Impariamo dagli animali la magia della vita

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IMPARIAMO DAGLI ANIMALI LA MAGIA DELLA VITA

Il mondo animale ci insegna a scoprire capacità e risorse che abitano la nostra psiche e ci aiutano a realizzare la nostra vera natura

IMPARIAMO DA LORO ......................................... pag. 6

ANIMALI sono sempre dentro di noi............................................... pag. 8

I GRANDI MAESTRI

NATURA ......................................................... pag. 14

Albatro pag. 16

Chiocciola pag. 28

Cicale ....................................... pag. 30

Civetta ..................................... pag. 32

Corvo ....................................... pag. 34

Cuculo ...................................... pag. 36

Delfini pag. 38 Elefanti .................................... pag. 40

Farfalle pag. 42 Foca .......................................... pag. 44

......................................... pag. 46

Gatto ........................................ pag. 48

Granchio pag. 50

Grillo pag. 52

Ibis ............................................ pag. 54

Ippopotamo ........................... pag. 56

Leone ....................................... pag. 58

Lucciola pag. 60

Oche pag. 62

Orango .................................... pag. 64

Orso pag. 66

Ostrica pag. 68

Pappagallo.............................. pag. 70

Pecora ...................................... pag. 72

Pesce palla .............................. pag. 74

Polpo pag. 76

Ragno pag. 78

Salamandra pag. 80

Scarabeo ................................. pag. 82

Scimpanzé............................... pag. 84

Storno ...................................... pag. 86

Termiti ...................................... pag. 88

Topo pag. 90

Uccello del paradiso ............. pag. 92

Uccello giardiniere ................ pag. 94

Uccello indicatore ................. pag. 96

Con le sue ali di oltre 3 metri è nato per volare.

È lì che esprime la sua natura

A L’ALBATRO

il re dei cieli

Protagonista di una celebre poesia di Baudelaire, mostra l’importanza di credere in noi stessi

L’albatro è un uccello marino che popola le isole remote degli oceani meridionali e delle regioni periantartiche. Ama seguire i mercantili e i pescherecci che solcano i mari del Sud nella speranza di ricevere dai marinai un po’ di pesce fresco. La sua apertura alare può raggiungere i 3,5 metri, la più grande tra tutti i volatili che attualmente vivono sulla terra. È un aviatore insuperabile, può percorrere lunghissime distanze in volo sfruttando i venti e le correnti ascensionali e consumando pochissime energie. Tuttavia le grandi ali lo rendono impacciato a terra, soprattutto quando spicca il volo: il decollo dell’albatro non è agevole, risulta anzi dif cile e faticoso. Per questo ama i luoghi ventosi, dove le forti correnti d’aria gli consentono di librarsi in volo più facilmente o le alte scogliere che sfrutta come “trampolino di lancio”. Un gruppo di ricercatori britannici ha studiato gli spostamenti degli albatro e ha scoperto che questi uccelli riescono a percorrere 22mila chilometri, ovvero compiere il giro del mondo, in 46 giorni fermandosi a dormire appena qualche ora di notte galleggiando sull’oceano. Esplorano i mari del Sud e le regioni antartiche, la Terra del Fuoco, il capo di Buona Speranza, alla ricerca di luoghi propizi dove riprodursi. L’albatro è il protagonista di una delle più belle e famose poesie di Charles Baudelaire, contenuta nell’indimenticabile raccolta “Les Fleurs du Mal”, I ori del male. Il poeta francese tratteggia con i suoi versi evocativi l’immagine di un albatro che, catturato dai marinai di una nave, viene tormentato e schernito per il suo modo impacciato di muoversi sul ponte dell’imbarcazione. Baudelaire

paragona il poeta all’uccello marino che è goffo e sgraziato sulla terra perché appartiene al cielo e che viene disprezzato dalla gente comune che non può comprenderne la grandezza. A chi nella vita non è capitato di sentirsi sbagliati, fuori posto, inadeguati, meno bravi, belli, capaci degli altri? Quando ci manca la ducia in noi stessi, invece di sforzarci di migliorare, dovremmo ricordarci che l’unica cosa sbagliata in noi è lo sguardo omologato con cui giudichiamo noi stessi, la nostra vita, le nostre emozioni e i nostri atteggiamenti. Ma, come sempre, le immagini, con la loro potenza simbolica e suggestiva, ci vengono in aiuto. Immaginiamo di essere un albatro che si muove, sgraziato e maldestro, zampettando sugli scogli. Poi, raggiunto uno spuntone roccioso, ci lanciamo nel vuoto, apriamo le ali e ci libriamo in volo, volteggiando sulla super cie del mare, giocando con l’aria. Voliamo sempre più in alto; ad ogni colpo d’ali saliamo un po’ più su e vediamo il mondo che si allontana sotto di noi, no a sparire dietro una tta coltre di nuvole. E man mano che saliamo la mente diventa leggera, si svuota dei pesi mentali, dei pensieri; ci allontaniamo da tutto ciò che ci disturba e ci sentiamo rilassati e distesi.

Come ci insegna Baudelaire, quando non crediamo in noi stessi forse non siamo davvero inadeguati, ma ci stiamo guardando con gli occhi miopi dell’esterno, della normalità che banalizza ogni cosa e che non può intuire il valore dell’originalità. Troppo spesso dimentichiamo di essere individui unici: gof e imbranati se paragonati a tutti gli altri, maestosi e disinvolti quando realizziamo ciò che ci caratterizza.

Un nuovo lone di ricerca

è stato aperto per sfruttare la capacità dei cani di riconoscere le malattie

IL CANE e il suo “ uto” davvero unico

Questi animali possono riconoscere la presenza dei tumori in fase molto precoce. Come dimostrano le storie di Trudie e Daisy

Una femmina di dalmata di nome Trudie divenne di colpo ossessionata da un neo sulla gamba della sua padrona. Gill Lacey all’epoca era adolescente e non capiva come mai, ogni volta che passava davanti alla sua cagnolina, questa le leccava il neo. Non importava quanto provasse a scacciarla, Trudie era armata di un’incredibile testardaggine e non c’era gioco o pietanza che la potesse distrarre da quel neo. Così, s nita, Gill decise di andare in una clinica a far rimuovere il neo. Il medico le promise che avrebbe svolto dei test. Da quel momento Trudie si dimenticò della gamba della sua padroncina. Dopo qualche giorno il dottore chiamò per comunicare che il neo sulla pelle di Gill nascondeva un tumore maligno, ma che fortunatamente era stato rimosso in tempo. Se non fosse stato per l’insistenza di Trudie, la ragazza se ne sarebbe accorta forse troppo tardi. Gill nì per dedicare la propria vita alla ricerca su questi straordinari animali fondando Hearing Dogs, una delle più importanti associazioni che addestra i cani ad aiutare persone non udenti. Fu proprio lavorando ad Hearing Dogs che la dottoressa Claire Guest conobbe e strinse un profondo legame di amicizia con Gill Lacey. Ascoltando il racconto di come il dalmata le aveva salvato la vita, Guest decise di dare inizio a una serie di esperimenti che dimostrassero come non si trattasse di un caso isolato. Gli esperimenti della dottoressa britannica consistevano nel mettere dei campioni di urina davanti ai cani, premiandoli ogni volta che andavano ad annusare quelli dei pazienti

affetti da un tumore. Dopo sette anni di duro lavoro, nel settembre del 2004, Claire Guest riuscì a pubblicare la sua ricerca sul prestigioso “British Medical Journal”, facendo nalmente accettare alla comunità scienti ca internazionale l’utilizzo dei cani nella lotta e prevenzione contro il cancro. «Fu un giorno di grande orgoglio - scrive Claire Guest nel suo libro “Daisy’s Gift” - perché signi cava che non ero più la pazza ssata sui cani. Potevo dimostrare che stavamo lavorando a qualcosa di concreto». Sull’onda del successo, Claire decise di fondare la Medical Detection Dogs, un’organizzazione no profit con l’obiettivo di addestrare i cani a individuare diversi tipi di malattie. L’organizzazione fondata dalla ricercatrice britannica continua a rappresentare una realtà molto importante nella lotta contro il cancro e ha contribuito a salvare innumerevoli vite. Claire ne ebbe un riscontro in prima persona quando Daisy, una femmina di Labrador che stava addestrando, incominciò a comportarsi in modo insolito. Cercava in tutti i modi di attirare le sue attenzioni, guardandola con aria triste e battendo il muso contro il suo petto. Preoccupata, Claire andò a farsi controllare, scoprendo un tumore al seno così profondo che se avesse aspettato sarebbe stato sicuramente troppo tardi. «Sapevo che senza Daisy non mi sarei mai accorta in tempo del tumore. Mi aveva salvato la vita». Gli sforzi di Daisy, che riuscì ad identi care oltre mille casi di cancro, la resero meritevole della Blue Cross Medal, il massimo riconoscimento per un animale nel Regno Unito.

L’IBIS: araldo della primavera

Venerato come un dio nell’antico Egitto, quest’uccello annunciava la ne dell’inverno e indicava le acque in cui puri carsi

Gli antichi Egizi si consideravano i custodi degli animali. La loro legge imponeva di salvaguardarli a tutti i costi, perché ogni creatura vivente racchiudeva in sé un sapere antico e segreto, ed era solo osservandoli e lasciandosi ispirare da loro che si poteva sperare di avvicinarsi alla misteriosa intelligenza invisibile che governa la Natura. La vita dell’uomo era indissolubilmente legata a quella dell’animale e non esisteva funzione religiosa che non fosse ispirata da un attento studio della natura. Una delle divinità più amate e rispettate dagli Egizi era Thoth, colui che donò la amma della sapienza e dell’intelletto all’uomo. Raf gurato come un ibis, si raccontava che avesse deposto l’uovo cosmico che conteneva in sé tutto il creato. Thoth, che in Grecia fu incarnato dal dio alato Ermes, era il signore della parola creatrice, della scrittura, della geometria e delle arti magiche. Amava profondamente gli uomini: dava loro conforto e protezione dal caos e portava a compimento l’opera divina nel mondo terrestre. Secondo la mitologia egizia, era proprio Thoth a officiare alla leggendaria pesatura del cuore, processo a cui veniva sottoposta l’anima del defunto. L’importanza di Thoth nel rito funebre è testimoniata dalla quantità di ibis mummi cati che sono stati rinvenuti nelle tombe egizie. Nella sola necropoli di Ermopoli, furono infatti trovati i resti di più di quattro milioni di esemplari.

Ma al di là della sua importanza simbolica, l’ibis era un animale di vitale importanza nella quotidianità della popolazione che viveva lungo le sponde del Nilo. Infatti, questi uccelli migratori, il cui ritorno ogni anno sancisce l’arrivo della primavera, si cibano di parassiti e animali potenzialmente pericolosi per le persone e per i raccolti, come serpenti e ratti. L’ibis è anche un animale estremamente pulito, che si lava e si disseta solo nelle acque purissime; tant’è che i sacerdoti aspettavano che fossero questi uccelli a indicare le fonti migliori dove praticare le abluzioni sacre. Gli Egizi attribuivano a questo uccello poteri premonitori, perché sembrava che capissero prima quando sarebbero arrivate le piene del Nilo e le conseguenti inondazioni. Oggi l’ibis, orfano della civiltà che lo proteggeva, è completamente scomparso dall’Egitto, così come in molte altre parti del mondo. Per riuscire a reintrodurli nel loro habitat naturale, alcuni ricercatori stanno cercando di insegnare ai piccoli di ibis le rotte migratorie. Il progetto, capitanato dal ricercatore tedesco Johannes Fritz, consiste nell’insegnare ai pulcini nati in cattività a seguire un deltaplano guidato dalla persona che lo stormo individua come il proprio genitore. Grazie a questa migrazione guidata dall’uomo, oggi l’ibis sta ritornando verso alcune zone dell’Europa e chissà se un giorno riuscirà a ritrovare la strada per il Nilo, la sua antica casa, dove un tempo era venerato come una divinità.

Con le sue sembianze era raf gurato il dio Thoth, che donò la amma della sapienza al genere umano

L’anima colorata e multiforme del POLPO

Mutevole, trasformista, capace di “indossare” tinte differenti: che splendido maestro per aiutarci a riconoscere i nostri mille volti

Il polpo è un animale curioso e giocherellone, è dotato di grandi capacità di orientamento e di apprendimento e ha una spiccata memoria. Ma soprattutto è il signore indiscusso del mimetismo, dei tranelli e degli inganni. L’assenza di scheletro e la conformazione del suo corpo gli consentono di assumere qualsiasi forma; e grazie ai cromatofori, cellule contenenti numerosi granuli di pigmento, riesce a cambiare il suo colore in pochi istanti. Così il polpo può mimetizzarsi e confondersi perfettamente con l’ambiente per catturare le sue prede o per nascondersi dai pre-

datori. Il polpo cambia colore persino quando sogna. Secerne inchiostro, con cui si nasconde al nemico per fuggire. Inoltre progetta trappole efcaci per catturare i pesci di cui si ciba.

Per la sua capacità di sparire all’improvviso per ricomparire altrove il polpo era per gli antichi Greci il simbolo dell’astuzia, il maestro indiscusso degli espedienti.

Le caratteristiche di questo animale non possono non farci pensare al più famoso degli eroi greci: Ulisse. Un antico commentatore dell’Odissea, il bizantino Eustazio, paragonava Odisseo a un

polipo. Al re di Itaca come al polpo appartiene quella che la cultura greca chiamava metis, che impropriamente tradurremmo come astuzia: si tratta in realtà di un’intelligenza pratica e versatile, che consiste nel sapersi adattare a ogni situazione attraverso la mutevolezza. Ulisse ha molti volti e non è prigioniero di una sola identità, per questo può salvarsi, dicendo a Polifemo che il suo nome è “Nessuno”.

Anche noi, come il polpo e come Ulisse, non siamo statici, sempre uguali, ma mutiamo continuamente, abbiamo tanti volti, tante forme. Dentro di noi abitano personaggi diversi, che si rivelano a seconda della situazione. I nostri stati interiori non sono fatti per perdurare, ma sono forme transitorie che, come le onde, si affacciano in modo estemporaneo alla super cie della coscienza, per poi venire riassorbiti nel mare dell’inconscio. Il polpo ci insegna che a ogni emozione, a ogni sentimento corrisponde un colore differente. Quando dentro di noi c’è un’emozione che sembra permanente, come ad esempio la rabbia o la paura, oppure la tristezza, non dobbiamo mai dimenticare che è il nostro Io, con i suoi pensieri, a trattenerla e a cronicizzarla. Così, niamo per ripeterci: “io sono sempre arrabbiato”, oppure: “sono continuamente preoccupato”. O ancora: “sono molto insicuro”.

Ogni tanto, nel corso della giornata, possiamo chiudere gli occhi e percepire l’emozione prevalente, associarla a un colore e immaginare che quello stato interiore si trasformi in una macchia colorata che galleggia sull’acqua e che poi, lentamente, si disperde fra le onde. Via via, facendo questo esercizio, impareremo a trasformare la malinconia, la tristezza, la rabbia e le altre emozioni spiacevoli in sostanze colorate che compaiono e scompaiono. Saremo in grado, come i bambini e come i saggi, di essere arrabbiati e poi scoppiare a ridere, di essere tristi e dopo qualche istante stupirci per qualcosa di insolito. Così i dolori dell’anima non sono più processi legati a una causa esterna, ma incontri con energie profonde della nostra interiorità.

Il polpo ci insegna che la nostra mente è sempre colorata, non di una tinta sola, ma di tutti i colori che compongono l’in nito cromatismo della nostra psiche.

Siamo quelli calmi, ma possiamo arrabbiarci in modo furioso. Siamo allegri e giocosi, ma se la situazione lo richiede sappiamo essere seri e gelidi. Ognuno porta dentro di sé più volti, fra loro molto diversi. Il polpo evidenzia che la saggezza, l’astuzia è anche il sapersi nascondere, affrontare le situazioni senza venirne inghiottiti assecondandole, adattandoci per custodire e conservare la nostra essenza. Se siamo statici, rigidi, in essibili non saremo in grado di attingere a quelle risorse interiori che ci consentono di trovare soluzioni ef caci nei momenti dif cili e di affrontare le avversità. Se invece impariamo a essere fluidi, elastici, mutevoli, pronti a cambiare forma in ogni istante riusciremo a danzare, come il polpo, fra le correnti e i colori del grande Oceano della vita.

Ecco un brano illuminante di Marie-Louise Von Franz, che mostra cosa dovremmo fare con tutti i nostri volti: «Potrei fornirle un elenco completo delle diverse persone che riesco a essere. Di volta in volta sono una vecchia contadina che pensa alla casa e alla cucina; una studiosa che si impegna a decifrare un manoscritto; una psicoterapeuta che si dedica all’interpretazione dei sogni degli analizzandi, un birichino che si diverte a stare con i ragazzini di dieci anni e a giocare scherzi agli adulti e così via. Potrei elencare venti o più personaggi. Essi entrano in noi all’improvviso, ma se siamo consapevoli di ciò che sta accadendo, possiamo tenerli fuori dal nostro sistema, oppure giocarci un po’ e poi metterli da parte. Quando però ne siamo posseduti, entrano in noi contro la nostra volontà e ci ritroviamo ad agirli altrettanto involontariamente. Dovremmo, per esempio, essere in grado di chiamare il bambino birichino e di mandarlo a letto non appena sentiamo dentro un: “ora basta!”. Questa non è possessione» (p. 163 di “Il mondo dei sogni” di Marie-Louise Von Franz, ed. Red).

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