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Il Sole 24 Ore Domenica 6 Settembre 2020
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A Firenze Torna «Artigianato e Palazzo», quattro giorni ai Giardini Corsini per scoprire i mestieri d’arte Si svolgerà dal 17 al 20 settembre la ventiseiesima edizione della manifestazione dedicata al fatto a mano e alla creatività, quest’anno in memoria della fondatrice Giorgiana Corsini, scomparsa il 1° agosto
Nel verde. I Giardini Corsini sono una delle attrazioni di Firenze. Restati chiusi causa Covid, riaprono ora in grande stile con la kermesse dedicata al savoir faire artigianale
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ensare fuori dagli schemi, unire le forze, creare innovazione, trasmettere energia. È questa la formula magica di Eindhoven, capitale olandese del design e della tecnologia capace di rialzarsi regolarmente dalle crisi più nere grazie alla sua inventiva e tenacia. Non è un caso che questo piccolo centro (230mila abitanti) del Sud dell'Olanda abbia attratto fior di talenti, anche italiani, da Massimiliano Fuksas a Stefano Boeri, da Gio Ponti ad Alessandro Mendini e Andrea Branzi. Le fortune di Eindhoven hanno un nome, anzi un cognome. È il 1891 quando in quello che è poco più che un paesino Gerard Philips e suo padre Frederik inaugurano una fabbrica di lampadine che andrà lontano. Cresciuta e prosperata prima con le valvole poi con le radio e i primi rasoi elettrici, l'azienda sopravvive ai bombardamenti della seconda guerra mondiale. In quegli anni uno dei Philips, Frits, salva 382 ebrei dai nazisti dichiarandoli indispensabili per la produzione, proprio come Oskar Schindler. Nel dopoguerra l'azienda pone le basi per diventare, dagli anni Sessanta, l'Apple dell'epoca: Philips inventa la musicassetta (1963), il radioregistratore portatile (1966), la videocassetta (1972) e il compact disc (nel 1982 con Sony). Negli anni Settanta è una delle più grandi multinazionali mondiali, con oltre 400mila dipendenti e un enorme indotto di fornitori a partire da Daf, costruttore di auto e camion. Eindhoven intanto cresce nel grembo materno di Philips. L'azienda si occupa a tutto tondo dei suoi dipendenti, costruendo loro alloggi, scuole, ospedali e impianti sportivi. La città cambia volto, trascinata dalle fortune del colosso dell'elettronica e dalla sua grande scuola di industrial design. Ma il vento cambia bruscamente verso la fine degli anni Ottanta. La concorrenza asiatica mette in ginocchio Philips, che chiude il bilancio 1990 con una perdita monstre di due miliardi di dollari. In ottobre il nuovo ceo Jan Timmer fa scattare l'Operation Centurion: 50mila licenziamenti. Pochi anni dopo, Daf fallisce. Un disastro. «Nel 1994 un terzo dei lavoratori si ritrova disoccupato» ricorda Peter Kentie, manager director di “Eindhoven365”, agenzia di marketing della città. La capitale dell'elettronica viene rasa al suolo da una crisi senza precedenti. Come uscirne? «Ci buttammo su quello che sapevamo fare meglio, design e tecnologia - spiega ancora Kentie - ma con la consapevolezza che bisognava reinventare tutto». È in quegli anni che nasce la “tripla eli-
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idee da nord libri
Niksen, l’arte olandese del dolce far niente
La magica Eindhoven: design, talenti e tante start up ca”, la sinergia a tutto tondo tra imprese, governo locale e università per rilanciare la città. A crescere, in particolare, è Asml, spinoff di Philips che oggi è leader mondiale delle macchine litografiche per stampare processori: ha l'80% del mercato e clienti del calibro di Samsung, Intel, Amd. A Wall Street vale 160 miliardi di dollari, dieci volte il gruppo Fiat-Chrylsler. Philips a sua volta torna a macinare utili rilanciandosi nelle tecnologie mediche, mentre i camion Daf rinascono sotto la proprietà della statunitense Paccar. Nel 2018 oltre la metà dei 7.140 brevetti olandesi prende vita nella regione di Eindhoven, che da sola si ritrova a tallonare i 4.399 brevetti dell'intera Italia. Passeggiare a Eindhoven significa respirare l'energia di un'Olanda lontana anni luce dal cliché dei tulipani e dei mulini a vento. Il cuore futurista della città è stato plasmato dalla matita di Massimiliano Fuksas, che nel 1998 vinse il concorso per quattro progetti combinati: “18 Septemberplein”, piazza di 7mila metri quadrati con un parcheggio interrato di 2.300 metri quadrati per 1.700 biciclette; il “Piazza Shopping Mall”, ipermercato di 20mila metri quadrati; il “Media Market” e l'“Admirant Entrance Building”. Quest'ultimo è diventato un punto di riferimento della città: è una nuvola spaziale di vetro e acciaio alta 25 metri, che si erge accanto alla torre “Lichttoren” della Philips e la collega con il centro commerciale “De Admirant”. Gli olandesi la chiamano “Il Blob”. Poi c'è Stefano Boeri con la sua “Trudo Vertical Forest” in costruzione, Bosco Verticale come quello di Milano ma destinato al social housing: un grattacielo alto 75 metri con 125 alberi e 5.200 tra arbusti e piante sulle facciate. Diciannove piani di appartamenti con affitti calmierati, ciascuno con spazi inferiori ai 50 metri quadrati, 4 metri quadrati di terrazzo, un albero e 20 cespugli. Ma soprattutto un vero e proprio ecosistema con oltre 70 specie vegetali differenti, in grado di assorbire più di 50 tonnellate di CO2 l'anno combattendo inquinamento e climate change. Infaticabile organizzatrice della Dutch Design Week (in ottobre) e della Technology Week (in maggio-giugno), centro universitario di eccellenza con due atenei e la Dutch Design Academy, fucina di startup grazie al suo enorme campus hi-tech, nel 2010 l'ambiziosa Eindhoven si è lanciata in una delle sue sfide impossibili: entrare in dieci anni nella top ten mondiale delle città che attraggono più talenti. Modello Silicon Valley, nientemeno. Ce l'ha fatta in appena sette anni, arrivando ottava nel ranking 2017 dell'Insead, subito prima di Los Angeles. E nello scalare le classifiche, possiamo giurarci, si è divertita da matti.
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Mitchell Van Eijk
Città rinate. Ascesa e caduta legate alla Philips, poi la svolta hi tech che la porta all’ottavo posto nel mondo per attrattività
Enrico Marro
.food — SAB AT O
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Piazza centrale. Il futuristico “Blob” realizzato da Massimiliano Fuksas, una nuvola spaziale di vetro e acciaio alta 25 metri che si erge accanto alla torre “Lichttoren” della Philips e la collega con il centro commerciale “De Admirant”. Trudo Vertical Forest
Diverso e arrivato in Italia più di recente rispetto al danese hygge e allo svedese lagom (si vedano gli articoli in pagina), il niksen viene dall’Olanda. La parola non ha un corrispettivo in italiano, ma l’idea quasi certamente sì: si potrebbe tradurre con “la piacevole arte del non far niente”. Nel nostro Paese mancano ancora i manuali, già disponibili da anni in inglese. Con un qualche tipo di niksen ci siamo però tutti confrontati durante i mesi del lockdown, specie all’inizio, quando non eravamo ancora abituati a usare il digitale per sostituire ogni – o quasi – attività lavorativa o sociale. Il niksen fa parte della cultura e della lingua olandese da ben prima della pandemia e, crediamo, ha già molti adepti in Italia. Non si tratta di pigrizia, ignavia o mera inazione; assomiCover. Chi meglio dei glia più all’otium latino, quella condizione gatti può insegnarci che ci permette di sganciarci da ogni obcosa significa riposo? bligo o vincolo quotidiano o comunque pratico per porci in uno stato di “riposante ascolto” di noi stessi, delle voci degli altri, potremmo dire delle voci del mondo. Il niksen serve a eliminare il rumore di fondo, al quale spesso diamo un contributo. © RIPRODUZIONE RISERVATA
dentro e fuori casa
La Danimarca e il piacere delle piccole cose
Philips Company Archives
Energia verde. Qui sopra un rendering della “Trudo Vertical Forest” di Stefano Boeri, un Bosco Verticale come quello di Milano ma destinato al social housing. Sotto a destra una pubblicità del 1946 dei rasoi elettrici Philips, il colosso che ha segnato a lungo il destino della città. Maurice Meijs
Difficile da spiegare e ancor più da pronunciare, il termine danese hygge (che si pronuncia hugga) è diventato ida qualche popolare in tutto il mondo e anche in Italia si possono trovare manuali di ogni genere. Letteralmente si traduce con calore, intimità ed è associato alle case, ai luoghi del cuore o familiari, ma racchiude molto altro. Un po’ come la Gemuetlichkeit tedesca, che si prova quando luoghi o persone o pensieri ci fanno sentire piacevolmente a nostro agio, in una inaspettata comfort zone, come si dice oggi, travisando, per altro, un’espressione inglese che ha in sé qualcosa di negativo. Il termine hygge deriva dal norvegese antico, dove aveva un significato vicino a benessere. Apparso per la prima volta in un testo in danese intorno alla fine del diciottesiHygge. La parola mo secolo, da quel momento è entrato a far danese per indicare ciò parte della lingua. Il termine hygge si può che ci fa sentire bene applicare a qualsiasi cosa e i danesi lo utilizzano per tutti gli aspetti della vita quotidiana: sono hygge gli addobbi casalinghi della stagione natalizia, è hygge starsene seduti tra amici e familiari chiacchierando delle piccole e grandi cose della vita. Vale anche in Italia, solo che non abbiamo una parola per dirlo. © RIPRODUZIONE RISERVATA
finlandia
La scelta inconfessabile del Kalsarikännit
Intervista a Cees Donkers
losso dell'elettronica e oggi completamente recuperata, in cui tra l'altro è in costruzione la Trudo Vertical Forest di Stefano Boeri». A questo grande laboratorio nato dal basso, che fu fondamentale per la rinascita della città, parteciparono anche designer internazionali come Alessandro Mendini, Andrea Branzi e Peter Einsenman, chiamati a confrontarsi con i cittadini e a ispirarli. «Nel 2003 la collaborazione tra Comune, Università, Design Academy e altre istituzioni è decollata definitivamente con il progetto E+. Oggi lo sviluppo urbanistico di Eindhoven è diventato esso stesso oggetto di ricerca - sorride Cees - e io mi diverto a portare nell'Est Europa, in particolare in Russia, la mia esperienza di “social designer” per il recupero di aree industriali dismesse». —En. Ma.
Una parola quasi impronunciabile e soprattutto un’idea che va, nel caso, imitata con la massima cautela. In Finlandia sembrano essere più concreti di danesi, svedesi e norvegesi (si vedano gli articoli qui sopra): la parola intraducibile è kalsarikännit, che significa stare in casa, indossando possibilmente un abbigliamento comodo, da soli, seduti sul divano, sorseggiando una bevanda alcolica, birra, cocktail homemade o vino poco importa. Non sappiamo se il lockdown nei Paesi nordici, che mediamente è stato più breve e meno punitivo di quello italiano, abbia reso superfluo il termine kalsarikännit. Certo è che i finlandesi, come norvegesi e islandesi, sono costretti, per evidenti ragioni geografiche, a passare molto più tempo in casa di noi. Ed ecco altre parole intraducibili Iconica. L’aurora che si spiegano (anche) per il clima che coboreale della Finlandia stringe a non uscire: in norvegese palegg significa “tutto ciò che si può mettere su una fetta di pane”. Ancora più curioso il finlandese poronkusema, che indica la distanza che una renna può comodamente percorrere prima di fare un pausa, magari unendosi a un kalsarikännit. Queste e altre delizie delle lingue del mondo sono raccolte nel libro Lost in translation di Ella Frances Sanders (Marcos y Marcos). A cura di Giulia Crivelli
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«La fortuna di essere sfortunati»
«I
l segreto nel nostro successo? Abbiamo avuto la fortuna di essere sfortunati». Parola di Cees Donkers, il designer e urbanista che ha contribuito a far risorgere Eindhoven dopo la pesantissima crisi di trent'anni fa, quando un lavoratore su tre finì disoccupato. «C'è bisogno di sfortuna per creare qualcosa di nuovo - spiega Donkers come ha dimostrato prima di noi il caso della tedesca Essen, città della regione della Ruhr colpita al cuore nel 1958 dalla crisi del carbone e dell'acciaio e poi rinata». Qual è stata la formula magica di Eindhoven per risorgere? «Durante la crisi la città iniziò subito a confrontarsi, a discutere in modo acceso e propositivo. Chi aveva perso il lavoro, forte delle sue competenze creative o tecnologiche, creò nuove imprese. Io venni chiamato dal sindaco di allora,
Rein Welschen, per cercare di ridisegnare Eindhoven recuperando le tante fabbriche abbandonate da Philips attraverso un dialogo continuo con i cittadini». «La prima missione era dare una nuova vita alla “White Lady”, storica fabbrica dismessa da Philips nel cuore della città, ma quello fu solo l'inizio continua Donkers - . Eindhoven diventò un grande laboratorio di confronto e di ricerca anche per la valorizzazione della “Strijp-S”, l'area industriale di 27 ettari abbandonata dal coDEsigner e urbanista Cees Donkers ha contribuito a “ricostruire” Eindhoven dopo la crisi di Philips