Premiata Salumeria Italiana 6-2013

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXV N. 6 Novembre-Dicembre 2013

Premiata Salumeria Italiana, 6/13

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Auguri d’Autore

Auguri da

Giovanni Ballarini • Corrado Barberis • Josette Baverez Blanco Elena Benedetti • Riccardo Bertolini • Gian Omar Bison • Gaia Borghi Michele Bracieri • Fabio Butturi • Carlo Cantoni • Cristina Casini Vincenzo Chiofalo • Federica Cornia • Sebastiano Corona • Marco Credi Alberto Ferrante • Giorgia Fieni • Laura Franchini • Lorena Gallina Silvia Gibellini • Riccardo Lagorio • Nunzia Manicardi Giulia Mauri • Stefania Monaco • Giorgio Montanari • Anna Mossini Manrico Murzi • Massimiliano Rella • Chiara Russotto • Clara Scaglioni Luciana Squadrilli • Angelo Valentini • Roberto Villa • Gemma Zubiani

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N. 6 Anno XXV Novembre-Dicembre 2013

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Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988 Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910 In esclusiva gli articoli di Euposia

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Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Renato Bergonzini – Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Redazione New York Stefano Spadoni – Alessandra Rotondi P.O. Box 569, New York, NY 10101-0569 Tel./Fax +1 212 956 8566 E-mail: stefanony@stefanospadoni.com Consulenti scientifici Prof. Giovanni Ballarini (Parma) – Prof. Fausto Cantarelli (Parma) – Prof. Carlo Cantoni (Milano) – Prof. Giuseppe Caserio (Milano) – Prof. Giorgio Catellani (Napoli) – Prof. Eugenio Del Toma (Roma) – Dr. Aldo Focacci – Dr. Emanuele Guidi (Modena) – Prof. Riccardo Monacelli (Roma) – Dr. Alfonso Piscopo – Piero Pittaro (Udine) – Prof. Andrea Strata (Parma) – Angelo Valentini (Perugia) Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.

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(ora Visentin)

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N. 6

In questo numero: Anteprima

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Immagini

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Legislazione

L’etichettatura dei prodotti alimentari contenenti una Dop-Igp come ingrediente caratterizzante

Vito Rubino

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Il food in rete

Il meglio del web e delle app

Elena Benedetti

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Comunichiamo

Facebook

Chiara Russotto

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Marketing

Valsana, dispensa d’eccellenza e salute

Federica Cornia

34

Il Cotechino e lo Zampone Modena Igp fanno più buone le tue idee. Ogni giorno

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Interviste

Una passione per le Rosse

Elena Benedetti

43

Prodotti tipici

La tradizione norcina umbra della David Salumi

Riccardo Lagorio

47

Il Violetto, l’asparago perfetto

Michele Bracieri

50

Testa in cassetta di Gavi, profumi di rum e spezie

Riccardo Lagorio

54

La salsiccia di Monte San Biagio punta all’Igp

Massimiliano Rella

56

Sicce vero carnis de Romania et de Slavonia

Riccardo Lagorio

60

Ricette politicamente corrette

Giovanni Ballarini

62

Le nozze delle delizie italiane

Angelo Valentini

66

Golosità enogastronomiche a due passi dal porto

Massimiliano Rella

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Curiosità

Locali di gusto

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Giorni di festa

Mosto ardente

Clara Scaglioni

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Week-end

Alla scoperta della Passeirer Gebirgsziege

Riccardo Lagorio

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Convegni

I salumi del futuro

Rassegne

Dite… Cheeeeeeeeeeeese

78 Gaia Borghi

Degustazioni, incontri, rassegne, premiazioni ad Autochtona 2013 Merano WineFestival 2013 Fiere

88 Laura Franchini

Anuga 2013: la piattaforma principale per il mondo internazionale del food Rimini Horeca Expo atto secondo: il comparto del fuoricasa ha 8 anime

Vino

91 97

Gaia Borghi

Cibus 2014: la fiera dell’alimentare italiano protagonista nei mercati esteri Formaggio

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104 106

Dove c’è agricoltura c’è paesaggio, c’è salvaguardia, c’è bellezza e buon formaggio

Massimiliano Rella

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Quella crosta che ne cambiò per sempre il destino

Raffaele Bertolini

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Bianchi, rossi, rosati, spumeggianti: Giro d’Italia dei vini di Natale

Riccardo Lagorio

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Dal Giappone in Paradiso, Mito incontra Mito

120

I vini di PSI

Degustazione: Natale col Prosecco

Laura Franchini

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Bevande

Anicione e Anisetta, sapori del passato

Nunzia Manicardi

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Aceto

Il tesoro profumato de La Vecchia Dispensa

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Tecnologie

Solo le tecnologie migliori

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In copertina: la tradizione del Natale in tavola con cotechino artigianale e mostarda (photo © Massimiliano Rella).

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A

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PROTETT

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Una stagionatura così lunga ha un gusto tutto particolare È il territorio appenninico che segue il corso del Panaro, tra le province di Modena, Bologna e Reggio Emilia che dona al prosciutto di Modena Dop quel gusto assolutamente caratteristico dal sapore dolce e intenso. Come unici sono gli ingredienti che lo compongono: coscia di suino italiano, sale e i suoi 14 mesi di stagionatura minima. Perchè solo un prosciutto così è crudo, è buono, è Modena. Fondo europeo agricolo Italiana, 6/13 Premiata Salumeria per lo sviluppo rurale: l’Europa investe nelle zone rurali

consorzioprosciuttomodena.it

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Anteprima

New York ha il MOMA, Londra la TATE, Roma il MAXXI. Da novembre Castelnuovo Rangone, in provincia di Modena, ha il MUSA, il primo Museo della Salumeria, unico nel suo genere a livello nazionale. Il suo itinerario, lungo oltre 200 m2 di spazio espositivo, racconta uno dei settori di eccellenza gastronomica del made in Italy. Non a caso in quella provincia modenese che la storia ha elevato a distretto fra i più importanti della tradizione salumiera italiana. Il MUSA è stato pensato e realizzato dalla famiglia Villani, che con i suoi 127 anni di “Villani Spa” rappresenta un autentico pezzo di storia salumiera del nostro Paese. Sul prossimo numero un ampio servizio fotografico.

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Immagini

Con la parola “mostarda”si indicano diverse preparazioni, distinte tra loro non solo per gli ingredienti ma anche per l’esecuzione e il gusto. Dalla mostarda cremonese a quella di Voghera, ne scopriremo tutti i segreti dopo aver letto il bellissimo articolo di Clara Scaglioni a pag. 71 (photo © gourmandistan.com).

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Cheese is for life! Tutto sulla nona edizione della manifestazione di Slow Food dedicata alle forme del latte e al mondo dei formaggi nel servizio di Gaia Borghi a pagina 81 (photo Š eventoLive).

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Legislazione

L’etichettatura dei prodotti alimentari contenenti una Dop-Igp come ingrediente caratterizzante di Vito Rubino

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a crescente attrattiva commerciale dei prodotti a Denominazione di Origine – Indicazione Geografica Protetta nell’Unione Europea ne ha fatto sempre più frequentemente oggetto di interesse da parte dei produttori di alimenti trasformati o complessi che desiderano “nobilitare” il proprio prodotto inserendo fra gli ingredienti una o più DOP-IGP ed indicandole in etichetta come “ingredienti caratterizzanti”. Com’è noto, la materia è stata oggetto in Italia di una specifica disciplina che assoggetta questa possibilità ad alcune condizioni: la presenza della DOP-IGP come unico ingrediente nella categoria merceologica di riferimento, la presenza di un quantitativo rilevante del prodotto a denominazione geografica (tale da giustificarne la presenza in etichetta

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come “ingrediente caratterizzante”) e l’inserimento dell’utilizzatore commerciale in un apposito registro tenuto dai Consorzi di tutela o, in difetto, dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali1. Solo in presenza di queste condizioni è possibile considerare “lecito” l’impiego del nome geografico protetto nell’etichettatura commerciale di altri prodotti ed evitare, così, le pesanti sanzioni previste altrimenti dal Decreto Legislativo 297/042. La disciplina è stata in anni recenti oggetto di numerose critiche, sia sul piano costituzionale che “comunitario”, di cui si darà sinteticamente conto. Una recente modifica del quadro normativo UE in materia di protezione delle denominazioni geografiche potrebbe tuttavia superare, almeno sotto il profilo del diritto

dell’Unione Europea, le principali obiezioni mosse alla norma italiana e rendere così più solida la base giuridica su cui è costruita. Nei paragrafi che seguono si cercherà di ricostruire la novità introdotta dal Regolamento UE 1151/2013 sui regimi agroalimentari di qualità per valutarne l’impatto sul DLgs 297/04 in questo specifico ambito. La novità introdotta nell’art. 13 del Regolamento UE 1151/2013 Il testo dell’articolo 13 del Regolamento 1151/2013 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari introduce un’importante specificazione in ordine all’ampiezza della privativa portata dal nome registrato nei casi in cui questo venga impiegato nell’etichettatura di alimenti composti “come ingrediente” (cfr. art. 13, co. 1,

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lett. a, Reg. 1151/2012 UE): la norma, infatti, estende anche a queste ipotesi il divieto di evocazione, usurpazione e imitazione del toponimo altrimenti previsti per la sola denominazione di vendita. La specificazione, voluta dal Parlamento europeo in sede di discussione della proposta presentata dalla Commissione, sembrerebbe, a prima lettura, deporre per un approccio restrittivo al riguardo, per la cui valutazione pare utile tracciare un raffronto con il sistema dei marchi. L’impiego del marchio altrui con finalità atipiche o descrittive Com’è noto, la registrazione di un marchio crea un diritto al suo utilizzo modellato sulla struttura proprietaria: il titolare potrà disporne sia in termini di uso esclusivo diretto, sia di concessione a terzi (c.d. concessione del marchio in licenza, previsto oggi dagli artt. 22 Reg. 207/2009 UE sul marchio comunitario3 e 23 co. 2 DLgs 30/20054), sia, infine, in termini di “distruzione” (attraverso il mancato rinnovo della registrazione o l’inutilizzo). Da tempo la dottrina5 ha segnalato che la natura sostanzialmente monopolistica del marchio tende ad escludere o a ridurre al minimo le possibilità di uso del segno registrato da parte di terzi privi di specifica autorizzazione del titolare. Nonostante, infatti, tanto la normativa6 quanto la giurisprudenza7 abbiano concesso alcune aperture all’utilizzo del marchio altrui sulla scorta di preoccupazioni concorrenzialistiche8, i casi in cui sono previste limitate eccezioni all’assolutezza del diritto in commento sono estremamente ridotti: utilizzo del patronimico o dell’indirizzo dell’imprenditore 9, uso del segno registrato in funzione descrittiva di dati reali10 o indicazione della destinazione d’uso del prodotto11. I casi elencati sono peraltro accomunati da un’ulteriore restrizione, ossia la necessità della buona fede, espressa normativamente dall’inciso “purché quest’uso sia conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale o commerciale”12. Con riferimento, in particolare, alla cosiddetta “funzione descritti-

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va” di dati reali, la giurisprudenza, pur ammettendo la riconducibilità a questa fattispecie dell’ipotesi di indicazione di componenti del proprio prodotto, ha mostrato una certa severità nel valutare la reale esigenza comunicativa ed escludere la liceità di ogni ingiustificato agganciamento al marchio altrui per finalità meramente speculative13. In altre parole, in tutte le ipotesi in cui non ci si trovi di fronte ad un uso descrittivo (e non distintivo) giustificato da esigenze oggettive14, si potrebbe configurare una ipotesi di contraffazione del marchio con il diritto del titolare di assumere tutte le iniziative inibitorie e risarcitorie previste dall’ordinamento15. Valutazioni nello specifico settore delle denominazioni geografiche registrate A fronte di un simile quadro occorre domandarsi se la disciplina delle DOP-IGP, che è pur sempre regolatrice di diritti di proprietà industriale, segua analoghi criteri e giustifichi, di conseguenza, limitazioni al diritto portato dal segno registrato, anche alla luce della nuova formulazione del comma 1 dell’art. 13 del Regolamento 1151/2012 UE. Non v’è infatti dubbio che l’ipotesi dell’ingrediente caratterizzante vada ben oltre la mera funzione descrittiva (per la quale basterebbe l’elenco degli ingredienti) e sconfini nell’intenzione di trarre un vantaggio economico e competitivo dalla notorietà del toponimo evocato. Al riguardo occorre anzitutto ricordare che la Corte di giustizia, in due sentenze separate da una certa distanza temporale, ha tracciato i confini della normativa UE sulle denominazioni geografiche. Nella sentenza Warsteiner 16 del 7 novembre 2000 la Corte ha delineato il perimetro di applicazione della normativa comunitaria sulla tutela dei nomi geografici degli alimenti affermando che questa, limitandosi a disciplinare le denominazioni dei prodotti che presentino un nesso ben preciso fra le proprie caratteristiche, la qualità o la reputazione e il territorio da cui provengono, lascia gli Stati Membri liberi di regolare gli aspetti non coperti dalla previsione

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Lardo di Colonnata, prodotto Igp. (cfr. punti 42-45). Successivamente la Corte, con la sentenza Bud II 17 dell’8 settembre 2009, ha ribadito che la disciplina sulle DOP-IGP deve considerarsi “esaustiva”, nel senso che gli Stati Membri non possono introdurre o mantenere nel proprio ordinamento norme potenzialmente competitive e complementari a quanto stabilito dal regolamento (cfr. punto 114). La dottrina che ha commentato quest’ultima sentenza si è divisa fra critiche, fondate prevalentemente sulla natura concorrente delle competenze in materia di proprietà industriale e sul conseguente diritto degli Stati Membri di conservare la facoltà di proteggere entro i propri

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confini nazionali le proprie denominazioni di origine – indicazioni geografiche18, e considerazioni adesive basate sul sostanziale assorbimento della competenza in oggetto da parte della UE con l’emanazione del primo regolamento sulle DOP-IGP, nonché sulla prevalenza della base giuridica “agricola” sugli altri profili19. Non potendosi entrare in questa sede nel merito dell’una o dell’altra posizione, va comunque segnalato che dalla soluzione al problema discende in larga misura anche la risposta ai limiti di utilizzabilità dei toponimi registrati utilizzati in etichetta come indicazione di ingredienti caratterizzanti. Ove, infatti, la

prima tesi dovesse rivelarsi — anche in seguito ad auspicati ripensamenti giurisprudenziali — corretta, è chiaro che il legislatore nazionale conserverebbe il diritto di imporre, entro i propri confini, requisiti di tutela aggiuntivi quali la richiamata procedura autorizzatoria preventiva introdotta dal DLgs 297/04, salva, ovviamente, la verifica di costituzionalità interna. L’inciso introdotto dal nuovo articolo 13 in commento potrebbe così rafforzare, sul piano del diritto UE, l’esercizio di un siffatto potere da parte del legislatore nazionale, in quanto richiamo alla necessità di assicurare alle denominazioni geografiche registrate una tutela anche oltre i limiti della propria filiera, al pari di quanto visto per i marchi. Laddove, al contrario, dovesse prevalere la tesi dell’assorbimento delle competenze nazionali in materia, la soluzione al problema che qui interessa risulterebbe assai più complessa. La natura di “diritto ibrido” delle indicazioni geografiche nell’ordinamento UE, poste a cavaliere fra gli interessi privati degli operatori economici e le aspirazioni pubblicistiche a farne uno strumento di sviluppo rurale, promozione del territorio e tutela del consumatore, renderebbe infatti non totalmente “traslabili” nella fattispecie in oggetto i principi — anche giurisprudenziali — sviluppatisi nell’ambito del diritto dei marchi. Prima di poter estendere valutazioni “monopolistiche” proprie del marchio alla materia qui in discussione occorrerebbe, infatti, verificare se la normativa UE sulle denominazioni geografiche non risponda a impostazioni diverse, in ragione dell’autonomia della regolamentazione e della peculiarità delle sue finalità. Prima della novella del 2012, il regolamento sulle DOP-IGP non prevedeva disposizioni sull’impiego dei toponimi registrati come ingredienti caratterizzanti. La norma sulla protezione si limitava ad enunciare il divieto generale di evocazione, usurpazione o imitazione delle denominazioni geografiche protette da parte di prodotti almeno potenzialmente confondibili o competitivi20. Nel quadro degli interventi del

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c.d. “pacchetto qualità” adottato in seguito al Libro Verde del 2008, la Commissione europea ha emanato, sul problema21, delle Linee Guida che delimitano le condizioni di ammissibilità dell’uso dei toponimi registrati nell’etichettatura dei prodotti elaborati da terzi. Nel documento si legge che “l’incorporazione in un prodotto alimentare di un prodotto che beneficia di una DOP o di una IGP può naturalmente costituire uno sbocco importante per questi prodotti di qualità; occorre tuttavia assicurarsi che nell’etichettatura di un prodotto alimentare ogni riferimento a tale incorporazione sia effettuato in buona fede e non induca in errore il consumatore (…)”. A tal fine la Commissione ritiene che “una denominazione registrata come DOP o IGP possa essere menzionata all’interno, o in prossimità, della denominazione di vendita di un prodotto alimentare che incorpora prodotti che beneficiano della denominazione registrata, come pure nell’etichettatura, nella presentazione e nella pubblicità del prodotto alimentare di cui trattasi, se sono soddisfatte le condizioni di seguito indicate: (…) il suddetto prodotto alimentare non dovrebbe contenere nessun altro «ingrediente comparabile», cioè nessun altro ingrediente che possa sostituire completamente o parzialmente l’ingrediente che beneficia di una DOP o IGP (…); l’ingrediente dovrebbe essere utilizzato in quantità sufficiente per conferire una caratteristica essenziale al prodotto alimentare di cui trattasi (…); la percentuale d’incorporazione di un ingrediente che beneficia di una DOP o di una IGP dovrebbe essere idealmente indicata all’interno o in prossimità immediata della denominazione di vendita del prodotto alimentare (…)”. Secondo la Commissione, infine, in linea di massima “nel disciplinare di produzione di un prodotto a DOP o IGP registrata non dovrebbero figurare disposizioni relative all’impiego di una DOP o IGP registrata nell’etichettatura di altri prodotti alimentari, in quanto il rispetto della normativa vigente dell’Unione da parte degli operatori economici costituisce una garanzia adeguata”.

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Come si può facilmente notare, per un verso il presupposto che anima l’iniziativa è l’utilità della diffusione dei prodotti a denominazione protetta anche come ingredienti, per le evidenti ricadute economiche che da ciò possono derivare. Per altro verso, pur essendo ben dettagliati i requisiti che giustificano l’impiego descrittivo della DOP-IGP, non sono previste condizioni concernenti autorizzazioni preventive, iscrizioni in appositi registri e pagamento di diritti. Ciò in quanto la Commissione supera la concezione “proprietaria” del segno registrato se, come detto, mostra di voler escludere che siano indicate le condizioni per il loro utilizzo come ingrediente nei disciplinari di produzione degli alimenti a denominazione protetta, perché il rispetto delle semplici regole di correttezza e trasparenza commerciale enunciate basta nella logica dell’esaustività della normativa UE. In altre parole, gli orientamenti richiamati assumono la funzione di esplicitare quei requisiti di correttezza professionale che rendono legittimo e libero il richiamo al toponimo e l’effetto di aggancio commerciale in favore degli utilizzatori professionali viene assorbito dalle richiamate finalità pubblicistiche della norma, che mirano ad incrementare il reddito agricolo moltiplicando la richiesta di mercato di questi prodotti22. La precisazione circa l’estensione della privativa dei toponimi anche alle situazioni in cui sono impiegati “come ingredienti”, di cui al nuovo art. 13, co. 1, Reg. 1151/2012 UE, non sembrerebbe quindi poter implicare una innovazione normativa rispetto agli orientamenti richiamati23. L’inciso, infatti, si inserisce pienamente e coerentemente nel quadro della politica sulla qualità alimentare, limitandosi a richiamare implicitamente le condizioni — tutte sostanziali — già enunciate dalla Commissione per garantire la correttezza del messaggio lanciato con evidenza caratterizzante e la conseguente maggiore appetibilità del prodotto arricchito dalla DOP-IGP. Il considerando n. 32 del regolamento conferma questa lettura, laddove, pur dando atto dell’intenzione

Ciauscolo Igp, salume spalmabile tipico dei Monti Sibillini e dell’Alto Maceratese. del legislatore di elevare la tutela dei toponimi registrati estendendo la privativa ai casi di usurpazione, imitazione ed evocazione per beni e servizi (al pari del settore vitivinicolo), precisa che “è opportuno tener conto della comunicazione della Commissione intitolata Orientamenti sull’etichettatura dei prodotti alimentari ottenuti da ingredienti a denominazione di origine protetta (DOP) e a indicazione geografica protetta (IGP) quando le denominazioni di origine protette o le indicazioni geografiche protette sono utilizzate come ingredienti”. L’indicazione conferma, quindi, la conformità della precisazione inserita nel primo comma dell’articolo 13 con quanto indicato dalla Commissione, e sembrerebbe escludere implicitamente la possibilità di farne il fondamento giuridico per giustificare ulteriori restrizioni all’impiego dei toponimi per i fini descritti. L’apparente omogeneità delle indicazioni richiamate trova, tuttavia, un elemento di incoerenza nel rafforzato ruolo dei gruppi, tanto nel regolamento in commento, quanto in alcune disposizioni che lo hanno preceduto. Il nuovo articolo 45 attribuisce a queste organizzazioni di imprenditori (in Italia i Consorzi di tutela) varie facoltà24 finalizzate al rafforzamento del controllo del toponimo, fra cui rientra l’adozione di “provvedimenti volti a impedire o contrastare misure che sono o rischiano di essere svalorizzanti per l’immagine dei prodotti”.

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quali le autorizzazioni preventive dei Consorzi e schemi di sorveglianza ad hoc ispirati da finalità di espansione della tutela. Le diverse impostazioni, che finiscono per sconfinare quasi in aperte contraddizioni, non agevolano la lettura della disposizione, che richiederà quindi necessariamente un passaggio interpretativo della Corte di giustizia. Vito Rubino Avvocato, Ricercatore in Diritto dell’Unione Europea, Università degli Studi del Piemonte orientale Mortadella Bologna e Parmigiano Reggiano Dop sono ben visibili tra gli ingredienti in etichetta. L’indicazione, ispirata chiaramente dalla figura del titolare di un marchio collettivo, denota il persistere di una certa confusione di ruoli, funzioni e poteri nel sistema delle DOP-IGP, alimentata di recente da quanto previsto per il settore caseario dal Regolamento 261/2012 UE25, che, anticipando una precisa volontà del Parlamento europeo circa l’estensione a tutto il comparto di analoghe facoltà26, ha introdotto la possibilità per le organizzazioni interprofessionali di chiedere ai Governi nazionali il contingentamento della produzione in funzione dell’andamento di mercato. Le due disposizioni sembrano, infatti, deporre per l’ipotesi che la disciplina non abbia ancora del tutto abbandonato modalità di tutela privatistiche — così ricostruite anche dalla nostra Corte Costituzionale27 — in favore di un approccio totalmente pubblico, e che, dunque, nella materia in discussione possano continuare a coesistere interessi diffusi con un controllo di tipo proprietario sul segno registrato. In altre parole, laddove prevalesse una lettura della norma di questo tipo si potrebbe ipotizzare che quanto affermato dalla Commissione non esaurisca le condizioni necessarie e sufficienti per utilizzare i toponimi registrati come ingredienti caratterizzanti, e sia lecito anche sul piano della normativa UE che gli Stati Membri adottino condizioni ulteriori

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Note 1. L’articolo 1, co. 1, lett. c del Decreto Legislativo 297/04, infatti, stabilisce che l’impiego commerciale di denominazioni geografiche registrate in sede UE nell’etichettatura, presentazione o pubblicità di prodotti elaborati o trasformati è da considerarsi illecito e sanzionabile amministrativamente, ad eccezione del caso in cui “la denominazione è il componente esclusivo della categoria merceologica di appartenenza e gli utilizzatori del prodotto composto, elaborato o trasformato sono autorizzati dal Consorzio di tutela della denominazione protetta (…) e risultano inseriti in apposito registro attivato, tenuto ed aggiornato dal Consorzio stesso”. 2. Cfr. il Decreto Legislativo n. 297 del 19 novembre 2004, “Disposizioni sanzionatorie in applicazione del Regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli ed alimentari”, in GURI n. 293 del 15 dicembre 2004. Per un commento alla norma si vedano C. CORRERA, La nuova disciplina per i prodotti DOP e IGP, Roma, 2005; L. LA TORRE, M. CERRETO, La tutela delle DOP e IGP, Napoli, 2010. La disciplina è stata successivamente integrata, per via amministrativa, con la Circolare del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali del 2010 nominata “Criteri per l’utilizzo del riferimento ad una DOP o ad una IGP nell’etichettatura, nella

presentazione o nella pubblicità di un prodotto composto, elaborato o trasformato”, pubbl. in Alimenta, n. 6/2010, p. 137 ss., nonché da un Accordo non pubblicato fra il Ministero e Federalimentare in ordine all’interpretazione della norma nel senso di gravare dell’obbligo di registrazione non il produttore, bensì l’utilizzatore commerciale, ossia il venditore del prodotto sotto il cui marchio lo stesso viene commercializzato. 3. Cfr. il Regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio del 26 febbraio 2009 sul marchio comunitario, in GUUE, L 78, del 24 marzo 2009, p. 1 ss. 4. Cfr. il Decreto Legislativo 10 febbraio 2005 n. 30, “Codice della proprietà industriale”, a norma dell’articolo 15 della Legge 12 dicembre 2002, n. 273, pubblicato in GURI, n. 52, del 4 marzo 2005, SO n. 28. 5. La letteratura sul punto è troppo vasta per poter essere qui esaurientemente richiamata. Sia perciò consentito rinviare ai soli lavori di A. VANZETTI, Volgarizzazione del marchio e uso del marchio altrui in funzione descrittiva, in Riv. dir. comm., 1962, I, p. 20; M. FRANZOSI, Funzione distintiva e funzione descrittiva del marchio: uso di marchio altrui per indicare un componente del proprio prodotto, in Riv. dir. ind., 1960, II, p. 218; G. AGHINA, Utilizzazione atipica del marchio altrui, Milano, 1971, p. 139 ss. e passim; V. DI CATALDO, I segni distintivi, Milano, 1993, p. 125; G. GHIDINI, Prospettive “protezioniste” nel diritto industriale, in Riv. dir. ind., 1995, I, p. 73 ss.; L. MANSANI, La nozione di rischio di associazione fra segni nel diritto comunitario dei marchi, in Riv. dir. ind., 1997, I, p. 133 ss., e, dello stesso Autore, La funzione di indicazione di origine del marchio nell’ordinamento comunitario, Milano, 2000; M. RICOLFI, La tutela del marchio, in AA.VV., Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, Torino, 2001, p. 145; P. PETITTI, Concorrenza, marchio e brevetto, Milano, 2004, passim; G. SENA,

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Il diritto dei marchi. Marchio nazionale e marchio comunitario, Milano, 2007, p. 159; G. LECCE, Il marchio nella giurisprudenza, Milano, 2009, p. 188. 6. Cfr. art. 12 del Reg. 207/2009 UE cit. e art. 21 del DLgs 30/2005. 7. Sul punto si veda in particolare la sentenza della Corte di giustizia CE 7 gennaio 2004, in causa C-100/02, Gerolsteiner Brunnen GmbH c. Putsch, in Racc., p. I-691, in cui la Corte ha affermato che, nel consentire l’uso leale delle indicazioni di provenienza, la Direttiva 89/104 CEE non ha operato alcuna distinzione nella casistica elencata, sicché anche l’abbinamento del nome geografico alla denominazione di un’acqua minerale può essere ritenuto legittimo — ancorché in assonanza fonetica con un marchio registrato in Germania per un prodotto appartenente alla medesima classe — purché se ne accerti la lealtà sul piano commerciale e sia escluso il pericolo di confusione per il consumatore medio. Conformi anche le sentenze 28 gennaio 1999, causa C-303/97, Verbraucherschtzverein c. Sektkellerei G.C. Kessler GmbH, in Racc., p. I-513, punto 33; 4 maggio 1999, causa C-108/97, Windsurfing Chiemsee, in Racc., p. I-2779, punto 29; nonché la sentenza del Tribunale 19 ottobre 2006, causa T-350/04, Bitburger Brauerei GmbH c. Anheuser Bush Inc., in Racc., p. I-4255. 8. In dottrina, l’apertura in particolare della giurisprudenza comunitaria sul punto è stata letta con un certo grado di preoccupazione in relazione alla sua possibile incidenza strutturale sul sistema di protezione dei marchi. Si veda, in particolare, G. SENA, Il diritto dei marchi… cit., p. 156, secondo cui “non può neppure omettersi di osservare che una tale sostituzione del diritto assoluto sul marchio d’impresa con una tutela di tipo concorrenziale costituirebbe una rottura sistematica di grande portata, rottura sistematica della quale, probabilmente, né il legislatore comunitario, né quello nazionale,

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né la giurisprudenza comunitaria si sono resi pienamente conto”. 9. Cfr. art. 12, co. 1, lett. a, Reg. (CE) 207/2009, e art. 21, co. 1, lett. a, DLgs 30/2005. 10. Cfr. art. 12, co. 1, lett. b, Reg. (CE) 207/2009, e art. 21, co. 1, lett. b, DLgs 30/2005. 11. Cfr. art. 12, co. 1, lett. c, Reg. (CE) 207/2009, e art. 21, co. 1, lett. c, DLgs 30/2005. 12. Cfr. art. 12, ultimo co., Reg. (CE) 207/2009, e art. 21, co. 1, lett. c, DLgs 30/2005. 13. L’elenco delle sentenze sul punto sarebbe lungo. Sia consentito perciò limitarsi a richiamare le sentenze di legittimità Cass., 28 ottobre 1998, n. 10739, in Giur. ann. dir. ind., p. 3738; Cass. Civ., 10 gennaio 2000, n. 144, ivi, p. 4052; Cass. Civ., 21 giugno 2000, n. 8442, ivi, p. 4071; Corte di giustizia CE, sentenza 23 febbraio 1999, in causa C-63/97, BMW, in Racc., p. I-905; 17 marzo 2005, in causa C-228/03, Gillette Company and Gillette Group Finland, in Racc., p. I-2337. 14. Si pensi al classico caso dell’accessorio non originale compatibile, al modellino in scala ridotta o alla presenza di componenti con funzioni specifiche di cui il consumatore deve essere informato. 15. Cfr. G. SENA, op. ult. cit., p. 159. 16. Cfr. la sentenza della Corte di giustizia CE 7 novembre 2000, in causa C-312/98, Schutzverband gegen Unwesen in der Wirtschaft eV,e Warsteiner Brauerei Haus Cramer GmbH & Co. KG, in Racc., p. I-9187. La sentenza è stata commentata da numerosi Autori. Sia consentito limitare, per ragioni di spazio, i richiami ai soli lavori di F. CAPELLI, La sentenza Warsteiner. In materia di denominazioni di origine: un contributo alla soluzione di un equivoco, DCSCI, 2001, p. 287 ss.; E. MONTELIONE, Il territorio come regola: alcune considerazioni a margine del caso Warsteiner, Giur. it., 2001, p. 1650 ss.; E.I. OBERGFELL, Simple Geographic Indications of Source in the Overlap where German and European Law Compete, The Eur. Leg. For.,

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2001, p. 245 ss.; M. VALLETTA, Non solo DOP e IGP: territorialità del prodotto e informazione del consumatore dopo il caso Warsteiner, Riv. dir. agr., 2002, II, p. 142 ss.; A. VEDASCHI, Le indicazioni geografiche semplici e la corretta informazione del consumatore, DPCE, 2001, p. 384 ss. 17. Cfr. sentenza della Corte di giustizia CE, 8 settembre 2009, in causa C-478/07 cit. 18. Cfr. sul punto F. CAPELLI, La Corte di giustizia, in via interpretativa, attribuisce all’Unione Europea una competenza esclusiva in materia di riconoscimento delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche protette, riferite ai prodotti agroalimentari, mediante la sentenza Bud II motivata in modo affrettato, contraddittorio e per nulla convincente, DCSCI, 2010, p. 401 ss.; F. GENCARELLI, Il caso «Budweiser»: competenze comunitarie e nazionali in materia di indicazioni geografiche di prodotti alimentari, DGAAA, n. 4, 2010, p. 237 ss.; e, per ulteriori citazioni, il mio lavoro Indicazioni geografiche indirette e denominazioni di origine dei prodotti alimentari nella sentenza Bud II, DCSCI, 2010, p. 255 ss. 19. Cfr. sul punto G. COSCIA, Considerazioni sulla portata esauriente del Regolamento 510/2006, in AA.VV., Dalla riforma… cit., p. 439 e ss. 20. L’articolo 13 del Regolamento 2081/92 CEE e del successivo Regolamento 510/06 CE era strutturato in chiave di protezione dai tentativi di evocazione, usurpazione o utilizzo in debito del nome geografico da parte di prodotti almeno potenzialmente confondibili, come dimostra il richiamo alla possibile decettività per il consumatore della lettera d del primo comma. 21. Cfr. la Comunicazione dedicata agli Orientamenti sull’etichettatura dei prodotti… cit. nota 2. 22. La questione è, tuttavia, controversa. In dottrina, A. GERMANÒ, Le politiche europee… cit., a p. 13, afferma la possibilità che il legi-

slatore intervenga con una norma attributiva ai Consorzi della facoltà di concedere l’uso del segno registrato, non come soggetti privati, ma come privati esercenti pubbliche funzioni. Secondo l’A., infatti, “a differenza dell’ipotesi della “concessione” ad altri dell’uso del proprio marchio, che è un negozio fra privati, l’utilizzazione del segno DOP e IGP, che risponde a criteri pubblicistici, non consente che “terzi” usino del segno sulla base di accordi privatistici tra il singolo o i singoli produttori e il singolo o i singoli trasformatori: è il “pubblico”, come espresso dalla Comunità, che valuterà l’opportunità dell’uso del segno da parte di terzi e che ne determinerà le condizioni di base”. 23. È appena il caso di ricordare che gli Orientamenti richiamati, in quanto documento interpretativo della Commissione, non possono avere alcun effetto giuridico vincolante, e solo la giurisprudenza della Corte di giustizia UE potrà chiarire se essi corrispondano in pieno allo spirito della norma o se siano legittime diverse interpretazioni. 24. L’articolo 45 del regolamento prevede che “(…) un gruppo può: a) contribuire a garantire che la qualità, la notorietà e l’autenticità dei propri prodotti siano garantite sul mercato monitorando l’uso del nome negli scambi commerciali e, se necessario, informando le autorità competenti di cui all’art. 36 o qualsiasi altra autorità competente in applicazione dell’art. 13, paragrafo 3; b) adottare provvedimenti intesi a garantire una protezione giuridica adeguata della de nominazione di origine protetta o dell’indicazione geografica protetta e dei diritti di proprietà intellettuale ad esse direttamente collegati; c) sviluppare attività di informazione e di promozione miranti a comunicare ai consumatori le proprietà che conferiscono valore aggiunto ai prodotti; d) sviluppare attività miranti a

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garantire la conformità dei prodotti al loro disciplinare; e) adottare provvedimenti volti a migliorare l’efficacia del regime, quali lo sviluppo di competenze economiche, lo svolgimento di analisi economiche, la diffusione di in formazioni economiche sul regime e la fornitura di consulenza ai produttori; f) adottare misure per la valorizzazione dei prodotti e, se necessario, adottare provvedimenti volti a impedire o contrastare misure che sono o rischiano di essere svalorizzanti per l’immagine dei prodotti”. 25. Cfr. il Regolamento (UE) n. 261/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 marzo 2012 che modifica il Regolamento (CE) n. 1234/2007 per quanto riguarda i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, in GUUE, L 94, del 30 marzo 2012, p. 38 ss.,

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che ha aggiunto al Regolamento 1234/2007 l’articolo 126 quinquies il cui comma 1 recita: “su richiesta di un’organizzazione di produttori riconosciuta ai sensi dell’articolo 122, primo comma, lettera a, un’organizzazione interprofessionale riconosciuta ai sensi dell’articolo 123, paragrafo 4, o un gruppo di operatori di cui all’articolo 5, paragrafo 1, del Regolamento (CE) n. 510/2006, gli Stati Membri possono stabilire, per un periodo di tempo limitato, norme vincolanti per la regolazione dell’offerta di formaggio che beneficia di una denominazione di origine protetta o di un’indicazione geografica protetta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettere a-b, del Regolamento (CE) n. 510/2006”. 26. Il Parlamento europeo aveva tentato di estendere a tutte le DOP-IGP analoga facoltà in sede di discussione del testo presentato dalla Commissione, ma ha incontrato la resistenza del Con-

siglio e della stessa Commissione. Risulta tuttavia, da una dichiarazione allegata alla decisione del PE di approvare il testo nella versione definitiva (allegato II), che il Consiglio si è impegnato a rivalutare la questione in sede di revisione del regolamento OCM unica (1234/2007 UE) nel quadro dell’impostazione della nuova PAC. Sul punto si vedano le riflessioni di L. COSTATO, Il Regolamento n. 1151/2012… cit., p. 655. 27. Cfr. sul punto la sentenza della Corte Costituzionale 14 novembre 2008, n. 368, nel giudizio di legittimità costituzionale della Legge della Regione FriuliVenezia Giulia 2 ottobre 2007, n. 24 (Attuazione dell’articolo 24, paragrafo 6, dell’Accordo relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio – Accordo TRIPs), promosso con ricorso del presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 7 dicembre 2007, reperibile on-line sul sito della Corte.

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Il food in rete

Il meglio del web e delle app di Elena Benedetti

www.macelleriamannori.it

www.spigoloso.com

www.atlantecaseario.com

La tradizione salumiera toscana dei Mannori anche nel web Il Salumificio Macelleria Mannori di Vergaio, Prato, è presente nel web con un bel sito attraverso il quale presenta ai visitatori tutta la produzione del proprio laboratorio. La doppia anima di macellai e salumieri si evince dalla scelta delle carni, ricavate da suini italiani alimentati con cereali rigorosamente OGM free. Tutti i salumi sono senza glutine. Nella sezione “Prodotti” c’è la descrizione dell’offerta salumiera, con la mortadella di Prato, lardo, prosciutto, ciccioli, pancetta e rigatino, finocchiona e sbriciolona e altri ancora. Nel sito sono disponibili alcune ricette e i link alla pagina Facebook. mannori54b@tiscali.it

Un contenitore di idee e curiosità Sviluppato da Dissapore Media, SPIGOLOSO è un magazine on-line a forma di blog tematico (ricette, sapori cucina, tradizioni e cibo), caratterizzato da belle immagini che risaltano sullo sfondo bianco e da una forte interazione con i lettori, che spesso e volentieri lasciano commenti e osservazioni. È una bella lettura per approfondire la storia di un piatto, per mantenersi aggiornati con l’apertura di nuovi locali, o semplicemente per farsi stuzzicare da qualche ricetta con ingredienti di stagione. dillo@spigoloso.com

Viaggio nel mondo dei formaggi “Il viaggiatore del gusto è sempre alla ricerca del piacere, della sana cucina naturale e della propria identità storica. Il formaggio, più degli altri, parla della terra da cui nasce, fa parte del nostro patrimonio di memorie e porta impresse le caratteristiche del paese d’origine”. Questo è l’incipit del portale www.atlantecaseario.com, che raccoglie un’infinità di schede e foto dei formaggi italiani ed esteri. La ricerca si può fare per formaggio, o attraverso una data ricetta (per ordine alfabetico o per regione). C’è anche una sezione DOP che riporta tutti i formaggi con Denominazione di Origine Protetta. Form on-line

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La tradizione gastronomica italiana a portata di smartphone Creando un connubio tra innovazione e tradizione, è appena nata la app geolocalizzata “Buon Ricordo”, sviluppata da restOpolis per l’Unione e disponibile gratuitamente per iPhone e Android. L’applicazione raccoglie il centinaio di ristoranti del Buon Ricordo presenti sul territorio italiano, dando la possibilità di cercarli per regione o per vicinanza, di raccogliere tutte le informazioni sul locale e, una volta individuato quello dove andare a mangiare, prenotare. Questi stessi ristoranti sono anche visibili e prenotabili tramite la piattaforma restOpolis. L’Unione Ristoranti del Buon Ricordo da 49 anni raccoglie sotto il suo marchio i migliori ristoranti rappresentativi della cucina regionale italiana, antesignani del “km zero”, che con la varietà straordinaria delle loro proposte sono il portabandiera del ricchissimo mosaico della gastronomia italiana di qualità. Ecco alcuni dei servizi che si possono avere con la app Buon Ricordo: • visualizzare l’elenco dei ristoranti del Buon Ricordo presenti su tutto il territorio, con la possibilità di suddividerli per Regione o individuare quelli vicini al luogo in cui ci si trova grazie alla funzione di geolocalizzazione; • per ogni ristorante è possibile aprire la relativa scheda con tutte le informazioni necessarie: indirizzo, orari di apertura, descrizione del locale, della cucina, della specialità a cui è abbinato il piatto di ceramica dipinto a mano che viene dato in omaggio a chi lo degusta, eventuali promozioni, gallery fotografica; • possibilità di prenotare in tempo reale alcuni ristoranti tramite la app, senza bisogno di successiva conferma da parte del ristorante; • possibilità di recensire il ristorante dopo esserci stati. >> Link: www.restopolis.com – www.buonricordo.com App Store: itunes.apple.com/us/app/id731430328?mt=8

Una strenna natalizia buona e giusta con Terre Mosse Volete spedire qualche strenna natalizia? Cercate una cesta con prodotti di qualità? Sarebbe cosa buona e giusta acquistare le confezioni delle aziende che aderiscono al circuito Terre Mosse, la rete di imprese di qualità che, dopo essere state pesantemente danneggiate dai terremoti del 20 e 29 maggio 2012, hanno dimostrato il loro valore mantenendo la loro presenza sul mercato pur lavorando in condizioni di estrema difficoltà. Sono tre le ceste natalizie disponibili: una base da 50 euro, supporter Terre Mosse da 80 euro e partner Terre Mosse da 130 euro. Tra i tanti prodotti troviamo cotechino e zampone Mec Palmieri, cipolline, ragù, aceto balsamico Menù e piadine Ster. La Rete Terre Mosse è stata costituita con lo scopo di valorizzare le imprese aderenti sia nei confronti del consumatore finale che nei rapporti aziendali o in quelli con enti ed istituzioni. Fra gli obiettivi ci sono anche la facilitazione dell’accesso ad agevolazioni fiscali e finanziarie alle imprese facenti parte della Rete e la partecipazione a programmi di ricerca ed innovazione in collaborazione con università e centri di ricerca pubblici e privati. Per informazioni: info@terremosse.it >> Link: www.terremossemilia.it

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Comunichiamo

Facebook di Chiara Russotto

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uesto articolo l’avevo già scritto quasi tutto, vi avevo spiegato la storia e il senso di questo social network. L’origine del nome. L’importanza del suo utilizzo. Descritto risorse e potenzialità, presenti e future. Mancavano i primi consigli d’uso, così ho chiuso il computer demandando la conclusione dell’articolo al giorno dopo, sabato. Per iniziare bene la giornata mi sono svegliata presto e sono andata al mare per una passeggiata. Mentre guidavo ragionavo su di voi, provando a mettermi nei vostri panni. A cosa vi serviva sapere vita morte e miracoli della genesi di Facebook? A niente.

A cosa vi serviva leggere una “filippica” sull’importanza del suo utilizzo per l’economia della vostra azienda? A niente! Se non potete delegare a un’Agenzia o volete fare da soli, vi serve solo imparare ad utilizzare questo strumento con l’aiuto di qualcuno che ci capisca qualcosa. Insomma, guidavo e mi davo della cretina. Primi passi Ipotesi 1: Profilo Persona per la vostra azienda Se la vostra azienda ha un “account personale” Facebook, è arrivato il momento di convertirlo in “pagina”. Mi spiego: se le persone sono costrette a

chiedervi l’amicizia, avete un account personale. Facebook ha regole rigide al riguardo: infatti, accorgendosi che il vostro profilo richiede un po’ troppe amicizie o posta contenuti promozionali, all’inizio vi ammonisce bloccando il profilo per 15 giorni, poi, ve lo chiude per sempre. Se avete letto l’articolo dello scorso numero della Rivista sapete già quali sono i vantaggi dell’avere una “pagina aziendale” (se lo avete perso controllate la pagina ufficiale Facebook di PREMIATA SALUMERIA ITALIANA MAGAZINE e troverete il link diretto all’approfondimento), per questo oggi convertiremo insieme il vostro account, “trasformando” automaticamente i vostri amici in fan (Like).

Chiara Russotto ha 36 anni, è consulente di comunicazione e titolare insieme a Federico Roveda di Smarti Editrice. Si occupa prevalentemente di food, adora i suoi clienti, cede al cibo per amore, lotta con la dieta, ride, ha due cani ed una passione per i libri che trattano argomenti dei quali, lei, non capisce assolutamente nulla.

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Leggete bene tutti gli approfondimenti che Facebook vi propone, come per esempio “Perché dovrei convertire il mio account personale in Pagina Facebook” (Immagine 1). Ora proviamo insieme a eseguire la procedura di conversione: – siete nella homepage di Facebook, cliccate con il mouse sull’immagine di “Impostazioni” in alto a destra e, quindi, scorrendo tutto l’elenco di opzioni, sulla voce “Centro Assistenza” (Immagine 2); – scrivete nella piccola barra di ricerca del centro assistenza “Converti Account” e cliccate su “Come faccio a convertire il mio account personale in Pagina Facebook” (Immagine 2); – adottate gli accorgimenti che vi consiglia il centro assistenza e proseguite nella Conversione di Account (Immagine 3). Ipotesi 2: volete creare una nuova Pagina aziendale Decidete di mantenere l’Account personale “personale” e di creare una nuova pagina Facebook aziendale: – cambiate nome all’Account personale, sostituendolo magari con il vostro, così da non creare confusione nei clienti che su Facebook cercheranno la vostra azienda; – andate nella homepage di Facebook, cliccate con il mouse sull’immagine di “Impostazioni” in alto a destra, e quindi sulla voce “Centro Assistenza” (Immagine 2); – scrivete nella piccola barra di ricerca del centro assistenza “Crea” e cliccate sulla prima voce in elenco “Non riesco a creare la mia Pagina”, quindi sul qui che ho evidenziato in verde (Immagine 4); – ora vi troverete in un’area dedicata alla creazione della “Pagina aziendale” (Immagine 5). Scegliete la prima voce: impresa locale o luogo, compilate tutte le voci e la vostra pagina è pronta per essere utilizzata; – quindi, contattate con una mail privata tutti gli amici del vostro “Account personale” ed informateli dell’inaugurazione della vostra nuova pagina aziendale.

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Ipotesi 3: non usate Facebook ma volete cominciare! Per voi e per chi diffida di uno strumento come Facebook, avevo scritto quello che sarebbe diventato ciò che state leggendo oggi. Non vi spiegherò più perché… ma, credetemi, è un’ottima scelta per la vostra attività: – andate su www.facebook.com, vi si aprirà questa pagina (Immagine 6); – vi consiglio di creare prima il vostro Account personale; in alternativa (Immagine 5, in fondo), vedrete che Facebook vi dà anche la possibilità di creare una pagina aziendale indipendente da un profilo privato, cliccate sulla scritta in azzurro “Crea una Pagina”; – compilate tutti i campi richiesti, facendo attenzione alla data di nascita, che vi consiglio sia effettivamente la vostra se maggiorenni; – create la vostra pagina, seguendo i passaggi che ho scritto nel paragrafo precedente “Ipotesi 2”. Ora avete la vostra Pagina aziendale! Scegliete una bella Immagine profilo, il vostro logo per esempio, uno dei vostri prodotti o, ancora, l’esterno del vostro negozio o azienda. Successivamente, un’altra bella immagine per la Timeline — Immagine di copertina — e aggiornate le vostre informazioni (Immagine 7), pensando bene a cosa scrivere perché sarà la prima cosa che chiunque leggerà di Voi. Le informazioni dovranno essere brevi e chiare riguardo al “chi siete” e al “dove siete”. Nei prossimi articoli, passo dopo passo, continueremo a migliorare le vostre pagine aziendali parlando di privacy, dell’importanza della netiquette (strana parola?) e del modo migliore di scrivere post. A dicembre 2012 Facebook ha raggiunto 693 milioni di utenti attivi globali, confermandosi il luogo migliore dove ottenere visibilità. Se avrete bisogno di farmi vedere le vostre nuove pagine per chiarire dubbi o chiedere più informazioni riguardo all’argomento mandatemi una mail a info@pubblicitaitalia.com Chiara Russotto

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Marketing

Valsana, dispensa d’eccellenza e salute In un luogo da favola, il Castello di San Salvatore a Susegana, un tour di formazione gastronomica tra salumi, formaggi ed altre specialità: con l’evento Sapori Valsana presenta ai propri clienti una selezione di prodotti, frutto di un anno di ricerca all’insegna del gusto di Federica Cornia

U

n cielo azzurro, un sole splendente e una location da favola per una giornata particolare nell’Alta Marca Trevigiana all’insegna del buon gusto. Si è tenuto lo scorso 16 ottobre a Susegana, provincia di Treviso, nella meravigliosa cornice del Castello di San Salvatore — ancora oggi, insieme alla tenuta di 1.300 ettari di cui fa parte, proprietà dei conti di Collato —

Sapori 2013, evento organizzato per i propri clienti da Valsana Srl, azienda locale che da oltre un ventennio si occupa di selezionare e distribuire formaggi, salumi e altre ricercate specialità gastronomiche. L’appuntamento annuale, nato nel ‘91 come cena per pochi intimi ma arrivato oggi alla 22a edizione, è una speciale vetrina del gusto Valsana che presenta il frutto di un anno di inda-

gine, nuove idee e nuovi prodotti, a ristoratori, dettaglianti e distributori. Filo conduttore dell’edizione di questo 2013 nella scelta di prodotti e produttori la “salute”, tema scelto per portare l’attenzione, come si legge in apertura sulla brochure di presentazione, su come tanto si parli di qualità “ma come di fatto siano pochi i produttori che non accettano compromessi sulle materie prime o

I cotti arrostiti di Meggiolaro.

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sulle tecniche di produzione pur di risparmiare sui costi”. Attenzione per la salute non significa però un reazionario ritorno alla tradizione tralasciando innovazione e nuove tecnologie. Perciò è presente un’azienda come Molino Quaglia (PD), che con i Bricks di legumi e cereali germinati, interi o sfarinati, della linea PetraViva, porta un prodotto di “nuovissima concezione” realizzato attraverso un processo industriale di lavorazione brevettato e detenuto in esclusiva europea che difende i chicchi dalle aggressioni di germi patogeni conservando la massima concentrazione di minerali e vitamine nel seme. Complementarietà di tradizione e innovazione, filiere corte, produzioni rispettose dell’ambiente, dei tempi e dei metodi dell’agricoltura, ingredienti naturali: queste le premesse del tour tra sapori organizzato da Valsana. Un percorso di formazione gastronomica che fa tappa in varie regioni d’Italia, ma anche una puntatina all’estero con una produzione di formaggi francesi e una di formaggi inglesi. Notevole l’incontro del palato con Camembert, Brie e caprini di Ferme de la Tremblaye che nel villaggio di La Bossière Ecole, nella regione dell’Île-de-France, produce fromage fermier, di fattoria. Una sorpresa l’intensità sprigionata dal Blue Stilton DOP della Cropwell Bishop Creamery, produttori inglesi di terza generazione con alle spalle vari riconoscimenti che dell’erborinato hanno portato a Susegana anche la versione arancione, il Blue Shropshire, ottenuto con l’aggiunta di annatto, un colorante naturale. Non ci sono additivi né conservanti nei cotti arrostiti ottenuti da cottura a bassa temperatura di Meggiolaro, salumificio artigianale di Stra, e nei prosciutti Coradazzi, piccola realtà artigiana che aderisce al Consorzio del Prosciutto di San Daniele e che alla materia di prima scelta, selezionata esclusivamente tra carni italiane, aggiunge solo sale marino completando l’opera con la lunga stagionatura e lasciando lavorare l’aria di San Daniele. Gli additivi non compaiono nemmeno nella lista degli ingredienti dei salami puri d’oca, speck e prosciutti d’oca Quack della lombarda Cascina

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In alto: i prosciutti Coradazzi. In basso: il gorgonzola al cucchiaio La Tosi. Madonnina di Pregnana Milanese (MI). Filiera corta per i prodotti di salumeria tipici del territorio dell’Azienda Agricola Fracassa (Sant’Egidio alla Vibrata in provincia di Teramo): dalla trasformazione di carne suina di produzione propria nascono, insaccati in budello e vesciche naturali, salami aromatizzati al Montepulciano e al tartufo, la bresaola di maiale e la più caratteristica Ventricina teramana. Dalle Marche la filiera corta della Gastronomia Beltrami (Cartoceto, PU) porta al Nord l’esotismo di formaggi di pecora: affinati in botti di rovere nella barricaia del cinquecentesco Palazzo Rusticucci i pecorini con foglie di fico (La Figata), erbe (Furlo Goladerbe) e foglie di ulivo (Crucis), mentre affinato nelle neviere, due grotte scavate a vista in tufo e argilla

anticamente riempite di neve per rinfrescare la sovrastante dispensa, è il pecorino di fossa (Ovillis Ambrosia). Se le salse biologiche che fan capolino tra i tavoli sono una dichiarazione di “lotta in vasetto” per un mondo alimentare diverso, giusto e sano — no OGM, no glutine, tutti i prodotti infatti sono certificati AIC, no lattosio, no conservanti, no coloranti e uova provenienti da galline allevate a terra alimentate con mangimi biologici a km 0 per la linea Natura è Piacere di Tuttovo (Rivoli, TO) — i formaggi del caseificio artigianale Rabbia (Ruffia, CN), tra cui le DOP piemontesi Raschera e Bra tenero, sono una dichiarazione d’amore per un metodo antico di produzione: caldaie a doppio fondo in rame e formatura con tele di lino. L’obiettivo di ottenere prodotti

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I pecorini della Gastronomia Beltrami. sempre più sani è alla base dell’idea di Capitelli: una nuova linea di salumi che allo zucchero sostituisce il miele. I primi risultati una pancetta (Giovanna) e un fiocco di prosciutto (Nino) che letteralmente si scioglie in bocca in una dolce dissolvenza. L’artigianalità è alla base degli erborinati del Caseificio Tosi (Gattico, NO), una cremosa carezza il Gorgonzola DOP dolce al cucchiaio, così come per la Latteria Sociale di Tarzo (TV), presente con una verticale di formaggi nati dall’operato del pluripremiato Martino Grillo (medaglia d’argento a Caseus Veneti nel 2013). Mozzarella e ricotta di latte di bufala veneta della Tenuta Borgoluce, famiglia Collalto alla guida, esempio di attenzione al territorio e responsabilità ambientale che si concretizza nell’utilizzo di fonti rinnovabili per la produzione d’azienda, riportano in zona, tra i colli disseminati di viti del trevigiano. Una degna chiusura del cerchio disegnato da Valsana, di quest’occhiata in dispensa che è solo una piccola campionatura del gusto dalla gestione complicata visto che, come ci ha detto Johnny Tomé, responsabile acquisti,

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sono 1.200 i prodotti, il 90% salumi e formaggi (400 i primi, 500 i secondi), con una rotazione di giacenza di un mese, un mese e mezzo circa. Dal 2013 Valsana ha ottenuto le certificazioni IFS-BRC, due standard a livello internazionale per garantire la sicurezza alimentare. Con una quarantina di persone all’attivo tra dipendenti e collaboratori, fino a una decina d’anni fa l’attività concentrata tra Treviso e Belluno, da cinque anni a questa parte l’azienda si è allargata sul territorio nazionale e si è avventurata anche all’estero. Un risultato che non si potevano forse immaginare i soci fondatori, Natale De Conto e Gino Magro, all’inizio della loro avventura, quando una trentina d’anni fa chiuse l’azienda per cui lavoravano e aprirono una piccola ditta di distribuzione all’ingrosso di formaggi. Valsana ha cura della cultura, non solo quella gastronomica, che nell’organizzazione registra la tendenza del momento con uno spazio dedicato al panino gourmet — sorprendente per il palato quello con pistacchio, cappero e gelatina di limone —, ma anche quella di territorio, quella locale in particolare esaltata dalla nobile

bellezza esibita da Palazzo Odoardo, pittoresca cornice dell’evento. Che territorio e cibo si intrecciano e sia un intreccio da valorizzare l’azienda lo dimostra coi progetti che porta avanti, come Formaggi di razza, Latterie di un tempo, e nelle collaborazioni con Slow Food, per presidi nel Veneto, e con l’Università di Padova. Anche Giovanni Bittante, presidente del Corso di Laurea in Scienze e Cultura della Gastronomia e della Ristorazione, come ogni anno in visita con gli studenti all’evento Valsana, nel nostro breve incontro mi dice: «Se si parla di ristorazione non si vende solo un prodotto ma una cultura di territorio, perché una persona va alla ricerca soprattutto di emozioni». Come quelle provate all’assaggio dello Stilton, del gorgonzola al cucchiaio e della gelatina al limone. Federica Cornia Valsana Srl Via Ettore Maiorana 3/A 31025 Santa Lucia di Piave (TV) Telefono: 0438 1883125 E-mail: valsana@valsana.it Web: www.valsana.it

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Il Cotechino e lo Zampone Modena Igp fanno più buone le tue idee. Ogni giorno

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ampone e cotechino, tradizionalmente legati alle festività natalizie, sono due eccellenze della salumeria italiana che possono essere inserite in un’alimentazione razionale ed equilibrata tutti i giorni. Questo è il concetto chiave su cui si è focalizzata la nuova campagna informativa promossa dal Consorzio di tutela Zampone Modena Cotechino Modena, un articolato e innovativo progetto di media mix che spazia dalla stampa alla TV al web che sarà “on air” fino alla fine del mese di dicembre. La campagna stampa, attraverso un layout dedicato al Cotechino Modena, si articola in diverse uscite su riviste ad elevata diffusione di cucina, di attualità e femminili. La creatività, sviluppata dall’agenzia Nadler Larimer & Martinelli, che ha come payoff “Cotechino Modena. Ogni giorno fa più buone le tue idee”, suggerisce diversi modi per poter gustare in maniera semplice e veloce il Cotechino Modena IGP; tre ricette in linea con quanto consigliato dai nutrizionisti (basti pensare che un

etto di zampone o cotechino contiene circa 300 calorie, l’equivalente più o meno di un etto di mozzarella). Questi layout creativi racchiudono appieno il messaggio che il Consorzio vuole trasferire al consumatore, ovvero che il Cotechino e lo Zampone Modena IGP, grazie alle loro peculiarità e al gusto inconfondibile, si dimostrano ottimi alleati in cucina tutto l’anno. La campagna TV vede il coinvolgimento delle emittenti Fox Life (SKY) e Real Time (digitale-terrestre): due canali in notevole crescita, fortemente orientati alle trasmissioni di cucina e alle responsabili di acquisto. In particolare, sul canale Fox Life, all’interno della trasmissione “In cucina con Giallo Zafferano”, oltre all’inserimento di 56 live spot pianificati, viene dedicata anche una ricetta al Cotechino Modena Igp. Su Real Time l’iniziativa prevede l’inserimento di 180 spot (3 settimane di programmazione), divisi su due formati (da 10 e 15 secondi) in apertura e chiusura dei break pubblicitari in diverse fasce orarie. Sul canale web, infine, il Consorzio

Zucchina ripiena di Cotechino Modena Igp. ha investito su uno speciale progetto sul portale giallozafferano.it, che conta oltre 4 milioni di visitatori unici al mese. Una sezione sarà infatti dedicata ai due prodotti, comprendendo una video-ricetta realizzata da Sonia Peronaci, due foto-ricette create dalla redazione di Giallo Zafferano e dieci ricette create dai food blogger del portale.

7 dicembre, Festa dello Zampone e del Cotechino Modena Torna per il terzo anno consecutivo l’evento celebrativo dello Zampone e del Cotechino Modena. Un appuntamento che si terrà nel centro storico di Modena il 7 dicembre e che avrà come protagonista lo chef stellato Massimo Bottura, il quale, come in passato, siamo certi attirerà l’attenzione dei media (oltre 60 milioni di audience certificata nelle trasmissioni sulle emittenti nazionali nel 2012). Per l’occasione, Bottura racconterà ai ragazzi delle Scuole elementari e medie della provincia di Modena come assaporare e quindi conoscere ed imparare ad apprezzare lo zampone e il cotechino. La lezione sarà preceduta dalla proclamazione dei vincitori del concorso “Racconti di gusto”, lanciato nei mesi scorsi dal Consorzio alle scuole del modenese. Ai ragazzi è stato chiesto di scrivere un racconto che sottolineasse il rapporto tra la loro vita quotidiana e le tipicità alimentari del territorio. Un modo, questo, per sensibilizzare le nuove generazioni in merito ad una corretta alimentazione, valorizzando le caratteristiche nutrizionali e gastronomiche dei prodotti della terra emiliana come zampone e cotechino. La festa proseguirà per tutta la giornata con momenti di intrattenimento tra cui uno spettacolo teatrale e una degustazione offerta a quanti prenderanno parte alla manifestazione.

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È del Salumificio Franceschini Gino The best Zampone Una giuria di 120 specialisti del settore per valutare a 360 gradi sei zamponi “da banco” di altrettanti grandi salumifici italiani: è la sfida che si ripete ogni anno da più di vent’anni per il titolo di “The Best Zampone”. Lo scorso novembre, presso il ristorante Al Boschetto di Modena, a sfidarsi c’era davvero il gotha del settore: il Salumificio Ferrari Erio di Modena, il Salumificio Franceschini Gino da Spilamberto (MO), la Levoni da Castellucchio (MN), la Negroni Salumi da Verona, il Salumificio Veroni da Correggio (RE) e il Salumificio Villani da Castelnuovo Rangone (MO). A valutarne i prodotti, con un voto da 6 a 10, una giuria d’eccezione, formata soprattutto da macellai, alcuni dei quali arrivati addirittura dal Belgio, poi ancora cuochi ed esperti della ristorazione. Tutti chiamati ad esprimersi sugli zamponi precotti che le aziende in gara vendono al pubblico e cotti seguendo alla lettera la ricetta che si trova su ogni confezione. Classico l’accompagnamento dei sei zamponi: purè, spinaci e fagioli in umido. Per il 2013 il titolo se lo è aggiudicato il Salumificio Franceschini Gino, seguito da Villani e da Levoni.

La Spalanzani Salumi si rialza e torna in pista Un incendio divampato nella notte del 16 settembre 2011 ne aveva completamente distrutto le mura, gli impianti, le celle frigorifere, tutta l’attrezzatura e più di 300 tonnellate di salumi. Oggi la Spalanzani Salumi di Vignola, in provincia Modena, è finalmente ed incredibilmente riuscita a rialzarsi, costruendo una nuova struttura, che si sviluppa su una superficie di 4.500 m2 (foto a lato). Il salumificio Spalanzani di Passini Giuseppe è presente sul territorio da 40 anni grazie al lavoro, alla passione, dedizione e all’impegno che due generazioni hanno saputo dedicargli. E proprio questi sono stati gli elementi che hanno permesso all’azienda di riprendere l’attività nonostante il duro colpo subito, rinnovandosi completamente e modernizzandosi sia sotto il profilo delle attrezzature, sia per quanto riguarda i prodotti. È stato adottato infatti un processo produttivo interamente automatizzato con tecnologie molto moderne e l’impiego di nuovi impianti per la stagionatura che hanno permesso di arricchire la produzione mediante l’introduzione e lo sviluppo di diverse tipologie di salame. Restano naturalmente i prodotti tradizionali, quali coppe e pancette, che hanno reso famoso il marchio “Spalanzani Salumi” sul territorio nazionale e a livello europeo. >> Link: www.spalanzani-salumi.com

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Interviste

Una passione per le Rosse Dopo 22 anni alla guida del Consorzio Vacche Rosse, Luciano Catellani oggi si occupa a tempo pieno della propria azienda agricola. Un laboratorio permanente di idee e prodotti caseari e a base di carne che devono rispettare un solo requisito: la qualità assoluta di tutti gli ingredienti di Elena Benedetti

L

uciano Catellani, classe 1960, figlio di agricoltori, è il prodotto di quell’Emilia che ha le radici ben piantate nella propria terra e lo sguardo dritto rivolto avanti, oltre l’orizzonte. Da sempre legato al mondo della produzione casearia, dopo i trent’anni si è portato a casa una laurea da studente lavoratore e ha sviluppato una passione per il podismo che, oltre a fargli vincere delle gare a livello nazionale, gli ha probabilmente dato l’imprinting per quella che nel tempo è diventata la sua filosofia di vita: porsi degli

obiettivi e andarseli a prendere al traguardo. Nel 1982 Luciano si appassiona ad un progetto a dir poco ardito, il recupero e la valorizzazione di un’antica razza bovina da carne e da latte, la vacca Rossa reggiana, di cui in quegli anni si contavano meno di mille capi. Dall’incontro tra allevatori, personalità del mondo agricolo e scientifico, nel 1991 viene messo a punto un programma di valorizzazione realizzato in collaborazione con il CRPA (Centro Ricerche Produzioni Animali) di Reggio Emilia e finanziato dal Ministero dell’Agricoltura.

Conferendo in un unico caseificio il latte dei diversi allevatori di questa antica razza e lavorandolo in purezza, separatamente da quello delle altre razze, inizia così la produzione del Parmigiano Reggiano di sola Reggiana. Nel 1991 nasce anche il Consorzio che da allora raccoglie gli allevatori di vacche Rosse di razza Reggiana, di cui Catellani ricopre la carica di presidente fino al 2012. Ci incontriamo nel punto vendita della sua azienda di Villa Cella, a pochi chilometri da Reggio Emilia. La ragione sociale racchiude tutto il senso

Ragù di carne, paté di fegato e trippa delle “Vacche Rosse” commercializzati da “I Sapori delle Vacche Rosse” a Villa Cella (RE) insieme a latte, formaggi ed altri prodotti a base di carne di razza Reggiana (photo © Elena Benedetti).

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In alto: Luciano Catellani fotografato a Cheese 2013 (photo © Luigi Credi). Al centro: le paste farcite, tortelli e cappelletti, ultima novità de “I Sapori delle Vacche Rosse”. In basso: Parmigiano Reggiano in diverse stagionature (photo © Elena Benedetti).

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del suo lavoro. Da circa tre anni “I Sapori delle Vacche Rosse” produce e commercializza latte, formaggi e prodotti a base di carne di razza rigorosamente reggiana. Dal Parmigiano Reggiano delle Vacche Rosse DOP di 24, 36 e 48 mesi, a caciotta, burro, yogurt, budino, panna cotta e una crema di Parmigiano aromatizzata con tartufo, erba cipollina, noce, peperoncino, perfetta anche solo per condire un semplice piatto di pasta. Ai formaggi si affianca la carne, disponibile in tagli pronti all’uso, proveniente sempre dalle Rosse, salami, lardo e pancette ricavati da maiali allevati nella provincia di Reggio Emilia, e alimentati con il siero del latte delle vacche Rosse. E, ancora, ragù di carne, pâté di fegato, trippa. Per i clienti fedeli vengono preparate delle cassette di carne di 7-8 kg ordinabili solo su prenotazione. Lo spaccio dell’azienda è aperto al pubblico tutti i giorni (esclusa la domenica, dalle 8,45 alle12,45 e dalle 15,00 alle 19,00). Tra le ultime creazioni segnaliamo i “Grissini della Rossa”, impastati a mano con l’aggiunta di Parmigiano 36 mesi, perfetti da abbinare ad un piatto di salumi e un calice di Franciacorta o Prosecco. E non manca il gelato, 8 gusti in pozzetti, tutto autoprodotto col latte buono delle Reggiane. Il fiordilatte ha un sapore intenso, ricco e profumato. Solo questo merita una spedizione golosa in questa piccola frazione nel cuore dell’Emilia. «L’ultima novità della nostra produzione è rappresentata dalle paste farcite, con cappelletti, lasagne, cannelloni e tortelli di zucca e verdi. Con ragù e Parmigiano 36 mesi, naturalmente di produzione Reggiana» mi dice Catellani mostrandomi alcune confezioni. «Un buon prodotto è la sommatoria di tanti piccoli ingredienti che devono insieme garantire un alto standard di qualità». Tra i prodotti in cantiere in questo laboratorio del gusto c’è anche un culatello cotto al Parmigiano Reggiano 36 mesi delle vacche Rosse. Il riconoscimento da parte del mercato c’è: «siamo reduci da Cheese, un’edizione che ci ha regalato tanta soddisfazione per le vendite e per i tanti apprezzamenti raccolti dai nostri

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clienti» ci dice soddisfatto Catellani, aggiungendo poi che i canali commerciali aperti comprendono, oltre alla vendita diretta, anche gastronomie e salumerie, la piccola distribuzione organizzata, i Gruppi di Acquisto Solidale e la vendita on-line. Insomma, questo è senza dubbio un gran bell’esempio di imprenditorialità legata al territorio, alla valorizzazione dei prodotti della propria terra, riscoperti, tutelati e promossi all’insegna dell’eccellenza. Elena Benedetti I Sapori delle Vacche Rosse Via G.B. Vico 114 SS 9 42124 Villa Cella (RE) Telefono: 0522 946569 Web: www.isaporidellarossa.com www.facebook.com/Vacche RosseRazzaReggiana

Il salame ricavato da maiali allevati nella provincia di Reggio Emilia e alimentati con il siero della filiera del Parmigiano delle Vacche Rosse. Altri salumi prodotti con queste carni suine sono il lardo e le pancette (photo © Elena Benedetti).

Il segreto del Parmigiano è nel latte della razza Reggiana Gli animali si alimentano con foraggio naturale, che consiste unicamente in erba, fieno e cereali. OGM e unifeed (una miscela di cereali, soia, fieno come piatto unico) sono banditi. La Rossa produce un 33% di latte in meno rispetto alle Frisone, ma ha una maggior resa nella caseificazione, date le sue particolarità che derivano dalle proteine, in particolare dalla caseina. Così, per produrre 1 chilo di Parmigiano occorrono 14 litri di latte di Rossa oppure 16 litri di Frisone. Il tempo minimo di stagionatura del Parmigiano Reggiano DOP è di 24 mesi. Il risultato è un formaggio ricco di calcio, fosforo, vitamina A, omega-3, antiossidanti e anticancerogeni. Il sapore all’assaggio risulta dolce, delicato, persistente. Il colore giallognolo, quest’ultimo dato dall’erba ricca di betacarotene naturale (photo © www.targetcreative.it).

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Prodotti tipici

La tradizione norcina umbra della David Salumi I salumi tipici umbri sono i fiori all’occhiello di questa macelleria-norcineria situata ai piedi del Monte Peglia appartenente al Consorzio del Suino Terra Umbra di Riccardo Lagorio

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el 2009 la Regione Umbria finanziava, attraverso risorse del Fondo Sociale europeo 2007-2013, il corso di formazione post-laurea riservato a medici veterinari dal titolo Esperto in qualità, tracciabilità, sicurezza e ambiente per la filiera di origine animale. I dieci veterinari avrebbero completato il corso in aziende di allevamento e di trasformazione del prodotto di settore, interessate a loro volta da un intervento — previsto dal bando stesso — mirato alla creazione di reti d’impresa. La formazione era in verità parte di un progetto più ampio (Verso la tracciabilità del suino umbro), con relative attività di formazione e consulenza per le imprese produttive e commerciali operanti nel comparto della suinicoltura. Il compito delle aziende doveva essere quello di consentire il completamento di informazioni relative ai processi di produzione ed allevamento dei suini, collaborando alla stesura di un apposito disciplinare di produzione, redatto insieme a docenti ed esperti del settore. Da quell’esperienza, nel settembre 2010, alla fine del corso, tutti gli attori della filiera suinicola regionale (allevatori, mattatoio, macellai e stagionatori), decisero di proseguire il lavoro e costituire il Consorzio del Suino Terra Umbra. Il Consorzio avrebbe tutelato il marchio, la produzione, la lavorazione e la commercializzazione dei capi e dei prodotti derivanti, riconoscibili dalla

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Elpidio Rossi e la sella di San Venanzo. «Perché non lasciare del magro su quello straordinario prodotto che è il lardo?» si è chiesto un giorno Elpidio. Così è nata la sella: lombo intero lavorato con il suo lardo, caratterizzato da un intenso profumo ed un gusto speziato.

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1) Guanciali e salsicce. 2) Salami di Suino Terra Umbra. 3) Patrizia Monelli e la sella di San Venanzo affettata. 4) La spalla. punzonatura Suino Terra Umbra. I pilastri che sostengono il Consorzio sono ancora oggi la tracciabilità e la trasparenza, avvalorati da precise informazioni fornite al consumatore finale riguardo l’alimentazione animale e l’etichettatura volontaria, la tradizione e la salvaguardia del territorio. Con queste modalità il Consorzio ha fatto da apripista alla tracciabilità della carne suina, dando enfasi in particolare alle modalità di allevamento degli animali, “senza esasperare gli

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incrementi ponderali giornalieri” (art. 4.3). L’importanza dell’esperienza acquista ancor più significato per avere messo insieme categorie di diverse professionalità aventi come unico obiettivo la promozione del Suino Terra Umbra (STU). Il Consorzio, presieduto da LUCIO TABARRINI, anche vicepresidente di Federcarni della provincia di Perugia, conta 15 soci: 3 allevamenti, 1 mattatoio, 10 macellerie, 1 laboratorio di stagionatura e 3 medici. L’accordo commerciale prevede un unico prez-

zo di vendita per il suino allevato e macellato dal Consorzio. Tra le macellerie che appartengono al Consorzio, la David Salumi di San Venanzo (TR) vanta anche uno strutturato centro di produzione di salumi e relativa stagionatura. Nata come macelleria a gestione familiare ad opera di ELPIDIO ROSSI e della moglie PATRIZIA MONELLI nel 1960, la società si è arricchita nel 1982 con l’ingresso del figlio DAVID, che ha inserito l’aspetto della trasformazione della carne in salumi, nel solco della tradizione nor-

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Nel banco frigo, oltre ai salumi, carne di vitellone allevata a Compignano (frazione di Marsciano, nel Perugino) e preparati pronti a cuocere (fagottini di maiale, polpette, hamburger). La sella di San Venanzo L’orgoglio della famiglia è però la sella di San Venanzo. Si tratta di un lombo intero lavorato con il suo lardo, disossato, rifilato e messo a raffreddare per 24 ore a 0°C. Ne segue un massaggio effettuato con un composto a base d’aglio, aceto di vino bianco e peperoncino frantumato, e una fase di riposo di circa tre settimane in vasche accanto ad aromi come rosmarino, coriandolo, finocchio selvatico, chiodi di garofano, sale e pepe. Ogni cinque giorni si provvede al rivoltamento dei pezzi anatomici e al loro massaggio. Lavati e spazzolati proseguono verso la stufatura e la stagionatura che si protrae per almeno 6 mesi. Se ne ottiene un salume dal gusto piacevole, ricco di grasso saporito e che, a detta dei produttori, vorrebbe rappresentare il punto di congiunzione di tradizione e innovazione. Al pari del progetto che li ha visti protagonisti. Riccardo Lagorio

David Rossi. cina umbra. Nel 2001, appena fuori dal borgo, è stato inaugurato invece un moderno laboratorio, dotato di sala degustazione, dove è possibile effettuare l’accoglienza a visitatori e turisti. Nel tempo i Rossi hanno acquistato anche 4 ettari di bosco dove ogni

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anno si allevano 35 suini di razza Cinta senese allo stato semibrado con i quali si confezionano prosciutto, lardo e salame. I salumi trovano spazio nella macelleria, che durante i fine settimana si riempie soprattutto di clienti laziali e in particolar modo provenienti dalla capitale.

David Salumi Norcineria Via IV novembre, 47 05010 San Venanzo (TR) Telefono: 075 875268 E-mail: davidisalumi@libero.it Web: www.davidisalumi.it www.facebook.com/davidsalumi

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Il Violetto, l’asparago perfetto Raro e pregiato come un gioiello, questo asparago cresce nella piana di Albenga, unica per microclima e composizione del terreno. Scarsa fibrosità e consistenza burrosa sono le caratteristiche distintive di Michele Bracieri

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a prima nazione europea a coltivare l’asparago — nome che il greco antico (aspharagos) ha ripreso dal persiano asparag, che significa “germoglio” — è stata la Francia nel XV secolo. La verdura si è poi diffusa su ampia scala solo nel secolo XVI, quando venne importata in Inghilterra e, successivamente, in Nord America. Tuttavia, le prime coltivazioni di asparagi, in riferimento all’Asia Minore e al Mediterraneo (soprattutto Spagna ed Egitto), risalgono a circa duemila anni fa. I Greci non amavano particolarmente gli asparagi, mentre i Romani li adoravano, tanto che, pur di offrirli durante i loro banchetti, mandavano le loro navi in avanscoperta nelle zone più disparate del Mediterraneo. Attualmente esistono circa 15 varietà di asparago, che possono essere definite in base al sapore, alla forma, o al metodo di coltivazione, mentre la composizione chimica è simile in quasi tutte le specie. L’asparago in assoluto più raro e pregiato è sicuramente quello Violetto di Albenga, un grazioso paesino in provincia di Savona. Negli anni Trenta l’asparagus officinalis veniva coltivato in Liguria su una superficie di oltre trecento ettari, dei quali oggi ne restano dieci. Il progressivo calo di produzione del Violetto di Albenga trova motivazione nel fatto che i contadini hanno preferito negli anni dedicarsi alla coltivazione di prodotti più redditizi, caratterizzati da cicli produttivi più brevi. L’asparago cresce con determinate caratteristiche solo nella piana di Albenga e ogni tentativo compiuto

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dagli agronomi di impiantarlo in altri territori, compresi America e Nuova Zelanda, non è andato a buon fine.

L’adattabilità del Violetto a quest’area specifica è dovuta probabilmente alle caratteristiche favorevoli dei terreni

Il Violetto di Albenga. Per valorizzarne la delicatezza, è meglio cuocerlo pochissimo, evitando di congelarlo e accompagnarlo con salse troppo saporite.

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alluvionali della piana, composta in gran parte da un profondo strato sabbioso e limoso. Sulle zone di raccolta, inoltre, in alcuni periodi dell’anno non batte mai il sole, in quanto l’area è interamente coperta dal cono d’ombra delle montagne circostanti: ecco perché gli asparagi qui crescono con il caratteristico colore lilla (quelli coltivati in serra, in condizioni prive di luce, nascono bianchi), mentre quelli comuni sviluppano il colore verde grazie ai raggi del sole che innescano la fotosintesi. L’asparago di Albenga presenta delle caratteristiche uniche anche a livello genetico, non solamente cromatico: i suoi 40 cromosomi — anziché i 20 standard di tutte le altre tipologie — impediscono qualunque incrocio con altre qualità di asparago, poiché i semi nati da questa mescolanza risulterebbero sterili. I contadini lo raccolgono manualmente, dal mese di marzo sin oltre la fine di giugno, quando i mercati italiani sono già stati invasi dalle altre varietà di asparagi. Anche per questo motivo i coltivatori hanno sempre cercato di studiare metodi per anticiparne la raccolta. Una delle tecniche utilizzate consisteva nel ricoprire il terreno con materiale di scarto proveniente dalla produzione del cotone, al fine di aumentare il calore della terra; oggi, invece, si ricorre a metodi più moderni, che prevedono l’utilizzo dei tubi per trasportare acqua calda direttamente nel terreno. L’asparago di Albenga ha iniziato a godere di una certa notorietà quando, negli anni Novanta, entrò nel menù della regina Elisabetta d’Inghilterra, che ne apprezzava il sapore raffinato,

Asparagi e salute Gli asparagi, per loro natura, sono ricchi di fibra, vitamina C, carotenoidi e sali minerali quali calcio, fosforo e potassio, ma al loro interno è presente anche una discreta quantità di acido folico, magnesio, ferro e sostanze antiossidanti. Sono ottimi per le diete dimagranti, perché contengono poche calorie, ma è necessario fare attenzione al loro utilizzo costante perché la loro caratteristica principale è quella di stimolare l’appetito. Sono depurativi e diuretici e aiutano a ridurre il ristagno di liquidi nei tessuti. Particolarmente efficaci contro la cellulite, vengono raccomandati a chi soffre di pressione alta, ma sono sconsigliati a chi ha problemi a livello di reni, o a chi soffre di calcoli, prostratiti e cistiti.

tendente al dolce, molto diverso dal gusto “erbaceo” tipico degli altri asparagi. In ogni caso, per essere sicuri della qualità del prodotto al momento dell’acquisto, bisogna verificare che il colore sia brillante, le punte ben chiuse, mentre la base, preferibilmente tagliata di fresco, non deve presentarsi dura. Dal punto di vista culinario il Violetto presenta delle qualità uniche che lo rendono superiore rispetto alle altre specie. I suoi germogli (o turioni), per esempio, sono particolarmente carnosi, ma anche il gambo risulta morbido al palato e tendenzialmente “burroso”. Per valorizzarne la de-

licatezza, è meglio cuocerlo per un tempo breve, evitando di congelarlo e di accompagnarlo con salse troppo saporite; l’ideale è lessarlo e condirlo semplicemente con olio extravergine di oliva, preferibilmente realizzato con olive Taggiasche, che ne amplificano il sapore. Il Violetto si accompagna armoniosamente con cibi delicati, quindi si sposa alla perfezione con il pesce cotto al forno o a vapore, ma anche con le carni bianche; in alternativa può essere fritto o utilizzato nella preparazione di vellutate; si accosta particolarmente bene ai vini bianchi morbidi e leggermente aromatici. Michele Bracieri

I produttori Albenga in Tavola di Marco Ferrero Viale Che Guevara, 89 17031 Albenga (SV) Telefono: 0182 555843; 338 8462414 E-mail: eruli@libero.it L’azienda ha anche un punto vendita situato ad Albenga in Piazza XX settembre, 7 Luca Lanzalaco Regione Bagnoli, 35

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17038 Leca d’Albenga (SV) Telefono: 0182 554717; 333 2703480 E-mail: enrico.lanzalaco@gmail.com Web: http://enrico-lanzalaco.blogspot.it Azienda agricola Montano di Parodi Marialuisa Via Prae, 1 17023 Ceriale (SV) Telefono: 0182 931059; 328 8926306 E-mail: aziendamontano@alice.it

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Testa in cassetta di Gavi, profumi di rum e spezie Elevate percentuali bovine caratterizzano la preparazione di questo insaccato tipico del Piemonte nato per rendere appetibili le parti dell’animale meno “nobili”. Ingrediente principale è la maschetta, la testina di vitello rasata e fatta bollire per circa quattro ore di Riccardo Lagorio

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lassico prodotto di risulta, la testa in cassetta rappresenta un rurale stratagemma studiato per conservare e rendere appetibili le parti del suino che si possono considerare di secondo livello dopo avere ottenuto i salumi più sontuosi come prosciutti, salami, capicollo, pancette. Numerose le

varianti locali, originarie di un vasto territorio che va dalle Prealpi Apuane alla Liguria orientale e centrale per sconfinare nel basso Piemonte. È proprio qui, dove convergono le culture liguri e piemontesi, che si è sviluppata una particolare variante della testa in cassetta. Gavi è nota per il campanile ottagonale che orna la trecentesca

chiesa, ma anche la testa in cassetta merita di rientrare tra i patrimoni culturali al pari del suo vino Cortese, allegro e di pronta beva. La testa in cassetta di Gavi si caratterizza infatti per l’utilizzo durante la preparazione di elevate percentuali di carni bovine, di vitello in particolare. Ingrediente principale è la maschetta, la testina

La testa in cassetta della Macelleria Bertelli di Gavi. Si serve insieme ad un crostino caldo che ne esalta i profumi (photo © Maurizio Ravera).

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di vitello rasata e fatta bollire per circa quattro ore. Per almeno tre ore, nello stesso bollitore, avranno trovato invece spazio la lingua, i muscoli ed il cuore, necessario per ravvivare il colore della fetta. Nella marmitta vi cadono anche sale, alloro, semi di finocchio e limoni tagliati a metà. Il grado di cottura degli elementi non deve risultare eccessivo (ovvero la cartilagine non deve apparire filamentosa) per evitare lo sgretolamento. «Quando tutto risulta essere cotto al punto giusto, ai vari tagli vengono tolte le ossa e, successivamente, sono passati con la mezzaluna sino a diventare semiliquidi o a colla di manifesti, per dare una versione meno culinaria, anche aggiungendovi il brodo di cottura», spiega AGOSTINO BERTELLI dell’omonima macelleria in centro al borgo. A queste parti viene aggiunta, in una pentola a 70°C e senza che vi sia perdita di calore, la carne a dadini assieme ad una concia a base di sale, pepe, cannella, coriandolo, chiodi di garofano, noce moscata, peperoncino, pinoli e rum (un litro e mezzo su 50 kg di prodotto). L’impasto ancora caldo si insacca nel budello cieco di vitellone (che in gergo locale passa sotto il nome di tascone). Sino agli anni Settanta l’impasto era collocato all’interno di una cassetta di legno tenero, da cui il nome con il quale oggi è conosciuto il salume. La testa in cassetta è posta quindi per una notte all’aria aperta sotto un peso che ha il compito di compattarla e darle la caratteristica forma schiacciata. Si usa consumarla affiancata ad un crostino caldo per esaltarne il profumo di rum e delle spezie, oppure a dadini nell’insalata. Solitamente si trova nel periodo autunnale ed invernale, quando l’insacco può riposare al fresco della notte. Macelleria Bertelli: evviva i salumi “liberi” Notizie certe della produzione di questo insaccato se ne hanno dal 1926. Fu questo l’anno di fondazione della Macelleria Bertelli (via Goffredo Mameli 23, 15066 Gavi, Alessandria, telefono: 0143 642627). L’appassionato Agostino porta il nome del nonno fondatore e crede fermamente nella

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Sino agli anni Settanta l’impasto era collocato all’interno di una cassetta di legno tenero, da cui il nome con il quale oggi è conosciuto il salume (photo © Maurizio Ravera). elaborazione dei salumi liberi da conservanti come nitrati o nitriti. «Nei primi tempi in cui ho eliminato nitrati e nitriti il consumatore era scettico all’acquisto a causa del colore dei nostri salumi, specie della testa in cassetta, che presenta dalle sfumature grigie. Trascorsa l’iniziale diffidenza, i clienti paiono assai più contenti per l’assenza di conservanti. E lo stesso vale per tutti i prodotti che escono da qui: salsicce, salami, cima alla genovese e fritti in taneggia». Questi due ultimi elaborati paiono essere usciti da un libro di vecchie ricette. La cima alla genovese utilizza come insacco la pelle del biancostato cucita a tasca. Il ripieno è costituito da carote e zucchine passate al burro e, in altra casseruola, carne di vitello a cubetti, animelle e midollo che si completano con uova, prezzemolo, maggiorana ed aglio. Ai due composti che si uniscono, la ricetta tramandata dalle donne della famiglia prevede si aggiungano pepe, sale e formaggio. Il risultato è semi-liquido, ma, una volta inserito nel biancostato e bollito, se ne ottiene un composto solido che viene venduto a fette. Ma sono soprattutto i fritti in taneggia a richiamare alla mente

gloriose ordonnance ottocentesche. In dialetto negia si traduce con sottile. Da cui ‘nta negia, in contenitore sottile. E cosa è più sottile di un’ostia? I fritti in taneggia sono perciò, grazie all’antonomasia che li contraddistingue, traducibili come “fritti nell’ostia”. «Furono recuperati negli ultimi anni dalla nostra macelleria ed hanno numerosissimi estimatori anche da fuori, ormai», afferma con orgoglio Agostino Bertelli. La carne tenera di vitello è passata al burro con le animelle e poi frullata ottenendo un paté che si amalgama al fondo di cottura. Vi si aggiungono tuorli, maggiorana e Parmigiano Reggiano DOP. L’impasto riposa per una notte in frigorifero. L’indomani le ostie vengono immerse nel latte una ad una, dove vi si adagia il paté e si arrotolano su se stesse. Si passano nell’albume che si era separato e pangrattato friggendole in olio bollente per 3 minuti. Per capire quanto gustose possano essere, l’unica possibilità è cogliere l’occasione di fare un viaggio sulle colline intorno a Gavi. Cercare del vino buono e buttarsi nella macelleria Bertelli. Ne vale la pena. Riccardo Lagorio

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La salsiccia di Monte San Biagio punta all’Igp Il Consorzio della Salsiccia di Monte San Biagio ha registrato il marchio, definito un disciplinare di produzione e ora mira a realizzare un laboratorio con locali di stagionatura nel piccolo comune in provincia di Latina. Obiettivo: l’Europa! di Massimiliano Rella

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d ogni campanile un prodotto gastronomico, una ricetta, un ingrediente, una qualche specialità. Come vuole la storia e la tradizione nazionale. Poteva essere diverso per Monte San Biagio, il paese in provincia di Latina che nell’Italia preunitaria faceva da confine tra Stato Pontificio e Regno delle Due Sicilie? Risposta scontata! Fate una visita e scoprirete una splendida salsiccia, oltre a tutto il resto: un bel borgo di origine medievale ed una vista panoramica sulla piana e sul lago di Fondi, chiusa da Terracina a nord e Sperlonga a sud. Il paradiso dei romani e dei napoletani in fuga dalla città nei fine settimana da aprile ad ottobre. Monte San Biagio, appena 6.000 abitanti, ci omaggia con un insaccato originale e gustoso: la salsiccia al coriandolo di Monte San Biagio, per l’appunto. Si narra che la sua origine risalga al VI secolo, quando i Longobardi arrivarono a Monticelli, come si chiamava anticamente il primo nucleo del paese, e che derivò dall’esigenza di questi guerrieri di avere a disposizione alimenti nutrienti, da preparare in poco tempo ma adatti alla conservazione e al trasporto. Leggenda o storia, oggi la realtà è che il borgo ha consegnato al patrimonio gastronomico made in Italy un piccolo gioiello, fatto ancora secondo tradizione.

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Vincenzo Raso, norcineria Dal Monticellano, e la salsiccia di Monte San Biagio (photo © Massimiliano Rella).

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Sono appena una ventina i produttori di salsiccia di Monte San Biagio. Tra questi c’è il norcino Vincenzo Raso, 36 anni, della macelleria-norcineria Dal Monticellano. «Grazie anche alla notorietà che la nostra salsiccia comincia ad avere localmente negli ultimi 2-3 anni abbiamo triplicato la produzione» ci dice Raso. «Oggi facciamo artigianalmente 9 quintali a settimana di salsiccia di Monte San Biagio, più altri salumi come il capocollo, la pancetta, il guanciale». Spinto dalla soddisfazione, ma anche da una passione per la norcineria, Raso ha recuperato altre tipicità che rischiavano di andare perdute, come la salsiccia in barattolo, sottolio o sotto sugna. E, ancora, le coccitelle, fatte secondo una vecchia ricetta, a strisce, con trippa di maiale condita con lo stesso impasto della salsiccia al coriandolo, cioè peperoncino piccante, peperoncino rosso dolce, sale e coriandolo, poi essiccate nei capanni per 15 giorni: da mangiare secche, con i fagioli o in sugo. Tipica, apprezzata, ma bisognosa di tutela Oltre che molto apprezzata, ora la salsiccia locale è in attesa di una più adeguata tutela grazie al Consorzio della Salsiccia di Monte San Biagio, creato a gennaio 2012. L’associazione, formata da 6 produttori, 5 di Monte San Biagio e 1 di Fondi, è guidata da VITTORIO IACOVACCI, ex dirigente Fiorucci, evidentemente un esperto in materia. «Il Consorzio ha imboccato la strada della IGP dopo che la DOP si è bloccata a livello europeo» ci dice Iacovacci. «Con la IGP si vuole allargare l’area di produzione a buona parte della provincia di Latina, dal fiume Garigliano a sud, fino a Priverno e Fossanova a nord, comprendendo vari comuni dell’interno, come Lenola e Campodimele». Con la nascita del Consorzio, intanto, è stato registrato il marchio e definito un disciplinare di produzione che vieta l’uso del nome e casi di concorrenza sleale scoperti in Italia, ad esempio in Emilia e Lombardia. Il Consorzio ha in progetto anche un suo laboratorio di produzione con locali di stagionatura a Monte San Biagio.

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La metodologia produttiva Il disciplinare della salsiccia prevede che le carni di suino vengano tagliate a grana grossa a punta di coltello, a mano, o con macchinari che tagliano la polpa in modo grossolano. L’aspetto più qualificante e unico è l’utilizzo di tutte le parti del maiale, anche le più nobili, come prosciutto, capocollo, lombo, spalla. Le carni sono quelle di suino pesante nazionale, già in uso per prosciutti e insaccati italiani di qualità. Ma ci sarà anche una linea di alta qualità a base di Nero Casertano e Lepino, allevati allo stato brado e semi-brado. Le carni, sezionate, denervate e tagliate sono impastate nella maiella, un tradizionale contenitore in legno, speziate con peperoncino piccante e dolce, sale e semi di coriandolo essic-

Preparazione della salsiccia di Monte San Biagio con Vincenzo Raso (photo © Massimiliano Rella).

La Sagra della Salsiccia di Monte San Biagio è una delle manifestazioni gastronomiche più importanti della provincia di Latina. Giunta alla sua 8a edizione (nel 2013 si è svolta lo scorso marzo) è un appuntamento atteso impazientemente dai numerosi estimatori di questa saporita salsiccia. Tre giorni dedicati alla conoscenza di questa autentica eccellenza gastronomica: il modo di prepararla e degustarla, l’atmosfera di convivialità, l’intreccio di sapori, culture e tradizioni saranno il perfetto connubio per diffondere e valorizzare il territorio. Produttori e cuochi insieme per far conoscere, anche a chi non è del luogo, la versatilità in cucina di questo prodotto: classica alla brace, tradizionale con i broccoletti locali o i fagioli, ed ancora in antipasti, primi piatti, secondi e pizze per deliziare anche i palati più esigenti. Il paese e i suoi tesori gastronomici Monte San Biagio, in provincia di Latina, si distende sopra una collina alta 133 m che domina la piana di Fondi da Sperlonga al fiume Canneto con sullo sfondo il Mar Tirreno e le isole Pontine. Oggi gli abitanti sono circa 6.000 dislocati su un territorio di circa 70 km2. Il centro storico conserva le caratteristiche urbane medioevali con le tre porte: San Rocco, San Vito e Portone o Porta del Castello. Interessante nelle vicinanze la Sughereta di San Vito, l’unica esistente in Italia con alberi di alto fusto. Si espande su una zona di circa 300 ettari e possiede sughere e lecci di oltre cent’anni. Oltre alla salsiccia è rinomata la produzione del Marzolina, un formaggio esclusivamente di capra, coagulato con caglio di capretto a basse temperature. Le metodologie di produzione sono eterogenee, le differenze tra i diversi produttori cominciano dai trattamenti subiti dal latte, che può essere conservato a temperatura ambiente, refrigerato o semplicemente raffrescato con acqua oppure essere trasformato subito dopo la mungitura. In quest'ultimo caso può dare luogo a due cagliate, quella della sera e quella della mattina, che vengono miscelate o si può trattare di due lavorazioni completamente differenti. La cagliata viene rotta dopo circa 30 minuti e, dopo la scolatura del siero e la pressatura, il prodotto viene depositato nelle forme caratteristiche dette “fuscelle” tradizionalmente realizzate con vimini intrecciato, oggi sostituito con forme di stagno forato. Il Marzolina si può consumare fresco oppure stagionato; quello fresco presenta un sapore dolce mentre quello stagionato presenta un sapore molto più forte ed intenso. (www.comunedimontesanbiagio.it)

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cati e croccanti, diffusi qui dall’epoca della dominazione dei Saraceni, e macerate per 24 ore. Le quantità indicative degli ingredienti sono: • 0,5-1% di coriandolo; • 0,08-0,15% di peperoncino rosso piccante di produzione locale; • 0,16-0,30% di peperone rosso dolce; • tra 1,8-2% di sale; • un goccio (0,5%) di vino Moscato di Terracina. L’impasto viene poi insaccato con budello naturale di suino, senza conservanti e polifosfati aggiunti, da disciplinare. La forma della salsiccia è cilindrica e a ferro di cavallo, il colore rosso scuro screziato di bianco, la pezzatura da 500 a 1.000 grammi per le forme a ferro di cavallo e da 100 a 120 grammi per le forme classiche “a salsiccia”. È prodotta con diversi gradi di stagionatura: la fresca è venduta appena insaccata, a € 8-10,00 al chilo; la “barzotta” è lasciata asciugare per 3 giorni in ambienti con una buona ventilazione per essere poi affumicata per 4-5 ore con legno di lentisco ed è venduta a € 12,00 al chilo; la stagionata viene lasciata asciugare per 21-28 giorni e ha un prezzo che varia tra € 18,00 al chilo (di suino bianco) ed € 22,00 al chilo (di nero). La salsiccia nel piatto La salsiccia al coriandolo di Monte San Biagio con i broccoletti cotti in padella è uno dei piatti locali più ghiotti, così come gli zippi, degli spaghettoni acqua e farina fatti a mano con salsa di salsiccia di Monte San Biagio sbriciolata e broccoletti mantecati con formaggio di capra. Cucina di territorio da degustare all’Hostaria della Piazzetta, la trattoria del cuoco FLAVIANO RIZZI e della

Norcineria Dal Monticellano Via Roma 67 04020 Monte San Biagio Telefono: 0771567237 / 3272806515 E-mail: rasovincenzo@libero.it Web: www.dalmonticellano.it

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Flaviano Rizzi prepara la salsiccia di Monte San Biagio con i broccoletti alla Hostaria della Piazzetta (photo © Massimiliano Rella). moglie Luisa, aperta da un quarto di secolo a Monte San Biagio, che propone anche linguine ai gamberetti del lago di Fondi, spaghetti con olive nere della Costarella, zuppa di fagioli con erba Santa Maria. Come secondi spezzatino di pecora in padella, ab-

Consorzio Produttori Salsiccia di Monte San Biagio Strada Provinciale per San Magno 1 04020 Monte San Biagio Telefono: 347 4729483 E-mail: info@salsicciadimontesanbiagio.it Web: www.salsicciadimontesanbiagio.it

buoti e pajata di agnello, e fegatelli di maiale con rete e lauro. Menu fisso tutto l’anno più piatti stagionali. Vini solo della provincia di Latina. Dolci e pasta fatti in casa. Chiuso martedì. Conto € 35,00. Massimiliano Rella

Hostaria della Piazzetta Via Littoria 13 04020 Monte San Biagio Telefono: 0771 566793

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Sicce vero carnis de Romania et de Slavonia Così la definiva il calmiere del doge Sebastiano Ziani del 1173. Prodotta nella provincia di Brescia e in quella di Bergamo, ma conosciuta anche a Venezia e in Croazia, soprattutto nel territorio zarino, la castradina è carne di castrato essiccata dopo essere stata a contatto con sale e spezie per una decina di giorni di Riccardo Lagorio

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na delle più riuscite iniziative per dare slancio alla produzione tipica della pastorizia lombarda è stata la realizzazione, nei mesi scorsi, da parte di rinomati chef, di menù che comportassero, come materia prima dei loro piatti, il castrato. La trattoria La Madia di Brione (BS) si è distinta per il consueto rigore che caratterizza da sempre la sua cucina: la descrizione, per ogni piatto, della materia prima attraverso il preciso riferimento del produttore segnalato in calce ad ogni portata (completo di indirizzo e numero di telefono). In questo modo semplice ed efficace cade ogni tentativo di millantare origini non veritiere di quanto si porta in tavola, arte ancora ben rappresentata nella ristorazione italiana. Tra i piatti che lo chef-patron MICHELE VALOTTI e la vestale di sala SILVIA PERONI hanno proposto, due meritano citazione: il castrato affumicato e cotto nel fieno di monte (che si manifesta come qualcosa più che decorativo: un legame con il territorio da cui la carne proviene. La carne di castrato bilancia di per sé, con i suoi umori e la sua personalità, il gusto del fumo) e il castrato su piastra di sale con olio di cenere di rosmarino (dove la carne, con le sue proprietà sensoriali pressoché intatte, rossa nel cuore, è scioglievole e prelibata). Cadono come birilli i pregiudizi

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verso la carne di castrato percepita come fibrosa, dura, selvatica; rinasce l’interesse per il castrato e per i suoi derivati. Tra questi merita attenzione la castradina, carne di castrato essiccata dopo essere stata a contatto con sale e spezie per un periodo variabile tra una settimana e dieci giorni. Il primo riferimento storico di cui si ha certezza sull’esistenza di questo prodotto è il calmiere del doge SEBASTIANO ZIANI del 1173, dove la castradina viene definita “sicce vero carnis de Romania et de Slavonia”. A Venezia è tuttora viva l’usanza di consumare la castradina per la festa della Madonna della Salute il 21

novembre, tradizione che risale al Seicento quando, durante la pestilenza, l’unica carne che arrivava in città era la castradina proveniente dalla Dalmazia. La castradina viene tuttora prodotta anche nel Bergamasco, in alta valle Seriana, specie in frazione Dorga, da FABRIZIO FERRARI (telefono 034 631148) nell’omonima macelleria, «soprattutto ad uso dei numerosi turisti estivi e invernali», afferma. Della carne di castrato viene oggi utilizzata prevalentemente la coscia o le parti anatomiche magre, ben mondate. Un tempo, e i pastori transumanti superstiti lo fanno ancora, si utilizzava l’animale intero. Le

La castradina venduta in un mercato contadino croato.

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Minestra con castradina. carni vengono lasciate qualche giorno a macerare in una concia con sale (2 kg per quintale), chiodi di garofano, pepe, cannella, alloro, noce moscata, ginepro (talvolta coriandolo) mentre l’aglio, passato in vino rosso, serve a massaggiarle quotidianamente. Trascorso il tempo necessario e rimosse le eventuali impurità esterne, la carne da destinare a castradina si porta in idonei locali per l’asciugatura in rapporto di un mese ogni tre chilogrammi. Al termine del periodo se ne tagliano sottili fette. Tuttavia, la castradina può essere avviata al consumo anche alla fine del solo periodo di prima asciugatura, se cucinata arrosto o alla brace (annualmente una sagra in località Bratto è dedicata al risotto alla castradina). Oppure, come avviene nei centri limitrofi a Castione della Presolana, in particolare nel territorio di Onore, avviata a breve bollitura. Tale consuetudine è ancora invalsa in territorio zaratino: il filo rosso che unisce la sponda adriatica alle valli bergamasche è la comune, secolare appartenenza alla Repubblica di Venezia. A Zara la castradina viene lavata ripetutamente prima di cuocerla oppure, dopo averla tagliata a pezzi, la si immerge in acqua fredda in una pentola e, al primo bollore, si toglie dal fuoco. Nell’entroterra zaratino, nei pressi di Bencovazzo, le cosce di castrato vengono tenute alcuni giorni in una concia di sale e spezie, massaggiate di tanto in tanto con vino rosso e lasciate infine asciugare per alcuni giorni accanto ai camini. La pratica di preparare la castradina è opera delle famiglie di stretta osservanza contadina. Scomparsa ormai dai banchi delle macellerie, tuttavia è ancora ben presente nella memoria di molti abitanti della zona. Riccardo Lagorio

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Curiosità

Ricette politicamente corrette Il politically correct arriva anche in cucina e in Germania scoppia una vera e propria guerra sui nomi di alcune ricette che offenderebbero particolari comunità locali. Ma esiste davvero questa forma di razzismo? E se succedesse (o fosse già successo) in Italia? di Giovanni Ballarini

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uccede ad Hannover: la Zigeunerschnitzel (scaloppina alla zingara) cambia nome e diviene scaloppina balcanica. Come spiegano i giornali locali della città capoluogo della Bassa Sassonia, lo scorso mese di ottobre le comunità locali di Sinti e Rom hanno indirizzato numerose proteste all’amministrazione comunale in quanto consideravano discriminatorio e offensivo per le loro nazioni l’utilizzo del termine Zigeuner, zingaro (in passato, sempre in Germania, era stato ribattezzato “bacio di cioccolata” il cioccolatino “Negerkuss”, il bacio del negro, Ndr). Alla rinominazione si è immediatamente opposta l’Associazione tedesca degli albergatori e dei ristoratori, i cui portavoce hanno dichiarato che non sono disposti a gettare a mare una tradizione secolare solo per la richiesta di singole persone. Oltretutto, l’aggettivo zingaro in questo caso non è affatto usato per discriminare, ma per indicare il sapore deciso di un piatto che trasmette gioia di vivere. Il piatto in questione, tra l’altro, ha un’origine antica e importante: è infatti nel 1903 che il grande maestro di cucina GEORGES AUGUSTE ESCOFFIER, al servizio dell’aristocrazia mitteleuropea, decora delle fettine di carne di vitello (ma oggi viene usato anche il maiale) con la Zigeunersauce, una salsa a base di pomodoro, cipolla e peperoni. Nella guerra del nome THOMAS VOLK, cuoco della mensa comunale di Hannover, annuncia di aver rinominato il piatto come scaloppina bal-

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canica, perché nel servizio pubblico si cucina per tutti. Se cinquant’anni fa la dizione “zingaro” andava bene, non vuol dire debba valere ancora oggi, avrebbe dichiarato Volk. Un peralzarsi, grazie “Politicamente corretto” parte da un movimento di idee d’ispirazione liberal e radical delle università americane che, alla fine degli anni Ottanta, si proposero, nel riconoscimento del multiculturalismo, di ridurre alcune consuetudini linguistiche giudicate discriminatorie e offensive nei confronti di qualsiasi minoranza. Gli afro-americans (afro-americani) sostituirono i blacks, niggers e negros (negri). Gay sostituì i molti appellativi riservati agli omosessuali.

Diversamente abile prese il posto di varie espressioni del passato (minorato, l’anglicismo handicappato, poi portatore di handicap, disabile). Disoccupato sostituì nullafacente. E via dicendo. Ora questo movimento arriva in cucina. Niente di nuovo, però, sotto il sole italiano. Negli anni Trenta del secolo scorso non era politicamente (o, meglio, fascisticamente) corretto usare parole della perfida Albione (Inghilterra o Regno Unito), che impose all’Italia inique sanzioni per l’invasione dell’Abissinia. Fu questa un’operazione di chiara strategia politica e sociale, indirizzata a distogliere l’opinione pubblica da ben più gravi problemi, come le guerre in corso e quelle all’orizzonte. Il sandwich divenne così tramezzino (il traidue

La Zigeunerschnitzel cambia nome: non più “scaloppina alla zingara” ma “scaloppina balcanica”.

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Premiata Pr P rem emia emia iata ta aS Salumeria alum al um umer mer eria ia IItaliana, ia tta a alli lian ian na, a 6 6/13 /13 /1 /13

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Carciofi alla giudìa, potremo continuare a chiamarli così? proposto da Gabriele D’Annunzio non ebbe fortuna). Il cocktail si trasformò in polibibita, il bar divenne il quisibeve, peralzarsi avrebbe dovuto sostituire dessert, prestoalsole rimpiazzò pic nic, listavivande il menu, e via dicendo. Allo stesso tempo si assegnò il nome di barba del negus (titolo nobiliare etiope corrispondente a quello di re) alla piantina giovane della Salsola soda, che, a seconda delle varie regioni d’Italia, è detta anche barba dei frati.

E oggi, se anche da noi dovesse presentarsi la questione dei nomi politicamente corretti degli alimenti cosa succederebbe? Anche in Italia, infatti, vi sono ricette alla zingara (pasta, sugo, garganelli, ecc…). Dovremo ridenominarli in balcanici? E chi lo capirebbe? Come la mettiamo con gli spaghetti alla puttanesca? Diverranno forse spaghetti alla escort? La tartare e la salsa tartara diventeranno “antica Russia”? La pasta alla carrettiera o

alla carbonara, per non offendere due importanti categorie di lavoratori, dovranno essere rinominate all’operatore veicolare e al manutentore di impianti termici? I carciofi alla giudìa potranno mantenere questa denominazione? Per ordinare le fettuccine alla papalina dovremo chiedere una particolare dispensa al Papa, anche se l’attuale Francesco è molto aperto alla modernità? Come comportarsi, poi, per denominazioni quali strozzapreti e strangolapreti e vini come Sangue di Giuda, Inferno, Lacrima Cristi? Salumi come il cappello da prete o il vescovo dovranno trovare nuovi nomi che non feriscano la suscettibilità degli ecclesiastici? Con la denominazione di pollo alla diavola, chi si rischia d’offendere? E, soprattutto, ognuno potrà modificare il nome dei piatti a proprio piacimento, con un’inevitabile confusione babelica di nomi? Assolutamente no! Bisognerà forse istituire una Commissione delle Denominazioni Gastronomiche Corrette (CODEGA, che non ha niente da spartire con le cotiche) che, ovviamente lautamente nutrita, si impegni a dare precise indicazioni da seguire. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

Acetaie Aperte, a Modena una domenica con oltre 2000 i visitatori Nemmeno il maltempo ha fermato la curiosità e la sete di conoscenza degli oltre 2.000 visitatori che domenica 29 settembre hanno partecipato ad Acetaie Aperte edizione 2013. L’oro nero di Modena si conferma dunque un tesoro non solo da scoprire ma anche da riscoprire, nelle sue versioni Aceto Balsamico di Modena IGP e Tradizionale di Modena DOP, proposte per l’occasione dalle Acetaie in abbinamento ad altre due eccellenze agroalimentari del territorio quali il Parmigiano Reggiano e il Prosciutto di Modena DOP, mentre nei ristoranti della provincia venivano proposti menu a tema Balsamico. Un viaggio sensoriale nei locali di invecchiamento, tra nuove suggestioni e antichi profumi di mosto che fanno da sfondo ai racconti di tante storie, ognuna diversa dall’altra anche se tutte legate dalla comune passione per questo prodotto. Trenta le acetaie che hanno risposto all’appello dei due consorzi, il Consorzio Aceto Balsamico di Modena e il Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena. «Il pubblico non è certamente mancato» ha commentato il presidente del Consorzio Aceto Balsamico di Modena Mariangela Grosoli a nome delle acetaie che hanno partecipato alla giornata. «Famiglie intere, con figli e nonni al seguito, tutti uniti dalla passione per il balsamico e la curiosità di capire qualcosa in più su questo prodotto simbolo dell’agroalimentare italiano. Particolarmente apprezzati sono stati gli abbinamenti proposti con prodotti tipici del territorio, ma grande interesse è stato dimostrato anche per le visite guidate e le tante iniziative culturali collaterali».

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VIP, Visti Io Personalmente

Le nozze delle delizie italiane di Angelo Valentini

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el precedente articolo ho lasciato i miei lettori a Roncole Verdi di Busseto, ospite del grande Guareschi, in occasione del mio primo anniversario di matrimonio. Sono passati velocemente 50 anni da quella data, e mi è sembrato giusto celebrarla solennemente: un antico proverbio recita “che tutti i salmi finiscono in gloria”, pertanto alla rievocazione del matrimonio religioso è seguito il matrimonio gastronomico, celebrante Rodolfo Mencarelli, noto ristoratore, coadiuvato dalla moglie Lisetta e dallo chef Claudio Ramacci, a Gubbio, presso il Bosone Garden, situato all’ombra dell’imponente Palazzo dei Consoli, splendido esempio di architettura medievale, intatto e maschio per i suoi conci in pietra, di cui la città e le sue mura ne attestano la fierezza. Celebrata dall’Emilia, lei, la Mortadella, vestita nell’atelier del Salumificio Bedogni. Un velo la ricopriva e le è stato tolto, con coltelli affilatissimi, dallo stilista del settore Gianni Sartini: è apparsa agli astanti, con il suo bel faccione dal colorito roseo, punteggiato a pois da tanti lardelli bianchi, emanando un profumo stimolante l’acquolina in bocca. Altra celebrata: la tonda e formosa forma di Parmigiano Reggiano, zitella di 36 mesi nata a Scandiano di Reggio Emilia e domiciliata presso il Consorzio Vacche Rosse. La sua grana bianco latte è stata svuotata a scaglie, con coltello apposito, dallo scultore Giovanni Barani, in rappresentanza del casaro manifatturiero che l’ha data alla luce. Dall’Umbria, Lui, Prosciutto di 30 mesi, nato e vissuto a Norcia nella maison di Mastro Dante Renzini, assieme a tanti suoi coetanei, che

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nell’età matura spiccano il volo, in ogni parte del mondo, ambasciatori del made in Italy. Per l’occasione era vestito con un abito tempestato di grani di pepe rosso, una bandana alla moda che gli fasciava la caviglia ed una scritta ricamata in oro. Spogliato dell’abito di cerimonia eseguito da un abile coltello, ha mostrato a tutti il suo carnato roseo con venature di grasso, senza una minima smagliatura, diffondendo un profumo invitante, tale da richiamare i numerosi invitati al banchetto ad assaporare i brandelli sapidi della norcineria umbra. Damigelle d’onore le giovani e illibate Caciotte di Norcia, ricercate negli altipiani di Castelluccio, dagli esperti caseari Fratelli Gaggi, salumieri in Perugia. Appresa la notizia a Cuneo, le fattorie di Fiandino non hanno voluto mancare all’appuntamento ed hanno inviato le aristocratiche Tome ed un Burro di panna riposata fidanzate ad un Miele di acacia. Dalla Lombardia sono intervenuti i signori Storioni e le loro uova, produzione italiana della Agroittica Lombarda di Calvisano, Brescia. I testimoni alle nozze, di provenienza locale, per la sposa la signora Zuppa di lenticchie, benaugurante la prosperità, e le Coratine di agnello, provenienti entrambi da Castelluccio di Norcia. Per lo sposo i Fagioli della nobile famiglia Borlotti, con le inseparabili Cotiche, oltre alle Frittatine Ovito ingioiellate al tartufo. Un piatto eugubino il Friccò di agnello, sconosciuto a molti dei presenti, ma apprezzatissimo, arricchito di erbe aromatiche del Monte Cucco. Non è voluto mancare all’appuntamento il panciuto commendator Panettone, soffice come una nuvola e impreziosito da uvetta sultanina, creato per l’occasione e in anteprima

al prossimo Natale dalla prestigiosa Corsini di Castel del Piano, Grosseto, nota per la sua biscotteria da forno, presente nei negozi qualificati di ogni parte del mondo. L’immancabile Torta creata dal pasticcere Claudio, rivestita di panna bianchissima a copertura di un mille foglie croccante ed un fondo di cioccolatini Baratti & Milano come tante perle luccicanti. Assiso sul trono sua maestà lo Spumante Italiano Bellavista con un jeroboam rarissimo, emesso in numero limitato per celebrare il secondo millennio, collocato in un prezioso bauletto con tanto di serratura e chiave dorata, grazie ai munifici amici Mariella e Vittorio Moretti. A conclusione dell’inusuale e festosa giornata entrava trionfante nel salone trecentesco del banchetto il nobile e vetusto barilotto ultracentenario di Aceto Balsamico che, munito di un rubinetto in legno, dispensava agli ospiti una piccola bottiglietta di “oro nero” in sostituzione della bomboniera. Con l’augurio di rivederci alle prossime nozze di Diamante. Una favola? No! È accaduto veramente.

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Locali di gusto

Golosità enogastronomiche a due passi dal porto Nel centro storico di Anzio oltre 3.600 etichette fanno capolino dagli scaffali del rinomato locale della famiglia Del Gatto. L’offerta dell’Enoteca include anche distillati, formaggi, salumi, conserve ittiche, oli, raffinata pralineria, cioccolate e tè di Massimiliano Rella

C

on le sue 3.600 etichette sarà difficile che l’Enoteca Del Gatto, nel centro storico di Anzio, non abbia il vino che cerchiamo. Ma l’offerta include anche distillati, liquori, un centinaio di birre artigianali, italiane e straniere, e poi salumi, formaggi, prodotti di conserveria ittica di qualità, oli extravergine di varie regioni italiane. E tante, tante altre ghiottonerie, come le cioccolate artigianali di piccoli produttori, praline, caramelle, tè in scatola oppure sfusi.

Acquisti e rimani per l’aperitivo L’attività della famiglia DEL GATTO, una delle più importanti botteghe del gusto ed enoteche a livello nazionale, nacque nel 1936 come spaccio ed osteria, poi sviluppata negli anni come enoteca vera e propria (senza più osteria) dall’attuale proprietario, il signor Franco Del Gatto. Oggi, grazie anche alla moglie Simonetta, responsabile della condotta Slow Food di Anzio, e alla figlia Daria, che ha introdotto l’aperitivo con le golosità del negozio, l’enoteca è frequentata abitualmente da clienti che vogliono gustare tra scaffali pieni di bottiglie e cesti di salumi qualche bontà selezionata, dalla ventricina fino alle alici del Cantabrico. Tutto ciò che può essere comprato in negozio può essere assaggiato ai tavolini vicino al bancone, in una saletta dedicata, oppure all’aperto in

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Daria Del Gatto nell’Enoteca di famiglia (photo © Massimiliano Rella).

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estate. Le specialità gastronomiche spaziano dai salumi di nicchia, come la mortadella di Campotosto, della provincia dell’Aquila, la Ventricina abruzzese, i salumi di Cinta senese, oltre ai salumi fatti con carni di maiali di proprietà ma allevati in Friuli da allevatori di fiducia, privi di additivi alimentari. Tra le tipicità ittiche troviamo le alici di Cetara, le acciughe del Cantabrico, il salmone selvaggio e altro ancora. Le cioccolate artigianali hanno nomi da intenditori: Amedei, Guido Gobbino, Guido Castagna, Maglio. Ma non mancano cioccolate e pralineria belga. Anche gli ingredienti delle torte rustiche, dei semifreddi e dei dolci della casa sono di prima scelta, per esempio le uova di gallina Livornese di Paolo Parisi, il burro di Beppino Occelli o di Fattorie Fiandino, caseifici piemontesi di qualità. Ad ognuno il suo compito, ad ognuno il suo vino Ovviamente con un’enoteca tanto rifornita troveremo il vino perfetto per tutto. Tocco originale, sempre all’insegna della genuinità, per aperitivi e ricette, sono i frutti esotici coltivati dal signor Franco all’aperto o in serra “tropicale”, sul territorio di Anzio: mango, papaia, litchi, avocado e altri. Accanto al negozio, oltre a due magazzini per i vini e gli altri prodotti, Del Gatto ha un ulteriore locale per seminari e corsi sul vino, la birra e l’olio in collaborazione con Slow Food, con sommelier selezionati a Bra. Insomma, una realtà familiare dove ciascuno ha un compito svolto con passione. Il signor Franco cura anche le carte dei vini di diversi ristoranti di Anzio e Roma che si affidano alla sua competenza in materia. I

Alcune specialità salumiere in vendita (photo © Massimiliano Rella). bianchi un tempo erano più numerosi, in particolare etichette del territorio, ma oggi sono tanti anche i rossi, tra italiani di tutte le regioni e stranieri di tutti i Paesi produttori. Il figlio Cesare si occupa della gestione degli ordini e delle consegne, con scadenze settimanali, se non più

frequenti. Se l’etichetta richiesta dal ristorante come dal singolo cliente non è presente in negozio, i Del Gatto riescono a reperirla e a fornirla in tempi ragionevoli, sempre che sia in produzione o ancora disponibile, se si tratta di annate ed edizioni limitate. Massimiliano Rella

Se si mangia in enoteca… Il locale è aperto per aperitivi e spuntini in inverno il sabato a pranzo (negli altri giorni è disponibile solo qualche assaggio); da giugno-luglio, invece, è aperto da venerdì a domenica a pranzo e la sera. Conto € 30,00 vini esclusi. I giorni di chiusura sono il giovedì e la domenica pomeriggio. Enoteca del Gatto Via Mazzini, 9 – 00042 Anzio (Roma) Telefono: 06 9846269 E-mail: info@enotecadelgatto.it — Web: www.enotecadelgatto.it

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Antica Foma srl Via Limpido, 85 - 41015 Nonantola (Modena) 70

info@anticafoma.it - www.anticafoma.it

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Giorni di festa La tradizione italiana delle mostarde

Mosto ardente di Clara Scaglioni

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a mostarda (mustum ardens = mosto ardente in latino) è una preparazione che ha origini romane. All’epoca era una salsa a base di mosto di vino e senape, unione sapiente dei sapori dolce e piccante. Serviva a conservare, e quindi a gustare, la frutta durante quei periodi dell’anno in cui, per motivi climatici, non si trovava fresca. La prima ricetta risale e fu redatta da LUCIO COLUMELLA, scrittore latino del primo secolo dopo Cristo, autore di un trattato di agricoltura intitolato De re rustica. Venne perfezionata nel corso del Medioevo, ad opera dei monaci che la preparavano per l’appunto al fine di conservare a lungo la frutta durante i periodi invernali, e fu rielaborata dal cremonese PLATINA nel Quattrocento. Sono state le famiglie rurali contadine, specie del Nord Italia, a portare avanti questa bella tradizione radicata e presente anche oggi. Infatti viene ancora preparata in molte case dove è stata mantenuta intatta questa consuetudine anche se, ormai, importanti aziende del settore la realizzano

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industrialmente. È con l’arrivo della stagione fredda che nelle vetrine dei negozi di gastronomia specializzati fanno la loro apparizione, e sono messe in mostra, grandi quantità di vasetti di mostarda di Cremona, che, bella da vedere con i suoi frutti lucidi e colorati, ricorda come sia arrivato il momento di portarla in tavola, specie con i bolliti. Questo tipo di mostarda, infatti, è un contorno apprezzato e tra i più graditi per il suo sapore senapato che ben si sposa con tale piatto classico dell’inverno. Ma mentre la mostarda di Cremona richiede, per la lavorazione dei tanti frutti presenti al suo interno, esperti canditori ed un lungo iter che deve essere fatto in un’azienda attrezzata, va ricordato come molti altri tipi di mostarda, da sempre legati per tradizione al periodo invernale e alle festività natalizie in particolare, vengano invece preparati in famiglia. Per la mostarda casalinga, realizzata con vari tipi di frutta (in particolare con le mele), occorre poter disporre di frutta al giusto grado

di maturazione che, prima lavata, pelata e affettata, viene poi condita e messa a macerare con limone e zucchero. Durante la macerazione, della durata di 24 ore circa, si forma una soluzione zuccherina che, raccolta e portata ad ebollizione, viene versata bollente sulla frutta. Questa semplice operazione, che si potrebbe definire di canditura, racchiude in sé un procedimento chimico-fisico importantissimo perché la frutta, immersa nel liquido zuccherino, cede la sua parte acquosa alla soluzione, mentre questa trasferisce alla frutta gli zuccheri. Per ottenere una giusta canditura, l’operazione di raccolta della soluzione, che viene mano a mano a formarsi, deve essere ripetuta almeno per tre giorni consecutivi. Terminati questi preliminari passaggi si mettono sul fuoco la frutta e il liquido formatosi durante la macerazione, poi si fa cuocere il tutto, ma per poco tempo. Quanto rimasto della frutta e della giulebba formatasi in cottura si lascia raffreddare e vi si unisce la quantità

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La mostarda fina di Carpi Una menzione a parte merita la mostarda di Carpi, realizzata con il mosto di vino cotto. La sua ricetta è sempre stata un segreto, gelosamente custodito e tramandato di padre in figlio dalla famiglia dei Sebellini i quali, secondo la tradizione, ne sarebbero stati i creatori. Alla corte dei Pio questa specialità era conosciuta e apprezzata già nel Cinquecento: così diversa dalle altre mostarde allora diffuse, era destinata ad arricchire le mense di prelati, facoltosi professionisti e personaggi illustri. Nei versi della Secchia rapita di ALESSANDRO TASSONI (1622) la mostarda compare nel novero dei doni che i modenesi offrono al legato pontificio Ottaviano degli Ubaldini quando questi lascia la loro città per fare ritorno a Bologna: gli donò la città “e due cupelle / di mostarda di Carpi Isquisitissime” (XII 38). Quella del Tassoni è la più lusinghiera menzione letteraria, tra le poche che conosciamo, di questo antico preparato gastronomico. Ancora, BARTOLOMEO STEFANI, cuoco bolognese attivo presso la corte dei Gonzaga, a Mantova, nell’opera intitolata L’arte del ben cucinare et instruire i men periti in questa lodevole professione, pubblicato a Mantova nel 1662, nel descrivere le modalità di preparazione e presentazione di molteplici portate a base di pesce d’acqua dolce, quali i carpioni del lago di Garda, fritti e da servire caldi, “accosta a questi piatti un intreccio di quattro tondini di mostarda di Carpi, ornata con canella, e zuccaro”. Purtroppo, alla fine del XIX secolo, probabilmente con la scomparsa dell’ultimo speziale della famiglia Sebellini che custodiva il segreto della ricetta, terminava anche la produzione della mostarda a Carpi. Principali ingredienti della mostarda fina sono il mosto cotto, le mele molto dolci — si usava la mela carpigiana Gagliardina, che è introvabile dall’inizio del Novecento — poi il miele, la scorza d’arancia, spezie e gocce di senape. A distanza di oltre un secolo, dopo accurati studi di antiche ricette, tra le quali anche quella della spezieria “All’Insegna del Pomo d’Oro”, è stato recuperato il raffinato gusto rinascimentale della mostarda fina di Carpi, adeguatamente rivisitato per compiacere i moderni palati. Tra i vari e personali utilizzi, si consiglia di gustare la mostarda fina come accompagnamento di bolliti, compreso il classico zampone e cotechino, di formaggi piccanti e ogni altro tipo di salume; come antipasto sarà deliziosa in un delicato abbraccio con la pasta sfoglia.

di senape in gocce necessaria a dare il tipico sapore, prima di invasare. Importante ricordare come la mostarda abbia bisogno di un periodo di riposo prima di essere consumata. Vale la pena di ricordare che la senape, una pianta originaria dell’A-

sia appartenente alla famiglia delle Crocifere, i cui frutti erano già noti ed apprezzati in Cina tremila anni prima di Cristo, è presente anche nel bacino del Mediterraneo nelle sue quattro varietà: senape gialla o bianca, senape bruna, senape nera e senape

Mostarda di ciliegie (photo © gourmandistan.com).

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selvaggia. L’arbusto, la cui altezza può arrivare fino a due metri, presenta fiori gialli e fogliame di un verde vivo. Nel mese di luglio genera numerosi frutti a forma di baccello nel cui interno sono contenuti i grani. Attualmente la senape è coltivata su scala industriale, soprattutto in Francia e in Germania. Di norma viene seminata in maggio, dà i propri frutti due mesi più tardi ed ha un’importante funzione dato che il suo cultivar rigenera i terreni contribuendo alla loro riossidazione. I semi macinati hanno un profumo intenso e pungente, un sapore aspro, irritante, che sprigiona una sensazione di calore tipica dei cibi piccanti e conferisce un gusto inconfondibile alle preparazioni gastronomiche che li contengono. Inghilterra e Francia: attenzione a non confondersi Il linguaggio a volte ha generato una certa confusione tra senape e mostarda. In Inghilterra e in Francia, con i nomi mustard e moutarde si indicano indifferentemente la pianta, i semi e le salse che ne derivano. In Francia,

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Un unico nome, diverse preparazioni Con la parola mostarda si indicano tre tipi di preparazioni diverse tra loro sia per gli ingredienti che per l’esecuzione e il gusto. Mostarda di senape È la più nota e diffusa in tutto il mondo. Si ottiene mescolando la farina di semi di senape preventivamente bagnati per una decina di minuti (solo così si sviluppano i sapori aromatici e piccanti tipici che, allo stato asciutto, non esistono). Esistono tre tipi di senape: nera, la più piccante e costosa; indiana, meno piccante e con aroma simile a quella nera; bianca, meno piccante. Variando le percentuali e con l’aggiunta di aromi diversi si ottengono le più variate senapi in commercio. Mostarda di frutta È una preparazione che ha origine nel Rinascimento quando iniziò l’uso dei bolliti accompagnati da salse dolci e piccanti. Dolce e piccante, dal gusto particolarissimo, ha un sottofondo aromatico e ben sottolineata forza piccante. Nel ristorante prepariamo mostarda di anguria bianca, mele cotogne, cedro, pere, ciliegie, fichi, mandarini. Tutta la frutta deve essere acerba. Mostarda di uva Si tratta di preparazioni tipo budino, il cui ingrediente principale è il mosto non ancora fermentato posto a cuocere con farina o amido. Si consuma fresco oppure si conserva a lungo. Come dolce invernale è ancora diffuso ed apprezzato. La mostarda per Nadia Santini Scegliete frutta tendenzialmente acerba e ben sana. Lavatela, sbucciatela e tagliatela a fettine di mezzo centimetro di spessore. Pesatela e per ogni chilogrammo di frutta tagliata pesate 400 grammi di zucchero.Versate lo zucchero sulla frutta messa in un contenitore di plastica o di vetro, attendete 8 ore, togliete il liquido che si è formato in fondo, mettetelo a bollire per 5 minuti e versatelo sulla frutta. Coprite e lasciate così per altre 8 ore. Ripetete l’operazione ancora tre volte. Così si toglierà tutta l’acqua dalla frutta. Dopo 32 ore il liquido coprirà interamente la frutta. Togliete tutto il liquido, mettetelo in una grande teglia e fate bollire finché non sarà ridotto a un terzo. Unite la frutta e fate caramellare per circa 20 minuti. Togliete e fate raffreddare. Quando il tutto è freddo, unite 5-8 gocce di essenza di senape per ogni chilo di prodotto finito (la variazione di 5-8 gocce determinerà maggiore o minore potenza al gusto). Chiudete in vasetti di vetro o ceramica e iniziate a consumarla dopo qualche settimana. (Fonte: ALDO SANTINI, “Dal pescatore. La cucina di Nadia e Antonio Santini” 2001, Giunti Editore, collana Cucina, € 25,00, 166 pp., p. 142)

Ricetta della mostarda di Mantova detta di Viadana • 1 kg di mele ranette • 500 g di zucchero • 1 cucchiaio di olio di senape Esecuzione Sbucciate e tagliate a fettine le mele. Mettetele insieme allo zucchero in una ciotola di vetro possibilmente larga, copritele con un coperchio o con la pellicola trasparente e lasciatele riposare per almeno 24 ore. Passato questo tempo, raccogliete tutto il succo zuccherino che si è formato, portatelo a bollore e versatelo sulle mele, prima scolate, che debbono sempre riposare nel contenitore coperto. Questa operazione deve essere ripetuta a distanza di 24 ore ancora una volta. Il terzo giorno fate bollire le mele con lo sciroppo formatosi per almeno venti minuti e rimescolatele con delicatezza con un cucchiaio di legno, facendo attenzione a non romperle. Quando vi sembrano cotte ma ancora croccanti, unite la senape ed appena fredde invasatele in contenitori di vetro.

infatti, la moutarde è una salsa realizzata con semi di senape che, ridotti in polvere, sono poi impastati con aceto, birra o vino mescolati con altri ingredienti. Famosa è la mostarda di Digione, dal sapore forte rispetto a quella di Bordeaux, più dolce. La senape inglese, invece, è una salsa di colore giallo dorato fatta con

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semi bianchi, curcuma in polvere, acqua, zucchero, sale e spezie ed ha un sapore piccante. Ma mentre la mostarda, come la si intende in Italia, ha per base la frutta (in alcuni casi anche le verdure) e viene di norma utilizzata nei mesi invernali, in Francia e in Inghilterra, essendo una salsa, si serve come accompagnamento sulle carni

grigliate, sui bolliti e con i formaggi in ogni momento dell’anno. Made in Italy, le varianti regionali La mostarda mantovana nasce come prodotto di lusso e se ne trova notizia in alcuni documenti gonzagheschi che testimoniano la presenza di questo alimento sulla mensa dei

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Cotechino e mostarda. signori di Mantova. Il suo uso popolare, grazie alla maggiore fruibilità di zucchero e senape, si diffonde soprattutto a partire dal 1600 presso le famiglie contadine. È un prodotto tipico, realizzato in particolare con le mele. Viene proposta in gran parte dei menù tipici della zona ed è un ingrediente fondamentale nei classici tortelli di zucca. Perfetta come accompagnamento degli anti-

pasti o come contraltare al formaggi. La mostarda vicentina ha invece come ingrediente base la mela cotogna e si ottiene dalla cottura della sua polpa con lo zucchero. Una volta raffreddata l’amalgama, si trita e vi si aggiunge olio essenziale di senape. La mostarda di Voghera è una miscela di frutta candita e sciroppo; il metodo era già diffuso tra i monaci prima del 1397 per conservare la frutta.

Mostarda di cipolle di Tropea Ingredienti • 1 kg di cipolle di Tropea pulite • 350 g di zucchero • 100 ml di aceto di vino • 30 g di senape in polvere (se si utilizza l’essenza di senape ne bastano 2-3 gocce) Esecuzione Affettare le cipolle in fette non troppo spesse e metterle a macerare in un contenitore con l’aceto per 5-6 ore, mescolando di tanto in tanto. Si consiglia di coprire il contenitore con la pellicola onde evitare di averne per casa l’odore pungente e fastidioso. Trascorso il tempo previsto, scolare bene le cipolle e metterle in una pentola con lo zucchero. Far bollire a fuoco lento per un’ora circa. A questo punto aggiungere la senape e mescolare bene. Fare raffreddare e invasare.

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In quell’anno, infatti, Gian Galeazzo Visconti scrisse una lettera al podestà di Voghera lodandone la bontà. La mostarda piemontese o cougn è una marmellata a base di mosto d’uva (barbera, uva fragola) cui si aggiungono in cottura mele cotogne, pere madernassa, nocciole tostate. Viene usata per accompagnare le robiole e i formaggi stagionati in genere. La mostarda bolognese, confettura dal sapore asprigno a base di prugne, mele cotogne e frutta mista, è il tipico ripieno delle raviole e della pinza. Tra le mostarde prodotte in Italia meridionale figurano la mostarda calabrese, con mosto d’uva cotto, depurato con la cenere e impastato con farina e cioccolata; la mostarda siciliana, dolce a base di mosto cotto impastato con farina di grano duro e aromi. Accanto alle mostarde di frutta stanno prendendo piede anche le mostarde con le verdure: è ottima quella preparata con la cipolla di Tropea. Il loro uso è del tutto simile a quelle di frutta. Si gustano specialmente con formaggi. Clara Scaglioni

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Week-end

Alla scoperta della Passeirer Gebirgsziege Questa razza caprina a doppia attitudine è l’orgoglio della Val Passiria, splendida valle a nord di Merano. Con il suo latte e la sua carne gustiamo formaggi e succulente specialità tipiche di Riccardo Lagorio

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n un’epoca in cui può sembrare che la capra non serva più a nulla e l’allevamento delle capre non porti a nessun profitto, l’hobby privilegiato da noi che abitiamo in Val Passiria è proprio l’allevamento di capre. Ovviamente di razza locale». HELMUT GUFLER è il veterinario di questa valle a nord di Merano, ricca e gelosa delle proprie tradizioni, e non nasconde l’orgoglio di possedere un maso dove può allevare una trentina di animali. Le capre appartengono alla Passiria come ANDREAS HOFER (il patriota tirolese nato proprio qui, a San Leonardo in Passiria, Ndr) e lo speck. Insieme a 9.000 persone convivono circa 6.000 capre: la Val Passiria è una roccaforte di questi animali. Qui, infatti, vive il 23% di tutto il patrimonio caprino del Tirolo del sud. Patrimonio che dal 2007 si è incrementato del 6%, passando da 18.457 a 19.665 capi. La capra della Val Passiria (Passeirer Gebirgsziege, ovvero Psairer Goaß in lingua tirolese) è stata da tempo

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riconosciuta come razza, benché mantelli differenti distinguano le diverse discendenze caratterizzate dalla parte anteriore sempre più chiara, pelo chiaro sopra le cosce, «zampe forti e muscolose ed orecchie piccole e corte, tenute sempre in alto come avviene per il camoscio», spiega Gufler con orgoglio. In effetti, nessuno saprà sino al parto quale aspetto avranno i capretti: se un solo colore, con striature sulla testa, oppure se rossicci e scuri, marroni e scuri, grigio-bruni e scuri, beige, neri e bianchi. I sottogruppi e le combinazioni sono insomma difficilmente definibili anche da parte dei caprai più esperti. A differenza delle pecore, che hanno un’indole pacifica e creano greggi chiusi, le capre sono più astute, individualiste e ribelli. Forse anche per questa ragione i caprai utilizzano il termine Huarnfiich (bestia dannata) come secondo nome per la capra. Ma l’epiteto non ha valore dispregiativo, anzi. I caprai sono fieri del proprio gregge, tanto che il momento più importante dell’anno è quello delle

esposizioni caprine: per giorni interi si spazzolano mantelli, si piegano barbette, si lustrano corna e nelle Stube a gennaio si discute di quando il proprio gregge partorirà, a febbraio come sono nati i capretti, a Pasqua quanti se ne tengono per la rimonta, a fine maggio se sono già state portate in montagna e a fine stagione dove si tengono i becchi, che devono essere ben lontani dalle capre, scandendo così il ritmo delle stagioni. In Val Passiria una bella capra deve avere anche un bel campanello, un ornamento, più che mezzo di segnalazione, che contrassegna la proprietà ma può essere ricercato oggetto da collezione. «E c’è da dire che per molti l’allevamento di capre non è una necessità economica, ma un divertimento: sino agli anni Ottanta i capretti rappresentavano un buon guadagno, poiché dalla vendita si ottenevano 13.000 lire al chilogrammo se vivi, più o meno quello che si spunta oggi: così, crescere la vacca dei poveri poteva essere proficuo. Anche perché la capra Passiria è a doppia

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attitudine, ma la gente di qui non è molto abituata a produrre formaggio con latte di capra», continua Gufler. Le femmine raggiungono il peso di 70 kg, i maschi anche di 90, mentre il peso ideale per i capretti è variabile tra i 7 e i 12 kg. Tradizionale è la preparazione al forno, ma durante il periodo estivo, tra giugno e settembre, nei masi di montagna il piatto principale è il Bockenes, un arrosto di carne di caprone che viene accompagnato da canederli allo speck, patate bollite o riso. La carne scelta del caprone viene fatta rosolare nell’olio e condita da sale e pepe intorno all’osso assieme a carote, cipolle ed aglio tagliati grossolanamente. La buona regola vuole che si bagni la carne con brodo, si aggiunga del rosmarino e si lasci cuocere per un’ora e mezza. Al termine di questo periodo si deve legare il brodo, dopo averlo colato, con farina ed acqua, sino a renderlo scuro e cremoso. Nel comune di Moso in Passiria i sei ristoranti e le malghe tra fine luglio e gli ultimi giorni di agosto celebrano la capra con il piatto simbolo della valle, il Bockenes appunto. In verità sono numerose le sagre e le feste in tutta la vallata dove si festeggia l’estate con questo piatto a base di capra. In Val Fartleis, una perpendicolare della Val Passiria, la famiglia HUEBER prepara invece per i suoi ospiti lo Ziegenkitzbraten con la carne di capretto. Si tratta di una gustosa preparazione, anche questa originale del luogo. Anna Hueber rosola prima il capretto intero assieme ad aglio, cipolla tritata, pepe e sale. Aggiunge un poco di pomodoro e vino rosso con acqua, rosmarino, timo e alloro e dopo due ore addiziona acqua e farina di fecola per addensare il sugo. Trascorsa ancora mezz’ora il ghiotto piatto è pronto. La MACELLERIA KURT HOFER di Moso in Passiria (telefono: 0473 643524) è invece specializzata nella produzione di salumi di capra, tra cui le sottili salsicce affumicate, Kaminwurzen. Segno di rispetto della tradizione e dell’identità locale. Riccardo Lagorio Nota Formaggi caprini (photo © MGM Frieder Blickle).

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In alto: formaggio caprino con fiori. Al centro: ricottine con erbe aromatiche e spezie In basso: lo Ziegenkitzbraten, succulenta specialità a base di carne di capretto, pomodoro e vino rosso, servita con canederli, ideale contorno ai piatti di carne con sugo.

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Convegni

I salumi del futuro A Parma un incontro per conoscere le ricerche della Stazione sperimentale per il miglioramento nutrizionale dei salumi italiani, tra innovazioni tecnologiche e sfide salutistiche

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ome saranno i salumi del futuro? Quali sono le ricerche nazionali e internazionali in atto che influenzeranno lo sviluppo di un settore che, da sempre, è un mix di tradizione e innovazione? A queste domande ha provato a rispondere il workshop “I salumi del futuro: tra innovazioni tecnologiche e sfide salutistiche”, che si è tenuto ad ottobre presso la sede delle Commissioni Uniche Nazionali “Tagli di suino” e “Grassi e strutto” alla Borsa Merci di Parma. Ricercatori della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari di Parma e ospiti internazionali hanno presentato alcuni dei più interessanti progetti in atto per il continuo miglioramento del profilo nutrizionale e funzionale dei salumi italiani. L’industria dei salumi, infatti, ha a cuore la qualità e la salubrità dei suoi prodotti. Uno dei fattori del successo della nostra salumeria, sia in Italia che all’estero, è stata la capacità di introdurre tecnologie moderne senza snaturare i processi tradizionali di produzione dei salumi, codificati in millenni di pratica. Oggi la salumeria italiana è il risultato di un mix unico di tradizione plurisecolare, di innovazione e di ricerca. «La ricerca per l’industria dei salumi è fondamentale» ha dichiarato SERGIO FRANCHI, vicepresidente di ASS.I.CA. «Lavoriamo da anni, insieme alla Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari, sia sulla capacità di selezionare le carni suine italiane e comunitarie, sia, soprattutto, sul processo di trasformazione per adattare i salumi italiani al cambiamento degli stili di vita e alla riduzione del fabbisogno energetico come conseguenza della

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diminuzione del lavoro fisico. Tutto questo senza rinunciare a quel gusto tanto apprezzato dai consumatori di tutto il mondo. Oggi c’è un accento esagerato sulla provenienza delle carni — ha proseguito Franchi — ma in prodotti come i salumi il vero valore aggiunto risiede nella capacità dell’industria di trasformazione di selezionare le materie prime migliori e cogliere, attraverso la ricerca, i margini di miglioramento nei processi di cottura o stagionatura che ci permettono di avere prodotti sempre più buoni, sicuri e salutari». Non è un caso che i nuovi dati nutrizionali dei salumi,

resi pubblici dall’Istituto Nazionale e dalla Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari nel 2012, ad esempio, mostrano rispetto a 15 anni fa una significativa diminuzione del sale e dei grassi (e un miglioramento del loro profilo) e la riduzione dei conservanti, per non parlare della loro totale assenza in alcuni prodotti. «La Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari rimane un punto di riferimento per la crescita del settore», ha dichiarato il suo presidente ANDREA ZANLARI. «L’istituto oggi è al centro di importanti reti internazionali di ricerca e

Involtini di fichi, prosciutto crudo, formaggio di capra e rosmarino.

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può quindi tenere le imprese italiane all’avanguardia nei processi di miglioramento tecnologico. Abbiamo in atto importantissime ricerche per il settore delle carni trasformate: il nostro obiettivo, oggi, è quello di aumentare la conoscenza di queste opportunità tra le imprese che operano in questo importante settore dell’agroalimentare italiano». Durante l’incontro sono state presentate ricerche su importanti capitoli come l’ulteriore riduzione del sale, la determinazione puntuale delle caratteristiche chimico-fisiche della materia prima (utile a definire in maniera scientifica i processi di trasformazione), il continuo miglioramento della qualità dei salumi preaffettati e conservati in atmosfera protettiva. Particolare attenzione è stata poi dedicata al progetto Phytome (si veda il box a lato), un grande progetto europeo che ha come obiettivo quello di sviluppare prodotti innovativi a base di carne in cui l’additivo alimentare nitrito, a varie dosi di impiego incluso “nitrito zero”, è affiancato da composti naturali provenienti da frutta e verdura: composti fitochimici con proprietà antiossidanti che possono arricchire i prodotti tradizionali con molecole funzionali, come avvenuto negli ultimi anni in altri settori alimentari (in primis yogurt e integratori).

Premiata P rem mia iata aS Salumeria allu a um mer eriia a IItaliana, tta ali alian lliia an na a,, 6 6/13 /13 /1

Il progetto Phytome coinvolge un consorzio di partner europei (Italia, Paesi Bassi, Belgio, UK, Grecia) e si propone di sviluppare nuove procedure produttive in grado di ottenere salumi arricchiti con miscele selezionate di composti naturali biologicamente attivi, provenienti da estratti vegetali naturali. L’obiettivo è quello di sviluppare prodotti innovativi in cui le funzioni del nitrito di sodio vengono sostituite in tutto o in parte da composti naturali noti per contribuire al miglioramento della salute intestinale. Numerosi estratti vegetali possiedono, infatti, riconosciute capacità antiossidanti svolte da sostanze bioattive (flavonoidi e polifenoli): ad alcune di queste molecole è riconosciuta anche una potenziale protezione nei confronti di processi infiammatori. Queste caratteristiche li rendono particolarmente adatti ad essere impiegati per minimizzare le reazioni ossidative nei prodotti trasformati, compresi i salumi, e per arricchire il prodotto tradizionale di un potenziale ingrediente funzionale. A questo proposito, nell’ambito delle attività previste nel progetto, i prodotti carnei arricchiti saranno valutati non solo per le proprietà antiossidanti e per le caratteristiche sensoriali, ma anche per le proprietà fitoterapeutiche apportate dalle sostanze vegetali bioattive, ancora presenti nel prodotto finito.

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Rassegne A Bra la nona edizione della manifestazione di Slow Food dedicata alle forme del latte e al mondo dei formaggi

Dite… Cheeeeeeeeeeeese di Gaia Borghi

N

essuna difficoltà a sorridere per tutti gli appassionati di formaggio che, dal 20 al 23 settembre scorsi, hanno raggiunto con ogni mezzo a propria disposizione Bra, la bella cittadina piemontese in provincia di Cuneo che ha dato i natali a Slow Food e ne ospita ancora la sede centrale in un’antica casa di ringhiera proprio al centro del paese con un glicine secolare a serbarne i segreti.

I mestieri del latte fonte di lavoro alla base della nostra economia Gira voce che tra i molti poteri di Carlin Petrini ci sia anche quello “meteorologico” di allontanare la pioggia. L’evento, d’altronde, valeva un intervento importante e così, magicamente scomparse le nuvolette avvistate all’orizzonte la sera del giovedì, un magnifico sole d’autunno ha illuminato tutta la nona edizione di Cheese, calda e colorata oltre ogni ot-

timistica previsione. Caricate da tutta questa energia solare, più di 250.000 persone (circa 8 volte gli abitanti di Bra) hanno invaso strade, piazze, cortili, continuando a sorridere per ben 4 giorni, incontrando e dialogando con casari, pastori, produttori, affinatori, giunti dall’Italia e dal mondo per offrire le loro prelibatezze casearie. «Ogni formaggio racchiude in sé mestieri, economie, filiere produttive articolate» ha dichiarato al termine

Formaggi “ubriachi” a Cheese 2013 (photo © eventoLive).

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Il Mercato dei formaggi (photo Š eventoLive).

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A Cheese “Non ci par vero, le contraffazioni in ambito alimentare” «Gli scandali alimentari fanno notizia, ma raramente i media approfondiscono. Così facendo seminano il panico tra i consumatori». Roberto Burdese, presidente di Slow Food Italia, apre così il convegno “Non ci par vero, le contraffazioni in ambito alimentare”, che ha richiamato l’attenzione dei visitatori di Cheese sull’importanza della corretta informazione. «È fondamentale imparare a riconoscere la qualità, distinguere chi sfrutta l’Italian sounding con l’intento di guadagnare dalla truffa e chi invece s’ispira alla produzione casearia italiana come modello di alta qualità. E questo è proprio il modello che proponiamo a Cheese, perché conoscere l’eccellenza ci permette di riconoscere i “falsi”. La cultura del cibo di qualità esiste solo se i consumatori sono informati e i produttori capaci e onesti». A moderare l’incontro Mara Monti, coautrice del volume “Cibo criminale”, che rilascia dati agghiaccianti. «L’agrocriminalità fattura circa 12,5 miliardi di euro annui e il giro d’affari dell’Italian sounding ammonta a 164 milioni di euro». Sergio Marini, presidente Coldiretti, denuncia le difficoltà di chi lavora onestamente, accentuate da chi ostacola la realizzazione di leggi che garantiscano trasparenza o che cerca di aggirarle, quando invece bisognerebbe contrastare l’Italia delle lobby e delle corporazioni. Riccardo Deserti, direttore del Consorzio Parmigiano Reggiano, ha riportato numerosi casi di contraffazione in tutto il mondo. «Le frodi danneggiano agricoltori e allevatori. Il Consorzio ha l’obiettivo di tutelarli. Il grosso problema è che non si è pienamente consapevoli dell’entità del danno». Rassicurano invece i dati presentati da Lucia Decastelli, responsabile Controllo alimenti e igiene delle produzioni dell'Istituto zooprofilattico sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta. «Le allerte per contaminazioni alimentari negli ultimi anni sono diminuite del 3% circa e le segnalazioni che riguardano prodotti lattiero-caseari sono agli ultimi posti. Questo significa che i controlli funzionano». Michele Fino, docente di Diritto degli alimenti e Istituzioni UE dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, ha illustrato la normativa europea in merito all’introduzione obbligatoria dell’indicazione del Paese d’origine o del luogo di provenienza sull’etichetta di alcuni prodotti alimentari. «Con il regolamento dell’ottobre del 2011 l’UE ha in parte normato l’indicazione dell’origine in etichetta. Tra le novità più importanti c’è l’introduzione dell’obbligo di inserire in etichetta l’origine di tutti gli ingredienti presenti in percentuali superiori al 50. Le modalità sono attualmente oggetto di proposte da parte della Commissione, che dovrà pronunciarsi entro la fine del 2014. In questa fase a Bruxelles, dunque, le pressioni delle lobby (positive e negative) sono determinanti. Diamoci da fare». Sergio Veroli, vicepresidente Federconsumatori, ha spostato l’attenzione sul ruolo della crisi nell’aumento del numero di casi di frodi. «La contraffazione è considerata dai consumatori un reato minore rispetto agli altri. Non si sa che spesso dietro c’è la mafia. Il problema è che la stragrande maggioranza delle persone è costretta a comprare ciò che trova a buon mercato, non potendo privilegiare l’acquisto di prodotti di qualità». Il convegno rientra nel piano nazionale delle iniziative di lotta alla contraffazione e tra le azioni del progetto “Bra inimitabile”, realizzato dal Comune di Bra e finanziato dal Ministero dello Sviluppo economico e dall’Associazione nazionale dei comuni italiani.

della manifestazione ROBERTO BURDESE, presidente di Slow Food Italia. «Si va dal pascolo all’affinamento, dalla produzione alla ristorazione. L’abbiamo visto, l’abbiamo toccato con mano in questi giorni: sono tantissimi coloro i quali si battono per un prodotto sano e per rilanciare il settore lattiero caseario, simbolo della nostra economia. Cerchiamo allora di collaborare per cambiare davvero le cose e ridare ai mestieri del latte la dignità che si meritano» ha concluso Burdese. E la gente, anticipando l’esortazione del presidente di Slow Food Italia, ha risposto in massa, curiosa, ordinata nonostante

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i numeri da capogiro (e, udite udite, capace persino di differenziare i rifiuti), interessata, “quest’anno come non mai” a detta degli stessi espositori: sono tantissimi, ad esempio, i visitatori che hanno aderito al progetto Salva un formaggio! — l’iniziativa lanciata in occasione di Cheese per tutelare i tanti prodotti che rischiano di scomparire — depositando il proprio formaggio preferito nell’area dedicata all’Arca del Gusto. Tutto esaurito hanno registrato anche i Master of Food, le degustazioni e le attività educative riservate ai bambini, con nomi decisamente accattivanti come “Diventa un Ca-

valiere della Provola Rotonda”, per salvare i formaggi artigianali, o “Di che pasta sei?”. Un programma fittissimo, dunque, distribuito insieme alle utilissime mappe formato A3 dai tanti ragazzi fermi quasi ad ogni angolo, pronti ad aiutare il visitatore smarrito da tanto abbondanza. Cheese is for life Punto nevralgico della manifestazione si è rivelato come di consueto il Mercato dei formaggi, 3.000 metri quadrati dedicati ad ospitare produttori italiani e stranieri, accomunati da alta qualità, rispetto per le persone coinvolte nel processo produttivo,

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1) Il Cheddar e i formaggi delle Isole britanniche sorvegliati speciali a Cheese. 2) Luigi Guffanti 1876 di Arona (VR), storica azienda di affinatori. 3) Beppino Occelli. 4) Il Bitto. 5) Il Caseificio Valgrana Spa di Scarnafigi (CN). 6) Monte Veronese Dop è il formaggio più conosciuto della provincia di Verona (photo © Luigi Credi).

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1) Il Consorzio del Parmigiano Reggiano. 2) Da Modena gli aceti de La Vecchia Dispensa. 3) Stefano Busti con uno dei prodotti tradizionali dell’omonimo caseificio toscano, La Pecora Vera, formaggio a media stagionatura realizzato con latte di pura pecora. 4) Lurisia, acqua ufficiale di Cheese 2013 (photo © Luigi Credi). attenzione per la tutela dell’ambiente e delle tradizioni. Così come l’attigua Via degli affinatori, una sorta di paradiso come direbbe il topo-giornalistainvestigatore Geronimo Stilton, dove poter assaggiare i migliori formaggi disponibili sulla scena mondiale, con artigiani-artisti esperti provenienti da Francia, Olanda, Spagna, Portogallo, Irlanda, Svizzera, USA. Il risultato del loro lavoro a volte è davvero sorprendente: negli stand ho trovato esposte tutte le sfumature del bianco e del giallo, formaggi che hanno il colore caldo del miele, bruni come una pagnotta di farina di castagne, arancioni come la zucca, da fare a lamelle come un tartufo, forme gigantesche o piccole chicche delicate da scegliere in cassette di legno come fossero caramelle, caci dai sapori e dai profumi antichi, speziati, alle erbe, con incredibili sfumature verdi, blu,

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avvolti in foglie, ricoperti di semi, di frutta. «Siamo molto orgogliosi di portare a Bra i nostri formaggi e farli assaggiare, in questa che è la migliore manifestazione dedicata al mondo caseario» aveva dichiarato alla presentazione dell’edizione 2013 Jason Hinds del londinese Neal’s Yard Dairy, uno dei più importanti e noti affinatori di formaggi artigianali delle Isole britanniche. «I produttori stranieri non vengono qui solo per vendere — ha ribadito Carlo Petrini durante il discorso inaugurale, alla presenza di politici e “casari resistenti” — ma perché sanno che troveranno un punto di incontro, uno scambio culturale e umano con persone che fanno il loro stesso lavoro dall’altra parte del mondo. E perché vedono edizione dopo edizione che il pubblico ha un atteggiamento meno consumista ma più curioso, più interessato alle

storie che stanno dietro ogni singolo prodotto». Tra un banco e l’altro, posizionate in varie zone di Bra, hanno rivestito un ruolo fondamentale le cucine di strada, che hanno offerto assaggi delle diverse specialità regionali italiane, dalle olive all’ascolana alla piadina romagnola, anche in versione fritta, dalle crescentine emiliane fino alle bombette pugliesi. Bellissimo il Caffè Letterario, ospitato all’interno di un cortile d’altri tempi, uno spazio dove incontrare amici, artisti, musicisti, leggere insieme i quotidiani, partecipare a presentazioni, ridere, chiacchierare, sorseggiare un buon bicchiere di vino, di birra, assaggiare. Unica raccomandazione farlo slow, lentamente. Obbediamo volentieri. Gaia Borghi >> Link: www.cheese.slowfood.it

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Osterie d’Italia 2014 on stage a Cheese «Siete voi osti i depositari delle tradizioni e dei segreti del territorio». Così Marco Bolasco, direttore di Slow Food Editore, apre la presentazione di Osterie d’Italia 2014 sul palco di Cheese 2013. È poi Alice Waters, vicepresidente di Slow Food, a prendere la parola: «Quando ho iniziato, quanto avrei voluto avere una rete come la vostra, una vera e propria comunità fatta di amici e collaboratori. Quello che vorrei ora sarebbe provare tutte le vostre osterie, ma per farlo dovrei trasferirmi in Italia!». Carlo Petrini (in foto a lato) saluta gli osti presenti con una “dichiarazione d’amore” e di stima profonda. «Siete un patrimonio inestimabile della nostra Italia, in cui ritrovare pezzi della nostra storia, della nostra identità». A Eugenio Signoroni, curatore della guida, il compito di fare gli onori di casa con le novità di questa edizione. «Segnaliamo per la prima volta i locali che hanno un orto di proprietà e quelli che propongono menù vegetariani. La nostra è una guida social, molto prima dell’avvento di Facebook, perché è fatta grazie al lavoro dei collaboratori e delle segnalazioni che ogni giorno arrivano dai lettori di Osterie, che ci permettono di avere una guida autorevole e sempre aggiornata». Osterie, inoltre, è anche la guida più venduta sull’Apple store. Il primato dei locali chiocciolati va quest’anno alla Toscana con 25 osterie, seguita da Piemonte e Veneto con 23, Campania con 19, Lazio e Lombardia con 18, Emilia Romagna con 14, Sicilia e Friuli Venezia Giulia con 13, Puglia con 10, Liguria con 9, Trentino con 7, Abruzzo e Alto Adige con 6, Basilicata e Marche con 5, Sardegna e Umbria con 4, Calabria e Cantone Ticino con 3, Molise con 2 e Valle d’Aosta con una sola chiocciola. Osterie d’Italia 2014 – Il sussidiario del mangiarbere all’italiana a cura di MARCO BOLASCO, EUGENIO SIGNORONI, 926 pp. – € 22,00 Cheese premia i Locali del Buon Formaggio Anche quest’anno Cheese ha ospitato la premiazione dei Locali del Buon Formaggio, 627 tra osterie, ristoranti e rivenditori che propongono con sapienza una bella panoramica di piccole produzioni di qualità. Su questo sito è possibile scaricare qui la lista dei locali premiati: http://goo.gl/LO9j3I

A Bra le Ricette del Borgo di Beppino Occelli con Angela Maci e il mondo dei food blog «Da un paio d’anni circa abbiamo rivolto la nostra attenzione al mondo web, ritenendo le collaborazioni con i food blogger lo strumento migliore disponibile al momento per rivolgersi ai nostri clienti, al consumatore finale». Così Umberto Milano, della Beppino Occelli di Farigliano Cuneo, ha presentato ad alcuni food blogger, selezionati tra i tanti che oggi si trovano nel meraviglioso mondo di internet, il progetto “Le Ricette del Borgo”, 5 videoricette esclusive realizzate con i prodotti Occelli dalla bravissima Angela Maci (in foto a sinistra), coautrice insieme alla sorella Chiara del blog “Sorelle in Pentola” (www. sorelleinpentola.com). «Grazie a questa nuova formula di comunicazione diretta e con un linguaggio semplice e facilmente accessibile intendiamo fornire a chi ci segue non solo informazioni tecniche specifiche ma, soprattutto, le motivazioni, il perché viene utilizzato questo o quel prodotto, nonché il suo utilizzo pratico in cucina» ha dichiarato Umberto. Le 5 videoricette (primi e secondi piatti e dolci) sono state realizzate da Angela nel Borgo dei formaggi a Valcasotto, Pamparato. Un luogo magico, fuori dal tempo, dove hanno preso vita preparazioni che valorizzano al massimo i già splendidi prodotti Occelli. Le ricette sono disponibili on-line sul canale www.youtube.com, sulle pagine social e sul sito dell’azienda piemontese (www.occelli.it) ed hanno già ricevuto moltissime visualizzazioni. Segno che la strada intrapresa è quella giusta (in foto a destra i cupcakes con burro Occelli degustati all’evento realizzati dallo chef Riccardo Carnevali).

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10a edizione del Forum nazionale dei vini autoctoni

Degustazioni, incontri, rassegne, premiazioni ad Autochtona 2013

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er la sua decima edizione, Autochtona non si è fatta mancare proprio niente. Sono stati davvero tanti gli appuntamenti che hanno impreziosito il calendario della due giorni di Fiera Bolzano. Nella mattinata del 21 ottobre, il Forum nazionale dei vini autoctoni è stato anticipato da un incontro dedicato al linguaggio del vino naturale, promosso da Vinarius, al termine del quale l’area del

Conegliano Valdobbiadene — zona di produzione del Prosecco Superiore — ha ricevuto il “Premio al Territorio”. Il riconoscimento viene assegnato ogni due anni dall’Associazione delle Enoteche Italiane alla denominazione geografica particolarmente vocata dal punto di vista vitivinicolo. A seguire, l’apertura ufficiale della manifestazione, avvenuta in contemporanea con Hotel, Fiera specializzata per hôtellerie e ristorazione giunta alla

sua 37a edizione. Protagoniste indiscusse dell’ente fieristico di Bolzano sono state le oltre 300 etichette di vini con percentuali superiori al 95% da vitigni autoctoni italiani, provenienti da cantine con produzione limitata. Tra gli appuntamenti più significativi, la selezione dedicata ai migliori vini in esposizione: “Autochtoni che Passione!”. La giuria, presieduta da Antonio Paolini, giornalista de L’ESPRESSO, e composta da prestigiosi

L’approccio orientato ai vitigni autoctoni più ricercati o antichi, spesso legati a microterritori, è diventato un punto distintivo del Forum che continua ad essere premiato anche dai numeri delle presenze (photo © Fiera Bolzano Spa).

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Roger Morris, giornalista Wine & Spirits Magazine, e Angela Sini, amministratore delegato e responsabile vendite e marketing di Cantina della Volta. wine journalist italiani e internazionali, ha assegnato gli “Autochtona Award” ai vini vincitori delle cinque categorie in gara. Partendo dal Friuli Venezia Giulia, il premio “Miglior Vino Dolce” è andato all’Ucelut 2009 di Castelcosa Srl. È volato invece in Emilia-Romagna l’award nella categoria “Migliori Bollicine”: l’etichetta vincitrice è risultata il Lambrusco Rosé di Modena Doc Metodo Classico 2010 di Cantina della Volta. All’Abruzzo è andato il riconoscimento del “Miglior Vino Bianco” con l’Abruzzo DOP Montonico superiore 2012 di Vini La Quercia. Scendendo più a Sud, è salita sul podio anche la Puglia: il premio di “Miglior Vino Rosso” è andato al Salento IGT Negroamaro Le Braci 2006 dell’Azienda Monaci. L’azienda valdostana La Source si è aggiudicata infine il “Premio Speciale Terroir” — tradizionalmente assegnato all’etichetta che meglio rappresenta l’espressione del vitigno legato al suo territorio di riferimento — con il vino Valle d’Aosta DOP Petite Arvine 2011. Da segnalare, la vittoria per il secondo anno di Cantina della Volta nella categoria “Migliori Bollicine”. Già nell’edizione 2011 la Cantina originaria di Bomporto, in provincia di

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La giuria, composta da wine journalist italiani ed internazionali, ha selezionato le etichette vincitrici tra proposte di altissima qualità che spaziano da produzioni biologiche a biodinamiche fino a vitigni rari e ricercati (photo © Fiera Bolzano Spa). Modena, aveva ottenuto il riconoscimento nella medesima categoria per il Lambrusco di Modena Spumante Metodo Classico 2009. Un successo anche la rassegna “Tasting Lagrein”, che quest’anno ha decretato “Miglior Lagrein” il Turmhof 2012 della Cantina Tiefenbrunner e “Miglior Lagrein Riserva/Selezione” il Taber 2011 di Cantina Bolzano. Novità di questa terza edizione della rassegna dedicata al vitigno a bacca rossa altoatesino la menzione speciale “Cantina del Lagrein” assegnata dalla giuria — presieduta

da Pierluigi Gorgoni, giornalista di Guida L’Espresso — all’azienda che ha ottenuto il punteggio più alto nella somma delle due categorie. Vincitore del riconoscimento per i suoi picchi di qualità sia nel base che nel riserva è stata la Cantina Niedermayr di Cornaiano, Bolzano. Altra novità, la 14a edizione di “Vinea Tirolensis”, la vetrina dedicata ai vini prodotti dai vignaioli altoatesini che per la prima volta si è svolta al termine della due giorni presso l’area espositiva di Autochtona (www.fierabolzano.it/autochtona).

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Merano WineFestival 2013 Le luci della kermesse si sono appena spente ma gli echi di quest’ultima edizione si udiranno ancora a lungo di Laura Franchini

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a crisi c’è, nessuno lo nega, ma a giudicare dal Merano WineFestival 2013 di gente disposta a spendere parte del proprio tempo — e del proprio denaro — per il lusso del gusto ce n’è ancora tanta. Così tanta che il festival apre con un sold out. Nessun biglietto in vendita, tutto esaurito. Un risultato così eclatante da cogliere inaspettati molti visitatori e anche qualche addetto ai lavori. La vendita on-line è andata alla grande e non resta più spazio per l’acquisto dei biglietti alle

casse. Un successo assoluto, innegabile. Sono infatti ben 6.500 le presenze nelle quattro giornate della kermesse, con un incremento del 5% rispetto al 2012. Numeri che confermano la popolarità di una manifestazione che da 22 anni riscuote l’ampio consenso del pubblico, degli operatori e dei semplici appassionati. Il sold out fatto registrare nella giornata di sabato (2.500 biglietti venduti) ha redistribuito più equamente le presenze fra domenica (2.400) e lunedì (1.200) che, aggiunte ai 400 visitatori di venerdì, portano il

Merano WineFestival ai vertici degli appuntamenti enogastronomici da non perdere. Tantissimi gli appuntamenti, fra cui spiccava, nella giornata di sabato, la presentazione della guida VINIBUONI D’ITALIA di Touring Editore e la consegna della ambite Corone. Alla presenza dell’onorevole Paolo De Castro, a fare gli onori di casa c’era il curatore della guida, Mario Busso, accompagnato da importanti personalità del settore enologico, come Ermi Bagni, direttore del Con-

Sorprendente successo per l’edizione 2013 del Merano WineFestival, che nella giornata di apertura ha registrato il tutto esaurito. In foto le maestose sale del Kurhaus, elegante edificio storico nel pieno centro della città.

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Il Merano WineFestival è frutto di un lavoro intenso di 9 commissioni d’assaggio che selezionano i migliori vini di oltre 300 aziende vitivinicole italiane e di oltre 120 aziende vitivinicole internazionali.

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Tanti gli appassionati che si sono soffermati a conoscere e degustare a Culinaria, la rassegna di selezionati maestri artigiani all’interno del Merano WineFestival dove trovare le eccellenze della nostra terra.

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Al Merano WineFestival 2013 erano 700 le etichette italiane in degustazione e 150 i produttori arrivati da oltreconfine: Francia, Germania, Austria, Slovenia, Georgia, Argentina, Sudafrica, Nuova Zelanda e USA. sorzio di Tutela del Lambrusco di Modena, Carlo Alberto Borsarini per il Consorzio Modena a Tavola, Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, tra gli altri. Numerose le degustazioni e gli appuntamenti a tema, anche presso la Gourmet Arena, area dedicata alla cucina e ai grandi chef. Grande soddisfazione fra i produttori che hanno retto l’assalto di operatori ed eno-appassionati decisi a vivere per l’intero weekend una full immersion fra le 700 etichette italiane in degustazione e le proposte dei 150 produttori internazionali rappresentati da Francia, Germania, Austria, Slovenia, Georgia, Argentina, Sudafrica, Nuova Zelanda, USA. 7.000 i calici gestiti dall’organizzazione del Festival, 350 i giornalisti accreditati. Forte consenso per il Manifesto 2014, sintesi del pensiero di alcuni tra i nomi più autorevoli del mondo vitivinicolo italiano, che fissa in cinque punti gli asset per rilanciare il vino italiano nel mercato interno e nel mondo. Primo passo di un progetto che intende creare una piattaforma comune che favorisca il dialogo e il

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confronto fra i protagonisti, pubblici e privati, del mondo enologico. Il manifesto nasce dal contributo di 10 grandi nomi della filiera del vino, tra produttori, studiosi, giornalisti e “mercanti” come Riccardo Illy, Oscar Farinetti, Ian D’Agata, Roberto Cipresso, Attilio Scienza, Giuseppe Meregalli, Paolo Marchi, Joe Bastianich, Marco Pozzali, Domenico Zonin ed Helmut Kocher, patron del Merano Wine Festival. I cinque punti del manifesto: il territorio, da riportare al centro della filiera in ogni suo elemento; l’alleanza, da sviluppare su tutta la filiera; un unico soggetto a cui dare vita, come unico interlocutore dell’ente pubblico sia per l’Italia che per l’Europa; l’export, da sviluppare, razionalizzando gli interventi e condividendo strategie; un forum internazionale sul vino. Molte anche le attività promosse da enti, regioni e territori che hanno scelto Merano per presentare le loro eccellenze: la Georgia, Portorose e l’Istria, le Regioni Piemonte e Campania, la provincia di Fermo, il Consorzio Tutela Vini della Valpolicella.

Un format che si esporta ed esporta la maestria italiana Chiuso il sipario sul Merano WineFestival 2013, si inaugura una nuova stagione ricca di appuntamenti itineranti che faranno tappa a Milano dall’8 al 10 febbraio 2014, a New York il 6 ottobre e a Chicago l’8 ottobre 2014, a Roma dal 29 all’1 dicembre 2014 con il format Food & Wine Festival. L’Eurotour e l’esclusiva selezione del Merano WineFestival invece farà tappa a Monaco di Baviera il 28 aprile 2014 per la sua dodicesima edizione e proseguirà per Vienna, tra maggio e giugno 2014. Un format di successo consolidato, dunque, che va sempre più espandendosi e che garantisce visibilità all’eccellenza. Un format che si esporta ed esporta la maestria italiana, nell’ottica dello sviluppo di tutti gli attori della filiera vino e gusto. Attendiamo ora la nuova edizione del Merano WineFestival che si terrà dal 7 al 10 novembre 2014. Laura Franchini >> Link: www.meranowinefestival.com

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Anuga 2013: la piattaforma principale per il mondo internazionale del food Per i 155.000 buyer provenienti da 187 paesi fitta l’agenda di contatti e incontri. Continua l’avanzata dei prodotti convenience. Made in Italy protagonista con 1.700 aziende rappresentative di tutti i comparti merceologici alimentari

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l 9 ottobre si è conclusa con successo la 32a edizione di ANUGA, il Salone mondiale dei prodotti alimentari e delle bevande. Circa 155.000 operatori provenienti da 187 Paesi sono giunti a Colonia nelle cinque giornate della fiera per visitare gli stand dei 6.777 espositori. «Per il mondo internazionale del food, Anuga si conferma la piattaforma fieristica più importante

al mondo» queste le parole di GERALD B ÖSE , presidente di Koelnmesse. «Nessun’altra manifestazione è in grado di riunire domanda e offerta ad un così alto livello come Anuga». Gli espositori hanno infatti lodato all’unisono la qualità e l’internazionalità degli operatori e l’elevato numero di incontri avvenuti con importanti decision maker. FRIEDHELM DORNSEIFER, presidente dell’Associazione

federale tedesca del commercio di generi alimentari (BVLH), ha inoltre sottolineato l’importanza di Anuga come forum per la politica e l’economia. «Ministri e segretari di stato sono venuti in Germania per visitare Anuga; la forte presenza internazionale evidenzia il valore del salone per il mondo del food e dimostra anche che Anuga è un’importante piattaforma di dialogo per la politica internazionale».

Impressionanti come sempre i numeri dell’Anuga di Colonia: 155.000 operatori provenienti da 187 paesi sono affluiti in fiera nelle cinque giornate del salone per visitare gli stand dei 6.777 espositori.

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1) Lo stand del Consorzio del Prosciutto Crudo di Modena Dop. 2) L’Acetaia Giusti di Modena. 3) Il Salumificio Bertolin di Arnad (AO). 4) Lo stand del Prosciuttificio Leoncini di Langhirano (PR). «Ad Anuga abbiamo potuto constatare come la crescente popolarità che vantano all’estero i prodotti alimentari tedeschi di qualità stimoli la crescita costante del settore», ha sostenuto WERNER INGOLD, presidente dell’Associazione federale dell’industria alimentare tedesca (BVE). «In Germania — ha aggiunto — i prodotti alimentari non sono mai stati così sicuri e di alta qualità come oggi; per tale ragione dobbiamo avviare un’opera volta ad incrementare il favore di cui godono e ad informare sui servizi offerti dalle aziende alimentari». Anche l’Associazione federale DEHOGA ha stilato un bilancio finale molto positivo. INGRID HARTGES, amministratore delegato dell’associazione, ha dichiarato: «le giornate in fiera a Colonia hanno dimostrato chiaramente l’importanza di Anuga per il nostro settore. Gastronomi, chef e dirigenti si sono serviti di Anuga per trarre ispirazione e raccogliere informazioni e la “piazza della gastro-

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nomia DEHOGA” è stata il punto d’incontro del settore della gastronomia». I decision maker della distribuzione nazionale ed internazionale, gli importatori più attivi e i buyer delle principali aziende di catering hanno analizzato con attenzione l’offerta proposta e molte aziende hanno riferito di aver ricevuto un buon numero di ordini; in generale, i portavoce delle aziende confidano in un positivo sviluppo degli affari nel periodo successivo al salone. Ancora una volta l’industria alimentare si è servita di Anuga per presentare i servizi del settore, i nuovi prodotti realizzati con metodi all’avanguardia e le ultime strategie di marketing hanno dato nuovi impulsi al business. Per quanto riguarda le ultime tendenze bisogna riconoscere che prosegue l’avanzata dei prodotti convenience, ideali per un consumatore sommerso dagli impegni del quotidiano, sempre più attento ai valori di freschezza, sostenibilità e praticità.

Anche la questione del valore attribuito ai prodotti alimentari è stata ampiamente discussa ad Anuga; attraverso il concetto di Food values, scelto come tema centrale per vari dibattiti, sono stati illustrati i cambiamenti nel comportamento dei consumatori ed i tentativi del settore di instaurare maggiore dialogo e trasparenza. Un’altra tendenza analizzata durante il salone riguardava le offerte specifiche per determinate categorie di consumatori, vegetariani, vegani o le persone che soffrono di intolleranze alimentari. Anche l’interesse per i prodotti bio, equo solidali e le specialità regionali si è confermato ad un livello elevato. Made in Italy: tutti lo vogliono, molti (troppi) lo imitano Elevatissima anche in questa edizione di Anuga la presenza di aziende italiane, con oltre 5.000 marchi e circa 20.000 referenze. L’Italia ha confermato il proprio ruolo di leader mondiale

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1) Nello stand del Salumificio Bordoni, Marco Lei della MW Prosciutti, Barbara Bordoni, Renato Maspero della Alimentari Radice, Alessio Sala e Dario Bordoni. In piedi, Edy Guida. 2) Lo stand della multinazionale alimentare VION. 3) Francesco e Marcello Pini nello stand del Gruppo Pini. 4) Alcar Uno di Castelnuovo Rangone (MO). 5) Con Origin Green l’industria food & beverage irlandese si impegna per la sostenibilità e la tutela ambientale.

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1) Silvia Cecconelli del Salumificio Vecchi di Castelnuovo Rangone (MO) con Manuel Mazzoli dell’Antica Foma di Nonantola (MO). 2) Lo stand dell’Inalca di Castelvetro (MO), che quest’anno festeggia i 50 anni. 3) Lo stand di Renzini Spa di Montecastelli (PG). 4) Lo stand di BP Prosciutti Srl di Solignano (MO). 5) Lo stand della Beppino Occelli di Farigliano (CN). 6) Lo stand della Golfera di Lavezzola (RA).

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1-4-5) Immagini dallo stand all’Anuga della Levoni Spa di Castellucchio (MN). 2) Il Salumificio Cav. Umberto Boschi di Felino (PR), leader nella produzione del rinomato salame Felino, oltre che di tutti gli altri prodotti della salumeria parmigiana. 3) Lo stand del Salumificio Sorrentino di Mozzagrogna (CH). 6) Il Salumificio Fratelli Beretta Spa di Trezzo sull’Adda (MI).

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In alto: nello stand del Salumificio San Vincenzo di Spezzano Piccolo (CS), Jürgen Schulz responsabile del mercato tedesco, Vincenzo Rota e Graziella Di Ciancio della DBA Comunicazione. Al centro: Alessandra Grosoli nello stand di Aceto Balsamico del Duca di Spilamberto (MO). In basso: lo stand della Principe di San Daniele Spa di San Dorligo della Valle (TS).

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dei prodotti alimentari di eccellenza, la cui domanda continua a crescere su tutti i principali mercati. «Su questo scenario di grande interesse per l’export agroalimentare italiano gravano però le costanti minacce di contraffazione e Italian sounding che affliggono i nostri prodotti, innescando un giro di affari pari a 60 miliardi di euro» fa notare L UIGI S CORDAMAGLIA , consigliere incaricato di FEDERALIMENTARE per l’Internazionalizzazione. «In fiera abbiamo potuto constatare infatti la presenza di stand e prodotti che utilizzano la bandiera italiana ma non hanno nulla a che fare con noi e la cosa più inaccettabile è che spesso si tratta di operatori appartenenti a paesi dell’Unione Europea le cui regole sull’informazione ingannevole al consumatore dovrebbero essere uguali per tutti, offrendo uno stesso livello di tutela sul territorio comunitario. La lotta alla contraffazione e all’Italian sounding è sempre più una priorità per l’industria alimentare. A riguardo ci siamo attivati chiedendo a MIPAAF e ICE di patrocinare un paio di cause campione nei Paesi UE, a cominciare dalla Germania, contro chi utilizza illegittimamente marchi che richiamino l’origine italiana configurando pubblicità ingannevole al consumatore». «Il nuovo sequestro (si veda box a lato) avvenuto nell’ambito di una delle più prestigiose rassegne mondiali dell’agroalimentare e il deciso intervento dei Consorzi di tutela — ha sottolineato il presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano GIUSEPPE ALAI — ci auguriamo serva a scoraggiare i fenomeni di questa natura che continuano a consumarsi fuori e dentro i confini europei: anche per questo è però importante che alla nostra azione si affianchi un sistema di norme più incisivo in termini di riconoscimento delle DOP e di repressione delle frodi a livello mondiale, perché è a questo che si lega una più efficace tutela degli interessi di produttori e consumatori». La prossima edizione di Anuga si svolgerà a Colonia dal 10 al 14 ottobre 2015. >> Link: www.anuga.com

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Made in Italy contraffatto alla fiera internazionale di Colonia Un nuovo tentativo di contraffazione è stato sventato dai Consorzi di Tutela del Formaggio Asiago, Parmigiano Reggiano e Pecorino Romano ad Anuga, chiedendo l’immediato intervento delle autorità tedesche per il sequestro di falsi Asiago, Parmigiano Reggiano (con denominazione “parmesan”) e Pecorino Romano (anche con denominazione “romano”) prodotti da una ditta statunitense. «È la conferma di un fenomeno che danneggia gravemente l’immagine delle aziende italiane e la filiera agroalimentare nel suo complesso», ha dichiarato Assalzoo, l’Associazione nazionale tra i produttori di alimenti zootecnici. Il rapido intervento dei Consorzi italiani e delle autorità tedesche è certo motivo di soddisfazione per il settore agroalimentare, «ma la presenza di operatori dediti alla contraffazione, addirittura in una manifestazione così importante, mette in evidenza la sfacciata gravità che ha assunto il fenomeno dell’Italian sounding» ha sostenuto Assalzoo. «Occorre, quindi, assicurare — si legge in un comunicato diffuso — una maggiore tutela delle nostre produzioni ed è necessario un maggiore impegno delle nostre istituzioni per porre un freno a un fenomeno che ha proporzioni enormi, stimate da Federalimentare in circa 60 miliardi di euro. Se si riuscisse a recuperare solo la metà del mercato coperto dal mondo della contraffazione alimentare avremmo la possibilità di raddoppiare il valore delle nostre esportazioni all’estero di prodotti alimentari che nel 2013 raggiungerà la cifra di 34 miliardi di euro». Le norme contro la contraffazione sono necessarie, «ma non sono sufficienti e i recenti fatti di Colonia lo confermano», ha aggiunto Assalzoo, che reputa «necessario intervenire con urgenza rimuovendo i gravi ostacoli che frenano la competitività delle aziende italiane non consentendo loro di operare sui mercati esteri e occorre, al contempo, un vero e proprio piano di assistenza delle Istituzioni teso a garantire il massimo sostegno possibile alle imprese italiane per favorire l’esportazione». «I nostri prodotti — conclude il comunicato — hanno potenzialità di sviluppo enorme, ma necessitano di un “sistema organizzato di promozione” attraverso l’assistenza dello Stato. A tale proposito un importante contributo può essere certamente offerto dalla Cabina di Regia per l’Internazionalizzazione istituita presso il MISE per mettere a punto un concreto piano di strategie per la promozione e il sostegno all’export». (www.anmvioggi.it)

Bresaola Festival: a Sondrio la prima edizione La partecipazione di diecimila persone, l’arrivo massiccio di visitatori da fuori provincia, il tutto esaurito pressoché per ogni evento organizzato (dalle degustazioni alle visite guidate) e produttori che hanno passato una giornata e mezzo ad affettare bresaole quasi ininterrottamente. Sono dati, questi, che la dicono lunga sulla bontà dell’esordio del Festival dedicato ad uno dei prodotti simbolo della Valtellina, la bresaola. Una partecipazione massiccia e attiva, come detto, della città di Sondrio e non solo, a tutti gli eventi in programma. «Abbiamo registrato il tutto esaurito pressoché per ogni iniziativa — conferma Paola Dolzadelli del consorzio di tutela della bresaola — e si tratta di una partecipazione attiva, attenta e curiosa. Abbiamo notato tanta sensibilità della gente anche nei confronti dei prodotti, nel distinguere cioè gusti e sapori diversi. Molto apprezzato è stato sicuramente l’aperitivo con il quale abbiamo aperto sabato sera, ma bisogna dire che per tutte e due le giornate i nostri produttori sono stati impegnati ad affettare salumi vista la massiccia presenza di persone in piazza». In piazza, ma non soltanto. Il parco Bartesaghi è stato preso letteralmente d’assalto dalle famiglie con i bambini alle prese con il gioco dell’oca e la stessa cosa può dirsi per le visite guidate al Castel Masegra e agli altri palazzi della città. Per non dimenticare le degustazioni, con la bresaola protagonista dei piatti preparati dai ragazzi degli istituti alberghieri di Sondrio e Bormio. E ancora la camminata della Lilt, che ha visto la partecipazione di 120 persone e ha raccolto 800 euro da destinare all’acquisto di macchinari all’avanguardia per la prevenzione dei tumori. «La risposta è stata davvero entusiasta da parte di tutti» dice con orgoglio Dolzadelli pensando già alla seconda edizione. >> Link: www.bresaolafestival.it

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Rimini Horeca Expo atto secondo: il comparto del fuoricasa ha 8 anime Ma un’unica casa! Scopriamo insieme a Patrizia Cecchi, direttore Business Unit di Rimini Fiera, tutte le novità che ci attendono in questa seconda edizione di RHEX. Innovazioni, soluzioni e tendenze per il mondo dell’Horeca dal 2 al 5 febbraio 2014 di Gaia Borghi

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ttesa e curiosità crescente accompagnano i pochi mesi che ci separano dalla seconda edizione di RHEX, Rimini Horeca Expo, la fiera dedicata al comparto Hotellerie-RestaurantCafè (H ORECA ) che si svolgerà a Rimini dal 2 al 5 febbraio prossimi. Per saperne qualcosa di più abbiamo raggiunto PATRIZIA CECCHI, direttore Business Unit di Rimini Fiera, e le abbiamo chiesto di parlarci di questo salone sempre più aperto all’Europa, soprattutto quella dell’Est, e al Medio Oriente. Un’area ad hoc sarà riservata alle specialità alimentari made in Italy e qui troveranno spazio anche la carne e i salumi. Quali sono le novità che dobbiamo aspettarci in questa seconda edizione? «Il nuovo format di RHEX prevede otto sezioni, ognuna in grado di riassumere e al tempo stesso esaltare il proprio comparto di riferimento: Seafood & Processing MSE, l’unica fiera italiana totalmente incentrata sul prodotto ittico, Selezione Birra &Beverage, Food&Frigus, con il ritorno del settore del freddo e del prodotto surgelato, Specialità Regionali vino & olio extra vergine di oliva, Contract&Design, Cooking &MiseEnPlace, Hotellerie & Well-

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ness, Tecnologie&Servizi, ideate per unire in un solo contesto non solo prodotti, ma anche eventi formativi, iniziative culturali, show cooking, concorsi, mostre, degustazioni, dibattiti, convegni, tavole rotonde e incontri di business internazionali. L’interazione proattiva tra domanda e offerta e la presentazione di nuovi format e modelli di business innovativi per il comparto del fuoricasa rappresentano la cifra di RHEX. Inoltre, quest’anno, RHEX si presenterà ad inizio febbraio 2014, in una nuova calendarizzazione, per venire ancora più incontro alle esigenze del mercato». Parola d’ordine internazionalità. Come si è mossa in questa direzione Rimini Fiera? Quali sono stati (se ci sono stati) i progetti ideati al fine di richiamare i buyer stranieri a RHEX? «Sin dalla fine di RHEX 2013 ci siamo attivati per presidiare i paesi di provenienza dei buyer esteri con l’obiettivo di dare continuità alle attività svolte nella scorsa edizione ed aumentarne il numero. Le aree geografiche individuate sono UK, Germania, Austria e Svizzera, Francia (Parigi e Costa Azzurra), Turchia; Russia (San Pietroburgo e Mosca), Ucraina (Kiev), Polonia, Repubblica ceca, Area balcanica; Nord Africa:

Marocco, Tunisia, Egitto, Algeria e Medio Oriente. Nei Paesi citati è in atto la selezione dei buyer ed un’azione di promozione di RHEX attraverso la presenza a manifestazioni fieristiche, eventi delle maggiori associazioni di categoria e attività di advertising volte ad esaltare i contenuti della manifestazione. Il progetto volto all’internazionalizzazione del business delle aziende — e quindi della manifestazione — si fonda su un sistema che ha tre punti cardine: 1. incoming: presenza in vista dei buyer;

Patrizia Cecchi di Rimini Fiera.

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• Dove: Rimini Fiera Spa via Emilia 155 47921 Rimini • Date: dal 2 al 5 febbraio 2014 • Ingresso: riservato agli operatori professionali • Biglietto: € 25,00 – abbonamento 4 giorni € 45,00 • Orari: dalle 9:30 alle 18:00 (ultimo giorno 9:30 – 17:00) • Web: www.rhex.it – www.facebook.com/ PionieriGusto

A RHEX le imprese avranno modo di intercettare la più completa platea di operatori del fuori casa: dal mondo dell’ospitalità alberghiera a quello della ristorazione, dal mondo dei locali d’intrattenimento alla ristorazione collettiva ai progettisti dell’ospitalità e dei luoghi di consumo ai distributori con iniziative mirate per ogni target.

2. outgoing: una serie di workshop B2B che si svolgeranno nel corso dell’anno in 4 Paesi target che hanno un forte interesse per i prodotti made in Italy e dedicati alle aziende espositrici di Rhex; 3. export management: piattaforma consulenziale permanente di servizi di internazionalizzazione». Ricapitolando, saranno quindi otto le “anime” del salone, otto sezioni diverse per comparto di riferimento. Cosa troveranno nello specifico i lettori di Premiata Salumeria Italiana? Ci saranno workshop, convegni, di-

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battiti, eventi dedicati al mondo del food made in Italy di alta qualità e in particolare al settore salumiero, fiore all’occhiello del nostro Paese? «Come abbiamo già anticipato, quest’anno la manifestazione si caratterizzerà proprio per la presenza di otto anime, ciascuna dedicata ad un proprio comparto di riferimento. In particolare ampio spazio verrà dato alla sezione incentrata sulle specialità regionali che contribuiscono a qualificare l’offerta di ristorazione di qualità. RHEX, infatti, si pone come la sede ideale per la promozione di iniziative dirette ai professioni-

sti della ristorazione e dell’hotel, che abbiano per oggetto la cultura enogastronomica del territorio e la migliore conoscenza dei prodotti agroalimentari. Il comparto salumiero e il mondo della carne avranno certamente ampio spazio all’interno di tale sezione, con la presenza di alcuni tra i principali produttori italiani. Inoltre verranno organizzati convegni, dibattiti ed eventi interamente dedicati al mondo del food, eccellenza del made in Italy». Gaia Borghi >> Link: www.rhex.it

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Cibus 2014: la fiera dell’alimentare italiano protagonista nei mercati esteri

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ibus 2014 ha scelto per una prima presentazione il palcoscenico internazionale di ANUGA, la grande fiera dell’alimentazione tenutasi a Colonia. Un’area Cibus, vicina all’Italian lounge che ha ospitato mille aziende italiane, ha permesso di trasmettere i contenuti della nuova edizione di Cibus agli operatori di tutto il mondo convenuti in Germania. L’iniziativa è servita anche a sottolineare la collaborazione strategica tra Cibus ed Anuga finalizzata alla presenza dell’alimentare made in Italy nei mercati esteri. In partnership con KOELNMESSE ITALIA, Cibus ha anche guidato una delegazione di venti aziende alimentari italiane (espositrici ad Anuga o a Cibus) in visita al punto vendita Rewe Rahmati di Colonia con il supporto di un responsabile dell’insegna, per analizzare la disposizione del prodotto italiano ed approfondire i trend attuali e prospettici di consumo. La visita è stata completata con una presentazione dell’associazione tedesca dei Grocery Retailers (BVLH) al gruppo di aziende italiane, in una delle sale conferenze di Anuga. L’importanza delle problematiche del retail avrà ampio spazio a Cibus 2014, che si terrà a Parma dal 5 all’8 maggio 2014. Particolarmente rilevante in questa direzione il workshop sulla leva promozionale nel mondo della distribuzione, organizzato dall’Università di Parma e dalla NIELSEN. «Questa 17a edizione di Cibus sarà molto speciale — ha spiegato ELDA GHIRETTI, Cibus Brand Manager Fiere di Parma — perché capitalizzerà lo straordinario lavoro svolto durante i Cibus Market Check in Europa e nel mondo: tutti i distributori e i retailers

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chiave dei principali mercati saranno presenti per consolidare e sviluppare le relazioni di business con il made in Italy alimentare e gli espositori, dopo questi 12 mesi di business matching on site, saranno particolarmente numerosi e preparati per utilizzare al meglio la nostra piattaforma fieristica e di marketing». Diverse le novità di Cibus 2014: Cibus Bollicine, Cibus Land, un focus sull’innovazione commerciale innovativa ed il travel retail, una completa ristrutturazione dell’area dolce, nel layout e nei contenuti. Cibus Bollicine, realizzato da Fiere di Parma in collaborazione con LM di Luca Maroni, è uno spazio espositivo realizzato nel Padiglione 7 – Palacassa che presenta la grande varietà degli spumanti italiani, con aree tematiche dedicate ad abbinamenti col cibo ed i dolci, dimostrazioni, degustazioni e workshop. Cibus Land è un’iniziativa che si terrà nelle strade di Parma per mettere in relazione le aziende espositrici, i protagonisti food & beverage del territorio, i cittadini ed i visitatori di Parma. Nel parco Ducale verranno aperti gli stand delle aziende alimentari interessate ad un marketing engagement con i consumatori e quindi una location ideale per happy hour e street food. Non lontani dal parco saranno dislocati il vino di Sense of Wine e la birra artigianale di MicroMalto. Cibus Land sarà collegata alla fiera e si terrà in due week-end a cavallo della fiera. Forte dei numeri dell’edizione precedente (2.300 espositori, 63.000 visitatori professionali, 120.000 m2 espositivi), Cibus 2014 sarà suddiviso per categorie merceologiche nelle seguenti aree:

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Chilled, Dairy, Deli, Cold, Meat; Frozen; Grocery e Confectionary; International, Typical and Regional; • Beverages; • Pianeta Nutrizione & Integrazione. Numerosi gli eventi e le iniziative speciali: si va da Alma Caseus, il concorso dedicato alle aziende del caseario organizzato dalla Scuola di Cucina ALMA a MicroMalto, lo spazio dei birrifici artigianali; da CibusBio con sui si darà rilievo alla produzione biologica italiana al progetto Free From per valorizzare i prodotti senza glutine, senza lievito e senza lattosio; da Cibus Frozen che presenta il mercato dei surgelati e dei ready meal fino al workshop sullo Store Brand in collaborazione con l’Università di Parma per analizzare il branding distributivo. Cibus ospiterà anche la 4a edizione di Pianeta Nutrizione & Integrazione, forum sulla sana alimentazione che coniuga seminari scientifici interdisciplinari con una sezione espositiva. >> Link: www.cibus.it

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar Premiata Salumeria Italiana, 6/13 107 perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


Formaggio

Dove c’è agricoltura c’è paesaggio, c’è salvaguardia, c’è bellezza e buon formaggio Caciocavallo silano DOP, ricotta mista ovicaprina, mozzarella, provola, caciotta, giuncata: sono almeno trenta le tipologie di formaggio prodotte dall’azienda cosentina biologica di quarta generazione BioSila, certificata Icea e AIAB di Massimiliano Rella

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na strada di tornanti e curve che dal paese di Corigliano Calabro, in provincia di Cosenza, si inerpica verso l’altopiano della Sila, ci guida fino alle porte di un’azienda zootecnica che fa ottimi formaggi sopra questa montagna desolata. Si chiama BioSila, l’attività che SALVATORE ABBRUZZESE, 55 anni, gestisce a più di mille metri d’altezza, tra i comuni di Acri e Longobucco. Con lui il fratello Andrea, che cura la distribuzione, e il figlio Vincenzo, 28 anni, responsabile della promozione, più otto dipendenti fissi e alcuni stagionali.

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Sviluppo delle potenzialità del territorio, rispetto e sostenibilità ambientale BioSila è un’azienda biologica alla quarta generazione, oggi specializzata nella produzione artigianale di formaggi. I 65 ettari di proprietà sono tutti nel Parco Nazionale della Sila e l’impresa può contare su altri 150 ettari in affitto per seminativi, pascoli e bosco. La filosofia aziendale è sintetizzata dal giovane Vincenzo. «L’agricoltore non può delocalizzare, vive sul territorio e contribuisce a proteggerlo» ci dice. «Dove c’è agricoltura c’è paesaggio, c’è salvaguardia,

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Alcuni dei formaggi prodotti dall’azienda Biosila. Dall’alto, giuncata di media stagionatura, provole e ricotta secca. c’è bellezza. Dove non c’è agricoltura spesso ci sono scempi ambientali e dissesti idrogeologici». E, infatti, BioSila non solo ha una lunga tradizione, ma sviluppa le potenzialità agroalimentari del territorio in una logica di rispetto e sostenibilità ambientale. Parte dei terreni furono acquistati dal nonno Salvatore negli anni ‘30 per la coltivazione di grano. Nel 1950 il padre

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Vincenzo iniziò l’attività di pascolo di pecore e capre e la produzione dei primi formaggi. Negli anni ‘80 si aggiunse la produzione di patate della Sila, della varietà Agria, a pasta gialla, saporita e succosa, oggi coltivate in circa 5 ettari e divenuta IGP nel 2012. Negli anni ‘90 con l’ingresso in azienda del fratello, Salvatore Abbruzzese aprì un laboratorio per lo sviluppo del caseificio. Da una

produzione iniziale limitata, con il tempo ha incrementato quantità e tipi di formaggi, con cui sono arrivati premi e riconoscimenti. Nel 2008 ecco aggiungersi l’allevamento di bovini con la trasformazione del latte in altri formaggi, come il Caciocavallo silano DOP. Due anni dopo viene ampliato il punto vendita con l’inserimento di carni di produzione propria, ovvia-

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mente biologica: agnello, capretto, bovino e suino Nero di Calabria. Potevano gli Abruzzese fermarsi? Certo che no. E ora stanno per inaugurare il salumificio per trasformare in gustosi salumi e insaccati le carni pregiate del Nero calabrese. L’azienda, certificata da ICEA con garanzia AIAB, è a ciclo chiuso e utilizza per l’alimentazione del bestiame i propri fieni, grani e cereali. Durante il giorno gli animali pascolano liberi sui prati aziendali e la sera sono ricondotti nelle stalle per le mungiture. L’allevamento conta mille capi tra capre e pecore, 60 mucche da latte, 40 vitelli all’ingrasso, un centinaio di maiali neri. A tutto formaggio Il caseificio produce 30 tipi di formaggi, tra fresco, medio stagionato e stagionato. La ricotta mista ovicaprina, per esempio, è un formaggio fresco con l’80% di latte di pecora, ed è prodotta anche una ricotta secca, più consistente e salata. La mozzarella di mucca è fatta in diversi formati, da 50,

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100 e 250 grammi, mentre la provola è simile ma stagionata. La caciotta è fatta in vari tipi, secondo l’origine del latte, dal pecorino all’ovicaprino, da quella di latte di mucca aromatizzata al peperoncino fino alla caciotta da tris di latte, e con diversi periodi di stagionatura. Specialità locale è la giuncata Silana, anticamente fatta in fuscelle, chiamate “giunchi”, dai quali deriva il nome, un formaggio magro e cremoso fatto con un 60% di latte di capra. La media stagionatura si misura in giorni: ce ne vogliono almeno 60. Per i formaggi stagionati i tempi si allungano, a seconda del tipo, fino a 6, 8, 12 mesi, ma anche dai 18 ai 24 mesi per il Riserva BioSila, prodotto a gennaio con il latte di animali in prima lattazione, più grasso e ricco di proteine. I formaggi sono venduti soprattutto sul mercato locale, ma a volte si trovano in salumerie e botteghe del gusto di Roma, Milano e altre grandi città italiane. I prezzi all’ingrosso vanno dai € 10,00 al chilo

più IVA per i formaggi freschi, ai € 13,00 per quelli di media stagionatura, fino ai € 15-16,00 al chilo per gli stagionati. I visitatori, soprattutto in estate, possono approfittare delle aree barbecue per cucinare salsicce, costate, bistecche comprate sul posto e mangiarle all’aperto. Si possono anche pescare le trote in un laghetto di pesca sportiva, visitare le stalle e i locali di lavorazione dei formaggi. Per scuole e bambini in inverno ci sono le fattorie didattiche. Tempo di arrivare al 2014 e saranno pronte camere per la notte, per una bella ospitalità agrituristica (per informazioni, Contrada Filiciuzzi, loc. Filiciuzzi, 87045 Acri, Cosenza, telefono: 0984 952541). Massimiliano Rella Nota A pagina 108 le stalle dell’azienda agricola e casearia BioSila, sull’altopiano della Sila e Andrea Abruzzese al lavoro (photo © Massimiliano Rella).

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Camembert di Normandia, quando l’abito fa il monaco

Quella crosta che ne cambiò per sempre il destino di Raffaele Bertolini

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ono il dottor Knirim». La voce stentorea del dottore riecheggiò il mattino del 14 marzo 1826 tra le pareti della drogheria Gavin, posta nel centro del paese di Vimoutiers, in Normandia. Il medico americano tolse di tasca una lettera e la porse al farmacista. Scritta in francese, suonava come una vera e propria dichiarazione d’amore per quel formaggio che si vendeva settimanalmente proprio là, lungo le vie ondulate del paese. Il dottor Joseph

Knirim sosteneva di aver compiuto quella lunga traversata oceanica semplicemente per omaggiare il ricordo di MARIE HAREL, conosciuta in Francia e in America, ormai, come l’inventrice del Camembert. Anche se storicamente la sua figura fu ingigantita dal successo postumo del prodotto del suo ingegno, Marie, nata a Crouttes nel 1761, aveva vissuto e lavorato nei pressi della tenuta di Beaumoncel, a due passi dalla chiesa del villaggio di Camembert. Come i genitori era una contadina e si oc-

cupava della casa e della sua piccola proprietà. Trasformava il latte delle sue poche mucche in formaggio, che utilizzava per il proprio nutrimento e rivendeva in parte al mercato locale. Fu proprio nella tenuta in cui lavorava che incontrò, nel 1791, l’abate benedettino Charles-Jean Bonvoust, in fuga dalla contea del Brie, dove la rivoluzione mostrava già i suoi aspetti anticlericali. Le conoscenze di Bonvoust in materia casearia affascinarono la giovane Marie che, seguendo le ricette del prelato, si ac-

Il Camembert di Normandia, formaggio di latte crudo a pasta molle (photo © www.fromage-normandie.com).

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A sinistra: la tenuta di Beaumoncel. A destra: Camembert a latte crudo nei classici contenitori in legno di pioppo. Storicamente i primi Camembert, come numerosi altri formaggi, venivano venduti sulla paglia sui banchi dei mercati di paese. Una modalità che non consentiva la vendita lontano dal luogo stesso di produzione (photo © L. Williamson, http://sullestradedelmondo.blogspot.it). cinse a trasformare quel piccolo dono dei verdi e piovigginosi pascoli della sua terra nell’emblema della virtù gastronomica della nazione. Fino ad allora, come testimonia THOMAS CORNEILLE nel suo “Dictionnaire universel, géographique et historique”, il formaggio che prese il nome di Camembert era venduto ogni lunedì nel mercato di Vimoutiers dopo pochi giorni dalla sua nascita. Era privo di crosta e coperto da una naturale peluria bluastra. Il prelato insegnò a Marie l’arte della maturazione che avrebbe donato al formaggio una sottile crosticina protettiva. La figlia di Marie Fontaine-Harel, lei stessa Marie, continuò l’operare della madre, e, congiuntamente al marito Thomas Paynel, fece conoscere il Camembert sul mercato di Caen, il più grande centro mercantile della regione. Proprio da Caen partiva infatti quella nuova linea ferroviaria (Parigi-Lisieux-Caen) che, inaugurata nel 1855, avrebbe permesso ai cittadini parigini di trovare sulle loro tavole quel piccolo formaggio profumato dei

pascoli del nord dopo solo sei ore di viaggio. Ma la gloriosa fama nazionale di cui gode oggi il Camembert subì una spinta decisiva nel 1863, quando l’imperatore Napoleone III si fermò alla piccola stazione di Surdon, in Normandia, incontrando il nipote di Marie Harel, Victor Paynel, che gli porse in dono una scatoletta di formaggio. Rimastone entusiasta, l’Imperatore ne volle una dispensa regolare a corte. Ben presto ciò che piaceva all’Imperatore sarebbe piaciuto anche alla borghesia francese. Le scienze, la tecnologia e la fortuna del Camembert Alla fine del secolo due innovazioni importanti segnano la nascita del Camembert così come lo conosciamo oggi. L’una riguarda il suo aspetto esterno: i progressi in medicina del dottor Pasteur non erano passati inosservati e un altro medico, tale Louise, volle suggerire ai produttori di Camembert di utilizzare il Penicillium candidum per dare una patina lattica a quel formaggio imperiale.

“Camembert, poésie, bouquet de nos repas, que deviendrait la vie, si tu n’existait pas? Così decantava le lodi di questo famoso formaggio il famoso critico gastronomico Brillat-Savarin” 114

L’altra innovazione fu opera dell’ingegnere Eugène Ridel, il quale, nel 1897, insieme al temerario falegname Georges Leroy, dette vita, a Livarot, alla prima segheria per la produzione industriale dei famosi contenitori in legno. Prima di allora si usavano imballare i formaggi, cinque alla volta, in una sottile carta bianca, e successivamente in una carta rossa, tappando le estremità con due coperchi esagonali in legno. Ridel mise a punto il macchinario per sagomare la celebre scatolina tonda in legno di pioppo, in cui la parte superiore si sovrapponeva perfettamente a quella inferiore. I tempi moderni, il progresso tecnico-scientifico, la moda trascinano con sé le fortune del Camembert. Fino alla fine del XIX secolo il commercio di questo formaggio rimase saldamente nelle mani di poche famiglie: i Lanquetot, i Lepetit, i Bisson, i Claudel, i Buquet e i Valleè, per citare solamente le più conosciute. Ma nessuno di questi riuscì a cogliere le opportunità dell’industrializzazione quanto Bridel e Besnier. Era il 1968 e quest’ultimo rivoluzionò il mercato immettendo sul mercato il rinomato Camembert Président. La principale novità stava nell’utilizzo di latte pastorizzato. Permetteva rese più sicure e un prodotto omogeneo,

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L’immagine di Marie Harel compare sull’etichetta di questo Camembert di Normandia prodotto da François Durand. Una statua dedicata a Marie si trova nel villaggio di Vimoutiers. proprio ciò di cui aveva bisogno la Grande Distribuzione. I puristi storsero immediatamente il naso, ma il consumatore ne fu rapidamente conquistato. Al giorno d’oggi la passione per la tradizione e per la qualità viene difesa strenuamente da tre produttori di Camembert a latte crudo: Fromagerie Durand, Fromagerie Mercier e Christine Brostin. Il clima normanno mantiene i pascoli rigogliosi, abbondanti. Le tranquille vacche chiazzate di bianco, nero e marrone che si spostano lentamente per le colline del Pays d’Auge possono ruminare per nove mesi l’anno la fresca erba dei luoghi. L’inverno viene trascorso nel caldo delle stalle, dove in alcuni casi, come nella tenuta di Mercier, un moderno sistema di essiccamento permette al gregge di consumare succulento e profumato fieno tra la fine di novembre e i primi di marzo. Nei locali adiacenti le famiglie sono laboriosamente intente a drenare le calde cagliate nei classici contenitori in plastica forata; chi vi versa la cagliata cinque volte, come prescrive la tradizione purista, e chi sfiora il numero di sette, indicando la ragione nelle dimensioni più ridotte del cucchiaio. Sempre sul posto si possono acquistare e degustare i prodotti, senza clamore, senza sfarzo, proprio come nella tradizione normanna dei suoni pacati e dei gesti misurati. Raffaele Bertolini

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Vino

Bianchi, rossi, rosati, spumeggianti: Giro d’Italia dei vini di Natale di Riccardo Lagorio

A

gricoltura responsabile, biologica, sostenibile. E, perché no, vitigni autoctoni. Una serie di aggettivazioni che oggi trovano sempre più terreno fertile in consumatori attenti. Tuttavia, non sempre il mondo delle guide premia ed è in grado di riconoscere quelle bottiglie che meritano di essere stappate sulla base di questi principi. Da parte del produttore accade che per accedere a quei libroni che imperversano a fine anno devi inviare campioni e spesso, per le piccolissime realtà, si tratta di un ostacolo insormontabile. Conseguenza: chi dovrebbe fare comunicazione è costretto a farla solo parzialmente. Anche per questa ragione durante il 2013 abbiamo raccolto esperienze e vini che prevalentemente stanno fuori dalle rotte commerciali. Ne esce un appassionante Giro d’Italia che abbiamo voluto suddividere in vini bianchi, rosati e rossi, spumeggianti.

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Bianchi… via! La partenza ideale è Venezia, anzi l’isola di Sant’Erasmo, per secoli considerata l’orto della città. Nel Cinquecento era assai rinomato il vino che si produceva su queste motte, sapido e longevo. All’inizio degli anni Duemila MICHEL THOULOUZE, creatore di riviste e canali televisivi, si innamora dell’isola e raccoglie informazioni presso i contadini locali sulla tradizione agricola. La scelta cade sul reimpianto della vite, franca di piede, nella laguna ricca di terreni argillosi. Malvasia istriana, Vermentino e Fiano, tre vitigni italici che insieme procurano profumi ed eleganza, acidità, struttura e sapidità. Niente affinamento in barrique, niente irrigazione neppure di soccorso, uve raccolte tassativamente a mano nei quattro ettari e mezzo vitati. Essenziale l’etichetta, che riporta il termine ORTO Venezia, lo stesso nome con cui è stata battezzata la cantina.

Dalla laguna al mare. Senti oh!, uve Ansonaca in purezza dell’Azienda Agricola Fontuccia di Isola del Giglio, in provincia di Grosseto. Il nome è un’espressione tipica gigliese per indicare meraviglia e ironia insieme. L’intento è proprio quello di suscitare meraviglia con un vino secco e ammandorlato come il vento di Mezzogiorno. Tardivo ma non tardo, pare essere un altro motto. In verità si tratta anche di un’etichetta dell’Azienda Vitivinicola Santa Barbara di Barbara nell’Anconetano. Il vino proviene da uve Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC raccolte a sovramaturazione avvenuta in pianta in contrada Nidastore. L’annata 2004 è stata aperta a metà giugno 2013 e si presentava di colore giallo intenso con riflessi dorati e dagli esuberanti profumi di frutta tropicale e spezie. Alla bocca ogni sorso si presenta ricco di frutta e dal finale delicata-

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mente amarognolo e lungo. Si tratta di un vino speciale a partire dall’etichetta, adatto a numerose pietanze, che siano primi o secondi, ma anche formaggi stagionati e piccanti. In maglia “rosa” Tra i vini di mezzo (non perché non abbiano una propria personalità, ma semplicemente per distinguerli da bianchi e rossi) che ci hanno particolarmente colpito spicca il rosato da Nero di Troia I Pitappi dell’Azienda Agricola Pirro Stefano Maria di Troia, Foggia. A conduzione biologica, la fattoria produce anche grano duro in Capitanata. Nel casolare ristrutturato finemente, l’annata 2011 si ricorda per il colore rubino chiaro con riflessi corallo, bouquet intenso e fruttato con note di fragola e ciliegia. Il palato è fresco, fruttato, gradevolmente acidulo, dal finale lungo e asciutto. Lo abbiamo incontrato ottimo come aperitivo e per antipasti di mare, minestre leggere, pesce al forno. La parte settentrionale del Foggiano è però zona anche di un altro vitigno diffuso nel Centro-Sud, il Montepulciano. Centrogallo è una località di Lucera, splendida cittadina distesa intorno e sotto alla fortezza Svevo-Angioina. Centrogallo è an-

che il prodotto di Marco Cocca, che raccoglie manualmente le uve e ne fa uno straordinario vino il cui colore, profumo e sapore rispecchiano le caratteristiche della terra arida e mediterranea intorno. Rosso passione Tra i rossi, Luna selvatica 2003, Colli Piacentini DOC, Cabernet Sauvignon de La Tosa, azienda agricola gestita dai due fratelli Ferruccio e Stefano Pizzamiglio in Vigolzone, Piacenza, ha in verità fatto trasecolare per chiarezza nell’etichetta e bontà del contenuto. Nasce da cloni perlopiù di Cabernet Sauvignon e in misura ridotta di Merlot nei vigneti Ronco e Morello, di proprietà. L’annata 2003 è stata caratterizzata, a partire da maggio, da piovosità scarsa, ma soprattutto da temperature molto alte: in assoluto l’estate più torrida degli ultimi decenni. Ciò ha determinato un’uva dagli acini molto piccoli, ricchi di buccia e concentrati. Il 6 e l’11 settembre è stata raccolta l’uva di Luna Selvatica a piena maturazione, che conferisce al vino struttura, calore e morbidezza tannica. Il vino, che ha soggiornato per sette mesi in barrique di rovere francese, è stato imbottigliato il 10 agosto 2004. Sono state ottenute 8.300 bottiglie e

266 magnum; la nostra era la numero 935, perfetta e straordinaria dopo dieci anni esatti dalla pigiatura. Relativamente giovane è l’azienda di ANTONIO LIGABUE di Capo di Ponte, in Valcamonica, dove la riscoperta della viticoltura è recente. Poco più di due ettari di terreno dislocati in 5 diversi poderi fra Cerveno e Sellero. Vino da tavola rosso, Merlot in purezza, il Badalisc, che richiama il mitologico personaggio metà uomo metà bestia che esce dai boschi di Andrista la notte del 5 gennaio per raccontare le vicende inconfessabili dei paesani. Genuino, vigoroso, dal colore profondo. Il criterio di produzione che muove Antonio è del resto la realizzazione di prodotti naturali: tutti i trattamenti in vigna sono volutamente privi di fertilizzanti e pesticidi di sintesi, così come gli interventi in cantina hanno abolito l’uso di anidride solforosa ed elaborazioni chimiche. Dall’uscio dell’azienda escono vini di grande personalità, autentici dell’uvaggio e del territorio, che mantengono integro il paesaggio, l’ambiente e la natura. Lo stesso criterio utilizzato da Fattoria Mondo Antico-La Collina del Pernione a Rocca Susella, Pavia. Agenore, Bonarda del 2007, è stato ottenuto da uve da agricoltura bio-

A sinistra: Michel Thoulouze, assieme alla sua famiglia, ha deciso di rilanciare sull’isola di S. Erasmo la coltivazione della vite e la produzione del vino, utilizzando i metodi tradizionali degli agricoltori locali (photo © www. solomango.com). A destra: Renzo Codolo e Pamela Pedron, della cantina Orto di Venezia con Riccardo Lagorio (photo © Azadeh Asgari).

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logica. Il vigneto fu impiantato nel 1993 con il criterio di essere basato sull’alta densità delle piantine, a tutto vantaggio di una maggiore concentrazione di sapori e aromi. Due sono i cloni locali di Bonarda (ovvero Croatina) utilizzati. Le 6.000 bottiglie possiedono colore porpora. Al naso si coglie con immediatezza la ciliegia selvatica accompagnata da un odore minerale. La bocca è pervasa da un succo consistente, fruttato, speziato, con discrete venature amarognole e balsamiche. Uve da agricoltura biologica sono pure quelle raccolte da Luigia Zucchi, un vitigno autoctono conosciuto come Nibiö da a picùla rùsa, con nome commerciale Rugrà, Monferrato rosso DOC 2009 cresciuto sulle colline di Tassarolo, Alessandria. Lo abbiamo scelto non solo perché proviene da un antico vitigno autoctono, ma anche per il suo colore rosso rubino molto intenso, violaceo, dal profumo complesso di frutti di bosco e prugne mature, il gusto piacevole e intrigante. Magistrale con piatti elaborati e cacciagione. Vitigno modaiolo oggi meno richiesto di soli tre anni addietro è il Nero d’Avola. Ad un’altitudine di 110 metri con vista sulle isole Egadi, in comune di Trapani, l’Hasar dell’Azienda Agricola Terre di Shemir, ha convinto per le note di viola, cannella e chiodi di garofano al naso, armonia e morbidezza in bocca che si fa liquirizia. Colore rosso rubino avvincente dai riflessi violacei. Perfetto con arrosti e selvaggina da piuma. Secondo Cesare Pavese, una vigna ben lavorata è come un fisico sano, un corpo che vive, che ha il suo respiro, e il Respiro di vigna di Ca ‘d Carussin di Bruna Ferro a San Marzano Oliveto, Asti, il fisico ce l’ha tutto. Vendemmia tardiva di uve Barbera d’Asti provenienti dai vigneti meglio esposti, sorprende per profumi e sapore intenso e persistente. Ideale per dolci, anche speziati, e formaggi stagionati, ben si accosta al cioccolato o ad una chiusura di pasto.

In alto: il Senti oh! dell’Azienda Agricola Fontuccia, Isola del Giglio. Al centro: la cantina dell’Azienda Agricola Pirro Stefano di Foggia. In basso: Stefano Pizzamiglio della cantina de La Tosa di Vigolzone, Piacenza.

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E sul podio, bollicine Tradizionalmente da fine pasto è anche il Moscato d’Asti DOCG. Il Crivella dell’Azienda Agricola Marco

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Prosecco Superiore Docg senza solfiti Animae di Cantina Perlage.

Bianco di Santo Stefano Belbo, Cuneo, gode di un caratteristico microclima, una composizione del terreno particolarissima, e l’attenta selezione all’invaiatura permette di completare nel modo migliore la maturazione ai pochi grappoli rimasti sui tralci. Infine, una vinificazione artigianale, nelle cui fasi mira al massimo rispetto dei mosti, conferisce al vino corposità, cremosità e profumi unici che dalla camomilla e la mandorla si fanno, lievi, in miele ed eucalipto. E per quanto riguarda la bollicine, nulla di più ricercato, di più realisticamente italico che brindare al nuovo anno con un metodo classico che nasce ad oltre mille metri di quota da uve Prié blanc, biotipo Blanc de Morgex. A Morgex la fillossera non è mai riuscita ad attecchire ed i ceppi risultano essere franchi di piede. Il vitigno, cruccio ed orgoglio del curato del paese degli anni Sessanta e Settanta, Alexandre Bougeat, è diventato uno dei simboli regionali. L’Extra brut della Cave du Vin Blanc de Morgex et de La Salle subisce la tradizionale rifermentazione in

bottiglia del metodo classico mentre il vino base svolge la prima fermentazione in legno grande di rovere e larice e in acciaio. Il primo dégorgement avviene non prima dei 17 mesi ed il risultato finale è di verde paglierino, trasparente e gioioso, bouquet ampio e minerale, freschissimo, dalle note di cedro ed un lontano sentore di mandorla amara. Stoffa stretta che solo i vini aristocratici sanno trasmettere. È questo il vino per gli ultimi giorni dell’anno, è vero, ma anche per pasteggiare durante le importanti portate delle festività. Dall’area Conegliano Valdobbiadene DOCG, ottenuto con uve selezionate, il primo Prosecco DOCG spumante senza solfiti aggiunti nasce sulle soleggiate colline di Manzana da parte di Perlage Wines di Soligo, Treviso. Animae è elaborato con attenta e sana vendemmia a mano e se ne ottiene un vino con bollicine numerose e persistenti, dai profumi freschi di gelsomino, giusti per il brindisi che ci proietterà nel 2014. Riccardo Lagorio

I produttori Orto di Venezia Via Delle Motte, 1 – San Erasmo 30141 Venezia Telefono: 041 2444021 Web: www.ortodivenezia.com Azienda Agricola Fontuccia Via Provinciale, 54 58012 Isola del Giglio (GR) Telefono: 388 6078375 Web: www.fontuccia.it Azienda Santa Barbara Borgo Mazzini, 35 60010 Barbara (AN) Telefono: 071 9674249 Web: www.vinisantabarbara.it Azienda Agricola Pirro Stefano Maria Serra dei Bisi – 71029 Troia (FG) Telefono: 347 1295595 Web: www.cantinepirro.it Azienda Agricola La Tosa Località La Tosa

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29020 Vigolzone (PC) Telefono: 0523 870727 Web: www.latosa.it Azienda Agricola Ligabue Antonio Via Stazione, 8 25044 Capo di Ponte (BS) Telefono: 346 0119687 E-mail: antoliga@libero.it Fattoria Mondo Antico Sas Località Casazza, 3 27052 Rocca Susella (PV) Telefono: 034 595266 E-mail: fattoriamondoantico@libero.it Azienda Vitivinicola Rugrà Località Cavallari, 3 15060 Tassarolo (AL) Telefono: 0143 342000 E-mail: azrugra@tin.it Azienda Agricola Terre di Shemir Strada Quartana, 3 91100 Guarrato Trapani (TP)

Telefono: 0923 865323 Web: www.terredishemir.com Cocca Marco Via Montesanto, 23 71036 Lucera (FG) Telefono: 0881 548527 Azienda Agricola Carussin Regione Mariano, 27 14050 San Marzano Oliveto (AT) Telefono: 0141 831358 Web: www.carussin.it Cave du Vin Blanc de Morgex et De La Salle Soc. Coop. Chemin des Iles, 31 La Ruine – 11017 Morgex (AO) Telefono: 0165 800331 Web: www.caveduvinblanc.com Perlage Wines Via Ca del Muner, 16 31010 Farra di Soligo (TV) Telefono: 0438 900203 Web: www.perlagewines.com

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I successi internazionali della Fattoria Paradiso di Bertinoro

Dal Giappone in Paradiso, Mito incontra Mito

S

ono arrivati a Bertinoro per visitare il luogo dove si produce il “Super Romagna rosso”, quel vino che apprezzano così tanto da alcuni anni e che hanno eletto a simbolo del buon bere nella loro città. Città che, guarda caso, si chiama esattamente nello stesso modo: Mito. Ed è così che il 16 settembre scorso è giunta alla storica azienda vinicola romagnola Fattoria Paradiso una delegazione di 15 persone dalla città giapponese di Mito, situata 250 km da Tokyo. «È stato un momento di grande soddisfazione per me e per tutto lo staff dei miei collaboratori — ci racconta la titolare di Fattoria Paradiso Graziella Pezzi — un ulteriore riconoscimento alla nostra professionalità e all’impegno quotidiano e costante di generazioni profuso per produrre vini di eccellenza. Una passione nata più di sessanta anni fa dall’amore per la loro Bertinoro di Mario e Rina Pezzi, i miei amati genitori, che hanno scritto le più belle pagine della storia della Romagna dei vini esaltando la loro terra e le sue peculiarità e portando i loro nobili vini sulle tavole di Papi e Presidenti nel mondo». A ricevere la delegazione, Graziella e il figlio Jacopo erano accompagnati dal sindaco di Bertinoro Nevio Zaccarelli, il quale ha portato una nota di ufficialità all’incontro. «Dopo un brindisi di benvenuto, gli ospiti hanno potuto visitare i vigneti, le cantine di produzione e di invecchiamento ed è stato loro illustrato il processo di vinificazione e di affinamento: un attento, religioso percorso per scoprire ogni particolare su questo vino, dalla sua nascita in vigna alla maturazione in botte, barriques e tonneaux francesi, ed affinamento

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in bottiglia. A seguire è stata organizzata una degustazione verticale di varie annate vintage di Mito dal ‘96 al 2011. È seguita una visita al Museo del Vino, dell’Etichetta e di Civiltà Contadina e della collezione di auto e moto d’epoca e l’incontro ufficiale presso la Sala dello Stemma con lo scambio dei saluti e dei doni. Infine la cena, con un menu tipico romagnolo abbinato ai nostri vini, tra i quali, naturalmente, a Mito era riservato un posto d’onore». I successi di un Mito nel mondo Mito, nato nel 1990, superpremiato blend di uve Merlot, CabernetSauvignon e Syrah, ha un’etichetta particolarmente preziosa. È stata infatti disegnata, con tanto di dedica, dal celebre attore e premio Nobel Dario Fo. Ma il legame di questo vino con i Nobel non finisce qui… «Qualche anno fa Mito venne scelto per la cena di gala della consegna dei Nobel a Stoccolma, alla presenza dei Reali di Svezia» continua Graziella. «In quell’anno, però, ci fu un incidente diplomatico: i presidenti dei partiti politici svedesi non ricevettero l’invito a presenziare al galà, forse, si dice, per un problema sorto con il governo in merito ad una legge…. Questi politici, indignatissimi, si riunirono ed organizzarono un “Contro Nobel”. La stampa svedese dette ampio spazio all’evento: sui giornali apparirono le foto dei vari presidenti di partito con relativi commenti e si parlò pure dell’elegante menu della serata. Tanto per restare in tema, il Barbarossa di Fattoria Paradiso era stato scelto come vino ufficiale. Quindi, sia alla cerimonia ufficiale che al “Contro Nobel”, i nostri vini ebbero un posto d’onore e conseguente grande visibilità».

Mito, Forlì Igt Rosso. Tra le curiosità legate a questo vino, infine, c’è anche un singolare aneddoto, a dimostrazione che i Paesi del Nord hanno una particolare predilezione per questi vini romagnoli. «Alcuni anni fa ci giunse una e-mail dalla televisione norvegese con la quale veniva prenotata una settimana di soggiorno nel nostro agriturismo per una troupe della trasmissione del “Grande Fratello”» ci racconta una sorridente Graziella Pezzi. «Quando gli ospiti giunsero da noi ci furono entusiastici saluti ed abbracci e la presentazione del vincitore della trasmissione di quell’anno che, oltre al premio in denaro, aveva ottenuto la facoltà di esprimere un desiderio. Quel bel ragazzone scandinavo dichiarò che il suo sogno era di andare in Italia a visitare la Ferrari a Maranello, poi la Ducati ed infine Fattoria Paradiso di Bertinoro, dove si produceva Mito». >> Link: www.fattoriaparadiso.it

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Florence Guyot in Champagne per la vendemmia 2013 Il consueto clima di entusiasmo, partecipazione e amicizia ha caratterizzato i nove giorni in cui sono state raccolte, in Champagne, le uve destinate alle magiche Cuvée degli Champagne Marguerite Guyot. Un clima mite e un cielo generalmente sereno hanno inoltre facilitato il lavoro tra i filari delle vigne. «Per chi produce Champagne — ha commentato Florence, titolare della Maison, che ha partecipato alla vendemmia (in foto a destra) — è sempre una grande emozione raccogliere personalmente i grappoli d’uva, dai quali nasceranno i vini destinati a portare la mia etichetta sulle tavole più raffinate. Siamo stati più che soddisfatti, sia dal punto di vista della quantità che sotto il profilo della qualità: abbiamo raccolto grappoli che avevano raggiunto la giusta maturazione, dal gusto molto fruttato e nei prossimi mesi saremo in grado di valutarne l’armonia e l’acidità».

Gli Champagne Marguerite Guyot nascono a Damery, nella valle della Marna, da un’idea di Florence Guyot. Un’idea che ha radici nella sua famiglia: frutto di un armonico assemblaggio di cultura italiana e francese, Florence ha respirato fin dall’infanzia, a Lione, i profumi dell’antica cave di proprietà del suo trisnonno e si è ispirata al nome floreale della nonna, Marguerite, vissuta nell’epoca dell’Art Nouveau, per dare vita al suo Champagne. Il vino è distribuito per l’Italia da: Cleto Chiarli & Co. italia@chiarli.it – www.chiarli.it

Vino: Italia sorpassa Francia e diventa primo produttore al mondo Con una produzione di vino stimata attorno ai 44 milioni di ettolitri l’Italia sorpassa la Francia, ferma ad appena 43,5 milioni di ettolitri, e conquista nel 2013 il primato mondiale. È quanto emerge da un’analisi della Coldiretti che evidenzia gli effetti di un fine estate pazzo che ha determinato una rivisitazione in aumento della produzione nazionale dell’8% mentre per quella francese la crescita è stata ridimensionata al 3,9% rispetto ai 41,9 milioni di ettolitri del 2012, nella nuova proiezione di FranceAgriMer di settembre. «L’andamento climatico anomalo — sottolinea la Coldiretti — capovolge le previsioni iniziali con l’agenzia di statistica del Ministero dell’Agricoltura francese, che ha rivisto al ribasso le proprie stime a causa del maltempo e delle forti grandinate nella zona del Bordeaux, la regione del vino più importante del mondo, dove si prevede un calo del 20% con una produzione prevista sui 5,2 milioni di ettolitri, ovvero l’annata più scarsa, in termini quantitativi, dal 1991. Il colpo di scena provocato dal clima sancisce la leadership italiana nella produzione di vino a livello internazionale dove, dopo la Francia, si classifica al terzo posto la Spagna seguita dagli Stati Uniti e dalla Cina, che è in forte crescita anche nei consumi». (Fonte: www.agi.it – www.georgofili.info)

Lutto per la scomparsa di Domenico Milano Si è spento lo scorso luglio dopo una lunga malattia, all’età di 69 anni, Domenico Milano, sindaco di Farigliano, Cuneo. In passato Milano aveva svolto la professione di insegnante e giornalista, anima e co-fondatore del quindicinale “Paesi tuoi”, che aveva chiuso a fine 2010 dopo oltre 35 anni. Tantissimi gli amici e i conoscenti presenti ai funerali, che lo hanno ricordato con affetto, una persona splendida, sempre disponibile ad ascoltare e risolvere i problemi, dotato di un grande amore per la sua terra, le Langhe. Milano lascia la moglie Stella Sacchelli e la figlia Serena, responsabile della Fondazione Slow Food per la Biodiversità. La Redazione di Premiata Salumeria Italiana, che tante volte lo aveva intervistato nelle sue vesti di storico ed importante collaboratore dell’azienda piemontese Beppino Occelli, si unisce al dolore di amici e famigliari per la grave perdita.

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I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: di Laura

I

ndiscutibilmente le festività natalizie portano con sé brindisi e bollicine, calici pieni e frizzanti auguri. Tra i vini più amati e di sicuro successo il Prosecco si propone come calice vincente, adattissimo alle tavole imbandite di Natale come agli auguri veloci tra

amici al bar. Ci concentriamo sul Prosecco di Conegliano Valdobbiadene, Denominazione di Origine Controllata e Garantita, con le sue colline ormai famose in tutto il mondo. Sei bicchieri, solo sei, per una zona così ricca di proposte.

Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG Brut Col Vetoraz

Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG Rive di Colbertaldo Vigneto Giardino Dry — Adami

Valdobbiadene Prosecco DOCG Spumante Brut Fagher Le Colture

Gestita dalla famiglia Miotto sin da quando nacque nel 1838, l’azienda Col Vetoraz oggi è guidata da Francesco Miotto che, accanto a Paolo De Bortoli e Loris dall’Acqua, presenta vini intrisi di tradizione di grande successo. Brillante la coloritura leggera di questo calice, le cui uve provengono dai vigneti esposti a ponente. Dai 30 ai 40 giorni di presa di spuma, da uno a tre i mesi di affinamento, 10% di residuo zuccherino. Al naso si apre con note morbide e raffinate, fruttate di fiori bianchi, leggera scorza di agrumi in lontananza, fiori di acacia, mele e pere acerbe, delicate. Anche il palato è altrettanto generoso, con una bella entrata rotonda, schiuma persistente e garbata, perlage fine. Armonia tra le parti, pulizia del palato con stile. Ottimo come aperitivo, si presta splendidamente all’abbinamento con i crostacei e i grandi piatti di pesce della tradizione natalizia. Lasciate che si esprima anche col tutto pasto della Vigilia, saprà ricoprire i delicati sapori della Notte Santa con gusto e pienezza.

Un’azienda che affonda le proprie radici nel lontano 1920 e da allora si riconosce per tipicità e costanza. Ce-ne-fossero! Il Prosecco che presentiamo è un gran bell’esempio di eleganza e tradizione le cui uve, come orgogliosamente sottolinea la proprietà, provengono dal miglior vigneto di famiglia, mentre il vino venne presentato già nel 1933 alla Mostra dei Vini Tipici d’Italia. Freschissimo e schietto, con classe e agilità dribla le bollicine omologate e ci regala un’ampiezza olfattiva superba. Frutta di mele e pere, ma anche sentori floreali netti di glicine e punte di zagara. Olfattiva intensa, ma non debordante, come deve essere. Al palato la schiuma entra protagonista, ma come una vera diva lo fa con classe e raffinatezza. Fitto il perlage, fine. Corrispondente e pieno di sì il palato, dove troviamo grande armonia e perfetto equilibrio. Stupendo calice da aperitivo, adattissimo ai cin cin delle feste, magari circondato da finger food, focaccine calde, grissini con prosciutto crudo, spiedini di frutta fresca.

Questa gran bella realtà enologica reinterpreta con modernità il Prosecco, offrendoci un calice sorprendente ma allo stesso tempo rispettoso della tipologia e della tradizione. Non dimentichiamoci infatti che l’azienda ha radici nel lontano 1500 e tutt’oggi viene gestita secondo la tradizione da Cesare e Renato Ruggeri. Di un bel giallo paglierino, con un perlage fitto e fine, il Fagher entra a gamba tesa nella testa del degustatore e del buongustaio, grazie ad un’olfattiva intensa e decisa, assolutamente fine. Sono note fruttate tipiche di frutta bianca, accompagnate di sentori agrumati ricchi e da ricordi di pane croccante, il tutto amalgamato con armonia. Anche il palato è altrettanto seducente e copioso, pur lasciando una magnifica sensazione di pulizia, che lo rende adatto anche ai piatti più succulenti. Nel rito dell’aperitivo non sfigurerà, ma si presta ottimamente anche ad essere abbinato a piatti più elaborati o nel tutto pasto. Da provare con risotti di pesce, baccalà alla vicentina, pesce in umido con polenta.

Col Vetoraz Spumanti Srl Strada delle Treziese, 1 31049 S. Stefano di Valdobbiadene (TV) Telefono: 0423 975291 info@colvetoraz.it

Adami Via Rovede, 27 31020 Colbertaldo di Vidor (TV) Telefono: 0423 982110 info@adamispumanti.it

Le Colture Azienda Agricola Via Follo, 5 31049 S. Stefano di Valdobbiadene (TV) Telefono: 0423 900192 info@lecolture.it

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Natale col Prosecco Franchini

Non è però la prima volta che ci dedichiamo al Prosecco e certamente non sarà l’ultima. Ci siamo dedicati ad una ricerca che andasse a proporre abbinamenti con i piatti della tradizione natalizia, soprattutto con alcuni dei prodotti e degli ingredienti che più tipicamente si

consumano in quei magici giorni. Non li abbiamo coperti tutti (e come potremmo?), ma un’idea per un calice natalizio, brillante come le luminarie e scoppiettante come il fuoco nei camini ve l’abbiamo data. Adesso mancano solo gli auguri: Buone Feste!

Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG Bandarossa 2012 Bortolomiol

Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG Giustino B. 2012 Ruggeri

Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG Spumante Extra Dry Bortolin Angelo

Già nel ‘700 veniva attesta la presenza sul territorio dell’avo Bartolomeo Bortolomiol, coltivatore di uve. Ora sono le figlie di Giuliano, il fondatore della moderna cantina, a gestire l’azienda, con piglio e sapienza. Uve Glera in purezza per questo calice che sprigiona intensità, tipicità e gioia di vivere. Una bollicina espressione di gusto, che con un perlage molto raffinato e persistente si presenta al calice con classe. Anche al naso non delude e porge con generosità tinte fruttate e fiorite, mela bianche e pera, ricordi di mandorle, fiori bianchi, glicini e acacia, note dolci in lontananza. Non sarà difficile convincervi di portarlo alla bocca, dove regalerà una sorsata piena, aggraziata, intensa di eleganza. È l’armonia a farla da padrona, grazie a parti corrispondenti, ad un equilibrio voluto e raggiunto. Nel rito degli auguri sarà perfetto, ma non sfigurerà abbinato a morbide fette di prosciutto, a carpacci di pesce, a piatti di pesce crudo con wasabee, a paste con sughi a base di pesce e crostacei. Perfetto con un piatto di penne al sugo di scampi.

Fondata nel 1950 da Giustino Bisol, la cantina è attualmente condotta da Paolo Bisol, affiancato dai figli Giustino e Isabella, che gestiscono una produzione che da circa 20 anni si è attestata intorno a un milione di bottiglie l’anno, distribuite per il 60% in Italia e il rimanente in 35 stati esteri. Ah (sospiro romantico), che gaudio trovarsi il calice roboante di bollicine minute ed incessanti e di profumi eleganti! Sono uve Glera in purezza a comporre questo pregiato vino, uve che sostano tre mesi sui lieviti, uno dei motivi per cui regala ampie note fruttate fresche, a braccetto con profumi fioriti e tinte vegetali a contorno. Un’olfattiva piena che trova corrispondenza al palato: una sorsata morbida, abboccata ma snella, precisa e netta. È armonia di parti, di profumi, di sapori. Non fermatevi al pur tanto amato rito degli aperitivi augurali, stappatelo e godetevelo in pace davanti ad camino. Accompagnatelo con formaggi freschi, finger food delicati e verdure fritte pastellate.

Siamo nel cuore della zona di Valdobbiadene con questa cantina, che da tre generazioni si dedica al Prosecco con risultati notevoli. Spumanti che hanno ottenuto svariati riconoscimenti e che sono stati scelti per brindare in numerose occasioni, soprattutto musicali ed artistiche, dal David di Donatello al tour di Bruce Springsteen, per citarne un paio. E a versarlo nel calice se ne comprendono immediatamente le ragioni: il colore giallo paglierino leggero racchiude un perlage delicato e persistente, brillante. La degustazione olfattiva è intensa e tipica di frutta bianca, con note vegetali a contorno e ricordi croccanti. Profumi pieni, molto fini, lunghi con stile. Altrettanto convincente e circolare al palato, entra morbido e pulisce con garbo. Armonico ed equilibrato, perfetto nei brindisi e negli aperitivi, si abbinerà perfettamente ai piatti di pesce della tradizione natalizia, ma anche a formaggi morbidi e finger food, come ad un bel piatto di prosciutto crudo.

Bortolomiol Via Garibaldi, 142 31049 Valdobbiadene (TV) Telefono: 0423 9749 info@bortolomiol.com

Ruggeri & C. Srl Via Pra’ Fontana, 4 31049 Valdobbiadene (TV) Telefono: 0423 9092 ruggeri@ruggeri.it

Bortolin Angelo Spumanti Sas Via Strada di Guia 107 31049 Guia di Valdobbiadene (TV) Telefono: 0423 900125 info@bortolinangelo.com

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Bevande

Anicione e Anisetta, sapori del passato Due liquori antichissimi, riconosciuti come prodotti tipici e tradizionali dell’Emilia-Romagna di Nunzia Manicardi

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inale Emilia, la bella e antica cittadina in provincia di Modena situata ai confini con la provincia di Ferrara, è famosa anche per un liquore che si produce praticamente solo in loco, tanto da essere divenuto un elemento caratterizzante del territorio. Questa produzione, a quanto risulta, è iniziata nel 1814 ed è poi proseguita ininterrottamente tanto che oggi esso viene riconosciuto come prodotto tipico e tradizionale. E non solo, visto che tale riconoscimento si è ormai esteso all’intera Regione Emilia-Romagna. Si tratta dell’anicione, con la sua variante anisetta. L’anicione, come ben ricorda il nome, è un liquore ottenuto con un procedimento antichissimo dalla distillazione dei semi di anice in alcol purissimo di frutta associato ad altri semi aromatici contenenti principi digestivi corroboranti ed energetici. L’Anisetta ne è la versione adatta ai palati più delicati.

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Altrettanto antica è poi a Finale Emilia l’usanza di bere l’andsòn (questo è il termine dialettale) la mattina della Festa dei Morti (2 novembre), secondo una tradizione anch’essa mai interrotta, insieme con la “torta (o sfogliata) degli Ebrei”, una millefoglie salata con due strati di formaggio Parmigiano Reggiano. Un’altra occasione ricorrente per poterlo gustare in compagnia è l’8 dicembre, quando a Finale ricorre appunto la Festa della Torta degli Ebrei con tante iniziative gastronomiche allestite nel pregevole centro storico dominato dal Castello delle Rocche con le sue torri sormontate dalle aquile estensi. Sempre in paese, la chef Giovanna Guidetti dell’Osteria la Fefa propone una torta di tagliatelle con mandorle di Avola al profumo di Anicione Casoni dell’Antica Distilleria di Finale Emilia. L’introduzione in Italia, e probabilmente in contemporanea anche in Spagna, di questo liquore a base di

anice in Italia è merito quasi senz’altro degli Arabi sbarcati in Sicilia, dove ancora oggi una bevanda tipica, dissetante contro la calura insulare, è a base di acqua ghiacciata e anice purissimo. La materia prima sono i frutti che contengono olio essenziale, zuccheri e mucillagini dei semi della Pimpinella anisum e dell’Anice stellato. La Pimpinella anisum, detta anche anice verde o a volte semplicemente anice, è la specie più nota fra quelle che solitamente vengono indicate con questo nome. È una pianta annuale, appartenente alla famiglia delle Apiaceae o Ombelliferae e caratterizzata da un fusto erbaceo, cavo e rotondeggiante e da foglie varie a seconda della posizione che occupano: dentate lobate, con picciolo lungo e più grandi quelle alla base; piccole, incise, piumose e con il picciolo più corto quelle superiori. I fiori sono biancastri, piccoli e disposti ad ombrella come le altre Ombelliferae.

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Di colore bianco carta o giallo paglierino con riflessi verdi, il liquore all’anice si serve con acqua e ghiaccio. I semi (diacheni) sono piccoli e striati; la forma ricorda, in piccolo, quella dei semi di girasole. Visto la grande concentrazione di anetolo sono molto utilizzati in cucina. L’anetolo, principio attivo presente nella pianta dell’anice, è infatti usato per produrre liquori, medicinali ed aromi in genere impiegati in farmacia e in pasticceria per le sue proprietà terapeutiche: carminative, spasmolitiche, balsamiche. Viene usato anche come antispasmodico, digestivo, stimolante. Agevola le attività digestive e limita il meteorismo, la nausea e il vomito. Svolge inoltre un’azione antibatterica ed espettorante. Ma il liquore all’anice, in genere, è diffuso anche in altre zone d’Italia, soprattutto nelle Marche e nel Nord, dove — oltre a quello generico di anice e a quelli ad esso somiglianti di anesone e anisetta — prende pure nomi diversi e talvolta quasi irriconoscibili: Sassolino (sempre nel Modenese, in particolare a Sassuolo), Sambuca, Mistrà, Costumé, ecc… Il liquore a base di anice si presenta di colore bianco carta o giallo paglierino con riflessi verdolini, ha un titolo alcolometrico di 40-60% ed è un buon viatico e incoraggiamento alla digestione, oltre che diuretico e sedativo. Conosciuto e molto diffuso, come abbiamo già detto, anche in Spagna (anesone è infatti un termine spa-

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gnolo), gode di un discreto successo pure in Francia, dove sono nette le analogie con il pastis e l’anisette, e in Grecia con l’ouzo. E, a proposito di nome, l’anicione, liquore modenese, ovviamente non va confuso con l’anicione pisano, biscotto leggero e friabile di colore giallo intenso con un forte aroma di anice offerto tradizionalmente insieme alla schiacciata di Pasqua. Si può ottenere un buon liquore all’anice anche con la fabbricazione domestica, piuttosto semplice. Basta mettere in infusione i semi dell’anice nell’alcol con la buccia del limone, la cannella e la vanillina per 15 giorni, agitando ogni 2 giorni il recipiente. Trascorso il tempo necessario, bisogna filtrare il tutto (utilizzando un imbuto foderato con carta da filtro oppure ostruito con un batuffolo d’ovatta oppure adoperando un colino molto fitto), poi si fa sciogliere lo zucchero in mezzo litro e si unisce l’alcol. Agitare bene, filtrare di nuovo e imbottigliare. Lasciar riposare un mese o due prima di bere. È eccellente anche come “ammazzacaffè”. Nunzia Manicardi Nota A pagina 126 semi di anice stellato, Illicium verum, dal latino illicere, allettare, riferito al piacevole profumo delle sue foglie e dei suoi fiori.


Aceto A pochi chilometri da Modena, nel regno dell’Aceto Balsamico

Il tesoro profumato de La Vecchia Dispensa

C

hi giunge a Castelvetro per la prima volta quasi sicuramente ignora i tesori che custodisce il suo borgo antico. Si viene catturati dal fascino senza tempo delle sue strette vie lastricate, dove il rosso caldo dei mattoni emiliani esalta scorci di case segnate dal tempo. Questo centro medievale sorge nello scenario morbido delle colline del Grasparossa, a pochi passi dalla città di Modena. Raggiungendo la centrale piazza Roma, si scopre una palazzina tutta dedicata al balsamico: è La Vecchia

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Dispensa. In questa splendida cornice la famiglia Pelloni-Tintori da quattro generazioni continua con passione a curare un tesoro di profumatissimo aceto balsamico. Niente di più modenese, un’autentica bottega-abitazione dove si viene accolti dagli aromi dolci del balsamico ancora prima di entrare. Qui il termine imprenditore forse sminuisce quella che prima di tutto è una passione autentica, le cui radici affondano nella cultura locale. Una realtà artigiana composte da soli sei addetti, un microcosmo che ha

fatto propria la filosofia del made in Modena. Prima tappa d’obbligo l’antica acetaia, custodita nell’adiacente torre rinascimentale detta “Torre delle Prigioni”. Un ambiente affascinante, dove il tempo sembra essersi fermato almeno un secolo indietro. Qui La Vecchia Dispensa custodisce la parte più preziosa della sua produzione e sempre qui ogni anno si rinnova la tradizione secolare dei rincalzi e de travasi in ogni serie di “vaselli” dette batterie. La commercializzazione a La Vecchia Dispensa nasce nel 1975,

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quando, con licenza di vendita del balsamico numero 13, la famiglia intraprese un percorso di parallelo di conservazione e innovazione della tradizione gastronomica modenese. Oggi come ieri, le due anime vanno avanti insieme e hanno segnato ne tempo la nascita di prodotti tanto originali quanto ormai classici. L’azienda offre una vasta gamma di specialità tra cui non può mancare l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop e l’Aceto Balsamico di Modena Igp. Proprio nel concetto di “Vecchia Dispensa”, si ritrova lo spirito di custodire e promuovere la conoscenza di eccellenze locali. Per quanto riguarda la produzione dell’Aceto Balsamico di Modena Igp, l’azienda porta avanti ricette che non prevedono l’uso di caramello o addensanti, e un’attenzione speciale è rivolta all’impiego di agricoltura non proveniente da OGM. Come sottolineava già nel 1978 il giornalista modenese Sandro Bellei, “A Castelvetro la natura ha la sua Vecchia Dispensa”. Nel corso del tempo sono nate collaborazioni eccellenti che hanno portato, per esempio, alla nascita più di 10 anni fa del primo panettone artigianale all’aceto balsamico. Sempre nell’ambito dolciario, dal 2006 La Vecchia Dispensa propone una pralina di finissimo cioccolato fondente con una ganasce di balsamico e Parmigiano-Reggiano. Ultimo nato nel campo della ricerca, un fior di sale di Trapani (protetto da un presidio Slow Food) all’aceto balsamico. Ricette che incuriosiscono e stuzzicano i palati più esigenti alla ricerca di avventure golose. «Prima di tutto il rispetto della materia prima e la ricerca instancabile della qualità. I compromessi non portano mai grandi soddisfazioni» spiega SIMONE TINTORI, ultima generazione entrata in azienda. E continua: «siamo una piccola goccia di oro nero nel mare delle grandi acetaie industriali e di questo siamo molto orgogliosi. Vogliamo restare infatti piccoli artigiani e continuare a credere nella qualità e nel servizio ai nostri clienti, perché oggigiorno un buon servizio conta quanto un buon prodotto». Anche per questa

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Cioccolatini all’aceto balsamico. ragione La Vecchia Dispensa da 10 anni ha intrapreso parallelamente una produzione di Aceto Balsamico di Modena Igp biologico, tanto da rappresentare oggi il 25% della sua produzione. Un’ulteriore sensibilità alle tematiche di eco-sostenibilità e qualità dei prodotti alimentari che ha trovato molto successo negli ultimi anni. Il territorio modenese già da anni ha convertito ampie porzioni agricole al biologico, e il settore vitivinicolo oggi offre un’ottima produzione di uve biologiche. Tutto questo si traduce in una concezione “Km zero bio”. Qui a Castelvetro l’azienda ha da tempo iniziato un faticoso ma costante lavoro di comunicazione del prodotto, indirizzata a far crescere la conoscenza dei consumatori. Prima che di brand marketing qui si parla di formare consumatori consapevoli, e pare non essere un fenomeno dei giorni nostri. Come afferma MARINO TINTORI, «quando negli anni ‘70 si portavano i clienti in acetaia, ci prendevano per pazzi, come se stessimo svelando i segreti della produzione del balsamico. Oggi, invece, è un fiorire di acetaie aperte e iniziative rivolte al pubblico». Il fenomeno del turismo enogastronomico ha sicuramente ampliato gli orizzonti e aperto gli occhi dei consumatori e in questo ambito La Vecchia Dispensa offre da tempo la possibilità di fare su prenotazione

visite e degustazioni guidate durante tutto l’anno. È difficile uscire da La Vecchia Dispensa senza fare qualche acquisto: nella sua bottega infatti si trovano tante specialità modenesi, non mancano golose confetture di duroni di Vignola, amarene, la classica salsa verde per i bolliti, l’immortale Saba, che qui fanno a partire dalle mele invece che dal mosto d’uva. «Può capitare di imbattersi anche in qualche novità ancora in fase di studio» racconta ROBERTA PELLONI, che sottolinea «non siamo in un posto di passaggio, da noi bisogna venirci appositamente, per questo da più di vent’anni abbiamo concentrato le nostre attenzioni a servire l’estero, dove troviamo clienti che apprezzano le nostre eccellenze gastronomiche. Questa scelta oggi premia, e siamo molto contenti dei risultati raggiunti». Oggi La Vecchia Dispensa serve infatti una clientela selezionata sparsa in tutto il mondo, con una quota export oltre 85%: gastronomie, enoteche, grandi magazzino di lusso e ristoranti. Continua Roberta: «i prodotti di alta gamma non hanno vita facile dove esistono forme di vendita a libero servizio. Come ogni buona etichetta di vino, l’aceto balsamico va supportato da personale di vendita preparato, capace di comunicare il prodotto e consigliare il consumatore. Purtroppo in Italia registriamo un preoccupante calo di professionalità nei punti vendita, e questo spinge

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Una classica batteria dove invecchia il prezioso aceto balsamico. per il 2014 sono tante, non resta che continuare a seguire gli sviluppi e scoprire cosa sta preparando per noi La Vecchia Dispensa.

In alto: l’antica acetaia custodita nella rinascimentale “Torre delle Prigioni”. In basso: interno del punto vendita. spesso sia i rivenditori che i consumatori a guardare solo il prezzo». A Castelvetro comunque l’umore resta alto e l’ottimismo non manca mai. I

numeri sembrano dare ragione alle scelte commerciali all’azienda che negli ultimi anni registra un costante trend positivo. Le novità in cantiere

La Vecchia Dispensa Srl Piazza Roma, 3 41014 Castelvetro Modena Telefono: 059 790401 E-mail: info@lavecchiadispensa.it Web: www.lavecchiadispensa.it Nota A pagina 128, lo scrigno di famiglia de La Vecchia Dispensa.

«Rendere merito al lavoro delle generazioni precedenti, conservarlo e trasmetterlo a quelle future: questo è il nostro motivo d’orgoglio. Ogni batteria di aceto balsamico ci racconta una storia che inizia sempre con un nome femminile. Si torna così indietro nel tempo, quando il prestigio di una famiglia si misurava attraverso il numero delle batterie. Donne di famiglia, nonne, zie, bisnonne, forti e tenaci come il legno dei barili ma dolci e profumate come il loro prezioso contenuto. Ma soprattutto madri, capaci di generare vita come le preziose “Madri” del Balsamico. Tutto questo si concentra all’interno dei barili col passare delle stagioni, matura come quei volti impressi nelle vecchie foto di famiglia, sbiaditi nei colori ma vivissimi nei ricordi. Così ognuna di loro la ritroviamo oggi in ogni goccia del nostro Balsamico. In fondo, che cos’è l’aceto balsamico se non la ricerca instancabile di un’armonia di profumi tramandati di generazione in generazione, un miracoloso equilibrio che solo l’alchimia del tempo e la mano esperta di uomini tenaci sanno realizzare». Simone Tintori

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Tecnologie

Solo le tecnologie migliori Grande successo di pubblico al convegno internazionale per manager dell’industria delle carni organizzato da CSB-System con visita all’innovativo Centro Freschi di Unicoop

«U

n evento di grande successo»: così ANDRÉ MUEHLBERGER ha definito il convegno internazionale organizzato a Pisa dal gruppo aziendale CSB-System, durante il quale è stato presentato

l’avveniristico centro logistico e stabilimento per la lavorazione carni di Pontedera della UNICOOP Firenze. Il direttore della filiale italiana CSBSystem racconta soddisfatto degli oltre 150 ospiti italiani e internazionali che il 24 ottobre hanno preso parte all’evento e si sono ritrovati per l’occasione in Toscana. «L’elevato numero di partecipanti — ha proseguito Muehlberger — ci conferma che la nostra idea di unire teoria e pratica, di combinare, vale a dire, relazioni dei responsabili di settore coinvolti nel progetto con la visita dello stabilimento, è stata accolta

positivamente dagli operatori del settore». Gli ha fatto eco GIANCARLO CACIAGLI, responsabile informatico di Unicoop, che ha dichiarato: «Per un progetto ambizioso e unico nel suo genere come questo nuovo stabilimento, che oggi gestisce molte delle lavorazioni delle carni precedentemente eseguite in ogni singolo punto vendita, abbiamo scelto le migliori tecnologie disponibili sul mercato. Per quanto riguarda il software gestionale, avevamo bisogno di un partner che potesse garantirci da subito standard tecnologici elevati ed una capacità innovativa in grado

Visita allo stabilimento.

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In alto: al tavolo dei relatori, Giancarlo Caciagli, Daniele Piraccini, Andrè Muehlberger, Maurizio Davini e Giulio Selmi. In basso: i partecipanti al convegno. anche di accompagnarci nella nostra crescita futura. Per questi motivi abbiamo scelto il CSB-System e oggi sono lieto di essere stato coinvolto in quest’avventura». Apertura del convegno: presentazione teorica Dopo l’apertura ufficiale dei lavori del convegno, i partecipanti hanno assistito alle presentazioni dei principali artefici del successo del Centro Freschi. L’ing. GIULIO SELMI di Politecnica ha illustrato come si è sviluppato il progetto costruttivo: dallo studio delle specifiche ambientali fino all’edificazione dello stabilimento, con soluzioni tecniche e tecnologiche all’avanguardia, in grado di rispondere anche ai possibili scenari futuri. Nessun processo senza IT «Senza l’impiego della migliore tecnologia informatica, la nostra filiera di lavorazione delle carni sarebbe impossibile da gestire» ha spiegato

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successivamente MAURIZIO DAVINI, direttore dello stabilimento. «Tutti i processi sono necessariamente svolti con il supporto informatico per raggiungere quegli standard di efficienza, qualità e sicurezza che da sempre ci contraddistinguono. Abbiamo optato per l’impiego del CSB-System già durante la pianificazione dello stabilimento. L’elevata integrazione di processi chiave consente un’automatizzazione continua e un’enorme capacità produttiva. Lo scopo era innanzitutto quello di migliorare il servizio verso i nostri clienti, uniformando la gamma dei prodotti offerti sia in termini di tipologia che di qualità. Che questo abbia anche comportato una riduzione dei costi di manodopera relativi alle carni, non può che far piacere a noi e ai nostri soci». L’importanza di processi di pianificazione affidabili Sulla necessità di strumenti di pianificazione affidabili è intervenuto

invece DANIELE PIRACCINI, consulente di lunga esperienza della CSB-System. «Mentre le materie prime diventano sempre più care, la compressione dei prezzi da parte del mercato aumenta. Pertanto le possibilità di pianificazione offerte dal CSB-System e utilizzate con successo in quest’impianto offrono un potenziale per incrementare la marginalità sui prodotti e garantire, assieme alla competitività, sicurezza alimentare e qualità». Piraccini si è poi addentrato nella descrizione del piano di sezionamento CSB-System implementato per le sei linee di bovino e suino dello stabilimento di Pontedera: «anche in quest’ambito devono aver luogo pianificazioni esatte; d’altronde è proprio qui che vengono create le basi per i prodotti Unicoop. Si determina inizialmente il fabbisogno di mezzene suine e quarti bovini in un processo di pianificazione totalmente integrato. Si tiene in considerazione tutto il successivo processo produttivo e si controlla, in-

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Nuovo stabilimento di lavorazione carne e centro logistico di Unicoop Firenze: superficie di 52.558 m2, dei quali oltre 29.000 per lo stabilimento di lavorazione carne; assortimento prodotti: carne bovina, suina, ovina, macinata, hamburger e salsicce; stoccaggio materie prime: 1.800 quarti bovini, 2.000 m2 per suini e ovini; produzione: 6 linee di sezionamento con confezionamento, imbustamento e incassettamento automatici, 8 linee di pesoprezzatura, pallettizzazione automatica; magazzino automatico a casse 1: 40.000 posizioni (possibilità di estensione a 80.000 posizioni); magazzino automatico a casse 2: 1.600 posizioni per carne macinata; preparazione ordini giornaliera: circa 7.000 linee ordini con 10.000 casse/cartoni e 500 pallet; fornitura giornaliera: 115 punti vendita; controllo qualità: rintracciabilità bovina completa per singolo capo, oltre 3.300 controlli analitici su prodotti finiti; sostenibilità: copertura >11 % del fabbisogno energetico grazie all’impianto fotovoltaico (30.000 m2).

sieme alla resa, anche la tracciabilità bovina per singolo capo». Dalla teoria alla pratica: in visita all’interno dello stabilimento «La CSB-System — ha affermato Muehlberger — è grata e al contempo onorata che la dirigenza Unicoop abbia acconsentito alla visita dello stabilimento, per dare uno sguardo “più da vicino” alla soluzione IT impiegata. In questo modo è stato molo più semplice per i nostri ospiti, operatori del settore, intuire i vantaggi pratici derivanti dall’impiego del CSB-System, software di settore

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altamente integrato. Qui si è vista la nostra esperienza pluriennale anche in progetti, come si suol dire, da prato verde». RENZO VENTURINI, amministratore CarneSì Srl e storico cliente di CSB, ha confermato: «Ci sentiamo un po’ dei pionieri del CSB-System. La nostra collaborazione è nata oltre 10 anni fa, quando tra le piccole imprese non si parlava per nulla di gestionali e di rintracciabilità biologica. Ma l’essere stato qui oggi mi conferma ancora una volta che la nostra fiducia è stata ben riposta. La mia attività imprenditoriale nel frattempo si è ampliata e la

CSB-System è stata un valido partner fin dall’inizio. Con professionalità e competenza ci ha seguito e tuttora ci accompagna nella nostra crescita, proponendoci al momento giusto funzionalità che agevolano il nostro lavoro». Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: segreteria@csb-system.it Web: www.csb-system.it

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