazione indicava il breve pasto del mattino, il pranzo il pasto principale della giornata e la cena la frugale consumazione serale. Si iniziò anche ad utilizzare la locuzione dopo pranzo per indicare il pomeriggio e dopo cena per indicare le ore della sera. Oggi le cose variano da regione a regione. Nelle zone industriali dell’Italia settentrionale, il pranzo meridiano ha perso il significato di pasto principale e molti consumano in fretta un poco di cibo sul posto di lavoro o alle tavole calde. Solo la sera le famiglie si riuniscono a tavola e la cena è tornata ad essere il pasto principale della giornata, assumendo il significato di quello che era il pranzo. Contestualmente si è spostato anche l’ordine delle parole: se la colazione è il pasto di mezzogiorno, il pranzo il pasto della sera, quella del mattino diviene la prima colazione. Attualmente la parola cena è spesso usata per indicare una riunione conviviale a tarda ora, la cena di S. Silvestro, il cenone di Natale e così via. In questa confusione, si arriva alla necessità di specificare l’ora e per un invito bisogna dire “vi aspetto a pranzo per le 13:00”, oppure: “vi aspetto a pranzo per le 21:00”. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma
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Intervista impossibile a Madame Hersant
A pranzo con Babette di Gemma Zubiani
È
in giornate come questa che possono succedere cose straordinarie… Piove tantissimo e mentre guardo fuori dalla finestra le pozzanghere che si allargano a vista d’occhio vedo passare una signora dal volto sereno e dallo sguardo profondo proprio davanti alla mia porta. Questa signora mi guarda sorridendo garbatamente e mi fa segno come per chiedermi “posso entrare?”… E io le apro perché, proprio come quella volta che ho pranzato con Pellegrino Artusi o quando ho incontrato Obelix nel mio giardino, so benissimo chi è questa signora: «Si accomodi Babette!».
to: sapete che sono dovuta fuggire da Parigi per via di un tragico Maggio da dimenticare. Sapete che il signor Papin, caro amico, mi aveva mandato in quel villaggio sperduto nel Nord, dopo l’orrido omicidio di mio marito e di mio figlio, per salvarmi la vita, certo che nessun parigino avrebbe raggiunto quel paesotto dove tutti conducevano quella che chiamavano “una vita semplice e frugale”. Per me, abituata alla Francia, era una barba spaventosa, ma cosa vuole che le dica, lo chiami puro istinto di sopravvivenza! Per amore della vita
e per sfuggire alle persecuzioni che si perpetravano nella mia nazione d’origine, mi era sembrata una bella soluzione. E ormai in Francia avevo ben poco a cui tornare. Ecco, quello che non sapete è che a volte per me era veramente un tormento la noia di quei luoghi, ma non me ne sono mai e poi mai lamentata. Cercate di capire, per una cuoca raffinata come me, dover cucinare quelle orride zuppe pastose di pane e birra, lo stoccafisso… Del resto era quello che volevano: mangiare poco, spendere poco, vivere semplicemente. E può
È un vero piacere averla qui con me signora Hersant! Sono anni che desideravo chiacchierare con lei. «Mi sorprende… Come mai mi conosce?». Ma come? Lei è una delle cuoche più famose della letteratura, un riferimento, hanno fatto un film su di lei che ha persino vinto un Oscar! «Non mi dica! Non ne avevo affatto accortezza… Sa com’è, in quel villaggio norvegese, Berlevaag, le notizie non arrivavano mai e, comunque, anche quando arrivavano, erano in pochi quelli che le capivano. Diciamocelo, brava gente eh, ma poco curiosa. Ho vissuto là in silenzio e li ringrazio tuttora dell’accoglienza, ma onestamente qualche piccola e gentile “cattiveria” posso permettermela, no?». Capisco! Questa intervista è solo sua: faccia pure, ci racconti la sua storia, quella vera, perché nel romanzo in effetti si parla tanto della sua cucina, ma di lei sappiamo poco. «Sapete quello che c’è da sapere, quel poco che è funzionale al raccon-
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Una scena tratta dal film “Il pranzo di Babette” di Gabriel Axel (1987).
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di, scoperte… Perché? Vuole sapere un’altra cosa che nel romanzo di certo non ha letto?». Ma certo! Voglio sapere tutto (Babette si sta scaldando e sento che si lascerà andare a qualche dettaglio interessante sulla vita in quel villaggio sperduto…). «Onestamente, io quelle due tipe le invidiavo un po’».
La scrittrice Karen Christentze Dinesen, baronessa von Blixen-Finecke, meglio nota col nome di Karen Blixen, autrice del racconto “Il pranzo di Babette” (photo © Camera Press/ Cecil Beaton, www.dtti.it). chiederlo a chi vuole: sotto il mio comando in quella cucina si mangiava abbastanza bene (o per lo meno meglio, viste le materie prime) e si spendeva molto poco, perché io sono brava ad amministrare le risorse!». Forse se capitasse a Berlevaag al giorno d’oggi sarebbe diverso: adesso i cuochi sono di gran moda e si trovano ristoranti deliziosi ovunque, sicuramente anche laggiù. «Ma guardi, non credo! La barbarie del palato è anche questione culturale. Non mi fraintenda: le signorine che mi hanno ospitato, tutta la comunità che mi ha accolto per anni… Tutte brave persone che credono profondamente nel loro modo di vivere, in rettitudine e in sobrietà. La zuppa era per loro l’espressione gastronomica della rinuncia al piacere della vita, di una bella risata, del gusto per il buono fine a sé stesso. La domanda che mi sono fatta per tanti anni è stata solo questa: perché? Perché dovevano mortificare il palato!? Capisco tutti gli altri sensi, c’erano tutte le implicazioni religiose del caso… Ma il gusto? Il piacere della degustazione, il sublime momento in cui un sapore si sprigiona in bocca e risveglia sensazioni, emozioni, ricor-
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Ma come? Se mi ha appena detto che mangiavano delle terribili zuppe. mortificando i propri sensi? «Infatti! Le invidiavo perché erano palati vergini… Non solo palati a dirla tutta… Oh là là! Mi scusi la malizia… Insomma, le invidiavo perché avevano ancora moltissimi sapori da scoprire. Praticamente tutti. Quelle due e tutto il villaggio mangiavano solo per nutrirsi, approvvigionarsi di calorie, mai per il piacere di assaggiare qualcosa o variare un gusto. È il motivo per cui ho deciso di fare il mio pranzo quel giorno». Deve essere stato bello dopo tanti anni pietanze povere, pasti frugali, rimettere le mani su qualcosa di veramente raffinato e cucinare quei piatti sopraffini. Me lo racconti la prego! «Già, è stata una grande emozione. Anche solo quando ho dato le istruzioni per cercare le provviste e quando sono arrivate a terra. Da un lato mi godevo lo sgomento di tutta quella gente, sapevo di scandalizzarli e la cosa mi piaceva molto! Ma la grande gioia veniva dal sapere che avrei finalmente cucinato come so fare! Lei non sa cosa possa significare, al giorno d’oggi trovate tutto da tutte le parti, ma allora non era così facile in quel paesotto sperduto!». Lo immagino, ma in realtà al giorno d’oggi certe cose sono parecchio rare. La tartaruga, ad esempio, non è così facile da trovare, pulire e cucinare per farne un brodo… «Se è per quello non è stato facile neanche allora! Avesse visto le loro espressioni quando hanno saputo che c’era un’enorme tartaruga in cucina! L’ho cucinata con amore e con la consapevolezza che quel brodo sarebbe stata la cosa più buona
che avrebbero mai mangiato! Me la sono vista brutta quando il generale Löwenhielm ha cominciato a parlare del Café Anglais perché la cuoca di cui parlava con tanto slancio, ricordando le sue prodezze gastronomiche, ero proprio io. A quel punto, dopo tanti anni nascosta in quel villaggio, avendo taciuto a tutti la mia vera identità, mi sarebbe spiaciuto farlo saltare fuori: ho preferito dirlo solo alle signorine. Il mio unico obiettivo era quello di risvegliare il palato di chi mi aveva ospitato, volevo cucinare e divertirmi a farlo. Volevo sorprendere quelle persone e far capire loro che cosa vuol dire la convivialità e il piacere di degustare un buon pranzo insieme. Il vino, poi, ha fatto la sua parte. Ammetto di aver scelto vini abbastanza corposi per accompagnare le pietanze e magari vedere qualche sorriso in più a tavola. Lo Champagne ha completato la mia opera». È rimasta soddisfatta del suo pranzo? «Totalmente, anche se so bene che nessuno, a parte Löwenhielm, ha veramente capito il valore di quello che è stato servito e di quello che è stato speso per l’occasione. Se pensa che ho usato l’intera vincita di una lotteria! Ma sono stati soldi spesi bene: Löwenhielm ha detto che abbiamo portato a tavola rettitudine e felicità, un qualcosa del tipo “misericordia e verità si sono incontrate”. Comunque ha reso l’idea: non mi ricordo molto bene dopo tanti anni e poi cosa vuole, quella sera anche io dalla cucina ho assaggiato tutto, in particolare l’Amontillado e lo Champagne. Che vini eccellenti, però ammetto che mi hanno dato alla testa». Oggi che cosa cucinerebbe se potesse e volesse stupire qualcuno di nuovo? «Non saprei. Oggi avete talmente tante possibilità per scoprire i gusti di tutto il mondo, che non ho davvero idea di come fare per stupire qualcuno. Ma perché no, in fondo io sono una grande artista e quando faccio del mio meglio riesco a rendere tutti felici. Potrei provare ad incantare persino gli angeli, magari con una calda e sostanziosa zuppa di birra e pane». Gemma Zubiani
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Libri
La repubblica del maiale, come siamo, da dove veniamo
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na controstoria italiana, dal varo della Costituzione alla fine della Seconda repubblica. Una lettura fatta di aneddoti, personaggi, fatti, mode e tic. Una cavalcata di decennio in decennio, dalla fine della fame del dopoguerra alla scoperta del cibo sano e leggero complice la crisi economica di oggi, su e giù sull’ottovolante Italia che ci ha regalato emozioni a non finire tra alta cucina e bassa politica. Lo sguardo obliquo di un’affermata critica gastronomica e appassionata cittadina, attenta alle ideologie, di tutti i tipi, ci regala un’Italia mai vista, un po’ a tavola, in casa e al ristorante, e un po’ tra i banchi del parlamento e al supermercato. Dal primo Autogrill all’ultima ossessione culinaria, ecco il ritratto dell’italiano medio. Di come siamo e da dove veniamo. Comprese le ricette che hanno fatto epoca.
Questo libro «Questo non è esattamente il tipo di libro che ci si aspetterebbe da una food writer: può suonare strano che una che per mestiere recensisce ristoranti in giro per il mondo decida ad un tratto di guardarsi indietro, per rileggere la storia della Prima e della Seconda repubblica all’insegna delle ossessioni culinarie di una nazione sempre più nota all’estero per la deliziosamente perversa diade di alta cucina e bassa politica. Se l’ho fatto,
è perché ho una convinzione, basata su un precedente storico. Nell’antica Roma, fino al I secolo a.C., i cuochi sono schiavi, come gli altri servitori di casa. Dal I secolo d.C. in poi, i cuochi sono celebrities, e da schiavi diventano liberti. Nella Roma imperiale trionfa la cucina trompe-l’oeil, antenata remota ma diretta della gastronomia molecolare che, come certi film molto intellettuali, conquista più i critici che il pubblico agli albori del III millennio. Dopo la Roma imperiale è venuta la barbarie. Non so se dopo l’espressione anche gastronomica della decadenza della nostra società verrà un’altra barbarie (a volte, in vena di ottimismo, mi chiedo se il nuovo Medioevo non sia già in corso, e se dietro l’angolo non sia già bell’e pronto un nuovo Rinascimento). Ho voluto raccontare la storia di questa decadenza dall’inizio, cioè dalla fine della fame, che in Italia coincide con la fine della guerra e con l’inizio della repubblica. Mi sembra sia venuto il momento di fare un mea culpa, di osservare il progressivo decadere del mos maiorum nelle maionesi idrogenate, la progressiva perdita di senso della collettività a favore del singolare piacere del culatello di Zibello, la res publica annientata in successive fiammate di flambé, straripamenti di mousse, invasioni di petti d’anatra con riduzioni di aceto balsamico, occupazioni di letti di
ROBERTA CORRADIN La repubblica del maiale Sessant’anni di storia d’Italia tra scandali e ossessioni culinarie Chiarelettere (collana Reverse), 2013 272 pp. – € 12,90 rucola, valanghe pannose di tortellini al prosciutto, pozzanghere di pizza e Nutella®… Spero di non suonare come un’oca giuliva che starnazza su e giù per le disgrazie della Repubblica, certamente non era questa l’intenzione. Quello che volevo dire, piuttosto, è: ragazzi, riflettiamo. Siamo ancora in tempo».
Roberta Corradin è nata a Susa nel 1964. Si è diplomata al liceo d’Azeglio a Torino e nel 1989 ha cominciato a lavorare nei fumetti. Nel 1992 diventa lavoratrice anomala ante litteram e da allora, per circa un lustro, scrive di pseudopsicologia da bar e da parrucchiere per svariate testate femminili. Nel 1995 esce il suo primo libro, Ho fatto un pan pepato… ricette di cucina emotiva (Zelig). In seguito pubblica Un attimo, sono nuda, una storia umoristica misogina (Piemme), Le cuoche che volevo diventare (Einaudi), Tradizione Gusto Passione (con Paola Rancati, Silvana Editoriale) e scrive di viaggi e di cucina per diverse testate. Traduce narrativa e saggistica dal francese e dall’inglese. Nella Sicilia sudorientale porta avanti un progetto di fattoria permaculturale e gestisce un ristorante di mare a Donnalucata (RG).
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Haripro, leader in Italia nella produzione di proteine e aromi naturali, fornisce le pi첫 importanti aziende produttrici di ingredienti per la salumeria. Haripro grazie ad una continua ricerca, ha sviluppato negl'anni prodotti sempre pi첫 all'avanguardia, come proteine funzionali ed aromi naturali anallergici ad alto valore nutrizionale. Haripro is a leading producer of proteins and natural flavours in Italy. It supplies the most important Companies which blend ingredients for the meat industry. Haripro, thanks to a continuous research, had developed through years more advanced products like functional proteins and hypoallergenic natural flavours with high nutritional value.
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Stupdt o l’arte di rialzarsi da terra
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no “stupidario” geniale e colto che si manda giù come un Bellini. Terzo volume del personale trittico, in Stupdt (che sta per “stupidità”) si ride tanto. Arrigo Cipriani lascia l’Harry’s Bar, ombelico della mondanità, e potenzia ironia e verve comica. Ci sono i rapporti umani, quelli tra marito e moglie, o tra spasimante e amata, in entrambi i casi ottuagenari, che vengono colti in fulgidi attimi di inavvertita comicità quotidiana (la moglie sonnambula che nel mezzo della notte pratica un rapporto sessuale con un vicino e torna a letto dal marito lamentandosi dei suoi problemi col sonno), o anche le querelle divine. C’è l’uomo che vende la felicità in un barattolo vuoto di vetro e diventa ricco. C’è la storia d’amore sempre sul punto di fiorire tra Arrigo e Alvara, e il rapporto tutto epistolare con la signora Marple. L’ironia, garbata ed
elegante, è l’elemento dominante cui fa appello l’autore, che ad 82 anni è consapevole che il sale della vita consiste nel sapersi affidare al buonsenso, alla “leggerezza che porta alla felicità”. Quasi magicamente, portata dal brusco sbotto di una risata, l’essenza umana più profonda si converte in evanescente leggiadria, e neanche la morte fa più paura. Cipriani sa conferire leggerezza e stupore al racconto, sorridendo sempre di se stesso. «È sempre bene sorridere di noi, perché ci accorgiamo che anche le cose serie non sono tanto serie». L’autore Arrigo Cipriani, patron dell’Harry’s Bar, leggendario locale veneziano rifugio di Hemingway e del jet set internazionale, è non solo il fondatore di un impero (sono 21 i locali gestiti nel mondo, otto solo a New York) ma anche un ironico narratore.
ARRIGO CIPRIANI Stupdt o l’arte di rialzarsi da terra Editore Feltrinelli, Milano, 2014 176 pp. – € 15,00
Il sapore dei ricordi
È
il titolo del primo libro di ricette pubblicato da Stefano Bencistà Falorni con Firenze Leonardo Edizioni. Un libro che propone sapori ormai scomparsi e che hanno popolato l’infanzia del proprietario della storica Macelleria Falorni. La prefazione è di CARLO PETRINI: “fondata nel lontano 1806, l’Antica Macelleria Falorni produce artigianalmente da ben nove generazioni salumi di altissima qualità, seguendo metodi di lavorazione tradizionali ed antiche ricette, che si tramandano nei secoli di padre in figlio. Passione, rispetto per la tradizione e forte legame con il territorio sono i valori su cui si basa la filosofia produttiva di questa storica bottega chiantigiana, che da piccola realtà di paese è diventata oggi un marchio conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo.
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La storia di questa azienda, che non può prescindere dalla storia di una famiglia, è raccontata nel libro Il sapore dei ricordi. Mangiari e storie del Chianti raccontati da Stefano Bencistà Falorni. Nel lungo percorso che ha contraddistinto l’avventura di Slow Food la figura di Stefano Bencistà (Stefano Falorni un po’ per tutti) c’è sempre stata. A volte più visibile, a volte meno, Stefano è sempre stato una presenza rassicurante, vicina, disponibile. Non è semplice né consueto incontrare persone con cui si possa mantenere un rapporto così forte nonostante la distanza, gli impegni, il lavoro, i lunghi periodi senza vedersi. Eppure lui c’è sempre stato e continua a esserci, per cui quando ho ricevuto la richiesta di scrivere una prefazione a questo libro non ho potuto far altro che accettare di buon grado”.
GIAN MARCO MAZZANTI Il sapore dei ricordi Mangiari e storie del Chianti raccontati da Stefano Bencistà Falorni Leonardo Edizioni, Firenze, 2013 € 10,00
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GAZA, IRAQ, SIRIA: EMERGENZA UMANITARIA IN MEDIORIENTE 12 milionii di persone sono state t t costrette t tt a lasciare l i lla propria i casa, 14 milioni hanno urgente bisogno di aiuti umanitari. Le ONG di AGIRE e la Croce Rossa Italiana lavorano da mesi per portare soccorso alle popolazioni civili nelle aree più martoriate dalle guerre.
FOTO: GVC
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Sangiovese vino di Romagna
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l Sangiovese è uno dei vitigni più diffusi in Italia e all’estero, ma le sue origini sono ancora in parte misteriose e discusse. Per tale motivo ogni documento antico che getta luce su tale argomento è accolto con grande interesse; come la scoperta nell’Archivio di Stato di Faenza di un atto notarile del 1672 che attesta già all’epoca la coltivazione del Sangiovese nel territorio di Casola Valsenio, nell’Appennino faentino in Romagna. È il primo documento noto che riporta il termine Sangiovese, preceduto solo da un paio di citazioni, ma con denominazioni diverse. Partendo dal documento, BEPPE SANGIORGI, storico e giornalista, ha sviluppato una ricerca sull’origine del nome, sulla culla del Sangiovese e sulle sue successive vicende consultando circa 200 testi italiani e stranieri editi dal 1600 a oggi. Ricerca pubblicata, per iniziativa del Consorzio Vini di Romagna e con
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prefazione dello storico dell’alimentazione Massimo Montanari, nel libro Sangiovese vino di Romagna. Storia e tipicità di un famoso vitigno e di un grande vino. Volume che, nella seconda parte, curata da GIORDANO ZINZANI, enologo e presidente del Consorzio Vini di Romagna, descrive il terroir romagnolo e le varie tipologie e denominazioni nelle quali si articola l’attuale produzione viticola ed enologica del Sangiovese in Romagna. L’identità romagnola del Sangiovese e il suo stretto legame con il territorio vengono rimarcate da Giordano Zinzani attraverso la descrizione del terroir e la presentazione delle varie tipologie e denominazioni nelle quali si articola l’attuale produzione viticola ed enologica di tale vitigno in Romagna. Cominciando dal “Romagna DOC Sangiovese” e proseguendo con il Sangiovese dei “Colli” romagnoli e il Sangiovese IGT.
BEPPE SANGIORGI GIORDANO ZINZANI Sangiovese vino di Romagna Storia e tipicità di un famoso vitigno e di un grande vino Valfrido Edizioni (Faenza) Consorzio Vini di Romagna 110 pp. – € 10,00
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