EDY TASSI
EFFETTO DOMINO
ISBN 978-88-6905-032-9 Effetto domino © 2015 Edy Tassi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione HM luglio 2015
Effetto domino
Prologo
Sun City, Sudafrica «Signorina Montanari?» Gloria sollevò lo sguardo stanco e per un istante faticò a mettere a fuoco la figura massiccia in divisa carta da zucchero davanti a lei. Era rimasta troppo tempo a fissare i puntini neri e marroni sulle mattonelle del pavimento, pensò battendo le palpebre. «Signorina Montanari?» ripeté l'uomo, in un inglese fortemente accentato. «Venga.» Gloria si alzò dalla fila di sedie di fronte all'ufficio del capo della polizia di Sun City. Tese la mano e l'uomo ricambiò il gesto con una stretta vigorosa e sbrigativa. «Sono il capitano Gregory. Ha fatto buon viaggio?» «Abbastanza, grazie.» Gloria seguì il capitano verso una scrivania di metallo. «Spostarsi dal Congo non è mai facile.» Gregory accennò a sedersi, poi si bloccò. «Vuole bere qualcosa? Un po' d'acqua?» Gloria stava per rifiutare, ma ci ripensò. Meglio avere qualcosa in mano. Il suo lavoro l'aveva abituata a interagire con le forze dell'ordine ogni volta che attraversava un confine per andare a fotografare un villaggio in Burundi o in Ruanda. Ma era la prima volta che si trovava in una centrale di polizia per parlare di un omicidio. Il capitano aprì un piccolo frigobar e svitò il tappo di
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una bottiglia d'acqua. Era un uomo imponente, tanto che la divisa gli tirava leggermente sulle spalle. E non aveva bisogno delle tre stelline dorate sulle mostrine per apparire autorevole. Le porse l'acqua, poi si sedette davanti a lei. Gloria si portò il bicchiere alle labbra e bevve un piccolo sorso. Il capitano la osservò per qualche istante, serio, come a decidere da che parte cominciare. «Le visite in obitorio non sono mai piacevoli» esordì alla fine l'uomo, dritto al punto. Gloria bevve un altro sorso. Serviva acqua gelida per mantenere in funzione il cervello. «No.» Lui annuì. «Purtroppo era indispensabile. Suo padre era già stato riconosciuto da diverse altre persone. Il direttore del Sun City Palace, parecchio personale... Non c'era alcun dubbio sulla sua identità. Ma lei è la figlia.» Il Sun City Palace. Gloria ci era stata da bambina, con suo padre. Allora per lei aveva rappresentato ancora un viaggio in un mondo incantato. Per Stefano Montanari l'ennesima occasione di giocarsi una piccola fortuna in uno dei tanti casinò africani. Ripensò al tetto dalle alte cupole azzurrine, alle torri, alle colonne di pietra che sorreggevano le vetrate decorate da mosaici, agli ambienti arredati con enormi zanne di legno d'ebano, teste di leone intagliate, fontane. Rivide i letti a baldacchino con le lenzuola di cotone pregiato, le piscine. Un albergo lussuoso. Che suo padre non si poteva permettere. Né allora né probabilmente adesso. Ma questo non gli aveva mai impedito di soggiornarvi. Storse la bocca. Tipico. Le labbra iniziarono a tremarle e la smorfia ironica per un istante sembrò dissolversi in qualcosa di più emotivo, che lei cercò subito di controllare, nascondendosi dietro il bicchiere. Aveva imparato da tempo a dominare le emozioni, anche le più improvvise e
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violente. Era fondamentale per sopravvivere, soprattutto quando non potevi contare su nessun altro. «Il suo riconoscimento era necessario per poter archiviare il caso» proseguì intanto Gregory. «Certo, capisco.» Gloria si complimentò con se stessa per la voce, non ferma come avrebbe voluto, ma comunque una buona approssimazione. Fissò Gregory. Cosa si aspettava da lei? Una poco pratica disperazione? Operosa collaborazione? «Che cosa mi sa dire delle indagini?» chiese, optando per l'operosa collaborazione. «Non molto. Propendiamo per un tentativo di rapina finito in tragedia. O una resa dei conti fra ubriachi. Al momento del ritrovo del ca... del corpo, suo padre aveva bevuto parecchio.» Gregory si massaggiò la base del naso, correggendo educatamente il tiro. Dopo il bicchiere d'acqua, quella sembrava un'altra concessione al suo essere una donna. «L'agente che mi ha accompagnata in obitorio mi ha detto che lo hanno trovato in giardino.» Gregory annuì. «Era riverso dietro la siepe che costeggia uno dei vialetti laterali. Sembra che il decesso sia avvenuto verso le tre del mattino.» Probabilmente Stefano era uscito per prendere una boccata d'aria fresca dopo la notte di gioco. Stava vincendo e qualcuno lo aveva tenuto d'occhio per aggredirlo alla prima occasione? Un'altra smorfia. Come no! «Mio padre non ha mai vinto un granché.» «Sì, anche i croupier del Palace ci hanno detto la stessa cosa.» «Però era bravo a vivere di espedienti.» «Infatti l'ipotesi più credibile è che si sia fatto prestare dei soldi da chi non doveva. Come saprà era qui da pochi giorni... ma il giro degli strozzini attorno ai casinò è sempre molto attivo. Fiutano le loro prede come cani da caccia.»
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«No, capitano, non lo sapevo. Io e mio padre non eravamo più molto in contatto da qualche anno.» Da quando lei aveva deciso di averne abbastanza di quella vita. Lo guardò con interesse. «Come avete fatto a trovarmi?» Era rimasta sorpresa quando tornando al campo, dopo una giornata di foto vicino a Kigali, uno dei suoi colleghi l'aveva informata che la polizia di Kinshasa la stava cercando. All'inizio aveva pensato a un problema con i documenti di soggiorno. Accadeva spesso. Ma poi aveva scoperto che si trattava di tutt'altro. «Fra le cose che abbiamo rinvenuto nella camera di suo padre c'era un vecchio passaporto scaduto con una sua foto e i suoi dati. Qualche ricerca nelle varie ambasciate ci ha fatto risalire a lei.» «Cos'altro avete trovato nella sua camera?» «Ben poco. All'inizio l'abbiamo perquisita alla ricerca delle solite cose.» «In che senso?» «Droga. Pietre. Siamo in Africa, signorina Montanari. Questa è la merce di scambio più preziosa qui. Da quello che ci risulta suo padre era un giocatore d'azzardo professionista.» La guardò per vedere se la cosa le risultasse nuova, ma Gloria non batté ciglio e quindi proseguì. «Poteva essere invischiato anche nel contrabbando di stupefacenti e diamanti.» «E avete trovato qualcosa?» Gloria provò lo sgradevole, familiare moto di ansia che credeva di aver dimenticato, ma che la riportò con violenza alle serate solitarie che trascorreva da ragazza, quando suo padre usciva dalla loro stanza d'albergo per scendere nell'ennesimo casinò. Stefano si era rovinato la vita ancor più di quanto lei ricordasse? «No, niente del genere.» Gregory si alzò di nuovo e continuò a parlare dandole le spalle. «Per questo pensiamo che si sia trattato di una lite fra ubriachi. Ne capita-
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no spesso, soprattutto in ambienti come quello.» Raggiunse uno schedario e ne estrasse un sacchetto di plastica. «Qui c'è tutto quello che abbiamo rinvenuto nella cassaforte.» Appoggiò il sacchetto sul piano della scrivania. «Manca il passaporto valido. Non lo abbiamo trovato da nessuna parte.» Incrociò le braccia e la guardò con espressione sicura. «Pensiamo che glielo abbiano sfilato di tasca al momento dell'aggressione.» «Per quale motivo?» «Non certo per rendere più difficile il riconoscimento, visto che suo padre alloggiava lì. Probabilmente finirà nel mercato nero, nel giro dei documenti falsi. Cambieranno la foto, altereranno qualche dato. È una cosa piuttosto comune, soprattutto quando il passaporto ha una scadenza lontana.» Gloria abbassò gli occhi sul sacchetto. «Nient'altro?» «Cosa si aspettava che trovassimo?» chiese Gregory, interessato. «Una volta anche mio padre faceva il fotografo. Non avete trovato un'attrezzatura professionale?» Gregory scosse la testa. «No. Niente.» C'era da scommettere che Stefano a un certo punto avesse venduto, anzi svenduto, tutto per garantirsi un altro giro a poker da qualche parte. Gloria sospirò e allungò una mano verso il sacchetto. Nella plastica si distinguevano tre oggetti. «Quindi questi posso tenerli?» chiese. «Sono suoi. Li abbiamo già esaminati e riteniamo che non abbiano nessuna utilità per le indagini.» Gregory fece un gesto vago. «Ma per lei avranno sicuramente un valore affettivo.» Gloria infilò la mano nel sacchetto e ne estrasse il contenuto. Un orologio da uomo che non conosceva, economico ma pretenzioso, con il bracciale in acciaio e la maglia centrale dorata. All'interno del grande quadrante
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rotondo, in alto, campeggiava la scritta Rolex. Ma dal peso dell'orologio e dall'usura del cristallo Gloria avrebbe scommesso che era un falso. Poi c'era un girocollo da donna. Un cuore ricoperto di brillantini rosa che in questo caso sembravano veri. Un oggetto delicato. Gloria corrugò la fronte. Non ricordava di averlo mai visto. «Lo riconosce?» Gregory si protese verso di lei, come se avesse intuito le sue perplessità. «No. Era davvero fra le cose di mio padre?» Quegli oggetti erano nella sua cassaforte? Non li aveva mai visti. Strinse le labbra pensosa, mentre sfiorava la superficie irregolare del cuoricino. «Forse dovrebbe aprirlo» le suggerì il capitano. Gloria notò il piccolo meccanismo che apriva il ciondolo. Lo fece scattare con delicatezza e il cuoricino si spalancò come un libro. Dentro c'erano due foto minuscole. A sinistra una donna dal viso minuto, i capelli castani e gli occhi turchesi, enormi, sorrideva a chi la stava fotografando. A destra una bambina, la fotocopia in miniatura della donna, ma con i capelli più ricci e chiari, l'espressione più seria. Le mani cominciarono a tremarle. Facendo attenzione a non lasciar cadere il ciondolo, raccolse la catenina nel palmo e l'appoggiò vicino all'orologio. «È lei, vero?» le chiese il capitano. «E l'altra donna? Sua madre?» Gloria annuì due volte. «Matilde Visdomini...» Si stupì lei stessa nel sentire quel nome. Nessuno lo pronunciava più ad alta voce da anni. Non ce n'era mai stato motivo. Poi sfiorò con le dita il terzo oggetto. Un quaderno rilegato, con la copertina rigida punteggiata da piccole coccinelle rosse. Lo aprì e con un tuffo al cuore osservò per qualche secondo la prima pagina, poi sfogliò velocemente le altre,
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che frusciarono scricchiolando, pesanti di inchiostro. DeglutÏ e tornò all'inizio del quaderno. Lesse le prime righe e dovette mordersi le labbra fino a sentire il sapore del sangue, per trattenere le lacrime che avevano cominciato ad annebbiarle la vista.
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16 giugno 1982 L'ho fatto. L'hofattol'hofattol'hofatto! Ancora non posso crederci... Questa mattina ho detto che andavo all'università e invece eccomi qui, sul maggiolone di Stefano! Spesso mi giro a guardarlo. Com'è bello... E io sono pazza di lui. Pazza al punto di scappare. Se ne saranno già accorti? Non sono mai mancata a una cena... La brava bambina che dice sempre di sì. Ma questa volta non posso. Non sposerò Giulio. Mi guarda sempre con quell'aria adorante. È pazzo di me. E per papà è il figlio maschio che non ha avuto. Ossequioso. Serio. Una noia! Ci ho provato, a farmelo piacere. Ma i suoi baci mi fanno venire voglia di pulirmi la bocca con la mano. Poverino. Quelli di Stefano, invece... Lui mi fa ardere! Quando l'altra sera Giulio mi ha portata fuori a cena, è stata una fatica mordermi la lingua e non dirgli di finirla con tutte quelle moine. Che erano inutili. Che io e Stefano ce ne saremmo andati e che nessuno avrebbe mai potuto farmi cambiare idea. Stiamo viaggiando verso Roma. Gli hanno commissionato dei servizi fotografici. Dice che questa sarà la volta buona. Che diventerà qualcuno. E come non potrebbe? È bello come il sole. Devo voltarmi a guardarlo ancora! I capelli biondi, gli occhi nocciola, quel sorriso... Non sono la sola a pensarla così. Vedo come lo osservano
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le donne. Se lo mangerebbero. Ma lui vuole me. Insieme faremo grandi cose, dice. E io gli credo. Papà si arrabbierà moltissimo. Lo so. Ma gli passerà. Magari non subito. Gliel'ho fatta grossa. Devo solo aspettare che cominci a sentire la mia mancanza e capirà che l'idea di farmi sposare Giulio non poteva funzionare. Anche Giulio lo capirà. Ah, che bella l'aria che entra dal finestrino. Sa di amore e di libertà.
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