ALESSANDRA TORRE
PECCATO D'INNOCENZA traduzione di Alessandra De Angelis
ISBN 978-88-6183-479-8 Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Blindfolded Innocence HQN Books © 2012 Alessandra Torre Traduzione di Alessandra De Angelis Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione HM agosto 2014
Peccato d'innocenza
Prologo
Ero bendata e inginocchiata sul pavimento. Concentrata, tendevo l'orecchio in attesa di un segnale, un suono, un rumore qualsiasi, un fruscio... insomma qualcosa che mi indicasse cosa stesse per succedere, però riuscivo solo a udire il ronzio sommesso del condizionatore dell'albergo. Passò qualche secondo, poi un minuto. Infine udii la porta aprirsi e richiudersi con uno scatto quasi impercettibile, e dei passi alle mie spalle, attutiti dalla moquette. Non sentii ma percepii una presenza maschile che mi passava accanto e si fermava davanti a me. Era vicino, vicinissimo... Per reazione istintiva mi tirai leggermente indietro con il busto, come per allontanarmi da quella presenza muta. Nella stanza completamente immersa nel silenzio udii il lieve rumore di una cerniera che veniva abbassata.
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Quattro mesi prima Decisi di rompere il fidanzamento un mercoledì notte, per la precisione alle due e venti. Ero così ubriaca che non ero in grado di camminare in linea retta, ma ancora non tanto da farfugliare, perciò ne approfittai prima di essere in condizioni tali da non riuscire ad articolare una frase di senso compiuto e biascicare qualche concetto fumoso e contorto, perché il mio eloquio era annegato nell'alcol, come la mia lucidità. Mi rendevo perfettamente conto che l'ubriachezza non era la condizione mentale ideale per prendere una decisione così importante, che avrebbe mutato il corso della mia vita. Tuttavia avevo l'impressione che mi fosse stato strappato di colpo davanti agli occhi un velo che mi offuscava la vista, e che ora potessi finalmente vedere la verità che cercavo di ignorare da mesi. Era come se adesso una figura sgradevole ma ineludibile fosse al centro esatto del mio palcoscenico mentale e si fosse messa a gridare agitando le braccia, per avvertirmi che stavo commettendo un errore madornale. Ma io lo sapevo già, per quanto avessi cercato di nascondere la testa sotto la sabbia. Luke non era quello giusto per me. No, decisamente non era lui l'uomo della mia vita. L'avevo conosciuto quando frequentavo il secondo anno di università. A quell'epoca ero molto vulnerabile dal 8
punto di vista emotivo, perché ero stata lasciata da poco da colui che avevo considerato come il mio primo vero amore. Il bastardo mi aveva mollata due settimane dopo aver carpito la mia verginità. Non c'erano sufficienti termini dispregiativi per definire quel farabutto che mi aveva deflorata senza il minimo riguardo, per poi fuggire con una viziatissima e saputella diciassettenne californiana che sembrava il ritratto sputato di Barbie: bionda, snella, abbronzata, con il gloss fucsia in tinta con lo smalto. Luke invece era un tipo ombroso e taciturno, introverso e sensibile. Aveva l'aria di essere assolutamente terrorizzato da me, che ero il suo esatto opposto, perché ero carina ed effervescente, estroversa e dinamica, ma soprattutto decisa a superare la delusione d'amore come si faceva all'università, cioè dandomi alla pazza gioia e conducendo una vita sregolata per dimenticare il mio primo amore tra feste, flirt e sbronze colossali. Appena Luke era entrato nel mio campo visivo, l'avevo puntato e gli avevo dato la caccia come una leonessa agguerrita che vuole mettere le zampe su un indifeso cucciolo di antilope, pregustando già di divorare quel bocconcino tenero e succulento. L'obiettivo prioritario della mia esistenza era perciò diventato quello di farlo innamorare di me. Non mi bastava piacergli, oh, no! Non desideravo un'avventura. Pretendevo che perdesse la testa, cosa che aveva fatto puntualmente. Volevo che fosse pazzo di me, perché avevo bisogno di gratificare il mio ego dopo aver preso una solenne bastonata, e di avere conferme del mio fascino e del mio potere di seduzione. Infatti l'avevo conquistato senza troppa fatica; Luke mi aveva messo su un piedistallo e il suo compito era diventato quello di donarmi a piene mani la sua adorazione incondizionata. Avevo fatto dei programmi precisi e stabilito le tappe della nostra storia d'amore come tacche sul muro con cui 9
si misura la crescita di un figlio. Gli avevo fatto il lavaggio del cervello per indurlo a chiedermi di sposarlo entro la boa dei sei mesi dopo esserci conosciuti, e lui aveva ubbidito accontentandomi volentieri... o almeno pensavo che così fosse. Perciò avevamo cominciato a fare i preparativi per le nozze e i programmi per la nostra futura vita insieme. I miei progetti si stavano avviando magnificamente verso una fase esecutiva e tutto sarebbe andato a gonfie vele se non fosse stato per un piccolo inconveniente che ne rallentava la concretizzazione. Purtroppo, infatti, Luke era un sognatore che si poneva obiettivi molto ambiziosi, ma era dotato di scarsissimo senso pratico e poche capacità di realizzazione. Insomma, faceva degli stupendi castelli in aria ma non concludeva niente. Gli piaceva stare con me e trascorrevamo molto tempo insieme, ma faceva ben poco d'altro. Lavorava nel campo dell'edilizia; all'inizio avevo creduto che fosse un costruttore e che avesse un'impresa, per quanto piccola, ma poi avevo scoperto che in realtà era un operaio. La mia personalità frizzante ed esuberante si era lentamente trasformata e della maliarda che l'aveva sedotto e conquistato prendendolo inesorabilmente al laccio con il suo fascino irresistibile era rimasto ben poco. La fidanzata si era tramutata in una madre surrogata; avevo assunto pian piano un ruolo di genitrice petulante, ossessiva e piena di pretese e consigli. Non era passato molto tempo prima che il mio inconscio avesse cominciato a mandarmi dei segnali, pungolandomi con piccole lance acuminate. Per un anno intero avevo ignorato quelle punzecchiature fastidiose e insistenti, finché il mio inconscio non si era stancato di avvertirmi senza alcun risultato e aveva deciso di dare una netta sferzata a una situazione stagnante. Be', ho notato che è proprio strano quello che passa per la testa durante una rottura sentimentale... 10
Ricordo che, in quella precisa occasione, ero seduta sul mio letto, con Luke accanto a me, e mi guardavo intorno perplessa, chiedendomi perché non avessi mai acquistato una sedia o una poltroncina da mettere in camera. Assurdamente, avevo uno scrittoio e un comodino, ma nulla su cui sedersi. Avere una sedia avrebbe reso meno imbarazzante la situazione. Forse mi illudevo semplicemente che sarebbe stato più facile lasciarlo se non fossi stata seduta sul letto al suo fianco. Averlo accanto era troppo intimo; sarei stata troppo vicina al suo dolore dopo avergli dato la brutta notizia e sapevo già che avrei dovuto farmi forza per dominare l'impulso di consolarlo. Avrei dovuto faticare per impedirmi di stendere la mano verso la sua spalla e dargli dei colpetti rassicuranti o una carezza, forse addirittura abbracciarlo per offrirgli almeno il mio conforto, visto che non avevo più intenzione di condividere con lui la mia vita e, di certo, non gli avevo mai donato il mio cuore, per quanto lui si fosse illuso del contrario. Perciò mi alzai, barcollando leggermente su gambe rese malferme dai sensi di colpa e dall'insicurezza, e mi voltai verso di lui, feci un respiro profondo poi gli feci l'annuncio. Suppongo che l'enfatico preambolo che mi ero preparata per dargli la brutta notizia che avevo intenzione di lasciarlo fosse intralciato dal fatto che eravamo entrambi ubriachi persi, e questo rovinò l'effetto che mi ero prefissata di ottenere con il mio discorsetto. Tuttavia mi sforzai al massimo per dimostrarmi sensibile e ragionevole, coerente, obiettiva e comprensiva, ma assolutamente ferma nel mio proposito. Non credo proprio che raggiunsi in pieno il mio obiettivo. Scoprii poi che Luke aveva un'insospettata inclinazione nascosta per la persecuzione. Non avrei mai immagi11
nato che in lui si celasse uno stalker sotto mentite spoglie. Malgrado tutti i continui solleciti e l'insistenza con cui ero costretta a ricordargli continuamente le sue incombenze, dalla più banale alla più importante, dal cambiarsi i calzini ad andare in banca, dal fare il bagno a compilare accuratamente le matrici degli assegni, fino addirittura a doverlo pungolare affinché si presentasse al lavoro, scoprii che non aveva bisogno di alcun incoraggiamento per perseguitarmi nella speranza di convincermi a tornare sulla mia decisione e rimettermi insieme a lui. Da quando lo lasciai passò ogni istante delle sue giornate e delle sue notti, tranne le poche ore in cui dormiva, a cercare di farmi cambiare idea. Con il senno di poi, forse avrei dovuto sforzarmi meno nella prima fase della nostra conoscenza per farlo innamorare di me, perché evidentemente avevo ottenuto un risultato esagerato, sproporzionato rispetto al mio interesse, e ora non riuscivo più a staccarmelo di dosso. Dopo due settimane in cui cercavo di non tornare a casa sempre allo stesso orario, oltre a evitare tutti i posti che frequentavo abitualmente, dai bar ai locali, dalla palestra ai negozi e al supermercato rionale, decisi di lasciare il mio pulcioso appartamento e il mio schifosissimo impiego per voltare pagina e ricominciare tutto daccapo. In fondo, a ben pensarci, quel momento arrivò con una tempistica perfetta, perché era il periodo in cui venivano assunti i praticanti negli studi legali. Stava iniziando un altro genere di stagione di caccia.
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