Premiata Salumeria Italiana 5-2023

Page 1

Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98 Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori DALSALUMIFICIOALLASALUMERIANONSTOP Anno XXXV N. 5 Settembre-Ottobre 2023 € 6,70

Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple Il testo è impaginato con Adobe InDesign CC 2019. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe Photoshop CC 2019.

Direzione – Redazione

Amministrazione – Pubblicità

Edizioni Pubblicità Italia Srl

Piazza Roma 3 – 41121 MODENA

Tel. 059216688 – Fax 0598671709

E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com

Web: premiatasalumeriaitaliana-online.com

Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985

Tariffe abbonamenti

Annuale (6 numeri):

Italia € 40,00 – Estero € 50,00

Sconto librerie: 10%

Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311

intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl

Piazza Roma 3 – 41121 MODENA

ISSN 0394-2910

Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl

Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food – Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

Direttore responsabile e editoriale

Elena Benedetti

Redazione

Gaia Borghi – Federica Cornia –Marco Credi

Segreteria di redazione

Gaia Borghi

Grafica

Federica Cornia

Prestampa

Marco Credi

Marketing e pubblicità

Luigi Credi – Chiara R. Zaccaroni

Fotografia

Luigi Credi

Abbonamenti

Fioretta Fiorentin

Amministrazione

Andrea Tomassone

Collaboratori scientifici

Dr. Marco Cappelli – Dr. Emanuele

Guidi

Euro Annuario Carne

EURO ANNUARIO CARNE 2023

La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni.

Edizione 2023

Copia cartacea: € 95,00

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 3
23
5/
€ 6,70
In questo numero: Agenda Cremona – Colonia, Germania – Milano – Modena – Parma – 12 Merano (BZ) – S. Angelo in Vado (PU) La copertina esplosa Würstel & senape, squadra che vince non si cambia 20 Immagini Operazione Natale in bottega 22 Tendenze Fare “marenna” in salumeria: a Napoli Gaia Borghi 24 Antica Salumeria Malinconico dal 1890 Premiata Salumeria Italiana, 5/23 5 A pagina 86. N. 5
€ 6,70
Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

A pagina 114.

Salumi & Co. Bella lettura – W la creatività – Acquerelli belli e buoni 26 Fotografati e mangiati Biscotti con limone – Tessere salate ai semi di zucca – 28 Salamino del Pollino – Taralli con peperoni bruschi Suggestioni dal mondo Spagna, Cinco Jotas, Madrid – UK, Lina Stores, Londra 30 Dietro al banco Tre domande a Lorenzo Rizzieri Elena Benedetti 34 Brevi storie di cibo lento Soffrire di vertigine Alessia Morabito 36 a velocità contemporanea Attualità Made in Italy, il Governo cerca di tutelarlo con un disegno di legge Guido Guidi 40 Sostenibilità, come dimostrarla Sebastiano Corona 44 Eventi Chef… al Massimo! 2023 48 Il food in rete Social food Elena Benedetti 50 La Qualità IGP alle Sebadas di Sardegna Guido Guidi 52 Aziende Grigio del Casentino: è nata una nuova stella Veronica Fumarola 56 Marcozzi: due pastifici, Campofilone ed Amatrice, per un cuore unito 60 Offishina e il suo Garum tra le 100 eccellenze italiane di Forbes 64 Premiata Salumeria Italiana, 5/23 6 Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori DALSALUMIFICIOALLASALUMERIANONSTOP Anno XXXV N. 5 Settembre-Ottobre 2023 € 6,70
In copertina: würstel, creatività e gusto in cucina.
Premiata Salumeria Italiana, 5/23 8 www.premiatasalumeriaitaliana-online.com Prodotti tipici Salumi da cuocere: la “salamina” di Ferrara per tutte le stagioni Chiara Papotti 70 Rarità a tavola: l’Umbria ci fa sognare con il Cicotto di Grutti Chiara Papotti 74 Visual Festività in arrivo, è visual natalizio Elena Benedetti 78 Il buono secondo Lara Il gelato artigianale finisce nel piatto: nasce quello gastronomico Lara Abrati 86 Analisi del food Würstel, grande figlio minore del mortaio Giovanni Ballarini 90 Uova, freschezza e semplicità Josette Baverez Blanco 96 Locali di gusto Tlò Plazores, antica cultura e cucina ladina Riccardo Lagorio 100 I primi 60 anni di Nizzoli Pier Giovanni Bracchi 102 Fiere SANA 2023, successo per la prima edizione B2B 104
A
A pagina 50.
A pagina 48.
pagina 26.

il gusto di casa in ogni momento

Soave e Soavius

100% ARTIGIANALE SENZA CONSERVANTI PRODOTTO NATURALE SUINO NATO E ALLEVATO IN ITALIA
Premiata Salumeria Italiana, 5/23 10 www.premiatasalumeriaitaliana-online.com Formaggio Erborinati, dai grandi classici alle novità di Cheese 2023 Chiara Papotti 108 Lo chef dell’olio Meat & olive oil Fabrizio Bertucci 112 Vino Barbera Gian Omar Bison 114 Pasta Maccheroni Giovanni Ballarini 120 Pane Il fantastico mondo della lievitazione naturale Sebastiano Corona 124 Birra Le birre dei monaci Massimiliano Rella 128 Tecnologie Ridurre i costi di magazzino è possibile grazie 132 alla tecnologia informatica Track Alimenti: l’innovazione tecnologica al servizio 136 della digitalizzazione della filiera alimentare Tre Libri Food & Wine. Marketing 4.0. – Il Tartufo – Storia della pizza 140
A pagina 120. A pagina 56. A pagina 64.
ACETAIA

Colonia, Germania

Ancora una volta Anuga si preannuncia come l’appuntamento fieristico più strategico nella sua capacità di riunire il meglio dell’industria internazionale del Food & Beverage a Colonia, dal 7 all’11 ottobre. Con circa 600 espositori, il sottosalone Anuga Meat, dedicato ai prodotti di carne e salumi, non può mancare nell’agenda degli operatori. Anuga ospiterà anche produttori di bakery, aceti, olio, vino, pasta, condimenti e bio. Tra i food trend di questa edizione segnaliamo le proteine vegetali, snack e convenience foods, super food e grani antichi e gli alimenti sostenibili (a lato, uno scatto presso l’area Organic della passata edizione). anuga.com

Cremona

Torna a grande richiesta, dopo il successo delle precedenti edizioni, la Festa del Salame. La kermesse si svolgerà dal 6 all’8 ottobre e sarà interamente dedicata alle produzioni di salame in tutte le sue forme e declinazioni, con un ricco calendario di appuntamenti e incontri culturali per una tre giorni all’insegna del buon gusto. Non mancheranno incontri culturali, ospiti illustri, interviste e premiazioni, sfide gastronomiche, showcooking, degustazioni, ma anche laboratori per i più piccoli e numerosi appuntamenti musicali. La manifestazione è promossa dal Consorzio di Tutela Salame Cremona IGP e da Confartigianato Imprese Cremona, vanta il patrocinio del Comune di Cremona ed è realizzata con il contributo di Regione Lombardia (fonte: EFA News – European Food Agency).

www.festadelsalamecremona.it

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 12
AGENDA

Milano

Il 14, 15 e 16 ottobre il Palazzo del Ghiaccio torna ad ospitare l’evento più buono dell’autunno milanese. Con oltre 120 espositori, Milano Golosa apre le porte alla migliore produzione enogastronomica artigianale italiana e festeggia il suo 11o compleanno nel nome del gusto. Fin dai suoi esordi la kermesse ha infatti portato in città le migliori produzioni gastronomiche di nicchia, dando valore agli artigiani di tutta la Penisola e alla spesa come momento di scelta consapevole per migliorare le nostre abitudini alimentari. L’edizione 2023 avrà come claim l’ABC del saporee il fermento in cucina. Spazio quindi sì ai fermentati e alle novità, ma, soprattutto, alle emozioni che il sapore è in grado di attivare dentro di noi. milanogolosa.it

Modena

La 6a edizione di Modena Champagne

Experience, il più grande evento italiano dedicato esclusivamente allo champagne e realizzato da Società Excellence —associazione che riunisce ventuno tra i maggiori importatori e distributori italiani di vini d’eccellenza —, si svolgerà il 15 e 16 ottobre. Le maison saranno distribuite sui 5.000 m2 del padiglione

A di ModenaFiere in base alla loro appartenenza geografica, corrispondente alle diverse zone di produzione della Champagne (Montagne de Reims, Vallée de la Marne, Côte des Blancs, Côte des Bar, oltre alle maison classiche, riunite in una specifica area) per offrire al visitatore un’esperienza sensoriale coinvolgente e un supporto culturale di alto livello (photo © champagneexperience.it). champagneexperience.it

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 14
www.montasio.com w anni 1773 / 2023 250 Montasio. Un sapore senza tempo.

Merano (BZ)

Palcoscenico dei “vini alfieri” che hanno conquistato il mondo, Merano WineFestival ritorna dal 3 al 7 novembre con una veste ancora più internazionale e ricca di charme. Un contesto e un format unici nel loro genere, per un evento che supera se stesso, puntando sempre più all’eccellenza, all’eleganza e all’esclusività, tra nuove selezioni speciali, eventi collaterali dedicati al mondo enogastronomico e non solo, tra cui il Summit, che porta a Merano problematiche e soluzioni legate al climate change discusse durante l’anno nel corso degli eventi The WineHunter. Cinque giornate tra i migliori prodotti wine & food italiani e internazionali, selezionati da HELMUTH KÖCHER a dal suo team di degustazione, e un ricco programma con ospiti d’eccezione. Il venerdì sarà dedicato a “Naturae et Purae”, Bio & Dynamica con ampio focus su vini biologici, biodinamici, organic e orange; da sabato a lunedì le eccellenze The WineHunter saranno protagoniste del Kurhaus; il martedì è targato Catwalk

Champagne, mentre alla Gourmet Arena ritorneranno i migliori prodotti Food

– Spirits – Beer insieme agli showcooking. Nuovi highlights nelle eleganti sale del Kurhaus: International, lo spazio dedicato ai prodotti internazionali, e The Festival, che include le menzioni speciali Platinum, Iconic e Unique; infine Next Platinum racchiude le “promesse” del futuro nelle diverse categorie. meranowinefestival.com

Parma

Con una storia lunga 80 anni, Cibus Tec è oggi un luogo di incontro speciale e globale fra domanda e offerta, pensato per aprire nuovi scenari, condividere conoscenza in fatto di innovazione tecnologica e, non da ultimo, stimolare gli investimenti e la crescita del business della filiera. La fiera è da sempre organizzata a Parma, un luogo iconico per il settore alimentare italiano e capoluogo di un territorio che raccoglie in un raggio di 200 km il 60% della produzione alimentare italiana. In particolare, la 53a edizione, in programma dal 24 al 27 ottobre, è stata scelta dal mercato come evento di riferimento per i settori piatti pronti, carni, proteine alternative e bevande, ospitando tutti i più importanti brand globali. Un’ulteriore peculiarità dell’edizione 2023 è la presenza della più grande area dedicata alle migliori start-up food tech e di intelligenza artificiale. cibustec.it

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 16

Cremona

Dall’11 al 13 novembre torna Il BonTà, il salone delle eccellenze enogastronomiche dei territori. Il BonTà è un viaggio tra i sapori e i colori della nostra meravigliosa Penisola, degustando il meglio dei prodotti enogastronomici proposti dagli espositori. Nell’edizione 2022 Il BonTà ha ospitato più di 1.000 tipologie di prodotti provenienti da tutta Italia. Saranno tre giorni di showcooking, presentazioni, concorsi, convegni e degustazioni guidate per promuovere le materie prime d’eccellenza. Un punto di incontro tra operatori professionali, produttori e gourmet alla scoperta del gusto e delle tradizioni delle nostre bellissime regioni (photo © instagram.com/ ilbontacremona). ilbonta.it

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 17

Milano

È da sempre la manifestazione di riferimento per scoprire in anteprima prodotti e progetti innovativi e sostenibili, oltre che per far incontrare domanda e offerta nelle filiere dell’ospitalità professionale. E nelle ultime edizioni — la numero 43 è in programma a fieramilano a Rho dal 13 al 17 ottobre — HostMilano è diventata anche sempre più anche un hub di conoscenze che anticipa i trend, presenta dati, coinvolge i visitatori in appassionanti sfide e campionati grazie a un palinsesto di oltre 800 appuntamenti. Così come nel percorso espositivo, sarà protagonista l’innovazione sostenibile declinata in eventi che rispondono alle richieste diversificate degli operatori, dai campionati agli showcooking fino ai convegni e seminari e l’aggiornamento professionale.

Spicca nel programma la cerimonia di premiazione Smart Label – Host Innovation Award, il riconoscimento promosso da HostMilano e Fiera Milano in partnership con POLI.design e patrocinato da ADI – Associazione per il Disegno Industriale che, in sole sei edizioni, è diventato il riferimento globale per le innovazioni che marcano un reale cambiamento nel settore (photo © host.fieramilano.it). host.fieramilano.it

Sant’Angelo in Vado (PU)

Meravigliosa scoperta: è quanto evoca la nuova immagine della 60a Mostra Nazionale del Tartufo Bianco di Sant’Angelo in Vado, pronta a diffondere l’inconfondibile profumo del prezioso fungo ipogeo nell’autunno dai colori intensi dell’Alta Valle del Metauro, nell’anno del suo 60o anniversario. Scoperta intesa come conoscenza legata al mondo del tartufo e alla gratificazione di vivere un’esperienza esaltante, nella quale il patrimonio culturale e l’ambiente integro diventano alcune delle tematiche che stimoleranno il dibattito e coinvolgeranno le giovani generazioni. Cultura, arte e ambiente sono strettamente connessi alla storia di Sant’Angelo in Vado, sede della Domus del Mito del I secolo d.C., uno dei più importanti siti archeologici di epoca romana nelle Marche, e del Centro Sperimentale di Tartuficoltura, il centro di ricerca all’avanguardia più importante d’Italia per lo studio e l’applicazione di tecniche di tartuficoltura, che produce ogni anno migliaia di piantine tartufigene. Dal 7 al 22 ottobre e domenica 29 con la fiera merceologica saranno sette giornate dense di iniziative per celebrare il tartufo bianco, simbolo di questa terra, grazie ad un percorso che attraversa il centro storico della cittadina. Il fulcro dell’evento sarà piazza Umberto I, dedicata al commercio del tartufo bianco e palcoscenico di talk, premiazioni e spettacoli. mostratartufo.it

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 18

Modena e provincia: dicembre a tutto Zampone & Cotechino

• In provincia di Modena, per la precisione a Castelnuovo Rangone, tornerà, come di consueto, la Festa dello Zampone più grande del mondo, il Superzampone. La data scelta è per domenica 3 dicembre. L’iniziativa come sempre attesissima risale al 1989 ed è organizzata e promossa dal Comune di Castelnuovo Rangone, in collaborazione con l’Ordine dei Maestri Salumieri. L’evento che vede protagonista lo Zampone da Guinness dei primati rappresenta un momento fondamentale per la promozione e la valorizzazione delle tipicità e delle eccellenze agroalimentari del territorio modenese, nonché un omaggio sentito a tutte le persone che con il loro lavoro e la loro professionalità hanno reso grande l’industria salumiera castelnovese.

• La XII edizione della Festa dello Zampone e del Cotechino Modena IGP (www.modenaigp.it) si terrà invece in città, a Modena, nella centrale Piazza Roma, il 16 e 17 dicembre, con un anticipo serale sabato 9 dicembre presso il Teatro Storchi. L’evento, che ha il patrocinio della Regione Emilia-Romagna, ha l’obiettivo di valorizzare queste due specialità della tradizione gastronomica italiana che hanno ottenuto la prestigiosa certificazione IGP presentando le tante e innovative ricette a base di Zampone e Cotechino Modena ideate dai giovani studenti delle scuole di cucina, che si confronteranno in un contest, “Lo Zampone e il Cotechino Modena IGP degli chef di domani”, presieduto dallo chef di fama mondiale Massimo Bottura. Oltre al contest dei giovani chef di domani, sono previste altre iniziative e attività di intrattenimento per il pubblico intervenuto.

LA COPERTINA ESPLOSA 20 COPERTINA Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori DALSALUMIFICIOALLASALUMERIANONSTOP Anno XXXV N. 5 Settembre-Ottobre 2023 ana, 5/23 Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98 ri

l

Protagonista di questa copertina è il mitico würstel, un insaccato cotto realizzato con carni tritate, in particolare bovine e suine, tipico della Germania, dell’Austria e, in Italia, soprattutto dell’Alto Adige. Il würstel commercializzato in Italia corrisponde generalmente al Wiener o Wiener Würstchen reperibile in Germania. Lo stesso prodotto in Svizzera è chiamato Wienerli ed in Austria Frankfurter würstel.

I würstel sono caratterizzati da una grana finissima e da un alto contenuto di acqua. Per la produzione vengono utilizzati tagli di carne di vari animali, addizionate di grasso duro di suino, acqua, sale, condimenti e additivi. La tecnologia di lavorazione influenza moltissimo le caratteristiche del prodotto finale.

Il würstel “italiano” ha ormai da tempo raggiunto una sua individualità, tanto che si può parlare di una tipologia parzialmente distinta. Per la copertina noi abbiamo scelto gli ottimi würstel Servelade di Negri Salumi – Alta Salumeria Italiana di Novi di Modena (negrisalumi.it).

In ab senap ben s

In abbinamento ai würstel non può certo mancare la senape. Questa è la Colman’s, un classico inglese, che ben si accompagna a carni, arrosti, salsicce e formaggi.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 21
23
Pr

Archiviate le vacanze estive, le scuole riaprono, sulle agende ricompaiono i propositi di cominciare l’ennesima dieta e riscriversi in palestra e in un attimo ci si ritrova a pensare al Natale! Manca poco, infatti, pochissimo, a quel periodo frenetico che anticipa le festività di fine anno e che per i titolari di salumerie e botteghe alimentari rappresenta il picco di fatturato e di lavoro annuale. I maestri salumieri e gli operatori del settore ne sono consapevoli e sanno che il punto vendita dovrà trasformarsi in un luogo ancora più coinvolgente e attraente per clienti abituali e non, favorendo la loro permanenza e spesa. Avete bisogno di qualche idea per allestire al meglio la vostra bottega? Elena Benedetti vi aiuta a pagina 78.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 22
IMMAGINI

Siamo gli specialisti del San Daniele DOP

Il segreto è tutto

Allevamenti di proprietà

Le carni dei nostri prosciutti di San Daniele DOP provengono da suini nati e cresciuti nei sei allevamenti della famiglia Aimaretti o da siti rigorosamente selezionati.

Benessere animale

cresciuti nei sei

Solo le cosce migliori

dell’animale sono una priorità. I nostri allevatori controllano attentamente l’alimentazione, si assicurano che gli ambienti siano spaziosi e areati e riducono al minimo lo stress del suino.

Prosciutto di San Daniele DOP

Etichetta Nera SanDan. Inimitabile.

lu genuinit le n ondibile s

I nostri mastri salumieri mettono al primo posto la genuinità delle materie prime e selezionano le cosce migliori per portare in tavola il gusto inconfondibile di un prodotto sano e naturale.

Con pa tr

Con pazienza, secondo tradizione

La salatura, rigorosamente a mano, e la stagionatura minima di 18 mesi, danno vita ad un crudo dal gusto unico, naturalmente buono.

a La salatura, a mano, e l mini vi d natura

www.sandanprosciutti.com
nti riet ostri
ella fami osamente se ere e ono una tori che o cono ess
me
a suini nati e

TENDENZE

Fare “MARENNA” in salumeria: a Napoli Antica Salumeria Malinconico dal 1890

“Da quattro generazioni prigionieri di UNA FEDE”: così si presenta su Instagram ai propri 15.300 followers Antica Salumeria Malinconico, dal 1890 a Napoli su corso Vittorio Emanuele. Un negozio di quartiere che, soprattutto grazie all’ingresso avvenuto già dieci anni fa di Alessio, quarta generazione della famiglia in attività e affiancato a tutt’oggi dai genitori Antonio e Amelia, ha saputo realizzare con successo quell’operazione all’apparenza semplice, ma in realtà difficilissima, di mantenere intatta la “propria anima”, la vocazione originaria della bottega alimentare, immergendosi completamente a livello di

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 24

comunicazione e immagine nella contemporaneità e sfruttandone al meglio tutte le opportunità. Uso di social e pubblicità intelligente e creativo, collaborazioni che portano la salumeria su strada, attraverso un food truck, in giro per l’Italia e anche fuori dai confini nazionali, merchandising, con lo slogan “GIOVEDÌ MEZZA GIORNATA” stampato su cappellini, t-shirt e felpe, si affiancano ad un’offerta gastronomica super classica, in cui la cura del prodotto e del cliente sono al centro di tutto. Un ritorno alle origini, che Alessio, intervistato da Repubblica, descrive come “un mondo di storia fatta di qualità scelta, di persone servite con cura e in modo molto familiare”, in cui non si perde nulla ma, anzi, si guadagna in felicità dietro e davanti al banco.

Tra i cavalli di battaglia di Malinconico troviamo la MARENNA , che nel capoluogo campano indica non una merenda o uno spuntino qualsiasi bensì un panino , un pasto ‘e sustanza fondamentale, da concedersi come premio nei vari momenti della giornata. Primo fra tutti la palatella o la rosetta croccante, condita con sale, pepe, ricotta di fuscella e “tutta tempestata” di cicoli, che il salumiere Enrico, presenza in bottega da oltre 40 anni, taglia rigorosamente a mano. È servita calda, dopo un breve passaggio in forno. Poi l’altrettanto leggendaria focaccia di Amelia cotta nel ruoto di alluminio in stile marinara con pomodorini, origano e aglio. Pura estasi dei sensi!

Premiata Salumeria Italiana, 5/23

lettura BELLA

Si chiama Beautiful Boards ed è un libro realizzato da MAEGAN BROWN, scrittrice e blogger australiana specializzata in food. Qui trovate tante idee che vanno oltre i classici impiattamenti di taglieri con salumi e formaggi. Sono allestimenti ricchi, artistici, stravaganti, pieni di colori. In una parola, bellissimi. Un libro da sfogliare per realizzare taglieri buoni e belli. Su Amazon.it

W la

CREATIVITÀ

Si chiama PAMELA COCCONI e il suo nome d’arte è PAMCOC. Illustratrice e creativa, tra disegni, scritti, dipinti, vignette, libri e fanzine, dice cose vere facendoci sorridere www.disegnolecose.it

BELLI E BUONI Acquerelli

ORNELLA DI SCALA realizza acquerelli dipinti a mano su cartoncino. Il nostro preferito? Ovvio, la rosetta con la mortadella. Perfetto per arredare una bottega o la Redazione di una rivista che scrive di salumerie… Lavora su ordinazione.

PS: la cornice non è inclusa. ebay.it

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 26
SALUMI & CO.

Biscotti con limoneTessere salate ai semi di zucca

Biscotti teneri con morbidi cubotti di limone italiano candito simili ai “cantucci” toscani. A produrli artigianalmente i Fratelli Lunardi di Quarrata (PT). Un biscotto “perfetto in ogni occasione in cui si voglia vuoi assaporare tutto il gusto del limone e della dolcezza italiana”. Ingredienti: farina di grano tipo 0, zucchero, limone candito 17% (scorzone di limone, sciroppo di glucosio e zucchero), uova, burro (latte), miele italiano, agente lievitante (amido di mais, cremor tartaro, bicarbonato di sodio, bicarbonato di ammonio), sale marino, bicarbonato d’ammonio, olio essenziale di limone. Senza conservanti e coloranti. Buonissimi e profumatissimi. Si consiglia l’abbinamento con un limoncello o un gelato di crema per renderli ancora più golosi.

>> Link: shop.fratellilunardi.it

Le tessere salate ai semi di zucca di Biscotti Bizantini “fondono le loro radici nella ricetta originale dei biscotti dolci all’uva sultanina che viene fatta in famiglia dal 1970. La ricerca e l’affetto di una nonna vengono così tramandati negli anni per far nascere, oggi, una variante di gusto sfiziosa e delicata, pur mantenendo l’iconica forma e l’inconfondibile fragranza delle originali tessere dolci di Ravenna”. Cotte al forno, le tessere non contengono ingredienti di origine animale. Una tessera tira l’altra: da provare all’aperitivo!

>> Link: biscottibizantini.it

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 28
E MANGIATI
FOTOGRAFATI

Salamino del Pollino

Da L’Arturo Enogastronomia nel cuore di Matera (questa estate un pezzo di Redazione ha girovagato felice per la Basilicata), bottega che offre una ricca selezione di specialità enogastronomiche locali, abbiamo assaggiato questo salamino del Pollino, morbido, gustoso, non salato e molto piacevole. Tra gli ingredienti spicca il Marsala. Da degustare con un buon calice di vino al Sasso Barisano.

>> Link: larturo.com

Taralli con peperoni bruschi

Sempre sull’onda materana ecco i favolosi taralli del Panificio Cifarelli con peperoni cruschi, cotti rigorosamente nel forno a legna. Da Cifarelli anche il pane è una vera meraviglia. “Nel segno della tradizione, la famiglia Cifarelli continua da tre generazioni a produrre il nostro buon pane cotto nel forno a legna nella tipica forma ‘a cornetto’ o ‘alto’ proprio come lo facevano le antiche massaie”

>> Link: panificiocifarelli.it

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 29

Siamo in Spagna, al Cinco Jotas di Madrid. Progetto di Tarruella Trenchs Studio. Ambiente essenziale, soffitto decorato con un sistema di luci che dono un’incredibile brillantezza all’ambiente. La parete è “decorata” dai jamón Cinco Jotas. Da notare il grande tavolo in legno, semplice e rustico, che conferisce un’atmosfera famigliare di calore e accoglienza (photo © archilovers.com).

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 30
SUGGESTIONI DAL MONDO
SHOW YOUR BUSINESS POTENTIAL 16-17 Gennaio 2024 20 a EDIZIONE COMITATO TECNICO SCIENTIFICO www.marca.bolognafiere.it

A Londra tutto un altro stile. Colori pastello e un arredo “carico”, anche sul soffitto, con le paper bag del locale. Siamo da Lina Stores con il suo Brewer Street Delicatessen, un mix tra salumeria-gastronomia e ristorante. A Natale, al posto delle buste di carta, si appendono pandori e panettoni made in Italy, come del resto la maggior parte dei prodotti tra salumi, aceti, oli, pasta e condimenti (photo © facebook.com/linastores).

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 33

TRE DOMANDE a Lorenzo Rizzieri

“Salvaguardia e rispetto dell’ambiente, degli animali e della salute dell’uomo e zero chimica. Si tratta di concetti per nulla scontati che stanno alla base del metodo di produzione dei nostri prodotti”. Questa è la filosofia di LORENZO RIZZIERI e della sua F.lli Rizzieri 1969, una filiera, un’azienda moderna e società Benefit che si articolano attraverso due punti vendita (uno a Focomorto, in provincia di Ferrara, e l’altro in città, in Zona Villa Fulvia), il ristorante Casa Rizzieri, l’Accademia Rizzieri per la formazione di operatori e professionisti e, non ultimo, l’e-commerce.

Oltre alle carni F.lli Rizzieri 1969 propone un’ampia varietà di salumi e

insaccati di propria produzione tutti senza l’utilizzo di conservanti chimici (tra cui salame, salamina da sugo ferrarese IGP, salama cotechina, prosciutto crudo e cotto, salame da pentola), prodotti in vasocottura e pronti a cuocere.

Un’evoluzione tra filiera, comunicazione e coerenza Macellaio, docente, esperto in carni e appassionato di cibi e alimentazione, con un blog personale all‘attivo, www.lorenzorizzieri.it, e un libro (“Tutto parte dalla terra. Carni, una filiera per il benessere e la sostenibilità”, Edizioni Mondadori Electa), abbiamo fatto a Lorenzo qualche domanda per capire come interpreta l’evoluzione del suo lavoro.

Quanto è cambiata la tua professione negli ultimi 10 anni?

«Tanto. Si è praticamente rivoluzionata. Per la parte della macelleria, i tagli di carne che lavoravamo dieci anni fa oggi non ci sono più. Questo è un mondo che muta in modo più accelerato: se un tempo i cambiamenti si potevano percepire con cadenza decennale oggi invece si registrano ogni 5-6 mesi.

È un cambiamento molto precoce che, per quanto mi riguarda, a livello espositivo mi ha fatto virare verso articoli e prodotti più “belli”, più eleganti.

Per la carne c’è stata la contaminazione con altre culture, con tagli americani, argentini, brasiliani. Un mondo nuovo quindi di concepire i tagli commercializzati ampliando l’ottica,

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 34 DIETRO AL BANCO

mettendosi in discussione e scoprendo nuove modalità di suo di prodotti diversi dalla tradizione».

Cosa cercano oggi i clienti?

«Quelli più attenti cercano una filiera controllata, possibilmente italiana, una garanzia che carne e salumi siano “qualitativamente qualificati”, con un qualcosa che lo dimostri. Per esempio, tutti gli anni per le carni facciamo effettuare l’analisi nutrizionale e l’antibioticoresistenza.

Il mondo del consumatore tenderà a mio parere a polarizzarsi sempre più: da una parte ci sarà chi, per esigenze salutistiche, darà valore alla carne e ai salumi sostenibili e garantiti e, dall’altra, chi invece continuerà a non dare valore

a quello che mangia e per lui tutto andrà benissimo.

Sul fronte dei salumi c’è stata una certa evoluzione del gusto del cliente che si è spostato verso prodotti meno salati. Rispetto a 12-13 anni fa c’è stato infatti un deciso cambiamento sulla quantità di sale impiegato nella lavorazione: pensa ad esempio che da un 28% siamo passati ad un 20% di sale, realizzando così un prodotto che al palato risulta molto più dolce. Per il resto abbiamo mantenuto la parte più tradizionale con insaccatura e legatura rigorosamente a mano, la stagionatura in cantina e la volontà di mantenere questi salumi privi di chimica all’interno.

Abbiamo inserito prodotti che non facevamo, come la bresaola sempre al

naturale, bacon affumicato realizzato con l’affumicatura delle pance dei nostri maiali con legno di melo e con l’ultima fase di cottura a vapore, fino alla coppa stagionata sempre al naturale».

Quanto è importante l’esposizione dei prodotti, dentro e fuori dal banco?

«È tutto! Se la vetrina è spoglia non si vende nulla. Se la vetrina è bella e attira l’attenzione, il cliente non si fermerà ad un solo prodotto e sarà attirato anche da altro. L’esposizione è tutto insieme alla comunicazione. Per “comunicazione” intendo ciò che faccio, ciò che vendo, la mia filosofia».

>> Link: macelleriarizzieri.it

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 35
Lorenzo Rizzieri con una cotoletta di pollo alla nocciola di F.lli Rizzieri 1969 (photo © instagram.com/macelleria.rizzieri).

Soffrire di vertigine

di Alessia Morabito (illustrazioni di Alessia Serafini)

Oggi aspetto un collaboratore nel cantiere di un ristorante che conduco all’apertura, dobbiamo mettere a punto la carta dei vini ed improvvisiamo un picnic. Ho preso pane, ricotta di pecora e ventricina, non la mangio da tanto tempo. Gli operai sono in pausa, ci sono ponteggi e scale ovunque. La cucina no, quella è pronta. Guardo le sale del ristorante ancora divelte e ho le vertigini. Mi siedo e aspetto.

Si definisce la vertigine “fisica” come una percezione di movimento in assenza di reale movimento, sulla definizione filosofica non trovo nulla di soddisfacente, nemmeno delle vertigini relative al tempo

Soffro convenzionalmente di vertigini. Dall’alto verso il basso, dal basso verso l’alto, ogni tanto da ferma, a volte da sdraiata prima di addormentarmi. Ricordo di averne preso consapevolezza in gita alle elementari: nel camminamento tra due torrioni di un castello tardo medievale, in totale sicurezza, nonostante la bellezza disarmante, sentivo il senso di disorientamento ed un panico sconosciuto. Mia madre giura che ne soffrissi anche da infante, in braccio a lei, mentre, dal terrazzo di casa, aspettavamo che tornasse mio padre.

Nella vita quotidiana bastano tre scalini sospesi a ridarmi quella sensazione eppure ho smontato lampadari, spolverato librerie, lucidato cappe da cucina perché non ho mai accettato che qualcosa potesse limitare la mia libertà. Ho preso aerei per ovunque, ho guidato su strade impervie ed autostrade sopraelevate, son salita sulle Cliffs of Moher, sulle scogliere di Dover, sulla Sagrada Familia, la torre di Pisa e la Ghirlandina, mi son goduta paesaggi e compagnia e smaltito il panico lentamente.

Alle volte ho semplicemente scelto di non salire.

Esiste però una circostanza dove non sono riuscita a dominarmi, dove la tripla sollecitazione altezza/movimento/inattività mi è stata fatale: in auto, al posto del passeggero, su un viadotto. Una settimana di Pasqua di fine anni ‘90, sono ad Agnone in visita al padre del mio primo amore. Ci carica in auto direzione Vasto. Saliamo sul viadotto Sente Longo, ad oggi chiuso: 200 m di altezza per 1200 metri di lunghezza, tra il Molise e l’Abruzzo, siamo sospesi nel vuoto, nell’abisso.

La guida è lenta e in mezzo alla strada, sono silenziosa, in tachicardia e con le lacrime che scendono a fiotti, credo mi stiano parlando ma non sento niente, C. allunga una mano perché gliela possa tenere, dice a suo padre di fermarsi appena può, questo lo sento e quel lasso di tempo sembra eterno.

Usciamo dalla strada principale, siamo in un paese, scendo per prendere una boccata d’aria e svengo a terra come un sacco. Ho ripreso conoscenza che qualcuno mi sta porgendo acqua e un cartoccio, “mangia, forse hai la pressione bassa” sento dire, “forse non sono una nuvola e neanche un uccello”, penso.

Il cartoccio contiene uno dei salumi più deliziosi che abbia mai mangiato, la Ventricina dell’Alto Vastese

Tocchi di carne magra ricavati sacrificando prosciutto, lonza e spalla, pochi grasselli, abbondante peperoncino dolce e leggermente piccante, poco finocchietto, un leggero profumo agrumato per l’abitudine di lavare lo stomaco o la vescica dove viene insaccata, con acqua e arance amare, legata e appesa ad asciugare. In seguito protetta da uno strato di strutto e messa a stagionare 7/8 mesi.

Non è ancora una DOP ma è riconosciuta come presidio Slow Food.

Era il salume delle grandi feste della comunità, la vendemmia, la mietitura e del celebrare il lavoro assieme, dei giorni lieti, delle persone care, delle nascite e dei matrimoni. Nelle cronache storiche la troviamo in una versione senza peperone e solo a metà ‘800 codificata per come si presenta oggi.

Ho fame. Spalmo un pezzetto di pane con la ricotta, posiziono una fetta di ventricina fragrante e lo addento aspettando E.

Il cantiere è all’interno di un immobile simbolo della nostra comunità. Con oggi delineiamo ulteriori aspetti della personalità della sua rinascita

La vertigine che provo è una doppia percezione della realtà che mi fa sentire contemporaneamente il travaglio dell’inizio dei lavori e il futuro di una sala piena di clienti felici. Quella del creare è l’unica vertigine piacevole che conosco

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 36
BREVI STORIE DI CIBO LENTO A VELOCITÀ CONTEMPORANEA
Premiata Salumeria Italiana, 5/23 37

QUALITÀ E TRADIZIONE PALMIERI

Mortadella Favola è la prima mortadella al mondo insaccata e cotta nella cotenna naturale, un vestito unico cucito su misura nella nostra Sartoria.

Favola è inimitabile grazie alla sua esclusiva ricetta: l’unione di pregiati tagli magri del suino italiano con il guanciale tagliato a dadini, il grasso più nobile e profumato del maiale. Gli aromi, tutti rigorosamente naturali e una piccola nota di miele d’acacia, la rendono particolarmente delicata e digeribile.

Favola è inconfondibile per la sua forma e il marchio a fuoco impresso sulla cotenna ne garantisce l’originalità.

Senza: glutine, lattosio, glutammato e polifosfati aggiunti.

È un’idea
Se non la chiami per nome, avrai solo una mortadella.
IT-067-017
Gusto delicato: con miele d’acacia e sale di Cervia

Made in Italy, il Governo cerca

di tutelarlo con un disegno di legge

Il primo semestre del 2023 segna un dato molto positivo sull’export dell’agroalimentare italiano. Con quasi 32 miliardi di euro, si registra una crescita dell’8,6%, il doppio delle esportazioni nazionali complessive. Un successo che mostra quanto il cibo made in Italy sia apprezzato, anche fuori dai confini nazionali. Un interesse che va coltivato e mantenuto nel tempo, come valore e patrimonio tra i più grandi che il Paese possa vantare.

Un brand la cui importanza è oggi all’attenzione del Governo che, dopo averlo inserito anche nel nome del dicastero precedentemente conosciuto solo come Ministero dello Sviluppo economico, lo promuove in un disegno di legge. Dall’imprenditoria femminile alla giornata del made in Italy, dai brevetti al fondo nazionale di sostegno, dalla proprietà industriale a filiere come legno, nautica, tessile, ceramica: tutto questo è contenuto nella proposta legi-

slativa che ha lo scopo di rilanciare il Paese. Oltre all’istituzione del liceo del made in Italy, per favorire il passaggio di conoscenze tra generazioni, viene istituito un programma di trasferimento delle competenze generazionali nelle imprese private, da svolgere attraverso il tutoraggio da parte di un lavoratore pensionato ad un giovane neoassunto a tempo indeterminato. E ancora: ampia attenzione alle imprese culturali e turistiche e all’agroalimentare.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 40 ATTUALITÀ

Un articolo è dedicato alla pasta e un altro all’istituzione di un fondo di supporto al riconoscimento delle Indicazioni Geografiche non agroalimentari. Un altro è per la protezione nel mondo delle IG agricole e alimentari e per la blockchain per la tracciabilità delle filiere. Un investimento di 50 milioni di euro sarà realizzato a favore del settore fieristico ed è prevista la regolazione del commercio elettronico e del metaverso.

Il NutrInform Battery viene promosso come sistema di etichettatura per le indicazioni nutrizionali dei prodotti alimentari, ma sono previsti anche interventi a favore della valorizzazione della biodiversità, delle pratiche tradizionali e del paesaggio rurale, del miglioramento genetico e dei distretti del prodotto tipico italiano.

Un contrassegno ufficiale potrà essere richiesto dai ristoranti italiani sparsi nel mondo e verrà attribuito a quegli esercizi che garantiscono un’offerta gastronomica realmente conforme alle migliori tradizioni nostrane. Anche la lotta alla contraffazione è all’attenzione del Governo e, tra le varie cose, aumenteranno le sanzioni per chi acquista o vende merce contraffatta, che saranno estese anche a chi detiene per la vendita prodotti industriali con segni mendaci. Previste altresì azioni specifiche per gli uffici inquirenti e formazione specialistica dei magistrati.

Viene introdotto un contrassegno ufficiale di attestazione dell’origine italiana delle merci, ma anche attività di ricognizione e mappatura dei prodotti industriali e artigianali tipici già oggetto di forme di riconoscimento o tutela, ovvero per le quali la reputazione e la qualità sono fortemente legate al territorio. Le misure sono state predisposte in modo da essere coerenti con il principio di sostenibilità ambientale, la transizione digitale, l’inclusione sociale, la valorizzazione del lavoro femminile e giovanile e con il principio di non discriminazione tra le imprese.

È un disegno di legge complesso, introdotto con lo scopo di riacquisire quella capacità produttiva e quel saper fare che ha reso l’industria del Belpaese famosa nel mondo. Il tentativo, forse tardivo, è di recuperare quell’italianità che, declinata in moltissime produzioni, stile, qualità, artigianalità, design, da

sempre ci caratterizza e che tuttora permane come patrimonio immateriale di inestimabile valore.

Un disegno di legge che vorrebbe rivoluzionare lo stato delle cose, ma che potrebbe, nella sua applicazione, scontrarsi con una realtà che non ne consente piena attuazione. Al di là delle enunciazioni dei primi articoli, infatti, il DDL assomiglia ad un agglomerato poco armonioso di disposizioni diverse.

È evidente la volontà di rilanciare un’economia e un’identità in affanno, sfruttando il brand più importante per il Belpaese, ma il Governo è costretto a farlo con armi spuntate. Non bastasse, molti dei problemi che si tenta di affrontare con questo provvedimento non nascono da una carenza normativa, perché hanno già una loro disciplina europea. Pertanto una sovrapposizione, lungi dall’essere utile, potrebbe generare confusione.

Ciò che però non convince pienamente è il significato di made in Italy, termine che, peraltro, fa partire l’operazione in difetto, considerato che — pur essendo di uso comune da decenni — è un’accezione inglese proposta proprio da chi, correttamente, ritiene prioritario riappropriarsi della propria lingua, oltre che della propria identità. Il decreto non dà infatti definizione alcuna né di made in Italy né del prodotto italiano autentico. Pertanto la domanda nasce spontanea: cosa si può davvero considerare locale in un Paese che importa la stragrande maggioranza delle materie prime, siano esse alimentari o meno?

In un Paese la cui forza risiede principalmente sulla capacità di trasformare materie prime e di creare oggetti unici? In un Paese la cui ricchezza risiede proprio nella differenza di linguaggio, cucina, storia, tradizioni, cultura, costumi, da regione a regione, anzi, da zona a zona? E che quindi difficilmente può incasellare in rigidi schemi qualunque cosa ne sia espressione ancorché manifatturiera?

La mancata defi nizione di prodotto made in Italy si sarebbe potuta perdonare se il decreto fosse stato chiaro nei contenuti, indicando una direzione univoca e risoluta sugli obiettivi. Ma questo non è. E alcuni passaggi, molti, forse troppi, appaiono forzati, indebolendo la proposta nel suo complesso.

Che peculiarità avrebbe per esempio il programma didattico del liceo del made in Italy che già non sia previsto per istituti similari? E cosa ci fanno l’imprenditoria femminile, i mutui a tasso agevolato, i brevetti e la pasta nello stesso decreto?

Siamo sicuri che non si tratti di temi che andrebbero considerati singolarmente e disciplinati ognuno con un provvedimento dedicato? Si toccano molte, troppe questioni, attribuendo risorse (poche per la verità), che rischiano di disperdersi, inutilmente, in mille rivoli.

Il ragionamento di fondo — che si può solo intravedere —, è che sia made in Italy tutto ciò che viene fatto con materia o materiale italiano e che viene lavorato nel Belpaese. Ma se questo è il concetto, ci si muove forse troppo tardi. Perché le produzioni che rispondono a questi due criteri si possono ormai contare sulle dita di una mano.

Quando quindi, un prodotto, anche non alimentare, si può considerare italiano e quando no? È una deriva pericolosa quella che si può prendere adottando criteri molti rigidi. Perché, vista la scarsità della maggior parte delle materie prime nel nostro Paese, vista un’artigianalità e un’industria sempre meno attive, viste le tradizioni che si stanno perdendo nel tempo e sempre più ibridate da usanze altrui, un made in Italy fatto interamente da italiani, in Italia e con materie prime italiane, è difficile da trovare. Molto difficile

Focus Food

Per stare sull’esame dei contenuti della norma, meritano un’attenzione particolare i numerosi articoli dedicati all’agroalimentare. Trattare questo tema, già fortemente normato e oggi principalmente appannaggio del legislatore europeo, non solo non è d’aiuto agli operatori, ma potrebbe generare confusione.

Il passaggio sull’estensione delle IG ai prodotti non alimentari è trattato in maniera semplicistica, considerato che si tratta di una normativa già ampiamente sviscerata ad altri livelli e, rispetto alla quale, qualunque ulteriore passaggio rischia di essere inopportuno e dannoso. Trattare il tema della pasta, ad esempio, che sottostà già a regole molto rigide, sembra il tentativo malriu-

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 41

scito di porre un punto fermo su questioni più ideologiche che pratiche.

L’istituzione di una “Commissione tecnica che effettua indagini e redige linee guida che identificano le lavorazioni di particolare qualità, anche allo scopo di consentire ai produttori di darne corretta e pertinente evidenza pubblicitaria nell’etichettatura” è un’operazione davvero difficile da comprendere. Qualunque produttore che lo voglia, se le informazioni sono veritiere e supportate da elementi oggettivi, può in etichetta già oggi mettere in evidenza elementi qualitativi. Semmai, invece, ci si dovrebbe preoccupare di altri aspetti come la carenza di cereali e di grano in particolare, in Italia e in Europa, e il fatto che una politica agricola miope, negli ultimi decenni, ci abbia impoverito anche su quel fronte.

In fatto di pasta — ma, a dirla tutta, non solo di pasta —, siamo ottimi trasformatori, ma poveri di materia prima locale. Pertanto i migliori propositi di realizzare prodotti italiani dall’inizio

alla fine si infrangono di fronte alla carenza di materia prima nazionale o regionale. Un problema che nessuna commissione potrà superare, ma che invece andrebbe affrontato sul campo e, in questo senso, il termine non ha un significato solo figurato.

L’articolo sulla certificazione di qualità della ristorazione italiana all’estero a primo acchito sembra persino utopistico, sebbene si comprenda pienamente l’esigenza di fare ordine. Impossibile non tornare con la mente all’indimenticabile scena in cui CHECCO ZALONE, nel film Quo vado?, smonta l’insegna di un ristorante italiano in una città del Nord Europa che proponeva una disgustosa pasta al sugo, visibilmente immangiabile perché cotta in acqua fredda per “soli” trenta minuti! Il siparietto è divertentissimo e pone l’accento su un problema reale.

Ma in un Paese dove non sempre è facile per il consumatore riuscire a degustare al ristorante un prodotto tipico locale, si può pretendere di

entrare nel merito dei menu dei locali esteri, giudicandoli sulla qualità e provenienza dell’offerta per verificare se sia effettivamente conforme alle migliori tradizioni italiane? Monitorare i ristoranti in Italia non è facile, figuriamoci quanto può essere difficoltoso farlo in giro per il mondo! Siamo certi che quel disciplinare che, ambiziosamente, dovrebbe dettare delle regole ai ristoratori di oltre confine, ancora tutto da scrivere, darà seri problemi a chi dovrà predisporlo.

L’Italian sounding è un fenomeno che ci danneggia e che spesso passa attraverso le cucine dei ristoranti all’estero, ma il modo migliore per fronteggiarlo è mettere in grado l’industria nazionale di produrre di più e meglio e di riempire quei vuoti di mercato che altri riescono ad occupare abusivamente con produzioni solo apparentemente tricolori, ma che con l’Italia non hanno nulla a che vedere.

Se da una parte il nostro export è in aumento, nella classifica dei Paesi europei che esportano maggiormente l’Italia resta comunque seconda a diversi Stati, anche ad alcuni che non vantano un patrimonio enogastronomico importante come il nostro, ma che, avendo un’industria forte, nel silenzio dei numeri e senza clamore, ci precedono e ci staccano nettamente. Su questo bisognerebbe riflettere.

Appare di più facile attuazione l’articolo che prevede attività di promozione della cucina italiana all’estero. Tuttavia, due milioni di euro in due anni sono una cifra risibile e, ancora una volta, il rischio che si disperdano le poche risorse in mille rivoli, senza di fatto raggiungere risultato alcuno, è concreto.

Sembra invece avere maggiori possibilità di ricaduta effettiva sul comparto il fondo di supporto al riconoscimento delle certificazioni II.GG. di cui è prevista l’istituzione. Tuttavia, anche in questo caso, le risorse sono limitate e ancora una volta il pericolo è che, una dotazione così esigua, vanifichi il raggiungimento di ogni obiettivo. Non senza spreco di

In merito alle attività di ricognizione dei prodotti industriali e artigianali tipici non è chiaro se siano ricompresi quelli alimentari. Nel caso lo fossero, non si capisce la finalità dell’azione, considerato che da decenni esiste un

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 42
risorse. Nel DDL sulla tutela del made in Italy è prevista anche la realizzazione di un contrassegno ufficiale che potrà essere richiesto dai ristoranti italiani sparsi nel mondo e verrà attribuito a quegli esercizi che garantiscono un’offerta gastronomica realmente conforme alle migliori tradizioni nostrane. In foto una pizza servita da ‘O Munaciello, pizzeria italiana a Miami eletta dal Gambero Rosso tra i Top Italian Restaurants 2023 nella sezione “Le migliori pizzerie”.

elenco ministeriale di PAT che viene rinnovato periodicamente e che, al pari di quanto proposto da questo decreto, non garantisce tutela alcuna. Nel caso invece in cui il Governo abbia semplicemente voluto anticipare Bruxelles, non ci si spiega perché introdurre una norma che presumibilmente, a breve, dovrà essere stralciata.

Sembra più interessante l’ipotesi di una blockchain per la tracciabilità delle filiere, sebbene si tratti di uno strumento già nella disponibilità delle imprese che vogliono certificare la tracciabilità del proprio prodotto e rendere fruibile questa informazione ai consumatori. La direzione presa sia da parte del mercato sia dall’UE è questa, pertanto non si tratta di una vera e propria novità, come non lo è il passaggio sulla contraffazione.

È nobile il tentativo di porvi fine, ma le norme per contrastarla fanno parte del nostro ordinamento da tempo. Altra cosa è farle rispettare e intervenire in maniera efficace dal punto di vista culturale, sanzionatorio e investigativo, perché un fenomeno di così ampia diffusione sia debellato o almeno ridotto.

Tra le righe del decreto non c’è purtroppo una presa di posizione netta e decisa a difesa del made in Italy, qualunque cosa si intenda con questo termine. Non basta stimolare l’orgoglio nazionale per recuperare danni fatti nei decenni alla nostra economia. Bisogna trattenere le imprese nel Belpaese e invogliarle ad investire qui, ricostruendo le filiere e un tessuto produttivo che nel tempo si è disgregato Bisogna ragionare su politiche fiscali che non facciano scappare gli imprenditori o che, peggio, li portino a chiudere, per (s)vendere i marchi a soggetti esteri che delocalizzano la produzione, pur continuando impunemente a sfruttare l’aura di italianità derivata dal nome. L’incentivo maggiore a rivitalizzare la nostra industria, il nostro artigianato e quindi il made in Italy — se anche così lo si intende —, è garantire uno Stato che funziona, infrastrutture all’avanguardia, servizi pubblici e privati efficienti, un apparato amministrativo che non sia da ostacolo ma d’aiuto, una giustizia che si muova in tempi ragionevoli. Così si può ritornare, almeno in parte, ad essere ciò che eravamo.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23

SOSTENIBILITÀ, COME DIMOSTRARLA

Negli ultimi decenni la legislazione comunitaria e quella nazionale hanno avuto come focus la sicurezza alimentare e l’igiene. Oggi il rispetto di questi elementi è dato praticamente per scontato e l’attenzione del mercato va invece verso ambiente, persone, legalità e non solo

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 44

Itemi della tutela degli ecosistemi, della limitatezza delle risorse, dell’inquinamento e della gestione dei rifiuti hanno acquisito centralità, ma vanno di pari passo con l’esigenza del rispetto dei diritti umani, dei lavoratori e dell’equità nella distribuzione dei redditi. Il criterio delle 3 P, Persone, Pianeta e Profitti, introdotto già negli anni ‘90, prende oggi piede, se non per effettiva e diffusa condivisione, almeno perché la realtà delle cose costringe a fare delle scelte in questa direzione. È quindi sempre più diffusa l’idea che le imprese non debbano concentrarsi solo sui profitti, ma che — per il loro stesso interesse — debbano orientare la propria politica tenendo conto anche delle persone, intese come collaboratori, clienti e fornitori, e degli ecosistemi, poiché un tessuto produttivo che distrugge un contesto ambientale è dannoso per tutti, prima di tutto per se stesso.

Questa filosofia di vita e di lavoro si è oggi tradotta in un altro acronimo, ESG, che significa Environmental, Social and Governance, e si riferisce a tre fattori centrali nella misurazione della sostenibilità di un investimento. In questo sistema, i requisiti ambientali esaminano il modo in cui un’azienda impatta sul territorio che la ospita e, in generale, come contribuisce in termini di rispetto per l’ambiente. I criteri sociali rilevano invece il modo in cui l’impresa si rapporta con il capitale umano, come approccia la diversità e le pari opportunità, le condizioni di lavoro, la salute e la sicurezza di chiunque abbia a che fare con essa. I criteri di governance, infine, valutano il modo in cui un’azienda è amministrata, non ultimi la remunerazione dei dirigenti, le pratiche fiscali, la corruzione e l’abuso d’ufficio, la diversità e la struttura degli organi decisionali.

Il principio che sta alla base dell’ESG è che le imprese che hanno maggiori probabilità di avere successo e di generare ottimi rendimenti sono quelle che creano valore per tutti i soggetti che con essa entrano in contatto. Di conseguenza, l’analisi ESG si concentra sul modo in cui le aziende operano nella società e su come ciò influisce sulle loro performance attuali e future.

L’analisi ESG non riguarda infatti solo ciò che l’azienda sta facendo oggi, ma anche la capacità di affrontare eventuali cambiamenti che possono incidere sulla possibilità di sopravvivenza in futuro. Tenere conto di questi elementi nelle decisioni di investimento, significa indirizzare capitali e risorse verso imprese e progetti che garantiscono una certa remunerazione. Una remunerazione che, oltretutto, non è fatta a spese né dell’ambiente, né delle persone. E, in quanto tale, si può considerare sostenibile: una finanza sostenibile. Tuttavia, sebbene esistano sistemi per stabilire un rating ESG, — e che quindi esprime un giudizio sul livello di sostenibilità di soggetti pubblici e privati, di titoli finanziari e di strumenti di investimento collettivo — in realtà non ci sono ancora standard condivisi a livello internazionale per una valutazione univoca. I criteri di misurazione sono ancora variegati e disomogenei e questo fatto, oltre a generare confusione, non dà certezze né possibilità di comparazione obiettiva.

Gli indicatori che oggi si ritengono tra i più autorevoli in termini ESG sono quelli del Global Reporting Initiative (GRI); si è però in attesa degli ESRS (European Sustainability

Premiata Salumeria Italiana, 5/23

Reporting Standards) per l’applicazione dei quali non si dovrebbe, a quanto pare, attendere ancora molto.

Nel frattempo, anche alcuni enti di certificazione si sono attrezzati nel tentativo di dare al mercato, agli investitori e ai consumatori degli elementi di valutazione il più possibile attendibili, sviluppando per esempio disciplinari tecnici allineati con il set di indicatori GRI “Consolidated Set of GRI Sustainability Reporting Standards 2020”, al fine, appunto, di misurare il livello di integrazione dei principi di sostenibilità ambientale, sociale e di governance delle proprie strategie, politiche, obiettivi e attività.

L’Assessment ESG si rivolge a qualsiasi tipologia di organizzazione pubblica o privata, di qualsiasi settore e dimensione che voglia dimostrare il proprio impegno ad integrare i principi ESG all’interno delle proprie attività, permettendo agli stakeholder, interni ed esterni, di formarsi opinioni e prendere decisioni informate in merito.

Esistono però anche sistemi di certificazione rivolti a singoli settori. In campo agroalimentare, del vitivinicolo, per esempio, la norma Equalitas – Vino Sostenibile (www.equalitas.it) è uno schema privato, condiviso, oggettivo e certificabile da un ente terzo, che introduce regole che si applicano a tutti

gli attori della filiera, dagli agricoltori al consorzio di tutela e per tre livelli: l’impresa (standard di Organizzazione), il prodotto finito (standard di Prodotto), il territorio (standard di Territorio).

Anche VIVA è un programma per il settore vitivinicolo ma è l’unico pubblico, di titolarità del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (viticolturasostenibile.org). Misura le prestazioni di sostenibilità della vitivinicoltura in Italia ed è finalizzato al suo miglioramento. Coinvolge centinaia di aziende sia singolarmente che attraverso cantine sociali e consorzi e il numero dei soggetti interessati è in costante crescita. È progettato per le aziende perché permette

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 46

di valutare l’uso ottimale delle risorse e misurare i miglioramenti nel tempo. Ma è utile anche ai consumatori, perché fornisce un criterio oggettivo per verificare la sostenibilità del vino e l’impegno dei produttori sia in campo ambientale, sia socio-economico. In etichetta sono visibili quattro indicatori: Aria, Acqua, Vigneto e Territorio, validati da un ente terzo e garantiti dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Questo consente al consumatore di fare scelte consapevoli e supportate da elementi oggettivi e documentati.

Un altro sistema di certificazione è il GLOBAL GAP (www.globalgap.org), uno standard di buone pratiche agricole

che nasce allo scopo di favorire e certificare un’agricoltura sicura e sostenibile su scala mondiale. È declinato in tre ambiti di produzione: coltivazioni, compresi fiori e piante ornamentali, zootecnia e acquacoltura.

Il Sistema di qualità nazionale benessere animale (SQNBA) è un altro standard nazionale pubblico, disciplinato da un decreto interministeriale nel 2022, che introduce le procedure atte a qualificare l’allevamento di animali destinati alla produzione di alimenti tramite la definizione di processi e requisiti superiori a quelli già previsti dalle vigenti norme in materia. Il sistema rafforza quindi la sostenibilità ambientale, economica e sociale delle produzioni grazie alla certificazione accreditata degli allevamenti e della filiera, introducendo nuovi protocolli che, tra le varie cose, implicano la riduzione dell’uso degli antibiotici e, in generale, una maggiore sostenibilità dell’allevamento. Lo standard è perfettamente in linea con i nuovi orientamenti comunitari che stanno alla base della PAC 2023/2027, del PNRR, nonché della strategia Farm to Fork, che si pone l’obiettivo di far transitare, nel medio periodo, verso una produzione alimentare sostenibile.

La SQNPI (Sistema di Qualità Nazionale Produzione Integrata) invece è uno schema di certificazione che riguarda il mondo vegetale, nel rispetto dei disciplinari regionali di produzione integrata. È riconosciuta anche a livello comunitario (Reg. CE 1974/2006).

È invece di più recente introduzione la UNI/TS 11820:2022, standard che ha il precipuo scopo di misurare la circolarità nelle organizzazioni attraverso una serie di indicatori che creano un sistema di rating. Incentiva e certifica il flusso delle risorse circolari, conservandole, rigenerandole o aumentandole di valore. Permette di migliorare la propria credibilità e affidabilità e nel complesso contribuisce in modo efficace alle priorità definite dal Green Deal UE e dalla riforma 1.1 della Missione 2 del PNRR.

È importante richiamare anche il bilancio di sostenibilità, che ha proprio l’obiettivo di informare gli stakeholder dei risultati economici, sociali e ambientali generati dall’azienda nello svolgimento delle proprie attività. Il

bilancio di sostenibilità contribuisce a far emergere nelle imprese i propri valori sociali e ambientali, rendendo conto degli impatti non finanziari dell’attività verso tutti i soggetti con cui viene a contatto. Normalmente è redatto secondo principi riferibili al già richiamato GRI e attualmente è obbligatorio solo nel settore bancario e assicurativo e nell’ambito profit per le aziende quotate o emittenti titoli obbligazionari di grandi dimensioni, ovvero con numero di dipendenti superiore a 500 e che abbiano un fatturato annuo superiore a 40 milioni di euro o totale dello stato patrimoniale superiore a 20 milioni di euro. Mentre per ora continua ad essere volontaria per la restante platea di aziende. La normativa richiama cinque ambiti di rendicontazione, quali: lotta alla corruzione attiva e passiva, ambiente, personale, sociale e diritti umani

Le certificazioni, qualunque ne sia l’oggetto, hanno il vantaggio di mettere in evidenza elementi che riguardano la vita dell’azienda, di cui talvolta non si ha né completo controllo né piena consapevolezza. Pertanto, anche quando si tratta di standard molto settoriali o con un ambito di indagine limitato, possono contribuire fortemente a migliorare l’efficienza aziendale in generale, soprattutto se non applicate in maniera meccanica e vuota. Per questo, in tutte le imprese, anche quelle più piccole, se ne dovrebbe valutare l’applicazione.

Sul fronte delle certificazioni in materia di sostenibilità c’è però oggettivamente ancora molto da fare, sebbene alcuni strumenti siano già disponibili, soprattutto in ambito agroalimentare. Il rispetto di certi criteri, siano essi sul piano ambientale, dei diritti della persona o della legalità, dovrebbe essere l’elemento che guida qualunque imprenditore a prescindere dagli obblighi di legge e dai vantaggi che ne possono derivare in termini di reputazione e visibilità. Certo è che, quando è anche il mercato a chiedere il rispetto di determinati modelli, il mondo economico si adegua di conseguenza.

Nota

In foto, splendidi vigneti nei pressi di Serralunga d’Alba (CN), nelle Langhe, Piemonte.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 47

Chef… al MASSIMO! 2023

“Sono trascorsi 13 anni dalla prima volta che, di fronte alla nostra storica macelleria nella piazza centrale di Monzuno, sull’Appennino bolognese, ci siamo ritrovati a dar vita ad una emozionante e coinvolgente tradizione: Chef… al Massimo! Ogni anno passato è stato segnato da novità e trasformazioni, interne ed esterne alla nostra azienda e alla nostra famiglia: abbiamo vissuto tanti piccoli e grandi cambiamenti che ci hanno visto realizzare diversi sogni che hanno continuato ad animare e dare un senso alle nostre giornate. Dopotutto i sogni sono la cosa più perfetta della vita, quindi perché avremmo dovuto, dovremmo rinunciarci?!”. Con queste parole la famiglia Zivieri ha presentato l’edizione 2023 dell’evento carnivoro più atteso di fine estate, capace di chiamare a raccolta centinaia di amici, clienti e appassionati della Macelleria Zivieri, oggi anche Fattoria (fattoriazivieri.it) in quel di Sasso Marconi (BO). Un luogo da favola immerso nella natura in cui, lo scorso 3 settembre, abbiamo trascorso insieme ai tanti ospiti una domenica rilassata, tra piatti super selezionati cucinati dai tanti amici chef di Massimo Zivieri. Sempre in suo ricordo, tra la buona musica dell’immancabile FIO ZANOTTI, momenti di spettacolo col giornalista sportivo e performer ALESSANDRO BONAN e un calore che ha scaldato il cuore a tutti noi.

>> Link: www.chefalmassimo.it

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 48 EVENTI
I fratelli Elena, Stefano e Aldo Zivieri.

1) Una bellissima giornata in campagna, nel verde della Fattoria Zivieri, tra buona musica e piatti che celebrano la carne nel ricordo di Massimo, “un vero artista capace di trasmettere, dall’allevamento alla tavola, una storia di saperi antichi e attuali”.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 49
2) La “montanarina” fritta condita con ragù Zivieri firmata Berberè. 3) Riccardo Cecchetti del Ristorante Salumeria Roscioli di Roma. 4) La ciabattina con prosciutto crudo di Mora romagnola stagionato 18 mesi di Fattoria Zivieri, fichi e pecorino bio anaerobico di Ecofattorie Sabine, preparata da Riccardo Cecchetti.

1. Perfetto per Instagram

Volete un esempio perfetto di cosa funziona a livello di immagine su Instagram? Allora è d’obbligo una visita all’account IG del ristorante El Preferido de Palermo al link instagram.com/ elpreferidodepalermo: meraviglioso!!! Noi l’abbiamo scoperto grazie al World Best Steak Restaurants. Ogni foto è un piccolo capolavoro (photo © instagram.com/elpreferidodepalermo).

2. MA! Officina Gastronomica

Un account da seguire è sicuramente quello di instagram. com/ma_officina_gastronomica, l’azienda Ma! Officina Gastronomica che produce salumi incredibili (le mitiche brisaole) per qualità, ricerca e materie prime. Dal 2022 la società è gestita da STEFANO CIABARRI insieme a MATTIA BUTTI e FILIPPO BERTALLI (photo © instagram.com/ma_officina_gastronomica).

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 50 IL FOOD IN RETE
SOCIAL di Elena
1 2

FOOD

3. La Francerie

La sfida de La Francerie? Portare sulle tavole italiane i migliori prodotti dell’enogastronomia francese. Come? “Attraverso la condivisione del patrimonio culinario Made in France per cui l’arte della tavola rappresenta una chiave di eccellenza. Non solo cibo, ma anche savoir faire, cultura, estetica, in un’unica parola: bellezza!”. Prodotti singoli, come il salame al Roquefort in foto, e box da acquistare su lafrancerie.com (photo © facebook.com/LaFrancerieShop).

4. Condimenteria

Il loro business si chiama Condimenteria. Il motivo? “Perché produrre condimenti è la nostra passione, specie se tipici e modenesi: Saba, Mostarda Fina di Carpi, Salamoia Modenese (Aiòun), Savòr, creme e tutto ciò che impreziosisce la tua tavola” si legge su condimenteria.com. “L’accuratezza nello studio delle ricette e nel reperimento delle materie prime locali ci permette di offrirvi prodotti di qualità”. Da provare! (photo © instagram.com/condimenteria).

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 51
Benedetti
3 4

IGP ALLE SEBADAS DI SARDEGNA

Itempi per ottenere il riconoscimento di una DOP o una IGP, si sa, non sono mai brevi. A maggior ragione i produttori sardi stanno festeggiando un risultato che è costato anni di lavoro e l’impegno di tutti, ma che oggi porta uno dei prodotti più caratteristici del patrimonio

gastronomico isolano nell’Olimpo delle eccellenze mondiali. Non poteva essere diversamente per una specialità le cui origini si perdono nel tempo, frutto del connubio tra le tre filiere più importanti della produzione zootecnica e agricola regionale. Un piatto della tradizione pastaria che tuttavia si serve oggi come

dolce e che della pasta mostra tutta la versatilità e la varietà nelle occasioni di consumo. Una leccornia divenuta ormai d’obbligo in qualunque menu tipico che, stranamente, non era stata ancora riprodotta fuori regione.

Dopo un lungo lavoro di predisposizione dell’istanza, un iter amministrativo

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 52 LA QUALITÀ

impegnativo e complesso che ha visto il coinvolgimento e l’esame della richiesta da parte della Regione Autonoma della Sardegna, del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste e, infine, il vaglio puntuale della Commissione europea, si è finalmente giunti ad una tutela che, oltre ad essere

meritata, era anche fortemente auspicata da più parti, nel timore di usurpazioni del nome.

E a proposito di denominazione, essendo presenti sull’isola declinazioni linguistiche differenti, da zona a zona, talvolta anche da comune a comune, il nome registrato comprende diversi

Sebadas di Sardegna ma anche Seadas, Sabadas, Seattas, Savadas e Sevadas… Immancabile nei menu di tutti i ristoranti dell’isola, vista anche la facilità e velocità di cottura, si tratta della sesta pasta alimentare a cui viene riconosciuta l’Indicazione Geografica europea. La terza pasta fresca ripiena per l’Italia, la seconda per la Sardegna. Una specialità le cui origini si perdono nella notte dei tempi

sinonimi: oltre a Sebadas troviamo infatti anche Seadas, Sabadas, Seattas, Savadas e Sevadas

Immancabile nei menu di tutti i ristoranti isolani, complice anche la facilità e la velocità di cottura, nasce come prodotto di autoconsumo nelle case dei pastori, ma oggi è disponibile in molti

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 53

Nata come pietanza unica e salata, un tempo la sebadas veniva servita grande come un piatto piano, per essere poi tagliata a pezzi e divisa in famiglia. Solo in un secondo momento è andata riducendosi nelle dimensioni, sino a ridursi ad una monoporzione che oggi è richiesta sempre più piccola, soprattutto perché si tratta di un dolce che, normalmente, si consuma a fine pasto.

canali commerciali, dai laboratori di produzione artigianale di pasta fresca ai panifici e le pasticcerie, ma anche nelle piccole superfici di vendita e nella Grande Distribuzione Organizzata, da qualche tempo anche del “Continente”, come i Sardi chiamano qualunque regione italiana oltre Tirreno.

Ha un prezzo accessibile ad ogni portafoglio, trattandosi di un prodotto di pasta fresca ripiena, e garantisce un’ottima figura con i commensali, avendo un’immagine decisamente invitante ed esotica ed essendo oggi proposta da molti chef anche con abbinamenti diversi e scenografici, oltre a quelli classici del miele o dello zucchero bianco, come tradizione vuole.

Non delude nel sapore: questo grande raviolo tondo, nella frittura sviluppa bolle, colori e una friabilità gradevolissimi, ma in più al taglio lascia erompere un ripieno filante dove dolce, salato e acidulo si sposano, in un sodalizio insolito e sorprendente. Il

contenuto è infatti un formaggio pecorino, vaccino o caprino, in alternativa tra loro e — nella stragrande maggioranza dei casi — scorza di agrumi, limone o arancia.

Il Disciplinare, nel rispetto delle consuetudini locali che presentano differenze a seconda della zona di produzione, lascia spazio a piccole variazioni, tanto nel ripieno quanto nella sfoglia e nelle dimensioni. Nata infatti come pietanza unica e salata, un tempo veniva servita grande come un piatto piano, per essere poi tagliata a pezzi e divisa in famiglia. Solo in un secondo momento è andata riducendosi nelle dimensioni, sino a ridursi ad una monoporzione che oggi è richiesta sempre più piccola, soprattutto perché si tratta di un dolce che, normalmente, si consuma a fine pasto.

Con le Sebadas di Sardegna IGP giungono a sei le specialità pastarie a denominazione in Italia, a tre quelle di pasta fresca ripiena IG e a due

quelle sarde. Un lista che comprende i Maccheroncini di Campofilone, la Pasta di Gragnano, i Cappellacci di Zucca Ferraresi, i Culurgionis d’Ogliastra e i Pizzoccheri della Valtellina. Tutte IGP.

Le sebadas, come anticipato, racchiudono il fulcro di tre filiere locali, quella cerealicola, quella ovina, bovina e caprina e quella suina, quest’ultima in ragione dello strutto che viene aggiunto nella sfoglia per renderla friabile. Le varianti ammesse dal Disciplinare, nel pieno rispetto della tradizione, non sono che il perfetto riflesso di un’economia che si differenzia leggermente da zona a zona e dove possono quindi prevalere degli elementi anziché altri. Dove era più diffusa la pastorizia, per esempio, le sebadas venivano fatte con formaggio ovino. Dove invece era prevalente l’allevamento bovino, si utilizzava il formaggio vaccino. In zone come il Montiferru vengono tuttora realizzate con Casizolu, in una variante tanto sorprendente quanto pregiata. In passato,

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 54

dove possibile, si utilizzavano anche più formaggi in contemporanea, soprattutto perché l’antica ricetta prevede che il ripieno, prima di essere deposto sui dischi di pasta, venga fatto sciogliere in una padella con la scorza di limone o arancia. Questo procedimento così complesso e ormai purtroppo in lento declino è oggi prevalentemente limitato ai pochi ambienti domestici in cui la produzione avviene ancora per l’autoconsumo.

La prassi, anche nei pastifici di piccole dimensioni, è ora quella di utilizzare per il ripieno dischi di formaggio precedentemente preparato per l’uso, ma non cotto e con risultati ugualmente eccellenti, soprattutto se si impiegano materie prime di qualità.

Le imprese che lo compongono e che per anni hanno operato per il raggiungimento di questo importante obiettivo sono la pasticceria La casa della nonna di Bolotana, il Laboratorio di pasta fresca e pasticceria di Richard Marci di Cardedu, il pastificio Contini Srl di Santa Giusta, il pastificio Calitài di Cagliari, il Pastificio Antonio Cossu Srl di Iglesias, la ditta I Sapori d’Ogliastra di Vito Arra, il panificio La fornarina di Marco Orru di Cagliari, il Biscottificio Demelas di Stintino e La Sfoglia d’Oro di Sassari. Aziende che vantano la maggior produzione e che, in certi casi, per la qualità del loro prodotto, sono state insignite di riconoscimenti importanti. Aziende che tramite l’ufficialità del comitato promotore fanno sapere: “l’acquisizione di questa denominazione porterà grandi soddisfazioni sul piano commerciale, ma questo riconoscimento è innanzitutto uno strumento di tutela del consumatore”

Non ci sono dati ufficiali sulla reale produzione di sebadas, ma si stima che circa 250 pastifici nell’isola producano questa specialità che viene anche realizzata nei panifici, nei ristoranti, nelle aziende agrituristiche e nelle pasticcerie. La produzione complessiva media è di 2 milioni di pezzi annui, pari a circa 1.600 quintali per oltre 2.500.000 euro di fatturato e un numero di dipendenti di circa 150, mentre quello degli addetti, che comprende anche titolari, soci e coadiuvanti, è di 250. Dati che — si spera — possano incrementarsi ulteriormente grazie alla IGP.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23
di M O D ENA A C ETO B A L SAMI C O CONSORZIO TUTELA L’ACETO BALSAMICO è DI MODENA Unico. Autentico. Di Modena.

GRIGIO DEL CASENTINO: È NATA UNA NUOVA STELLA

Siamo nel cuore dell’Appennino tosco-emiliano, nella Valle del Casentino. Qui, precisamente a Soci, nel comune di Bibbiena (AR), da una grande amicizia e da un amore profondo per il buon cibo nel 2021 nasce il progetto Grigio del Casentino (grigiodelcasentino.it). PAOLO LANDI, MASSIMILIANO SENESI e MANILA FIUMICELLI si uniscono per valorizzare la carne di maiali nati e allevati nella Valle, ricca di grassi “buoni”, e realizzare una filiera “chiusa”. Il Grigio del Casentino, infatti, è da sempre una specialità del territorio, ma solo da due anni un “marchio registrato”.

«Massimiliano, per tutti Massi, è un norcino da ben 35 anni» mi racconta Paolo Landi. «Io, invece, arrivo dal mondo della comunicazione e del marketing. Insieme con Manila, compagna di Massimiliano e titolare della macelleria in cui lui lavora a Soci, abbiamo deciso di investire nel progetto e di dare vita a un brand Il maiale Grigio del Casentino nasce dall’incrocio di suini Large White con suini di Cinta senese. I piccoli vivono due mesi con la mamma nelle nostre stalle e per gli altri 12 mesi di vita allo stato semibrado presso gli allevamenti dei nostri 4 collaboratori, che naturalmente hanno sede nella Valle, alcuni addirittura all’interno nel Parco nazionale delle Foreste Casentinesi. I nostri suini, quindi, crescono allo stato semibrado per almeno 14 mesi, seguendo un’alimentazione naturale, basata su una miscela di grano turco, orzo e favino, senza OGM, che noi forniamo agli allevatori. I maiali sono liberi di muoversi nei boschi e per questo la carne

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 56
AZIENDE
Paolo Landi, Massimiliano Senesi e Manila Fiumicelli.
Riserva del Fondatore 24 mesi. Le migliori cosce, pochissimo sale e due anni di riposo: un capolavoro destinato a soli intenditori. L’armonia tra la dolcezza e gli intensi aromi scaturiti dai 24 mesi di stagionatura rende questo prosciutto unico nel panorama del Parma di Qualità. LANGHIRANESE PROSCIUTTI S.r.l. - Via A. De Gasperi, 1 - 43013 LANGHIRANO (PARMA) ITALIA - Tel. e Fax +39 0521 857162 www.langhiranese.it - e-mail: mail@leoncini.com GRUPPO

è più buona, sana, etica e sostenibile. Inoltre, nei nostri salumi non utilizziamo conservanti». «Per queste scelte — aggiunge Massimiliano Senesi — i maiali Grigio del Casentino crescono un terzo in meno rispetto a quelli che vivono in allevamenti intensivi, ma la nostra missione è chiara: creare una filiera corta e di qualità, che non solo garantisca una carne buona, ma che sia anche più sostenibile per l’ambiente e più etica per il consumatore. Non a caso il nostro motto è “del maiale non si butta via niente”: utilizziamo tutti i tagli possibili senza il minimo spreco. In questo modo, rispettiamo l’animale

e diamo valore al tempo e alle risorse impiegate per farlo crescere».

Il laboratorio Grigio del Casentino ha ricevuto il riconoscimento del Bollo CE, secondo il Regolamento UE 853, ed è quindi autorizzato a spedire i prodotti non solo in Italia, ma anche in tutto il mondo. «Il laboratorio — aggiunge Paolo — è automatizzato, con controllo da remoto delle celle, della temperatura e dell’umidità, ma questo non è il nostro unico motivo di orgoglio: anche se siamo operativi col marchio da appena due anni, nel 2022 tre dei nostri prodotti sono stati inseriti nella guida del GAMBERO ROSSO Salumi d’Italia

La Capaccia di Grigio del Casentino, infatti, si è aggiudicata le Tre Fette. La nostra azienda, I Commensali, invece, ha ricevuto il premio “miglior azienda senza conservanti”».

Un’offerta che profuma di tradizione

Tutti i prodotti Grigio del Casentino nascono come espressione di un modo antico e, allo stesso tempo, contemporaneo di concepire la carne: sana, di qualità, etica, gustosa, in tutte le sue declinazioni. «I nostri prodotti sono genuini. Sono quelli che facevano i nostri nonni e anche per questo abbiamo scelto di mantenere i nomi della tradizione: rocchio, sambudello, costoliccio, rigatino», fa notare Landi.

Le linee di produzione sono quattro: I freschi, Il Prosciutto, Gli Stagionati, I Cotti. All’interno della gamma I Freschi rientrano i diversi tagli di carne: arista, capocollo, costata, costoliccio, cotenna, lombata, ossa, rigatino, rocchio e sambudello. La linea Il Prosciutto si compone di 3 diverse stagionature: 24, 36, 48 mesi. Tra Gli Stagionati, invece, troviamo gli altri salumi, insaporiti con spezie naturali, privi di allergeni e senza nitriti, nitrati, coloranti, lattosio e glutine: arista stagionata, capocollo, gota, la coscia 10 mesi, lardo, pancetta arrotolata, rigatino, salame, salsiccia secca, sambudello secco, sbriciolona. I salumi sono disponibili interi o a tranci sottovuoto, in confezione completamente riciclabile. Infine, la linea I Cotti comprende würstel, capaccia e porchetta, che può essere spedita già cotta.

«Ci rivolgiamo prevalentemente a ristoranti di medio-alto livello e a relais, ma tra i nostri clienti ci sono anche enoteche, macellerie e privati» fa sapere Landi.

«Attualmente l’unico punto vendita aperto al pubblico è la macelleria di proprietà di Manila, a Soci, in cui lavora Massimiliano (situata all’interno di un punto vendita a insegna Carrefour Market, NdA), ma in futuro ci piacerebbe aprire un negozio in una città importante. Il nostro obiettivo? Far percepire alle generazioni future un sistema di valori, cercando di far capire loro che si può produrre carne anche senza rompere gli equilibri della natura».

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 58
In alto: la porchetta della linea I Cotti. In basso: affettati di Grigio del Casentino.

Nasce il bosco

CLAI: diventerà un agro-parco

didattico a disposizione del territorio

Sarà un grande polmone verde che regalerà nuovo ossigeno, benessere e momenti di formazione, sport e cultura all’intero territorio di Imola. CLAI, realtà agroalimentare imolese che opera a livello nazionale e internazionale nel comparto salumi e delle carni fresche suine e bovine, ha deciso di dar vita ad un importante intervento di riforestazione che si estenderà su 62.000 metri quadrati sopra i quali sono stati messi a dimora 3.140 piante, alberi e arbusti autoctoni ad alto valore ambientale. Presentato in occasione di “Porte Aperte CLAI”, l’evento che il primo week-end di settembre ha portato a Imola tante iniziative suggestive dando modo di conoscere da vicino come opera la CLAI, il progetto di rimboschimento permanente sorgerà nella frazione rurale di Sasso Morelli e rappresenterà, insieme con la settecentesca Villa La Babina, centro direzionale della cooperativa, e al suo storico parco, la “porta d’ingresso” dell’intero sistema aziendale. «Una nuova tappa di un percorso di crescita continua e in piena sostenibilità» spiega il presidente CLAI Giovanni Bettini. «Imola potrà godere di altri 62.000 m2 di verde e bellezza. Un numero non casuale: 1962 è infatti l’anno di nascita della nostra cooperativa. Questo bosco è un segno tangibile di riconoscenza alla nostra comunità, con cui nel corso del tempo abbiamo stretto un rapporto straordinario e condiviso un grande percorso di sviluppo. Ormai da tempo CLAI, forte dei valori della cultura e della tradizione contadina, ha posto la sostenibilità, ambientale e umana, al centro del proprio modello di sviluppo d’impresa. Un orientamento che è oggi alla base dell’unicità, qualità e gusto dei nostri prodotti. L’appartenenza di Villa La Babina al network Grandi Giardini Italiani garantirà un supporto ulteriore che ci permetterà di studiare le forme ideali attraverso le quali proporre visite guidate, passeggiate ecologiche, eventi culturali e sportivi. La qualità dei nostri prodotti verrà dunque ancor più coniugata alla sostenibilità, in un’esperienza unica di bontà e benessere» (in foto, Alessio Mammi, assessore all’agricoltura Emilia-Romagna, Giovanni Bettini, presidente CLAI, e il vescovo di Imola, Giovanni Mosciatti).

>> Link: www.clai.it

Premiata Salumeria Italiana, 5/23

MARCOZZI: due pastifici, Campofilone ed Amatrice, per un cuore unito

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 60

Un grande classico a Natale: la pasta artigianale da abbinare a qualsiasi condimento per stupire i palati più esigenti e regalarsi un sorriso intorno alla tavola. Quando tutto il mondo si ferma per godere insieme dei momenti più belli, quando le famiglie si riuniscono a tavola come da tradizione, la scelta dei piatti da preparare diventa una piacevole sfida. E noi sappiamo con certezza che un buon piatto di pasta non può mai mancare. Soprattutto quando si tratta di una pasta artigianale fatta con amore e tanta passione.

La pasta Marcozzi è protagonista di numerose tavole durante le feste natalizie in quanto racchiude in sé gusto, semplicità, delicatezza e tanto sapore. E per soddisfare tutti i gusti, la famiglia Marcozzi offre un’ampia gamma di varietà: per gli amanti della pasta all’uovo da combinare con i condimenti più fantasiosi e creativi oppure quelli che preferiscono la pasta di semola di grano duro bio per le ricette più tradizionali.

Di scelta ne sappiamo qualcosa

Si sa, il cibo trasmette le emozioni, illumina i volti delle persone e unisce tutti a tavola. Più che mai a Natale. Da Nord a Sud dell’Italia ogni regione presenta i piatti tipici per le occasioni di Natale. Oggi, con i pastifici a Campofilone e ad Amatrice, Marcozzi brand propone una selezione di paste artigianali create con tanta passione e amore nel territorio delle regioni Marche e Lazio. La pasta a Natale non può mancare mai. Sia questa come un apprezzatissimo regalo sia come uno squisito piatto da accompagnare i pranzi e le cene in famiglia.

Il pastificio Marcozzi di Campofilone produce pasta artigianale essiccata all’uovo di alta qualità. «Ci troviamo a Campofilone, nella provincia di Fermo nelle Marche. La tradizione pastaia ha antiche origini e la famiglia Marcozzi tramanda con cura tutto l’amore insegnato dalla nonna Adelina. Riportano alla memoria le domeniche in famiglia, che rappresentavano i momenti di convivialità e il tempo trascorso insieme».

Da un piccolo laboratorio nascono grandi storie

I fratelli Marcozzi intraprendono il loro percorso da pastai iniziando in un piccolo laboratorio per diventare sempre più importanti a livello nazionale, esportando oggi anche all’estero. La pasta artigianale all’uovo essiccata racchiude in sé una passione per le tradizioni e la valorizzazione del territorio. Per un prodotto di alta qualità ci vuole molta pazienza e tanta dedizione. Gli ingredienti scelti sono selezionati con massima cura: il grano è 100% italiano e le uova da galline italiane, libere di razzolare all’aria aperta. Per ottenere un impasto morbido ed elastico, la semola con le uova deve essere impastata lentamente per almeno 30-40 minuti. Una delle operazioni tipiche dei pastai di Campofilone, che consiste nel disporre manualmente i fili di pasta sui fogli di carta alimentare con la lama di un coltello, è stata preservata dal pastificio Marcozzi e viene eseguita ancora oggi dal personale più abile. I bordi dei fogli

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 61
Un grande classico a Natale: la pasta artigianale da abbinare a qualsiasi condimento per stupire i palati più esigenti e regalarsi un sorriso intorno alla tavola

di carta vengono poi piegati per formare il vassoio in modo da proteggere il prodotto. L’essiccazione della pasta è lenta ed è a bassissima temperatura, per garantire un’alta digeribilità e maggiore resa in cottura. Inoltre, è di facile e veloce preparazione ed assorbe perfettamente ogni condimento, grazie al suo aspetto ruvido e poroso.

L’ampia scelta che oggi ci offre il pastificio Marcozzi permette di proporre dei piatti tradizionali, fantasiosi e sempre squisiti, regalando emozioni a Natale. È possibile scegliere dai formati più classici come i famosissimi Maccheroncini di Campofilone IGP, tagliatelle, pappardelle, sfoglia per lasagna, oppure per particolari ricette in

L’AMPIA SCELTA CHE OGGI CI OFFRE IL PASTIFICIO MARCOZZI DI CAMPOFILONE, DAI FORMATI PIÙ CLASSICI A QUELLI

SPECIALI, PERMETTE DI PROPORRE DEI

PIATTI TRADIZIONALI, FANTASIOSI E SEMPRE SQUISITI, REGALANDO EMOZIONI A NATALE

cucina, tra le speciali fettuccine come al nero di seppia, al tartufo, allo zafferano, ai funghi ed altre uniche proposte.

Mannetti pasta di Antrodoco ed Amatrice: storia, tradizione & qualità

Anche la pasta di semola di grano duro è presente nei menu natalizi con ricette prelibate. La pasta Mannetti di Antrodoco ed Amatrice con la linea Retail Bio soddisfa i palati più esigenti. Grazie alle sue caratteristiche organolettiche è perfetta per ricreare dalle ricette più tradizionali come Gricia, Amatriciana, Carbonara e Cacio e Pepe fino a quelle più elaborate e sotto una nuova veste. Il marchio storico Mannetti è stato rivalorizzato dalla famiglia Marcozzi e attualmente si presenta richiamando orgogliosamente le sue origini e con

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 62

una veste dal tocco moderno e rinnovato. La storia nasce ad Antrodoco e oggi continua nel pastificio Strampelli, di proprietà dei fratelli Marcozzi, che hanno saputo far rinascere un pezzo di storia di cui Antrodoco, un piccolo borgo medievale, si ricorda tutt’ora come periodo di prosperità e ricchezza per questa cittadina.

La pasta artigianale di semola di grano duro è prodotta oggi ad Amatrice, presso lo stabilimento Strampelli, in località Collegentilesco. Situato a oltre 1.000 m di altezza slm, il pastificio è circondato dal Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, nel cuore verde del Lazio. Per la lavorazione si sfruttano tutte le potenzialità che la natura incontaminata circostante può offrire: aria purissima dei parchi e acqua freschissima dalle vicine sorgenti.

Il grano rigorosamente italiano bio è scelto con cura per un prodotto di alta qualità.

La pasta ar tigianale Mannetti è essiccata lentamente a bassa temperatura, acquisendo così un aspetto ruvido e poroso. Tale consistenza della pasta è un ottimo alleato per ogni creazione culinaria, perché assorbe alla perfezione qualsiasi condimento: questo è uno dei nostri segreti di un piatto di pasta da leccarsi i baffi, e a Natale si può! E per rendere l’atmosfera ancora più natalizia, i fratelli Marcozzi hanno pensato ad una Box Bio Mannetti (foto in alto), ottima idea per un regalo. I formati di pasta più amati da tutti gli Italiani ed apprezzati in tutto il mondo sono ideali per creare la vera atmosfera di festa: Mezze Maniche Bio, Spaghetti Bio e Bucatini Bio.

>> Link: www.mannetti.it mannettidal1920

@mannettidal1920

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 63
• Scopri la Box Bio Mannetti: mannetti.it/pages/box-bio

Offishina

E IL SUO GARUM

TRA LE 100 ECCELLENZE

ITALIANE DI FORBES

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 64

In alto: Valerio, Pamela e Danilo Romano. La scorsa estate Forbes ha inserito la loro azienda tra le “100 Eccellenze Italiane 2023”. A sinistra: il Garum dei Romano, condimento a base di pesce fermentato perfetto per condire diverse preparazioni gastronomiche, ad iniziare dai primi piatti.

Officina Ittica Srls, la giovane start-up salentina specializzata nella produzione di insaccati di pesce conosciuti sul mercato con il brand Offishina, la scorsa estate ha ricevuto una e-mail da FORBES. La global media company informava l’azienda, che ha sede a Matino (LE), che era entrata a far parte delle “100 Eccellenze Italiane 2023”. «È stato qualcosa di incredibile, non eravamo pronti a tanto, ma il fatto che tutti i nostri sforzi, la dedizione e l’impegno siano stati riconosciuti ci ha gratificato molto» ci racconta PAMELA ROMANO , che insieme ai fratelli DANILO e VALERIO gestisce l’attività. «Forbes seleziona accuratamente i prodotti richiedendo il rispetto di determinati requisiti. Questa selezione ci ha dato modo di avere una

maggiore visibilità e di ricevere richieste anche da parte di chef stellati. E abbiamo scelto Forbes come trampolino di lancio per due nuovi prodotti: il primo, il Garum dei Romano, è stato messo in commercio ad inizio giugno, mentre il secondo è in fase di perfezionamento e verrà commercializzato probabilmente a fine anno» precisa Pamela.

Il Garum dei Romano

Il Garum dei Romano, in appena un mese, aveva già conquistato non solo gli chef italiani ma anche i ristoratori in Svizzera e Olanda. Si tratta di un elisir-condimento da tavola a base di pesce fermentato, insaporito semplicemente con sale di miniera extra puro ed erbe aromatiche mediterranee. Le confezioni numerate sono prodotte in

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 65

Il “Garum dei Romano” è un liquido ambrato, che ricorda il rum alla vista. Il sapore è lontano dal pesce, con note dolci e speziate, un piacevole mix tra liquirizia e salse orientali. Anche il profumo ricorda quello dei distillati. Innumerevoli sono gli usi in cucina, a crudo e in cottura, in sostituzione del classico dado da cucina, per la marinatura di carne, pesce, verdure, come insaporitore per piatti e zuppe, insalate, sushi. Svolge anche un’azione lievitante durante la panificazione. Inoltre, è un forte ricostituente, rafforza la flora batterica, stimola l’appetito e molto altro.

serie limitata. «Dalla prima produzione abbiamo ottenuto solo 250 bottigliette» prosegue Pamela. «Un “esperimento” ben riuscito, iniziato tra il 2017 e il 2018. Durante la lavorazione per i nostri prodotti sfilettiamo pesci interi, ma molto spesso succede che in alcuni punti sia difficile riuscire a ricavare tutta la polpa, nonostante i vari utensili utilizzati e il minuzioso lavoro manuale.

Sarebbe un vero spreco destinare queste preziose parti anatomiche allo smaltimento di Categoria 3, dato che possono essere sfruttate per qualcosa di veramente grandioso. E così, invece di smaltirle, le abbiamo trasferite in un recipiente e le abbiamo fatte fermentare

insieme a piccoli pesci difficili da lavorare. Mescolando costantemente tutti i giorni e filtrando manualmente il composto abbiamo scoperto, col passare del tempo, la formazione di un liquido che, tramite diversi travasi, abbiamo reso sempre più limpido.

Una vera magia perché, oltre alla possibilità di recuperare quasi tutto il pescato, fatta eccezione per le lische più grosse, si può ottenere una salsa dal gusto gradevole prodotta senza emissione di CO2. Infatti, è il tempo l’artefice di questa trasformazione e non c’è bisogno dell’utilizzo di macchinari, basta avere molta, molta pazienza e tutto si realizza.

La curiosità poi ci ha spinto a fare delle ricerche per scoprire se già in passato qualcuno avesse prodotto qualcosa di simile. Abbiamo richiesto anche l’intervento di una docente esperta in letteratura antica che, attraverso la ricerca nei vari testi latini, ci ha permesso di risalire all’originale ricetta del garum contenuta nel “De Re Coquinaria” del cuoco romano APICIO e alla descrizione del famoso condimento che ne fa PLINIO IL VECCHIO nella sua “Naturalis historia”».

Gli antichi Romani erano ghiotti di garum. Essendo l’elemento principe dei loro banchetti, vennero edificate vere e proprie fabbriche fuori dalle

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 66

mura urbane, adibite alla produzione di questo elisir. I Romani furono infatti i primi a realizzare delle caratteristiche vasche, solitamente scavate nelle rocce per essere impermeabili, in cui le interiora di pesce e il piccolo pescato venivano lasciati a fermentare sotto il sole anche per diversi mesi. In questa rete di lavorazione venivano impiegati molti operai: c’era chi si occupava dell’eviscerazione dei pesci, chi della salatura e chi del filtraggio. Il quantitativo di sale era importante per non far imputridire il pesce e veniva dosato nei giusti quantitativi affinché la salsa non risultasse molto sapida.

Una funzione importantissima era svolta dalla presenza delle interiora che, grazie agli enzimi contenuti all’interno, permetteva la fermentazione naturale. Sebbene le origini fossero veramente antichissime, infatti, già in Oriente si preparava questa salsa: i Romani, con le conoscenze ottenute attraverso i Fenici e i Greci, ne fecero un vero e proprio business.

Esistevano diverse ricette, quella con i pesci e le spezie più pregiati, a volte addolcita con il miele, per i nobili, una versione più comune per il popolo e una dal gusto più deciso, ottenuta da pesci più economici e meno filtrata, destinata agli schiavi. Una delle versioni più raffinate era destinata a combattenti e cavalli che andavano in battaglia.

Il motivo per cui questa salsa prodigiosa era così amata? Già all’epoca alcuni studiosi si erano occupati di elencare le molteplici proprietà benefiche del garum. Come testimoniano i testi del sopraccitato Plinio il vecchio, le proprietà curative erano infinite, tanto che nelle antiche farmacie sono stati rinvenuti diversi contenitori di garum. «E

questi sono i motivi per cui noi, famiglia Romano, abbiamo deciso di chiamare la nostra salsa: “Garum dei Romano. L’evoluzione arriva dal passato”» puntualizza Pamela Romano.

«Anche noi abbiamo condotto delle indagini: dalle analisi in laboratorio abbiamo scoperto un incredibile concentrato di probiotici e, dallo studio effettuato per determinare i valori nutrizionali, è emerso che la percentuale di sale contenuta è veramente bassa Confrontando le etichette con prodotti simili come la colatura di alici o altre salse di pesce, la differenza è notevole. Il minimo quantitativo di sale extra puro di miniera rende la salsa poco salata, proprio perché è un sale naturale di cava e non è trattato chimicamente. Inoltre, gioca a nostro favore sia l’alta qualità della materia prima pesce che il delicato uso di spezie mediterranee. Per di più ha una lunga conservazione: praticamente non scade mai!».

Il Garum dei Romano, prima ancora di essere commercializzato, aveva già partecipato a dei test con degustazione alla cieca nel 2021, ricevendo la medaglia d’oro e il top 50 al mondo nel concorso “International Taste Awards”; in seguito, sono arrivati altri prestigiosi riconoscimenti, tra i più recenti quello di Forbes. «Inoltre, ha suscitato l’interesse delle telecamere di Geo, che sono entrate nel nostro laboratorio per documentare alcune fasi di lavorazione e, nella prossima stagione, verrà trasmesso un interessante servizio» prosegue Pamela.

«La commercializzazione è avvenuta solo adesso per diversi motivi. Dovevamo creare un packaging ad hoc: infatti abbiamo scelto le bottiglie “antica farmacia”, con tappo contagocce in legno per richiamare appunto un

IL MINIMO QUANTITATIVO DI SALE EXTRA PURO

DI MINIERA RENDE LA SALSA POCO SALATA.

A CIÒ SI AGGIUNGONO UN’ALTA QUALITÀ

DELLA MATERIA PRIMA PESCE E IL DELICATO

USO DI SPEZIE MEDITERRANEE. INFINE, LA

LUNGA CONSERVAZIONE DEL GARUM DEI

ROMANO: PRATICAMENTE NON SCADE MAI!

po’ lo stile di una volta e poi volevamo avere più informazioni possibili, grati per essere riusciti a risalire attraverso questo splendido percorso storico». Nel frattempo il garum ha fatto il suo affinamento nei cariteddhi, botticelle di rovere usate in Puglia per conservare il vino. Il risultato finale è un liquido ambrato, alla vista ricorda il rum, il sapore ormai è lontano dal pesce, con note dolci e speziate, un piacevole mix tra liquirizia e salse orientali e il profumo ricorda quello dei distillati.

«Possiamo affermare che siamo, in un certo senso, riusciti a far rivivere la storia. Infatti, grazie al tempo, il Garum dei Romano non è più una salsa dal gusto sapido e dall’odore forte che deve essere per forza diluita con altri elementi per diventare commestibile, ma diventa così un concentrato di “umami”, esaltatore di sapori.

Innumerevoli sono gli usi in cucina: sia a crudo che in cottura, in sostituzione del classico dado da cucina. È indicato nella marinatura di carne, pesce, verdure, per primi piatti e risotti, zuppe, insalate, poke e sushi; inoltre, svolge un’azione lievitante durante la panificazione».

Si scopriranno sapori talmente sorprendenti che sarà difficile non averlo nella propria cucina! Sostituisce l’uso del sale, quindi è indicato nelle diete iposodiche, è un forte ricostituente, rinforza le difese immunitarie, rafforza la flora batterica, stimola l’appetito e molto altro. È una fonte di ricerca e ci auguriamo che presto venga studiato dalle università.

In passato abbiamo effettuato degli studi sul nostro Pescatorino® (fermentato di tonno e pesce spada con aggiunta di ricciola e altri pesci pregiati, NdR) tramite l’Università di Ancona, finanziati dalla Regione Marche e le scoperte sono state notevoli. Avremmo voluto continuare gli studi con il Garum, dato che abbiamo delle ottime basi a sostegno di ciò, ma la Regione Puglia non ci ha aiutati. Un vero peccato: con rammarico abbiamo trovato chiusa questa porta ma ci auguriamo che qualcuno ci sostenga in questo progetto. Nel frattempo perfezioniamo il prossimo lotto di Garum e ci concentriamo sui prodotti futuri».

>> Link: www.offishina.it

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 68

Cacio di Afrodite Il Fiorino: è il miglior prodotto italiano al mondo

Il Cacio di Afrodite del caseificio Il Fiorino ha conquistato la Golden Fork from Italy nell’ambito del concorso Great Taste Awards, organizzato da The Guild of Fine Food. Sempre nella stessa giornata Il Fiorino aveva conquistato 9 medaglie, di cui quattro ori, al Mondiale du Fromage di Tours in terra francese. Pecorino semicotto stagionato, maturato in una grotta naturale scavata nella roccia di Roccalbegna, il Cacio di Afrodite si distingue per la forma allungata, il gusto equilibrato, piacevole ed armonico, e un sapore mediamente intenso con sentori di latte e frutta secca. «Abbiamo seguito in diretta la premiazione e siamo letteralmente esplosi di gioia» spiegano Angela Fiorini e Simone Sargentoni de Il Fiorino. «Vogliamo ringraziare la nostra famiglia, soprattutto le nostre figlie, che hanno sempre supportato e sopportato il nostro lavoro, fatto di sacrifici, assenze e di tanti momenti belli ma anche bui. Già fare impresa in Italia è difficile, ma portare avanti un’attività artigianale dal 1957 con questi risultati da un piccolo paese alle pendici del Monte Amiata molto spesso è un’impresa titanica. In circa 70 anni di storia abbiamo mantenuto alcuni fondamentali punti fermi. Il primo è la qualità delle materie prime, a cominciare dal latte: proveniente solo da allevamenti ovini di Maremma. Il secondo è la cura in ogni dettaglio: dal latte alla selezione dei prodotti per gli aromatizzati, fino al sale, al caglio o al legno per le assi di stagionatura. Il terzo punto fermo è l’artigianalità. Ogni forma è lavorata a mano, toccata, girata e accompagnata in tutte le fasi del processo caseario. Tutto questo, insieme alla nostra energia e alla nostra passione ci porta a ottenere risultati straordinari che, siamo sicuri, non finiranno oggi, ma cresceranno ancora insieme all’entusiasmo e alla voglia di rappresentare l’eccellenza del made in Italy».

>> Link: www.caseificioilfiorino.it

SALUMI DA CUOCERE: LA “SALAMINA” DI FERRARA PER TUTTE LE STAGIONI

Nel complesso panorama della salumeria italiana, meritano un capitolo a parte i salumi “da cuocere” , intendendo così i salumi da gustare caldi, dopo essere stati adeguatamente cucinati, differenziandoli da quelli, come il prosciutto cotto o la mortadella di Bologna

IGP, che vengono sottoposti a cottura soltanto durante la fase di produzione. Il cotechino e lo zampone sono, senza dubbio, i due insaccati più noti nel panorama internazionale, ma molti altri salumi da cuocere meriterebbero la stessa fortuna, a cominciare dalla Salama da sugo

Salume di antichissima e nobile origine, la salama da sugo, originaria della città di Ferrara, mantiene ancora oggi un fascino irresistibile, sia per il gusto che la contraddistingue, sia per le particolarità della sua preparazione e cottura. Da oltre cinque secoli è una delle specialità gastronomiche più

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 70 PRODOTTI TIPICI
Salumi cio Ferrari Erio & C. S.p.a. – Via Canaletto Nord, 565/A – 41122 MODENA – ITALY Tel. +39 059 310015 – Fax +39 059 450251 – E-mail: info@salumiferrari.it

apprezzate della cucina ferrarese. Le sue origini si perdono al tempo della Corte Estense, tanto che una leggenda attribuisce il merito della sua diffusione a LUCREZIA BORGIA che, andata in sposa agli inizi del ‘500 al DUCA ALFONSO D’ESTE, fece della salama da sugo il piatto forte degli innumerevoli banchetti da lei organizzati. La ricetta messa a punto da CRISTOFORO DA MESSISBUGO, scalco della Corte Estense, è stata via via semplificata dai pochi artigiani che oggi producono la Salama nel rispetto della tradizione.

L’impasto per la preparazione della “salamina”, così chiamata affettuosamente dai Ferraresi, prevede ingredienti nobili come la goletta, il capocollo, la pancetta, la spalla, il fegato e la lingua di maiali allevati localmente. Per la concia si utilizzano vino rosso (sono ammessi: Fortana, Merlot del Bosco Eliceo, Sangiovese di Romagna, Lambrusco, Refosco), sale, pepe ed eventualmente spezie, tra cui cannella, chiodi di garofano e noce moscata. I diversi tagli anatomici del maiale vengono lavorati

Tagliata a fette o a spicchi, la salamina ferrarese viene consumata calda, rimuovendo la parte superiore ed estraendo la carne con un cucchiaio. La si accompagna di solito con abbondante purè di patate, che ha la doppia funzione di contorno e componente necessaria alla diluizione del suo sapore intenso

manualmente con l’ausilio di un coltello, per consentire un’accurata rifilatura della carne e la completa asportazione delle parti tendinose esterne. La carne viene, quindi, lasciata riposare nel vino e negli altri ingredienti aggiunti per un minimo di 2 ore, fino ad un massimo di 120 ore, come prevede il Disciplinare di produzione.

L’insacco avviene nella vescica del suino, ripulita e conservata sotto sale. Si procede alla legatura rigorosamente a mano con lo spago e/o anello elastico per conferire al prodotto la tradizionale forma “a melone” a 6/8 spicchi.

Essenziale per la qualità della salama da sugo è la stagionatura, effettuata al buio, in locali a temperatura costante. In passato, la si lasciava riposare anche fino a due anni, oggi si superano di rado i sei mesi. Una volta stagionata, la salama va controllata con un semplice sistema diagnostico, la piombatura, cioè la si immerge in un recipiente d’acqua fredda e si attende che vada a fondo, altrimenti, se galleggia significa che ha delle anomalie dovute alla presenza di bolle d’aria che possono aver irrancidito il salume.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 72

Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.

FRANCESCHINI GINO & C. SRL Via dei Marmorari, 38 - 41057 Spilamberto (Mo) Tel. + 39 (0) 59784037 - Fax +39 (0) 59784075 - info@franceschinigino.it - www.franceschinigino.it
ph: Franceschini Vincenzo

RARITÀ A TAVOLA: L’UMBRIA

CI FA SOGNARE CON IL CICOTTO DI GRUTTI

Anord di Perugia, tra Gubbio e Città di Castello, si entra in un’Umbria chiusa e segreta, una terra di confine ferrigna che già profuma di Toscana, di Marche e di Romagna. Il paesaggio si lascia alle spalle la fiorente dolcezza umbra per diventare poco a poco più spoglio e severo. Città fortificate e castelli medievali si alternano alle grandi abbazie benedettine, mentre le prime vette dell’Appennino trovano slancio dietro le colline che circondano la Valle del Tevere.

Le monocolture di queste zone dipingono di colori inediti le campagne, senza alterare il retaggio di rustica semplicità. Funghi e tartufi, formaggi freschi e stagionati, salsicce e salumi, porchetta e carni, olio e vino, sono i

sapori forti attraverso i quali questa regione esprime un legame antico con la cultura contadina.

Proseguendo verso sud, si arriva in un piccolo borgo medioevale, Grutti, frazione di Gualdo Cattaneo, in cui si porta avanti una secolare tradizione gastronomica tutelata dal presidio Slow Food: il Cicotto, una gustosa porchetta ottenuta da diversi tagli del maiale. La prima menzione ufficiale del cicotto risale al 1570, quando BARTOLOMEO SCAPPI, cuoco dei papi Paolo III e Pio V, dà alle stampe l’Opera, un imponente ricettario in sei volumi in cui, con questo termine, identifica il cosciotto e la zampa del maiale. Storicamente ogni famiglia, a Grutti, lo preparava, cuocendolo nel forno comunale — tuttora esistente ma in disuso —, dal quale si spandeva con-

tinuamente una fragranza che invadeva la piazza e le stradine del paese.

La sua lunga e paziente preparazione si è tramandata di padre in figlio, dagli anziani fino agli attuali produttori. In paese oggi ci sono solo due produzioni di cicotto, gestite da eredi di questa tradizione e produttori di porchetta per professione: il laboratorio di ENRICO NATALIZI e dei figli ROSELLA e FABRIZIO (www.laporchettadigrutti.it), e nella norcineria di LUCA e MAURO BENEDETTI (www.porchettadigrutti.it). Portano avanti la tradizione degli abitanti della zona, lavorando in strutture ammodernate, ma senza aver cambiato la tecnica di lavorazione originale.

A differenza di altre zone dell’Umbria, dove si tramandano preparazioni simili, fatte solo con lo stinco del maiale,

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 74
di Chiara Papotti

la tradizione di Grutti prevede la cottura molto lenta, dalle 9 alle 12 ore, ad una temperatura di circa 200 °C, di orecchie, zampetti, stinco, lingua, trippa e altre interiora del maiale.

Le carni così miscelate sono poste al naturale dentro una vasca e quindi nel forno sotto la porchetta, in modo da raccogliere il grasso e le spezie usate in cottura, una miscela di rosmarino fresco, aglio rosso della vicina Cannara, pepe nero e finocchio. Terminata la cottura, si lascia raffreddare, si scolano grasso e liquidi di cottura in apposite ceste e il cicotto è pronto per il consumo.

I Gruttigiani lo utilizzano per dare sapore alle zuppe di legumi, soprattutto ceci e fagioli, o in un insolito abbinamento con le lumache, particolarmente diffuse nel Ternano.

In alto: il cicotto di Grutti. Intenso, con una consistenza morbida, succosa e dalle note affumicate al naso, in bocca rivela tutta la sua sapidità e speziatura. Il nome trova le sue radici nei trattati di cucina del Cinquecento, quando con tale termine era identificato il cosciotto e quindi la zampa dell’animale. A sinistra: Gualdo Cattaneo (PG), di cui Grutti è una piccola frazione.

E siccome la tradizione contadina insegna che nulla deve essere gettato, il grasso colato — detto ‘ntocco in dialetto — alcuni lo impiegano ancora per condire la pasta e dare sostanza a sughi, minestre e piatti poveri.

Il cicotto è da considerarsi un’autentica rarità, tanto che Slow Food dal 2012 si impegna a promuoverne la conoscenza e la vendita nei mercati regionali. La materia prima per la produzione arriva da allevamenti della media Valle del Tevere e i suini sono allevati in condizioni di benessere animale e alimentati con cereali coltivati in azienda, senza l’utilizzo di organismi geneticamente modificati.

Morbido, succoso, speziato, con un irresistibile sentore di affumicatura che avvolge prima l’olfatto e poi il palato, il

cicotto di Grutti è un presidio, come del resto tutti i prodotti tutelati da Slow Food, che ha la fortuna di essere protetto concretamente e moralmente dai territori, oltre a garantire un valore economico fondamentale per il funzionamento delle microrealtà imprenditoriali.

Eccellenze di altissimo livello, espressione di piccoli o medi territori che hanno compreso l’utilità di riprendere a coltivare e realizzare prodotti che stavano perdendosi, sino a rischiare la scomparsa. È bello sapere che resistono sul mercato, per quanto di nicchia essi siano. Ma non per forza una cosa buona e fatta bene deve essere per tutti o bisogna trovarla facilmente, anzi. Nel caso del cicotto di Grutti godiamoci il lusso della sua rarità.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 75

Mortadella Bologna IGP, vendite

ed

export UE in crescita nei primi 6 mesi dell’anno

Nei primi sei mesi del 2023 sono stati prodotti 18,9 milioni di kg di Mortadella Bologna IGP e venduti oltre 16,1 milioni di kg. Rispetto allo stesso periodo del 2022 la produzione è cresciuta del 3,8% e le vendite del 4,1% (dati: IFCQ certificazioni). L’affettato in vaschetta conferma la tendenza di fondo ad una costante crescita, registrando un aumento del 7,4%. In Italia la GDO si conferma il principale canale di vendita con una quota del 54,9%, seguita dal Normal Trade, 28,6%, e dal Discount, 16,5%. Il 20,5% delle vendite è destinato alle esportazioni, prevalentemente nei Paesi UE, tra quest’ultimi Francia e Germania rappresentano i principali mercati di riferimento, con quote del 30% e del 25%. In generale, le vendite in UE hanno registrato complessivamente un aumento del 6,7% rispetto al 1o semestre del 2022. In particolare, in Germania e Spagna le esportazioni di Mortadella Bologna IGP sono cresciute a doppia cifra, registrando un incremento, rispetto ai primi sei mesi del 2022, rispettivamente del 13,3% e 12,4%. «È motivo di grande orgoglio constatare che, nonostante il momento difficile per l’economia europea e soprattutto italiana, la Mortadella Bologna IGP continui ad essere uno dei prodotti alimentari ad Indicazione Geografica più amato dagli Italiani e sempre più apprezzato all’estero» dichiara GUIDO VERONI, presidente del Consorzio italiano tutela Mortadella Bologna. «La crescita del 4,1% delle vendite sul mercato interno assume quindi particolare rilievo perché conferma che la scelta del Consorzio di puntare sulla comunicazione delle caratteristiche qualitative uniche e inimitabili del prodotto risulta premiante, in termini di apprezzamento e vendite, in quanto va proprio ad intercettare il bisogno manifestato dal consumatore finale nel preferire un prodotto di alta qualità, tutelato e garantito dal marchio comunitario di Indicazione Geografica Protetta».

• La comunicazione dei dati di produzione e vendita è un’iniziativa che rientra nel programma di “DELI M.E.A.T. Delicious Moments European Authentic Taste”, il progetto promozionale e informativo che unisce tre consorzi agroalimentari per la tutela dei salumi DOP e IGP, cofinanziato dall’Unione Europea e rivolto al mercato italiano e francese. La campagna prevede la promozione delle seguenti eccellenze alimentari: Mortadella Bologna IGP, Salamini Italiani alla Cacciatora DOP, Zampone Modena IGP e Cotechino Modena IGP con l’obiettivo di contribuire ad aumentarne il livello di conoscenza e riconoscimento e la competitività e il consumo consapevole in Italia e in Francia.

>> Link: mortadellabologna.com

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 76
ONED M NAZIONE D ORIGINE PR O ATTET

Festività in arrivo, È VISUAL NATALIZIO

VETRINE, DETTAGLI E STILI

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 78 VISUAL

Scrive Luca Bianco su cavalieriretail.com che “i retailer vincenti a Natale saranno quelli che avranno la capacità di tramutare l’ingresso in store in un’esperienza che ‘lascia traccia‘ e desiderio di riviverla. Molte volte, sono solo vetrine; qualche volta, trasmettono belle ispirazioni; poche volte, trasmettono emozioni belle che durano nel tempo”. Nella foto in alto una vetrina che interpreta la visione tradizionale del Natale, molto ricca, quasi eccessiva, che rimanda all’abbondanza e alla prosperità.

Il Natale, tra riti e tradizioni, consumismo e religiosità

Manca poco, pochissimo, a quel periodo frenetico che anticipa le festività natalizie che per i titolari di salumerie e botteghe alimentari rappresenta il picco di fatturato e di lavoro dell’anno. I maestri salumieri e gli operatori del settore ne sono ben consapevoli e sanno che il punto vendita dovrà trasformarsi in un luogo ancora più coinvolgente e attraente per clienti abituali e non, favorendo la loro permanenza e spesa.

“Allestire un negozio per Natale vuol dire decorazioni (che devono essere coerenti tra esterno e interno), ma anche attenzione alla percorribilità del negozio e allestimento dei prodotti di punta in modo che siano reperibili e di facile presa, in zone visibili come per esempio tavoli posti in ingresso o pareti focali” sottolineano i partner di PROSPETTIVE CREATIVE, che si occupano della valorizzazione delle realtà indipendenti in diversi settori merceologici, oltre che di consulenza in materia di

visual merchandising e di formazione. “Fondamentale anche esporre i prodotti di primo prezzo secondo una logica massificata dove il cliente si serve da solo per velocizzare le vendite”

Scrive LUCA BIANCO, senior retail consultant di CAVALIERI RETAIL, riferimento nell’ambito visual merchandising e store communication che “il visual merchandising è la capacità di comunicare qualcosa senza parlare; talvolta persino di emozionare, quando è veramente eccellente. Il Natale è un’occasione particolare che fa emergere ricordi legati a vie illuminate e vetrine scintillanti. Il tema natalizio è sempre stato il più atteso, da coloro che si occupano dell’identità visiva di uno store; l’obiettivo è mettere in atto tutta la creatività per rendere l’atmosfera più ‘immersiva’ possibile, catturare l’attenzione e far scattare un regalo d’impulso”

E ancora, “Gli elementi che contraddistinguono questo tipo di allestimento, sono quelli presenti anche durante gli altri eventi dell’anno: illuminazione, colori, scenografia… ma tutto viene potenziato al massimo!”

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 79
Premiata Salumeria Italiana, 5/23 80
1) Ghirlanda, un classico dell’addobbo natalizio. 2) Anche una scritta al neon da applicare su una parete può essere un’idea di allestimento. Poco costosa e di grande impatto. 3) Luci e lucette sono un must. A Natale ancor di più. 4) Classico albero di Natale dentro o fuori dalla bottega. 5) Un addobbo ricco, dai colori chiari e luminosi.

I suggerimenti di Studio Comunicazione Visiva I professionisti di Studio Comunicazione Visiva, da oltre trent’anni un punto di riferimento in tutta Italia nella vetrinistica e nel visual merchandising, hanno sviluppato qualche idea e suggerimento che riportiamo (studiocomunicazionevisiva.com/magazine/allestire-vetrinenatalizie-gastronomie-alimentari):

• OCCASIONI UNICHE: l’aspetto più importante è puntare proprio sulla “specialità” del prodotto natalizio, sulla sua esclusività e sulla limitazione temporale per poterselo concedere: insomma, la chiave è considerare i prodotti gourmet natalizi esattamente come una limited edition nel settore dell’abbigliamento o della cosmetica. Le vetrine natalizie per gastronomie e negozi di alimentari dovranno quindi esporre i prodotti più rari, ricercati, esclusivi, particolari, quelli che si tengono in negozio solo in quel periodo, prodotti dal packaging ricercato e adatti ad essere regalati;

• SPECIALITÀ: le pasticcerie concentreranno il focus delle proprie vetrine sui propri prodotti migliori — prodotti di punta, creazioni esclusive o per i quali la pasticceria è la più famosa — e sulle versioni speciali dei classici dolci natalizi (pandori e panettoni con farciture particolari e ricercate). Se vogliamo davvero deliziare il cliente e proporgli un regalo “chiavi in mano” (e abbiamo la possibilità di farlo, leggi la licenza) possiamo presentare in vetrina pacchetti già abbinati di dolce e vino d’accompagnamento;

• DECORAZIONI NATALIZIE: la decorazione che accompagnerà i pacchetti in vetrina dovrà essere sapientemente dosata per esaltare il tipo di prodotto, il suo packaging e l’atmosfera che trasmette. Pensiamo, ad esempio, ad un liquore importante o ad un vino invecchiato, da meditazione: la sua “collocazione” ideale è un momento di relax davanti al camino, per cui anche l’allestimento della vetrina dovrà essere

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 81
Colore e profumo creano immediatamente l’atmosfera delle feste.

In alto: per chi preferisce una bottega più essenziale e dallo stile più contemporaneo ecco l’idea di un piccolo allestimento Barbie style. In basso: sempre seguendo il mood dell’essenzialità, un’idea a costo zero per decorare l’interno della bottega, che richiama la tendenza green e quella del naturale.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 82

“Non c’è festa senza banchetto”: in tutte le culture, la festa trova la sua prima espressione nel cibo, nell’insolita abbondanza, nelle specialità particolari che si preparano appositamente per l’occasione e nella loro condivisione a tavola in buona compagnia

improntato allo stesso “sentiment”;

• ABBONDANZA: l’aspetto peculiare delle vetrine natalizie di gastronomie, pasticcerie e negozi di alimentari è quello dell’abbondanza. Rispetto ad altri tipi di attività, dove il minimalismo può essere una scelta vincente, in questo periodo dell’anno per esaltare ulteriormente il prodotto e aumentarne il valore percepito è innegabile che una vetrina molto ricca di prodotti alimentari, di ceste cariche di pacchetti e di tanti prodotti impreziositi da confezioni eleganti è una gioia per gli occhi e una promessa di gioia

per il palato

• EQUILIBRIO: l’unica raccomandazione è quella di avere cura di realizzare un allestimento ricco ma comunque equilibrato, in cui ogni prodotto ha il proprio giusto spazio vitale, e di non cedere terreno all’aspetto confusionario: curato questo aspetto generale, largo alle vetrine pantagrueliche!

Fonti

• prospettivecreative.it

• cavalieriretail.com

• studiocomunicazionevisiva.com

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 84
Vetrina ricca di elementi, tra luci e decorazioni.

IL GELATO ARTIGIANALE FINISCE NEL PIATTO: NASCE QUELLO

GASTRONOMICO

Una recente tendenza è quella di proporre gelati dolci o salati abbinati a preparazioni di cucina. Non solo per il dessert, ma anche per le portate principali o abbinato a stuzzichi salati per l’aperitivo.

La nuova frontiera del mondo della gelateria: il gelato gastronomico

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 86
IL BUONO SECONDO LARA

In alto: spigola marinata, gazpacho e gelato alla mandorla amara. In basso: melanzana alla brace, lardo e gelato al pistacchio salato

(photo © Matteo Zanardi).

Il gelato artigianale lo conosciamo soprattutto nella sua versione dolce. Perfetto dessert e merenda golosa, appassiona tutti, sia gustato sul cono che nella coppetta. Non bisogna mai però porre limiti alla fantasia e alla creatività: ed ecco che il gelato infatti viene oggi servito a tutto pasto, in abbinamento ai prodotti della gastronomia, come carni, pesci, salumi e formaggi, in un connubio che non è provocazione, ma vero e proprio godimento gastronomico!

Tuttavia, affiancare materie prime e gelato non è cosa banale. Non basta mettere i due elementi sullo stesso piatto per proporre qualcosa di innovativo e originale. La preparazione del gelato gastronomico, sia nella versione dolce che salata, richiede un’attenzione particolare. Lo zucchero è un elemen-

to fondamentale al fine di garantire l’azione anticongelante (evitando così la formazione dei cristalli di ghiaccio), ma nel campo del gelato gastronomico è fondamentale tenere a bada e limitare il suo potere dolcificante. Per questo motivo, la scelta delle corrette materie prime e lo studio della tecnica di produzione del gelato risultano fondamentali a garantire la buona riuscita dell’abbinamento.

E non è solo una questione di gusto. Se è vero che il gelato gastronomico aggiunge il sapore dolce, ma anche la nota lievemente sapida, il suo apporto maggiore riguarda sicuramente la parte aromatica, in relazione alla tipologia di gelato che abbiamo scelto di aggiungere, e la parte tattile: se servito accanto ad una pietanza calda, può regalare un piacevole gioco di temperatura e consistenza.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 87

Il gelato gastronomico può essere servito anche nel panino, ad esempio, per una merenda o un pranzo veloce nel periodo estivo.

Dalla creatività e dalla sinergia tra chef e gelatieri possono nascere gelati di tutti i tipi, come quelli al formaggio, dal Gorgonzola DOP al Parmigiano Reggiano DOP, o quelli ai salumi: pen-

sate al gelato alla mortadella servito addirittura sulla pizza!

C’è anche chi, tra gli chef più famosi e blasonati, ha creato il gelato al cappero (CARLO CRACCO), ma anche quello al pane (DAVIDE OLDANI). Tra i gusti più classici, invece, molto utilizzato il pistacchio salato, ma anche sorbetti a base di verdura.

Originali e creativi sono invece i gusti ispirati ai piatti della tradizione regionale italiana, come il gelato al baccalà mantecato o quello aglio, olio & peperoncino. Immaginate quest’ultimo servito con degli spaghetti al dente? E poi il gelato all’acciuga, quello agli spinaci saltati nel burro o il gelato alla maionese. Non ci sono limiti alla creatività.

Come è ovvio che sia, l’approccio non può essere quello tradizionale al cono, ma fondamentale è il suo utilizzo in cucina: il tocco creativo per valorizzare abbinamenti e preparazioni anche tra le più classiche. Una nuova opportunità per la ristorazione, ma anche per la bottega gastronomica

Come riconoscere un buon gelato

Non snaturare questa preparazione è fondamentale: il gelato artigianale è infatti uno dei prodotti simbolo di italianità in tutto il mondo. Ecco quindi alcune caratteristiche che deve necessariamente possedere nella sua versione tradizionale, ma anche in quella gastronomica. Il colore non deve essere troppo acceso, mai fluorescente, così come la presentazione: meglio diffidare degli eccessi. Il colore deve ricordare la materia prima con cui è stato fatto.

Un fattore positivo, laddove sia possibile, è rappresentato dai pezzetti di ingredienti caratterizzanti ben visibili e omogeneizzati al resto della massa golosa. All’assaggio, è bene prendere una porzione non eccessiva con la lingua (o la palettina) e fare una leggera pressione sul palato, espirando. Il gelato si riscalderà appena e sarà possibile percepirne meglio il gusto, ma anche l’aroma per via retro-nasale.

È bene diffidare dai gelati eccessivamente zuccherini e la buona regola vorrebbe che si debba percepire chiaramente e senza indugi il gusto che si è scelto. Anche le sensazioni tattili saranno ben percepibili comprimendo il gelato sul palato: come la cremosità e la grassezza, che non deve mai essere eccessiva. Così come non si devono percepire cristalli di ghiaccio. La loro presenza indica una non corretta gestione delle temperature.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 88
In alto: gelato al gazpacho (photo © Matteo Zanardi). In basso: gelato agli spinaci saltati al burro (photo © Stefano Caffarri).

WÜRSTEL, GRANDE FIGLIO MINORE DEL MORTAIO

I würstel possono essere fatti con vari tipi di carne. I più classici sono di suino ma li troviamo anche di pollo, bovino, di carne ovina o di selvaggina. La prima tipologia a diffondersi in Italia è stata quella che in Germania viene definita come salsiccia di Vienna, a base di carne suina e bovina.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 90 ANALISI DEL FOOD

Fin dai tempi più antichi l’uomo ha cercato di conservare le carni con l’essiccamento, l’affumicazione, la salagione e mettendo carni e grasso tritati e sangue in budelli animali ha creato cibi da mangiare cotti. Omero, nel 725-675 a.C., nel XX canto dell’ODISSEA, descrive Ulisse nella reggia di Itaca mentre pensa a come aggredire i Proci: “Come quando un uomo volta e rivolta sulla fiamma ardente una salsiccia piena di grasso e di sangue, impaziente che sia presto arrostita, così da una parte all’altra si volgeva Ulisse e meditava...”. Certamente si trattava di salsicce preparate con carni e grasso tritati con un coltello. In tempi successivi, e per avere una grana più fine e un impasto più omogeneo, si iniziò ad usare il mortaio, strumento derivato dall’arte della pittura e della preparazione dei farmaci.

L’uso del mortaio nella preparazione di alimenti è testimoniato già dalla BIBBIA

In Numeri, capo XI, v. 8, si legge: “La manna veniva pestata nel mortaio per preparare focacce”. Il suo uso nella lavorazione delle carni si fa invece risalire all’inizio dell’era corrente. Nel Museo Civico Archeologico di Bologna, nella Stele del Mortarium (fine I sec. a.C. / inizio I sec. d.C.) è raffigurato un recipiente a tre piedi di forma troncoconica, con tre cerchi ed una maniglia, da cui spunta un oggetto simile ad un bastone cilindrico di legno, sormontato da una maniglietta che fa pensare a un mortarium, cioè un mortaio di uso domestico, con un pistillum, un pestello, utilizzati per produrre gli insaccati suini, in quanto la stele fa parte di un ciclo raffigurante i diversi momenti di un’officina o di un mestiere nel quale sono presenti maiali.

II nome mortaio arriva a noi attraverso il latino volgare mortarjius, che si rifà ad un più antico mortare, dal verbo ittita mark, fare in parti. All’uso del mortaio per tritare carni e grasso e/o spezie come il mirto e ricavarne una finissima miscela da insaccare in vesciche da cuocere al calore secco di un camino si fa risalire la mortadella e altri salumi con denominazione simile. Ma il mortaio è usato anche per ottenere salumi da cuocere di più piccola dimensione come il cervellato di Milano (insaccato in cui lo strutto colorato con zafferano e aromatizzato con spezie è il componente principale) e i würstel.

I Käsekrainer, croccanti al morso e irresistibilmente cremosi grazie al formaggio che si scioglie durante la preparazione. Vengono classicamente serviti con senape piccante, rafano fresco grattugiato e pane bianco.

Würstel uno e plurimo

Würstel è il termine utilizzato in italiano per gli insaccati parzialmente bolliti e affumicati tipici della Germania, Austria e Trentino-Alto Adige. Quello più diffuso in Italia corrisponde alla salsiccia di Vienna (Wiener Würstchen) con diverse varianti che riguardano soprattutto il tipo di carne usata: suina, bovina, pollo, tacchino e, non ultimi, anche “vegani” composti da vegetali e legumi al gusto di würstel. La carne di diverso tipo e taglio, anche carne separata meccanicamente (CSM) o carne recuperata

meccanicamente (CRM) di residui di carne dalle ossa di suino o carcasse di pollame usando mezzi fisici, e le interiora, come per i würstel di fegato, sono sottoposte a una minuta macinazione, simile a quella che si ottiene con il mortaio, insieme a grasso di maiale, aromi, additivi e ad un’alta percentuale di acqua o ghiaccio. Questa emulsione è insaccata e cotta in forni a vapore. Come involucro si utilizza budello naturale o artificiale che nei würstel senza pelle è tolto prima di essere confezionati per la vendita.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 91

Per i würstel la cottura maggiormente consigliata è quella sulla griglia, che deve esser già calda quando si inizia, così da far restare la carne morbida. I würstel poi vanno girati di frequente per cuocerli bene da entrambi i lati. Una volta pronti, possiamo scegliere se consumarli con un contorno o nel panino per un classico hot dog.

Un’emulsione particolare con alta digeribilità

Nei würstel la carne è ridotta ad un’emulsione e poi trattata al calore con modifiche studiate da ALDO DI LUCCIA e collaboratori1. In particolare i würstel sono caratterizzati da un’abbondante frazione proteica insolubile con la presenza delle catene leggere di tropomiosina e miosina. Inoltre, i sistemi di aggregazione proteica delle emulsioni proteiche dei würstel riflettono le condizioni di lavorazione e sono caratterizzati principalmente da legami interproteici covalenti. L’emulsificazione delle proteine e la loro cottura nei würstel provoca quindi modificazioni simili a quelle della lunga stagionatura dei prosciutti e quindi un’alta digeribilità. In modo molto evidente queste particolari caratteristiche non possono essere presenti nei cosiddetti würstel vegani.

Pastorizzazione

L’ultima fase del processo produttivo dei würstel prevede la cottura seguita dall’eventuale affumicamento del prodotto. Seguono raffreddamento, pulizia e confezionamento per la vendita al dettaglio. Più frequentemente il processo di produzione prevede anche una pastorizzazione, con il riscaldamento sopra i 70 °C di 15 minuti, necessario per neutralizzare i germi che si trovano sulla superficie dei würstel dalle fasi di pelatura e confezionamento. Gli impasti di carne che sono utilizzati per la realizzazione dei würstel sono molto esposti allo sviluppo di colonie di batteri, soprattutto se le condizioni di cottura non sono state adeguate alla neutralizzazione della carica microbica e per questo è necessaria una loro cottura prima del consumo, al fine di evitare infezioni alimentari.

Rischio Listeria

Della numerosa famiglia di batteri Listeria , la Listeria monocytogenes provoca una malattia chiamata listeriosi solitamente per consumo di cibi contaminati. Nel 2017 i casi nell’UE sono stati circa 2.400 e in Italia (2019) 202, con un’incidenza di 0,33 casi per centomila abitanti. La cottura a temperature superiori a 65° C uccide la Listeria che può contaminare i cibi dopo la loro produzione.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 92

Se durante la conservazione dei cibi vi è una contaminazione, le listerie possono facilmente moltiplicarsi perché, a differenza di altri batteri, tollerano gli alimenti salati e si moltiplicano anche alle basse temperature di frigorifero. Per questo motivo la Listeria monocytogenes può essere presente in molti alimenti tra cui pesce affumicato, carni, formaggi in particolare a pasta molle e ortaggi crudi.

La prevenzione della listeriosi si basa su buone pratiche di fabbricazione, un controllo della temperatura lungo tutta la catena di produzione, distribuzione e conservazione degli alimenti, anche in ambiente domestico. Ai consumatori anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) consiglia di refrigerare gli alimenti a temperature inferiori ai 5° C, raccomandando soprattutto che i würstel prima del consumo siano cotti tramite bollitura, in forno, su griglia o microonde.

Würstel diversi in tavola

In Francia si dice che CHARLES DE GAULLE (1890-1970) abbia esclamato: come si può governare un Paese che ha 246 tipi di formaggio? In modo analogo i Tedeschi potrebbero chiedersi: come si fa a governare un Paese che vanta 1.500 tipi di würstel? Questa diversità riguarda anche il contenuto, per cui in Germania vi è il detto che qualcuno potrà arrivare a dimostrare l’esistenza di Dio, ma non potrà mai sapere che cosa è contenuto in un würstel.

In Italia la varietà di würstel è molto inferiore e si limita prevalentemente al tipo di carne usata. Negli Stati Uniti i würstel sono venduti caldi in bancarelle assieme a un panino e salse (senape, ketchup, maionese o salsa al curry) questo panino viene chiamato hot dog (“cane caldo”). Molto diffuso è anche il consumo casalingo dopo cottura su piastra, griglia o bollitura, tal quali o come spiedini, serviti accompagnati da patatine fritte o verdure a foglia verde.

Nota 1. DI LUCCIA A., LA GATTA B., NICASTRO A., PETRELLA G., LAMACCHIA C., PICARIELLO G. (2015), Protein modifications in cooked pork products investigated by a proteomic approach, Food Chem., 1, 172, 447-455 pp.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23

Non fidatevi degli altri, il panettone sceglietelo voi

È con questo intento che il Centro Studi Assaggiatori di Brescia, con il supporto di Sweet Academy e dei suoi esperti, ha dato alle stampe Il Codice Sensoriale Panettone, che guida alla scoperta delle caratteristiche sensoriali in modo semplice e intuitivo e giustifica la percezione con l’esame puntuale del processo di produzione. Per scegliere un panettone potete andare per tentativi ed errori, assaggiarne tanti e sentire il parere di quanti hanno il piacere di condividerlo con voi. Oppure potete appropriarvi del suo Codice Sensoriale partendo da ciò che vi dice la vista, poi l’olfatto, quindi il tatto e il gusto, imparando ad identificare il linguaggio dei sensi e traducendo la percezione in valore delle materie prime e in maestria di esecuzione. Perché così funzionano i codici sensoriali di cui quello del panettone è l’undicesimo della collana.

«Solo a nominare il panettone si aprono per ciascuno di noi i cassetti della memoria legati all’atmosfera natalizia, alla serenità delle feste viste con occhi di bambini, alla famiglia, a quello stare bene insieme che rende piacevole l’attesa dell’inverno. Se è vero, infatti, che la tradizione è una innovazione ben riuscita, è altrettanto vero che alcune tradizioni sono talmente radicate da poter essere considerate parte integrante del patrimonio culturale di un popolo e a mio avviso il panettone si colloca in una posizione di assoluto primo piano nel patrimonio della cultura enogastronomica italiana». Così si è espressa la prof.ssa Francesca Venturi dell’Università di Pisa nella prefazione al Codice. Alla medesima, vicepresidente dell’International Academy of Sensory Analysis e direttrice del Master in Scienze sensoriali per un’alimentazione sana e consapevole, si deve anche la revisione scientifica del volume che sarà un prezioso libro di testo per i corsi tenuti dalla Sweet Academy e che avranno per obiettivo la valorizzazione dell’eccellenza del panettone presso l’intera filiera che lo porta sulla tavola, pasticcerie in primis.

• Per info: info@assaggiatori.com

>> Link: www.assaggiatori.com

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 94

UOVA, freschezza e semplicità

Mi piacciono tanto le uova à la coque (ma si usa anche il termine italianizzato “alla coque”), bollite per tre minuti, ma quant’è difficile, per chi abita in città, trovare le uova freschissime e saporite dell’aia!

Indispensabili in cucina, le uova sono un alimento eccellente per un’alimentazione completa. Il loro impiego ha origine antichissime e si riscontra in tutto il pianeta di pari passo con il consumo della carne di pollo e di gal-

lina. In epoche passate, si usavano in cucina uova di differenti specie mentre oggi si adoperano quasi esclusivamente uova di gallina.

A secondo delle razze e dell’alimentazione, le uova presentano il guscio di colore diverso, ma questa caratteristica non incide sul gusto e non è correlato al sapore del tuorlo. La gastronomia esige a volte un tuorlo “giallo” intenso e sono regolarmente fatte ricerche per l’alimentazione del volatile a questo scopo, solamente estetico.

L’uovo è estremamente fragile: attraverso il guscio, che è poroso, può assorbire gli odori degli alimenti vicini; è un alimento vivo e pertanto la sua conservazione per un consumo fresco è molto delicata.

L’uovo non può essere congelato nel suo guscio! I nostri nonni, nel periodo primaverile ed estivo, quando le galline producono di più, conservavano le uova in grandi recipienti con una miscela di acqua e calce; questa pratica, oggi, rappresenta ormai la preistoria visto che

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 96

abbiamo la possibilità di acquistare uova fresche senza difficoltà con anche ampia scelta del metodo di allevamento delle galline che le hanno depositate. Si usava anche coprire le uova intere e non lavate in ceneri di legno setacciate. Si conservavano allora mesi e persino un anno in una cantina fresca e buia. Sono molto diverse dalle uova millenarie cinesi per alcuni, uova dei cent’anni per altri, leggendaria specialità culinaria di epoca Ming. Questo piatto si prepara utilizzando uova di anatra, di quaglia

o più raramente di gallina, che vengono rivestite in una pasta di argilla, cenere di legno, tè, lime e sale, quindi seppellite — separate da paglia di riso per evitare che si attacchino — per soli… 100 giorni circa! Una volta ben lavato dalla sporcizia maleodorante, l’uovo sbucciato e affettato mostra un tuorlo grigio-verde e un albume non più bianco ma traslucido e verde bottiglia. Oggetto di mille leggende, si mangia freddo, come un normale uovo sodo e non ha un sapore particolare. L’albume

ha una consistenza simile alla gelatina e il tuorlo è molto cremoso.

L’avere un piccolo pollaio domestico è una pratica diffusa nelle varie parti del mondo,in quanto il fatto di disporre di uova fresche tutti giorni ha da sempre significato la possibilità di variare l’alimentazione.

L’uovo è ricco di fosforo, ferro, potassio, sodio e iodio; contiene numerose vitamine fra le quali la A (crescita e vista), la B1 e B2 (equilibrio nervoso e nutrizionale), la D (fissazione del calcio

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 97

Uova BIOdiversamente colorate: The Garda Egg Co.

The Garda Egg Co. è un’azienda agricola specializzata nella produzione di uova di alta qualità naturalmente colorate ottenute da razze speciali che si trova nel comune di Lazise, in provincia di Verona, sulla sponda orientale del Lago di Garda. Un territorio caratterizzato da clima temperato-continentale, ma che localmente manifesta condizioni notevolmente mitigate dalla massa d’acqua: questo clima può definirsi sub-mediterraneo ed è ideale per l’allevamento all’aperto. The Garda Egg Co. nasce dal progetto di una donna, Federica Bin (in foto), “sviluppatosi in un momento di grande cambiamento. Una nuova casa con molto terreno e freschi boschi, e, da lontano, la linea azzurra del lago. In quel contesto è emerso spontaneamente il desiderio di condividere quegli spazi e quella pace con gli animali” si legge nella brochure di presentazione dell’azienda, che abbiamo conosciuto nella cornice del TASTE 2023 di Firenze. Federica Bin sente parlare di uova colorate, eccezionali per bellezza e bontà, prodotte da galline di razze speciali. E così, quasi per gioco, decide di intraprendere questa avventura. La sua mission? “Dare valore a ciò che è la qualità vera della natura”. Le razze di galline ovaiole allevate nella tenuta dell’azienda agricola, sono: Australorp dall’uovo marrone chiaro; Araucana, il cui uovo è blu o verdastro; Olive Egger, il cui uovo è verde pallido; Marans, che depone uova marrone scuro; New Hampshire, con uovo rossiccio; Livornese bianca e Livornese rossa, con il caratteristico uovo bianchissimo; Cream Legbar, il cui uovo è azzurro pallido.

La gallina Australorp proviene dall’Australia. L’Araucana è originaria delle Ande cilene. La Marans ha origini sulla costa atlantica francese. La gallina di razza Olive Egger è ibrida tra Marans e Araucana. La New Hampshire è di razza statunitense. La Livornese, sia bianca che rossa, è originaria della campagna toscana. La Cream Legbar proviene dal Regno Unito. «Le nostre uova sono naturalmente colorate perché ottenute da galline di razze speciali. Nessun artificio, nessuno strano incrocio o modificazione genetica per ottenere questi colori se non la realtà semplice e naturalissima della biodiversità» dice Federica Bin.

Ma da che cosa dipende il colore del guscio dell’uovo? “Sgombriamo subito il campo da qualsiasi dubbio sul fatto che il colore del guscio delle uova possa dipendere in qualche modo dall’alimentazione della gallina. Questo è assolutamente falso” si legge ancora nell’esplicativa brochure. “Il cibo può influire sulla colorazione del tuorlo, ma non su quella del guscio, che è invece in relazione in primis alla razza di appartenenza (fattori genetici) e poi alla fisiologia del singolo esemplare (per ciò che riguarda la tonalità del cromatismo). Inoltre, una diversa colorazione del guscio non implica affatto di per sé alcuna differenza in fatto di caratteristiche nutrizionali e organolettiche dell’uovo. Il colore del guscio delle uova dipende da un liquido lubrificante che viene ‘spalmato’ sopra al guscio quando l’uovo transita nella parte finale spugnosa dell’ovidotto (collocata a circa 10 centimetri dall’uscita) e che serve appunto a facilitarne la deposizione. Questa sostanza è di colore diverso nelle varie razze e infatti, se prendiamo molte uova di differenti colorazioni e le rompiamo, al loro interno esse risulteranno comunque tutte bianche, appunto perché

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 98
Nell’uovo alla coque, a differenza dell’uovo sodo, il tuorlo deve restare liquido, cremoso, per cui la precisione in cottura è tutto!

L’uovo rappresenta da sempre un elemento centrale nella vita e nella tradizione culturale di molti popoli: è infatti considerato simbolo di vita e fertilità, oggetto di culto e riti di iniziazione, talismano e dono augurale come testimonianza di amicizia e amore

nelle ossa) la E e la K (antirachitiche). In un uovo troviamo il 12% di proteine, il 12% di lipidi, il 73% di acqua e il restante di albumina e glucidi: è un alimento in cui le proteine sono le meglio equilibrate. Nel tuorlo ci sono 250 mg di colesterolo per ogni 100 g, ovvero 175 mg ogni uovo.

A seconda del loro peso, le uova sono suddivise per la vendita in tre categorie: piccole, medie o grandi. Le

grandi hanno un peso che varia attorno ai 60-70 grammi. Un uovo grande non ha più valore nutritivo ma ha più calorie poiché il tuorlo ha un volume costante mentre l’albume è l’elemento variabile.

L’uovo si presta egregiamente per ricette molto elaborate come per il suo consumo diretto, anche crudo. Se comprate confezionate, meglio scegliere uova con il codice che inizia con lo 0,

la colorazione avviene soltanto sulle pareti esterne. In tutto ciò c’è una sola unica eccezione (e che dunque conferma la regola), ovvero quella rappresentata dalle ‘uova blu’ (huevos azules) di Araucana; in questo caso la colorazione coinvolge la genesi stessa del guscio, e non è un’aggiunta nella fase finale di passaggio nell’ovidotto, e difatti il guscio dell’uovo di Araucana è azzurro anche al suo interno. In relazione a ciò, precisiamo che le variazioni di colore del guscio nella gamma dal bianco al marrone sono dovute alla deposizione sulle pareti esterne dell’uovo di protoporfirina IX (nelle Marans la deposizione di questa sostanza è così abbondante che le uova sono molto dure e di un bel colore cioccolato scuro); il pigmento che dona alle uova il colore azzurro-verde è invece la biliverdina, che ‘si mescola’ fin da subito alle ‘sostanze’ che danno origine e forma all’uovo. Per quanto riguarda infine le uova bianchissime (come ad esempio quelle della gallina di razza Livorno, della Padovana e di altre razze rustiche italiane), questo risultato è dovuto alla presenza del gene inibitore pr, che blocca la fuoriuscita di protoporfirina IX. Infine, la tonalità del colore del guscio dell’uovo può variare anche tra animali della stessa razza e addirittura anche tra quelle deposte dalla medesima gallina, a causa di fattori fisici intrinsechi, all’età dell’animale e da quanto tempo l’uovo permane ogni volta nella parte finale dell’ovidotto”.

L’alta qualità delle uova di The Garda Egg Co., che sono in possesso della certificazione Bio grazie alle condizioni e metodologie di allevamento seguite, unita all’incanto dei colori e al ventaglio dei loro profumi e sapori, risulta apprezzatissima da chef esigenti, rinomati e stellati.

>> Link: thegardaeggco.com

corrispondente a Uova da Agricoltura Biologica ovvero “provenienti da un allevamento che usa mangimi e foraggi prodotti da un’agricoltura biologica (cioè che non usa concimi chimici di sintesi e prodotti fitosanitari), integrabili fino al 20% con prodotti tradizionali. Le galline possono razzolare liberamente all’aperto e si tratta della tipologia di uova più simile a quelle che vengono dalle cascine e dalle fattorie”.

Sono tanti i buoni motivi per mangiare uova, contrariamente a chi mette in luce solo controindicazioni: danno la carica di energia, migliorano la pelle, aiutano a perdere peso, proteggono la vista, aiutano il sistema immunitario, aiutano la memoria, favoriscono la tonicità, forniscono proteine, aiutano il fegato e danno forza ai muscoli e alle ossa. Non esitiamo quindi a consumarle!

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 99

Tlò Plazores, ANTICA CULTURA E CUCINA LADINA di

Riccardo Lagorio

L«a colonizzazione dei Romani e la fusione con le popolazioni retiche ha dato vita alla nostra cultura, quella ladina. Sappiamo che il nostro mondo termina a San Lorenzo di Sebato, in Val Pusteria» spiega Ulriche Ties, titolare e cuoca di Tlò Plazores. È a 1600 metri d’altezza, a pochi chilometri dal suo ristorante, ed è cresciuta in una famiglia che, possedendo un maso, si è da sempre dedicata all’accoglienza dei turisti. Ha insegnato integrazione culturale per qualche anno e nel 2000 ha aperto il ristorante con il marito, Roman Rubatscher. Il menu: in ladino. Il Plazores è nel cuore del comune di

Marebbe, famoso per la sua scuola di sci invernale così come per la spiaggetta estiva, sul torrente. La casa è una costruzione storica, all’esterno affiancata da un recinto di animali e da un piccolo parco, dentro strutturata in antiche e bellissime Stube dove si mangia quando fuori non si può o non si vuole stare.

«La cucina è umiltà e ricerca continua di crescita. Mente o non ha ben chiare le idee chi la utilizza come un campo militare o per mettersi in mostra. Forse sarà l’aria stessa della cucina che rende nervosi costoro? Da parte mia non voglio raccontare barzellette, ma trasmettere la reale vita di questa montagna». Anche per queste affermazioni ci si innamora

del suo sguardo felpato, rispettoso, universale.

Il grande rispetto che queste popolazioni montane hanno nei confronti della terra passa per le due specifiche definizioni che hanno per contadino, paur, e per chi lavora la terra, bacan Distinzioni non da poco a ben guardare. Ulriche e Roman si occupano anche del bestiame, allevato nel maso a due passi: «Abbiamo fatto un meraviglioso hotel a cinque stelle per le nostre mucche, le pecore e gli asini». Gli animali qui godono del massimo rispetto, vivono solo esperienze positive, trascorrono le loro giornate anche psicologicamente bene. Basta guardare come si scambiano gli

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 100 LOCALI DI GUSTO

affetti con i loro padroni. Rispetto per la vita. Anche per questo in cucina si creano piatti con tutte le parti degli animali. «Sono affezionata ai buoi, di razza Tuxer, e mi trovo obbligata moralmente a convincere i clienti che tutta la carne è ugualmente gustosa. Si tratta di comunicare con l’animale anche quando è stato soppresso».

E così tra brasati, gulasch e lunghe frollature e lunghe cotture le carni spiccano per virtù e intensità. Il menu si divide in tre sulla base della provenienza dei prodotti fondanti della preparazione: km 0, se allevati nel maso, 33 km, se provenienti dalle valli altoatesine limitrofe, 99 km per quelle pietanze i cui ingredienti arrivano dal Trentino o dal Tirolo austriaco. Quando è possibile si preparano i canederli, serviti in brodo con levistico, elaborati con fegato di bue con pane, latte, burro, strutto, aglio, maggiorana e uovo, Balotes da fié tla jopa. Il carpaccio di bue viene salmistrato per una settimana, massaggiato ogni due giorni con timo, salvia, pepe, semi di coriandolo e sale. Messo sottovuoto, è servito con frutti

di bosco freschi. C’è poi il rotolo di maiale: fesa ripiena di pasta di canederli, rosolato e passato poi in forno a 80 gradi. L’antica cucina del recupero è rappresentata dal Greaschtl de bó: patate bollite e tranci di bue saltati con alloro e maggiorana serviti infine con il fondo bruno.

Tra i salumi spicca il Baurnespeck, ottenuto dalla decina di maiali allevati per anno e macellati a circa 200 kg. Le diverse parti del suino stanno per almeno 21 giorni a contatto con una mistura di erbe preparata in casa con alloro, rosmarino, pepe, ginepro e sale. Un’affumicatura misurata, con la combustione di legna di abete e ginepro, li predispone alla stagionatura che avviene nella cantina sotto il ristorante, un antro nella nuda pietra dove temperatura e umidità risultano ideali per la conservazione dei vari tagli.

Si possono assaggiare in una pantagruelica portata Sciömiés de Roman, assieme a salsicce di porco, di agnello e lonza di maiale. I piatti raccontano però anche di erbe, raccolte e lavorate in mille modi. Zuppe, innanzitutto, Jopa

da erbes. Si possono sempre provare i Cancí checi: dall’involucro di pasta di patate custodiscono il ripieno di ricotta e spinaci selvatici o ortiche e vengono fritti; la Vigilia di Pasqua e a Pentecoste si possono trovare i Cajincí arestîs, mezzelune di pasta di patate ripiene di spinaci.

Anche i dolci parlano ladino. Ai Puncerli (piccoli ravioli dolci ripieni di ricotta, fritti e conditi con semi di papavero e confettura di mirtilli) fanno eco le Ciotte fej la desfaronza (panna cotta alla ricotta con frutti di bosco). Un paradiso per chi si emoziona ancora per le delizie semplici. E ogni venerdì, da metà luglio a fine agosto, i prodotti di Tlò plazores e degli altri contadini di San Vigilio di Marebbe sono disponibili al marcé dai paurs

Riccardo Lagorio

Tlò Plazores – Osteria Plazores

Via Plazores 14

39030 San Vigilio di Marebbe (BZ)

Telefono: 0474 506168

E-mail: info@plazores.com

Web: www.plazores.com

Una sinfonia di prelibatezze

ADV GONNELLI & ASSOCIATI BERNARDINI GASTONE SRL - CENAIA CRESPINA (PISA) - TEL. 050 644100 WWW.BERNARDINIGASTONE.IT

I PRIMI 60 ANNI DI NIZZOLI

Penso che non sarebbe stato facile per nessuno, in una sperduta località della Bassa padana, avviare senza alcuna esperienza una nuova attività nel campo della ristorazione, ma ARNEO NIZZOLI, a 28 anni, ci volle provare: dopo aver rilevato a Villastrada di Dosolo, provincia di Mantova, un vecchio ristorante dei primi del ‘900, con la collaborazione della moglie LINA, il fratello RINO e i genitori UDILLA e FORTUNATO, il 1o maggio 1963 si imbarcò in una nuova e coraggiosa impresa. Tuttavia, questo paesino rimaneva fuori dagli itinerari del nascente turismo di massa, per cui bisognava inventare motivazioni per richiamare avventori per il nuovo ristorante, tenendo in considerazione che non esisteva la possibilità di investimenti pubblicitari, rimasti limitati, per il momento, al solo passaparola.

Avvenne così che, una sera di maggio dell’anno successivo, capitò nel locale CESARE ZAVATTINI, il noto sceneggiatore, giornalista, scrittore, poeta e pittore. Arneo non lo aveva riconosciuto subito, ma in seguito alla sua assidua frequentazione nacque un rapporto straordinariamente importante, rinnovatosi nel tempo. «Posso ben dire che Zavattini è stato il padre del mio ristorante, per quanto mi ha incoraggiato e ha contribuito a farlo conoscere nell’ambiente del cinema e del giornalismo»: racconta Arneo. Se suo papà era Fortunato di nome, insomma, Arneo senz’altro lo si poteva ritenere di fatto!

Da quello storico incontro, infatti, nel locale si iniziò a respirare “aria naïf“ ed allora Arneo ne approfittò per raccogliere il mondo di Za, dai dipinti ai testi, e farne una specie di museo. Se qualcuno scrisse che per giungere

a Villastrada ci voleva la pazienza di Giobbe, qui sono riusciti ad arrivare i palati più raffinati che erano e sono tuttora in circolazione. Di Nizzoli si sono occupati le televisioni e i giornali di mezzo mondo, addirittura il prestigioso quotidiano THE GUARDIAN, che tempo fa citò lo chef mantovano nell’ambito di un articolo inerente la riscoperta del cibo legato alle vecchie tradizioni locali allo scopo di avvicinare le giovani generazioni a cibi “in via di estinzione” a causa di quella fretta e approssimazione che invade ogni atto del vivere. Bisogna qui aggiungere che la bravura e l’abilità di questo cuoco si è manifestata appunto nel proporre in questi sessant’anni di attività una cucina in perfetto equilibrio tra innovazione e tradizione. Sessant’anni arrivati in un soffio, sessant’anni di storia e tradizioni raccontati anche sulle pareti del locale e dalle quali traspare tutta la dedizione della famiglia per un mestiere non facile. Per festeggiare questa straordinaria ricorrenza, la famiglia Nizzoli, il 20 agosto scorso, ha chiamato a raccolta, nella piazza antistante il ristorante, gli amici di ieri e di oggi che si sono uniti agli abitanti dell’intero paese per fare un brindisi augurale. È seguita poi la presentazione di un nuovo libro, “Gustiamo tanto di me”, di GABRIELE MAESTRI, mentre il sindaco di Dosolo consegnava al festeggiato un attestato di benemerenza per avere onorato con la ristorazione Villastrada e tutto il territorio.

Credo che in parecchi si siano chiesti quali siano stati i “segreti” per restare sempre sulla cresta dell’onda nella conduzione di un’attività non sempre facile: è presto detto, la famiglia. Quando muoveva i primi passi da oste-cuoco, era attorniato, oltre che dalla moglie,

dai genitori e dal fratello Rino, poi col tempo sono subentrati i figli DARIO e MASSIMO e le rispettive mogli.

Sono entrato in questo ristorante una sera di maggio di più di trent’anni fa e da allora sono rimasto un affezionato ospite: ho partecipato in diverse occasioni alla “Maialata”, che mi ha fatto conoscere la vena goliardica di Nizzoli, insuperabile nella regia di queste serate. Ma questo personaggio davvero non finisce mai di stupire dal momento che in questo ristorante può capitare che alcune occasioni di incontro si trasformino in una sorta di convegno, come le cosiddette Giornate di studio in amicizia, che a maggio coincidono con il Convegno della lumaca in cucina A questo proposito, non sono arrivato a Villastrada casualmente: presso l’Università di Parma, verso la fine degli anni ‘70, avevo aperto una linea di ricerca sulle varie specie di chiocciole eduli utilizzate per l’elicicoltura e la gastronomia, ambito in cui sono più note come lumache. Questo locale, divenuto Tempio della Lumaca, è rimasto il mio punto di riferimento per la gastronomia della chiocciola. E, quando ritorno, è come entrare a casa: l’atmosfera famigliare che si percepisce mi fa sentire parte della loro storia.

GIORGIO CELLI, noto zoologo, affermava che la gastronomia potrebbe essere definita una ”zoologia da tavola”: il bravo cuoco, se è curioso, molto spesso acquisisce utili conoscenze sugli animali che mette in padella. Una citazione che si adatta perfettamente a Nizzoli: questo chef-naïf, tra le innumerevoli doti, oltre alla generosità, ha mantenuto intatte la sete di sapere, la capacità di meravigliarsi, il desiderio di imparare. La lezione zavattiniana ha lasciato il segno.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 102

Sessanta e non sentirli: Arneo Nizzoli da sessant’anni gestisce a Villastrada di Dosolo, in provincia di Mantova, con la collaborazione della moglie Lina e dei famigliari, un ristorante che rappresenta un pezzo di storia della gastronomia locale e nazionale (photo © facebook.com/gianluca.soliani).

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 103

SANA 2023, SUCCESSO PER LA PRIMA EDIZIONE B2B

650 espositori, 500 prodotti novità, 12.500 visitatori professionali, 200 hosted buyer internazionali da 30 Paesi e 2.000 incontri B2B

SANA – 35o Salone Internazionale del Biologico e del Naturale, tra gli appuntamenti più attesi del cartellone fieristico nazionale, è stato organizzato da BolognaFiere in collaborazione con FederBio, AssoBio (presente con una collettiva dei propri associati) e Cosmetica Italia, con il patrocinio del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, del Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, della Regione Emilia-Romagna e del Comune di Bologna.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 104 FIERE

Èpiù che positivo il bilancio di SANA 2023, appuntamento di primo piano nel calendario fieristico italiano e internazionale per produttori, distributori, enti, istituzioni e professionisti del comparto del biologico e del naturale. Sono i numeri a confermare il ruolo prioritario dell’evento, che chiude la 35a edizione con 650 espositori, 20.000 m2 di superficie espositiva e 12.500 operatori, il 10% dei quali provenienti dall’estero. Il dato dei 12.500 accessi (lo stesso registrato dalla precedente edizione di SANA) è questa volta da intendersi come esclusivamente in accezione B2B: il fatto che il salone, pur non rivolgendosi più ad un pubblico generico, abbia mantenuto invariata l’affluenza, centrando al contempo l’obiettivo di una maggiore e più selettiva qualificazione delle presenze, testimonia l’efficacia del nuovo corso intrapreso.

SANA, che ha beneficiato del sostegno e dell’attiva collaborazione di ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, in sinergia con l’ufficio Incoming Buyer e la sempre più estesa rete di agenti di BolognaFiere, è stato visitato — su invito — da 200 buyer provenienti dai principali mercati internazionali, tra importatori di prodotti biologici, rappresentanti della GDO e operatori nell’ambito della cosmesi naturale e del foodservice. 30 i Paesi rappresentati: Austria, Belgio, Bulgaria, Canada, Colombia, Corea del Sud, Danimarca, Emirati Arabi, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Iraq, Irlanda, Israele, Italia, Marocco, Messico, Moldavia, Perù, Regno Unito, Romania, Serbia, Singapore, Spagna, Slovenia, Stati Uniti, Svezia e Ungheria. Questi buyer e le aziende espositrici dei tre settori di SANA — Organic & Natural Food, Care & Beauty e Green Lifestyle — hanno partecipato a circa 2.000 appuntamenti B2B.

Ottimo anche il numero degli espositori — 650 — e delle presenze estere, con il coinvolgimento, fra gli altri, di Austria, Germania, Giappone, Grecia, Sudafrica, Ucraina e America Latina. Sul fronte interno, sono 5 le regioni italiane che hanno preso parte all’edizione 2023 e tra queste vi sono alcune delle più significative in termini di superficie

agricola destinata a biologico: Calabria, Emilia-Romagna, Marche, Puglia e, nuovamente in fiera dopo alcuni anni di assenza, Sardegna. Hanno suscitato grande interesse anche le aree e le aziende di CIA, Coldiretti, Camera di Commercio di Bologna e del MASAF, quest’ultimo on air con la campagna promozionale sul biologico lanciata in anteprima a SANA da Ismea.

«La svolta B2B ha significato cambiare passo, sul piano dell’operatività e della visione strategica» ha commentato CLAUDIA CASTELLO, exhibition manager del salone. «Con questa scelta BolognaFiere ha voluto rispondere a una precisa richiesta da parte delle aziende e ha saputo valorizzare la vocazione all’export e all’internazionalizzazione di SANA e del settore biologico e naturale nel suo complesso.

L’esito di questa svolta può dirsi fin da ora positivo, come testimoniato dagli espositori, dalla significativa presenza di buyer qualificati e dalla qualità degli approfondimenti proposti. Lo scenario nazionale e internazionale è complesso e la congiuntura critica, come hanno evidenziato anche i focus sui mercati francese e tedesco del bio, attualmente in fase di stasi. Tuttavia, SANA è riuscita a consolidare il proprio ruolo di stimolo per il comparto e per le aziende, delle quali ha promosso prodotti e novità verso una platea molto ampia, attraverso una molteplicità di canali fisici e digitali».

Ha raccolto feedback positivi il ricco palinsesto convegnistico della manifestazione: incontri e talk hanno fatto registrare circa un appuntamento ogni ora, arrivando complessivamente a quota 80 e con circa 4.500 presenze. 1.500 operatori qualificati hanno preso parte al programma di Sanatech, punto di riferimento per lo sviluppo della filiera agroalimentare, zootecnica e del benessere ecosostenibile.

Restando nell’Area Organic & Natural Food, ottimi ritorni, in termini di pubblico e contenuto, per gli spazi dedicati a Cooking e Cocktail Demo. Si rafforza l’interesse per tutto ciò che è breakfast e aperitivo, riletti in chiave biologica, naturale e salutistica. Promosse a pieni voti le Aree Veg e Free From, curate in collaborazione con, rispettivamente, V Label Italia e la World Gluten Free Chef

Per saperne di più sulle nostre soluzioni per il settore Carne:

Premiata Salumeria Italiana, 5/23
Il mio ERP. Così ho tutto sotto controllo.

Academy, e che intercettano le nuove esigenze e tendenze di consumo. Gli appuntamenti proposti in quest’ambito hanno calamitato oltre 1.400 presenze professionali. Alto gradimento anche per le degustazioni e i momenti formativi organizzati dall’UIV – Unione Italiana Vini sul tema emergente dei vini dealcolati, segmento di mercato con grandi potenzialità di sviluppo e valorizzato per la prima volta in Italia in un contesto fieristico proprio da SANA. Molto visitato anche lo spazio di Slow Wine, partner di BolognaFiere per la Slow Wine Fair (25-27 febbraio 2024).

Di grande richiamo, come già nelle passate edizioni di SANA, gli affondi proposti nella cornice della Via delle Erbe e di Rivoluzione bio. Quest’ultima iniziativa è stata realizzata da BolognaFiere con AssoBio e FederBio nell’ambito del progetto BEING ORGANIC IN EU gestito da FederBio in partenariato con Naturland DE e si è articolata

in due giorni di convegni e dibattiti durante i quali sono stati presentati i dati dell’Osservatorio SANA, a cura di Nomisma e con il sostegno di ICE. I dati ci dicono che l’Italia, con oltre 2,3 milioni di ettari e la più alta percentuale di superfici bio sul totale (19% contro una media europea ferma al 12%), è ormai vicina target del 25% di superfici investite a bio, previsto dalla strategia Farm to Fork per il 2030. Nel 2022 (considerando come ultimo periodo di riferimento l’anno terminante a luglio e a parità di perimetro rispetto all’anno precedente) le vendite alimentari bio nel mercato interno (consumi domestici + fuoricasa) hanno superato i 5 miliardi di euro e rappresentano il 4% delle vendite al dettaglio biologiche mondiali.

ARRIVEDERCI ALLA

36a EDIZIONE!

SANA 2024 si terrà a BolognaFiere dal 5 all’8 settembre prossimi.

>> Link: www.sana.it

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 106

Erborinati, dai grandi classici alle novità di Cheese 2023

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 108 FORMAGGIO

Gli erborinati sono caratterizzati da colonie di muffe che conferiscono loro venature verdi, bluastre o grigie. Hanno sapori e profumi intensi, generati dalle muffe o dai batteri coltivati che si sviluppano nella loro pasta. Un tempo, i formaggi venivano lasciati affinare nelle grotte dove umidità e temperatura aiutavano la proliferazione delle muffe, che ne contagiavano la pasta

Un blu intenso, in alcuni casi brillante, che si mischia ai riflessi leggeri, sfumati tra le tonalità di verde e azzurro. Non è il mare cristallino della Sardegna o quello che circonda l’isola di Favignana. È, piuttosto, il mare dei sapori che regalano al palato le muffe protagoniste dei formaggi erborinati. Dolci o piccanti, cremosi o asciutti, stagionati o freschi, gli erborinati ci offrono esperienze gustative originali, con molteplici possibilità di accostamenti. Gorgonzola e il Castelmagno sono senza alcun dubbio tra i più conosciuti nel panorama nazionale, ma anche i Bleu francesi e i Blau spagnoli, oltre allo Stilton anglosassone raccontano storie e tradizioni diverse sotto un unico denominatore comune: la qualità.

La categoria degli “erborinati” prende il nome da “erborin”, ovvero “prezzemolo” nel dialetto lombardo. Osservando, infatti, il Gorgonzola, si capisce perfettamente perché gli si attribuisca questo appellativo. La presenza delle muffe non caratterizza soltanto l’aspetto, però, ma soprattutto la ricchezza degli aromi e dei sapori che distinguono questi formaggi. Le muffe hanno necessità di nutrirsi delle proteine e dei grassi del latte, li degradano e li trasformano nei composti che conferiscono agli erborinati quelle note tipicamente intense e più o meno pungenti a seconda del prodotto che si vuole ottenere.

Oggi l’erborinatura di questi prodotti è controllata. Colture pure e selezionate di spore di muffa si aggiungono al latte, prima o dopo la formazione della cagliata. Una volta in maturazione, il formaggio viene forato con lunghi aghi. L’aria che entra nella pasta favorisce la proliferazione delle muffe e la formazione delle famose striature

Il re degli erborinati, il Gorgonzola, pare essere il frutto di una casualità. Secondo un’antica leggenda, sarebbe infatti nato per negligenza di un giovane casaro innamorato, il quale trascurò di lavorare la cagliata, che rimase all’aria aperta tutta la notte, perché doveva incontrarsi con la sua bella. Il mattino dopo, per correggere il malfatto, lavorò l’impasto con una cagliata fresca e la lasciò stagionare. Dopo qualche mese, però, si ritrovò con una forma striata di muffa verdastra. Il disappunto iniziale si trasformò ben presto in godimento quando, assaggiando il suo formaggio, scoprì che aveva un sapore nuovo e delizioso: era appena stata scoperta l’erborinatura. La scoperta fu un vera e propria rivelazione per il settore caseario: mescolando due cagliate preparate in tempi diversi, in genere una serale e una mattutina, le differenze di tempera-

tura e di acidità portano alla formazione di un impasto poco amalgamato, nei cui spazi vuoti possono infiltrarsi le muffe. Questa lavorazione, anche nota come “a due paste”, è ancora la base per la versione più classica del Gorgonzola DOP. Prodotto esclusivamente con latte di vacca intero, con aggiunta di muffe del genere Penicillium, presenta una consistenza morbida ed un profumo deciso, a cui risponde un sapore più o meno piccante. Il formaggio prende il nome dall’omonima cittadina lombarda in provincia di Milano, ma il territorio delimitato dalla DOP comprende altri 15 comuni limitrofi

Il secondo erborinato italiano è sicuramente il Castelmagno DOP, prodotto nell’omonimo comune di Castelmagno, in provincia di Cuneo, e nei due vicini comuni di Monterosso Grana e Pradleves. Viene prodotto con latte vaccino crudo, eventualmente addizionato a piccole quantità di latte ovino e caprino. I pochissimi produttori portano avanti una tradizione antica, che si tramanda di generazione in generazione. La stagionatura nelle grotte umide, grazie al particolare microclima di queste zone, favorisce la formazione di un gusto caratteristico, senza necessità di inoculare muffe specifiche.

Al di là del Gorgonzola e del Castelmagno, la pattuglia degli erborinati italiani non conta molti rappresentanti. I pochi che ci sono, spesso poco conosciuti e piuttosto rari, vantano comunque ottime caratteristiche e meritano di essere valorizzati. Nell’area del Moncenisio, in Piemonte, si producono ad esempio due erborinati minori: il Blu e il Murianengo Si tratta di formaggi di alpeggio, in cui le migliori punte di qualità sono disponibili solo in alcuni periodi dell’anno. Il Murianengo è ottenuto dopo una lunga stagionatura che produce una marcata erborinatura naturale. Oggi è prodotto solo da pochissimi eroi rimasti fedeli alle tradizioni e riuscire a procurarsene una forma, o almeno una porzione, è impresa assai difficile.

Anche sui Piani di Artavaggio, in Lombardia, si fabbrica, in piccolissime quantità, un formaggio dal gusto antico che ha ottenuto la DOP, chiamato Strachitunt (stracchino tondo). Si tratta di un erborinato a latte crudo appartenente alla famiglia degli stracchini, coi quali condivide origini e tradizione.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 109

In alto: lo Stichelton di Joe Schneider, prodotto con latte crudo seguendo la tecnica tradizionale e lavorando esclusivamente il latte del proprio allevamento. Si tratta di un secolare prodotto caseario vaccino la cui forma allungata è determinata dall’impiego di stampi cilindrici. In basso: vellutata di zucca con panna acida e Muschio vaccino del Caseificio Rabbia.

Ma i nostri occhi erano tutti puntati sulle novità che presentate nell’edizione 2023 di Cheese, l’evento organizzato da Slow Food e Città di Bra con il supporto della Regione Piemonte, andato in scena dal 15 al 18 settembre scorsi. Tra i formaggi più curiosi presentati, trovavano infatti spazio due curiosi erborinati.

Spicca per il colore bluastro e il sapore intenso e pungente il Muschio vaccino, tra i più apprezzati del Caseificio Rabbia (www.caseificiorabbia.it), gestito da FRANCESCO e GIORGIO RABBIA, casari di terza generazione. Nata nel 1890 come bottega artigiana per la produzione di tome, l’azienda di Rabbia (CN) valorizza al meglio la biodiversità del territorio, dalle erbe dei pascoli situati ai piedi del Monviso ai profumi della Valle Grana, dove le forme vengono lasciate stagionare. Preserva, inoltre, antiche tecniche della tradizione casearia: i formaggi, rigorosamente a latte crudo, vengono ancora prodotti utilizzando caldaie in rame e fasciature manuali con tele di lino, che permettono di delineare un’impronta unica a ogni lavorazione.

Oltre i confini nazionali, ma sempre presente alla rassegna piemontese, JOE SCHNEIDER, casaro nel Nottinghamshire, una contea dell’Inghilterra, produce da più di dieci anni lo Stichelton a latte crudo (stichelton.co.uk), un formaggio vaccino blu dalla tipica forma allungata tra i più antichi d’Inghilterra. Nel 1996 lo Stichelton ottenne la DOP, con un Disciplinare di produzione che prevedeva la pastorizzazione obbligatoria del latte. Tutti i sei caseifici certificati DOP, che ne producono oltre un milione di forme l’anno, praticano infatti il trattamento termico che uccide la flora batterica originaria, privando il formaggio di ricchezza aromatica e di identità.

Joe è rimasto l’unico a produrlo con la tecnica tradizionale, che prevede l’uso del latte crudo. Proprio per questo non può far parte della DOP, e quindi non può chiamare il suo formaggio con il nome che gli spetta. Slow Food ha, quindi, deciso di sostenerlo con un presidio e di aprire un dibattito e una campagna sulla necessità di lavorare latte crudo al fine di preservare le produzioni casearie storiche.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 110
SUINCOM S.p.a. Strada Comunale del Cristo 12/14 - 41014 Solignano di Castelvetro (Mo) - Italy tel. +39 059 748711 - fax +39 059 532038 - info@suincomgroup.it - www.suincomgroup.it Riconoscere la qualità, realizzarla e portarla sulla tavola di tutti

Meat & olive oil

GLI EXTRAVERGINE DA ABBINARE ALLE CARNI di Fabrizio Bertucci

“Il bianco per il pesce, il rosso per la carne”: se questo è l’assioma di partenza per chi si accomoda da neofita tra i banchi di una degustazione guidata da un sommelier del vino, con la voglia e la curiosità giusta per andare a scoprire e praticare le mille sfumature che verranno, “un filo di olio a crudo” è lo slogan che ci apre le porte e ci inizia al mondo dell’abbinamento cibi-oli, con una differenza sostanziale: spesso l’olio è anche nella pietanza, ne è parte integrante attraverso le tecniche di cottura.

Oggi parliamo di CARNE

Io parto dalle note sensoriali di base, dei miei piatti e degli extravergine potenzialmente abbinabili — il fruttato leggero, il medio e l’intenso —, senza trascurare la regione di provenienza della ricetta. Mi spiego. Partendo dai gusti fondamentali, amaro, acido, dolce e salato (tralasciando momentaneamente l’umami, il kokumi e tutti i derivati nipponici...), aggiungerei il grasso, che ritroveremo presto in tema di griglia.

La tecnica di abbinamento è semplice, le carni dal sapore delicato si abbinano con oli delicati, dal flavour (odore, gusto e aroma retronasale) fruttato leggero; usando altro ne copriremmo il gusto: una battuta al coltello di carne rossa, che sia servita semplice o in tartare, piuttosto che un carpaccio, vanno in armonia con una Taggiasca ligure, una Casaliva di Riva del Garda, una Biancolilla di Sicilia, ma se il crudo è di cacciagione, azzarderei una Favolosa dalle note di erba, cardo e pomodoro verde piuttosto che un’Ascolana tenera con note di mela e banana acerba, sedano e lattuga. Mi tengo buono l’olio fruttato leggero anche per le lavorazioni

in frittura ma, soprattutto, in oliocottura. Nata in Francia, la tecnica del confit è passata da metodo di conservazione a metodo di cottura. Un coscio di faraona piuttosto che un petto di anatra immerso in olio a bassa temperatura (tra i 40° e gli 80° per il tempo necessario, a seconda della pezzatura) permetteranno alle carni di conservare i loro succhi all’interno mantenendole tenere e morbide.

Per i lessi ed i bolliti (la differenza è che nei primi la carne viene inserita a freddo, nei secondi quando l’acqua già è in ebollizione), ragionerei su due corsie. Considerando il sapore un po’ scarico della pietanza, in quanto parte di questo è stato ceduto all’acqua dando vita ad un ottimo brodo, se il commensale la gradisce soltanto con olio, sale e pepe, consiglierei un olio fruttato medio intenso, magari una Itrana piuttosto che una Caninese, cultivar laziali dalle note fenoliche riconoscibili ma non invasive, armonia di piccante e amaro a supporto del piatto. Se invece l’ospite gradisce le classiche salse quali i bagnetti verde, rosso e bianco, la senape, le mostarde di frutta, io il giro d’olio lo gradirei più delicato, magari una Dolce di Rossano piuttosto che una Nostrana di Brisighella.

Per gli arrosti e gli stracotti dobbiamo lavorare sulle marinature, oli sapidi, profumati capaci di equilibrare il gusto della preparazione. Una Tonda Iblea, una Nocellara del Belice, piuttosto che una Semidana o una Peranzana con note erbacee e fruttate, struttura, equilibrio e persistenza.

Siamo arrivati a lei, sua maestà la bistecca alla griglia. E qui mi riaggancio al discorso del grasso. Per i tipi di carne che presentano la loro marezzatura importante come il Wagyu giapponese, la Fiamminga o il Black Angus, piuttosto che il loro grasso giallo quale la Rubia

gallega… io tenderei a rispettarlo, nel senso che in cottura, sciogliendosi, il grasso donerà alla fibra magra il suo condimento naturale, fornendo al morso i richiami di pascolo, erba fresca, fieno e grano, soia e riso.

Se invece lavoriamo una carne più magra, una scottona di Chianina, di Fassona o di Limousine (chiariamo una volta per tutte: le ultime tre sono razze, mentre il termine scottona identifica semplicemente sesso ed età del capo: una femmina tra i 15 e i 18 mesi che non ha avuto gravidanze), ci dobbiamo organizzare per un abbinamento con oli fruttati intensi, al fine di accompagnare le nostre costate o entrecôte o fiorentine, con la nota piccante e amara in sintonia con la cottura esterna e in bilanciamento con la nota ematica all’interno. Io abbino una Coratina pugliese piuttosto che una Toccolana abruzzese, una Carboncella sabina ma, soprattutto, per rimanere in Toscana, mi affido alla triade del Centro Italia Leccino, Frantoio e Moraiolo, che uniti in blend o serviti in monovarietali creano con la griglia quel “matrimonio carnal” che un fiocco di sale Maldon affumicato, un buon bicchiere di Chianti e un tramonto in Val di Chiana benediranno.

Chiudo con due pillole di promemoria ed una citazione dello chef SALVATORE

TASSA: “l’olio extravergine di oliva non è un condimento ma è un alimento. L’olio extravergine di oliva non si beve, si mangia. Il famigerato giro di olio finale non è affatto obbligatorio, al contrario, spesso e volentieri la preparazione ne esce addirittura danneggiata. L’olio ha un suo carattere e un suo valore che vanno rispettati. Usarlo con parsimonia, con raziocinio, vale a dire nelle giuste situazioni e proporzioni, equivale a nobilitarlo”. Un caro saluto dal vostro Chef dell’olio

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 112 LO CHEF DELL’OLIO

Per i lessi ed i bolliti, se il commensale li gradisce soltanto con olio, sale e pepe, è bene optare per un olio fruttato medio intenso, una Itrana o una Caninese, cultivar laziali dalle note fenoliche riconoscibili ma non invasive, armonia di piccante e amaro a supporto del piatto. Se invece l’ospite gradisce le classiche salse quali i bagnetti verde, rosso e bianco, la senape, le mostarde di frutta, il giro d’olio sarà più delicato, come una Dolce di Rossano piuttosto che una Nostrana di Brisighella.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 113

BARBERA

Cantina Sociale di Vinchio e Vaglio Serra: 19 soci produttori di vino dell’Astigiano insieme dal 1959 per portare l’uva e il vino Barbera il più in alto possibile. E con loro tutto il territorio

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 114 VINO

La facciamo a Vinchio o a Vaglio Serra? Il più doroteo dei democristiani non avrebbe saputo fare meglio. E così, per non scontentare nessuno, la cantina dei 19 soci cooperatori produttori di vino dell’Astigiano che nel 1959 decisero di mettersi assieme è stata costruita su un appezzamento di terreno pianeggiante posto esattamente al confine tra i due piccoli comuni. Insieme — nonostante l’attaccamento ai reciproci campanili sia tale che per obbligo statutario il

A sinistra: uva Barbera. Il vitigno a bacca nera è autoctono del Piemonte, delle colline del Monferrato. In basso: i vigneti in località I Tre Vescovi, dove si incontrano i confini delle Diocesi di Acqui Terme, Alessandria e Asti, e il presidente della cantina cooperativa Vinchio Vaglio Serra Lorenzo Giordano.

presidente e il vicepresidente devono essere uno di Vinchio e uno di Vaglio Serra —, hanno condiviso negli anni l’obiettivo di portare l’uva ed il vino Barbera il più in alto possibile e con loro tutto il territorio

Parliamo di un vitigno versatile che, a seconda della differente tipologia di terreno, di esposizione e di conduzione del vigneto e, non di meno, dal tipo di vinificazione e affinamento scelto, può dare vini giovani molto profumati oppure vini da lungo invecchiamento

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 115

che reggono il tempo con eleganza. Il tutto con un occhio di riguardo ai vigneti migliori e alla salvaguardia delle vigne più datate le cui uve danno vita ad una linea denominata “Vigne Vecchie” nella versione giovane e quindi fresca e gioviale e nella versione affinata in legno, più datata, più complessa nei profumi e di maggiore struttura. «Alcuni di questi vigneti — sottolinea il presidente della Cooperativa LORENZO GIORDANO — hanno oggi più di 80 anni e richiedono un lavoro sempre più accurato, ma le poche uve da essi prodotte hanno qualità e caratteristiche del tutto particolari».

Perché i viticoltori accettano di continuare a lavorare questi vigneti? Perché la cantina non solo paga le uve a peso, ma garantisce un determinato rendimento ad ettaro in funzione delle loro caratteristiche qualitative. Essere scelti per queste produzioni di alta fascia significa non solo motivo di guadagno adeguato ma anche di vanto e orgoglio per i produttori. Da uve di alta qualità derivano i vini di più alta gamma come Sei Vigne Insynthesis, I Tre Vescovi, i due Vigne Vecchie o il Nizza Laudana

«Sono nato a Vinchio e avevo cinque anni quando hanno costruito la cantina col contributo di tutti, mattone su mattone. Una scelta lungimirante perché su zona pianeggiante e senza problemi ad ampliare» ricorda il presidente Giordano. «All’inizio non c’era nemmeno l’acqua potabile che recuperavamo per caduta da una fonte alla quale eravamo collegati con un tubo. Di restauro in restauro oggi parliamo di una superficie coperta di 10.000 m2. Fino agli anni Ottanta è andata avanti così: si ritirava l’uva, si pigiava, si faceva il vino e si dava agli imbottigliatori. Gli unici a non guadagnare adeguatamente erano i viticoltori. Negli anni Ottanta abbiamo incontrato GIULIANO NOÈ, che è diventato col tempo il papà della Barbera insieme a GIACOMO BOLOGNA Da quel momento sono state censite e catalogate le vigne vecchie puntando alla qualità da vendere direttamente sul mercato».

Ad oggi sono quasi 200 soci con più di 500 ettari di vigneti (70% Barbera) parte delle colline del Monferrato elette Patrimonio UNESCO. Oltre alla Barbera troviamo Moscato bianco, Brachetto,

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 116
In alto: una delle “vigne vecchie”, le cui uve sono raccolte manualmente in piccole cassette traforate. In basso: gli enologi Matteo Laiolo e Giuseppe Rattazzo.

Freisa e altre varietà. Dieci milioni di fatturato (10% estero) per 30.000 ettolitri vinificati nel 2022, 1 milione di bottiglie e 750.000 bag in box. «Quella del bag in box — puntualizza il presidente — è una scelta di qualità per un vino che va nella denominazione Piemonte e solo lì. Quasi tutte le confezioni sono vendute nel Nordeuropa, dove vogliono il vino di qualità e non sono interessati al contenitore».

Enoturismo

Vinchio Vaglio a suo tempo ha acquistato una porzione di bosco attiguo alla cantina e confinante con la Riserva Naturale della Val Sarmassa e ha ripristinato l’antico sentiero inserendo tavoli, fontane e gli originalissimi “nidi”, strutture in salice intrecciato a mano che proteggono i tavoli da picnic dal troppo sole e dal vento mantenendo, però, le giuste aperture per godere dello splendido paesaggio circostante.

“Rappresentano la nostra volontà di proteggere il territorio e le tradizioni – sottolinea Giordano - mantenendo lo sguardo rivolto al futuro: sono il simbolo dell’accoglienza familiare che l’azienda da sempre riserva ai suoi clienti. Il percorso dei nidi è recintato ma con cancelli facilmente apribili e si può sempre entrare. Abbiamo chiuso per difenderci da cinghiali e caprioli che ci fanno grandissimi danni. È percorribile a piedi, a cavallo e pure in bici”.

Barbera

La piramide della Barbera perfezionata da GIULIANO NOÈ (storico enologo della cantina) e portata avanti dal 2018 dall’allievo G IUSEPPE R ATTAZZO e dal giovane collega MATTEO LAIOLO, vede alla base, molto allargata, il Piemonte DOC Barbera, su cui si pongono nell’ordine, per produzioni e rese sempre più contenute, le DOCG Barbera d’Asti, Barbera d’Asti Superiore, Nizza e Nizza Riserva. La vendemmia è quasi esclusivamente manuale e dalla base al vertice l’utilizzo del legno e i tempi di affinamento aumentano come disposto dal disciplinare. Si ottengono Barbera diverse per freschezza, complessità, profondità ed abbinabilità. Tutte, e questa è la scommessa non solo della Cantina ma di tutto il Consorzio del Barbera d’Asti e del Monferrato, con una piacevolezza propria ed una collocazione precisa e funzionale.

Vigne Vecchie 50o Barbera D’Asti DOCG Fu presentata in occasione dei festeggiamenti per i 50 anni della cantina, fondata nel 1959. Senza passaggi in legno, “50 anni” restituì al vigneto, al territorio ed al vignaiolo tutto il merito del suo livello qualitativo col risultato di ottenere una Barbera “come una volta”, di spiccata freschezza, ottimo corpo, buona struttura ed un caratteristico punto di fruttato.

* Descrizione: le uve sono raccolte

manualmente verso la terza decade di settembre. Dopo la diraspapigiatura, il mosto viene trasferito in vinificatori orizzontali a temperatura controllata. Al termine della fermentazione alcolica viene immediatamente avviata quella malolattica all’interno di vasche inox. Conclusa questa fase, il vino viene fatto riposare per circa 16 mesi in vasche inox e in cemento. È poi affinato ancora in bottiglia per 6 mesi prima della commercializzazione.

* Consigli di abbinamento: primi piatti con sughi di carne o funghi. Secondi di carni rosse e bianche (arrosti, rolate, pollo alla cacciatora); finanziera, bagna cauda, formaggi di media stagionatura ed erborinati.

Sei Vigne Insynthesis

Barbera D’Asti DOCG Superiore Nasce da un progetto del 2001 che prevedeva, e prevede tuttora, una selezione estrema di vigneti capaci di produrre uve di altissima qualità.

* Descrizione: durante la terza decade di settembre le uve, selezionate da vigneti di circa 60 anni sui quali è stato praticato un diradamento del 50%, vengono raccolte manualmente. Dopo la diraspapigiatura, il mosto viene trasferito nei vinificatori orizzontali a temperatura controllata. Successivamente alla fermentazione alcolica, viene av-

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 117
Uno dei “nidi” messi a protezione dei tavoli da picnic.

viata la fermentazione malolattica all’interno di vasche inox. Terminata questa fase il vino viene affinato in barriques nuove per circa 20 mesi; resta poi a riposare ancora un mese in vasche di cemento e viene infine messo in bottiglia dove rimarrà ancora un anno prima della commercializzazione.

* Consigli di abbinamento: arrosti, bolliti di bue grasso, selvaggina, fonduta (meglio se con tartufo bianco), formaggio stagionato. Nel dopo pasto un insolito accostamento con cioccolato fondente e, volendo, anche con un sigaro, in questo caso rigorosamente toscano.

I Tre Vescovi Barbera D’Asti

DOCG Superiore

Nato con l’obiettivo di produrre una Barbera di alta qualità, di buona beva e prezzo sostenibile, è la bandiera dell’azienda e del territorio: con lo stesso nome si identifica una delle core zone del Patrimonio mondiale dell’umanità UNESCO “Paesaggi vitivinicoli del Piemonte”. I Tre Vescovi è, infatti, la località dove si incontrano i confini delle Diocesi di Acqui Terme, Alessandria e Asti.

* Descrizione: si vendemmia nella terza decade di settembre. Le uve

provengono, dopo diradamento e accurata selezione, da vigneti di circa 30 anni dove sono raccolte manualmente. Dopo la diraspapigiatura delle uve, il mosto viene trasferito negli appositi vinificatori a temperatura controllata. Al termine della fermentazione alcolica viene immediatamente avviata quella malolattica all’interno di vasche inox. A fermentazione conclusa, il vino viene posto in affinamento in botti di rovere francese da 75 hl ed in barrique dove riposa per circa 12 mesi. Dopo un’ulteriore sosta di un mese in acciaio inox, il vino passa in bottiglia dove, prima della commercializzazione, viene definitivamente affinato per sei mesi.

* Consigli di abbinamento: tagliatelle ai funghi, plin al ragù e lasagne, secondi a base di carni rosse (brasati, arrosti) e selvaggina, ma anche sancrau, il cavolo cappuccio stufato con aceto, e baciuà, lo zampino di maiale lessato. Ottimo con formaggi erborinati, stagionati e piccanti.

Laudana Nizza DOCG

Bricco Laudana è il nome di un crinale collinare orientato a sud e situato tra Vinchio e Mombercelli, di grande vocazione enologica tant’è che proprio i

suoi vigneti forniscono le uve destinate a produrre il Nizza DOCG.

* Descrizione: si vendemmia nella terza decade di settembre. Le uve provengono, dopo diradamento e accurata selezione, da vigneti con età media che si aggira sui 50 anni. La raccolta avviene manualmente. Si inizia con la diraspapigiatura delle uve ed il trasferimento del mosto in vinificatori orizzontali a temperatura controllata. Successivamente a quella alcolica, viene avviata la fermentazione malolattica all’interno di vasche inox. Terminata questa fase il vino viene affinato in barrique, con diversi gradi di utilizzo: buona parte in legno nuovo, ma anche di secondo passaggio o terzo passaggio. Questa fase dura circa 12 mesi, dopodiché il vino passa ancora un mese in vasche di cemento e viene infi ne imbottigliato. Prima della commercializzazione sarà proprio in bottiglia che godrà di un ulteriore e definitivo periodo di affinamento di sei mesi.

* Consigli di abbinamento: fritto misto piemontese, brasati, arrosti, formaggi stagionati.

Verticale di Barbera D’Asti DOCG

Vigne Vecchie

Chi vi scrive ha avuto il privilegio di partecipare qualche mese fa ad una degustazione di Barbera D’Asti DOCG Superiore. Sette calici per sette annate: 2017, 2006, 2003, 2000, 1998, 1995, 1991. Interessante al punto da mettere in evidenza tutte le caratteristiche aromatiche tipiche della Barbera, distinguibile nelle note floreali ma, soprattutto, fruttate, fino al fiore appassito e alla confettura. Curiosa la pulizia e l’integrità delle annate più vecchie; la beva incredibile del 1991. Messaggio chiaro: la Barbera è in grado di soddisfare tutti i palati e tutte le necessità in abbinamento col cibo. Dalla freschezza e aromaticità in giovinezza, alla profondità, struttura, pienezza e persistenza nella piena maturità.

Cantina Sociale di Vinchio

Vaglio Serra e Zl

Regione San Pancrazio 1

14040 Vinchio (AT)

Web: vinchio.com

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 118
Installazione rappresentativa de I Tre Vescovi, la bandiera della cantina. Quello che ha visto nascere la “Superiore” dei Tre Vescovi è stato infatti uno dei primi progetti che ha coniugato i valori del terroir e il sapere dei vignaioli con l’obiettivo, raggiunto, di produrre un vino di alta qualità, di facile e buona beva e di prezzo sostenibile.

Vini lucani da premio con Cantina di Venosa. Riconoscimenti al The Wine Hunter Award, il concorso del Merano WineFest

«Fare bene il proprio lavoro è prima di tutto una soddisfazione personale. Ma quando sono anche gli altri ad accorgersene, sicuramente è più gratificante. Con gli importanti riconoscimenti ottenuti dalla nostra azienda in questo 2023, ultimo dei quali al concorso enologico del celebre Merano WineFest, il grande impegno che quotidianamente mettiamo, i nostri soci e noi, in vigna e in cantina è stato premiato e riconosciuto dalle tantissime giurie di esperti del settore che hanno assaggiato i nostri vini». A dichiararlo sono Francesco Perillo e Antonio Teora, rispettivamente presidente e direttore commerciale di Cantina di Venosa. Ben 4 vini della cantina lucana hanno infatti ottenuto importanti riconoscimenti al The Wine Hunter Award: una “Medaglia oro” con il Carato Venusio Aglianico del Vulture Superiore DOCG 2017 e 3 “Medaglie rosse”, conquistate dal Tansillo Rosato Classico Brut nature 2020, dal Verbo Basilicata Bianco Malvasia IGT 2022 e dal Verbo Aglianico Del Vulture Classico DOP 2021. «Il nostro territorio, con il suo clima, il suolo e le vigne, è il cuore di ogni vino che produciamo. Ogni annata ci sfida con le sue sfumature uniche, ma è anche una grande opportunità per esplorare e sperimentare. Siamo costantemente impegnati nella ricerca, per garantire che ogni bottiglia rifletta al meglio il nostro terroir e il nostro impegno per la qualità», spiega Donato Gentile, enologo della cantina.

Nel 2023 l’azienda ha collezionato altri 12 riconoscimenti molti dei quali per vini ottenuti con l’uva simbolo di questa terra, l’Aglianico del Vulture; ma hanno ben figurato anche l’autoctono Malvasia di Basilicata e il Moscato Bianco. All’International Challenge Gilbert & Gaillard in Francia 6 Medaglie oro: 3 per il Verbo nelle versioni rosso (100% Aglianico del Vulture DOC del 2021), bianco (100% Malvasia di Basilicata, del 2022) e rosato (100% Aglianico, del 2022); 3 per il Terre di Orazio nelle versioni rosso (100% Aglianico del Vulture DOC del 2021), dry (100% Moscato Bianco, del 2022) e rosato (100% Aglianico, del 2022). Sono 5, invece, le medaglie ottenute al Decanter World Wine Award: 3 Argento per il Baliaggio Aglianico del Vulture DOC 2020, per il Carato Venusio Aglianico del Vulture Superiore DOCG 2017, e per il Verbo bianco Malvasia di Basilicata 2022; 2 Bronzo invece per il Verbo Aglianico del Vulture DOC 2020 e per il Terre di Orazio Aglianico del Vulture DOC del 2020. Infine, 1 prestigiosa Medaglia oro ottenuta al Concours Mondial de Bruxelles grazie al pluripremiato Verbo Aglianico del Vulture DOC 2020.

>> Link: cantinadivenosa.it

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 119

MACCHERONI

Il termine maccheroni nell’uso internazionale indica genericamente la pasta alimentare ottenuta mescolando semola di grano duro e acqua ed è (o, per meglio dire, era in passato) sinonimo di pastasciutta, tipico piatto italiano. In Italia il termine non è generico e indica determinati formati di pasta diversi nelle varie regioni: può quindi riferirsi a pasta corta o lunga, di semola di grano duro o all’uovo, e questa confusione o sovrapposizione lessicale deriva dalla loro origine. Per fare alcuni esempi i maccheroni con scanalature sulla superficie esterna sono chiamati rigatoni (scanalature longitudinali) o tortiglioni (scanalature a spirale), se di forma arcuata si usano

termini di sedani o sedanini o di lumaconi se i pezzi sono piuttosto larghi e con curvatura particolarmente accentuata.

Etimologia incerta

La parola maccherone nasce in Italia meridionale e più precisamente in Campania dove il soprannome Mackarone è attestato a Cava de’ Tirreni nel 1041 e sembra avere più origini. Nel greco bizantino μακαρώνεια, makarṓnia, e μακάριος, makários, significano “beato” e i maccheroni sarebbero stati il principale componente del pasto servito durante i funerali. Nel greco μαχαρία, macharía è una zuppa d’orzo da cui sarebbero derivati i maccheroni per aggiunta del suffisso –one, e nel greco

antico μακρόν (macrón) significa lungo o grosso derivante dall’indoeuropeo *mak (lungo, allungato) che potrebbe descrivere la forma del maccherone. Maccherone potrebbe anche derivare da macco, antica polenta di fave, termine di incrocio tra quello di makka e latino maccus

Nell’antica Roma vi era anche la Fabula Atellana con il personaggio di Maccus (il ghiottone sciocco, balordo e continuamente preso in giro, sbeffeggiato. Molti studiosi identificano questo personaggio come il progenitore della più popolare maschera partenopea Pulcinella, NdR) che, in tempi medievali, avrebbe dato origine al nomignolo dispregiativo Mackarone. Il termine

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 120 PASTA
MOLTI NOMI E SIGNIFICATI
DAI

maccarone è anche in relazione a quello di maccari, ossia schiacciare, l’azione fatta lavorando la pasta di semola di grano duro. In ogni modo la parola maccarone ha assunto il significato attuale soltanto in epoca tardo medievale. Nel Cinquecento l’umanista italiano LUDOVICO RICCHIERI (1469-1525), noto anche come Celio Rodigino o Caelius Rhodiginus, nella sua opera Lectionum Antiquarum (Lione, 1542), pensa che parola maccherone derivi da machaera, cioè stilo, coltello, e quindi che maccheroni significherebbe tagliati col coltello, come noi oggi denominiamo le tagliatelle, i tagliolini, i tagliarini o tajarin e simili tipi di pasta per lo stesso motivo.

Pasta italiana

Assolutamente infondata è la leggenda che i maccheroni sarebbero stati portati in Italia da MARCO POLO di ritorno a Venezia dal lontano Catai, la Cina, nel 1292. Infatti la più antica documentazione ufficiale di una pasta denominata maccherone appare in un atto notarile genovese del 4 febbraio 1279, nel quale, a proposito dell’inventario dell’eredità del milite PONZIO BASTONE, è menzionata barixella una plena de maccaronis. Il 20 settembre 1295, alla corte angioina di Napoli, la Regina Maria, madre di CARLO MARTELLO D’ANGIÒ (1257-1323), fa pagare ai creditori “quattro once per prezzo di maccheroni ed altro” forniti negli ultimi 12 giorni di agosto

ai nipotini orfani CAROBERTO, BEATRICE e CLEMENZIA. I maccheroni, come la pasta in generale, sono presenti e in uso in Italia dall’Alto Medioevo e a loro volta evoluti dal làganum di epoca romana, anche con la significativa testimonianza dello scrittore arabo Al-Idrisi (11001165) che, nel suo Libro di Ruggero II, ne attesta la presenza in Sicilia e in particolare a Trabia, dove sono prodotti in grandi quantità per poi essere commercializzati in tutto il Mediterraneo.

Il gesuita BERNARDINO STEFONIO (15601620) nel 1595 compose un poema eroicomico in latino maccheronico dal titolo Macaroides, nel quale canta la guerra combattuta dalle paste siciliane contro i legumi di Toscana.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 121

MV% Ceramics Design è il marchio con cui firma le sue bellissime creazioni in ceramica per la casa e il giardino la milanese Mariavera Chiari, il cui laboratorio con annesso punto vendita si trova in Alzaia Naviglio Grande 156. “Ho usato da sempre la ceramica come materiale eletto per esprimermi, naturale, lucido, colorato, pulito, che si trasforma nel forno come per magia”. Noi ci siamo innamorati del piatto fondo con impressa la scritta MACCHERONI del set Buon Appetito, in cui potete trovare anche i piatti, di differenti colori, con le scritte RAVIOLI, TORTELLINI, PASTA, RISOTTO, GNOCCHI, LASAGNE…

>> Link: www.mv-ceramicsdesign.it

La “gloriosa” frittata di maccheroni napoletana, un piatto di recupero che si arricchiva di volta in volta nelle cucine partenopee di tutto ciò che era rimasto in padella, diventa contemporaneo street food con “Giri di Pasta”, un concept di ristorazione a portar via che a Napoli oggi conta due locali: il primo, in Via dei Tribunali 73, nel cuore pulsante della città, e il secondo al Vomero. “Dalla spiaggia allo stadio, da solo o in compagnia di amici e familiari, la frittata di pasta è uno dei simboli della nostra tradizione culinaria. Le nostre nonne e le nostre mamme la preparavano con gli avanzi di un pranzo o di una cena e noi abbiamo deciso di omaggiare questo gesto e questo ricordo, proponendo frittate dagli ingredienti più disparati: dai friarielli alle melanzane, passando per la versione gluten free” (@giridipasta).

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 122

Nelle diverse regioni italiane, la parola “maccheroni” indica vari tipi particolari di pasta, corta o lunga, e più spesso il tipo di pasta lunga a sezione rotonda e spesso bucata, di grosso diametro (tra i bucatini e le zite). È di uso internazionale utilizzare il termine per indicare il tipico piatto italiano, vale a dire ogni tipo di pasta da mangiarsi asciutta (photo © fabiomax).

Saggezza popolare

Il popolo napoletano trova nei maccheroni la sua saggezza, tramutandola in proverbi. Vale la pena ricordarne alcuni:

• Dicette Pulecenella: nu Maccarone vale ciente Vermicielle! (Tante persone poco capaci, non possano eguagliarne una davvero capace);

• ‘A carne ‘a sotto e i maccarùne ‘a coppa (Spesso le cose migliori vengono nascoste da altre di minor valore);

• Maccarune, carne e vino ’e cannata, fanno buono sanghe pe’ tutta l’annata (Cibo buono ed abbondante giovano alla salute);

• Vino e maccarune songo ’a cura p’ ’e purmone (I malanni si curano bevendo e mangiando);

• Si vuo’ campà anne e annune, vive vino ’ncopp’ ’e maccarune (Vita lunga per chi beve vino e mangia maccheroni);

• Guaje e maccarune se magnano caure (Le avversità vanno affrontate senza indugi);

• ’E maccarune se magnane teniente teniente (Gli affari vanno conclusi rapidamente);

• Pare nu’ maccarone senza pertuso (È un individuo senza personalità);

• È caruto ’o maccarone dint ’o ccaso (Di cosa che giunge opportuna);

• ’E chiacchiere s’ ’e pporta ’o viento e ’e maccarune jenchene ’a panza

(Servono fatti concreti, non parole).

• Maccarune, sautame ’ncanna! (Di chi aspetta che gli piova la manna dal cielo);

• Fà ’e maccarune cu’ ll’acqua (Imbarcarsi in un’impresa impossibile).

• ’O maccarone se magna guardanno ’ncielo! (allusione al gesto con cui la plebe napoletana mangiava i maccheroni e un invito a ringraziare Dio per questo cibo squisito).

Guai a parlar male de maccheroni!

Soprattutto a Napoli non si può parlare male o contro i maccheroni, che l’arguta saggezza popolare subito risponde a tono, come nel caso di GIACOMO LEOPARDI (1798-1837), il quale, nella satira I nuovi credenti, composta tra il 1835 e il 1836, scrisse che i Napoletani avevano costruito la loro filosofia dell’Essere su un “piatto di maccheroni”, e perciò erano felici, di quella felicità che viene dall’ignoranza. Forse il suo sarcasmo era ispirato dalla volontà di resistere al fascino dei maccheroni che lo stavano conquistando, ma la citazione non passò inosservata, tanto che i Napoletani risposero per le rime con la Maccheronata di GENNARO QUARANTA:

“E tu fosti infelice e malaticcio / O sublime Cantor di Recanati, / che bestemmiando la Natura e i Fati / frugavi dentro te con raccapriccio.

Oh mai non rise quel tuo labbro arsiccio / né gli occhi tuoi lucenti ed incavati / perché... non adoravi i maltagliati / le frittatine all’uovo ed il pasticcio!/ Ma se tu avessi amato i Maccheroni / più de’ libri, che fanno l’umor negro / non avresti patito aspri malanni... / E vivendo tra pingui bontemponi / giunto saresti, rubicondo e allegro / forse fino ai novanta od ai cent’anni…”.

In tempi a noi più vicini, FILIPPO TOMMASO MARINETTI (1876-1944), nel Manifesto della cucina futurista (1930) esprime una virulenta ostilità nei confronti dei maccheroni, propugnando l’abolizione della pastasciutta: “agli Italiani la pastasciutta non giova, contrasta collo spirito vivace e coll’anima appassionata generosa intuitiva dei napoletani. Questi sono stati combattenti eroici, artisti ispirati, oratori travolgenti, avvocati arguti, agricoltori tenaci a dispetto della voluminosa pastasciutta quotidiana. Nel mangiarla essi sviluppano il tipico scetticismo ironico e sentimentale che tronca spesso il loro entusiasmo”

A questo attacco la risposta viene quando Marinetti è sorpreso da occhi indiscreti a mangiare un piatto di spaghetti, e si ritrovò sbeffeggiato in questi anonimi versi: “Marinetti dice ‘Basta, / messa al bando sia la pasta‘ / Poi si scopre Martinetti / Che divora gli spaghetti“.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 123

IL FANTASTICO MONDO DELLA LIEVITAZIONE NATURALE

Accantonata per lungo tempo, ritorna in auge con le sue proprietà sensoriali, nutrizionali e salutistiche e con tutto il suo bagaglio di riti e leggende che la caratterizzano

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 124 PANE
di Sebastiano Corona

La pasta madre o lievito madre è un impasto composto da sola farina e acqua che consente la creazione di numerosi batteri microrganismi che crescono e si moltiplicano dando avvio ad acidi lattici con funzioni benefiche per l’organismo. Il lievito madre usato in panetteria si differenzia notevolmente dal lievito di birra proprio grazie alla presenza di tali batteri che rendono gli alimenti più leggeri e digeribili.

Mai come negli ultimi decenni abbiamo assistito all’industrializzazione di certe produzioni alimentari e poi al ritorno a vecchi schemi produttivi, molti di questi tradizionali e in parte manuali, nel tentativo di riproporre processi e usi che rendano il cibo più salutare e più sostenibile.

Di questa tendenza a tornare al passato, il lievito madre rappresenta un esempio importante. Non è un caso se anche la grande industria alimentare ne ha colto i vantaggi in termini di marketing e dilaghino etichette che ne mettono in evidenza l’utilizzo, sebbene in accoppiata con altri agenti chimici lievitanti. Una contraddizione, forse, ma che dimostra che indicare l’utilizzo nel prodotto del lievito madre gli attribuisca un valore aggiunto facilmente spendibile sullo scaffale

Il lockdown legato alla pandemia di Covid-19 ha senz’altro dato una mano a riscoprire i pregi di un elemento un

tempo fondamentale per i prodotti da forno. Quando la clausura era forzata e ci siamo trovati un po’ per scelta e un po’ per diletto di fronte ai fornelli, quella del pane e della pizza è apparso a molti come un diversivo irrinunciabile. Ci si è messa la carenza di lievito di birra, in una certa fase pressoché introvabile nei supermercati, a fare il resto. D’altronde il tempo per dedicarsi a lavorazioni con lievitazioni lente non mancava di certo.

Il lievito madre è un prodotto vivo, una massa informe, solida o liquida costituita da una colonia di batteri e lieviti che, nelle giuste condizioni, danno vita ad un’acidificazione spontanea e quindi alla lievitazione naturale. Una vera e propria creatura composita, viva e ricca di biodiversità che, come tutti gli esseri viventi, necessita di cure. Quelle stesse attenzioni che, in una certa fase storica, in cui eravamo chiusi per settimane tra le quattro mura di casa, potevamo di certo garantire.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 125

Non si creda, al contrario di quello che si racconta sul web, che il lievito madre si possa fare in casa facilmente: un buon lievito madre è fortemente influenzato dall’ambiente in cui si genera e richiede capacità, tempo, igiene e molta, molta cura e pazienza.

Non ce n’era forse bisogno, ma di recente si è consolidata la convinzione che se il lievito di birra lavora con maggior celerità e gonfia bene l’impasto, la pasta madre premia invece la pazienza di chi

se ne prende cura e ricambia sul piano salutistico l’impegno precedentemente profuso. Il prodotto finale risulta pertanto più digeribile e tollerabile, anche al glutine. Il lungo processo di fermentazione

arricchisce il pane di batteri benefici per la flora intestinale, favorendo le difese immunitarie, riducendo gonfiori e flatulenze e la stipsi. Inoltre, molti studi attribuiscono al pane fatto con pasta madre la capacità di modulare la risposta glicemica. Quel pane resta fresco più a lungo, sprigiona sapori e profumi di una volta e si conserva per più giorni senza ammuffire.

Non a caso, e anche per rispetto dell’antica tradizione, è previsto nel disciplinare del Pane Toscano DOP e nel Pane di Altamura DOP e in moltissime DE.CO. o marchi geografici collettivi di prodotti da forno.

Quando i lieviti di altro tipo non esistevano, i tempi e le modalità di lievitazione di pane e dolci erano dettati da regole, usi e tempi oggi probabilmente inimmaginabili. La lievitazione lenta era in passato invece talmente importante che attorno ad essa sono nati riti, costumi e leggende. Ora ritorna con tutto il suo fascino, dando un tocco di pregio alle produzioni che con esso sono realizzate.

Non si creda, però, al contrario di quello che si racconta in certi siti internet, che si possa fare in casa facilmente, seguendo alcune semplici indicazioni. Un buon lievito madre è fortemente influenzato dall’ambiente in cui si genera e richiede capacità, tempo, igiene e pazienza. La stessa pazienza che necessita il fatto di conservare un prodotto vivo, prendersene cura costantemente e che lasciar morire per dimenticanza o incuria era, e tuttora è, considerato una sciagura.

Né tutto il lievito madre ha una resa perfetta. Solo un buon lievito madre può dare un buon prodotto. Non a caso ci

Alessandra Guigoni (Genova, 20 gennaio 1968) è un’antropologa e blogger italiana. Cultrice di discipline demoetnoantropologiche e assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Cagliari, si occupa principalmente di storia e cultura del cibo, agrobiodiversità, fenomeni di globalizzazione agroalimentare, sviluppo rurale, patrimoni agroalimentari e problematiche legate alle produzioni italiane tipiche e di qualità, in particolare nelle filiere del pane e della pasta, dei dolci e del settore lattiero-caseario in Sardegna. Ha collaborato con giornali e riviste, dal mensile Cucina de il Corriere della Sera, alla rubrica gastronomica del venerdì dell’Unione Sarda, dalla rivista telematica dell’associazione Epulae, alla rivista Anthropos&Iatria, alla rivista Andersen – Il mondo dell’infanzia

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 126

sono panifici, pasticcerie e forni nel nostro Belpaese che conservano e vantano lo stesso lievito madre da decenni, talvolta di più. E non a caso, farne dono, in passato, era considerato un gesto di profonda generosità e grande condivisione; non un semplice regalo, ma una vera e propria benedizione

L’antropologa culturale ALESSANDRA GUIGONI, genovese di origine trapiantata in Sardegna dove lavora da trent’anni e esperta di prodotti alimentari, racconta miti e leggende che attorno al lievito madre si sono costruiti nei secoli, proprio a sottolineare il suo ruolo fondamentale: «il lievito madre aveva un’importanza capitale, era l’unico lievito conosciuto e usato dall’antichità sino a tutto l’Ottocento e la prima metà del Novecento nelle case. Quando il lievito di birra e i vari lieviti chimici sono stati resi disponibili in botteghe e negozi è iniziato il lento declino del lievito madre».

Un declino che si è oggi leggermente arrestato, soprattutto nelle botteghe artigianali, dove ancora i processi manuali hanno una certa rilevanza. Ma il lievito madre ha avuto soprattutto in passato una tale importanza che attorno ad esso si sono originate addirittura leggende. «Una su tutte vede come protagonista Maria bambina, futura mamma di Gesù» prosegue Alessandra Guigoni. «In tutta Italia esistono numerosi miti e leggende dedicate alle donne, un po’ maghe, un po’ streghe, un po’ sacerdotesse, che sapevano manipolare il lievito madre per la panificazione. Una di quelle più popolari racconta della saggia Sibilla che panificava per tutto il paese, ma non trasmetteva il proprio sapere alle altre donne, che così panificavano dalla notte dei tempi pani azzimi, poco gradevoli e nutrienti. Un giorno Maria rubò della pasta acida alla Sibilla, come Prometeo rubò il fuoco agli dei, e ne fece dono, insieme alla tecnica appresa osservando la Sibilla, a sua mamma Sant’Anna e alle altre panificatrici del paese. Così, termina la leggenda, da quel giorno gli esseri umani mangiarono finalmente pane morbido, profumato e che si conservava soffice a lungo.

È anche interessante vedere il passaggio di consegne di saperi tra il mondo pagano, rappresentato dalla Sibilla, e quello cristiano, capeggiato da Maria. La tecnica di preparazione del pane col lievito madre viene cristia-

nizzata, dalla magia alla religione, un passaggio epocale dal punto di vista culturale. Gli antichi, ignari dell’esistenza degli organi microscopici come lieviti e batteri, si spiegavano così il processo di lievitazione che consentiva all’impasto di raddoppiare, ma, soprattutto, di rendere il pane più serbevole, di migliore digeribilità e sapore» racconta Alessandra alla quale chiediamo: il lievito madre è ancora importante nel mondo dei prodotti da forno in generale?

«Secondo me sì: ad esempio i Disciplinari di produzione di alcuni prodotti da forno iconici come panettone, pandoro e colomba prevedono espressamente tra gli ingredienti il lievito naturale costituito da pasta acida.

Il pane con lievito madre ha conosciuto una grande fortuna negli ultimi anni perché finalmente gli è stato riconosciuto il ruolo di alimento funzionale, importante per la salute del microbiota intestinale, a sua volta importante per la salute generale e in particolare per la tenuta del sistema immunitario. Quindi la produzione di pani e simili con lievito madre, che sino a 5 anni fa occupava una nicchia di mercato, oggi sta diventando più popolare e una moda alimentare.

Persino molti prodotti industriali, parlo dei cosiddetti pani in cassetta per toast e sandwich, reclamizzano sulla propria confezione che il lievito usato è la pasta acida, segno che qualcosa di importante è cambiato sul mercato.

Poco tempo fa ho conosciuto una comunicatrice inglese, VANESSA KIMBELL, che è una influencer e produce video e libri su come panificare con il lievito madre. È venuta in Sardegna rimanendo sbalordita ed estasiata dalla panificazione con il lievito madre nei forni e nelle case, che nel Regno Unito è scomparsa da tempo e ha generato, a suo dire, non pochi problemi di salute negli Inglesi. Io ci credo! Nel Regno Unito ha fondato un club del lievito madre e una vera e propria scuola, entrambi seguitissimi. Dunque l’importanza del lievito madre connessa alla ricerca di alimenti nutraceutici volti a lenire intolleranze e allergie alimentari crescerà a livello internazionale, così come la consapevolezza che un certo tipo di stile alimentare non è salutare né per la persona, né per il pianeta».

Sebastiano Corona

Premiata Salumeria Italiana, 5/23

LE BIRRE DEI MONACI

In alto: birre trappiste dell’Abbazia di Val-Dieu. A destra: il giardino interno dell’Abbazia e gli interni della birreria trappista.

Situata a circa 30 minuti da Liegi, l’Abbazia di Val-Dieu (www.val-dieu.net) è una fra le poche autorizzate in Europa a produrre birra trappista, la birra dei monaci, regolamentata dalla International Trappist Association (www.trappist.be): 12 birrifici in totale, di cui uno italiano, a Roma, nell’Abbazia delle Tre Fontane, zona EUR. Ma torniamo alle nostre bionde e ambrate dei monaci belgi, nella terra delle grandi birre, perché in effetti il Belgio sta alla birra come l’Italia e la Francia stanno al vino.

Val-Dieu (valle di Dio) è un’abbazia domenicana e cistercense fondata nel 1216. Fino al 2001 era abitata dai monaci, oggi da una piccola comunità cristiana che gestisce anche le visite turistiche oltre a presiedere le varie attività. L’Abbazia cominciò a produrre birra nel XVI secolo, poi dovette fermarsi a causa della Rivoluzione francese e della

successiva Révolution belge (1830-31) che portò alla secessione delle province del sud dal Regno Unito dei Paesi Bassi e alla nascita del Belgio indipendente. La produzione brassicola fu ripresa soltanto nel 1997 e oggi conta su 12 etichette, più i formaggi artigianali. Tra queste troviamo ad esempio l’ambrata Val-Dieu Noel (7% alcol), le scure Val Dieu Gran Cru (10,5%) e Val Dieu Brune (8%) o le chiare Val Dieu Blonde (6%) e Val Dieu Triple (9% alcol).

La storia della birra trappista dell’abbazia belga, tra scoperte e interruzioni, si intreccia coi fatti della storia. La chiesa venne infatti distrutta e bruciata per quattro volte, però sempre ricostruita secondo l’originale progetto cistercense, sintesi perfetta tra la “ricerca di Dio e il compimento dell’umanità” Dopo le Rivoluzioni, a metà XIX secolo, il ritorno dei monaci e l’ultimo restauro permisero a Val-Dieu di rimanere l’unico

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 128 BIRRA
Testi e foto di Massimiliano Rella
Premiata Salumeria Italiana, 5/23 129

sito cistercense originale oggi esistente in Belgio. Gli ultimi tre monaci hanno lasciato nel 2001 per andare a risiedere in altre abbazie cistercensi in Europa e da allora si è insediata una piccola comunità cristiana, attenta a mantenere viva anche la produzione brassicola.

Per definizione la birra trappista è brassata da monaci trappisti o da personale addetto sotto il loro controllo. Come accennato, tra gli oltre 170 monasteri trappisti nel mondo, soltanto 12 producono birre autorizzate dall’International Trappist Association e identificate dal logo Authentic Trappist Product. Al contrario, la definizione di “birra d’abbazia” identifica birre che si richiamano nello stile e nella presentazione ai prodotti monastici, spesso però prodotte da birrifici commerciali e non da monasteri autorizzati dalla ITA. Dunque, da non confondere.

L’ordine dei Trappisti fu fondato in Francia nel monastero cistercense di La Trappe. Nel 1664 l’abate decise d’introdurre regole severe, tra cui l’obbligo di bere solo acqua. Col tempo però le prescrizioni si allentarono e in tanti monasteri sottoposti alla “stretta osservanza” veniva ormai prodotta la birra, anche per finanziare le abbazie e le attività.

La popolarità delle birre trappiste crebbe nel tempo e alcuni pensarono di sfruttarla, ma nel 1997 otto abbazie

(6 i Belgio, 1 in Olanda e 1 in Germania) fondarono la International Trappist Association. Le regole principali del Disciplinare prevedono che per essere trappista la birra vada prodotta tra le mura di un’abbazia trappista, da monaci o sotto il loro controllo; inoltre, la produzione e la commercializzazione devono dipendere dagli stessi e i ricavi

devono essere diretti al loro sostentamento, alla beneficenza e non al profitto. Dal 2015 tra i birrifici autorizzati c’è anche l’Abbazia delle Tre Fontane (www.abbaziatrefontane.it), edificata nel luogo dove si dice venne decapitato San Paolo (la sua testa sarebbe rimbalzata tre volte nei punti in cui oggi sorgono appunto le tre fontane sacre). Si trova sulla Laurentina a ridosso del quartiere EUR ed è un’abbazia con clausura (6 monaci e 5 suore), uliveti (3.100 ulivi in 25 ettari), birrificio interno certificato, produzione di miele (60 arnie), vendita di ortaggi, bar con “aperitivi trappisti”, negozio di articoli e arredi sacri, bottega per la vendita dei propri prodotti e quelli di altre abbazie e monasteri italiani e stranieri. È anche l’unica “azienda” a produrre olio evo dentro i confini di Roma.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 130
La bottega dei prodotti trappisti dell’Abbazia delle Tre Fontane, nell’ex Museo.

ANTICA CORTE PALLAVICINA

Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO”

43010 Polesine Parmense (PR)

Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416

www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza.

Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.

RIDURRE I COSTI DI MAGAZZINO È POSSIBILE GRAZIE

ALLA TECNOLOGIA INFORMATICA

Ridurre i costi di magazzino è sicuramente sulla lista dei desideri di qualsiasi produttore o distributore di alimenti. Il perché i costi siano così alti ha molteplici cause: molti magazzini sono poco trasparenti, altri tecnologicamente obsoleti, la maggior parte semplicemente troppo

pieni. Per alleggerire il magazzino da costi superflui, si possono percorrere varie strade.

1. Ottimizzare gli stock di magazzino Quando si pensa al magazzino, viene subito in mente il classico dilemma: più

assortito è lo stock, più alta sarà la probabilità di soddisfare le richieste dei clienti nel minor tempo possibile. Spesso è proprio così: ma a quale prezzo? D’altro canto, però, un magazzino poco fornito conduce velocemente a colli di bottiglia o addirittura ad arresti della produzione. Diventa fondamentale allora ottimizzare

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 132 TECNOLOGIE
Evasioni ordini, Pick by Scan.
Premiata Salumeria Italiana, 5/23 133
Impiego della tecnologia robotica.

A sinistra: presa mobile dei dati. A destra: preparazione ordini automatica.

gli stock, lasciando che qualità e freschezza dei prodotti conservino il loro ruolo di “attori principali”.

CSB-System, ERP specifico per il settore Alimenti & Bevande, offre non solo un monitoraggio intelligente del magazzino ma, grazie all’elaborazione dei dati raccolti, consente una pianificazione efficiente della produzione

Il CSB-System si caratterizza, infatti, per l’elevato grado d’integrazione del modulo Magazzino con tutti gli altri moduli: dagli acquisti alla produzione, dalla qualità alle vendite, senza tralasciare la contabilità amministrativa e industriale, il collegamento alle linee di peso-prezzatura, l’EDI per interfacce con clienti e fornitori, l’M-ERP per poter operare sempre e ovunque.

Alcuni dettagli della soluzione

CSB-System per il magazzino

Il sistema calcola le quantità ottimali di componenti, semilavorati o prodotti finiti per una certa produzione o spedizione e, automaticamente, segnala all’operatore il raggiungimento delle scorte minime. «In questo modo si raggiunge la copertura del 100% dei componenti necessari per la produzione e/o distribuzione, con il minimo impegno di capitale possibile» spiega ANDRÈ

MUEHLBERGER, direttore della filiale italiana del gruppo CSB. «Alcuni nostri clienti riportano di aver ridotto i costi per gli stock di magazzino di circa il 30%». Il CSB-System, inoltre, tiene conto in maniera flessibile di diverse soluzioni. Le variabili prese in considerazione sono tante: si va dalla gestione di più unità di misura, quali pezzi, chilogrammi (con gestione del calo peso), cartoni, pallets, giostre, carrelli, alla gestione di più date di scadenza, sia interne che esterne; la gestione delle etichette EAN 13, EAN128, SSCC, gli inventari e la valorizzazione delle giacenze, la gestione FIFO e LIFO, statistiche e fatturazione di costi di stoccaggio a terzi, sono tutte funzionalità presenti nella soluzione standard.

2. Limitare i rischi del magazzino

Che si tratti di deterioramento, perdita o furto, il magazzino è esposto ad una serie di rischi. Nell’industria alimentare un prodotto deteriorato comporta anzitutto un rischio per la salute dei cittadini; in secondo luogo si deve riflettere anche sulle ripercussioni economiche e d’immagine che ne possono derivare per l’azienda. Anche in questo caso la tecnologia informatica può essere d’aiuto: il CSB-System controlla

automaticamente la durata minima delle merci per escludere l’utilizzo di merci obsolete. Poiché è un software integrato, tutti i dati del magazzino, della produzione, dell’ordine, ecc… sono disponibili in un unico sistema. Ciò assicura una maggiore trasparenza dei processi e degli inventari, una precisa pianificazione delle procedure e metodi più efficienti per la distribuzione e lo stoccaggio.

L’integrazione e la comunicazione costante tra Acquisti, Magazzino, Pianificazione, Produzione, Qualità e Vendite generano l’allineamento delle distinte base di produzione con i consumi effettivi delle lavorazioni e fanno in modo che sia le giacenze di magazzino sia i relativi tempi di transito siano ottimizzati. Tutto a vantaggio della competitività perché si riducono il costo dei prodotti finiti e l’esposizione finanziaria dell’azienda.

3. Implementare nuove tecnologie nella logistica

I magazzini sono da tempo un tema centrale del piano Industria 4.0: si pensi alle enormi scaffalature controllate dall’IT, ai carrelli elevatori automatici, alla robotica o anche alla realtà aumentata nella preparazione ordini.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 134

La trasformazione digitale ha aperto nuove possibilità per ridurre i costi, aumentare la competitività e garantire l’alta qualità del cibo. Al fine di raggiungere questi obiettivi, attualmente gli operatori del settore vedono due importanti tendenze: l’automazione attraverso la tecnologia robotica e la fornitura di informazioni sui dispositivi mobili sempre e ovunque. Il gruppo CSB-System supporta i suoi clienti in entrambi i settori con soluzioni consolidate nella pratica.

Tutto è meglio grazie all’IT Numerosi esempi pratici mostrano che già oggi è possibile lavorare più velocemente, meglio e risparmiando sui costi solo grazie alla moderna tecnologia informatica. Ma senza un investimento in nuove tecnologie non vi sarà alcun risparmio. In futuro tutti i reparti aziendali saranno ancora più in rete: le tecnologie a sensori innescheranno automaticamente ordini di consegna e l’RFID diventerà una tecnologia chiave nel magazzino. Tuttavia, il gestionale ERP manterrà sempre il suo ruolo di colonna portante dell’azienda.

Il CSB-System, disponibile anche in cloudservice, grazie alla sua struttura modulare, include la possibilità di un ampliamento flessibile nel tempo, a seconda delle esigenze aziendali in continua evoluzione. Proprio per questo il gestionale CSB-System è adatto anche alle piccole e medie industrie che abbiano piani ambiziosi e fiducia nel futuro.

Referente:

• Dott. A. MUEHLBERGER

CSB-System Srl

Via del Commercio 3-5

37012 Bussolengo (VR)

Telefono: 045 8905593

Fax: 045 8905586

E-mail: info.it@csb.com

Web: www.csb.com MANZINI

Premiata Salumeria Italiana, 5/23
s.r.l.
STAMPI ALLUMINIOSTAMPI INOX ATTREZZATURE INOX
Visita il nostro sito www.manzinistampi.it
PIANTANE INOX

TRACK ALIMENTI: L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA AL SERVIZIO DELLA DIGITALIZZAZIONE DELLA FILIERA ALIMENTARE

Il settore agroalimentare sta affrontando anni cruciali per lo sviluppo, la competitività e la sopravvivenza delle aziende che ne fanno parte. Il mercato sta testando e mettendo in campo nuove tecnologie, e le imprese che non sapranno stare al passo rischiano di ritrovarsi fuori dal mercato nei prossimi 10 anni

La filiera agroalimentare è un comparto che produce un immenso valore: pesa in modo determinante sulla bilancia commerciale italiana, quindi l’innovazione e la tutela del settore saranno fondamentali per garantire sicurezza alimentare e cibo di qualità per il futuro.

Nel processo di digitalizzazione della filiera alimentare si inserisce Track Alimenti, software ERP di tracciabilità e rintracciabilità alimentare progettato da Zuffellato Technologies. ZUFFELLATO TECHNOLOGIES ha sede a Ferrara e opera in ambito IT come system integrator dal 1975. Negli anni ‘90 sviluppa il software ERP Track, una suite che si dirama nei quattro settori del comparto agroalimentare: Track Carni, Track Agri, Track Ittico e, appunto, Track Alimenti

Lo sviluppo digitale per la crescita, la sicurezza e il made

in Italy

La tracciabilità alimentare è diventata obbligatoria nell’Unione Europea con l’entrata in vigore del Regolamento (CE) n. 178/2002 il 1o gennaio 2005. Esso stabilisce norme e principi fondamentali relativi alla sicurezza alimentare, inclusa la tracciabilità lungo tutta la catena, al fine di garantire un elevato livello di protezione della salute umana e degli interessi dei consumatori. Un obbligo normativo ma anche un’opportunità che ha comportato innovazione tecnologica e crescita digitale.

Se oggi molte aziende possono parlare di sicurezza, sostenibilità, protezione del made in Italy, qualità, è anche grazie a software e processi che garantiscono al 100% questi aspetti.

Zuffellato Technologies ha sviluppato negli anni un know-how ad alta specializzazione per la realizzazione di soluzioni integrate su misura dei suoi clienti. L’azienda da sempre ricerca, progetta e sviluppa soluzioni che si adattano alle metodologie operative dei propri clienti, aiutandoli a crescere e ad affermarsi.

Il core business di Zuffellato Technologies è la digitalizzazione dei processi del settore agroalimentare. La progettazione e lo sviluppo di Track Alimenti ha risposto da subito ad una grande sfida: riuscire a soddisfare le esigenze dettate dalle operazioni di trasformazione e commercializzazione dei prodotti alimentari.

Zuffellato Technologies ha raccolto queste necessità e le ha canalizzate in un unico prodotto, che oggi si rivolge

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 136

a salumifici, molini e pastifici, biscottifici, produttori di mangimi e industrie alimentari più in generale.

Quali sono i punti di forza di Track Alimenti?

La gestione della materia prima, la valorizzazione del magazzino e la sua gestione: sono la massima espressione di un software che punta alla tracciabilità come elemento di forza nell’intero ciclo produttivo dell’azienda alimentare. E poi ancora il controllo dei dati, della marginalità e della produzione, che diventano parametri fondamentali per guidare un’azienda alimentare.

Zuffellato Technologies si concentra anche sugli sviluppi futuri per migliorare continuamente le tecnologie integrandole con le novità rese affidabili e user friendly e per fornire strumenti di analisi dei dati sempre più precisi e semplici.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 137
Track Alimenti, software ERP di tracciabilità e rintracciabilità alimentare progettato da Zuffellato Technologies, si rivolge a salumifici, molini e pastifici, biscottifici, produttori di mangimi e industrie alimentari più in generale.

Tecnologia RFId: un investimento possibile

In un contesto di costante evoluzione come questo, oltre ai temi della blockchain merita una valutazione particolare l’utilizzo della tecnologia RFId applicata alla tracciabilità alimentare.

La tecnologia RFId (Radio Frequency Identification) è un sistema di identificazione automatica che utilizza onde radio per rilevare e identificare gli oggetti dotati di una specifica etichetta RFId. Questa tecnologia può essere applicata in molteplici settori, tra cui, appunto, quello alimentare. Può identificare contenuti microdispositivi che comunicano senza fili, trasportando e scambiando informazioni riguardo a identità, stato, temperatura e molto altro. Ogni RFId è identificato in modo univoco da un codice EPC — Codice Elettronico di Prodotto — a garanzia della funzionalità e precisione del sistema. L’implementazione della tecnologia RFId nei processi di produzione, distribuzione e commercializzazione della filiera agroalimentare può migliorare l’efficienza, assicurare la tracciabilità dei prodotti, ridurre gli errori e quindi i costi, utilizzare al meglio le risorse. Un sistema di tracciabilità alimentare che utilizzi la tecnologia RFId è stato limitato negli anni dall’elevato costo delle etichette RFId. Ma questa tecnologia sta diventando sempre più

comune e con la sua diffusione si sono abbassati i prezzi, trasformandola in un investimento sostenibile

Le sfide del futuro nelle parole di Enrico Zuffellato Se guardiamo al futuro, quali sono le sfide che il settore agroalimentare italiano si troverà ad affrontare per rimanere competitivo e continuare a offrire un prodotto di qualità? Lo abbiamo chiesto a ENRICO ZUFFELLATO, CEO di Zuffellato Technologies: «Effettivamente le recenti alluvioni che hanno devastato un territorio come quello emiliano-romagnolo ci hanno fatto capire quanto sia difficile oggi prevedere i cambiamenti, soprattutto climatici. Dobbiamo renderci conto che il cambiamento climatico ha un impatto importante sul settore alimentare in generale e ancora di più sulle aziende che fanno della natura la loro sopravvivenza. Ed ecco che le tecnologie possono aiutarci a ridurre il rischio: software basati su tecnologie cloud come Track, nuove modalità di gestione dei magazzini che velocizzano la rotazione del prodotto, l’utilizzo delle etichette RFId che miglioreranno e velocizzeranno ulteriormente le fasi di produzione e l’evasione degli ordini. Insomma, le sfide sono tante, ma le tecnologie esistono per aiutarci ad affrontarle, anche quelle più complesse!».

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 138 >> Link: www.zuffellato.com >> Link: www.trackanyfood.com Zuffellato Technologies Via Bela Bartok 12 44124 Ferrara Telefono: 0532 904711 E-mail: info@zuffellato.com
A sinistra: la gestione della materia prima, la valorizzazione del magazzino e la sua gestione: sono la massima espressione di un software come è Track Alimenti che punta alla tracciabilità come elemento di forza nell’intero ciclo produttivo dell’azienda. A destra: Enrico Zuffellato, CEO di Zuffellato Technologies.

MARIA PIA FAVARETTO, MARIAGRAZIA VILLA (a cura di)

Food & Wine. Marketing 4.0. Comunicare l’impresa agroalimentare nel web

Illustrazioni: JACOPO ROSATI

Edizioni: Flaccovio Dario, 2019

258 pp. – € 26,60

STEFANO VACCARI, GIUSEPPE CRISTINI (a cura di)

Il Tartufo

Dizionario internazionale

Edizioni: CREA crea.gov.it

LUCA CESARI

Storia della pizza

Da Napoli a Hollywood

Edizioni: Il Saggiatore, 2023

352 pp. – € 19,00

www.ilsaggiatore.com

Dalla Prefazione di MARIANO DIOTTO: “La Digital transformation ha cambiato radicalmente il mondo del lavoro, permettendo l’introduzione di nuove figure professionali nell’ambito della comunicazione, del marketing e dell’advertising. Nel giro di qualche anno le professionalità ibride, così vengono definite queste nuove figure di cui necessitano le aziende, saranno fra le più ricercate. Queste nuove professioni affiancano alle competenze tradizionali, nel campo creativo e strategico, una sempre maggiore conoscenza e qualificazione in ambito digitale. Il settore del Food & Wine è ancora più partecipe di queste tendenze, benché sia entrato più tardi in questo flusso di innovazione, a causa sia delle legislazioni che vietavano alcune pratiche di consumo — e che invece il web, ora, potrebbe favorire —, sia delle dimensioni delle aziende stesse che, soprattutto nel mondo del vino, sono piccole o tutt’al più medie. Vi è, quindi, un mercato che ricerca dei professionisti dalle capacità ibride”.

Non poteva che essere multilingue il volume dedicato ad uno dei simboli del nostro made in Italy enogastronomico che coniuga gusto, sostenibilità e territorio. Inglese, cinese, giapponese e arabo oltre, naturalmente, all’italiano: queste le lingue in cui si può leggere il dizionario internazionale il Tartufo, pensato e realizzato dal CREA.

Cibo di re e regine, il tartufo ha attraversato i secoli accrescendo la sua fama di ingrediente esclusivo, “tocco magico” di ogni pietanza. È così dall’antichità: gli antichi Greci e Romani, che di lusso se ne intendevano, apprezzavano il tartufo per proprietà culinarie e afrodisiache. In epoca moderna, la diffusione del tartufo è stata straordinaria e con essa anche il recupero delle tradizioni che lo hanno legato a popolazioni e territori. L’Italia ha saputo raccontare e tutelare queste tradizioni. Infatti, nel 2021 la “Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali” è stata riconosciuta dall’UNESCO quale Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità

Questa è una storia di re e regine, viaggiatori e scrittori, attori e cantanti d’opera. Ma, soprattutto, di pizzaioli e di forni, cuochi e impasti tirati a mano, di vicoli stretti che accomunano i rioni di Napoli e la Little Italy di New York. Questo è il racconto di come una semplice focaccia ricoperta di salsa di pomodoro e mozzarella sia diventata il cibo più amato del mondo; di come abbia attraversato gli oceani, raggiunto le tavole di tutti i continenti e costruito un mercato globale che ogni anno supera i 200 miliardi di dollari. LUCA CESARI torna a indagare i misteri e le fortune della gastronomia italiana e nella sua Storia della pizza non solo ci racconta fatti e misfatti culinari della celeberrima pietanza napoletana, ma ne rivela le vere origini, fugando ogni stereotipo e trascrivendo minuziosamente le ricette che si sono avvicendate nel corso dei secoli. Ci svela, inoltre, le leggende legate alla sua preparazione, i modi per mangiarla correttamente e l’immaginario che ha influenzato il cinema di ogni tempo.

Premiata Salumeria Italiana, 5/23 140 TRE LIBRI

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.