ANN LETHBRIDGE
L'angelo del peccato
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Gamekeeper's Lady Harlequin Historical © 2010 Michèle Ann Young Traduzione di Marianna Mattei Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Storici Seduction ottobre 2012 Questo volume è stato stampato nel settembre 2012 presso la Rotolito Lombarda - Milano I GRANDI STORICI SEDUCTION ISSN 2240 - 1644 Periodico mensile n. 9 del 10/10/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 556 del 18/11/2011 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
1 Londra, 1816 Lord Robert Deveril Mountford si sollevò dal letto appoggiandosi sul gomito. Scostò la cascata di riccioli bruni di Maggie, Lady Caldwell, per baciarne la candida spalla. «Tra due settimane?» le propose. Lei gli scoccò un sorriso malizioso, gli occhi scuri scintillanti. «Crudele! Prima non è possibile?» «Spiacente, sarò fuori città per qualche giorno. Andrò a caccia.» «E di che cosa? Di volpi, fagiani... o donne?» Si alzò, si infilò la camiciola e allungò la mano per recuperare il corsetto. Robert assestò uno scherzoso ceffone al suo delizioso fondoschiena, sodo e rotondo. «Di qualsiasi cosa mi capiti a tiro, ovviamente.» Sentendosi piacevolmente appagato, si concesse un pigro sbadiglio e si stiracchiò. «Per voi sarebbe ora di mettere la testa a posto» sospirò Maggie, facendolo irrigidire. «Non incomincerete anche voi!» Si protese in avanti per allacciarle il corsetto, poi prese le calze di seta rimaste abbandonate sul letto e gliele lanciò. 5
Lei si sedette sulla sponda per infilarsele. «Perché no? Ci sono così tante brave ragazze in giro! Prendete mia nipote, per esempio. Ha una dote più che ragionevole e proviene da una buona famiglia.» Un funesto presagio si affacciò alla mente di Robert. Non era la prima volta che una delle sue amanti, ansiosa di imparentarsi con un duca, tentava di rifilargli in moglie se stessa o una parente. Da quell'amante in particolare, però, non se lo sarebbe mai aspettato. Aveva pensato che si divertisse troppo con lui per consentire agli obblighi familiari di rovinare tutto. Ammesso e non concesso che la modesta rendita assegnatagli dal duca fosse sufficiente a mantenere due persone, Robert non aveva la minima voglia di ritrovarsi con una moglie tra i piedi. Una volta rivestitasi, Maggie andò allo specchio per ravviarsi i riccioli ribelli. «Guardate che disastro! Caldwell non crederà mai che sia andata da Lady Jeffries per il tè.» Raccolse dal pavimento le forcine lasciate cadere nella foga della passione e tentò di servirsene per domare le chiome. Nudo, Robert si alzò e si portò alle sue spalle, provocandole una nuova scintilla di desiderio. Prese la spazzola, sentendosi d'un tratto inspiegabilmente ansioso di togliersi quella donna di torno. «Permettetemi.» Con pochi colpi decisi domò la folta criniera bruna di lei, l'annodò in un semplice chignon sulla nuca e la fissò con le forcine, liberandone alcune ciocche affinché le incorniciassero il viso. «Così può andare?» Maggie, una donna adorabile, ancora nel fiore degli anni e senz'altro sprecata accanto a quel vegliardo di suo 6
marito, si girò a guardarlo, ridendo. «La mia cameriera non avrebbe saputo fare di meglio. Se mai desideraste un impiego come cameriera personale di una dama sarò lieta di fornirvi le referenze.» Lui scrutò il bel volto, poi sfiorò le sue labbra con le proprie. «Grazie. Di tutto.» Maggie gli piaceva molto. Peccato che avesse osato menzionare l'argomento matrimonio. Si chinò per recuperare le scarpe da sotto al letto. Nell'infilargliele, indugiò ad accarezzarle il polpaccio per l'ultima volta, pervaso da un lieve rimpianto. Alquanto lieve. Lei sospirò e gli passò le dita tra i capelli. Il pendolo dell'ingresso batté le quattro. «Oh, perdinci!» esclamò lei balzando in piedi. Gettò un'ultima occhiata nello specchio. «Credo di poter superare l'esame.» La sua risata argentina risuonò nella stanza. Robert si alzò, le labbra leggermente incurvate all'insù: Maggie era sempre di ottimo umore, non si abbandonava mai a sciocchi capricci o a scenate di gelosia come le altre donne. Era stata l'amante perfetta. Fino a quel momento. Il giorno successivo le avrebbe inviato un regalo, una discreta spilla di diamanti accompagnata da un messaggio attentamente formulato. Non essendo stupida, avrebbe capito. Lei gli posò la mano sulla guancia. «Un giorno o l'altro una graziosa fanciulla catturerà quel vostro cuore insensibile e io vi perderò, insieme a tutte le altre vostre affezionate amiche.» Peccato che continuasse a infierire. Robert le baciò le 7
dita. «Giammai! Perché legarsi a una sola donna quando ce ne sono così tante con cui divertirsi?» «Siete un uomo cattivo» lo canzonò. «E io vi adoro.» Si girò in un sonoro fruscio di gonne, liberando nell'aria una nuvola di profumo misto all'odore del sesso. Aprì la porta e corse giù dalle scale, verso la carrozza che la attendeva in strada. Sì, rifletté Robert, Maggie gli sarebbe mancata parecchio. Chi avrebbe riempito i suoi tediosi martedì pomeriggio? Quello era un bel problema. La nuova ballerina dell'Opera di Covent Garden gli aveva rivolto delle chiare avances, la settimana precedente. Una sinuosa creatura dagli occhi invitanti. Eppure, stranamente, il pensiero di darle la caccia non gli infondeva la minima emozione. Non sarebbe stata una vera e propria caccia, visto che lei era già ai suoi piedi. Forse avrebbe dovuto guardarsi meglio attorno. Cercare faceva parte del gioco. Fischiettando a bassa voce, incominciò a prepararsi per la serata da White's. Kent, 1816 Era quasi perfetto... vero? Avrebbe tanto voluto esserne sicura. Alla già scarsa luce che aleggiava nella biblioteca, Frederica Bracewell socchiuse gli occhi per esaminare il secondo disegno che aveva fatto e confrontarlo con l'illustrazione del libro. Il primo tentativo era stato pessimo. Una bambina di cinque anni avrebbe saputo fare di meglio. E lei l'aveva realizzato con la mano destra. Sospirò avvilita. Per quanto si sforzasse non riusciva proprio a usare quella mano. 8
Figlia del demonio! Una voce colma di disprezzo le risuonò nelle orecchie. Si sfregò le dita gelide prima di prendere il secondo disegno e sollevarlo per esporlo alla luce. Era il migliore che avesse mai eseguito. Ma era abbastanza bello? La porta si aprì dietro di lei, che balzò in piedi e avvampò. Con il cuore che le batteva forte si girò, nascondendo i disegni dietro la schiena. «Sono soltanto io, miss» le annunciò Snively, il maggiordomo di Wynchwood, un uomo imponente, con i capelli bianchi e il viso schiacciato di un bulldog. Mentre si aggirava per la stanza ad accendere i lumi infissi alle pareti, i suoi occhi castani scintillavano acuti. Il cuore di Frederica riprese a battere normalmente. «Non sapevo che oggi pomeriggio sareste stata qui a lavorare, altrimenti avrei chiesto a William di accendervi il camino» le disse. «Non ho f... freddo» rispose lei, sorridendo a uno dei pochi alleati che aveva in quel luogo. Non voleva fargli perdere il lavoro per aver acceso il fuoco laddove non era necessario. Recuperò lo straccio con una smorfia. Aveva portato a termine solo una minima parte del compito che le era stato assegnato, quello di spolverare i libri. Lo zio Mortimer non sarebbe stato contento. Passandole accanto, Snively gettò un'occhiata ai disegni ora deposti sul tavolo. Raffiguravano entrambi un passerotto. «Questo è buono» osservò, indicando il secondo. «Sembra pronto a spiccare il volo. La gente è disposta a pagare per disegni come quello.» «Credete davvero?» 9
«Sì.» Il volto s'indurì. «Dovreste prendere vere lezioni di disegno invece di ridurvi a copiare dai libri. Avete talento.» Era sempre dalla sua parte. A volte Frederica si immaginava che l'imperturbabile maggiordomo potesse addirittura essere suo padre. Ne sarebbe stata felice. Sempre meglio che interrogarsi di continuo su quale disgraziato fosse finito nel letto di sua madre, meglio nota come la Sgualdrina di Wynchwood. «Non sta bene che una donna disegni per guadagnarsi da vivere» obiettò Frederica a bassa voce. «Ma mi piacerebbe molto andare in Italia per ammirare i grandi capolavori dell'arte. Forse anche per studiare con un maestro di disegno.» Snively strinse le labbra. «E dovreste farlo.» «Lord Wynchwood non acconsentirebbe mai. Sarebbe troppo costoso.» «Se posso permettermi, miss, il denaro che da anni milord risparmia servendosi di voi come governante sarebbe sufficiente a finanziare una dozzina di viaggi in Italia.» «Sono qui solo e unicamente grazie alla generosità di mio zio, Mr. Snively. Avrebbe tranquillamente potuto mettermi in un orfanotrofio.» Lui si rabbuiò. «Verrà anche il vostro momento, miss, tenetelo sempre a mente.» Non lo aveva mai udito esprimersi con tanto impeto. Diede un'occhiata alle proprie spalle, in direzione della porta. «Vi prego di non far parola di questi a mio zio» disse, indicando i disegni. «Certo che no, miss. Voi però non smettete. Un giorno 10
il vostro talento verrà riconosciuto, ve lo prometto.» Frederica gli sorrise. «Siete davvero gentile.» La porta della biblioteca sbatté e lei sussultò, il cuore in gola. «Zio M... Mortimer» balbettò con un fil di voce. Con fare impassibile, Snively fece scivolare il libro sopra ai disegni in modo da coprirli, quindi si voltò con la consueta flemma. «Buonasera, Lord Wynchwood.» Lo zio Mortimer, la parrucca di traverso sul capo e le guance rubizze, avanzò nella stanza. «Non hai nulla di meglio da fare che intrattenerti con i domestici, Frederica? La prossima volta ti troverò a sollazzarti con uno stalliere, proprio come faceva tua madre!» Accanto a lei, il maggiordomo si erse in tutta la propria statura. Frederica tremò. Detestava i litigi. «N... no.» «No?» tuonò il vecchio. «Allora Snively è solo frutto della mia immaginazione?» «Milord» intervenne Snively in tono offeso, «stavo solo accendendo le candele, come faccio sempre a quest'ora. Ho trovato Miss Bracewell che spolverava i libri e mi sono fermato ad aiutarla.» «Non sto redarguendo voi. È mia nipote che devo tenere d'occhio.» Frederica non fu sorpresa dal rapido cambio d'atteggiamento di suo zio. Di quei tempi non era facile trovare un maggiordomo del calibro di Snively, dunque bisognava tenerselo stretto. «So... sono...» «Spiacente? Lo sei sempre! Non basta.» Si accigliò. «Non hai sentito il campanello?» «N... no, zio. Mi avete chiesto di spolverare i libri. Non vi ho udito suonare.» 11
«Cerca di tenere le orecchie più aperte, allora. Ho delle ricevute da ricopiare nel registro dei conti. Dovrai finire per l'ora di cena.» Frederica represse un brivido. L'attendevano ore di meticoloso lavoro. Avrebbe dovuto ricopiare file e file di numeri usando la mano destra, il che per lei era un'impresa improba. Incurvò le spalle, scoraggiata. «Sì, zio.» «Allora vieni, non perdere tempo! Qui dentro si gela e i miei polmoni non sopportano il freddo. Snively, dite alla cuoca di far servire il tè nel mio studio.» Il domestico s'inchinò. «Non temete, miss. Qui rimetterò ogni cosa al suo posto.» Intendeva dire che avrebbe lasciato i disegni nella sua stanza. Se Mortimer avesse scoperto che la nipote aveva perso tempo a disegnare l'avrebbe probabilmente segregata in camera per una settimana. Il che le sarebbe andato benissimo, rifletté Frederica uscendo dalla biblioteca dopo aver rivolto un sorriso complice al maggiordomo. Senza Snively e senza l'irrealizzabile sogno del viaggio in Italia, la sua vita sarebbe stata davvero insopportabile. Rinvigorito dal suo pomeriggio con Maggie, Robert varcò la soglia di White's e porse il pastrano e il cappello all'usciere. «Lord Radthorn è già qui, O'Malley?» «No, Lord Tonbridge» gli rispose il nerboruto valletto dai capelli rossi. Robert non si diede la pena di correggerlo. Soltanto i parenti e gli amici più stretti – e di tanto in tanto qualche donna – riuscivano a distinguerlo da Charlie. 12
Salì le scale che portavano al salone due gradini alla volta. La stanza rivestita di pannelli di legno scuro era invasa dal brusio delle molte conversazioni in corso e, nonostante la serata fosse solo all'inizio, anche da qualche risata alticcia. Un gruppo di signori era accalcato attorno al tavolo del faraone, dove la partita era in pieno svolgimento. Uno dei giocatori aveva davanti a sé un alto cumulo di monete e di pagherò. Si trattava del Visconte Lullington, un nobiluomo dai capelli biondi e dai tratti aristocratici molto amato dalle signore. Nel gioco e con le donne aveva un vero e proprio tocco magico. Soltanto Robert era in grado di batterlo in entrambi i campi, il che da solo sarebbe valso a conquistargli tutta l'antipatia del visconte. Ma vi era un altro motivo per la loro accesa rivalità, assai più profondo e tagliente. Tagliente come la lama di una spada. La spada con la quale Robert lo aveva ferito al braccio nel corso di un duello per contendersi i favori di una donna. Robert si guardò attorno nella sala. Di Radthorn non c'era traccia, ma gli bastò controllare l'orologio da tasca per scoprire di essere arrivato un po' prima dell'ora convenuta. Si avvicinò al tavolo del faraone. «Chi è la vittima?» domandò al Colonnello Whittaker, mentre esaminava la scena. «Uno dei protetti di Lullington» mormorò Whittaker senza voltarsi a guardarlo. «Quello sciocco si è appena giocato la carrozza con tanto di pariglia!» Lullington si scostò i capelli biondo scuro dalla fronte, lasciando vagare gli occhi azzurri sugli altri giocatori. 13
Era molto furbo e si serviva del proprio fascino da damerino per attrarre giovani sprovveduti con troppo denaro a disposizione. Peccato che quella sera avesse commesso l'errore di venire a giocare da White's. Come se avesse avvertito lo scrutinio di Robert, Lullington sollevò il capo e, incrociando il suo sguardo, incurvò le labbra in un sogghigno prima di deporre le carte sul tavolo a faccia in su. «Mountford?» Non lo confondeva mai con il suo gemello. «Come siete riuscito a entrare in un club per gentiluomini?» «Come dite?» gli chiese Robert, pur avendo udito benissimo. Il visconte abbassò un poco le palpebre. «Non avete mai avuto un briciolo d'onore.» Ogni conversazione cessò di colpo. Robert si sentì drizzare i capelli sulla nuca. La rabbia gli dilagò nelle vene. Si sporse in avanti. «Per quest'affronto vi aspetto domani mattina su Primrose Hill. Sceglietevi i padrini.» Il giovane stolto seduto alla destra di Lullington fissò Robert con stupore. «Come osa?» bisbigliò poi. «Solo perché è figlio di un duca pensa di potersi far passare per un gentiluomo?» Un mormorio di assenso serpeggiò tra la folla. A Robert parve di aver ricevuto un calcio in pieno petto. «Di che diavolo state parlando?» Il ghigno di Lullington si fece sprezzante. «Diversamente da voi, io non insozzerei mai la reputazione di una signora in pubblico.» 14
Robert si sentì affluire il sangue al capo. Ecco svelato l'arcano! La cugina di Lullington, quella piccola strega. Avrebbe dovuto immaginarsi che quella volpe del visconte avrebbe rivolto l'intera vicenda a proprio vantaggio. «Colei a cui vi riferite non è affatto una signora» ribatté con sdegno. «Come voi ben sapete.» «Infame bastardo!» inveì Whittaker, voltando le spalle a Robert. «No» intervenne Lullington in tono basso ma esultante. «Mountford fa bene a non voler menzionare il nome della signora in questo club. Mountford, sappiate che il colore del vostro panciotto mi infastidisce. Vi prego di sottrarlo alla nostra vista immediatamente. Nessuno di noi vuole più vederlo in questo club.» Uno dopo l'altro, tutti coloro che si trovavano nei pressi di Robert gli girarono le spalle, lasciandolo solo, un'isola in un oceano di schiene rigide e impettite. Alcuni di quegli uomini erano suoi amici. Insieme a loro era andato a scuola, si era ubriacato, aveva giocato a carte ed era andato per bordelli, ma in quel momento nemmeno uno si azzardava a incontrare il suo sguardo. Alcuni erano sposati con donne infedeli, e in quel caso il luccichio esultante nei loro occhi aveva un che di vendicativo. Buon Dio! Avevano deciso di metterlo al bando solo perché si era rifiutato di sposare un'intrigante sgualdrinella. L'unico che continuava a fissarlo era Lullington, che si portò il monocolo all'occhio come se avesse scorto una mosca nel piatto. «È una menzogna, e lo sapete» lo accusò Robert. 15
«Bastardo sfrontato!» esclamò Pettigrew. «Sfrontato davvero» ammise Lullington con una risata di scherno. «Pettigrew, vi spiace chiedere a O'Malley di sbattere fuori questo rifiuto della società o devo pensarci io?» L'uomo lasciò subito la sala, ansioso di eseguire gli ordini del visconte. Robert tentò di assumere un tono pacato e ragionevole. «Non ho mai toccato la ragazza» si difese, sapendo che, se avesse detto di più, avrebbe fatto il gioco del nemico. Ambleforth, rosso e rubizzo come un tacchino, un tempo compagno di Robert a Eton, gli si avvicinò. «Per l'amor del cielo, Mountford» gli sussurrò, «andatevene prima che la situazione peggiori.» Come poteva peggiorare? Robert era arso dalla rabbia, sudato da capo a piedi. Quello era il suo più temuto incubo. Lullington gli aveva rivoltato contro ogni socio del club per una colpa che lui non aveva neppure commesso. Era stata la ragazza in questione a orchestrare tutto. «Abbiate la cortesia di andarvene, milord.» O'Malley gli afferrò il gomito. «Non vogliamo scenate, vero?» Robert strappò il braccio dalla presa. «Toglimi quelle luride zampe di dosso!» sibilò prima di girare sui tacchi. «Grazie a Dio!» esclamò Lullington nel profondo silenzio calato. «L'aria qui dentro stava diventando irrespirabile. Avete udito che faccia tosta? E ha addirittura osato sfidarmi a duello! Non gli permetterei nemmeno di leccarmi gli stivali.» Un flebile coro di risate imbarazzate seguì giù dalle scale Robert, che strinse i denti fino a provare dolore. Avrebbe voluto cancellare quel ghigno dal volto di 16
Lullington a forza di pugni, affondargli la spada nel cuore fino all'elsa. Non avrebbe mai sposato quella sua intrigante cugina solo per riconquistare l'approvazione del ton. Charlie era l'unica persona in grado di tirarlo fuori da quel guaio. Strappò il cappello dalle mani di O'Malley e uscì in strada, andando quasi a sbattere contro colui che si accingeva a entrare. Aprì la bocca per scusarsi, poi vide che si trattava di Radthorn. Gli posò la mano sulla spalla. «John, grazie a Dio siete voi!» «Mountford?» Il bel viso di John segnalava un certo impaccio. «Voi qui?» Che diavolo...? «Avevamo appuntamento, ricordate?» Lasciò cadere la mano. Dunque John era in combutta con gli altri per ostracizzarlo? Pareva proprio così. «Accidenti a voi!» imprecò. Quell'esternazione gli arrecò solo un minimo sollievo. Si mise a percorrere frettolosamente St. James's Street. Sì, Charlie era davvero la sua unica speranza, visto che il duca loro padre aveva da tempo deciso di lavarsi le mani del proprio secondogenito. Mountford House non differiva affatto dal resto della fila di rispettabili dimore allineate lungo il perimetro di Grosvenor Square. Ma al di là della sua decorosa facciata ardevano passioni tumultuose. Di quei tempi Robert vi si recava soltanto quando suo padre era assente. E anche in quelle occasioni lo faceva solo per compiacere sua madre. Certo non per far visita a Charlie, che assomigliava sempre più al padre e si interessava esclusivamente 17
del titolo, delle proprietà e del buon nome della famiglia. La porta si aprì e lui ignorò la mano protesa del maggiordomo che lo invitava a consegnargli cappello e pastrano. «Tonbridge è a casa?» s'informò. «Sì, Lord Robert. È nella sua stanza.» «Grazie, Grimshaw.» Salì le scale due gradini alla volta e irruppe negli appartamenti del fratello. Come si confaceva a un futuro duca, la stanza era grande abbastanza per ospitare un ricevimento. Lo stemma era ricamato sulle tende e scolpito sui mobili. Quell'ambiente sfarzoso non mancava mai di comunicare a Robert un senso di oppressione, mentre Charlie sembrava apprezzarlo. Charlie, ossia Charles Henry Beltane Mountford, Marchese di Tonbridge e prossimo Duca di Stantford, era seduto allo scrittoio, vestito di tutto punto e intento a scrivere una lettera. «Ti aspettavo» esordì in tono freddo, alzando il capo. Robert si arrestò di scatto. «Lo sapevi? Bastardo! Perché non mi hai avvertito?» «Ho inviato un messaggio ai tuoi alloggi. Ma il mio emissario ti ha mancato per un soffio» dichiarò stringendo le labbra. Robert lasciò vagare lo sguardo sul fratello maggiore. Era come guardare in uno specchio deformante, in cui vedeva i propri occhi castani e capelli bruni, il proprio volto dalla mascella squadrata e la fossetta nel mento che gli rendeva tanto difficile radersi. Vedeva il proprio corpo, alto e snello, con le gambe lunghe e le mani grandi. Ma, per il resto, detestava ogni altro dettaglio. Gli occhi 18
guardinghi. Le piccole rughe attorno alla bocca. L'espressione identica a quella del padre. Charles era il ritratto di un uomo che aveva rinunciato ai piaceri della vita in nome dell'onore e del dovere. «Ho bisogno di un prestito per comprare il silenzio della ragazza. Con una dote generosa potrà trovarsi un marito e chiuderà il becco.» Il fratello inclinò il capo di lato e socchiuse gli occhi. «Mi dispiace, Robin. Non posseggo denaro sufficiente.» «Chiedi un prestito a nostro padre. Non ti rifiuta mai nulla.» «La notizia è di dominio pubblico. Non credi che vorrà sapere cosa intenda fare di una somma così alta?» «Digli che devi pagare un debito di gioco.» Charlie scosse il capo. «Conosci le regole. Chi gioca paga. Inoltre è ora che tu metta la testa a posto, che ti assuma le tue responsabilità. Nostro padre non potrà che apprezzarti per questo.» Robert strinse le mani lungo i fianchi nello sforzo di non servirsene per sferrare un pugno. Inspirò a fondo. «Diamine, Charlie, credi che possa sposare una ragazza pronta a sacrificare la propria reputazione pur di avere una possibilità di diventare duchessa? In fondo ti ho fatto un favore.» Lo sguardo di Charlie s'indurì. «Non ho bisogno di favori da te.» «E se fossi stato tu a essere attirato nella biblioteca con l'inganno? L'avresti sposata pur sapendo di essere stato preso in trappola?» Charlie increspò le labbra. «Suvvia, Robin, sappiamo tutti e due che non esiste una donna al mondo capace di 19
attirarti laddove tu non voglia andare. Ma se fosse capitato a me le avrei subito chiesto di sposarmi. Sarebbe stato un mio dovere, non tanto verso di lei quanto verso il buon nome della nostra famiglia.» Robert inghiottì il fiotto di bile che sentiva in gola. «Non mi lascerò ricattare da una piccola intrigante!» «Il matrimonio non potrà che giovarti.» «Non sposerò colei che in realtà mirava a mio fratello» dichiarò travolto dalla nausea. Charlie lo fissò con freddezza da sopra l'orlo di un bicchiere di brandy. «Allora non avresti dovuto baciarla.» «Dannazione!» Avrebbe voluto mettersi a gridare. «È stata lei a baciarmi.» «Ti ripeto che il matrimonio ti gioverà. Nostro padre ne sarà contento.» Robert socchiuse gli occhi, insospettito. Poi, di colpo, notando il barlume di rimorso nello sguardo del fratello, comprese tutto. «Ne hai già parlato con nostro padre. Avete deciso di far fronte comune, vero?» Serrò i pugni. «Dovrei farti a pezzi! Come osate giocare con la mia vita?» Charlie strinse le labbra. «No, Robert. Hai fatto da solo. Sebbene sia d'accordo che la ragazza abbia architettato tutto, tu dovresti comunque chiederla in moglie per salvaguardare il nome della famiglia.» «Non ti importa d'altro, vero?» «È il mio dovere.» Un tempo erano stati amici. Adesso erano peggio che estranei. Perché Charlie disapprovava tutto quello che Robert faceva. Fissò il fratello maggiore. Maggiore di cinque minuti. 20
Trecento secondi che avevano dato tutto a Charlie e lasciato a Robert solo una misera rendita mensile, per gentile concessione del padre. E, quando aveva pensato di cercare di risanare il loro rapporto logoratosi con il tempo, era caduto nella trappola più temuta: il matrimonio. La rabbia gli contorse le budella, gli invase le vene avvelenandogli il sangue, gli annebbiò la vista. «No, non lo farò. Né per nostro padre né per te. La ragazza dovrà affrontare le conseguenze delle proprie azioni.» «Non essere sciocco. Lullington non te lo perdonerà mai. Non potrai mai più farti vedere in città.» «Sono un Mountford. Con il sostegno di nostro padre...» Charlie scrollò la testa. «È furibondo.» Diavolo! Escluso dalla società a vita? Si sentì sempre più nauseato. «Presto o tardi si calmerà. Nostra madre lo farà ragionare.» «Non demordi mai, vero, Robin?» Charlie aggrottò la fronte. «Ma non ti permetterò di turbare nostra madre. Parlerò io con nostro padre e, in un modo o nell'altro, cercherò di convincerlo. Tutto questo ci costerà un bel po' di denaro, quindi in cambio tu mi devi promettere di ravvederti.» Da rovente, il sangue di Robert parve farsi ghiacciato. Avrebbe voluto cancellare l'espressione di disapprovazione del fratello a suon di schiaffi. «E da quando tu sei un santo?» gli chiese. «Non lo sono.» Lo fissò quasi con tristezza. «Potresti prestarmi qualche spicciolo fino alla fine del mese? Ho dei debiti da saldare.» Almeno uno dei quali era stato contratto con Lullington, pensò con fastidio. 21
Per non parlare della spilla di diamanti che si era riproposto di regalare a Maggie. «Accidenti, Robert!» sbuffò Charlie alzandosi e avvicinandosi al secrétaire nell'angolo. Lo aprì e ne estrasse un sacchettino di cuoio. «Cinquanta ghinee. Se non ti bastano posso darti una tratta bancaria fino a mille sterline. Ma non di più.» «Mille?» Robert emise un fischio. «Sei un vero nababbo.» «Semplicemente non ho tempo di spendere il mio denaro.» Aveva l'aria stanca, preoccupata. Robert non invidiava la sua posizione di erede nemmeno un po'. Visto che i suoi problemi erano temporaneamente risolti, Robert sorrise. «Hai bisogno di una vacanza da tutto questo» commentò indicando lo scrittoio ingombro di carte. «Vuoi che ci scambiamo di nuovo i ruoli?» «Non pensarci nemmeno!» tuonò una voce alle loro spalle. «Né gli darai del denaro!» Il duca. Robert girò il capo di scatto. Il gentiluomo dai capelli castani striati di grigio si stagliava sulla porta, vestito come sempre in modo impeccabile. Impettito per la rabbia e l'orgoglio, Alfred, Sua Grazia il Duca di Stantford, fissava Charlie con espressione inflessibile. «Robert ha disonorato il nostro nome. Non è più il benvenuto in questa casa.» Robert sentì il sangue defluire prima dal viso, poi da tutto il corpo. Mentre quelle parole gli riecheggiavano nella testa, faticò perfino a respirare. Per quanto lui e suo padre non andassero sempre d'amore e d'accordo, non si sarebbe mai aspettato misure tanto drastiche. 22
Charlie sbarrò gli occhi per lo stupore. «Padre, non è interamente colpa di Robert.» Non era certo una difesa a spada tratta, ma da Charlie non ci si poteva aspettare di meglio. «Quella donna...» «Basta!» lo zittì il duca. «Ho udito tutto. Non ti accontenti di essere il parassita di questa famiglia, un dissoluto e un libertino. Non ti basta aver trascinato il nostro nome nel fango. Adesso vuoi anche il titolo di tuo fratello.» A Robert parve di avere la bocca piena di cenere. «No, Vostra Grazia» tentò di chiarire. «Stavo scherzando.» Stantford scoprì i denti per la rabbia, ma al di là di quello scoppio d'ira sembrava invecchiato di quarant'anni in un secondo. Nei suoi occhi Robert scorse la paura. «Credi che non sappia quale sia il tuo piano?» lo aggredì il vecchio. «Visto che sei identico a tuo fratello? Ho sempre saputo che non ci avresti portato altro che guai. Già una volta sei quasi riuscito a farlo restare ucciso, non ti permetterò di provarci di nuovo.» La nausea era sempre più intensa. La stanza aveva preso a girare vorticosamente attorno a Robert e un dolore sordo gli squassava il cuore. «Non farei mai del male a mio fratello.» «Padre» intervenne Charlie. «Fui io a volermi arruolare nell'esercito. E fui io a chiedere a Robert di prendere il mio posto.» «Scommetto che faticasti molto a convincerlo!» esclamò il duca, sprezzante. «No» ammise Robert. «Pensavo che fosse solo uno scherzo. Come avrei potuto prevedere che Waterloo si sarebbe rivelata una carneficina? Napoleone era ormai un generale sconfitto.» 23
Era quello che tutti avevano pensato e Charlie, ansioso di arruolarsi fin da bambino, l'aveva ritenuta l'occasione perfetta per realizzare il proprio sogno, nonostante il divieto paterno. Così, nelle settimane precedenti la battaglia, Robert si era divertito un mondo a impersonare il fratello, cercando di evitare di incontrare i parenti più stretti, che senza dubbio l'avrebbero riconosciuto. Poi, un giorno, aveva provato un intenso dolore fisico. Il dolore di Charlie. E allora aveva capito che era accaduto qualcosa. Quando la famiglia aveva ricevuto la notizia della morte in battaglia di Robert Mountford, l'erede del casato era quasi impazzito. Aveva insistito per recarsi sul campo e, dopo molte ricerche, aveva trovato Charlie che, derubato degli abiti e dei documenti, delirava per la febbre. Solo allora la verità era venuta a galla e da quel momento il duca aveva di fatto evitato il secondogenito. «Tu non sei mio figlio» dichiarò a quel punto. Charlie lo fissò incredulo. «No» si oppose. «State esagerando. Non vi permetterò di arrivare a tanto. Robert sposerà quella ragazza. Vero?» Colto alla sprovvista, Robert fu tentato di dire di sì. Poi raddrizzò la schiena in un moto fiero. Non si sarebbe lasciato ricattare da nessuno, né da suo padre né tanto meno da Miss Penelope Frisken. «No. Non ho sedotto quella donna e non me ne assumerò la colpa.» «Idiota!» sibilò Charlie. «Voglio questa canaglia fuori da casa mia» ordinò il duca. «Non tollererò che il nome dei Mountford venga infangato oltre da quel depravato. Non mi lascerò succhiare altro sangue.» 24
Era dunque così che lo vedeva suo padre, come una specie di sanguisuga? In effetti, senza la rendita mensile Robert non sarebbe stato in grado di saldare i numerosi debiti in cui era incorso, quelli di gioco oltre a quelli contratti con diversi commercianti. E bisognava ammettere che quel mese aveva speso più di quanto prevedeva di intascare. «Non potete diseredarmi.» «Aspetta e vedrai!» fu la minaccia. Un orrendo sospetto gli si insinuò nella mente. Possibile che facesse tutto parte di un diabolico piano ordito da Lullington? Di certo era abbastanza astuto e perverso da escogitarlo. Quello spiegava come la notizia fosse potuta arrivare dal club al duca così rapidamente, presentandogli l'occasione perfetta di liberarsi di uno sgradito fardello. Per quanto Robert avesse sempre avuto la tendenza a sorridere di questioni che gli altri prendevano sul serio, quando Charles era quasi morto a Waterloo perfino lui aveva ammesso di essersi spinto troppo oltre. Ma non si sarebbe mai aspettato che la vicenda potesse avere un epilogo così drammatico. Inoltre non intendeva implorare perdono per una colpa di cui non si era neppure macchiato. Inghiottì la bile e si raddrizzò, quindi fissò il padre con aria impassibile. «Come volete, Vostra Grazia. Non mi vedrete mai più, ma prima vorrei trascorrere qualche minuto da solo con Lord Tonbridge.» Il duca non lo degnò nemmeno di uno sguardo e si rivolse direttamente a Charlie. «Non dargli del denaro. Non dargli nulla, Tonbridge. Dovrà lasciare questa casa 25
entro cinque minuti, o lo farò fustigare.» Girò sui tacchi e uscì, chiudendosi la porta alle spalle. Charlie rivolse al fratello uno sguardo angustiato. «Gli parlerò io. Non avevo idea che ti portasse tanto rancore.» Robert tentò di sorridere. «Se cercherai di difendermi non farai che peggiorare le cose. È già convinto che io eserciti una certa influenza su di te, dunque crederà che stia cercando di manovrarti. Non ti preoccupare. Me la caverò.» «Come?» «Trovando un impiego.» A quell'uscita, Charlie rise amaramente. «E in quale vece? Troverai qualche donna disposta a remunerare i tuoi servigi a letto?» Robert strinse i pugni, ma si costrinse a sorridere. «È sempre un'idea. Sai anche suggerirmi a chi rivolgermi? Forse alla tua fidanzata?» Charlie impallidì. «Oh, diamine, Robert, stavo scherzando!» «Non era divertente.» No, perché la battuta si era avvicinata troppo alla verità. Robert si era sempre vantato delle sue doti amatorie. Per qualche istante tenne lo sguardo abbassato sul tappeto, poi lo risollevò di scatto sul viso del fratello. «Non penserai che stia tramando per portarti via il titolo?» «Certo che no. Ma è vero che non sarei mai dovuto andare in guerra chiedendoti di sostituirti a me.» «È meglio che vada.» Raddrizzò le spalle. Charlie gli porse il sacchettino con le ghinee. «Prendi. Ti servirà.» Robert si irrigidì in un moto di orgoglio. «No. Ce la 26
farò senza l'aiuto di chicchessia. Quando i creditori si presenteranno qui a riscuotere, informali che verranno pagati a tempo debito.» Charlie gli sorrise con fare scettico. «Manteniamoci in contatto. Ti farò sapere quando potrai tornare. Pagherò io la ragazza. Le troverò un marito.» Nell'udire quelle rassicurazioni, Robert si rese conto della triste verità. «Nulla di ciò che farai metterà a tacere Lullington e i suoi compari. Nostro padre ha ragione. Sono spacciato. Soltanto andandomene potrò preservare l'onore della famiglia.» Gli si formò un groppo in gola, che gli rese la voce odiosamente rauca. «Riguardati, fratello mio. E prenditi cura di nostra madre e dei bambini.» Un lampo di panico balenò sul volto di Charlie. «Non voglio che te ne vada!» Robert lo fissò confuso, perché tra i due il primogenito era sempre stato quello più sicuro di sé. Ma certo, si convinse poi. Il suo appello era in verità stato una frase di circostanza, una specie di saluto. Così gli sorrise. «Meglio che vada prima che arrivi uno stalliere con lo scudiscio.» Il solo pensiero gli mise i brividi. Charlie fu turbato dalla battuta. «Nostro padre non lo farebbe mai. È adirato, ma sono sicuro che dopo averci riflettuto cambierà idea.» Entrambi conoscevano il vecchio abbastanza bene da sapere che non era incline ai ripensamenti. Robert diede al fratello una pacca sulla spalla. Il groppo che aveva in gola si ingigantì. Deglutì rumorosamente. «Charlie, cerca di divertirti un po' di più. Non vorrai finire come nostro padre.» 27
Lui lo fissò senza reagire. Robert sospirò. Se non altro ci aveva provato. «Quando mi sarò sistemato ti manderò un messaggio» promise, sentendosi il petto pesante e gli occhi pateticamente annebbiati di lacrime. Uscì dalla porta e corse giù dalle scale prima di mettersi a frignare come un poppante. In strada si girò a guardare la casa le cui porte gli erano ormai sbarrate per sempre. Suo padre si era sempre comportato come se avesse desiderato che lui non fosse mai nato: adesso aveva trovato il modo di realizzare quel desiderio. Si allontanò, mettendo un piede davanti all'altro ma senza vedere davvero dove stesse andando. Ogni respiro gli bruciava nei polmoni come fuoco. Gli sembrava di essere tornato bambino e di essere stato per l'ennesima volta messo da parte in favore del fratello. Ma non era più un bambino. Era un uomo fatto, che però non possedeva altro che gli abiti che indossava. Senza una rendita fissa non poteva neanche più pagarsi l'alloggio. Per anni aveva dato per scontata la propria posizione in società, dunque non aveva mai risparmiato né investito il proprio denaro. Si era semplicemente goduto la vita. Adesso la cicala si ritrovava a invidiare la formica. Come diavolo se la sarebbe cavata? Come avrebbe pagato i debiti? Gli attraversò la mente l'idea di chiedere aiuto a Maggie, poi la scartò. Non si sarebbe ridotto a fare il mantenuto. Il pensiero di vendersi a una donna lo disgustava. In tal caso tanto sarebbe valso sposare Penelope. E forse l'avrebbe fatto, se non fosse stato per il ricordo dell'orro28
re comparso sul volto della giovane nel rendersi conto che lui non era Charlie, che aveva accalappiato il fratello sbagliato. Se fosse diventato un libertino a pagamento, suo padre l'avrebbe addirittura fatto cancellare dall'albero genealogico. Sarebbe stato come morire, anzi, peggio: come non essere mai esistito. Quel pensiero lo riempì di disperazione. Si aggrappò a una cancellata per non crollare a terra e vi si tenne come a una scialuppa nel mezzo di una tempesta. Il freddo metallo delle sbarre gli affondò nel palmo. Battendo le palpebre, si fissò la mano nuda. Dove aveva lasciato i guanti? I guanti? Cosa gli importava dei guanti in un momento come quello? Scoppiò a ridere, gettando il capo indietro e lasciandosi finalmente scorrere lungo le guance lacrime liberatorie. Nel vederlo, un anziano gentiluomo si allontanò e attraversò precipitosamente la strada. L'ilarità cessò subito e la disperazione si rimpadronì di lui. Non si era mai sentito tanto solo in vita sua. Dannazione, non si sarebbe lasciato abbattere senza lottare! Non aveva bisogno della protezione del casato per avere successo nella vita.
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L'angelo del peccato ANN LETHBRIDGE INGHILTERRA, 1816 - 1819 - Dopo uno scandalo che ha sconvolto la sua vita, Lord Robert Mountford si è ritirato nella tenuta di Wynchwood, dove finge di essere il guardiacaccia. Poi incontra Frederica Bracewell, e quella giovane così diversa dalle raffinate fanciulle del ton sembra avere su di lui l'effetto di un sortilegio: fissando il suo viso d'angelo, a Robert è venuta voglia di posare le labbra sulla morbida bocca imbronciata e di sciogliere i suoi capelli per farne l'unico vestito con cui coprire quel corpo voluttuoso. I giorni passano, ma pensieri erotici continuano a turbarlo e così, quando si rivedono...
Innocenza perduta LOUISE ALLEN INGHILTERRA, 1809 - Scampata al naufragio della nave su cui era imbarcata, Averil Heydon si ritrova in una situazione compromettente. Oltre a essere bloccata su un'isola sperduta con un gruppo di uomini, è il loro tenebroso capitano, Luke, a prendersi cura di lei. E il bizzarro rapporto fatto di desiderio e senso del dovere che si instaura tra loro li trascina a poco a poco in una rovente spirale di passione. Ma, nonostante il fascino magnetico che quell'uomo dalla voce sensuale e dal fisico scultoreo esercita su di lei, Averil sa di dover resistere alle erotiche sensazioni che Luke le scatena dentro. Anche se...
Fuoco di passione ANN LETHBRIDGE INGHILTERRA, 1820 - Per far fronte alle proprie responsabilità, Charles Mountford, Marchese di Tonbridge e futuro erede di un ducato, è rassegnato all'idea di sposare una donna nobile e bene educata per garantire continuità al titolo. Poi incontra Merry, una fanciulla dotata di un fascino conturbante, che gli ispira pensieri tutt'altro che casti e gli fa dimenticare ogni dovere. Il suo sguardo gli promette delizie indicibili, suscitando in lui il desiderio di spogliare quel corpo che sembra provocarlo a ogni movimento, e di mettere in pratica le più ardite tecniche di seduzione. Al punto che...
Notti bollenti LOUISE ALLEN INGHILTERRA, 1809 - Spinta dalle difficoltà economiche in cui naviga la famiglia, Sophia Langley accetta la proposta di matrimonio di Callum Chatterton, gemello del suo fidanzato scomparso in un naufragio. E quando scopre di provare una bollente attrazione per quel giovane cupo e solitario che sembra vedere in lei solo la madre dei suoi futuri figli, decide di dare una svolta alla loro vita, divisa tra noiosi doveri quotidiani e notti di incredibile passione. Ma come fare, dopo tanti silenzi, a tradurre in parole i sentimenti che hanno iniziato a provare l'uno per l'altra? Dal 6 dicembre
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