Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98
Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXV N. 6 Novembre-Dicembre 2023
€ 6,70
AUGURI D’AUTORE
Buone Feste dalla Redazione di Premiata Salumeria Italiana alle autrici e agli autori di quest’anno, a chi ci legge, a chi ci segue, a chi ci sostiene con l’abbonamento e con la pubblicità. A questi ultimi un GRAZIE di cuore perché, senza di voi, nulla di tutto ciò che facciamo sarebbe possibile. Elena Benedetti con Fioretta Fiorentin insieme a Gaia Borghi, Maria Cristina Brambilla, Federica Cornia, Luigi Credi, Marco Credi, Andrea Tomassone e Chiara R. Zaccaroni 2
Premiata Salumeria Italiana, 6/23
GRAZIE alle penne del 2023 • Lara Abrati • Giovanni Ballarini • Josette Baverez Blanco • Elena Benedetti • Fabrizio Bertucci • Gian Omar Bison • Gaia Borghi • Pier Giovanni Bracchi • Federica Cornia • Sebastiano Corona • Marco Credi • Giorgia Fieni • Veronica Fumarola • Guido Guidi • Elisa Guizzo • Riccardo Lagorio • Nunzia Manicardi • Alessia Morabito • Giovanni Papalato • Chiara Papotti • Massimiliano Rella • Alessia Serafini • Elena Simonini • Roberto Villa
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Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2019. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2019.
Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: premiatasalumeriaitaliana-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985 Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910
€ 6,70
Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food – Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti
Marketing e pubblicità Luigi Credi – Chiara R. Zaccaroni
Redazione Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi
Fotografia Luigi Credi
Segreteria di redazione Gaia Borghi
Abbonamenti Fioretta Fiorentin
Grafica Federica Cornia
Amministrazione Andrea Tomassone
Prestampa Marco Credi
Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Emanuele Guidi
Euro Annuario Carne EURO ANNUARIO CARNE 2024
La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2024 Copia cartacea: € 95,00
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N. 6
€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
A pagina 80.
In questo numero:
Immagini
Prosciutto crudo di Carpegna DOP
14
Ventricina biologica VerdeBios
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Salumi & Co. a Natale
Tivoli! – Smart Garden – Litrozzo – Informati è meglio
18
Tendenze
Branding, design, packaging e arte
20
Fotografati e mangiati
Taralli pugliesi bio con farina di mandorle – Grissini piemontesi alle noci – Mortadella di Campotosto – Cialda di Montecatini Terme
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La copertina esplosa
Cotechino – “Panettoncino” – Calice – Mostarda
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Suggetioni dal mondo
Do Design, Madrid – British Mood
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7
Brevi storie di cibo lento Prosciutto cotto, gola e conforto a velocità contemporanea
Alessia Morabito
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Il food in rete
Social food
Elena Benedetti
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Attualità
I “grani antichi” sono una bufala che truffa il consumatore
36
Cresce Marca by BolognaFiere così come crescono le vendite della MDD
42
Prosciutto di Carpegna DOP, “Puri si nasce, soffici si diventa”
44
+ Tecnologia + Export = per Scarlino un 2024 di ulteriori successi
48
Stagionatura Marchisio di Lurisia nuovo produttore del Crudo di Cuneo DOP
50
I primi dieci anni del MuSa
54
Aziende
Acetaia Sereni, un successo di famiglia
Federica Cornia
58
VerdeBios: il nostro segreto è il “microbiota”
Gaia Borghi
62
La Dispensa, esempio virtuoso di inclusività
Elena Benedetti
66
Opera: capolavoro del Salumificio Franceschini
Riccardo Lagorio
70
Precotti sì ma con la tindalizzazione
Gaia Borghi
74
Quando le fettuccine tradizionali diventano speciali
76
Eventi
L’ode al salame dell’Accademia delle 5T
80
Prodotti tipici
Prosciutto del Casentino
Massimiliano Rella 84
La salsiccia matta
J. Baverez Blanco
88
Salsiccia di Bra, esempio concreto di “innovation by tradition”
Chiara Papotti
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A pagina 70.
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In copertina: i più cari auguri di Buone Feste dalla Redazione di Premiata Salumeria Italiana (photo © Massimiliano Rella).
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Belle botteghe
Macelleria Alla Porchetta, il tratto distintivo è nel nome
Gian Omar Bison
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Tradizioni
Keep calm and eat lasagna (alla bolognese)!
Chiara Papotti
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Turismo enogastronomico
Turismo DOP, il lato buono del viaggio
Sebastiano Corona
100
Saragozza, tapas, taverne & botteghe
Massimiliano Rella
106
Locali di gusto
Il Castello, la magia del ristorante di famiglia
Elena Benedetti
110
Fiere
#weareAnuga
112
CibusTec 2023: nuovi trend, nuove tecnologie
120
Formaggio
Riccardo Mazzuchetti e l’arte del maccagno
Riccardo Lagorio
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Lo chef dell’olio
Oleoturismo #frantoiaperti #cittadellolio
Fabrizio Bertucci
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A pagina 96.
A pagina 54. A pagina 84.
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PROTETT
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A pagina 32.
A pagina 92.
A pagina 124.
Il buono secondo Lara
I dolci del Natale: non solo lievitati, torrone e cioccolati
Lara Abrati
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Dolci
Pardulas
Guido Guidi
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Bevande
Select, alle origini dello spritz
Nunzia Manicardi
136
Vini di Natale
Vini di Natale 2023
Riccardo Lagorio
140
Massimiliano Rella
144
La cantina scelta da Ceraudo Wines Premiata Salumeria Italiana Tecnologie
Controllo degli ordini di produzione per una logistica ottimale con l’ERP CSB-System
150
Tre Libri
Slow Wine 2024 – The Package Design Book – Dispensa
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www.premiatasalumeriaitaliana-online.com 12
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Antica Foma srl Via Limpido, 85 - 41015 Nonantola (MO) Italia
www.anticafoma.com
IMMAGINI
La marchiatura a fuoco sigilla a vista, con il marchio consortile, la garanzia di un prodotto di elevata qualità: è il Prosciutto di Carpegna DOP, tutelato e garantito, custode di una tradizione secolare che risale al 1400. Le ultime notizie dal Consorzio le potete leggere a pagina 44.
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Aceto Balsamico dal 1930 sulle colline di Modena Dai nostri vigneti di Trebbiano e Lambrusco coltivati in azienda
#staySereni www.acetaiasereni.com
Follow us @acetaiasereni.com
info@acetaiasereni.com
Un salume identitario dello splendido territorio del Vastese, carni selezionate e tritate al coltello di suino Nero d’Abruzzo allevato allo stato semi-brado e una lunga stagionatura naturale che avviene in un laboratorio ad hoc che gode di una splendida vista sul massiccio della Maiella: la ventricina biologica di VerdeBios di Celenza sul Trigno, in provincia di Chieti, ha conquistato di nuovo i palati dei giudici del Campionato italiano del Salame. L’intervista di Gaia Borghi al suo produttore, Antonio Antenucci, la potete leggere a pagina 62.
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UN ANNO DA RECORD!
4 M&DAGLIE D’ORO
GOLDEN FORK FROM ITALY
4 M&DAGLIE D’ORO
7 M&DAGLIE D’ORO
4 MEDAGLIE D’ARGENTO
6 MEDAGLIE CON “2 STELLE”
3 MEDAGLIE D’ARGENTO
1 MEDAGLIA D’ARGENTO
4 MEDAGLIE DI BRONZO
6 MEDAGLIE CON “1 STELLA”
1 MEDAGLIA DI BRONZO
6 MEDAGLIE DI BRONZO
caseificioilfiorino.it
SALUMI & CO. A NATALE
Tivoli! Già il nome ci piace! Tivoli è una delle nuove lunch box di 24Bottles®, il brand di design italiano fondato nel 2013 da GIOVANNI RANDAZZO e MATTEO MELOTTI e disponibile anche sullo shop on-line dell’azienda. È a prova di perdite al 100% e il suo sistema di scomparti preserva il gusto dei singoli componenti del pasto e il piacere della propria pausa quotidiana. Progettata per trasportare tutto ciò di cui si ha bisogno in poco spazio, è lavabile in lavastoviglie e costa € 60. 24bottles.com
Smart GARDEN The Smart Garden 3 è l’innovativo giardino interno di Click & Grow che coltiva per voi erbe, frutta e verdura fresche. Funziona come una macchina da caffè a capsule, solo che qui le cialde biodegradabili sono di piante e contengono semi e sostanze nutritive al loro interno. Irrigazione, luce e sostanze nutritive sono automatizzate e perfettamente calibrate. Si può scegliere tra 75 varietà di piante diverse. Noi in Redazione ne abbiamo 9 e funzionano alla grande! Costa € 69.95. clickandgrow.com
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LITROZZO A noi basta che l’abbia segnalata ROBERTO LIBERATI, che, per chi non lo conoscesse, è titolare di una mitica “bottega” romana. Litrozzo Rosso 2019 dell’azienda agricola Le Coste è una bottiglia buonissima e bellissima. Prodotta con uve di Sangiovese e Merlot, dal colore rosso porpora, “al naso si esprime con sentori di ciliegie, more e mirtilli in confettura, note di viola e cenni di pepe. Al palato il vino ha un discreto corpo ed è sostenuto da una bella succosità, oltre che da una godibile trama tannica. Lunga la persistenza e gradevolmente fruttata la chiusura” (fonte: tannico.it). Costa circa € 15,30.
INFORMATI
È MEGLIO Regala o regalati un abbonamento a Premiata Salumeria Italiana. Avrai 6 numeri in corso d’anno nuovo ricchi di contenuti selezionati, notizie, aggiornamenti, analisi, opinioni e approfondimenti sul comparto dei prodotti di salumeria a livello nazionale ed estero. Costa solo € 40. Bastano pochi clic su pubblicitaitalia.store
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TENDENZE Branding, design, packaging e arte
Riccardo Guasco (Alessandria, 1975), “rik”, è un illustratore e pittore. La sua arte è influenzata da movimenti come il Cubismo e il Futurismo. Innamorato del manifesto come mezzo di comunicazione utile ad una buona educazione all’immagine, mescola poesia e ironia creando illustrazioni per far sorridere gli occhi. Le sue illustrazioni appaiono su campagne pubblicitarie, riviste, libri, cappelli e biciclette. Alcune delle sue opere si possono ammirare al Museo della Figurina di Modena fino all’11 febbraio 2024 nella mostra “Regione e Sentimento. Itinerari italiani illustrati”. In occasione dell’esposizione, Riccardo ha realizzato 20 illustrazioni inedite, una per regione, in cui trovano posto paesaggi, costumi e prodotti tipici; accanto ad esse presenta altre opere legate a città e marchi del Belpaese, oltre al poetico video animato Italian way. Qui in foto due esempi, con le patatine San Carlo e il vermouth di Arnaldo Strucchi. >> Link: fmav.org
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FOTOGRAFATI E MANGIATI
Taralli pugliesi bio con farina di mandorle
Grissini piemontesi alle noci
Prodotti da Terradiva, l’azienda agricola della FAMIGLIA LOBASCIO dedita all’agricoltura già dai primi anni del ‘900, di Minervino Murge (BT), questi taralli pugliesi biologici con farina di mandorle sono l’ideale per uno snack salato, un aperitivo, come sostituti del pane per accompagnare zuppe, secondi e verdure. “Siamo partiti da una ricetta della tradizione pugliese e abbiamo valorizzato due nostre materie prime di qualità: le mandorle di varietà Filippo Cea e Genco e l’olio extravergine d’oliva intenso”. Ecco gli ingredienti: farina di grano tenero tipo 1 (semi integrale), farina di mandorle sgusciate, olio extravergine d’oliva, vino bianco, sale. Senza lieviti. Il formato è 200 grammi.
Ecco un prodotto artigianale che arriva dal Piemonte. Nei primi del ‘900 CESARE VALSESIA rilevò la bottega alimentare di famiglia, a Borgomanero (NO), fondando la sua azienda. La passione per pane e affini lo portò a specializzarsi nei prodotti da forno. Oggi è MARCO VALSESIA a gestire la MastroCesare Antico Forno Piemontese e sono naturalmente i grissini ad avere il ruolo da protagonisti nella proposta aziendale, classici all’olio d’oliva, al sesamo, con tartufo, alle uvette, al cioccolato, al pistacchio, ecc… “I grissini alle noci ci rappresentano, sono la nostra immagine, la nostra idea di prodotto gourmet. Nato per affiancare tutte le eccellenze enogastronomiche d’Italia”. Per scattare la foto li abbiamo spezzati: sono molto, molto più lunghi. Veramente speciali.
>> Link: terradiva.it >> Link: mastrocesare.it – mastrocesare.store
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Mortadella di Campotosto
Cialda di Montecatini Terme
La Mortadella di Campotosto, conosciuta anche con la colorita espressione “coglioni di mulo”, è prodotta, come si evince dal nome stesso, nel comune di Campotosto, in provincia de L’Aquila, e nelle zone limitrofe. È un Prodotto Agroalimentare Tradizionale Italiano (PAT) lavorato a mano con carne di suino pesante macinata a grana fine e una caratteristica barretta di lardo inserita all’interno (lardello). L’impasto, che si presenta di colore roseo, mentre perfettamente bianco deve essere il lardo centrale, viene speziato con pepe e altri aromi naturali (in quantità variabile a seconda della ricetta nelle varie famiglie di produttori), che conferiscono al prodotto dolcezza, aroma fragrante e caratteristico. La tradizione vuole che questo particolare salume vada lavorato in determinati periodi dell’anno, quando cioè si è in fase di luna calante o in totale assenza di luna. Il produttore di questo salume è ahimè sconosciuto: nella foga del taglio e della foto abbiamo perso l’etichetta. Ma sono tanti gli artigiani norcini che producono questa golosa specialità: non fatevela sfuggire.
La famiglia Desideri produce artigianalmente dolci della tradizione toscana dai primi del ‘900. La storia inizia con Stefano Desideri, che girava i borghi della Toscana come ambulante vendendo “chicchi” nelle fiere e nei mercati rionali. I Brigidini di Lamporecchio, sua città natale, diventarono la sua specialità, tanto da ottenere nel 1911 la medaglia d’oro all’Esposizione Campionaria di Milano. Le Cialde di Montecatini Terme sono un wafer naturale composto da due sfoglie sottilissime e fragranti che contengono una delicata granella di mandorle, zucchero e un pizzico di vaniglia. Sono il dolce per eccellenza della città termale nel cuore della Valdinievole. Pochi ingredienti e un processo di lavorazione molto articolato per la cialda, che prevede 20 giorni di stagionatura. Si consiglia di consumarle da sole o sorseggiando un tè o un caffè, abbinarle a gelato e panna montata, a frutta e cioccolata. Le cialde sono disponibili in diversi formati, compresa un’elegante confezione di metallo perfetta da regalare. Profumatissime, una tira l’altra. >> Link: cialdedesideri.it – shop.cialdedesideri.it
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LA COPERTINA ESPLOSA
Autorizzazione del ell Consorzio Co onsorzio on n del del Prosciutto di Parma arma ar rrm maa del m del 21-4-98 21-4-98
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Prodotto della tradizione emiliana, fortemente identitario di una cultura radicata in un territorio che sempre più si è allargato anche fuori dai confini nazionali, il Cotechino Modena IGP — insieme allo Zampone — trova la sua massima espressione sulle tavole del Natale. Il Cotechino Modena IGP è un alimento antico ma possiede proprietà nutrizionali in linea con le esigenze moderne: ricco di proteine nobili, vitamine del gruppo B e minerali, contiene solo aromi naturali ed è senza lattosio e senza glutammato aggiunto. È inoltre meno calorico di quanto si pensi, poiché parte del grasso si disperde in cottura. modenaigp.it
Ci siamo innamorati dell’Anello di Monaco al pistacchio in versione i monoporzione della Forneria Scaravelli di Mantova. Si tratta di un lievitato tipico mantovano con ripieno di mandorle, nocciole tostate, marsala secco e rum. In questa versione rivisitata viene prodotto con l’aggiunta di pistacchi nel ripieno e copertura di glassa al cioccolato bianco e granella di pistacchi. Perfetto come fine cena sulla tavola imbandita delle feste. scaravelli.it
An Antonino ntonino Sciortino è artigiano-artista dall’animo eclettico che reinterpreta pre eta in versione contemporanea un vecchio mestiere. “Le creazioni di S Sciortino scaturiscono da quell’insolito connubio con l’impiego del filo o cotto, una tipologia particolare di ferro, più plasmabile, e che di volta vol ta in volta assomiglia a legno o plastica e che permette realizzazioni zio oni di linee morbide, di animazione spaziale, di ombre danzanti” una a vera meraviglia! antoninosciortino.com anto toninosciortino.com
Ideale accompagnamento di lessi, bolliti e arrosti, salumi tipici o formaggi stagionati, la mostarda mantovana è una delle più antiche in commercio (alcuni d documenti menti la citano già intorno al 1300) ed è ancora preparata con pochi ingredienti. Protagonista nel ripieno i dei tortelli di zucca, noi abbiamo scelto quella della Salumeria Giovanni Bacchi dal 1967, che da sempre e la celebra con un’ampia offerta nella bottega di via Orefici. salumeriabacchi.it
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SUGGESTIONI DAL MONDO
A volte basta poco per arredare una parete, in modo semplice e curioso, originale. Ecco un’idea da copiare grazie a Do Design, Madrid (@dodesign; photo © Lorena Fernández, @nasualua).
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Inghilterra, porcellana bianca e legno vintage. Un angolo della bottega con un mobile, piccolo o grande, che sa di antico, scaffali carichi di piatti, tazze da tè, bicchieri di forme differenti. Accogliente, rassicurante. Ci riporta subito a casa.
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Se non la chiami per nome, avrai solo una mortadella. QUALITÀ E TRADIZIONE PALMIERI Mortadella Favola è la prima mortadella al mondo insaccata e cotta nella cotenna naturale, un vestito unico cucito su misura nella nostra Sartoria. Favola è inimitabile grazie alla sua esclusiva ricetta: l’unione di pregiati tagli magri del suino italiano con il guanciale tagliato a dadini, il grasso più nobile e profumato del maiale. Gli aromi, tutti rigorosamente naturali e una piccola nota di miele d’acacia, la rendono particolarmente delicata e digeribile. Favola è inconfondibile per la sua forma e il marchio a fuoco impresso sulla cotenna ne garantisce l’originalità. Senza: glutine, lattosio, glutammato e polifosfati aggiunti.
È un’idea
o: t a c i l e d o Gust ia c a c a ’ d e l e con mi rvia e C i d e l a es
IT-067-017
BREVI STORIE DI CIBO LENTO A VELOCITÀ CONTEMPORANEA
Prosciutto cotto, gola e conforto di Alessia Morabito (illustrazioni di Alessia Serafini)
a che voce hai???! Come stai? Cos’hai?». Ho l’influenza. Rannicchiata, rintronata dalla febbre, arrabbiata, in confusione, in affanno, scoraggiata, vinta: ho l’influenza. Devo chiamare tutti, disdire gli appuntamenti, riprogrammare i lavori che si accavalleranno agli altri: ho l’influenza. Tutto d’un botto sono fragile, vulnerabile, esposta, indifesa: ho l’influenza. Ho freddo, mal di testa, mal d’ossa, male ai muscoli, alle articolazioni, al petto, male alla gola: ho l’influenza. Non ho fame: ho l’influenza. Devo arrendermi: ho l’influenza. Numero di ore dormite 18 su 24, vissute nessuna. «Ale non puoi digiunare, cosa ti faccio?». Nulla. Nulla. Nulla. È al terzo giorno, come nelle migliori storie mitologiche, che lancio un segnale di speranza: «Mi andresti a prendere un pochino di prosciutto cotto?». E allora, se questa cuoca gastrofighetta, in preda alle intemperanze della febbre, segnala al mondo il suo ritorno lento alla vita dichiarando la voglia assoluta di solo prosciutto cotto, com’è che il prosciutto cotto, come salume, lo diamo spesso per scontato? Perché non riconosciamo quante volte era presente nei nostri momenti felici? Un panino durante un viaggio o un pranzo in riva al mare. Perché non diciamo apertamente che è l’ingrediente principale di alcuni dei piatti più golosi e confortanti di sempre? Il toast, le rosette emiliane, la Valdostana, PPPP (penne piselli panna prosciutto), i timballi e quanti altri. Perché lo rileghiamo a cibo per i bimbi? Eppure ha una sua storicità profonda ed una sua complessità di preparazione, che ne determinano parametri rigidi di qualità. Già i Romani ne raccontavano nelle loro cronache, ma presumibilmente, prima di loro, i “Barbari” bollivano la carne di maiale in brodi speziati con erbe aromatiche. La ricetta si è evoluta con fichi secchi, miele e passaggi alla fiamma e non mancano successivi opulenti quadri di banchetti rinascimentali che lo ritraggono. Il prosciutto cotto è un salume tipico italiano incluso nei PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali). Le cosce di maiale, le stesse che si usano per il prosciutto crudo, vengono disossate a mano e rifilate del grasso e della cotenna in eccesso. Preparata la salamoia con sale, zucchero, erbe e spezie, che determineranno il bouquet aromatico, sarà siringata nella carne e quest’ultima verrà massaggiata a lungo perché la salamoia si distribuisca ovunque e le fasce muscolari si inteneriscano mantenendo la loro compattezza. Dopo il riposo la carne viene inserita nei caratteristici stampi di alluminio (ancora se ne trovano di bellissimi nei mercatini) e viene cotta dolcemente a vapore. Raffreddata, viene confezionata e pastorizzata, pronta per la vendita. La percentuale di umidità ne conferirà la classificazione merceologica. È nella mano di alcuni trasformatori che trova le sue manifestazioni migliori: di Mora romagnola e cotto a legna con legno di faggio di Zivieri, la ricetta medievale per i Tigrinto di Ferri, la fragranza elegantissima di Levoni, quanti altri incredibili prosciutti cotti non ho ancora conosciuto? In queste giornate all’improvviso troppo lente e piene di malessere anche io dovrei farmi massaggiare lo spirito per mantenerlo tenero, compatto e saporito. Dovrei concedermi con più serenità la possibilità di non essere performante ed in generale prestare più attenzione alle cose che mi accompagnano da sempre con discrezione e qualità.
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IL FOOD IN RETE
SOCIAL di Elena
1. Da Carelli Sono ad Almè (BG) e al link dacarelli.it. Shop fisico e, soprattutto, e-commerce di una bella e ricca selezione di carni (anche per il BBQ), salumi, formaggi (come lo Stracchino nostrano in foto), pasta fresca e altre meraviglie gourmet. Da visitare e seguire nei vari canali social. Sono anche su TikTok (photo © instagram.com/dacarelli.it).
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2. Cotechino di carne equina? C’è! È un insaccato cotto di macinato con carne equina ideato e prodotto dalla Macelleria equina e gastronomia Porta di Villa Carcina, Brescia, e si chiama Cotequino®. Opera di MARCO PORTA, che potete seguire su instagram.com/macelleriaequinaporta (photo © instagram.com/macelleriaequinaporta).
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FOOD Benedetti
3. La spesa alla spina Negozio Leggero – La spesa è più leggera senza imballaggi è il primo franchising italiano che “contiene i prezzi pensando all’ambiente”: grazie al lavoro dell’ente di ricerca ambientale Ecologos, che ne analizza e seleziona i prodotti (alimentari e non), nasce a Torino nel 2009 ed è oggi presente in molte città italiane. Per saperne di più sulla spesa senza packaging visitate il link negozioleggero.it (photo © instagram.com/ negozioleggero).
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4. Casabase È una bottega moderna di “Vino e Alimentari” a Treviglio (BG) e ora è anche on-line su casabase-shop.it. Sono bravissimi e simpaticissimi (e bellissimi) con grande cuore e tanta passione. Quattro amici che con Casabase rappresentano molte eccellenze italiane con particolare attenzione al territorio da cui provengono, la Bergamasca ed il Nord Italia. “Vi diamo consigli, vi portiamo in giro, vi accogliamo”: panini, taglieri e calici di vino da degustare anche in bottega (photo © instagram.com/casabase_it).
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ASS.I.CA. presenta su www.trustyourtaste.eu e su YouTube otto nuove ricette “passepartout” per l’Autunno/Inverno 2023 Salame, Prosciutto cotto, Bresaola, Lardo, Stinco, Costine, Filetto di maiale e Salsiccia sono gli otto protagonisti delle nuove ricette promosse da ASS.I.CA. (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi aderente a Confindustria) per l’Autunno/Inverno 2023, stagione in cui il consumo di questi prodotti è sicuramente diffuso. Otto suggerimenti d’autore, a firma dello chef Walter Zanoni. «Le ricette ideate valorizzano i salumi e le carni di maiale abbinandoli ad alcuni ingredienti e alimenti tipici di questa stagione» ha spiegato lo chef. «Le definirei “passepartout”: cotture rapide, passaggi veloci, accostamenti che osano e una cura dell’impiattamento le rendono adatte sia per le occasioni speciali, per incuriosire chi cerca spunti creativi e nuovi abbinamenti, che nel rispondere all’esigenza di cucinare in poco tempo e portare in tavola qualcosa di sfizioso, anche all’ultimo momento». Come la golosissima Fregola con salsiccia e funghi che vedete in foto. L’attenzione alle esigenze del consumatore e la scelta di mostrare l’aspetto più insolito e versatile di salumi e carni di maiale, al di fuori delle ricette classiche della tradizione, sono driver che connotano tutte le attività del progetto “Trust Your Taste, Choose European Quality”. Le videoricette sono sottotitolate in italiano, inglese e francese e sono disponibili sul portale del progetto e nel canale youtube.com/@ trustyourtastechooseeurope7761. Nel sito è descritto anche l’intero procedimento, così da facilitare chi voglia cimentarsi nella cucina. “Trust Your Taste, Choose European Quality” è il progetto promosso da ASS.I.CA. con l’obiettivo di migliorare il grado di conoscenza e consumo consapevole dei prodotti agricoli UE attraverso la promozione della cultura produttiva della carne suina e dei salumi, valorizzando gli alti standard europei e la grande tradizione storica che contraddistingue questo comparto. Il progetto ha durata triennale (2021-2024), si svolge in Italia e Belgio e gode del cofinanziamento dalla Commissione europea nell’ambito del Regolamento (UE) 1144/2014 (Azioni di informazione e di promozione riguardanti i prodotti agricoli nel mercato interno). >> Link: www.trustyourtaste.eu – www.assica.it
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Tradizione e genuinità dal 1910
Prosciutto di Modena Dop un capolavoro del gusto italiano
Prosciuttificio Nini Gianfranco Srl Via Sicilia, 61 - 41056 Savignano sul Panaro (MO), Italy - Tel.: 059 730103 - Fax: 059 731599 E-mail: info@prosciuttificionini.it - Web: www.prosciuttificionini.it
ATTUALITÀ
I “grani antichi” sono una bufala che truffa il consumatore Per l’Accademia Nazionale di Agricoltura la commercializzazione dei prodotti a base di grani antichi è una strategia commerciale che si basa su una narrazione ingannevole: non sono sostenibili per l’ambiente, salubri per la salute e vengono venduti a prezzi più alti senza motivo enatore Cappelli, Aureo, farro, grano monococco: sono nomi noti oramai quasi a tutti. Li incontriamo ogni giorno tra gli scaffali dei supermercati, ricolmi di prodotti — farine, pane, pasta, ecc… — a base di “grani” con caratteristiche
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uniche o di varietà particolari, possibilmente “antiche”. Alla base di questa corsa al cosiddetto “grano migliore”, qualsiasi cosa voglia dire questa formula, cavalcata dal mercato e dal marketing, c’è molta disinformazione. Luigi Cattivelli, direttore del Centro di
Ricerca Genomica e Bioinformatica del CREA, nonché autore del volume pubblicato recentemente “Pane nostro. Grani antichi, farine e altre bugie”, è intervenuto all’incontro organizzato lo scorso 23 ottobre dall’Accademia Nazionale di Agricoltura, in collabo-
“Grani antichi. Una moda piena di falsità” è stato il titolo dell’incontro organizzato lo scorso ottobre presso la Sala del Cubiculum Artistarum di Palazzo dell’Archiginnasio di Bologna. Il dibattito ha tentato di analizzare luci e ombre delle tipologie di frumento dette “grani antichi” oggi presenti sul mercato. Da sinistra, Giorgio Cantelli Forti (in piedi), Ercole Borasio, Silvio Salvi, Lisa Bellocchi e Luigi Cattivelli.
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differenziabilità, uniformità e stabilità tali da ricevere la certificazione. Oggi le farine sono tutte registrate e controllate dal CREA, mentre i cosiddetti grani antichi non sono iscritti a nessun registro e non hanno regole. Sono grani vecchi che non rispondono più alle esigenze nutritive e produttive di oggi: come si può pensare di nutrire il pianeta con grani non più attuali? E poi se compro una pagnotta di grano antico, chi mi garantisce cosa c’è dentro e cosa mangio senza controlli? È stato dato valore a qualcosa che non ce l’ha».
Luigi Cattivelli, Pane nostro. Grani antichi, farine e altre bugie, Il Mulino, 2023. razione con la casa editrice IL MULINO e l’Associazione Regionale Giornalisti Agricoltura (ARGA Emilia-Romagna), per aiutarci a capire perché parlare di varietà antiche o moderne ha poco senso. E, soprattutto, a comprendere il valore di questa pianta, il grano, strategica per il futuro dell’umanità. Dunque, cosa sono i “grani antichi”? Fanno bene alla salute? Sono salubri dal punto di vista della sicurezza alimentare? Aiutano l’ambiente? A queste e molte altre domande i relatori al convegno bolognese hanno dato una risposta. Sono grani vecchi e non rientrano nel registro nazionale «Quando pensiamo ai grani antichi non dobbiamo andare troppo indietro nel tempo — ha introdotto il dott. Ercole Borasio, Accademico Ordinario dell’Accademia Nazionale di Agricoltura, già direttore generale della Produttori Sementi Spa e moderatore dell’incontro — perché sono i grani nati dalla ricerca scientifica di Nazareno Strampelli, che sono stati utilizzati dai primi del Novecento fino al primo dopoguerra. In Italia la legge sementiera è stata introdotta con grave ritardo nel 1972 e, solo a partire da quella data, è stato iscritto il Registro Nazionale, al quale devono essere registrate tutte le varietà seminate che hanno superato specifiche prove di
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Falso il messaggio sulla sostenibilità ambientale e la molitura a pietra «Anche il messaggio della sostenibilità è falso perché i grani antichi sono decisamente meno produttivi di quelli odierni e perciò servirebbero molti più ettari di terreno da coltivare per avere un quantitativo accettabile» ha proseguito Borasio. «Lo stesso dicasi per la salubrità perché le piante, rispetto a quelle moderne, essendo il doppio di altezza, sono maggiormente soggette alle micotossine, si allettano facilmente e sono anche più soggette all’assorbimento di metalli pesanti presenti nel terreno come il cadmio. Infine, anche la macinazione a pietra, molto pubblicizzata, è falsa. I vecchi mulini erano a pietra, ma erano curati dai mugnai, che sapevano come mantenere le pietre e picchiettarle per fare le giuste scanalature per la molitura. Oggi nessuno o quasi lo fa più, forse poche persone, ma soprattutto la produzione industriale permette moliture migliori e di grande quantità. Non si può rispondere alle esigenze moderne con risposte del passato e le varietà antiche non danno nessun beneficio. È giusto dirlo ai consumatori che pagano prezzi più alti per comprare prodotti fatti con queste farine». Grano e cambiamento climatico una fake news «È una storia, quella del frumento, che lascia a bocca aperta» ha esordito Luigi Cattivelli. «L’evoluzione della nostra specie è legata al frumento che si coltiva dal Canada al Kenya alla Russia perché l’uomo, nei secoli, è riuscito a selezionare piante sempre
più resistenti adattate ai climi diversi che incontrava: sono stati i geni del frumento a permetterglielo. Sento che tanti collegano grano e cambiamento climatico dicendo che il†futuro in Italia è quello di coltivare banane o datteri a causa del clima più caldo: non diciamo falsità. Il frumento si coltiva in Africa da millenni, ogni pianta si adatta al clima che trova e un chicco che in Germania produce 10 tonnellate in Kenya non crescerebbe e viceversa. Sarà sempre l’uomo con la sua ricerca e i suoi studi a creare le piante giuste per i luoghi giusti. Un grano antico poteva andare bene per il mondo di 100 anni fa, ma per quello attuale sarebbe del tutto inutile». Sì all’integrale e la farina di manitoba è un falso mito «Il 20% delle calorie consumate dall’uomo nel mondo è a base di frumento. A livello nutrizionale — ha continuato Cattivelli — il cosiddetto grano antico ha un 20% in più di minerali rispetto agli odierni, ma va tutto visto all’interno di una dieta equilibrata. Se mettiamo un cucchiaio di pomodoro nella pasta che mangiamo, abbiamo già antiossidanti in più del 20%. Lo stesso discorso vale sul glutine: non ci sono evidenze scientifiche che affermano che le farine antiche ne abbiano meno in assoluto. E qui entra in gioco il mito della farina di Manitoba importata in Italia negli anni Sessanta dal Canada. Questa farina, che si chiama così solo perché è il nome della regione che la produce, veniva utilizzata perché considerata una farina di forza con più glutine e che, dunque, dava più sapore e morbidezza ai prodotti da forno, al contrario delle farine che venivano usate in Italia all’epoca che erano poverissime di glutine e necessitavano di tempi di cottura molto lunghi. Ma nel tempo i caratteri della Manitoba sono stati selezionati e incrociati con quelli dei nostri grani per avere farine equilibrate e giuste sotto il profilo nutrizionale. Il glutine non deve mangiarlo chi è celiaco, per tutti gli altri è una fonte di nutrimento essenziale. Di certo, a livello scientifico, sappiamo che la farina integrale aumenta del 300% gli antiossidanti e fa bene alla salute. La farina integrale allunga la vita e fa bene alla salute».
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Bassi livelli produttivi ma potrebbero aiutare l’economia collinare e montana «Il grano antico ha un basso livello di resa produttiva. L’Italia produce il 40% del frumento tenero che si usa per fare pane, pasta e pizza e il resto lo importa soprattutto dalla Francia: produciamo già meno di quello di cui abbiamo necessità» ha puntualizzato il prof. Luigi Cattivelli. «Se volessimo passare ai frumenti antichi scenderemmo al 20% di produzione nazionale, essendo così costretti ad importare ancora di più dall’estero, anche da Paesi che non rispettano le regolamentazioni internazionali, senza sapere cosa compriamo. I grani antichi non sono sostenibili a livello economico e ambientale, ma spezziamo una lancia a loro favore perché potrebbero essere coltivati nei territori collinari e di montagna, dove i terreni sono abbandonati se non si coltiva vite, per fare piccole produzioni che magari aiuterebbero anche ad evitare lo spopolamento di molte zone».
Un libro interessante per i non addetti ai lavori «Il libro di Luigi Cattivelli è una lettura affascinante, meglio di un romanzo giallo, ed agevole anche per i non addetti ai lavori grazie alla sua chiarezza espositiva» ha sottolineato Lisa Bellocchi, presidente dell’European Network of Agricultural Journalist. «Interessantissimi l’iter scientifico e di cooperazione internazionale che ha portato al sequenziamento del genoma “monster” del frumento (15 miliardi di basi per quello tenero) e gli studi in corso sulla regolazione degli stomi in caso di stress idrico, per trovare un compromesso tra l’esigenza di risparmiare acqua e la necessità di fa entrare la CO2 per la fotosintesi e quindi la produzione. Molto interessante anche la parte sui grani antichi, che hanno alcune importanti caratteristiche, ma spesso non quelle che i consumatori attribuiscono loro. Tuttavia, da soli non sfamerebbero l’umanità. Il libro aiuta chi si occupa di informazione a non commettere errori e non essere megafono di fake news.
Ad esempio, quella di chi sulle etichette gioca sulla formula “a basso indice di glutine”, confidando che il consumatore interpreti il dato come “qui c’è poco glutine”». I nuovi grani sono l’agricoltura e la sostenibilità ambientale del futuro «Non c’è nulla di male nelle varietà moderne, che sono più produttive ed ugualmente nutritive rispetto alle antiche, ed è impossibile distinguere una farina antica da una moderna, soprattutto non per le caratteristiche nutritive» ha concluso Silvio Salvi, presidente della Società Italiana di Genetica Agraria. «L’unica differenza fondamentale è la produttività: quelle antiche producono molto meno e dobbiamo usare più suolo incidendo inevitabilmente sull’ambiente. Le nuove farine, nate dagli studi scientifici e genomici più avanzati, sono le uniche adatte per un’agricoltura del futuro che punti a produrre meglio sfamando un maggior numero di persone». Fonte: Accademia Nazionale di Agricoltura
Promozione prodotti DOP e IGP: successo del Sistema Italia ASS.I.CA. (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi), ISIT (Istituto Salumi Italiani Tutelati) ed IVSI (Istituto Valorizzazione Salumi Italiani) esprimono la loro più profonda soddisfazione sia per l’accordo politico interistituzionale raggiunto il 24 ottobre scorso in merito alla riforma del Regolamento UE sulle indicazioni geografiche che per aver ottenuto — in data 25 ottobre — che nei criteri di aggiudicazione dei fondi promozione UE per l’anno 2024 fosse stralciato un nuovo sotto criterio, proposto dalla Commissione europea, per i programmi rivolti al mercato interno dell’UE che discriminava le carni rosse e trasformate. «Senza il lavoro del MASAF con il qualificato personale delle direzioni preposte e dell’on.le Paolo De Castro con il suo ufficio, il cui valore viene confermato anche in questa occasione, non sarebbe stato possibile ottenere un accordo politico su un così grande pacchetto di proposte di emendamento che migliorano considerevolmente la proposta della Commissione europea» ha dichiarato Pietro D’Angeli, presidente di ASS.I.CA. «Ci teniamo a sottolineare la nostra profonda convinzione che la strategia adottata rappresenta un esempio di “buone pratiche” di successo sui dossier comunitari. Tutto questo con la collaborazione costante e qualificata della nostra rappresentanza permanente a Bruxelles che non ha mai fatto venire meno il proprio supporto tecnico-politico. Siamo convinti che un tale “modus-operandi” possa essere ripetuto sempre più spesso in futuro fino a diventare la normalità operativa del nostro Governo». «Il risultato va al di là di ogni più rosea aspettativa, tenendo conto delle difficoltà di un negoziato che ha visto, specialmente in Consiglio, la maggior parte degli Stati Membri ostili al sistema delle Indicazioni geografiche UE. E Paolo De Castro ha confermato, ancora una volta, di essere uno dei migliori negoziatori a livello europeo» ha proseguito Lorenzo Beretta, presidente di ISIT. «A mio avviso, l’accordo politico conferma non solo la visione politica delle IG come uno dei pilastri di sviluppo agroalimentare dell’Unione Europea ma anche un sistema senza eguali nel mondo. Considerando che i Consorzi, soprattutto quelli italiani, rappresentano il
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motore di sviluppo delle IG, ritengo un risultato straordinario aver mantenuto — nel bel mezzo di interessi e sensibilità così diverse — non solo lo “status quo” per quanto riguarda la loro composizione, rappresentatività ed inquadramento giuridico ma anche maggiori e migliori responsabilità come proposto dal Parlamento europeo. Siamo inoltre particolarmente soddisfatti della deroga nazionale all’origine degli alimenti per animali che rappresentava una delle priorità per la filiera zootecnica, indispensabile per garantire la specificità del nostro made in Italy. Senza contare le innumerevoli ulteriori migliorie come le nuove regole sulle IG quando utilizzate come ingredienti, con la possibilità per gli Stati Membri di rafforzare ulteriormente le nuove disposizioni mediante una procedura autorizzativa a livello nazionale e la protezione ex-officio anche nel sistema dei domini internet, con un sistema di “geoblocking” immediato di tutti i contenuti illeciti». «Per quanto riguarda i criteri dei fondi UE per la promozione dei prodotti agroalimentari UE — ha concluso Francesco Pizzagalli, presidente IVSI — il lavoro del MASAF, in collaborazione con altri Stati Membri, ha fatto in modo che prevalesse un approccio volto a evitare discriminazioni preconcette tra prodotti, propositivo e di sostegno per tutte le produzioni che dimostrano un impegno verso la sostenibilità. Una formula di sicuro successo per tutti gli Stati Membri dell’Unione e per il patrimonio agroalimentare europeo che mai come in questo periodo deve essere difeso e aiutato a superare le inattese e gravose dinamiche internazionali» (photo © ISIT).
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Photo © MarcaByBolognaFiere
CRESCE MARCA BY BOLOGNAFIERE
COSÌ COME CRESCONO LE VENDITE DELLA MDD Appuntamento il 16 e 17 gennaio a Bologna 2024 con la XX edizione del salone dedicato alla marca del distributore 42
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a 20a edizione di Marca by BolognaFiere (1617 gennaio 2024) si prepara per essere la più grande di sempre, con 7 padiglioni, 25.000 m2 netti di superficie espositiva e un numero di aziende registrare in continuo aumento. L’ottimo andamento della manifestazione trova conferma anche negli ultimi dati sulle vendite. Le rilevazioni di settembre 2023 presentano un contesto fortemente condizionato dal caro prezzi. Se il largo consumo confezionato cresce a valore (+9,5%), perché guidato da un’inflazione a doppia cifra (+11,6%), ma con una contrazione dei volumi di vendita (–2,2%), la marca del distributore è in decisa controtendenza. La MDD ha infatti messo a segno una crescita a valore del 16,7%, raggiungendo 22,1 punti di quota, con un incremento di +1,3 punti rispetto allo stesso periodo del 2022. Questa crescita è confermata anche in termini “reali”, con un aumento a volume del +4,1%. Guardando alle diverse categorie merceologiche, la MDD ha migliorato il suo posizionamento competitivo in tutti i reparti, con una crescita significativa nel settore del Freddo (+2,9%), Cura Persona (+2,4%), Cura Casa (+2,0%) e nel Fresco (+1,8%). La crescita a livello di valore è sostenuta da un aumento delle vendite anche in termini di volume, con l’eccezione dei settori delle Bevande (–1,2%) e dell’Ortofrutta (–0,5%). La crescita della MDD è in linea con l’espansione dell’offerta, che porta la sua quota di mercato assortimentale al 16,5%, un aumento di 0,6 punti rispetto all’anno 2022. I segmenti di offerta Mainstream e Primo Prezzo stanno trainando la crescita a valore della marca del distributore: Insegna del +17,2%, Marchi Do del +40,7%, Primo Prezzo del +33,7%. Tuttavia, si sta verificando un rallentamento nella crescita delle linee di alta gamma, ad eccezione del segmento Funzionale, che registra ancora un dinamismo positivo con un aumento del +18,8%. È interessante notare che, anche per la MDD, si osservano segnali di ripresa della pressione promozionale, con un aumento del +0,9 punti rispetto al passato: un’inversione di tendenza rispetto al periodo precedente, sebbene non si siano ancora raggiunti i livelli di promozione pre-pandemici (fonte dati: Circana).
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• Marca by BolognaFiere è l’unica fiera italiana dedicata alla marca commerciale, la grande vetrina dove si espongono i prodotti dell’eccellenza italiana a marca del distributore. La fiera è organizzata da BolognaFiere in collaborazione con ADM, l’Associazione della Distribuzione Moderna. >> Link: marca.bolognafiere.com
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AZIENDE
PROSCIUTTO DI CARPEGNA DOP,
“Puri si nasce, soffici si diventa” Un immenso patrimonio gastronomico tutelato dal Consorzio del Prosciutto di Carpegna DOP
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l Prosciutto di Carpegna DOP rappresenta un immenso patrimonio gastronomico che, negli anni, si sta consolidando come un importante protagonista della salumeria italiana, sia sul mercato nazionale che internazionale. Tutto questo anche grazie all’attività del Consorzio che lo rappresenta — il Consorzio del Prosciutto di Carpegna DOP, costituitosi
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nel 2015 — con lo scopo di tutelare e promuovere questo prodotto che ha le sue origini proprio a Carpegna, nelle Marche. La produzione del Prosciutto di Carpegna nel 2022 è cresciuta del 30% sul 2021 arrivando a raggiungere un fatturato di 12 milioni di euro. I canali principali di vendita sono la GDO (85,4%) ed il Normal Trade. Da registrare anche un aumento delle
esportazioni all’estero (6% del fatturato totale). Anche nel 2023 le attività del Consorzio, volte alla promozione del prosciutto, si rivolgono a diversi target quali i professionisti della ristorazione, i professionisti della GDO ed il consumatore finale. La campagna “Puri si nasce, soffici si diventa” sviluppata su carta stampata, radio e on-line e arricchita da collaborazioni con chef per
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È la degustazione della singola fetta il più importante ambassador del Prosciutto di Carpegna DOP.
la creazione di ricette ed abbinamenti con il Carpegna DOP, ha rafforzato la promozione del prodotto. Ma cos’è Carpegna? Carpegna è il luogo ed è la DOP, il prosciutto. Un prodotto che rappresenta un’eccellenza della salumeria italiana di origini secolari e che ancora oggi porta con sé un patrimonio immenso fatto di
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gusto, profumo e sofficità uniche, come unico è il prosciuttificio in cui viene meticolosamente lavorato. Il territorio in cui nasce è incastonato sulle colline del Montefeltro, quel morbido panorama marchigiano che accoglie l’aria asciutta e salmastra proveniente dall’Adriatico e un microclima estremamente puro, un contesto unico che contribuisce alla straordinarietà di
questo protagonista della salumeria italiana. La geografia è il punto focale che traccia anche l’iter produttivo, anzi è il suo incipit perché circoscrive la provenienza d’origine della materia prima, delimitata a solo tre regioni: Lombardia, Emilia-Romagna e Marche. Il Prosciutto di Carpegna DOP, infatti, può essere prodotto solo dalla razza suina italiana conosciuta come “pesante padano” o
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Il Prosciutto di Carpegna DOP porta con sé, sia in termini produttivi che culturali, una tradizione secolare che risale al 1400 e che è regolamentata da un Disciplinare che dal 1996 ne attesta la DOP. Oggi il Carpegna DOP è un’eccellenza apprezzata e ricercata sia nel canale della ristorazione e del Normal Trade sia in quello della GDO. “suino pesante”. La qualità, elevatissima e preservata da un Disciplinare ferreo che definisce ogni passaggio di produzione del Carpegna, così da poter offrire al consumatore finale un prodotto DOP tutelato e garantito. Infine, c’è il patrimonio di conoscenza. Non solo territorio, anche lavorazione artigianale La storia della sua lavorazione — artigianale e tramandata da generazioni — che risale al 1400 quando prese forma il processo di trattamento e stagionatura giunto fino ai giorni nostri, ha permesso al Prosciutto di Carpegna DOP di presenziare sulle tavole attraverso i secoli, di mantenere intatte le sue peculiarità superando le mode culinarie che accompagnano le epoche e ammaliando i palati con quelle note dolci-sapide inconfondibili. Questo processo riprende fedelmente la tradizione: dal massaggio alla sfregatura, fatta con il sale marino, dalla legatura fino ad arrivare alla stuccatura, passaggio — quest’ultimo — che contribuisce all’unicità del Carpegna DOP. Lo stucco del Carpegna, infatti, è un composto rigorosamente applicato a mano costituito da strutto, farina di riso, aromi naturali, un mix segreto di spezie, tra cui si riconoscono pepe e paprica che caratterizzano il suo gusto intenso e aromatico.
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In condizioni ambientali costantemente monitorate il prosciutto viene appeso alle scalere mediante corda “a strozzo” e stipato nelle cantine per proseguire la stagionatura. Il processo di stagionatura si conclude quando ogni prosciutto viene selezionato con la punzonatura: viene punto con un osso affilato in precisi punti della coscia e valutato dal suo profumo. Quando la coscia raggiunge gli standard qualitativi espressi anche nel Disciplinare avviene, infine, la marchiatura a fuoco che sigilla a vista, con il marchio consortile, la garanzia di un prodotto di elevata qualità. I numeri del Carpegna DOP Il processo di selezione e lavorazione che porta il Prosciutto di Carpegna DOP al banco dei salumieri e sulle nostre tavole è ricco di passaggi preziosi, fatto anche di numeri: • 160 kg, il peso minimo che deve avere il suino; • 10, i mesi dei capi prima della macellazione; • 12 kg, il peso minimo della singola coscia fresca rifilata; • 15 °C e 20 °C, la temperatura in cui avviene l’intero processo di stagionatura, in un ambiente dove penetra l’aria salmastra delle colline e luce naturale; • 16, i mesi minimi di stagionatura.
Un vero tributo alla gastronomia italiana Dopo questo prezioso lavoro, la glorificazione del Prosciutto di Carpegna DOP avviene sulle nostre tavole dove può sprigionare tutta la sua pregevole sofficità e la sua fragranza aromatica. Un vero tributo alla gastronomia italiana. Il pane lo esalta nella sua purezza e il colore, leggermente ambrato, sollecita ogni senso già al primo incontro con il palato. Ma il Prosciutto di Carpegna DOP è perfetto anche per arricchire piatti e stuzzichini grazie alla sua nota sapida e inconfondibile. Consorzio Prosciutto di Carpegna DOP Il Consorzio nasce il 27 maggio 2015 per tutelare e valorizzare il Prosciutto di Carpegna DOP: i valori, le caratteristiche e la sua produzione; elementi unici che lo hanno portato a fregiarsi, sin dal 1996, della DOP – Denominazione di Origine Protetta. Il ruolo istituzionale del Consorzio è strettamente legato alla tutela della qualità di questo protagonista della salumeria italiana.
>> Link: www.consorzioprosciuttodicarpegna.it @consorzio_carpegna
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+ TECNOLOGIA + EXPORT = PER SCARLINO UN 2024 DI ULTERIORI SUCCESSI IL SALUMIFICIO SCARLINO CHIUDE UN BIENNIO DAVVERO POSITIVO E SI PREPARA A FARE ANCORA MEGLIO PER IL 2024 48
Attilio Scarlino.
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opo aver registrato a fine 2022 una crescita sull’anno precedente di 20 punti percentuali a volume e di 28 punti a valore, di gran lunga superiore quindi rispetto al dato nazionale del segmento würstel diffuso da ASS.I.CA., l’azienda leccese fa anche di più nell’anno che sta per chiudersi migliorando (dato di ottobre) rispettivamente del 27% la quantità prodotta e di oltre il 30% il proprio fatturato. Alla base di queste performance la consolidata vocazione dell’Amministratore Unico Attilio Scarlino a migliorare in maniera costante la tecnologia a disposizione, portando avanti una politica di investimenti che, solo negli ultimi tre anni, ha raggiunto i 12 milioni di euro, sempre finalizzata a razionalizzare e, quindi, a migliorare il costo industriale. «Non è stato facile — precisa Scarlino — ottenere questi risultati in un periodo che, da una parte, ha dovuto fare i conti con gli strascichi di una pandemia mondiale dalla quale si è usciti a fatica e, dall’altra, è entrato nel tunnel di un clima incerto e preoccupante dovuto alla situazione bellica
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dell’Europa dell’Est e, più di recente, del Medio Oriente. Nonostante il momento tutt’altro che rassicurante, con la materia prima di carne che ha subito i forti condizionamenti dettati da Peste Suina Africana e da influenza aviaria e con il costo dell’energia risultato per mesi incontrollabile, con fiducia abbiamo continuato ad investire rinnovando, praticamente in toto, il nostro stabilimento produttivo, implementandolo ulteriormente con impianti e macchinari di ultimissima generazione». «La riduzione del costo industriale — gli fa eco il Direttore Marketing Claudio Leuzzi — ci ha permesso di entrare in nuovi mercati, soprattutto esteri, dove abbiamo potuto valorizzare in maniera definitiva la nostra specializzazione nella produzione del würstel. La qual cosa, al passo con un trend di mercato ormai sempre in ulteriore crescita, ci ha dato la possibilità di ritagliarci uno spazio sempre maggiore nel mondo delle private label, vere protagoniste ormai del mercato retailer. Scarlino, come dicevamo, non si ferma perché, proprio con l’avvio del
nuovo anno, grazie ad una nuova linea di produzione, confezionamento e cottura, potrà portare il suo potenziale a sfiorare le 100 tonnellate giornaliere, consolidando in maniera significativa la sua posizione tra i leader del segmento würstel in Italia». «Il miglioramento del costo industriale — chiude Attilio Scarlino — ha aumentato di fatto la nostra competitività a tutti i livelli e per questo sono fiducioso che, se il mercato globale non subirà grossi scossoni, anche nel 2024 il Salumificio Scarlino potrà registrare un’ulteriore crescita tra il 20 ed il 25%». Perseguire la crescita, rispettando i rigorosi standard di qualità richiesti dalle certificazioni IFS e BRC in base ai quali si è impostato tutto il processo produttivo, insieme all’attenzione verso l’ambiente e la sostenibilità, configura il Salumificio Scarlino come azienda di alto livello, efficacemente proiettata verso la leadership non solo in ambito produttivo, ma anche in ambito gestionale, grazie all’impegno quotidiano teso al miglioramento continuo della qualità, alle innovazioni di prodotto, alla formazione delle risorse umane.
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STAGIONATURA MARCHISIO DI LURISIA nuovo produttore del Crudo di Cuneo DOP 50
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In foto, Nadia Marchisio e Chiara Astesana, presidente del Consorzio di tutela e promozione del Crudo di Cuneo DOP, all’inaugurazione della struttura di Stagionatura Marchisio di Lurisia, neo socio del Consorzio.
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a Stagionatura Marchisio di Lurisia (Roccaforte Mondovì, Cuneo), collegata al Salumificio Marchisio di Pianfei, è un nuovo produttore del Prosciutto Crudo di Cuneo DOP. Il neo socio del Consorzio di tutela e promozione del Crudo di Cuneo, costituito nel 1998 con l’obiettivo di promuovere la definizione di un disciplinare di produzione e predisporre e sostenere la domanda di registrazione della Denominazione di Origine Protetta del prosciutto cuneese, si aggiunge quindi alla Carni Dock di Lagnasco (CN), che ha avviato la produzione nel 2012 dando il via alla commercializzazione nel 2014. I prosciutti stagioneranno presso la Stagionatura Marchisio di Lurisia, sede un tempo del Grand Hotel Radium. La struttura, rimessa a nuovo dalla famiglia Marchisio, è stata inaugurata lo scorso 22 settembre alla presenza dei vertici dell’azienda e del Consorzio di tutela e promozione del Crudo di Cuneo. Con l’ingresso del nuovo socio all’interno del Consorzio, la produzione annua di prosciutto Crudo di Cuneo DOP sarà, nel corso del 2023, di circa 17.000 cosce. «Svolgere azioni per lo sviluppo della denominazione Crudo di Cuneo DOP e la crescita della sua produzione, anche attraverso il coinvolgimento di nuovi produttori, è tra gli scopi statutari del nostro Consorzio» afferma CHIARA ASTESANA, presidente del Consorzio di tutela e promozione del Crudo di Cuneo DOP. «Siamo molto soddisfatti che, circa due anni fa, il prosciuttificio di Lurisia abbia avviato la produzione nel rispetto del Disciplinare del Crudo di Cuneo DOP: ciò costituisce infatti un risultato concreto che ci incoraggia a proseguire su questa strada. La location, oltre ad essere molto bella, è straordinaria per funzionalità e ottimale per produrre ottimi prosciutti. Mi complimento con la famiglia Marchisio per il progetto realizzato che riassume in un tutt’uno diversi obiettivi di importanza strategica per il territorio: recupero di una struttura fatiscente e in disuso da molti anni, sviluppo della trasformazione delle cosce dei suini cuneesi, che in alternativa vengono portati a stagionare a Parma o a San Daniele, e la creazione in loco di posti di lavoro». Il salumificio Marchisio di Pianfei fu fondato dal Cav. GIUSEPPE MARCHISIO
oltre 60 anni fa e l’attività si tramanda da tre generazioni. Oggi l’azienda è portata avanti dai figli CLAUDIO con NADIA e dai nipoti MARCO e PAOLO. Da sempre l’azienda ha collaborato con realtà agricole locali; l’unico anello mancante dell’intera filiera era la produzione del prosciutto Crudo che avveniva fuori regione. Con l’entrata in campo di Marco e Paolo, figli di Nadia, l’azienda si è rinnovata rinforzandosi e avviando la produzione del Crudo di Cuneo DOP. «Nella consapevolezza del valore del nostro territorio, si è deciso di investire in un nuovo impianto per produrre in loco anche il prosciutto crudo e per valorizzare maggiormente il prodotto abbiamo ricercato una località di montagna» spiega Nadia Marchisio, contitolare dell’attività. «Senza consumare ulteriore suolo, abbiamo scelto come edificio di stagionatura un vecchio albergo in disuso e l’abbiamo recuperato rispettando al massimo la struttura. Altro pregio importante della località è dato dalla pineta circostante l’edifico: l’aria fresca alpina si addice alla lenta stagionatura dei prosciutti, con la natura che ci regala umidità e temperature perfette allo scopo. In questo modo non si inquina con l’impiego di gas ed elettricità, altrimenti necessari per il funzionamento degli impianti di condizionamento, che sono sì presenti, ma che si attivano unicamente in alcuni periodi dell’anno quando le temperature sono troppo rigide o eccessivamente elevate. Stagionatura Marchisio, da sempre legata al proprio territorio e alla regione Piemonte, con grande soddisfazione ha deciso di produrre in questo sito anche il prosciutto Crudo di Cuneo DOP. Entriamo come soci nel Consorzio di tutela e promozione del Crudo di Cuneo col quale collaboriamo in numerose iniziative per la sua valorizzazione ed intendiamo implementare la produzione di quest’eccellenza della salumeria piemontese». Il prosciutto Crudo di Cuneo DOP è un prodotto di salumeria stagionato nell’area di produzione definita dal Disciplinare e ottenuto dalla lavorazione di cosce fresche di suini pesanti 170-180 kg, appartenenti alle razze Large White italiana, Landrace italiana e Duroc italiana e di loro incroci. Il prodotto si
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caratterizza per un’ottimale copertura di grasso e un colore della parte magra rosso uniforme. Inizialmente il prosciutto Crudo di Cuneo DOP era commercializzato solo nelle salumerie e gastronomie tradizionali (normal trade). Successivamente si è aperta la commercializzazione verso i ristoranti di qualità alta. Oggi è possibile reperire il prosciutto Crudo di Cuneo anche nella DO e GDO, affettato e confezionato in vaschetta in atmosfera controllata. La produzione attuale è soggetta a stagionature lunghe, oltre 18 mesi o addirittura oltre 24 mesi. Essa deve avvenire in locali idonei, dotati di aperture che garantiscano un buon ricambio d’aria. Nelle prime fasi della lavorazione (salagione e riposo) le temperature
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sono piuttosto basse, intorno ai 2-8 °C, mentre nel periodo della stagionatura si alzano fino a 18-20 °C. A Lurisia la stagionatura del Crudo di Cuneo DOP avviene in fresche cantine adiacenti alla montagna, dove le cosce restano appese per almeno 18 mesi.
La Stagionatura Marchisio di Lurisia sorge a 700 m slm in quella che fu la sede del prestigioso Grand Hotel Radium costruito in pietra quasi cent’anni fa ai piedi del Monte Pigna.
>> Link: www.stagionaturamarchisio.it
>> Link: prosciuttocrudodicuneo.it
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I primi dieci anni del MuSa La storia di un museo unico nel suo genere raccontata da Filippo Villani a “casa” di Sonia Peronaci i sono aperti nello spazio di Sonia Factory a Milano i festeggiamenti per i dieci anni dall’apertura del MuSa, il primo museo della salumeria in Italia creato da VILLANI SALUMI. Tre secoli di cultura del salume custoditi a Castelnuovo Rangone (MO) grazie alla famiglia Villani e in particolare a Giuseppe Villani, che ha fortemente voluto la realizzazione di questo museo per valorizzare e tramandare l’arte e l’artigianalità della salumeria, di cui l’azienda che porta il suo cognome è protagonista fin dal 1886. Il percorso del MuSa è unico nel suo genere, un tempio della salumeria italiana nel cuore della Food Valley che ne narra passato e presente tramite testimonianze materiali, immagini, video, storia delle produzioni ed esposizione di antichi macchinari, con il supporto delle tecnologie multimediali. Il museo si articola su tre piani espositivi. Si va dal racconto degli aromi e dei sapori fino a quello delle maestrie e delle tecniche utilizzate nella produzione dei salumi, tra cui l’arte del taglio — concepita come “atto gastronomico” — per poi giungere al territorio e ai mestieri, quelli in cui sono le persone, gli artigiani, gli attori protagonisti di un processo culturale in grado di garantire unicità attraverso il proprio sapere. Nessuna macchina potrà mai sostituire il lavoro di un disossatore, la mano sapiente di un salatore, la precisa tecnica di un insaccatore e
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Sonia Peronaci con Filippo Villani.
Premiata Salumeria Italiana, 6/23
A sinistra: Mortadella Bologna IGP “La Santo”, la mortadella storica di Villani Salumi, delicata, profumata e molto digeribile grazie alla lenta cottura in stufa e al lieve condimento con spezie e aglio fresco. A destra: San Daniele DOP stagionato 30 mesi. di un legatore, il controllo maniacale di uno stagionatore. Una parte del museo è dedicata alla storia della famiglia Villani e ai salumi regionali d’Italia, che la Villani propone all’interno della propria gamma di vendita. Un’importante novità è infine l’esposizione di una copia originale dell’Editto della Mortadella, emanato dal Cardinal Farnese nel 1661, che regolamentava la ricetta e il luogo di produzione della mortadella, che non poteva essere fuori dalle mura della città di Bologna. Villani ancora oggi è fedele a entrambi i principi, ovvero il mantenimento della ricetta originale (spalla di suino, gola, trito di prosciutto, pepe in grani e un pizzico d’aglio, il tutto insaccato in vescica naturale e poi stufato) e ha continuato a produrla nel capoluogo emilianoromagnolo.
Premiata Salumeria Italiana, 6/23
Lo showcooking da Sonia Factory La festa per il decennale del MuSa è iniziata con lo showcooking di Sonia Peronaci, che ha coinvolto FILIPPO VILLANI, direttore generale di Villani Salumi, in un dialogo sul MuSa, condito da racconti e curiosità sui salumi che hanno
fatto la storia dell’azienda. Durante lo showcooking la Peronaci ha interpretato il racconto dei salumi Villani esaltandone le caratteristiche artigianali e le peculiarità singole, realizzando creazioni come i Cannoli di pasta fillo con crema di broccoli e Prosciutto di San Daniele DOP 30 mesi con fonduta di caprino al
Il MuSa, il Museo della Salumeria realizzato da Villani Salumi a Castelnuovo Rangone, in provincia di Modena, compie dieci anni e lo fa ribadendo la propria identità di progetto culturale in evoluzione: un punto di riferimento per i cultori e gli appassionati della salumeria, un’arte profondamente territoriale da far conoscere e tramandare alle nuove generazioni
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Uno scatto all’interno del MuSa a Castelnuovo Rangone (MO). profumo di agrumi o il Finto raviolo di Coppa Rinomata con robiola alle erbette di campo e limone con maionese al peperone. In degustazione in purezza anche alcuni prodotti di punta dell’arte norcina emiliana come il Culatello di Zibello DOP, che si contraddistingue per l’aroma inconfondibile conferito dalla lunga stagionatura di oltre 16 mesi nelle cantine in cotto di Antica Ardenga Villani, nella Bassa Parmense, o il Salame Settecorde: legato a mano per conferire la tipica forma del salame fatto in casa, segue una stagionatura lenta per più di due mesi che conferisce al prodotto un profumo ed una dolcezza di altri tempi. Secondo la tradizione contadina i 7 giri di corda definivano la quantità giornaliera che una famiglia poteva permettersi. Il settimo giro era quello più abbondante dedicato al giorno di festa, la domenica.
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Villani Spa nasce nel 1886 a Castelnuovo Rangone in provincia di Modena: 137 anni di storia ne fanno una delle realtà più longeve del settore della salumeria in Italia. Il Gruppo conserva un’impostazione familiare con un passaggio generazionale fatto di valori tramandati e diffusi dall’Emilia al mondo. L’azienda è in continua crescita: nel 2022 ha superato i 146 milioni di fatturato ed è presente in più di 10.000 punti vendita in Italia e all’estero tra salumerie e gastronomie, con una quota export che copre il 39% del fatturato. Qualità e cura dei dettagli sono da sempre il comune denominatore dell’azienda che, seppur contemporanea e orientata al miglioramento, sceglie da sempre di valorizzare l’unicità dei suoi artigiani e il frutto del loro lavoro. «Crediamo nelle persone e nel talento delle mani — sostiene Filippo Villani — le macchine sono al servizio dell’uomo e non viceversa. Ci sono mani che nessuna macchina potrà mai sostituire: quelle dei nostri maestri, esperte e sensibili, che compiono mestieri custoditi gelosamente e tramandati nel tempo». >> Link: www.villanisalumi.it
Premiata Salumeria Italiana, 6/23
Marcello Palmieri ambasciatore della Confraternita del Gnocco d’Oro Con una premiazione nella bellissima Piazza Grande nel centro di Modena, è stato nominato ambasciatore della Confraternita del Gnocco d’Oro Marcello Palmieri, titolare insieme ai fratelli del Salumificio Mec Palmieri di San Prospero (MO), dove viene prodotta l’unica e inconfondibile mortadella Favola, riconosciuta per ben sei volte come Miglior mortadella d’Italia dalla Guida Salumi d’Italia. Una pagina di storia della salumeria italiana racchiusa in un insaccato composto da sole carni italiane pregiate, sale integrale dolce di Cervia, aromi naturali e miele d’acacia, cotto nella cotenna sottile e naturale. «Siamo molto orgogliosi di ricevere questo premio prestigioso, attribuito alle più alte figure della cultura e dell’enogastronomia» ha commentato Marcello Palmieri. «Questo importante risultato è un riconoscimento alla nostra costante attenzione all’innovazione e al nostro amore per il territorio, sinonimo di eccellenza e di alta qualità, e per la sua valorizzazione». Il titolo dal 2011 ad oggi è stato assegnato a 41 figure di spicco dell’enogastronomia nazionale che si sono distinte per aver contribuito a raccontare l’Emilia, promuovendo le eccellenze regionali e contribuendo a celebrare i valori della tradizione e della tipicità.
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>> Link: palmierisalumi.it
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Acetaia Sereni, UN SUCCESSO DI FAMIGLIA di Federica Cornia
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o sguardo spazia tra i filari di Lambrusco e di Trebbiano, segue i profili ondulati delle colline, si tende oltre l’orizzonte. Tutt’intorno è quiete. Ci troviamo in provincia di Modena, località Villabianca, sulla collina tra Marano sul Panaro e Castelvetro, lontani dal traffico e dal caos della città. Zona nota per la produzione di Lambrusco Grasparossa, qui il protagonista è però un’altra eccellenza del territorio: l’aceto balsamico.
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Ci troviamo presso la Tenuta Sereni, azienda agricola che coniuga l’attività produttiva dell’acetaia con quella ricettiva dell’agriturismo, con un ristorante che propone piatti tipici della tradizione gastronomica modenese realizzati con prodotti di propria produzione e camere ampie e confortevoli affacciate su panorami mozzafiato. L’azienda è prossima al compimento del secolo ma lo sguardo è proiettato al futuro e ha salde basi nel presente.
Terrazza Sereni, la sala degustazione dal design moderno che combina con eleganza e semplicità ferro, legno e vetro, è l’ultima nata della tenuta, luogo in cui gli assaggi di aceto balsamico e degli altri prodotti dall’azienda diventano una vera e propria esperienza immersiva e multisensoriale. Chissà che direbbe oggi nonna Santina vedendo la tenuta, lei che è stata origine di una storia dal sapore famigliare che si è trasformata nel
Premiata Salumeria Italiana, 6/23
tempo in una storia imprenditoriale di successo. È lei che circa un secolo fa acquistò le prime botti e iniziò a produrre aceto balsamico per uso personale e familiare. Dopo di lei il figlio Attilio, commerciante di frutta, mantenne viva l’attività della madre e la ampliò. Nel 1982 Pier Luigi, figlio di Attilio, e la moglie Elisabetta, trasformarono questa eredità in una vera e propria attività commerciale e cominciarono a vendere l’aceto. «Da allora, con il mercato in continua evoluzione, le opportunità di crescita non sono di certo mancate e non mancano nemmeno oggi, soprattutto all’estero. Tutto questo, negli anni, ci ha permesso di spostare la produzione dalla sede iniziale di Marano a quella attuale». A parlare è Francesco Sereni, secondogenito di Pier Luigi, impiegato in azienda come tutti i componenti della famiglia, ognuno a seguire una parte dell’attività che ruota intorno alla Tenuta: Pier Luigi, il padre, si occupa della produzione dell’aceto dall’uva alla bottiglia, Francesco della parte commerciale, il fratello Umberto
dell’agriturismo, Elisabetta, la mamma, dell’amministrazione. Manca Federica, la più piccola, che si unirà all’attività finiti gli studi. Una certa dose di intuito, miscelata a coraggio e passione, supportati da un mercato in espansione, sembrano essere i tratti distintivi della leadership aziendale fin dagli albori, tutti aspetti che hanno favorito la crescita costante dell’azienda fino a portarla ad essere la realtà che è oggi: nel ’99 avviene l’acquisto del terreno dove sorge la tenuta e nel 2011 nasce l’agriturismo. Scelta che si è rivelata lungimirante: «Oggi, sia grazie ad aziende come la Ferrari che all’attività dello chef Massimo Bottura sono molti i turisti stranieri che vengono in visita da noi. Nessuno all’epoca se lo sarebbe immaginato, tanto che a mio padre tutti dicevano che era pazzo. Oggi invece queste sono zone molto battute da una clientela anche molto esigente, da turisti che magari sono già stati in Italia e hanno già visitato le città di maggior interesse e che tornato alla ricerca di esperienze diverse, chiedendo servizi di alta qualità».
L’agriturismo, con il ristorante e le cinque camere, oggi risponde perfettamente alle esigenze di un incoming turistico curioso della cultura gastronomica del territorio e delle sue bellezze anche paesaggistiche. Così come le visite, i tour guidati e le degustazioni in azienda. «Quest’ultimo è lo strumento principe che abbiamo per fare comprendere il nostro prodotto». Perché nel comparto bisogna considerare anche il problema della confusione prodotta tra i consumatori dalle glasse, prodotti artificiali molto dolci, con elevata densità, che non hanno niente a che fare con l’aceto balsamico fatto di sola uva. Ed eccoci proprio all’aceto balsamico, core business di Sereni. Tutte le fasi produttive, ad iniziare dal vigneto, sono in loco: «Coltiviamo noi i nostri vigneti. I nostri balsamici sono fatti con le nostre uve, uve di Trebbiano modenese e Lambrusco Grasparossa che maturano su queste colline caratterizzate da un terreno calcareo e argilloso. È un’ottima zona per coltivare le uve. Naturalmente le rese, le tecniche di produzione e di raccolta sono diverse da quelle utilizzate nelle zone in pianura. Noi la chiamiamo
A pagina 58: degustazioni di aceto balsamico abbinato a prodotti tipici del territorio sulla Terrazza Sereni, ultima nata dell‘omonima tenuta a Villabianca, frazione di Marano sul Panaro, Modena. In alto: i vigneti intorno alla tenuta.
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Le batterie dell’acetaia Sereni. La produzione di Aceto Balsamico IGP e di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP è distribuita in due sale differenti. Per entrambi vengono utilizzate le stesse uve ma, mentre l’IGP è fatto da mosto cotto e aceto di vino, per la DOP si utilizza solo mosto cotto. L’IGP affina in botti grandi ed indipendenti l’una dall’altra, mentre la DOP affina in batterie di botti di grandezza diversa e di legni differenti. Infine, l’invecchiamento dell’IGP va da un minimo di 60 giorni ad oltre 3 anni e quello della DOP è di almeno 12 anni. Oltre i 25 anni si parla di Aceto Balsamico Extravecchio. L’imbottigliamento dell’IGP non richiede particolari bottiglie; l’Aceto Balsamico DOP, invece, è imbottigliato unicamente nelle ampolle sferiche di Giugiaro da 100 ml. Alta Modena. Ci piace identificarci e presentarci come azienda di collina». Francesco ci tiene anche a sfatare una certa visione romantica della produzione d’aceto balsamico: «Qui non facciamo l’aceto come 100 anni fa. Usiamo tecnologie e macchinari che permettono di realizzare un buon prodotto, sano, in condizioni di massima igiene. Facciamo aceti balsamici moderni, usiamo la tecnologia, ci serviamo delle temperature controllate. Vogliamo l’azienda ordinata e pulita per un prodotto all’avanguardia».
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Nascono così l’Aceto Balsamico IGP e l’Aceto Balsamico tradizionale di Modena DOP di Sereni. Divisi in azienda in due sale distinte, la scelta va dai prodotti più semplici ai più invecchiati, fino ad arrivare agli extravecchi di 40, 50 e 60 anni. La famiglia Sereni ha poi sviluppato anche un’interessante gamma di condimenti agrodolci. Che sia Aceto Balsamico di Modena IGP o Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP o altro condimento agrodolce il mercato c’è ed è soprattutto estero. La domanda in Europa si concen-
tra nel Nord, in Germania, Svizzera, Olanda, Austria, Svezia e Belgio. Per quel che riguarda i Paesi extra-UE, i mercati principali sono Stati Uniti e Canada. «Stiamo registrando una certa crescita anche in Asia, Giappone, Sud Corea, Hong Kong». E un occhio è già puntato sulla Cina. C’è soddisfazione poi per questo 2023 che sta per chiudersi: «L’azienda ha registrato una crescita anche in tempi in cui il settore, sempre più esigente, non ha registrato grandi risultati» ci dice Francesco. E annuncia il lancio di nuovi prodotti nel prossimo anno, che saranno disponibili sul mercato entro la primavera del 2024. «Uno lo abbiamo già presentato. Sono tutti i prodotti innovativi su cui puntiamo molto». La filosofia è sempre quella: realizzare prodotti di alta qualità. «Non ci interessa la GDO, noi puntiamo a intercettare quelle nicchie di consumatori particolarmente interessati a prodotti di alta gamma che danno priorità a concetti come qualità, filiera, a quanto sia sano un prodotto e che per questi motivi sono disposti a pagare qualcosa di più se effettivamente il prodotto è il risultato di queste premesse. A volte noi Italiani abbiamo la presunzione di essere gli unici ad amare il buon cibo, ma non siamo i soli». Quindi, con cosa abbinare l’aceto balsamico Sereni? Francesco suggerisce piatti semplici, perché la complessità è già nell’aceto balsamico, prodotto che ha una forte personalità già di suo. «Un abbinamento classico è con un carpaccio di manzo o con la bresaola ma è ottimo con qualsiasi tipo di verdura, sposandosi bene anche a tutti i primi piatti di pasta ripiena, ad esempio sui ravioli al radicchio. Può anche finire sul dessert e sul gelato e, perché no, nei cocktail e nei drink: «Siamo appena tornati dal Merano WineFestival e quindi siamo freschi di test sui distillati. Abbiamo sperimentato abbinamenti con diversi gin. Lì la parola però la lascio a bartender e consumatori finali». Federica Cornia Azienda Agricola Sereni Pier Luigi Via Villabianca 2871 41054 Marano sul Panaro (MO) Telefono: 059 705105 E-mail: info@acetaiasereni.com Web: acetaiasereni.com
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Ventricina e salumi abruzzesi BIO: intervista ad Antonio Antenucci
VERDEBIOS: IL NOSTRO SEGRETO È IL “MICROBIOTA” di Gaia Borghi 62
Premiata Salumeria Italiana, 6/23
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a sua ventricina biologica è risultata, per la seconda volta, la vincitrice dell’oro all’ultima edizione del Campionato italiano del Salame nella sezione “Salami ottenuti da carni di maiale a manto scuro”, entusiasmando la giuria di cui facevo parte (si veda l’articolo dedicato all’evento a pagina 80). Otto mesi circa di stagionatura naturale per un salume identitario dello splendido territorio del Vastese, in Abruzzo, dal peso di 1 chilo e 350 grammi, ottenuto con le carni selezionate (70% di carni magre e 30% di grasso) di suino Nero d’Abruzzo allevato allo stato semi-brado, poi tagliate a punta di coltello, addizionandole con una limitata quantità di spezie così da non coprirne il sapore: peperone dolce, finocchio, pepe e giusto un pizzico di peperoncino piccante, tutti ingredienti biologici, più sale fino. Una ventricina che ha messo tutti d’accordo al primo assaggio: buonissima, profumata, dall’aspetto rustico e dall’ottima masticabilità ma, soprattutto, dotata di un perfetto equilibrio di sapori così difficile da ottenere e da trovare.
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Quando mi sono avvicinata per fargli i meritati complimenti, ANTONIO ANTENUCCI, titolare dell’azienda agricola biologica multifunzionale VerdeBios di Celenza sul Trigno, in provincia di Chieti, mi ha risposto sorridente con un «Sono arrivato qui sicuro». E da dove derivi tanta sicurezza lo si capisce non appena ci si ferma a parlare in maniera più approfondita con Antonio, i cui prodotti lo rispecchiano al 100%, essendo legati saldamente a quei principi di vita che lo hanno portato 13 anni fa, appena terminati gli studi, ad aprire insieme alla moglie Stefania Tenace e a Luigia Tenace, la cognata, un’impresa che dispone di diverse filiere produttive (dall’allevamento dei suini all’olio alla coltivazione di cereali, grano e farro) ma, contemporaneamente, riunisce attorno a sé una rete “fatta di persone, aziende, piccoli imprenditori, ricercatori e agricoltori uniti dalla passione per l’agricoltura biologica”, si legge nel sito aziendale, e che intende “dar voce alle persone che giorno dopo giorno lavorano e curano il proprio territorio in modo sostenibile ed attento”.
Oltre a ciò, la certezza di Antonio ha tutta la forza di un progetto durato quattro anni e realizzato in collaborazione con l’Università degli Studi del Molise proprio sulla razza autoctona del suino Nero d’Abruzzo. «Il “Progetto Demetra” ha coinvolto diverse aziende operanti nel comparto del biologico» mi racconta Antonio. «Noi siamo stati scelti in particolare per fare ricerca sulla razza autoctona del Nero abruzzese, con la quarantina di capi che alleviamo in azienda allo stato semi-brado con un’alimentazione biologica a base di granaglie e cereali quasi esclusivamente di nostra produzione. Macelliamo 2/3 capi a settimana, in un macello poco distante dall’azienda che raggiungiamo con i nostri mezzi, in modo da garantire al massimo il benessere animale. Sono animali molto diversi rispetto al passato, selezionati nel tempo a livello genetico dagli allevatori. Per il progetto abbiamo collaborato con il professor FABIO PILLA, responsabile dell’unità operativa “Recupero e valorizzazione di razze autoctone“. E, grazie alla ricerca, posso confermare che abbiamo ottenuto
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In alto: le ventricine in stagionatura. In basso: Antonio Antenucci con la moglie Stefania e la cognata Luigia Tenace. VerdeBios produce anche un olio extravergine di oliva biologico estratto a freddo, una piccola produzione dalle varietà Gentile di Chieti, Moraiolo, Ramagnele e Leccino, ricchissimo di polifenoli. Gli oliveti di proprietà, situati ad un’altitudine compresa tra i 350 e i 500 m slm, in una zona particolarmente vocata alla loro coltivazione, non ricevono alcun trattamento.
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diversi miglioramenti ben percepibili nelle carni e nei salumi, ad iniziare ad esempio dal colore della ventricina, molto meno scuro, e quindi più “appetibile” dal punto di vista dell’acquirente, il semplice consumatore o il ristoratore, o il minor livello di ossidazione di prodotto e, di conseguenza, la maggior stabilità del salume dopo l’apertura del sottovuoto. E ancora, una miglior marezzatura delle carni, ovvero la percentuale di grasso microfiltrato all’interno del muscolo, un elemento fondamentale che consente al salume di stagionare più lentamente e mantenere una grande morbidezza, oltre a donargli un profumo più piacevole. Io credo che il mondo della ricerca serva proprio a questo: a portare un miglioramento della produzione, andando magari incontro alle richieste che arrivano dal mercato, senza che ci si debba “snaturare”, modificare la propria filosofia, i propri principi». Con le carni di Nero abruzzese Antonio Antenucci, che si occupa della produzione dei salumi in prima persona,
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realizza anche il prosciutto e la lonza, molto apprezzati dai consumatori più giovani a suo dire, e il capollo, oltre alle salsicce, anche di fegato, prodotti della tradizione norcina regionale tutti certificati biologici. Un integralista del bio e un laboratorio di stagionatura vista Maiella «Io mi definisco un integralista del biologico» mi dice ancora Antonio. «In azienda seguiamo i principi dell’agricoltura biodinamica che si basano sull’antroposofia di RUDOLF STEINER, per cui ogni cosa, ogni elemento, sarebbe legato all’altro in maniera circolare, la terra, le piante, gli animali e noi per primi. In un’azienda così non esiste qualcosa che sia considerato uno scarto, perché il cosiddetto scarto di una produzione diventa la base o, comunque, l’elemento funzionale per un‘altra. Ed è in questo modo che si crea il “microbiota”, qualcosa solo nostro, personalizzato, che non può essere replicato in un altro luogo, quella biodiversità essenziale per realizzare i
nostri salumi, l’olio, le farine, in maniera completamente naturale e assolutamente unica, non riproducibile in una produzione a livello industriale o tramite la chimica». La stagionatura dei salumi ad esempio avviene in un laboratorio studiato appositamente da Antonio con esposizione a nord, proprio di fronte al massiccio della Maiella. «La stagionatura dei salumi avviene lentamente, con un processo di fermentazione a freddo che regala ai prodotti un profumo unico e inconfondibile, molto, molto diverso da quello che possono avere i salumi stagionati in una cella o utilizzando starter». VerdeBios si trova ad una quarantina di minuti di auto dal litorale, in un‘area marginale interna della regione che ha caratteristiche specifiche e a cui Antonio è molto legato. «Razza autoctona, agricoltura e allevamento biologico e territorio interno sono le parole chiave del nostro successo all’insegna della sostenibilità e del rispetto dell’ambiente e dei suoi ritmi». Una piccola azienda, che al momento si rivolge direttamente al consumatore
finale attraverso un bel punto vendita in centro a Vasto, una località turistica molto frequentata grazie soprattutto alla bellezza del mare cristallino vanto di tutta la zona nota come Costa dei Trabocchi. «La nostra è una piccola realtà ma nel comparto del biologico siamo comunque concorrenziali rispetto ad aziende di dimensioni molto maggiori grazie anche alla normativa che disciplina il bio. Inoltre, sempre all’interno del comparto biologico, quella della carne e dei salumi è una nicchia ancor più piccola e, grazie alla qualità delle nostre produzioni, ci siamo ritagliati il nostro spazio. La richiesta d’altronde c’è, non manca, anche e soprattutto dall’estero: proprio per questo stiamo pensando ad un ampliamento del laboratorio di trasformazione e stagionatura e ad ottenere il bollo CE, così come ad attivare la sala di degustazione che è pronta da tempo ma finora non è mai entrata in attività». Gaia Borghi >> Link: www.verdebios.it
La Dispensa, esempio virtuoso DI INCLUSIVITÀ Il progetto di Oasi Dynamo FoodCo lega i prodotti del territorio alla cosa più bella del mondo, il sorriso dei bambini di Elena Benedetti
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cco una storia veramente bella sia da raccontare che da conoscere e mai come in questo momento ce n’è un gran bisogno. Una storia che parte da un’idea, un progetto, una visione, quella che spinse Vincenzo Manes, a capo di KME Group, il primo e più importante produttore di semilavorati in rame d’Europa, a costituire nel 2007 la Fondazione Dynamo e Dynamo Camp. Quest’ultimo è ospitato all’interno di un’oasi del WWF di oltre 1.000 ettari, nella provincia pistoiese dell’Appennino toscano, più precisamente a Limestre,
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In primo piano Easy di Criocabin con l’impiego di condensatori a filo di serie garantisce la riduzione del 75% degli interventi di manutenzione ordinaria. Nell’arredo de La Dispensa la scelta del “total black” fa risaltare alla perfezione il cibo esposto.
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Enixe EK200 by Criocabin è un prodotto di refrigerazione ventilata. È studiato per dare massima esposizione alla merce grazie alle sue linee semplici e alle superfici piane ed ha un design di tendenza. Lungo la parete, al centro due Murali Self Service Ethos 800 Show.
che offre gratuitamente programmi di terapia ricreativa con assistenza specifica a bambini affetti da patologie gravi o croniche, ai loro genitori, e ai fratelli e sorelle sani. Al di fuori dei
periodi tradizionali del campo estivo opera anche Oasi Dynamo: l’obiettivo è quello di garantire un’assistenza continua, offrendo attività ricreative, terapie mirate e un sostegno costante
ai bambini affetti da patologie croniche o disabilità e alle loro famiglie durante tutto l’arco dell’anno. Successivo step del macro-progetto Dynamo è stata la costituzione di Oasi Dynamo FoodCo, che
Dynamo Camp è un camp di terapia ricreativa che ospita bambini affetti da patologie gravi o croniche e le loro famiglie per periodi di vacanza e divertimento. Il camp, situato in un’oasi affiliata WWF in provincia di Pistoia — Oasi Dynamo —, offre attività e laboratori condotti col metodo della terapia ricreativa e assistenza di staff qualificato. In che cosa consiste la terapia ricreativa? È un approccio che consiste nell’affrontare malattia — e disabilità correlate — focalizzandosi sulle capacità e sulle potenzialità dei bambini, sperimentate attraverso attività divertenti, inclusive e sfidanti, svolte con assistenza qualificata. Questa è la base scientifica che ispira l’attività di Dynamo Camp, come obiettivo il divertimento, ma anche e soprattutto la promozione della fiducia in sé stessi con benefici di lungo periodo (photo © facebook.com/dynamocamp).
>> Link: dynamocamp.org
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offre prodotti biologici di alta qualità, frutto di pratiche agricole tradizionali, rispettose dell’ambiente e del territorio, col coinvolgimento sia di altri produttori locali che condividono gli stessi principi di solidarietà, inclusività e, non ultimo, sostenibilità. Ultimo e più recente tassello di questo progetto è stata l’apertura, lo scorso settembre, de La Dispensa, presso lo stabilimento KME di Fornaci di Barga (LU) che è vendita di prodotti, caffetteria e ristorante. «La Dispensa si ricollega al welfare aziendale per i dipendenti e le loro famiglie ma è anche aperta a clienti esterni all’azienda che possono effettuare acquisti di prodotti e sostare per una colazione, un pranzo o un caffè, contribuendo così a sostenere così Dynamo» mi spiega Francesco Giubile, consulente per la comunicazione di KME. «Questo locale è uno degli spinoff del progetto che riguarda l’attività di agricoltura biologica e il tutto all’insegna della sostenibilità ambientale e sociale. Promuove infatti un rapporto diretto con i produttori del territorio, con le aziende agricole della Valle del
Serchio, all’insegna di quell’inclusività che sta alla base della visione di KME» sottolinea Giubile. Il locale, progettato dall’architetto Maria Elena Andreacchi di Localiarreda, è ampio e accogliente e realizzato con la collaborazione di Criocabin Spa, l’azienda padovana leader nella creazione di banchi e celle frigorifere. «Offriamo un’ampia varietà di prodotti super selezionati del territorio per l’acquisto in bottega — mi dice Caterina Frediani, responsabile de La Dispensa — oltre all’accoglienza nel locale per una colazione, un break a pranzo, un aperitivo». L’offerta di prodotti esposti nei banchi Criocabin comprende salumi tipici toscani, tra cui il Boccone della Garfagnana, le creme di lardo, il lardo di Colonnata e altre meraviglie salumiere che in Toscana raggiungono l’eccellenza! Ci sono poi latticini, prodotti essiccati, zafferano, tante erbe e aromi dei vicini produttori, della società agricola Oasi Dynamo e prodotti a marchio Oasi Dynamo FoodCo. Elena Benedetti
La Dispensa c/o KME Group Spa Via della Repubblica 257 55051 Fornaci di Barga (LU) Web: dynamocamp.org Criocabin Spa Via S. Benedetto 40/A 35037 Praglia di Teolo (PD) Telefono: 049 9909122 E-mail: info@criocabin.com Web: www.criocabin.com
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Simone Franceschini, terza generazione di una famiglia dedita alla norcineria, con la sua mortadella Opera. Un prodotto a cui è profondamente legato, con una ricetta semplice che rende la mortadella estremamente digeribile.
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leggerlo bene, quello che molti indicano come primo documento che descrive la mortadella, risulta più idoneo a rappresentare più una salama da sugo. “A fare mortadella di carne”, scrive CRISTOFORO DA MESSISBUGO a metà del Cinquecento, “prima bisogna pigliare le budelle di porco”. E fin qui tutto bene, ma quello che molti considerano il manifesto originario della mortadella lascia poco spazio all’immaginazione qualche riga più sotto dove, dopo sale e pepe, leggiamo che conviene gettare nella carne “cori quattro di porco, milze sei, levesini quattro e una pennola di figato”, a cui si aggiunge vino nero. E non v’è traccia dell’atto finale, forse quello più significativo, ovvero la cottura. Del resto, numerose preparazioni salumiere passavano e passano tuttora sotto il nome di mortadella o simili (per esempio la mortandela della Val di Non). Probabilmente la prima attendibile descrizione di quel salume noto come mortadella si deve a ELLIS VERYARD nel suo diario di viaggi steso tra il 1678 e il 1701 in cui l’elaborato di carni viene
bollito in acqua. Il luogo dove il viaggiatore illustra la mortadella è proprio Bologna, il che soddisfa anche geograficamente le nostre attese. E se infine a quel tempo le “mortadelle vengono spedite in ogni parte d’Europa”, è lecito argomentare che avessero raggiunto la Editio ne varietur già alla fine del XVII secolo. Un’evoluzione ontologica che continua oggi nei piccoli insediamenti artigianali come quello della famiglia Franceschini in Val Samoggia. Bisogna premettere che, dal quel lontano 1701, la mortadella ha ottenuto (con la denominazione Mortadella di Bologna) l’IGP e in questa condizione di salume il cui nome è tutelato si posiziona al secondo posto tra i più consumati in Italia. Mortadella Opera ha scelto consapevolmente di non aderire al Disciplinare che l’IGP impone ma vi sono almeno quattro ragioni per considerare la loro mortadella una felice continuazione di quella fenomenale intuizione felsinea. La prima è che diventano mortadella, anzi, mortadella Opera, carni sicure e selezionate di sola origine italiana. Un
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Impasto finissimo di carni a lenta cottura di solo suino pesante italiano, pepe bianco, pepe nero e sale, la mortadella Opera del Salumificio Franceschini ha un gusto delicato, il classico colore roseo e il profumo naturale inconfondibile di questo simbolo della norcineria felsinea. altro aspetto, spiega Simone Franceschini, terza generazione dedita alla norcineria, «sta nella scelta di materie prime: spalla, gola e lardelli di gola. L’utilizzo di soli aglio e pepe bianco macinato direttamente in azienda e pepe nero in grani, con la totale assenza di aromi e zuccheri lo rende un prodotto semplice, di estrema digeribilità». Neppure altre sostanze come polifosfati, glutine e lattosio fanno parte degli ingredienti. Il quarto e ultimo elemento riguarda il contenuto tecnico delle operazioni, con una cottura estremamente lenta alla quale seguono un rapido raffreddamento e la stabilizzazione in grado di garantire al prodotto le caratteristiche organolettiche più significative come il colore roseo, la morbidezza e l’aroma. «Queste cure sono indipendenti dal peso della mortadella, che varia dai
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1.200 grammi ai 30 kg. E, benché io sia un grande estimatore dello zampone, la mortadella rimane nel mio cuore perché è una creazione alla quale ho fornito un contributo sostanziale nella predisposizione della ricetta e del lancio commerciale» prosegue. Il passaggio è stato efficace e concreto: dai 400 kg per settimana si è passati ai 3.600 kg prodotti. In anni meno recenti era il salame Campagnolo a fare la parte del leone tra i salumi dei Franceschini: «il gioiello di famiglia della nostra storia, quello che meglio rappresenta le radici di mio nonno Primo e dell’azienda stessa. Rimane intoccabile nella ricetta e nella presentazione aziendale: sempre legato a mano, dalla macinatura delle carni grossolana ed evidente piumatura indice di perfetta stagionatura. Fette larghe un
dito che rendono perdonabile il peccato peggiore: quello di portare la fetta in bocca con la forchetta. «L’altro prodotto di cui tutte le persone con qualche anno alle spalle si ricordano è il Salame rosa. Era in voga negli anni Sessanta, quando mio nonno aprì la prima bottega e lo spaccio dei salumi. Ne sono rimasti affezionati in molti e quell’impasto a metà strada tra mortadella e salame affascina anche me», strizzando l’occhio ad un passato che sente a suo. Riccardo Lagorio Salumificio Franceschini Via Valle del Samoggia 6927 Loc. Castello di Serravalle 40053 Valsamoggia (BO) Telefono: 051 6708010 Web: salumificiofranceschini.it www.mortadellaopera.com
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Lo Zampone e il Cotechino del Salumificio Bazza
PRECOTTI SÌ MA CON LA TINDALIZZAZIONE di Gaia Borghi
osa sarebbero il Natale o il Cenone di Capodanno senza il Cotechino e lo Zampone? Ad oggi, nel nostro Paese, pare siano davvero in pochi quelli che possono o vogliono rispondere a questa domanda. A guardare i dati
C
relativi alle spese e ai consumi delle festività 2022, infatti, stante le mode e le tendenze green, le rinunce a questo o a quell’alimento, i gusti delle nuove generazioni e i desideri anche comprensibili di sperimentazione, i due insaccati resistono inattaccabili su podio
dei prodotti natalizi sine qua non, anche per i nostri connazionali residenti all’estero. Beneauguranti se accompagnati da una montagna di lenticchie o, per cambiare tipologia di legume, tuffati in una pentola gigante di fagioli bianchi di Spagna in umido come insegna Bud
Il cotechino precotto del Salumificio Bazza, insaccato in budello naturale, prodotto, a differenza dello zampone, con le parti meno nobili del suino e leggermente speziato. Per le festività di fine anno Bazza produce anche la bondiola cruda, una vera chicca per chi la considera la regina della tavola di Natale (photo © Bazza).
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Lo zampone Bazza viene prodotto con i tagli più prelibati del suino, riempiendo la pelle della zampa dell’animale (photo © Bazza). Spencer; confortanti col classico purè di patate oppure con la polenta, un piatto che si rivela ideale per una tavola fatta soprattutto di condivisione. Insomma, che siate amanti dell’uno o dell’altro (che differiscono, lo ricordiamo, più che altro per il “contenitore”, la pelle della zampa del suino nel caso dello zampone e il budello naturale o artificiale nel caso del cotechino), o, perché no, di entrambi, l’importante resta sempre scegliere un prodotto fatto come si deve. Che, nel concreto, significa ad esempio rivolgersi al proprio macellaio, norcino o salumiere di fiducia se si decide di acquistare l’insaccato fresco o leggere attentamente la lista degli ingredienti nel caso si opti per la tipologia precotta. Giovanni Bazza, titolare dell’omonimo salumificio di Terrassa Padovana (PD), produce salumi utilizzando “solo carni di suini italiani allevati nel territorio, cresciuti naturalmente attraverso una sana e corretta alimentazione” e, particolare che lo distingue sul mercato fin dalla nascita del suo laboratorio di trasformazione carni nel 1995, senza alcun tipo di conservante. Tradizione veneta, legatura a mano e tecnologia all’avanguardia danno vita a salami, soppresse, pancetta, coppa, lonza con lardo e, veniamo a noi, anche
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zampone e cotechino, commercializzati sia crudi, “naturali”, che in versione precotta. Per la preparazione di questi ultimi Giovanni ha deciso nuovamente di scegliere una strada poco battuta optando per la tindalizzazione, un tipo di sterilizzazione ideato dal fisico JOHN TYNDALL. «Per mantenere le caratteristiche organolettiche dei nostri freschi, alla cottura in autoclave, solitamente usata per i precotti, abbiamo preferito la tindalizzazione, ovvero una doppia pastorizzazione o, meglio, una doppia cottura a basse temperature. Ciò ha reso possibile ottenere un precotto che mantiene inalterati profumi e sapori degli insaccati freschi cotti in modo tradizionale» mi racconta. Zampone e cotechino precotto Bazza sono prodotti a scaffale, con conservazione a temperatura ambiente e scadenza a 240 giorni. Per portarli a tavola basterà immergere la busta chiusa contenente l’insaccato in una pentola d’acqua bollente, mantenendo l’ebollizione per 25 minuti circa; quindi, tagliare un angolo della busta e far uscire il liquido formatosi. Servire caldi subito. Buone feste. Gaia Borghi >> Link: www.salumibazza.it
QUANDO LE FETTUCCINE TRADIZIONALI DIVENTANO SPECIALI Una selezione dal Pastificio Marcozzi di Campofilone
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abriele Marcozzi riporta alla memoria un mondo in cui le uova avevano il sapore delle feste, un mondo legato al lavoro delle massaie e a tutto quel calore delle emozioni che nascevano in famiglia attorno ad una tavola. Il suo desiderio è far conoscere in tutto il mondo un modo di mangiare sano e genuino, tipico della Dieta Mediterranea, continuando una tradizione sapiente ed antica del paese natio, Campofilone. E il suo intento è ben riuscito! Accompagnato oggi dalla sorella Barbara e dal fratello Attilio, la passione per le tradizioni e i momenti felici in famiglia continuano a brillare con il marchio Marcozzi di Campofilone. I tre fratelli si ricordano tuttora le mani sapienti della nonna Adelina, che impastava con così tanta cura e delicatezza, tagliava e stendeva con la lama di un coltello i fili dorati su fogli di carta, li faceva essiccare per ore in una stanza ventilata, per preparare poi il vero pranzo della domenica che per tutti significava amore, convivialità e unione attorno ad un piatto di pasta.
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Oggi il pastificio Marcozzi produce la stessa pasta della nonna fatta con altrettanto amore nell’omonimo pastificio a Campofilone. La scelta accurata degli ingredienti — uova da galline italiane allevate esclusivamente a terra e semola di grano duro da migliori campi italiani — è sinonimo di una pasta artigianale di alta qualità 100% made in Italy. Trafilatura al bronzo, stesura sui tipici foglietti di carta alimentari con la lama di un coltello, lenta e graduale essiccazione e bassa temperatura, confezionamento a mano per rispettare tutto il processo di produzione, come tradizione vuole! Il risultato è una pasta dall’aspetto ruvido e poroso, caratterizzata da alta digeribilità e ottima resa in cottura, disponibile nei formati di pasta tradizionali come i famosissimi Maccheroncini di Campofilone che vantano il riconoscimento IGP, oltre ad altre paste lunghe biologiche e a quelle speciali. La scelta si ampia sempre di più e oggi, con tanto orgoglio, il pastificio Marcozzi offre ai clienti anche le sue fettuccine speciali. Ma cos’hanno di così speciale?
Nate per sorprendere i palati più esigenti, le fettuccine all’uovo speciali Marcozzi di Campofilone sono l’unione tra la pasta all’uovo di Campofilone e i più ricercati profumi e sapori della terra. La sfoglia ha una consistenza impeccabile caratterizzata dalla ruvidità e porosità che evidenzia la corretta esecuzione di tutti i processi artigianali. Il gioco diventa ancor più interessante con l’aggiunta di ingredienti solo ed esclusivamente naturali e selezionati come peperoncino, zafferano, tartufo, nero di seppia, funghi, ortica, limone o salvia… E come poter riconoscere se questi ingredienti sono naturali? Basta osservare il colore delle fettuccine che esse assumono dopo l’aggiunta di quel determinato ingrediente e, soprattutto, il loro odore, che è sempre piacevole e che viene esaltato ancora di più durante la cottura. Le fettuccine del Pastificio Marcozzi di Campofilone sono speciali perché fatte con amore e passione per le tradizioni, sono genuine e, soprattutto, perché sono rigorosamente senza conservanti, coloranti, additivi e OGM. Eccone alcune.
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Tra le fettuccine all’uovo speciali Marcozzi di Campofilone ci sono anche quelle ai funghi, delicate e saporite allo stesso tempo. Si prestano ad essere servite molto semplicemente con olio evo e Parmigiano Reggiano o con condimenti più elaborati.
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Fettuccine speciali al tartufo
Fettuccine speciali ai funghi
Fettuccine al tartufo I veri intenditori hanno naso per le cose speciali. Come un buon piatto di Fettuccine al tartufo Marcozzi di Campofilone. Una ricercata specialità che lega il sapore ruvido della pasta artigianale al profumo del pregiato tartufo nero. Da gustare con semplice olio o burro e Parmigiano o con salse a base di funghi. Fettuccine allo zafferano Quando lo zafferano incontra la fettuccina nasce un’esplosione di profumi. Una pasta che fonde il gusto della tradizione marchigiana ad una inebriante nota amarognola dello zafferano coltivato in Italia. Le Fettuccine allo zafferano sono una pasta all’uovo speciale che premia la delicatezza in cucina. Gustose se condite con olio, formaggio
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e prezzemolo. Sfiziose con asparagi, speck e noci. Fettuccine ai funghi Le Fettuccine ai funghi, dal sapore delicato, assicurano un’esplosione di gusto. Facili e veloci da preparare (tutte le fettuccine del Pastificio Marcozzi di Campofilone cuociono in soli 2-3 minuti), basta aggiungere pochi e semplici ingredienti: un filo d’olio e una spolverata di Parmigiano per rendere il piatto semplicemente squisito. Le fettuccine ai funghi si prestano benissimo anche per le creazioni più fantasiose. Buone e facili da preparare Le fettuccine speciali soddisfano le fantasie di molti buongustai grazie all’ampia varietà di scelta offerta dalla famiglia Marcozzi, che ha saputo cogliere con
molta precisione le esigenze dei consumatori. Quando la vita è frenetica e si hanno a disposizione pochi minuti da dedicare alla cucina e a ciò che ci piace davvero, con la selezione della pasta Marcozzi di Campofilone diventa possibile e, soprattutto, davvero semplice farlo! Facili e veloci da preparare e tanta bontà. Degustare per credere!
>> Link: marcozzidicampofilone.it pasta.marcozzi instagram.com/pastamarcozzi
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EVENTI
Campionato italiano del Salame 2023, XVI edizione: i vincitori
L’Ode al Salame DELL’ACCADEMIA DELLE 5T
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ane e salame è un binomio ricco di gusto e ricordi, una colazione-pranzo-merenda appagante e sostanziosa, semplice nella sua rustica presentazione e sostanza e in quella genuina bontà di sapori che gratifica al primo morso. A questa magica accoppiata, e in particolare all’elemento dei due che rappresenta il “contenuto”, il salame, l’Accademia delle 5T — associazione culturale senza scopo di lucro costituita
da aziende e persone che producono, vendono o somministrano prodotti agroalimentari legati al territorio e che si distinguono per tradizione e tipicità — dedica un originale e specifico Campionato, giunto quest’anno alla XVI edizione, al fine di rispondere alla domanda: “Ma esistono ancora i salami genuini di un tempo? E quelli di oggi sono altrettanto sani?”. Le finali della gara si sono svolte il 14 e il 15 ottobre scorso sulle colline Sasso Marconi (BO),
negli spazi bellissimi di Fattoria Zivieri, 80 ettari di prati e boschi con allevamenti (oltre 350 capi di bestiame tra bovini romagnoli, piemontesi e bianchi modenesi, maiali Nero di Parma e Mora romagnola, capre della Val Nerina, galline, capponi, cavalli, asini…), un orto, un punto vendita, un ristorante e camere e appartamenti per l’alloggio di proprietà della famiglia Zivieri. «Abbiamo deciso di ospitare ancora una volta questa due giorni della nor-
Alcuni dei produttori partecipanti alla sfida per il podio dei salami ottenuti da carni di maiale a manto scuro.
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cineria d’eccellenza e, per proseguire nell’intento di far conoscere anche ai non addetti ai lavori l’importanza di una filiera come quella agroalimentare, abbiamo cercato di dare alle due giorni lo spirito ed il sapore di una festa» ha raccontato alla stampa Aldo Zivieri. «Ci piace vedere la nostra Fattoria come un luogo di contaminazione e riflessione, in cui le persone possono rilassarsi, ma al contempo confrontarsi con argomenti appartenenti a mondi diversi, naturale, agroalimentare e artistico». E proprio per quanto riguarda quest’ultimo ambito, l’arte, i diversi ambienti di Fattoria Zivieri ospitavano un’esposizione personale di ALBERTO ZAMBONI intitolata “The Animals”, una serie di monotipi pittorici raffiguranti cinghiali, pernici, fagiani, pavoni con stampa serigrafica fatta a mano su tele di gomma dai colori pop, supporti di metallo e lastre di rame. La gara vera e propria In gara 53 salami per 2 podi (salami ottenuti da carne di maiali a manto rosa e da carne di maiali a manto scuro di razze autoctone), 3 categorie speciali fuori podio (‘nduja, salami con quinto quarto, salami con prevalenza di carni non di maiale) e altri premi speciali. Ad affiancare la giuria ufficiale — formata da Guido Stecchi e Maria Cristina Beretta dell’Accademia delle 5T, docenti universitari e insegnanti di istituti alberghieri, produttori, giornalisti, blogger e veterinari della ASL
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Alcuni momenti della gara con l’assaggio dei salumi da parte della giuria ufficiale presieduta da Guido Stecchi, presidente dell’Accademia delle 5T. —, quest’anno si è aggiunta la giuria consultiva composta dagli studenti dell’Istituto Professionale Alberghiero Luigi Veronelli di Casalecchio di Reno (BO), che, a scopo di esercitazione, hanno compilato le medesime schede utilizzate dalla giuria ufficiale. «L’obiettivo del nostro Campionato — ha puntualizzato in proposito Guido Stecchi, presidente dell’Accademia — non è soltanto quello di “monitorare” i norcini virtuosi, ovvero coloro che,
rispettando il benessere animale e i processi fermentativi senza scorciatoie, soddisfano il palato avendo cura della salute del cliente e dell’ambiente, ma anche quello di essere un importante momento formativo e didattico». «E anche quest’anno — ha aggiunto Maria Cristina Beretta —, segnando una costante crescita qualitativa edizione dopo edizione, i giurati e gli ospiti hanno potuto gustare salami di assoluta eccellenza, come dimostra un divario di
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Produttori, giurati e i ragazzi dell’IPSAR Luigi Veronelli presenti a Fattoria Zivieri per il Campionato italiano del Salame 2023. pochissimi punti nei voti ricevuti dalla stragrande maggioranza dei salami candidati, mentre nessuno ha ricevuto un voto inferiore alla media del 23 su 30, ovvero quasi 8 su 10». Usando la lente di ingrandimento e scendendo nello specifico della presenza regionale, la provincia di Chieti era, come già successo in passato, nuovamente la più rappresentata in questa edizione del Campionato, con 8 salami ammessi dalle giurie alle semifinali, e si è portata a casa ben 3 posti su 6 nei due podii principali, oltre a uno dei premi speciali. La Calabria ha superato l’Abruzzo con 11 prodotti, 4 dei quali ‘nduje. A seguire il Veneto, con 6 salami, Lombardia, Emilia e Marche con 5, Piemonte can 4, Toscana con 3, Trentino con 2 e, infine, con un solo salame, Campania, Basilicata, Lazio e Friuli. Oltre alla provincia abruzzese, un primo posto se lo è aggiudicato la Valsassina (LC), un secondo posto la provincia di Bologna e un terzo la Carnia (UD). E ancora, premi speciali sono andati alla Calabria (4), alla Valsassina, alla Val di Non (TN), all’Oltrepo pavese, alla Basilicata, alle Marche, alla Valpolicella (VR). A seguire la classifica completa.
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Salami ottenuti da carni di maiale a manto rosa 1. Salame delle Grigne maturato nel fieno dell’AZIENDA AGRICOLA IVANO PIGAZZI di Pasturo (LC); 2. Sprusciat di Pizzoferrato sotto strutto dell’AZIENDA AGRITURISTICA AIA VERDE di Pizzoferrato (CH); 3. Salame affumicato di SALUMI MOLINARI di Zuglio (UD). Salami ottenuti da carni di maiale a manto scuro 1. Ventricina biologica di VERDEBIOS di Celenza sul Trigno (CH); 2. Salame gentile di Mora romagnola della MACELLERIA MASSIMO ZIVIERI di Zola Predosa (BO); 3. Ventricina di Pelatella casertana di FATTORIE DEL TRATTURO di Scerni (CH). Categorie speciali fuori podio * Migliore ‘Nduja: ‘Nduja di ENZO IOPPOLO di San Giorgio a Morgeto (RC). * Miglior salame con quinto quarto: Salame tipico Sangiorgese di ENZO IOPPOLO di San Giorgio a Morgeto (RC). * Miglior salame da carni non di solo maiale: Salame suino bovino dell’AZIENDA AGRICOLA IVANO PIGAZZI di Pasturo (LC).
Premi speciali * Premio speciale Coltelleria Valgobbia “Salame dolce e magro del Nord”: Salame di Varzi di ANGELO DEDOMENICI di Santa Margherita Staffora (PV). * Premio speciale Bibanesi “Sopressa del Triveneto”: Sopressa veronese all’Amarone della MACELLERIA CAPRINI TOMMASO di Negrar (VR). * Premio speciale “Salame piccante con peperoncino italiano”: Salsiccia semipiccante IL PARCO DELLE BONTÀ DI CAGGIANO SUMMO di Forenza (PZ). * Premio speciale “Soppressata del Sud Italia”: Soppressata della MACELLERIA FERDINANDO SACCO di Lago (CS). * Premio speciale Rustichella d’Abruzzo “Ventricina abruzzese”: Ventricina del Vastese di SALUMI RACCIATTI di Furci (CH). * Premio Spiga d’oro “Salame di azienda bio”: Salsiccia piccante di Nero di Calabria dell’A ZIENDA AGRICOLA ATENA di San Demetrio Corona (CS). * Premio speciale “Ciauscolo”: Ciauscolo IGP di RE NORCINO di San Ginesio (MC).
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Salumi¿cio Ferrari Erio & C. S.p.a. – Via Canaletto Nord, 565/A – 41122 MODENA – ITALY Tel. +39 059 310015 – Fax +39 059 450251 – E-mail: info@salumiferrari.it
PRODOTTI TIPICI
PROSCIUTTO DEL CASENTINO Testi e foto di Massimiliano Rella
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In alto: Simone Fracassi con il produttore di Metodo Classico nel Casentino Roberto Fregnan. A sinistra: il Prosciutto del Casentino della Macelleria Fracassi. Al taglio la fetta è di un bel rosso vivo e presenta una buona percentuale di grasso.
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l Prosciutto del Casentino è una prelibatezza toscana delle Foreste Casentinesi, prodotta in 12 Comuni della provincia d’Arezzo: Bibbiena, Capolona, Castel Focognano, Castel San Niccolò, Chitignano, Chiusi della Verna, Montemignaio, Ortignano Raggiolo, Poppi, Pratovecchio Stia, Subbiano e Talla. Parliamo di un prodotto di “super nicchia” che coinvolge una filiera limitata a 5 allevatori e 3 norcini, recuperato a fine anni ‘90 grazie ad un progetto che coinvolse la Provincia di Arezzo, la Comunità Montana del Casentino, Slow Food ed esperti come il macellaio-norcino Simone Fracassi, noto volto televisivo. Nel Casentino, area ricca di boschi che si estende dalla sorgente dell’Arno, sul monte Falterona, fino alle porte di Arezzo, i più anziani ricordano razze suine locali di colore scuro e rustiche, adatte all’allevamento brado, di cui oggi si è persa traccia: la Casentinese (varietà della Cappuccia di Anghiari, dalla coscia poco più lunga), la Rossa Casentinese (derivata dalla Forlivese
o dalla Mora romagnola) e una Cinta del Casentino. In un testo dell’800 sono citati prosciutti pregiati che venivano spediti fino in Germania e Inghilterra. Nel dopoguerra, però, si perse la tradizione perché i suini autoctoni furono incrociati col maiale rosa. Un tempo nel Casentino il prosciutto era appeso in cucina al calore del camino, motivo per cui è oggi consentita un’immissione di fumo da stanza esterna, anche se si tratta di un’opzione che quasi nessuno adotta. Il Prosciutto del Casentino viene prodotto con carni di un incrocio in purezza di Cinta Senese (o Mora romagnola) con una di tre razze: il Large White, il Landrace o il Duroc. Ogni volta, però, l’incrocio viene ricreato perché il maiale Grigio del Casentino non va riprodotto. Vediamo le caratteristiche. La forma della coscia è leggermente allungata e tendente al piatto, stagionata non meno di 18 mesi e di peso a prodotto finito da 8 a 15 kg. Al taglio la fetta è di un bel rosso vivo e presenta una buona percentuale di grasso can-
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Degustazione di salumi della Macelleria Fracassi di Rassina (AR) e le bollicine Il Patriota di Cantina Fregnan. Il Patriota è il Metodo Classico del Casentino, nato dalla prima azienda in questo territorio completamente dedicata alla spumantizzazione in Metodo Champenoise. dido, dolce, scioglievole. Il profumo è intenso e penetrante, il gusto delicato e dalle note di affumicato; bel bouquet di sapori, ma non sapido, piuttosto con note di sottobosco. Il Consorzio ha recuperato la tradizione della norcineria casentinese partendo da una sperimentazione sulla materia prima per raggiungere la qualità delle antiche razze. Gli animali, secondo il Disciplinare del Prosciutto del Casentino, sono allevati all’aperto, con alimentazione prevalentemente da pascolo e sottobosco di querce e castagni e integrazione di vegetali naturali. Sono escluse farine di pesce, alimenti contenenti o derivanti da OGM, sottoprodotti industriali e qualsiasi additivo. Sono permesse crusca e integratori vitaminico-minerali. Vietati rigorosamente antibiotici e altri medicamenti. Le cosce dei suini sono marchiate alla nascita e alla morte. La macellazione avviene tra ottobre e marzo. Dopo una refrigerazione di 24 ore le cosce sono rifilate, massaggiate,
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salate e aromatizzate con un impasto di sale, aglio, bacche di ginepro, spezie macinate e varie erbe. Il sale in eccesso è eliminato con battitura, spazzolatura e lavaggio, quindi si passa all’asciugatura delle cosce per 40-60 giorni in ambienti asciutti e areati. La stagionatura dura complessivamente minimo 18 mesi. Il marchio di Prosciutto del Casentino del Consorzio Prosciutto del Casentino certifica i prodotti macellati in inverno tra ottobre e marzo ed è apposto al termine della stagionatura. Uno dei 3 produttori di questa bontà toscana è appunto Simone Fracassi, con negozio a Rassina (AR), che produce appena 100-120 prosciutti (50-60 maiali l’anno). Molto attento alla qualità, Fracassi allunga i tempi del Disciplinare per fare un prosciutto di personalità spiccata. Lavora ad esempio carni di suini che stanno 4 mesi in più allo stato brado: 18 mesi contro i 14 previsti dal Disciplinare. «Il maiale d’inverno brucia più grassi e il finissaggio comprende
ghiande e castagne, che in estate non si trovano. In questo modo il maiale fa più movimento, migliora la digeribilità del prodotto e si abbatte un 20% di colesterolo» spiega Fracassi. «Il risultato è quello di avere un animale un po’ più grosso, di 160-190 kg a peso morto, che facciamo macellare all’età di 18-24 mesi e che facciamo stagionare molto più a lungo». I salumi della Macelleria Fracassi sono stati portati in degustazione anche in abbinamento alle bollicine con le etichette Metodo Classico Il Patriota (Brut di Chardonnay e Pinot nero, Rosé extrabrut e Dosaggio zero) del produttore ROBERTO FREGNAN (www.cantinafregnan.it). Una sorprendente accoppiata sensoriale. Massimiliano Rella Macelleria Fracassi Piazza Giuseppe Mazzini 24/b 52016 Rassina (AR) Telefono: 0575 591480 MacelleriaFracassiRassina
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Siamo gli specialisti del San Daniele DOP Il segreto è tutto łāķķÖ łŋŭŶũÖ ƩķĢāũÖ
Allevamenti menti di proprietà rietà Le carni dei nostri ostri prosciutti di San Daniele DOP provengono da a suini nati e cresciuti nei sei ella famiglia Aimaretti allevamenti della osamente selezionati. o da siti rigorosamente
Solo le cosce migliori I nostri mastri salu salumieri mettono al primo posto la genuinit genuinità delle materie prime e selezionano le cosce migliori per portare in tavola il gusto inconfondibile di un prodotto s sano e naturale.
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Prosciutto di San Daniele DOP Etichetta Nera SanDan. Inimitabile. www.sandanprosciutti.com
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IL NATALE A SENIGALLIA
LA SALSICCIA MATTA di Josette Baverez Blanco
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l Natale si avvicina e ci tornano inesorabilmente in mente certe tradizioni legate alla sua specifica gastronomia. Se aggiungiamo a queste suggestioni un recente week-end trascorso a Senigallia, arriviamo al perché vogliamo parlare di una specialità cittadina, in particolare del suo centro storico, visto che già non si ritrova negli immediati dintorni: la salsiccia matta. Nata nel 1800, si dice sia stata ideata dai macellai locali come omaggio ai propri clienti per insaporire il brodo del pranzo natalizio. La sua lavorazione è però talmente complicata e laboriosa che rischia di far perdere la testa a chi la prepara: l’aggettivo “matta” che la identifica deriverebbe quindi da questa complessità e dal fatto che si tratta di una salsiccia “diversa”, realizzata con carni miste bovine e suine e poi affumicata. Le depositarie del “segreto” della sua preparazione sarebbero le tre famiglie storiche di macellai di Senigallia, che se lo tramandano gelosamente di generazione in generazione: i Castelli, i Badioli e i Bastari, i cui commerci erano ubicati sotto le arcate del Foro Annonario.
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Già verso la fine settembre si comincia con la preparazione del budello che deve essere di vitellone, pulito dal suo grasso, rivoltato, raschiato, lavato e messo sotto sale per due mesi. Solo allora si potrà procedere all’insacco. Verso la metà di dicembre si comincia a lavorare l’impasto composto di polpa magra di vitellone per il 75% e di polpa di coscia di maiale per il 25%. La prima è tritata finemente, mentre la seconda si presenta a pezzi. Si mescolano a lungo queste due carni aggiungendo sale, pepe, poco aglio e “la saporita”, un mix di spezie, coriandolo, cannella, semi di carvi, chiodi di garofano, noce moscata e anice stellato. Si passa di nuovo il tutto al tritacarne prima di aggiungere qualche cubetto di lardo della schiena di maiale, circa il 10%. Si lavora di nuovo a lungo questo impasto in modo tale che diventi omogeneo e non granuloso, quasi cremoso. Solo allora il composto sarà insaccato nel budello, formando salsicciotti di circa 15 cm, che riposeranno una notte in frigorifero per riprendere compattezza.
Si passa allora alla fase successiva, che avviene in un piccolo ambiente con piano di mattoni refrattari sui quali sono montati dei supporti che sostengono le salsicce appese, la cosiddetta “stufa” o “fornacella”. Il piano della “stufa” è cosparso di carbone di roverella di piobbico acceso con potature di vite, che contribuisce a dare un aroma particolare e caratteristico alla salsiccia. Quando il carbone diventa incandescente, si chiudono per 4 ore la stufa e il foro di tiraggio. Ogni ora però occorre ravvivare il carbone che tende a spegnersi per mancanza di ossigeno. Finita questa operazione, le salsicce vengono ripulite dalla cenere con un panno umido. Ed eccole finalmente pronte le “matte”, per arricchire il brodo dei tortellini o per essere consumate come un salume ordinario o, ancora, essere servite in accompagnamento a cotechino e zampone con le lenticchie. La salsiccia matta oggi deve essere prenotata con molto anticipo presso le macellerie che la producono e risulta anche un regalo molto gradito per i Senegalliesi la cui tradizione gastronomica resta prevalentemente marinara.
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Salsiccia di Bra, ESEMPIO CONCRETO DI “INNOVATION BY TRADITION” di Chiara Papotti
e colline si rincorrono come onde, ormai prossime alla vendemmia. Le stradine bianche percorrono i vigneti a perdita d’occhio, punteggiati dai “ciabot” (piccole casette di servizio). Dai crinali si osservano inattesi campanili, castelli sabaudi e splendidi borghi. Il Roero, da molti considerato il gemello diverso delle Langhe, è in realtà una campagna dall’aspetto dolce e sfarzoso, che offre vini di altissimo pregio, salumi, carni e formaggi che rendono orgogliosi tutti i Piemontesi. Merito di una generazione di artigiani che ha saputo intraprendere, nella zona nordorientale della provincia di Cuneo, una vera e propria sfida alla continua ricerca della qualità. Siamo a Bra, una piccola cittadina di poco meno di 30.000 abitanti, nota non solo per la nascita di Slow Food, ma anche e soprattutto per la produzione di una particolare salsiccia, riconosciuta
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nell’Atlante dei Prodotti Agroalimentari tradizionali del Piemonte. Il comune ottenne, dall’ultimo re Savoia, il privilegio, unico nella regione, di poter confezionare una particolare salsiccia di vitello, delimitando la zona di produzione e far sì che non si potesse produrre in nessun altro luogo. Da allora questo singolare insaccato fresco è rimasto una specialità esclusiva, acquistabile solo nelle pochissime macellerie1 della cittadina, facenti parte del Consorzio Braidese. La salsiccia di Bra si produce da carne magra di vitelli autoctoni, di razza Piemontese, macellati tra i 17 e i 24 mesi di età, a cui si aggiunge un 10% di carne di maiale. Una volta tritata la carne viene poi insaporita con sale, pepe e un misto di spezie e aromi, tra cui cannella, chiodi di garofano, noce moscata, pimento e tanti altri. Ogni macelleria ha la sua formula segreta e, alle volte, viene nobilitata con del
vino bianco secco e formaggio vaccino grattugiato. L’impasto così ottenuto è quindi insaccato in budelli naturali di agnello, montone o pecora e destinato immediatamente al consumo in salsicce di lunghezza variabile. La salsiccia di Bra è, infatti, da mangiarsi cruda, su pane caldo, per apprezzarne al meglio il sapore. Un tempo veniva prodotta esclusivamente da carni di bovino, poiché nel vicino comune di Cherasco esisteva un’importante comunità ebraica, che si approvvigionava presso il mercato braidese. Nel corso del Medioevo, i cheraschesi ebrei si rifornivano dagli ortolani, panettieri e macellai di Brai. Non potendo consumare carne suina, i macellai cominciarono a produrre salsicce speciali per i membri della comunità, preparate esclusivamente con carne di vitello. Il risultato fu inaspettato e stupefacente. Una salsiccia
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che poteva essere consumata da tutti, sia cotta che cruda. Oltre ad essere la culla di una salsiccia dalla lunga tradizione, Bra è stata una delle prime città facenti parte del Movimento Cittaslow2, un’associazione di comuni che si impegnano nel preservare i prodotti tipici e promuovere un modello di sviluppo urbano sostenibile. Cittaslow International è un network nato in Italia nel 1999, su iniziativa di Paolo Saturnini, allora sindaco di Greve in Chianti, insieme ai sindaci di Bra, Orvieto e Positano. 24 anni dopo, il progetto è diventato un marchio di qualità presente in 88 comuni italiani, connessi alla rete internazionale di 300 città, distribuite in 33 Paesi nel mondo. A Bra, come in tutti gli altri luoghi facenti parte della rete, si respira una “lentezza positiva”, nel nome della sostenibilità e dell’economia circolare. Promuovere questa identità di cittàlenta significa sposare concretamente il concetto di un territorio che ama il buon vivere e il buon mangiare. Significa proporsi come comunità che ama la qualità della vita e che, anche nell’accoglienza commerciale e turistica, desidera trasmettere questa passione in ogni momento. Lo slogan di Cittaslow è, infatti, “innovation by tradition”, perché preservare lo spirito della comunità, trasmettendo memoria e conoscenza alle nuove generazioni, è l’unica via di sviluppo possibile. Con questo spirito la salsiccia di vitello di Bra sopravvive, grazie ai pochi artigiani delle carni che ci invitano a riappropriarci del tempo necessario per apprezzare la cultura, la tradizione e il cibo locale, rispettando i ritmi della natura. Non a caso, a quattro chilometri ad Est di Bra, si trova Pollenzo, città romana, tenuta dei Savoia, dove vi costruirono un Palazzo Reale (noto col nome de L’Agenzia), che oggi ospita l’Università di Scienze Gastronomiche e della Banca del Vino, gestite sotto l’egida di Slow Food. I valori che animano e motivano la gente di queste terre sono passi concreti verso un futuro di qualità. Chiara Papotti Note 1. Le macellerie del Consorzio Braidese: www.salsicciadibra.it/default. aspx/#!#service-area 2 Bra Cittaslow, bracittaslow.it
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BELLE BOTTEGHE
MACELLERIA ALLA PORCHETTA, IL TRATTO DISTINTIVO È NEL NOME di Gian Omar Bison
almente importante la porchetta nella vita professionale dei Righetti di Negrar di Valpolicella (VR) da farne più che un tratto distintivo. Un vero e proprio brand. E così negli anni, dal 1970 ad oggi, la macelleria non poteva che chiamarsi proprio Alla Porchetta. Il fondatore Italo Righetti venne conquistato dalla porchetta che alcuni romani venivano a cuocere diverse volte l’anno per una grossa fiera sul territorio
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a San Peretto nell’unico forno presente, tanto che in seguito, insieme ad alcuni amici, andò a Roma per capire come veniva prodotta. E se ne invaghì a tal punto da cullare da subito il desiderio di preparare dalla A alla Z le sue porchette da proporre insieme ai propri salumi nei mercati rionali e ai ristoranti. Dal maialino vivo al maialino cotto in mezzo bisognava però costruire la selezione dei fornitori, tutti della Lessinia, la macellazione, la lavorazione e
la cottura nel forno a legna Un lavoro lungo e meticoloso. «Per quanto le tecniche di preparazione e di cottura siano state affinate negli anni — puntualizza Stefano Righetti, nipote di Italo — macelliamo ancora nel nostro macello aziendale e lavoriamo seguendo un metodo consolidato che potremo definire tradizionale. Siccome alla porchetta dobbiamo il successo della nostra attività, farne motivo di distinzione e di riconoscibilità
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Oltre alla porchetta (cotta, per spiedi su misura, per barbecue), la Macelleria Alla Porchetta realizza nel proprio laboratorio di norcineria soppressa veneta, salsicce, luganeghe, cotechini, pancetta nostrana e salamata. La soppressa è uno dei fiori all’occhiello dell’attività ed è composta da tutte le parti del suino.
per tutte le nostre attività è sembrato logico e consequenziale». Quarant’anni fa circa, sulla scia del padre Italo, sono entrati in attività i figli Giuseppe, padre di Stefano, e Francesco. Ed è di trent’anni fa il processo che ha portato alla trasformazione di un negozio di alimentari nell’attuale macelleria, ristrutturata una prima volta una decina di anni fa. La trattoria vicina, manco a dirlo “Alla Porchetta”, recentemente riammodernata (con futura possibilità
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di pernotto) è di proprietà e gestita dalla zia di Stefano (Via San Peretto 18, Negrar, telefono: 045 7500011, www.trattoriaallaporchetta.it), mentre l’altro zio (il quarto fratello) si occupa delle campagne di famiglia destinate per lo più alla coltivazione di uva da vino da conferire alle aziende vinicole della Valpolicella. In tutto tre società distinte. «La nostra — sottolinea Stefano — è sempre stata una macelleria classica im-
prontata su una proposta tradizionale. C’è ancora una clientela che chiede tutto quanto serve per un bollito, cotechini, quinto quarto, e che apprezza la nostra proposta gastronomica che spazia dalle lasagne al forno, che vanno tantissimo, alla Parmigiana e allo spezzatino. Non abbiamo cucina e per questo ci appoggiamo alla trattoria. Ristomacelleria? Non è in programma, anche perché abbiamo tante altre priorità da mettere in cantiere».
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La cantina di stagionatura dei salumi. La cantina di stagionatura dove insaccati e salumi vengono messi a maturare come si faceva una volta si trova tre piani sotto terra. E come si faceva una volta vengono portati su e giù a spalla. «Facciamo principalmente cotechini, salsicce, soppresse e salami ma anche pancette salamate, pancette arrotolate e altro». Stefano ha 25 anni e lavora in macelleria da cinque. «Ho iniziato a frequentare l’università subito dopo il diploma e contemporaneamente a lavorare in bottega. Da piccolo non lo avrei mai detto, pensavo avrei fatto tutt’altro e piuttosto lontano. Siccome sono appassionato di cucina, invece, piano piano mi sono innamorato di questo lavoro. Inizialmente al sabato gestendo la cassa, poi guardando e cercando di capire come vengono fatti i salami, la porchetta e così via. Mi sono laureato in Economia aziendale a Verona ma ora come ora sono certo su cosa voglio fare nella vita: il macellaio». Il fratello Nicolò collabora saltuariamente con la macelleria, così come il cugino Sebastian, che ha però un’altra occupazione. La carne venduta è per un buon 40% di bovino, 30% suino e 30% pollame. I bovini li acquistano tramite PAOLO CIPRIANI, un commerciante che li seleziona da alcune stalle di fiducia in Lessinia e nelle montagne circostanti. «Lavoriamo principalmente Limousine
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— continua Stefano — che secondo noi raggiunge una qualità nelle carni superiore alla media e a volte capitano anche Garronesi o altre razze. Se il bovino e la carne che ne deriva sono di qualità però non abbiamo preclusioni. Per quanto riguarda i suini ci riforniamo da un allevamento veronese e talvolta anche da un fornitore nel Mantovano. Sul pollame trattiamo la linea Ruspantino del GRUPPO MARTINI». Oltre a carne e gastronomia hanno un’offerta di pane che acquistano da Gottardi a Negrar — anche perché di panini con la porchetta preparati sul momento ne vendono tantissimi —, e formaggi e vini tipici del territorio. Macellano nel macello attiguo di famiglia un bovino a settimana circa. Porchette ne preparano venticinque a settimana. «Le vendiamo tutte in macelleria e molte all’ingrosso a clienti che fanno mercati o ristoratori. Non facciamo catering. Per fare tutto questo siamo in quattro: io, mio papà, mio zio e DANIELE GIRLANDA, che lavora con noi da più di quarant’anni». Il futuro sembra roseo e i progetti sono parecchi. «Ci stiamo pensando, anche perché mio papà e mio zio non sono più giovanissimi. Di sicuro l’immobile della macelleria, e non solo quello, andrà ristrutturato a breve. Personalmente mi piace pensare alla possibilità di investire in quella parte di
campagna vitata di famiglia dove c’è anche una villa dove abitiamo. Stiamo riflettendo se fare qualcosa e cosa: Bed & Breakfast? Sala degustazioni? Altro? Al momento non sappiamo. Fra 10 anni dove mi vedo? Mi piacerebbe trovare la giusta quadra in famiglia tra tutte le attività in essere e i progetti a venire, sia in macelleria che a gestire le attività legate alla villa e alla campagna». E la vostra porchetta? Ha qualcosa di diverso, di particolare rispetto alle altre più note? «Negli anni mio papà e mio zio hanno sperimentato e trovato il giusto mix di spezie e le giuste modalità di cottura e legatura delle porchette. La nostra è diversa da quella di Ariccia, ad esempio, perché non “facciamo” il maiale grande ma porchettine piccole, anche sui 12 kg. Complessivamente è un processo lungo, con gli animali da macellare, disossare, riempire con carne di maiali più grossi. Poi la salatura, 6 ore di cottura in forno e la legatura a mano con legnetti e spago così che la porchetta resti più compatta. È una delle ultime cose che sto imparando, vista la procedura molto delicata e molto complessa». Gian Omar Bison Macelleria Alla Porchetta Via S. Peretto 18 – 37024 Negrar(VR) Telefono: 045 750005 Web: www.macelleriallaporchetta.com
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De Santis, il panino gastronomico di Milano, lancia la propria linea di gin De Santis, il panino di Milano dal 1964, lancia la sua prima linea di gin artigianali prodotti su ricetta De Santis da Trip Distillery, portando l’arte della mixology nel proprio universo gastronomico: De Santis London Dry Gin, De Santis Distilled Gin XO e De Santis L’Amaro. La complessità e la varietà delle note botaniche presenti nei tre gin invitano ad esplorare un nuovo mondo di sapori, creando un’esperienza di aperitivo completa in tre diversi cocktail proposti in abbinamento a panini gastronomici. Il De Santis London Dry Gin sorprende per la sua intensità e la marcata presenza del ginepro. Le altre botaniche, il coriandolo, l’angelica e l’arancia amara, contribuiscono a completare il bouquet aromatico. Il De Santis Distilled Gin XO, perfetto anche degustato in purezza, si distingue per l’infusione di rovere che segue la distillazione, conferendogli profonde note di legno e resina, con sfumature morbide di pane tostato, mandorla e vaniglia. Infine, De Santis L’Amaro, dal carattere forte e gusto intenso e avvolgente. La liquirizia e il caramello si fondono con le note amare delle radici, mentre l’anice verde e la menta conferiscono una piacevole nota balsamica che si sposa con i profumi floreali di camomilla e lavanda. Santone è il cocktail nato dalla combinazione di amaro De Santis, Vermouth Cocchi, Gin De Santis, Bitter Fusetti, Bitter alla lavanda, arancia e limone, che trova il suo partner ideale nel panino Foresta farcito con prosciutto di cinghiale, funghi porcini, rucola, crema al tartufo, limone e pepe: una vera e propria esplosione di sapori. Silente, preparato con il pregiato Gin De Santis Xo, succo di limone, zucchero, liquore sambuco e menta, trova il suo compagno perfetto nel panino Grace con salmone scozzese affumicato, stracciatella, pera, limone e pepe. Il Conte Earl Grey, con Gin De Santis, succo di limone, zucchero, liquore Earl Grey, top seltz, bustina di tè Earl Grey e limone, si sposa con il panino Adam, i cui ingredienti sono roast-beef di Fassona, cuori di lattuga, pomodoro e maionese all’erba cipollina, il tutto condito con una leggera spruzzata di sale e origano. >> Link: paninidesantis.it
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TRADIZIONI
KEEP CALM
and eat lasagna (alla bolognese)! di Chiara Papotti
uando sentite parlare della cucina bolognese, fate una riverenza, ché se la merita”. Lo scriveva, nel 1891, PELLEGRINO ARTUSI nella sua opera “La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene”. Ragù tenuto sul fuoco per ore, dolce besciamella, sfoglia rigorosamente tirata a mano e non troppo sottile. Così nasce uno
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tra i piatti più ricchi della tradizione gastronomica emiliana: la lasagna. In un tempo in cui la velocità, anche in cucina, è sempre più richiesta e apprezzata, resiste a Bologna un piatto senza tempo. Gli appassionati di cucina lenta, di lunghe cotture, di riflessioni e condivisioni restano affascinati guardando la composizione della ricetta. Per conoscere tutto sulla vera lasagna
alla bolognese non resta che cercare conferme sul posto, a cominciare dalle vere azdore (zdoura dal dialetto locale), le sfogline che ancora la preparano nel rispetto della tradizione. La storia della lasagna comincia ai tempi dell’antica Roma. Col termine greco laganon e il latino laganum si indicavano delle sfoglie dalla forma quadrata, o rettangolare, ottenute da
Lasagne verdi alla bolognese, un classico della cucina emiliana (photo © pelle di pollo).
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Riconoscere la qualità, realizzarla e portarla sulla tavola di tutti
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Sua maestà il ragù alla bolognese. un impasto di farina di grano, che venivano cotte al forno o sul fuoco ed arricchite con della carne tritata. Per vedere la comparsa del formaggio bisognerà attendere la seconda metà del XIV secolo, quando la ricetta venne trascritta nel “Liber de Coquina”, l’antico ricettario della Corte Angioina di Napoli. A quell’epoca la pasta veniva lasciata lievitare e poi lessata, non era ancora quella all’uovo. Nel 1863, con ”Il libro della cucina del sec. XIV”, pubblicato da FRANCESCO ZAMBRINI, si ebbe per la prima volta la ricetta delle lasagne a strati, secondo la versione che si è poi diffusa nel corso degli anni. Le tracce storiche della lasagna alla bolognese confermano che il piatto era un’esclusiva delle famiglie altolocate, della Bologna benestante, che si potevano permettere di assaporare pasta, carne e latticini tutti in una volta. Insieme al tortellino e alla tagliatella, la lasagna è uno dei piatti più imitati. La versione bolognese, dall’inconfondibile pasta verde, è un’espressione emblematica a tal punto da portare la Camera di Commercio del capoluogo emiliano, in accordo con le diverse Accademie della Cucina italiana, a depositare la ricetta originale con tanto di atto notarile firmato dal DOTTOR FEDERICO TONELLI.
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Ecco gli ingredienti per 6 persone: per preparare il ragù occorrono 300 grammi di polpa di manzo macinata grossa, 150 grammi di pancetta di maiale, 50 grammi di carota, 50 grammi di costa di sedano, 50 grammi di cipolla, 300 grammi di passata di pomodoro o pelati, mezzo bicchiere di vino bianco secco, mezzo bicchiere di latte intero, brodo, olio d’oliva o burro, sale e pepe. Per le lasagne, invece, servono 400 grammi di farina bianca, 2 uova, 250 grammi di spinaci. Mentre per la besciamella si amalgamano 100 grammi di farina 00, 100 grammi di burro, un litro di latte fresco intero, sale fino e noce moscata. Ormai è rara da trovare la versione originale nelle botteghe e nelle trattorie di Bologna; i pochi che seguono la scuola tradizionale vogliono che il ragù venga lasciato bollire per diverse ore. Per prepararlo si trita la pancetta e la si fa rosolare in una casseruola. Si aggiungono tre cucchiai di olio “buono” (oppure 50 grammi di burro) e un trito di sedano, carota e cipolla per fare il più classico dei soffritti. Appena le verdure sono appassite, si unisce anche la carne macinata e la si lascia rosolare, si sfuma col vino e si mescola il tutto fino a completa evaporazione dei liquidi. A questo punto si aggiunge la passata di
pomodoro, si copre col coperchio e si lascia sobbollire lentamente per circa 2/3 ore aggiungendo, nel caso, del brodo. Verso fine cottura si versa il latte per smorzare l’acidità del pomodoro e si aggiusta di sale e di pepe. Per la sfoglia, invece, si impasta sul tagliere la farina, le uova e gli spinaci lessati e passati al setaccio. Quando l’impasto è liscio ed omogeneo si creano dei quadrati larghi che andranno poi lessati e fatti asciugare sopra un canovaccio. Nel frattempo si prepara la besciamella, mettendo a sciogliere il burro in una pentola a fiamma bassa, e si incorpora la farina setacciata, mescolando il tutto con una frusta. Si fa cuocere il roux fino a che non sarà dorato e si aggiunge il latte, il sale e la noce moscata. Appena tutti gli ingredienti per le lasagne sono pronti, si imburra una teglia e si dispongono le sfoglie, condendo la pasta con uno strato di ragù, uno di besciamella e una spolverata di Parmigiano Reggiano grattugiato. Poi ancora uno di sugo, uno di besciamella e avanti così fino all’esaurimento degli ingredienti. L’ultimo strato lo si copre con la besciamella e fiocchetti di burro, si cuoce in forno a 160° per circa 30 minuti e, quando la superficie sarà dorata, si assiste ad un vero spettacolo della cucina bolognese. La preparazione è, tutto sommato, semplice negli ingredienti e più complessa nella lavorazione: la besciamella deve avere la giusta consistenza, il ragù l’esatta compattezza, la sfoglia deve essere tirata non troppo sottile e lasciata riposare in modo che non si buchi. Un lavoro di grande pazienza, non adatto a cuochi frettolosi e senza passione. «La prima regola per una buona riuscita è la compagnia», ci racconta SILVANA, sfoglina di lunga data. Le donne si trovano la mattina presto in cucina, agli uomini è vietato l’ingresso; perché è risaputo: la lasagna è femmina. Le azdore impastano e raccontano, tagliano la sfoglia e chiacchierano. Amori e segreti vengono amalgamati insieme alle uova e alla farina e chissà quante lacrime sono cadute nei ragù… Che sia questo, insieme di confidenze e sorrisi, a rendere così speciale e unica la lasagna alla bolognese?! Chiara Papotti
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TURISMO ENOGASTRONOMICO
Turismo DOP,
IL LATO BUONO DEL VIAGGIO L’offerta gastronomica diventa decisiva nella scelta della destinazione di Sebastiano Corona
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l turismo, un tempo fenomeno appannaggio delle classi più abbienti, è divenuto oggi un bene di consumo comune. Staccare la spina dal lavoro, lasciando il luogo in cui si abita, per concedersi un viaggio, è riconosciuto oggi come un bisogno e non più soltanto come un piacere. E se le ferie sono un diritto, la vacanza, piccola o breve che sia, non è più un privilegio di pochi.
Va da sé che, non essendo i portafogli tutti uguali, la domanda sia diversa in ragione di molteplici fattori, ma il mercato offre possibilità per tutte le tasche, con una proposta sempre più ampia e varia sia in termini di costo che di contenuto. In un infinito ventaglio di proposte, i viaggi tematici si fanno prepotentemente spazio e quella che un tempo era semplicemente una vacanza, oggi
diventa un’esperienza. Lo è ancor di più se riguarda tutti i sensi, gusto compreso. Ed è così che prende piede il turismo enogastronomico, guidato da molteplici fattori, palato in testa. I dati parlano chiaro: non solo il cibo è un elemento importante per la maggior parte dei viaggiatori, ma in certi casi diventa fondamentale e, in altri ancora, è persino il fine stesso dello spostamento. L’attrattiva sono i piatti e le materie prime
Le visite ai caseifici di Parmigiano Reggiano DOP sono un must per i turisti che attraversano le province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna a sinistra del Reno e Mantova a destra del Po, area di produzione del formaggio italiano tra i più noti al mondo.
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Tra le esperienze turistiche di tipo enogastronomico più gettonate compaiono senz’altro le degustazioni in vigna e negli uliveti. delle campagne locali, vini e cucina che esprimono storia, tradizione e identità di una regione e che già da soli sono un’attrattiva. Il Rapporto sul turismo enogastronomico italiano curato dalla professoressa Roberta Garibaldi da anni fa una nitida e dettagliata fotografia sulle tendenze del settore, riportando dati e pareri su un tipo di turismo che sta regalando grandi soddisfazioni. Secondo il Rapporto, infatti, il 2023 segnerà la definitiva consacrazione del binomio viaggio/enogastronomia, che sempre più rappresenta il valore aggiunto nell’esperienza di chi visita città e località di villeggiatura, al mare e in montagna. Un connubio che, per un Paese come il nostro, aumenta in maniera significativa il vantaggio competitivo rispetto ad altri Stati, che permette di destagionalizzare e di poter contare su un’attrattiva che da sola è già vincente. Il documento rileva che il 58% dei turisti italiani che ha compiuto almeno un viaggio nel corso dell’ultimo anno ha scelto proprio l’enogastronomia come fattore principale tra le motivazioni allo spostamento. Ben 9,6 milioni di
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persone hanno puntato su cibo, vino e birra, confermando una tendenza già registrata e che dal 2016 ad oggi ha mostrato un incremento del 37%. Ma anche chi non fa dell’enogastronomia lo scopo principe del proprio viaggio ne conferma comunque la centralità nella scelta: 7 viaggiatori su 10, infatti, dichiarano di avere cercato almeno cinque volte nel corso dei propri viaggi più recenti esperienze di questo tipo. Il questo segmento, il Turismo DOP è rappresentato da una fascia ancor più scelta di viaggiatori esigenti che ricercano esperienze e programmi, promossi attorno alle Indicazioni Geografiche o direttamente organizzate dai consorzi di tutela DOP e IGP, in sinergia e a vantaggio di una filiera che comprende operatori territoriali del settore turistico, aziende e agriturismi. Un gruppo di operatori che ha ben compreso che le denominazioni sono attrattiva in sé e per sé e che, allo stesso tempo, i flussi turistici sono occasione impareggiabile di promozione, ma anche di vendita, sia nell’immediato, sia sul lungo termine.
La DOP Economy conta su una base produttiva da 19,1 miliardi di euro, che pesa per il 21% sull’intero settore agroalimentare e, in parte, lo deve proprio ai flussi turistici che non solo implicano un certo consumo in loco, ma sono anche volano commerciale da parte di chi, al rientro, cerca nei supermercati del proprio domicilio quanto ha conosciuto in occasione del viaggio. Spesso i nomi dei prodotti a denominazione contengono il riferimento esplicito al territorio e questo fatto ha permesso a certe località un tempo sconosciute di acquisire un’inaspettata notorietà. La fama internazionale di alcuni prodotti a Indicazione Geografica va di pari passo con una vivacità interessantissima delle filiere DOP e IGP. Anche grazie al prezioso supporto dei Consorzi di tutela, infatti, sono nati eventi che si ripetono da decenni ininterrottamente e che sono di grande attrattiva. L’Osservatorio Qualivita ne ha registrato, solo nel 2022, oltre 230, comprendenti visite, degustazioni, festival e iniziative che intercettano la richiesta di esperienze autentiche nei territori del cibo e del vino.
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Dati, questi, che vanno in linea con quanto emerge dallo studio della European Travel Commission, secondo cui le proposte a tema cibo, vino e bevande sono ormai tra le più ricercate nel Vecchio Continente, unitamente a quelle di paesaggi naturali (il 17,3% e il 17,8%, in termini assoluti circa 21,2 e 21,8 milioni di turisti per l’estate 2023). Si fanno strada dunque interessanti tendenze e nuove opportunità per operatori e territori interi. «L’alto interesse dei turisti, l’offerta eccellente del nostro Paese, la crescita attesa per il turismo dei prossimi anni ci regalano un incredibile tris di assi per il prossimo futuro», afferma Roberta Garibaldi. «La sfida è oggi quella di trasformarlo in un poker, lavorando sui fattori per fare esplodere le potenzialità. Si evidenzia un grande gap, infatti, tra l’interesse alle esperienze e l’effettiva fruizione e tutte le regioni vantano una ricchezza che può essere ulteriormente valorizzata. È importante preservare e valorizzare il patrimonio culinario italiano, i paesaggi, le piccole botteghe e gli artigiani del gusto per garantire una crescita nel lungo periodo costante,
armoniosa ed equilibrata nel rapporto tra mete più rinomate e le meno note aree interne. Il turismo enogastronomico riduce l’overtourism e gli squilibri, contribuisce a mantenere le attività tradizionali nei piccoli borghi e nelle zone rurali, porta entrate aggiuntive ai produttori, stimolandoli a tutelare attivamente il paesaggio, che è tra le principali leve di scelta del turista». Il Rapporto curato da Garibaldi individua più specificamente 4 principali tendenze, quali: la varietà, le esperienze a 360 gradi, poiché i turisti italiani vogliono scoprire mete nuove (63%) e diversificare l’esperienza. Tra le più gettonate compaiono le degustazioni in vigna e negli uliveti, eventi che abbinano gusto-arte-musica, workation nelle aree rurali sino ad arrivare, per 1 Italiano su 2, al foraging (un modo innovativo di cucinare, recuperando le tradizioni del passato e le materie prime selvatiche del territorio), corsi di sopravvivenza e attività ludiche come escape room e caccia al tesoro. Cresce l’attenzione verso le esperienze in tutti i luoghi di produzione, con i caseifici in prima linea. Questi luoghi
Cestino alla mano e qualche nozione di botanica si va per boschi, prati e campagne a raccogliere erbe selvatiche, dal tarassaco al luppolo all’aglio orsino: è il foraging, nulla di molto diverso da quello che facevano le nostre nonne ma tornato molto in voga negli ultimi anni soprattutto se ci accompagna uno chef che poi ci insegnerà come usare le erbe raccolte, insieme a radici, fiori e bacche in cucina.
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devono essere frictionless, pertanto accessibili e facilmente acquistabili. Ma il gap tra interesse ed effettiva fruizione è purtroppo ancora elevato: il viaggiatore oggi non è sempre messo nelle condizioni di poter reperire facilmente le informazioni, scegliere e prenotare le proposte disponibili. Non è quindi un caso se il 63% degli intervistati dichiari di voler prenotare le visite alle aziende di produzione on-line e solo il 43% le abbia acquistate. La terza tipologia di tendenza oggi in atto è il Green & Social. Perché il turista italiano, e non solo italiano, si mostra sempre più attento alla sostenibilità, adottando atteggiamenti coerenti anche in viaggio: evita di sprecare cibo al ristorante (indicato dal 65%) e in vacanza ha comportamenti a tutela dell’ambiente (54%). Mostra, inoltre, un forte desiderio di stare a contatto con la comunità locale e di contribuire al benessere sociale attraverso il suo viaggio. Aumenta la destagionalizzazione dell’esperienza, come atto responsabile di risparmio e rispetto dei luoghi. Infine la Longevity. Il viaggio enogastronomico diventa occasione per dedicarsi al proprio benessere e imparare ad adottare stili di vita più salutari: il 71% dei turisti italiani vorrebbe trovare menù con ricette che fanno bene alla salute. Ed ecco che la Dieta Mediterranea diventa un asset da valorizzare e attraverso cui connotare l’offerta. Soddisfare queste nuove esigenze del turista non è solo commercialmente doveroso, ma potrebbe persino divenire naturale se solo si assecondasse la vocazione dei territori, recuperando e riscoprendo stili di vita, produzioni e costumi che da sempre ci hanno caratterizzato e che oggi diventano un’attrattiva. Il turismo deve diventare una leva e uno stimolo per un’ulteriore valorizzazione del patrimonio culinario nazionale. Gli Italiani sono tra i primi viaggiatori enogastronomici del Paese e l’Italia è essa stessa una meta enogastronomica per l’estero e il fatto che ci siano ancora molte tipicità regionali poco note, rappresenta una grande opportunità per valorizzare le aree rurali e far crescere i flussi turistici. Il turismo enogastronomico è un turismo remunerativo, di una fascia di clientela mediamente colta, con una discreta
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L’ACETO BALSAMICO è DI MODENA
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disponibilità economica e consente di destagionalizzare, garantendo redditi costanti tutto l’anno ed evitando picchi antropici e fulminei, molto dannosi da ogni punto di vista. Secondo il The Data Appeal Company, 2023, le presenze internazionali in Italia, continuano a concentrarsi nell’1% del territorio e prevalentemente in aree molto urbanizzate, a dispetto del fatto che il Bel Paese vanti il maggior numero di siti inclusi nella lista dei patrimoni dell’umanità UNESCO (58, di cui 5 riserve naturali e 8 paesaggi culturali). Questo fatto spiega i problemi di gestione turistica di certe città – Venezia è un nome per tutti – e nel contempo l’inesorabile lento e costante abbandono delle campagne e dei piccoli borghi, che invece il turismo potrebbe contribuire a rivitalizzare. Tanto più che è proprio nelle zone meno battute che si registrano le maggiori quote nazionali di produttori o trasformatori di eccellenze a denominazione e non poteva essere diversamente. Pertanto le Indicazioni Geografiche possono innescare meccanismi virtuosi su tutti i fronti. In questo senso sono di grande aiuto anche le aziende agrituristiche luoghi di ospitalità nel senso più ampio del termine, dove trovare un equilibrio con la natura e fruire nel contempo di servizi classici dell’ospitalità. La loro capillare distribuzione in tutto il Paese consente di rivitalizzare aree marginali escluse dalle grandi arterie del turismo nazionale e di contribuire a limitare lo spopolamento, soprattutto quello giovanile. Sono circa 13 mila le aziende agrituristiche attive nella ristorazione e più di 6.000 quelle che offrono degustazioni, in quasi tutti i casi proponendo prodotti a denominazione e PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali). Questa nuova tendenza verso un turismo sostenibile, responsabile, consapevole, amico dei territori e delle tradizioni è ciò che dunque va perseguito e incoraggiato senza scimmiottare sé stessi, ma semplicemente rispettando la propria identità, valorizzandola e facendola conoscere all’esterno. Non è difficile farlo anche attraverso il cibo, veicolo universale e impareggiabile strumento per fare amicizia, fare affari, stringere legami, condividere con gli altri e in una parola, rendersi ospitali. Sebastiano Corona
MODEN
CONSORZIO TUTELA
Mercatini natalizi, che passione! Il 30% dei visitatori ci va con la scusa di degustazioni enogastronomiche I mercatini natalizi sono la gita fuori porta preferita dagli Italiani già durante l’autunno (30,0%). Passeggiare in questi luoghi incantati tra addobbi, lucine, artigianato e prodotti tipici supera il turismo nelle città d’arte (27,5%) e le vacanze in montagna (21,8%). A distanza, nelle preferenze dei nostri connazionali, i week-end negli agriturismi in campagna (12,0%) o le vacanze esotiche all’estero (8,6%). È quanto emerge dai risultati di uno studio realizzato da AstraRicerche e commissionato dal Magico Paese di Natale, una delle principali manifestazioni europee legate al periodo natalizio, giunta alla sua 17a edizione e in programma fino al 17 dicembre nei paesi di Govone, Asti e San Damiano d’Asti, in Piemonte. Quello di questo tipo di mercatini è un turismo in grande crescita nel nostro Paese. Basti pensare che 9 Italiani su 10 (94%) hanno visitato almeno una volta un mercatino e ben 25 milioni (60%) sono gli affezionati che si sono recati in questi luoghi più volte. Una tendenza motivata in primo luogo dal desiderio di godere dell’atmosfera natalizia (62%) seguito dall’aspetto enogastronomico, legato all’assaggio dei prodotti tipici locali (49%). E poi ancora dalla possibilità di acquistare prodotti artigianali (34%) e dal poter parlare con i piccoli produttori di cibo e oggettistica (17%). Dallo studio AstraRicerche emerge come lo shopping nei mercatini natalizi è guidato in primis dall’artigianalità dei prodotti offerti (42,1%) e, a seguire, la loro esclusività (21,3%). Subito dopo i nostri connazionali indicano la volontà di sostenere piccoli produttori locali (20,4%) e, per ultimo, l’accessibilità dei prezzi (12,5%). Per gli Italiani a rendere una passeggiata nei mercatini natalizi un’esperienza unica c’è la presenza di installazioni luminose che accompagnano il visitatore lungo tutto il percorso (32%). Al secondo posto troviamo l’esperienza culinaria, fatta di degustazioni di vini e prodotti locali (30%) e, per intrattenere i più piccoli musical, animazioni e spettacoli a tema natalizio (22%). Riscuotono meno consensi tour guidati (10%) e attrazioni come ruote panoramiche (6%). In generale la meta ideale per una vacanza durante il periodo di Natale deve contemplare un’atmosfera favolistica, con un ruolo da protagonista per gli elfi e Babbo Natale: la pensa così 1 Italiano su 2 (49%). A seguire i nostri connazionali indicano il binomio che si viene a creare tra lo spirito natalizio, la cultura e l’enogastronomia del territorio (35%) e il fatto di visitare un luogo freddo, che richiama la montagna, la neve e i boschi (29%) (fonte: EFA News – European Food Agency).
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Saragozza, tapas, taverne & botteghe di Massimiliano Rella
La Despensa de Montal, dal 1919 negozio di specialità spagnole, gastronomia e ristorante di proprietà della famiglia Montal in Plaza San Felipe a Saragozza. Capoluogo dell’Aragona, ospita la Basilica de Nuestra Señora del Pilar, noto luogo di pellegrinaggio.
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el “distretto” del Tubo, un’area di movida fra gli stretti vicoli del centro di Saragozza, all’incrocio tra Calle Estébanes e Calle de la Libertad, va in scena ogni sera la tradizione delle tapas, spuntini e ricette “mignon” tipicamente spagnole. Tanti i locali che servono i piccoli assaggi — da El Meli Del Tubo alla storica Taberna Doña Casta fino all’elegante Casa Lac (200 anni, arredi d’epoca e art decò) — dove gustare golosissime tapas di carne, pesce e verdure con un calice di vino aragonese o una birretta locale, ad esempio una Ambar (ambar.com), storico birrificio di Saragozza, con museo e sala degustazione, aperto a visite guidate e assaggi di bionde, rosse e ambrate. Si narra che in Aragona, al Monastero de Piedra, con l’arrivo del cacao dopo la scoperta delle Americhe, fu creata la prima ricetta di cioccolato d’Europa. Storia o leggenda che sia, non andiamo certo per il sottile davanti alle superbe praline, alla frutta candita e alla cioccolata di Pastelería Fantoba 1856, bottega storica da inguaribili golosi. Il secolo seguente, anno 1919, tenne invece a battesimo la Despensa de Montal (montal.es), dell’omonima famiglia, in un palazzo rinascimentale di Plaza San Felipe, dove un tempo sorgeva la Torre Nueva, poi abbattuta poiché pendente. Questo locale ibrido con atmosfere d’epoca ha un fornitissimo banco di salumi, formaggi e altre bontà, una saletta sul retro, una cantina di 800 etichette, un ristorante con arredi classici sul mezzanino del cortile interno e tanti tavolini sulla piazzetta. Sono almeno due, però, le specialità a cui il viaggiatore goloso non può rinunciare a Saragozza: la borraja o borracha, una borragine locale utilizzata per fare frittelle, polpette, crocchette, salse e addirittura gelati, e il tenerissimo Ternasco de Aragón IGP, un agnello da latte che vanta l’Indicazione Geografica Protetta europea. Due ingredienti che a La Rinconada de Lorenzo, trattoria di cucina aragonese della famiglia NAVASCUES (www.larinconadadelorenzo.com), non mancano mai. Il piatto forte è proprio il Ternasco de Aragón al forno con patate arrosto e peperoni. Gli agnelli da cui proviene questa carne, sia maschi che femmine, appartengono alle razze ovine
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In alto: un locale nel Tubo, l’area dei tapas bar a Saragozza. In basso: frutta candita e ricoperta di cioccolato nella Pastelería Fantoba 1856.
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A sinistra: capesante alla piastra con trinxat di patate catalane e foglie di borragine. A destra: il cuoco Jorge Acero con la paella di Ternasco de Aragón e longaniza alla scuola di cucina Rutica 41. locali Aragonesa, Ojinegra de Teruel e Castellana nella sua varietà Roya Bilbilitana, Maellana e Ansotana. Da provare pure le Migas, sfiziose molliche di pane fritte nel lardo, con chicchi d’uva e salsiccia longaniza. Altro giro altra cucina. A La Flor de Lis, cervecería, taberna aragonesa contemporánea in Calle Don Jaime I 34 (www.restaurantelaflordelis.com) gustiamo piatti aragonesi con mise en place in stile pop, ad esempio il Buñuelos de cierzo (polpette di merluzzo, borragine, patate e spuma di borragine), servito in un bel piatto a forma di foglia; le capesante alla piastra con trinxat, purea di patate catalane e foglie di borragine, compaiono in un piatto metà pesce-metà porcellino. Servito in una veste più classica ma sempre ottimo il Tataki baturro: carne di vitello dei Pirenei macerata con spezie, cotta alla
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brace e servita con salsa di pomodoro all’origano e aioli di borragine. A La Clandestina Café (laclandestinacafe.com) ci attende invece la cucina creativa della chef SUSANA CASANOVA, piatti come le polpette di Ternasco de Aragón e riso Brazal con salsa tailandese a base di cocco, ananas, anacardi e pasta di curry rosso o la Cruz de Navajas — una tapa vincitrice al Campeonato oficial Hostelería de España Tapas y Pinchos di Madrid Fusion 2023 — che consiste in un cannolicchio riempito con ajoblanco, pesca Calanda DOP marinata, gel di spumante d’Aragona, perla di riduzione di piede di vacca, corallo di borragine e scorza di limone. Se poi vi interessa passare direttamente ai fornelli (e viceversa alla tavola) c’è la Scuola di cucina Rutica 41 (rutica41.com) del simpatico cuoco JORGE ACERO. Appuntamento al centena-
rio Mercado Central per fare la spesa con lui ai banchi di carne, verdure e pesce e poi lezione di tortilla de patatas, de torrijas (pane imbevuto in latte, cannella e zucchero e fritto) e di paella, famoso piatto valenciano proposto qui in versione aragonese con le carni di Ternasco de Aragón IGP. Aperta otto anni fa, la scuola di cucina di Jorge ha tre salette con vista dalla strada attraverso grandi vetrate. I corsi (durata 3-4 ore, prezzo 99 euro pp.) sono per massimo 9 persone, ma fanno anche degustazione di vini e spuntini gourmet, con spesa al mercato centrale con lo chef per comprare prodotti e ingredienti da usare in cucina. C’è anche un angolo di specialità gastronomiche in vendita. Nel locale accanto c’è invece la scuola di cucina spagnola e aragonese La Zarola, della sorella SARA ACERO. Massimiliano Rella
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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com
Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.
LOCALI DI GUSTO
IL CASTELLO,
LA MAGIA DEL RISTORANTE DI FAMIGLIA Nell’anno del 60o anniversario di attività del Gruppo, Cremonini rinnova un luogo storico della ristorazione locale sulle colline di Castelvetro di Modena e lo fa rinascere con le ricette di casa di Elena Benedetti
requentato per decenni da Luigi Cremonini come cliente, nel centro storico della bellissima Castelvetro di Modena, a pochi chilometri dalla sua Inalca e dal centro direzionale del Gruppo, oggi Il Castello è diventato il ristorante della sua famiglia. Un pezzo di cuore che, attraverso le ricette della moglie TINA, raccoglie tanto del mondo dei Cremonini. Dalla selezione delle carni,
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protagoniste assolute come è ovvio che sia, qui alla carta in un’ampia offerta tra tagli, origine e cottura, alle paste dei primi piatti, rappresentative del territorio emiliano con tortellini, lasagne, tagliatelle e, non ultimi, i salumi affinati in cantina, anch’essi espressione della tradizione salumiera locale e valorizzati da gnocco e tigelle. Il Castello, riaperto ad agosto dopo una ristrutturazione, è la meta ideale per chi ama le carni e la
cucina della tradizione in un contesto, quello delle colline vitate di Lambrusco Grasparossa, che ci riporta alla natura, al fare le cose bene, a preservare sapori autentici e a valorizzare le carni. Il locale, diretto dal Restaurant manager Davide Tanzi, si affaccia su Piazza Roma, cuore di questo antico borgo medievale che ospita il Palazzo Comunale e la Torre dell’Orologio, caratterizzata da una pavimentazione
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In alto: Claudia Cremonini, responsabile delle Relazioni esterne del Gruppo omonimo, insieme a Davide Tanzi, alla brigata di cucina e allo staff del ristorante Il Castello a Castelvetro di Modena. A sinistra: la cantina dei vini nel rinnovato ristorante Il Castello (photo © Cremonini Spa).
in cotto con al centro una scacchiera in marmo e sasso che ospita la Dama vivente. «Il locale è stato per trent’anni un punto di riferimento per la tradizione dell’Emilia-Romagna e quando ne abbiamo acquisito la gestione diretta abbiamo lavorato per preservarne l’identità di servizio e prodotto» ha sottolineato Claudia Cremonini nel corso della presentazione dell’attività alla stampa. «Abbiamo cercato di mantene-
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re la tradizione e lo riteniamo il nostro ristorante di famiglia perché le ricette vengono dal ricettario di mia madre Tina e gli ingredienti dalle nostre produzioni di carni e salumi, abbinati ai prodotti tipici del nostro territorio, gnocco fritto e tigelle, fino all’aceto balsamico di Modena della nostra acetaia». «L’offerta delle carni è espressione della nostra identità» ha aggiunto Tanzi. «Si spazia dai tagli con osso a
tagli porzionati come ribeye, picanha, filetto. Per i tagli con osso si può scegliere l’origine, che oggi sono i nostri allevamenti in Polonia, negli Stati Uniti e in Italia, comparandoli e giocando sulle differenze di gusto. In fin dei conti abbiamo un certo macellaio di fiducia!». Elena Benedetti >> Link: ristoranteilcastellodicastelvetro.it ilcastello_dicastelvetro
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Photo © Koelnmesse
FIERE
#weareAnuga Anuga 2023 supera tutte le aspettative e sottolinea la sua posizione di numero uno tra le fiere mondiali del settore alimentare e bevande. Il tema guida, “Sustainable Growth”, ha posto l’accento sulle soluzioni nuga, la più grande e importante fiera del mondo per il comparto alimenti e le bevande, ha dimostrato, nel corso delle sue cinque giornate, di essere un punto di riferimento indiscusso. Con circa 140.000 visitatori specializzati provenienti da 200 Paesi e circa 7.900 espositori provenienti da 118 Paesi, la fiera ha superato tutte le aspettative. La quota di espositori proveniente da fuori Germania è stata del 94% e l’80% quella dei visitatori, rendendo Anuga più internazionale che mai. «Questa edizione è la prova della nostra qualità e della nostra rilevanza
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in un settore in rapido sviluppo. Siamo orgogliosi di unire e rafforzare la comunità mondiale degli alimenti e delle bevande sotto la bandiera di Anuga», ha sottolineato Gerald Böse, presidente e AD di Koelnmesse GmbH. Nell’ambito del tema portante del salone, “Crescita sostenibile”, Anuga si è concentrata principalmente sui temi della sostenibilità e dell’uso responsabile delle risorse. Dall’ottimizzazione delle catene di approvvigionamento alla produzione alimentare equa, gli esperti internazionali hanno presentato una impressionante varietà di approcci. Ciò a sottolineare l’impegno dell’industria
per uno sviluppo sostenibile e la sua disponibilità ad affrontare le sfide globali. «Anuga 2023 rappresenta un segnale importante per il futuro dell’industria alimentare. In quanto tale, promuove il dialogo e la collaborazione tra aziende, organizzazioni, industria, scienza e politica per plasmare insieme un futuro sostenibile e vivibile», ha aggiunto Böse. Alta qualità dei visitatori Gli espositori hanno elogiato in particolare l’alta qualità dei visitatori. Il who’s who del settore del commercio e della ristorazione ha partecipato alla fiera di Colonia. Erano rappresentati tutti i
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principali operatori dei più importanti rivenditori di generi alimentari: Amazon, Aeon Co, Aldi, Auchan, Carrefour, Coop, Cosco Wholesale, Colruyt Group, Lidl & Kaufland, Metro, Mercadona, Migros, Rewe, Spar e Walmart. Il maggior numero di visitatori provenienti da Paesi europei è stato registrato da Gran Bretagna, Italia, Paesi Bassi, Spagna e Turchia. Oltre all’Europa, le nazioni più rappresentate sono state Brasile, Cina, Giappone, Corea e USA.
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Dare forma al futuro Quest’anno Anuga Horizon è stata organizzata per la prima volta come conferenza. Numerosi panel di esperti hanno affrontato le questioni più importanti del settore ed eventi collaterali di organizzazioni come EIT Food e UNIDO hanno offerto ulteriori prospettive e soluzioni. La campagna #weareAnuga rafforza la comunità fieristica In un’epoca in cui il mondo dell’alimentazione diventa sempre più globale e la sostenibilità e la salubrità degli alimenti sempre più importanti, Anuga promuove lo scambio tra persone di diverse culture, settori e aree di interesse, non solo a Colonia, ma anche negli eventi satellite che si tengono in tutto il mondo. Questa solidarietà si riflette anche nella campagna #weareAnuga, lanciata in occasione dell’edizione 2023. La fiera è diventata virale sui social media e ha raggiunto 2,5 milioni di visite per tutta la sua durata.
La prossima edizione di Anuga si svolgerà sempre a Colonia dal 4 all’8 ottobre 2025. >> Link: anuga.com
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ATTREZZATURE INOX
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1) Scatto presso lo spazio di Martelli Salumi Spa (photo © Koelnmesse). 2) Una splendida mortadella nello stand del Salumificio Beretta (photo © Koelnmesse). 3) Dino Negrini del Salumificio Gianni Negrini di Renazzo (FE). 4) Mariangela Grosoli, alla guida della storica acetaia Aceto Balsamico del Duca nonché presidente del Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena. 5) Lo spazio del Consorzio del Prosciutto di Parma DOP.
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1) Lo stand di Negroni Salumi, Gruppo Veronesi. 2) Leoncini Salumi di Lazise (VR). 3) Nello stand di Acetaia Sereni di Marano Sul Panaro (MO), Pier Luigi Sereni col figlio Francesco. 4) Alessandro Chiapella nello stand del salumificio omonimo di Clavesana (CN). 5) Valentina e Roberto Agnani con lo staff del Gruppo Suincom di Solignano di Castelvetro (MO), lavorazione e commercializzazione carni suine.
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1) Claudio Stefani Giusti dell’Acetaia Giusti di Modena insieme ai collaboratori ad Anuga 2023 (photo © facebook.com/AcetoBalsamicoGiusti). 2) Daniele Reponi e lo staff del Consorzio Salumi Piacentini DOP (photo © facebook.com/consorziosalumi. tipicipiacentini). 3) Lo spazio di Italia Alimentari e altre società del Gruppo Cremonini.
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1) Lo spazio espositivo della Levoni Spa di Castellucchio (MN). 2) Il Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena. 3) Anche CLAI, la cooperativa agroalimentare di Imola che comprende i marchi Zuarina e La Faggiola, presente all’edizione 2023 di Anuga. 4) Il Gruppo Pini, che oggi controlla lo storico salumificio reggiano Ferrarini, leader nel comparto dei prosciutti cotti.
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1) Margherita e Marcello Palmieri del Salumificio Mec Palmieri in visita al salone. 2) Lo stand del Gruppo Principe. 3) Lo stand di CSB-System SE. 4) Acetaia Leonardi di Magreta di Formigine (MO). 5) Vincenzo Rota, Amministratore Delegato della San Vincenzo – Salumi di Calabria di Spezzano Piccolo (CS). 118
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CIBUSTEC 2023:
NUOVI TREND, NUOVE TECNOLOGIE A poco più di un mese dalla conclusione di CibusTec 2023, la fiera dedicata al settore delle tecnologie alimentari e delle bevande che si tiene ogni anno a Parma, possiamo fare il punto su nuove tendenze e tecnologie emerse. Facciamo due chiacchiere con Michelangelo Nibbio Bonnet, responsabile marketing di Zuffellato Technologies, che ha partecipato alla manifestazione con Track Alimenti, software ERP di tracciabilità e rintracciabilità alimentare
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Garantire trasparenza e tracciabilità nelle catene di approvvigionamento è fondamentale per ottenere e mantenere la fiducia dei consumatori. Per raggiungere questi risultati il Food Tech deve affrontare sfide come la gestione delle informazioni lungo l’intera catena, dalla fattoria alla tavola, per garantire che i prodotti siano etici e sicuri
Tutti gli attori della filiera agroalimentare stanno lavorando per migliorare la sostenibilità ambientale e la qualità del prodotto e la tecnologia è la chiave per raggiungere questi obiettivi. Le innovative soluzioni offerte dal Food Tech stanno rivoluzionando il settore, offrendo opportunità di crescita e sostenibilità
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l Food Tech sta ridisegnando il paesaggio della produzione, della distribuzione, del consumo e della tracciabilità alimentare. Questa trasformazione non è solo una risposta alle crescenti esigenze di un mondo in continua evoluzione, ma rappresenta anche una proattiva anticipazione delle tendenze future, portando innovazione e sostenibilità. In un settore in cui la tracciabilità, la sostenibilità e l’innovazione giocano un ruolo centrale, le aziende del settore alimentare si trovano di fronte a nuove sfide e opportunità. Dalla produzione agricola assistita da intelligenza artificiale all’uso della blockchain per garantire la provenienza e l’autenticità dei prodotti, fino alle soluzioni di realtà aumentata per una migliore esperienza d’acquisto, le tendenze emergenti nel mondo del Food Tech promettono di riscrivere le regole del gioco. È imperativo per le aziende rimanere aggiornate e pronte ad adottare queste innovazioni, affinché possano competere con successo e soddisfare le crescenti aspettative dei consumatori nell’era digitale. Un importante palcoscenico per l’innovazione del settore alimentare è stato CibusTec, il più grande appuntamento fieristico in Italia in grado di proporre l’intera gamma di tecnologie per l’industria alimentare e delle bevande. CibusTec si è tenuto l’ultima settimana di ottobre, con 1.200 espositori, un numero che si divide tra le migliori aziende del made in Italy alimentare e più di 400 marchi esteri provenienti da 30 nazioni, fra cui Stati Uniti, Germania, Francia, Turchia, India e Cina. I visitatori sono stati più di 40.000, provenienti dall’Italia e da 120 Paesi nel mondo, con un’importante presenza di pubblico Europa e Stati Uniti, dai mercati del Sud America e dall’Africa. E più di 3000 Vip Top Buyer di aziende Food & Beverage provenienti da oltre 60 Paesi. Numeri da record, che hanno consolidato il ruolo di CibusTec nel mondo. ZUFFELLATO TECHNOLOGIES non poteva mancare all’appuntamento: l’azienda IT ferrarese vanta ormai un’esperienza pluriennale nella ricerca di soluzioni per la tracciabilità e rintracciabilità alimentare. La sua suite Track Alimenti è il frutto di una costante ricerca delle più evolute tecnologie, tra cui troviamo oggi l’applicazione dell’RFiD.
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MICHELANGELO NIBBIO BONNET, responsabile marketing di Zuffellato Technologies, ci racconta le sue impressioni su CibusTec 2023 e, più in generale, sull’evoluzione del Food Tech dei prossimi anni. Evoluzione che nessuna azienda che opera nel settore alimentare può permettersi di ignorare, pena l’esclusione dal mercato in pochi anni. Per cominciare, potrebbe spiegarci cosa si intende per Food Tech? «Food Tech è un termine che si riferisce a qualsiasi tecnologia che migliora la produzione, la distribuzione e la fornitura di cibo. Comprende una vasta gamma di soluzioni tecnologiche che influiscono sulla catena alimentare, dai processi di produzione all’approvvigionamento, dalla distribuzione alla vendita dei prodotti alimentari. E sebbene possa sembrare un concetto nuovo, la connessione tra tecnologia e cibo, in realtà, risale all’epoca della Rivoluzione Industriale, nel tardo ‘700 e primi ‘800». E come si è evoluto il Food Tech negli ultimi anni? «Negli ultimi anni il Food Tech ha registrato una crescita straordinaria grazie a innovazioni come i big data, l’Internet delle Cose (IoT) e l’intelligenza artificiale (AI). Una spinta significativa è arrivata con gli incentivi europei e statali per la digitalizzazione delle imprese. Queste tecnologie stanno rivoluzionando l’industria alimentare: consentono una maggiore sostenibilità in tutti gli aspetti della produzione». Quali sono le sfide da affrontare nel futuro? «Sono diverse, in particolare quando si tratta di tutela della qualità e sostenibilità. Garantire la trasparenza e la tracciabilità nelle catene di approvvigionamento è fondamentale per ottenere e mantenere la fiducia dei consumatori. Per raggiungere questi risultati il Food Tech deve affrontare sfide come la gestione delle informazioni lungo l’intera catena, dalla fattoria alla tavola, per garantire che i prodotti siano etici e sicuri. La sicurezza alimentare è una priorità fondamentale: la tecnologia deve aiutare i produttori a prevenire le contaminazioni batteriche e assicurare la rintracciabilità dei prodotti.
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È imperativo per le aziende del settore alimentare rimanere aggiornate e pronte ad adottare le innovazioni offerte dal Food Tech, affinché possano competere con successo e soddisfare le crescenti aspettative dei consumatori nell’era digitale. L’uso di sensori intelligenti e sistemi di tracciabilità avanzati può aiutare a individuare tempestivamente e a isolare potenziali fonti di contaminazione. E poi ancora il mantenimento della freschezza, il controllo della consistenza e il rispetto degli standard di qualità. Le tecnologie di confezionamento avanzate, l’uso di biopolimeri per imballaggi sostenibili e sensori di qualità possono contribuire a mantenere elevati questi standard. Il Food Tech è anche il migliore alleato della sostenibilità, divenuta una delle principali responsabilità di qualsiasi azienda produttiva. L’innovazione può aiutare ad individuare tecniche e azioni per ridurre gli sprechi, ottimizzare i processi di produzione e promuovere la transizione a fonti di energia più sostenibili. Ma gli attori della filiera alimentare devono anche affrontare pressioni economiche, compresi i costi crescenti di produzione e le fluttuazioni dei prezzi delle materie prime. Le tecnologie alimentari possono contribuire ad ottimizzare i costi di produzione e migliorare la gestione delle risorse, aiutando le aziende a rimanere sempre competitive».
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Qual è il futuro del Food Tech nel settore alimentare? «Le tecnologie digitali, come l’IoT e l’analisi avanzata dei dati, continueranno a trasformare la produzione alimentare, rendendola più efficiente e sostenibile. Tutti gli attori della filiera agroalimentare stanno lavorando per migliorare la sostenibilità ambientale e la qualità del prodotto e la tecnologia è la chiave per raggiungere questi obiettivi. Le innovative soluzioni offerte dal Food Tech stanno rivoluzionando il settore, offrendo opportunità di crescita e sostenibilità. Lo abbiamo “toccato con mano” ad ottobre, durante CibusTec 2023 dove abbiamo ricevuto il riconoscimento Innovation Award CibusTec 2023. La fiera ha confermato che le aziende sono sempre più interessate ad adottare e aumentare gli investimenti in nuove tecnologie e sono soprattutto la tracciabilità alimentare, la produzione, la logistica e il controllo della qualità (sia della materia prima che del prodotto finito) le aree dove stanno maggiormente innovando. E Zuffellato Technologies, con Track, è pronto ad affiancare le aziende per un futuro alimentare migliore per tutti».
>> Link: www.trackanyfood.com
>> Link: www.zuffellato.com Zuffellato Technologies Via Bela Bartok 12 44124 Ferrara Telefono: 0532 904711 E-mail: info@zuffellato.com
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Sottile è la frontiera che separa il maccagn dal maccagno dice Riccardo Mazzuchetti, che insieme a Roberta Mosca gestisce l’Azienda Agricola Mazzuchetti a Sogliano Micca, Biella. Il macagn è il formaggio d’alpe elaborato durante la stagione estiva, mentre il maccagno quando gli animali sono in stalla
Chi apprezza l’erbacea dolcezza del maccagno lo consuma 35 giorni dopo la produzione: possiede pasta compatta color bianco paglierino, elastica e talvolta una leggera occhiatura. Col tempo la pasta assume toni dorati, la sapidità si fa più decisa. Le forme conservate almeno 6 mesi possono presentare crosta erosa marrone rossiccia, pasta color ambra, profumo di tabacco e sottobosco
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iccardo Mazzuchetti e Roberta Mosca, lui laureato in Agraria e lei ex impiegata nel tessile. Quando il cambio vita si fa realtà e si realizzano i desideri agognati da una vita, non c’è da stupirsi se i gravosi impegni dell’occupazione scelta si assumono con grande naturalezza e sono il viatico per eccelsi risultati. «Alleviamo in regime biologico 20 Grigio alpine, bovini da latte che poi trasformiamo in formaggi stagionati e freschi, dalle mozzarelle al maccagno». Sottile è la frontiera che separa il maccagn dal maccagno, come dice Riccardo. Sottile ma chiaro a chi abbia un poco di dimestichezza con le dinamiche commerciali che girano intorno ai prodotti tipici. «Il macagn è il formaggio d’alpe elaborato ad un’altezza minima di 900 metri durante la stagione estiva, mentre con il termine maccagno si indica il formaggio elaborato quando gli animali risiedono in stalla. Sempre da bovine alimentate in maniera tradizionale, quindi senza l’impiego di insilati di mais o alimenti OGM, ma la differenza si fa evidente grazie alle erbe da pascolo». Durante il periodo estivo Mazzuchetti porta le bovine ad un’altitudine di 1100 metri all’Alpe Colmo Superiore e quindi sarebbe potenzialmente autorizzato a definire quelle forme estive macagn. «Ma non ho aderito a nessuna associazione e quindi continuo a definire il mio formaggio d’alpe» spiega. Con serietà non comune, aggiungiamo noi. L’alimentazione degli animali, anche durante il periodo invernale, proviene dai prati intorno al piccolo caseificio, ricavato in un’ex azienda di trasformazione di pellicce di coniglio. In questo “splendido isolamento” della Valle Cervo (e del Biellese più in generale, termine utilizzato dal capitalismo locale per accaparrarsi manodopera a basso costo sino a inizio del XX secolo, motore generatore di ricchezza nel settore tessile) il macagn/maccagno è arrivato ai giorni nostri prodotto esclusivamente con latte crudo. Al latte appena munto (pare che qualcuno, secondo antica abitudine, lo rinforzi con una modesta quantità di latte di capra) si aggiunge caglio di vitello (o capretto). La cagliata così formatasi si rompe dopo circa
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70 minuti con dimensioni grossolane. Il deposito di questa massa caseosa avviene fuori fuoco e si concentra sul fondo del paiolo. La seconda fase di preparazione prevede il riscaldamento della massa caseosa a 43 °C (processo definito semicottura), ambiente da cui viene tolta e inserita nelle fascere, pressata a mano e lasciata riposare per almeno due ore. Trascorso questo periodo di tempo si procede ad un primo rivoltamento. Ne seguiranno altri (massimo) quattro a intervalli variabili, aspergendo le facce piane di sale in base alla esperienza e alla necessità. Se ne ottengono forme dal peso tra 1,5 e 2,4 kg, dal diametro variabile da 18 a 25 cm e scalzo intorno ai 7. Chi apprezza l’erbacea dolcezza del formaggio consuma il maccagn/ maccagno trascorsi 35 giorni dalla produzione: possiede pasta compatta color bianco paglierino, elastica e talvolta una leggera occhiatura; con il trascorrere del tempo la pasta assume toni dorati, la sapidità si fa più decisa, senza mai travalicare il limite di un onesto palato abituato a consumare qualcosa di meglio della ricotta prodotta dall’industria. Le forme che Riccardo Mazzuchetti riesce a conservare per almeno 6 mesi possono presentare una crosta erosa di colore marrone rossiccia, pulverulenta, dalla pasta color ambra, profumo di tabacco e sottobosco dal sapore deciso. Nello spaccio aziendale, che propone anche i prodotti di altre piccole realtà della Valle Cervo e del Biellese, ci si ferma anche per uno spuntino a base di taglieri di salumi, vitello tonnato, gnocchi alle erbe selvatiche (se ci sono all’ortica non ce li si faccia sfuggire), risotto ai fiori di sambuco. Ma, soprattutto, formaggi come il tomino, la toma (sempre a latte intero e crudo, che stagiona anche un anno) e le mozzarelle. Se la temperatura e il viaggio lo consentono, da portare con sé anche un panetto di burro oltre a confetture, succhi e sciroppi preparati da Roberta. Riccardo Lagorio Azienda Agricola Mazzuchetti Via Cappellaro 13 13816 Sagliano Micca (BI) Telefono: 338 6432361 azienda_agricola_mazzuchetti/
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La Fontina si fa in tre! Ci sono novità dal Consorzio Produttori e Tutela della DOP Fontina. È stato recentemente confermato il riconoscimento di due nuove denominazioni ufficiali che si affiancano alla Fontina DOP: “Fontina DOP Alpeggio” e “Fontina DOP Lunga Stagionatura”. La nascita delle nuove tipologie rafforza il legame col territorio e valorizza la produzione tipicamente di montagna della Fontina DOP. Nella stessa direzione va anche la modifica al disciplinare riguardante i foraggi. Mentre il Regolamento europeo (Reg UE 1151-2014) richiede un minimo di prevalenza (51%) di alimenti provenienti dalla zona di produzione, il Consorzio Fontina DOP ha previsto nel nuovo Disciplinare che almeno il 60% della razione alimentare di sostanza secca sia prodotto all’interno del territorio montano della Valle d’Aosta. Il rispetto di tale requisito consente di valorizzare le caratteristiche uniche del latte di alta montagna e di mantenere viva l’antica pratica di allevamento con la monticazione delle bovine durante il periodo estivo e l’approvvigionamento nei prati di fondovalle durante i mesi invernali, nel totale rispetto dei ritmi naturali montani. La modifica al Disciplinare, predisposta dal CdA del Consorzio dopo un lungo lavoro di approfondimento e condivisione in filiera, poi approvata all’unanimità nell’Assemblea straordinaria del marzo scorso, ha ottenuto parere favorevole dalla Regione Autonoma della Valle d’Aosta ed è stata oggi recepita e resa ufficiale dal riconoscimento ministeriale. «L’intento di questa iniziativa, che il Consorzio portava avanti ormai da mesi — ha dichiarato il presidente ANDREA BARMAZ —, è quello di vedere finalmente riconosciuto e valorizzato l’eccezionale lavoro che per 100 giorni l’anno i nostri casari svolgono in alpeggio,
Il Pecorino Romano DOP sulla tavole delle feste In purezza da gustare con un bicchiere di bollicine al momento dell’aperitivo, ingrediente di piatti storici e conosciuti in tutto il mondo per accontentare i più tradizionalisti, reinventato per andare incontro ai gusti sempre in evoluzione di chi ama sperimentare, il Pecorino Romano DOP è il protagonista perfetto delle tavole delle feste. Un gusto unico, inimitabile, inconfondibile. Per questo Natale il Consorzio di tutela del Pecorino Romano DOP ha deciso di proporre un menù completo per il pranzo di Natale e un intero ricettario da cui prendere spunto per realizzare ricette sfiziose e accattivanti, con piatti che racchiudono le mille sfumature di sapore che questo straordinario formaggio è in grado di regalare, come il Crudo croccante al Pecorino Romano DOP che ammirate in foto, un perfetto antipasto natalizio. «Sfogliate il nostro ricettario, realizzate il menù che vi proponiamo, gustate il nostro fantastico Pecorino Romano DOP mentre siete a casa a festeggiare la festa più suggestiva dell’anno», ha detto il presidente del Consorzio, Gianni Maoddi. «Il nostro regalo per voi è un formaggio sano, genuino, prodotto nel pieno rispetto di una tradizione millenaria eppure così moderna e accattivante. Una tradizione che con il progetto “La qualità europea nella sua forma migliore” — messo a punto dal Consorzio
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in condizioni non proprio agevoli. La loro passione e dedizione testimoniano un’antica tradizione casearia da custodire e salvaguardare insieme alla difesa della biodiversità dell’alta montagna e alle diverse metodologie di stagionatura che rappresentano anch’esse una tipicità del nostro territorio». Il consumatore può, quindi, scegliere tra tre diverse tipologie in base al proprio gusto, pur rimanendo invariate le caratteristiche tipiche della Fontina DOP ovvero il ciclo di produzione che avviene interamente nel territorio della Valle d’Aosta; gli ingredienti, che sono sempre solo tre, sale, caglio e latte intero crudo delle bovine di razza valdostana autoctona; infine, i rigorosi controlli sul rispetto del disciplinare, con valutazione qualitativa finale e apposizione del marchio da parte del Consorzio.
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>> Link: fontina-dop.it
di tutela e cofinanziato dall’Unione Europea — continuiamo a proporre e valorizzare in mercati per noi strategici come sono appunto Italia e Germania. Nel giorno della festa più bella, gustate con noi il formaggio più buono: buone feste a tutti con il nostro inimitabile Pecorino Romano DOP da parte del Consorzio e di tutti coloro che, ogni giorno, ci mettono il cuore per regalarvi gusto e qualità». Sul sito enjoypecorinoromano.eu trovate tutte le ricette del menù ideato dal Consorzio, più tanti altri suggerimenti per portare in tavola ogni giorno nuove combinazioni di sapori. >> Link: enjoypecorinoromano.eu .0 6 6 Premiata Salumeria Italiana, 6/23
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LO CHEF DELL’OLIO
Oleoturismo #frantoiaperti #cittadellolio di Fabrizio Bertucci
omenica ti porterò sul lago… Ah no, meglio in frantoio!”. Parafrasando le domeniche bestiali di concatiana memoria, vi racconto di un week-end alternativo in terra di Abruzzo, a Prezza, tra oliveti, bins (sì dai, quelle cassette in plastica forate di varie dimensioni funzionali alla raccolta e al trasporto delle olive), Cultivar (ricordate? L’acronimo dell’anglosassone Cultivated Variety, niente altro che le varietà di olive, oggi e qui nello specifico la Rustica e la Gentile), terzisti (coloro che hanno qualche olivo e conferiscono per appuntamento il loro raccolto al frantoio di zona, per poi andar via con le latte ricavate del loro evo, per la famiglia e qualche amico), assaggi direttamente all’uscita del ciclo delle macchine con relativi sentori, profumi e sapori che la natura regala. È andata così: «Lucia ci siete domani? Siete in pieno fermento o posso passare per un saluto, un assaggio, qualche foto ed un accenno di intervista? Così raccontiamo ai miei lettori quanto sia facile visitarvi sacrificando una domenica di centro commerciale a vantaggio della natura, della salute e del buon mangiare». «Ti aspettiamo!». Ed eccomi qui, al Frantoio Della Valle (Via Pratola Peligna 5, Prezza,AQ; telefono: 347 485 3117), una piccola realtà di olivicoltura eroica, radicata su questo territorio e gestita da più di dieci anni dai miei amici Marcello Della Valle e la moglie Lucia, con tenacia, sacrificio e tanta, tanta passione. Il loro prodotto di punta è il monovarietale da Rustica, un’oliva tipica di queste parti, definita
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di montagna perché arriva fino a 700 m sul livello del mare, con raccolta e molitura in ottobre, una netta nota erbacea e una carica polifenolica abbastanza intensa e persistente che si manifesta a fine assaggio (abbinatelo a crudo ad una zuppa calda di ceci di Navelli o di lenticchie di Santo Stefano di Sessanio o, semplicemente, usatelo come base per uno spaghettone Masciarelli, pastificio artigianale di Pratola Peligna, con aglio rosso di Sulmona e peperoncino). Ah, il Tre Torri, così si chiama il monovarietale, è presidio Slow Food! Lucia e Marcello mi hanno accolto con la cortesia di sempre, nonostante il frantoio sembrasse una fermata della Metro di Roma nell’ora di punta. Le macchine in movimento che i rumori si confondevano con le parole. Ma accompagnato da loro ho avuto modo di conoscere anche i vicini, quelle belle signore di casa che, con la genuinità che contraddistingue questa terra, facevano a gara per farmi assaggiare il loro oro verde, raccontandomi di percentuali di Gentile, problemi climatici di questa campagna, e potenziali utilizzi con piatti da abbinare. Ovviamente in dialetto stretto misto alla dolcezza di chi è fiero di essere abruzzese. E mentre Lucia mi aiutava a tradurre alcuni termini, pensavo alla fortuna che ho, e che mi sono costruito in questi anni, nel conoscere tutto ciò e avere gli strumenti per divulgarlo. Poi siamo passati in sala assaggi e ho avuto modo di godermi il novello anche del blend, prima dal bicchierino, poi sul pane, trattamento che viene riservato a chi visita il frantoio, scolaresche, comitive, compratori interessati, ascoltando le sensazioni della
stagione meno prolifica in termini di numeri ma non meno importante per la qualità. Da rompiballe che sono ho dato un’occhiata alle analisi ed ho riscontrato polifenoli, acidità e perossidi da concorso. L’oleoturismo è una risorsa, signori. Per chi la organizza e per chi ne usufruisce. Tenetelo a mente. È partito dopo l’enoturismo, ma sulla falsa riga dello stesso è cresciuto e sta crescendo a livelli esponenziali. Se dalla parte dei fruitori c’è la voglia di concedere una giornata al gusto e alla conoscenza del mestiere, dall’altra, credetemi, c’è la stessa passione che mettono nel produrre, formando personale, allestendo eventi con bicchierini e tovagliette, colazioni in frantoio, picnic in oliveto, didattica sul ciclo completo al fine di comprendere il percorso dell’oliva, dall’albero alle reti, dai bins al lavaggio e defogliazione, dalla frangitura alle gramole, dalle temperature ai tempi, dall’estrazione alla filtrazione, dallo stoccaggio all’imbottigliamento, fino alla nostra tavola. Soltanto così, attraverso le visite, gli assaggi guidati e i racconti, potremmo capire, una volta e per sempre, il valore di questo prezioso nettare. Riusciremo a comprenderne il costo al litro delle latte o delle bag in box, piuttosto che delle bottiglie di vario taglio. Ognuno il suo, ognuno per le proprie ragioni, state sicuri che ogni prezzo sarà specchio del valore. Investite in profumi, sapori e salute. Frantoi aperti ce ne sono in ogni regione e vi aspettano: dai grandi laghi del Nord al Veneto, finanche in Piemonte. Dall’Emilia alla Toscana, poi l’Umbria, il Lazio, il Molise, le Marche
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Frantoio Della Valle è una piccola realtà di olivicoltura eroica di Prezza, comune in provincia de L’Aquila che sorge su uno sperone roccioso della Valle Peligna, lungo la strada tra le Gole di San Venanzio e Raiano. L’azienda è gestita da più di dieci anni da Marcello Della Valle e da sua moglie Lucia. Il loro prodotto di punta è il monovarietale Rustica, un’oliva tipica del territorio definita di montagna perché arriva fino a 700 m slm, con raccolta e molitura in ottobre, che è anche Presidio Slow Food. e l’Abruzzo stesso, la Campania… poi giù fino a Puglia e Calabria. Con grandi eccellenze anche nelle isole. Non abbiate timore di contattarli e prenotare la vostra esperienza. Ne uscirete migliori e, soprattutto, da quel momento vi nutrirete con qualcosa di unico.
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Per quanto mi riguarda, non smetterò di tediarvi finche ne avrò voce e strumenti. L’olio extravergine di oliva mi-ha-cambiato-la vita. Ho conosciuto, e non smetto di farlo, territori ma, soprattutto, persone tenaci, vere, giovani. Che hanno avuto il coraggio di invertire
la rotta dei propri nonni fondatori che miravano alla resa tralasciando la qualità per votarsi all’eccellenza. Vi strappo una promessa. Iniziate già da domenica prossima, vero? Un saluto verde dal vostro chef dell’olio. Fabrizio Bertucci
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IL BUONO SECONDO LARA
I DOLCI DEL NATALE: NON SOLO LIEVITATI, TORRONE E CIOCCOLATI
Stollen, Christmas Cake, Bûche de Noël, pan di zenzero e molto altro. Fuori dai nostri confini, sono molte le idee dolci dedicate al Natale di Lara Abrati 130
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anettone, pandoro, veneziana, torrone e molti altri sono i dolci che conosciamo al meglio perché appartengono alla nostra tradizione natalizia. Le regioni italiane sono ricche anche di speciali produzioni territoriali che ci accompagnano durante i giorni di festa. Ma ci siamo mai chiesti se anche nei territori oltre i confini nazionali esistono ricette dedicate? La risposta è chiaramente affermativa. Dalla preparazione del pan di zenzero, una frolla bella speziata, tipica del Nord Europa e degli Stati uniti, fino ai dolci da forno. La parola d’ordine principale è una: spezie. La speziatura degli impasti è il filo rosso che unisce quasi tutte le ricette del mondo. Gettando lo sguardo Oltreoceano, in Cile possiamo ritrovare il Pan de Pascua, che, nonostante l’inganno nel nome, è un dolce consumato a Natale a base di pan di spagna al miele e zenzero, farcito con frutta candita e nocciole. Poi in Messico, con i dolcetti fritti ricoperti da zucchero e cannella chiamati buñuelos. Negli Stati Uniti, oltre ai gingerbread (gli omini di pan di zenzero), troviamo il Christmas pudding, un budino preparato con farina, frutta secca, spezie e salsa al brandy.
Ma anche il continente europeo è ricco di preparazioni tra le più diverse dedicate al periodo natalizio. Dalla Polonia arriva il Piernik, che letteralmente significa pan di zenzero. Una sorta di pane dolce farcito con confettura di prugne fermentate. Mentre dalla Svezia arriva il pane allo zafferano a forma di S chiamato Saffransbullar. In Grecia è uso mangiare dei biscotti dal cuore morbido, speziato e fresco, grazie alla presenza nell’impasto di miele, scorza d’arancia, ma anche di spezie tipicamente natalizie come la cannella, i chiodi di garofano e la noce moscata. I Melomakarona all’esterno sono guarniti da una granella di noci. Arrivando ai Paesi più vicini al nostro, possiamo focalizzarci su ben tre preparazioni: lo Stollen, preparato in Germania, anche se ne esiste una versione altoatesina, la Christmas Cake dalla Gran Bretagna e il francese tronchetto di Natale chiamato Bûche de Noël. Tre dolci che difficilmente si trovano in commercio in Italia, ma con cui è possibile regalare al Natale un vero e proprio respiro internazionale. La Stollen, o Christstollen, è un dolce tipicamente tedesco, molto diffuso anche in Alto Adige: una sorta di brioche
In alto: le Saffransbullar svedesi. A pagina 130: lo stollen, noto anche come Christstollen o Weihnachtsstollen, è un dolce originario dell’area di Dresda (Sassonia) che si prepara in tutta la Germania durante il periodo natalizio.
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arricchita da uvetta, canditi e frutta secca. È un dolce nato a Dresda e la sua ricetta originale è tutelata e protetta da una denominazione di origine e valorizzata da un’associazione dedicata. Ogni anno, all’inizio del mese di dicembre, ha luogo proprio nella sua città di origine la Stollenfest, durante la quale viene celebrato questo goloso dolce con il coinvolgimento della gente, dei panifici e delle pasticcerie che lo producono. Dresdner Christstollen è il marchio che identifica il prodotto preparato con la ricetta originale a base di uvetta, burro (è vietata la margarina), mandorle dolci e amare, scorze di arancia e limone candite, farina, acqua e lievito. Il Tronchetto di Natale è molto diffuso in Francia e nei Paesi di origine francofona e, probabilmente, l’idea è nata rifacendosi alla tradizione nordica del bruciare un grosso ceppo di legna la sera della Vigilia che avrebbe poi bruciato le seguenti notti fino all’Epifania. Il dolce si presenta proprio a forma di tronco in genere ricoperto da una glassa oppure una crema a base di cioccolato o caffè. Ne esistono di diverse versioni. La più golosa è quella a base di pasta biscotto con all’interno una crema ganache (a base di panna e cioccolato) e ricoperta esternamente da una glassa al cioccolato. Infine, dalla Gran Bretagna, la famosa Christmas cake, che appartiene alla tradizione britannica e irlandese. Tra i tre è la più facile da preparare, anche se la sua ricetta prevede molti ingredienti e molto tempo da dedicare. È curioso infatti che si inizi la sua preparazione almeno due settimane prima del Natale. È un dolce compatto, morbido e molto zuccherino, data la presenza di tanti tipi di frutta essiccata. Profuma inoltre di spezie e brandy, perché di tanto in tanto bisogna “bagnarlo” e lasciare che l’alcol venga ben assorbito. In questo modo l’interno resterà umido al punto giusto. Si prepara con spezie, mandorle, molta frutta candita e, una volta pronta, la tradizione prevede che ogni giorno venga aggiunto un poco di brandy (ricorda un po’ il Christmas pudding statunitense). Il consiglio è quello di servirla con della panna montata: piacere assicurato. Per un Natale di condivisione, con i dolci preparati in tutto il mondo. Lara Abrati
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Il Christmas pudding è il classico dolce che viene servito la sera del 25 dicembre in UK e Irlanda. A base di uova, mandorle, frutta candita, uva passa, rum e spezie varie, è anche noto come plum pudding o plum duff. Viene preparato da tradizione nel periodo dell’Avvento, meglio se da tutti i componenti della famiglia. Servito flambé, è di solito decorato con un agrifoglio.
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DOLCI
Pardulas Non chiamatele formaggelle! di Guido Guidi
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Sono sicuro che ci vedremo ancora tutti assieme, figli, nipoti e forse, chissà, pronipoti, e faremo un grandissimo pranzo con kulurzones e pardulas e zippulas e pippias de zuccuru e figu sigada (non di quei fichi secchi, però, di quella famosa zia Maria di Tadasuni). Credi che a Delio piaceranno i pirichittos e le pippias de zuccuru? Antonio Gramsci
ascono come dolce pasquale ma, come accaduto per tante altre specialità nazionali, oggi sono di consumo quotidiano ed essendo una prelibatezza che per forma e sapore impreziosisce qualunque tavola, non mancano nemmeno a Natale. Nelle tavole dei Sardi e non solo. Le pardulas, questo il nome di una deliziosa sfoglia di pasta con ripieno di formaggio o ricotta, sono eccellenti consumate appena cotte e hanno normalmente una vita limitata a qualche giorno. L’apprezzamento diffuso degli ultimi anni sta generando richieste importanti anche oltre Tirreno, ma si sta ancora lavorando ad un allungamento della shelf-life che consentirebbe di andare oltre i canonici 40 giorni di confezionamento in atmosfera protettiva. Ci si stanno dedicando alacremente imprese e ricercatori, poiché si tratta di un prodotto dalle grandi potenzialità che ha destato enorme interesse anche laddove non esiste tradizione di consumo. Il motivo è presto detto: le pardulas sono deliziose. Esistono diverse varianti, legate soprattutto alla tradizione locale e alla vocazione produttiva di alcune aree, ma le differenze non sono rilevanti né nel gusto né nella forma o nel processo produttivo. Nascono per onorare la Pasqua ma anche perché la primavera era tradizionalmente un periodo di maggior produzione di ricotta e formaggio da parte dei pastori. Se la base è sempre una pasta di semola con aggiunta di grassi, preferibilmente strutto di maiale, le differenze principali, da una zona all’altra, sono infatti soprattutto nel ripieno, una farcia golosa fatta alterna-
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tivamente di ricotta o formaggio fresco e, in certi casi, arricchita, oltre che di zucchero e scorza di limone e/o arancia, di zafferano o di uvetta. Si gustano al naturale, così come escono dal forno, ma in molte zone sono ulteriormente decorate, una volta fredde, con zucchero a velo o una glassa leggera e c’è chi vi versa sopra una goccia di miele. Come sempre accade per i prodotti regionali, si utilizzavano le materie prime disponibili in loco, e oggi che la loro reperibilità non è più un problema da nessuna parte, la ricetta è più un’espressione locale di tradizione e costume che il riflesso di quanto il territorio offre. La versione cagliaritana, per esempio, oltre ad essere di ricotta e bombata nella forma — qualcuno per gonfiarla utilizza un po’ di lievito — è quella che vanta una leggera aggiunta di zafferano. Una consuetudine dovuta ad un’importante produzione nella provincia, che ai comuni del Medio Campidano ha fatto meritare anche la DOP Zafferano di Sardegna. Nel Nuorese e nel Sassarese, invece, non solo vengono normalmente fatte con formaggio fresco e uva sultanina, ma prendono anche il nome di casadinas e si presentano molto più basse, ampie nella dimensione, per nulla bombate e con tantissimi angolini ai lati della pasta. Le casadinas assomigliano a delle crostatine con un perimetro a coroncina, le Pardulas, al contrario, ad un fagottino e, talvolta, hanno addirittura una base quadrata, con soli 4 angoli dunque, e i lati leggermente tondeggianti. Nella stragrande maggioranza dei casi, persino nelle realtà industriali — peraltro pochissime — sono chiuse a mano dando lateralmente dei pizzichi alla pasta
che racchiude il ripieno. Dimensioni e peso variano a seconda della ricetta e dei gusti personali. Ma è tale e tanta la distanza tra queste due versioni che — come spesso accade anche per i ravioli — chi le consuma di ricotta non ama quelle con formaggio e viceversa, con una tifoseria accesa tra le due scuole di pensiero che talvolta si traduce in tifo da stadio vero e proprio. Perché le pardulas o casadinas vantano cultori e amatori insospettabili e agguerriti. Produttori come Vito Arra, che opera in Ogliastra, realizzano da tempo una ricetta personalizzata che è una via di mezzo e che soddisfa ogni palato: un ripieno misto di ricotta e formaggio fresco con un’aggiunta quasi impercettibile di zafferano e una forma talmente piccola e delicata che rende irrinunciabile un assaggio. Le pardulas sono senza dubbio tra i dolci eletti a simbolo della Sardegna, essendo tra l’altro specialità prettamente regionale che non si produce altrove con queste caratteristiche. E se GRAZIA DELEDDA citava le seadas in Canne al Vento, ANTONIO GRAMSCI le richiamava durante la lunga detenzione in carcere, in una lettera indirizzata alla madre. Per un dolce che non conosce crisi e piace indistintamente a grandi e piccini, andrebbe forse realizzato un percorso di tutela e protezione giuridica del nome. Questa leccornia gustosa e pregiata è ovviamente annoverata tra i PAT isolani, ma il suo nome è già ingiustamente italianizzato con termini come ricottelle o formaggelle, che non rendono loro giustizia, perché cancellano il richiamo alla terra che ha dato loro i natali. Guido Guidi
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BEVANDE
SELECT,
ALLE ORIGINI DELLO SPRITZ Continua con immutato successo là dove, nel 1920, fu creato dai Fratelli Pilla, dopo esser stato battezzato con entusiasmo da Gabriele D’Annunzio di Nunzia Manicardi
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perol o Campari?” si sente spesso riecheggiare nelle ore del tardo pomeriggio in ogni strada d’Italia dove lo Spritz è ormai da lungo tempo diventato indiscusso e amatissimo costume nazionale. Un vero e proprio rito a cui, anche volendo, è difficile sottrarsi per la piacevole e rilassante pausa amicale che esso consente dai pressanti impegni quotidiani e per la gradevolezza degli ingredienti (da usarsi comunque con parsimonia da un punto di vista dietetico e salutistico). Ma c’è anche un altro ingrediente tipico dello Spritz, che tuttavia ai giorni nostri non risuona ovunque con la stessa familiarità, ed è il Select. Eppure è sempre ad esso che guardano i puristi e soprattutto i Veneziani che, oltre a rivendicare di aver dato i natali all’aperitivo che illumina con il suo brillante colore arancione le nostre giornate, conservano ancora oggi l’abitudine di prepararlo proprio con il Select. Lo Spritz è nato come semplice mescolanza di vino bianco e acqua frizzante agli inizi dell’800 quando, durante la dominazione austro-ungarica del Veneto, i soldati asburgici iniziarono a “spruzzare” (dal tedesco spritzen) con acqua frizzante il vino bianco locale (vino fermo!) per renderlo meno forte (e probabilmente anche per farlo “an-
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“Cento Anni di Select, Cento Anni di Venezia” è la mostra allestita nel 2020 a Venezia nella quale l’illustratore Emiliano Ponzi ha dato voce al Centenario di Select ripercorrendo la storia del brand e del suo legame con la città in undici tavole.
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Il Select Spritz o spritz veneziano è una ricetta nata nel 1920, quando i fratelli bolognesi Mario e Vittorio Pilla crearono questo buonissimo aperitivo e ne registrarono il marchio. L’anno prima i due avevano già fondato la Distilleria Fratelli Pilla & C., situata nel centro di Venezia e specializzata nella produzione di liquori di vario tipo. A distanza di oltre 100 anni la ricetta del Select è rimasta invariata: viene preparata con ben 30 erbe aromatiche diverse, tra cui radici rabarbaro che donano un sentore amaro e bacche di ginepro che danno struttura al distillato. dar giù” meglio, non essendo sempre di ottima qualità). Da qui l’origine del nome Spritz. Agli inizi del ‘900 questa abitudine si diffuse inarrestabilmente nelle tipiche osterie veneziane dove lo Spritz diventò il protagonista delle allegre riunioni conviviali, pur mantenendosi lontano da ogni eccesso alcolico. Nel tempo, però, il rustico aperitivo popolaresco cambiò e si arricchì a seconda del gusto e del territorio, uscendo dai confini locali e sociali in cui fino a quel momento era stato limitato. Questo successe a partire dagli anni ‘20, a seguito dell’introduzione nella ricetta originale del bitter, un liquore amaro. Tale novità diede vita a due varianti a seconda dei bitter utilizzati: quella con l’Aperol a Padova e quella con il Select a Venezia, nati pressoché in contemporanea.
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Già verso la metà degli anni ‘60 a Venezia crebbe sempre più, fino a diventare una moda, il successo dello Spritz locale con vino bianco fermo, acqua frizzante e Select. Che ha continuato ad essere servito a Venezia in questa versione, mentre nel resto d’Italia, a partire dagli anni ‘70, ha preso piede specialmente quella con l’Aperol. Quest’ultima ha riscosso gradatamente tanto successo che l’Aperol Spritz nel 2011 è stato inserito fra i cocktail ufficiali dell’IBA, l’Associazione internazionale dei Bartender. Universalmente gradita ed accettata è stato poi l’introduzione del prosecco al posto del vino bianco fermo. Il prosecco, con le sue preziose bollicine, ha di fatto reso superflua l’aggiunta dell’acqua frizzante (seltz o soda), che non di rado tuttavia persiste ugualmente.
I puristi sostengono ancora oggi che il vero Spritz veneziano sia quello con il Select e lo preparano così: prima 1/3 di vino (o prosecco), poi 1/3 Select e infine 1/3 soda. Va servito in un bicchiere basso (rock) o in calici che vanno riempiti di ghiaccio prima di iniziare a versare (attenzione però, tra soda e ghiaccio, a non annacquare troppo! Personalmente si consiglia prosecco e Select oppure vino fermo, Select e seltz, in ogni caso senza ghiaccio). Come tocco finale si può aggiungere una fettina di arancia oppure un’oliva verde, che non è una semplice decorazione ma un vero e proprio ingrediente caratteristico perché conferisce una particolare aromaticità. Il Select, questo liquore/aperitivo a bassa gradazione alcolica di colore rosso intenso con riflessi aranciati e di
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Bere uno Spritz in un bacaro, accompagnato dai tradizionali cicchetti e dalle immancabili sarde in saor, è considerata all'unanimità come un’esperienza da “veneziano Doc”. Già da fine ‘800, infatti, lo Spritz faceva la sua comparsa nei bar della città lagunare per diventarne presto la sua bevanda più iconica fino al boom degli anni ‘70 al recente successo internazionale. grande struttura e intensità, ha un gusto secco e amaro donatogli dalle 30 erbe aromatiche dalle quali scaturisce, tra cui radici di rabarbaro e bacche di ginepro, e dall’ottimo equilibrio tra le note dolci degli agrumi e quelle amare di radici e cortecce che lasciano sul palato un retrogusto persistente e piacevole. È ottimo anche liscio, con una spruzzata di seltz e qualche cubetto di ghiaccio. La ricetta è rimasta invariata fino ad oggi, così come il metodo produttivo che dura ben 9 mesi ed è basato sulle seguenti fasi: bollitura, macerazione, distillatura, filtrazione, maturazione, imbottigliamento. Si procede tuttora a
macerare in modo lento le erbe aromatiche in acqua e alcol, poi si prepara un estratto tramite bollitura a caldo, estraendo successivamente la parte più aromatica delle bacche di ginepro tramite distillazione in purezza o con un alambicco di rame. L’aperitivo Select ha una data precisa di nascita: il 29 maggio 1920, quando ne venne registrato il marchio. Come si racconta nelle memorie di una famosa nobildonna dell’epoca, Maria Damerini, Vittorio Pilla avrebbe ottenuto il nome Select dal poeta Gabriele D’Annunzio, rimasto talmente “folgorato” dalla bevanda
SI DICE SIA STATO GABRIELE D’ANNUNZIO A CONIARE IL NOME DI SELECT: IL POETA TROVÒ LA BEVANDA TALMENTE BUONA DA VOLERNE ELOGIARE LA SELEZIONE DELLE MATERIE PRIME, USANDO IL TERMINE “SELECTUS”, POI TRONCATO IN “SELECT”
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durante una prestigiosa cena sul Canale della Giudecca per la Festa del Redentore al punto da volerla elogiare coniando di getto il nome “Select”, forma tronca del latino “selectus” che significa selezionato, scelto, per rimarcare come esso fosse la sua scelta preferita. Nel 1933, quando con l’inaugurazione del Ponte della Libertà Venezia fu collegata alla terraferma, lo stabilimento produttivo si trasferì a Porto Marghera dove restò fino al 1944 quando, dopo i bombardamenti, venne trasferito a Murano, in luogo più sicuro. Le difficoltà del Secondo Dopoguerra spinsero i Pilla a cercare investimenti esterni, per cui l’azienda nel 1957 si trasferì in provincia di Bologna, a Castel Maggiore. Da quel momento il prodotto assurse decisamente a fama nazionale. Nel maggio di quest’anno si è avuto un ritorno alle origini di una parte della produzione con l’apertura di Ca’ Select nel cuore di Venezia, nel sestiere di Cannaregio. Non meravigliamoci, dunque, se Select ancora oggi vuol dire autentico “Spritz veneziano”. Nunzia Manicardi
Premiata Salumeria Italiana, 6/23
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VINI DI NATALE
VINI DI NATALE 2023 di Riccardo Lagorio 140
Premiata Salumeria Italiana, 6/23
crivere di piccole cantine non è una scelta aprioristica (tuttavia, mettere su carta quelle più strutturate, con ufficio stampa e buona dote di finanziamenti pubblicitari, risulta molto più semplice). Al di là di questo si deve prendere atto di un dato interessante che emerge dalle statistiche relative alla dimensione delle cantine italiane, che non sfuggono alla cosiddetta polverizzazione imprenditoriale del nostro Paese. Circa il 30% delle cantine appartiene alla categoria dei piccoli produttori, ovvero al di sotto delle 60.000 bottiglie all’anno (quantità che personalmente ritengo esagerata perché si possa parlare di piccola cantina, ma le statistiche questo ci offrono). Il 20% appartiene ai produttori medio-piccoli, coloro che mettono sul mercato una quantità tra le 60 e le 150.000 bottiglie. Il 15% lavora tra le 150 e le 300.000 bottiglie (medi produttori) e un altro 15% tra 300.000 e un milione di bottiglie (medio-grandi). I grandi produttori (che vendono tra un milione e 3 milioni di bottiglie) sono il 5% e i grandissimi produttori (che imbottigliano sino a 65 milioni di bottiglie) rappresentano pure un 5% del numero di cantine. Il cuore delle cantine italiane è pertanto costituito dalle medie e piccole. A questa premessa numerica si aggiungono le altre considerazioni: cioè l’interesse a raccontare persone e un territorio circoscritto, la personalità e l’identità di produttori e prodotti e il rispetto di vigna e cantina al di là delle certificazioni. Riflessioni che trascendono quindi dalle dimensioni aziendali, ma che operano come selezione naturale (che esclude le fasce numericamente cospicue). Con lo stesso criterio di libertà e conoscenza non è corretto affermare che i piccoli e i piccolissimi produttori spicchino sempre per vini dal giusto equilibrio, competenza e originalità (come la moda che molti di loro cavalcano degli orange wines). L’unica regola per non rischiare di perdersi potenziali grandi vini e potenziali grandi storie è quindi quella di non dare mai nulla per scontato e non avere pregiudizi nei riguardi delle cantine, avendo però chiaro che il mestiere di giornalista non può ridursi ad un elenco di coloro che spiccano per generosità e inserzioni pubblicitarie, ma essere improntato a una personale ricerca.
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Piccole e medie cantine italiane, grandi storie e grandi vini, al di là dei pregiudizi, senza mai dare nulla per scontato, avendo ben chiaro il proprio obiettivo e portare così a tavola la felicità Premiata Salumeria Italiana, 6/23
La sommatoria di un criterio e l’altro quest’anno vi farà portare in tavola, seguendo questi consigli, felicità. Il Calepino, Castelli Calepio (BG) Non si può iniziare senza uno spumante, il Brut Metodo Classico de Il Calepino, la cui uva cresce sulle ripe nel tratto bergamasco del fiume Oglio. Le bollicine fine e persistenti, vestite di giallo paglierino, si sviluppano trascorsi almeno 48 mesi sui lieviti. Il profumo di melone e ginestra percepito nel naso si amplifica nel palato. Buona la persistenza di profumi e gusto (ilcalepino.it). Azienda Agricola Cerri, Scanzorosciate (BG) Dall’inizio del pranzo alla fine, con un altro vino bergamasco, ma dai colli di Scanzorosciate, il DOCG Moscato di Scanzo dell’Azienda Agricola Cerri. Convince per il colore rubino intenso che vira al violaceo, il profumo d’incenso e rosa. In bocca transita la viola verso spezie e mandorla, mai dal dolce stucchevole malgrado l’appassimento delle uve (di Moscato di Scanzo, rosse) per oltre 30 giorni (agriturismocerri.it). Col Vetoraz Spumanti, Valdobbiadene (TV) Ancora uno spumante. Uno dei vini più chiacchierati per via della poca attenzione in vigna e dei numeri spropositati della sua produzione è il Prosecco. Tuttavia esistono realtà che smentiscono ogni chiacchiericcio sul tema. La famiglia Miotto dal 1838 vive sulla sommità di Col Vetoraz in Santo Stefano di Valdobbiadene. Qui ha sviluppato tecniche poco invasive dell’ambiente per la coltivazione della vite. Proprio per non banalizzare la parola Prosecco, dal 2017 tutte le etichette riportano solo la denominazione Valdobbiadene DOCG e tra questi il Superiore di Cartizze possiede un profumo intenso di ginestra. Buona la persistenza delle bollicine, sottili e uniformi (colvetoraz.it). Kellerei Kaltern, Caldaro (BZ) Sono circa 580 i soci della cooperativa Erste Neue di Caldaro (BZ) per un totale di 440 ettari coltivati. Questi garantiscono che la piana, i colli, ma anche una parte della montagna, siano ovunque pettinati come un prato erboso grazie ai vigneti. Josef Planer è uno di
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questi e, sotto gli auspici di Sant’Urbano, protettore del vino e dei vignaioli, coltiva 5 ettari in Aica di Fiè. Parte del suo raccolto di Riesling va a formare le bottiglie di Erste Neue che si distinguono per il colore giallo paglierino tenue e l’accentuato assai gradevole profumo sulfureo. Fortuna vuole che non risulti troppo acido né aggressivo, con richiami di mandorla amara nel finale (kellereikaltern.it).
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Cantina Visconti Vigoleno, Vernasca (PC) La storia della DOC Vin Santo di Vigoleno (frazione di Vernasca, nel Piacentino) profuma di antico. La storia forse un po’ romanzata racconta che fu prodotto per la prima volta all’interno del castello, il maniero che mantiene intatta la propria struttura dal XII secolo. Un Disciplinare di produzione all’avanguardia vieta l’uso di solfiti e delle filtrazioni.
Specifica inoltre che l’invecchiamento deve protrarsi per almeno 60 mesi, di cui almeno 48 in caratelli di legno di capacità di 125 litri prima di essere messo in bottiglie da 375 cl. Servono uve Melara per il 60%, Santa Maria e Beverdino che vengono appassite su reti o cannicci e spremute al torchio verticale manuale tra il 10 dicembre e febbraio. Se ne ottiene un vino giallo dorato che vira all’ambra, profumo
Premiata Salumeria Italiana, 6/23
balsamico con note di zafferano, datteri e miele di castagno. Da provare quello della Società Agricola Massimo Visconti (cantinaviscontivigoleno.com). Agriturismo la Valle degli Ulivi, Semproniano (GR) Sulle colline intorno a Saturnia e Scansano nel Grossetano si trova un borgo raggomitolato intorno ai resti del castello. Si dice che Semproniano derivi il proprio nome dalla gens Sempronia, potente famiglia dell’antica Roma. Certo è che circondato da riserve naturali e oasi del WWF che ne fanno un’isola di pregio ambientale. La fattoria Valle degli Ulivi della famiglia Passalacqua è un rifugio per chi vuol mangiare. E bene. Una sorta di ministato dove sono disponibili olio, carne, formaggio, frutta. E una piccola quantità di vino da uve Sangiovese, La Bevina, bicchiere rubino con riflessi granato e dal profumo di violetta. C’è anche un’ombra speziata e amaricante a connotare originalità (lavalledegliulivi.com). Cantina Roberto Lepri, Perugia Quando si accede alla città di Perugia da una qualunque delle numerose strade, ci si rende conto dei vasti spazi aperti che disegnano le pendici delle colline. Tra questi le vigne e gli uliveti di Roberto Lepri, quasi in centro, ma profondamente in campagna. Una storia comune a molte altre degli ultimi due decenni: la terra ereditata dalla famiglia, il salto di una generazione e il ritorno ai fondi che si è compiuto grazie all’offerta di vino e olio. Il bagaglio olfattivo del suo Trebbiano (Spoletino) procede dritto verso frutta gialla, pesca e albicocca, e fiori di tiglio. Di buona trama con un piacevole finale amaricante (telefono: 338 8156147). Serragiumenta Aziende Agricole Riunite, Altomonte (CS) La storia di r, IGT Calabria del Castello di Serragiumenta (nel Cosentino) è davvero singolare. E il vino è magistrale. Tempo fa un fido collaboratore ambiva a produrre un vino da uva Magliocco, ma che fosse potente e guerriero. Con l’autorevolezza del caso e la fiducia guadagnata anno via anno costui prese in autonomia la decisione di vendemmiare il 28 ottobre, indicando la data
Premiata Salumeria Italiana, 6/23
sulla botte. Dopo qualche tempo Rita Bilotti, la proprietaria, chiese perché della data del suo genetliaco sul tino. Ottenuta risposta, e avendo appurato che l’operazione era riuscita perfettamente, la scelta spontanea fu quella di dedicare a Rita le future bottiglie. r sta anche per rosso, riserva. Forse anche per rocambolesco, certo per robusto. Risolutiva l’idea di vendemmiare quando le uve fossero ben mature così che il 28 ottobre rimane per tradizione la data del raccolto. Sarete travolti da una doppia festa se passate da questa incantevole magione (serragiumenta.com). Cantina Nino Altomonte, Palizzi (RC) Chi va a Palizzi e non si ubriaca è lo stesso che va a Roma e non vede il Papa, recita un adagio reggino. In effetti il piccolo centro ospita una decina di buoni produttori di vino, figli di una storia centenaria. Ma Nino Altomonte è qualcosa di più di un vignaiolo, un folletto che si agita per queste ripide montagne affacciate sulla Costa dei Gelsomini. Dall’assemblaggio di uve Nerello Mascalese e Nerello Calabrese nasce l’IGT Palizzi Melfio, rubino intenso che vira al purpureo. Susina ben matura e spezie tra gli aromi percepiti dal naso e una sferzata di calda gioia in bocca (telefono: 338 4965032, e-mail: aziendaagricolaaltomonte@yahoo.it). Cantine Pirro, Troia (FG) L’azienda agricola Pirro è vecchia di 400 anni: opera in una masseria del ‘700 e si è specializzata in olio e grano duro. Durante una pausa durata tre decenni — a partire dagli anni ‘70 — all’uva si sono preferite le altre colture, ma l’ingresso di Stefano Maria Pirro ha rinnovato l’interesse per la produzione anche di vino. Da uva di Troia, ça va sans dire, con la personale interpretazione che una parte viene utilizzata per ottenere vino bianco. Sbaraglia le attese: affina in botti di legno per un anno, così da rispecchiare il vitigno di provenienza e, fuori da ogni Disciplinare, risulta inebriante per il bicchiere color solidago e leggermente ambrato. Si concede poi con profumi speziati e di litchi in un crescendo che premia salinità e sentori di albicocca (www.cantinepirro.it). Riccardo Lagorio
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LA CANTINA SCELTA DA PREMIATA SALUMERIA ITALIANA
Ceraudo Wines di Massimiliano Rella
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ini da vitigni autoctoni calabresi ispirati da una ricerca costante della qualità e da un grande rispetto per l’ambiente e i cicli dell’agricoltura. Parliamo in questo numero di PREMIATA SALUMERIA ITALIANA 3 etichette di alta gamma di Roberto Ceraudo, produttore visionario che da quasi quarant’anni — ben prima
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delle mode — guida la sua azienda vitivinicola e agrituristica secondo principi di sostenibilità, un occhio rivolto all’innovazione e le radici ben salde nel territorio. La cantina si trova nell’agro di Strongoli, in provincia di Crotone, alle pendici delle ultime colline della preSila, a pochi minuti a piedi dallo Ionio.
È un’azienda certificata biologica dal lontano 1991, con agrumeto, uliveto di cultivar autoctone Tonda di Strongoli e Carolea (per la produzione di olio evo), una produzione di vino di 70.000 bottiglie l’anno (in 9 etichette) e un ristorante stellato, il Dattilo (www.dattilo.it), che sotto la guida della figlia Caterina, eletta nel 2016 Donna Chef dell’anno
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La cantina Ceraudo sorge nella Calabria ionica ed è immersa nella campagna che circonda Strongoli Marina, a pochi passi dal mare, tra vigneti e oliveti secolari e alberi di agrumi. Fu fondata nel 1973 da Roberto Ceraudo con l’acquisto della terra appartenuta ai principi Campitello e Pignatello e in seguito ai baroni Giunti del casolare risalente al 1600. Roberto Ceraudo si avvale nella conduzione del prezioso aiuto dei figli Giuseppe, Susy e Caterina, chef rinomata alla guida del ristorante di famiglia, il Dattilo. L’azienda è condotta in regime biologico certificato (photo © Massimiliano Rella).
dalla GUIDA MICHELIN, ha portato ad alte vette la cucina calabrese contemporanea. Insomma, ottimi prodotti, sapori ma anche grande accoglienza sotto la regia di Susy, la maggiore dei tre figli; il mediano è Giuseppe, impegnato a gestire l’azienda agricola insieme al padre Roberto, quando non si dedica al calcio, la sua passione extralavorativa.
Premiata Salumeria Italiana, 6/23
E veniamo ai prodotti, con una breve divagazione sull’olio extravergine d’oliva. Il blend di Carolea e Tonda di Strongoli si presenta con un fruttato medio piacevole, dalle eleganti note olfattive di rosmarino, mela verde, cardo, avvolgenti e armoniche. In bocca tornano il rosmarino e la mela, amaro e piccante presenti con grazia
e ben bilanciati. Un olio evo coerente, piacevole, elegante, per niente aggressivo, perfetto con piatti come il tonno alla calabrese con la cipolla rossa, ma anche bruschette, legumi, zuppa di ceci, rombo al forno con patate della Sila, carni rosse alla griglia, cosciotto di maiale nero di Calabria. Piatti, ovviamente, che abbiniamo ai vini di
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Grisara Calabria IGT Bianco, Grayasusi Etichetta Argento Calabria IGT Rosato, Petraro IGT Val di Neto Rosso.
Ceraudo, bianchi, rosati e rossi. Come il bianco Grisara, appena 6.500 bottiglie da uve Pecorello in purezza coltivate sulle colline di Strongoli tra 60 e 110 metri slm; viti che danno basse rese per ettaro (50 quintali) e uve concentrate di aromi e sapori. Premiato da anni dalle principali guide di settore, questo bianco è vinificato con lieviti autoctoni e fa una macerazione sulle bucce di un giorno. Alla degustazione colpisce per il naso delicato di agrumi e fiori bianchi e l’equilibrio gustativo, secco, minerale e persistente al palato. Dal bianco al rosato un’altra bella sorpresa è il Grayasusi Etichetta Argento
Calabria IGT Rosato, da uve rosse Gaglioppo in purezza, raccolte a mano di notte da vigne di oltre 40 anni d’età, coltivate sulle colline di Strongoli tra 60 e 100 metri slm. Basse rese (50 quintali/ettaro) e anche qui una forte personalità nel bicchiere: intenso e persistente all’olfatto, di colore rosa tenue, al palato rotondo e armonico. Macerato con le bucce per l’estrazione di aromi e colore per circa un giorno, questo rosato è prodotto in appena 3.500 bottiglie. La terza scelta ricade infine su un rosso potente come il Petraro IGT Val di Neto, appena 3.500 bottiglie ottenute
L’esposizione dei filari verso il mare, la consistenza del terreno e il microclima hanno permesso alla famiglia Ceraudo di ottenere vini freschi e al tempo stesso carichi di profumi. Il sole, la frutta e i fiori primeggiano nel carattere di questi vini, regalando l’emozione di un grande viaggio verso il Sud
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da un blend di Gaglioppo, Greco nero e Cabernet sauvignon da vigne leggermente più giovani (25-35 anni) ma con rese per ettaro ancora più stringenti, appena 35 quintali, una riduzione spinta per avere grappoli selezionati, perfettamente sani e di qualità. Le uve sono raccolte a mano di notte, vinificate in modo soffice e il mosto fermentato per 15 giorni a temperatura controllata. L’affinamento avviene per 36 mesi in barrique di rovere francese, seguono 2 anni di bottiglia. Un rosso importante, di colore rubino, armonico al naso e con bella speziatura di piccoli frutti rossi e di bosco, in bocca avvolgente, rotondo, vellutato, fresco. Da servire a una temperatura di 18-20°. Ideale con carni pregiate, selvaggina e formaggi importanti. Massimiliano Rella Società agr. Ceraudo Roberto Contrada Maremonti 4/6 88816 Strongoli (KR) Telefono: 0962 865613 Web: www.ceraudo.it
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Designing the future of wine, POLI.design – Politecnico di Milano lancia il progetto internazionale per fare conoscere in modo originale nel mondo il vino italiano e la sua filiera Portare in Italia operatori, appassionati e studenti provenienti da tutto il mondo per fare vivere loro un’esperienza formativa full immersion di cinque giorni, interamente dedicata al vino italiano: è questo l’obiettivo di “Designing the future of wine”. Si tratta del nuovo progetto di POLI.design, società di alta formazione del Politecnico di Milano, che offrirà una lettura originale del settore, data dall’approccio del Design Strategico. Il corso, articolato in cinque giornate, toccherà i seguenti temi: Design sensoriale,Territorio e cultura del vino, Evoluzione Sostenibile – Agridesign e Innovazione. Tra gli aspetti più innovativi vi è, anzitutto, la possibilità per i corsisti di imparare e allo stesso tempo vivere un’esperienza immersi nel fascino dell’Italia. La sede scelta per la prima edizione, infatti, sarà il Castello di Meleto nel Chianti classico, splendido esempio di conservazione del patrimonio storico, artistico e paesaggistico toscano. Le prime due giornate porteranno alla conoscenza del vino dal punto di vista organolettico attraverso i cinque sensi, udito compreso. Il secondo e il terzo giorno gli studenti si addentreranno nei temi della storia e della cultura enologica per l’Italia, ma anche nel complesso mondo delle denominazioni italiane. L’ultimo giorno sarà dedicato alle sfide future, prima fra tutte quella della sostenibilità ambientale. Ad alternarsi come docenti saranno Filippo Bartolotta (giornalista e formatore), Aldo Fiordelli (giornalista e formatore), Paolo Scarpellini (giornalista e musicologo), Costantino Gabardi (consulente strategico), Valentino Ciarla (enologo), Michele Contartese (direttore di Castello di Meleto), Fabio Piccoli e Lavinia Furlani (Wine Meridian) e Mattia Calesso (Giotto Consulting). A ricoprire il ruolo di direttore scientifico ci sarà Silvia Baratta, fondatrice dell’agenzia di comunicazione Gheusis e formatrice. «Il vino italiano ha bisogno di una narrazione diversa, innovativa, coinvolgente, stimolante» afferma Silvia Baratta. «Il corso racconterà le sfaccettature del settore in modo diverso, unendo la creatività del design allo spessore dei contenuti tecnici, grazie a relatori molto preparati. «POLI.design, Società Consortile del Politecnico di Milano, prima Università In Italia, quarta in Europa e ottava nel mondo (QS Art&Design 2023) organizza e promuove questa educational experience come parte integrante della sua offerta formativa destinata ad un target tanto nazionale quanto internazionale. Il design, durante questo corso, costituirà il driver fondamentale, in grado di esplorare e mostrare l’eccellenza del patrimonio enologico italiano, grazie anche alla qualità di un team di esperti che accompagneranno i partecipanti in un percorso unico ed innovativo» ha dichiarato Paola Galdi, chief international affairs officer POLI.design. Il progetto si avvarrà del patrocinio dell’Associazione Le Donne del Vino, di ONAV e di Agivi. • Per ricevere maggiori informazioni scrivere a: sofia.dalessandro@polidesign.net
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Gli amanti del vino in Italia: la fotografia di CGA by NielsenIQ In occasione della Milano Wine Week (7-15 ottobre, milanowineweek.com), CGA by NielsenIQ (NIQ) — principale società di consulenza per la misurazione, l’analisi e la ricerca nel settore On Premise — ha raccontato lo scenario italiano del consumo di vino fuoricasa. Nonostante l’incremento del costo della vita stia colpendo gran parte degli Italiani, gli amanti del vino tendono ad essere più propensi a non rinunciare al piacere di mangiare e bere fuoricasa. Per quanto riguarda le specifiche categorie di bevande, dall’indagine emerge che il 40% dei consumatori preferisce il vino come drink. Una tendenza tutta italiana che rende la categoria terza dopo birra e aperitivi. «Concedersi un calice di vino fuoricasa è un piacere a cui gli Italiani non vogliono rinunciare» commenta DANIELA CARDACIOTTO, On Premise Sales Leader Italia di CGA by NIQ. «Il vino rientra nella top 3 delle categorie di bevande preferite dagli Italiani fuoricasa e il vino fermo è il drink più amato. Tuttavia, non è da sottovalutare la diffusione del vino frizzante, che rientra anche tra i principali ingredienti di numerosi cocktail». Le tipologie di vino preferite dagli Italiani e l’identikit degli appassionati Il vino fermo traina la categoria: lo scelgono infatti 3 consumatori su 4 (75%). Vino frizzante (44%) e da dessert (28%) si posizionano al secondo e terzo posto. Il fermo, se paragonato, al frizzante detiene una posizione dominante, col 53% dei consumatori che dichiara di berlo esclusivamente rispetto alle bollicine. Il 60% degli amanti del vino afferma che uscire per mangiare e bere fuoricasa rimane una priorità fondamentale. Il 71% frequenta locali con una continuità uguale o maggiore rispetto a 3 mesi fa, spendendo la stessa cifra o addirittura superiore. In Italia il consumatore di vino è alto-spendente — con un reddito medio familiare superiore ai 38.000 euro —, paga mensilmente una cifra di circa 103 euro per mangiare e bere fuoricasa e si colloca prevalentemente nella fascia d’età degli over 55 (44%). Il 62% frequenta settimanalmente i locali e vive generalmente in grandi aree urbane (69%). Carta dei vini: quali sono i criteri di scelta di un buon bicchiere di vino Prima di scegliere un calice gli Italiani controllano in primis la provenienza: regione (37%) e Paese d’origine (32%) si collocano al primo e al secondo posto, seguiti dalla reputazione (23%). Dall’analisi emerge anche che gli Italiani (88%) sono i primi consumatori a livello mondiale a prediligere vini del proprio Paese, seguiti da Nuova Zelanda (85%) e Francia (78%). Più di un terzo (37%) indica la qualità del prodotto come caratteristica imprescindibile per la scelta del proprio drink. Fattore meno rilevante è il prezzo, che si posiziona al sesto posto (19%) e non influisce in maniera consistente (fonte: CGA by NielsenIQ; photo © Pinar Kucuk x unsplash). >> Link: cgastrategy.com
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TECNOLOGIE
Controllo degli ordini di produzione per una logistica ottimale con l’ERP CSB-System ggi più che mai, a causa dell’aumento dei costi e della concorrenza feroce, le industrie alimentari hanno bisogno di sfruttare al meglio le capacità di produzione per soddisfare le richieste del mercato. Il raggiungimento di questo obiettivo è strettamente legato al complesso processo di coordinamento nella gestione delle merci. Il CSB-System, ERP particolarmente efficace per la produzione e la logisti-
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ca, è stato appositamente sviluppato per il settore alimentare: la gestione dei rischi e delle criticità legati alla filiera del fresco avviene da sempre secondo le best practice nazionali ed internazionali. In generale, il CSB-System garantisce la totale automatizzazione e trasparenza del processo di produzione, dopo aver elaborato previsioni di vendita affidabili grazie ad informazioni costantemente aggiornate.
Pianificazione e controllo della preparazione ordini Dopo l’inserimento e l’accettazione, gli ordini di vendita vengono pianificati in base a scenari temporali di breve, medio e lungo termine e poi assegnati ai singoli reparti e/o postazioni incaricati della preparazione, diventando così degli ordini di produzione. Automaticamente viene realizzato anche un piano di assegnazione delle postazioni di lavoro. In base ai tempi previsti per la prepara-
Controllo Qualità con dispositivo mobile.
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Logistica puntuale L’equilibrio tra qualità e quantità dei prodotti con relativo controllo di costi e prestazioni consente di raggiungere una logistica efficiente. Grazie al suo alto grado di integrazione, l’ERP CSBSystem verifica costantemente la portata delle scorte degli articoli con proposte automatiche per il carico e lo scarico sulla base delle disponibilità aggiornate. La pianificazione dei giri gestita dal sistema è uno strumento efficace per l’evasione veloce degli ordini dei clienti e per il controllo dettagliato sui costi dei trasporti.
Gestione ricette e lotti al CSB-Rack. zione, il gestionale ottimizza l’impiego di risorse umane e materie prime. Controllo degli ordini di produzione con l’ERP CSB-System Una volta assegnato l’ordine di produzione, il CSB-System ne sorveglia l’avanzamento. Per ogni lotto e ordine di produzione vengono confrontati i tempi effettivi con i tempi previsti, l’ora iniziale e l’ora finale. In questo modo i responsabili di produzione possono individuare ritardi e difficoltà insorgenti e così intervenire tempestivamente con misure correttive. Lo stato dei singoli lotti ed ordini di produzione viene visualizzato progressivamente con relativi colori o segnalazioni luminose: • giallo sta per lotti/ordini che non sono ancora in elaborazione, ma la cui realizzazione è stata pianificata; • verde sta per lotti/ordini che sono stati evasi nei tempi previsti. Importante: è possibile impostare un valore di tolleranza; • rosso sta per lotti/ordini che nonostante il valore di tolleranza non sono stati evasi puntualmente; • arancio sta per lotti/ordini la cui realizzazione è in ritardo a causa del ritardo di altri ordini;
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• lampeggiante sta per lotti/ordini che al momento sono in lavorazione. Il flusso di ordini viene continuamente monitorato, indifferentemente che gli ordini siano giunti tramite contatto telefonico con il cliente o per EDI o portale on-line. Controllo Qualità completamente conforme all’HACCP La rigida normativa sulla sicurezza alimentare ha reso il Controllo Qualità dei prodotti finiti una prassi consolidata prima di procedere all’evasione ordini. L’ERP CSB-System dispone di un apposito modulo per gestire con accuratezza non solo le prove obbligatoriamente prescritte dalla normativa ma anche quelle individuali decise dall’azienda. I passaggi critici vengono analizzati in maniera precisa seguendo i checkpoint del movimento merci, affinché il produttore possa dimostrare, tramite provvedimenti adeguati nell’area tecnica o prove univoche, che il prodotto è sicuro e non provoca alcun danno al consumatore. Se il gestionale rileva che non sono stati osservati i parametri prestabiliti, segnala automaticamente le non conformità e azioni correttive al responsabile della qualità.
I vantaggi di un processo produttivo sotto controllo Molti dei clienti CSB riportano che l’ERP è ormai diventato uno strumento strategico nel controllo del processo produttivo. Successo ed utilità si documentano da soli con: • aumento della disponibilità di consegna; • pianificazione semplificata delle risorse umane; • eliminazione delle ore di lavoro straordinarie; • notevole miglioramento del servizio ai clienti. CSB-System è un ERP completo Vale la pena sottolineare che l’ERP CSB-System è un gestionale non solo integrato ma anche completo, ovvero in grado di gestire un’azienda alimentare a 360˚. Oltre al gestionale merci include la contabilità generale e industriale, la Business Intelligence, la manutenzione predittiva, la rilevazione presenze, collegamenti CIM con linee di pesoprezzatura, e molto altro.
Referente: • Dott. A. MUEHLBERGER CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com
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GIANCARLO GARIGLIO (a cura di) Slow Wine 2024 Vite, vigne, vini d’Italia Edizioni: Slow Food, 2023 1.120 pp. – € 28,00 (on-line € 26,60) www.slowfoodeditore.it
The Package Design Book Edizioni: Taschen, Bibliotheca Universalis 576 pp. – € 20,00 taschen.com
MARTINA LIVERANI (direttore responsabile) Dispensa Generi alimentari & Generi umani n. 14 € 30,00 dispensamagazine.it
Anche per il 2024 la guida Slow Wine riporta una fotografia accurata del settore vitivinicolo italiano, raccontando le 2006 aziende visitate e recensite grazie alla collaborazione di oltre 200 esperti presenti in tutta la Penisola. Storie di vita che sintetizzano uno dei patrimoni culturali ed economici di cui possiamo andare più fieri in Italia. «I vignaioli sono i protagonisti numero uno di questo film, ma nessuno dei tanti appassionati di vino si senta una comparsa» precisa GIANCARLO GARIGLIO, curatore della guida. «Senza coloro che hanno creduto in un certo tipo di agricoltura ed enologia non saremmo qui dove ci troviamo ora, ma non lo saremmo neppure senza chi ha appoggiato — attraverso l’acquisto, la promozione e il testardo racconto —questa rivoluzione. Siamo una comunità, siamo moltitudini e, per parafrasare il grande WALT WHITMAN, siamo vasti e talvolta ci contraddiciamo». Disponibile on-line e in tutte le librerie.
L’imballaggio è la prima cosa che un consumatore vede quando guarda un prodotto e riveste quindi un ruolo decisivo nel determinarne la vendita. Ogni anno, i Pentawards celebrano la sottovalutata arte del design delle confezioni, premiando i lavori più influenti di tutto il mondo. Con centinaia di opere e con i pezzi chiave descritti in dettaglio, questo libro riunisce i fortunati vincitori per celebrare la vivace creatività del packaging in ogni sua forma.
“Nel maggio 2023, in Romagna serviva un’arca, ma di Noè nessuna traccia. Così ci siamo messi all’opera. Noi Romagnoli alle prese con il fango, l’acqua e la distruzione; insieme ai volontari che con stivali di gomma e badili hanno spalato tonnellate di macerie e melma; e a tutti coloro che in un modo o nell’altro ci hanno fatto sentire meno soli e meno disperati. Quello che è andato perso, affogato nel fango, strappato dalla corrente, franato insieme alle montagne, non tornerà mai più. Cose, paesaggi, imprese, progetti, libri, ricordi, geografie. Quello che è rimasto, non sarà più lo stesso. Ma qualcosa si è salvato. In quell’arca fatta di sorrisi e solidarietà che galleggiava sui guai, c’era dentro l’essenziale: i nostri sogni e il nostro futuro. E ripartiamo da lì. Questo numero è dedicato alla Romagna. Una Romagna che non avevate mai letto. Ci abbiamo messo tutto il cuore; ogni immagine, ogni parola sono frutto delle emozioni di quei giorni terribili e magnifici. Speriamo di essere riusciti a farvi percepire l’energia che abbiamo respirato noi nel darci da fare, nell’aiutarci l’un l’altro, nel tenere botta (...)”.
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Premiata Salumeria Italiana, 6/23