13 minute read

T 5 Un giovane innamorato (Andria, 236-298) LAT IT

LETTURA e INTERPRETAZIONE

Nunc est bibendum: la “risposta” all’Epodo 9

Orazio riprende l’esordio irruente di Alceo, citato nell’introduzione, secondo un modulo caratteristico della sua tecnica compositiva (il “motto” iniziale), ma al tempo stesso si richiama a un proprio precedente componimento, “rispondendo” finalmente, dopo un anno di ansiosa attesa, alla domanda posta nei versi d’apertura dell’Epodo 9 [T2 ONLINE] a Mecenate per la vittoria di Azio:

«Quando sarà che il Cecubo riposto per i conviti festivi, lieto per la vittoria di Cesare io beva insieme a te (se a Giove sarà grato) nella tua alta casa, o Mecenate beato, mentre la lira farà risuonare il suo canto misto a quello dei flauti, questa sul ritmo dorico, quelli sul ritmo barbarico [= frigio o lidio]?»

La figura di Ottaviano

Il riconoscimento della grandezza dell’avversario non era inconsueto nella tradizione epica e storiografica latina: d’altra parte, rendere omaggio al valore dei nemici vinti era anche un modo di esaltare la potenza dei vincitori. I furori della regina sono domati dalla risolutezza di Ottaviano, disegnato nelle strofe centrali dell’ode (vv. 15-20) come su un bassorilievo celebrativo nell’atto di inseguire la sua preda. Alla figura drammatica e mossa di Cleopatra, al pathos tragico della sua morte, fanno riscontro la solidità olimpica e la forza interiore di Ottaviano: i moduli sono quelli della propaganda contemporanea, che aveva fatto della guerra combattuta con Antonio e Cleopatra uno scontro fra l’Oriente irrazionale e mostruoso e l’Occidente romano fondato sull’ordine della legge e della ragione.

Al centro dell’ode due similitudini: Omero e Callimaco

Due similitudini, immediatamente consecutive ma molto diverse fra loro (vv. 17-19), conferiscono bellezza eroica all’impresa e tensione immaginativa al motivo encomiastico. La prima è omerica: proviene da Iliade XXII, 138 sgg., con l’immagine di Achille che si slancia su Ettore tremante «come uno sparviero sui monti, il più veloce degli uccelli, si avventa speditamente dietro una trepida colomba» (trad. di G. Tonna). Nella seconda similitudine, invece, la precisa ambientazione della scena venatoria e la scelta della nominazione ricercata, mitologicamente allusiva, nonché dell’epiteto convenzionale (la Tessaglia «nevosa») rispondono al gusto alessandrino dell’erudizione geografica; la probabile fonte del vivido quadretto è un epigramma di Callimaco (che già Orazio aveva ripreso in Sermones I, 2, 105-106).

Lo stile dell’ode: il modello pindarico

Rispetto allo stile tenue e classicamente equilibrato delle Odi, qui Orazio sceglie un modello più complesso, ispirato agli epinici («canti di vittoria») pindarici: stile grandioso, potenza vigorosa delle immagini, periodo sintattico in continua espansione, con l’uso, tipicamente pindarico, di participi e di aggettivi che aprono nuove proposizioni al di là della misura composta del verso e della strofa. Nei versi 10-11, ad esempio, è particolarmente audace l’insolita costruzione del participio-aggettivo inpotens, «incapace di frenarsi» (in + possum), riferito a regina (v. 7), con l’infinito (sperare), rilevata dal forte enjambement.

Testa della regina Cleopatra, I secolo a.C. Londra, British Museum.

Analizzare il testo

1. Individua nel testo i diversi momenti della rappresentazione oraziana di Cleopatra, segnalando i punti di svolta nell’atteggiamento del poeta verso la regina, e i mutamenti più significativi nel linguaggio e nelle immagini. 2. Chi è e come viene rappresentato l’altro

“personaggio” dell’ode, l’antagonista di Cleopatra?

In quale sezione del testo appare dominante la sua figura? Quali aspetti della sua personalità emergono, in modo più o meno diretto ed esplicito? In base a quali rilievi testuali è lecito affermare che il poeta si sia proposto di disegnare due personaggi (e due mondi) in antitesi? 3. Analizza il lessico impiegato nell’ode, con particolare riguardo ai motivi, insistentemente richiamati, della follia e del vino.

Gli SCRITTORI e la STORIA

Trasfigurazione epico-eroica dell’impresa aziaca

▰ Amplificazione epica Se la rappresentazione, mossa e cangiante, della regina Cleopatra volge con sempre maggiore intensità al clima e alle tonalità della tragedia, nella celebrazione di Ottaviano e della vittoria aziaca il poeta fa evidentemente ricorso ai colori dell’epos. Lo attestano, insieme alla similitudine omerica dei vv. 17-18, le riconoscibili alterazioni della realtà storica, che al di là delle esigenze propagandistiche contingenti, rispondono a un procedimento caratteristico del codice epico, la condensazione e l’amplificazione degli eventi. ▰ Due esempi significativi Al v. 13 leggiamo:

vix una sospes navis ab ignibus («una sola nave a stento scampata alle fiamme»). Si tratta di un’iperbolica alterazione della realtà storica in funzione celebrativa, del resto, come si è detto, caratteristica dell’amplificazione epica; secondo il racconto di Plutarco (Vita di Antonio 66, 5-6) Cleopatra si diede improvvisamente alla fuga con sessanta navi, quando la battaglia non era ancora decisa, salvando quasi per intero la sua flotta. Poco più avanti, al v. 16, si dice che Ottaviano (Caesar) inseguì Cleopatra ab Italia volantem («che fuggiva a volo dall’Italia»). Certo, benché il combattimento avvenisse in acque greche, era l’Italia il vero obiettivo di Cleopatra. Ma, in ogni caso, ecco un’altra deformazione dei dati storici: Ottaviano non inseguì subito la flotta egiziana in fuga, ma svernò a Samo, e solo nell’estate dell’anno successivo si recò ad Alessandria. Evidente il colorito sarcastico dell’accenno all’Italia, come pure della metafora del volo: la regina fugge dalle acque di Azio, ma la meta dei suoi folli sogni era l’Italia; volantem, che evoca piuttosto una fulminea azione d’attacco, si riferisce invece a una precipitosa ritirata.

4. Nel delineare la figura e le azioni di Ottaviano, il poeta fa palesemente ricorso ai colori epici: da quali espressioni, immagini e allusioni letterarie lo si rileva?

Confrontare i testi

5. Confronta attentamente i versi 1-6 dell’Epodo 9 [T2 ONLINE], citati anche nella rubrica Lettura e interpretazione, con le prime due strofe dell’ode per la morte di Cleopatra, rilevando e analizzando parole, espressioni, immagini che ricorrono in entrambi i testi o che si richiamano per significative analogie. Puoi estendere il confronto all’intero testo epodico, svolgendo per iscritto un’analisi dei punti di contatto e/o di divergenza che presenta rispetto all’ode.

Leggere un TESTO CRITICO

Ottaviano/Apollo contro Antonio/Dioniso

Nella prima parte dell’ode di Orazio «la regina, avvolta in una luce cupa e fosca, è presentata come una donna ebbra, invasata da folli sogni di conquista, circondata da una corte di gente abietta e pervertita, incapace di moderazione, simbolo del furor, della libido, dell’inpotentia orientali» (Cremona). Questo genere di rappresentazione rientrava perfettamente nella campagna di diffamazione scatenata da Ottaviano nei confronti di Antonio, contro il quale vennero rivolte le medesime accuse di vita viziosa, di ubriachezza e di immoralità. L’identificazione mitologica promossa dallo stesso Antonio con Dioniso, dio dell’ebbrezza, del vino e dell’estasi, facilitò il compito di Ottaviano e dei suoi amici, come dimostra il saggio di Paul Zanker.

Nella campagna di diffamazione che impegnava i due rivali a colpi di lettere, pamphlets e pubblici discorsi, Antonio fece ricorso ai soliti topoi della vecchia maniera aristocratica, accusando Ottaviano di vigliaccheria e di slealtà e rinfacciandogli l’oscurità delle sue origini, mentre i seguaci di Ottaviano sfruttarono senza pietà il tema della sua identificazione mitologica col dio Dioniso. Le parole d’ordine che avevano già guidato la reazione ai misteri dionisiaci offrivano un comodo arsenale per denunciare le fantasie dionisiache di Antonio come espressione di luxuria e di esotica immoralità: il genere di vita che Antonio conduceva in Oriente con Cleopatra e la sua corte era un esempio di quella corruzione e di quella effeminatezza che stavano portando Roma verso l’abisso. Gli anziani ricordavano come il re Mitridate avesse minacciato la potenza di Roma presentandosi come un nuovo Dioniso alla testa dell’Oriente, mentre Ottaviano, il favorito di Apollo, appariva come uomo d’ordine e tutore della moralità. Già in passato, del resto, Apollo si era schierato a fianco dei Romani nei momenti critici. Dopo la rottura definitiva, gli attacchi contro Antonio si fecero brutali: lo accusavano di essere ormai un degenerato, un effeminato e un senza dio, sempre ubriaco e succube di Cleopatra. Come spiegare altrimenti il fatto che un generale romano donasse i territori conquistati ai figli della regina d’Egitto, e disponesse nel suo testamento di essere sepolto in Alessandria al fianco di Cleopatra? Antonio non era più un Romano, e una guerra contro di lui non poteva essere una guerra civile: «La sede del comando militare diventò il suo palazzo reale. Antonio talvolta portava alla cintola un pugnale di tipo orientale, e si abbigliava in un modo incompatibile con i costumi della sua patria. Anche in pubblico si mostrava sdraiato su un divano [come Dioniso] o su un trono dorato [come un re]. Nei dipinti e nelle statue si faceva raffigurare insieme a Cleopatra come Osiride o Dioniso, mentre la regina era Selene o Iside. Fu soprattutto questo a suscitare l’impressione che Antonio fosse stregato da lei» (Dione Cassio 50, 5). Questa campagna di diffamazione volta a mobilitare l’Italia in vista della guerra ebbe naturalmente il suo punto forte nei pubblici discorsi, ma non mancano testimonianze figurative da cui risulta, anche in questo caso, un intreccio indissolubile di parola e immagine: ed è proprio dal ricorso a determinate immagini che l’attacco verbale traeva la propria efficacia. Le statue che raffiguravano Antonio nelle vesti di Dioniso si potevano vedere solo in Oriente, ma il partito di Ottaviano fece tutto il possibile per evocare il fatto scandaloso, né la cosa presentava difficoltà. Dappertutto si potevano vedere statue di Dioniso su cui richiamare l’attenzione, e i loro tratti femminei potevano suggerire facilmente l’immagine di Antonio. Rivolgendosi a un pubblico colto, Marco Valerio Messalla Corvino fece ricorso probabilmente a un’argomentazione più articolata: le sue due orazioni polemiche (perdute), de Antonii statuis e contra Antonii litteras nacquero in ogni caso in questo clima, ed è probabile che attaccassero le statue di Dioniso e il sontuoso stile asiano dei discorsi di Antonio come manifestazioni della stessa immoralità. [...] Contro l’accusa di ubriachezza Antonio si difendeva in un’orazione, purtroppo andata perduta (ma conservatasi fino ai primi anni dell’impero), dall’eloquente titolo de ebrietate sua. Oltre a respingere le accuse ingiustificate è probabile che Antonio vi facesse anche l’elogio del suo dio, il Liberatore e il nemico degli affanni.

(P. Zanker, Augusto e il potere delle immagini, Einaudi, Torino 1989, pp. 62-66 passim)

T 15

Carmina I, 38 LATINO

LETTURA METRICA

Convito simbolico

Siamo sul principio dell’autunno (come si ricava dall’accenno alle ultime rose dei vv. 3-4), nella luce tenue e quieta di un pergolato (vv. 7-8). Il poeta si rivolge a un puer, uno schiavo giovinetto premurosamente affaccendato nei preparativi del convito, esortandolo a tralasciare ogni lusso superfluo: basteranno ghirlande di «semplice mirto» (v. 5). L’ammonimento affettuosamente ironico al ragazzo (interlocutore “ingenuo” della lirica, come Leuconoe [T12]) tocca il cuore della poesia oraziana, rinnovando alcuni dei suoi grandi temi: il motivo simposiaco, un ideale di aurea mediocritas, la dolcezza della vita rustica. Ma l’ode è anche l’ultima del I libro, e svolge funzione di commiato, assumendo implicitamente (come accadeva spesso nei poeti ellenistici) il valore di una dichiarazione di poetica. Il richiamo alla semplicità non è solo una scelta morale ed esistenziale ma anche stilistica ed estetica: come la vita, anche la poesia deve essere improntata a un ideale di sobrietà e di equilibrio. Il vino e il mirto, i due oggetti più luminosi della lirica, acquistano così un improvviso valore simbolico, e finiscono per rappresentare la poesia conviviale (il vino) e la poesia amorosa (il mirto, da sempre  consacrato a Venere).

Natura morta, affresco da Pompei. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

Nota metrica:

strofe saffica minore, composta da tre endecasillabi saffici e un adonio. Persicos odi, puer, adparatus, displicent nexae philyra coronae; mitte sectari, rosa quo locorum sera moretur.

[1-4] Non amo, ragazzo, lo sfarzo persiano, né mi piacciono le corone intrecciate con filo di tiglio; lascia di cercare dove ancora indugi la rosa tardiva.

Persicos... adparatus: lett. «gli apparati persiani»; lo sfarzo dei banchetti orientali era proverbiale. Il sostantivo plurale adparatus della IV declinazione (da adparo, aˉre, «preparare», «allestire») designa i «preparativi» del convito e indica, per metonimia, i banchetti stessi, in particolare lussuosi e magnifici. – odi: perfetto con valore di presente, dal verbo difettivo odisse; in italiano il primo significato («odiare») sarebbe troppo forte, così come suonerebbe eccessiva la traduzione letterale («mi dispiacciono»), nel verso successivo, di displicent; è opportuno quindi ricorrere all’attenuazione della litote. – displicent... coronae: nexae, participio perfetto di necto, nexui e nexi, nexum, e˘re («legare insieme», «connettere», «intrecciare») è riferito a coronae, nominativo plurale soggetto di displicent (dis + placeo, e ˉre); philyra ˉ , ablativo strumentale da unire a nexae, è un grecismo prezioso in luogo del latino e più domestico tilia. Le ghirlande di fiori che i convitati si ponevano sul capo venivano intrecciate con un filo sottile (detto anch’esso philyra) ricavato dalla corteccia interna del tiglio. – mitte = omitte: «tralascia», «smetti»; usato correntemente in latino come formula, lievemente eufemistica, di proibizione. – sectari: infinito presente di sector, aˉri, deponente, frequentativo-intensivo di sequor, vale «cercare alacremente», «continuamente», anche «affannosamente». L’imperativo di mitte˘re (o di altro verbo dal significato analogo, come fuge˘re) + infinito equivale a un imperativo negativo (cfr. fuge quaerere in Carmina I, 9, 13 [T11]). – rosa... moretur: proposizione interrogativa indiretta dipendente da sectari, dove l’anastrofe dell’ablativo quo e l’iperbato in enjambement danno rilievo al soggetto e all’attributo rosa... sera, forse un singolare per il plurale, le ultime rose sul finire dell’estate o nei primi giorni autunnali. L’immagine del-

5 Simplici myrto nihil adlabores sedulus curo: neque te ministrum dedecet myrtus neque me sub arta vite bibentem.

la «rosa tardiva» suscita l’idea della rarità e della ricercatezza, ma nel contempo allude forse, nel suo languore lievemente malinconico, al motivo della fuga del tempo. Il genitivo locorum ha valore partitivo (lett. «in quale dei luoghi»); moretur è congiuntivo presente di moror, aˉri, deponente («indugiare», «attardarsi»).

[5-8] Non voglio che tu, premuroso, ti affanni ad aggiungere altro al semplice mirto; il mirto non è sconveniente né a te che servi a tavola né a me che bevo sotto il folto pergolato.

Simplici myrto: il mirto, arbusto assai comune nei giardini mediterranei, è detto «semplice» in contrapposizione ai fiori rari e preziosi; lo conferma la posizione forte del sintagma all’inizio della strofe, in simmetrica antitesi con Persicos... adparatus (v. 1). Ma l’espressione si può tradurre anche «al solo mirto», in quanto è l’unica pianta delle cui fronde il poeta desidera incoronarsi; non è improbabile che i due significati siano compresenti. – nihil adlabores... curo = non curo quicquam adlabores. Il pronome nihil nega curo (lett. «non m’importa», «non ci tengo») ed è nel contempo oggetto di adlabores (ad + laborare), che regge il dativo Simplici myrto; un verbo molto probabilmente coniato da Orazio, che unisce l’azione di «aggiungere» (ad) con quella di «affaticarsi»; infatti nella traduzione italiana è necessario ricorrere a due verbi distinti, per non perdere l’uno o l’altro dei significati. – sedulus: «premuroso», «zelante», con una sottintesa sfumatura di eccesso («troppo premuroso»); aggettivo in funzione predicativa del soggetto sottinteso tu, che si può rendere anche con un avverbio («premurosamente»). – neque... bibentem: costruisci myrtus neque dedecet te ministrum neque me bibentem sub arta vite. – neque... dedecet = et decet, litote, che intensifica il concetto anziché attenuarlo; dedecet, come il suo contrario decet («si addice», «è conveniente») regge l’accusativo della persona a cui conviene o sconviene qualcosa (te... me). – ministrum: sostantivo maschile singolare in caso accusativo, apposizione di te; equivale a ministrantem (da ministro, aˉre, «servire a tavola»). In taluni casi, tuttavia, minister è usato nel significato più specifico di «coppiere» (cfr. Catullo 27): «a te che fungi da coppiere», «che mesci il vino». – arta: ablativo femminile singolare dell’aggettivo artus, a, um («stretto») che nel contesto dell’ode può avere due significati: «fitto», «folto», a indicare un luogo gradevolmente fresco e ombroso; oppure «angusto», «ristretto», un altro emblema di vita semplice. – vite: ablativo concordante con arta; un pergolato formato di tralci di vite.

Analizzare il testo

1. Che cosa significa adlabores (v. 5)? Definisci a livello sintattico la proposizione di cui è il predicato, nonché la struttura dell’intero periodo. Cerca inoltre sul dizionario i significati dell’aggettivo simplex e traduci nei diversi modi possibili. 2. Individua gli enjambement presenti in questi versi, e osserva se pongono in rilievo parole-chiave. 3. Nel testo dell’ode compaiono vari nomi di fiori e di piante: si può darne un’interpretazione sul piano simbolico? 4. Spiega in che senso e per quali aspetti l’ode I, 38 rappresenta una dichiarazione di poetica.

Confrontare i testi

5. Leggi l’ode II, 7 a Pompeo Varo [T18]: in quali versi si parla dei preparativi di un banchetto?

Vi si possono riconoscere alcune analogie con il

“convito semplice” che si apparecchia nell’ode I, 38; ma appaiono evidenti anche le differenze (di tono, di situazione...). Sviluppa il confronto in un breve commento.

T 16

Aequa mens Carmina II, 3 ONLINE

This article is from: