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T 6 Il pubblico della palliata (Hecyra, prologus, 9-57) IT

T 17

Carmina II, 6 LATINO ITALIANO

Il luogo ideale

L’ode è rivolta a Settimio e rinvia allusivamente al carme 11 di Catullo, rinnovando un topos di origine probabilmente ellenistica, quello dell’amico disposto ad accompagnare il poeta fino in capo al mondo, già impiegato da Orazio stesso negli Epodi (1, 11-13). Il motivo del viaggio immaginario in terre lontane, contenuto in un giro di versi più breve (4 contro 12) rispetto al testo catulliano, offre lo spunto alla costruzione di un discorso assai diverso, esistenziale e morale anziché emotivo e fantastico: il poeta, attraverso una serie di forti opposizioni, indica a se stesso e all’amico una scelta di vita. All’itinerario fisico-geografico si sostituisce perentoriamente un altro itinerario, verso un luogo che è una dimora dello spirito. I temi sono quelli prediletti della poesia oraziana: il desiderio di quiete e di una vita appartata (contrapposta alle fatiche dei viaggi e della milizia, vv. 7-8); la ricerca di un angulus, qui identificato con i paesaggi idillici della campagna tiburtina e tarentina (in netta antitesi con le immagini di regioni insidiose e remote evocate nella prima strofa); l’amicizia, capace di alleviare il pensiero triste della morte; il convito, cui si allude nella terza e quarta strofa con il riferimento simbolico a tre prodotti delle piane di Taranto (il miele, l’olio, il vino). Al v. 21 Orazio dà forma retorica e stilistica al proprio ideale di vita creando con raffinata eleganza una disposizione chiastica fra i pronomi designanti i due amici (te mecum) e il nucleo sostantivoaggettivo che esprime l’immagine fisica e mentale del luogo appartato (Ille... locus).

Nota metrica:

strofe saffica minore, composta di tre endecasillabi saffici seguiti da un adonio. Septimi, Gades aditure mecum et Cantabrum indoctum iuga ferre nostra et barbaras Syrtes, ubi Maura semper aestuat unda,

5 Tibur Argeo positum colono sit meae sedes utinam senectae, sit modus lasso maris et viarum militiaeque.

O Settimio, disposto a venire con me sino a Cadice e fra i Cantabri ancora indocili al nostro giogo, e nelle barbare Sirti, dove sempre ribolle l’onda maura:

Tivoli, fondata dal colono argivo, sia la sede della mia vecchiaia, sia il termine per me stanco del mare e dei viaggi e della milizia.

1-3. Gades... Cantabrum... Syrtes...

Maura (unda): Cadice (nella penisola iberica) sta a indicare nel codice letterario classico l’estremo limite del mondo occidentale; i Cantabri, abitanti delle montuose regioni nord-occidentali della Spagna, erano una popolazione fiera e ribelle (dovettero affrontarli in quegli anni sia Augusto, fra il 25 e il 24, che Agrippa, fra il 20 e il 19 a.C.); Sirti erano dette due vaste insenature lungo le coste libiche (Syrtis maior e Syrtis minor, i golfi di Sidra e di Gabes), tradizionalmente considerate pericolose a causa dei fondali bassi e sabbiosi, delle frequenti tempeste e dei predoni costieri; a occidente delle Sirti si trovava invece la Mauritania (ma l’imprecisione geografica era un vezzo della poesia ellenistica e alessandrina, che spesso alludeva a una località o a una popolazione con il nome di luoghi e di popoli limitrofi). 5. Tibur... colono: mitico fondatore di Tivoli era considerato Tiburno, originario dell’Argolide.

Unde si Parcae prohibent iniquae, 10 dulce pellitis ovibus Galaesi flumen et regnata petam Laconi rura Phalanto.

Ille terrarum mihi praeter omnes angulus ridet, ubi non Hymetto 15 mella decedunt viridique certat baca Venafro,

ver ubi longum tepidasque praebet

Iuppiter brumas et amicus Aulon fertili Baccho minimum Falernis 20 invidet uvis.

Ille te mecum locus et beatae postulant arces: ibi tu calentem debita sparges lacrima favillam vatis amici.

Se le Parche inique mi terranno lontano di qui, mi dirigerò verso la dolce corrente del Galeso caro alle pecore coperte di pelli, campagne su cui regnò lo spartano Falanto.

Mi sorride più di tutti quell’angolo di terra, dove il miele non è inferiore a quello dell’Imetto e l’olivo gareggia con quello della verde Venafro,

dove il cielo offre lunghe primavere e tiepidi inverni, e Aulone caro al fertile Bacco non ha nulla da invidiare all’uva di Falerno.

Te insieme con me aspetta quel luogo con le sue beate rocche: là tu bagnerai con le dovute lacrime la cenere ancor calda dell’amico poeta.

(trad. di L. Perelli)

10. pellitis ovibus: le pecore, bene prezioso dell’economia italica, venivano ricoperte di pelli di cuoio atte a salvaguardarne il vello. – Galaesi: un torrente che scorreva vicino a Taranto. 11-12. Laconi... Phalanto: ancora un riferimento prezioso alle mitiche vicende di fondazione: secondo tradizione era stato Falanto, proveniente da Sparta (in Laconia), a fondare nel 708 a.C. la città di Taranto. 14. Hymetto: monte dell’Attica, noto nella tradizione letteraria per la qualità del suo miele. 16. Venafro: una cittadina della Campania, rinomata per la produzione di olio. 18. Aulon: Aulo o Aulone (in greco «avvallamento»), probabilmente una località ricca di vigneti situata nei pressi di Taranto.

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