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T 2 In difesa dei Rodiesi (Pro Rhodiensibus, fr. 163 Malcovati) LAT IT

5 Nicaeaeque ager uber aestuosae; ad claras Asiae volemus urbes.

Iam mens praetrepidans avet vagari, iam laeti studio pedes vigescunt.

O dulces comitum valete coetus, 10 longe quos simul a domo profectos diversae variae viae reportant.

5 e la terra copiosa di frutti dell’ardente Nicèa; voliamo alle città favolose dell’Asia!

Già trepida l’animo e freme nell’ansia di errare, già gli alacri piedi riacquistano gioioso vigore.

Addio, dolce schiera di amici, 10 che insieme partiti dalla patria e venuti lontano cammini diversi riportano indietro divisi.

(trad. di L. Canali)

5. Nicaeaeque... aestuosae: Nicea, posta al centro di una fertile pianura (ager uber), ma gelida durante l’inverno e torrida sotto il rovente sole estivo, era con Nicomedia la città principale della Bitinia. 6. claras... urbes: le città greche d’Oriente, che Catullo dovrà costeggiare per tornare in Italia: Pergamo, Mileto, Efeso, Rodi, Mitilene, splendide e famose (clarae) per le bellezze naturali, i tesori artistici, il leggendario prestigio culturale. – Asiae: è la provincia proconsolare romana di Asia, costituita nel 133 a.C. sulla base dell’antico regno ellenistico di Pergamo, che Attalo III aveva lasciato in eredità alla repubblica romana. 11. diversae variae viae: accumulo espressivo in asindeto di figure di suono (allitterazione e omoteleuto). Diversae vale «divergenti», «separate»; variae invece indica la scelta fra itinerari «differenti», «dissimili», per terra o per mare.

Navi nel porto di Pompei, affresco pompeiano, I secolo d.C. Napoli, Museo Archeologico.

T 19

carme 51

LATINO

LETTURA METRICA

Nota metrica:

sistema saffico minore, composto di tre endecasillabi saffici e un adonio.

Catullo e Saffo: effetti sconvolgenti della passione

Secondo una consolidata tradizione, questa lirica segnerebbe l’inizio, così come il carme 11 [T11] la fine, dell’appassionato amore di Catullo per Lesbia. S’intende che il tentativo di disporre i carmi per Lesbia in un ordine che permetta di seguire le varie fasi di una “storia” d’amore risulta sostanzialmente arbitrario, benché suggestivo; in questo caso, tuttavia, l’impiego dello stesso metro soltanto nel carme 11 (la strofe saffica minore, qui un evidente omaggio al modello greco) può essere interpretato come un valido indizio a conferma, quanto meno, di un collegamento intenzionale fra i due testi. Le prime tre strofe del componimento sono, più che una traduzione, il libero rifacimento di un’ode di Saffo che descrive, enumerandoli in un crescendo drammatico, gli effetti sconvolgenti della passione amorosa [Dialogo con i modelli, p. 316]. Il poeta contempla con stupore e inquietudine un uomo, un altro, guardare e ascoltare a lungo, imperturbabile e sereno come un dio, Lesbia che dolcemente sorride, mentre in lui la medesima visione provoca un incontenibile sconvolgimento di tutti i sensi, fino al calare sugli occhi di una notte tenebrosa, figura della morte. La quarta ed ultima strofa, non attestata nell’originale saffico, contiene invece un ammonimento sentenzioso a se stesso.

Ille mi par esse deo videtur, ille, si fas est, superare divos, qui sedens adversus identidem te spectat et audit

5 dulce ridentem, misero quod omnis eripit sensus mihi: nam simul te,

Lesbia, aspexi, nihil est super mi <postmodo vocis>,

1-5 Ille... ridentem: A me sembra pari a un dio, [anzi], se è lecito, superiore agli dèi, colui che, sedendo di fronte a te, continuamente ti guarda e ti ascolta ridere dolcemente,

mi: forma arcaica per mihi. – par... deo: simile a un dio sembra a Catullo l’uomo, un altro, la cui identità resta imprecisata, per la sua serena imperturbabilità, sottolineata dall’anafora (Ille... ille, vv. 1-2). – si fas est: l’inciso non attenua l’iperbole, ma la enfatizza. Due interpretazioni: «se mai è possibile (essere superiore agli dèi)»; oppure «se è lecito (dirlo)». Fas (contrapposto a nefas), termine del linguaggio giuridico-sacrale romano, indica ciò che è lecito in base alle norme religiose. – adversus: aggettivo in funzione predicativa (sedens adversus), concordato con il pronome relativo soggetto qui, da tradursi con una locuzione avverbiale («di fronte»). – identidem: il medesimo avverbio («continuamente», «senza interruzione», oppure «ripetutamente»), ricorre anche nel carme 11 (v. 19 [T11]), in un contesto assai diverso, quello di un’aspra invettiva contro Lesbia infedele, che si propone come un congedo definitivo. Insieme all’identità del metro, questo richiamo lessicale ha contribuito ad avvalorare la tradizionale interpretazione secondo la quale i due componimenti (51 e 11) segnerebbero rispettivamente l’inizio e la fine della passione di Catullo per Lesbia. – spectat: frequentativo, rafforza il concetto già espresso da identidem (la continuità e la concentrazione dello sguardo); si può rendere pertanto anche con «contempla», «osserva». – dulce: accusativo neutro dell’aggettivo dulcis, dulce, in funzione di avverbio. – ridentem: participio presente da ride ˘ o, e ˉ re («ridere», «sorridere»), predicativo dell’oggetto di spectat et audit (te), ovvero participio congiunto equivalente a una proposizione subordinata temporale («mentre/ quando ridi»).

5-12 misero... nocte: [mentre invece] a me infelice questo toglie completamente i sensi; infatti non appena, o Lesbia, ti vedo, subito non mi resta nemmeno un po’ di voce, ma la lingua s’intorpidisce, per le membra si diffonde una fiamma sottile, le orecchie tintinnano d’un suono interno, si coprono gli occhi di una doppia notte.

misero: da collegare a mihi (v. 6), in antitesi con par... deo (v. 1). Per il significato di miser nella poesia d’amore latina cfr. nota a 8, 1 [T9]. – quod: la corretta interpretazione del pronome relativo neutro quod, soggetto di eripit, è la chiave per comprendere l’intera lirica. Si riferisce a tutta la scena precedente, cioè al fatto che un altro stia accanto a Lesbia e che lei gli sorrida, o soltanto all’immagine di Lesbia dulce ridentem? Nel primo caso a provocare il turbamento di Catullo sarebbe la gelosia; nel secondo la pura e semplice visione dell’oggetto amato, che gli toglie (ma eripio, e ˘ re, composto di rapio, è più forte: eripit... mihi, quindi, vale piuttosto «mi rapisce», «mi strappa») completamente il dominio delle proprie

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