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T 10 Un finale rovesciato (Hecyra, 841-880) IT

T 20

Carmina III, 9 ITALIANO

Canto amebeo d’amore

La passione d’amore non conduce mai Orazio a esiti rovinosi: l’amore è trattato nella sua poesia come un gioco delizioso e leggero, alieno da ogni forma di eccessivo coinvolgimento. Ne è un esempio questo carmen in forma di dialogo tra il poeta e una ragazza di nome Lidia: il tema dell’abbandono e della riconciliazione non dà origine a stati di sofferenza e di approfondimento psicologico, ma a una melodica scenetta a due voci. Sullo sfondo, il nome di un’altra donna (Cloe) e di un altro uomo (Calais), avventure erotiche (si immagina) prive anch’esse di complicazioni sentimentali. Prevalgono in questa lirica l’elemento strutturale e il gusto per le simmetrie: le sei strofe sono equamente divise fra i due amanti; ciascuna delle tre coppie rappresenta un momento diverso della storia, proiettato il primo nel passato, il secondo nel presente, il terzo nel futuro. Nelle prime due coppie le battute di Lidia ricalcano quelle di Orazio: l’ultima strofa si discosta dallo schema, consegnando al lettore, nei versi centrali (22-23), un realistico e icastico ritratto del poeta.

«Finché io ti piacevo, e nessun giovane, più di me amato, cingeva le braccia intorno al tuo collo splendente, io vissi più felice dei re d’Oriente».

5 «Fino a che per un’altra non bruciasti d’amore, e Lidia non venne dopo Cloe, Lidia dalla molta fama, io vissi più gloriosa di Ilia romana».

«Cloe di Tracia ora mi tiene, maestra 10 nei soavi accordi, padrona della cetra, e io non avrei paura di affrontarla, la morte, solo che i fati, vita mia, risparmino lei».

«M’infiamma, con mutuo ardore,

Càlais figlio d’Ornito di Turi, per cui 15 due volte vorrei morire, solo che i fati, vita mia, risparmino lui».

«E se l’antica Venere tornasse, riunendo sotto un bronzeo giogo chi fu diviso? Se la bionda Cloe fosse congedata, e la porta 20 si riaprisse per Lidia scacciata?»

«Anche se è più bello di un astro, lui, e tu più leggero di un sughero, più iroso dello sfrenato Adriatico, è con te che vorrei vivere, con te morrei contenta».

4. dei re d’Oriente: «I re di Persia erano proverbiali per i loro tesori e beatus esprime innanzitutto la felicità fondata sulla ricchezza» (La Penna). 8. Ilia: Rea Silvia, madre di Romolo e Remo. 14. Turi: città greca della Lucania, sul mar Ionio.

T 21

Carmina III, 13 LATINO

O fons Bandusiae

È il 12 ottobre, vigilia dei Fontanalia, una festa italica delle fonti a cui accenna anche Varrone nel De lingua Latina (VI, 22). Durante la festa era consuetudine offrire in dono alla sorgente delle corone di fiori, che venivano gettate nella corrente o appese a festoni intorno ai pozzi. Anche Orazio parteciperà a questi riti in onore di una piccola fonte che sgorga nei pressi della sua villa sabina. Come sempre nella poesia di Orazio, i dati affettivi e realistici della vita quotidiana vengono incanalati nelle forme della tradizione letteraria: il locus amoenus, la fonte dove gli animali e gli uomini ristorano la propria sete, la promessa di un sacrificio rientrano nella tradizione dell’epigramma ellenistico e della poesia bucolica [Dialogo con i modelli, p. 249]. Ma il poeta sa dare un accento nuovo e personale a questi topoi figurativi: la piccola fonte diventa un emblema di vita semplice e pura, condotta nella quiete appartata della campagna laziale. Da questo quadro di vita semplice e serena Orazio trae anche, nell’ultima strofa, un motivo di poetica: la sua poesia è come una cristallina fonte d’acqua pura, e per questo il fons Bandusiae diventerà un giorno famoso come le grandi fonti greche sacre alle Muse e ad Apollo. Il carme presenta una tessitura elegante e raffinata: il paesaggio è risolto in pochi tratti di impressionistica immediatezza (la limpidezza delle acque; il rosso del sangue del capretto che si disperde nella corrente; il mormorio zampillante dell’onda, reso onomatopeicamente nei due ultimi versi mediante l’uso della consonante liquida l e l’abbondanza delle vocali). Il solenne vocativo iniziale e l’anafora in poliptoto dei vv. 9-13 (Te... tu... tu) ritmano la lettura sul passo di un inno religioso.

Nota metrica:

sistema asclepiadeo terzo, composto di due asclepiadei minori seguiti da un ferecrateo e da un gliconeo. O fons Bandusiae splendidior vitro, dulci digne mero non sine floribus, cras donaberis haedo, cui frons turgida cornibus

[1-8] O fonte di Bandusia più chiara del cristallo, degna di dolce vino puro non senza [corone di] fiori, domani ti verrà offerto un capretto, cui la fronte turgida delle corna che già spuntano promette amori e battaglie. Invano: la prole del gregge vivace tingerà le tue gelide acque di rosso sangue.

fons Bandusiae: c’è chi intende Bandusiae come un genitivo epesegetico (nel qual caso si tratterebbe semplicemente del nome della sorgente; come noi diciamo ad esempio «la città di Roma»), chi come un genitivo di appartenenza (e si tratterebbe allora del nome della ninfa che abitava le acque). – splendidior vitro: «più splendente», «più brillante del cristallo» oppure «del vetro». Il comparativo dell’aggettivo splendidus (da splendeo, e ˉre), che loda la trasparenza luminosa di quelle acque purissime, è vocativo come fons; l’ablativo vitro costituisce il secondo termine di paragone. – digne: vocativo dell’aggettivo dignus (in latino fons è di genere maschile), che regge l’ablativo. – dulci... mero: si tratta di libagioni di vino puro ritualmente offerte alla divinità della fonte in occasione della festa annuale. Merum è aggettivo sostantivato per vinum merum. Quanto all’aggettivo dulcis, cfr. molli ... mero di Carmina I, 7, 19 [T10]. – non sine floribus: litote. Nel De lingua Latina Varrone, il grande erudito studioso di antichità romane, ricordando la festa dei Fontanalia scrive: in fontes coronas iaciunt et puteos coronant («gettano ghirlande di fiori nelle fonti e coronano i pozzi»; VI, 22). – cras: il 13 ottobre, giorno dei Fontanalia. – donaberis haedo: il soggetto di donaberis, futuro passivo di II persona singolare (da dono, aˉre), è sottinteso (tu); da sottintendere anche il complemento d’agente (a me). Il verbo donare nella forma attiva ha una doppia costruzione: l’accusativo della persona cui si dona e l’ablativo della cosa donata (donare aliquem aliqua ˉ re), quella presupposta nella forma passiva del testo oraziano, dove haedo è appunto ablativo strumentale; oppure, come in italiano, l’accusativo della cosa donata e il dativo della persona cui si dona (donare aliquid alicui). Secondo Ovidio (Fasti III, 300), agnelli o capretti venivano ritualmente offerti alle divinità delle fonti fin dalla mitica età di Numa. – cornibus primis: lett. «per le prime corna», ablativo di causa retto da frons turgida; l’enjambement mette in rilievo con delicatezza la giovanissima età dell’animale. – et venerem et proelia: accusativi dipendenti da destinat. – Frustra: l’avverbio, dopo uno stacco di notevole effetto, introduce il pensiero, venato di pietà, della triste sorte riservata al capretto; l’inevitabile sacrificio (necessario in quanto dovuto alla fonte secondo il rito), descritto mediante l’immagine dell’acqua limpida arrossata di sangue, troncherà il suo commovente slancio verso la vita. – nam gelidos ... gregis: costruisci nam subo-

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