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fontivisive L’attore seduto

perpetuo, sic tu sapiens finire memento tristitiam vitaeque labores molli, Plance, mero, seu te fulgentia signis 20 castra tenent seu densa tenebit

la morte di Cesare, contrariamente alle aspettative, non si schierò a fianco dei suoi uccisori, ma passò dalla parte di Antonio, con il quale collaborò a lungo in Egitto; alla vigilia di Azio abbandonò Antonio per legarsi a Ottaviano, contribuendo a organizzare la propaganda contro lo stesso Antonio. Nel 27 fu Planco a proporre di conferire a Ottaviano il titolo di Augusto. Questi suoi reiterati passaggi da una parte all’altra in momenti cruciali gli procurarono ovviamente la nomea di opportunista, e non gli furono risparmiate critiche neppure da parte degli amici, fra cui Cicerone. –sapiens: ha valore predicativo; pertanto si può tradurre anche con un avverbio («saggiamente»). – memento: imperativo futuro di seconda persona del verbo difettivo memini, meminisse («ricordare»), da cui dipende l’infinito presente finire. Etimologicamente affine a moneo, e ˉre («ammonire»), non di rado coniuga, come in questo caso, entrambi i significati. – finire: «porre fine» (temporaneamente, s’intende), «porre un limite»; ha per oggetto tristitiam (vitae)que labores (v. 18). – molli... mero: ablativo strumentale. L’aggettivo mollis significa «dolce», sia in senso proprio sia metaforico: «dolce» in quanto atto a rasserenare, “addolcire” appunto, l’animo (e si vedano i significati del verbo mollıˉre). Il motivo del vino (merus, «vino puro») come phármakon, medicina dell’animo e rimedio agli affanni, risale a Omero e fiorisce nei carmi simposiaci della più antica lirica greca, ma perviene a Orazio soprattutto attraverso Alceo (cfr. ad

es. I, 9 [T11 e Dialogo con i modelli, p. 222]). – Plance: vocativo di Plancus, il destinatario dell’ode. Il nome è collocato in posizione di rilievo tra l’aggettivo e il sostantivo (molli... mero). – seu te fulgentia... umbra tui: costruisci seu castra fulgentia signis tenent te seu umbra densa Tiburis tui tenebit (te). – fulgentia: participio presente neutro plurale in caso nominativo di fulgeo, e ˉre («risplendere»), concordato con castra, da collegare a signis, ablativo di valore causale. Le insegne militari degli eserciti romani, ornate d’oro e d’argento, splendevano di bagliori metallici. – tenent... tenebit: poliptoto. I diversi tempi del verbo lasciano supporre che ora, nel presente, Planco sia impegnato in operazioni militari e si trovi in un accampamento, e che il ritorno all’amata Tivoli (Tiburis... tui) si collochi nel futuro, forse soltanto un augurio all’amico e un desiderio del poeta. Anche la proposizione introdotta dal primo seu (v. 19), peraltro, potrebbe rappresentare soltanto un’eventualità, un’alternativa possibile; non una situazione concreta e attuale. – umbra: un altro significativo contrasto di colori e di atmosfere; l’ombra riposante e protettiva di Tivoli verde e boscosa si

attirò le pietre da costruzione con il suono della sua lira. L’antica Tebe fu completamente distrutta da Alessandro Magno nel 335 a.C. ▰ Delphi: Delfi (Delphi, orum) nella Focide, considerata il centro del mondo, era sede del celeberrimo oracolo di Apollo; là il dio, dopo aver ucciso con le saette infallibili il mostruoso serpente Pitone, aveva consacrato il santuario più importante del suo culto e fondato i giochi Pitici. ▰ Thessala Tempe: la valle di Tempe in Tessaglia, una gola profondamente incassata fra le pareti rocciose dell’Olimpo e dell’Ossa, ove scorre il fiume Peneo; famosa non solo per la sua bellezza, amena e al tempo stesso grandiosamente selvaggia, ma anche per essere a sua volta uno dei più insigni luoghi di culto del dio Apollo. ▰ Athenae: la città di Atene (Athenae, -arum) non viene nominata, ma vi si allude mediante perifrasi: «la città della vergine Pallade» (v. 5). Al v. 7 viene poi citato l’olivo, l’albero sacro a Pallade Atena, la quale ne fece dono agli abitanti dell’Attica ottenendo che la città di Atene fosse a lei consacrata e portasse il suo nome. Nel contesto, pertanto, il premio serbato ai cantori di Atene è opportunamente simboleggiato da una corona d’olivo, per metonimia olivam (il nome della pianta per la ghirlanda composta con le sue fronde). ▰ Argos/Mycenae: la dea Giunone, Hera presso i Greci, era oggetto di speciale venerazione in Argo e Micene, città dell’Argolide predilette dalla dea e poste sotto la sua protezione. Argo è detta «adatta», «propizia ai cavalli» (aptum... equis, v. 9); traduce l’epiteto omerico hippóbotos («che nutre», «che alleva cavalli»; Iliade II, 287). A sua volta Micene è definita «ricca», «opulenta» (ditis, v. 9); in Omero polychrýsos, «ricca d’oro» (Iliade VII, 180). ▰ Lacedaemon: Lacedemone o Sparta in Laconia nel Peloponneso, tam patiens (v. 11) poiché i costumi degli Spartani o Lacedemoni erano notoriamente improntati a una severa frugalità; proverbiale era (ed è ancora oggi) la loro capacità, effetto di una rigorosa disciplina cui si sottoponevano fin dalla prima infanzia, di sopportare disagi e fatiche. ▰ Larisa: Larissa, città della Tessaglia sulle rive del fiume Peneo, è detta in Omero «dalle larghe zolle» (Iliade II, 841), in lode delle sue ricche coltivazioni; perciò opima («fertile», «copiosa di frutti») nell’ode di Orazio (v. 11).

Tiburis umbra tui. Teucer Salamina patremque cum fugeret, tamen uda Lyaeo tempora populea fertur vinxisse corona, sic tristis adfatus amicos:

25 «Quo nos cumque feret melior fortuna parente, ibimus, o socii comitesque.

contrappone al fulgore degli accampamenti. Si notino la sequenza allitterante (tenent... tenebit... Tiburis... tui) e il doppio iperbato incrociato, ancora una volta in enjambement (densa... Tiburis... umbra... tui).

[21-24] Si narra che Teucro, mentre si apprestava ad abbandonare Salamina e il padre, si cingesse tuttavia le tempie umide di vino con la corona di pioppo, così parlando agli amici afflitti:

Teucer: con una transizione improvvisa, alla maniera di Pindaro, irrompe nel corpo stesso del v. 21 il mitico protagonista dell’ultima parte dell’ode, Teucro. Figlio di Telamone sovrano di Salamina, vasta isola presso le coste dell’Attica, fratellastro di Aiace, già nell’Iliade Teucro viene ricordato per la sua perizia di arciere; notevole rilievo assume poi il suo personaggio nella tragedia antica, nell’Aiace di Sofocle e poi in Roma nel dramma più celebre e popolare di Pacuvio, il Teucer, che ancora si rappresentava al tempo di Orazio. Secondo quanto narravano i poemi del Ciclo epico, allorché Teucro ritornò da Troia, il padre non gli permise di rientrare in patria, accusandolo di non aver vendicato la morte di Aiace, il quale, impazzito per l’ingiustizia patita a causa degli intrighi di Odisseo nell’assegnazione delle armi di Achille, si era ucciso gettandosi sulla propria spada. Così Teucro, esule e fuggiasco, riprese il mare verso altre terre, giungendo infine a Cipro, dove fondò una nuova città di nome Salamina. –Salamina: accusativo con desinenza greca, oggetto di fugeret come patrem (v. 22). – cum fugeret: costruzione di cum narrativo con l’imperfetto congiuntivo (di fugio, e˘re), con valore insieme concessivo («sebbene fuggisse») in correlazione con tamen. – uda... tempora: le tempie sono «umide» (uda; cfr. nota al v. 13) in quanto la corona che Teucro si pone in capo è bagnata di vino. Lyaeo, in caso ablativo, epiteto di Bacco-Dioniso (Lyaeus, «colui che scioglie», «che libera» dagli affanni; dal verbo greco lýo), è metonimia per «vino». – fertur: feror, nel significato di «si dice», «si tramanda», «si narra»; nelle forme del presente segue la costruzione personale con il nominativo (Teucer, v. 21); da fertur dipende vinxisse, infinito perfetto (di vincio, vinxi, vincıˉre), che a sua volta ha per oggetto tempora (v. 23). – populea... corona: ablativo strumentale da unire a vinxisse. Nei conviti era usanza degli antichi cingersi il capo di corone, in questo caso intrecciate con fronde di pioppo, pianta sacra a Eracle, protettore dei viandanti (e Teucro appunto, insieme ai compagni, si accinge a salpare per un viaggio periglioso verso terre ancora ignote) e, si aggiunga, specialmente venerato proprio a Tivoli. – tristis = tristes, accusativo plurale concordante con amicos. – adfatus: participio di valore attivo da adfor (ad + for, fatus sum, fari); «parlare», «rivolgersi a».

[25-32] Dovunque ci condurrà la fortuna, più benigna del padre, andremo, o compagni di ventura e di viaggio. Non c’è da disperare, sotto la guida e gli auspici di Teucro: poiché Apollo infallibile mi ha promesso che su una nuova terra sorgerà una seconda Salamina. O forti guerrieri, che spesso avete affrontato con me prove ancora più ardue, ora con il vino scacciate gli affanni; domani torneremo a solcare il mare infinito.

Quo nos... ibimus: costruisci Quocumque fortuna melior parente feret nos, ibimus. – Quo... cumque = quocumque; tmesi. – melior... parente: la fortuna sarà in ogni caso, vuol dire, meno dura e crudele del padre che lo ripudia e lo costringe all’esilio. Nel suo breve discorso Teucro mira a infondere coraggio e determinazione ai compagni avviliti e rattristati. – socii comitesque: due sostantivi in caso vocativo. Entrambi significano «compagni»; tuttavia il primo allude alla comunanza di vita, al fatto che condividono volontariamente una medesima sorte («associati», «alleati»); il secondo al viaggio che stanno per intraprendere insieme («accompagnatori», «compagni di viaggio»). – Nil desperandum: sottinteso est; costruzione perifrastica passiva (lett. «non si deve disperare»). Nil = nihil; con valore avverbiale («per nulla»), costituisce una negazione più forte ed energica del semplice non. –Teucro duce... auspice Teucro: ablativi assoluti. Scolpita nello stile eroico-sacrale delle formule rituali del linguaggio militare romano (ductu auspicioque), la dichiarazione assume particolare solennità grazie alla scelta di parlare di sé in terza persona e alla disposizione chiastica, che conferisce ulteriore forza enfatica alla ripetizione del nome. – certus... futuram: costruisci enim certus Apollo promisit ambiguam Salaminam futuram (esse) tellure nova. – certus: epiteto del dio Apollo «che non erra», i cui responsi oracolari sono certi e veritieri. – ambiguam: propriamente l’aggettivo ambiguus («che inclina da due parti», da ambı ˘ go) significa «incerto», «dubbio», «confuso»; nel contesto s’intende che la «seconda Salamina», portando lo stesso nome, sarà indistinguibile dalla prima. –O fortes... viri: costruisci O viri fortes, saepe passi peiora mecum; lett. «O uomini forti, che avete spesso sopportato con me mali peggiori». Si è soliti accostare a questi versi un luogo dell’Eneide virgiliana (I, 198-199), al principio del discorso che Enea tiene ai compagni per confortarli dopo essere scampati alla tempesta: «O compagni – né infatti, da tempo, siamo ignari di sventure – o voi che avete sopportato mali ben più gravi, un dio porrà fine anche a questi». Se l’ode oraziana risalisse effettivamente alla fine degli anni 30 (ma non è certo), Virgilio potrebbe essersi ispirato a Orazio. – passi: participio perfetto con valore attivo (da patior, pati, deponente). – nunc... cras: i due avverbi di tempo formano un’antitesi che riconduce al motivo dominante dell’ode (finire... tristitiam vitaeque labores, vv. 17-18). –

Nil desperandum Teucro duce et auspice Teucro: certus enim promisit Apollo

ambiguam tellure nova Salamina futuram. 30 O fortes peioraque passi mecum saepe viri, nunc vino pellite curas; cras ingens iterabimus aequor».

iterabimus: futuro di iterare, che nel significato più esteso e generico vale «riprendere», «rinnovare», «ripetere», ma che etimologicamente rinvia all’arcaico lessico rurale: iterum arare, «arare», «solcare una seconda volta». La scelta di questo verbo si rivela intensamente espressiva a più livelli: Teucro e i compagni hanno appena affrontato una lunga navigazione ritornando a Salamina dalla Troade e ora devono «di nuovo» (iterum) prendere il mare; l’allusione etimologica al duro lavoro dell’aratura evoca le fatiche del viaggio, da sostenere ancora una volta di lì a poche ore, senza poter godere dello sperato riposo in patria. – ingens: neutro singolare in caso accusativo, da unire a aequor. L’aggettivo, che significa «molto grande», «smisurato», «straordinario», non manca di evocare per analogia l’idea dell’ignoto e del pericolo. Si noti l’allitterazione, intensamente espressiva, ingens iterabimus; ma in tutta l’orazione di Teucro le serie allitteranti contribuiscono efficacemente a sostenere l’epica solennità dello stile.

LETTURA e INTERPRETAZIONE

Datazione e destinatario dell’ode

Il destinatario dell’ode, cui il poeta si rivolge con il vocativo (Plance) soltanto al v. 19, è molto probabilmente Munazio Planco, personaggio politico di un certo spicco nell’età cesariano-augustea. Non sappiamo quando Orazio strinse amicizia con lui, né conosciamo l’epoca e le circostanze di composizione della lirica; dal testo emerge con certezza soltanto la condivisa predilezione per Tivoli. Il metro archilocheo fa propendere per una datazione alta, non lontana dalla stesura degli Epodi, cui la accomuna anche lo stile severo ed energico; forse poco dopo il 32.

Strutture del componimento: il catalogo-preambolo o Priamel

Il componimento si apre con un ampio catalogopreambolo nelle forme di una particolare struttura retorica (denominata dagli studiosi tedeschi Priamel, da preambulum) ricorrente nella poesia oraziana, che si sviluppa attraverso l’elencazione delle varie sorti e dei diversi gusti degli uomini, cui il poeta oppone recisamente le proprie scelte (v. 10). Qui Orazio dispone in lunga serie i prestigiosi nomi delle più splendide località del mondo greco, e a tutte dichiara di preferire l’italica Tivoli con il suo paesaggio di ombre boschive e di acque precipiti, contrapponendo agli dèi dell’Olimpo, numi tutelari di città assai più illustri, le rustiche divinità del Lazio arcaico.

Strutture del componimento: il me-Stil

In posizione di rilievo e in forte antitesi con alii (v. 1), il pronome di prima persona vale a contrapporre energicamente, secondo una movenza stilistico-espressiva ricorrente in Orazio (me-Stil) l’atteggiamento e le scelte del poeta a quelli altrui (cfr. Carmina I, 5, 13 [T9]; Epistulae I, 4 [T25]). Si può dire anzi che questo personalissimo stilema si imprima fin dall’inizio sulla raccolta dei Carmina; infatti segna la chiusa della lunga ode I, 1 a Mecenate.

Tivoli, luogo reale e simbolico: una scelta di vita e di poesia

La scelta del luogo più amato, propizio al riposo e alle gioie del convito, rappresenta una scelta di vita in chiave epicurea, e insieme di poesia: egli lascia ben volentieri ad altri cantori il compito di tessere per l’ennesima volta le lodi delle città tante volte celebrate dai poeti (fittissime le reminiscenze e le allusioni letterarie, in particolare le citazioni omeriche), non senza inserire spunti polemici di stampo callimacheo e neoterico contro gli attardati, ripetitivi cultori del carmen perpetuum (v. 6). La vivida descrizione del paesaggio tiburtino (vv. 1217) assume esplicitamente un significato simbolico sul piano esistenziale e morale, preparando il monito a scacciare gli affanni con il dolce vino che il poeta rivolge all’amico (vv. 17-21), così come aveva saputo fare Teucro, esule sul mare.

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