Caserta

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DOMENICA 12 FEBBRAIO 2012

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CORRIERE NAZIONALE

CITTA' D'AUTORE

CITTA' D'AUTORE

CORRIERE NAZIONALE

Città d’autore - 22

Il respiro diventa affannoso sullo scalone della Reggia Sconvolge, il vento di Caserta Dove le persone si muovono in senso antiorario E il passo lungo del Corso separa vivi e morti Francesco Forlani Per sapere le città devi abitarle da dentro. Ci devi stare a tavola, farci l’amore, reggere lo scorcio di un paesaggio da una finestra condominiale. Rincasi, ti tiri il portone e non deve trovarsi nessuno all’ingresso ad aspettare. Nessuno che da dietro a un bancone si sporga per darti le chiavi. Se vuoi invece davvero sapere ogni cosa di casa, di quella vergata sul documento subito dopo il cognome, l’altezza, la professione come se ti chiamassi davvero Caserta, non basta tornare e affondare la pelle tra le lenzuola che una sorella o un fratello ti ha messo piegate sul letto, immacolate e fresche di bucato. Ti deve capitare, e certe cose succedono solo se capitano, di dormire nell’albergo della stazione. Che ci passavi davanti in ogni stagione. Mio padre nel suo studio che dava sulla strada ci aveva in vetrina i plastici dei progetti dei sottopassaggi davanti alla stazione, per liberare così l’incredibile e smisurata Piazza Carlo III, accogliere tutti i turisti e spararli alla velocità di un Grand Tour attraverso l’anima del cannone che si infila tra le gambe dei portici interni del Palazzo lasciando intravedere la colonna di acqua che sembra salire fino al Torrione. Mio padre molto prima di Bruno Vespa. Negli anni Ottanta e Novanta le vetrine cambiavano come le targhe delle macchine, quella poco veritiera sigla che poi uno da piccolo si chiedeva perché ci mettono Ce e non Ca, e con loro la geometria delle strade, diciamo l’aria dei passanti, la misura del passo. E me ne rendo conto dalla velocità con cui si dirigono verso la stazione, che da qui, da questa finestra con i doppi vetri si può calcolare, perfino. Cazzo ci faccio io da solo al Jolly Hotel della mia città? Così pure avrà pensato il portiere di notte allertato una mezz’ora prima del mio arrivo dalla organizzazione del convegno a cui ho partecipato, a Capua quando ha aperto la carta d’identità. Che dalle otto di sera, mi dicevo mo chiamo, mo telefono a mia sorella per avvisarla che sono in città, adesso, un intervento e l’avviso, no, però scusate se è poco, ma quaranta scrittori casertani tutti insieme in un decennio non s’erano mai visti finora! Poi per carità chi con più chi con meno talento, e sapete che vi dico, che trovo assai odiosi quei due che non solo se la tirano come sciantose ma che pa-

re che facciano a gara su quante palate di merda riusciranno a… e intanto guardo l’ora e penso: mo chiamo. E non chiamo. E si continua, si dice, si racconta e alla fine si fa mezzanotte e non chiamo più. A quest’ora dormono, li sveglierei e poi Gigi lavora presto domattina. Capua e Santa Maria Capua Vetere significano Annibale, Spartaco, Ettore Fieramosca, Errico Malatesta e l’anima nera di Stefano delle Chiaie, Caserta. Ecco. Mi guardo intorno che un amico d’infanzia, di liceo, di Nunziatella, di quartiere, di Facebook, magari si aggira per il Palazzo e insieme a un passaggio a Caserta potrei chiedergli un letto, per una notte, senza colazione. O una lettrice figa, che è anche meglio. Ci sono persone che so, ma che non conosco così come per fare qualcosa di veramente speciale che faccio, domando alla ragazza che si occupa degli ospiti se mi può prenotare una camera. «Dove?» «Al Jolly Hotel (sottinteso, ma che domande)». La cura del racconto è tutta nelle cose che si fanno. Perché quando si racconta non si è soli. Io conosco la mia città, il vento che sovverte il giro, il passo lungo il corso che separa il mondo dei vivi da quello dei morti, e ti dice con un monumento che i caduti in Terra di Lavoro non hanno un nome, conosco le insegne dei negozi, ora il Cinema San Marco, a seguire l’Avion Travel piegata ad arte su una

Una città costruita attorno alla Reggia

prospettiva di persone, che si affollano lungo le vetrine della via Mazzini un tempo abitate da librerie famose per il buio, e fanno capannello ora da un lato e poi dall’altro della strada, a chiedersi cose che poi nessuno si ricorderà, conosco il passaggio di testimone delle generazioni dei fratelli e delle sorelle, in una maratona che non si arresta mai ai semafori accesi agli angoli dei viali o lungo i portici, come nella locandina di quella storica di fine anni Settanta che rappresentava un uomo macchina un po’ sbilenco, a metà strada fra Pasolini e Don Chisciotte.

Quella locandina era un’opera di Andrea Sparaco e in basso recava la scritta: “Partenza sicura arrivo incerto!” Conosco il respiro affannoso che dava lo scalone centrale della Reggia dove ogni gradino pareva disegnato ad arte per lo strascico nuziale delle spose novelle, bardate come regine reginelle, che poi sui due leoni mio padre ci metteva a cavallo, a turno da infanzia a infanzia, per farci sembrare invincibili, conosco la paura di cadere storti dal muro di cinta nascosto sul lato più interno alla Flora da cui si poteva saltare e addentrarsi nel

bosco che aveva più alberi che nelle fiabe, conosco le mura divelte dell’antico convento che faceva da scuola ai più piccoli in nome di sant’Agostino e pareva Tommaso che se non toccava con mano le cose alle cose non ci credeva, conosco la clinica della penna e la macelleria dei Della Peruta, il Gran Caffè Vanvitelli, da Soletti, e ‘o Masto, militari e ragazzi, il Cinema Esedra, e l’elegante Signora alla cassa che ti dava per resto le caramelle, e cambiavano sempre ogni volta, conosco l’orfanotrofio e la banda dei Purtusari, la strada che porta alle cave a cielo aperto, al-

CHI SCRIVE

Performer napoletano, parigino d’adozione FrancescoForlani,nato a Casertanel 1967, a sette mesi, vive tra Parigi e Torino. Collabora a riviste come Baldus (Milano), Atelier du Roman (Parigi), News from the Republic of letters (Boston) Reportage. Dal 1995 al 2000 è stato direttore artistico del magazine Paso Doble (Parigi), ora dirige la rivista letteraria Sud. Ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano: Autoreverse (Ed. Ancora del mediterraneo), Métromorphoses (Ed. Nicolas Philippe, 2002), Manhattan Experiment, Il manifesto del comunista dandy, Blu di Prussia (Ed. La Camera Verde di Roma). È traduttoredal francesedi diversi autori fra cui Fernando Arrabal, Lakis Proguidis, François Taillandier, Philippe Muray, Louis Ferdinand Cèline, Blaise Cendrars. È in rete come redattore del più importante blog lette-

Francesco Forlani (Foto Ivan Arillotta)

rario, Nazione Indiana. Poeta, cabarettista e performer, è autore insieme a Sacha Ricci e Sergio Trapani dell’operetta Do you rememberrevolution, vincitrice nel maggio 2004 del festival multimediale Norapolis di Metz. Ha portato in scena (Torino, Milano, Bologna, Napoli, Caserta, Lerici) l’operetta Patrioska ed è in corso di preparazione il nuovo spettacolo, Cave canem. Ha da poco pubblicato il suo ultimo romanzo, Chiunque cerca chiunque, senza editori e con tiratura limitata di 200 copie. Conduttore insieme a Marco Fedele del programma radiofonico Cocina Clandestina fa parte della nazionale scrittori Osvaldo Soriano Football Club (maglia numero sedici) di cui è uscita nel giugno 2010 l’antologia Era l’anno dei mondiali(Rizzoli-Corriere della Sera ).

la polvere dei sassi, conosco le garitte poste all’entrata insieme ai venditori delle guide, le uniformi degli avieri a terra senza più cielo, e le mani degli zingari tese come un cappello, prima di sentire lo scroscio dell’acqua delle fontane su cui sporgersi per vedere le anime dei pesci e dei loro branchi, il muschio verde scortica gli avambracci, e poi mollica mollichina assaltano i cerchi concentrici del tuffo del pane, i sentieri, i busti delle statue e le grandi vasche, che apro le pagine di Montale e trovo. Dove il cigno crudele si liscia e si contorce, sul pelo dello stagno, tra il fogliame, si risveglia una sfera, dieci sfere, una torcia dal fondo, dieci torce. Conosco l’indifferenza, laisser passer laisser aller delle colline lascive e incendiate ogni volta da luna e falò, conosco lo stadio e la strada che si faceva in processione, quelli del calcio prima, figli di proletari e del basket poi, conosco la scritta che dice anzi lo urla, viva la baffuta, e quell’altra, «ciò che non cambia è la volontà di cambiare», conosco la mimica facciale di Romoletto alla Villa, l’andatura dinoccolata di Ascià, ma non so nulla del resto. O meglio non sapevo fino a quando per uno scherzo del destino, una innocente distrazione non m’era capitato di prendere una numero qualunque di chiave ad un piano qualsiasi di quell’albergo accanto alla stazione, che ci passavo avanti ogni volta e mi chiedevo chissà, cosa si vede da lì.

Tra i mille colori di Caserta si incontrano passato e presente

(Foto di Chiara Perna)

Le precedenti uscite: Milano (3 dicembre), Cosenza (4), Pordenone (7), Taranto (8), Venezia (9), Vercelli (13), Potenza (14), Udine (16), Palermo(17), Genova (18), Trieste (22), Salerno (23), Roma (24), Napoli (27), Firenze (29), Bologna (10 gennaio), Cagliari (19), Torino (20), Aosta (27), Livorno (1 febbraio) e Carbonia (4)

Tra il caffè Buffolano e la Veneziana c’era un pugno chiuso di case. Le sedi del Circolo Sociale e del Circolo Nazionale sono abitate da fantasmi con cappello e bastone. Io so, che la vita a Caserta diventa ogni volta diversa, nelle intenzioni, ma rimane la stessa nel fondo di ognuno. Lo so, e da qui si vede benissimo che per esempio, il flusso di marcia delle persone è in senso antiorario. Sia che si arrivi da un casello quello che è a Sud aprendo la strada su Napoli, oppure da Nord se si arriva da Roma, quasi naturalmente si salirà costeggiando la lunga inferriata del Parco, oppure si sbocca prendendone l’asse del Corso prima e poi voltando all’altezza del monumento a sinistra. Si fa a gara con il tempo, e pure se a piedi, per tutto il passeggio si tiene la destra sul lato del margine della città, il passaggio a livello, prima il cavalcavia, poi non si arriva nemmeno alla fine della via Roma prendendo sul lato sinistro a seconda dei casi, i negozi, i servizi da fare, la strada, stradina, il vicolo violetto che in qualche porto conduce. Non vale la pena cercare le comitive, quei grumi di facce che un tempo, fin dentro ai palazzi e su in mezzo alle strade rendevano lento il passaggio di macchine e cose. Al Jolly Hotel la vista è sui campetti. Non ci sono le porte costruite con le borse e gli abiti borghesi e se per questo nemmeno il Super Santos. C’è solo un verde appena appena illuminato dalle luci a terra come di Capodichino. Sul tavolo trovo una guida e le pagine bianche. Se scorressi l’elenco da cima a fondo mi sarebbero familiari quei nomi almeno quanto quello delle strade. Ce ne sono di nuove, una piccerella piccerella l’hanno dedicata a mio padre anche se non c’è scritto da nessuna parte. Sulla guida sono indicati dodici quartieri, ma ne conosco solo quattro. Frazioni. Aldifreda, Briano, Casertavecchia, Casola, Casolla, Centurano, Ercole, Falciano, Garzano, Mezzano, Piedimonte di Casolla, Pozzovetere, Puccianiello, Sala di Caserta, San Benedetto, San Clemente, San Leucio, Santa Barbara, Staturano, Tredici, Tuoro, Vaccheria. Frazioni. Divisioni contabili dello spazio pubblico, cittadino, separazioni. Aldifreda, ci è nata e vissuta

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LA STORIA

L’altra Versailles Elisa Venturi In pratica è ciò che sorge attorno alla Reggia. Impossibile non pensare alla Versailles italiana quando si parla di Caserta. Pure se, l’intenzione è di far conoscere la città oltre il suo simbolo: i Borbone, infatti, non furono i primi a scegliere quel territorio dove etruschi, sanniti e romani hanno lasciato testimonianze della loro presenza. E il centro della città esisteva già in epoca longobarda, formato attorno a una torre di avvistamento e difesa: piazza Vanvitelli è il cuore di Casertavecchia, chiamata Torre, proprio per la presenza della costruzione longobarda nell’angolo nord occidentale. Pure in epoca Fascista la città non passò inosservata: l’ex Casa del Fascio - caduta in decadenza dopo la fine della seconda guerra mondiale - resta a dominare piazza Matteotti. Anche se oggi accoglie un ristorante, un centro estetico e uno di design, oltre a uffici privati. I nuovi conquistatori della città - a vocazione commerciale sono i grandi marchi della moda. Particolarmente interessati a via Mazzini, considerata la strada più elegante. Di un centro che ha scelto di diventare area pedonale, con zone a traffico limitato. E grazie a due grandi parcheggi. Anche se il fiorire di centri commerciali non ha risparmiato la periferia della città. Ma la crisi è arrivata anche qui: ridimensionate o chiuse molte fabbriche, comprese alcune della seta di San Leucio. Nonostante una crescita urbanistica talvolta senza regole - e che ha compreso nel centro ben 23 frazioni -, a Caserta non mancano le aree verdi, con gli oltre due chilometri di Reggia a farla da padrone. mia madre e nella piccola chiesa di Sant’Anna. I versi questa volta mi vengono in mente. Le nòcche delle Madri s’inaspriscono, cercano il vuoto. Solo adesso capisco che la mia città è come un fantino caduto e il Palazzo reale, la Reggia uno strano animale che non se ne avvede nemmeno, e corre attraverso ogni tempo come un puledro o un cavallo scosso. Si vede che è a parte, al di qua dei cancelli, recinti a difesa del parco. Un tempo c’erano i muri e apparivano tronchi di piante giganti ma senza radici, e così era del resto. Coi fili spinati a tracciare un percorso che senza soluzione di continuità, di caserma in caserma, faceva che una lunga lunghissima corona di spine, dai limiti invalicabili , le cingesse il capo.

Corro a cercare con lo sguardo le torri. Una che da Casertavecchia domina insieme ai falchi tutta la piana, e nelle giornate d’aria tersa si vedono isole ed il mare. Vedi, quella è Ischia. L’altra, la incroci solo salendo sopra il treno, che per Maddaloni porta alla sua capitale. La vedi e ti racconta ogni volta una storia. Quando ti accoglie silenziosa e la indovini pure dispersa in mezzo ad altre mille. E quando te ne vai ti accompagna la nota di viaggio di Pier Paolo Pasolini in Terra di lavoro. Dentro, nel treno che corre mezzo vuoto, il gelo, accampa. I poeti di fuori capiscono meglio il dolore e le sue cicatrici disseminate sui territori, disposti a fiumi di case in mezzo alle cave. Dentro è tutto, ed è la mia città per sempre. Mo chiamo le mie sorelle, però.

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