Susan Mallery
Ritorno a casa
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Already Home Mira Books © 2011 Susan Macias Redmond Traduzione di Fabio Pacini Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance febbraio 2012 Questo volume è stato stampato nel gennaio 2012 presso la Mondadori Printing S.p.A. stabilimento Nuova Stampa Mondadori - Cles (Tn) HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 97 dell'11/02/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
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«Che ne pensi?» chiese Jenna Stevens, facendo del proprio meglio per suonare sicura di sé. Quando ci si trovava di fronte a qualcosa di spaventoso, tipo un grosso cane randagio o una pessima decisione, l'importante era non mostrare paura. «È stupendo» disse sua madre. «Davvero incredibile.» Beth diede un abbraccio alla figlia. «Sono molto orgogliosa di te, tesoro.» Orgogliosa? Orgogliosa andava bene. L'orgoglio implicava il conseguimento di qualcosa. L'unico problema era che Jenna non aveva conseguito un bel niente. Aveva agito d'impulso. In teoria, come regola generale, era dell'opinione che gli acquisti impulsivi andassero rispettati. C'erano dei momenti, quando la vita faceva proprio schifo, in cui una donna aveva diritto di comprarsi un paio di scarpe, un vestito, o semplicemente un rossetto dei quali non aveva bisogno soltanto per dimostrare che poteva. Per provare a se stessa e al mondo che non era stata ancora sconfitta. Il guaio era che, non essendo un granché come fanatica dello shopping, Jenna non aveva comprato nessuna di queste cose. Se avesse superato il limite di spesa per una borsa di pelle che costava un occhio della testa, avrebbe potuto cavarsela con un'alzata di spalle. Invece, aveva firmato un contratto d'affitto triennale per un locale commerciale in una città nella quale non viveva più da una 5
decina d'anni. E l'aveva firmato senza sapere nulla di commercio. L'unica parte che conosceva era quella della cliente, ma entrare in un negozio per comprare qualcosa era molto diverso dal gestirlo. Tanto per dire, lei era uno chef di talento, eppure non sarebbe stata capace di mandare avanti un negozio che vendeva cucine. «Respira» disse sua madre. «Lento e profondo.» Evidentemente, aveva rovinato la sua esibizione di coraggio andando in apnea. «Forse» bofonchiò Jenna con una smorfia, «se smettessi di respirare e finissi in rianimazione, l'agenzia immobiliare mi lascerebbe recedere dall'affitto. Ci sarà pure una clausola che prevede le esperienze di quasi morte, no?» «Non lo so. C'è?» Jenna distolse lo sguardo dalla facciata del suo nuovo locale e seppellì il viso nell'incavo della spalla di sua madre, operazione non molto semplice, dal momento che Beth le cedeva una ventina di centimetri in altezza e lei aveva i tacchi. «Non ho letto il contratto» ammise con un filo di voce. Si preparò a subire una severa reprimenda. I suoi genitori le avevano insegnato che non bisognava mai firmare niente senza prima aver letto con attenzione tutto. Anche una cartolina di auguri. Si meritava una bella sgridata. Sua madre sospirò e le diede delle pacche sulla schiena. «Non lo diremo a tuo padre.» «Grazie.» Jenna si raddrizzò. Si trovavano nel parcheggio di fronte allo spazio che aveva affittato. Guardandolo adesso, si vedevano solo due vetrine vuote, ma di lì a qualche settimana quello sarebbe diventato il suo nuovo lavoro. «Il cinquanta per cento dei nuovi esercizi commerciali fallisce» sussurrò Jenna. Sua madre scoppiò a ridere. «Mi piace il tuo ottimismo. Vieni, ti offro un caffelatte. Ci siederemo attorno a un tavolo, parleremo, escogiteremo un piano per far torturare il 6
tuo ex-marito. Sono sicura che papà conosce qualcuno a cui affidare l'incarico.» A dispetto dell'ansia e del panico che le vorticavano nello stomaco, del presentimento di sciagura incombente e della consapevolezza che la sua vita era un disastro, Jenna sorrise. «Mamma, papà è un direttore di banca e i direttori di banca non conoscono quel genere di persone.» «Tuo padre è un uomo dalle molte risorse.» Era anche un uomo dinamico, in splendida forma, che faceva un sacco di attività fisica. Se Marshall Stevens avesse voluto prendere a cazzotti l'ex di sua figlia, se ne sarebbe occupato personalmente. «Sono furibonda con Aaron» disse Beth, avviandosi verso il suo SUV. «Quel traditore bugiardo di un tu-saicosa.» Probabilmente quel tu-sai-cosa stava per figlio di cane, o peggio. Beth non diceva mai le parolacce. Non era nel suo stile. Era una donna tradizionale nel senso migliore della parola. Non c'era giorno che uscisse di casa senza trucco, portava sempre una casseruola con qualcosa di buono da mangiare quando c'era una morte nella famiglia di un amico e non prendeva mai, rigorosamente mai, un cocktail prima delle cinque del pomeriggio. Tutte cose per le quali Jenna la amava. Molta gente riteneva che le tradizioni fossero una stupida perdita di tempo, ma Jenna le considerava la forza che stava alla base del calore e dell'unità di una famiglia. Era bello poter contare sul fatto che i suoi genitori fossero quello che erano sempre stati. Soprattutto in un momento come quello. Salirono a bordo del SUV di sua madre, un ultimo modello succhia-benzina, e partirono alla volta del più vicino Starbucks. «Non lo perdonerò mai» annunciò Beth. «Forse, se fosse giunto alla conclusione che il vostro rapporto non fun7
zionava, avrei potuto accettarlo. Non tutti i matrimoni sono destinati a durare. È il tradimento che fa di lui un verme. Ti giuro, se mio padre fosse stato vivo, sarebbe andato in cerca di Aaron armato di pistola, e io non lo avrei fermato.» C'erano giorni nei quali non lo avrebbe fermato nemmeno Jenna. La differenza era che la rabbia che lei provava nei confronti del suo ex non dipendeva dalle altre donne, anche se sapere che c'erano state non la rendeva felice. Quello che le impediva di dormire la notte, che la faceva dubitare di se stessa e di tutte le decisioni che aveva preso, erano le altre ferite che Aaron le aveva inflitto. Alla fine, i tradimenti le avevano fornito una facile scappatoia per giustificare il fallimento del suo matrimonio. Si infilarono nel parcheggio dello Starbucks e sua madre si girò a guardarla. «Puoi prendere tutto quello che vuoi. Paste alla crema, gelato con la panna...» Deglutì, passandosi la punta della lingua sulle labbra. «Farò finta di non risentirmi del fatto che sei magra come un fuscello mentre io sono costretta a convivere con due cosce che mi odiano. Ti voglio bene fino a questo punto.» Jenna rise e, piegandosi sulla leva del cambio, l'abbracciò. «Ti voglio bene anch'io, mamma. Grazie.» «Non ti ho ancora offerto il caffè.» Il grazie non era stato per via del caffè e lo sapevano entrambe. «Sono contenta che tu sia tornata a casa» disse Beth mentre smontavano. «Il posto al quale appartieni è questo. Le persone vere vivono in Texas, non a Los Angeles. Tutti quei tipi da Hollywood.» Storse il naso. «Ma c'è qualcuno normale in città?» «Pochi e non escono mai di notte.» Jenna la prese a braccetto. «Anch'io sono contenta di essere a casa.» Ogni volta che arrivava davanti al negozio, Jenna aveva 8
la sensazione di tornare sulla scena del delitto, ma fare finta che non esistesse non era un'opzione e qualcuno, probabilmente lei, avrebbe anche dovuto occuparsi di avviare l'attività. Erano due settimane che lavorava per preparare tutto in previsione dell'inaugurazione, eppure a volte sentiva ancora il bisogno di pizzicarsi per essere sicura della realtà di quello che stava succedendo. Solo tre mesi prima era stata a Los Angeles, intenta a lavarsi i denti nel piccolo bagno del suo appartamento, quando suo marito era entrato e aveva annunciato che la lasciava per un'altra donna. Si era innamorato e la lasciava. La prima cosa che aveva fatto Jenna in quel momento era stato chiedersi quando doveva sputare. A quale punto di quella gentile confessione sarebbe stato appropriato piegarsi sul lavandino, sputare e sciacquarsi la bocca? Con i denti pieni di dentifricio, non aveva potuto parlare, quindi era rimasta impalata lì come un'idiota. Finito il suo breve discorso, Aaron aveva girato i tacchi e se n'era andato, lasciandola sgomenta, emotivamente annientata, con la schiuma che le colava sul mento. Più tardi, avevano parlato. O meglio, lui aveva parlato, spiegandole tutte le ragioni per le quali la responsabile delle rottura era lei. Soltanto adesso aveva capito che Aaron faceva sempre così. Prendeva quello che c'era di buono e forte in una persona e procedeva a distruggerlo sistematicamente. Visto dall'esterno, era fascino allo stato puro, con il bel viso tenebroso dal sorriso facile. Dentro, era un demonio. O perlomeno una serpe velenosa. Certo, avrebbe potuto lottare per salvare il proprio matrimonio, ma una parte di lei era stata sollevata di avere una buona scusa per andarsene. Così, aveva impacchettato le sue cose ed era tornata a Georgetown, in Texas. Si era sentita perduta, quindi la decisione di tornare a casa aveva un senso. Per quanto ne potesse avere qualun9
que decisione presa in circostanze simili. Era grata ai suoi genitori per non averle mai domandato perché non si cercasse un lavoro in un ristorante. Aveva fatto lo chef per quasi dieci anni. Era il mestiere che conosceva. O meglio, aveva conosciuto. Oggi, cucinare le riusciva impossibile. Oh, certo, era sempre in grado di preparare un semplice pranzo. Una zuppa di pesce, diversi piatti a base di pasta, un tortino alla santoreggia, una cotoletta di prima scelta. Gli elementi base. Ma cucinare in modo creativo? Prendere degli aromi e miscelarli insieme in una maniera diversa dal solito, creando magicamente una nuova pietanza? Quel talento l'aveva perduto. Era come se le avessero rubato la sua anima culinaria. Le sarebbe tanto piaciuto accusare Aaron anche di quello... forse sarebbe stato possibile intentargli una causa per furto... ma in realtà era stata lei la prima a non stare in guardia, a non proteggere ciò che aveva di più prezioso. Gli aveva permesso di sminuirla, di ridicolizzarla, di impadronirsi delle sue idee spacciandole per farina del proprio sacco. Così, un po' alla volta, aveva cominciato a dubitare di se stessa, del proprio talento, della propria creatività e adesso era soltanto una che una volta era stata brava a cucinare. L'assassino era rimasto ignoto e lei non faceva nulla per scoprire chi fosse. Parlarne con qualcuno sarebbe servito solo a farsi compatire e poi, vedendola da fuori, uno non si sarebbe accorto di niente. Non era che avesse perso tutte le sue capacità. Ma la cosa che aveva amato di più... quella speciale scintilla creativa... era svanita. E lei non sapeva cosa fare per riacquistarla. Cercò di convincersi che aprire un'attività basata sulla cucina sarebbe stata una grande avventura, il suo nuovo destino. Avrebbe potuto passare le sue conoscenze ad altre persone, condividere l'abbondanza, figurativamente palando. E se quello non fosse bastato a ispirarla, aveva 10
sempre i tre anni d'affitto da pagare di cui preoccuparsi. Se l'auto-analisi non l'avesse tirata fuori dal baratro in cui era precipitata, ci avrebbe pensato la paura a rimetterla salda sulle gambe. Una cosa o l'altra non faceva molta differenza, l'importante era che funzionasse. A ogni modo, la posizione era stupenda, pensò, guardando le due grandi vetrine divise dalla porta di cristallo. Il centro storico era il cuore pulsante di Georgetown e il suo negozio si trovava a due passi da una delle vie principali che lo attraversavano. A destra c'era un negozio di filati chiamato Solo Vera Lana. Sulla sinistra, un'agenzia assicurativa e più oltre un salone di bellezza. Il centro storico, composto da una serie di isolati squadrati, ospitava in prevalenza uffici e negozi, ma c'erano anche alcune zone residenziali, una mezza dozzina di ristoranti, diverse boutique di lusso e un paio di banche. Il via vai di pedoni era piuttosto intenso e questo era un altro fattore positivo per il commercio. Jenna smontò dalla macchina e, guardando il suo locale, pensò che avrebbe potuto farcela. Le potenzialità per trasformare la sua nuova attività in un successo c'erano tutte. Ora si trattava solo di cominciare. L'insegna sarebbe arrivata lunedì della prossima settimana e due giorni dopo era prevista la consegna della merce. A quel punto, ci sarebbe stato solo da fare l'inventario e mettere tutto in ordine in previsione dell'apertura. Prima di spendere soldi in pubblicità, avrebbe aspettato di vedere come fossero andate le cose. Nuove Delizie avrebbe venduto attrezzature da cucina di alta qualità accompagnate dalle istruzioni di un esperto... vale a dire lei. L'idea era di effettuare delle dimostrazioni, offrendo alla clientela l'opportunità di imparare i segreti dei cuochi professionisti. Si era informata e la competizione in quel settore non esisteva. Il suo negozio sarebbe stato l'unico del genere nell'intero stato. Mentre si apprestava ad aprire la porta, sentì sbattere 11
uno sportello. Si girò e vide una donna con i capelli neri che le veniva incontro. «Salve» esordì la donna. «Jenna?» «Sì. E lei deve essere Violet.» Si erano parlate per telefono. Quella di Violet era stata una della quindicina di chiamate che aveva ricevuto dopo aver pubblicato un'inserzione sul giornale. Aveva deciso di incontrarla perché Violet poteva vantare un'esperienza specifica nel settore e, almeno a giudicare dalla voce, le era sembrata una persona abbastanza normale. La sua potenziale commessa portava i capelli corti e spettinati, aveva una grossa riga nera sotto agli occhi e ciglia molto lunghe. Indossava una maglia di pizzo grigio sopra un top viola e viola era anche la gonna a balze. Dal collo le pendevano una dozzina di collane di diversa lunghezza e altrettanti erano i braccialetti che le tintinnavano al polso sinistro. Un paio di stivaletti con il tacco alto completavano il suo abbigliamento. Dimostrava ventisette, ventotto anni. Aveva un bel sorriso amichevole e occhi curiosi e intelligenti. «La posizione è ottima» commentò Violet, mentre Jenna apriva la porta. «Questa è una zona molto elegante, dove la gente va volentieri a piedi. Se cucinerà, avrà un sacco di visitatori di passaggio, attirati dal profumo.» Entrarono e, dopo aver acceso le luci, Jenna contemplò il caos che la circondava. Le pareti erano coperte da mensole di acciaio che facevano il paio con gli scaffali posti al centro della stanza principale. Nella stanza posteriore scintillava la nuova cucina appena installata. Il bancone della cassa era al suo posto. Il resto dello spazio era occupato da grandi scatoloni di cartone impilati uno sull'altro fino a raggiungere il metro e mezzo d'altezza. Per mettere tutto in ordine ci sarebbero voluti giorni. Sarebbe stato un lavoraccio infernale, ma a Jenna non importava. Anzi, il duro lavoro era esattamente quello di 12
cui aveva bisogno. Se fosse arrivata a fine giornata esausta, non avrebbe avuto tempo per pensare. E poi quella era l'America, la terra delle opportunità, dove tutti quelli disposti a lavorare sodo avevano diritto alla loro fetta di successo. Grazie a Dio, senso del dovere e propensione al sacrificio non le erano mai mancati. «Bello» commentò Violet, guardandosi attorno. «I soffitti alti sono un punto di forza. Molti posti qui attorno hanno il secondo piano, quindi i soffitti sono più bassi.» Raggiunse l'area della cucina, posò la borsetta e si arrotolò le maniche, scoprendo il tatuaggio floreale che le decorava l'interno del polso destro. Violet non era niente di quello che Jenna si era aspettata. Se l'era immaginata più vecchia, più... conservatrice. In compenso, la ragazza sprizzava energia da tutti i pori e aveva un sorriso accattivante. I capelli corti, modellati in un artistico disordine grazie al gel, le donavano, come anche il trucco dark. Violet aveva un'aria simpatica e sembrava una tipa alla mano. Dopo dieci anni di lavoro nel campo della ristorazione, Jenna aveva imparato a fidarsi del proprio istinto, quando si trattava di assumere il personale. Perfino Aaron, che pure non si stancava mai di mettere in risalto la sua inadeguatezza, aveva seguito le sue indicazioni in tal senso. «Le piace lavorare con il pubblico?» chiese Jenna. Aveva bisogno di saperlo perché quella per lei sarebbe stata la parte più difficile. Era abituata a stare dietro le quinte, lontana dai riflettori, nascosta nei meandri della cucina. Tenere la dispensa sempre ben fornita, curare l'organizzazione, cucinare sotto pressione erano cose che le venivano naturali. Continuare a sorridere a una cliente nevrotica molto meno. «Il più delle volte» rispose Violet con una risata. «Penso che la differenza principale fra un posto come questo e, poniamo, un grosso centro commerciale sia l'atmosfera. Uno va in un centro commerciale con certe aspettative, 13
per i prezzi bassi e la comodità. Invece, per venire qui, serve una motivazione speciale.» Fece scivolare la mano sul ripiano di acciaio accanto ai fornelli. «La chiave del successo sta nell'offrire ai clienti un'esperienza che non possono trovare altrove. Non soltanto prodotti innovativi, ma anche un servizio personalizzato. Bisognerà invogliarli a tornare.» Violet sorrise di nuovo, gli occhi che danzavano di eccitazione. «Sarà una bella sfida e a me le sfide piacciono.» «Bene... perché qui ce ne aspetta una molto difficile.» Violet andò in cerca dei suoi occhi. «Non è detto. Dov'è la concorrenza? Non ho svolto una ricerca di mercato, ma non credo che ci siano dei posti come questo, in città.» Jenna la fissò. Ricerca di mercato? Batté le ciglia, facendo del proprio meglio per non trasalire. Giusto. Le persone normali, dotate di buonsenso, iniziavano una nuova attività in base a un progetto. Prima studiavano la zona, valutavano i pro e i contro, elaboravano una stima dei costi e dei ricavi. Tutte cose che anche lei avrebbe fatto se avesse dovuto aprire un ristorante. «Noi qui offriremo qualcosa di unico» disse con coraggio. «Il centro storico è il posto giusto per il genere di negozio che ho in mente.» «Ne ha avuti degli altri prima?» chiese Violet. «Be', no, non esattamente. Sono uno chef.» «Oh, wow. Fantastico.» Violet si portò davanti al lavello e allargò le braccia. «Qui si potrebbe allestire uno spazio riservato alle sperimentazioni dei clienti. Alla gente piace sporcarsi le mani e, con due forni e otto fuochi, potrebbero lavorare in tanti contemporaneamente. Conosco delle donne che sarebbero disposte a fare carte false per avere delle dritte da un'esperta di cucina.» Jenna scosse la testa. «Non avevo intenzione di far cucinare i clienti. Pensavo di effettuare delle dimostrazioni, illustrando la tecnica di preparazione dei diversi piatti.» Violet abbassò le braccia. «Può andare bene anche co14
sì» disse con un livello di entusiasmo decisamente inferiore. «I piatti saranno pronti in anticipo, in modo che possano avere un assaggio di quello che stanno facendo?» «Naturalmente.» «Ottima idea.» Violet si spostò verso la pila degli scatoloni e cominciò a leggere quello che contenevano. «Quindi lei non ha mai tenuto un negozio prima?» «No.» Violet si morse il labbro. «Assumerà un manager?» «Il manager sarò io. Almeno all'inizio.» Jenna raddrizzò le spalle. Era giunto il momento di mettere le carte in tavola. «Cerco qualcuno che lavori qui a tempo pieno. Saremo aperti sei giorni la settimana. Preferirei che l'altro giorno libero lo prendesse tra lunedì e giovedì, perché immagino che venerdì e sabato saremo molto impegnati. Ho intenzione di offrire lezioni di cucina. Ricette classiche, facili da preparare, pietanze che possono essere surgelate e servite in un secondo tempo.» Tutta roba che poteva fare a occhi chiusi. Una vocina nella testa le sussurrò che sarebbe stato divertente sperimentare un po'. Lasciare che i clienti la sorprendessero portando ingredienti di loro scelta e poi inventarsi qualcosa lì per lì. Avrebbe potuto... Senza volerlo, le tornò in mente la volta in cui aveva provato a fare dei tortini di pane come antipasto invece che come dessert, usando erbe aromatiche e spezie al posto dello zucchero. Quando li aveva tirati fuori dal forno, Aaron ne aveva preso uno al volo e se ne era messo un pezzo in bocca, solo per sputarselo in mano con una smorfia disgustata. Poi le aveva posato la mano sulla spalla, dicendo: «È buono che tu abbia tentato». Lei non sapeva cosa fosse stato peggio... se le facce del personale della cucina che avevano assistito alla scena, o il fatto che più tardi quella sera, assaggiando la sua creazione, avesse scoperto che era squisita. Se solo avesse a15
vuto più coraggio, più fiducia in se stessa... «Cerco qualcuno che, in un futuro non troppo lontano, possa assumere la posizione di manager» disse d'impulso. Violet inarcò le sopracciglia. «La cosa potrebbe interessarmi.» Jenna strinse le labbra. Senza il peso della gestione del negozio sulle spalle, avrebbe avuto a disposizione un sacco di tempo libero. Avrebbe potuto fare tante altre cose... per esempio, mettersi in cerca della parte di se stessa che era andata perduta. Violet spinse lo sguardo attorno. «Venderà anche prodotti alimentari? Gli ingredienti delle varie ricette che presenterà?» «No, perché?» «Bisogna che la gente abbia qualcosa da comprare. Pentole e attrezzatura da cucina sono cose che non si rompono facilmente e non vanno fuori moda ogni due anni. Se i clienti non hanno un motivo per spendere, non spendono. Verranno qui, prenderanno le ricette, faranno tesoro dei suoi insegnamenti e se ne andranno, senza lasciare praticamente niente in cassa.» «Capisco.» Jenna non ci aveva pensato. «Mi inventerò qualcosa. Potrei fissare una quota d'iscrizione per le lezioni di cucina. Ma adesso mi parli di lei. Dov'è impiegata in questo momento?» Violet fece un rapido resoconto delle sue esperienze lavorative. Aveva con sé due lettere di raccomandazione e un modo di porsi spontaneo e rassicurante. Jenna, che sapeva di tendere verso il controllo maniacale, pensò che insieme sarebbero potute diventare una buona squadra. «Perché vuole cambiare?» chiese, sinceramente incuriosita. «Quello che faccio mi piace» rispose Violet. «Però l'America delle grandi corporazioni non è il mio ambiente. Io sogno di essere parte di una comunità. Vivo ad Austin da due anni, ma non mi sento ancora integrata.» Indicò gli 16
scaffali vuoti. «Questa sarà una sfida e io non ho mai saputo dire no alle sfide. Se mi può garantire che a un certo punto verrò presa in considerazione per la posizione di manager, sono molto interessata.» Jenna si sentì sollevata. Aveva già controllato le referenze di Violet ed era rimasta impressionata da quello che avevano detto di lei i suoi precedenti datori di lavoro. In quella fase, avere vicino qualcuno che conosceva le regole del commercio sarebbe stato un grande aiuto. «Quando può cominciare?» «La settimana prossima. Martedì.» «Perfetto.» La porta d'ingresso si aprì e una giovane donna bionda entrò. «Buongiorno. Sono Robyn, la proprietaria di Solo Vera Lana, il negozio qui accanto. Ho pensato di venire a darvi il benvenuto nel quartiere.» Violet le andò incontro con la mano tesa e un sorriso smagliante sul viso. «Salve, sono Violet Green» si presentò. «Lo so. È un nome assurdo. Ho paura che mia madre fosse sotto l'effetto dei sedativi quando l'ha scelto. Comunque, questa è Jenna Stevens. Il negozio è suo.» «Piacere di conoscerla» disse Jenna, pensando che Robyn aveva un'aria familiare. Georgetown non era molto grande e probabilmente a un certo punto dovevano aver frequentato la stessa scuola, anche se in classi diverse. Robyn sembrava di qualche anno più giovane di lei. La nuova arrivata si guardò attorno. «Bello spazio. Pieno di luce. Si troverà benissimo qui. Spero che riusciremo a scambiarci qualche cliente.» Abbozzò una smorfia. «Il mio terrore era di trovarmi a fianco una rivendita di ricambi per automobili. Intendiamoci, non ho niente contro le macchine, ma in giro non ci sono molti uomini che lavorano a maglia.» Violet scoppiò a ridere. «Credo che abbia ragione. In compenso, io adoro lavorare a maglia.» 17
«Sul serio? È brava?» «No, per niente, però mi piacerebbe imparare.» «Fra qualche settimana partirà un corso per principianti» disse Robyn. «Se è interessata...» «Grazie. Le farò sapere.» Jenna si scoprì intimidita e imbarazzata. Non avrebbe dovuto, perché quella era una normalissima chiacchierata tra vicine, ma lei era rimasta per troppo tempo lontana dal mondo delle donne. Il personale delle cucine nelle quali aveva lavorato era stato composto per lo più da uomini e lei aveva fatto il resto, chiudendosi nel rapporto a due con quel disgraziato di Aaron. Prima di trasferirsi in California, aveva avuto un sacco di amiche a Georgetown e si ripromise di chiamarle. «Io cucinerò spesso qui» annunciò, facendo uno sforzo per partecipare alla conversazione. «Potrei portarle degli assaggi.» Robyn sorrise. «È per questo che diventerà la mia vicina preferita. Già me lo sento. Quando aprirete?» Jenna glielo disse. «Se avete bisogno di qualcosa, non esitate a bussare alla mia porta» continuò Robyn rivolta a entrambe. «Anche solo per bere un caffè e staccare cinque minuti dalla frenesia dei preparativi.» «Grazie, ne approfitteremo» promise Violet. Robyn se ne andò e, dopo aver chiuso la porta dietro le sue spalle, Violet si lasciò sfuggire una risata argentina. «Che avventura. Non vedo l'ora di cominciare.» Jenna pensò agli ultimi due mesi, al senso di fallimento totale che era stato il compagno costante delle sue giornate. Questo sarebbe stato un nuovo inizio per lei. Un modo per mettersi alla prova. «Anch'io» mormorò, giurando a se stessa che stavolta sarebbe stato tutto diverso. Jenna arrivò alla villetta che aveva preso in affitto verso 18
le sei e un quarto. Lasciata la macchina nel vialetto, salì le scale della veranda e, fermandosi davanti alla porta della cucina, vide suo padre che osservava con espressione concentrata un trapano, del quale si servì, dopo aver controllato i segni sul muro, per eseguire tre fori. Lei aspettò che il trapano tacesse, poi disse: «Ciao, papà». Lui si girò e le sorrise. «Ehilà, piccola. Sto lavorando sulle tue mensole. Ancora un minuto e potrai aiutarmi a montare i supporti.» Le mensole erano di metallo decorato, con tanti ganci per tutti i suoi mestoli e le sue padelle. La cucina della villetta era abbastanza spaziosa, ma Jenna si era portata dietro un sacco di libri di cucina, quaderni di ricette e attrezzature varie. «Grazie.» «Non c'è di che.» Suo padre posò il trapano e allargò le braccia. «Tutto a posto, Jenna?» Lei scivolò nel suo abbraccio, lasciandosi avvolgere dalla sua forza tranquilla. «Non ancora, ma non ci manca molto.» Lui annuì e, dopo essere rimasto un attimo in silenzio, dichiarò: «Mi dispiace che Aaron si sia rivelato un simile bastardo». «A chi lo dici. Io sognavo quello che avete tu e mamma.» Crescendo, non le era sembrato di chiedere troppo, ma oggi, ripensando agli anni che aveva sprecato con il suo ex-marito, si rendeva conto che trovare l'uomo giusto non era per niente facile. «Ci arriverai» disse suo padre. «Però fammi un favore, piccola. Stavolta innamorati di un bravo ragazzo texano.» Lei sorrise. «Credi proprio che siano migliori?» «Lo so per certo.» «E se fosse un Aggie?» chiese lei con un sospiro drammatico. Suo padre aveva frequentato l'Università del Texas. Gli Aggies... come venivano chiamati i laureati della Texas A&M... erano il nemico. 19
«Nessuno può essere peggio di un californiano, nemmeno un Aggie.» Lei rise. «Non ti prometto niente, ma farò il possibile.» «Brava la mia ragazza.» Lui le diede un bacio sui capelli e la lasciò andare. Guardandolo mentre finiva di montare le mensole, Jenna pensò che non era quello il punto nel quale aveva immaginato di ritrovarsi a trentadue anni. Tuttavia, non doveva scoraggiarsi. Sì, il suo matrimonio era fallito, ma era una cosa che, ormai, capitava abbastanza spesso. Poi le persone si riprendevano. Molte addirittura prosperavano. Poteva riuscirci anche lei. Avrebbe trovato un modo per far sì che quel ricominciare daccapo diventasse la cosa migliore che le fosse mai successa.
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Ritorno a casa di Susan Mallery Quando ci sentiamo tradite dalla vita, oltre che dall'uomo che credevamo di amare, l'istinto ci riporta a casa. Ed è lì che torna Jenna. Dopo una carriera come chef a Los Angeles, si metterà a vendere prodotti per la cucina a Georgetown, aiutata dal sostegno dei genitori adottivi e dalle idee stravaganti della sua commessa, Violet. Amore, amicizia ed entusiasmo sono gli ingredienti fondamentali per arrivare a una svolta decisiva. Il nuovo equilibrio, però, viene turbato da due persone eccentriche che si presentano a lei come i suoi genitori naturali.
Le campane di Virgin River di Robyn Carr Non si sente spesso di una chiesa messa all'asta su eBay, ma è quello che succede a Virgin River, e Noah Kincaid è il fortunato che se l'è aggiudicata. Ora dovrà trovare un'assistente che lo aiuti nelle pulizie e nella gestione delle attività. È solo per compassione che affida il lavoro a Ellie Baldwin, una ragazza bellissima e provocante, che ha alle spalle una lunga serie di guai. Lei ha bisogno di quel lavoro per riavere con sé i propri figli e lui ha bisogno del suo entusiasmo per conquistare la comunità locale. E, ovviamente, a Virgin River, l'amore è sempre in agguato.
Ogni donna ha un piano B di Sherryl Woods Tornare a casa a volte non è come ci si era aspettati. Quando Dinah Davis decide che ne ha avuto abbastanza di reportage di guerra e si convince che è il momento di tornare dalla famiglia a Charleston, per capire se può riallacciare la relazione con l'ex fidanzato Bobby, si ritrova a fare i conti con situazioni e sentimenti imprevisti. Il suo piano viene infatti ostacolato dal fratello di Bobby, Cord, bello, arrogante, indolente, orgoglioso e ribelle. Un tipo da evitare: esattamente il tipo da cui non si riesce a stare lontane. E tutta quella ostilità reciproca, nata già ai tempi della scuola, non potrà che sfociare in un'attrazione irresistibile.
La sorella della sposa di Kristan Higgins Per l'avvocato divorzista Harper James non è facile essere romantica, così, quando incontra l'ex marito Nick al matrimonio della sorella, fa di tutto per tenere a bada l'attrazione che ancora li unisce. Peccato che il destino non l'aiuti, e a causa di un problema con il volo di ritorno, si ritrova ad accettare un passaggio in auto che la vedrà nello stesso abitacolo insieme a Nick per ben tredici ore. Sarà un lungo viaggio nei ricordi di un rapporto che, forse, è finito troppo in fretta e, forse, ha ancora molto da offrire. Chissà che ne penserà il suo quasifidanzato, a casa?
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