Premiata Salumeria Italiana 5-2016

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXVIII N. 5 Settembre-Ottobre 2016

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N. 5 Anno XXVIII Settembre-Ottobre 2016

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Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988 Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi

Veniteci a trovare a CIBUS TEC: 25 – 28 ottobre 2016 / Pad. 4 – Stand D 15 Vi aspettiamo!

Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Renato Bergonzini – Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Redazione New York Stefano Spadoni 1732 1st Ave #27220 – New York, NY 10128 Tel. 001 212 956-8566 E-mail: Stefanony@stefanospadoni.com Consulenti scientifici Prof. Giovanni Ballarini (Parma) – Prof. Fausto Cantarelli (Parma) – Prof. Carlo Cantoni (Milano) – Prof. Giuseppe Caserio (Milano) – Prof. Giorgio Catellani (Napoli) – Prof. Eugenio Del Toma (Roma) – Dr. Emanuele Guidi (Modena) – Prof. Riccardo Monacelli (Roma) – Dr. Alfonso Piscopo – Piero Pittaro (Udine) – Prof. Andrea Strata (Parma) – Angelo Valentini (Perugia) Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.

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N. 5

In questo numero: Agenda

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Immagini

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Tendenze

Food watching: nuove idee e trend nel mondo del cibo

Il food in rete

Social food

Aziende

Dallatana presenta al Salone del Gusto l’autentico Culatello di Zibello Dop

20 Elena Benedetti

22 24

La rivoluzione dell’amaro, al femminile

Elena Benedetti

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Indagini

Il clima cambia i consumi

Giovanni Ballarini

30

Retail marketing

Keep calm and be “ready to eat”

William Funck

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La qualità

Tesori lucani

Massimiliano Rella

36

Prodotti tipici

Le goloserie viterbesi dei Fratelli Stefanoni

Riccardo Lagorio

40

Cicerchia gluten free

Josette Baverez Blanco 44

Le botteghe dei Monasteri

Nunzia Manicardi

46

Massimiliano Rella

54

Ritorno ai cibi veri

Giovanni Ballarini

58

Trend

Kit di gastronomia, un nuovo modo di fare cucina

Giovanni Ballarini

62

Eventi

Ol Salam pió bù… l’è ol me!

Gaia Borghi

64

Rassegne

Festival del Prosciutto di Parma 2016, stelle e novità

Curiosità

Premiate salumerie italiane Bonelli: carne fumada & Co.

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Fiere

Oltre 47.000 visitatori al Salone internazionale del Biologico e del Naturale

Formaggio

Buoni acquisti d’autunno

Riccardo Lagorio

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Vino

Carthago bibenda est!

Riccardo Lagorio

78

I vini di Premiata Salumeria Italiana

Street food & wine: erbazzone e Lambrusco

Laura Franchini

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Birra

Il grande successo della bionda nostrana

Sebastiano Corona

86

Bevande

Mille e un caffè

Riccardo Lagorio

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Tecnologie

Monaco, l’Oktoberfest e l’HB

Sicurezza alimentare

Più incidenti alimentari da cibi più sani

Giovanni Ballarini 104

Storia e cultura

Salato come una… bresaola?

Carlo Cantoni

Il lardo della gatta

Giovanni Ballarini 112

Libri

72

100

108

Alla scoperta del gusto italiano

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“Mamma… ho fame!”

118

Un anno in Romagna

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In copertina: salami d’Italia (photo © Massimiliano Rella).

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AGENDA

Torino L’appuntamento con la prossima edizione di Terra Madre Salone del Gusto è nel centro di Torino dal 22 al 26 settembre. Decisione condivisa da Slow Food, Regione Piemonte e città Torino per avvicinare maggiormente il grande pubblico alle tematiche legate al cibo — dalla produzione alla distribuzione e al consumo — così importanti nella vita di ognuno di noi. La manifestazione, anticipata di un mese, non si tiene infatti all’interno di un polo fieristico, ma coinvolge alcuni tra i luoghi più belli e importanti di Torino: il Parco del Valentino con il Borgo Medievale, vero cuore dell’appuntamento e cornice storica di eventi internazionali, Palazzo Reale, il Teatro Carignano, il Circolo dei Lettori e la Reggia di Venaria Reale. «È tempo che Terra Madre Salone del Gusto vada incontro a molti più visitatori, che potranno così facilmente conoscere i progetti di Slow Food e della rete di Terra Madre nel mondo, incontrare i produttori, assaggiare ottimi cibi e scoprire modi di produrli rispettosi dell’ambiente e della giustizia sociale, assistere alle molte conferenze e partecipare agli appuntamenti pensati principalmente per le famiglie. Il tutto nella meravigliosa cornice offerta dalla bellissima Torino», ha commentato Carlo Petrini, fondatore di Slow Food. www.salonedelgusto.com

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Torino Il Consorzio del Prosciutto di San Daniele partecipa a Terra Madre Salone del Gusto che si tiene a Torino dal 22 al 26 settembre. Il Prosciutto di San Daniele DOP sarà protagonista, in collaborazione con il Consorzio di tutela della DOC Prosecco, in una location particolare che evoca l’ambientazione della classica osteria, allestita all’interno dello splendido contesto del Parco del Valentino, nell’area dedicata al Friuli Venezia Giulia. Tante le degustazioni guidate in programma, per assaporare il crudo di San Daniele tagliato a mano o affettato a macchina, proposto al naturale o servito in differenti abbinamenti, accompagnato dalla freschezza del Prosecco Doc, altra eccellenza del Nord-Est in Italia e nel mondo. www.prosciuttosandaniele.it

Modena Si chiamerà Gusti.a.Mo.16 – Acetaie, caseifici, e prosciuttifici aperti e sarà un fine settimana interamente dedicato alle eccellenze enogastronomiche del territorio quello che si svolgerà dal 30 settembre al 2 ottobre. Il fine settimana all’insegna del gusto inizierà ufficialmente venerdì 30 settembre con il talk show dal titolo “Cibo, cultura, territorio: la grande differenza italiana”, in programma al Palazzo dei Musei. Il secondo round andrà in scena sabato 1 ottobre, con degustazioni narrative sensoriali di tutti prodotti DOP e IGP nello storico Mercato Albinelli, dalle 16:30 alle 18:30, e con i panini dello chef DANIELE REPONI. Nella giornata di sabato è prevista la visita guidata nel centro storico della città di Modena con il Duomo, Patrimonio UNESCO, e nei dintorni, in particolare all’Abbazia di Nonantola, alla Rocca di Vignola e al Palazzo Ducale di Sassuolo. Sempre nelle giornate di sabato 1 e domenica 2 ottobre, le acetaie, i caseifici e i prosciuttifici apriranno le porte ai visitatori e curiosi con programmi personalizzati. Questa è la formula di un viaggio che porta a conoscere da vicino i principali ambasciatori di una regione, l’Emilia-Romagna, saldamente al primo posto tra le regioni a più alta vocazione food: protagonisti saranno quindi l’Aceto Balsamico di Modena IGP, con un valore al consumo che sfiora i 700 milioni di euro, l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP, con un fatturato al consumo di 9 milioni di euro, il Parmigiano Reggiano DOP, con un valore di quasi due miliardi di euro per 3 milioni e 300.000 forme, il Prosciutto di Modena DOP, con 12 milioni di euro di fatturato al consumo, ed i Lambruschi modenesi DOC (uno scorcio del Duomo di Modena, capolavoro dello stile romanico; photo © Elena Benedetti). www.consorziobalsamico.it www.consorzioprosciuttomodena.it www.parmigianoreggiano.it

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Milano Dal 15 al 17 ottobre al Palazzo del Ghiaccio di Milano torna per il quinto anno Milano Golosa, la manifestazione ideata da Davide Paolini dedicata alle eccellenze regionali del nostro Paese. 200 gli espositori artigiani confermati, tanti in lista di attesa, in una tre giorni di incontri, laboratori, ricette, per un racconto che mette al centro il concetto di purezza in cucina e l’importanza della qualità degli ingredienti. Il programma, in particolare, darà voce ad un approfondimento su cacao, latte, luppolo, miele e farina. Curiosando tra i corridoi di Milano Golosa sarà inoltre possibile conoscere tanti prodotti caseari, tra cui il Frant friulano, i formaggi di capra, le caciotte di latte vaccino, il Castelmagno d’alpeggio, il Raviggiolo. Tra le novità di questa edizione c’è il trombolotto, un condimento naturale la cui ricetta affonda le sue radici nelle antiche preparazioni dei monaci cistercensi. Sarà presente il crunch di Renato Bosco e tanti vini, dal Lambrusco di Modena al Chiaretto. Tra i salumi ricordiamo la galantina di pollo, il salame d’oca, il prosciutto di Parma, di San Daniele, di Saint Marcel, di Sauris, la mortandela, la carne, il capocollo di Martina Franca, la porchetta di suino nero lucano, la testa in cassetta ligure. Molte le chicche ittiche, quali la trota affumicata, il salmone e la bottarga di muggine. Tanti i panettoni realizzati con la pasta madre. L’evento sarà aperto al pubblico sabato 15 ottobre (dalle 14:30 alle 22:00), domenica 16 ottobre (dalle 10:00 alle 20:00) e lunedì 17 ottobre (dalle 10:00 alle 17:30). Numerosi gli eventi che coinvolgeranno anche altri luoghi — ristoranti ed enoteche del centro — con il programma di Fuori Milano Golosa. Il biglietto d’ingresso, come nelle passate edizioni, sarà di 10 euro a persona, 5 euro per i bambini dai 6 ai 12 anni; per i bambini minori di 6 anni gratuito (in basso, fiori saporiti; photo © Valeria Mosca). www.milanogolosa.it

Parigi, Francia L’appuntamento con l’offerta agroalimentare a livello globale quest’anno è il SIAL, Salone Internazionale dell’Alimentazione, in programma dal 16 al 20 ottobre a Paris Nord Villepinte. Sviluppata dal network SIAL Group, attraverso i suoi 8 saloni SIAL Paris, con oltre 200 Paesi rappresentati, sarà fortemente orientata al business. Grande Distribuzione, centrali d’acquisto, hard discount, vendite al dettaglio, tutte le insegne saranno presenti all’appuntamento di Parigi che si appresta a confermare, ancora una volta, il ruolo strategico di questa manifestazione nel comparto mondiale del food (in basso, uno scatto dell’edizione 2014; photo © sial-network.com). www.sialparis.com

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Bolzano Torna anche quest’anno il consueto appuntamento autunnale con i vini autoctoni italiani. Il 24 e il 25 ottobre infatti Fiera Bolzano ospiterà la nuovissima edizione di Autochtona in contemporanea con Hotel, la quattro giorni dedicata al settore dell’hotellerie e della ristorazione. L’edizione 2016 arricchisce la sua formula, proponendo una novità per le aziende che ambiscono a creare sbocchi commerciali verso nuovi mercati esteri. Si chiama “Best Wine Buy” l’opportunità di partecipare a incontri one to one con buyer internazionali per promuovere, valorizzare e affermare commercialmente le eccellenze del nostro territorio nei Paesi target. Le aziende espositrici potranno infatti prenotare incontri individuali con gli importatori grazie ad un’agenda studiata ad hoc sulla base delle loro esigenze. Non mancherà nemmeno quest’anno la rassegna “Autoctoni che passione!” in occasione della quale una giuria di wine journalist e riconosciuti esperti assegnerà gli “Autochtona Awards” alle migliori etichette in degustazione. Confermata anche “Tasting Lagrein”, la degustazione comparativa dedicata ai vini prodotti dall’omonimo vitigno altoatesino, parte integrante del calendario “collaterale” della manifestazione. www.autochtona.it

Volterra (PI) Torna sabato 22 e domenica 23 ottobre, e ancora da sabato 29 ottobre a martedì 1 novembre, l’appuntamento con Volterragusto, da anni punto di riferimento nella promozione delle eccellenze enogastronomiche toscane. Protagonista indiscussa presso le Logge del Palazzo Pretorio in Piazza dei Priori sarà come sempre la “XIX Mostra Mercato del Tartufo Bianco”, accanto alle altre specialità del territorio, tra vino, olio, formaggio, salumi e cioccolato raccontati da chi li produce. Fra le novità di questa edizione “Di Vigna in Vigna”, escursione ciclistica amatoriale tra i vigneti di Volterra, la “Notte del bianco”, con degustazioni a ingresso gratuito all’interno del Museo Guarnacci, della Pinacoteca Civica e di Palazzo dei Priori, le visite in tartufaia e l’attesissimo “Palio dei caci volterrani”, domenica 23 ottobre, organizzato in collaborazione con il Comitato delle Contrade Città di Volterra e l’Associazione Pecorino delle Balze Volterrane. www.volterragusto.com 14

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Franciacorta (BS) Autunno in Franciacorta? Perché no! Questa è una tra le mete italiane preferite dall’enoturismo internazionale. Per accogliere gli enoturisti al meglio, cantine, distillerie, laboratori di prodotti tipici associati alla Strada del Franciacorta saranno aperti al pubblico dal 29 ottobre al 1 novembre in occasione del lungo week-end di Ognissanti (elenco e indirizzi su www.stradadelfranciacorta.it). Le cantine organizzeranno visite guidate seguite da degustazioni di Franciacorta, il più pregiato vino italiano prodotto con Metodo Classico. È consigliabile prenotare la visita presso le aziende e i produttori prescelti. Chi desidera trascorrere qualche giorno in Franciacorta in occasione di questo ponte o, in genere, in autunno, può scegliere fra le molte le proposte messe a punto per gli enoturisti e pubblicate sul sito della Strada del Franciacorta (www.franciacorta. net/it/enoturismo/pacchetti). I pacchetti vanno dal week-end alla settimana e abbinano il soggiorno a varie attività, dalle degustazioni guidate alle visite a Monte Isola, dalle escursioni in bicicletta alle passeggiate tra le vigne. Il pacchetto week-end, ad esempio, comprende visita in cantina con degustazione, cena o pranzo a scelta, gita in battello sul Lago d’Iseo, un pernottamento: il costo parte da 90 euro in agriturismo e varia in base alla tipologia di struttura prescelta, che spazia dalla dimora storica all’hotel a 5 stelle. www.stradadelfranciacorta.it




IMMAGINI

Al pari del vino e di altri prodotti gastronomici più o meno noti, il caffè che assaporiamo è il risultato di numerosissimi fattori come il territorio, la modalità di produzione (e di tostatura), ma anche di abilità nella preparazione finale, un’alchimia di pressione, grammature e rilevazioni temporali che richiamerebbero il/la barista a disciplina ed esperienza tanto spesso disattese. Ce ne parla Riccardo Lagorio a pagina 92.

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Senza Conservanti Senza Senza Glutine Glutine Con Con Sale Sale Marino Marino no

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TENDENZE Food watching: nuove idee e trend nel mondo del cibo

Il portale thefoodpeople.co.uk da oltre 10 anni indaga e segnala le tendenze dell’universo food a favore di ristoratori e consumatori, mettendo in evidenza nuove abitudini, idee e trend su ciò che le persone cercano e cercheranno nei mesi a venire. Qualche esempio? I cibi neri (dall’hamburger al pane e ai prodotti da forno al riso), la schiscetta, l’uso delle ciotole per servire le pietanze, la cucina filippina, i panini “stilosi”, il barbecue, i burger di ogni tipo e formato, lo street food e la cultura che lo sottende, l’affumicato, i prodotti rigorosamente stagionali, le crudité, la rivisitazione della colazione e il cibo vissuto come esperienza. Ecco il link per scaricare l’infografica: goo.gl/dIfv2F >> Link: thefoodpeople.co.uk

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ph: Franceschini Vincenzo

La cura e la dedizione di una cottura lenta, come nella nostra tradizione piĂš vera, per un prodotto di incredibile sapore, davvero speciale.

Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione. FRANCESCHINI GINO & C. SRL Via dei Marmorari, 38 - 41057 Spilamberto (Mo) Tel. + 39 (0) 59784037 - Fax +39 (0) 59784075 - info@franceschinigino.it - www.franceschinigino.it


IL FOOD IN RETE

Social di Elena

1. Cuxina, blog generazionale Loro sono i vicentini MICHELE E MATTIA MARCHESINI, rispettivamente il padre, art director/pubblicitario e appassionato di fotografia, e il figlio, studente della scuola alberghiera Artusi di Recoaro. Il loro blog, www.cuxina.it, prende ispirazione proprio dalla cucina (la cuxina, termine dialettale vicentino). “Questo blog vuole essere un bel posto dove passare un po’ di tempo per rilassarsi e condividere la passione per la buona tavola”. Molto bello, tante idee e suggestioni anche sulla pagina Instagram www.instagram. com/cuxinamarchesini (in basso, lingua salmistrata; photo © instagram.com/cuxinamarchesini).

2. Il mercato centrale di San Lorenzo Lampredotto, Mortadella di Prato IGP, Finocchiona IGP, Chianina, Pecorino toscano DOP e ancora frutta, verdura, olio e vini, Pane toscano DOP, conserve e pesce. Questo e tanto ancora trovate al MERCATO CENTRALE SAN LORENZO di Firenze, che potete visitare anche on-line nel sito web mercatocentralefirenze.wordpress.com

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food Benedetti

4. Le illustrazioni nel racconto del cibo 3. Foodinitaly, la mappa dei Dop e Igp Volete scoprire tutti i segreti dei prodotti DOP e IGP del Belpaese? Il portale www.foodinitaly.com di ITALIAONLINE ha pubblicato oltre 800 schede di prodotti food & wine che oggi posso fregiarsi della Denominazione di Origine Protetta, dell’Indicazione Geografica Protetta e della Specialità tradizionale garantita, con curiosità, cenni storici e belle immagini (in basso, il formaggio DOP Strachitunt).

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La narrazione del cibo nelle sue declinazioni, tra suggestioni di sapori, immagini e dettagli oggi avviene spesso e volentieri anche attraverso l’uso delle illustrazioni. Capita così, navigando in rete, di scoprire artisti talentuosi che con i loro colori raccontano le loro percezioni con il cibo e con la cucina. Questa illustrazione è firmata da LIEKE VAN DER VORST, artista olandese, che nel proprio sito liekeland. nl racconta il suo punto di vista sul food. Stiamo raccogliendo i disegni per noi più belli e suggestivi. Li potete vedere nella bacheca dedicata di Pinterest all’indirizzo it.pinterest.com/REDAZIONEEPI

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AZIENDE

Dallatana presenta al Salone del Gusto l’autentico Culatello di Zibello Dop A giugno è stato finalmente pubblicato il Decreto Ministeriale che contiene la normazione della denominazione “culatello”, a tutela di produttori e consumatori

È

il caso di dire “A buon intenditor, poche parole”. Dopo circa 10 anni di promozione e salvaguardia, è con orgoglio che il laboratorio Dallatana, produttore di Culatello di Zibello DOP e salumi tipici di Parma (Strolghino, Salame, Spalla cruda di Palasone, Fiocco), insieme a tutto il Consorzio di Tutela, dà la notizia della tanto attesa pubblicazione del Decreto

Ministeriale, a firma congiunta del Ministero dello Sviluppo Economico e Ministero delle Politiche Agricole. «Finalmente siamo di fronte ad un testo ufficiale che regolamenta in modo chiaro ed inequivocabile la produzione e la vendita del Culatello, affidando al re dei salumi una definizione molto precisa che lo distingue da ogni altro salume» riferisce FABRIZIO DALLATANA, fondatore insieme

al fratello FILIPPO del salumificio di Roncole Verdi, Busseto (Parma). «Ci sentiamo partecipi dell’entusiasmo di tutto il Consorzio di Tutela, perché per noi Culatello di Zibello DOP significa impegno verso il consumatore nell’offrire standard qualitativi d’eccellenza, e rispetto verso tradizioni antiche di un’arte artigianale che tramandiamo con responsabilità» afferma Filippo.

Culatello di Zibello Dop.

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«Finalmente siamo di fronte ad un testo ufficiale che regolamenta in modo chiaro ed inequivocabile la produzione e la vendita del Culatello, affidando al re dei salumi una definizione molto precisa che lo distingue da ogni altro salume!» ci dice Fabrizio Dallatana Spazzolatura del culatello durante la stagionatura. A breve quindi, non saranno più ammesse denominazioni di vendita quali Culatello con cotenna, Strolghino di Culatello, Fiocco di Culatello: in questi anni, sono apparsi sul mercato salumi corredati in etichetta dall’appellazione ‘’Culatello’’, quando né la materia prima, né gli ingredienti

e/o le modalità produttive erano in qualche modo riconducibili al più pregiato prodotto di salumeria. Il Decreto appare quindi chiarificatore nei confronti anche dei consumatori, che vedono riconosciuti i loro diritti alla trasparenza, alla corretta informazione sugli acquisti,

È il 1998 quando i fratelli Filippo e Fabrizio Dallatana, ereditata la passione del bisnonno Oreste e del nonno Otello ed interrotti gli studi universitari, rilevano un piccolo laboratorio di lavorazione carni specializzato nella produzione di culatelli e salumi tipici della Bassa Parmense. Dopo 7 anni dall’inizio dell’attività, nel 2005 realizzano un nuovo laboratorio a Roncole verdi ed entrano a far parte del Consorzio di Tutela del Culatello di Zibello.

alla tutela della sicurezza e qualità dei prodotti. «Si tratta anche di una questione educativa» continua Filippo. «Per noi è fondamentale far comprendere che il valore, anche economico, del nostro Culatello di Zibello DOP deriva da requisiti produttivi restringenti, imposti da una doverosa ricerca dell’eccellenza». Il laboratorio Dallatana, infatti, si fregia di produrre salumi sempre più conosciuti non solo sul territorio nazionale, ma anche sul campo internazionale: l’azienda è abilitata all’Export UE, Canada, Giappone e presto Sud Corea. Il prossimo appuntamento di incontro con il Culatello di Zibello Dallatana è fissato dal 22 al 26 Settembre a Torino, in occasione di Terra Madre Salone del Gusto, l’evento internazionale dedicato alla cultura del cibo. Quest’anno il Salone del Gusto esce “allo scoperto”, per occupare una nuova location, nel cuore della città sabauda: lo stand Dallatana sarà nella splendida cornice del Parco del Valentino, numero F151, sezione della regione Emilia-Romagna. L’accesso alla manifestazione è libero e gratuito. Dallatana Srl Via Provinciale, 4/A Roncole Verdi – 43011 Busseto (PR) Telefono: 0524 935024 Web: www.dallatana.it

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La rivoluzione dell’amaro, al femminile Da sorseggiare a fine pasto o come ingrediente nel cocktail, i liquori Il Mallo si evolvono e sono pronti a conquistare il mondo di Elena Benedetti

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hi l’ha detto che l’amaro a fine pasto è cosa per uomini? Il rito del dopo cena è sempre carico di significati e di legami con la tradizione del territorio. Ogni paese, ogni città o località ha i propri prodotti tipici, le colture del luogo, le usanze che si tramandano di famiglia in famiglia e nel corso degli anni. E spesso le custodi di questi costumi sono proprio le donne. Capita così che nel Modenese si produca un liquore profumatissimo con il mallo,

la polpa della noce. E proprio Il Mallo è il nome della società fondata nel 1984 da STEFANO FRENO e oggi diretta dalla figlia GIOVANNA FRENO e dalla nipote ROBERTA PIRRONELLO. Madre e figlia al timone di un’azienda che ha saputo cogliere le tradizioni di un sapere famigliare, fatto di ricette tramandate nel tempo, e sviluppare dei prodotti innovativi e moderni che si adeguano ai nuovi stili di consumo. Il tutto perseguendo un obiettivo di qualità, da cui non si transige, e che

coinvolge l’intero processo, dalla selezione delle materie prime, vero cruccio per ottenere un prodotto di alto livello, alla gestione dell’intero business. Siamo andati a trovare Giovanna e Roberta a Pozza di Maranello (MO) per farci raccontare le ultime novità e abbiamo trovato due imprenditrici appassionate e cariche di lavoro, dato che oggi Il Mallo ha varcato i confini nazionali e iniziato a far innamorare i buongustai dei mercati esteri con i

Il Mallo produce una gamma molto varia di liquori e distillati.

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Sassolino, speziali svizzeri e cadetti di Modena Secondo la bibliografia locale la lavorazione di questo distillato ebbe inizio a Sassuolo ad opera di alcuni speziali svizzeri provenienti dal Cantone dei Grigioni che qui si insediarono a partire dal 1804. La produzione del Sassolino è stata sempre legata alla provincia modenese, fin dai tempi in cui “i famosi anici stellati cinesi venivano pestati nel mortaio e distillati lentamente tra i sassi del famoso limpido fiume Secchia” (Album Sassolese “Il lavoro”, Modena 1993). Grazie ai cadetti dell’Accademia Militare di Modena che, provenienti da tutta Italia, si recavano a Sassuolo per il campo estivo e le esercitazioni di tiro, il prodotto acquistò fama anche fuori della provincia ed in altre regioni italiane, pur conservando la tipicità di un liquore di nicchia. Secondo la bibliografia locale furono proprio i cadetti dell’Accademia a dare al liquore il nome poi definitivo di Sassolino >> Link: www.sassolinodimodena.it

suoi prodotti, che vanno dal Nocino (disponibile nelle linee Classico, Riserva, Riserva speciale e Bio) ad una serie di liquori al caffè, alla liquirizia, il Limoncello, la Sambuca, il Bargnolino, il Sassolino e le grappe. Alchermes, prima e dopo il pasto La vera novità dell’azienda è il lancio di un prodotto che si ispira ad un’antica ricetta di famiglia e il cui ingrediente viene da terre lontane. È l’Alchermes, un liquore avvolgente, profumato e pieno che Il Mallo realizza con l’infusione di dieci spezie rigorosamente top secret che restano a riposo per otto mesi, per essere poi lavorate e trasformate in un elisir dal grado alcolico del 35%. «Il solo profumo è inebriante e all’assaggio le spezie esaltano il sapore rendendolo avvolgente e unico» ci spiega Giovanna Freno mentre ci accompagna nella degustazione. «In questo momento c’è uno spiccato ritorno allo speziato nella cucina e nell’offerta di cocktail ed è per questo che l’Alchermes è un prodotto molto interessante ed eclettico, che si presta a ottimi aperitivi». Sassolino Un altro liquore del territorio che merita attenzione è il Sassolino, che si ottiene dalla distillazione dell’anice stellato. Il suo sapore è

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asciutto, aromatico e persistente con un forte sentore di anice. Dall’aspetto limpido e brillante, questo distillato modenese è storicamente nato come digestivo e come ingrediente per dolci tradizionali e saporiti come la pasta frolla e la zuppa inglese. Oggi però viene usato anche ghiacciato come bevanda dissetante oppure come ingrediente di cocktail originali. Prodotto da Il Mallo con una miscelazione a freddo che unisce l’anice stellato, l’alcol e lo zucchero,

il Sassolino ha un grado alcolico del 42%. È curiosa la provenienza del suo nome, che deriva dalla città di origine, Sassuolo. Particolare è anche l’ingrediente principale di questo elisir, l’anice stellato, che è il frutto dell’Illicium verum hook, una pianta simile all’alloro e originaria dalla Cina che ha l’aspetto di una stella formata da 8-12 follicoli appuntiti di colore bruno rossastro, contenenti ciascuno un seme più chiaro. Anno dopo anno Il Mallo prosegue nel consolidamento

Giovanna Freno.

Roberta Pirronello.

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L’Alkermes lanciato recentemente sul mercato da Il Mallo.

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Il gusto speziato e il profumo dell’Alkermes lo rendono molto adatto alla preparazione di cocktails e aperitivi originali.

Alchermes, ritorno alle origini La parola “alchermes” (può scriversi anche “alkermes” con la k) fa tornare alla mente i dolci delle nonne e delle zie, quelli che riempivano allegramente le stanze con le loro fragranze caserecce, dai quali spesso occhieggiava l’inequivocabile linea rossa della bagna di alchermes. Bene, non ci crederete ma l’alchermes può considerarsi un vero e proprio prodotto tipico italiano, più precisamente fiorentino. Nel capoluogo toscano l’alchermes arrivò dalla Spagna, con una ricetta di origine probabilmente araba: si narra che questo liquore, considerato una specialità medicinale, fosse già prodotto come elisir di lunga vita dalle suore fiorentine dell’Ordine di Santa Maria dei Servi, fondato nel 1233. A fine Quattrocento si hanno notizie della sua preparazione da parte dei frati di Santa Maria Novella e dai Certosini (alkermes di Firenze o rosolio). Nel giardino di Lorenzo il Magnifico questa era la bevanda più apprezzata durante le riunioni di scultori, pittori, poeti. Il liquore era sorseggiato sia dai pontefici de’ Medici: Leone X e Clemente VII, che dalla regina Caterina, la quale ne portò la ricetta in Francia, dove divenne nota con il nome di “Liquore de’ Medici”. La sua ricetta venne poi trascritta due secoli dopo da fra’ Cosimo Bucelli, direttore dell’Officina di Santa Maria Novella, mentre nel 1859 venne redatto il più antico prezzario di questo liquore a noi rimasto. Secondo le consuetudini classiche, l’alchermes ha un impiego importante in gastronomia e in pasticceria, come elisir colorante e aromatizzante. Si usa ad esempio nella preparazione della zuppa inglese e delle pesche dolci. (Fonte: www.taccuinistorici.it)

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della propria presenza sul mercato nazionale ed estero. I riconoscimenti internazionali non mancano e confermano la percezione che i buyer e distributori esteri hanno di questi liquori di grande qualità. «È dello scorso giugno la premiazione a Bruxelles, sotto i riflettori del Superior Taste Award, con l’assegnazione di due stelle d’oro per il Sassolino e una stella d’oro per il Nocino — ci dice con giusta soddisfazione Giovanna Freno — un risultato che premia il nostro lavoro e che dà visibilità alle nostre produzioni». Quelle produzioni di distillati artigianali che racchiudono in sé storie di famiglie, di territori e di una cultura enogastronomica che intreccia i prodotti della terra, i profumi e l’abilità del saper fare bene. Elena Benedetti Il Mallo Via Maestri del Lavoro 40 41053 Pozza di Maranello (MO) Telefono: 0536 943212 E-mail: info@ilmallo.it Web: www.ilmallo.it

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INDAGINI

Il clima cambia i consumi Nel 2015, l’anno più caldo di sempre, l’andamento climatico ha provocato cambiamenti nelle abitudini alimentari, rivoluzionando il carrello della spesa degli Italiani, con la diminuzione di certi tipi di carne e sughi e l’aumento di carpacci e salumi affettati di Giovanni Ballarini

L’

alimentazione umana tradizionale è certamente legata al clima e alle caratteristiche naturali dell’ambiente di vita, distinguibile a grandi linee in zone desertiche, aride e sub-aride, umide e sub-umide, a seconda dei fattori climatici determinati dalla latitudine e dall’altitudine. La temperatura media e le sue escursioni, la piovosità e l’umidità,

la durata, composizione e intensità della radiazione solare e i movimenti dell’aria influenzano l’ambiente, la vegetazione, gli animali e l’uomo, compresa la sua alimentazione. Dal circolo polare artico all’equatore, le necessità alimentari di un eschimese, di un lappone o di un nordeuropeo non sono uguali a quelle di un europeo mediterraneo o di un africano. Differenti sono le reazioni fisiologiche

che controllano la termoregolazione nell’uomo, modificando il consumo e la capacità di utilizzazione degli alimenti, la disponibilità e il consumo di acqua, la produzione, l’immagazzinamento o la dissipazione del calore dei principi nutritivi, l’assorbimento del calore dall’ambiente. Secondo le condizioni ambientali variano anche il ritmo respiratorio e quello della ventilazione polmonare, il

Con l’aumento delle temperature in salumeria è aumentata la richiesta di salumi magri a breve stagionatura come lo strolghino e di preaffettati come il prosciutto e la bresaola, da usare anche in insalate miste.

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Carpaccio di manzo. Il consumatore di oggi è attentissimo alla salute e fa scelte consapevoli, orientandosi verso alimenti adatti alla stagione. In questa prospettiva si rivela molto importante il fatto che non è tanto la quantità di carne che si mangia, quanto il tipo di carne preferita. sistema circolatorio superficiale e il raffreddamento cerebrale, la vasocostrizione e la vasodilatazione centrale e periferica, il ritmo cardiaco, la composizione sanguigna (e per tollerare i climi estremi è utile un alto livello di emoglobina e di cellule rosse del sangue). Con una diversa esposizione al sole variano le caratteristiche della cute e della superficie corporea esposta (colore, estensione e spessore), la densità e l’estensione della copertura pilifera (diametro, lunghezza e colore del pelo), il numero e l’intensità di funzione delle ghiandole sudoripare, e non da ultima la localizzazione dei depositi adiposi. Clima e alimenti d’origine animale Il clima influisce anche sugli animali e sulla loro alimentazione, di conseguenza pure sulle loro produzioni usate dall’uomo come nutrimento (carne, latte e uova): per questo un latte o una carne di alta montagna non sono uguali a quelli prodotti in pianura. Le qualità nutrizionali delle produzioni

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delle razze autoctone allevate in condizioni naturali rispondono alle necessità dell’uomo che vive nella stessa area e ne consuma i prodotti. Le condizioni di vita degli animali (clima, disponibilità di alimenti e attività motoria) controllano le tipologie delle fibre muscolari (chiare e scure) e delle proteine miofibrillari (actina e miosina) e sarcoplasmatiche, e le proteine muscolari mostrano livelli diversi di creatina e di amminoacidi indispensabili ramificati (valina, leucina e isoleucina) utilizzati per la sintesi dei neurotrasmettitori e dei neuro-modulatori, quali le endorfine, di calmodulina e carnosina. Nel latte vi sono anche diverse quantità di pigmenti trasferiti con il pascolamento tradizionale dagli alimenti di origine vegetale, ai quali da sempre è stato abituato il proprio genotipo: xantofille, licopene, fucoxantina, luteina, violaxantina, zeaxantina e neoxantina, ma anche carotene e carotenoidi e sesquiterpeni e molecole antiossidanti vitaminiche (A, D, E soprattutto alfa-tocoferolo).

Clima e alimentazione oggi Gran parte della popolazione italiana vive in ambienti non naturali, con una temperatura e un’illuminazione artificiale, e ritmi di vita tendenzialmente simili in estate e in inverno. Tuttavia, i cambiamenti climatici sembrano comunque avere una certa influenza. Se è vero che il 2015 è stato l’anno più caldo dell’ultimo secolo e oltre (è dal 1880 che abbiamo dati sicuri), in che modo l’anomalia di estati sempre più lunghe e inverni più miti influisce sulla tavola? Chi ha analizzato l’andamento sul mercato di circa cinquecento prodotti, da gennaio a dicembre del 2015, ha scoperto che l’innalzamento delle temperature medie ha mutato le abitudini di consumo delle famiglie introducendo nel carrello della spesa degli Italiani più insalate e meno cotechini, molte bottiglie d’acqua e quantità inferiori di pizze da infornare. Clima e cambiamenti nel carrello della spesa Nel 2015 sono aumentate le vendite

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di liquidi dissetanti, acqua prima di tutto, con un incremento di quasi il 10%, assieme al tè freddo e alle bevande aromatizzate, come lo sciroppo alla menta o alla mandorla (+12%). Nella dieta sono diminuiti gli stufati, le pietanze cucinate, i cibi che richiedono molto tempo ai fornelli, come torte, pizze, sughi, o quelli riconducibili alla stagione fredda: i cotechini sono scesi del 5%, i würstel e lo strutto del 6%, le fondute del 3,6%, i torroni di oltre l’8%. In pratica, durante tutto l’anno sono aumentate le insalate capresi e le macedonie, gelati e tonno in scatola e si sono affermati i piatti pronti, freschi e leggeri: innanzitutto la lattuga in busta, con un aumento del 210%, seguita dai pomodori confezionati con un +186%. Aumentati anche i salumi affettati (+13,5%) e i formaggi leggeri (+17%).

alla salute e fa scelte consapevoli, orientandosi verso alimenti adatti alla stagione. In questa prospettiva si rivela molto importante il fatto che non è tanto la quantità di carne che si mangia, quanto il tipo di carne che è preferita. Da qui l’aumentata richiesta di carni considerate “leggere”, come quelle bianche di avicoli e coniglio o quelle rosse da mangiare fredde come carpaccio, e la diminuzione, già in atto da tempo, delle carni da brodo e da stufato. Allo stesso modo, in salumeria è aumentata la richiesta di salumi magri a breve stagionatura (come lo strolghino) e di preaffettati (prosciutto, bresaola, ecc…), da usare anche in insalate miste, mentre è diminuita quella di salumi molto grassi o da consumare caldi, come zamponi e cotechini. Tendenze di cui l’industria e la distribuzione alimentare dovranno sempre più tenere conto per adeguare le loro attività. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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Cambiamenti non occasionali e nuove tendenze per l’industria delle carni e salumiera I cambiamenti della dieta condizionati dalle modifiche climatiche non

sono una novità del 2015, ma si inseriscono nell’onda lunga di una tendenza che si è affermata anno dopo anno. Gli economisti solo di recente hanno cominciato a interrogarsi sui suoi effetti economici, ma non i consumatori, che da qualche tempo hanno dato avvio a uno slittamento stagionale nei loro consumi alimentari. Secondo un’indagine DOXA, il 51% degli Italiani individua nei cambiamenti climatici la causa fondamentale delle modifiche future nella dieta, il dato più alto tra tutti i Paesi considerati. Alcuni prodotti, più di altri, danno un segno della svolta: per esempio il sale da cucina è calato del 4,5%, non perché si mangiano meno insalate, anzi, ma perché si fanno bollire meno alimenti (ossia meno verdure lessate, meno pasta cotta in casa, con conseguente risparmio del sale usato per insaporire l’acqua). Quando fa caldo si consumano più acqua, frutta e verdura e meno cibi grassi, come le carni rosse. Il consumatore di oggi è attentissimo

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RETAIL MARKETING

Keep calm and be “ready to eat” di William Funck

L

a crescente esigenza di “risparmio di tempo” ha creato nel corso degli anni una maggiore apertura dei consumatori verso prodotti che offrono un risparmio, non tanto in termini economici, considerando i prezzi sempre più alti rispetto ai prodotti basici, ma in termini di tempo, risorsa che con l’attuale ritmo di vita è sempre più scarsa. I piatti pronti, dunque, si confermano un mercato in forte crescita, registrando un virtuoso trend positivo sul totale Italia, sia a valore (+23,4%) che a volume (+18,3%). Stiamo parlando di un mercato il cui giro d’affari si assesta sui 446 milioni di euro (48 milioni di chili). La Distribuzione Moderna (Iper, Super, Liberi Servizi, Discount) traina la categoria incidendo sul 97,8% del giro d’affari, il 75,2% del quale si concentra negli Iper e Super. Tutti i canali crescono, ma a trainare questa impennata sono gli ipermercati, le cui vendite a valore crescono del 41,4% e il cui numero medio di referenze passa da 87 a 107; notevole anche l’aumento delle vendite registrate all’interno dei supermercati (+27,1% a valore, +22,9% a volume). I piatti pronti all’interno dei Discount, che valgono 60 milioni di euro (incidenza del 13,5% sul totale Italia), mettono a segno una crescita del 33,8% a valore e del 29% a volume, segnata da un aumento del prezzo medio no promo (da 6,09 a 6,23) e del prezzo medio promo (da 5,36 a 5,92). Anche i tradizionali segnalano performance positive, non particolarmente rilevanti tuttavia in quanto questo canale incide solamente per il 2% sul totale Italia. I consumatori italiani, esigenti e alla ricerca di soluzioni ad alto contenuto di servizio che facilitino loro la vita, sono disposti a spendere

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per acquistare questi prodotti ad alto valore aggiunto e, di fatto, questa propensione è confermata dal calo dell’indice d’intensità promozionale nei canali della DM, da 27% a 23%: nello specifico calano sia l’incidenza delle promo di taglio prezzo (–2,5 punti) sia quella delle attività in store (–1,2 punti). Aumenta il numero di referenze medie nella DM (da 16 a 20), a testimonianza della forte evoluzione dell’offerta, ma anche del desiderio dei consumatori di varietà e novità, che sono disposti a spendere di più e desiderosi di provare nuovi piatti. Entrando nel dettaglio della categoria i primi piatti e i piatti esotici registrano le crescite più importanti, rispettivamente del

26,5% e del 27,7%, confermando in quest’ultimo caso l’interesse della popolazione per una cucina sempre più internazionale. Nel Nord Italia, che generalmente detta i trend in termini di consumi, l’aumento delle vendite dei primi e degli esotici si affianca ad una notevole crescita (33,5% a volume) delle insalate/contorni nella DM, dato in linea con la forte propensione all’acquisto di frutta, verdura e, in generale, di cibi naturali, che sta caratterizzando i nuovi consumi. La categoria comprende un mix di prodotti che rispondono anche all’esigenza del consumatore odierno di alimentazione sana e naturale. (Fonte: Nielsen Insights www.nielsen.com)

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Quanto conta il “made in…” nella scelta dei prodotti da acquistare? Mediamente 2 Italiani su 3 dichiarano che l’origine della marca è importante tanto quanto — o più importante di — altri nove criteri di scelta che possono guidare l’acquisto di un prodotto tra cui assortimento, prezzo e qualità. Questa è una delle evidenze emerse dalla ricerca Nielsen Global Survey of Brand-Origin, condotta intervistando oltre 30.000 utenti internet in 61 Paesi, tra cui l’Italia, per studiare le preferenze d’acquisto verso brand globali (prodotti da società multinazionali che operano in una pluralità di mercati) e brand locali (realizzati da società che operano solo nel loro mercato) su 40 categorie di prodotti, da quelli di largo consumo ai beni durevoli. Il “made in…” è oggi un driver di scelta di molti consumatori, ma è interessante notare che il sentiment rispetto all’origine del brand varia in funzione della categoria di prodotto. Il 71% degli intervistati nel nostro Paese dichiara di scegliere prodotti italiani per frutta, verdura, carne e pesce (+7% vs media europea). Lo stesso orientamento è registrato nei seguenti acquisti alimentari: latte (66%), verdure/pomodori in scatola (61%), gelati (60%), acqua (54%), yogurt (52%), biscotti (48%), succhi di frutta (45%), latte in polvere per bambini (42%). Per le bevande analcoliche frizzanti, invece, la scelta ricade su marche globali (40%; +12% rispetto alla media europea). Lo studio di Nielsen mette, inoltre, a fuoco il vissuto dei consumatori italiani in rapporto all’origine dei marchi dei prodotti acquistati. Per quanto riguarda quelli locali, il sentiment degli Italiani è quello di affidabilità (46% Italia; +2% vs Europa) e di vicinanza al consumatore (50% Italia; +3% vs Europa). A questo si aggiunge il pensiero volto al supporto delle aziende locali con effetto positivo sull’economia del paese (61% Italia vs 60% Europa). Nel caso dei marchi globali gli intervistati si dichiarano attratti dalle innovazioni offerte dalle grandi aziende multinazionali (48% Italia; in linea con la media europea). È infine importante considerare la finestra dell’e-commerce e il modo in cui il canale on-line interagisce con l’origine del brand. Da un lato, lo shopping on-line è utilizzato dagli Italiani soprattutto per l’acquisto di marche globali (83% dei fruitori del web) con l’obiettivo di reperire prodotti oltre confine non disponibili nello store fisico di prossimità (in particolare prodotti di elettronica / informatica). Dall’altro lato, gli utenti internet in Italia che acquistano on-line prodotti a marchio locale (66%) si mostrano più propensi all’acquisto di prodotti alimentari. Debora Costi (Nielsen, www.nielsen.com)

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LA QUALITĂ€ Peperone crusco di Senise Igp, Melanzana rossa Dop, Fagiolo bianco poverello Dop

Tesori lucani di Massimiliano Rella

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Le due specialità dell’azienda agrituristica Calivino: melanzane rosse e fagioli bianchi poverelli Dop.

T

ra le specialità gastronomiche da scoprire in terra lucana ce ne sono diverse — e di curiose — nel Parco nazionale del Pollino. Prodotti di qualità che da qualche anno ottengono riconoscimenti, anche se ancora poco conosciuti ai più. Di colore rosso porpora, più raramente verde, e dal sapore dolce, il Peperone crusco di Senise IGP si chiama così perché viene essiccato e quindi diventa croccante. A Senise, in provincia di Potenza, l’azienda Sole Rosso di EGIDIO GAZZANEO è specializzata nella lavorazione di questo specialità locale (Contrada Cappuccini, Senise, telefono: 0973 585192, cell.: 338 9099654). Dei 15 ettari di terreni, un terzo è coltivato a cielo aperto con la varietà di peperone dalla forma allungata e dalla polpa sottile, che consente una buona essiccazione. Il peperone, oggi considerato autoctono, in realtà è stato portato in Basilicata alla fine dell’800 dagli emigranti che tornavano in patria. Il periodo di coltivazione comincia in vivaio a marzo e prosegue con la piantumazione delle piantine in terra

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dalla metà maggio fino al 10 giugno. Il primo raccolto è tra fine luglio e inizio agosto, quando il peperone raggiunge una lunghezza di 18-20 cm. A questo punto la produzione si sposta in laboratorio per “l’insertamento” dei peperoni freschi, legati dal peduncolo, saldamente attaccato al frutto, a uno spago per formare una collana che viene appesa sotto le tettoie per 20-25 giorni, a seccare. Tra fine agosto e inizio ottobre il peperone è diventato “crusco”, cioè secco, ma dal profumo intenso. Con questo procedimento tradizionale l’azienda di Egidio Gazzaneo, terza generazione impegnata, ne fa circa 250-300 quintali l’anno per ogni ettaro coltivato, quindi 1,5 tonnellate. La maggior parte è esportata in buste di vario peso, specialmente negli Stati Uniti, mentre in Italia è possibile trovarlo anche in negozi gastronomici di Roma, come, per esempio, nella Bottega Lucana in via dei Canestrari 7; a Torino da Rosso Piccante in via Bernardino Galliari 24, ecc… In azienda il prezzo al pubblico è di 25-30,00 €/kg, le confezioni da 100 grammi costano € 4,50.

Oltre che gustosi, i peperoni cruschi sono ricchi di vitamina C e quindi adatti ad un’alimentazione sana. Si mangiano fritti in olio bollente, scottati per non più di 3-5 secondi, oppure al forno. Spesso insaporiscono primi piatti, come paste al sugo, con aglio, olio e peperoncino o con mollica fritta, e secondi di carni rosse o baccalà; oppure sono macinati nell’impasto di formaggi e salumi. Vanno consumati entro l’anno di produzione. La Melanzana rossa (Solanum Aethiopicum) e il Fagiolo bianco poverello sono due prodotti DOP di Rotonda (PZ), sempre nel Parco nazionale del Pollino. La melanzana rossa ha origini africane e fu importata in Italia dai coloni italiani andati in Etiopia negli anni ‘30 trovando anche sul Pollino un microclima ideale. Di colore rosso chiaro, a volte con qualche striatura, e forma tondeggiante, un diametro di 8-10 cm, la polpa compatta e il sapore più amarognolo delle comuni melanzane, e un bel gusto fruttato, la melanzana rossa è ricca di antiossidanti e una volta tagliata non annerisce. L’azienda Evra, di ANTONIO LISTA, che a Lauria (PZ) produce

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I peperoni cruschi sono ricchi di vitamina C e quindi adatti ad un’alimentazione sana. Si mangiano fritti in olio bollente oppure al forno integratori alimentari e fitoterapici, ha tratto dalla melanzana rossa un rimedio anti-età, brevettandone il principio attivo, il Solan red (www. evraitalia.it). In cucina è una risorsa da sfruttare per varie ricette: alla griglia, in padella, con la pasta o sottolio. La semina avviene tra maggio e giugno, il raccolto invece comincia a luglio e si conclude a novembre. La produzione complessiva si aggira sui 300 quintali, con l’obiettivo di arrivare a 500 quintali per l’anno 2014. L’altra DOP di Rotonda è il Fagiolo bianco poverello, che si semina tra la fine di aprile e l’inizio di luglio, mentre la raccolta della produzione secca va dalla metà di settembre al 30 novembre. Se ne producono circa 60-70 quintali. L’azienda agrituristica Calivino, guidata da VINCENZO PANDOLFI, ha destinato 2 ettari alla produzione di ortaggi. Nel 2012 ne ha ricavato 100 quintali di melanzana rossa, 15 di fagioli bianchi poverelli freschi e 5 di fagioli secchi, senza baccelli. La vendita è quasi esclusivamente diretta, in azienda, a € 5,00 il barattolo da 300 grammi di fagioli e a € 5,00 il sacchetto da ½ kg di fagioli. Mentre nel ristorante di famiglia (Contrada San Lorenzo 21, Rotonda, telefono: 0973 669159, www.aziendacalivino.it), lo chef ANTONIO PANDOLFI propone golosi piatti che valorizzano i due ingredienti come il timballo di melanzana rossa di Rotonda con Caciocavallo podolico; e la zuppa di tappe, un formato di pasta simile a quadrucci imperfetti, e fagioli con peperone macinato. Conto medio € 23,00, chiuso lunedì. Massimiliano Rella

In alto: il produttore Egidio Gazzaneo di Senise (PZ). In basso: melanzana rossa di Rotonda dell’azienda Calivino, Rotonda (PZ).

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Nota Photo © Massimiliano Rella; a pagina 36, fagioli bianchi poverelli dell’azienda Calivino di Rotonda (PZ).

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PRODOTTI TIPICI I sapori della Tuscia con porchetta, susianella, viarelli e salsicce di fegato

Le goloserie viterbesi dei Fratelli Stefanoni di Riccardo Lagorio

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egli ultimi anni, complice un radicale mutamento del mercato, numerose sono state le aziende che hanno trasformato la propria identità di macelleria o di allevamento. Le pressanti richieste, da parte dei consumatori, di poter contare, per uno strano destino proprio in coincidenza con gli anni di ristrettezze economiche, su prodotti non massificati e in grado di narrare il territorio, ha in generale spinto a rivedere le strutture produttive. Dalla prospettiva del produttore, le prime (e per certi versi uniche) a potersi adeguare a quelle richieste sono state le aziende di piccole dimensioni, spesso rette in forma familiare. Sul versante del consumo, l’interesse verso quei prodotti copre ampiamente la resistenza a dover sostenere un costo superiore (in termini economici si può affermare che l’effetto sostituzione prevale sull’effetto reddito). Con buona pace per coloro che, solo trent’anni fa, vaticinavano la scomparsa totale dei negozi di vicinato e, per stare al tema a noi caro, che le macellerie avrebbero abbassato per sempre i battenti di fronte al dilagare della grande distribuzione. Fenomeno maggiormente tangibile proprio nei centri urbani di medie e grandi dimensioni, dove è maggiore la richiesta di prodotti diversificati. È accaduto alla periferia di Viterbo, dove i tre fratelli STEFANONI, ereditando il patrimonio costruito nel corso di più generazioni, hanno messo a profitto l’esperienza maturata per proporre una formula commerciale che ha incontrato il favore del mercato. In una prima fase il laboratorio era aperto sotto casa e si limitava a trasformare le carcasse, avendo come riferimento la città di Viterbo. E se oggi la clientela è multiforme, essendosi espanso il mercato sino ad intercettare i consumatori di Roma, compresi lombardi, belgi e olandesi in viaggio verso la Città eterna, lo si deve anche e soprattutto all’intuizione di avere programmato un’offerta che si basa su allevamento e mattatoio propri, oltre che su un sistema di produzione che ha puntato dritto sulle peculiarità locali. E questo già negli anni Ottanta, quando simili progetti non erano certo diffusi.

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Tra i prodotti di punta, legati alla tradizione familiare, c’è la susianella, un insaccato tradizionale, tipico della città di Viterbo, elaborato partendo da cuore, lingua e fegato

La struttura in funzione risale al dicembre 1990 e si trova a nord di Viterbo, in una zona di frequente passaggio. L’alimentazione dei suini è a base di orzo, granoturco, farinaccio e soia non OGM. La quantità di cibo a disposizione per ogni spazio è regolamentata da un computer che provvede a fornire, nel corso della giornata, la razione necessaria agli animali cresciuti per gruppi omogenei. Di questo aspetto si occupa PIETRO STEFANONI, mentre a MAURO e MASSIMO spettano la trasformazione e la vendita dell’ampia gamma di prodotti. Primo fra tutti la porchetta. Nell’area di Viterbo è uso spalmare l’animale di una mistura che comprende sale, pepe, finocchio selvatico e aglio, senza provvedere al disosso per contenere l’assorbimento degli aromi da parte della polpa. All’interno del suino si inserisce il fegato spezzettato e infine si ricuce: modalità che ha contribuito all’ottenimento, da parte dell’azienda, del titolo di Maestro dell’Agricoltura da parte della Regione Lazio nel 2009. Come intuibile, la richiesta di porchetta è variabile e la stagione in cui viene più apprezzata è l’estate, oppure nel caso di una ricorrenza o di una festa. Un altro prodotto sul quale gli Stefanoni hanno puntato è il prosciutto disossato. Dicono per mantenere il più possibile l’uniformità della carne, stagionata almeno dieci mesi. Nel loro banco frigo non mancano mai i fegatelli con la ratta, un’autentica goloseria viterbese. Il fegato, tagliato grossolanamente, viene insaporito da sale, pepe e finocchio selvatico, inserito nella reticella (ratta) e disposto, a mo’ di spiedino, su uno schidione di legno, alternandolo a foglie d’alloro.

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La susianella di Viterbo prodotta dagli Stefanoni (photo © eat.cudriec.com). Si cucina preferibilmente alla brace. Sempre dettato dalla tradizione il paté, preparato con fegato, carne di salsiccia, milza, sottaceti fatti bollire aromatizzati con salvia e rosmarino, infine macinati finemente. Ne esce una crema ideale da spalmare sul pane casereccio caldo. Ancora, le salsicce di fegato. Ne esistono quattro versioni: accanto alla più nota insaporita con finocchietto selvatico, ecco la versione dolce, forse la più arcaica, con uvetta e zucchero, diventata oggetto di culto. Vanno consumate entro due settimane dalla produzione e preferibilmente bollite. Un’altra leccornia recuperata dagli Stefanoni sono i viarelli. Si tratta

della parte esterna dell’intestino, ricca di grasso fragrante, che viene lavorata subito dopo l’accurato lavaggio e condita con sale, pepe e finocchietto selvatico. Una volta appesa a temperatura e umidità adeguate si può consumare dopo pochi giorni cuocendola sulle braci e schiacciandola nel pane (panunto). Anche la susianella deve la propria rinascita ai fratelli Stefanoni. Si tratta di un salume della tradizione viterbese elaborato partendo dal cuore, dalla lingua e dal fegato (localmente definiti corata) tritati adeguatamente e miscelati a pancetta, guanciale, magro di spalla e ritagli. L’impasto,

insaporito con sale, pepe, peperoncino e finocchio selvatico, viene insaccato in budello al quale si dà la forma di ferro di cavallo. La stagionatura si prolunga per un periodo variabile tra 2 e 6 mesi. La vasta gamma di salumi locali si completa con la corallina e il salame a punta di coltello. Per l’ottenimento della corallina si segue pressappoco il procedimento di produzione del salame di Fabriano, ma insaccato in un intestino più lungo. La caratteristica principale del salame a punta di coltello, come dice il nome stesso, è quella di tagliare a mano il magro della coscia e miscelarlo a pezzi di grasso. Se ne ottiene un salame particolarmente gustoso e pregiato. Insomma la sfida degli Stefanoni, fatta di passione e intuizione, è vinta ed esistono buone ragioni per affermare che molti come loro stanno traghettando l’Italia verso la definitiva affermazione dei prodotti locali, a discapito di un mercato massificato e indistinto. In caso contrario, che futuro ci si dovrebbe aspettare? Riccardo Lagorio Azienda Agricola Stefanoni Fratelli Via Cassia Nord 60 – 01100 Viterbo Telefono: 0761 250425 E-mail: stefanonifratelli@libero.it Nota Alle pagine 40 e 41, l’Orco del Parco dei Mostri di Bomarzo, nei pressi di Viterbo.

Squicity è un servizio di consegna a domicilio di prodotti provenienti dalle campagne locali, attivo nelle province di Roma, Rieti e Viterbo. Il progetto nasce dalla conoscenza diretta dei suoi ideatori, gli agronomi Mauro e Alfredo, delle aziende e dei processi produttivi e dalla consapevolezza dell’importanza del “saper fare”. “Il rispetto dei ritmi naturali delle stagioni, l’attenzione alle biotipicità e l’amore per il territorio sono alcuni dei criteri con i quali selezioniamo i nostri produttori — scrivono sul sito Mauro e Alfredo — scegliamo soltanto cibi sani, gustosi e di qualità, prodotti con metodi tradizionali, provenienti da non più di 150 chilometri di distanza e con alle spalle un massimo di 2 ore di trasporto su gomma. Un cibo buono, che conserva il sapore e il profumo delle cose autentiche”. Tra i produttori prescelti da Squicity anche l’Azienda Agricola Stefanoni e i suoi straordinari salumi (in foto, il guanciale stagionato e la salsiccia stagionata di fegato di Stefanoni disponibili sul sito). >> Link: www.squicity.it

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Un legume da riscoprire, abbinandolo anche a zampone e cotechino

Cicerchia gluten free di Josette Baverez Blanco

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ggi è sempre più frequente sentir parlare di intolleranze alimentari e allergie, e purtroppo è sempre più elevato il numero di persone che manifestano problematiche di questo tipo. Una delle principali intolleranze è quella al glutine, e non si deve per forza essere celiaci per soffrirne. Di fronte all’evidenza della realtà attuale, si stanno moltiplicando i locali dove poter mangiare cibi che non contengono frumento, ma sono ancora pochi quelli in grado di darci la garanzia totale della non contaminazione con questo cereale. Occorre infatti avere una cucina a parte, con

strumenti ad uso esclusivo; la stessa attenzione che dovrebbe essere applicata in casa. Questa diffusione del malessere legato al glutine ci porta però a riscoprire e rivalutare legumi antichi, a volte dimenticati. La cicerchia è uno di questi. Originaria del Medio Oriente, fu apprezzata già presso i Greci che la chiamavano lathyrus, mentre i Romani la conoscevano come cicerula. La produzione italiana è calata a picco in questi ultimi cinquant’anni. Basti pensare che negli anni ‘30 del secolo scorso la coltivazione occupava 15.000 ettari di terreno, calati a 800 negli anni ‘70, con una

situazione in progressivo degrado a favore di altre colture cerealicole. Peccato, perché sono notevoli i suoi valori nutrizionali, a tal punto che in Oriente questo legume, poco grasso, può costituire l’apporto giornaliero proteico (24 g di proteine su 100 g di prodotto) e amidaceo. È notevole il suo contenuto vitaminico: 90 mg di vitamina B1 (come la soia), vitamine B2 e PP in quantità uguale a quelle di altri legumi di uso più corrente. Presenti anche le fibre alimentari, il calcio e il fosforo. Saporita, poco amara se preparata bene, rammenta il pisello e la fava. In effetti, nella cicerchia c’è una sostanza amara,

Zuppa di cicerchie (photo © lacreativitaeisuoicolori.blogspot.com).

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la latirina, che se ingerita in grande quantità potrebbe essere nociva, ma che scompare se i grani rimangono a lungo in ammollo in acqua salata prima di essere bolliti. Altro punto a suo favore, la facile conservazione: secca, tenuta in un recipiente chiuso, in un luogo asciutto, può mantenersi tranquillamente anche per due anni. Ma come si presenta? Pianta tipica del centro-sud, nel nord Italia sono pochi a conoscerla, anche se ormai si trova regolarmente nei banchi del supermercato. Questa leguminosa a granella appartiene al genere Lathyrus, che comprende oltre cento specie diverse, una ventina delle quali impiegate nell’alimentazione. È una pianta erbacea annuale. La specie più conosciuta si presenta in grossi baccelli che contengono da uno a quattro semi di circa un centimetro, di forma rotonda ma irregolari, leggermente appiattiti, di colore variegato tra il bianco, il grigio e il marrone. Si tratta di una pianta rustica particolarmente duttile, che si adatta alla siccità, ma anche a temperature di 2-3 °C. Da qualche anno è presidio Slow Food la cicerchia di Serra de’ Conti, località in provincia di Ancona (www. cicerchiadiserradeconti.it; la festa di questo prezioso legume si tiene nel mese di novembre), testimonianza emblematica del desiderio di rilanciare questo legume così interessante per chi non deve consumare frumento. E come si prepara la cicerchia? Come i ceci. Si possono fare minestre e zuppe con carote, cipolle, sedano, olio ed erbe aromatiche, puree, e con la farina di cicerchia si possono anche fare paste fresche, come maltagliati e pappardelle. L’importante è sempre tenere a bagno per due giorni le granelle mondate, cambiando regolarmente l’acqua. Dal punto di vista nutrizionale, la minestra di cicerchia e patate con olio d’oliva è l’ideale. Ma possiamo anche abbinarla a piatti tipici, ad esempio, sotto forma di purea, allo zampone o al cotechino, protagonisti delle tavole natalizie, buoni in qualunque periodo dell’anno. Josette Baverez Blanco

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CURIOSITĂ€ Dal Cielo alla Terra: oasi di quiete per prodotti che sanno di pace

Le botteghe dei Monasteri di Nunzia Manicardi

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È in continua crescita, all’interno di istituzioni religiose sia in Italia che all’estero, la vendita di prodotti alimentari che diventa anche occasione per la riscoperta e riproposta di specialità naturali e della tradizione. Esiste pure un apposito marchio internazionale di tutela, “Monastic”, che però in Italia è scarsamente utilizzato

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e visite nei conventi di cui è ricco il territorio dell’Italia e dell’Europa intera diventano sempre più frequenti. Attratti dal fascino senza tempo di queste oasi di quiete e di meditazione, non di rado protette da una natura ancora quasi incontaminata ma che non perdono il loro potere di attrattiva neanche quando sorgono ai margini o addirittura all’interno di una grande città, i turisti e i visitatori in genere non solo si immergono nelle bellezze spirituali ma anche in quelle materiali, rappresentate dai tanti prodotti messi in vendita all’interno di apposite botteghe. Sono prodotti (per lo più specialità alimentari e rimedi naturali) che rappresentano la vocazione originaria di un dato convento — per esempio, la coltivazione della vite o la preparazione artigianale di marmellate e liquori — e che, successivamente, sono serviti ad aiutare le strutture stesse del convento e la sua sopravvivenza. Si tratta di prodotti che quasi sempre costituiscono anche specialità uniche, non rintracciabili altrove sia per quanto riguarda gli ingredienti che le formule e i procedimenti di fabbricazione. In questo modo i conventi seguono, perfezionandola e arricchendola anche in chiave moderna, la tradizione monastica dell’Ora et Labora (Prega e Lavora) di San Benedetto. Inoltre la bottega del monastero, questo spazio a sua volta quieto e raccolto, intriso del profumo del legno che nei secoli si è fatto antico (non di rado come gli stessi arredi o i vasi e le scansie contenenti i prodotti), cui si unisce l’altro profumo delle erbe delle preparazioni, avvolge il visitatore portandolo in un’altra dimensione e… favorendone gli acquisti! E questo vale per tutti, anche per chi non avesse avuto inizialmente l’intenzione di comprare niente e che poi si ritrova a portar via, se non altro, le caramelle balsamiche al miele o il sapone alla lavanda. Tutto questo, infatti, ha comportato che si sia passati già da tempo a un’altra fase di valorizzazione, in cui tali prodotti sono graditi in sé e per sé, certamente per la loro (di solito) altissima qualità ma anche per la concezione di vita che, direttamente o indirettamente, sottendono, con-

fortando l’acquirente oltre il valore materiale del prodotto stesso. Una produzione di nicchia, ma ampia e diversificata Le produzioni monastiche, pur essendo di nicchia, offrono una panoramica ampia e diversificata: si va dalla coltivazione dei campi alla raccolta della frutta, dalla cura di orti con erbe, odori e spezie alla preparazione di marmellate, dalla vendemmia e imbottigliamento del vino alla distillazione di liquori e birra… I settori principali sono: erboristeria, apiario, specialità enogastronomiche, frutteto, orti, dolciumi, vini, passiti, spumanti, liquori e grappe, birre, cosmetici (cosmesi e bellezza), igiene personale, profumi e colonie. C’è poi una vasta produzione artigianale interna, esclusivamente monastica, rivolta alle esigenze primarie della vita conventuale (il vino per la Santa Messa, le ostie per la Comunione, gli elisir e le erbe per la salute, i dolci per celebrare le feste liturgiche…). Promozione e vendita anche on-line Adesso alla produzione complessiva, specialmente a quella rivolta all’esterno, si è aggiunto internet, che rende più facile il rapporto commerciale permettendo la promozione, pubblicizzazione e vendita dei prodotti anche a distanza e saltando qualsiasi tipo di intermediario (alcuni esempi di siti monastici: bottegamonastica. com, www.terraincielo.it/index. php?route=common/home; prodottitrappisti.it, www.erboristeriafarfa. it, www.monasteromodena.it; www. trappistevitorchiano.it). In sintesi: i prodotti dei monasteri si possono acquistare sul posto, on-line, per telefono e, non di rado, richiedendo il catalogo per posta. Un bel ventaglio di possibilità, come si vede. La rete ha facilitato anche la riscoperta dei prodotti, dal vermentino Is Araus della Compagnia delle Figlie del Sacro Cuore Evaristiane ad Oristano al peperoncino “zenzerino” e allo zafferano purissimo del Monastero di Siloe nella campagna di Grosseto, dall’olio di avocado dell’Eremo di Camaldoli al nocino delle Trappiste della Valserena. E chi più ne ha…

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Monasteri e conventi italiani con annessa vendita …più ne metta. Sono infatti una quarantina i conventi e monasteri italiani, sparsi lungo tutta la Penisola, che offrono i propri prodotti. Ricordiamo (l’elenco non è completo): Abbazia San Benedetto; Abbazia S. Maria di Finalpia; Convento del Monte Carmelo; Monastero di Sant’Antonio Abate; Monastero Benedettino Santi Pietro e Paolo; Monastero di Betlemme; Monastero Cistercense Trappiste di Valserena; Monastero Trappiste di Vitorchiano N.S. di San Giuseppe; Monastero Benedettine S.M. delle Grazie di Orte; Monastero ed Eremo di Camaldoli; Abbazia di Praglia; Eremo San Giorgio Comunità camaldolese; Convento Carmelitani Scalzi di Arenzano; Convento Carmelitani Scalzi di Verona; Santa Casa di Loreto; Villa San Giuseppe Padri Gesuiti Bassano del Grappa; Villa San Giuseppe Gesuiti; Abbazia delle Tre Fontane di Roma; Abbazia di Novacella; Abbazia di Muri Gries; Abbazia di Chiaravalle della Colomba; Monastero di Siloe; Monastero Dominus Tecum; Abbazia di S.M. di Montevergine; Monastero San Benedetto di Norcia; Comunità SS. Pietro e Paolo Cascinazza; Abbazia di Casamari; Monastero S. Maria degli Angeli; Convento Monte Senario; Fattoria La Poggerina dei Frati Servi di Maria; Abbazia dei Padri Benedettini di Modena.

Il rischio della contraffazione e l’esigenza di tutela commerciale Come per qualsiasi altro prodotto di mercato, anche nel caso di quelli conventuali esiste però il rischio, anzi, la certezza della contraffazione, soprattutto in quei settori come erboristeria, liquoristica, conserve e prodotti di bellezza per i quali il riferimento al convento diventa automaticamente, nell’immaginario collettivo, sinonimo e garanzia di qualità (e purezza!). Il marchio d’origine “Monastic” Per tutelare origine e qualità è nato in Francia, già nel 1989, un apposito marchio d’origine controllata: Monastic, prima etichetta a certificare i prodotti monastici (www.monastic-euro.org) e a proporli su cataloghi specializzati. Essa si è ormai estesa ai paesi limitrofi — Belgio, Lussemburgo, Svizzera, Germania, Portogallo — assumendo così una valenza internazionale. Conta tra i propri iscritti oltre 220 monasteri di tutta Europa, tra cui anche due italiani, per un incasso annuo di oltre 70.000 euro (dati però risalenti al 2008…). Ricordiamo, a questo proposito, alcuni dei principali monasteri europei con commercializzazione di prodotti: Abbaye Notre-Dame d’Aiguebelle (Francia); Abbaye N.D. de Ganagobie (Francia); Monastère de la Grande Chartreuse (Francia); St. Benedictusabdij de Achelse Kluis (Belgio); Abbaye de Scourmont (Belgio); Abbey Notre-

Il portale del sito di vendita dei prodotti monastici bottegamonastica.com.

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“Monastic”, apposito marchio d’origine controllata nato in Francia nel 1989, la prima etichetta istituita per certificare i prodotti monastici. Dame d’Orval (Belgio); Abdj OnzeLieve-Vrouw Van Het Heilig Hart (Belgio); Abbey of Saint Sixtus of Westvleteren (Belgio); Abbaye NotreDame de Saint-Remy (Belgio); Abdij Koningshoeven (Olanda). Oltre ai prodotti si commercializzano anche servizi Il marchio Monastic va però oltre la tutela dei prodotti in quanto tali — che vengono caratterizzati da un’apposita etichetta — poiché offre anche una serie di servizi che i soci possono assicurare agli eventuali clienti e che allargano a ventaglio l’offerta complessiva. Nei conventi, infatti, sono state recuperate varie attività artigianali che un tempo ne erano il fiore all’occhiello e che in seguito erano state abbandonate. Si va così dal restauro di pergamene all’impagliatura di sedie, dalla costruzione di giocattoli e marionette al ricamo e alla tessitura secondo moduli antichi, oggi quanto mai apprezzati… Soprattutto nei conventi femminili, e specialmente in Francia, sono di moda i prodotti di calligrafia, seguendo in ciò la remota tradizione dei monaci amanuensi che ci hanno lasciato preziosissimi codici frutto del lavoro certosino di anni e anni. Anche in Italia, tuttavia, sono sempre più numerosi i conventi soprattutto femminili che, oltre alla tradizionale produzione di ostie, articoli liturgici, paramenti sacri, icone, ecc…, si sono specializzati in lavori sui testi antichi e moderni: impaginazione, trattamento informatico, restauro, fo-

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Nursia, la birra prodotta dai monaci benedettini a Norcia. Sull’etichetta il rosone della Basilica di San Benedetto. tocopiatura. Alcuni si occupano perfino di tassidermia (imbalsamazione, ovviamente riferita solo agli animali). Bisogna mettersi in regola fiscalmente e non solo Non a caso Monastic pubblicizza la propria rete di vendita con la definizione di “più vasto supermercato virtuale cristiano”. Esso offre ai propri iscritti anche una commissione amministrativa che fornisce consulenze fiscali e giuridiche indispensabili oggi pure ad un piccolo spaccio religioso per essere in regola con gli inevitabili obblighi di una qualunque impresa (registratore di cassa, libretto sanitario ASL, adeguatezza dei locali, compenso agli eventuali collaboratori, ecc…). Certi conventi meno frequentati e con pochi religiosi, in particolare quelli femminili e di clausura, se non entrano in questo circuito “protettivo” rischiano di autoescludersi dal commercio e dalla vendita, anche soltanto di uova e confetture, per paura di incorrere in irregolarità o di dover affrontare spese e incombenze troppo gravose. In Monastic sono operativi anche una commissione etica che esamina la moralità dei rapporti economici intrattenuti (con le banche, per esem-

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pio), un organo commerciale per promuovere la partecipazione comune a fiere di settore e una commissione per la formazione che organizza aggiornamenti destinati agli economi e ai responsabili dei negozi conventuali. In Italia per ora scarso successo Monastic sarebbe quindi un’ottima opportunità anche per i conventi italiani anche se, come prima ricordato, l’etichetta in Italia ha convinto finora soltanto due monasteri: il cistercense Dominus Tecum di Bagnolo Piemonte (CN), che produce confetture e alcolici, e l’Abbazia delle Tre Fontane, dei frati Trappisti, che si trova a Roma e che è famosa per la sua cioccolata e per il suo frantoio (molitura a freddo), unico in città. Eppure in Italia si verifica un numero altissimo di abusi di marchio, perché non esiste cultura della protezione industriale e questo favorisce il proliferare, per esempio, di tanti “liquori del frate” che con gli originali (e tanto meno con i frati…) non hanno assolutamente nulla a che vedere. Un esempio: l’Abbazia dei Padri Benedettini di Modena Ma vediamo da vicino uno di questi conventi; il monastero benedettino di

San Pietro a Modena, in cui è presente una Spezieria che, chiusa nel 1796, è stata riaperta nel 2007. Vi si vendono prodotti di altri monasteri benedettini italiani ed europei. Questo monastero risale, come fondazione vescovile, alla fine del X secolo e divenne indipendente nel 1148. Dopo un periodo di crisi fu aggregato nel 1434 alla Congregazione di Santa Giustina, poi Cassinese. Fu illustrato da monaci che rifulsero negli studi (B. BACCHINI) o che ebbero alti incarichi, due dei quali divennero Cardinali. Soppresso al tempo della Rivoluzione francese (1796, quando appunto venne chiuso d’autorità), fu riaperto dal Duca di Modena e poi nuovamente chiuso dai Savoia (1866): in entrambi i casi un monaco rimase come parroco. A parte una breve interruzione (19261938) i benedettini sono sempre stati presenti in questa abbazia. Una bellissima chiesa impreziosita dalla sua spezieria L’attuale chiesa abbaziale, risalente alla fine del XV secolo e consacrata nel 1518, presenta, sempre della stessa epoca, uno stupendo chiostro rinascimentale. La facciata, opera di P. BARABANI, è ornata da terrecotte dei FRATELLI BISOGNI; curioso anche il

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Prodotti della spezieria del monastero benedettino di San Pietro a Modena. campanile a vela. All’interno varie terrecotte di A. BEGARELLI, quadri di F. BIANCHI FERRARI, E. DELL’ABATE, J. CAVEDONE, G. DELLE CATENE, J. VAN GELDER, G.B. INGONI, L. LANA, P. MUNARI, G. ROMANINO, C. RICCI, E. SETTI, G. TARASCHI, F. DA VERONA, ecc…; il prezioso coro ligneo di G.F. TESTI; bellissimi paliotti in scagliola di tutti gli altari e il grandioso organo cinquecentesco di G.B. FACCHETTI. In sagrestia affreschi di G. DA VIGNOLA e preziosi arredi lignei intarsiati da G. BRENNONA. Dopo aver ammirato queste meraviglie si può accedere, a ridosso dell’accesso principale, alla spezieria, altro luogo raccolto e affascinante, pieno di antichi profumi e aromi rinnovati di recente ma senza stravolgimenti. La spezieria Sembra che fin dal X secolo il monastero benedettino modenese risultasse dotato di una spezieria che doveva essere al servizio, almeno, dell’infermeria interna; fu però in occasione della ricostruzione cinquecentesca del complesso abbaziale che la spezieria venne collocata nella posizione attuale. Da quest’epoca e soprattutto nei secoli successivi, e cioè fino alla riforma sanitaria della seconda metà del XVIII secolo, la spezieria benedettina

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si colloca per importanza al centro dei servizi medico-farmaceutici della città e dell’intero Ducato Estense. Fra i prodotti offerti erano celebri varie lavorazione delle spezie e dei fiori coltivati nel cortile ad essa annesso. Ma la spezieria era famosa anche per i “pastelli per profumi” a base di incenso e ginepro, mirra e garofano e soprattutto per la Teriaca, di cui il monastero aveva l’esclusiva ducale sia della fabbricazione che della vendita. La Teriaca, un “salume” a base di carne di vipera La Teriaca, fatta con carne macerata di vipera femmina dei Colli Euganei, non gravida e catturata qualche settimana dopo il letargo invernale, privata della testa e delle viscere, bollita in acqua salata, aromatizzata, triturata e impastata con pane secco, mescolata con oppio, lavorata infine in forme tondeggianti delle dimensioni di una noce e posta ad essiccare, era ritenuta il rimedio per un’infinità di malattie. Questo prodotto, però, non è mai stato riproposto… Nunzia Manicardi Nota A pag. 46 il Monastère de la Grande Chartreuse, nelle Alpi francesi.




PREMIATE SALUMERIE ITALIANE Alta salumeria trentina

Bonelli: carne fumada & Co. di Massimiliano Rella

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e guglie rocciose si stagliano imponenti e austere contro un cielo straordinariamente limpido e azzurro, spoglie e grigie ma arrossate dal sole. Non è inverno ma qualche macchia di neve ci ricorda la fredda stagione che caratterizza questo territorio ben tenuto e ricco di specialità della tavola. Specialità, ovviamente, di alta salumeria, che andiamo a conoscere da una famiglia di macellai e norcini da tre generazioni: i BONELLI, nel paesino di Siror, piccolo centro tra San Martino di Castrozza e Fiera di Primiero, a sinistra del

torrente Cismon e alle pendici del Sass Maor. La famiglia gestisce l’attività artigianale da tre generazioni. Era il 1954 quando il signor Bruno cominciò la produzione, poi passata nelle mani del figlio Rolando e oggi gestita da Francesco, 39 anni e tanta esperienza maturata tra carni, spezie e affumicature. Tra tutte queste bontà di montagna la CARNE FUMADA è un salume dell’Atlante dei Prodotti Tradizionali del Trentino. Viene fatta con il girello del manzo o con la carne di cavallo, dopo una concia di 15 giorni tra spezie

e tre frutti, un segreto di famiglia. «Sono spezie selezionate che acquistiamo, ma stiamo lavorando con un fornitore del territorio per arrivare a produrre anche queste», ci dice Francesco Bonelli, senza suggerimenti per tirare a indovinare. Finita la concia, la carne viene ripulita e affumicata 8 ore a freddo, a temperatura ambiente, con legni di faggio certificato, un materiale secco che genera un fumo delicato. Dopo tre mesi di stagionatura, la carne viene conservata sottovuoto. Si può mangiare come affettato da antipasto

Francesco Bonelli e il padre Rolando nella macelleria norcineria di famiglia a Siror di Primiero, Trento, con un tagliere di carne fumada, presidio Slow Food della Val Primiero, in bella mostra.

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Gli speck della macelleria-norcineria Bonelli a Siror di Primiero. oppure combinata con rucola, extravergine d’oliva e scaglie di formaggio Trentingrana. Tutti i salumi prodotti artigianalmente dai Bonelli sono fatti con materie prime e ingredienti selezionati, privi di glutine e lattosio. Escluso

il prosciutto crudo, papà Rolando e il figlio Francesco producono tutto: il prosciutto cotto, lo speck, vari salami, le soppresse, la mortadella e la mortandela della Val di Non, un salume a forma di polpetta, affumicato, stagionato e senza budello, quindi

non insaccato. Inoltre ben sette tipi di würstel: il Frankfurter, di puro suino e senza pelle; il Weisswurst, di suino non affumicato con l’aggiunta di prezzemolo e limone nell’impasto. E ancora: il Meraner, di suino e manzo insaporito con maggiorana

La carne fumada di Siror è un salume tipico trentino che si ottiene dalla lavorazione del girello di manzo, poi passato in una salamoia secca per un periodo limitato e successivamente affumicato. Va consumato allo stato crudo. Lavorazione e conservazione Dalla coscia disossata del manzo si estrae la parte del girello che viene successivamente sgrassata e introdotta in una rete tipo arrosto e quindi posta in apposita vasca di plastica per alimenti, in una salamoia secca, costituita da sale, pepe, alloro, ginepro, rosmarino ed eventuali altre spezie naturali, conservanti (potassio-nitrato) e antiossidante E300, per un periodo di 15 giorni. Durante questo periodo si procede ad una rivoltatura dei pezzi di girello in modo da amalgamare la salatura. I pezzi di manzo vengono poi asciugati in apposito locale e quindi affumicati in forno con segatura di legno di foglia con aggiunta di rami di ginepro per conferire il caratteristico profumo e sapore. Successivamente la carne fumada viene posta in un locale di stagionatura per un periodo di almeno un mese. Terminato il periodo di stagionatura è pronta per la vendita. Materie prime ed attrezzature per la preparazione: Ingredienti: carne di manzo, rete di corda, sale, pepe, spezie naturali. Per quanto concerne le attrezzature utilizzate si fa riferimento ai contenitori per alimenti e al forno per l’affumicatura. Curiosità Caratteristico metodo di conservazione delle carni, in uso nella zona di produzione già a partire dall’inizio del secolo scorso. (Fonte: www.trentinoagricoltura.it)

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La macelleria norcineria Bonelli.

I Bonelli producono sette tipi diversi di würstel: il Frankfurter classico senza pelle, il Weisswurst di puro suino con prezzemolo e limone, il Meraner affumicato di suino e manzo, il Servelade, il Piccante da fare alla brace, il Bonwurst con formaggio Fontal di Primiero e il delicato Hauswurst

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e noce moscata e affumicato. Tutti ottimi da lessare. Il Servelade è invece una salsiccia di maiale da arrostire sulla brace; il Bonwurst contiene formaggio Fontal di Primiero e va cucinato alla brace; l’Hauswurst è fatto di carne di suino macinata a grana più grossa; infine il Piccante, che non può mancare nelle grigliate più esigenti. Si mangiano crudi — come antipasto o per uno spuntino — vari salamini della casa: i Landjäger affumicati, di suino con piccola aggiunta di carne bovina, i Kaminwurzen stagionati e i Piccanti. Uno tira l’altro. Lo speck invece è prodotto in due versioni. Il tradizionale è ottenuto dalla coscia di suino disossata, sottoposta a salagione per 20 giorni con sale, pepe, ginepro e altri quindici varietà di spezie, quindi leggermente affumicata e stagionata in media 22 settimane. Lo speck stufato, invece, è ottenuto con una lavorazione diversa che include una salamoia a base d’acqua per una settimana, una leggera affumicatura e 14 ore di cottura a vapore.

Non è stagionato ma è pronto per il consumo appena si raffredda. Altre specialità della casa sono la carne salada, un carpaccio di cervo o di girello di bovino, tenuto un mese sotto sale per privarlo dell’acqua e insaporirlo con le spezie; e il lardo alle erbe e ai fiori della Val Primiero, da gustare su crostini di pane caldo. In negozio la carne fumada è venduta a 30,00 €/kg; la carne salada a € 25,00; i würstel a € 10,00; la mortandela a € 14,00. Massimiliano Rella Macelleria Famiglia Bonelli Via Asilo 22 38054 Siror di Primiero (TN) Telefono: 0439 762233 Aperti lun.-dom.; aprile-maggio e ottobre-novembre no domenica Orari: 7:30-12:30/15:30-19:30 E-mail: info@macelleriafamigliabonelli.it Web: www.macelleriafamigliabonelli.it Nota Photo © Massimiliano Rella.

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Ritorno ai cibi veri Nel mercato alimentare si sta riscoprendo il valore degli alimenti integri e veri (real food), a scapito di quelli alleggeriti o senza qualche ingrediente naturale (light) di Giovanni Ballarini

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atte magro, burro leggero, formaggi senza grasso, carni magre, maionese senza olio, biscotti senza zuccheri e via dicendo… Tanti sono i cibi “leggeri” o light che sembra abbiano i giorni contati. Diverse le motivazioni. La prima è che non danno i risultati sperati, perché spesso i consumatori sono portati a mangiare maggiori quantità di cibi magri e alleggeriti, con grande contentezza di produttori e venditori, ma con effetti nefasti per la loro dieta perché sono dei veri e propri alibi per delle scorpacciate,

pensando che “tanto sono leggeri”. Con l’alleggerimento dei cibi, inoltre, si perdono molte proprietà importanti. Tipico è il caso del latte magro al quale è stato tolto il suo grasso naturale che contiene le vitamine liposolubili A, D, E, K e che ne facilita l’assorbimento. Il grasso del latte vaccino intero contiene anche l’Acido Linoleico Coniugato (CLA) con proprietà anti-cancerogene. In modo analogo è per le carni giustamente grasse nelle quali i lipidi di struttura (non di copertura) contengono acidi insaturi benefici per la nutrizione.

Per non parlare delle farine di cereali purificate e ultra-raffinate, deprivare del germe e soprattutto della quota di fibra solubile necessaria ad un buon funzionamento del grosso intestino. Con l’alleggerimento degli alimenti si toglie una parte, a volte rilevante, della loro genuinità. Il latte ha, infatti, il colore, l’aroma e il sapore che in buona misura è legato alla parte grassa che è ridotta o tolta, mentre i trattamenti e, soprattutto, la lunga conservazione diminuiscono la quota non liposolubile. I trattamenti d’alleggerimento modificano le ca-

Salame artigianale (photo © Africa Studio, Fotolia).

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Caciotta alle olive (photo © Michele Pautasso, Fotolia).

Con l’alleggerimento degli alimenti si toglie una parte, a volte rilevante, della loro genuinità. Il latte ha, infatti, il colore, l’aroma e il sapore che in buona misura è legato alla parte grassa che è ridotta o tolta, mentre i trattamenti e, soprattutto, la lunga conservazione diminuiscono la quota non liposolubile

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ratteristiche di integrità e originalità alimentare, sostituendo la cosiddetta tipicità d’origine con un’anonimia industriale e mercificata di un cibo (merce o commodity). Alleggerendo gli alimenti spesso si dimentica che il ruolo e, soprattutto, il significato biologico e metabolico di un singolo costituente dipende anche dal cibo che lo contiene, come dimostrano quelle che erano considerate anomalie, tanto da dare origine al paradosso francese, al paradosso olandese o al paradosso scandinavo, dal cui studio si è per esempio rivalutato il ruolo degli acidi grassi saturi a media e corta catena — come il butirrico — contenuti in latte, panna, burro e formaggi. Non è da trascurare che alimenti alleggeriti per una certa categoria di nutrienti, non di rado siano arricchiti con altri e se un cibo industriale ha ridotte quantità di grassi, per mantenere un sufficiente livello gustativo può avere elevate quantità di zuccheri. Senza dimenticare e sottovalutare le verità ambigue delle etichette e, per esempio, che “senza zuccheri aggiunti” può nascondere la presenza di alimenti zuccherini per loro natura.

Conseguenze negative dell’alleggerimento degli alimenti Con l’alleggerimento dei cibi si alterano molti dei delicati equilibri che vi sono tra i costituenti degli alimenti, derivanti dalla loro produzione di viventi vegetali e animali e che non possono essere facilmente sostituiti da artificiali integrazioni. Se un alimento light o alleggerito è poi “fortificato” con minerali o vitamine di sintesi, difficilmente si rispettano i loro reciproci rapporti, ma soprattutto non si forniscono molecole identiche a quelle naturali, in particolare per la loro biodisponibilità. Un ferro organico ha una quota d’assorbimento molto più elevata di quella di un ferro contenuto in una molecola inorganica, che inoltre può influire e avere effetti indesiderati, se non negativi, sulla flora microbiologica intestinale (microbiota). Carni magre con scarse quantità di Acido Linoleico Coniugato Le ricerche dimostrano che quando il sistema immunitario è attaccato da un’infezione o stimolato da una vaccinazione, vi sono modificazioni del metabolismo (febbre, riduzione

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Brodo con carne di manzo (photo © Fotolia). dell’appetito, perdita di proteine, soprattutto di quelle muscolari). Ne consegue l’importanza dell’Acido Linoleico Coniugato, noto per le sue attività anti-cancerogene e antiossidanti. La scoperta della sua azione di protezione metabolica in caso d’infezioni, vaccinazioni e stimolazione del sistema immunitario permette importanti applicazioni efficaci e sicure, terapeutiche e preventive che danno valore alle carni con grasso muscolare e mettono in dubbio il ruolo delle carni bovine eccessivamente magre, del latte magro e dei formaggi magri. L’Acido Linoleico Coniugato è un elemento contenuto nei grassi degli alimenti prodotti dai ruminanti come il latte e i latticini e la carne bovina. In quantità minori è presente nella carne di maiale e di pollo e in alcuni oli vegetali. Ricchi di Acido Linoleico Coniugato sono gli oli di pesce. Le quantità necessarie per ottenere gli effetti citati sono dell’ordine di pochi grammi al giorno, una quantità che può essere ottenuta con una dieta che contenga buone quantità di carne bovina anche moderatamente grassa o di latte intero di mucca. Uno dei più interessanti usi di quest’acido

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riguarda la malnutrizione dei bambini. Le recenti conoscenze sull’Acido Linoleico hanno infatti rivalutato l’importanza della carne bovina nell’alimentazione, in particolare nei bambini e giovani, come negli anziani, per la sua attività appetitogena: si pensi alla pratica ricostituente tradizionale del buon brodo di carne. Alimenti “senza” per motivi commerciali Tra gli alimenti “senza” oggi primeggiano quelli senza glutine, il cui mercato è in continuo aumento1. Prima erano le farmacie, ora sono i supermercati che partecipano a questa crescita di vendite, ad alto prezzo e in un progresso che sembra inarrestabile e, se non guidato, almeno favorito dai personaggi che dicono di seguire un’alimentazione senza glutine. Di pari passo sulle scansie delle librerie sono in crescita i libri che spiegano come vivere e dimagrire eliminando il glutine. Gli scaffali dei supermercati sono colmi di prodotti gluten free e la dizione compare anche su confezioni di alimenti che non dovrebbero mai contenerlo, come il cioccolato, perché la dizione “senza glutine”, come altri

“senza”, sembra la parola magica per vendere. Lontanissimi e dai più dimenticati sono i tempi nei quali le panetterie avevano insegne o cartelli che pubblicizzavano le pastine glutinate, preparate secondo un’idea di GIOVANNI BUITONI nel 1847. Dalla fine di quel secolo arrivando a metà del 1900 la pastina glutinata, una pasta alla quale veniva aggiunto il 15% in peso di glutine secco, entra nelle case degli Italiani come “il miglior alimento per bambini, ammalati e convalescenti, prodotto di regime per obesi, gottosi, uricemici e diabetici”, con pubblicità che dicono “Il latte materno non basta più, ora ci vuole la pastina glutinata!”, “Il profitto a scuola dipende dalla buona salute. La buona salute si difende con la pastina glutinata”. Anche in una nuova moda degli alimenti “senza”, proporre oggi un alimento che vanta l’aggiunta di glutine, come peraltro di sale o di zucchero, sarebbe come decantare l’aggiunta di un “veleno”. Tutto questo perché, nella seconda metà del secolo scorso, è stata scoperta la celiachia, una nuova malattia, sulla quale si è però fatta e continua a mantenersi una grande confusione.

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Infatti, accanto alla celiachia vera e propria, esistono altre condizioni che si possono confondere con questa patologia. Riconosciute dalla medicina vi è l’allergia ad altre componenti (non al glutine) del frumento ed esiste la Sindrome del colon irritabile, che non ha niente a che fare con il frumento. Indubbiamente, senza negare l’esistenza e l’importanza della celiachia “veraâ€? e avvalorando la non colpevolezza delle graminacee, ma a come le loro farine sono trasformate in pane e cotte come pasta, il boom mediatico dei prodotti “senza glutineâ€? è prevalentemente di tipo mediatico e soprattutto commerciale. Non bisogna, infatti, dimenticare che il prezzo di un prodotto “senza glutineâ€? è sempre nettamente superiore al corrispettivo alimento “normaleâ€?, senza reali e giustificate motivazioni tecnologiche, ma di altra natura. In Italia, i prodotti “senza glutineâ€? sono considerati alimenti dietoterapeutici sovvenzionati dal servizio sanitario, con la conseguenza che, pagando lo Stato, il prezzo di questi prodotti rimane alto, e all’aumentare del numero delle diagnosi e quindi dei

celiaci, il loro prezzo, anzichĂŠ scendere come succederebbe per quelli di libero mercato, rimane costante, anzi aumenta, come si vede negli ultimi anni. Cibi light vs real food Per tutti questi aspetti, e altri ancora, e tra questi i movimenti d’opinione accolti anche dalle strutture di produzione e distribuzione alimentare, stanno aumentando le vendite del latte intero rispetto a quello scremato, come di molti altri “alimenti veriâ€? e i cibi light stanno cedendo il passo ai real food. Meglio piccole porzioni di cibi veri, sinceri e con tutte le impronte delle loro origini, che maggiori quantitĂ di cibi manipolati, deprivati della loro originalitĂ , anche culturale. Prof. Em. Giovanni Ballarini UniversitĂ degli Studi di Parma Nota 1. Secondo il report della societĂ inglese di ricerca VISIONGAIN, il giro d’affari mosso a livello globale nel 2016 dai prodotti gluten free sarĂ superiore ai 4 miliardi e mezzo di dollari. Cifra destinata quasi a triplicare nel 2026.

Guerra al sale: parte dall’Umbria il progetto “Salsiccia del ben‌essereâ€? Ăˆ partito dall’Umbria il progetto della “Salsiccia del ben‌essereâ€? che ha come obiettivo la riduzione del consumo di sale senza rinunciare al gusto degli alimenti. L’iniziativa è realizzata nell’ambito del programma di studio ed educazione alimentare “CittĂ del ben‌essereâ€?, nato a Gubbio dalla collaborazione della USL Umbria 1 con il Centro Studi Nutrizione Umana (Ce.S.N.U) e con il patrocinio dell’Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica (ADI). In Italia il consumo giornaliero di sale è almeno il doppio rispetto a quanto raccomandato dall’OMS, cioè ďŹ no a 5 grammi (piĂš o meno un cucchiaino da tè), corrispondenti a circa 2 grammi di sodio. Ed è dimostrato che il sale da cucina (o cloruro di sodio) favorisce l’aumento della pressione arteriosa, principale causa di infarto e ictus, calcolosi renale, osteoporosi e alcuni tumori (in particolare quello allo stomaco). ÂŤSi è deciso di intervenire sulla produzione di salumi ed anche di formaggi (ancora in fase sperimentale) con la convinzione di poter ribaltare il luogo comune secondo cui il prodotto tipico è buono ma fa maleÂť sottolinea il coordinatore del progetto, il medico nutrizionista Guido Monacelli. L’iniziativa, che ha comportato una attenta rivisitazione scientiďŹ ca e tecnologica della produzione dei salumi, è partita dall’Alto Chiascio, grazie alla collaborazione di alcune aziende locali, dove vengono prodotti salumi caratterizzati da riduzione del 35% della quantitĂ di sale, uso esclusivo di sale iodato per contrastare le patologie tiroidee, aromatizzazione che privilegia ďŹ nocchio e peperoncino a scapito del pepe, utilizzo di tagli magri (con diminuzione dell’apporto calorico e dei grassi saturi) e assoluta assenza di conservanti.

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Da sinistra: Carlo, Antonio, Giuseppe e Arturo Falcone nello stand aziendale durante il Cibus 2016.

Una storia aziendale importante nel cuore della Sila Da anni fornitore delle migliori catene della distribuzione moderna, il Centro Carni Sila dei Fratelli Falcone, propone una vasta gamma di prodotti suddivisi in quattro linee: r Sila&Sila r 5CNWOK FK %CNCDTKC &12 ( NNK (CNEQPG r /CEGNNGTKC (CNEQPG .KPGC 0CVWTC r 575 5WKPQ 0GTQ FGNNC 5KNC Gusto, bontà , genuinità sono il denominatore comune di prosciutti e salumi che soddisfano le esigenze alimentari di ogni consumatore. Dalla tradizione salumiera calabrese, da un territorio - quello silano - con l’aria piÚ pulita d’Europa, la naturale eccellenza per vivere il gusto con leggerezza.

CENTRO CARNI SILA SRL Via Forgitelle, 62 87052 Camigliatello Silano (CS) Tel. (+39) 0984 578012 info@silaesila.it

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TREND

Kit di gastronomia, un nuovo modo di fare cucina Sempre più Americani non cucinano. Per invogliarli a farlo, l’industria, con l’aiuto degli chef, ha messo in commercio dei kit che stanno avendo un grande successo e che di sicuro arriveranno al più presto in Europa, rappresentando un nuovo modo di vendere carni in confezioni pronte all’uso di Giovanni Ballarini

U

n terzo degli Americani non cucina, mangia fuori casa o, quando rientra, si limita a scaldare al microonde piatti pronti. Al massimo, durante i giorni di festa, chi ha un giardino si avventura in cotture sul barbecue di cibi già preparati; altri usano sempre più sistemi automatici o semiautomatici di cottura, seguendo le semplici istruzioni allegate. Molti sono i mo-

tivi di questa dilagante disaffezione per “fare cucina”. La prima, e forse maggiore, ragione è che si preferisce dedicare il proprio tempo ad altre attività, dalla cura della persona alle attività sportive, ai viaggi, o a guardare la televisione, dove, non a caso, hanno sempre più spazio i cuochi e le preparazioni culinarie più svariate. Non bisogna dimenticare, però, che fare cucina non significa soltanto

cuocere e “impiattare”, ma anche e soprattutto eseguire una serie di essenziali preliminari che partono da una spesa oculata, con una scelta ragionata degli alimenti, che spesso richiedono noiose operazioni di pulizia e preparazione. È certamente per questo che hanno successo le verdure già preparate, le farine e i cereali precotti. Al tempo stesso è cresciuta l’attenzione per gli “spettacoli di

Uno dei kit di cucina proposti dalla società americana Blue Apron (photo © www.blueapron.com).

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cucina”, le prestazioni dei grandi chef e le cucine esotiche, così, tra viaggi e televisione, gli Americani (come buona parte degli abitanti del mondo cosiddetto industrializzato), pur non facendo cucina, sono invogliati a cimentarsi con pentole e padelle, ma si fermano subito di fronte a una serie di difficoltà, prime tra tutte quella di procurarsi gli ingredienti e di prepararli. Per superare queste difficoltà, e dare a tutti l’impressione che si possa diventare bravi cuochi senza troppi sforzi e senza perdere tempo ad assemblare i vari ingredienti di una ricetta, viene in aiuto l’industria con i kit di cucina. Un settore che negli Stati Uniti, nel 2015, ha fatturato un miliardo di dollari e che si prevede possa raggiungere i dieci miliardi nel 2020, andando ad affiancare i kit fai dai te a cui siamo già ampiamente abituati (dall’arredamento alla manutenzione degli elettrodomestici o dell’auto). In sintesi, industrie come Plated, Hello Fresh o Blue Apron offrono dei kit che comprendono tutti gli ingredienti, puliti ed esattamente porzionati, disposti in idonee confezioni spesso sottovuoto o in atmosfera modificata, pronti per realizzare un piatto, con relative, dettagliate e precise istruzioni di uno chef, spesso celebre, che insegna passo per passo come operare, indicando anche le temperature e i tempi di cottura esatti. In media ogni ricetta prevede sei ingredienti, ma si può arrivare anche a dieci. Gli ingredienti sono perfettamente

Kit di cucina della Plated per le “chicken empanadas”. pre-dosati e non c'è spreco. Le carni, spesso dichiarate naturali e di animali allevati senza antibiotici e ormoni, sono tagliate, preparate e confezionate sottovuoto pronte all’uso. Il tutto è confezionato in scatole termiche, la consegna è gratuita e avviene nel giorno prescelto, su prenotazione (e pagamento anticipato) tramite internet. Le ricette sono di ogni tipo, dalle tradizionali a quelle etniche e cambiano secondo le stagioni, le mode… I prezzi non sono bassi, ma neppure eccessivi, visto il servizio che viene dato. Considerando gli ingredienti (soprattutto la presenza o l’assenza di carne), il costo per una monopor-

zione si aggira tra gli 8 e i 12 dollari, diminuendo proporzionalmente se si acquistano confezioni per quattro o più persone. Nelle offerte non mancano le ricette italiane, ad esempio la romana cacio e pepe. Chi l’ha provata afferma che non è certo come quella che si gusta a Roma, ma è buona, e poi… vuoi mettere la soddisfazione di averla fatta con le proprie mani? Avere l’impressione di essere un cuoco esperto, cambiando spesso menu ad un prezzo tutto sommato accessibile, è la principale carta vincente del kit di cucina gastronomica. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma


EVENTI

Ol Salam pió bù… l’è ol me! Alla Trattoria Visconti di Ambivere è andata in scena con il consueto successo la X edizione della gara del salame nostrano bergamasco, quest’anno in favore della popolazione terremotata Amatrice di Gaia Borghi

N

ella notte tra il 23 e 24 agosto un terremoto di intensità superiore al 6.0 ha devastato alcune zone dell’Italia centrale, cancellando letteralmente interi paesi e causando un impressionante numero di vittime. L’Italia tutta si è risvegliata attonita, incredula di fronte ad una catastrofe naturale improvvisa e devastante. E sono stati tanti, tantissimi i volontari che hanno affiancato immediatamente nelle operazioni di soccorso i rappresentanti della protezione civile, dei vigili del fuoco, della croce rossa,

così come tante, tantissime sono state le raccolte di fondi organizzate negli ambiti più disparati già all’indomani tragedia. Anche alla Trattoria Visconti di Ambivere, un piccolo paese della provincia bergamasca, non hanno avuto dubbi, decidendo di devolvere parte del ricavato della serata dedicata al Concorso del salame nostrano bergamasco, svoltasi lo scorso 5 settembre, proprio in favore della popolazione terremotata di Amatrice. AmmA-Ambivere per Amatrice: così DANIELE CACCIA, alla guida di questo storico locale insieme ai membri della

propria famiglia da tre generazioni, ha intitolato l’evento che da dieci anni esatti viene organizzato in trattoria alla fine dell’estate, alla ricerca del “miglior salame bergamasco del mondo”. Un concorso nato per gioco, ideato dal giornalista Elio Ghisalberti, una sfida all’insegna della goliardia cresciuta di anno in anno, tanto da costringere gli organizzatori ad una preselezione e a stabilire un numero chiuso, «per non ingolfare la serata finale» dice Daniele. Una dozzina i salami in gara, ognuno con caratteristiche proprie ma tutti rigorosamente

I salami in gara presentati durante l’aperitivo organizzato nel bel cortile all’esterno della trattoria.

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artigianali e realizzati seguendo i dettami della tradizione norcina bergamasca. La giuria ha valutato i campioni anonimi secondo i parametri sensoriali che riguardano il colore, la consistenza, l’odore, la resistenza al taglio, il gusto… La premiazione dei primi tre classificati è avvenuta al termine della cena che, oltre alla degustazione dei salami, prevedeva anche le foiade di farina di mais con pomodoro e pancetta, un gustoso piatto tipico della cucina bergamasca. Sul podio sono saliti due salami già vincitori di edizioni passate, segno che chi li ha preparati è davvero un esperto norcino che non teme nuovi sfidanti. La “medaglia di bronzo”, quindi, è andata al salame con doppio budello realizzato a Bruntino di Villa d’Almé da Riccardo Giuliani e dal figlio Marco, titolari dell’omonima macelleria ad Almé. Prodotto sempre a Bruntino anche il salame che ha conquistato l’argento: questa volta sono stati Giovanni Bonacina e Fausto Carobbio ad aggiudicarsi il secondo posto, con un salume realizzato con le carni di maiali allevati a grano e granaglie. I due sono stati battuti per uno scarto minimo di voti da Venanzio Tasca e Massimo Gherardi, arrivati alla vittoria con un salame stagionato a Miragolo San Salvatore, frazione di Zogno, una bellissima località di montagna (Miragol è un nome celtico, che deriva da mor, mawe, mir, che significa “monte”), al di fuori dei percorsi classici dei turisti che arrivano numerosi in questa zona, le Prealpi Orobiche, a trascorrere le proprie vacanze. L’azienda agricola che Massimo Gherardi gestisce con la moglie Cristina, comprende un allevamento di bovini da latte e da carne, uno di suini da ingrasso e un caseificio, la cui specialità è uno stracchino prodotto rigorosamente a latte crudo e secondo i sistemi tradizionali con tanto di caldaia in rame. Oltre alla “medaglia d’oro” del concorso di Ambivere, Gherardi produce salami di varie dimensioni, compreso quello insaccato nella “manega”, pancetta, coppa, testina e cotechini da consumare sia crudi che cotti. Lo ritroveremo sicuramente alla Trattoria Visconti l’anno prossimo: è lui l’uomo da battere. Gaia Borghi

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La Trattoria Visconti è un’affascinante dimora dall’atmosfera familiare situata proprio nel centro di Ambivere, un paesino a pochi chilometri da Bergamo. La famiglia Visconti ne segue direttamente la gestione da diversi anni: dal 2002 Daniele affianca la madre Fiorella nella gestione della trattoria, il fratello Roberto è in cucina e papà Giorgio si occupa di orto, frutteto e giardino. Assolutamente da non perdere alla Trattoria Visconti sono i casoncelli della Nonna Ida, il carrello dei formaggi bergamaschi, la giardiniera, la polenta con carni a lunga cottura e, naturalmente, il salame nostrano. Durante l’inverno il Gran Carrello del Bollito Misto la fa da padrone. Il locale aderisce alle associazioni Premiate Trattorie Italiane e Slow Cooking, che riunisce 13 ristoranti della Lombardia che rappresentano al meglio la cucina tipica del territorio nel quale sono inseriti. >> Link: www.trattoriavisconti.it

#UnAmatricianaPerAmatrice è il progetto di solidarietà messo in campo da Confesercenti in collaborazione con l’Associazione Nazionale Città del Vino per dare un contributo concreto alla ripartenza delle attività del territorio colpito dal sisma, dalle cui tradizioni è nato uno dei piatti più noti e rappresentativi della cultura e sapienza enogastronomica italiana. E così, nella settimana tra il 12 ed il 18 settembre, in tutta Italia, i ristoratori che hanno aderito al progetto hanno inserito in menu, in un giorno a loro discrezione, un piatto di amatriciana, devolvendo interamente l’importo pagato dalla clientela in un fondo finalizzato alla ricostruzione e al sostegno delle attività della ristorazione, del commercio e della ricettività dei comuni di Amatrice, Accumuli, Arquata del Tronto e Pescara del Tronto. «Il sisma ha danneggiato centinaia di ristoranti e attività commerciali e ricettive» ha spiegato Massimo Vivoli, presidente di Confesercenti nazionale. «Spesso piccole e medie imprese storiche, di assoluta rilevanza culturale: la pasta all’amatriciana non è solo il simbolo di Amatrice, ma uno dei piatti più popolari al mondo, che è nato proprio dal saper fare secolare di questo territorio. Per questo, insieme a Città del Vino, abbiamo ritenuto che ben rappresentasse lo spirito del progetto, che vuole affiancarsi alle tante iniziative di solidarietà arrivate da tutto il mondo».

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Il “Risotto del Sommelier” 2016 parla veneto Risotto agli asparagi settembrini di Mambrotta, con cuore di trippa di baccalà, aria di Malanotte e tartufo nero della Lessinia: questa la golosa ricetta ideata e realizzata da Daniele Cipriani e Davide Fiorio, chef della trattoria La Cola di Avesa (VR) e del Piper di Verona, che per il secondo anno consecutivo si sono aggiudicati il primo premio al concorso del Risotto del Sommelier. Domenica 18 settembre infatti, all’interno della 50a edizione della Fiera del Riso di Isola della Scala (VR), 7 chef, affiancati da altrettanti sommelier provenienti da cinque associazione regionali AIS, si sono fronteggiati ai fornelli per conquistare i tre premi previsti dal concorso. All’accoppiata CiprianiFiorio il merito di aver stregato la giuria tanto da meritarsi due titoli: quello per il miglior risotto e quello per il migliore abbinamento vino, studiato in collaborazione con un sommelier di AIS Veneto. La creazione degli chef del veronese, infatti, è stata accompagnata da A.R. 2006 Lessini Durello Metodo Classico della cantina Marcato di Roncà, molto apprezzato da pubblico e giuria. La giuria popolare invece ha decretato come vincitore il Risotto al formaggio di Fossa, tartufo nero e semi di amaranto di Domenico Balducci, chef presso l’Hotel Gentile da Fabriano, dell’omonima cittadina marchigiana in provincia di Ancona, e Presidente di AIS Marche. A giudicare i piatti e gli abbinamenti in gara una giuria popolare e una commissione tecnica. Per la prima volta quest’anno la competizione, organizzata da Ente Fiera, AIS Veneto e Consorzio per la Tutela della Igp Riso Nano Vialone Veronese, ha visto estendere la VI edizione del Risotto del Sommelier su scala nazionale, coinvolgendo ben 5 associazioni regionali AIS. L’evento è stato l’occasione per far conoscere oltre i confini regionali un prodotto d’eccellenza come il Nano Vialone Veronese Igp e di presentarlo con abbinamenti inediti di vini di diversi territori italiani.

La Fiera del Riso di Isola della Scala, giunta alla sua 50a edizione, è la manifestazione enogastronomica più visitata d’Italia. Celebra il risotto italiano, la ricetta all’isolana e il riso Nano Vialone Veronese Igp, primo in Europa ad aver ottenuto l’indicazione geografica protetta. Si svolge ogni anno tra settembre e ottobre ed ospita nella piccola cittadina veronese mezzo milione di buongustai.

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RASSEGNE Cultura, gusto e tradizione

Festival del Prosciutto di Parma 2016, stelle e novità

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a buona stella che ha tenuto a battesimo la XIX edizione del Festival del Prosciutto di Parma, appuntamento che tra la fine di agosto e l’inizio del mese di settembre celebra il dolce prosciutto in tutta la provincia parmense, quest’anno aveva fattezze e il fascino di Carlo Cracco, presente alla cerimonia di inaugurazione dell’evento che ha avuto luogo lo scorso 2 settembre a Langhirano. Lo chef ha parlato di prosciutto, territorio e, più

in generale, dei prodotti di eccellenza gastronomica sempre più ambasciatori in Italia e all’estero della qualità, della tradizione, del saper fare tutto italiano. Ma le stelle non sono state l’unica novità di quest’anno: l’edizione 2016 ha infatti perseguito l’obiettivo di creare più momenti dedicati alla conoscenza e alla degustazione del prosciutto di Parma e al contempo valorizzare il territorio di produzione grazie a eventi come Finestre Aperte, cuore della manifestazione: tutti gli

appassionati hanno potuto visitare i prosciuttifici aperti per l’occasione e assistere al ciclo di lavorazione del Prosciutto di Parma. Ampio spazio è stato riservato ai produttori del prosciutto di Parma: a Langhirano è nata infatti la Cittadella del Prosciutto di Parma, un’ampia area dove esperti e produttori hanno proposto degustazioni guidate, abbinamenti e laboratori del gusto. I visitatori hanno potuto inoltre conoscere da vicino i produttori presenti

Finestre Aperte è l’evento clou del Festival: i prosciuttifici, vere e proprie “cattedrali del prosciutto”, spalancano le porte ai visitatori e sono gli stessi produttori ad illustrare come le cosce di suino per una magica combinazione di clima, tradizione e passione diventano Prosciutto di Parma. In foto, Claudio Leporati responsabile marketing del Consorzio del Prosciutto di Parma.

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Il concept del Festival quest’anno è stato “Prosciutto di Parma presenta...” e ha visto alternarsi sul palco tanti prodotti Dop e Igp interpretati da chef in abbinamento al crudo Dop di Parma, ma anche serate a tema ispirate a Maria Luigia d’Austria, Giuseppe Verdi e ai prodotti della tradizione, degustazioni con vini regionali e internazionali, birre artigianali e ricette audaci e popolari,

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Stagionatura del prosciutto di Parma. Nel capoluogo di provincia, Città creativa per la gastronomia UNESCO, è tornato il Bistrò del Prosciutto di Parma in Piazza Garibaldi. Qui tutti i giorni è stato possibile degustare il Prosciutto di Parma e partecipare a cooking show, eventi culturali e di intrattenimento.

con il loro stand. Interessante anche la zona Prosciutti dal mondo, un bell’incontro tra prosciutto di Parma e altri prosciutti crudi di qualità dall’Italia e dal mondo. La kermesse si è poi allargata allo sport con la cicloturistica “I Bike Parma”. Non sono mancati i laboratori per i bambini sulle caratteristiche organolettiche degli alimenti e sulle intolleranze, un assaggio della manifestazione Gola Gola Food and People Festival 2017, una sfilata di capi d’abbigliamento realizzati con materie prime tutte parmigiane e la musica, con il concerto di Max Gazzé a Langhirano. Sempre a Parma ha fatto tappa Tramonto DiVino, il tour del gusto itinerante che promuove le eccellenze enogastronomiche dell’Emilia-Romagna con degustazioni, assaggi e racconti sulle piazze più belle delle città d’arte della regione. >> Link: festivaldelprosciuttodiparma.com

Il Crudo di Cuneo Dop alla corte del re dei prosciutti Il prosciutto Crudo di Cuneo Dop era presente all’evento parmense con uno stand nella Cittadella dei prosciutti ed è stato tra i protagonisti della serata dedicata ai Prosciutti dal mondo, dove sono state presentate diverse eccellenze salumiere nostrane e internazionali, dal prosciutto S. Daniele al Veneto Berico-Euganeo, fino al Jamón Ibérico de Bellota D.O. e al prosciutto Istriano Dop. La presentazione è stata condotta dalla giornalista televisiva Francesca Romana Barberini. «Il prosciutto Crudo di Cuneo è costituito da due ingredienti essenziali: cosce di maiale e sale. Il terzo elemento essenziale è costituito dall’ambiente idoneo alla stagionatura» ha affermato Chiara Astesana presidente del Consorzio di Tutela del prosciutto Crudo di Cuneo durante la serata. «Nell’area di produzione del crudo di Cuneo il sale è disponibile da millenni. Il territorio era infatti attraversato da numerose vie del sale. Una delle più antiche era rappresentata dalla via che collegava la valle del Guil (regione del Queyras) alla valle Po, attraverso il colle delle Traversette, ed era la via utilizzata dal Marchesato di Saluzzo. Per renderla più agevole e meno pericolosa già nel 1480, Ludovico II, marchese di Saluzzo, fece costruire una galleria, detta Buco del Viso, a 2.882 m slm, il primo traforo delle Alpi. Il sale trasportato era utile per gli usi del Marchesato (conservazione delle carni, cucina, ecc…) e parte di esso veniva spedito nelle città del Nord Italia. Voglio inoltre sottolineare che il prosciutto Crudo di Cuneo è prodotto nell’ambito di una filiera estremamente corta. Tutto il processo produttivo: nascita e allevamento dei suini, macellazione, sezionamento, salagione e stagionatura, avvengono in un raggio di azione inferiore ai 50 km». >> Link: www.prosciuttocrudodicuneo.it

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FIERE Torna a BolognaFiere SANA 2016

Oltre 47.000 visitatori al Salone internazionale del Biologico e del Naturale

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ANA cresce nei numeri, nell’assortimento, nell’interesse di operatori e pubblico: si chiude con successo il Salone internazionale del Biologico e del Naturale edizione 2016. Sono stati 47.221 i visitatori che dal 9 al 12 settembre hanno raggiunto BolognaFiere per conoscere e acquistare il meglio della produzione bio e naturale italiana e internazionale nei settori dell’alimentazione, della cura del corpo e del green lifestyle. I cinque grandi padiglioni di SANA 2016 sono stati il punto di riferimento del comparto, confermando l’evento come primo appuntamento in Italia e secondo in Europa. Il salone è stato inaugurato alla presenza di ANDREA OLIVERO, viceministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, che ha ribadito come gli obiettivi del piano strategico nazionale siano in linea con le istanze degli operatori: la semplificazione normativa, la revisione del sistema di controllo, l’allocazione di maggiori risorse al biologico coordinando gli incentivi dei piani di sviluppo regionali, azioni sulle politiche di filiera e sull’interprofessionalità, focus su formazione e ricerca e interventi per la promozione del made in Italy all’estero. «Condividiamo il successo di SANA 2016 con i suoi protagonisti — ha dichiarato ANTONIO BRUZZONE, direttore generale BolognaFiere — gli espositori, gli operatori e i nostri partner ci hanno supportato nell’impegno: FEDERBIO per la collaborazione strategica, i Ministeri dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali per gli importanti patrocini, Cosmetica Italia per il contributo; 72

IFOAM (International Federation of Organic Agriculture Movements) e ICE (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane), per il sostegno al programma buyer e le istituzioni locali, da sempre sensibili al tema del biologico e naturale». Il trend di crescita di SANA segue la tendenza del mercato come illustrato nell’Osservatorio SANA-ICE 2016 “Tutti i numeri del Bio” promosso e finanziato da ICE in collaborazione con BolognaFiere e realizzato da NOMISMA con il patrocinio di FEDERBIO e ASSOBIO. La ricerca ha messo in evidenza che 7 famiglie su 10 (circa 18 milioni di nuclei familiari) hanno acquistato una volta nell’ultimo anno almeno un prodotto biologico e che

tutti gli indicatori più importanti sono in crescita: superfici (+7,5% rispetto al 2014), operatori (+8,2% rispetto al 2014), vendite (+15% rispetto al 2014). Ma non è solo il mercato interno ad ottenere ottimi risultati: l’export cresce addirittura del +408% rispetto al 2008 e del +16% rispetto a un anno fa. Tra le iniziative più seguite il Premio Sana Novità, vetrina in cui sono stati esposti oltre 500 prodotti inviati dalle aziende fra quelli lanciati sul mercato a partire da ottobre 2015. Moltissime, infine, le occasioni di incontro con l’esperienza bio in città di SANA CITY e le oltre 200 iniziative della “Notte Bianca del bio”. >> Link: www.sana.it

Al convegno inaugurale del salone il direttore generale di BolognaFiere, Antonio Bruzzone, ha annunciato un’iniziativa a favore delle popolazioni colpite dal recente terremoto, con la devoluzione di 1 euro per ogni biglietto di ingresso venduto a prezzo intero. Premiata Salumeria Italiana, 5/16


Ismea: è Bio Boom anche nel 2016 Prosegue anche nel 2016 il trend espansivo del biologico italiano. Le elaborazioni di ISMEA e SINAB indicano infatti un aumento del numero degli operatori certificati, della superficie coltivata e dei consumi delle famiglie. In particolare, i dati dell’Osservatorio Ismea-Nielsen confermano anche per il primo semestre del 2016 un aumento significativo delle vendite di prodotti biologici nella GDO (+20,6% rispetto al primo semestre del 2015), rafforzando la tendenza positiva registrata nel 2015 (+20%) e quella degli ultimi 5 anni (+11%). La crescita delle vendite di prodotto biologico risulta generalizzata in tutti i canali della GDO (super, iper, liberi servizi e discount). Colpisce, in particolare nei primi sei mesi del 2016, l’accelerazione del canale discount, fenomeno questo che si spiega con l’aumento degli scaffali dedicati alle referenze bio nei punti vendita. Quanto al numero di operatori certificati, le ultime elaborazioni Sinab (aggiornate al 31 dicembre 2015) indicano quasi 60.000 aziende (+8% sul 2015) tra produttori e trasformatori, e in misura residuale di importatori. Sempre a dicembre 2015, la superficie coltivata secondo il metodo biologico in Italia, risulta pari a 1.492.579 ettari, con un aumento complessivo rispetto all’anno precedente del 7,5%. Nel corso del 2015 sono stati infatti convertiti al metodo biologico oltre 104.000 ettari. In percentuale sul totale della superficie coltivata in Italia, il biologico arriva quindi ad interessare il 12% della SAU nazionale (ISTAT SPA 2013), dato che cresce, rispetto allo scorso anno, quasi di un punto percentuale.

Chi è il bio-consumatore? • •

Informato e competente grazie ai nuovi strumenti di comunicazione e condivisione delle informazioni on-line che facilitano il reperimento e il confronto ma che riesce a discriminare. Attivo e protagonista nella creazione del valore del prodotto grazie a formule partecipative di comunicazione di immagine del prodotto (like, recensioni, condivisioni di opinioni su social, blog, ecc…) e del suo uso/consumo (con tutorial, gruppi di acquisto collettivo). Socialmente più responsabile in quanto è sempre più attento a prodotti che esprimono valori etici e sostenibilità economica, sociale e ambientale dei loro produttori, talvolta sfociando in assunzioni radicali e maniacali. Meno coerente e fedele perché ha sempre più opportunità di scelta, per la proliferazione continua di marchi e contenuti di servizi e parallelamente di acquisto grazie allo sviluppo di nuovi canali e alle tecnologie che rendono agevoli e rapido l’accesso. Ma è il comportamento del consumatore che guida o la sua è solo una reazione al mutevole contesto? (Fonte: Ismea)

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FORMAGGIO

Buoni acquisti d’autunno I formaggi d’alpeggio sono salubri ed ecosostenibili: il foraggio verde dei pascoli, ricco di carotene, vitamine, minerali si trasforma in latte e formaggio aromatici, gustosi e salutari. E questo è il periodo migliore per assaporarli di Riccardo Lagorio

A

utunno. Le mandrie che popolavano le malghe sono rientrate a valle da qualche settimana e le forme di formaggio nate dalle erbe aromatiche degli alpeggi stanno via via rifornendo le botteghe e gli spacci delle città, i mercati urbani. Buoni acquisti. I formaggi d’alpeggio sono particolarmente salubri ed ecosostenibili. Per i capi di bestiame, il continuo movimento all’aria aperta e, spesso,

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su terreni accidentati, favorisce l’irrobustimento; per il consumatore il foraggio verde dei pascoli, ricco di carotene, vitamine e minerali si trasforma in latte e formaggio aromatici e gustosi ma anche salutari. Così è questo il periodo migliore per assaporare il formaggio prodotto tra giugno e settembre. Magari quello delle tome che giungono dal Piemonte. Dall’Ottocento, cioè da quando la nobiltà e l’alta borghesia torinese

iniziarono a frequentare le Valli di Lanzo seguendo le mode della villeggiatura, il termine toma apparve su libri e guide turistiche. Crebbe di successo e notorietà nei decenni una particolare, quella di Lanzo. La Toma di Lanzo si ottiene con caglio di vitello da latte vaccino crudo, intero o leggermente scremato per affioramento, proveniente da una o due mungiture successive. Dal 1997 Usseglio, nell’alta valle di Viù, ospita

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nella seconda metà di luglio la Mostra Regionale della Toma di Lanzo e dei formaggi d’alpeggio (www.sagradellatoma.it) che si conclude ogni anno con la premiazione dello stand maggiormente rappresentativo. Il 2016 è toccato all’Associazione Levius, che promuove i prodotti dell’alta valle. Nel maggio 2013, per valorizzare e promuovere il formaggio, la Comunità Montana Valli di Lanzo, Ceronda e Casternone e la Provincia di

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Torino hanno promosso la creazione dell’Associazione Produttori Toma di Lanzo e di un regolamento d’uso (www.tomadilanzo.eu). La Toma di Lanzo d’Alpeggio si può produrre dall’1 giugno al 15 ottobre ad altitudini di almeno 1200 metri. La forma è cilindrica a facce piane e scalzo leggermente convesso; la stagionatura minima è di 40 giorni. La crosta è liscia di colore paglierino tendente al grigiastro. Le

forme possiedono fine occhiatura, diffusa e omogenea nella pasta giallo paglierino. Il profumo di latte è intenso, ma varia in base all’alpeggio e alla mano del malgaro; il gusto si modifica anche con l’avanzare della maturazione e possiede numerose varianti di dolcezza e sapidità. Tuttavia il retrogusto gradevolmente amarognolo è una costante. Sono molti i conduttori di aziende agricole che vivono le malghe duran-

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A sinistra: il formaggio di Malga Losa. A destra: Gianni Petris, dalle cui mani nascono anche ricotta e burro. te l’estate per tradizione familiare. Come la famiglia di ANNAMARIA PIOVANO (telefono: 346 0222010), che ha ceduto al richiamo di questi monti perché già il nonno dava in guardia le pecore a uno dei malgari del lago di Malciaussia, a oltre 1800 m. Grazie al mini-caseificio mobile il marito GIUSEPPE MENZIO può ottenere il formaggio anche in alpeggio, non distante dal borgo di Lavet, con belle case in pietra e legno. Aggiunge il caglio al latte portato a 36 gradi e, dopo un’attesa di 50 minuti, rompe grossolanamente la cagliata. Trascorsa mezz’ora toglie il formaggio dalla caldaia per mezzo di teli intessuti di lino e cotone. Il loro formaggio è riconoscibile: se vi è aggiunta di panna, la forma tende ad allargarsi; se prodotto con latte scremato (la maggior quantità) possiede crosta chiara; la crosta dopo qualche settimana è grigiastra se si utilizza latte intero.

Il peso medio è di 4,5 kg, ma alcune forme — quelle di latte scremato che arriveranno sino a Natale — sfiorano i 7 kg. È anche la storia di CARLO ALBERTO SOLERO e della moglie LIVIANA DARDINO (telefono: 339 2867569) che hanno riscoperto saperi tradizionali declinati in maniera originale e innovativa in vista di economie altre. Lui studiava come perito agrario a Torino e ogni anno in estate aiutava i malgari della valle di Viù, con l’impegno che una volta conseguito il diploma avrebbe lasciato la città e messo a frutto gli insegnamenti ricevuti in montagna. Arrivarono le prime capre di razza Camosciata delle Alpi e lei gli avrebbe regalato la prima vacca come pegno d’amore. Oggi le bovine sono quasi 60 e la produzione di formaggi d’alpeggio è diventato il sogno realizzato da entrambi, che per tante estati hanno portato il bestiame a Pian della Mussa.

Dall’Ottocento, cioè da quando la nobiltà e l’alta borghesia torinese iniziarono a frequentare le Valli di Lanzo seguendo le mode della villeggiatura, il termine “toma” apparve su libri e guide turistiche. Crebbe di successo e notorietà nei decenni una particolare, quella di Lanzo

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Il loro formaggio d’alpeggio da latte scremato proviene dalle munte serale e mattutina. La cagliata ottenuta è rotta prima a croce e, una volta estratta dalla caldaia nell’apposito telo di lino di 90x90 cm (rairola, in vernacolo), frantumata con le mani. Ricompattata per un giorno sotto la pressione di un grave, la forma prende le sembianze di cacio. Una transumanza più breve la compie LAURA BENEDETTO (telefono: 347 0892422) che da Usseglio sale ai 1800 m del Vallone d’Arnas con le sue 100 vacche di razza Pustertaler e le 200 pecore Biellesi. Territorio lontano, ma simile come idea di produzione genuina senza sconti, sotto il Catinaccio. JOACHIM RIER di vacche ne conta una decina, di razza Grigio Alpina, allevate in stabulazione libera; vanno in vacanza sull’Ape di Siusi dove la famiglia detiene 10 ettari di prato, che diventerà anche fieno per i mesi invernali. Nel suo agriturismo Hof Zu Fall (telefono: 328 4561735; www.hofzufall.com), che impegna la moglie Michaela, ci sono anche alcune stanze che guardano una delle montagne più belle della Penisola. Il formaggio dell’Alpe è per una stagionatura relativamente lunga: il latte è riscaldato bruciando legna fino a 50 °C; la rottura della cagliata sarà sottile. Trascorsi 80 giorni, privo di occhiature, sprigiona profumi intensi di sottobosco,

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tartufati. Ma i clienti tornano anche per lo yogurt, cremoso e vagamente acidulo quello nature, denso e goloso quello arricchito da pasta di frutta. Joachim Rier ama i fuoriprogramma con la sua inseparabile fisarmonica: a voi intonare uno Jodel. Ancora Dolomiti, questa volta Pesarine. Sono quelle che ammirano i sei FRATELLI PETRIS. Insieme gestiscono Malga Losa (telefono: 329 5330611), a 1.765 m nel territorio del Comune di Ovaro, ricco nell’Ottocento di miniere, in Carnia. Numerosi i premi che li hanno fatti conoscere non solo in Friuli ma ovunque i loro formaggi siano stati fatti recapitare. Il latte proviene prevalentemente da vacche di razza Pezzata rossa friulana. I Petris hanno anche aderito all’interessante progetto messo in campo dalla Regione Friuli Venezia Giulia per la tutela dei prodotti locali. Con il termine di Piccole Produzioni Locali (PPL) si individuano prodotti elaborati in piccoli quantitativi da parte di imprenditori agricoli. Queste produzioni possono godere di favorevoli modalità produttive, pur nel rispetto delle normative sanitarie vigenti. È Gianni Petris l’addetto casaro: dalle sue mani escono il formaggio di Malga Losa e la ricotta fresca e affumicata dalla caratteristica forma a fagotto (e necessaria, grattugiata, per il condimento dei cjarsons, i ravioli locali). L’affumicatura avviene per combustione di legni di ontano o faggio. Talvolta si prepara anche il formaggio misto, con l’aggiunta del formaggio di capra a quello delle vacche. Ma è il burro che conquista gli appassionati di gusti ormai inusuali, con il suo colore giallo paglierino, una insolita scioglievolezza ed un gusto marcato. Come portavoce dell’azienda Luca Petris. Ad accudire le vacche due pastori, uno italiano e l’altro marocchino. Segno dei tempi che cambiano. Anche in montagna. Riccardo Lagorio Nota A pagina 74 e 75 l’Alpe di Siusi, l’alpe più grande d’Europa. A pag. 75, in alto, vacca di razza Pezzata rossa friulana. In basso, tome di Lanzo (photo © www.agendafood.it).

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VINO Cantine e vini del Mediterraneo

Carthago bibenda est! di Riccardo Lagorio

L’

opportunità di potere incontrare alcune tra le migliori cantine della Valle del Vipacco, del Carso, del Collio e dell’Istria sloveni presso il Park Casinò & Hotel di Nova Gorica, in occasione dell’inizio del periodo della vendemmia (il 26 agosto scorso), ha confermato l’alto livello qualitativo dei vini prodotti sulla frontiera orientale. Vero è che l’Italia si è aggiudicata quattro volte negli ultimi cinque anni il primato mondiale nella produzione di vino; altrettanto vero che anche il vino viene sempre più spesso considerato e vissuto come prodotto da paniere

che va consumato sul posto, cioè dove si produce. Così diventa strumento propulsivo per incuriosire e stimolare al viaggio, ma soprattutto tramite per il confronto su varietà, metodi produttivi e modalità di coltivazione. Degli oltre 30 espositori al Park Wine Party la FAMIGLIA KRISTANČIČ, che possiede metà dei 22 ettari su territorio italiano, ha meravigliato con il suo Puro vendemmia 2006 da Chardonnay e Ribolla gialla. Certo Movia ha tracciato il solco nel mondo del vino naturale, diventandone artefice e dimostrando che l’utilizzo di solfiti e conservanti nel vino risulta superfluo quando la qualità dell’uva e

il lavoro dell’uomo sono scrupolose. Puro è un vino vivo, fresco e minerale, ottenuto da lieviti selezionati in pre-vendemmia: sensazioni citrine su velluto di pesca. Punta invece molto della sua notorietà sulla Malvasia istriana Korenika & Moškon di Corte, in Comune d’Isola d’Istria: dal colore dorato, ricorda nel naso l’acacia e si distingue per il piacevole ammandorlato finale. Pieno e armonico. Il particolare microclima di Monte di Capodistria, un perfetto assemblaggio di umidità, ore di luce solare, vicinanza al mare, suolo e altitudine, viene invece messo a frutto

Degustazione di vini al Park Casinò & Hotel di Nova Gorica.

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Terrazzamenti a Plavac mali a Sabbioncello. dalla famiglia Glavina nel Grande Cuvée Santomas 2009: un Refosco maturato in piccole botti di rovere francese che ricorda la susina matura e il cioccolato nero al naso, sensazioni che si ripercuotono in bocca. Dopo il lungo riposo i tannini si trasformano in seta sulle labbra. Ma se il vino ispira il viaggio e racconta degli infiniti scambi tra antiche civiltà, la penisola di Sabbioncello, in Croazia, recita un ruolo di straordinario rilievo. Terrazzamenti, suoli petrosi, e un grande protagonista, il Plavac mali, vitigno dalle bacche pruinose parente stretto del Primitivo. A pochi chilometri dall’istmo di Stagno, che stacca la penisola di Sabbioncello dalla Dalmazia a nord di Ragusa, Ponikve è un villaggio noto per l’ottimo vino prodotto. Vinarija Vukas lo produce da tre generazioni e imbottiglia dal 2003. Alla prima comunità illirica che visse nella penisola, Plerej, è dedicata l’etichetta da vigne piantate tra il 1936 e il 1960 su ripidi terrazzamenti. Ciascun alberello offre mezzo chilo d’uva per un vino di colore rosso granato concentrato.

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Le prime impressioni olfattive avvengono attraverso un naso moderato, senza evidenze d’alcol (nonostante i 16,2% gradi dichiarati); la bocca intreccia frutta rossa, anice, mentolo e cioccolato. Per lungo tempo si dispone di una battaglia tra zucchero e alcol, estratto e tannini. Per fortuna senza un vincitore. «Ci sforziamo di produrre vini armoniosi, accettabili da tutti senza dimenticare identità e originalità», conferma DUBRAVKO VUKAS. La penisola possiede un’area particolarmente vocata alla viticoltura, a strapiombo sul mare, considerata tra le migliori al mondo per esposizione, insolazione e terreno, Dingač. Si raggiunge attraverso un tunnel presso Potomje, finanziato dai viticoltori per evitare di dover scollinare a oltre 400 metri, attività disagevole durante la vendemmia. Per necessità, piccoli appezzamenti. Poco più d’un ettaro quello di BORIŠ VIOLIĆ MATUŠKo e della moglie. Le bottiglie vanno inevitabilmente a ruba tra le enoteche e i ristoranti della riviera. «La posizione delle vigne permette di ottenere

un’elevata quantità di zuccheri e un grado alcolico sostenuto», dice. Il 2010: riflessi violacei, profumi di

Il Dingač. Le uve da cui si ottiene questo vino pregiato provengono da un’area particolarmente vocata alla viticoltura della penisola di Sabbioncello.

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L’ingresso alla sala degustazione dell’azienda Toreta sull’isola di Curzola in Croazia. spezie e frutta molto matura, caldo e morbido in bocca, di grande struttura tannica. Venti minuti di motonave e si sbarca sull’isola di Curzola, patria del Pošip. Vitigno a bacca bianca poco diffuso fuori da qui, ha in Smoquizza uno dei centri d’irradiazione. FRANO BANIČEVIČ gestisce l’azienda di famiglia, Toreta: produzione 40.000 bottiglie per 7 etichette. Tra queste il Pošip dal colore giallo carta e riflessi grigioverde, profumi che ricordano melone e pesca, bocca amarognola che si perde in un lungo finale minerale. Si gusta al meglio con il piatto della tradizione curzolana, acciughe e sarde sotto sale condite del buon olio di varietà Lastovka e Drobnica; con il pesce in generale. In un’altra isola del Mediterraneo un paio di uve autoctone riescono a offrire emozionanti vini, seppure non ci aspetteremo di vederne invasi i mercati. A Malta, che conta su 280 ettari vitati, una di queste, la Ġellewża, viene vinificata in purezza da Marsovin, proprietà della FAMIGLIA CASSAR dal 1919. E 1919 Red (di categoria Malta Doc) è il nome dell’eti-

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chetta, che cambia ogni anno, creata da artisti chiamati a interpretare La Cultura del Vino. I grappoli vengono lasciati appassire al sole per ottenere una concentrazione naturale di zuccheri, ma anche colore e modificarne l’acidità. Produzione limitata a poche migliaia di bottiglie numerate. La vendemmia di Ġellewża così elaborata nel 2012 presentava riflessi porpora e profumi di composta di mirtillo, di spezie e caramello. L’alcol non sopraffà gli aromi che affiorano dal bicchiere e anzi in bocca si riconosce una piacevole acidità con reminiscenze di amarena e susina. E il Mediterraneo, proprio per essere crocevia tra culture, impressiona per varietà e ricchezza. È così che già nei secoli passati Cartagine si annoverava tra i più importanti produttori di vino: testimonianza di ciò le anfore sparse un po’ ovunque sui fondali. Proprio il vino contribuiva alla ricchezza di scambi e alla fiorente economia. Che Cartagine dovesse essere distrutta CATONE IL CENSORE lo ripeteva ad ogni suo intervento presso il Senato di Roma. Rasa al suolo nel 146 a.C., i Romani

ne salvarono solo una cosa, il Trattato sull’agricoltura di MAGONE di 2 secoli prima. Innestato sulla cultura greca, aiutò gli agronomi a sviluppare la viticoltura dell’Impero. La tradizione della viticoltura a Cartagine fu invece ripresa a fine Ottocento con l’arrivo delle truppe francesi in Tunisia. Nel 1948 l’unione di 9 cooperative diede origine a un colosso che lavora 10.000 ettari di vigne, di cui solo 7.000 realmente sfruttate per 20 milioni di bottiglie per una ventina di referenze. Dal 2008 Les Vignerons de Carthage, esortata dal suo direttore BELGACEM D’KHILI, si è anche avventurata nella selva dei vini spumanti metodo classico (nome semplice, M) da uve Chardonnay, con risultati incoraggianti. Ma gli occhi sono stati conquistati dal colore dorato del Moscato d’Alessandria, Muscat sec de Kélibia. Naso fragrante e floreale di gelsomino e zagara, bocca equilibrata che ricorda frutta esotica, pesca bianca e bergamotto. Un vino dell’altro mondo. Bibenda est Carthago! Riccardo Lagorio

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Un giardino labirinto vitato? Sì, nella tenuta Kränzelhof in Alto Adige Ventimila metri quadrati di verde che racchiudono sette giardini, un labirinto di vitigni, una tenuta vinicola e un antico mulino, il tutto tra innumerevoli piante e fiori, ambienti acquatici, architetture vegetali e installazioni artistiche. Potrebbe sembrare frutto di fantasia, invece questo luogo esiste e si trova in Alto Adige a Cermes, nell’area turistica di Lana e dintorni, vicino a Merano. È il Kränzelhof, giardino nato nel 1998 su iniziativa del proprietario, il conte von Pfeil. In questo luogo magico i cinque sensi vengono rapiti, lo sguardo resta incantato dalla bellezza dell’interazione tra natura e mano dell’uomo: la vegetazione e gli alberi creano strutture architettoniche naturali che fanno da cornice a opere e installazioni di oltre 20 artisti, in una perfetta fusione di arte naturale e artificiale. Il cuore del Kränzelhof è il giardino-labirinto di viti posto al centro del parco: perdendosi al suo interno si passeggia in sentieri delimitati dai diversi tipi di vitigni che dall’estate ad autunno inoltrato offrono i loro frutti ai visitatori con profumi inebrianti. L’atmosfera particolare rende il luogo ideale per la meditazione: per avvicinarsi a questa disciplina, nel giardino vengono infatti organizzate sessioni di meditazione guidata ogni martedì sera e venerdì mattina. Grazie alla varietà del parco è possibile sperimentare la tecnica in diversi ambienti come il labirinto terra, il labirinto a spirale in pietra o la grotta. Il parco comprende anche vigneti a coltivazione ecologica, dai cui frutti vengono prodotte 16 qualità di vini di alta gamma: la tenuta vinicola Kränzelhof ha una storia di 800 anni e nell’enoteca è possibile assaporare i vini direttamente dove vengono prodotti. L’antico mulino della tenuta è ora il ristorante Miil, raffinato locale che propone piatti di alta cucina in un ambiente in equilibrio tra antico e moderno. >> Link: www.lana.info

Si rinnova la partnership del Bardolino Chiaretto con le migliori pizzerie italiane selezionate dal Gambero Rosso Pizza e Chiaretto anno secondo. La partnership fra il mondo della pizza d’autore e il classico vino rosato della riviera veneta del lago di Garda si rinnova con l’edizione 2017 della guida delle Pizzerie d’Italia del GAMBERO ROSSO, in presentazione a Napoli il 22 settembre. Ed è proprio il Bardolino Chiaretto il vino che accompagna tutta la giornata di presentazione della guida, dalle premiazioni dei migliori pizzaioli italiani a palazzo Caracciolo fino alle serate in quattro tra le più note pizzerie di Napoli. Con i suoi dieci milioni di bottiglie prodotte annualmente, il Bardolino Chiaretto è il leader assoluto nel settore dei vini rosati italiani a menzione geografica. La pizza è uno dei suoi abbinamenti gastronomici ideali. «Capisco che ci siano diverse opinioni — spiega FRANCO CRISTOFORETTI, presidente del Consorzio di tutela del Bardolino Chiaretto — quando si tratta di decidere che cosa bere con la pizza. C’è chi beve birra, chi acqua, chi una bibita gassata e chi non rinuncia al vino. Noi crediamo che il Bardolino Chiaretto stia benissimo con la pizza, perché la sua freschezza agrumata lo rende eclettico, in grado di accompagnare benissimo i vari ingredienti che la creatività del pizzaiolo unisce alla pasta. A partire dal pomodoro o dalla mozzarella, che oltretutto è un altro matrimonio classico del Chiaretto. E poi ci piace essere associati ai pizzaioli. Con il loro lavoro, contribuiscono quotidianamente a valorizzare quello straordinario patrimonio italiano che è costituito dalla pizza, così come noi, con il nostro lavoro nei vigneti affacciati sul lago di Garda e con la produzione del Bardolino Chiaretto, intendiamo contribuire a far conoscere e apprezzare la cultura italiana del vino rosato. Proprio per questo la nostra attenzione al mondo della pizza continuerà anche con altre iniziative dedicate ad un settore che rappresenta una punta di eccellenza dello stile di vita italiano».

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A Merano lo spettacolo del foliage ai Giardini di Sissi e i percorsi sul vino Rallentare la frenesia della vita quotidiana, ascoltare i propri passi e vivere i silenzi del sottobosco per emozionarsi nella natura, ammirando la bellezza dell’autunno. È ciò che propongono i Giardini di Sissi a Merano durante la stagione dell’Indian summer, quando il fogliame degli alberi divampa in un tripudio di calde tonalità del giallo, rosso e arancione e dà il via al magico fall foliage. La caduta delle foglie che chiude il ciclo naturale, segna il ritmo delle stagioni e proprio nell’anfiteatro botanico dei Giardini di Castel Trauttmansdorff è un avvenimento atteso, che richiama annualmente fotografi, appassionati e turisti da tutto il mondo. Infatti i visitatori in questo periodo possono osservare il variopinto mutamento delle foglie da un punto di vista privilegiato: un parco di oltre 12 ettari con più di 80 diversi ambienti botanici che si tingono di colori accesi, dalle chiome delle querce rosse agli aceri del Canada, dalle sequoie ai cipressi, tutto cambia d’abito. Un bell’evento si terrà domenica 23 ottobre, dalle 10.00 alle 17.00, durante la “Giornata d’Autunno”, quando le guide dei Giardini di Sissi sveleranno agli ospiti i segreti del mondo delle piante in autunno, rispondendo a domande quali: perché le foglie si colorano? Quali frutti ci sono nei Giardini? Una giornata pensata soprattutto per le famiglie, dove tutti sono invitati a scoprire il magico mondo delle piante con tutti i sensi. I Giardini di Sissi propongono inoltre anche appuntamenti fissi durante il periodo autunnale, come il pacchetto turistico combinato “Giardini & Vino”, che tutti i giovedì fino al 27 ottobre conduce i visitatori in un suggestivo percorso tra le meraviglie botaniche dei Giardini di Sissi nei paesaggi vinicoli di Castel Katzenzungen a Prissiano. In questo luogo cresce rigogliosa l’antica vite Versoaln, la più grande ed antica al mondo, che ancora oggi fornisce una piccola quantità di uve bianche da cui si produce l’omonimo vino, il Versoaln (prezzo del pacchetto a persona: € 35,00 comprensivo di ingresso, trasferimento in pullman a Prissiano e degustazione vini). Nei giorni di sabato nei mesi di ottobre e il 5 novembre, inoltre, è in programma la rassegna “Piante da mordere!”. Visite guidate appositamente create, avvicineranno i visitatori al mondo delle piante, dei frutti locali altoatesini ma anche di quelli esotici, concludendosi con al ristorante Schlossgarten (prezzo a persona € 39,00 comprensivo di ingresso, visita guidata e menu di 3 portate, vino incluso). >> Link: www.giardinidisissi.it

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I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA

Street food & wine: di Laura

I

l nostro m meraviglioso Paese vanta una quantità innumerevole di specialità, ricette e gustose tipicità. Ne esploreremo diverse, soffermandoci soprattutto sui cibi di strada, identificando anche i vini adatti all’abbinamento. Il protagonista di questo approfondimento è l’erbazzone. Specialità di Reggio Emilia, molto nota e amata, è diffusa da lungo tempo nella provincia reggiana, con diversi sconfinamenti e interpretazioni.

Nella tradizione si tratta di una torta salata, bassa, a base di spinaci o erbette, con formaggio Parmigiano e lardo. Ne esistono però molte versioni. Originariamente si trattava di una preparazione prodotta con le verdure di recupero dell’orto, contenute da due strati di pasta sfoglia sottile. La ricetta più comune prevede che il ripieno sia composto da bietole o spinaci, conditi con cipolla, aglio, pangrattato e Parmigiano Reggiano, alle volte anche uova, anche

Lambrusco dell’Emilia 2015 Le Barbaterre

Lambrusco Reggiano Rosato Rosé 2015 – Alfredo Bertolani

Reggiano DOC Lambrusco Barghi L’Incontro 2015 – Cantina Puianello

Siamo a Quattro Castella con questa bella cantina che vanta una vista spettacolare sui monti e le valli circostanti, vista che si può ammirare dalla splendida terrazza del ristorante attiguo, consigliatissimo. Il vino, biologico, è prodotto con uve Grasparossa, Salamino e Malbo gentile. È rustico come un contadino con il vestito della festa, onesto e pieno, convincente e tipico. Vinoso di erbe aromatiche e fieno, lieviti e frutta rossa, è fresco e sapido con equilibrio. La trama e la bolla lasciano la bocca pulita, è beverino e nelle sere d’estate, servito ghiacciato, farà un figurone. Ovviamente l’abbinamento con l’erbazzone reggiano è riuscitissimo e potete fare la prova direttamente al ristorante della cantina. Consigliata la prenotazione.

Sulle colline di Scandiano, in provincia di Reggio Emilia, si trova questa cantina, di antica fondazione ma assolutamente moderna concezione, che si evince anche dalla nuova struttura che la ospita, ospitale e funzionale. Il Lambrusco Rosé, prodotto con uve Lambrusco Salamino e Lambrusco Marani, è tipico di note di lampone e ribes, freschissimo con profumi di erbe aromatiche e menta, ricordi netti di fragoline di bosco. La sorsata è morbida ed estremamente dissetante, circolare nei profumi e armonica. Un bell’equilibrio gustativo per un calice aggraziato e di grande bevibilità. Può fare tranquillamente da tutto pasto, ma sarà ottimo come aperitivo, servito ben freddo. Decisamente vocato all’abbinamento con la cucina del territorio, salumi in particolare, riuscirà con grande facilità a stringere amicizia di gusto con l’erbazzone, grazie ad una bella bollicina che ne contrasterà le note grasse e ad una coerente trama gustativa.

Fondata nel 1938 da cinque famiglie, alle quali poi altre si aggiungeranno, la cantina sociale Puianello rappresenta un ottimo esempio di tipicità, qualità e valorizzazione del territorio. Il Lambrusco Barghi, da uve Lambrusco Barghi in purezza, è vinoso e fruttato, pieno nelle note olfattive, estremamente pulite. Piccoli frutti rossi e di bosco con una leggera speziatura a completamento, svela una tinta verde e vegetale piacevole, che ritroviamo al palato, con equilibrio. Rustico e tradizionale anche nella sorsata, schiuma avvolgente e aggraziata, bella la freschezza del frutto, circolare. Un bicchiere tipico e di ottima soddisfazione, che si sposerà ottimamente alla cucina del territorio, gnocco fritto con salumi e primi piatti. Troverà anche nell’erbazzone reggiano un degno compagno di merende.

Soc. Agr. Bedogni S.S. Le Barbaterre Via Cavour, 2/A Bergonzano 42020 Quattro Castella (RE) Telefono: 0522 247573 info@barbaterre.it

Alfredo Bertolani Via Pedemontana 10 42019 Scandiano (RE) Telefono: 0522 857577 info@bertolanialfredo.it

Cantina Puianello Via C. Marx 19/A – 42020 Puianello di Quattro Castella (RE) Telefono: 0522 889120 info@cantinapuianello.it

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erbazzone e Lambrusco Franchini ricotta, in diverse quantità. Sulla pasta sfoglia vengono invece disposti pezzetti di lardo o pancetta. Nel dialetto reggiano viene chiamato scarpasòun, italianizzato in “scarpazzone”, perché, nella sua preparazione, le famiglie contadine usavano anche il fusto bianco, cioè la “scarpa”, della bietola. Esiste una versione detta “montanara”, preparato nella zona di Castelnovo ne’ Monti-Carpineti, dove all’impasto viene aggiunto il riso. L’erbazzone

montanaro, più alto di spessore, non viene ricoperto in superficie se non talvolta da una spennellata di glassa d’uovo o da una spolverata di granelli di zucchero. Si narra che questo prodotto di montagna arrivò in pianura portato dalle mondine che dall’Appennino si spostavano nella “Bassa” da marzo ad ottobre a liberare le risaie dalle erbacce e che, per ogni giorno di lavoro, ricevevano come pagamento un chilo di riso.

Reggiano DOC Lambrusco Concerto Medici Ermete

Lambrusco dell’Emilia Rosé 2015 Lusvardi

Emilia Lambrusco Scuro 2015 Lini910

Verso la fine dell’Ottocento Remigio, capostipite della famiglia Medici, fonda una cantina per valorizzare i vigneti di famiglia, ubicati fra la via Emilia e i primi rilievi della valle dell’Enza. Con il figlio Ermete si ingrandisce l’azienda e successivamente, con Valter e Giorgio, si procederà a investire anche nella comunicazione e commercializzazione della produzione aziendale. Il Concerto viene prodotto utilizzando uve Lambrusco Salamino in purezza. Al calice si presenta di un rosso rubino scuro, con riflessi violacei. Al naso è vinoso di frutta scura matura, certamente tipico, con sfumature speziate e ricordi vegetali di foglia di vite. Coerente e lineare la sorsata, armonica e rotonda. Morbida l’avvolgenza della schiuma. Adatto ad essere proposto con tutta la cucina emiliana, quindi con le specialità reggiane come l’erbazzone.

Reduci da esperienze manageriali negli Stati Uniti, al loro ritorno Rita Covezzi e Andrea Lusvardi decidono di dedicarsi alla loro grande passione, il vino, dando vita ad una realtà nuova e moderna nella concezione, ma tradizionale nell’impronta produttiva. Il Lambrusco Rosè, prodotto con uve Lambrusco Salamino e Lambrusco Grasparossa, selezionate e raccolte a mano nella seconda metà di settembre/prima decade di ottobre, è vinoso e pulitissimo nei sentori, di fragole mature e tinte verdi vegetali, punta balsamica di menta e ortica, davvero intrigante e coinvolgente. Non delude la sorsata, coerente e dissetante, sapida quanto serve e fresca, rotonda e equilibrata. Decisamente adatto ad essere accompagnato da piatti di salumi, gnocco fritto e tagliatelle al ragù, servito ben freddo farà un figurone anche come aperitivo, accompagnato da erbazzone tiepido.

Siamo a Correggio, dove, nel 1910, Oreste Lini decide di fondare quella che diventerà un faro illuminante nella produzione vinicola non solo della zona. Una forte vocazione alla ricerca dell’eccellenza lo fanno avvicinare al Metodo Classico, del quale acquisirà ogni tipo di conoscenza e producendo vini di grande riconoscibilità. Una sapienza che coinvolge anche e soprattutto le produzione effettuate con uve Lambrusco, con un occhio sempre vigile alla tradizione. Questo calice è elegante di frutta scura, pieno e fresco, con note balsamiche nette e ricordi di pepe scuro. Vinoso con tinte chinate e di erbe officinali, è asciutto al palato, con entrata morbida e fresca, armonico e pulito, equilibrato senza spigolature, anche nella bolla. Ottimo con tortelli di zucca o di erbette, con l’erbazzone reggiano soddisferà tutti i palati.

Medici Ermete & Figli Via Isacco Newton 13/a 42124 Gaida di Reggio Emilia (RE) Telefono: 0522 942135 Form on-line www.medici.it

Lusvardi Via Canale per Reggio 2 42018 San Martino in Rio (RE) Telefono: 0522 698463 Form on-line www.lusvardi.it

Lini910 Via Vecchia Canolo 7 42015 Canolo (RE) Telefono: 0522 690162 info@lini910.it

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BIRRA

Il grande successo della bionda nostrana I numeri sono ragguardevoli e fanno ben sperare. Lasciano intravedere ottime prospettive e ci inorgogliscono perché sono la prova che, in fatto di cibo e bevande, noi Italiani siamo capaci di produrre qualunque cosa e in maniera eccellente, anche quando quel prodotto non è nella nostra tradizione, né proviene da materie prime locali. Ed ecco che arriva una nuova legge di regolamentazione del settore, tanto attesa, quanto discussa di Sebastiano Corona

L

e cifre parlano da sole: la birra del Belpaese in 10 anni ha quadruplicato l’export, raggiungendo, nel 2015, il valore storico di ben 183 milioni di euro. Ma la cosa che ulteriormente incoraggia i nuovi mastri birrai è che i mercati interessati sono proprio quelli che

storicamente producono birra di alta qualità, come la Germania, il Belgio e la Gran Bretagna, oltre che il resto del Nord Europa. Qui gli incrementi di prodotto acquistato sono a due cifre percentuali ogni anno, per mostrare un aumento complessivo su base decennale di quasi il 2000%!

Anche in casa nostra — secondo COLDIRETTI — complice il caldo, gli acquisti sono aumentati del 6% nell’estate appena trascorsa. I birrifici artigianali, che sino a qualche anno fa erano poco meno di 50, sono oggi oltre un migliaio e nel frattempo si è introdotta la novità del laboratorio che

Approvata agli inizi dello scorso luglio, la legge sulla birra artigianale delinea le nuove regole di produzione. In particolare, definisce la birra artigianale quella “prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e microfiltrazione” (photo © www.microbirrifici.org).

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Il successo delle birre artigianali italiane va oltre i confini del Belpaese: l’export in 10 anni è quadruplicato, raggiungendo nel 2015 il valore di 183 milioni di euro. I mercati principali sono Germania, Belgio e Gran Bretagna, proprio i Paesi storicamente produttori di birra di ottima qualità (photo © www.microbirrifici.org).

Si intende per piccolo birrificio indipendente, un birrificio legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro, che utilizza impianti fisicamente distinti, che non opera sotto licenza e la cui produzione annua non supera i 200.000 ettolitri, includendo le quantità realizzate conto terzi

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lavora esclusivamente materia prima locale, dal produttore al consumatore, rendendo la semplice degustazione, un’esperienza di gusto alla scoperta di sapori sempre nuovi. La produzione nazionale, caratterizzata da piccolissime realtà imprenditoriali che operano in ambito locale, è infatti molto diversificata e offre varianti per ogni palato. Proposte come le aromatizzate alla canapa, al carciofo, al riso o al radicchio, rendono irresistibile la tentazione all’assaggio, anche solo per curiosità. Regole e condizioni Nonostante il suo straordinario successo, il termine “birra artigianale” non era sino a qualche mese fa ben definito e si rifaceva unicamente all’iscrizione dell’azienda produttrice all’Albo delle imprese artigiane, generando equivoci ed errori con il rischio di pesanti sanzioni in caso di uso distorto. Di contro, non esisteva, da parte dello Stato, una tutela specifica o un occhio di riguardo ai piccoli produttori e si applicava una norma risalente al lontano 1962. È il DDL S 1328 B – Disposizioni in materia di

semplificazione, razionalizzazione e competitività per l’agroalimentare (divenuto poi Legge 28 luglio 2016, n. 154) ad introdurre una serie di regole e condizioni. Innanzitutto è considerata birra artigianale quella prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e microfiltrazione. E ancora: si intende per piccolo birrificio indipendente, un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti, che non operi sotto licenza e la cui produzione annua, coerentemente con la normativa europea, non superi i 200.000 ettolitri, includendo in questo parametro le quantità realizzate per conto terzi. Da quest’anno, dunque, le imprese industriali non potranno più spacciare il proprio prodotto per birra artigianale, ma è anche vero che la tutela del caso va più a favore dei birrifici medi, che di quelli piccolissimi, che normalmente operano sulla qualità e sono più deboli dal punto di vista economico finanziario.

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Una birra di successo? Pochi ingredienti ma di qualità: cereali, acqua, luppolo e lievito (photo © www.campaniasuweb.it). La maggiore ingiustizia, secondo i birrai, risiede però nel fatto che per il fisco tutti i produttori di birra, grandi o piccoli che siano, sottostanno alla stessa imposizione fiscale e devono pagare le accise senza distinzioni tra loro. Non fosse sufficiente, esiste un altro problema di fondo che CNA ALIMENTARE e UNIONBIRRAI denunciano da tempo. È necessario infatti, secondo le due associazioni, “intervenire in tempi brevi per rimuovere le pesanti criticità che pesano sulle modalità per l’accertamento dell’accisa”. Secondo i produttori CNA e Unionbirrai, se la norma viene interpretata in maniera restrittiva, l’accertamento dell’accisa per i microbirri-

Questa legge ha il merito di introdurre la definizione di birra artigianale e generare una sorta di salvaguardia dei metodi di produzione. Poco o nulla, però, dice sulla materia prima da impiegare

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fici, porterà ad uno stravolgimento delle finalità del provvedimento, con grave danno proprio per i più piccoli che invece il legislatore intendeva tutelare. Nella norma sono riconosciute le specificità dei microbirrifici ed è conseguentemente previsto un sistema di accertamento fortemente semplificato. Ma purtroppo, a causa dell’interpretazione dell’Agenzia delle Dogane, in alcuni territori si richiede la collocazione dei misuratori elettronici per il tasso alcolico, nella fase di produzione del mosto (anziché nella fase di imbottigliamento). Questo fatto apparentemente irrilevante, determina invece in automatico un’accisa più alta rispetto a quella che grava sui grandi birrifici. È infatti evidente che una siffatta richiesta sulla collocazione dei misuratori, intervenendo nella fase precedente alla fermentazione — e non sul prodotto finito — comporta un’impennata dell’accisa. Una vera beffa, dunque, per i microbirrifici, già penalizzati dal fatto che l’Italia sia uno dei pochi Paesi europei a non aver introdotto una riduzione dell’aliquota dell’accisa, in funzione della dimensione d’impresa. Questa legge che ha il merito di introdurre la definizione di birra artigianale e di generare indirettamente una sorta di salvaguardia dei metodi

di produzione, poco o nulla, però dice sulla materia prima da impiegare. Sebbene la norma escluda per la birra artigianale, metodologie di produzione specifiche come l’aggiunta di anidride carbonica, la pastorizzazione e la microfiltrazione che alterano il prodotto impoverendolo delle sue proprietà organolettiche e nutrizionali, il legislatore — secondo alcuni — ha perso l’occasione preziosa di disciplinare il settore in modo più completo e soddisfacente. I produttori sono però molto chiari in merito: al di là dei proclami, la birra 100% made in Italy è un obiettivo difficile da raggiungere, né sarebbe corretto — considerato che il luppolo ha ancora una produzione nazionale bassissima — subordinare l’artigianalità della birra, all’italianità delle materie prime. Come a dire: non ha senso imporre limiti sulla carta che non possono essere rispettati nell’operatività quotidiana per motivi oggettivi. Un altro aspetto che lascia aperti degli spazi alla confusione tra birre artigianali e birre industriali, è la richiesta ai birrifici artigianali dell’indipendenza legale ed economica da qualsiasi altro birrificio. Una simile indicazione può infatti generare fraintendimenti e furbizie varie, perché apre spiragli alle grosse imprese del

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beverage o della distribuzione che non sono birrifici, ma si possono comunque considerare a pieno titolo, grande industria. A voler essere pignoli ci sarebbe da approfondire anche il passaggio che potenzialmente esclude dalla definizione di birra artigianale anche tutte le beer firm, cioè dei birrifici che, non avendo impianto di produzione, fanno o si fanno fare le birre da altre imprese e che sono in netta crescita in Italia. La norma stabilisce, infatti, che il produttore di birra artigianale deve necessariamente utilizzare impianti distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio e non operare sotto licenza, chiudendo le porte ad una grossa fetta di mercato oppure accettando supinamente che quella birra prodotta conto terzi, non si possa considerare artigianale, pur avendone tutte le caratteristiche intrinseche. Questa condizione, in cui si trova il 30% dei birrifici nazionali, potrebbe essere fortemente limitante soprattutto in futuro, visti i numeri che il settore sta registrando e che sembrano destinati ad aumentare con il passare degli anni. Ma il divieto introdotto è ancora più paradossale, se lo si considera alla luce del fatto che non ci sono indicazioni sull’uso di additivi chimici e conservanti. Indicazioni che invece sarebbero state quanto mai opportune, oltre che gradite dal mercato. La nuova norma è tuttavia un buon risultato dopo decenni di applicazione di regole anacronistiche, al momento poco attuali e per nulla consone ad un mondo che in pochi anni si è stravolto e si è evoluto. Il successo della birra italiana si mostra al momento inarrestabile, tanto più che il mercato offre ancora ottime prospettive. Se in Italia infatti — sempre secondo COLDIRETTI — gli appassionati sono 23 milioni circa, per un consumo pro capite annuo di 29 litri, in altri Paesi europei, il valore è di 3 o 4 volte superiore. In quei contesti, in cui della birra si fa un consumo così largo, ci sono ottime prospettive di inserimento per i nostri birrifici, artigianali o industriali che siano. Della birra italiana si sentirà ancora molto parlare, c’è da scommetterci. Sebastiano Corona

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Fiandre, esperienze di birra

È la combinazione fra una tradizione artigianale che si perde nella notte dei tempi e la passione dei mastri birrai odierni alla ricerca della birra perfetta che ha fatto del Belgio la patria di birre eccezionali, dal carattere unico, prodotte con tecniche di fabbricazione innovative. Così l’ente del turismo delle Fiandre, Visitflanders, sui siti ufficiali, www.turismofiandre.it e www. visitflanders.com, mette a disposizione degli interessati tutte le informazioni relative ad eventi, festival per intenditori, come l’Innovation Beer Festival di Lovanio, e appuntamenti vari dedicati alla birra a 360 gradi. Spiccano tra gli altri la Great Breweries Marathon, un’originale competizione che porta i maratoneti per un giorno alla scoperta degli storici birrifici delle Fiandre e del loro patrimonio, e i tanti itinerari tematici da percorrere in bicicletta, da quello alla scoperta della birra Duvel, alla portata anche dei ciclisti meno esperti, all’itinerario della Gouden Carolus, ben 58 km su un percorso che collega lo storico birrificio Het Anker di Mechelen alla distilleria di whisky De Molenberg a Blaasveld, fino a quello della birra Geuze, che abbina la scoperta del paesaggio verdeggiante del Pajottenland e la valle del Zenne a quella della nota e unica birra prodotta in questa regione. Ma cosa rende la birra belga unica? Qualità e maestria in primo luogo, consentono ai mastri birrai belgi di aggiudicarsi regolarmente i premi delle competizioni internazionali grazie alla grande varietà dei processi di produzione, gli ingredienti e le diverse declinazioni del gusto. Birre come le Trappiste e le birre d’Abbazia oltre alle lambic (geuze, faro, kriek) e ancora le birre bruno-rossastre, Spéciale belge, bière brut e quelle maturate in barili di legno e fruttate sono specialità esclusivamente belghe che conquistano gli appassionati e intenditori. La birra nelle Fiandre è parte anche della tradizione culinaria: piatti a base di birra e il beer pairing sono un’esperienza culinaria da non perdere. E naturalmente ogni birra va abbinata al proprio bicchiere! (Fonte: Ente del Turismo delle Fiandre) >> Link: www.turismofiandre.it www.visitflanders.com

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Prosciuttificio IL CONTE S.r.l. Via Sant’Ambrogio, 4 – Fraz. Bazzano 43024 Neviano degli Arduini (PR)


BEVANDE

Mille e un caffè di Riccardo Lagorio

C’

è chi lo vuole macchiato, chi lungo, chi ha una predilezione per quello doppio, del tipo marocchino o, ancora, per quello corto. Nell’Italia che è campione della biodiversità gastronomica il caffè non poteva certo esserne esente. Ed è sufficiente entrare in un bar all’ora della colazione per rendersi conto di quanto sia variegato il panorama delle richieste italiche nei confronti della bevanda che ci accompagna nelle prime ore del mattino. A queste istanze di differenziazione corrisponde però una sostanziale non conoscenza del prodotto che finisce in tazzina. Al pari del vino e di altri prodotti gastronomici più o meno noti, il caffè che assaporiamo è infatti il risultato di numerosissimi fattori come il territorio, la modalità di produzione (e di tostatura), ma anche di abilità nella preparazione finale, un’alchimia di

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pressione, grammature e rilevazioni temporali che richiamerebbero il (la) barista a disciplina ed esperienza tanto spesso disattese. Non aiuta certo la comprensione di questo complesso mondo la propaganda che si può raccogliere presso i torrefattori, specie di natura industriale. La nomenclatura del contenuto nel pacchetto infatti si rifà a concetti molto vaghi: si va dal Gusto intenso al Gran aroma, dalla Crema oro alla Qualità classica, senza specificare le varietà utilizzate, l’origine e tanto meno le modalità di torrefazione. Come un olio o un vino infatti, esistono numerosi fattori che rendono specifico l’aroma e il gusto di un caffè. Esistono inoltre 70 varietà di Coffea (nome scientifico della pianta), che si diversificano per aspetto, quantità della produzione, forma, misura e sapore dei frutti. Le due più diffuse sono l’Arabica e la Robusta

(sono tuttavia piante del tutto diverse: nella Robusta sono presenti alcaloidi che l’Arabica non ha; i suoi chicchi hanno sfumature verdognole, quelli di Robusta brunastre), ma di grande fascino sotto il profilo organolettico sono la Mauritiana, la Liberica, l’Excelsa o la delicata quanto rara Stenophylla. Tra queste la più caratteristica è forse la Liberica che produce pochissimi frutti, grossi e duri. A causa della mancanza di macchinari adatti alle loro dimensioni e consistenza, i semi devono essere sbucciati a mano, diventando antieconomici per gli obiettivi che si pongono le multinazionali del caffè. Il momento della spolpatura del chicco è la prima operazione che conferisce aroma e gusto al caffè. Esistono sostanzialmente due metodi: naturale e lavato. Con il metodo naturale si fanno asciugare le drupe

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Qualche numero… •

Si grida allo scandalo quando si scopre che certi alimenti vengono preparati con conservanti, ormoni della crescita, particolari tipologie di olio, ma ci dimentichiamo che potremmo fare lo stesso anche per il caffè. Quando si vogliono nascondere i difetti di un caffè, si brucia: così, però, non solo si fa bere un prodotto di scarto ma si aggiungono anche caratteristiche negative

Nei Paesi in via di sviluppo un raccoglitore di caffè guadagna l’equivalente di 1,80 euro al giorno. La sua raccolta media è di 5 sacchi da 12 kg ciascuno. Ciascuna pianta di caffè produce tra i 5 e i 6 kg di bacche. E se da 1 kg di caffè crudo si ottengono 400 gr di caffè, si calcola che ogni cittadino europeo ha bisogno della raccolta di 6 piante per soddisfare le necessità del consumo annuo di caffè.

Non tutti sanno che… • •

Il caffè è la materia prima più scambiata al mondo dopo il petrolio. Il miglior caffè prodotto al mondo, quello che possiede le caratteristiche potenzialmente ideali per diventare una buona tazzina, rappresenta solo il 10% del raccolto e il 90% di questo viene acquistato da Giappone e Cina. In Europa e nel resto del mondo si acquista il restante caffè. L’Italia è il maggior acquirente di caffè dal Vietnam, secondo produttore al mondo di caffè dopo il Brasile e considerato di scarsa qualità. Questo caffè entra prevalentemente nel circuito delle grandi torrefazioni. Quello che procede dalla regione del Rio Minas, in Brasile, viene acquistato dai Paesi dell’Est Europa, che pare gradiscano il gusto vagamente medicinale di questa specifica varietà Arabica. Il 2009 è stato l’anno di svolta (negativo) per il nostro Paese: la Germania ha torrefatto più caffè di quanto importato dall’Italia, segno del grande miglioramento delle piccole società di torrefazione tedesche. Nel caffè torrefatto sono stati classificati circa 800 aromi.

Caffè appena tostato versato nei cilindri di raffreddamento (photo © Magryt, Fotolia).

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Come un olio o un vino, esistono numerosi fattori che rendono specifico l’aroma e il gusto di un caffè. Esistono inoltre 70 varietà di “Coffea”, nome scientifico della pianta, che si diversificano per aspetto, quantità della produzione, forma, misura e sapore dei frutti. Le due più diffuse sono l’Arabica e la Robusta

La moka, invenzione italiana degli anni ‘30, è facile da usare e produce un caffè corposo e ricco di aromi (photo © Lsantilli, Fotolia). su aie di cemento e vengono ribaltate con appositi rastrelli. Una volta essiccate, vengono aperte; rimane il chicco avvolto nel pergamino. Molto spesso questo tipo di caffè è corposo ed è alla base per miscele.

Durante la tostatura: 1. il chicco cambia colore e diventa marrone; 2. cambia volume, praticamente si raddoppia; 3. perde peso, circa –20%; 4. assume gli aromi caratteristici.

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La seconda lavorazione prevede che le drupe siano spolpate grossolanamente e rimanga una sorta di mucillagine intorno ai chicchi. Questa polpa fermenta sotto controllo (non più d’una notte) e si formano acido citrico, lattico, acetico e altri che creano un’aromatizzazione indiretta anche quando si risciacquino i chicchi. Questi acidi conferiscono al caffè quegli aromi che spesso si cercano di agrumato e frutta matura. Ovviamente il secondo metodo è più costoso a causa del complesso processo produttivo e i chicchi così lavorati si riconoscono per avere un solco centrale biancastro. La scelta della lavorazione si fa spesso in ra-

La tostatura lenta e a bassa temperatura è ideale per mantenere il più possibile inalterate le caratteristiche del chicco: un periodo variabile tra i 12 e i 20 minuti a 220 °C circa soddisfa il principio

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Il marocchino, bevanda a base di caffè espresso, cacao in polvere, cioccolata e latte montato a crema (photo © Fotolia). gione dell’accessibilità d’acqua o della possibilità di deviare corsi d’acqua verso gli stabilimenti di raccolta. Ma è la tostatura il momento più delicato dell’intera fase di lavorazione poiché se ne traggono i profumi, le sfumature gustative e persino cromatiche. La tostatura lenta e a bassa temperatura risulta ideale per mantenere il più possibile inalterate le caratteristiche del chicco: un periodo variabile tra 12 e 20 minuti a temperature intorno ai 220 °C soddisfa il principio. I tempi (2 minuti) e le strumentazioni dell’industria (che portano i chicchi alla temperatura di 500 gradi) non permettono il raggiungimento di queste condizioni: più alto calore per un tempo più breve può dare chicchi tostati fuori ma imperfetti dentro, con difetti non indifferenti (acidità, nascita di muffe, gusto di bruciato). Al tempo stesso questa fase decima la pur altissima quantità di antiossidanti presenti nel seme verde. Di conseguenza si sente sempre più parlare di caffè verde, cioè non torrefatto ma semplicemente essiccato.

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Il caffè verde in purezza avrebbe tuttavia un gusto troppo astringente per essere apprezzato. Il compito del torrefattore è quindi anche quello di trovare la temperatura più bassa adatta a creare fragranze caratteristiche, ma adeguata a non far perdere quelle sostanze così benigne; o stabilire una percentuale ideale a combinare caffè verde e caffè tostato in un’unica miscela. Malgrado queste importanti differenze il costo della tazzina al bar è pressoché uguale ovunque (e laddove si presenta molto più costosa lo si deve quasi sempre al luogo dove si consuma, una tale piazza, un certo locale, ma non al contenuto della tazzina stessa). Uno dei paladini della chiarezza nel mondo del caffè è VALENTIN HOFER. La sua torrefazione, Caroma, si trova a Fiè allo Sciliar, in Alto Adige. Acerrimo sostenitore dell’economia ecologica ed equo solidale, Hofer seleziona e propone caffè monorigine rare, dall’Arabica Skybury australiana a quella nepalese coltivata alle falde dell’Everest. Grande conoscitore della materia, dal 2007 si fregia del titolo di

Qualified Coffee Expert riconosciuto dalla Camera di Commercio europea di Bruxelles. La fase iniziale prevede una selezione estremamente accurata del prodotto grezzo, mediante severi controlli di qualità. «Lavoriamo esclusivamente caffè verdi di cui conosciamo personalmente l’area di provenienza e coltivati da fincas i cui metodi di lavoro sono da noi pienamente condivisi come il commercio equo, che garantisce ai contadini un reddito onesto e sicuro, consentendo il mantenimento di standard internazionali ambientali e sociali», dichiara subito. Tra le sue proposte anche un caffè coltivato a Sumatra, nelle cui foreste si incontrano i pochi orango superstiti: ai coltivatori spetta una retribuzione che consente anche la tutela dell’ambiente naturale del primate. Il caffè si esprime con forte aroma di tostato, dolce e ammandorlato. Dalle alture del centro del Perù il decaffeinato che ricorda la nocciola, da una remota area del Kenya un caffè che ricorda qualcosa di citrico.

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Haripro, leader in Italia nella produzione di proteine e aromi naturali, fornisce le piĂš importanti aziende produttrici di ingredienti per la salumeria. Haripro grazie ad una continua ricerca, ha sviluppato negl'anni prodotti sempre piĂš all'avanguardia, come proteine funzionali ed aromi naturali anallergici ad alto valore nutrizionale. Haripro is a leading producer of proteins and natural flavours in Italy. It supplies the most important Companies which blend ingredients for the meat industry. Haripro, thanks to a continuous research, had developed through years more advanced products like functional proteins and hypoallergenic natural flavours with high nutritional value.

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Raccolta manuale del caffè di varietà Arabica (photo © Fotolia). L’uso di un laser misura densità e umidità del caffè crudo; poi un apposito macchinario consente di disegnare l’opportuna curva di tostatura, lenta e delicata, che rende la tazzina parti-

colarmente digeribile e ben tollerata. Chi pure di caffè s’intende è ALBERTO TRABATTI del Caffè Penazzi di Ferrara. Nel 2004 ha aperto una torrefazione caffetteria nella città estense; un fiu-

Caffè curiosi, rari, imperdibili •

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Caffè Blue Mountain: la provenienza è giamaicana. Si tratta di una selezione dal gusto dolce e priva d’astringenza. La sua reputazione l’ha reso tra i più costosi caffè al mondo. Caffè di Sant’Elena: dalle piantagioni di Rosemary Gate, sull’isola famosa per l’esilio di Napoleone, questo caffè possiede chicco lucente. L’aroma è floreale e fruttato, il gusto deliziosamente caramellato. Caffè di Agaete: è l’unico caffè prodotto in Europa, di varietà Typica. Beh, non proprio sul continente, ma sulle isole Canarie. Assai aromatico, si caratterizza per colore bruno intenso e aromi persistenti. Se ne producono circa 2 tonnellate all’anno. Caffè dello Zibetto: è un caffè accuratamente lavorato e tostato che proviene dai chicchi ingeriti ed escreti da parte dello zibetto delle piante, che abita nelle foreste indonesiane. Gli enzimi digestivi dello zibetto eliminano in pratica parte delle proteine che conferiscono sapore amaro al risultato finale. È conosciuto come Kopi luwak. Caffè La Esmeralda: per anni è stato tra i caffè più cari al mondo, venduto all’asta. Proviene dalla proprietà La Esmeralda a Boquete, Panama. La coltivazione denominata Montaña, che cresce tra i 1700 e 1800 metri di altitudine regala note di nocciola, cioccolato amaro e vaniglia.

me in piena nella difesa della dignità del prodotto caffè. «Spesso si grida allo scandalo quando si scopre che certi alimenti vengono preparati con conservanti, ormoni della crescita, particolari tipologie di olio, ma ci dimentichiamo che potremmo fare lo stesso anche per il caffè. Quando si vogliono nascondere i difetti in un caffè, lo si brucia: così, però, non solo si fa bere un prodotto di scarto ma si aggiungono anche caratteristiche negative», svela veemente. Per questa ragione Trabatti sceglie accuratamente la materia prima, attività che lo impegna dal 2012, quando ha aperto una torrefazione propria dove si apre anche uno spazio dedicato alla fotografia, altra grande passione del torrefattore. Arabica la selezione che lo vede protagonista, spesso monorigine, talvolta usata come miscela di chicchi provenienti da più aree. I suoi caffè si riconoscono per lo spiccato equilibrio, per le sensazioni nette che sanno offrire: dal chicco sa esaltare le caratteristiche aromatiche più ricercate. È nata invece negli anni Novanta Lucaffè, impresa familiare gestita con

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Caffè verde essiccato (photo © Jiri Hera). passione da GIANLUCA VENTURELLI a Carpenedolo, tra Brescia e Mantova. L’idea forte su cui si basa l’azienda è quella di produrre con passione e competenza miscele di caffè destinando ingenti risorse di tempo e finanziarie alla ricerca e sviluppo di soluzioni che premiano sempre di più la salubrità. «Perché il nostro è anche un caffè da capire», dice. Così Lucaffè si impegna a organizzare corsi mirati che svelano i segreti di un caffè non solo buono, ma che fa anche bene. A partire dalla cernita dei chicchi, che vengono tostati con accortezza e che mantengono tutte le caratteristiche positive del caffè. Innanzitutto cialde prodotte con carta vergine e quindi priva di decoloranti che possono danneggiare la salute (va ricordato che nel gennaio 2016 il governo di Amburgo ha deciso di vietare negli uffici comunali l’utilizzo di capsule del caffè perché sono difficilmente smaltibili e ritenute dannose per l’ambiente). Poi caffè tostato a basse temperature che permette di mantenere inalterate le componenti benefiche della bevanda. Ma soprattutto Gianlu-

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ca Venturelli ha lanciato sul mercato cialde di caffè verde. Dopo accurate prove, è infatti riuscito a produrre cialde che contengono circa il 25% di caffè non tostato. Studi scientifici hanno dimostrato che dopo ogni consumo la pressione sistolica del sangue e l’elasticità arteriale si riducono sensibilmente, senza alcun cambiamento nel consumo energetico. Questi risultati suggeriscono che il caffè verde possa giocare un ruolo benefico nel ridurre i fattori di rischio cardiovascolare. Ma il caffè Lucaffè può servire anche dopo il consumo. Per esempio utilizzandolo come scrub per la pelle del corpo mescolandolo con olio extravergine d’oliva o sfregandoselo sulle mani contro gli odori forti di aglio, cipolla o pesce, ancora come fertilizzante naturale da addizionare ai vasi delle piante grazie alla presenza di sostanze nutrienti come azoto, potassio e calcio. E se vorrete combattere formiche e scarichi di lavandini intasati in maniera ecologica, ci informano dalla Lucaffè che è sufficiente posizionarlo accanto ai punti dove si presentano

gli insetti o versarne una soluzione diluita con acqua nel lavandino. Maniere del tutto naturali per sentirsi meglio. E concedersi un buon caffè come vi pare… Riccardo Lagorio Caroma Sas Zona artigianale 92 39050 Fiè allo Sciliar (BZ) Telefono: 0471725651 E-mail: info@caffe-caroma.it Web: www.caffe-caroma.it Lucaffè Via I Maggio 35 25013 Carpenedolo (BS) Telefono: 030 9699440 E-mail: lucaffe@lucaffe.com Web: www.lucaffe.com Artlife – Caffè Penazzi 1926 Spaccio: via G. Bongiovanni 32 44100 Ferrara Telefono: 366 2326757 Web: www.artlifecaffe.com Nota A pagina 92 caffè espresso (photo © Max Dallocco, Fotolia).

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TECNOLOGIE

Monaco, l’Oktoberfest e l’HB Un progetto realizzato anche grazie alla più moderna Information Technology del gruppo CSB-System

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a HB-HOFBRÄUHAUS di Monaco di Baviera, punto d’attrazione per avventori provenienti da tutto il mondo, è una delle più celebri birrerie tedesche. La sua storia ha inizio nel 1589 quando il duca Guglielmo V decise di costruire un birrificio per evitare di dover acquistare la birra per il suo esercito al di fuori del regno; il prefisso Hof (“corte”) indica che il locale e l’annessa fabbrica furono la birreria reale del Regno di Baviera. Nel 1897 la Hofbräuhaus divenne proprietà dello Stato bavarese e il birrificio situato nella parte retrostante dell’edificio fu trasferito in periferia per lasciare posto ad una nuova grande sala per

gli ospiti. Oggi il birrificio gestisce l’osteria nel centro di Monaco, la Hofbräuhaus am Platz, il ristorante Hofbräukeller e la seconda tenda più grande dell’Oktoberfest, la HofbräuFestzelt. Qualunque sia la pietanza servita, l’arrosto di maiale con canederli, lo stinco con insalata di patate o i famosi Weißwürstel con Brezel, il locale nel cuore di Monaco è diventato l’incarnazione della cultura e della gastronomia bavarese. Affinché in cucina si possa lavorare e servire ad un ritmo spedito senza tradire la qualità elevata delle preparazioni, ogni piatto viene preparato in un apposito stabilimento di produzione costruito nel 2012 a Brunnthal, distante solo pochi

chilometri da Monaco. Su 2.000 metri quadri sono presenti una macelleria, un panificio ed una pasticceria che producono quotidianamente da quattro a sei tonnellate di alimenti. Dietro le quinte si nasconde però una tecnologia innovativa, ovvero la soluzione IT completa CSB-System. Il progetto in generale «Grazie al gestionale CSB-System abbiamo fatto enormi balzi in avanti per quel che riguarda la trasparenza e l’efficienza della nostra filiera nonché la precisione e la rapidità nella preparazione dei piatti. Tutto ciò ha fatto in modo che potessimo servire prodotti ancora più freschi» spiegano i fratelli

La storica birreria e osteria Hofbräuhaus.

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Carico e scarico materie prime al CSB-Rack multifunzione. MICHAEL e WOLFGANG SPERGER, entrambi amministratori delegati della Hofbräuhaus. Il sistema ERP collega i processi aziendali l’uno all’altro: dagli acquisti alla produzione fino alla gestione del magazzino a scaffalature e alla preparazione ordini; processi complementari quali la gestione e la pianificazione della qualità, dei valori nutrizionali, della manutenzione e del personale, oltre a CRM e Business Intelligence, vengono anch’essi totalmente eseguiti con il CSB-System. Un rilevamento dati così attento, rigoroso e trasversale, che ha inizio già in fase di entrata merci, fornisce alla direzione aziendale la necessaria trasparenza sulla quale poi fondare i suoi interventi. Un magazzino automatico all’avanguardia con il CSB-System Il cuore del flusso dei materiali è il magazzino automatico. Fornisce circa 2.000 posizioni casse e viene utilizzato per il carico e scarico sia di materie prime che di prodotti finiti. La gestione dei processi di magazzino e delle posizioni avviene interamente tramite CSB-System. «Con la messa in funzione del magazzino gestito dal software abbiamo potuto ridurre le giacenze di magazzino a beneficio di materie prime più fresche, e ridurre il vincolo del capitale. Nonostante tutti gli scarichi e i carichi di magazzino, non spendiamo più di 600 euro all’anno di elettricità», afferma Wolfgang

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Sperger. Per rendere i percorsi dei dipendenti i più brevi possibili ed aumentare quindi la loro produttività, ogni reparto ha un proprio accesso al magazzino. Per ogni area sono state installate postazioni di lavoro multifunzionali, i cosiddetti CSB-Rack collegati al gestionale CSB-System, sulle quali i dipendenti caricano e scaricano le casse ed effettuano direttamente le relative registrazioni. Le casse, in realtà, sono dei contenitori E-Performance che contengono una Inmould label con GRAI (Global Returnable Asset Identifier) nel codice a barre. Il GRAI viene identificato nel carico in magazzino mediante uno scanner fisso; contemporaneamente sul CSB-Rack viene inserito il codice lotto interno degli articoli, viene rilevato il peso ed il contenuto viene associato alla cassa. Tramite la gestione integrata delle posizioni a magazzino, il software conosce in ogni momento l’ubicazione delle materie prime e dei prodotti finiti. Con la conferma del carico in magazzino sullo schermo, si avvia un segnale sul PLC (Programmable Logic Controller) e la cassa viene riposta sull’apposito scaffale. Qualità garantita grazie a ricette predefinite Anche la produzione è stata ottimizzata con l’aiuto del CSB-System. In tutti i reparti sono installate postazioni IT con bilance integrate

sulle quali vengono elaborati i lotti di produzione. Qui per ogni ricetta il software stabilisce quale materia prima utilizzare e in quale quantità. Grazie a rigide predefinizioni delle ricette vengono garantiti non solo processi efficienti ed un impiego ottimale delle materie prime, ma anche una qualità costantemente elevata. Premendo un tasto, gli ingredienti vengono scaricati dal magazzino a scaffalature e resi disponibili per la produzione. I prodotti pronti vengono pesati e inseriti nel sistema, etichettati con GS1-128-Barcode e stoccati, e poi nuovamente scaricati per l’evasione degli ordini. La cucina nello stabilimento di Brunnthal prepara i piatti in modo tale che alla HB debbano solo essere cotti e guarniti. Processi ottimali nella ristorazione Per collegare produzione e Point of Sale (POS) nella ristorazione, la Hofbräuhaus ha puntato sulla soluzione CSB-System. «In questo modo otteniamo la massima integrazione possibile tra produzione e sala ristorante» afferma Wolfgang Sperger. Dal 2011 a oggi, passo dopo passo, sono stati ristrutturati e ottimizzati i processi del ristorante e della cucina. Una parte importante della modernizzazione è stato il collegamento di tutti i componenti del ristorante al sistema ERP centrale: impianto di mescita, frigoriferi con tecnica di pesatura, macchina per il

Grazie al CSB-System abbiamo fatto enormi balzi in avanti per quel che riguarda la trasparenza e l’efficienza della nostra filiera, nonché la precisione e la rapidità nella preparazione dei piatti. Tutto ciò ha fatto in modo che potessimo servire prodotti ancora più freschi

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Dalla produzione alla sala ristorante, grazie al CSB-System sono migliorate efficienza e trasparenza della filiera HB. caffè, chiavetta cameriere, sistema di pagamento con carte di credito e stampante scontrini e/o fatture comunicano oggi direttamente con il software CSB-System. Il punto centrale è la cassa ristorazione con funzione touch. Ognuno dei cento camerieri presenti per turno può collegarsi con la propria chiavetta ed eseguire gli ordini comprensivi di generazione delle fatture. Registrazioni, storni, correzioni, splitting e riporti vengono gestiti centralmente con la soluzione cassa, che contribuisce, quindi, non solo ad una gestione ottimale del ristorante bensì migliora anche i processi di produzione, magazzino e cucina perché il cuoco riceve in tempo reale sullo schermo della sua postazione una panoramica di tutti i piatti che deve preparare. Nel momento in cui si comunica che il piatto è pronto per essere servito, i piatti vengono “scomposti” nei loro singoli

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componenti e registrati, in modo da eseguire una ridotazione delle scorte di magazzino in cucina e consentire che a Brunnthal venga eseguita una produzione adeguata ai bisogni. La disposizione delle giacenze per il riapprovvigionamento e per la gestione della produzione ha avuto come conseguenza una notevole riduzione delle scorte in eccedenza. Questo ha consentito un enorme risparmio nell’impiego di materie prime e si è inoltre rivelato un vantaggio data la superficie ridotta della cucina della Hofbräuhaus. Persino la pianificazione degli eventi è gestita centralmente tramite un apposito modulo. Sono così gestite le richieste relative all’evento, presentate le offerte ed elaborati infine ordini e prenotazioni. «Con il CSB-System possiamo gestire centralmente e in modo ottimale i vari rami della nostra azienda. Sono sempre a disposizione numeri concreti su

giacenze di magazzino, fabbisogni e vendite. Potendo noi oggi lavorare in modo più efficiente, rapido e preciso, posso affermare che l’investimento nel software CSB-System è stato rapidamente ammortizzato» conclude Sperger.

Referente Italia: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

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Ghizzoni D. Srl lancia sul mercato UDV Ultrafast Drying Vacuum Chamber – Camera di Asciugatura Sottovuoto Ghizzoni D. Srl, che nasce a Parma nel 1946 come azienda produttrice di impianti per i settori agroalimentari e carni, ha oggi immesso sul mercato un nuovo sistema di asciugatura ultra-veloce sottovuoto per insaccati: UDV Ultrafast Drying Vacuum Chamber. Questo sistema brevettato si pone come una vera rivoluzione nella produzione salumiera: a differenza della lavorazione che avviene negli essiccatoi tradizionali, l’asciugatura del prodotto viene effettuata attraverso l’applicazione del vuoto, in una camera completamente in acciaio inossidabile, in ambiente controllato ed uniformato. L’utilizzo del sistema UDV riduce i tempi durante l’asciugatura, fino a 5 volte rispetto alle camere di asciugatura tradizionali, con un conseguente minor uso energetico ed un conseguente vantaggio economico. La modalità del sottovuoto non altera la carica batteriologica naturale del prodotto ma anzi vi affianca un’altrettanto vantaggiosa ottimizzazione della distribuzione dell’acqua e del sale, garantendo una regolare ed uniforme deumidificazione con meno incrostazioni superficiali. Quest’ultimo aspetto apportato dal sistema minimizza gli sfridi al momento dell'affettatura ed offre una shelf-life del prodotto affettato e confezionato più lunga. Influendo direttamente sulla penetrazione del sale, inoltre, la tecnologia UDV permette anche di ridurre la quantità dello stesso. Va sottolineato anche il notevole risparmio energetico che questa tecnologia offre, eliminando e sostituendo gli impianti di deumidificazione tradizionali con termoconvettori e condensatori frigoriferi. Infine, il sistema UDV offre una maggiore sicurezza, attraverso un sistema automatico di lavaggio e sanificazione, un’agevolazione della procedura per la certificazione HACCP, una riduzione dei rischi di contaminazione e dei costi di manutenzione della camera. Il sistema di asciugatura UDV è disponibile in diverse dimensioni e capacità della camera, alimentabile sia con guido-via e bilancelle sia con carrelli di diverse dimensioni. >> Link: www.ghizzoni.it

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SICUREZZA ALIMENTARE

Più incidenti alimentari da cibi più sani Dai titoli dei giornali sembra che gli incidenti “alimentari” siano aumentati, mentre ricercatori e autorità sanitarie affermano che i cibi sono sempre più sani. L’apparente contraddizione dipende dai nuovi metodi di controllo e di identificazione delle infezioni d’origine alimentare con sistemi più rapidi e precisi di Giovanni Ballarini

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econdo i titoli dei giornali sembra che gli incidenti alimentari e soprattutto le infezioni provocate dai cibi siano in crescita, come numero e come cause. Fino a poco tempo fa, ad esempio, nessuno conosceva il norovirus o che esistessero talune varietà di Escherichia coli, un batterio

comunemente presente nell’intestino umano, che possono causare gravi malattie. Allo stesso tempo, i ricercatori ma, specialmente, le autorità sanitarie, affermano che i livelli di sicurezza degli alimenti siano sempre più elevati e che in particolare siano molto più alti di quelli di pochi decenni fa, per non parlare di quello che

avveniva in quelli che sono ritenuti i bei tempi andati… Questa indubbia contraddizione, un vero e proprio ossimoro, deriva da un insieme di fattori che interagiscono tra loro, dall’evoluzione dei metodi di analisi, alla mondializzazione del commercio alimentare, fino la diffusione delle notizie in tempo reale.

Le epidemie legate al batterio del Norovirus sono spesso associate al consumo di insalate, cibi freddi, sandwich, prodotti di panetteria. Il cibo potrebbe essere contaminato alla fonte, da acque infette, sia nel caso di frutti di mare sia di verdure fresche o di frutti di bosco (fonte: www.epicentro.iss.it; photo © www.8108roma.it).

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Controllo qualità degli alimenti in laboratorio. Grazie ai progressi nel campo della microbiologia, oggi si risale in breve tempo alle cause delle infezioni alimentari limitandone la diffusione anche grazie all’istituzione di un sistema rapido di allerta sovranazionale – RASFF (photo © Alexander Raths, www.ilfattoalimentare.it). Impronte genetiche di batteri e virus La medicina, e in particolare la microbiologia, la disciplina che studia i batteri e i virus che provocano le malattie, sono state oggetto di un grandissimo progresso e oggi abbiamo a disposizione metodi di analisi molto più efficienti rispetto a quelli anche di un passato recente. Un tempo i microbi erano isolati e identificati con culture e prove biochimiche e sierologiche che potevano durare persino settimane; oggi, invece, si usano metodi di biologia

molecolare e di genetica batterica che rapidamente e con estrema precisione individuano le loro “impronte genetiche” e le confrontano con le banche dati mondiali. In questo modo sono costruite e continuamente aggiornate una sorta di “mappe geografiche” dei batteri e virus interessati alle malattie collegate all’alimentazione. La rapidità d’individuazione delle cause delle infezioni d’origine alimentare e lo sviluppo dei commerci ha portato alla costituzione di un sistema sovranazionale di comunicazioni

Con il sistema di allerta si ha il ritiro di prodotti pericolosi per la salute umana o animale e, nel caso di rischio grave ed immediato, l’immediato sequestro dei prodotti di emergenza può essere integrato con comunicati stampa. In questo caso i cittadini sono informati sul rischio legato al consumo di un determinato prodotto e sui modi di riconsegna dell’alimento alla ASL competente

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rapide o “allerte”. Una conseguenza di tutto ciò è che oggi sono identificati anche piccoli focolai di malattia alimentare, costituiti da una sola famiglia, e non soltanto, come una volta, i focolai che comprendevano molte persone come gli incidenti di centinaia di ammalati (per esempio dopo un pranzo di nozze). Allerte alimentari Il meccanismo delle comunicazioni rapide è uno strumento essenziale per la valutazione di eventuali rischi e per la tutela del consumatore. Per notificare in tempo reale i rischi connessi al consumo di alimenti in Europa è stato istituito il Sistema Rapido di Allerta sotto forma di rete e che trova il suo fondamento giuridico nella Direttiva 92/59/ CEE del Consiglio europeo e nel Regolamento CE 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio. In Italia, il Ministero della Salute ha fornito indicazioni ai propri uffici periferici (UVAC, PIF, USMA) e alle Regioni e Province autonome le competenze e le modalità operative in caso di frode tossica o di prodotti nocivi

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o pericolosi per la salute pubblica, con un proprio sistema di allerta. Allerta significa allarme, mettere in guardia, avvisare. Il flusso delle allerte deve garantire la completezza delle informazioni e la tempestività della comunicazione. Le notifiche sono comunicate e condivise tra gli Stati Membri via rete, in tempo reale. Con il sistema di allerta si ha il ritiro di prodotti pericolosi per la salute umana o animale e, nel caso di rischio grave ed immediato (esempio tossina botulinica), l’immediato sequestro dei prodotti di emergenza può essere integrato con comunicati stampa. In questo caso i cittadini sono informati sul rischio legato al consumo di un determinato prodotto e sui modi di riconsegna dell’alimento alla ASL competente. La Commissione europea ha un sito apposito per la consultazione on-line delle notifiche settimanali, divise in prodotti a rischio che sono sul mercato europeo, o non presenti sul mercato europeo o già sottoposti a misure di controllo. Il sistema fa parte di un sistema mondiale che coinvolge analoghi sistemi nazionali e sovranazionali, come il FoodNet e PulseNet degli Stati Uniti d’America. I dati mostrano che dove sono attivi i sistemi di allarme si ha una diminuzione delle tossinfezioni alimentari, perché la rete d’informazioni stimola le azioni preventive e aumenta l’attenzione sui controlli. Anche produttori e rivenditori, temendo i controlli, si preoccupano di non andare incontro a incidenti che potrebbero tradursi in un grave danno di immagine. Il sistema funziona anche nei casi più complicati perché scatta un livello di analisi più approfondito che, in genere, consente di individuare la causa. Per quanto riguarda l’Italia, per esempio, nel 2015 si sono avute 2.967 notifiche contro le 3.097 del 2014 e le 3.136 del 2013. La diminuzione del numero di segnalazioni è in parte dovuta ad una maggiore collaborazione amministrativa tra Paesi Membri, che comunicano fra loro alcune non conformità di tipo “non grave” (esempio, etichettatura non conforme ecc…), senza effettuare notifica attraverso il sistema RASFF. Anche nel 2015

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l’Italia è risultata il primo Paese membro nel numero di segnalazioni inviate alla Commissione europea. Comunicazione planetaria delle allerte e paura Un tempo i giornali davano notizia solo di incidenti soprattutto locali e relativamente rari che colpivano molte persone ammalate e che ricorrevano contemporaneamente all’ospedale del luogo. Era il tempo nel quale si diceva che per un influente giornale inglese, il TIMES, era più importante dare notizia di un morto a Piccadilly che cinquemila morti in Cina. Oggi attraverso i giornali, la televisione e, soprattutto internet, e usando i dati delle allerte alimentari, chiunque e in tempo reale sa di possibili rischi e anche di piccoli se non minimi episodi in qualsiasi parte del mondo e che comunque ci fanno paura. Di conseguenza, pare che ci siamo abituati ai morti di casa nostra, mentre abbiamo sempre più paura dei rischi e anche di minime malattie alimentari (e non) dei Cinesi o di popoli che vivono dall’altra parte della terra e di cui ci danno continuamente notizia i giornali e le televisioni. Infatti, bastano quattro o cinque Cinesi ammalati di enterite alimentare per preoccupare la massaia italiana che fa la spesa. Da qui l’aumento delle paure alimentari, anche se i nostri cibi sono sempre più sicuri, anche e proprio attraverso la scoperta di rischi ancora potenziali e di sia pur minimi incidenti, e attraverso i sequestri che eliminano ogni sia pur piccolo rischio. Da qui, più sicurezza degli alimenti, ma anche più paure emotive. Sistemi di allerta e commercio internazionale Infine, in una sempre crescente mondializzazione dei commerci, poter individuare con sicurezza e rapidamente negli alimenti batteri e virus anche solo potenzialmente pericolosi, e seguire il loro spostamento apre un nuovo scenario nelle trattative sui commerci degli alimenti, soprattutto se questi avvengono tra Paesi o continenti con diversi livelli di conoscenze e di sicurezza alimentare. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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STORIA E CULTURA

Salato come una… bresaola? di Carlo Cantoni

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er gli Italiani la bresaola è un gradevole prodotto gastronomico originario della Valchiavenna e della Valtellina che ne vantano la produzione con la denominazione IGP. L’origine del nome è però incerta, per cui se ne discute ancora oggi. Nel corso del tempo carni salate bovine sono state prodotte nelle vallate alpine e la tecnica di conservarle era quella di sottoporle a salagione. Va precisato che questo trattamento nel Medioevo era già praticato per molti tipi di carne — suine, ovine o di volatili —, anche in altre parti d’Italia, come riportato ad esempio negli scritti di MARIN SANUDO quando vengono elencati i cibi

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carnei destinati all’alimentazione dei vogatori e marinai a bordo delle galere veneziane. Ovviamente si può ritenere probabile che tale modalità di conservazione sia diminuita notevolmente con l’uso dei frigoriferi, come personalmente ho accertato vivendo in ambienti a ridosso delle Alpi. Secondo alcuni ricercatori il nome bresaola potrebbe derivare dall’espressione “salaa come la brisa”, per il fatto che in Valchiavenna pare si indicasse così una ghiandola salata bovina mai identificata (ANGHILERI) o, meglio, una ghiandola bovina conservata sotto sale come si usava, come già ricordato, per tutti i tagli carnei dell’epoca. Secondo altri

studiosi con “brisa” si indicherebbe invece la somiglianza con una ricotta salatissima prodotta nei confinanti Grigioni, detta appunto brisa, ma tale notizia non è reperibile nel dialetto locale e nelle Cronache Grigionesi. Ancora altri autori riconducono il nome a brasa, poiché in talune contrade si procedeva all’asciugamento della carne salata ponendola sopra dei bracieri alimentati con carboni di legno di abete e di bacche di ginepro. Comunque, la documentazione sulla produzione della bresaola, come è riportato nei Taccuini Storici, è molto scarsa e a mio parere anche molto confusa. Le prime testimonianze sulla sua produzione sono descritte

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dal canonico LUPI in un libro mastro del 1488, che registra un acquisto di carni e le quantità di sale, espresse in libbre, ad esse destinate. Altra testimonianza sarebbe stata quella ritrovata in un lodo divisionale di beni, pubblicato nel 1439, o quella in uno statuto del 1467 riguardante le provviste dei castelli, nel quale sembra ci fosse una prova, peraltro non molto attendibile, della presenza di questa specialità alimentare. Lo studioso Anghileri ha ritenuto che l’origine del salume fosse da cercare nei Grigioni, da dove si sarebbe diffuso successivamente nella Valchiavenna, territorio nel quale sarebbe stato conosciuto e prodotto come brisavola. Questa denominazione si ritrova nella lettura di missive scritte dal poeta Carducci al suo albergatore di Madesimo ove soleva trascorrere parte delle sue vacanze. Anche durante il convegno svoltosi a Tirano il 28 settembre 1997 (“La bresaola della Valtellina”) i vari relatori non hanno saputo individuare l’origine dell’etimo, ritenendolo forse originario dal tardo latino brasatula, che starebbe a significare carne trattata alla bracia dal germanico brasa, ipotesi dello storico Scaramelli. Di seguito GIOVANNI BALLARINI, illustre storico e antropologo alimentare, ne ha ritenuto possibile la derivazione da bre (cervo), supponendo che le antiche bresaole fossero prodotte con la carne di questo ungulato in Valchiavenna e in Valtellina o Valle di Teglio, ma non si capisce perché la i si sia tramutata poi in e. Personalmente ritengo che l’origine sia un’altra: la parola brisa è scomparsa nei dialetti alto lombardi come il milanese, il comasco, il valtellinese e il ticinese, rimanendo solo nel dialetto bustocco, gallaratese e varesotto, nei quali si usa la frase “Salaa come la brisa” quando si pensa di aver pagato un conto salato, chiaramente eccessivo. Al contempo, nello stesso dialetto, brisa identifica la ghiandola bovina del pancreas. È quindi ragionevole ritenere che nel passato il pancreas, che aveva anche il pregio di maggiore conservabilità rispetto alle animelle, sia stato prodotto e conservato dopo una consistente salagione. Chissà… Carlo Cantoni

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Gli Italiani e la Bresaola della Valtellina IGP: apprezzamento condiviso e consumi in crescita 8 su 10 la mangiano abitualmente e la apprezzano, soprattutto per il gusto, la leggerezza e la praticità d’uso. La consumano più spesso a cena che a pranzo, ma conoscono troppo poche ricette. Per loro la bresaola ideale è morbida, di un bel rosso-rosa, magra e senza troppe striature di grasso. Lo rivela una ricerca condotta da DOXA per il Consorzio di Tutela Bresaola della Valtellina su percezione e abitudini di consumo degli Italiani di questo salume che oramai appartiene alla nostra migliore tradizione gastronomica. Secondo la ricerca “Gli Italiani e la bresaola della Valtellina”, realizzata su un campione di 1.000 persone rappresentativo della popolazione italiana adulta (15+ anni di età), consuma bresaola l’81% della popolazione adulta, ovvero oltre 42 milioni di persone. Inoltre, per il 74% degli Italiani sapere che la bresaola della Valtellina IGP è spesso prodotta con carne bovina pregiata importata dall’estero non è motivo per cambiare abitudini d’acquisto. Quello che fa una carne di qualità, infatti, non è tanto la provenienza quanto piuttosto il sistema di allevamento. Quasi 7 Italiani su 10 vogliono comunque sapere da dove vengono i bovini utilizzati per produrre la bresaola della Valtellina Igp e 8 su 10 vorrebbero che questa informazione venisse riportata anche in etichetta. Per questo il Consorzio di Tutela Bresaola della Valtellina ha lanciato una campagna di informazione su qualità e sicurezza delle carni utilizzate per la produzione di questo alimento sul sito www.bresaoladellavaltellina.it, in rappresentanza delle 14 aziende associate, che producono la quasi totalità della bresaola certificata IGP in Italia, 12.272 tonnellate. «Abbiamo fatto una scelta di trasparenza: ai nostri consumatori diciamo tutto quello che vogliono sapere — afferma Mario Della Porta, presidente del Consorzio Tutela Bresaola della Valtellina — per questo abbiamo scelto di avviare una campagna di informazione che racconti loro quali sono i fattori di qualità che rendono unica la bresaola della Valtellina Igp e di comunicare con trasparenza anche l’origine della materia prima, dedicando a questo tema una sezione del sito. Per la produzione della bresaola della Valtellina IGP vengono utilizzati solo tagli di prima categoria, i più pregiati e teneri, tratti esclusivamente dalla coscia di bovini di razze selezionate di età non inferiore ai 18 mesi, preferibilmente allevati all’aperto e al pascolo e nutriti con alimenti selezionati. È una scelta di qualità perché tutti questi fattori (razza ed età dell’animale, sistema di allevamento e alimentazione, scelta dei tagli muscolari più pregiati della coscia bovina, come la punta d’anca) contribuiscono ad assicurare carni migliori, sia dal punto di vista organolettico, sia da quello nutrizionale. La materia prima proviene da allevamenti europei e sud-americani, dove i sistemi di allevamento e i controlli in tutte le fasi della filiera garantiscono carni che rispondono alle elevate esigenze di qualità che richiede la produzione della bresaola della Valtellina Igp». (Fonte: Consorzio di Tutela Bresaola della Valtellina)

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Il lardo della gatta di Giovanni Ballarini

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re grassi, differentemente distribuiti lungo la Penisola, identificavano, in passato, in Italia, diverse cucine: l’olio, il burro e il lardo con lo strutto. In crisi d’identità per scandali è il primo, criminalizzato il secondo, uccisi e da tempo sepolti sono il terzo e il quarto, mentre una volta erano ingredienti base della cucina tradizionale popolare, presenti anche nelle gastronomie alto-borghesi italiane. Tanto va la gatta al lardo… Il lardo e il grasso di fusione che se ne recuperava, lo strutto, erano così importanti da meritare anche il detto “tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”. Un proverbio molto noto che sta significare che chiunque persista nel compiere un’azione proibita, alla fine rischia

di subire conseguenze pericolose. La più accreditata interpretazione del proverbio è certamente da ricondurre a un ambito popolare e da collegare a eventi frequenti, noti a tutti, di uso del lardo. Come ricorda anche LUIGI VOLPICELLI nel suo libro Oste della Malora (Vallecchi, 1973), ripresentato da Melita con la sovra-copertina Mangiare in Osteria, il lardo e lo strutto erano presenti nelle cucine di tutta Italia; il lardo in particolare, ingrediente di prima necessità nella cucina dei nostri nonni, era il battuto per preparare il sugo finto, o il brodo finto, e la base di diversi ragù. Il lardo poteva essere tagliato in pezzi con la mezzaluna (una lama ricurva da tenere con entrambe le mani), oppure tritato usando un pesante coltello, insieme a cipolla, prezzemolo e altre erbe odorifere, su un tagliere denomi-

nato battilardo (un nome che la dice lunga…). L’impasto morbido che si otteneva era messo a soffriggere fino a diventare biondo e trasformarsi, appunto, in brodo finto, o in sughi e ragù succulenti. In ogni modo, il lardo non era mai acquistato sotto forma di comode fette o dadini, in vaschette sottovuoto al supermercato, come accade oggi. Poteva accadere, mentre lo si lavorava, che l’onnipresente gatto domestico tentasse furtivamente di impossessarsene, allungando la zampina, ma non è da scartare un’altra, meno probabile supposizione che si riferisce all’uso di un pezzetto di lardo come esca nelle trappole per i topi, al posto del formaggio. Se il gatto o la gatta tentavano di assaggiare l’esca, facevano scattare la trappola, con il rischio di rimanere bloccati o, peggio, ferirsi anche gravemente.

Lardo iberico de bellota.

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Il lardo nella tradizione Che il lardo, ora molto criminalizzato, fosse in passato tanto importante per l’alimentazione e ricoprisse un ruolo fondamentale in cucina, lo deduciamo non solo dal prezzo elevato che aveva, non di rado superiore a quello del prosciutto, ma anche dagli interventi delle autorità sul suo uso. Esemplare è l’autorizzazione concessa nel 1824 alla popolazione della “dotta” Bologna e del suo territorio, di usare lardo e strutto anche nei giorni di magro, salvo diciannove prefestività l’anno (si veda box a lato). In quel periodo, infatti, il governo pontificio aveva imposto dazi altissimi anche sui prodotti agricoli e il grano aveva un costo cinque volte superiore a quello del resto della penisola. Gravissima era la carenza alimentare per due milioni e seicentomila abitanti, arrivati al limite della sussistenza, e la situazione aveva fatto emergere estesi fenomeni di malattie legate alla malnutrizione. L’origine del lardo e dello strutto Il tessuto adiposo suino, a grandi linee, è di diversi tipi. Il lardo è il grasso dorsale e generalmente tutto il grasso sottocutaneo con cotenna che ha una buona percentuale di tessuto fibroso; in pratica è il prodotto di trasformazione di questo grasso sottoposto a salagione e stagionatura. Analoghe caratteristiche di stagionalità, dopo la salagione, sono presenti anche nella pancetta e nel guanciale. La parola lardo deriva dal latino làrdum o làrinum e dal greco larinòs, λαρινός, ossia “ingrassato” (ben coperto o pingue). La sugna è il tessuto adiposo surrenale, interno e senza cotenna, poverissimo di tessuto fibroso e con pochissima consistenza. La sugna ha molte declinazioni dialettali: assunza in sardo, ‘nzogna in napoletano, saìmi

Dal Nostro Palazzo Arcivescovile di Bologna, li 12 febbraio 1824 “La Santità di Nostro Signore Papa Leone XII si è degnata di esaudire le umili preghiere che le facemmo già presentare affinché volesse permettere ai nostri Diocesani potessero far uso del Lardo e dello Strutto a condimento de’ cibi di magro, durante l’anno presente. Mossero l’animo del S. Padre a tale concessione le varie da noi addotte ragioni, e specialmente quelle che riguardano lo stato attuale di questa nostra Diocesi. Però a forma di simile indulto accordatoci in passato dalla S. Sede, il Regnante Sommo Pontefice ci ha autorizzato a concedere a tutti gli abitanti di questa Città e Diocesi, compresi i Regolari dell’uno e dell’altro sesso, non astretti però da voto speciale, possano usare in tutto quest’anno dello Strutto e Lardo per condire i cibi di magro. Da questa licenza sono eccettuati i seguenti giorni. Le quattro tempora di tutto l’anno, il giorno delle Ceneri, il Venerdì Santo, e le Vigilie della Santissima Annunziata, de’ SS. Apostoli Pietro e Paolo, dell’Assunzione di Maria Vergine, di tutti i Santi, e della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, ne’ quali diciannove giorni non si potrà usare che dell’olio e butirro per le vivande… (omissis)”.

in siciliano e calabrese, sunza in ferrarese e in alcuni dialetti lombardi, toscani e calabresi, sonza nel dialetto trentino e triestino, assogna e simili nei dialetti abruzzesi. Sugna, un tempo anche sógna e sóngia, è un termine che deriva dal latino axŭngia, composto dei temi di axis (asse) e ungěre (ungere), e identificava l’unto applicato come lubrificante sull’asse e sul mozzo delle ruote dei carri e delle carrozze. La sugna era usata anche per impermeabilizzare e rendere più morbido il cuoio degli scarponi. La sugna migliore era quella ottenuta dal grasso perirenale del maiale o, in alternativa, da altri animali, quando molto più di oggi si conoscevano tutte le più fini caratteristiche dei grassi animali e vegetali, in rapporto anche ai loro molteplici usi. Grande importanza hanno poi il grasso di fusione, che, dopo filtrazione e colatura, dà origine allo strutto, e i grassi che si ricavano dai tagli di testa e gola. In particolare,

quest’ultimo è la parte di grasso che va dalla testa alla spalla, nota anche come guanciale, che i Francesi chiamano gorge ed è molto pregiata. Oltre a lardo e strutto, nel Medioevo vi era anche l’oleum lardinum, ottenuto dalla spremitura a freddo delle parti più tenere dei tessuti grassi del maiale e, in quanto liquido, ritenuto simile all’olio, quindi cibo “magro”, del quale era permesso l’uso in Quaresima e in altri giorni di astinenza dalle carni. Per questo, nell’anno 818, il Concilio di Aix decise di sostituire l’olio d’oliva con il grasso estratto dal lardo e più tardi, a metà del 1300, Gregorio XI fece un’analoga concessione al re di Francia. Il lardo oggi Il lardo, la pancetta e il guanciale sono tagli grassi comprendenti lo strato adiposo che si deposita sotto la cute del maiale, ottenuti tramite salagione, aromatizzazione e stagionatura. Hanno caratteristiche diverse

Composizione chimica e valore energetico di lardo e pancetta per 100 g di parte edibile Parte edule %

Acqua %

Proteine %

Lipidi %

Energia

Energia

Kcal

KJ

Lardo

100

1,0

0,0

99,0

891

3.728

Pancetta magretta

100

47,8

21,7

25,3

315

1.316

Pancetta tesa

100

45,3

20,9

28,1

337

1.408

Fonte: elaborazione dati INRAN (2000).

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Il lardo di maiale un tempo costituiva una delle poche possibilità di assumere proteine animali, che hanno un ruolo fondamentale nella nostra dieta, in un’alimentazione generalmente povera di grassi

secondo la parte da cui provengono. Il lardo è ottenuto dalla parte bassa del collo, dal dorso e dalla parte alta dei fianchi dell’animale. Il nome “lardo” sarebbe da attribuire propriamente al prodotto stagionato, mentre il taglio di carne grassa da cui il lardo si produce, ordinariamente, sarebbe corretto chiamarlo grasso fresco, per distinguerlo dal prodotto stagionato. Tale distinzione linguistica non sempre è osservata nel linguaggio corrente. La pancetta si ottiene dall’addome e dalla parte bassa del maiale, e contiene i muscoli addominali. La gola si ricava dalla parte alta del collo e ha un grasso di particolare qualità. I tagli grassi possono avere una porzione di cotenna, secondo il tipo di preparazione. La salagione è a secco e in alcune zone si aggiungono anche aromi e spezie: frequentemente pepe nero, raramente altri aromi come chiodi di garofano e noce moscata. La stagionatura varia da due a quattro mesi secondo la pezzatura, ma per taluni tipi di lardo dura anche di più. La qualità del lardo e di altri tagli grassi dipende della scelta delle materie prime ma soprattutto dall’alimentazione e dallo stato di ingrassamento del maiale. Importanti sono la concia e le condizioni di stagionatura. Il lardo di Colonnata, ad esempio, è stagionato in vasche di marmo (conche) in cui il prodotto rimane per circa sei mesi. Il lardo di Arnad, invece, viene deposto in vasche di legno e insaporito con ginepro, alloro, noce moscata, salvia e rosmarino. Il lardo e i tagli grassi hanno da sempre un

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Crostini con lardo. ruolo fondamentale nella cucina italiana delle regioni settentrionali, in contrapposizione alla cucina delle regioni meridionali che privilegia l’uso dell’olio: si pensi al ragù o alla protezione delle carni durante lunghe cotture come gli arrosti. La gola, anche fresca, entra quale grasso pregiato in molti prodotti salumieri di alta qualità, ad esempio le mortadelle di alta gamma. Lardo e pancetta, invece, hanno assunto nuove “applicazioni” in cucina, anche con il pesce. Da non dimenticare il loro utilizzo come ingrediente crudo sulla polenta o sui crostini. Oggi lardo e strutto hanno una composizione

simile a quella di molti oli vegetali, principalmente soia e mais, perché i maiali sono alimentati con queste granaglie e loro oli. Inoltre, sono stati cambiati i parametri di valutazione del ruolo del colesterolo contenuto negli alimenti e dei suoi livelli nel sangue del consumatore, che sono prevalentemente determinati dal suo metabolismo e genetica. Un ritorno a un corretto uso del lardo e dello strutto in un’alimentazione equilibrata non solo è possibile, ma auspicabile, anche per i loro tradizionali valori gastronomici. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


LIBRI

Alla scoperta del gusto italiano

S

i chiama Alla scoperta del Gusto Italiano ed è l’ultimo libro di DAVIDE PAOLINI, fondatore del Gastronauta e giornalista de IL SOLE 24 ORE e di RADIO 24. 237 pagine per rendere omaggio ai giacimenti gastronomici italiani con un vademecum di indirizzi, consigli, approfondimenti. Il libro è frutto dei tanti anni di lavoro e ricerche spesi da Paolini in giro dell’Italia per recuperare i prodotti che nascono dalle mani dei numerosi artigiani del gusto. Spaziando dal cioccolato di Modica all’aceto balsamico di Modena, dal Prosciutto di Parma al salame di Mortara, dal pesto alla Genovese al Castelmagno cuneese, Paolini racconta di tradizioni e tecniche produttive che rendono l’Italia unica al mondo.

«Il culatello di Zibello — sottolinea l’autore — la ‘nduja calabrese o il formaggio di fossa fanno parte del patrimonio artistico del nostro Paese. Nel libro ho selezionato cinquanta produttori che rappresentano solo un minuscolo cammeo dell’artigianato alimentare italiano: sono stati scelti per la loro storia o perché riescono, grazie a un loro originale prodotto, a mostrare la cultura materiale di un territorio». La selezione dei produttori artigianali del libro di Paolini nasce con lo stesso spirito delle manifestazioni da lui stesso ideate e promosse: Milano Golosa, in programma con la quinta edizione dal 15 al 17 ottobre, e Gourmandia – Le terre Golose del Gastronauta, che torna a Treviso per la seconda edizione dal 6 all’8 maggio 2017.

DAVIDE PAOLINI (a cura di) Alla scoperta del gusto italiano Editore 24 Ore Cultura 237 pp. – € 20,00

Tra le eccellenze artigianali italiane, il Culatello di Zibello e il Parmigiano Reggiano Dop (photo © Roberto Rapetti). 116

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Salone delle Tecnologie per l’Industria Alimentare

25-28 OTTOBRE 2016

PARMA - ITALIA www.cibustec.it


Un manuale per i genitori sull’educazione dei bambini

“Mamma… ho fame!”

R

icette e consigli nutrizionali per l’alimentazione, un manuale per i genitori pratico, semplice e scientifico nello stesso tempo. Si chiama “Mamma… ho fame! Una ricetta al giorno per diventare grandi” ed è stato presentato al Festivaletteratura di Mantova, nello spazio “Le parole del cibo”. Il libro, di 120 pagine, è edito da EDUCAZIONE NUTRIZIONALE GRANA PADANO che ne ha curato i testi; le ricette sono dello chef DANILO ANGÈ, la nutrizionista DOTT.SSA CAROLINA POLI ha elaborato i consigli nutrizionali per ogni ricetta, il tutto con la supervisione scientifica del PROF. CLAUDIO MAFFEIS, professore associato di Pediatria all’Università di Verona. Il libro cartaceo è disponibile, a richiesta, e sarà scaricabile prossimamente su iBooks e Play Books. «Il libro è davvero innovativo perché accompagna ognuna delle 30 ricette con analisi nutrizionali che aiutano i genitori a costruire la dieta settimanale del bambino» ha spiegato Claudio Maffeis. «Serve una dieta varia che contenga tutti i gruppi alimentari seguendo delle semplici regole, proprie della dieta mediterranea. Nel testo sono proposte soprattutto ricette per la colazione e le merende: sono tutte “salate”, o meglio non dolci, un’ottima alternativa a quelle che invece i bambini consumano solitamente». «Da anni il Consorzio tutela Grana

Padano favorisce la diffusione della corretta educazione alimentare tramite l’attività di Educazione Nutrizionale Grana Padano — ha dichiarato STEFANO BERNI, direttore generale del Consorzio — coordinando la ricerca di medici, dietisti e pediatri, pubblicando studi ed un sito specializzato. Divulgheremo questo nuovo libro, ovviamente gratuito, in strutture scolastiche, biblioteche, associazioni pediatriche e via dicendo». Due parti: nozioni prima, ricette poi Il libro “Mamma…ho fame” è diviso in due parti. La prima riporta alcune nozioni fondamentali di educazione alimentare per i bambini (dai 3 ai 10 anni di età), i concetti sono esposti in modo semplice e chiaro, divisi per paragrafi: la strategia nel fare la spesa; l’importanza dell’esempio dei genitori a tavola; una dieta variegata, moderata e completa; alla scoperta di nuovi sapori. E poi un riassunto delle regole basilari: calorie; frequenza e porzioni dei cibi; cosa mangiare nei 5 pasti quotidiani. Infine, come variare i colori di frutta e verdura, cosa bere e cosa non bere. Nella seconda parte, le 30 ricette per preparare colazioni e merende ed anche piatti unici e primi piatti, corredate da illustrazioni e filastrocche da proporre per invogliare ad una dieta varia e completa. Per ogni ricetta vengono descritti gli ingredienti, le

Mamma ho fame. Una ricetta al giorno per diventare grandi Educazione Nutrizionale Grana Padano 120 pp. modalità di preparazione, l’analisi della ricetta della nutrizionista, i valori macronutrienti per porzione, con un rimando in appendice a tabelle nutrizionali più dettagliate. In queste ricette è presente il Grana Padano, un alimento unico, gustoso e ricco di proteine, calcio, minerali e vitamine e che consente spesso di non utilizzare il sale in cucina. >> Link: www.educazionenutrizionale.granapadano.it

Da decenni le istituzioni sanitarie e la classe medica cercano di educare il cittadino ad un corretto stile di vita alimentare perché oggi più che mai, sia sul piano qualitativo sia su quello quantitativo, l’alimentazione costituisce uno dei più importanti determinanti della salute. Tuttavia, nonostante gli sforzi profusi, la scorretta alimentazione nel nostro paese è ancora molto diffusa e le patologie ad essa correlate in aumento. Per questa ragione nasce Educazione Nutrizionale Grana Padano, un programma di attività sviluppato grazie al sostegno e all'impegno sociale del Consorzio Tutela Grana Padano. L’iniziativa si compone di una ricerca osservazionale (l’Osservatorio Grana Padano), sviluppata dai medici che fanno anamnesi alimentari sui loro pazienti, e di una serie di attività di informazione ed educazione, svolte dai medici per i pazienti, grazie ad una serie di strumenti forniti dal programma. >> Link: www.educazionenutrizionale.granapadano.it

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Un anno in Romagna Perché le cose semplici sono le più belle e perché saper raccogliere i più celati dettagli del quotidiano è la poesia e la sfida più gustosa

I

l racconto di un anno che esplora la Romagna con una nuova prospettiva; una poesia visiva alla scoperta delle bellezze, vicine e quotidiane, che offre questa terra. La storia di due amiche che condividono il gusto per le cose belle, per i dettagli del quotidiano, e condiscono il cammino insieme con ingredienti, parole, sensazioni e immagini. Un fotografo ne raccoglie le emozioni e le traduce in scatti, in quadri suggestivi, così vividi e reali che invitano a perdercisi dentro. Il viaggio nelle quattro stagioni di un territorio, ognuna delle quali è presentata con una tavolozza di colori che ne incarna l’essenza: un fil rouge cromatico che trova declinazione nelle ricette e nei prodotti locali di stagione, negli spazi interni di una casa, negli scorci di itinerari locali, in tessuti e materiali che vanno a sollecitare il risveglio di tutti e cinque i sensi. Cristina Casadei Interior designer, stilista, decoratrice, Cristina ama creare e speri-

mentare con le mani, cerca e trova, sì, perché ha fiuto per la bellezza, quella più intima e nascosta che diventerà emozione nella semplicità. Nicole Poggi Globetrotter nell’animo e nella vita, entusiasta per natura e innamorata del gusto, in qualsiasi sua forma. Consulente di branding, sviluppo commerciale internazionale e gestione progetti di food&wine nei mercati globali. Gianluca “Naphtalina” Camporesi Video editor e fotografo. Ha trascorso 13 anni nel mondo della musica come collaboratore del produttore Michele Centonze, lavorando, tra gli altri, per Jovanotti, Luciano Pavarotti, la Walt Disney e per le cerimonie olimpiche di Torino 2006. Da sempre appassionato di arti visive, negli ultimi 10 anni ha diviso la sua attività tra video e fotografia, rimanendo sempre ai margini del mondo musicale e dedicandosi in particolare a reportages e documentari. È responsabile

CRISTINA CASADEI, NICOLE POGGI Un anno in Romagna – Due amiche, cucina, colori e paesaggi Fotografie Gianluca Camporesi Guido Tommasi Editore 320 pp. – € 28,00 dell’archivio multimediale della Fondazione Luciano Pavarotti. >> Link: www.unannoinromagna.it

Un viaggio nei sensi che con una grafica curata e piccoli tocchi di atmosfere country traghetta lo sguardo e la lettura attraverso i bei luoghi di Romagna e le stagioni. Autunno, inverno, primavera, estate… e ogni stagione, naturalmente, ha il suo piatto. Per l’autunno allora arriva la ricetta della vellutata di funghi porcini, tartufo bianco di Dovadola e crostone di pane, per l’inverno tortelli burro e salvia con semi di papavero.

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